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Jfùcro tfr/a/iao . 'un fraat'/pr fucctac -
LA MORTE
D I
ORLANDO
OTTAVE
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H.4. 49
IN VENEZIA
MDCCCVIT.
rEESSO ALESSANDEO GARBO
* . I
•V-M
V Editore- dichiara di sua particolare prò-
prietà la presente Opera , e la pome
sotto la Salvaguardia, della Legge 13. j
fiorile Anno. IX.
< 1,1 in .imi
AVVISO AL EETT.ORE:.
I-I nome del grande Orlando è alla Fa-
ma ben noto» Ma* non pretende perciò/
r Autore- di rinnovare colle sue Starw
ze- lo squillo della tromba di questa*
Dea, che strappando di mano aL Tem-
po la falce ,~non passeggia che fra gli,
Allori ministri dell' Immortalità . Egli
aon presenta che un parto informa
d'una Musa scorretta, e pctrà chia-
marsi felice , se questo debole parto ±
sottratto alla sferza severa d'una Cri*
Ùcsl magistrale, respirerà qualche istan-
te di vita fra le braccia deli' indulge n*
za .„ Egli non ardisce caratterizzar le
sue Stanze col titolo di Poema , . ben :
conoscendo non avere osservato le in-
violabili leggi, che la maestosa Cal-
liope rigidamente prescrive. JLa 1uji«
ghezza degli cpisodj , che neppure sorr
tali, perchè sorpassano l'estensione del
principale argomento £ questa lunghez-
za toglie alla composizione la necessa-
ria unità , che potrebbe renderla degna
della denominazion di Poema • Sembre-
rebbe all'Autore, benché lontano dal-
le stolte illusioni della ridicola super*
stizione, vedersi innanzi agli occhi le
venerabili Ombre d'Omero, di Virgi-
lio, e de' loro celebri imitatori, che
destandosi dal placido sonno della tom-
ba onorata , volgesser bieco lo sguardo
ad un audace insetto, il quale con de*
bole incerto volo agguagliarsi tentasse
alle Aquile del Parnaso.
LA MORTE
D' ORLANDO
I li»' ni iiiiw
CANTO PRIMO,
ARGOMENTO.
len Angelica Orlando è prato a un fonte *
Guerrìer lui sfida; ella si st" in un canto*
Altro Guerrier guidato è sovra un Monte
Da una Vecchia , che bella è per incanto .
Ivi un vasto Castello al\a la fronte ,
Ove i Demon si stanno [n laido anmanto •
ivi la vecchia Maga in varia ferma ,
A suo talento , i Cavalier trasforma»
r> I.
^anto Marte , e Ciprigna , e canto Amore,
)onne , Duci , Magic di strana sorte ;
)el forte Orlando pria TaJto valore,
'©scia dirò la miserabili morte .
fa di Vate non curo il sommo onore,
«Jè del Tempio d' Apol tento le porte ,
'oichè umile a strisciar desio mi sprona
u le falde 4i Pindo, o d'Elicona.
* CANTO
II.
Alto Scrittoi- j che in dotti ameni carmi
D'Orlando espressa ài la famosa insania }
GP illustri' amori, i Cavalieri, e l'armi,
E di beltàde la tenace pania,
Te, chetivi immortale in bronzi, in marmi j
Qua! chi d' Achille celebrò la smania ,
Te solo imploro , e consacrar mi vanto
A 1' augusto tuo nome il rozzo canto.
III.
Volta sempre , e diretta a te fia solo >
Qual Genio tutelar , mia debil voce ,
Come si volge calamita al Polo %
Come tendono i fiumi a la lor foce .
Se da gli alti riposi al basso suolo
Chinar lo sguardo a te non grava , o nuoce,
Torci propizio a quest* offerta i lumi ,
Cóme accetta le otferte il Re de' Numi .
IV.
Dirò pria che in vastissima pianura
Siede molto giocondo praticello ,
11 qual sembra che Parte, e la Natura
Sieri ite a gara in far adorno , e bello .
Ad uscirne j a partir non poca dura#
fatica ognun, che pósto à il piede in quello.
Esser quasi li par ne la beata
Sede per PUom primier da Dio creata.
V.
tE Sé talun di sua beltà desia
fi^vero udir dal labbro mio ritratto,
Di buon grado il farà la penna mia ,
Com* esser può da rozza penna fatto.
Ma se a vivi color pinto non tia,
Ndn sarà privo di colori affatto,
Ed il mio favellar potria talvolta
Kscaf diletta a chi gentil m' ascolta ,
PRIMO. S
VI.
Di folta erbetta è il praticel coperto,
Che mille fiori adornan vagamente;
Più bei colori, o più soavi al certo
Odori alcun quaggiù non vede , o sente .
Color vivaci, onde mi veggio offerto
Quadro gentil , che mi sta fisso in mente;
Misto al giallo l'azzurro, il bianco al rosso,
Tal fa contrasto, che spiegar noi posso.
VII.
Oh ! qual di varj dilicati odori
Scende gradita al cor dolce unione,
Che i crudi affanni, i pallidi timori
Faria por tutti in piena obblivione!
Sovra arboscelli stansi augei canori ,
Che ricreano cól canto le persone,
E gli arboscelli fan corona intorno,
Alti tutti del parij al prato adorno.
Vili. è
Circonda un ruscelletto il suol fiorito,
Un giocondo purissimo# ruscello ,
Óve al guardo giammai non è sfuggito
D'arena un minutissimo granello .
A dolce sonno fa Cortese invito
Il dilettoso susurrar di quello ;
Sue limpid' acque innaffiano il terreno,
Che di fiori a le Ninfe adorna il seno.
IX.
Stretto il ruscello è siche a l'altra sponda
Uom con un passo di leggeri arriva.
Ben difficile^ impresa è ch'io risponda ,
Se alcun chiede le vie ch'io gli descriva,
Quattro ben longhe vie , che densa fronda
Cinge , e di luceé in ogni parte priva ,
Là fronda a' rami è si intrecciata , e mista»
Che non vi puote penetrar la vista ,
A t
4 CANTO
X,
Ben lunghe son quant' occhio può vedere.
Ma tutte pur diritte al par di strale.
Destano un sacro orror, che l'alma fere
Oltre a l'immaginar d'ogni Mortale,
E tutte offrendo singoiar piacere ,
Offron ristoro anco al diletto eguale.
Presso al margine son dei ruscelletto y
E Tuna a l'altra uansi dirimpetto.
XI.
E contrastai quegli arbori intrecciati
Ne le aite cimeil passo audaci al Sole.
Poggi intorno vi son, da cui mostrati
SonbegU oggetti a chi salirvi vuole;
E cittadine campagne, e colli, e prati,
Che descrivernon san le mie parole.
Loco sì bello in parce solo io mostro ;
Altra lingua esso mena, ed altro inchiostro,
XIL
Su l'odoroso margine si stava
Di quel ruscello un celebre Guerriero
?re$so a Donzella, ch'egli molto amava y
Che vaga avea l'aspetto, il cor sincero.
Orlando quel Guerriero si nomava.
Per molte imprese degnamente altero.
Era de' Franchi il Duce, e cento e cento
Trionfi ottenne in bellico cimento.
XIII.
Giusta mercede a tanti suoi trofei ,
Diégli il Principe in don Città, e Castella.
Angelica nomavasi coki,
Un de' Visconti il Padre fu di quella.
Ogni bene unir volle il Cielo in lei,
La fé cortese , valorosa , e bella ,
E volle in quella stirpe gloriosa
Ufi a Donzella ancor render famosa.
PRIMO, 5
XIV.
Stava ad Orlando ella seduta appresso ,
Ed egli a lei le fiamme sue scopria ;
E come avviene fra gli amanti spesso,
Quando vicino l'uno a l'altro sia,
Tanto incendio quegli occhi in cor gli àn messo,
Gli occhi, onde sempre Amor V alme feria,
Che nel sen , nelle membra , in ogni loco
Arder sentiasi d'amoroso foco.
XV.
Mentre in mezzo a fresch'aurca limpid'acque,
In tal dolcezza •immersi eran gii amanti ,
Che rimanesser lieti al Ciel# non piacque ,
Odon romor, che non ucliasi avanti;
Poi, cosa, che ad Orlando assai dispiacque,
Ecco un Guerriero, che Jor vien davanti,
Gridando , o ia Donzella tu dei darme ,
O, s'ài valor, l'acquisterò co l'arine.
XVI.
Sì, s' ài valor, che misurarsi sdegna
A vii brando inesperto il brando mio;
Perciò , se in te sublime ardir non regna ,
Lasciami senza oppor, quel che vogl'io,
Acciò non debba con un arma indegna
Ferro avvilir, che tanti già ferìo,
E tu non abbi inevitabil morte ,
Senza che alcun perciò mi chiami uom forte .
XVII.
Di rabbia Orlando a le di lui parole
Avvampa tutto, e di furor nel petto,
Ei , che gli oltraggi tollerar non suole,
E s* accinge a pugnar pel caro oggetto .
Col ferro in man tosto mostrar gli vuole
Che non à vile il cor , ne il braccio inetto j
Ogn'indugio egli tronca , alcun ritegno
^offrir non puote suo bollente $degiì) .
A 3
« CANTO
XVIIL
Qual, se con empia Tigre sitibonda
Affamato Leon venne a tenzone
Ne l'ampio Circo, che di gente abbonda ,
Per l'Agnello, pel Cervo, o pel Caprone ,
La coda batte , e in voce furibonda
Rugge, ilpelo arricciando, il fier Leone;
La Tigre il guata , e d' accortezza piena ,
Tenta saltar su l'agitata schiena.
XIX.
Ferocemente sul Nemico a un tratto
Cosi P invitto Orlando allor si scaglia ,
Già co la spada di vibrare in atto
Colpo , cui non resista , o piostra , omoglia.
Col destrier quegli indietro s'è ritratto ,
E il ferro poi , che molto punge , e taglia ,
Snuda , e lo scudo imbraccia , minacciando
Il fino usbergo trapassar d' Orlando .
XX.
Mentre l'agii destrierda lui spronato
Giunge al nemico, che il riparo appresta,
A l'improvviso ei muta il minacciato
Colpo, e volge Tacciar contro la testa .
U orribil colpo il capo avria spaccato ,
Se la destra d' Orlando era men presta ,
Ma ne l' insidie belliche maestro
li brocchicro ei v'oppose accorto e destro.
XXL
Piomba la spada, (non si ratto è il lampo)
Sovra lo scudo ; eco a lo scontro orrendo
Fanno i^ vicini Monti, il vasto campo,
Scuote il soglio di Giove il suon tremendo,
Pensa la Donna che difesa , e scampo
Soltanto puote ritrovar fuggendo .
Morto ella crede il suo diletto amante,
E risolve fuggir tutta tremante .
PRIMO. 7
XXII.
D'altri mal che d'Orlando esser non vuole ,
Né vuol d' alcun , se di lui resta priva .
La faccia bella, che di rose suole
Sempre tinta vedersi, ognor giuliva ,
Come qualora ad offuscar del Sole
Il giocondo splendor 1* Ecclisse arriva,
Or d'un mesco pallor s'adombra, e copre,
Che ben la doglia del suo cor discopre.
XXIII.
Ah! cessi aliin questo contrasto rio,
E torni ad apparir tanta beltade.(
Ella , il Cavallo risalendo ; oh Dio!
Sclama, ahi! me lassa, Orlando mio già cade;
E fuggendo gli dà l'estremo addio,
Che di sua morte alto timor l' invade ,
Ma mentrepalpitando ella il mirava ,
Vide che vivo egli era, e ancor pugnava*
XXIV.
Da Io stupor la bella Donna presa,
Ferma il destriero, e a riguardarlo stassi.
Tal esser di Pastor suol la sorpresa,
Se pecora a 1' ovii rivolgevi passi,
Pecora pianta , e invan chiamata , e attesa/
Del cui nome eccheggiar fé? i tronchi, e i sassi .
Dubbiosa, incerta Angelica s' appressa a
Temendo quasi d'ingannar se stessa.
XXV.
Sembrar cosa non dee bizzarra , o strana ,
he morto il tema or che pugnar io vede .
Se oppressa è dai dolor la mente umana,
fnaspettato ben vero non crede .
Ma lasciam quei Guerrier, che in pugna vana
Spendono il tempo, e non avran mercede;
he mentre l'uno l'altro va ferendo,
Altra narrar grande avventura intendo.
8 CANTO
XXVI.
Nel più forte di un bosco un Cavaliero
Solo si stava , tacito , e pensoso ,
Mesto pascendo in quel silenzio il fero
Duolo , che in seno egli serbata ascoso ;
E nel sembiante ei dimostrava in vero
Esser molto infelice, e doloroso.
Dorata Luna avea sovra 1' elmetto,
Lucido usbergo gli copriva il petto .
XXVII.
Era lo scudo suo di fino argento
Appeso a un tronco, e presso era il Cavallo
Ma da^ un Monte discende a passo lento
Vecchia, che lieto appieno esser farallo.
L'aspetto di colei mette spavento,
Laido è'1 corpo, e deforme , il voltoè giallo
Fantasma sembra minaccioso, e tetro.
Uscito allor da squallido feretro.
XXVIII.
Poca su Possa, e nera pelle è stesa,
Ed è la pelle sua vizza, e rugosa,
A pie del Monte? onde la Vecchia è yécs
La foresta si sta densa , e frondosa ,
In cui sorge sovente aspra contesa
Tra il freddo Borea, e l'alta Quercia annosa
L' annosa Quercia , che fra balza e balza
De l'arduo Monte le sue cime innalzaV.
XXIX.
Giunta innanzi al Guerrier la grinza Vecchia
Al Guerrier, che l'aspetto avea di prode,
A chieder curiosa s'apparecchia
Qual sia la doglia , che il tormenta , e rode
La curiosità mai non invecchia ,
Di saper gli altrui fatti ognun sigode,
Ed in Femmina ancor da gli anni oppressa
Questa brama riman sempre la stessa,
P *R I M O. p
XXX.
Molto il Guerrier piace a la Vecchia , e stende
Ambe ver lui quelle spolpate braccia .
Egli, perchè il dolor quasi lo rende
Stupido , al suol tenea volta la faccia .
Non Meteora alcun tanto sorprende ,
Come sorpreso ei fu da la Vecchiaccia .
In pie sì rizza > attonito la mira ,
Ed in mirarla un passo si ritira .
XXXI.
"Ella, che ben del suo stupor s' avvede >
Che temi, disse, o Giovin valoroso?
E' ver, fantasma sembro a chi mi vede,
Tanto è l'aspetto mio brutto e schifoso!
Ma a te non di far danno , anzi mi siede
Di giovarti nei cor desio pietoso ;
Quel che t'ange di pur senza sospetto,
E contento sarai d'avermel detto ,
XXXII.
Ma perchè non ti faccia vie più tristo
l[ mio sembiante, cangerò pur anco
Figura , e volto , e non avrai tu visto
Più bella donna , o più leggiadra unquanco .,
Ben di rispetto a meraviglia misto,
Che una Diva ei la crede , o poco manco,
Colmo fu il Cavalier, che in un momento
Vide quello stupendo cangiamento.
XXXIII.
Ella tutta si ben mutò sembianza
Per magica virtù d'una verghetta ,
La qua! chiunque in ninno tiene, avanza
Tutti in beltàde, in leggiadria perfetta.
Ma brutta vecchia aver non dee speranza.
D'esser cangiata in bella giovinetta;
Quella verga parer fa il brutto bello ,
Ma il brutto resta, e sol prestigio è* quello
A t
IO
CANTO
XXXIV.
E perciò, tosto che deposta sia
La verga , il brutto ad apparir ritorna .
Oh ! qual folla di donne vi saria
Di e notte, e quando annotta, e quando aggior
Intorno a quella, se per tal magia
Fosse ogni Donna di bellezza adorna!
Che il donnesco piacer consiste solo
Nel vedersi d' intorno amante stimolo ,
XXXV.
11 grinzo di colei pallido aspetto
Or liscio è fatto, e neve sembra , e rosa .
Scende in giusto confin naso ristretto ,
Da breve fronte fra i capelli ascosa.
De* corti denti il puro avorio eletto
Entro a picciola bocca si riposa ;
Vermiglio labbro li discopre , e vela ,
Che in dolce suon de Palma i sensi svela,
XXXVI,
Scendono a Paura sparsi i bei crin d'oro,
De' quai più lunghi altri non vide il Sole ;
Sottil , lunghetto è il collo, e par lavoro
Di torno il braccio candido qua! suole
IVÌunto vedersi il^ liquido tesoro ,
Che pecora, e giumenta offre a la prole.
Terso alabastro quella man ricopre ,
Ove molte vallette il guardo scopre.
XXXVII.
Ogni dito nel mezzo ingrossa alquanto,
E verso P ugna più sottil diventa ;
Il pie legger, che sovra ogn' altro à il vanto,
Il leggiadro , e gentil corpo sostenta,
spesso furtivo, sollevando il manto,
La gamba snella Zefììro presenta.
Ben si puote dedur che men vezzoso
Non è di quel che a?par> quel eh' è nascoso.
PRIMO. ix
XXXVIII.
Ella avvenenza spira, e leggiadria,
Tutto è lusinga in lei, tutto è dolcezza .
Con uno sguardo debellar sapria
Ogn* insensibil cor, che Amor disprezza.
O rida , o parli , o taccia , ella potria
Co la Dea gareggiar «iella bellezza .
Par che le Grazie a lei sedute in grembo,
Vcssin di fiori un odoroso nembo.
XXXIX,
Così la Vecchia per magia cangiata ,
Di canuta , ed orribile eh' ejl'era ,
In giovinetta di beltà fregiata ,
Che invan Donzella aver pretende , o spera ,
Disse al Guerriero : Or non ti sono ingrata ,
Del tuo dolor dimmi la causa vera .
Dal labbro stilla , qual da favo suole,
Il mei de le dolcissime parole .
XL.
Ei dolente rispose : À che m' invita
Il labbro tuo, se spirto in forma umana,
O se donna tu sei dal Ciel fornita
D'una possanza inusitata, e strana,
Ad inasprir così la mia ferita, -%
Dicendo quel che il dirti è cosa vana?
Tutte palesi a te le umane cose
<^erto esser denno , che altrui sono ascose.
XLI.
E penso ancor che tutto oprar tu possi,
Poiché ti vidi io stesso oprar cotanto.
Con dolce riso i due labbretti rossi
Le chiuse perle discoprirò alquanto,
E disse: In me nulla. Signor, celossi ,
Che diyin sia , fò tutto per incanto;
E sappi , o Cavalier, che la Magia,
Arte illustre, e temuta, è l'arte mia .
A 6
12
CANTO
XLII.
Del cupo Averno il Principe mandommi
Moki suoi Servi a secondar mie voglie ,
Ed io , per lo poter , eh* egli donommi >
Vestir li faccio differenti spoglie.
In mezzo a lor , come Regina, stonimi ,
Né il mar , la Terra cosa alcuna accoglie,
Che al mio soggiorno , in mano mia non giunga,.
Sol che brama di quella il cor mi punga .
vvLIII.
Molte cose vi son dov'io risiedo,
Che produr ponno alti, e stupendi effetti .
Se non t' incresce venir meco, io credo
Che godrai nel veder si strani oggetti .
Nel mio Palagio io tutto scopro , e vedo-,.
E i casi tuoi, benché da te non detti.
Ivi saprò , da quali terre or vieni,
Ed in Italia qual pensier ti meni.
XLIV.
ro ti prego, rispose il Cavaliere,.
Guidarmi ove tu fai la tua dimora ,
E grande onor mi fra , sommo piacere
Vedermi accoltola si gran Signora.
Senz'altro indugio verso il suo Corsiere-
Impaziente egli avviossi allora ,
In sella salse , e con serena fronte
La Maga seguitò verso quel Monte.
XLV.
E benché a piedi sia la Maga , pure
Corre più del Cavallo, che galoppa ,
Anzi non corre , ma per Paure pure
Lieve s'innoltra , e in sasso non intoppa.
De le infernali regioni oscure.
Spirito abitator la porta in groppa.
Pensi ognuno a suo senno , io cosi credo £
Causa di tal prodigio altra non vedo .
PRIMO. ij
XLVI.
Ti Cavaliere da colei scortato,
La difficile ascende alta Montagna ,
E dopo avere lungamente errato,
Giugne in una bellissima Campagna.
Molto più che dai fiori , adorno è '1 prato
Da un gran Castello; ivi la sua compagna
S'arresta, e dice: li fabbricò l'astuta
Del Prence Belsebù gente cornuta.
XLVII.
Composto il veggio d'un acciaio fina,
Splendente al pari che le stelle, e '1 Sole.
A punta adamantina un sopraffino
Lavoro il fé de le infernali Scuole .#
Come m' innoltrerò sì che in cammino
Non mi manchi la lena , e le parole ,
Ne ià descrizion di così bello
E giocondo, e mirabile Castello?
XLVIII.
Esso è vasto e sublime, e di figura
Quadra, e per quattro porte entrar si puote
Son le porte dì vaga Architettura y
E su le soglie stan magiche note-
Leggere in vano il Cavalier procura
Quelle bizzarre cifre a lui mal note ,
E 1' arco ammira , che con dotta legge
Le porte adorna, e P edilìzio regge.
XLIX,
Stansiquelle rimpetto , e di splendente
Verde diaspro son le imposte loro ,
Adorne tuttc^moko vagamente
Di grosse perle, e di rìnissim'oro.
La meraviglia 5 che il Guerrier ne sente
In veder quel mirabile lavoro,
Io dir non so, ma immaginarla denno
Tutti color, che anno criterio e senno .
té CANTO
L.
Mira il grande Edifizio, e non fa motto
Fino che giunge ad una porta presso.
De Ja Maga a l'arrivo ecco di botto
La porta aprirsi, e v'entra ella con esso;
Né dal Corsiero , che gli stava sotto ,
Ove di quella porta era V ingresso ,
Scender gli sovvenia, ma con gradita
Voce la Maga ad ismontar 1* invita,
LI.
Quando smontato fu , la bella mano
Ella gli porse, e nel Castel guidollo.
Ivi spettacol non più visto, e strano
Ei ritrovò, che di stupor colmollo.
Spirti erravano intorno in volto umano,
Tutti deformi al par dai piedi al collo ;
Ma più che le figure di ciascuno.
Meravigliare il fé quella di uno ,
LII.
Era cortili de la deforme schiera
Il Capitano , od esser tal^ mostrava ;
Alto sedici braccia costui era ,
Cotanto ogni Gigante ei superava !
Più nera pelle ove il Meriggio impera
Non v' adi quella, che colui portava,
E lo schifoso Mostro era sì grasso
Che a gran pena potea formare un passo »
LUI.
Sembrava il volto uno di quei palloni ,
Che si lanciano in aria per trastullo;^
Gli occhi parean di fulmini . di tuoni
Gravido^ nembo, che il valor fea nullo ;
E da gli omeri poi fino ai talloni ,
Né d* uom la forma avea , ne di fanciullo.
Or vo* narrar, se mal non mi rimembra^
'V-eud, che ii'Guerrier vide, orride membra
PRIMO, i*
LIV.
Ai quattro Iati de Ja gran testacela
Vide un corno grossissimo innalzarsi ,
Che non era men lungo di sei braccia *
E poteva co V occhio misurarci ;
Il resto poi, che umano corpo abbraccia
Sotto al ventre, in lui vide raddoppiarsi;
Quattro Je gambe son , quattro le cosce;
Sembran pietra a chi ben non Je conosce .
LV.
Sì smisurate, e informi son che appunto
Pajon Colonne, e'1 pie non vi si vede,
Ma s'allargano in fin cosi che punto
Ne 1' uffìzio non mancano àeì piede .
Il Cavalier, che nel Castello è giunto,
Un Simulacro non a torto il crede ,
Né gU cade in pensier pur un momento
Non sia posto colà per ornamento ;
LVT.
E che non sien quattro Colonne quelle,
Da cui sia il Simulacro sostenuto .
L'alme abitanti de le ardenti celle
A la Regina fero onor dovuto .
Tosto in due file si diviser elle ,
E corser poscia al Capitan cornuto
Per dargli aita , che non puote ei solo
Chinarsi mai senza cadere al suolo.
LVII.
Come esprimer potrei la meraviglia
Di quel Guerrier, che mobile ravvisa
Quel che pietra ei credeva ? Ambe le ciglia
Inarca, e quasi di sognar s'avvisa.
L'altezza sua, che a Monte rassomiglia,
Od a Scoglio, da cui l'onda è divisa ,
Un de gli Angeli ascoso ivi dimostra ,
.Scacciai già da la celeste cbis?tt3 „
16 CANTO
LVIII.
E gli altri pur tutti Demonj ei stive,?. ,
Uno de'quai d'Aquila à il collo, e il becco,
La testa cì'nom ( cosa non vista prima)
D'uomo i capelli, e il resto par di Becco ;
La coda a di Cavallo, e su la cima
Del capo à di Monton due corna ; or ecco
Gentil sembiante ! Né men laidi , e brutti
Erano di costui quegli altri tutti .
LIX.
Il capo à\..questo di crudel Leone,
Le chiome di venefici serpenti ,
Di Tigre il corpo, l'ugna di Falcone;
L'altre membra non sono differenti ,
Poste con quelle d'Uomo al paragone,
E lunga è la sua coda palmi venti ,
Ma nera sì che tutta in essa accolta
D'Inferno par l'atra caligin folta.
LX.
Sembra quello una scimia , un babbuino,
E gli escon due gran denti da la bocca ,
Lunghi così che da la bocca fino
Al suolo giungon , che quasi li tocca.
Due gran corna à di Cervo, q al cui vicino
Due code origin anno, in quella Rocca
Non v5 à chi n'abbia due come costui,
Fra quei, che sono somiglianti a luì.
LXI.
Non so quanto sien lunghe quelle code*
£ò ben che sono piene di veleno .
Ma certamente stancherei chi rn' ode j
Se di tutti parlar volessi appieno.
E perchè il mio cantar, se plauso, e lode
Aver non può , biasmo non abbia almeno ,
Qui di ciò tacerommi , e dirò cosa,
Che difetto saria tenere ascosa.
RIMO. i7
LXII.
Quella , ov' eran tai Mostri , era una stanza
Tutta fornita d'un bel drappo d'oro;
Un trapunto Tadorna , il quale avanza
Ogni pregiato, ogni sottil lavoro.
Sì gran cose narrar non so a bastanza ò
Tutto pinger vorrei , tutto scoloro .
O Mu$a , ilnaio pensier deh! tu rinforza,
Tu presta ai vanni miei vigore, e forza.
LXIII.
Il leggiadro trapunto esprime quanto
Fu àa la Maga di stupendo , fatto,
Dei Demonj per opera, e d'incanto .
Vi si vede ogni cosa in un sol tratto;
E. del tetto si vede in ogni canto
Sculto, e dipinto qualche illustre fatto;
Di tai prodigj adorno ancora, e cinto
E' il suol, con pietre a bei color dipinto .
lxiv.
La Maga allora in più rimota parte
Il Cavalier, de l'ampia stanza guida.
Vedi là, disse , quelle genti sporte
Per io timor che l'nggressor le uccida.
E tronche braccia, e pie stanno in disparte,
Bocche in atto d' alzar sonore grida,
Mentre il nemico i vinti insegue, e tutto
Ricolma il Campo di cruento lutto,
LXV,
Lo stuol , che fugge con sì grave danno ,
Su le sponde abitar suol del Tamigi ,
Venner color, che baldanzosi vanno,
Da la Senna , che innaffia il gran Parigi ,
De' bellicosi Franchiera in quell'anno^
Rege H quattordicesimo Luigi ,
Luigi in pace illustre, invitto in guerra,
Al cui nome ecch«ggiò tutta la Terra,
iS CANTO
LXVL
E com' ei seppe le nemiche Genti
Sempre domar coj suo possente brando,
E le campagne di nemici spenti
Col forte braccio ricoprir pugnando,
Come fu grande ne' guerrier cimenti ,
Fu giusto ancor, clemente fu regnando,
E cmn esperta man regger solca
La bilancia difficile d'Astrea.
LXVII.
Sappiate, o Gavalier, ch'io ne la stessa
Figura j in cui già mi vedeste prima,
Fra Britanni n'andai, di vecchia oppressa
Da gli anni, ed alta sol sei palmi, e grimaj
Ed in sembianza povera e dimessa
Giunsi in quella Città degna di stima ,
Per tanti, e tanti illustri Eroi superba,
E che sul vasto Mar l'impero serba.
LXVIII.
Per l'aure quivi , da un de' miei portata
Spirti, venni a mirar la gran Cittàde .
Con istupor da tutti era osservata,
Nessun cheDonna io sia si persuade.
Ma quando io fui ne la Cittàde entrata,
E tutte intorno passeggiai le strade.
Stupefatti rimasero, e mi chiama
Ciascuno Maga, e il Popolazzo esclama:
LXIX.
Brutta vecchia , che fii? Da qual recesso
Giunta de' cupi sei Regni infernali?
A Pluton , che t' inviò, /areniti adesso,
Empia, tornar co succhi tuoi letali.
In un sol tratto a me sifèron presso ,
Minacciando vibrar colpi mortali ;
Io, che di magic' arte era munita,
Paventar non potea per la mia vita ,
PRIMO, if
LXX.
Non con tal fretta va scoccata freccia,
O grave sasso, che dall'alto piomba, #
Né con tal forza Ariete a farsi breccia ,
Né s'avventa Sparvier sopra Colomba;
Come su me quell'importuna feccia
Del Vulgo, e a' gridi suoi l'aer rimbomba,
L'aer, che pietà di me par che rinserri,
Fischiando al lampo de' cadenti ferri.
LXXI.
Ma il mio Spirtofedel voia^ ai compagni,
E in pochi istanti ivi con essi torna ;
J>ar che^ il terror gli segua, e gli accompagni „
E lor sieda su 1' ugne , e su le corna .
Que', che l'armi stringeano, e i lor compagni ,
Tutti fuggir; lo Spirto a me ritorna,
E il volante suo dorso a mio bell'agio
Mi riconduce a questo gran Palagio.
LXXIL
Io contro quella Gente maledetta
Giurai di far aspra vendetta giusta»
Quando quella battaglia mi fu detta,
A punir m'apprestai l'offesa ingiusta,
Ed a la sede, che i malvagi aspetta ,
La qual di fumo è tutta sempre onusta.
Un mio servo mandai , che raccogliesse
Di nero fumo vaste nubi , e spesse .
LXXIII.
E quelle fei dinanzi agli Angli porre
Sì che più non vedesser 1' Inimico .
Difeso fu più che da muro, o torre,
Ogni Franco guerricr dal nembo amico .
Non si potean da gli occhi il fumo torre
Gl'Inglesi , e sciorsi dal funesto intrico j
Per fuggir tanta insidia atroce, e nuova
fi rinculare, o 1' avanzar non giova.
io CANTO
LXXIV.
Not^ vibra il Franco mai colpo fallace,
Per mio voler tutto ei discerne , e vede ,
Scocca sue freccie , e la tempesta edace
Atterra ognun, che salvo esser si crede.
Prende così scaltro Falcon rapace
Il Passer, chedel rischio non s'avvede.
Scaglian ciechi i Britanni , e non san dove
I dardi lor , mentre è '1 nemico altrove .
LXXV.
"Ecco qual soffre memoranda pena
Chi d' oltraggiare ardisce un più possente;
Ecco di pianto , e duol tragica scena ,
Ove ii^ malvagio pere, el' innocente.
Di tali esempj spaventosi è piena ,
E la storia vetusta, e la recente;
Talora i figli di colpevoi Padre
Perirò in braccio a la dolente Madre.
LXXVL
Vedi que* porci là ; que' sassi vedi ,
Que' montoni, que' cervi, e quella chiara
Acqua ? Son uomin quei ; se tu noi credi ,
A veder meco vien cosa sì rara .
D' un Rege Ispano uno è fìgliuol, Tancredi
E' il nome suo ; costar gli sci ben cara
L' ingratitudin , che il suo cor protervo
Mi dimostrò, cangiandolo in un Cervo.
LXXVII.
Era quello un Guerricr prode ne P armi ,
Sua Patria è la Città , che Adige lava,
Poco quinci discosta; un tempo farmi
Prigioniera quel folle divisava ,
E tormi la mia Rocca , e morte darmi,
Desio di gloria , credo , Io spronava ;
In puro fiumicello ei fu cangiato ,
Che si duol , mormorando del suo Fato,
PRIMO. 21
LXXVIII.
lo mi crcdea poter tutte ridire
Le tante cose, che la Maga a detto;
Ma questo Canto mi convien finire
Che riposo a pigliar son io costretto .
Perciò chi brama il mio racconto udire 9
Ad ascoltarlo in altro tempo aspetto ,
E canterò , se il Ciel mi fia cortese»
Bizzari casi , e singolari Imprese.
Wìne del Cantò Prime,
2*
LA MORTE
V ORLANDO.
CANTO SECONDO
ARGOMENTO.
frede il Guerriero^ cui la Maga è se erta j
Oton cioè , quel sovruman Castello .
Sua prece a Ulisse libertàde apporta.
Ei mira di "De mori sono drappello .
Sa colei sue vicende , e lo conforta .
Ei d* Angelica adora il -volto bello >
Ella da un Mostro fa rapirla tosto.
Ave ano il ferro } Orlando , e Orfeo > deposte t
Oi
hi bella cosa che non {esse Amore
Lunga dimora ne l'umano petto ,
Ma sol di nostro cor fosse Signore
Finché bastasse al corporal diletto ;
Non prenderiaci àllor tanto^ furore
Per volto belio , e per leggiadro aspètto ,
Che a cercar morte e' inducesse , o darla
Per Donna 3 ond* esser soli ne P amarla é
CANTO SECONDO. ìj
IL
Quanti, oh! quanti leggiamo, Amor crudele,
De la perfidia tua funesti esempli !
Per colpa solo d' Elena infedele
Arsi furon di Troja , e tetti, e Templi.
Oh ! quante nimistà , quante querele
Discopre ognun, che l'opre tue contempli!
E non indusser tuoi diletti rei
Salomon saggio ad adorar gli Dei ?
III.
Ah ! se com' Orsa all' Orso , e Vacca al Toro ,
Cosi Femmina a 1' Uom vicina stesse,
E# come quelli fan , senza martoro
Ei da la Donna poi si disgiungesse,
Buesta saria la bella Età de l'Oro,
maggior ben , che alcun bramar potesse ;
K l'uomo allor fa mente sana avrebbe,
Né a gran perigli, a certa morte andrebbe.
IV.
Deh ! chi portò nel Mondo un tanto male ,
VA un abuso tal di nostra mente !
Ai bruto più di femmina non cale ,
Quando a quella pronar più non si sente;
E l'Uomo, ragionevole animale,
Oltre che a* suoi desir pronto ei consente,
.Sta vagheggiando inutilmente ancora
Donna, e la porta in cor scolpita ognora?
Per or non lutto , ma contento , e gioja
In Amore soltanto olirò , e presento ;
Ma ci verrà quel Nume avverso a noja ,
Vedendo quanto à di mal far talento.
Al Guerriero torniam, che non s' annoja
Nel lungo di colei ragionamento*
De la Maga vò dir, che molte, e molte
Pitture accenna in quel Palagio accolte.
*4 CANTO
VL
Poi eh* essa al favellar dato ebbe fine,
Ad altre stanze il Cavalier condusse
Per diramate scale alabastrine;
Sbalordito il Guerrier parea che fusse.
Ben d'umana scienza ogni confine
L'Architetto passò, che le costrusse .
Arte sublime con lavoro egregio
Decoro aggiunge a la materia, e pregio.
VII.
I ben divisi candidi gradini
D'aurei coperti son fregi lucenti. #
Febo, che su i Mortali il guardo^ inchini ,
Non irraggiasti mai tali portenti. g
Ben son del nero Averno i Cittadini
Grandi Architetti , Artefici eccellenti.
Ne' lunghi lati ancor de 1' ampie scale#
Splende l'oro intrecciato; e intanto ei sale
Vili.
E mira poscia con egual diletto
Spettacolo novello, inaspettato,
Leggiadra sala tutta d'oro schietto,
E il pavimento è d' or tutto formato.
D'oro son ie pareti , e d'oro è il tetto,
Di Sculti fatti vagamente ornato ;
Son pur d' oro le Statue , e son sì belle
Che par di Fidia sien, di Prasitclle.
IX.
E d'insigne Scultor Italo , o Greco,
Opra eran torse , che al Palagio alcuno
De' possenti Demon tratto avrà seco,
E n'avrà fatto faticar più d'uno^
Sia vero , o falso , a gloria non mi reco
Ciò discoprir , vi pensi pur ciascuno.
Io ben dirò cosa più strana assai ,
E da' Mortali non veduta mai.
SECONDO. 25
X.
Il pavimento, ed ambo i muri, eTl tetto
celti circondari grossi diamanti,
tfi sarà chi non crede a quel che ò detto.
Né fia che tutti io persuader mi vanti.
A la bella Verona stì rimpetto#
La Rocca di costei, Rocca d'incanti.
Il loco addito a chi veder desia
Lo stupendo poter de la Magia.
XI.
Con beil'ordin la Sala è sostenuta
Da colonne, che pur son d'alabastro.
Corintio è il capitello , e la voluta
S'aggira intorno qual pieghevol nastro.
Perchè non so laude prestar dovuta
A quella Sala splendida qual Astro?
Ma in altra stanza il pie Ja Maga move,
E mi sforra a portar le rime 'altrove .
XII.
Entra la Maga in altra stanza bella,
"Che di quattro è la prima j ivi conduca
Il Cavalier , cheseco lei favella -
t)e 1' immensa virtù , che in lei riluce.
In loco ascoso egli entra poi con ella,
Ove posar fino a la nuova luce
La Maga suol le affaticate membra ,
Ma che riposo brami or non mi sembra»
XIII.
Bensì d'esser goduta , e di godere ,
Poiché parmi ritrosa ella non sia .
Questo è sovente il femminil piacere ,
Né , ciò dicendo , penso dir bugia .
Ma l'amor di costei dessi temere,
Funesta cosa divenir potria .
Veduto abbiam come parecchi amanti
Ella in bruti cangiò con varj incanti .
B
z6 CANTO
XIV.
Or chi sarà, che de la stanza i begli
Adornamenti al guardo mio dichiari ',
Se non tu , Musa , dal cui labbro quegli
liventi udii , che son famosi , e chiari ?
Tu , che a cantar m' inviti , e sproni degli
Stupendi fatti, acciò che alcun gl'impari;
Se pur degno a ragion poss' i® tenermi
Che alcun mie rime ad ascoltar si fermi ♦
XV.
Son gli uscj di finissimo rubino j
Lemurason d'orientai Zaffiro;
Berillo rilucente , e cristallino
Copre del vago tetto il vasto giro.
Un aureo drappo asconde il bianco lino,
£u cui ella soddisfa il suo desiro.
E1 di verdi smeraldi il letto cinto',
lì suol copcrt#da flavo giacinto .
XVI.
In altra parte, ove la Maga vuole,
Vanne quel Cavaliere, ed entra in loca
Tutto di serpentino , ignoto al Sole ,
È che dal cono disromiglia poco .
Tre lucerne tenervi accese suole;
Estinguibil non è di quelle il foco.
L' internai turba ivi s'aduna, e grida
Ferocemente con orrende strida.,
XVII.
Poi che tutto mirato il Guerrier ebbe
Ciò che d'esser veduto era più degno ;
Inclita Donna, disse, non sarebbe
Tanto il mio ardir , se non avesse regno
Tanta in te cortesia , che T ardir crebbe
In me, che son di tuo favore indegno;
.Ma poiché ti vegg' io tanto cortese,
La brama dQÌ mio cor farò palese.
SECONDO» 27
XVIIL
Fra quelli, che da te nomarmi udii,
Che trasformati furo in questa Rocca ,
Un mio congiunto qui starsi sentii ,
Onde, il confesso, alta pietà mi tocca.
Deh ! se mie preci secondar desii ,
Se rea non è la mia richiesta , o sciocca ,
Fa ch'ei riabbia le^ perdute forme,
E che sozzo non sia porco deforme .
XIX.
So di chi parli , in lieto volto disse
A lui la Maga , e soddisfatto sei.
Non so se alcuno favellar l'udisse
Di que', eh' eran là dentro, Angeli rei .
So che fu posto in libertàde Ulisse,
Che avvilito cosi fu da colei ._
Era Ulisse il suo nome ; ei mille rese
Grazie al Congiunto, e da quel Monte scese •
XX.
Ed altrettanti fé ringraziamenti
Il Guerriero a la Maga; ella il condusse
U' sono il pranso ad apprestare intenti
Molti suoi servi, ch'ella stessa istrussc «,
Eran tutti costor cuochi eccellenti ;
Le prese Lepri in pezzi altri ridusse,
Altri infilza in ispiedo, uccisi in caccia,
Il Fagiano, ed il Tordo, e la Beccaccia.
XXI.
Un altro sventra un tenero Vitello,
Che mai non senti erba, non che amore;
Chi il Jesso cuoce , e chi l'arrosto, e quella
Un intingolo fa d'ottimo odore;
E pentole , e graticole di bello
Acciajo puro , mandano splendore ,
E rispondono al par tutti quegli altri
Arredi ia man de' Cucinieri scaltri .
B 1
& C A N T O
XXII.
A la Negromantessa le vivande
Recate sono in piatti di fin' auro;
Da quella turba numerosa , e grande
Sila è servita di quel Popol mauro.
Cotanto il Lusso i suoi tesori spande
Che mi potrei stimar degno di Lauro,
Se dir sapessi ciò che dir dovrei ,
Ciò, che quivi s'offerse a gli occhi miei.
XXIII.
D'altra stanza dirò, d'altri portenti,
Chf negliger non deggio, anzi non posso.
Cortvien che al guardo altrui nuove io presenti
Cose, onde fu il Guerrier sorpreso, e scosso.
Ma il mio timor che le maligne genti
M* accusili forse, vo* che sia rimosso,
Né tacer voglio che à due Guardie ognuna?
ibi quelle stanze, e queste due son una.
XXIV.
Qticsto parrà diffidi cosa, e strana,
Ma dichiararla s^ero in brevi accenti .
Sona costoro di figura umana ,
Coft unioni moki sorprendenti.
ISel busto la* la mole sovrumana
Due teste regge con quattr'occhi ardenti,
E* doppio 11 collo, doppia ancor la taccia,
E quattro son le gambe , i pie , le braccia.
xxv.f
Vieni, disse colei, vieni a vedere;
Mostrar ti voglio quanto può Magia,
B la promessa mi vedrai tenere ,
Tua stirpe dirti , il nome tuo qual sia .
Ma di quell'armi il magico potere
Pif noto, o Cavaiier , ti voglio pria.
Certo udrai Con piacer sì strane cose,
Che al Vulgo son da denso velo ascose.
SECONDO, zi
XXVI.
Quell* usbergo colà mira , che splende
Cosi che gli occhi di ciascuno abbaglia .
Sappi che quello invulnerati rende,
Né freccia, o brando lo penetralo taglia.
A quella spada , e a l'asta, che là pende.,
Nò , riparo non è piastra, né maglia;
Qual fiume gonfio, o ruinoso vento,
Gl'inimici distrugge a cento a cento,
XXVII.
Quella faretra di freccie ripiena
Che a l'armi presso, che nomaiu , s-tassi.,
S' anco d' armati la campagna è piena , ;
Fa che un Guerrier fra tutti illeso passi ;
E quando avvien che l'abbia su la^ schiena*
Da vista umana ci non visibil fassi 5
E vibrar puote con sicura mano \
Quelle freccie, che mai volano iti vaao.j
XXVIII.
Se del Nemico tuo brami la morte ,
Saratti il darla non diffidi cosa ,
Se quella veste con parole accorte ,
Serbando in cor tua nimistàde ascosa,
Farai che il copra ; sì tenace , e forte
E5 il velen de la veste insidiosa,
Che smania infonde ne le membra $ e svelle
A chi sciorsene tenta , anco la pelle ,
XXIX.
Quegli orecchini di duro adamante
Fanno cangiare ognuno in varie forme ,
Bualpiù gli piace , e sì bizzarre, e tante,
h'ei sia rivai di Proteo multiforme .
Util cosanon poco ad un amante,
Che seguir puote de l' amica l'orme,
S'ella è fida scoprendo, o meretrice,
JE .cangiando sembianze, esser felice.
B 3
3o CANTO
XXX.
Ben diversa da quelli è la vergketta,
Che tu vedesti allor quand' io divenni
Una bella , e galante giovinetta ,
E che in mia mano fino ad ora io tenni ;
Perchè in amabil volto, che diletta ,
L'aspetto, sotto a cui prima a te venni,
Cangiar ben puote, ma non a possanza
Di prestare a ciascuno ogni sembianza. «.
XXXI.
Forse tu di saper nutrì desio ,
Se alcun nemico insidie t' apparecchia > #
Entro a quest'acqua, che del sommo Dìo
Scopriratti il voler, mira, e ti specchia.
Fato, qual scritto è in Cielo, o buono, o rio.
Essa palesa^ per usanza vecchia ,
Fato, che in van Mortale evitar crede,
Ch' à ne V Idee de! Creator sua sede .
XXXÌI.
In questo forbitissimo metallo
Le scorse io veggio , e le future cose
Da noi lontane per lungo intervallo,
Né le presenti unqua mi sono ascose,
E certa son di non commetter fallo,
Tanta virtude il granPluton ripose,
Il possente Plutone, in questo Specchio!
A' miei detti, o Guerrier, porgi l'orecchio*
XXXIII.
Tutto dirò quello che dir promisi ,
La Patria , i casi tuoi , senza ritardo .
Musulmano tu sei, esser t'avvisi, ^
Come di nobil schiatta , assai gagliardo ;
E il sei, che da te Eserciti divisi
Fuggir mirasti con feroce guardo,
E giacque estinto dal tuo braccio, spesso
Al suo Cavallo il Cavaliere appressa ,
SECONDO, 31
XXXIV.
Angelica Visconti è lei, che adori,
E a trarla in tuo poter mai non giungesti.
Come un arido legno, e dentro, e fuori,
A le fiamme d'Amor tu t'accendesti.
Oh ! quanto puote ne gli umani cori
Amor! sol per seguirla allor ponesti^ t
Patria , Prence in obblio , diletti amici ,
Che a te render solean l' ore felici .
XXXV.
E spendi sempre inutilmente i giorni ,
E i mesi in ricercarla ove ti pensi,
Che rivolga suoi passi, o che soggiorni,
Senza che tue fatiche un ben compensi.
Ella ognor ti rinnova oltraggi, e scorni ,
Spregiando altera tuoi martirj immensi ,
(Che d' Amor quante volte le parlasti ,
Sempre dura , e crudel la ritrovasti #
XXXVI.
Otone è 'l nome tuo , celebre n§me
Fra* Musulman , cotanto in pregio avuto,
E da' Nemici, che ben sanno come
Trattar l'asta puoi tu, molto temuto.
Ma perderai, Signor, tutto il tuo nome,
Portando a quella amore non dovuto,
Per cui tu lasci le sublimi imprese,
E l'armi al Tempio di Cupido appese.
XXXVII.
Quante potresti^ amar leggiadre Donne,
Che non avriano il cor di diamante,
Senza lasciar tua gloria per le gonne ,
E sendo molto più felice amante!
Ella tacque, ciò detto, e sospironne;
Era invaghita di suo bel sembiante .
Di sé dire intendea, mentre diceva
Che d'altra fiamma ei sospirar doveva.
B 4
Sz CANTO
XXXVIII.
Sembra eh' egli dovesse arder per lei
Di pari fiamma, e por l'altra in obblioj
Che sovra tutte bella era costei ,
E ingrata quella, e alui nemica udìo .
Ma fatto era il bel viso, e gli occhi bei,
Dai Demon per incanto , e non da Dio ,
Onde in obblivione beltà vera
Por non volle per falsa , e passeggera .
XXXIX.
E le rispose : Inclita Donna , molto
Tanta possanza tua pregio, ed ammiro,
Ma non fia ver che ad altro oggetto volto
Sia P amor mio, né altro abbia desiro ;
E benché io conosca quanto è stolto,
Qwnnto è folle P amor ,# per cui sospiro x
Piagnendo sempre mia infelice sor:e,
Le catene amerò lino a la morte ,
XL,
Al seguace fedel di Maometto
Trista , e dolente ella rispose allora :
E ben , poiché s\ l'ami, ed io t'ò detto
Che felice farotti , avrai tu ora
In tuo poter de Pamor tuo P oggetto,
Che date desiato indarno fora.
Ei di giubilo allor tutto fu pieno,
E non potea nasconderlo nel seno t
XLI,
Pensa la Maga che P amore ardente
Sarà col soddisfarlo intiepidito.
Non al certo spuntar puossi altramente
L'acuto strai , che un ajma abbia ferito „
Spera che il Cavalier più che al presente.
Allora udrà del labbro suo l'invito.
Il desìo secondato, o tosto cessa,
O lan^ue almeno, ed al suo fin s'appressa
«ECOND 0, n
XLII.
Qual Madre , se tornato acuito Tede
Il caro figlio, che pcrdutoavea
Fanciullo ancor , di nuziali tede
Unico frutto, e morto lo piangea;
A sé medesma, a gli occhi suoi non crede ^
Che tal vista le par fallace idea;
Quand'esser Madre alfin si rassicura ^
Muta cade su lui, parla Natura .
XLHL
Così il Guerriero^ che la legge onora
Dì Maometto, attonito rimase .
ti non ispera aver colei, che adora,
Colei , che l'alma granfiammo., gì' invase.
Ch' ella in sue man giunger potesse allora^
Follìa credette, e non si persuase;
A lui 1' impresa si diffidi parve
Che non di/è fede a le Tartaree larve.
xu'v.
Ma del prodigio s'avvedrà -ben presto .
Un alato Demon tosto ne venne ;
Dir non saprei come agii tanto, e presto
Volte avesse cpstuHe lievi penne.
Senza ch'ella il chiamasse , egli fu lesto^
E per udir suoi cenni, il voi ritenne,
L'audace volo emulator de' Venti;
Fila sciolse la lingua a questi accendi ,
XLV.
Vanne, buon Servo, senza indugio in tracce
~D' Angelica Visconti , che in un vago
Prato il suo Orlando con attenta faccia
Mira , che per lei pugna appresso un Lago.,
1 feroce Guerrier freme , e minaccia,
Di sangue mai, né di vendetta pago.
In gran Campagna il praticel vedrai,
A Modena vicin lo troverai,
3 s
34 CANTO
XLVI.
Giunto per P aer puro al praticello)
Mentre pugnan color senza sospetto,
La Donna prenderai ; tosto con quello
Al Ciel tu poggerai, leggiadro aspetto.
Scenderai poscia qualveUce Augello ,
Entro a questo Palagio; io qui t'aspetto;
E la faretra mia, per cui veduto
Tu non sarai , potrà recarti aiuto .
XLVIL
Non altrimenti^ Quegli le rispose,
Che apprestandosi a ciò che fugli imposto,
E ne lo spazioso aer si pose,
E a Modena suo voi diresse tosto .
Ce la faretra ad occhio urnan s'ascose,
Cte su gli omeri pria s'aveva posto,
E più che lampo, e più che vento, ratto *
Sovra Modena giunse in un sol tratto.
XLVIII.
Indi molte girò Campagne, e molte >
Calando per trovar questa Donzella,
Poi di nuovo salia , tenendo volte
Altrove l'ali ove credea foss'ella;
E un pezzo intorno per pianure colte
In traccia ei venne d' Angelica bella .
Sempre cercata pur l'avesse in vano,
E gito fosse più da lei lontano !
XLIX.
Giunse in fine al bel prato, e visto il pui
Ruscello, e quella pugna, ed a' rivali
Donna vicinategli fu ben sicuro,
Che dessa eli' era, e sovra le ferme ali
Calò veloce, apportator di duro
Fato a la bella Donna , e di gran mali..
Me*ntre fuor^ d'ogni rischio ella si crede,
Già rapita si sente, e alcun non vede.
SECONDO. 35
L.
Come se Incauto Cervo erra in Foresta ,
Ove insidiator Lupo si cela,
E altero va di sua ramosa testa ,
Che a T occulto Nemico lo rivela ;
Di lui strazio quel Lupo a far s' appresta ,
E quando tempo gliene parasi svela.
Pria co l'acuto dente gli die morte,
Che Quel s'avvegga di sua dura sorte.
-L/X •
In un attimo fé PAugel cernuto'
Con quella preda a la Magion ritorno .
L' adorator di Maometto astuto
Quanta chiudessein cor gioja quel giorno ,
E qual, poi che in sua man s'ebbe veduto,
Rabbia fesse in Angelica soggiorno ,
Ciascuno il pensi; ma chi udir desia,
Ne l'altro Canto soddisfatto fia .
Uh
Prima deg^ io de' due rivali dire,
Che buona pezza aveano combattuto,
E l'uno l'altro sol potè ferire,
Ma non per mano d'un l'altro è caduto.
Brama alcun del Guerriero il nome udire,
Che a pugnar contro Orlando è qui venuto,
Quel prode Orlando, Capitan de' Franchi ,
A cui gloria, ed onor non fia che manchi .
LUI.
Egli Orfeo si nomava , e di Scozia era ,
Figlio del Re, giovin di primo pelo.
In sen chiudeva alma orgogliosa , e fiera,
E tutto ardeva di guerriero zelo.
Ei nutria speme che sua destra altera
Stender potesse a l'altrui gloria un velo,
Come il grand'Astro, allor che i rai diffonda
Il trcmol lume de le stelle asconde.
JB 6
$6 CANTO
LIV.
Costui ferito dal possente Amore ,
A' cui lacci son presi anco gii Eroi ,
Verso colei, chegli à rapito il core ,
Desioso volgeva i passi suoi.
Oh! se saputo avesse che il dolore
D'inutil fiamma ei soffrirebbe poi ,
Che mentre a lui serbato fora il fiele,
Altri gustcria intanto il dolce mele :
LV*.
Certo a pugnar non si saria condutto,
Ma l'Avvenir ad occhio «man s'asconde.
E' gagliardo costui , e sovra tutto
I più prodi co l'arte egli confonde.
Cedere a tempo il veggio , e corre il frutto
Quando Fortuna a' voti suoi^ risponde ;
Ora opporre lo scudo, ora innoltrarsi ,
Talor fingere i colpi , o lunghi , o scarsi .
LVI,
Quando l'industre Orfeo vide che in vano
Vincer tentava il valoroso Orlando,
Al Nemico fé cenno co la mano
Ch'egli si stesse, poi depose il brando.
Signore, il primo siete, che lontano
Da ogni mortai mandar non so pugnando ,
Valor pari non vidi ^ assai gran male
Deggio stimar che siate il mio rivale.
LVII.
Per© che a forza io son di voi nemico,
La Donna amando da voi pure amata ;
Ma giusto io sono, e il falso mai non dico }
Dee bravura cotanta esser lodata ,
Me al certo men che se mi foste amico %
E1 la vostra virtù da me pregiata .
Or bastante in pugnar tempo si spese,
Alquanto , prego, sospendia» le offese*
SECONDO, 37
Lvrii.
Ecco che II biondo Febo & Teti in seno
Vanne a celarsi , e ne rosseggia 1' onda .
Tosto che Aurora ai fior verserà in seno
Il -rugiadojs umor, che la circonda,
Noi pugneremo in questo loco amer;o
Al susurrar de l'agitata fronda .
JVIa quali amici or ci onoriamo, e amianti
Ed alcun segno d'amistà dpniamei .
LIX.
Di nostre risse Amor, cui tutto cede*
Solat è cagion, né la tua morte io brama,
.Sì disse , e una faretra in don gli diede
Kella okre^ a quanto Immaginar possiamo,
in basso rilievo vi si vede ,
Qual da' Poeti celebrarla udiamo,
Espressa in forme portentose, e nuove,,
La guerra messa da' Giganti a Giove.
LX.
Svelgono quelli intrepidi , robusti
Fino dalor salde radici i Monti ,
E quesu vau , quasi di pietra , onusti
T)e ie divelte rupi, agili , e pronti .
Qual vibrato pallone , a colpi giusti
Lanciano i massi , e fan che audace menti
L'empio lavor di man profane, e felle.,
£ovra le nubi a minacciar le Stelle,
LXI.
Questi veggio appuntar duri tronconi}
F, quelli al foco rassodar le punte,
.Spera.ndo^ aver la Regicrn de' tuoni ,
Quando i Numi a ferir fossero giunte.
Jsle l'altra parte son cantra i felloni
JJos sa -divina , umana, insiem congiunte;
Avvi Ercol prode, che l'iniqua frotta
fJrtaj fere , ed uccide 3 e mette in rotta.
}l CANTO
LXIL
Palla non fu dal gran cimento esclusa,
Ma scnlta è in atto di guidar la zuffa.
Oh! come fugge poi vinta, e confusa
L'audace truppa, e '1 pie nel sangue tuffa.
Il Dio del Tirso, che l'acqua ricusa,
Con gran valor co' perfidi s'azzuffa;
E l'altro Dio, cui sac™ e '1 Pin selvaggio,
Con sua tromba ior toglie ogni coraggio.
LXIII.
Aurato è '1 tutto, ed anco aurati strali
In sé rinchiude la gentil faretra ,
Che^ ornar potria d'Amor gli omeri, e l'ali ,
Anzi che apportar Morte orrida , e tetra.
Ecco un bicchier, che Ambrosia a gl'Immortali
Merta ne' campi ministrar de l'Etra;
D' un cristallo è '1 bicchier, sì puro, e terso
Che da l'aria non par punto diverso.
rLXIV.
Eper entro, e di fuor boschetti, e prati,
E vi siveggion case, e monticclli,é
Che pei lavori tutti a l'occhio grati
La maestria dimostran di chi fèlli,
Son nel cristallo stesso lavorati,
E la difficoltà li fa più belli ;
L'orlo ne adorna, e '1 pie , cerchio di fino*
Di color vivacissimo, rubino.
LXV.
Disse ad Orlando il generoso Orfeo ;
Anco questo bicchiero accetta in dono.
Dir non ti posso il nome di chi il feo,
Ben so che fatto fu, moit'anni sono;
£ v'è chi dice che nel Mondo reo
Portoli© Giove aduna amante in dono,
E il celeste bicchier fu da colei
Forse in dono lasciato a gli Avi miei .
SECONDO. i9
LXVI.
Tacque Orlando sorpreso in veder quanto
Era il Gnerrier cortese al par che ardito ;
E quando ei Telmo trassesi , altrettanto
Stupì del giovani 1 volto fiorito ,
E disse; In guerra tua scienza, e tanto
Valor, di che tu sei, Giovin ^ fornito ,
E l'alma liberal, che al par si prezza,
E la virtude in tanta giovinezza ;
Lxyn.
Ben fanno che a ragion mi meravigli ,
E, benché mio rivai , t'ami , ed onori . >
Sicn , fin che il braccio a forzaci! ferro pigli >
Stretti da mutuo affetto i nostri cori .
E perchè i doni d'Amistà son figli ,
Come di Marte figli son gli Allori,
Acciò tu veggia ch'io mentir non soglio ,
Darti pegni d'affetto, io pur ti voglio .
LXVIII.
Disse, e un pugnai bellissimo gli offerse >
Che a chiunque feria morte recava ;
Perchè più volte nel velen 1' immerse
De' Numi il Fabbro, mentre il lavorava.
La via nel ferro quel velen s'aperse,
Che nel metal rovente penetrava .
Esce il veleno , e mai non esce in vano ,
Se vibrato è il pugnai da forte mano.
LXIX.
E,' il manico di nero ebano , adorno
Di chiodi d'oro, e ne le parti estreme
Aureo cerchietto gli s'aggira intorno,
Gradito al guardo, e spaventoso insieme.
Pera quell'acciaro ad ogni acciar fa scorno,
Che in van Mortai d'opra divina a speme;
E scudi sempre, elmi, ed usberghi passa,
Tentata impresa inutil mai non lassa.
4P CANTO SECONDO.
LXX,
pir non saprei se di metallo fosse,
Od* altro , il foder., poiché il copre tutto
Di feroce Leon pelle , che mosse
A Orlando guerra , e fu da lui distrutto \
Anco rete sotti! , che parea fosse
De' sudori d' un Nume illustre frutto .,
Diede Orlando ad Orfeo; quella parea,
Che Marte inviluppò con Citerea.
LXXL
Volser toste gli amanti, i c.upid' occhi
Verso colei, cui fido .amor giuraro \
E par x:he ad ambi il cor dal petto sboccili
Quando non veggo.n più l'aspetto caro .
Qual Cervo corre, nel cui ventre scocchi
Dardo , seco traendo il colpo amaro ,
Corrono i duo Guerricr, cercano insieme
Ctflei j che sola è lor conforto 5 e speme .
J.XXII.
Così Leon , che a Leonessa presso
Giace, s'altro Leon avvien ch'ei veggia
Dal Monte scender,, che il desire stesso
Mostra ruggendo , e '1 bosco intorno ecchegg'ia;
Torbido il guata, e del furor l'eccesso
In quel guardo feroce arde , e lampeggia ;
Se poi quella s'invola, entrambe il piede
Portano altrove a ricercar le prede.
LXXIII.
Van gì* infelici in questa parte, e in quella^
E in van sidolgpn de l'avverso Fato.
Ahi ! Sorte iniqua, la gentil Donzella ,
Sclaman, per cui vivea,tu m'ài furato.
E il caro nome d'Angelica bella
Van ripetendo in questo, ed in quel lato ^
Quando una voce , che li fé stupire ,
Come poscia dirò , lor parve udire .
Fine del Carne Seconde.
4*
LA MORTE
D' ORLANDO.
CANIO TERZO,
*Hft»
ARGOMENTO.
Orlando , e Orfeo , attoniti , * dolenti ,
Indarno van do la Denteila in traccia ,,
Zi* tragge il Moftro per le vU ds Venti ,
Poscia la firinge Olon fra le fue braccia .
E* pofta in ceppi , e vani fa lamenti ,
La rivai coppia il rio Cafìel minaccia .
JLa Maga invia contr* e(f un folto Jìuolo ,
Che tutto è {pento , e non riman che un fph ,.
Et
mpio Demon,del tuo Fatror nemico,
Quante apparecchi a P Uom crude sciagure*
Del menzognero Amor perfido amico !
Spesso miste al Piacer fiere avventure ,
Come serpi tra i fiori in prato aprico x
A gii amanti prepari, aspre sventure.
Ah! di me prima favellar dovrei ,
£he in duro laccio posi i piedi miei ,
4*4 CANTO
IL
Questa, ch'io narrerò, vicenda, basti
Sola a mostrar che son d'Amor le strade
Colme di spine, e pochi fior rimasti
Vi son, che il rioDemon li coglie, e invade.
Oh! qual tu sia, che Amor mai non provasti,
Felice te, se femminil Beltàde
Mai con guardo, or pietoso, ed ora altero,
Del tuo gelido cor ebbe l'impero!
III.
Spargeva a Paure le querele sue
Angelica , e sua voce àn conosciuto^
Ambo i Guerrier, che volsersi ambiduc
Là, onde il grido parea fosse venuto.
Quell'infelice apparve a tutti e due,
Per l'aer tratta; e come darle ajuto >
Ma vista, oh ! rio destin, l'ebbero a pena,
E seco il rapitor lungi la mena.
IV.
Prima alquanto su l'ali il Mostro errendo
Che impazziti godea veder gli amanti ,
Librato stette, e li guatò ridendo,
Se pur d'Averno ridon gli abitanti.
Indi scosse le penne, al Cìel salendo;
Sparge Angelica in van sospiri , e pianti ,'
Rapita ella si sente , e non sa come ;
Si batte il petto, e stracciasi le chiome.
V.
Esser fatta si duol Femmina imbeile,
Costretta a tollerar si fatto eccesso;
E maledicon le nemiche stelle
Gli amanti , che privar veggionsi adesso
De la Regina de le Donne beile,
Che tanto illustra, e onora il vago sesso ;
Ma quel che acerbo più rende 1' affanno,
E' che nulla veder 3 comprender sanuo.
T E R Z O. 43
VI.
Orfeo dicea ; Qualmai opra di Dio,
O pur d'Inferno, mirabile è questa?
Ella portata va, ma non vid'io
Chi la portasse , e fesse gir sì presta .
Ora che a vista umana ella fuggi©,
Che più fare, o tentar, ne Jice, o resta?
Seguirla nò, che non sappiamo dove,
Ed in van porteremmo i passi altrove.
VII.
Qui rimanerci? Amore ah! noi permette.
Sì, fuggiam questo loco, Orlando disse,
Funesto loco, che furor mi mette;
A morte andìam,se il Cie^ per nói la scrisse.
Ti seguo , disse Orfeo ^ chi avria predette
Inutili così le nostre risse ?
E l'uno, e l'altro eran confusi tanto
Che lasciaro ai Destrier gli scudi a canto.
Vili.
E a piedi van , come duo cani# ratti
Allor che inseguon Lepre fuggitiva,
E ciechi son dal presto correr fatti ,
Sì che periglio il pie non fugge, o schiva.
Così gli Amanti furibondi ,•- e matti
Cercano in Terra lei , che in Ciel fuggiva.
Del Musulman favellar deggio adesso,
Come pria mi sovvien d'aver promesso.
IX.
Poi che Angelica bella, inutii pianto
Spargendo a l'aure da' vezzosi lumi,^
Pianto, che avria di man con dolce incanto
Svelto il folgor tremendo al Re de' Numi;
Poi che a voi ( non è augello agile tanto )
Passò ville, Città, ruscelli , e fiumi,
Entro al magico alfin Castello giugne ,
Di quel Mostro infermi fra l'ale, e l'ugne
44 CANTO
X.
Incèrto Oton V attende, e impaziente,
Che averla in suo poter brama il perverso.
Quando venir la vede, immantinente
Si scagHa al collo suo candido, e terso;
Stretta 1* abbraccia, né pietà pur sente
Del suo dolor, del suo destino avverso.
Sordo a' gemiti suoi, l'empio trasporta
La vaga Donna , che già sembra morta .
XI.
In una stanza la trasporta, dove
Non ardisce d' entrar mia Musa casta ,.
E pensa di portar le rime altrove ,
Che quant'ella ne disse, a lei già basta;
Dall'Istoria però non le rimove,
Che parte da parlarne l'è rimasta.
Lasciar^ colui , che per io gran contento
Avea chiuse le labbra ad ogni accento •
XII.
Erano già le Tenebre fuggite,
Amiche dei misfatto, e l'alma luce
Àvea tutte le cose colorite,
.La luce , che il piacer quaggiù conduce -..
Solo a la bella Donna d' infinite
Doglie , e querele essa fu guida, e duce;
Angelica converte i rai splendenti
In due di pianto perenni sorgenti .
XIII.
Chi Je calde accennar dal nero ciglio.
Su le gote potria lagrime sparse ?
Gote, ove rosa insiem fìoria col Giglio;
Chi le volte contar eh' ella stracciarse
Osò le chiome , e fé de l'ugna artiglio,,
Onde al turgido seno oltraggio farse ?
Come non v' arrestaste , o Soie , o Venti ,
Per udirne i dolcissimi lamenti ?
TERZO. 45
XIV,
tassai Dìcea, chi mi rapì? Qua! forza
Qua mi trasse d'Averne? Ove son io ?
Ah! se il Ciel non m'aita, e mi rinforza..
Oltraggiato esser deve ilpudor mio.
A saziar questo crudel mi sforza
Il lascivo , che 1* arde , empio desio ;
Eccomi óra in sue man, qual concubina;,
Ecco che a' suoi piaceri ei mi destina .
XV,
A' suol piaceri ? Ah ! non fia ver, morrommi
Anzi che 1* onor mio altra macchia abbia ;
Solo di questa pur sempre dorrommi ,
Sempre in pensarvi avronne angoscia , e rabbia .
Oh '.morissi io pur qui! Più non vedrommi
Pregiata sì che il prisco onor riabbia,
Sfregio m' apporterà , s'io resto in vita ,
Fossi Vergine ancor, Tesser rapita.
XVI.
Oh ! se qui mi vedessi , o caro Orlando ^
Orlando mio , che per me forse or pugni ,
Quel ciglio K che rivolgi sospirando
Ài mio sembiante , e mai da me disgiugni
Quand' io son teco , nel tuo cor serbando
Quel puro affetto , a cui Virtù congiugni,
Or che il fregio miglior tolto vedresti ,
Quanto da me sdegnoso il ritrarresti !
XVII.
Voi, che d'intorno v'aggirate, o Venti,
E l'umano parlar sempre accogliete,
Deh ! fra voi replicate i miei lamenti ,
Voi , che i! mio pianto, il mio dolor sapete.
Ma ta cagionai tanti miei tormenti
Cauti ad ogni mortai sempre rncete ;
Quegli accenti pietosi a me rivolti
L'orecchio mio, non altro orecchio, ascolti-
4* CANTO
XVIII.
O caro Padre i o dolce Madre , o cari
Tetti degli Avi, dunque vi lasciai
Per gire incontro a infamia , a pianti amari ?
Certo dal mi© partire altro aspettai,
Che gli uomin non volea fossermi avari
Di laude, la qual sola io desiai ,
E per la qual sublimi andai cercando
Imprese , dove esercitar mio brando .
XIX.
Ecco la gloria mia , d' ogni vittoria
Ecco qual colgo memorando frutto.
Per questo iniquo ne l'altrui memoria,
Misera! il pregio perderommi tutto.
Non il mio nome adornerà la Storia,
Ma coperto sarà d' infamia , e lutto ;
Il nemico Destino a me non lascia
Che il funesto poter d'esser bagascia.
XX.
O miei Congiunti, o mioGerman , che nella
Crudel vicenda ora il Pensier ricorda,
Né per parente più , né per Sorella
Temami, al pregar mio vostr'alma sorda;
Mi spregiercste più che abbietta ancella,
Se di tal macchia a voi m'offrissi lorda.
Ah! sol tra Fiere io star ne le Foreste
Deggio , se pur merto abitar fra queste.
XXI.
Deh ! sotto al pie del perfido , che abborro,
Si spalanchi il tuo sen , profonda Terra.
Alto Fattore eterno, a te ricorro;
Dunque tua destra ancora il fulmin serra?
In tanta infamia or dunque , ahi ! lassa , incorro ?
Idee tremende al mio Pensier fan guerra ;
Nel bujo orror, che mi circonda, e preme,
Non s'offre un raggio di propizia speme.
TERZO. 47
XXII. ;
Ei d'avermi in sue mani esulta, e vanne ,
Senza debita pena, altero, e baldo,
E cagion poi di risa altrui faranne ,
Vanterassi che sazio è il desir caldo.
Il nome mio , come di Putta, andranne
Di bocca in bocca allor per quel ribaldo.
Ah ! non fia ver ; onte soffrir non soglio,
Con queste mani trucidarlo voglio .
XXIII.
Tal la Donna bellissima lamento
Fa nel palagio, e il pianto a' detti è misto.
Chi pari al suo non sentirla tormento ,
Se piagner tal Beltàde avesse visto ?
Alma di ghiaccio, che su l'Alpi il vento
Nel Verno indura burrascoso , e tristo ,
Sola potria . ... Ma nò , che sciorre il gelo
Può quel ciglio, emulando il Dio di Deio.
XXIV.
Ah! maledetto sia^ quel l'uomo sempre,
Ch' è del pianto cagion di Donna bella ,
E i cui desk non vinca , o non rattenipre
Solo il pensìer che spiacer ponno a quella»
Non d' uomo sono alme di tali tempre,
Ma de la Fiera più spietata, e fella,
Se si crudo animai fu al mondo messo,
Che oltraggi un suo simil di vario sesso •
XXV.
La Maga intanto , che pel Musulmani»
Arde d' amor, che non le lascia pace,
Avea tentato con parole in vano
D' indurlo ad eseguir quel che a lei place»
Ad amarla , e non gir da lei lontano ;
Ma troppo a lui quella proposta spiace ,
F, risponde che Angelica sol ama,
E eh' altra Donna mai bramò, ne brama»
4S
CANTO
XXVI.
Mille volte colei svelògli il core,
Mille promesse fé , preghi , e minacele ;
Ma poiché vide ancor pari l'amore,
E di* ci seguìa d'Angelica le traccre,
In non più inteso mai montò, furore,
E il diede in guardia a quelle brutte faccie*
Poi dispettosa a lui le spalle volse ,
E bestemmiando , altrove il pie rivolse.
XXVII.
Non di tanto furor freme, e si cruccia
Qrsa, che vota ritrovò la tana ,
Siecom' ella s'adira , e si corruccia ,
Arsa, e compresa da una fiamma vana.
Come? dicea, son io vii femminuccia
Kata a gl'insulti de la Plebe^ insana >
O, qual di prezzolata meretrice,
Di me fare a costui rifiuto lice?
XXVIII.
Tanto soffrir da quell'audace io deggio ?
Né mi rammento or più di mia possanza ?
Carco di ferri per lo men suo peggio,
Far noi posso languir senza speranza? #
E usar h forza , poiché ben m' avveggio
Ch'ogni promessa è vana, ogni doglianza ,
E '1 mio desir tosto che tratto io m' abbia i
Preda infelice farlo di mia rabbia ?
XXIX.
Ah^ troppo t'amo, Otone , a' danni tuoi
Io non penso per ora ; i più dementi
Or s' usin mezzi , i più severi poi .
Sì disse, e come brsgia erano ardenti
D'amor, d'invido sdegno i lumi suoi ;
Sfogo cercando agli aspri suoi tormenti ,
Ad Angelica poi venne di volo,
Che ancor bagnava col suo pianto il suolo.
T E R Z O. 4,
XXX.
Empia , disse , per te crucciomi , e peno ,
Pel volto tuo pallido al par di morto. #
Gran beltà in ver ! Certo che a mille il se«®
Infiammato abbi tu , credenza io porto .
Oh ! di pugne d' Eroi ben degna appieno ,
E di fare ad ogn' uomo il viver corto .
Empia ! ma ben tu ne sarai punita , #
Per gran tormenti io ti riserbo in vita.
XXXI.
Tu , del Vulgo vilissimo rifiuto ,
Tu di tanto martor mi sei cagione?
Tanto osasti di far? Tanto ài potuto ?
E a* avrai , qual^ tu merti , guiderdone.
Io stessa con mie mani avrei voluto
Strapparti il core , e don farne ad Otone »
Quel cor già palpitante, o Donna casta;
Ma questa pena a' torti miei non basta .
XXXII.
Meco verrai da ferrei ceppi stretta >
Ove per tuo supplizio vo' menarti.
A tali accenti, illustre Giovinetta,
Che tuo valor unqua non sai scordarti ,
La cui grand* alma non divenne inetta,
Che sventura giammai vii non può farti >
Non temi, nò, ma di virtùde figlio
Arse furor nel tuo leggiadro ciglio.
XXXIII.
Con torvo sguardo intrepida dicesti.
Vii de l'empio Demon serva, e ministra *
Cosi mi parli? E pensi tu che questi
Detti io paventi, o ventura sinistra?
Che implorassi pietà forse credesti?
Esca a lo sdegno mio tuo dir ministra.
Angelica conosci ; ancor mi pende
L'acciaro al fianco, « nutvo sangue attende 4
50 CANTO
XXXIV.
Mi credi forse imbelle Donna umile,
Non atta il ferro a maneggiar, ch'io porto;
Meco ardisci parlar con uno stile ,
Che, se perir dovessi, io non sopporto.
Non isperar con tradimento vile,
Che al mio pudor fé tanto oltraggio , e torte
Anco avvilir la destra mia guerriera,
Ministra a I' ire di quest'alma altera .
xxxy.
Non rispondo avtuoi scherni, e non li cure
Ma risponderti ponno i colpi miei . •
Ferma, Angelica, il loco è mal sicuro,
Se il ferro osi snudar, incauta sei.
Ve* come stanno qual falange, o muro,
Affollati su te gli Angeli rei.
Quell'empia Magi, che di foco è tutta ,
Vuol che in ceppi le sii dietro condutta.
XXXVI.
Fermate , o crudi , deh ! come potete
Strigner la bella mano, opra d'Amore?
Mirate, il sangue, cui la via chiudete,
Tutta la tinse, ohimè J del suo colore.
Ah! se di lei pietà voi non avete,
Come mai vi produsse il gran Fattore?
Come aver puote sì torbide l'acque,
Da pura vena quel ruscel, che nacque?
W XXXVII.
Ah! rimirate quel leggiadro viso,
Che mirar non si può senza pietide,
Che secso in Terra par dal Paradiso;
E il bianco sen , che spunterìa le spade ;
E gli occhi neri, in; cui lagrime, e riso
Ben si sanno ad ogn'aima aprir le strade',
E il nobii cor , che può, quando sospira,
Marce feroce impietosir ne V ira .
TERZO. 51
XXXVIII.
Ma si lasci il pregar, se in vati sì prega .
aìunge a la Maga un de'custodHnnanzì ,
;hicdendo favellar , s' ella noi niega .
li duo Guerrieri aver veduto dianzi
.acconta a quella maladctta Strega ,
he a molti chieser, se passar poc'anzi
vesser vista , come Vener , bella ,
;r l'aure a volo, una gentil Donzella»
XXXIX.
A cui dicea che fu dato in risposta
he Donzella passar mai non fu vista,
!a che, se fu rapita, or sia deposta
eme da ler di trarla a sorte trista;
le molti , e molti portare a sua posta
;rta Vecchiaccia strega orrida in vista »
nel Palagio suo tutto d' acciaro ,
ide mai non uscir quelli, ch'entrar©:
XL.
E che perciò comun credenza ferma
che a la sede sien quelli mandati
chi non riede a questa vita inferma ;
ie vinti sempre sono, e trucidati
lor, che la Montagna alpestre, ed erma 5
'gon , di liberargli lusingati ,
e s' innalza quel sublime , adorno
stcl , d'acciajo tutto cinto intorno.
XLI.
recava il Demon che que' Guerrieri
ibi risposer: Non temiam periglio;
preso aveano baldanzosi , alteri ,
r io Monte il cammin con franco ciglio»
tti la Maga aljor gli altri pensieri
ito ad annunzio tal caccia in esiglio,
udendo per desio d'alta vendetta ,
itro 1 Gucrrier manda suoi Serri in fretta;
C 1
f* CANTO
XLIL
Pensando gii che fatti in un sol punto
Gli avmno in pczri pria che alcun di Tore
Fosse innanzi venuto , e al Castel giunto 'f
Ben facil crede il superar costoro.
Vuol che sia quindi il Fopol suo congiunto
Perchè là dove Palme anno martoro,
Dee scender poi con general corteggio ,
Del fero Pluto a l'avvampante seggio-,
' XLIII.
"Kè far lo può , se a la difesa starsi
Alcun dee di sua Reggia incontro i duo,.
Né vuol , per aspettarli, ivi restarsi
Finché ti Palagio arrivino ambiduo.
Dietro disegna Angelica menarsi ,
Vittima farla de io sdegno suo .
A Fiuto», come a Giudice , la guida,
£ lascia ehe sua pena egli decida-
XLIV.
di$scx?tf de'duo di generoso, e prode,
Soggiunse il vigil Nunzio, à l'apparenza,
Ambi pari dolor, sdegno li rode,
Né d'altezza é fra lor gran differenza.
Tutto efuesto la bella Angelica ode ,
'fc crede, e giusta è ben la sua credenza ,
Che sieno Orlando , e Orfeo ; smania la pren
Quaftcto il Demon , che l'armi accenna, intenc
XLV.
Colui dicea i Lucida pelle copre
L'elmode V uno, e 51 iiscio usbergo , e bianc
Che d'illustre^ pennello adornan l'opre;
tftì £$ta ei stringe , à una faretra al fianco*.
Pinti guaina ii curvo acciar ricopre ,
M% ffon fia il traccio in debellarlo stanco ,
Poiché il vidi marciar con mia sorpresa
mi smà® privai, e mal pui far difesa- ,-
T E R 2 O- fi
XLVI.
L'altro à di ferro V armatura, adorna
li figure di basso rilievo.
Dicea Ja Donna : Ah ! che in me più non torp*
"alma, o piacer*, palpitar sempre io davo,
Mtro che affanno in me. più non àcggiorn^
sol d'affanno mi nutro, e pianto bevo.
;he mai sperar, qual posso lusinghiero
\ tanti indizi aver dolce pensiero?
XLVIL
Amato Orlando, ah! che tu^in breve --t&ck?
Giacerai fra la polve, a' Corvi pasto,
E nel vederti ognor da me diviso, v
Kon fia conforto alcuno a me rimasto .♦
S'è pietosa mia destra a! caro viso
Ihiuderà i lumi in segno d' amor casto^
Niè il labbro mio potrà dal labbro amafd
li fuggente raccorre estremo fiato .
Duolsi instai juisa Angelica piagnendo
E per doppia cagion piagne, e si duole,/
Urlando, e Orfeo si stanno combattendo
Hon alma forte, che temer non suole.;
E dando colpi, e colpi ribattendo;
Gredo a mirarli si fermasse il Sole. #
Sanno intrepidi opporsi a ben due mille.
Né di lor sangue mai spargon due stille.
£LIX.
L' un presso a l'altro ben vicini stannp
Ferocemente co la lancia in resta ;
Loro incontro i Nemici invfilc vanno,
Altri, cornuto, tien bassa la testa,
Altri co l'ugne, altri prepara danno
Col rostro, altri a ferire i denti appresta»
Son dal Palagio in ilieci file usciti,
In dugentp per fila ripartiti.
£•*
54 e A N T o
L.
Mentre a sfidar le turbe maladette
Corre, di Morte in traccia, il forte Orlando
Un di que' Mostri innanzi se gli mette»
Orribil vista ! 1' ugne sfoderando .
Il gran Guerrier la lancia gì5 intromette
Nel ventre . e '1 tergo passa , e il trae pugnandc
Tutto infilzato in questa lancia stessa,
Che infilza ancor chi dopo lui s'appressa.
LI,
D'estinte salme allor che tutta è ingombra;
Venti passi lontano, o più, la slancia,
La spada afferra, e il pian la spada ingombri
Ben pia che fatto non avea la lancia.
L'impedito sentier si schiude , e sgombra ,
A chi il petto tagliando, a chi la pancia,,
Ambe innalza le bracc;a , e-'l foro cade
Precipitoso,,, e raìile s'apre stratta.
Mìscr ch'i l'urto, e la possanza sente-
Di quella spada, che il gagliardo mena !
Tanto è il^ furor di sua sdegnata mente
Che quegli estinti egli discerne a pena.
Ne gli omeri un ferì l'arma possente ,
Passò nel petto, e arteria infranse, e vena*
Indi, pel fianco a riuscir ne venne ,
Né l'armatura punto la ritenne.
LUI.
Chi dir potrà di quel funesto ferro
L'opre sublimi , e gli apportati danni?
Non io, che col Pensier mal veggio, e afferrc
I busti tronchi , ed i recisi vanni .
Oh 'in qual m'aggiro, mi confondo, ed erro
Labirinto d'orror, d'urli, d'affanni!
Volan braccia qua, e là, teste, e man monche,
E il «angue scorre da le membra tronche*
T E £ Z O. 55
LIV.
L'industre Orfeo de Y empie turbe latanro
Men cheOrlando, non fea scempio, e macello.
Ei, poscia ch'ebbe combattuto alquanto.
Destro consiglio prese, utile, e bello.
Diessi ratto a fuggir , veloce tanto
Quant'ei fuggia » seguialo ostil drappello .
Dugento , o pochi men, fosser cred'iot
Che d'ucciderlo avean speme, e desio..
LV.
Ma nel fuggir, cangiando# sempre strada ,
Gioco il Guerriero de' Nemici fassi.
Si divide la truppa , e si dirada ,
Incerta sempre ov'ei diriga i passi.
Par Pipistrello , che per l'aer vada ,
O veloce balen , che strisci, e passi;
Cotanto agile il pie con mente scaltra
Rivolge Orfeo ver 1' una parte* e V &Ufój*
LVL
QlKmcfo tempo g,l[ parvi , io e» tatefl
A qire?> evi prinn il kz$Vh 3i ptóiJ r* ••
Marte sarebbe furioso t$taft>*
E Giove, aìlor che irato ai fui min sciolse
L'ali tremende, e de le nubi il seno
Squarciò tuonando, e l'aure, e il Mar sconvolse*
Mai con tanto furor punì la Terra,
Con quanto Orfeo ricominciò la guerra.
LV».
Restaro que'Dcmon tutti storditi
Sì chetar più non san schermo , e difesa >
Come in pollajo stan polli smarriti ,
Che appressarsi la Volpe abbiano intesa.
Quanti atterrati furo , indi feriti
Da ferrea punta entro a la gola scesa!
Quanti cercan fuggir , e nel fuggire
Senza riparo deggiono morire!
C 4
16 C A N T 'O
LVIII.
Ma un di color più baldanzoso, e fratfco,
Che Tali aveva, gli si fece contro .
Ferirlo tenta Orfeo nel# braccio manco,
Ma non regge sua lancia al duro incontro ;
Sì spezza , e 'l ventre discoperta , e '1 fianco
Resta ad Orfeo dopo l'orrendo Scontro.
L'empio afferrollo , se lo strinse al petto ,
E per Paure il portò quel maladetto.
LIX.
L\ugne aveva costui di Tigre, e Pardo,
E disegnava al suo Castello presso
Portar quel miser Cavalier gagliardo,
E dopo averlo tutto in brani messo ,
Spettacol farne de la Maga al guardo,
E tanti estinti vendicar con esso.
Per angol dritto ei s'innalzò dal piano.;
^Occhio mortai vederlo tenta in vano.
LX.
In mezzo a l'acqua il destro Orfeo trovossi »
3E s'avvide che quella era una nube.
Su l'empio rapitor tosto lanciossi,
E il brando gli cacciò dal petto al pube.
Chi vide in Campo al gran cimento mossi
Guerrieri ardenti da squillanti tube,
Pari, o maggior, immagini lo sdegno,
Che accese Orfeo nel trucidar P indegno.
LXI.
Fu sua ventura che afferrar le braccia
A colui , mal accorto , non sovvenne .
Gli altri Demonj con attenta faccia
Miraro il sangue , che per P aer venne .
Alcun non è , che a tal vista si taccia,
Che sangue esser d'Orfeo quel sangue, tenne,
Ed urli innalza di contento quella
Al celeste Fattor turba rUbélla „
T E R Z O.. ##
LXIL .'
Vider -poscia cader da 'l'alto il Mostro ,
Né discerner potean la sua figura ; ,
Credean perciò ch'ei fosse HGuerrier nostra,
E di farsegli appressa ognun procura.
Su cadaver così cacciando il rostro,
Suol di Corvi piombar la turba oscura;*,
O tal di -Mosche l'importuna truppa
JPutrid' esca .circonda , ed inviluppa .
LXIII.
Ma poi che steso se lo vider presso,
E alfin conobber quell'inganno loro,
Rimase ognun da sdegno, e duolo oppresse,.
Ed attoniti fur tutti costoro.
Così , se avvien che incognito recesso
Più l' ascoso non chiuda aureo , tesoro ,
Muto rimansi , con aperto labbro
L'avaro, che sudar fé in. vano il Fabbro.
XXIV.
Dietro al Demon scendea frattanto -Or feyy ,
Simile ad uom, che d'alta scala scenda i
Sì bel bello cadere Iddio lo fèo ,
Ed a corpo diritto, opra stupenda?
Iddio , che sempre vuol punito il reo ,
Acciò che il giusto, e 'l.'iwon più non gite rida.
In mezzo ci scese a gl'inimici sciocchi,
Che sovra lui fisi teneano gli occhi.
XXV.
E a menar -cominciò ben ben je mani ,
Ma quei , sdegnati di veder lor speme
Così delusa, e i loro sforzi vani ,
Si scagliar tutti a lui d'intorno assieme,
Trucidarlo sperando, e farlo in brani;
La densa folla Orfeo circonda, e preme;
Se men perito in arme era, ed esperto ,
'are il .Sol jhù non udrebbe al certo,
C 5
5* CANTO
LXVI.
Prodigio fa, fu quel valor, che inspira ,.
Ne 1* alme elette il Reggitore eterno.
Propizio a lui nel gran cimento spira
Possente soffio, animator, superno;
Soffio, che inutil fé de gli empj Pira ,
Sì eh* ei farne potè strano governo,
Soffio, che Grazia è detto, e l'Uomo assorto
In vasto Mar, talor sospinge al Porto-,
LXVII.
In questo Mar cruda, fatai procella
M'assalse un dl,anè giunsi^ a pormi insalvo>
Che ad uno scoglio urtò mia Navicella ,
In cui da l'onde io mi credea già salvo.
Ruppe la Nave, e me la Sorte fella
Del burrascoso Mar gittò ne 1' alvo .
Eù la procella, o Nicc, il tuo bel viso,
Fu la scoglio un tuo sguardo, un tuo sorrisa,
LXVIII.
Or poiché ricovrare io più non spero
La dolce , e cara iibertàde antica ,
Fa parermi raen grave, e meno austero
Il laccio , ove mi tien Sorte nemica ;
Un sorriso concedi, un lusinghiero
Sguardo, se non d'amante, almen d* amica.
Son questi i fili pur , fili segreti ,
Che mi strinser prigioa ne le tue reti ì
LXIX.
Ma d' Orlando si parli , che n'è tempo ,
E si lasci il mio cor ne la sua pena.
Orfeo , come già dissi , in breve tempo
D'estinti fé quella Campagna piena.
Tutti gli uccise; vista in alcun tempo
Non fu da alcun si varia , e strana scena ;
Sparse giacean de l'infernali torme
Le moltiplici al suol bizzarre ferine .
TERZO. .59
LXX.
E dopo questa genera^ sconfitta »
Ove pugnava Orlando , i passi drizza
Il vincitore, a la cui destra invitta
Fortuna arride, e ira lui l'ardore attizza.
Da lungi mira avverso stuol , che gitta '
A terra Orlando , e '1 pie tosto ei dirizza
Ove da tanti oppresso Orlando cade
Fra il balenar di minacciami spade.
LXXI.
Tanto non corse mai per la Foresta
Cervo , fuggendo l'anelante Cane.
Vola , e Orlando salvar speme gli resta >
Né vuole il Cielo sue speranze vane .
Il suo furor ne gli occhi ei manifesta ,
Che a quelle genti ancor da Itn lontane
Mandan la Morte co gli ardenti sguardi ,
Morte, che poco fia che a giunger tardi ;
LXXII.
Era già per piombar sui capo illustre
Un fiero colpo, anzi dugento insieme ,
Quando la voce del Guerriero industre
Ode l'iniquo stuol, che Orlando preme.
Fermate, empj , tai man non fia che illustre.
Tal sangue mai : conduca a l'ore estreme,
O me la vostra , o voi la destra mia ;
E il vincere , e il morir gloria mi fia.
LXXIII.
Cosi dicca; ciascun, che orribif voce
Mandava a l'aure, udendo Orfeo } si tace*
E come sasso, che partì veloce
Dà la rotante fionda, e a terra giace,
Quella tremenda pria Schiera feroce
Immota rende il prode Orfeo sagace,
Orfeo ripien de la celeste aita,
Che ad Orlando cosi serbò la vita.
e 6
éo C A N T O
LXXIV.
In pochi istanti Orfeo giunse vicino
Al prode Orlando , e cominciò la pugna.;
Chi dal destro l'assai, chi dal mancino
Lato , ma non vai dente , o corno , od ugna .
Come caccia l'Aurora in sul mattino
L'Ombre notturne , Orfeo cosi, che impugna
La scintillante sua vittrice spada,
Tutti li scaccia, e s'apre alfin la strada,
LXXV.
Orlando allor, benché morir credesse,
Gli empj mirava con feroce guardo,
E ben cred'io che Morte ei non temesse;;
A temer non s'abbassa un cor gagliardo.
Fatto così da sue ferite stesse
Feroce più, freme il Leone, e il Pardo.
Or che propizio tanto ii'Ciel gli arride,
In piedi ei salta, e di costor si ride.
■LXXVI.
Ma la cagion , per cui fu allor 1' invitto
Eroe gittato al suol, tacer non deggio,
Ei , che ne' rischj ognor d'aspro conflitto
Mostrò quanta possanza abbia in lui seggio.
Colui, che V atterrò , fé il gran tragitto
D'Averno ai Regni ,we già sua salma io veggio.
Ben dopo tanta impresa esser dovea
Scesa lieta a Pluton quell'alma rea.
LXXVII.
Costui fra tutti era maggior d'altezza-,
Marciava armato di due corna orrende;
Strana di quelle corna^ è la lunghezza.
Ma ben dir non saprei quanto s'estende.
Superava costui tutti in fierezza ,
Sempre avvezzo ad oprar cose stupende;
Far di «è risonar era sua brama,
Ne gli Abissi del Tartaro, la* Fama..
T E R Z O. si
Lxxvm.
'Questi s'oppose al prode Ortendo, e in fretta
Al petto su© drizzò feroce il corno;
Orlando gli va incontro, e non l'aspetta,
Sebben molti nemici avesse intorno.
Chi estinto cade , e chi a fuggir s'aifretta,
Più temendo il morir che il proprio scorno .
Quand'ei iù presso, il Mostro ad altra parte
Drizzò le corna. con prestezza, ed arte.
LXXIX.
E dove il petto minacciava prima,
Ora nel fianco mira 5 e ne le braccia ,
E di forar co l'appuntata cima
Di quelle corna il tergo , o il sen , minaccia,
Ed altre parti, ch'io non dico in rima,
Che chi ben dir non sì, meglio è si taccia,;
Va volteggiando, e Orlando tien rivolto
À quell'iniquo traditore il volto.
LXXX.
"Dopo lungo pugnar di questa foggia
[1 forte Orlando un corno alfin gli afferra ,
Dal suol l'innalza j il Mostro a l'aer poggia ,
E torna poi precipitando, a terra.
'Balza cosi su popolata loggia
Fra il Vulgo spettator di lieta guerra,
Il Cane assalitor dal Tauro spinto,
-Ma il Tauro in vece or dalGucrricr fu vinto.
LXXXI.
II Demon dir vogl'io, che per ajuto
"Di Pluto forse, danno alcun non ebbe.
Pien di rabbia a pugnar torna il cornuto.,
Veloce' tanto Augel non- volerebbe.
^Orlando morto già Pavea creduto,
'Ma quando il credea meo, vicin se l'ebbe.
Mancava un palmo che colui dal manco
>n lo ferkse.fin al- dcstro.iance .
fe CANTO
LXXXIL
Ma se ne avvide , e si ritrasse alquanto r
L'empio, che del suo sangue avea gran sete>
Con sue perfide insidie oprò cotanto
Che quasi l'onda il trasse a ber di Lete,
Vo' dire a Morte, il cui funereo manto
D' obblio ricopre, e tristi cose, e liete ;
Obblio fatai , che Palme allor circonda,
E di Lete fu detto esser ne P onda .
LXXXIII.
Menzogna questa fu , strana follìa
De le Favole antiche de' Pagani ,
Fra cui di falso il Ver si rivestia ,
Cosa gradita a gl'intelletti umani,
Cadde Orlando così come cadrìa
Un robusto Cignal cinto da Cani.
Gli empj., che tutti numerar non posso,
Quando il veggion cader, gli sono addosso*.
LXXXIV.
E il cingon tutti con orrende grida ,
Ma in un baleno ei si levò di terra.
Non ferocia minore in cor gli annida ,
Ed eccol pronto a rinnovar la guerra.
Di quello stuoi , che a la battaglia ei sfida ,
Il numeroso^ circolo disserra;
li sorgere, U cader, fra cento, e cento
La strada aprirsi , e uscir, fu un sol momento»
LXXXV.
L'empio raggiugrie , equandomen sei- crede,
Ei P afferra nel petto, e il getta al suolo;
Con la sinistra mano, e '1 destro piede
Fermo il tien sì che un pie non muove solo.
Già il destro braccio, il ferro alzò, ma il vede
L' attento osservator nemico stuolo ,
E vola ad arrestar quel colpo, e arriva
Mentre lo Spirto reo quasi fuggiva .
T E R Z. G. 6$
LXXXVI.
Orlando allor da tance man nemiche
Con un sol croi lo sciolse il braccio forte»
Ma per l'aita de le truppe amiche
Sorge il malvagio , e spera a lui dar morte.
Cotesta palma a tante palme antiche
Aggiunger vuol , di che il fregiò la Sorte ;
Trenta passi , e più forse , addietro torna ,
indi s'avanza, e basse tien le corna.
LXXXVII.
Non tanto presti , non tanto feroci
Fra lor soglion cozzar Montoni , e Tori .
Colui s'i-nnoltra con orrende voci,
E risuonano l'aure a' suoi clamori.
Non teme Orlando quelle grida atroci ;
Fan le grida tremar gì' imbelli cori '>
Alza a due mani il ferro , e stretto il tiene »
Bieco mirando il traditor, che viene .
LXXXVIII.
Mentr'ci s' appressa , con orrendo botto
Piombò quel ferro, e gli spezzò la testa,
Ma nel punto medesmo il corno à rotto
Il duro usbergo , e a terra Orlando resta •
Cosi talora a l'Elefante sotto
Il Liocorno muor ne la Foresta .
Il Mostro esser credea tanto veloce
Da poter isiuggir quel colpo atroce.
LXXXIX.
Rotto l'usbergo f li , ma il ventre illeso ,
Cadde Orlando a quell'urto, Orfeo v'accorse.
Ma ben son io da meraviglia preso
Dì nuova zuffa , che lor fare occorse .
Tutto dichiarerò quel che n'ò inteso,
E il tutto, o poco men, ne dirò forse.
Io vo' parlar di prodigiosa guerra,
In cui l*un pugna in Ciclo, e l'altro in terra .
*4 C A N T O
xc.
Nuova battaglia , e se non nuova , rara.,
* "Onde stupir dee chi la veda , o senta .
S' alzan dal suolo quattro Mostri a gara ,
Co Tali stese, lunghe palmi trenta.
Come sul campo il buon cukor quand'ara,.
Per cammin dritto il bue di guidar tenta-,
"D'altra messe bramosi , in compagnia
Solca n quei 1' aure per diritta via .
XCI.
E Saigon sì che umano occhio sfuggirò ,
Io dir non posso quanto sien saliti ;
Ma poco andò che i duo Guerrieri udirò
Spaventosi urli , e ne furo storditi ; t
E volto il guardo ove il romor sentirò,
Vider ch'eran da quelli ambo assaliti,
Da que' feroci Spiriti infernali,
Che librati cosi scendean su l'ali.
XCIL
In due-e due s'erano divisi,
E brama avean di trucidarli, e speme .
^Gii occhi i Guerrier su gli empj aveano fisi*,
Che l' uno , e V altro esser sorpreso^ teme ;
E come al Ciel tenean rivolti^ i visi ,
Così le punte de Je spade insieme.
Calano quelli , sfoderando 1' ugna ,
v.Che possente, qual ferro, è ne la pugna..
xeni.
E de' Guerrier sul capo in larghi giri
Volantina i duo Guerrier non prende sonneu
'Essi rnandandi rabbia airi sospiri,
Perchè afferrar le vaste ali non ponno •
Così sembra Mastin si crucci , e adiri,
Che tenta in van farsi di Mosca donno;
Così talora il. Cacciatore esperto
Freme >< d' AugeL mirando i 1 volo incerto .
T E X X O, <*5
XCIV.
Credono averli già sotto la spada y
E menan colpo fier da farli in pezzi ,
Ma non accade mai che a colpir vada
Que' Mostri il ferro, o i vanni tagli, o spezzi
Passa qual fulmin , che dal Cielo cada ,
Ciascun di quelli, e par que' colpi sprezzi,
Que' colpi, che di riso a lui son causa ,
Né mai frappon ne P assalirli pausa .
xcv.
Ma dopo ai-fin cotanti, sforzi vani
Il prode Orlando impavido recise
D'un Mostro un ala , e con grand'urli, e strani
Cadde il ribaldo, e '] v itici tor 1* uccise.
Ei vide poscia Orfeo star fra le mani
D'un, che dal suol tre palmi lo divise.
t>a la faretra acura freccia tratta ,
Sovra il flessiti! arco egli i' adatta .
XCVI.
E mira con attenti occhi, qual uomo ,
Che a scopo tiri , e bene il colpo aggiusti.,
In man tenendo de la spada il pomo;
Colpi non v'ànno più di quello giusti.
Ferì nel core appunto, e a l'empio domo
Da tal ferita , i membri pria robusti
Mancar di lena ; Orfeo dal crudo artiglio
Scampò cadendo, e dal fatai periglio.
XCVII.
Ma per deluder l'inimico, a terra,
Là dov'era caduto, ei si rimase,
Ei, che accortezza spesso utile in guerra
Esser più che valor, si persuase.
Di Bellona un seguace unqua non erra ,
Se uno stolto furor mai non l' invase ,
Se accoppiando a valor destrezza , ed arte,
Da prudenza , e ragion non si diparte .
66 CANTO
XCVIII.
Or egli in terra si rimase dunque ,
Onde far mostra che per tal caduta ,
O gamba, o braccio rotto abbia, quantunque»
ÌNè salute, ne forza avea perduta.
£ in ver ferito il crederla chiunque
Ignaro fosse di sua mente astuta .
De' quattro il terzo allora agii calava ,
Che morto j o a morte presso il giudicava .
XCIX.
Lo scaltro Orfeo , quando vicino il vede y
Gli afferra un ala , e tosto in pie si rizza ,
L'ala recide, al suolo il caccia , un piede
Gli pon su^ ventre , e il ferro al seri dirizza.
Ma del periglio il quarto allor s' avvede
Compagno alato, e scende pien di stizza j
Sua preda Orfeo fu di lasciar costretto ,
Mentre a volo accorrea quei maiadetto.
C.
Mj hsn poco pugnar dovrà con questo .
Girava intorno al capo suo quell'empio j
Pensava intanto Orfeo come nel presto
Volo coglierlo possa, e farne scémpio.
Queir insidiator veloce, e lesto,
ì)ar volea d'accortezza illustre esempio.
Ma vano era il desìo , che ovunque ei fosse »
Col ferro ©gnor seguiva Orfeo sue mosse;
CI.
Orfeo, chealfin, quando opportun gli parve y
In mezzo al# ventre gli slanciò la spada ;
Ma fantasmi quel ferro , e spettri , e larve A
Cosa stupenda ! par che a ferir vada ,
Poiché il nemico in altro loco apparve %
In un attimo ai voi mutando strada .
Sì conficcò nel suol l'acuto acciaro,
E vuote ai CaYalkr le man resta.ro =,
TERZO. 61
CU.
Che mai far puote fra nemici tanti ;
Senza difesa aver , lo scaltro Orfeo >
Altri dietro Passale , altri davanti,
Gran colpi vibra quello stuolo reo.
Felice lui , che sempre in tutti i canti
Suo fino usbergo resistenza feo !
Ei cole braccia dividea la frotta,
Di cui gran parte avea la lancia rotta.
CHI.
L'armi tutte spezzava il duro usbèrgo ►
Largo intanto il sentier velocemente
Orfeo s'aprìa, molti lasciando al tergo,
E giunse ov' era il brando suo lucente,
Poi disse al Mostro : Entro al tuo sangue il tirgo}
A quel Mostro medesimo ivi presente.
Che dì vederlo ancor vivo , ed illeso
Fra tanti, e inerme , si mostre sorpreso.
Trucidarlo costui volea , ma il gjrese
Orfeo pel ventre, e ben lo tenne stretto.
L'altro Demon, che libero si rese,
Ch'egli atterrato avea, siccome ò detto,
S'apparecchia frattanto a nuove Imprese,
Ma Orlando accorre , e gli trafigge il petto*
Tutti cosi que'volator compagni ;
Sceser di Pluto a' tenebrosi stagni »
CV.
Farsi ad Orlando incontro, e morte acerba
Aver dal forte braccio , era lo stesso .
Di molto sangue egli fé rossa l'erba
Pria di stender quell'empio a gli altri appresso.
Memoria Orfeo de la sua spada serba ,
E riaverla già s' era promesso ;
Ma in van la scorse , in van quasi afferrolla %
Che lo rispinse la nemica folla .
6% CANTO
CVL
Rapilla un Mostro, e dal Guerriero acconto
Ben sei tiri di pietra allontanossi*
Disse altero insultando: Non a torto
Per questo brando tuo éa. te pugnassi :
Te lo rendMo; quanti© sarai tu morto ,
Dirai eh' io per te fei quanto far puossi.
Disse, e lanciollo con robusta mano
Lungi cosi che noi può braccio umano 'é
CVIL
Colpì ne la corazza , e a forar quella
Giunse la punta, che veloce venne*
Poco mancava che pelle , e budella
Forasse, ma sì entro non pervenne*
Salvato Orfeo da la crude! procella ,
In porto allor col ferro suo si tenne i
Contro il vile aggressor ei tosto move.*
£ vorria trucidarlo in grembo a Giove -
CVIIL
Grida: Or sì , traditor, ti pentirai
Di quel cortese don, che tu mi festi .
Perchè mille tornar evolte non sai
Da gli Abissi del Tartaro funesti ?
Io n'avrei ben di che allegrarmi assai,
Che mille volte per mia man cadresti ;
Sebben pena non v'à, pensata, o detta 3
Che basti a far tutta la mia vendetta .
CIX.
Sfavasi iì folle ad aspettar quel fiero
Nemico, e l'insultava ve sen' ridea ;
Ferir lo vuol , ma caccia il gran -Guerriero
Suo brando vincitor ne P alma rea .
Orlando ancor da forte Cavaliero
Stupende Imprese, e memorande fea;
E Puno, e l'altro, in questa, e in quella pa^te^
Nuovi sempre .miete* L^un idi Marte »
TERZO. 69
CX.
Cantor,che di Calliope a' sommi onori
Primo aspirasti con Argiva tromba,
Se osasti tu fra' marziali ardori
A' Numi stessi minacciar la tomba ;
Biasmo non fia per me , se 1' erbe , e i fiori
Di sangue innaffia stuol, ch'estinto piomba»
Stuolo internai , ma fra mortali spoglie,
Che servia de la Maga a l' empie voglie.
CXI.
Que' pochi , che restar , -diérsi a fuggire ,
Ma in van fuggian , che i-I vincitor sempre anno
Al tergo , e tutti deggiono morire;
Potè un solo sottrarsi al eomu» danno.
Questi avea 1' ali , e noi poter ferire
fcssi, che al par di lui volar non sanno.
Ma d'Amor scena offrire or deggio a&rocs,
Quando riabbia la già rauca voce *
Witti dtl Cam» Ttti0¥
70
LA MORTE
D* ORLANDO.
CANTO QUARTO,
ARGOMENTO.
Vlìjfe , alter che dal [offerto f corno
Otone il traffe^, e libertà gli refe ,
Al Cairo , Patria fua , fece ritorno *
E con fioja il Stiltan fu» nome inteff .
Fefie , / gioire (i fero , ed in quel giorno
Fé di Turena il "Duca illujìri Imprefe .
Ma Vliffe (ahi ! rea vicenda , afpra , inudita \)
JPuafi a P amante fua tolfe la vita .
T L
JLo credo che non siavi affetto umano
Dannoso sì come il tiranno Amore,
Né che a vicende, in cui l' ingegno è vano,
Guidi, come Amor guida un amatore.
Pur da speme fallace il Vulgo insano
Vinto, e sedotto, gli dà in preda il core.
Benché Amor celi in poco ben gran male,
Suo dominio è possente , e universale .
CANTO QUARTO. 71
IL
Amo*, cred'io, nel fatai pomo chiuso
Si stava un tempo nel terrestre Eliso,
E allor che a tanti mali il varco# schiuso
Fu dal pomo fatai , colto, e diviso ,#
In un sol punto uscir, yenner quaggiuso,
Lungi cacciando la Letizia, il Riso,
E Morte, e Stenti , e Fame, e Peste , e Guerra;
E Amor con essi dominò la Terra .
III.
Forse a conforto de le Donne posto,
Poiché la Donna pel voler supremo
A maschil giogo il collo sottoposto
Tener dovea , ma con ardire estremo
Vietollo Amor, che tal poter ben tosto
Perder ci fé , né più Io riavremo;
E la Donna di noi fatta Regina ,
A servir ci condanna, e ci destina.
IV.
Reginaal pari una gentil Donzella
Era d'Ulisse , che a dure soggiacque
Strane avventure acerbe , e sol per ella ,
Le quai per ben cantar convienmi a V acque
Bever Castalie, e d'estro una faceta
Agitar pria, se spenta in me non giacque. .
Di questo Ulisse altrove già parlai,
E in quel Palagio magico" il trovai.
V.
Nel gran Palagio de la Maga , in cui
] gli languiva in dura prigionia,
Di Porco in forma; or libertade a lui
Concessa venne , ed uom tornò quai pria .
Piacque a la Maga il Turco Oton ; costui,
Che d'Ulisse cugin credo che sia ,
Tal grazia ottenne: Ulisse il pie disciolto
Al Cairo, Patria sua, tosto à rivolto.
n C A N r o
VL
E benché lungo fosse quel viaggi* »
Che da l'Adige ir dee fino a 1* Egitto y
E gli facesse Amor creder più saggio
Altro diffidi rnen sceglier tragitto;
Il patrio affetto gì5 inspirò coraggio,
E co' venti lo spinse a far conflitto .
Prima a l'antica andò Madre d'Eroi,
Città , cui reca il Mar gli omaggi suoi .
VII.
L'Adriatico Mar, che in scn le scorre,
Che, quasi in ceppi, in lei rinchiuso osservo*
Che, mentre minacciosa altrove corre,
Le bacia i pie ', come a Tiranno il Servo ;
E la difende più che muro, o torre,
Dal forte braccio d'aggresser protervo;
E col propizio flutto i curvi Legni
Spinge a tuonar su' vorticosi Regni.
Vili.
Su questi lidi popolati , adorni ,
Poco Ulisse rimase; egli imbarcossi
In Nave, che salpar dovea in quc'giorni»
E quindi ne 1' Egeo Mare portossi ; #
Venne poi d'Alessandria ne' contorni
Per l'altro Mare, che a ragion nomossi
Mediterraneo , in cui Nocchiero esperta
Teme le varie Terre, il vento incerto .
IX.
Quand'ei fu giunto al patrio suol , la Fama
Feri l'orecchio del Sultan , che allora
Colà si stara; assai quel Prence l'ama,
E il suo valor , la sua vinùde onora .
Saputa avendo sua venuta, ei brama
Vederlo, e ne sospira il tempo, e l'ora;
E per far di piacer solenne mostra.
Vuol che s'appresti una pomposa giostra.
QUARTO. 73
X.
Fu la giostra apprestata , e molti in quella
)a vicine Città giunser , Guerrieri ,
i fèria ancor più numerosa, e bella,
}uei , che là risedean, ricchi Stranieri,
:he sapeai* trattar l'Asta , e starsi in sella ,
clorosi , ed esperti Cavalieri ;
Eugenio di wSavoja , e di Turrena
i Duca, e quel di Guisa, e quel di Mena ;
Ali
E di Lorena quel , non meno in arme ,
Dhe gli altri tutti, poderoso, e chiaro,
vlusa gentil , in sì diffidi carme
^on sia tuo braccio di soccorso avaro .
Tu sorregger mi puoi , tu puoi guidarmi
\ dolce frutio d'uno studio amaro .
3olce mi fi a > se avvien che tanto io salga
^he a tutte a dir sì belle Imprese io valga .
XII.
Giunge il dì, che prefìsso era a la giostra.
Tutta è già la Cittàde a gioja , a festa ,
È quinci e quindi ne V agon si mostra
jeneroso Destrier di breve testa ,
su cui vien Cavalier, ch'esser dimostra
Gagliardo, e prode, e 'ICorsier mai s'arresta,
Dì denso Vulgo irrequieto stuolo
Tutto ricopre, e si contrasta il suolo.
XIII.
L'aer di plausi, e liete voci suona,
~he ne la Region van de le Stelle;
"hi> danze intreccia, e chi festosi intuona
nni, le palme a celebrar novelle.
Tocchi, cui splendor V oro, e lustro dona,
Chiudon piovani amanti, e Donne beile,
E a piedi ancor mille Donzelle , e mille
Amorose nei cor mandan faville.
D
.74 C A N T O
XIV.
Vut odi quel lieto dì questi i diletti
Pria che il Prence giugnesse , e '1 Prence vcan
Con pompa tal che né di labbro i detti
Esprimer san , né le migliori penne .
Innanzi a lui sovra Destrieri eletti,
Pi veloci Forier stuolo pervenne >
Il cui vestito ricco, e rilucente
^fupor iettò ne l'affollata gente.
XV.
Ppscia i primi venian di quella Corte,
Ciascun fregiato di pomposa veste ,
p'oro, e di perle, poiché lor la Sorte
fDiè le conchiglie , ove s'ascondon queste
Il fren^ mordcan , bramando gir più forte,
I Corridor, che drappo d'or riveste,
Prappo, al cui lembo le pendenti perle
JMerayigiia, e piacer fanno in vederle.
XVI.
Il gran Sultano apparve in soglio d* oro ,
f)a*più fini abbellito, e rari intagli,
Che su tavola posa, al cui lavoro
Nessun altro lavor ria che s'agguagli.
^è su Papa s'innalza in Concistoro^
JVIai baldacchin , che tanto gli occhi abbagli
.Siccome quel , che tutto ardea di gemme
Ctiunte colà da l'Indiche maremme:
XVII.
"E sotto a quello, e a l'aureo soglio intorni
Terso' vetro s'aggira , ove ad alcuno
Chiuso il varco non è <le' rai del giorno,
JVTa il gran Sultano ascondesi a ciascuno.
Serico vel d'aurei trappunti adorno
fi sembiante regal cela ad ognuno ;
Oh? stolto, e folle Orientai costume,
Per cui Despota reo si crede un Nume,1
U A -il T (K 75
XVIII.
t>ue lunghe file di Soldati starino <
Uato a quelli , che de l'aureo seggio
on portatori, e i Cortigiani fanno
ti Trono augusto , splendido corteggio «
Cavalieri ad apprestarsi vanno
i l'alte Imprese, che narrare ordeggio;
l densa intanto, come turgid'onda, ',
'olla volgar l' Anfiteatro innonda .
XIX.
Quattro son le gran porte a' quattro iati
)i quel grande vastissimo recinto,
Hiattro i grand' archi son , de' più pregiati
/[armi , e l'imposte d'assai ben dipinto
,egno , in cui molti veggionsi intagliati
suerricr, che in giostre, od ijrijattaglie àn vinto**
l vi -si veggion prati, e viste amene 3
)ual su fallaci Teatrali scene.
XX.
Girano intorno intorno ampj gradini
"regi a ti al pari , e vagamente pinti .
vi Stranieri assisi , e cittadini
ennsi a bclP agio , a iieti^ plausi accinti e
adorna sorge di lavor divini
.oggia nel mezzo; i vincitori, i vinti
*1irar dee quindi il Prence, ivi innalzate
In Trono sta superbamente ornato .
XXI.
Un Trono augusto , ove profuse sono
.ucide gemme *li color diversi ,
'ivi colori , che sul ricco Trono
n bell'ordine stan misti, e dispersi.
'olà di trombe, e di timballi al suono
l superbo^ Sultan venne a sedersi;
l i Cavalier, che brama ardente, e speme
iutrian di palme, entraro in Campo insieme t
D i
1* C A N T O
XXII.
L'armatura d'acciajo aveva Ulisse,
E per cimiern^Giove avea i'.'Augeilo.
Contro uh Guerner , che in molte illustri ris
Molta fama acquistò, venne a duella.
Ciascun tenea l'avide luci fisse
Sovra questo Campion gagliardo, e snello,
D'alta persona, e portamento altero ,
Che rapace su l'elmo avea Sparviero.
XXIII.
Questi era un cortigian del gran Signore
Cortigian, ma valente , e in fresca etàde .
Ei non conobbe mai che sia timore ,
E mischiarsi oseria fra mille spade .
Caccia gli sproni per desio d' onore
Nel Corsier, che divorasi le strade;
Minaccia Ulisse co la lancia in resta,
Ulisse il colpo a riparar s' appresta .
XXIV.
Ribatte quello , ed un tosto ne vibra,
-Cui questi oppon suo ben temprato scudo \
Molto volteggia poscia, e in una fibra
Porta al destrier d'Ulisse un colpo crudo.
Più non regge il Destrier, tanto lo sfibra
L'aspra ferita ! e non di gloria ignudo,
( Perchè impavido ognor ìli ne la guerra ) :
Or salma è fatto a la premuta terra.
XXV.
E a terra insieme Ulisse cade a un tratt
Ma nel medesmo istante in piedi ei balza :
Contro ai Nemico, che d'averlo_ fatto
Prigionier già credeva, il ferro innalza.
Ben fu la pugna alio* diversa affatto,
A piedi è Tun, l'altro a cavallo incalza '>
Ma la spada d' Ulisse nlhn si ruppe,
•E mi ^rido si levo Ira quelle truppe.
QUARTO. 77
XXVI.
Non perdette perciò l'usato ardire
Il prode Ulisse, ma spiccando un salto
Sul nemico destrier , volle , o morire,
D trarsi alfin dal disuguale assalto.
I Cavaiier fé da la sella uscire,
E del suolo il cacciò sul verde smalto ;
Cotanto fu quell'improvviso crollo,
Che dar gli fé pigliandolo pel collo!
XXVII.
Sbalordito a quell'urto il Giovin cadde ,
E cadde Ulisse sbilanciato , insieme;
Simil cosi ventura ad ambi accadde,
Sé P un, né 1' altro il palafreno or preme.
Via ben con miglior sorte allor ricadde
Ulisse , che al Guerrier non lasciò speme,
\ quel Guerrier, che dal nemico stesso,
Che sovra lui piombò, videsi oppresso.
XXVIII.
Parea che fosse, il brando rotto, inerme
Rimaso Ulisse, ma tenendol fermo
Con mano al petto : O tu , disse, doverme
vincer credevi, me privo di schermo;
Ma t'ingannasti, e non degg'io^ dolerme
Del brando , e dt\ destrier, che or giace infermo .
Son vendicato , e mi compensa appieno
Lo stile acuto, che t'immergo in seno.
XXIX.
Disse, e tratto un pugnale , in cor gliel pose *
Quello spirto volò sciolto da salma,
Da la salma terrena, in cui s'ascose
Per pochi lustri queir impavid' alma.
Come a pena sbocciate alcune rose
Svelle di Ninfa , o di Pastor la palma ,
Ov' altre invecch'an su l'intatto stelo,
Così dispon di nostra vita il Cielo .
D 3
78, C A N: T 0
XXX.
Nel vasto Campo apparve poscia altero-
Altro, che di Gigante avea sembianza,
Alto sciamando: E qual fra voi Guerriero
Tanto coraggio -avrà , tanta baldanza,
Che venir meco osi a duello fiero ?.
Qua! braccio è tal, che tanta abbia costanza
Non intendo sfidar chi morir teme ,
Pugnar meco, e- morir , ne vanno insieme.
XXXI.
Detto, si tacque, e con superbo ciglio
Fermossi a riguardar in ogni parte.
In campo azzurro era dipinto un. giglio
Su 1' ampio scudo; ei ra&sembrava a Mart<
Insurse tosto un fremito, un bisbiglio
Fra que% che di pugnar conosco» Parte,
E aon ponno soffrir che tanto insulto
A si- prodi Querrier rimanga inulte.
XXXII.
Pare a ciascun non vendicar, sé stesso,,
Se non l'uccide di sua propria mano ;
Vansi que' prodi 1' uno, a l'altro appresso.,
Ognun primo sfidar vuol quelP insano .
Sfavillano, gli acciar , da 1* ira oppresso
Sta il Turco impaziente, e '1# Cristiano .
Intanto l'empio alteramente insulta,
Beffeggia, e rip'e , e pel contento esulta»
XXXIII.
O Guerrier , ripetea , d' alto coraggio , .
Viltà coprite di furor col velo;
Ben differite con^ avviso saggio
Pugna, che a voi scaglia di Morteli telo «
L'indugio a tutti noireca vantaggio ,
A me, il cui nome si solleva al Ciclo,
A voi, che salvi da funesta sorte
Siete casi d'avere ,.q scorno , e morte =>,
Q U ART Ov %f
XXXIV. <
Risposta furo- ai non soffribil dettr
Girati brandi , e risananti scudi ,
È torvi sguardi, che infiammati petti
jMostravan d' ira , e non di valor nudi ;
'ira, e valor , onde i tremendi effetti
Par che F audace di provar si studi.
\ A parlar prese Ulisse ,■ ognun tacea ,,
Desioso d' udir ciò ch'ei dicea.
XXXV.
A tanto ardir , magnanimi Sigrrori,
Di giusto sdegno ardete, ed io pur n'ardo;
Vili chiama il ribaldo i nostri cori ,
Insopportabil torto ad noni gagliardo.1
In Campo, e senza inutili clamori
Dessi veder chi più sarà codardo .
Veggio che di pugnar desia ciascuno T
Ma n*n può cantra un sol pugnar più d'uno v
XXXVI.
Onde , acciò che di voi nessun si dolga
Che il^ bramato contento a lui si furi
Non giustamente, e a mal ciò non si tolga t,
E non abbian principio odj futuri;.
La Sorte sola il dubbio nostro sciolga ».
Ma pria ciascun di rispettarla giuri.
I nonni insieme chiudami in un elmo ,.
Chi da la Sorte eletto ria , vedrelmo.
XXXVII.
E perche nulla oprar suddito- debbe
Senza l'alto voler óqì suo Sovrano,
Questo consiglio mio, se non v' increbbe,
Conto facciamo a chi lo scettro à in mano ;
Poiché il Prence talun forse potrebbe
Sceglier di noi per trucidar P insano .
Tale è 1' avviso mio, voi lo seguite,
©, s'altro pur ve n' à migliore , il ci ite.-
D 4,
So CANTO
XXXVIII.
Non altra ebbe risposta al parlar suo
Che il plauso universal di que' valenti >
E disser tutti : Quest'avviso tuo
Tu palesa al Sultano in pochi accenti .
Veder ben presto di cotesti duo
Braman Ja pugna i nostri cori ardenti .
Vola Ulisse al Sovrano, e in questi sensi
Comincia a favellar , come conviensi .
XXXIX.
O gran Signor del Sole , e de la Luna ,.
O Re de* Re, d'ogni mortai maggiore,
Una grazia ti chieggio , e tema alcuna
Al tuo cospetto or non mi preme il core.
In me lo stuol de'Cavalier s'aduna
Al tuo Soglio, implorando un sol favore . -
Rivalità di gloria, che e' invita
Gli allori a disputar, ti fia gradita .
XL.
Udisti l'empio come tutti insulta ,
E baldanzoso vassene, e superbo,
E perchè vede ancor l'offesa inulta,
Guerrier ci chiama senza possa, e nerbo»
D'alta vendetta in ogni petto è sculta
Fervida brama, e di certame acerbo;
Ma chi debba pugnar , siam tutti incerti »
E per troppo furor restiamo inerti .
XLI.
Tu non vedesti stoppia , o carta , o pece *
O secco legno arder cotanto mai .
TI tumulto chetare a me non lecci
E se il chetassi tu, faresti assai;
Onde , se tu secondi or la mia prece ,
ferig'lio, e danno universal torrai .
Odi come ognun grida, i brandi mira*
Odi gli scudi interpreti de l'ira-
QUARTO. Si
XLII.
Tutti contro ad un sol certo non dcnno
Certame far, che ognun di far desia,
È se pugnasse alcun senz'altrui cenno.
Da qualche invida man la morte avria,
E a me pur Tira toglierebbe il senno,
Nemica avrebbe anco la spada mia ,
Che non minor rabbia, e furor mi prende,
JVIi« cor non meno a la vendetta intende .
XLIII.
Ben tu vedi, o Signor, eh' é giusta cosa
Che tal vendetta universa-l si faccia;
Un più lungo indugiar d'obbrobriosa
Ci macchierebbe non delebil taccia,
Che allor, siccome quell'audace or osa ,
Oderebbe ciascun schernirci in faccia.
Vano fora accennar con altri detti
Di sì turpe ritardo i tristi effetti.
i XLIV.
Or poiché tutti nò , né dee pugnare
Uno a talento suo, né puote inulto
Restar l'oltraggio, a si funeste gare
Dia fin la Sorte, e vendichiam l'insulto»
Così sol puossi , a mio parer, sedare ,
Senza alcuno avvilir , questo tumulto .
E qual concessa fia nostra richiesta
Dal più saggio dei Re, se non lo è questa?
XLV.
Tacque, sì detto, l'Orator facondo,
E in lieto volto il Prence a lui rispose.
Generoso Gucrrier , sempre giocondo
Fummi il poterti far gradite cose.
Ma qualunque esponesse uomo del Mondo
Sìmii richiesta, qual da te s'espose,
Rifiutar non potrei l'assenso mio;
Ode ancor giusta prece il giusto Iddio.
D ;
U. Ct A N T Q
XLVL
Agl'Ente sommo in Terra io m'assomigì?<;*
Poiché il Mortai, che il Fato eterno elegge
Go la forza a regnar, e col consiglio,
Sempre, dal Ciel ricever dee h legge .
Tacque il Sultano, e intanto , qua! Naviglio 5
Che ne' flutti s'aggira , e non si regge,
Ondeggiai! l'alme de' Guerrier , che speme 3
E impaziente sdegno agita, e preme*
XLV'II.
Corse Ulisse veloce,, e ad essi giunse^
Bramato apportator di tal novella.
JNè mai si vide uom , che Cupide punse »
.Seguir cosi la timida Donzella ;
Né affamato Leon mai sovi aggiunse
Rapido sì la Cerva, o ver l' Agnella .
Correa sì ratto , e in sì mirabil forma s .
Che quasi Impressa non lasciava l'orma,.
XLVIII.
Tosto l'elmetto ei levasi di testa,
E scritti sono su pallette i nomi .
Ciascuno tutti vendicar protesta,
E tutti stringori de le spade i pomi .
Ulisse ,, acciò, che perdesìo di questa <#
Pugna non tema alcun ch'egli sé nomi»
Ad un fanciullo non ancor bilustre.
La cura affida de la scelta illustre «.
XLIX.
Ma pria, qualunque. n'uscirà , sì giura,
Pel gran.Macone di non fare un zitto ;
Pel gran. Macone, a la cui sepoltura
Cotante Genti far soglion tragitto ;
Di cpi la felicissima impostura
Die celeste suggello a^uel suo scritto,
Scritto, che turpe antico ozio distrusse 3
E Gente, imbelle a trionfar condisse...
Q UÀ R T O;. %J
~~»
L.
Prende l'elmo a due man quel giovinetto ]
Che non conosce di menzogna il velo.
Agita i nomi , e fa crollar 1' elmetto ,
Fd ogni Gavalier fa preci al Gielo,
Desiando goder tanto diletto,
E vibrar con sua man di Morte il telo.
Nuda ne l'elmo allor scese Fortuna ,
Spesso di ben , giammai di mal digiuna .
LI.
Gol suo ciuffetto, e d'olio unta, e bisunta *>
Di man fuggendo a chi tenerla pensa ;
Fortuna , che a Virtù raro congiunta ,
Spesso a' malvagi i suoi favor dispensa.
Non fu sua scelta or da Ragion disgiunta-?.
Scelta , che molti errori suoi compensa .
Il vel si trasse,, e de' Guerrieri invitti
Lesse, e rilesse tutti i nomi scritti.
LII.
L'ultimo- nome, che mirò fu quello^
Del Duca di Turrena , a cui cortese
Fu de l'aita sua, perciò egli è bello,
E d'amor quindi ella per lui s'accese.
Il cieco Nume di trofeo novello
Fregiò sue tante gloriose Imprese .
Al Prence presso un di la Diva giunse,
Trattasi il vel, lo vide, e Amorfia punse**
LI1L
Da quell'istante amico il Nume arderò'
Ebb'ei, che prima lo crucciava tanto,
Duo negri occhi vivaci , un volto altero
Non se lo fer più sospirare a canto;
Mortecon lui divise il vasto Impera,
Vittoria il ricoprì col ricco manto ,
E sempre allor che apparve armato in guerra ,
Sotto al pie* denaator tremò la terra.
, D 6
S4 CANTO
LIV.
Lieta Fortuna il caro nome porge
A quel Fanciul, che ad alta voce il legge:
Niun la possente Dea ravvisa, e scorge;
Avido ascolta ognun chi il Fato elegge.
Cosi Pastor, se l'atro nembo sorge,
Mentre pascendo erra disperso il^ gregge ,
L' orecchio tende , e ferma al primo tuono ,
De le canne ineguali il vario suono.
LV.
Ma intanto fra lo stuol di que' Guerrieri
Givano errando tre ribalde Vecchie,
Che i più sereni dì torbidi , e neri
Fanno al Mortai, se lor presta l'orecchie,
F, con perfidi detti , e menzogneri
Fan che l'odio, e'1 livor mai non invecchie.
Invidia è l'una, e mordesi le labbia,
|La sieguon l'altre, e son Calunnia, e Rabbia.
LVI.
Vassene Fnvidia ognor vestita a lutto,
Perchè de l'altrui ben molto le duole.
Di pianto asperso è '1 volto laido, e brutto,
Sparuta è più che un etico esser suole.
Curiosa spiar tenta per tutto ,
Ed orecchiar, che saper tutto vuole.
Sempre inquieta , mai non beve, o dorme,
3Siè in capanne giammai porta sue orme.
LVII.
Rabbia feroce con pupilla ardente
La sieguein atto da destar paura,
Digrigna i denti , e co le man cruente
Lacera il manto, e far vendetta giura.
Scossa da l'ira, onde assalir si sente,
Vacillante sMnnoltra, e mai^ sicura ;
È il viso atroce, e l'irto crin si straccia
Avidamente co le scarne braccia.
QUARTO. *f
LVI1I.
Seco Calunnia vien , Mostro deforme,
Che d'una mano sì fa velo al volto,
Al volto orrendo, e fra le incaute torme
Sparge un velen , eh' è facilmente p.ccolto .
Copre candida veste il corpo informe ,
Il corpo sozzo in puro velo avvolto ,
Guata a l'intorno, e par che tema, o creda
Che alcun Mortale il suo sembiante veda .
LIX.
Vanno così fra' Cavalieri errando^
Quelle Furie d'Averno in compagnia .
Il Duca di Turrena , il suo spronando
Generoso Corsier, se ne venia.
L'asta strignea, pendeagli al fianco il brando,
Dcplice cuojo il petto ricopria ,
E su l'elmetto la bizzarra Dea
Volubil ruota con un pie premea .
LX.
Ei, senza motto far, co l'asta bassa
Vien di galoppo ad incontrar l'audace ,
L'audace Cavalier , che mai non lassa
Di minacciar col brando, e mai non tace.
Ma qual torrente, che spumante passa
Allor che pioggia il duro gel disface ,
Come Aquilon , Libeccio, o ver Levaste,
Che dal suolo talor svelgon le Piante;
LXI.
Piomba il Prence cosi velocemente
Su quel superbo; ci se n'avvede a pena,
E mentre cerca di ritrarsi, sente
Colpo improvviso, e fìer, che il Duca mena.
Passa l'asta lo ^cudo, ed il possente
Usbergo, ma quell'urto il colpo frena.
Spuntossi il ferro ne 1* usbergo fitto ;
Colui io svelse, e cominciò il conflitto.
m C te N T a
imi.
Con dae occhi di foco egli si slancia
Sul Prence allor, che il saldo scudo innalza;;
Poi quell'audace co l'acuta lancia
Il nemico Destrier preme, ed incalza
Sì che il ferro gli caccia entro a la pancia 3-
Crolla il. Cavallo, il Cavaiier giù sbalza \t
Afferra il Prence, d'ira pien, di. rabbia,
Quell'asta, acciò colui non la riabbia .
LXIII.
Non io, ma né rimaner dei tu in sella ,
Il forte esclama valoroso Duca .
Ecco tua lancia, ah! possa io far che quella:
Cavallo a niorte , e Cavaiier conduca .
Lanciala ei tosto , e la gagliarda , e snella.
Anca del Palafren. quel ferro^ buca ,
E fino al pie de l'inimico giunge
Nei lato opposto, e lievemente il. punge».
LXIV.
Come Pantera il Cacciatore assale ,<
Se de' figli trovò spoglia^ U tana ,
Costui così, che molto in guerra vale,-
E già tutto fremea di rabbia insana ,
Vibra sa l'elmo al Duca un colpo tale.
Che ferrea maglia a ripararlo è vana ;.
Ma ài forto scudo gli salvò la testa,
Che a l'urto orrendo- sbalordita resta.
LXV.
Chi visto avesse in sì tremendo istante
Quegli affollati Spcttator diversi,
Visto avria impallidir ogni sembiante ,
E molti aver gli occhi di pianto aspersi ...
Morto il Prence credeano , o ver spirante,
Ma ben poco egli stette a riaversi;
Tornò lo Spirto da suo breve esigjio,
Quasi accorrendo a. cosi gran periglio.-
Q UÀ R 7 O, Sr
LXVI.
Non di timore, o di stupor quell'alma
Guerriera, e grande, alcun palesa indizio.
Ne dispera giammai d'aver la palma ,
Ne vendicar dispera il malefìzio .
Ah! fin ch'aura vital regga Ja salma
Di queste membra co l'usato uffizio ,
Non mi vedrai, diesagli il Duca, oppresso;
Torno al cimento, e sono ancoralo, stesso.
LXVII.
Lancia lo scudo venti braccin lun2e3.
E feroce a due man !a spada afferra .
Usbergo a rintuzzar quella non giunge
Spada tremenda, e celebrata in guerra.
Se di possente man ministra, punge >.
Sempre di sangue ostil fuma la terra*
Né strano par che di tal. tempra fusse,
Poiché braccio morrai non la costrussc,, ,
LXVIII.
Forse. Tori-gin sua vetusta, e strana ^
Fia che alcun creda prodigiosa, troppo.
Creda che vuol, non è mia Musa vana
A. l'altrui mente-mai d'opporre intoppo.
Di tre Spirti è composta, ed è Romana ,
Spirti congiunti insìem dal Nume zoppo.
V'è l'Afro Scipio, il gran Pompeo sconficco
Misto al suo vincitor , Cesare invitto.,.
LXIX.
A Marte avea lo zoppo Dio promesso
Di lavorargli una possente spada,
Da cui tutto a mina , a strage messo
Ivsser debba, dovunque il ferro cada.
Quest'alme illustri, che il desire stesse
D'onor guidò su la medesma strada ,
Strada di sangue, e d'immortali pruove,
.ALgran coietto, si prostrar di Giove..
SS CANTO
LXX.
E Cesar disse: Alto Signor del Mondo,
Sommo Re de5 Mortai, Padre de* Numi,
Ben grave fu del nostro braccio il pondo ,
Elo «anno Città, Campagne, e Fiumi.
Ci fu d'allori il brando ognor fecondo r
Né tai lauri crediam Tempo consumi ;
Ma , se il concedi Tu , novella gloria
Aver potremo, e più chiara memoria .
LXXI.
Concedi, o Nume, che la spada forte.
Che a Marte debbe lavorar Vulcano,
E che debbe apportar terrore , e morte ,
Formi co' nostri cor àtì Dio la mano .
Nuova è V impresa, e^ ad opra di tal sorte
Giunger maif non sapria l'ingegno umano ^
Ma impossibil non è, ben lo sappiamo >
Ad Artefice Dio quanto chiediamo .
LXXII.
Piacque al gran Giove la bizzarra inchiesta;
Ed a Vulcan d' adempierla^ fé cenao .
Lo zoppo Fabbro ad ubbidir s'appresta,
Che servir Giove Uomini, e Numi denno.
La spada ei lavorò ; primo con questa
Marte pugnò contro la Dea del senno ,
Del Xantp in riva, e più non 1' ebbe sec»>
Poi che ferito fu colà da un Gr*co*
LXXIII.
Quella ferita tolsegli la Iena ,
E il brando cadde; ma se alcun desia
Di questo ferro aver contezza piena,
Non ne dee ricercar la Musa mia .
Ella di chieder non pigliossi pena
Come dei Duca in mano or' giunto sia,
Ma scender vide il colpo atroce, e fiero
In nud' certaade 3 e narrar puote il vero.
QUARTO. Z9
LXXIV.
Alza, a due man quella tremenda spada
Feroce il Duca, che i perigli sprezza,
L'altro lo scudo oppon , ma il ferro strada
S' apre , e lo scudo , come vetro , spezza .
Cede , qual gei , su cui bipenne cada ,
La ferrea maglia a parar colpi avezza ,
La ferrea maglia de l'elmetto , e al vento
Dispersa vola in cento parti, e cento.
LXXV.
Fendette il cranio il fatai ferro , e giunge
Quindi al cervello , e lo passò del pari ,
E passò per la bocca , e in due disgiunse
Parti la lingua > che di detti amari
Sonar fé l'aura, e il mento, e il collo punse *
( Mai non si vider colpi a questo pari)
Il petto, il cor recise, entro s'immerse
Al ventre 3 e alfìn la destra coscia aperse ..
LXXVI.
Superbo il Duca di quel colpo illustre ,
Mira sdegnoso il corpo estinto, e parte ;
Ne la guaina, di Vulcano industre
Ripone il ferro , che l'agguaglia a Marte..
Chi può ridir quanto sollevi,. e illustre
Fama il suo nome, e la sua bellic'arte?
Il denso Vulgo ebbro per gioja , e folle ,
A l'aure i viva, e '1 suon di palme estolle..
LXXVII.
Ma che vuol dirquesto romor , eh' io sento?
Duo Guerrier veggio su Destrier veloci .
Turban costoroil popolar concento
De le giulive risonanti voci .
Entran nel Circo , a singoiar cimento
I più forti sfidando , i più feroci ;
Ma che uno sguardo pria mertino , parmi
Gli scudi loro, le corazze, e l'armi.
9p. C A N T O
LXXVIII.
L'uno a io scudo , la corazza, e l'asta;
Coperta, e l''clm©,#di scagliosa pelle
Dr Drago , e suo cimiero è de la casta
Diana il Fratel , che le tenèbre espelle.
Per ben- descriver sua persona, basta
Dir ch'uom più bello non dipinse Apelle ,
Né si leggiadro, e di si vago aspetto ,
Che mostra ascosa un alma grande in- petto
LXXIX.
Non de l'agii Corsier silenzio serbo ,
E' Leardo il Destriero, a macchie rosse v
Vivace, irrequieto-, e pien di nerbo,
Ninno ad esso egual credo vi fosse .
Picciolo à il capo , corto , alto , e superbo ^
Salta animoso le più hrghe fosse,
Le gambe snelle, e lunghe som le chiome,
Larga la groppa, e Vecipelo à nome
LXXX.
L'altro Guerrier , né per la sua presenta
Nobil , regal , nèt per bellezza cede .
Non saprei chi di lor la preminenza
Metti, che in nulla un d'essi l'altro eccede
Costui tranquillo non appnr , nèsenza
Alto dolor, ch'espresso in lui si vede;
Il suo vestito è tutto quanto nero ,
E l'emblema del pianto à per cimiero-
LXXXI.
Quando il Sultan li vide, immantinente
Gli fé venire al suo cospetto innanzi;
Vennero i Cavalieri alteramente,
Né v'à su l'orme lor chi non s'avanzi.
Loro chiede il Sultan cortesemente
Se, come i Cavalicr , che giunser dianzi-,,
Volèano il nome lor fargli palese
Bria d'apprestarsi a gloriose. Imprese-.,
Q U; A R T O V or
LXXJCII.
Disse Quel , che il Destrier premea leardo :
Altissimo Signor, Re de la Luna,
Dirotti, il nome mio senza ritardo ,
E di costui, eh* è meco, in veste bruna»
Il Duca ioscno di Tolosa, ed ardo
D'alto desir di bellica Fortuna .
Di Lituanj'3 il Duca egli si chiama,
Qui meco il trasse di giostrar la- brama*.
LXXXIIL
Il- gran Sultano con giocondo volto
Rispose : Il vostro aspetto, o Cavalieri ,,
Ben vidimostra. valorosi molto,
Cortesi in pace, e ne le pugne alteri.
Soddisfar nebil brama or non v' è tolto,
E di vostro valor dar segni veri;
Dunque n'andate-, e l'oprar vostro egregio»
Kuova cagionmi dia d'avervi in, pregio.
LXXXIV.
Ma perchè voi, che forestieri siete,
Giunti a questa Gittade in questo punto,
Lo stabilito premio non sapete ,
Che debbe a' primi allori, essere aggiunto;
Quell'armatura, che brillar vedete
Di tanta luce, il premio è quella appunto
Di chi plauso otterrà maggior d' ogni altro ,
E che in pugnar fla più valente, e scaltro .,
LXXXV.
Guari n&fl e che da un Ministro mio
L'asta , lo scudo , eil vago elmetto io m'ebbi»,
Tolti ad uno assassin, che uccise, ed io
Con altri arredi l'armatura accrebbi ;.,
E per destar ne' Gavalicr desiV
Di quel trofeo, suoi ricchi fregi io crebbi,
Di molte gemme, e scelte perle, ed oro.,
Adorno il feci con gentil lavoro.
9* CANTO
LXXXVI.
Tacque il Sultan; da nobile ardimento
Volar sospinti i Cavalier famosi
A dimostrar con cento prove , e cento
Quanto fossero esperti, e valorosi.
E come avvezza a contrastar col vento
Quercia , che a V aure innalza i rami annosi r
Sprezza Aquilon, qual veaticel di Maggio ;
Tutti incontra i perigli il lor coraggio.
LXXXVII.
Quante lancie, e corazze , e quanti rotti
Elmetti fur dai brandi lor possenti !
Quanti Guerrier furo a Pavel condotti
Da questi prodi Cavalieri ardenti !
Ne r arte di pugnar sembrano indotti
Quei, che pur dianzi oprato avean portenti.
Al buon Sultan mirar lo stuolo incresce
Di tanti estinti, che ognor più s'accresce.
LXXXVIII.
Tant' opre fero, e celebrate Impreso
Le spade lor ! né dir si puote il come.
Di queste spade il mcrto appien comprese
Chi loro impose glorioso nome .
Quella, che il duca di Tolosa prese,
Di Tugita-petù à il chiaro sopranome,
E fu detta quell'altra Uomìn-dUama ,
Che al fianco il Duca avea di Lituania .
LXXXIX.
Ulisse alfine, che non può soffrire
Che questi duo Signor vincano tu?ti y
Senza che alcun gli possa far morire ,
O di lor sangue almen sua spada brutti ;
A duello s* avvisa di venire ,
Che spera coglier de la pugna i frutti ,
E vendicar tutti i Guerrieri insieme,
De' quai ciascun molto si duole , e freme .
QUARTO. n
xc.
A tal effetto el manda un suo Scudiero
Per novell'arme , e per lo suo Cavallo,
Ch'era molto gagliardo, e molto fiero,
Di sauro mantel , che tira al giallo ;
Balzan di staffa , e ne la chioma nero;
Candida stella in fronte adorno fallo :
E dico a chi saper suo nome brama ,
Che Tasiìpo da tutti egli si chiama.
XCI.
E Tassìpo vuol dir dì pti teìccs ,
Secondo la comune opinione ;
E questa mi cred'io sia Greca voce;
Ma favelliam de 1' immortai tenzone.
Vien lo ScudicT co l'animai feroce,
Che altrui servir non vuol che al suo Padrone,
Spara, s'impenna, s'altri in sella salga,
E fa veder quanto in trar calci ei valga.
XCII.
Vengon poi le bell'armi sfavillanti,
Che il forte Achille avea, figlio di Teti ;
In cui Vulcano l'è lavori tanti ,
Quand'eran presso a Troja i Greci abeti.
Armi ,- di cui narrò già tutti i vanti
Il più antico, il più grande fra i Poeti,
Che primo seppe coronar la fronte
D' Epici allori in vetta al doppio Monte .
xeni.
Veste Ulisse quell'armi assai più dure
Tel ferro, e salde al par che diamante,
Sperando che Fortuna a lui non iure
L'onor cercato in van da spade tante.
Vendicar le altrui brama onte, e sciagure *
Morte sfidando intrepido, e costante;
S' avanza in Campo, e l'alta idea sublime
In questi sensi al gran Sultano esprime.
rn G A "N ' f o
XCIV.
O gran Re de Ja Terra, e de la Luna^
Io m'accingo a pugnar con que' Signori ,
A le cui destre non è destra alcuna,
Che opporsi< sappia , e svelga lor gli allori •.
Pugnar voglio, e perir, ove Fortuna
Non m' accordi propizia i suoi favori .
Non ci partir , Signor ; fia meglio estinto
Ne la tomba giacer, che viver vinto.
xcv.
E se vincer saprò , piena vittoria
Aver desio : sì dice il buono Ulisse.
Veder come la vita ei per la Gloria
Perder volea, l'alma del Prence affllisse-.
Ma chi a Guerner-, che per l'onor si gloria
Morte incontrar, vietar potrla le risse?
Al desir generoso il Prence arrise,
E in resta il Cavalier la lancia mise»
XCVI.
Qual per veloce Daino, o Capriolo,
L'imi l'altro ad assalir vansi i Leoni,
Vanne al nemico Ulisse allor -di volo^
Sul Palafren , cui mon bisognan sproni;
Perch'esso intende i cenni suoi non solo,
Ma sembra che con lui pensi , e ragioni ,
E sa , ne l'arce de la pugna dotto,
Quando gir di galoppo, o passo, o trotto»
XCVII.
E sa non meno di tornei , di giostre ,
E sa di salto, e sa di corsa insieme.
Ma ritorniamo a le battaglie nostre,
E passiam dal Cavallo a -Quel, che il preme*
Voi» che m'udite, a me le orecchie vostre
Porgete, udendo queste pruove estreme.
Primo a pugnar s'innoltra il Cavaliere,
Che dissi vesti aver lugubri , e nere.
QUARTO. 95
XCVIII.
Chi narrar puote appieno i mandritti,
I manrovesci , ed i fendenti orrendi.;
Ne l'elmo, ne Jo scudo i colpi fitti,
E di taglio, e di punta, aspri, e tremendi;
E le difese de' Guerrieri invitti,
E l'insidie, e gl'inganni alti, e stupendi;
II ritrarsi, il parar, cedendo il loco,
E l'innoltrarsi con novello foco?
XCIX.
Ulisse mena un così fìer marritto,
Che fa il nemico staifeggiare a destra.
Ma Quel si tiene su la sella ritto ,
«Che molto a la persona agile, e^ destra.
Tosto in sella rimette il pie diritto,
"Tira co l'asta una punta maestra;
Se Ulisse non avea T'armi d'Achille,
In cento pezzi ei lo faceva, o in mille*
C.
Tatfìpo si ritrae, che il colpo vede,
"Ma tanto nò, ch'esso sfuggirlo possa,
Ed il suo Cavalier morto già crede,
E del suo sangue già la terra rossa .
Ma quando salvo essere ancor s'avvede
Il suo Padroni, ripiglia lena, e possa;
Striscia col piede il suol, tende l'orecchia,
E lieto a' nuovi cenni s'apparecchia.
ci.
Torna veloce alcuna passi addietro,
Che piombar sul Nemico Ulisse vuole.
Alza il Destrier nube di polve, e tetro,
E fosco rende lo splendor dtì Sole.
Tal , per meglio cozzar, ritrarsi indietro
Il Capro audace ne? le pugne suole,
indi T.mìpo si sofferma, e attende,
Fin che ci' Ulisse un nuovo cenno intende.
5* CANTO
CIL
Tosto Ulisse a due mani il ferro stringe,
E dentro in sella ben si serra , e forte ,
Tutto in sé si raccoglie, e si ristringe,
Gli omeri incurva, innalza il braccio forte,
Pronto a la nota voce, che il sospinge,
Vola Tanipo apportàtor di morte.
Volse il Nemico al gran periglio il guardo ,
Ma troppo iu ne la difesa tardo .
cui.
Tal fu nell'urto che ben palmi diece
Balzò quell'empio lungi dal Cavallo •
Opra sublime allor Tassipo fece ,
Menando un colpo, che non giunse in fallo .
Cotanta Impresa sua tacer non lece ,
Sul Nemico piombò senza intervallo.
Era colui caduto prima in terra ,
Ma in pie risalsc a rinnovar la guerra .
CIV.
Con Ulisse Tassipo allora arriva,
E si forte gli dà col petto un urto,
Che in van reggersi ei tenta , in vano ei schiva
Di ricader^ non anco ben risurt*.
Come jfulmine , o strai , gli soprarriva
Quel colpo orrendo, che l'assai di furto.
Cangiar sua sorte in van Mortai s'avvisa,
Dal sordo Fato a ferree cifre incisa.
CV.
Salta di sella Ulisse, indi gli tolle
Ratto come un' baleno , elmo , e visiera;
Alza la spada poi per farla molle
Di sangue , e in atto di ferirlo egli era .
Ma che ? T* arretri , o Musa , e fra le zolle
Il plettro celi, onde pria givi altera,
E di cinabro tue guance colori,
Tieni ai suol gli occhi fisi, e t'addolori?
evi.
Motto, è vero, ài da dir, ma cf'alcifn opjra
Mai capace non fia chi nulla tenta.
9eh! ripiglia tua cetra, e sì t'adepra
"he qualche orecchio con piacer ti senta;
^è ti doler, se fia che ognor tu scopra
ama a tue rime neghittosa , e lenta;
;e fia che sembri a Critico feroce
netto il plettro tuo, rauca la voce.
CVII.
Vigli Nocchier , se di Mercante ingordo
^e voci udisse ne l'ondoso Regno,
le alleviasse, a le sue preci sordo,
)i Merci il pondo, allor che affonda il Legno;
e al Figlio il Genitore util ricordo
<Jon desse mai per non destar suo sdegno ;
<Jè il Duce mai , se a' suoi Guerrier non piac£,
iuerra mover volesse , o trattar pace ;
CVIII.
Mente avmno costor debile , insana ;
tolto è colui, che fallir sempre teme.
)r narra, o Musa, guai vicenda strana
tupor desta in Ulisse, e gioja insieme,
ria del Nemico ogni difesa è vana ,
1 petto Ulisse con un pie gli preme ,
.'elmo gli tragge, ed il Guerrier Donzella
Jlor diventa, di sembianza bella.
CIX.
Ne sol Donna divien, ma («dite caso
Teraviglioso in ver!) colei, che adora,
ungi da cui non pur vide a l'Occaso
ante fiate il Dio, che i fior colora;
la il vide, uscito dal Celeste Vaso,
ntrar ne' Pesci, e ritornarvi ancora »
far di luce Ja faretra adorna
1 Sagittario, ed ai Capron le corna»
9% CANTO
ex.
Oh! qual d' Ulisse fu l'alta sorpresa,
Ed a tenero affetto il duolo misto ,
Quando la Beila, ond'egli à 1' alma accesa
In atto di ferire ei si iù visto !
Come Pastor , che da lontano intesa
A' del Lupo la voce , e l'urlo tristo ,
OverFanciul,chein mezzo a'fior)ch'ei coglie
Vede un Serpe strisciar con nuove spoglie;
CXI.
Cosi rimase attonito il meschino,
Ch'avea perduto, ben può dirsi, il senno,
CaddegU brando , e scudo, e a lei vicino,
Com' estinto , piombò senza far cenno.
Ella, che giunta pel voler divino
Credeasi al fin, cui tutti giunger denno,
Or che il suo vincitor a terra vede ,
Quasi a sé stessa, a gli occhi suoi non crede
C'XII.
Pur fra sé stava immaginando come
Esser potesse la strana ventura,
E ripetea d'Ulisse il caro nome
.E pareale veder la sua figura.
Tutti, al mirar quelle disperse chiome t
E l'aspetto gentil, che ogn'alma dura
Ammollir puotc , ed infiammare il gelo,
De Ja sua vita rcser grazie al Ciclo,
CXIII.
Ulisse intanto, allor che si riebbe
Da lo stupore, che suoi spirti lega,
Poi che soavemente mirato ebbe
Jl volto, in cui le Grazie, Amor fan lega
In cor la pugna asprissima gli crebbe .
Di varj affetti , e dargli pace nega ;
Dolor, confusione, amore, ed ira ,
Fan che si cruccia , e duol; freme, e sospira
QUARTO. 99
CXIV.
Ah! sotto a qual , dicea, nemica stella
L'infelice natal, misero! trassi?
Perchè in quel seno , in quella faccia bella
Volle il Destin ch'io Tempia man portassi?
Ah! pria eh' a la mia vita, a te, Donzellai
Dolce mio ben, l'armi crudel voltassi ,
Perchè il mio corpo ne la polve involto,
Qui negletto non giacque , ed insepolto ?
cxv.
O pur, se tale era il voler del Cielo,
Ch* io dovessi incontrar questa battaglia ,
Che non traesti dal caduco velo
Quest'alma , cui niuna in dolor s'agguaglia?
Che non si ruppe il brando mio, qual gelo*
Non cedette, qual cera, ogni mia maglia ?
Dritto era ben che chi ferimmi l'alma,
Ferisse ancor quest'infelice salma .
CXVI.
Or che miei giorni sol vivo a tuo danno,
'Che sol vivea per tua difesa, e scude,
Se i nostri dolci amor degno men fanno,
Prendi quel brando, e me ferisci ignudo.
Tutte quegli occhi bei le vie già sanno
Di questo cor, senza sua colpa crudo;
Perciò diffidi opra a te non fia
11 trapassarlo, o dolce amica mia.
CXVII.
Mi basta sol che da pietà sii presa
De l'estrema d'amor pruova, eh' io dono,
E a farmi lieve il duol , che si mi pesa .,
La man mi porga in segno di perdono.
Trasse^ quindi un sospir da l'alma accesa,
E volti a lui tutti gli sguardi sono.
Ma già laMusa affaticata, e stanca,
Tacer desia, perché di lena manca»
Fine del Canto Quarto ,
E z
JPO
I A M 0 Pt TE
D'
ORLANDO.
CANTO QUINTO,
ARGOMENTO.
La Maga a v'aitar Plato *' appresta ;
fuole Angelica trar seco a P Averne ,
Magica specchio pei le manifesta
"Di setti Mostri ogni pensiero interno ,
La strage udendo , in lei furor si desta ,*
Ma con novello stuol scende a P Inferno „
Là di mense i Demcn fanno apparecchio .
Scoppiarne polve assorda a lei P orecchio »
XVloki , e molti son quei, che gran vicende,
E strane, e crude, anno in amor patito,
E in narrarle ciascun diletto prende.
Come il nembo Nocchier narra sul lito.
Ma quel che a raccontar mia Musa imprende,
Io non m'avviso alcuno l'abbia udito.
Molti soifrir quaggiù strana ventura,
Ma non poggiaro al Ciei per 1* aria pura .
CANTO QUINTO. ióf
IL
Quelli , che fero opra mirabil tanto ,
Furo Angelica , Orlando , Orfeo sagace.
Francia, di questo voi non darti vanto y.
Di questo volo prodigioso , audace .
JNon lice i Venti disfidar cotanto
\Ad ingegno mortai, soffrilo in pace;
'Di Chimica costor non àn bisogno;
Questo un voi si dirà, quello un tuo sogno T
Aììor che vede" il Globo spinto in arto,'
Ride Borea con Austro, e sen sollazza;
Or qua, or là gli fa spiccare un salto,
Come suol farsi di pallone in piazza:
O, mentre sorge più sublime, ed alto,
Chiede gli Augelli la pennuta razza)
Irati alfi» di tanto umano orgoglio.
Lancia» P acrea Nave ad uno scoglio.
IV.
Che mai veder, che mai discerner vuole
Il volator, onde tai rischi affronti i
Forse le macchie discoprir del Sole,
O de l'argentea Luna i Mari, i Monti?
O veder meglio che quaggiù non suole ,
li girar de' Pianeti, or lenti, or pronti?
Le varie membra, i var} corpi, il sesso
Di que' Mortali in questo, o quel recedo ?
V.
Chi fia, che speri ne l'aereo Marc
L'incerta Nave reggere a talento,
E salvo, e lungi da procelle andare,
Correre a un tratto cento miglia , e cento
E scoprir molte cose, ed esplorare,
E render vano il liquido elemento ; >
Se pria con arte ben diversa , e varia
Dal noto veleggiar, non- coglie l'aria?
E 3;
102 CANTO
VI.
Statti a mirar con curiose ciglia
Lo stupendo viaggio, o Francia tutta.
Colei , che fé cotanta meraviglia ,
Fu la ria Vecchia in magic5 arte istrutta.
Che di spirti racchiude empia famiglia
Nel suo Castello j in forma strana , e brutta
Siccome io dissi, e per Otoa la bella
Angelica rapì , gentil Donzella .
VII,
Stava la Strega impaziente , e calda
D'ira, e di rabbia , ad aspettare il fine
De la pugna feral , che la ribalda
Sua truppa spinse a l' infernal confine .
I duo Guerrier, che Amore arma , e riscalda
Imprese fero, il dissi già, divine,
Or co 1' asta possente , ed or col brando ;.
L'un d'essi Orfeo-, T altro si chiama Orlando
Vili.
Si rammenti ciascun che sono amanti
Di questa appunto Angelica rapita ,#
Cui svelse Otone per favo^ d'incanti
Virgineo fior più caro a lei che vita ;
Che incatenata dopo oltraggi tanti ,
Chiedea mercede , ma non era udita;
Che sovra un Cocchio, avvinta allor da ferri
Fu posta in mezzo a que' Deraonj sgherri .
IX.
JEran trecento i Cocchi , e tutti lesti ,
Tirato ognun da sei Cavalli alati ;
Quel de la Maga era il primier fra questi j
Ed eran tutti riccamente ornati.
Quasi fra tanti alcun non v'à, che resti,
E salga su que' Cocchi apparecchiati,
Che la parte maggior de Tempia Corte
In fuga tutta , od anzi è messa a morte ^
Q U 1 N T a, loj.
X.
Duolsi Angelica intanto , e in quel sembiante
lì ligustro gentil celò le rose;#
Un velo a 1* occhio nero, lagrimante y
,' Fé la palpebra, dove Amor s' ascose .
:, lì Nume arderò al pianto suo stillante
a Tempra l'acute freccie insidiose . . (
j Quegli occhi bei, modestamente bassi ,
Sapriano quasi impietosire i sassi.
XI.
E come soglion fertili rugiade
Bagnare i fior ne l'ora mattutina ,
Innaffia il pianto, che dal viso cade,
Quella rosa del sen , che; non à spina.
J Qualor ti veggio passeggiar le strade
Del lucido Oriente, al Sol vicina,
Costei mi sembri , o rugiadosa Aurora ;
Anzi, perdona, eli' è più bella ancora ~
XII,
Chi mai non, seme lacerarsi il petto y
D'Angelica mirando il crude affanno,
I duri ferri, onde quel braccio stretto r
E le due man di latte avvinte stanno ?
A chi non foran di mestizia oggetto
Que'Soli, che di nebbia aspersi vanno,
Sereni prima, sfavillanti, e chiari,
Or ricolmi d'umor, di luce avari ?
XIII.
Pur quell'umor, che da' bei lumi scorre,
Nido si fa di pargoletti Amori,
Che il volo incerto su le gote a sciorre
Vanno, e del sen fra i turgidi tesori .
In argenteo, ruscel s'aggira , e corre
StuoJ di pesci così, di più colori.
Ogni .Amorino per natio costume
Folleggia , e i Mostri di ferir presume.
E 4
5c4 CANTO
XIV.
Sorride un d'#essi , depon l'arco , e tende!
Arco novello, il curvo sopracciglio,
Ed uà capello de' più lunghi prende,
Che di Latona anco ornerebbe il Figlio .
Del sottil arco ad un confin l'appende,
E v'adatta uno strai bianco qua! giglio ;.
Poi cheto cheto ben s' appiatta , e cela
Ne l'occhio, dove la palpebra il vela.
XV.
Qual bravo Arder , che in uno stretto assedia
Da murata Città scaglia la freccia ,
D' un merlo e l'altro ne io spazio medio ,.
E si rannicchia tutto allor che freccia ;
Un colpo mira, cui nou v'à rimediò ,
Il picciolDio, che il cria tolse a la treccia,
E fra 1' un pel de la palpebra, e l'altro,,
L' acuto dardo vibra agile, e scaltro..
XVI.
Parte la freccia , e fra q*$' fylostn giunge ;
Un ferisce primier , che il capo, erige
Cornuto , e'i voi seguendo, u-n altro punge ^
Indi al petto del terzo si dirige,
Il quarto infilza , e foco a foco aggiunge,
Foco d' Amor al foco atro di Stige ;
Al quinto il cor , la mente al sesto invola 3
Al settimo la lingua , e la parola •
XVII.
Que' sette Mostri, che piagata l'alma
Aveano tutti da mortai ferita ,
Rapic voleano Angelica, e dar calma
A l'amorosa lor smania^ infinita ;
Non per trarla de' ceppi a grave salma».
Ch' è pietà, pei Demon cosa inaudita i
Kon a tanta beltà per fare omaggio,
Anzi per. far a. sua vi nude oltraggio.
QUINTO. roy
XVIII.
La vecchia Maga , che saper ia sorte
Brama de' suoi , che più tornar non vede.
Piglia uno specchio per veder se a morte
Fùr tratti, o altrove anno rivolto il piede.
Di quello specchio è la Magia sì forte,
Che di rutto , al mirarvi, ella s' avvede,
Fin de gli altrui pensieri, e vede in esso
De' sette amanti il tradimento espresso.
XIX.
Al destin di sue truppe or più non pensa.,.
E punir vuol que' meditati^ inganni.
Arde contro costor di rabbia immensa,
Ed invoca Pluton , che li condanni .
A lei propizio suo favor dispensa
Plutone amico suo già' da mole' anni;
E, costor, che volean , d'amor sospinti,
Angelica abbracciar , cadono estinti .
XX.
Né) solo estinti, ma così distrutti
Che i% membri lor sembrano a Paure sparsi >',
Purdi^ colei, benché li veggia tutti
Estinti , Pira ancor non può calmarsi;
E per Magia que' corpi sozzi, e brutti,
Fa che tornin più volte a rinnovarsi ;
Riveder si compiace, e si diletta,
Spettacolo crudel d'aspra vendetta .
xxi:
Quando rimase il suo furor satollò
Di vederli morir, serbolii a vita,
Ma in ferrei ceppi, emani , e piedi , e collo,
Niuno fra quei Demon die loro aita.
Stretti eran si chQ non potean dar crollo ,
£ lalor pena, e rabbia era infinita.
Lascio costoro al lor supplizio , e scorno,
lì de le specchio a favellar ritorno .
io* CANTO
XXII.
TI fido specchio la Negromantessa
Del gran conflitto incerta , avea ripreso ;
Ma un alato Demon , che a lei s'appressa
Scorge, rimaso da la pugna illeso .
Agii costui scese dinanzi ad essa ,
Ed anelante, qual chi resse un peso,
Disse : O Regina , con novello^ esempio
Que' duo Guerrier de' Servi tuoi fèr scempio..
XXIII.
E risuonar seguaci a tai parole
Urli s'udirò spaventosi , immensi ,
Che d* Averno mandar ne gli antri suole
Spirto dannato fra^ tormenti intensi .
Quanto la Maga si corrucciate duole,
Credo inutile il dir , ciascuno il pensi .
Quei fero cor*, mai di vendette sazio,
Or d' un vano furor prova, lo strazio.
XXIV.
Sue calde preci al gran Pluton diresse,
Bestemmiando il Motor de la Natura.
Propizio il Nume quelle genti stesse,
Che il ferrò spinse a la sua Reggia oscura *.
Tosto le rese, e fé che riprendesse
Niìjove orribili spoglie ogn'alma. impura,
Sì che ottenne colei truppa novella
Pari a l'estinta, anzi maggior di quella.
XXV.
Un , che fra tutti avea più lunga coefo ,
Più grossa pancia , e più sublime corno ,
A sì fatto parlar la lingua snoda,
Lingua, che ognor favella, e notte e giorno.
Par chein udirlo ognun s'allegri , e goda
De' suoi compagni , che gli stanno intorno .
Egli a la Maga il suo parlar rivolta;
Calma colei lo sdegno , e attenta ascolta*
Q V I N T 0\ io;
XXVI.
Donna , disse costui , chi può ridirti
De* duo Guerrier le fortunate Imprese?
Son l'aite cose , che m'accingoa dirti,
Cose viste da me, non d' altri intese.
Tutto lo stuol de' bellicosi spirti,
Compagni miei, tutto a l' A verno scese;
Ad essi il chiedi or che a te fair ritorno ,
Mercè di Pluto, dal comui* soggiorno .
XXVII.
fn parte almeno aver dal labbro mio
Contezza puoi de la battaglia strana .
Narrò gli aspri cimenti il Mostro rio,
E de* Guerrier la forza sovrumana .
La Maga allor, che bestemmiava Dio,
E di vendetta brama avea non vana ,
Ordinò che a seder ciascuno gisse
Ne' Cocchi , e al gran viaggio s'allestisse»
XXV IIi'-
Nuove cose io <TIrò , nuovi portenti ,
Cui presrata non ria credenza intera;
Ma non gitto per questo il fiato ai Venti,
Mi basta dir che la mia storia è vera.
Tratta per l'aure dai Destrieri ardenti,
Vola superba la dannata schiera.
Ma qua! si sparge dal primier fra' Cocchi
Vivo splendor, che offusca tanto gli occhi?
XXIX.
Par che hVauro , o preziosa pietra
Vibri tal luce , che la vista assale ;
Nò qual materia quella sia , penetra ,
Mentre il cocchio s' invola , occhio mortale.,
Poiché l'Astro maggior, che irraggia l'etra,
Di luce il copre , e a sé lo rende eguale.
Pur quel che tanto i riguardanti abbaglia ,
Non è che sola, chiusa in vetro, paglia.
E 6
*o8. C A, N T O
XXX.
Raggio rifratto quella pag-Iia indora*
Del Sole , a cui la Maga à il voi rivolto ,
Del Sol ^ che il Mondo avviya, i. fior colora 5,
Ed in se tien tutto 1* Inferno accolto.
Arde colà da. l' una a P altra Aurora
Spirto, dannato in pene. eterne involto,
E fra. suppliz) di novella sorte
In vano spera, attende in van la Morte,.
XXXI.
Fé la Maga si presto il sno viaggio 4
Come la luce fa, quando. si parte
Dal biondo Nume., che il lucente raggio
Scaglia in questadel Globo, o, in quella parte,
S' appresta allora a fare a Pluto omaggio
La gran Maestra de la magic' arte ; .
Ed entra già ne P infiammate porte
Co la seguace numerosa Corte .
XXXII.
Un Mostro allora smisurato , e nero,
Primo Ministro dei tremendo Pluto,
A lei. s'accosta per veder s'è vero
Che dessa fosse, e immobil resta, e muto ;
§i scuote alfine, ed a Plutone altero,
Celere, quasi Pale, avesse avuto.,
De la venuta di costei P avviso
&eca, il Ciel. bestemmiando, e. il Paradiso *
XXXIII.
Siede Plutoa, sovra eminente soglio^
E il volto atroce Palma rea discopre;
La fronte innalza co.n insano orgoglio,.
La fronte , che uno stuol^ d'angui ricopre ;\-
Maligno esulta de l'altrui cordoglio,
Perfido punitor di perfid' opre ;
Stringe uno scettro, che di ferro sembra ?
E foco sparge da le acre membra .
Q U I N T'O, ro$;
XXXIV.
Due corna grosse alpar che un_ brace io umano
Cadongli al suolo con obbliqui giri;
E' tremendo l'aspetto, il ceffo strano, < <
Fra sangue, e fiamme par l'occhio s'aggin.
Il braccio enorme, la rapace mano, > <
Dir non si può quanto spavento inspiri ;
Rotante coda angui tremendi slancia ,
Ed angui fischia» su la vasta pancia.
XXXV.
Un. abisso profondo, una vorago
Di foco , e fumo, seppellito il tiene ;
Quel foco mai di straziarlo è pago,
E in mille forme-, e mille , or vanne ,or viene :
Il procelloso Mar debole immago
Otfrir potria di queste orrende scene ;
Or scende, or sai più che agitato flutto,
Stridente fiamma, e lo circonda tutta.
XXXVI.
La notizia il Tiranno ode giojoso,-
Ti in un sorriso vomita per gioco,
Quant' esser puote entro a fornace ascoso^
Da la fetida bocca il nero foco.
In pie" sii rizza , e di veder bramoso'
La Maga, e trarla de le pene al loco r
Disse a' Demon : Corriamo a farle festa ,
Eterna compagnia ci sarà questa.
XXXVII.
Tu vanne, o Messaggiero, e la gran porta
Apri, da cui qualor cresce il tormento,
Che l'infernal crudo bollor m'apporta,
A le Sfere io rivolgo il guardo intento
Nel vasto Spazio, che il mio cfuol conforta,
Poiché riman l'orgoglio mìo contento.
Pnrmi del Mondo esser sul Trono assiso,
Mentre i Pianeti intorno al Sol ravviso.
no: C A N T O
XXXVIII.
Tacque Plutone, e il Messaggier si mosse r
Servendo a' cenni del Tiranno altero.
Il segue Morte per veder chi fosse
Costei, ch'ella non trasse al cimitero.
Morte , che sol brama colmar le fosse ,
£ la falce rotar con guardo austero ;
Che ognor persegue fin dal di, ch'ei nasce,»
Ogni Vivente, e di terror si pasce.
XXXIX.
Di questo Mostro il folle ardir lo sdegno*
Destò di Pluto, e la feroce rabbia.
Disse r Non fia che nel mio vasto Regno
Tu mal la vita de laMaga t'abbia.
Scendi in Terra ; colà senza ritegno
Potrai di sangue dissetar le labbia ;
Ma in questi Campi Eternità s'asside,
Messi la falce tua qui non recide .
XL.
Stende Pluton la sua robusta coda,#
Che a Morte intorno gira, e s'avviticchia*
Così Serpe talora avvince , annoda
Qualche animai, che in van si duole, e nicchia,
E con sue spire gambe, e piègl' inchioda,
Come inchiodato fosse da cavicchia .
A questi ceppi in van col braccio forte
Tenta sottrarsi la spietata Morte.
XLI.
Siccome esperto lariciator di tromba
Su la ben tesa fune il sasso gira ,
Poi la fune abbandona , e il sasso piomba
Coi celer moto , che il girar gì' inspira ;
Slanciala Pluto : al cader suo rimbomba >
Quell'antro, e trema del gran Nume a l'ira.
Ma, perchè Morte unqua morir non debbe ,
Danno pel fiero colpo ella non ebbe. '
QUINTO, in
XLII.
Ed in un angoJ muta si ritragge,
A gl'infernali abitatori in mezzo.
Ciascun l' invoca , ma da lei non tragge
Conforto a tante pene, a tanto lezzo.
Quell'alme fatte troppo tardi sagge,
Di scemar tanto duol cercano il mezzo.
Morte prestar loro non puote ajuto.
Ma ritorniamo a favellar di Pluto .
XLIIL
Pluto a la Maga, che in sembianza scorge,
Di Vecchia nò, ma di gentil Donzella,
La nera mano affumicata porge
Per farla scender da la Navicella .
A seder seco ove suo Trono sorge,
L'invita, ed a l'orecchio le favella,
Parla d'amor, ma questo amor le incresce
Per lo fetor, che, aprendo i labbri , gli esce.
XLIV.
Cara , le dice, e in cosi^ dir le manda
Sulfuree fiamme vorticose in volto ;
La bacia quindi, e ie sì raccomanda,
Ma un puzzo orrendo è ne' suoi baci accolto.
Di quelle fiamme a lei scusa demanda,
Dicendole d'Amor foco raccolto;
Ed il fumo, e il fetor, l'alma fuggita
Sul volto bello , che glie!' à rapita .
XLV.
In suo soccorso la Donzella invoca
Le quintessenze, e l'odorifer' acque ,
E tutto arrabbia il Nume , a cui sì poca ,
Cortesia de la Ninfa assai dispiacque .
Ma il core Amor tanto gli accende, e infoca,
Che di piacerle speme in lui rinacque-
Scesi frattanto qur ' Demon dal Cocchio ,
Co gli altri arrtici lor sedeano a crocchio.
*** C A N T Gf
XLVI.
E qu«sti, e quelli in rivedersi, festa
Molta sì fero, e più ragionamenti
Tenner fra loro ; strana cosa è questa T
Favellarsi così fra que' tormenti ,
Come lontano da cura molesta
Ne' graditi parlar trattenimenti
Lieta adunanza di persone amiche
Suol di cose recenti , o ver d'antiche .
XLVIL
Plutone, onde Amor fea barbaro gioco,
Sì cheavea gli occhi a doppia fiamma accesi ,
Disse: O Donzella , pria che in questo loca
Qual cagion ti guidò tu mi palesi ,
Che ti si cuocan voglio in questo foco
Cibi date non visti- e non intesi •.
Olà, miei fidi ,s' imbandisca tosto
Mensa di più vivande alesso, arrosto »
XLVIII.
Per la Reggiani pianto errando a volo
Molti Uccellarci van , deformi , e strani.
Son neri tutti, e spirara lutto, e duolo
Con fischj orrendi , ne gli orecchi umani.
A'n negre l'ali , né gli artigli soio
Destan terror, ma ancora i denti immani.
Di Vecchia è il volto, cui d'intorno striscia
Con sue lubriche anella orrida Biscia-,
XLIX.
FieroMastin , che il ladrogiunger veggia ,
Con occhi torvi minaccioso il guata ,
Ringhia , digrignai denti, e il ladro ondeggia ,
Se avanzar debba, o far la ritirata.
Sembra che a quello assomigliar si deggia,
Come in Terra si può, la turba alata»
Questi gli Uccelli* son, questa è la mensa,
Che a la Maga apprestar Plutone or pensa,.
QUINTO. ri*
L.
Del Tiranno al comando ognun s'affretta,.
E senza indugio 1' archibuso prende ;
Cava il cartoccio da la sua taschetta *
E la veloce palla in mano prende ;
Il polverino sul focone getta ,
Attento mira, e l'acciarino tende ;
La scossa pietra il foco suo dissolve,
E vola il foco ad abbruciar la polve .
LI.
L'accesa polve allor la palla caccia-,
Che 1 aer fende, com' avesse l'ale,
Ed una incontra orribile bestiaccia,
Che non aspetta quel destin fatale.
Fere il piombo letal la brutta faccia,,
E cade estinto 1* orrido animale .
Lungi portiamo alfin gli sguardi nostri
Da questi sozzi spaventosi Mostri.
LII.
Fra Stige , e Lete una gran valle siede ,:
Oscura , e tetra , di fetor ripiena .
Di Cerbero trifauce ivi è la sede ,
Di Cerbero, il cui sol guardo avvelena.
A' sei orecchie, e con sei occhi vede,
La tripla bocca d'atra bava à piena ;
E sempre veglia ad una quercia a canto,.
Colà piantata per possente incanto.
LUI.
Tutti i rami di quella , e il tronco tutto
Son duri come duro diamante.
Il tronco, ed ogni ramo è lordo, e brutto.
Di nero sangue, vivido, fumante..
Ricca e di foglia , e non produce frutto,.
Bronzala foglia par, tantoè pesante!
Superba innalza il frondeggiante capo,
eterno ouor de l' infernal Priapo.
ii4 C ANTO
LIV.
S'apre nel grosso tronco un ampia bocca r
Un , dieci braccia , e più , foro profondo ;
Ed anco quindi , qual torrente , sbocca
Gorgogliante, e spumoso, il sangue immondo.
Tutta del caldo umor s'empie, e trabocca
Immensa vasca, ja' non si scopre il fondo ;
Per occulti sentier s' aggira , e passa
In un gran Piume la cruenta massa .
Più miglia è lungo , ed altrettante largo
L' obbliquo letto de Porribil Fiume.
S'aggiran là sovra il fetente margo
Mostri, chej sparger sangue anno costume,-
V è Gelosia , che con pupille d' Argo
Veglia, e d' tmen turba talor le piume ;
V è Superstizion , che il Cielo insulta
Con falso zelo, e fra le stragi esulta,
LVL
Scorre il gran Fiume rapido, e bollente
Per lo calore del Tartareo foco,
Com* acqua bolle presso a fiamma ardente,.
Che il chiuso aer sospinge in altro loco.
Di quel liquor con# mano diligente
Va le pentole empiendo esperto Cuoco ;
Molte vivande entro vi cuoce alesso ,
Esca por non occorre al foco appresso.
LVII.V
Di questo sangue con mirabil arte
Molti formati son manicaretti ;#
Gli estratti suchi il Cucinier riparte,
Che una smania infernal destan ne' petti <*
D' un. libro volge le^ fumose carte ,
Che contien di Cucina i gran precetti .
Composto fu dal pallido Digiuno ,
Che sa i cibi condir meglio d'ognuno .
QUINTO, iti
LVIII.
Mentre si fan gli splendidi apparecchi y
E la Reggia si pon tutta sossopra ,
Plutone, Re de' più cornuti Becchi, #
Prima che i cibi, il vin por brama in opra»
Vuol che si rechin vini forti , e vecchi ,
Dal cui spirto il cervel s' inebbri, e copra.
Tanto parlò d'amor senz' alcun frutto,
Che avea debole il fiato , il labbra asciutto ?.
LIX,
Colei, che prima nei Castello, ov'era
Del Turco Otone dispregiata amaste.
Di libidine ardea , beltàde altera
Divenne a un tratto, e in rifiutar costante,.
A P ardente Pluton volge severa
Il vagheggiato magico sembiante.
La Donna sempre il suo costume segue ,
Pregar chi fugge, e non curar chi insegue..
LX„
Ma sovra un Carro una gran botte viene ,
Ed ampio teschio vien sovra di quella,
Teschio, che sei di vin libbre contiene,
Che di Platon capi già le cervella.
Qual suo bicchier, in man quel vaso tiene
Il Re cornuto de I3 Gente iella . #
Ma in quell'istante alto romor s'intende;
Da gli Elisi un Demon laggiù discende.
LXL
Scende laggiù da la beata Porta ,
Cui sempre aspira il Peccatore, e '1 Giusto;
Ma il Peccator, che troppo incarco porta ,
Salir non puote , e '1 Buon vi sai robusto .
Al Cielo ergendo il voi, fuggia da morta
Spoglia uno Spirto di gran mcrti onusto . .
Questo Demon , che ognor P assalse in Terra ^
la Cielo ancor volcagli far la guerra*
ir<r C A N T O
EXII.
Qual se dopo crudcl lungo conflitto4
Ver la trincea precipitoso corre ,
Cercando asilo, Esercito sconfitto,
Là il vincitor per incalzarlo , accorre ;*
Osa il perfido autor d' ogni delitto
Quello Spirto inseguir, che lo precorre.
Ma il celeste Custode , il vigil Pietro ,
Ritorna , esclama , o temerario , addietro .
LXIII.
Mirate, o voi, cui l'almo Pietro- è guida ,.
Voi , cui triplice serto il erin circonda ,
L'illustre esempio ; a voi le chiavi affida
Pietro del Cielo, e '1 vostro zel seconda.
Il Lupo da l'Agnel dehl'si divida,
Né fra Colombe lo Sparvicr s'asconda,
Né si faccia Pastor mitrato Mostro ,
O Pontefici «ommi, al gregge vostro*
LXIV.
Ma dove mi portai senza consiglio-
.Oltre al confin de la premuta- via ?
Orail fil de'pensier tosto ripiglio ,
E ritorno al cammin segnato pria .#
Parlò di Pietro, e volse quindi il ciglio
A' successori suoi la Musa mia.
Di Pietre- a favellar trassela il folle
Deiuon, che al Cicl vietato alzar si volle,
LXV.
Aperta fu la smisurata bette ,-
E il vìit scese nel teschio in larga vena.
Quelle turbe infernali ivi ridotte
Cercan tutte addolcir 1' eterna pena .
Odonsi poi voci confuse, e rotte ,
De l'ebbro- stuol , che in pie si regge appena v
Strano color tinge quel vin gagliardo ,
Che. non piacer, ma terror desta al guardo*..
•quinto. %m
LXVI.
Misto e il colorai rosso unito stì nero,
X ogni rosso , ogni ner vince, oltrepassa „
Pluro , benché -d' Amore al crudo impero
.Servo si veggia , pur di ber nou lassa .
Ad un sol fiato ei vuota il teschio intero,
E a la botte vicin passa , e ripassa .
S'empie il gran teschio, e in gorgogliante spuma
'Trabocca il vin, che sa di zolfo , e fuma.
LXVII.
Cosi Pluton ricolma il teschio, e '1 vuota
Fin che l' incarco del liquor lo preme;
La Maga ancor quella bevanda ignota
A lunghi sorsi tracannar non teme.
Quando la botte alfin rimasevota,
In rotti accenti favcllaro insieme,
E sojean , come l' ubbriaco suole ,
Vomitar vino, e borbottar parole.
LXVIII.
Di vin così, d'amore acceso, e cMo9
fi fier Pluton l'ora dei pranso aspetta ,
Quasi del suo penar altero, e baldo,
La celeste sfidando alta vendetta.
Non poche pelli il Popol suo ribaldo
(Ornamento ben degno! ) appresta in fretta;
Con queste pelli , in cui fumar si scopre
Umano sangue, molte Mense copre.
LXJX.
Queste le pelli son di Negri , a cui
Ne la torrida Zona il Sol sovrasta ,
il Sol , che col poter de' raggi sui
Tanto in Terra abbruciolli , e ancor non bast3 .
Come pria di lui fuor, dentro or di lui
Quel Pianeta li strugge, e li devasta.
Vivi costoro immersi fur là deatro,
Dx tanto duolo in queir orribil centro ,
US C A N T O
. . LXX-
DI questi , in pena a molti lor misfatti ,
"Trasser la pell« que' Ministri atroci,
Che puniscon rei detti , iniqui fatti,
Ed a l'ira ècì Ciel servon feroci.
Son questi i lini a loco tal ben atti >
Che scelti furo da concordi voci ;
Queste fur le tovaglie, e le salviette,
E- nudi cranj furon le boccette.
LXXI.
De la stessa ^materia rcran compòrti
Gli arredi tutti de le mense ad uso ,
E in bell'ordin su quelle eran disposti
Piatti, eucchiaj, non il coltello escluso,
Non le forchette, e i vasi intorno posti;
Ma il guardo umano ivi riman confuso,
Che niuna cosa il cupo Averno serra,
A cui cosa simil si trovi in Terra.
LXXIL
E se il pie si rivolge a la cucina ,
Altre pentole v'inno, altre padelle,
Altri schidioni di materia fina,
Altre caldaje, grattugie, e gratelle;
Altre palette per la nuova Alcina
Fur poste in opra, ed altre catenelle,
Altri treppiedi ; il mantice sol manca,
Perchè il foco giammai d'arder si stanca.
LXXIII.
11 tempo alfin di quel banchetto giunse;
Non putea l'ebbro Re dal Trono alzarsi,
Ma , perchè di mangiar desio io punse ,
A la mensa rcgal volle accostarsi .
I robusti chinar on^eri ingiunse
Aduo Famigli, e fé colà portarsi.
Gittando un urlo, che spavento mise,
La barcollante Maestà s' assise.
QUINTO. 119
LXXIV.
Ferve a la Maga il vin ne le midolle,
La regge un Servo , perchè incerto à il piede .
A lei s'appresta un seggiolinornolle ,
Ma il calor troppo nuoce a chi -vi siede.
L'avide genti a farsi van satolle,
E l'inquieta turba, or vanne, or riede,
Tutti aspettando il venerato cenno,
Per cui sedersi a quelle mense denno.
LXXV.
Al comando real siede ciascuno
A l'imbandite laute mense intorno.
«Solo a quella del Re non siede alcuno,
Seco è% la Maga in compagnia quel giorno «
Riempion tutti il ventre ior digiuno,
E s'odon fischi risonar d'intorno,
Fischi di gioja , che maggior divenne
Allor che il fin di quel convito venne .
LXXVI.
Pluto s'alzò , quindi la Donna vaga,
"E poscia quei, che avean maggior le corna;
Ma mentre spesso al Re , spesso a la Maga
A coronar le tazze si ritorna ,
L' orecchio di costei poco s'appaga
D| improvviso romor , chela frastorna;
Di cavi bronzi ode armonia molesta ,
Sparati a polve a fin di farle festa.
LXXVIL
Al subito fracasso ella rimase
Come Passer riman , che il Falco vede,
O qual Pacfron , che dal veder sue Case
foglie, del rubator tardi «'avvede.
Alto timor tutta così l'invase, j.
Che da folgor colpita ella si crede;
Par «he fuggir non sappia, e fuggir voglia,
Scossa;, e tremante, come al Vento foglia.
zio CANTO
LXXVIII.
Fuor P occhio sbalza, il pie si tragge indietro,
E in tanto foco ella si fa di gelo ,
La bocca s' apre , e con istrano metro
Fa che 1' Averno ne risu»ni , e '1 Cielo .
Qual se aperto ai suo pie fosse il feretro,*
Ella fa di sua rna.no al ciglio un velo ,
E quel bracco, che preme il petto ignudo ,
A palpitante cor diventa scudo-.
LXXIX.
Stupefatto Pluton rimansi , e mesto
Per lo spavento de l'amata Donna.
Qualmai, dicea , folle timore è questo ,
Che il tuo vigor, il tuo coraggio assonna?
Ov'è l'Ingegno attivo sempre, e desto-.
L'alma viril sotto femminea gonna?
Scoppio Al nera polve è questo suono,
Per cui di Giove io non invidio il tuono.
LXXX.
Bronzi ministri de l'umano orgoglio,
Lanciovvi Pluto da le ripe iaferne,
De' Re gemmati ove s' innalza il soglio ,
Che può in Terra emular V ire superne.
P»r voi d'ogni valor iangue il germoglio,
Per voi dal forte il vii non si discerné;
Tutto per voi si vince, e si dissolve ,
ìson. con arte, o valor, ma co la polve*
LXXXI.
Archibusi, Cannoni, Colubrine,
Per cui tanti scntier Morte s'aperse,
Figli di rabbia, Padri di rapine,
Quante, oh! quante per voi palme son perse!
A quante destre in guerreggiar divine,
Vostre bocche omicide or sono avverse,'
E come una Città fatta sicura
Da ripari esser puote , o da le Mura ?
QUINTO. m
LXXXII.
O de le Genti universal contagio.
Se insorti foste ad infettar il Mondo,
Quando pochi Spartani alor bell'agi®
(Esempio, cui non videsi il secondo )
Seppero a Serse dar tanto disagio,
E regger forti di tal massa il pondo ,
Fuggito ei non saria meschino, e solo,
Ma fatto ai prodi avria mordere il suolo .
LXXXIII.
Se i grandi Eroi , che già pugnaro in Terra,
Pugnato avesser con terrestre lampo, -
Fama loquace non avria di guerra
Cantato mai le varie Imprese in Campo.
Volante fralla , che ferisce, atterra, >
Valor nvn chiede, e non ritrova inciampo;
Può la morte mandar per suo trastullo
Da gl'ignivomi bronzi anco un fanciullo,
LXXXIV.
O Musa mia , se udir volesse alcuno
Da le tue labbra que^ che poscia avvenne ,
Molti eventi prometti ad uno ad uno
Tutti narrar, che il tuo Pensier rinvenne.
Ma troppo rauco suon, troppo importuno
Manda or tua voce, che debol divenne.
Riposo chiedi , e tempra a la discorde
Cetra allentata le stridenti corde.
Fimt dtl Cam» Quitti*
izz
LA MORTE
D'ORLANDO
CANTO SESTO.
ARGOMENTO.
La Maga poi d* Angelica la pena
Chiede a Plutcn , perchè spregi» Magia ;
E di que"* duo^ che la campagna piena
TP istinti fìr : Plutone un Mastro invia .
San ambì in ceppi ; a vel attui li mena ,
Or chi pub dir l' affanna far qual sia}
Co la Donzella entro a Cometa poscia
Veggion gran sose 3 e soffrcn cruda angoscia ,
Ri.
ichiama , o Musa, l'uditor cortese,
E' tempo di cantar quel ch'ai promesso.
Già l'Aurora gentil si fa palese ,
Già il Dio de' Vati a l'Orizzonte è presso.
Di novello vital# foco s'accese
Ogni vivente pria dal sonno oppresso ;
Cantan tra fronda, e fronda i pinti Augelli,
imita, o Muia, il scheggiar di quelli.
CANTO SESTO. *z$
IL
Pastcr, che guida il caro gregge al prato,
1E i pingui armenti a lo scorrente fiume,
Mentre s'asside a la sua Ninfa a lato
Per diletto tra fiori , e per costume ,
Cantar t'oda il poter d'Amore irato,
Sempre ne l'ire sue tcrribil Nume,
E riva intanto a la sua Donna in grembo ,
Oual chi sul lido surger vede il nembo .
III.
La Maga alfin , che a gran vendetta aspira,,
Certa già del favor di Pluto amante.,
Ora che si divide , e si ritira
La clamorosa turba festeggiale ,
Torbido mastra pei bollor de l' ira
L'occhio vivace, il magico sembiante;
Cede al furor, che l'agita, e la sprona 5
Ed al Nume crudel Cosi ragiona.
IV.
Alto Signore, e Principe sovrano
Di me, de la mia Reggia, e de' miei Servi *
Io qui non venni a molestarti in vano ,
Ma la pena a cercar d'uomin protervi ;
E il mio desir punto indiscreto, o strano
Non ti parrà , se i lor delitti osservi .
Giustizia sola ad implorar m'invita
Contro i ribaldi tua possente aita.
V.
Colei s che vedi ne' miei lacci stretta
Starsi col ciglio accortamente basso,
Angelica Visconti in Terra è detta ;
Mover sapria con sue lusinghe un sas^o*
D|Amor ne V arte ella si fé provetta ,
Di lascivi piacer si prese spasso ;
Giovin non è , bella non è , ma destra ,
Ne la scienza d'invaghir maestra .
I %
i24 CANTO
VI.
Se de gli amanti suoi desio ti preme
Il nome udir, tosto saperlo puoi;
Io dirtel posso, e dirlo tutti insieme,
Signor, ponno i miei fidici Servi tuoi.
Ma di costei, che né miei ferri or geme,
Parliam, di quelli parlcrem dappoi.
De l'empia il folle ardir per meraviglia
Ben dee farti inarcar 1' auguste ciglia .
VII.
Al mio Palagio ella per mio comando
Venne, su Tale d'un Demon portata.
Troppo lungo^ saria , se il come, il quando
Dir ti dovessi, e la cagione ingrata.
Sappi che fin co lo snudato brando
Io stessa da costei fui minacciata ;
Ciò sol dico , o Signor , e non ti dico
Quanto il suo m'insultò labbro nemico.
Vili.
Né il sublime poter de la Magia
Dirò quant'ella posto abbia in iscLerno ,
Profano ardir , cui sol ci ed' io che sia
Pena bastante il più bollente Inferno.
Tutta in tue man l'aspra vendetta mia
Ripongo, o Nume , ed il supplizio eterno.
Di te degna, e di me la pena aspetto,
Se pur ti sono ancor gradito oggetto .
IX.
Al mio Palagio duo Guerrieri amanti
Vennero armati per rapir costei ;
Tu s*i , Signor, quanti feritile quanti
Caddero estinti de' Soldati miei.
Ah! se impuniti vanno oltraggi fanti,
Chi più dirà che Re tremendo sei ?
Trova, trova la via, Nume sovrano,
D'averli entrambi ne l' ultricc rnaao #
SESTO. 125
X.
Frcmea Fiuto a quc' detti , e lo stupore
Vedcasi espresso nel feroce volto.
O Donna, disse, non aver timore,
Fien puniti costor , non andrà molto.
Un Diavol , detto Capitan Terrore , #
Chiamò , che il viso avea fra corna involto;
Vanne, gli disse, i duoGucrrier m'apporta»,
Che la mia Squadra anno ferita, e morta.
XI.
Basta, non più per or, non più si canti
D' Inferno , di Demon , d'orror, di# pene j
Fummo abbastanza fra sospiri , e pianti,
Entro a spelonche di dolor ripiene.
Tornerem già di sangue i pie stillanti
A riportar fra spaventose scene.
Più il pensier non ci turbi, almen per poco,
Di quel fcral, di quel terribil loco .
XII.
Seguasi tosto il rio Demon veloce,
Che de' Guerrieri aver contezza io bramo •
Voi , che nel Sol degnaste udir mia voce ,
Meco or scendete , e in Terra assiem torniamo.
Meco a mirar venite il caso atroce
Di quei, che vincitor lasciato abbiamo .
Ma mi trovo così salito in alto ,
Che non saprei come spiccare il salto.
XIII.
Pur cangiar dee Scrittor di varj eventi
Le fila spesso per ordir sue tele ,
Come al vario soffiar d'opposti Venti
Volge saggio Nocchier le gonfie vele,
Come dotto Scultor cangia strumenti,
Sol di Natura imitator fedele ,
Ed or con lima, or con vital scalpello
Tocca, e ritocca questo membro, o quello.
F3
**<£ € A N T O,
XIV.
Convitn perciò che seni* indugio io dica v
Ad Orlando , ed Orfeo quello che avvenne,
E l'uno , e l'altro con somma fatica
Presso al Palagio magico pervenne,
Questo Palagio, di.Piuton l'amica
A duo Dcmon, che corna aveano , e penne.
Al lor cauta fidò che a voi partissi
Co' Servi suoi ver gl'infernali abissi.
XV.
Intorno sempre i vigili Custodi
Errando vanno a la solinga Reggia.
Quando giunger colà veggon que' Prodi ,
Che Io spietato Amore arde, e dileggia.
Fan sì che vinta da inudite frodi
Quella coppia vittrice esser s' avveggia ;
Ajnbi di vetro lanciano due palle,
D'Orlando, e Orfeo su le robuste spaile.
XVI.
Si ruppero le palle in un sci. tratto ,
Ed. usci da ogni palla una catena,
Che strinse lor ( fulmin non. è sì ratto )
E mani , e gambe , e braccia , e collo , e schiena.
Sì che di moto le lor membra affatto.
Rimangon prive, e de l'usata lena.
In tale stato ritrovoUi appunto
L' aUro Dcmon, quando al Castel fu giunta
XVII.
Chi creder mai, chi immaginar potria
Che dopo tante imprese , e tai prodigi,
In ceppi stretta.! e a voi portata sia
Per lo poter di magici prestigi ,
La forte coppia , che arrossir faria
Ogni Eroe de la Senna , e del Tamigi;,
Degaa che al nome suo Fama risuoni ,
E 1& profonda Clio tutti i suoi dosai ?
S E S T Q.. i*r
XVIIL
Ah [ gì' inimici de l'umana schiatta;
Sol deluder potean valor cotanto ;
Que' Spirti sol, ch'eterna colpa imbratta 5
Di tal delitto potean darsi vanto,
Spirti , onde guerra sempre a' Buoni è fatta Y
Che sol s' allegraci di Virtude al pianto,
Come Gufo al mirar da Notte negra
Oppressi i fiori , in rauco suon s'allegra»
XIX.
Sciogliete , o traditor, que' duri ferri ,
E poi reggete a quel feroce assalto.
Sol che disciolto il braccio l'or v'afferri*
Ne gli abissi piombar vi fa d'un salto ^
Ma non fi a che timor vinca , od atterri
Queir alme salde coaic duro smalto ;
Leon feroce, che mancar si senta ,
Mal vivo ancora, il Cacciator spaventa»
XX.
Per debellar tutti i nemici vostri
Fulminate uno sguardo, o grandi Eroi.
Desia sempre tcrror Guerrier, che^ mostri
Kon estinto valor co gli occhi suoi .
L'illustre Pirro, onde a gli orecchi nostra
Fama ancor suona , illustre al par di voi j,
Fé morendo tremar sol con un guardo
Il braccio vii d'un feritor codardo..
XXI,
Ma in van favello a chi già più non m'ode'
Ambi quell'empia li solleva al Ciclo.
D'Orfep, d'Orlando la feroce , e prode
Alma si cruccia in suo terreno velo.
Ilrapitor, che tutto esulta , e gode,
Giunge veloce come lampo , o telo ,
Ricco di tanta preda , a Pluto innanzi y t
Là., donde il piò ritratto abbiane poc'anzi.
? 4.
izS CANTO
XXIL
Musa , per qual destili fra pianti , e mali
Tratti Ja cetra, e squillar fai la tromba ,
Ove d'atroci gemiti ferali
Il vasto Regno «li Pluton rimbomba?
Ma seguir ti convien le perfidiali
Del rio Demon > che ne P Inferno piomba-
Torniam donde partir, donde sperai
Lungi restar più lungo tempo assai .
XXIII.
Vennero dunque incatenati insieme
I duo Guerrieri a l'implacabil Donno,
Che tutti i rei con ferreo giogo preme ,
Quando avvolge Icr salme eterno sonno .
L'ingegno mio dal peso oppresso or geme
Di tanta mole, e i versi miei non ponno
II quadro pinger de' possenti affetti ,
Che a' rivali amator colmaro i petti.
XXIV.
Quadro vivace, che pennel richiede
Tinto a* colori, che Amor mesce, e tempra»
Calde proteste di giurata fede ,#
Sospiri ardenti, in cui Palma si stempra ,
Dolci speranze d'ottener mercede,
Per cui si molce il duolo , e si rattempra,
Ecco qual v' attendea misera sorte,
Per quegli amanti assai peggior di morte .
XXV.
Or ne dirò quel che ne posso dire,
Né di tai pene ignaro io son del tutto ;
Anch' io soffro d' Amor crudo martire ,
E sono alquanto in quella Scuola istrutto ;
Avvampo anch'io di fervido desire,
Che in me germoglia, e non produce fruCto.
Serbi ciascun quel saggio detto in mente :
„ Deh! non parli d'Amor chi Amor aon sente".
SESTO. no
XXVI.
Que\ che vidcrsi a* pie cader trafitti
(Cosa stupenda ! ) tanti Mostri in Campo,
Ed atterriti fcr pria che sconfitti , ♦.
Molti fuggir de 1' armi loro al lampo, #
(Oh! come anco gli Eroi famosi, invitti ,
Ne le pugne d'Amor trovano inciampo!)
Sentono allora per l'amato oggetto
Di tema ignota il cor balzarsi in petto.
XXVII.
Chi li vedesse pallidi , e tremanti
Star presso a lei , che tanto amaro in Terra ,
Quelli non già li crederia, che innanti
Celebrati così furono in guerra ;
M3 i più codardi , e timidi fra quanti
Da l'uno a l'altro Polo il Globo ferra.
Come fdttciul, bagnan di pianto il ciglio
Ambi al mirar d'Angelica il periglio.
XXVIII.
I singhiozzi, isospir, gli sguardi incerti,
Or volti al suolo, ed ora a la Donzella ;
Spesso a querule voci i labbri aperti ,
Accusando il rigor d'avversa stella ;
E de le braccia , che son fatte inerti,
I vani sforzi , onde abbracciar la Bella ;
E il cangiante lor volto, u' si discerne
li fier contrasto d'aspre lotte interne:
XXIX.
Indizj son di quel tormento estreme ,
Con che strazia quel!' alme Amor tiranno.
Ma fin che i pianti di costoro udremo,
Non mirerem d'Angelica l'affanno.
Con quali actenti il suo dolor potremo,
E le angoscie mostrar, chela sen le stanno t
Or che fra ceppi Orlando , e Orfeo rimira,
Vittima fatti di Plutone a l'ira?
F <
irjo C A, R X Q
XXX.
QuegU occhi neri, e lucidi, che il piaatoj
Adombra , e copre , come nube il Sole ,
Ben san con girar lento esprimer tanto
Quanto esprimer potrian molte parole.
Ma come far di nube il raro ammanto
Più caldo il raggio del grand' Astro suole ; .
Fiamma così , che da' begli occhi scoppia ,
Si ravviva in quel pianto , e si raddoppia,
XXXI.
Ove son l'ore, che su verde sponda.
Pascea lo sguardo in que' vivaci lumi ,
Diceva Orlando, presso a limpid' onda ,.
E meco stava il più crudel fra' Numi ?
Sussurrarmi pietosa udia la fronda , ^
livellarmi d' Amor ruscelli , e fiumi.
Ah !-chi pensato- avria che tasta poscia
Provar dovessi , e si crudele angoscia ?
XXXII.
Spietato, Amor , la ricompensa è questa .,_
Qa te serbata a chi tcdel ti serve?
Dunque a' puri amator pena s'appresta,
Che degna è sol d'immonde alme, proterve ?
Dunque ne' Regni tuoi contento resta
Sol chi leggier di vario foco ferve?
Ah hsc ia vita di colei disprezzi,
ì migliori tuoi dardi , Amor , tu spezzi .
XXXIII.
Le dolenti sue voci in simil forma t
Orfeo spargeva , e a' lor vani lamenti 3.
Come d? 'alto dolor seguace torma,
I sospiri, i singhiozzi eran presenti.
Quel tristo suon dolce concento forma
Pel fero Pluto , e moke i suoi tormenti;
Son le gioje , i piacer , pena per lui ,
Sao fletto gli atfanni3 i pia .uri ajtriù».
S E S* T 0\ ftp
XXXIV.
Se alcun, disse , colmar di gioja il petto,
Ninfa vezzosa, ed allearsi dcbbe
A'ilor che giunto in suo poter l'oggetto
Ravvisa alfin, che tanto pria gl? inerebbe ;
Or che son tratti al mio real cospetto
Gostor, su cui sfogo ih furor non ebbe,
Esserne debbe la tua gioja immensa ;
Gioisci dunque, e. a la vendetta or pensa.
XXXV.
Siccome i rei , tutta è in tua man del pari
De' rei la pena-, e di Jor folle orgoglio.
Se i detti miei non ti saran discari,
Opportuna vendetta offrir ti voglio.
Ma pria che a favellarti io mi prepari,
T'accerto, oDoana, e mai mentir non soglio^
Ghe legge aver le brame tue non denno j
Libera scegli, e sarà legge uà cenno -
XXXVI.
Un vecchio Professor d'Astronomia,-
Ghe assai nel Mondo celebre divenne >-.
Molto parlottimi- di Geometria v
Fin eh' a ie sezion del Cono venne.
Su quelle Curve in lunga diceria
I problemi narrò, ch'egli rinvenne.,-
E varie cose su' duo fochi disse ,
E l'asse doppio de l5 incerta Ellisse,..
XXXVII.
Di che parlando, favellommi ancora
De' Globi immensi , che aggirarsi intorno
A questo Sol, che il Mondo avviva, infiora.,
E de le pene in sé chiu^ il soggiorno,
Di vaste Ellissi entro al confine ognora
Vcggiarn, seguaci di brillante giorno ;
Al Sol , cui d'Herschel dotto il vetro acuto
Con. novello. Pianeta offre un tributo.
Fó
i$2 CANTO
XXXVIII.
Questi armonici , immensi , obbliqui giri
Sol d'Ellisse àn la curva, e la figura i
Curva, che io tutti variata miri
Dal possente Motor de la Natura .
Par che^ ogni Globo ad accostarsi aspiri ,
Che d'intrecciar le Curve ebbe ilCiel cura;
Ned: chiamati son gli opposti punti,
Da cui questi sentier sembran congiunti.
XXXIX.
D' altri Pianeti favellarmi pure ,
Che detti son Comete, il Mastro \oììc\
Crcdeansi un tempo presagir sventure
A' purpurei Tiranni, e al Vulgo folle.
Segnan pur queste ellittiche figure,
Ma Spazio^ immenso al guardo uman le colle ,
E sì lungi dal Sole errando vanno ,
Che per Secoli interi ascose stanno,
XL.
Pur, benché molto si dilunghili, sono
Tutte congiunte al gran Sistema stesso,
Ed in un foco lor , siccome in Trono,
Soltanto al Sol fu di seder concesso.
L' irradiante Re lor presta in dono
La coda, il crin, quando gli stanno appresso ;
Densi vapori, che l'ardente luce
Spinge , e rischiara, e coda , e crin produce.
XLI.
Se piace a te che gli empj tuoi nemici
Una Cometa ad abitar sien tratti ,
Splender sempre vedran giorni infelici,
E nel Verno di g.-i saranno fatti;
Ne 1' Estate dovran le fiamme ultrici
Provar del Sole, e quasi ficn disfatti ;
E vivi sempre in «juell'orribil loco,
Mtortc nel gel vedran 3 Morte nel foco.
&. E S T O. 133
XLII.
Qwesta fu di Pluton l'alta sentenza,
Che da Ja Maga fu con gioja accolta;
£ con Orfeo da la real presenza,
E con Orlando, Angelica fu tolta >
E si trovar per magica potenza
Tutti a voi trasportati un altra volta %
Jeguiamli ornai; punto indugiar non lice,
E con Piuto lasciam la Meretrice .
XLIII.
Si ritrovàro in una gran Campagna
Piena d'oscurità , d' orror ripiena .
In copia scende a queli' orror compagna
Gelida neve, onde la terra è piena .
Quella neve s' addensa , e si ristagna
Sì che dal ghiaccio si discerne a pena.
Esce fischiando dal pietroso ciaustro
Minaccioso a lottar Borea con Austro .
XLIV.
Chi fia,che l'aspre accenni a ciglio asciutto*
Di quel, cadente gel crude^ percosse ,
Che il gentil corpo fean livido , e brutto ,
E le candide membra , o negre , o rosse ,
D'Angelica sepolta in tanto lutto,
Senza che Morte almen ristoro fosse ?
Tutti dannati sono al rio martire
Di soffrir sempre, e non poter morire.
XLV.
Ah! non fumin più, nò, de' nostri incensi
L'are d'Amor abbominate, immonde,
Se offrir le fiamme sue tali compensi
Sogliono a l'alme da ogni vizio monde.
Qual Donna fia, qual Uom, che stenti immensi
Voglia soffrir, come Nocchier fra l'onde ,
Se perir dee da la procella assorto ,
Se ognor dispera de l'amico porto?
c$4 & ^ N T O
XLVI.
Prodigio è beri) se Angelica, e- gli amanti?
Su quel gelo arrestar possono il piede.
Volgono i passi incerti ,t e vacillanti ,
Ma il guardo -attento asilo alcun non vede .
Orma non v' à di belve, o dubitanti ,
Che a tanto affanno , e duol prestin mercede J„
E quei Verno crudel tanto gli preme,
Che d'innoltrarsi ancor perdon la speme..
( XLVII.
Fra tanto spazio ajfine alto Palagio-
Vider da lungi torreggiar superbo.
Ivi sLtrasser, ma con gran disagio,
Che già perduto a vean l'usato nerbo.
Speravan là, se non ristoro, ed agio ,
Soggiorno almen trovar non crudo, e acerbo v.
Un uscio, poi scopersero in un lato,
Tutto di punte stranamente armato .
XLVIII.
Orlando allor ( poiché le membra sciolte
A tutti furo in quel soggiorno ignoto)
La spada strinse, ed assalir più^ volte
Le punte osò, ma vanno i coJpi a voto.
Anzi quel brando, che per molte, e molte
Opre famose, in Terra tanto è noto,
Non regge a l'urto, ma il Destin funesto
Fa che si spezzi al quinto colpo, o al sesta.
XLIX.
Da quel Palagio, che somiglia a Tórre,
La cui base, fra il -gel tutta s'ascoisde,
Voce s' udìo sonori accenti sciorre
Da q-ueile cieche làtèbre, profonde.
Un , che più vecchio d' Ecuba , o Nestorre ,
Sembra al sembiante, alto rispetto infonde.
Molte , e molte costui porte solleva
Qin una Iwnga, e resistente leva,.
S E S T O, p ?
L.
Del labbro suo da loco oscuro., e basso,
Qual di mugghiente Bore, ìlsuon rimbombar
Infelice, chi sei, che poni il passo
In questo orror , in questa più che tomba?
Che cosa è mai P insolito fracasso ,
Che sovra orecchie intorpidite piomba >
Perchè vieni a turbar quell'alto sonno,
Quel silenzio total, eh' è nostro Donno?'
LI.
Tace, sì detto > quell'incognito Ente,
E per Paltò sopor ricade in terra ;
I detti più , più non ascolta,© sente-
Lor calde preci': ogn' uscio si riserra.,
Suolecosi ne la stagione algente
Neghittosa giacer Talpa sotterra.
Angelica, ci Guerrier con nuovo assalto
Vorrian destarlo, e spiccar- dentro un .salto»..
LII.
Con quei, che. al suolo sparsi eran, frammenti
Di quel suo ferro, ancor le punte invade
Orlando, e vibra i colpi suoi possenti,
Quello che accade pria, di miovo accade.,
Aprono lunghe leve, e resistenti
Le varie porte, e da profonde strade
S'ode una voce uscir tremenda, e strana^.
Molto diversa da la voce umana.
LUI.
Non^ aspetta no Angelica, e gli amanti
Che più s' abbjssin P innalzate porte,
E. fra gì' inerti incogniti Abitanti
Pensano un salto far con alma forte .
Come scende Sparvier sovra i tremanti
PiCcion presaghi di funesta sorte,
Scendon- veloci ne l'aperto Abisso,
dicendo : Abbiàm già di morir prefisso v
13* CANTO
LIV.
E se vivi restiam , d'avverso Fato
Fuggiamo i colpi , e la procella orrenda .
Saltano, e Morte loro stassi a lato,
Ma non cosi ch'essa gli tocchi, o prenda.
Benché di ferro il corpo abbiano armato,
Sembra che lieve sol piuma discenda .
I corpi quivi non sospinge , o regge ,
Come fra noi , di Gravità la legge .
LV.
Le porte al venir lor si riserràro ;
Oscuro è il loco, e stretto, e basso, e chiuso,
Lungo quant' occhio vede, e poco chiaro,
Perchè raggio di Sol mai vi s'è intruso .
Soltanto splende fioco lume , e raro ,
Che indistinto ogni oggetto offre, e confuso.
Quel , che tutto rischiara , è un Arbor grande ,
Che i lunghi rami in ogni parte spande .
LVL
Di languido chiaror tutto è vestito
II grosso tronco, e i frondeggianti rami,
Chiaror, che al sonno^ con tacente invito
Par che tutti i# viventi alletti, e chiami.
Così, d'esca vital lume sfornito,
S'altro umor non l'avvivi, e noi richiami,
Al dubbio passeggier pallido splende ,
Mentre l'ombroso vel Notte distende.
LVII.
Mira Angelica iltutto a bocca aperta,
Son di stupor colmi i Guerrier gagliardi ;
Ogni cosa in quel loco è una scoperta
Prodigiosa , ed ignota a' loro sguardi .
De gli Abitanti il corpo è tal, che merta
Chead osservarlo più non si ritardi.
Patitamente mei dipingi , o Musa .
Ma sento alcun, che di mentir t'accusa .
SESTO. 137
LVIII.
Ad alta voce rinfacciarti ascolto
Che de l'altrui credenza abaso fai,
Ch' esser non puote il pie libero, e sciolto*
De'Guerrier, si che non assonnin mai ;
Mentre quivi in sopor ciascuno avvolto
Giace, del Sol quasi obbliando i rai .
Ma risponder tu dei che effetto è questo
Del tiranno di Pluto ordin funesto .
LIX.
Fero a ciascun le rime tue palese
Del rio Pluton la volontà feroce;
Ei vendicò le ricevute offese,
Di quel soggiorno co la pena atroce.
Perciò sopore i membri lor non prese ,
Perciò sorda fu Morte a la lor voce ,
Acciò geman colà senza ristoro
De l'aspro Verno nel crudel martoro .
LX.
Di quegli abitator dura è la pelle
Siccome quella del famoso Orlando ,
O d'Achille, il cui nome infra le stelle
Il cieco Vate sollevò cantando.
E pelle tal ben si conviene a quelle
Genti , che tanto erran dal Sole in bando ;
Onde lor fluidi interni abbian soccorso,
Cui gelid'aura arresterebbe il corso.
LXI.
Veste non àn , che a la station severa
Offra riparo, ed alti son due braccia.
>An nere chiome, e corte, e barba nera ,
Tristo ornamento di più trista faccia .
Non vede alcun di lor mattina o sera ,
Sol densa Notte al lor pensier s'affaccia.
Pietoso il Ciel, che li fé nascer ciechi,
L«ro ascose l'orror di quegli spechi.
rj8 C A N T Q
LXIL
Poco s' innalza su la faccia il naso -,
E no» isporge più che un mezzo dito,
Molto sotto: a la fronte è largo , e spaso ,
Scende a la bocca , e in punta iti è finito .•
In ambo i sessi è tutto, e non a caso ,
Di folto pelo il ventre, e 51 sen fornito ,
E sparso ovunque denso pcl^ si scopre ,
Che bracciale gambe, e pie circonda, e copre.
LXIII.
Di bocca in vece à il maschio un foro, cinto
Da pelle tal, che si prolunga, e striage ,
Qua 1 Cono appunto , e il Cono entro al recinto
Di questo foro la sua base spinge.
L'umor, che désta jl lusinghiero istinto,
Con cui Natura a riprodur sospinge,
Quivi è riposto, e vescichetta il chiude,
Che eoa valvula s'apre, e si richiude.
LXIV.
A' la Eemmina. un membro-, che si stende,,
E in quel Cono maschil penetra audace ;
L' umor Tn* assorbe , e questo umor discende
De V inerte a turbar Germe la pace .
Chi di Falloppio ricercar pretende
Le tube, e l'alvo, dove il Feto giace,
Nel ventre nò, ma vedrà, questo , e quelle:
Ove stanno fra noi denti, e mascelle.
LXV.
Oh! sempre grande, e ne' segreti tuoi
Profonda sempre, immensa, alma Naturai
Quel che fai, quel che pensi, e quei che puoi*.
Mortai superbo in van^ saper procura.
Madre sei di portenti ignoti a noi,
Proteo sei tu, che ognor cangia figura..
Chi mai formarsinel pensi€r potea.
E>i tali sessi la bizzarra idea?:
S E S T O. 139
LXVI.
Trcggi , traggi quel vcl , che a vista umana
Mille, e mille opre tue ricopre, e cela ;
Tua possanza dimostra, e l'arte arcana
De' tuoi lavar sublimi alfin ci. svela .
Ciò che a scoprir la mente nostra è vana , ,
A P occhio scrutator offri, e rivela,
Come ad alto Sipario, appar ripiena
Di sparse faci la dipinta scena .
LXVII.
Tanti ingegnosi Pensatori illustri,
Ghe ricolmaron d'olocausti dotti
L'are tue sacre, e a te di studj industri
Tributo fero , e di vegliate notti ,
Mertan che alfin tu le tenèbre illustri ,
Che alfin sieno i Mortali al Ver condotti ,
Ne più celi Ignoranza aspra, e proterva
I miglior tuoi tesori a chi t'osserva.
LXVIII.
Mille inviluppi , labirinti , abissi
Togli, fra cui PUom si smarrisce, ed erra,
E non sa dove il pie mal fermo ei fissi ,
E in tanto Mar non sa qual" sia la terra.
Ma gl^ sguardi profani al suolo arfissi
Non mirin , nò , ciò che ij tuo Tempio serra ,
Ne si veggian strisciar sozzi Colubri
Né penetrali de' tuoi gran Delubri.
LXIX.
I dotti sol .... ma basta, or io ritorno
À la Cometa, in cui vedemmo il sesso,
De gli Abitanti: dove fa soggiorno
Lingua, e palato in quelli , avrem l'accesso.
Lingua, e palato a Pumbilico intorno
Si stanno, e i denti al basso ventre appresso,.
Sì che qualor non li fa muti il sonno,
Ventriloqui nomar tutti si potino .
i4o CANTO
LXX.
Dal corpo informe lor, che sembra imi tronco»
Escon le braccia ad un girar di ciglia ,
Quando lor piace , e il braccio corto, e monco,
Or s'arresta, or si mueve a meraviglia.
S'asconde spesso, e par reciso, e tronco,
Nel crudo Verno, e il moto poi ripiglia,
Come, qualora urto, o periglio fugge,
Nel duro guscio Chiocciola rifugge.
LXXI.
Signor, diceva un misero abitante,
Che al novello romor erasi desto;
.Sempre ascose serbiamo, e braccia, e piante
In questo Verno rigido, e funesto.
Fin che il benefic' Astro , or sì distante ,
S'appressi, e scacci il rio sopor molesto ; ^
Che ci scaldi, e sviluppi, e mova, e irraggi »
L' alta virtù de' suoi cocenti raggi .
LXXII.
Mentre di gelid'aura il soffio avverso
Domina , regna ,impervertiscc, infuria,
Vittimesiamo di Destin perverso,
Copia di male abbiam, di^ ben penuria •
Certo di Pluto contro noi converso
IMI braccio, o «quelto di spietata Furia.
Miseri noi , se a' nostri membri il Cielo
Non prestasse un rifugio in tanto gelo!
LXXIII.
La vita nostra è da letargo oppressa ,
E tutta quasi d' ogni senso è priva ;
La gioja è sol ne' volti nostri espressa
Qualor comincia la stagione estiva .
D'agire alior ciascun di noi non eessa,
Par che s'animi allora, e che riviva ,
E. le membra ciascun valide, e pronte
Serba al piacer, che de la vita è fonte.
SESTO. 141
Lxxiy.
Aìlor che in somma vicinanza al Sole
Questo Pianeta in su© girar ci porta,
Tanto è l'ardor, che il maggior Astro suole
?ra noi destar, che morte a tutti apporta.
Giacciono allor Tossa spolpate, e sole,
E le ceneri poi l'aura trasporta.
Denso vapor, cherare fassi , ed esce ,
Col ccner nostro in coda, e crin si mesce .
LXXV.
Tutti periam, ma i figli nostri avvolti
Fra le pareti stan di dura scorza ,
Che dei sommo bollor di molti, e molti
Anni resiste a la terribil forza .
Vanno da quella poi liberi , e sciolti ,
Il vampo struggitor quando s'ammorza;
Rompe la^ prole il guscio, e vita serba
Fin che ritorna la stagione acerba.
LXXVI.
Favella ognuno allora, e s'alimenta,
Ma in quella prima età voce gradita
Mai non avvicnchc in sé conosca , o senta,
Con cui Natura a riprodur c'invita.
Lo stimolante umor, che ci fomenta,
T\ ministro il Piacer fa de la vita ,
Giammai Natura in noi produce, e ferma ,
Se assopito ciascun prima non dorma .
LXXV1L
Sempre al nostro morir, al nascer nostro
Vario stuolo compagno, e muore, e nasce
D' altri Viventi , che or io sguardo vostro
Non vede , e quello stuol tutti ci pasce.
Avvi talor qualche feroct Mostro ,
Quando, stemprato il gel, tutto rinasce.
Forse turba minor non si rinserra
D'esseri qui, che su la vostra Terra.
i4* CANTO SESTO,
LXXVIII.
Dopo questo parlar colui s' immerse
Ke 1' usato sopor alto , e profondo ,
E cogli amasti Angelica a diverse
Parti si volse de P ignoto Mondo.
Tutti al fuggir le menti avean converse ,
E il Ciel mostrossi a' voti lor secondo .
Taccia per or di più saper la brama ,
Che J' obbliato Ulisse a sé mi chiama.
Win* 4*1 CaftU Stste i
*4ì
LÀ MORTE
Df ORLANDO.
CANTO SETTIMO.
ARGOMENTO.
isabella gentil , che quasi uccisa
"Da Ulisse fu ì l' abbraccia , e lo conforta $
Il nodo stringer nuotai divisa
Nel Franco suolo , ed a partir /' esorta .
Salpano in' agii legno y Amor s* avvisa
Turbar gli amanti , e gran procella ì insorta ,
$*; />W/ ;7 /*c** ; resta Ulisse vivo
Ccn Fior diligi , / d* Isabella i priv* .
c i.
Odegni, risse, vendette, e gelosie,
iospecti , otte se, sconoscenze, ed onte,
Crudeltà , infedeltà , trame empie , e rie,
Sempre , quai mine ascose, a scoppiar pronte >
E di bell'alme, al mal oprar restie,
Vane querele al piano sparse, e al Monte;
E solo, ingiusto Amor, per tuo comando
Il Vizi© in Trono, e la Virtudc in bando:
i44 CANTO
IL
De la possanza tua gli effetti questi ,
0 Nume,$on, meravigliosi, e strani;
Son de gli strali tuoi colpi funesti ,
Con cui godi squarciar gli animi umani.
Impudici talor fansi i modesti,
Falsi i veraci , ed i prudenti insani,
1 pietosi crudei , feroci i miti ;
Ciascun per te cangia costumi, e riti.
III.
Ben di tua crudeltà narrare or voglio
Pruova "tremenda , che tacer non posso .
Voglio narrar l'asprissimo cordoglio,
Che del più fido amante à il cor commosso,
Fido amator, che dal tuo ferreo Soglio
Mai, per volger di tempo, à il pie rimosso.
Che premendo il sentier da te prescritto,
Sol da te fu condotto a gran delitto .
IV.
D* Ulisse parlo , e de la giostra , in cui
Venne col Duca a sjngolar battaglia .
Colei, che adora, ti riconobbe in lui,
Sotto spoglie mentite , « ferrea maglia ♦
Veder vinta, atterrata a' piedi sui
Beltà , cui niuna al guardo suo s'agguaglia ,
Vedersi in atto di ferirla ei stesso,
Da 1' aspro duol fa eh' ci rimanga oppresso.
V.
Qual da fulmin percosso, ei cade al suolo,.
Indi sparge lamenti , e prieghi , e pianto,
E in mille forme il lacerante duolo
Fa palese a colei, ck'egli ama tanto.
Ella , qual favo, che P assiduo stuolo
D' Api stillante fé di mei cotanto,
Versa dal labbro suo favella dolce ,
Che il vinto YÌncitor rinfranca , e folce.
SETTIMO. 14,
VI.
Sorgi, mio ben , disella, e ti conforta ;
Di pianger no , ben d' allegrarti è tempo ,
La Donna, che ciascun credea già morta ,
E viva, e salva, e tua pur vedi a un temp© .
Oh! felice battaglia, che m'apporta
Cosa, che tanto ò sospirato un tempo,
E di che non ardìa serbar più speme!
Or lieti ailìn ritorneremo insieme .
VII.
Ambo innocenti siamo, o pari è il fallo.
Se fallo v* à#, che involontario sia;
Ambo 1* armi stringemmo in questo vallo,
Men che tua destra , non è rea la mia .
Cercando al mio dolor qualche intervallo,
Co P elmetto, e l'usbergo errando io già ;
Fra perìgli lasciar volea la vita,
Che senza te non m'era più gradita .
Vili.
Or che la sorte con si strano mezzo
A te mi guida, per cui solo io vivo,
Mentre il mio core a tanti affanni in mezzo
Sempre languia , d'ogni conforto privo;
Qual chi di career toltoal lutto, al lezz»,
L'ampio, sereno Ciel mira giulivo,
Sì lieto istante appieno io goder voglio;
Deh ! non turbarlo tu col tuo cordoglio . -
IX.
Con tai querele un fido amante accoglie
La Donna amata, che al suo sen ritorna,
Poi che molt'anni rinverdir le foglie
Vide, e di spiche andar Cerere adorna >
Da lei diviso, che pudica Moglie
Farsi sospira or che con lui soggiornai
Forse vorrai con bgrimoso volto
Sveller quei iior, che a te serbai non colto?
G
i*6 C A N-T" O
t X.
Al suon gradito de' soavi detti
Calmossi alfin 1' amante d' Isabella
( E' questo il nome suo) taccion gli affetti,
Che tal d' Ulisse in cor mosser procella.
Corri' un, che morte da' fucili aspetti,
Riman , se de la grazia ode novella,
Penetrato così da meraviglia ,
Inarca Ulisse a quel parlar le ciglia.
XI.
Ma poscia ii pianto a lo stupor successe,
Pianto , non più di duol , ma di contento.
Sul vago labbro ei caldi baci impresse,
Che a render mai non fu quel labbro lento .
Tosto al suo core ardente strai diresse
Lo scaltro Amor nel lusinghier momento, i
Son le fiamme d'Amor sempre vivaci,
Miste a teneri amplessi, a caldi baci.
XII.
Com* olio, carta, pece, o suco estratto
Da distillato fior, o pianta , od erba,
Cade un liquor la Chimic'arte à fatto,
Che per delizia , e per odor si serba ;
Arde in un punto , e si consuma allatto
lotto il poter di fiaccola superba,
O come , se del Sole i rai riceve ,
Tinta si stempra , e liquefa la neve :
XIII.
Così l'ardor de l'infocato dardo,
Del fido Ulisse il core accende , infiamma ;
Le parole, i sospiri, il volto, il guardo,
Tutto palesa l'amorosa fiamma.
Non sì veloce di Leone , o Pardo,
Fugfe il noto ruggito, o Cerva, o Damma,
Come serve ad Amor le due bell'alme
Fuggon di Marte le cruente palme .
SÉTT I M O, i4?
XIV.
Non più dì pugne al dubbio evento a spiY-a ,
Me di giostre favella il buono Ulisse,
Ma dei sommo piacer , che Amore inspira
JNel sacro nodo, che Onestà^ prescrisse .
Perch' egli , ed Isabella avriano in ira
Di trarre il giglio, onde Natura il fisse,
3E che di Donna è il più pregiato fregio,
Con man, che apporti onta a l'onore, e sfregi© ,
Ulisse Turco fu ; di Maometto
poscia il culto lasciò pel culto vero;
Seguì la Croce , ed ogni suo precetto
Con piena fede , ed animo sincero .
De l'amata Isabella ij vago aspetto,
Il pianto, i detti suoi tant'opra fero.
Chi detto avria che fatto avesse acquisto
Beltà terrena d'un seguace a Cristo >
XVI.
Quelle giostre durar parecchi giorni
Fra liete danze , e dilettosi giochi .
Cavalier v' accorrean , di lauri adorni ,
E da lontani , e da vicini iochi .
Ma nel vegnente dì, prima che aggiorni,
Di festevoli al suon plausi non pochi,
Parte V amante coppia, e in agii Legno
Da P Egitto si volge al franco Regno .
XVII.
Sta d'Isabella in Francia il patrio suolo,
Ove Imene agitar dovea sue faci.
II vasto Nilo pria varcan di volo,
Che le terre far suol tanto feraci.
Entran poscia nel Mar, che fu di duolo
Spesso cagion pe' scogli suoi fallaci,
Da varie Terre circondato , e stretto,
E fu perciò Med:UrrA?te* detto.
Qx
148 C A ti T O
XVIII.
Ma il crudo Amor, che sol s'allegra , e gode
L'alme in veder da Sorte avversa oppresse,
Come se gloria a sua possanza , e lode
Solo apportar la pena altrui dovesse ;
Va meditando» o per forza, o per frode,
O per destro parlar, se mai potesse
Al periglio esultar di questi due.
Che scodo son de le ferite sue.
XIX.
Nudo, se non ch'avea l'arco, e gli strali^
E di ricciuto crin gli omeri sparsi ,
Ei scese allor di Zeffiro su V ali ,
5 parve l'aura più serena farsi.
Il feritor de' Numi , e de' Mortali , #
Vide sotto al suo pie l'onda squarciarsi.
Per riverenza si diviser l'acque,
Memori ancor dsi dì , che Cipria nacq»€.
XX.
Scese veloce a la sonante Reggia
Dei glauco Nume, che il Tridente scuote.
Gli sorride ciascuno, e io festeggia,
Che a tutti son le sue sembianze note.
Stringe allor la Nereide, e la vezzeggia,
Vecchio Triton, che più tentar non puote,
E il muto abitator , che Amore attizza ,
Per desio del piacer festoso guizza .
XXL
Fu da Nettuno il picciol Nume accolto ;
Ei fra le braccia il prese , e carezzolio ;
Ed Anfirrite accoglimento molto
Fègli , e corona de le braccia al collo e
Delusa poi dal fanciullesco volto ,
Di dolci frutta il volea far satollo.
Nò , nò, rispose Amor, vivosoltanto
Di baci ardenti , di sospir3 di pianto .
SETTIMO. 149
XXII.
I O de l'onde Signor , disse a Nettuno ,
>a te spero ottener quel eh' io domando;
ntervailo fra noi non avvi alcuno ,
4ume sei, Nume sono , anch'io comando.
jlura , onde , e suolo io ne'rniei Regni aduno ,
/olan gli augei, nuotano i pesci amando;
\mano l'erbe, i fior, le fronde, i tronchi...
ivla intempestivo favellar si tronchi.
XXIII.
Quel Legno vedi , che 1* azzurro dorso
Preme del Mar; gli spira il vento in poppa:
Ai Franchi lidi esso rivolge il corso
Veloce, qual Destrier, quando galoppa.
Prestar mi dei tuo valido soccorso,
Tanta a turbar felicità, eh' è troppa.
Felicità, per la cui dolce calma
Lsngue , e si spegne il foco mio ne l'alma.
XXIV.
Signor, qual sempre il miocostwme èstato >
Per pruova appieno tu sapesti , e sai ,
E ti dei rammentar quanto à costato
Anfitrite al tu© cor , quel che fatto ài .
Un Delfino da te fu collocato
Fra gli Astri , e cinto di vivaci rai ,
Perchè di quello il mostruoso dorso
Seppe a' desiri tuoi prestar soccorso.
XXV.
Or che a que' duo Fortuna amica arride 3
Vo'si lieta domar coppia superba,
Vo'che sua sicurtà fra 1' onde infide
Smarrisca alfin , che follemente serba .
Sappia eh' Ilio costò meno ad Atride ,
A Cesar di Pompeo la morte acerba ,
Men tante palme ad Alessandro, e tante,
Ch1" io fò costar Tesser felice amante.
G 3
ifo C A NT 0
XXVI.
Per tuo cenno, oSignor, dunque s' innalz*
De' Venti al soffio un improvviso nembo;
Massa d' oscure nubi il Sole incalzi ,
E i 1 celi poi col procelloso grembo .
Nunzia del tuono , la saetta sbalzi
Da quelle nubi, e ne serpeggi il lembo;
E il Mar sommosso l'agitate spalle,
Ora in Monte sollevi , or apra in Valle.
XXVII.
Non più, disse Nettuno (e il gran Tridente
Scosse , e tutto tremar fé l' Oceano . )
Va, che# su' Venti ancor- tu sci possente;
Schiudi il carcere lor con la tua mano .
Fer mio comando a quello stuol fremente
Frenar lo. sdegno imponi , e *1 soffio insano ,
Fa che seguace a te, giunto al mio soglio,
Tranquillo- accolti, ciò che dirgli io vogHo»
XXV/IL
&€lo parte , e co*' vanni Amor veloce
Remeggia appresta, e solca il Mar profondo.,,
Dopo breve sentier romore atroce
Sente , onde suona de gli Abissi il fondo
Ivi s' asconde il Popolo feroce ,
Che scuote* spesso i cardini del Mondo.
Non teme il Nume Arcier^ tanto fracasso ,
3E là rivolge audacemente il passo.
XXIX.
Vieta P ingresso, di queli' antro oscuro >
Che i Venti chiude , ferrea porta antica .
Ma vuole Amor, del suo poter sicuro,
Quella porta atterrar senza fatica .
Un dardo vibra, e qual si stempra il duro
Ghiaccio a' raggi del Sole in piaggia aprica ,
La porta ceàc : Amore in brevi accenti #
Pi Nettuno il comaado espone ai Venti,
SETTIMO.. *$.*
XXX.
V usata benda non copria Ja faccia
Del Nume allora, e il cavernoso loco* "
Ei desia di veder, ma non s'affaccia
Lume di Sole a lui, d' Astri y o difoco.
Notte feral quelle caverne abbraccia,
Notte mista a quel suon tremendo, e roeo
Nulla discopre Amor ; di ferri H suono
Ode soltanto, e un muggir pari al tuono,
XXXI.
Ma rlDio,che i tronchi, i sassi anima e muove
Più che far non potrian magiche voci;
Che spegner puote il folgore di Giove»
Svolgere i Fiumi da le usate foci ;
Quelle importune tenebre rimuove
Con un de gli aurei suoi dardi veloce
Egli accende lo strai su la faretra,
Oual zolfanello su focaja pietra»
XXXII.
Fio che ?hcque té Autor , fame vh^c-t
Sparse quel dardo, e tutta estinte a un tratta
Freccia di piombo la destata face ,
Freccia, che a l'aureo strale avversa è affatto.
Con essa Amer calma ridona , e pace ,
Per essa un amator nemico è fatto.
Fece colà, come in umano petto,
Quella plumbea ministra, opposto effetto.
XXXIII.
Ma di ciò favellar più non occorre .
Volgiam lo sguardo a 1' orrido soggiorno»
A quell'antro cioè, prigione, o torre,
Ove Amor trasse dal suo dardo il giorno;
Ed a que' ferri , onde non s* anno a sciorre
I Venti mai , con lor dispetto , e scorno ;
Che l'aure , e l'onde perturbar non denr. > ,
Se di Ncttun pria noi comanda un cenno ,
G 4
i5* C A N T O
XXXIV.
Quel? immensa prigion , quell'antro orrendo
In Terra par che paragon non abbia.
Meglio si puotc immaginar tacendo,
Cotanto orror , eh* esprimerlo con labbia .
Career simil non ideò fremendo
Tiranno mai per saziar sua rabbia,
Rabbia, che spesso con mentita veste
Di fallace Giustizia si riveste.
XXXV.
Rabbia ministra ieì celeste sdegno ,
Che a tanti un tempo dispietati Mostri
Volle affidar di tante Genti il regno ,
Perchè fossero autor de* mali nostri.
Talora a V Uom d' alto supplizio degno
Convien che il braccio punitor si mostri ,
Del Cielo il braccio, che sul Trono innalza
Belve fuggite da pietrosa balza .
XXXVI.
Belve > uomin nò; troppo de PUom nemici
Fran costor , troppo a Clemenza sordi ,
Troppa nutrian di far tutti infelici
Brama , e vedersi ognor di sangue lordi .
Oh ! questi , in cuip viviam , tempi felici ;
Or Giustizia , e Pietà regnan concordi.
Filosofia, che alfin sua face scosse,
Poggiò su* Troni, e Tirannia rimosse.
XXXVII.
Mai de' Viventi si funesta tomba
Non apprestò Tirannide proterva y
Per cui tanto squillar fa Clio la tromba ,
E lugubre memoria a noi conserva ;
Come P atra prigion , che al suon rimbomba
Dì quella gente irrequieta , e serva ,
Gente crudel , per lo cui soffio avverso
Spesso è *1 Nocchier ne l'Ocean sommerso *
SETTI M O. in
XXXVIII.
Chiuso è quel career da ben grosse mura ,
Ove il ferro s'innesta a salda pietra .
Là spiraglio non v' à, non v'à- fessura.
Alcun raggio di Sol non vi penetra ;
E ricoperte son da tinta oscura ,
Che più fa la prigione orrida, e tetra,
E par fuligin , che in eammin s'innalza,
Quando mantice assiduo il foco incalza »
XXXIX.
A molti ancin nel muro fitti , molte
Veggionsi appese star grosse catene ,
Che sonde' Venti al piede, ai braccio avvolte >
Hd a Je vaste mostruose schiene »
Ferreo ceppo cosi veggiam più volte,
Che il rabido Mastin frena , e trattiene ,
In van que' ferri cìwi romor tremendo
I Venti prigionier scuoton fremendo .
XL.
Chi fra le Mura d'Ospitai s'abbatte
In alcun matto, che su pretta paglia
S'agita nudo nudo, e si dibatte ,
E al chiuso per fuggir uscio si scaglia ; .
II crin si svelle, il scn lacera , e batte , #
E par che al Mondo, e alCiel muova battaglia;
A' gemiti dolenti, a gli urli atroci,
Mesce confuse, e mal formate voci:
XLI.
Pensi veder gì* inferociti Venti ,
Orrendo stuolo in Terra, in Mar, possente ,
Che tanti spinse fra l'estinte genti,
E per tomba lor die l'onda inclemente;
Che merci, ed oro, e gemme rilucenti,
Ricco tributo del molle Oriente,
Nel Mar gittò, nel vasto Mar, che quanta
l'uosa Terra vantar, ricchezza vanu .
a.$4 C A N T O
XLIL.
Qual chiuso Pardo , o Tigre, allor che rmisij
Farsi al ferreo cancello alcuno appresso ,
Freme > si cruccia , $' agita , s* adira ,
E il suo' furor tutto è nel guardo espresse;
Or s'avanza, or si ferma, or si. ritira,
Par che ceda a' suoi sforzi il ferio stesso ;
Cotal furor, cotanta smania punse
Ne r antro i Venti , quaudo Amor vi giunse ,]
XLin.
Eolo, il Principe, il Re, che ferreo presie-
Seggio, che a' seggi altrui molto sovrasta,
Cae à ferreo scettro, e ferreo serto insieme^
Eolo , che tutti a raffrenar sol basta »,
Poiehè ciascun io riverisce, e teme,
Niuno i suoi detti, i cenni suoi contrasta ;
Eolo il piede à di rame, e il braccio, e snello
li corpo,, e lieve, e vola al par che Augello,
XLIV.
Per dimostrar cautela , indi prontezza
Ne l'eseguir le divisate Imprese.
Tutta la turba ad ubbidirlo avvezza,
Chetossi tosto che sua voce intese .
Al Figliuol de là Dea de la bellezza
&i la cagion dt.l venir suo richiese . t
"È qua! , possente Amor,» cura, o desio,.
Or ti spinge ad entrar nel Rcgoo mio?
XLV.
Seguimi, disse Amor, quai sien. mie voglie;
Qua! mi sospinga pensamento , e cura,
Udrai da Quel , per cui volerle, soglie
Mi vedi aprir di questa Reggia «scura.
Se tu , di Giove per servir la Moglie ,
Che temea di veder Remane mura ,
Al mio Frigio Germano osasti immensa
Desur procella > ora a placarmi pensa *
SETTI M O. 155
XLVI.
Tosto a' Venti soggetti Eolo si volse,
F con uà soffio di gonfiate g«te#
( Mirabil cosala i ferri ior disciolse,
Che forza alcuna unqua discior non puotc .
Fera , che molto pel natio s' avvolse
Bosco , da tane uscita al Soie ignote ,
Su 1 incauto animai , che si presenta,
Non si veloce slacciasi , e s' avventa :
XLVII.
Siccome tatti insicm precipitare
In folla allor gli scatenati Venti,
E a la porta Vuair, si conglobaro, t
Spingendo, urtando, ad uscir primi intenti.
Tratte così da uno spettacol raro,
S' urtano insicm le radunate genti ,
Così la messe in su feconde zolle
Ondeggia; e i moti alterna umor, che bolle*
XLVIII.
Ma lasciarti quello stuoì , che s'affatica
D'Amor su l'orme al rapido viaggio.
Di lui parliam , cui per usanza antica
Prestano i flutti irrequieti omaggio.
Egli il pensier di dolci idee nutrica
Or che fa pel suo Regno Amor passaggio £
Ed Annerite con novella fiamma,
Ouasi Sposa novella, il cor gì' insamma .
XLIX.
Ceruleo crin su V ampio dorso ondeggia j
Coperto è il dorso da un azzurro manto ;
Vasta conchiglia è la real sua seggia,
Tridente ei stringe formidabil tanto .
Ciascun Cupido attende, e ne la Reggia
Mille voci festose odonsi intanto.
La gentil Galatea di nera treccia
Co le Ntrcidi liete danze intreccia .
G 6
i*6 CANTO
L.
S'appressa alfin la numerosa truppa;
"Polo la segue, e la, precede Amore.
La lingua favellando Eolo sviluppa
AL piede augusto del comun Signore .
O^ni astante s'accosta, ognun s'attnippa-.,
Che di q«e' detti udir vuole il tenore.
Ma ciò che più brama ascoltar ciascuno ,
£' il supremo voler de) gran Nettuno .
LI.
Sir, che de l'Oceano ondoso tieni
Il governo, il comando, il sommo impero;
Cui gli atri nembi , i tuoni , ed i baleni
Servo n , ministri al tuo furor severo ;
Ecco al tao Soglio i Servi miei ripieni
Per te d'arder, di zelo intatto, e vero.
Un servigio fedel mi fra discolpa ,
Aito Signor , d3 ogni Passata colpa .
LIL
Piacemi , disse il Dio, che alfin tu sappi
Non aver di compagno a tener metro ;
Che, sebben regni, al mio poter non scappi;
Che chi fé il don può ripigliarlo indietro;
Che, se a norello crror torni, e v'incappi,
Di mia clemenza «1 suon più non m'arretro i
Che sol fra sassi in una grotta sono,
Il tuo scettro , il tuo serto , il manto, il trono .
lui.
Ove il suol circostante un Mar rinserra ,
Un Legno giunse da l'Egizio lido,
Che a Francia volto, la Trinacria Terra
Costeggia in seno a l'elemento infido.
Vo' che tu mova a questo Legno guerra ,
D' opposti Venti col fischiante strido ,
Acciò scommesso, anzi sdruscito sia
Prima che giunga a terminar la via .
SETTIMO. 157
LIV.
Copra il sereno Cicl nube funesta >.
Sollevi il iiutto lo spumoso dorso.
Va, m'intendesti, ad ubbidir t' appresta 3
Abbiano i Servi tuoi libero il corso.
Calmar non dei quelP orrida tempesta
Fin ch'io non presti a' naufraghi soccorso,
Quando il Tridente mio vedrai su 1' acque ,
.Richiama i Venti; i!Dio sì disse , e tacque,.
LV.
Non fé motto colui , ma dipartissi V
Velocemente dibattendo Tale.
Tosto per 1' aure un fremito sentissi ,
Che a' Nocchieri annunziò nembo fatale »
Eolo dal fonefo de' marini abissi
Co' maggior quattro Venti al Cielo sale ,
Seco fuggiti dal pietroso claustro ,
Euro, Ponente, Tramontano , ed Austro.
LVL
Son questi i quattro cardinali Venti ,
Che a' quattro punti de la Sfera stanno;
I principali , i Capi , e gli eccellenti
Eroi famosi per recato danno.
Eolo conduce que' campioni ardenti
Ove opposti pugnar fra lor dovranno ,
Ove del soffio lor la valid' opra
L'onde sommosse volgerà sossopra.
LV1I.
Come, qualor la pellegrina Grue
In cerca vola di più mite Clima,
Ed agii varca il Mar co> 1' ali sue ,
Al gran cimento la Regina è prima ;
Seguon poi quella tutte a due a due,
Senza il posto cangiar, che scelser prima;
Così d' Eolo temuto àn per costume
Quattro Venti di seguir le piume •
*#S CANTO
LVIIL
I quattro Venti àa due lunghissim' ali ,
Ben più d'un miglio l'una, e l' altra abbraccia >
E sono a quelle per lunghezza eguali ,
I flutti acconcie ad agitarle braccia.
Qual esser suol turgido cuojo , tali
Le gote son de la gonfiata faccia ,
Ed in tal. forma , che mirabil sembra ,
Tese, e gofifie dei par son l'akre membra»
LIX.
II braccio , e *l corpo come piuma è Kevte r
Par vuotosacco il ventre, ii dorso, e il petto*
Che sempr® acre versa , &t riceve ,
Sempre votato > e voto mai, ricetto.
Acqua cotanta non accoglie , e beve ,
De i'£r(idàno, ovver de l'Istro, il letto ;
Ed or che molto sornar de.fi no ., e molto 2
Massa d'aria maggiore ànao raccolto.
LX.
Vedrem fra poco quanto fluido asconde1
11 vasto ventre , il dorso, ii seri capace.
Divide intanto de la mob.il onda
$ui vasto campo Eolo sua gente audace,
Ad Austro impon che dense, atre diffonda
Nubi , che il sen di pioggia abbian ferace ,.
lì procelloso- sen , che mille, e mille
Sparge tuonando elettriche scintille.
LXL
Borea l'Artico Polo ebbe, e Ponente
Ebbe l'Occaso , Euro l'opposta plaga,
Poi che il tutto ordinò, velocemente
Eolo s'invola, e per lo Mar divaga.
Or prende , or cangia con diversa mente
euesto sentiero, e quello , e incerto vaga;
ome incerto s'aggira, e taciturno,
Di preda in traccia, il PjpistreJ alture*.
SETTIMO,
LXIL
Sa quel!* alfin, ch'ei rintracciò , s'a.vver«ee3 .■
In quel Vento cioè , che in poppa spira.
A la Nave , che sembra aver le penne ,
Il Vento aliar le vaste ali ritira.
Il soffio suo propizio Eolo ritenne ;
Perfida calma allor sui Mar s'aggira;
S'arresta il Legno., e. fugge aura infedele
Dal cavo grembo di gonfiate Vele *
LXIIL
Come nel mezzo de ìz £ona ardente y
Ove in due parti il Sol POrbe^ divide ,
Surger nemica al Nauta impaziente
La calma suol , che i voti suoi deride \
Appianarsi cosi l'onda surgente ,
Che la poppa spingeva. , Ulisie vide .
Ferma l'acqua era sì che parca terra >
Nò al. lido più movea V usata guerra .
LXIV.
DJss' Eolo al Vento. Or m'uhbidisci , come
Servo ubbidisce il Prence suo, che impera»
Io ti comando di Nettuno in nome
Che lasci tosto quella Nave altera*
Fortuna amica a lei fin or le chiome
Propizia offerse , or fugga alfin severa ;
Provi quel Legno le vicende , i rischi ,
Mugga il cuon, scoppi il nembo, ilfolgor fischi.
LXV,
Tu , per cui apra a quello in suo viaggio
Serena il Ciel mostrossi , il Mar secondo A
Non aver più di suscitar coraggio
L' acque, o paventa del mio sdegno il pon'dv ,
Fato immortai, che avvinta al tuo servaggio
La Terra tien, gli Astri, i Pianeti, il Mondo,
Questa procella nel gran Libro à scritto ,
\ì , ti ritira 3 non fiatar , sta zitto,
i<fo CANTO
LXVI.
S'iachirca il Vento , e parta chetamente
Fra gli Spazj de l'aria umile il volo ;
Poi si ritragge , spettator dolente,
In un angol del Mar , mutole , e solo.
Così Fanciur , che il Padre vede, o sente ».
S'asconde, colmo d'i timor, di duolo.
Mentre giura la Madre a e lo minaccia
Che al Genitor dirà sue colpe in faccia»
LXVII.
11 terbid' Austro intanto avea girato
Per l'ampio^ Cielo , e nubi accolto avea,
Era Meriggio alior, ma il Sol celato
Gli addensati vapor più "non fendea .
Misero Ulisse ! ei per 1' oggetto amato
Più che per sé , dolevasi, e temea .
Scende in i strana, e spaventosa foggia
Il lampo, il tuono, e h dirotta pioggia .
LXVIII.
Poi che tutta compiè la trista impresa
Àustro, cui per voler d'Eolo s' accinse 9
I lenti vanni, su cui sparsa pesa
La grave nebbia, al suo Signor sospinse.
Ecco, disse , fra Jor mosse a contesa
Le dense nubi ; il fiato mio le spinse .
Vanne , rispose il Re, ciò non ti basti ,
Opra sul Mar J come ne Paria oprasti ..
LXIX
Il Meridional Vento si pose
OV è suo loco, al freddo Borea in faccia.
Di cominciar le risse a tutti impose
Eolo; ciascuno allor gonfiò la faccia ;
E tutti ad agitar Tonde spumose
Diersi co l'ali* e co le lunghe braccia,
Softìaron tutti da contraria parte ,
% non' valse favor di nawtic1 ajte .
SETTI Ivi O . iói
LXX.
Chi dir potria cime agitossi 1' onda ,
Da quattro Venti insiem spinta* e commossa ?
E poppale prora, e l'una^ e l'altra sponda
Di quel Legno infelice era percossa .
Ognor crescea l'oscurità profonda ,
Che togliea tutta del veder la possa ,
Folgori solo minacciose, e crebre,
Splendeano in seno a l'orride tenèbre.
LXXL
Palpita il buono Ulisse , e il cor ripieno
A' di timor H amabile Isabella ,
E Fiordiligi non paventa meno ,
Fiordiligi nomata è sua Sorella «
Costei sovra il leardo Palafreno
Molti Guerrieri fé cader di sella ;
E ne la giostra , ove a pugnar mostrossi y
il Duca di Tolosa ella nomossi .
LXXII.
Teme il Pilota, e sta mirando incerto-
In ogni parte il Cielo, e i Venti osserva .
Il dubbio scampo, ed il periglio certo,
Sua mente abbatte , e suo coraggio snerva
Benché sia molto in nautic*arte esperto,
Tenta in vano domar 1' onda proterva .
Troppa è de' Venti la pugnante forza,
E non giova alternar poggia con orza.
LXXIII.
Come per gioco , per uso , per ira
Soglion cozzar su verde prato i Tori ;
O come un lottator, che al plauso aspira,
E su polve agonal versa sudori ,
(1 rivai preme , e ad atterrarlo mira ,
0 d' intrepida morte a' sommi onori ;
Gli avversi Venti con ferocia tale
Braccia ìntreccian con braccia , ale con ale,
i6z CANTO
LXXIV.
E soffiandosi contro, e Monti alzante
D' acqua ammassata , gittansela in volto;
Sempre opposti fra lor vanno girando
Velocemente molto spazio , e molto.
Li poppa ad ambe man quello afferrando
Del vinto Legno , e quasi franto , e sciolto,
A questo il vibra ; e la possanza sua
Rivolge questo a P agitata prua.
LXXV.
Quel che duo giocator fanno a vicenda
Su volante pennuto , o lieve palla,
I Venti fanno , e par che il Legno scendau
Ne 1' Abisso infernal ; tanto s'avvalla !
0 par che a Giove il nettare contenda
Del gonfio Mar su la surgente spalla ,
Talor la poppa innalzasi, e talora,
Esce da 1* aceua la depressa prua-
LXXVL
A 1|ki rimase qacJ Naviglio oppxéHQ
Da si crudel , da sì feroce assalto .
Nemico flutto entrò ne lo scommesso
Fianco, e il varco si schiuse a basso, in alto *
Così di breccia per l'aperto ingresso
Spicca il Gucrricr ne la Cittade un salto.
Vie più s'apre 1' Abete , e si sconnette ,
È dove un onda entrò , 1' altra si mette ,
Lxxyn.
L' irato Mar moltiplica le porte ,
E sotto, e sopra, e quasi spacca il Legno,
S' ode il Nocchicr, alto gridando, e forte,,
Di ciascuno invocar l'opra, e l'ingegno .
Tentano tutti l' imminente Morte
Fuggii*, che sorge da P ondoso Rcgao .
Chi questo serra, e chi quel passo a Ponete >,
Chi il Mar nel Mar sollecito rifonde. .
SETTIMO. 16$
LXXV1II.
Altri , per far che la pesante Nave ,
Che il flutto assalitor carica , e preme ,
Meno riesca perigliosa , e grave,
Tutte nel Mar gittan le merci insieme.
Ma quelle genti coraggiose , e brave ,
Sudano in van . che il Legno oppressa geme >
E ad ogni istante quel crescente pondo
Par che io spezzi , e lo sospinga al fondo ..
LXXIX.
Non si vede turar fessura alcuna,
Se non perchè ne sorga» cento, e mille*
jEntran mìll'onde ove n' cstraggon una ,
£d un onda succede a poche stille.
11 vento , il Mar , la notte fosca , e bruna t
U orror del tuon , de* lampi le scintille,
Gittano tal confusione orrenda ,
Che alcun acn Va» che più il Pilota intesusVi*
LXXX.
Altro ch'urli non s'ode , e pianto , e- gne, ,
-E lamenti > e sospiri , e preci , e voti >
Voti da sciorsi , ove Fortuna arrida, ^
Pellegr naggi in lochi ermi , e remoti.
Molti, se in porto amie© il Ciel li guida,
Penitenze , digiuni offron devoti ;
E ciascun poi battcsi il petto, e chiede
D'ogni passato suo fallir, mercede.
LXXXI.
Chi gkocchion co gli occhi fissi al Cielo*
A braccia aperte, e chi prostrato al suolo»
Urlando esprime con fervor , con zelo ,
D'alma contrita il vivo intenso duolo;
Implorando Colui , che umano velo
Vestendo, sé per tutti offerse solo,
Verbo, e Pensier d* altissimo Intelletto,
S^iaCQ quaggiù da V increato Affetto.*
i*4 CANTO
LXXXIL
Così, sdruscita , ed a perir vicina ,
Moito la Nave errò, scherno de l'onde.
Già per la terza volta il Sol declina
Al Cerchio visual , che lo nasconde .
Par che sdegni veder tanta ruina
L'Astro, che a noi luce vital diffonde.
Non regge il Legno in tante parti retto %
E a Monte d'acque al fin rimane sotto .
LXXXIII.
Sotto rimane, e sotto pur con esso
Resta Isabella , e '1 fido Ulisse amante,
Fiordiligi , e il Nocchiero, e piomba oppressa
Da tanti flutti ogn'altroNavigantc .
Nel più cupo de l'onde imo recesso
Tutti precipitar© in un istante ;
Precipitar©, e tosto apparve poi
Quel Legno rotto, ed i frammenti suoi.
LXXXIV. (me,
Qual,se inMar piombi ungrave sasso;o inFiu-
Con quella forza, che il suo peso inspira ,
Pronta seguendo il naturai costume ,
Suquel loco, ov' entro, 1' acqua s'aggira;
Chiuser cosi quelle sonore spume ,
Che de l'onde agitate esprimon Pira,
La voragin profonda, in cui disperso
Rimase il Legno; e fu ciascun sommerso.
LXXXV.
Ma come esperto nuotator talora
Slanciasi a l'acqua , e al fondo vi si_ mette ,
Poìi lungi, onde slanciossi , il capo fu ora
Traggc , che a l'altrui guardo ascoso stette ,
Spinti così da nuovi flutti allora ,
Rivider quelli » nembi , e le saette .
Prodigio fu, ben fu celeste aita,
Che fra tanto penar serbolli in vita.
SETTIMO. 165
LXXXVI.
Chi qua, chi là, chi il capo, e chi le braccia >
E chi le inani, e chi una gamba mostra.
Onda talora i nuotator di; caccia.
Mossa da Borea, che eoo Euro giostra. #
Par l'uno in Ciel, l'altro a 1* Interno giaccia,
E di sé tutti fan diversa mostra ;
Quelli, che pria caddero al fondo, or sono
Di Giove quasi sollevati al Trono.
LXXXVII.
Va chi tavola errante avido prende,
Ed afferra un secondo il legno stesso ;
Ma giugne un terzo, audace il braccio stende,
Ed a que' duo contrastane il possesso.
Mentre ciascun resiste, e si difende,
E addietro spinge chi vuol farsi appresso,
La tavola di mano a tutti scappa ,
Gran massa d'acque la divelle, e strappa.
LXXVIII.
Molte, e molt'ore s'aggiraro intorno,
Al crudo affittino in preda, a Jo spavento,
Di non veder già certi il nuovo giorno,
Ludibrio fatti già dei Mar, del Vento.
Molt'aime, e molte dal mortai soggiorno
Fuggirò allor nel liquido elemento .
Chi per anco non è di vita privo ,
A pena a pena si può dir eh' è vivo •
LXXXIX.
Crudelissimo Amor, ti basta, © sazia
Quel Teitro feral di tante morti ?
Costa a bastanza ancor cara tua grazia,
E il gradito piacer d'esser consorti?
Dunque color, che la tua fiamma strazia,
Anco esser denno da procelle assorti?
Oc! quanto errò chi con profano esempio
Primo incensi t'offri, t' eresse un Tempio!
róó CANTO SETTIMO-
xc.
Ove il folgor più stride, il vento incalza ,
E contra l'onda più l'onda combatte ,
In sua conchiglia assiso , il capo innalza
Nettuno, e guata le ruine fatte.
Vede la Nave , che in rottami balza
Su l'ampio Mar, che la circonda, e Batte;
E quegli amanti sventurati osserva,
Che un Genio tutelar regge, e preserva.
XCI.
Sferza i Destrier, stringe il Tridente, egira
Velocemente su lo spazio vasto.
Chetansi i Venti, il rlutCo si ritira,
Che far non puete al suo Signor contrasto .
Sovra un frammento, che nei Mar s'aggira,
Del suo Naviglio, Ulisse era rimasto ;
Fiordiligi era seco, ma la bella
Più non videro allor cara Isabella .
XCII.
Scorrea placida l'onda, il Ciel sereno
Tutto de gli Astri scintillava al lume,
E non sua luce da l'argenteo seno
Spargea la Suora del raggiante Nume.
Ma veloce degg' io come un baleno
Quindi partir secondo il mio costume.
Che Ulisse alfin fu salvo , e pianse afflitto
La persa amante, in altro loco è scritto.
Fra* dtl Gantt Settimt,
io.;
LA MORTE
D'ORLANDO.
CANTO OTTAVO.
ARGOMENTO.
Guida Pìutcn dopo il cernito orrendo
La Maga imcrno pel suo tasto I^egno .
Fra tanti stolti in quelP orror tremendo.
Uno a Ui sembra di piota pia degno .
Chiedo a costui sue colpe y // reo, fremendo,
Sua Storia espon , suo tradimento indegno .
Ella , rivolto ad altra parte il piede , ,
Platone innanzi, e Tolomeo poi vede.
<s ! L •
Oempre creduto fu pessima cosa
L* oprar malvagio, e fu d' obbrobrio degno;
E benché siavi alcun , che tenta, ed osa
Laude a la colpa dar con pravo ingegno, .
i cultor di Soha , che non riposa
De'vnrj affetti setto al giogo indegno,
Ed ai lume del Ver le cose osserva ,
tempre abbarre , e dispregia alma proterva.
i6S CANTO
II.
Suonar di Clio^ s' ode la tromba spesso ,
Opre narrando di perversa gente ,
Che ogni colpa commise, ed ogni eccesso,
E nel tempo vetusto-, e nel recente;
Che a la fede, a Ponor non diede accesso ,
Né di Pietà ia voce udì possente;
Ed un intero stuol leggesi scritto
D'esempi ancor d'ogni carnai delitto.
Gente vi fu sì snaturata , e rea,
Che l'innocente prole pargoletta
Su le pubbliche strade espor solea,
Onde farla perir sola, e negletta,
Se robusta non era, e se parea
Che per la guerra esser dovesse inetta;
E un Popol v' à, fra cui con lieto ciglio
Al vecchio Padre il scn trafìgge un Figlio .
IV.
Mirra col Genitor di furto giacque,
E del Nipote suo Fedra s' accese ,
A P Assiria Regina il Figlio piacque,
11 Figlio suo, che morta al suol la stese.
Ne del nefando amor la Storia tacque, (se,
Che inGrecia, e inRoma,e altrove ancor s'este-
Nefando amor, che un solo sesso infiamma,
Per cui scese dai Ciel vindice fiamma.
V.
Politeismo il guasto , e rio costume
Protesse un tempo con infami riti ,
Quando ignaro il Mortai d'un solo Nume,
Numi adorava da sua mente usciti.
E del verace Culto allor che ai lume
I sognati Fantasmi cran fuggiti ,
Error, che mai dal nuocer si ristette,
Varj Dogmi produsse, e varie Sette.
OTTAVO. x69
VI.
/Ma in tanto volger d'anni , e cangiar $ui:
Su base incerta di mutabil legge,
Ancorché il Vizio s'abbia usato, e s^usi,
Virtùde sempre il Mondo resse , e regge ^
Sebben ciò che un divi-eta , un altro scusi ,
Ciascun biasma il delieto, e i rei corrègge,
E se può de gli rfffetti i lacci sciorre ,
Segue ciascun Virtùte, e'1 Vizio abborre.
VII.
Anco perciò la favolosa Istoria
Narrò le pene de 1 '-A verno orrende
Contro i malvagi , ed il piacer , la gloria ,
Che i buoni sempre ne gli Elisi attende .
Di quelle pene io vo' qui far memoria -,
E tremi ognuno , che mie rime intende .
La cortina s'innalza, e scopre questa
In Teatro d'orror scena funesta.
Vili.
Poi che il ventre con, vino ^ e con vivande
Di zolfo lorde, e d'atro sangue asperse ^
Empiè la Maga con diletto grande
Nel lauto pranso, che Pluton le offerse ;
£)uel Dio sue luci, donde fiamme spande,
E d'Inferno , e d'Amor , in lei converse,
E disse : O Donna , a te mostrar desio
Alcuni abitator del Regno mio.
IX.
L'irsuto braccio, qua! tizzon fumante ,
Le porse jl Nutrie, e l'ampie strade insieme
Scorser di pianto, ove tant'alme, e tante
S^aggiran , prive di conforto , e speme.
S'offerse al guardo ior più d' un Gigante ,
Che tardi, e in^van 1' ira di Giove or teme»
Di Giove , a cui tentò con folle orgoglio
Il folgore strappar, rapire il soglio.
H
io CANTO
X.
QuestoèrimmensoTizio,eFlegiaè quello.
Di Giove l'un, l'altro di Marte figlio;
Lacera a quello il cor feroce Augello,
Questo timido sta come coniglio .
Sempre a Tizio rinasce un cor novello,
Acciò lo strappi il dispietato artiglio.
Flegia paventa , e sta col capo basso
Sotto imminente ruinoso sasso.
XI.
Sente la Ma?a un gemito , un lamento,
"E colà volge curiosa i passi .
Vede uno strano gener di tormento ,
Che ogni strazio crudef par che oltrepassi
Vede un meschin , che steso al suol, dacentc
Furie tremende lacerato : stassi .
Stringon tenaglie ardenti esse, e con quelli
Sue carni ognuna afferra , e squarcia , e svelle
Azi.
Così lo fanno lentamente a brani,
£d innalza costui lugubri strida.
Offresi ognor novella a gì' inumani
Carne rifatta, perchè poi s' ancida ;
siccome sotto a le nemiche mani,
$e avvien che un ferro i capi suoi recida,
Rinasce l'Idra , e le vittrici braccia
Con settemplice ancor capo minaccia .
XIII.
Molto a colei de l'infelice increbbe ,
E pietosa in tal forma interrogollo .
O misero Mortai , la cui vita ebbe
Sì tristo fin, qual festi mai satollo
Illecito desìo, che in cor ti crebbe,
Per- cui sen ti -si strazia, e ventre, e collo.:
DehTnon ti spiaccia a me narrar cortese
Il ft?o fallir, che tanto Giove offese.
OTTAVO. W
XIV.
Fiso l'Ombra mirolla, e trasse poi
Dal profondo del petto alto sospiro. #
Quai funesti desir son , disse , i tuoi ,
Per cui tanto s' inaspra il mio martiro?
Ma , se da queste labbra intender vuoi
L' error, onde mi doglio, onde sospiro, '
Odimi, e possa quest'amaro pianto
Tanta macchia lavar, tergere alquanto.
XV.
lo Marcolfo era dettole fui Britanno;
Da progenie non nacqui illustre, antica.
Tutti di Londra i Cittadin ben sanno
Che non temei la militar fatica .
Siccome volle il mio Destin tiranno
(Che tiranno destin convien ch'io il dica.
Perchè del mio fallir causa primiera)
Molto addestrato ne le pugne io m'era.
XVI.
Crebbi in valor , crebbi in prudenza, e crebbi,
Il posso dir, ne! generale affetto .
Sempre gli onori, che richiesi, io m'ebbi,
Né alcun rinvenne in me colpa, o difetto.
Spesso i miei lauri , i miei trionfi accrebbi ,
Né d' odio mai , né fui d'invidia oggetto;
E, benché non foss'io d'alto lignaggio,
Fui Duce eletto, e ognun mi rese omaegio.
XVII,
Tal Bertolagi ( ahi! crudo orrido nome ,
Che tutto il sangue intorno al cor m'agghiaccia)
Di bellissimo aspetto, e bionde chiome,
Di nobil core , e generosa faccia ;
E parimente per natali , come
Per sua virtùde chiaro, uom senza taccia,
Saggio nel consigliar, ne l'opre un lampo,
il secondo tenea posto nel Campo.
H %
W C A N T O
m XVIII.
Costui fra tutti ognor fummi propizio,
E più che gli altri amommi , e m'ebbe in pregio.
Ben sovvienimi che più d' un benefizio
Debbo al favor del Cavaliere egregio;
E per suo mezzo 1' onorato uffizio
Dì primo Duce ottenni , e ogn' altro fregio .
Tutto a lui debbo, oh! rimembranza atroce,
Che più d' ogni dolor m'affanna, e cuoce .
XIX.
Creduto alcuno avrìa ch'egli dovesse
Molto sdegnarsi alior , molto dolersi
Che il primo posto ad occupar giugnesse-
Un, che natali area tanto diversi.
Giammai sua destra Ambizion diresse,
Che tanti induce a divenir perversi ; .
J3asso pensier l'inviolata calma
Mai non turbò di quella nobii alma.
XX.
E poi che P alta dignità novella
D'onor colmommi, di poter, di gloria»
Spesso la destra sua , la sua favella
In Campo fèmmi riportar vittoria.
Vivea la Fama al suo gran nome ancella ,
Ne l'altrui bocche , e ne l'altrui memoria.
Di me Duce ei servìa sempre al comando,
La disciplina militar servando.
XXL
Visto per me pronto a versar l'avresti
Il sangue suo fino a i* estreme stille ,
Intrepido affrontar colpi funesti ,
A pugnar pronto, a contrastar con mille.
£4on sono i tuoni a seguitar sì presti
Le minacciose elettriche scintille ,
Com'egli a' cenni miei, di £ede in segno,
Or servia co la destra, or co i* ingegno,
OTTAVO. ih
XXIL
Ah! chi pensato avrìa che un core umano
Cotanto fosse di Virtù nemico ,
Fosse tanto crudel , malvagio , insano ,
Che non amasse così fido Amico ?
Non si vide, o s*adì caso sì strana ^
Mai nel Tempo recente , o ne 1* antico ;
Non Euterpe , o Melpomen, che sospinse
Oltre al Vero il Pensicr, tal colpa finse.
XXIII.
E s'è pur ver che l'inaudito casa
Il diffidi coturno abbia vestito,
Qual favola di Pindo , o del Parnaso,
Lo spettator l'avrà veduto, e udito.
Ah! che in me sol, da orribil Mostro invaso ,
Mostro crude! da questi Abissi uscito,
Veramente si sta l'atroce esempio
D' un cor spietato , sconoscente, ed empio.
# XXIV.
Mira P Invidia in me , com' entro & specchi*
Miri talora le sembianze tue.
Infelice colui , che presta orecchio
A la perfida Invidia, e a l'arti sue !
La Storia, che a narrarti or m'apparecchio-,
Attenta ascolta , e quest' orrenda lue
Fug^i , che il Mondo infetta, e ascosa serpe y
Come tra' fiori la strisciante Serpe.
XXV.
Alcun quasi non vTà, che non ne senta ?
PJcco, ed agiato, o meschinello sia.
Il possente velen ; giammai contenta
Rimatisi un alma, e più d'aver desia.
Ogni felicità si rappresenta
Il povero ne l'oro , elo vorrìa *,
E invìdia il Re, che in molli piume giace,.
V aratro al Villanello, e la sua pace.
Ili
i74 C A N T O
XXVI.
Crudo Destini Del proprio ben non lice
Mai tranquillo gustar dolce diletto.
Che 1' Uomo in Terra esser non può felice
E' sentenza comune, è comun detto.
Ma farsi ognun dovria meno infelice,
Frenando aifin «i periglioso affetto .
Saggio Mortai , per iscemarsi i guai ,
Sempre addietro si guardi , innanzi mai .
XXVIL
Ma quest'è de V Invidia il minor danno,
E fosse pur, non il minor , ma il solo!
Oh ! quante colpe mai fersi , e si fanno !
Oh! qual di risse, e dì delitti stuolo!
Da quel Mostro le guerre origin anno,
Esso di caldo sangue innonda il suolo ,
L'Uom per esso talora avido, ingordo,
Anco a la voce d'Amisràde è sordo .
XX Vili.
Ahi! che nel ricordar le piaghe altrui ,
Più Ja mia stessa, ed esacerbo, e cresco!
Piaga mortai, che in questi Regni bui
Getterà sangue eternamente fresco *t
Ma forse stanchi son gli orecchi tui ,
Donna , e col lungo ragionar tr incresco.
A quella Storia , che mi son proposto
Narrarti, meglio è ch'io ritorni tosto.
XXIX.
Gran pezzo fummo il Cavaliere , ed io,
Capo, e suddito nò, ma amico , e amico ;
Né a me suo cor, né a lui sì chiuse il mio,
Come conviensi a vero affetto antico.
Ed in lui sol , dopo il supremo Iddio ,
Ponea mia speme, né temea nemico,^
S' anco abil fosse, ed agguerrite, e forte,
E correa seco a disfidar la morte."
OTTAVO. in
XXX.
Se il suo valor dipingerti volessi ,
soio potrei delinearne parte .
i'oco saria , se simile il dicessi
\ Minerva in consiglio , in guerra a Marte,
Sempre tra i ferri lampeggianti , e spessi ,
Ei penetrava con audacia , ed arte.
Difendersi, assalir, in ogni loco
D'allori ornarsi, era per esso un giocò»
XXXI.
Così Leon famelico , che arriva
In vasto ovil di pecore, e d'agnello ,
Qual morta al suol, qual gitta semiviva»
E queste afferra , e mette in brani quelle ;
Non una pur lasciarne vuol , che viva
Fra tante spente compagne , e sorelle ;
Guata bieco, e feroce, e par che mentre
Sfoga il furor, empier non curi il ventre*
XXXII.
Se d'assalto si tratta, il primo sotto
Le mura ii vedile le nemiche freccici
In macchine, e ripari abile, e dotto,
Il più franco, il più caldo in far le breccie.
Benché l'usbergo avesse, e l'elmo rotto
Si che fuori n'uscian del crin le treccie ,
Non temea colpi di tagliente spada,
Ed intrepido a gli altri apria la strada,
XXXIII.
Se penetrar ne l'inimico Campo,
T.d esplorarne il men difeso sito
Si dovea per l'attacco, o per lo scampo,
Onde far scelta del miglior partito ;
O s'altro v'era ostacolo, ed inciampo,
Egli ognor v'accorrea pronto, e spedito.
Meglio tu immaginar potresti al certo,
Ch'io narrar ti potessi, ogni suo merto.
ti 4
i:6 e a n t a
xxxiv.
Con molti fili U diffidi trama
De le sue iaudi uopo saria che ordissi .
Il grido ancor de l' echeggiante Fama
A r orecchio mi suona in questi Abissi.
Giammai Guerriero, che d'onor la brama
Spinge a pugnar > più; celebrato udissi;
Poiché più sempre a quelli il Mondo applaude *
Che desiosi men scorge di laude .
xxxv. t
Benché pugne , e perigli io non temessi ,.
Come far debbe. un Condottier^ valente ;
E col senno, e co l'opra assai facessi,
Eran>le genti a darmi plauso lente.
Per lui s-' udiano lieti viva , e spessi
Del clamoroso Popolo frequente ;
Per me sempre appassite eran le Palme y.
E fioco il suono di battenti palme .
XXX VI.
Duro m'era a soffrir eh' ei sol dovesss
De* comuni sudòr cogliere il frutto ;
E si l' invida rabbia il cor m'oppresse,.
Che l'affetto scemò, vinse poi tutto.
Ah ! troncato miei dì la Parca avesse
Prima ch'io fossi di tal macchia brutto!
La freddezza in livor mutossi , e crebbe
Il livor si ch'odiò nomar si debbe.
XXXVII.
Avvenne allor fra noi siccome suole
Qualor de l'amistà s' allenti il nodo,
Ch' un diffida de l'altro, e le parole
Pesa, e studia de lvopre il tempo, il modo .
Fur l'alme nostre allor disgiunte, e sole,
Come duo legni , onde si svelse il chiodo,
E l'amicizia vacillante, incerta,.
Presto cangiossi in nimistàde aperta^
O T T A v o. m
XXXVIII.
E nel profóndo del cor mio giurai ,
Qual se offeso foss' io-, farne vendetta-.
Come avvenir spessente sai-,
Quando d'alcun ei sia la fé sospetta ,
Che di prestar non lasciasi giammai >
Sia vero , o falso , ad ogni dubbio retta ;
Credea ch'ei tornii il posto^ mio cercasse,-
E contra me l'esercito eccitasse.
xxxix. t
Quinci l'antico amor , quindi mi preme
Non giusto sdegno, che m'assal , m'accende^
Gli obblighi, icfubbj miei ne vanno insieme,
Fra questi, e quelli il core ondeggia, e pende.
Dal grave pondo oppresso il Pensier geme*
Né qual sceglier dovrà partito , intende .
D'alma grata paventa il dover sacro,
Oual di temuto Nume un Simulacro.
XL.
Mentre ii' mio cor tanto sf cruccia, e duole,.
Quel virtuoso Cavalicr s'attrista,
Che ben diversa da quel eh' esser suole ,,
Mira la faccia mia turbata , e trista ^
E in molte scopre equivoche parole
A finto' amor la diffidenza mista .
Serbo scolpiti ancor suoi detti in mente",
E lui tuttor mi par veder presente .
XLI.
Deh .'Signor mio, qual maf delitto, o fallo-,
Così dolce amistà perder m' à fatto ,
Che tant' anni fra noi senza intervallo
Durò stabil cotanto, e or fugge a un tratto?
Gli onori abborro , ben tu il vedi , e spilo
Ciascun; ciò ch'altri brama, io spregio affatto .
Solo amistà, mio Duce, è a me gradita,
E $' io perdo amistà , perdo la vita-.
HJ
17^ CANTO
XLII.
Non mi tener celato in che peccai ,
E se la colpa mia scontar si puote ,
Quel sangue, che in battaglia io non versai,
Lavar saprà l'obbrobriose noce.
Prima lieto morrò, contento assai.
Che farti offese anco a me stesso ignote *,
Orribil troppo mi saria la Juce,
Se in te tradito avessi Amico, e Duce .
XLIII.
Ma pria che tutto io versi a' piedi tuoi
Quanto di^ sangue ne le vene^ io serbo,
Mira il mio braccio , ed i trionfi suoi ,
Di cui, non d'altri onori, io vò superbo»
Di taì servigi in prezzo il cor mi vuoi
Affligger, lacerar con duolo acerbo?
Deh! quanto oprai col senno, e con !a mano t
>3el mio morir ver me ti renda umano»
XLIV.
Queir ingenuo parlar mi vinse alfine,
E dissipò la nube del sospetto .
Ma come allor che il Dio di biondo crine
De i'aer fosco serenò l'aspetto ,
Se a le placide aurette mattutine
Vento succede , che atri nembi à in petto ,
Risurge il vapor denso, e l'aere annebbia ,
Così l' Invidia ridestò la nebbia .
XLV.
E si densa fu quella , e si possente
Che tutto giunse a circondarmi il core,
Né lasciò loco a raggio de la mente ,
Che ditìonder tentava il suo splendore .
.Come Fabbro talor dei foco ardente
Suole attizzar con mantice il furore ,
Maligna Invidia di soffiar non lascia ,
E in me fomenta la crudele ambascia.
OTTAVO. i-y
XLVI.
O foss1 io solo, o in compagnia mi stessi,
O' fra' Ministri , o fra' Soldati miei ,
O vedessi l'Amico , o noi vedessi,
O porgessi umii prece a' sonimi Dei ;
M'assaiian sempre que' timori stessi ,
Que' fieri dubbi , e que' sospetti rei,
Che de l'odio *omun rendermi oggetto
Colui tentasse, ond' esser Duce eletto .
XLVIL
E con arte giurai , con vile inganno
Morte apprestar al Cavalier gagliardo.
Da que' dover , che a chiare cifre stanno
Scolpiti in cor, empio ritorsi il guardo .
Ove maggior, più certo ov'era il danno,
11 fèi marciar con iieve ajuto , o tardo,
Ma in van , che sempre vincitor io rese
Il suo raro valor ne V ardue Imprese.
XLVIII.
Dove agguerrite più , dove più folte
Eran le schiere, e lampeggbvan l'armi;
Dove le genti su le Mura accolte
Spargeano il suon de' clamorosi allarmi;
Ove tutte a' suoi giorni insiem raccolte
Io poteva ie insidie immaginarmi ;
Ov'era impenetrabile, « munito
Da la Natura, e da' Nemici , il sito ;
XLIX.
Con pochi io sempre il Cavalier fea gire*
Promettendo amistà de l'opre in prezzo.
Egli , che quando mi potea servire ,
Di rischi, e morte non avea ribrezzo,
Sentendosi tal premio profferire ,
Che sovra ogn'altro era a pregiare avvezzo,
Vi s'accignea, ne mai rimase estinto,
Ma sempre fu di nuovi lauri cinto.
H 6
iSo C A N T &
II
Vedermi TI gran Guerrier dinanzi agli occKT^,
Vivo non pur ?< ma di trionfi onusto ,
E de' miei voti ad onta iniqui , e sciocchi ,
Udir quel plauso meritato , e giusto^
Chi la mano,. ch<i il piede, echi i ginocchi
Veder baciar, chi fronte, e capo, e busto;.
E lui sovra gli Scudi erger dal piano,
Qual fé d'Orazio iì Popolo Romano >:-
LI,
Tutto- m'era a soffrir ben aspro-, e -duro-,
Qual nuovo strale in mezzo al cor confitto b
Tante Vittorie, che ottenute furo,
Tutti lieti re-ndean, me solo afflitto.
A gran pena io potea nel cere impuro
Celare il duolo, ond'era ognor trafitto,
E celarlo <lovea , doveva io., come
Gli altri fean tuCti 3 celebrar suo risme **-
LII.
E sotto il velo di bugiarda fronte
Coprir ha rabbia , e sotto amico amplesso,
E d' amarezza <jued perenne fonte
Con un tosco letal crescere io stesso*
Siccome fu dà sovrapposto Monte
Encelado superbo un tempo oppresso.
Grave del simular m' era la salma
Si che tutta schiacciar sentiami Palma . .
LUI.
Poi che vid' io che a mie malvagie trame
Era da Fato avverso il fil reciso ,
Mentre dà le ferventi invide brame
Era più sempre il cor vinto , e- conquiso;
Con ogni insidia la più turpe, e infame.,
O* di tentar sua morte alfin deciso.
Che de la Colpa chi le vie passeggia ^
$' innoltta, og nor y s' anco L' abisso ei veglia
O T T A V O. bT»
LIV.
Fra me pensando al più segreto ,.fr certo-
Mezzo opportuna, il miglior tempo attesi >
Come dispone il Cacciatore esperto
Contro l'incauto Augello i lacci tesi.
Per ben tener 1' inganno mio coperto,
De l'antica amistàde il velo io stesi 3
E di mia rabbia 1' odioso oggetto
Seppi ingannar con simulato affetto.
Ohi? vile eccesso di perfidia umana»
Oh! di nostra ragione iniquo abuso»
Sotto apparenza, eh' è dal ver lontana,
L' Uomo i sensi del cor cela per uso.
Giammai Leon , che irato uscì di tana ,
Al feroce ruggito il varco à chiuso ,
Né, per meglio- assalir greggia innocente, »
L'ugna giammai , giammai nascose il dente..
LVI.
E TUom,.che l'arce d' occultar gJ' inganni
A l'empie mire- sue spera che giovi ,■
Cela-, come sue membra in va rj panai ,
Così suo cor in modi varj , e nuovi .
Del suo simil tutto ritorce ai danni,
Nel farmaco il velen parch'ei ritrovi ;
N'in.più nunzj de l'alma il volto, e gli atti ,
Ministri son de la Menzogna fatti,
EVII.
Da umane labbra un bacio parte allora?
Che in cor s'asconde il più mortai veleni 3
Osa il Pensiero macchinar talora
Morte a colui , che il braccio stringe- al seno.
Mentre amistà giura la lingua ognora ,
Ev d'odio il petto, e di livor ripieno,
E tali son quelle apparenze esterne ,
Che i' infinto dal ysx non si disccrjic~
iti CANTO
LVÌIL
Siccome ilCacciator, che al varco attende*
La Cerva, od altra insidiata Fera;
O in macchia, o in siepe sottil rete stende,
tn cui raccor turba pennuta ei spera ,
Né mover pie , ne favellar s' intende ,
Fin che non giunge la bramata sera,
E ricco allor va di predate belve
Cittadine de l' aure , e de le Scl\e ;
LIX,
Così, tacendo, il mio perverso, e fello
Disegno ascosi fin che il tempo venne.
Un, che al governo di vicin Castello
Stava, ribello al nostro Rè divenne.
Segreto accordo io maneggiai con quello
In uno scritto, che in sue man pervenne»
Udite accordo scellerato, ed empio,
.Nequizia udite, onde non avvi esempio.
LX.
Diceva il foglio al traditor, ch'eletto
Avean lor Prence i Cittadin ribelli;
Ch'ei di me non avesse alcun sospetto >
E che i suoi fidi mi saran fratèlli;
Che a lui pruove darò di vero affetto,
Ed a' suoi prodi sudditi novelli ,
Sol che un favor non mi ricusi, un lieve
Favor , che ad ambi esser proficuo deve :
LXI.
Che a* Deputati allor darò commiato,
La mia risposta differir mostrando ;
E dopo aver co' Duci consigliato ,
Quasi d'insidia, e fraude dubitando,
Manderò ne la Piazza un Inviato,
E recherà costui per mio comando
Che segnar questa pace non vogPio
In altro loco che nei Campo mio :
OTTAVO. i%
LXII.
Che l'Inviata, e chi verrà con esso,
Tutti dentro al Castello abbìan la morte ;
E tal favor se mi sarò concesso ,
A lui propizia arriderà la SGrte ;
Poiché lo stuolo a* cenni miei commessa
Saprò in guisa dispor sotto a le porte,
Che concerta, e felice riuscita
Ei farà dal Castello una sortita .
LXIII.
DI tal tenore era quel foglio , e molto <
Al traditor la mia promessa piacque.
Accolse il messo mio con lieto volto,
E del futuro evento ei si compiacque. «
L' Esercito veder in fuga volto ^
Pareagli , e l'ardir primo in lui rinacque,
L'ardir, che quasi dat timor fu vinto
Quando il Castel fu da mie truppe cinto .
LXIV.
E cosi fé coiti' io gii scrissi , appunto :
Io ne la Piazza Bertolagi inviai .
Tosto osservar, quando vi fosse giunto *
Le difese , e la forza io lo pregai \
Se molti i difensor, se tutti in punto
Fossero, e d'armi provveduti assai,
Cose, che molto saper giova, dissi ,
Se avvien che pace non si segni , o fìssi .
LXV.
Con tai colori destramente io pimi
La nera tela de 1' errendo inganno,
E tosto a morte l'innocente spinsi,
Che lieto corse a non saputo danno.
Ed altri a morte seco lui sospinsi ,
Che ne 1? empio Castel seguito 1' anno .
Ciascuno invan l'attende , ei più non riede ;
Palpita a tutti il cor,, vacilla il piede.
M% C A K T O
LXVI.
Non ti so dir quanto m'oppresse allora
D&lor, rimorso, e pentimento a un tratto.
I benefizj suoi talor, talora
Suo naerto innanzi al mio pensier s' è fatta.
Ahi ! che il crudo rimorso ange , e divora
in vano i nastri cor dopo il misfatto;
E tardi alior perfido , e vii nemico
10 mi chiamai del più leale amico.
LXVJI.
Meglio, dissi', è morir, che viver lotéto*
Di tanti , e tali , e sì nefandi eccessi ,
A cui ,sebben cieco ciascuno, e sordo,.
Per celarne 1* orror, render potessi,
O di me torre al Mondo ogni ricordo ,
Dei grand0 Astrò fuggendo i raggi stessi
Fra belve atroci , e sibilanti Serpi ,
Fra le pendenti rupi, i duri sterpi ;
LXVIII.
Non Ma che quelli celar tanto io possrf
Che a me del mio fallir conscio, li celi,
Ed a lui mcn , del cui veder la possa;
II seno squarcia de' più densi veli .
La stessa rupe , e la profonda fossa
Conyien che al Mondo il mio delitto sveli $
E di mie strida il suon rotto fra i sassi,
Alto cccheggiando , fra i Viventi passi .
LXIX.
"Stolto v io dicea , chi d'occultar pretende
Sua colpa sì che noti appaja , e sbocchi 1
11 rimorso , il rimor pubblico rende ^
Ciò che tentan coprir suoi studj sciocchi .
Spesso Tempio, il fcllon se stesso offende,
Eii delitto gli pon la benda a gli occhi.
Cieco al supplizio ei s'offre, e si presenta-
Appunta a llor che di fuggirlo tenta.
OTTAVO. vl'f
LXX.
Da cotesti pensier, che in folla unitr
Correano a darmi uno spietato assalto,
I miei tormenti asprissimi , inauditi,
Che m'empiean di terror , prendem risalto ;
E questo cor, che tanti ayea traditi
Sacri doveri, questo cor di smalta,
Pensai strapparmi ; era nel Cielo scritte
Ch'io medesmo punissi il mio delitto.
LXXI.
Pien di rabbia, e rossor, colmo di doglia ,.
Da mille affetti lacerato, acceso,
Tremante più che un agitata foglia ,.
Impugno , e snudo il ferro al fianco appeso ..
Par che vibrarlo in sen voglia , e non voglia >.,
Col braccio resto nel vibrar sospeso 'r
Alto il braccio rimane, il ciglio basso,.
E il corpo mio par divenuto un sasso.
LXXII.
Come colui , che da letargo è scosso-
Di febbre ardente, e da sopor profondo,.
Mi desto io quindi,, dal dolor commosso,.
E forsennato esclamo , e furibondo .
Non in modo miglior placarti io posso,
Che immolandoti io stesso un core immondo,
O dei mio fido Amico Ombra tradita ,
E per la morte tua dando mia vita.
LXXIII.
Ahi! che mia vita, e tutto il sangue mio,
Non di quel , che versai, vogliono stilla.
Tu fosti uom grande, un tradito* son io,
Ne di Virtùde in. me raggio sfavilla .
Per la tua morte a lutto, si vestìo ,
E per la mia gioisce il Mondo , e- brilla ;.,
In te il Guerricr più valoroso, e destro,
in me perde un feiion tolto al canestro ,. '
ite CANTO
LXXIV.
E se il Mondo si cìuol, duolsich' io mola T
Qual Seneca , e Caton » per mano mia,
E non da birro vii , da infame boja ,
Avvinto in piazzale a laccio appeso io sia;
O divorato a maggior pena, e noja,
Dal piò sozzo Animai , che in Terra stia,.
Al cui dente rapace, al ventre ingordo
Sia pasto, e sterco questo corpo lordo,
. LXXV.
Ma se tanto è minor di quel ch'ai perso,
Di quei che ti furai, quei eh' io ti dono,
E queste membra , e il sangue reo, eh' io verso,
Non degni oggetti de' tuoi sguardi sono;
Ah ! possa il duolo , in cui mi trovo immerso,
Possa de'miei lamenti il mesto suono
Qualche vendetta di te degna offrirti^
Se pur cura mortai serban gli Spirti ,
LXXVL
Fuggi, e t'invola, alma perversa, ornai
A la caduca tua spoglia infelice. #
Su te, del Sole ove non fulgon rai ,
Fischi il flagcl de la Giustizia ultrice ;
Né del tuo corpo su la tomba mai
li piangente Cipresso abbia radice;
Anzi tomba noi chiuda , e non gli presti
Un urna asilo, e sparso il ccner restì.
LXXVII.
Resti il cenere sparso in preda al vento,
Ma pria discese da un alpestre Monte ,
A lacerar P infame corpo spento
Le fameliche belve accorran pronte ;
E di lor sete calmino il tormento
Nel sangue mio, come in ruscello, e fonte.,
Se pur POrso, il Leon, la Tigre, e PAiJgue*
Non àn ribrezzo di succhiar tal sangue .
OTTAVO. m
LXXVIII.
Dissi, e la punta nel ferir maestra
Posi tre volte su le vie del core ,
E ben tre volte rifuggi la destra,
Che quel barbaro uffizio ebbe in orrore.
Aperse in petto alfin larga finestra,
Spinto dal duolo il ferro, e dal furore;
Trasse Palma fuggente un grido seco ,
E gemendo s' udi risponder Eco.
LXXIX.
L'Ombra si tacque, e ilsuo parlar fin ebbe
Con uno stuolo di dolenti omei.
Lunga la Storia ixx^ ma non increbbe
Al curiosa orecchio di colei.
Vo' dir ia Maga, in cui desìo s'accrebbe
Di favellar con altri Spirti rei,
Benché il ciglio sbattuto, ed il cinabro
Livido fosse di quel vago labro.
LXXX..
Densi vapori, ch'esalando vanno
Dal cupo seri di quelle grotte ombrose,
Gli occhi vivaci illanguidir le fanno ,
E del volto appassir fanno le rose ;
E quelle pur, che su le labbra stanno,
Sotto pallido vcl giacciono ascose .
L'erba così langue sul prato, e perde
Ne l'estivo bollor tutto il suo verde.
LXXXI.
E Fiuto ancor, mentre sospiri ardenti
Per lei traea da l'infiammato petto,
E foco , e fumo in vortici fetenti
Versava al suon d'ogni amoroso detto,
A l'autrice di magici portenti
Certo recar dovea nocivo effetto .
Ma ciò che vider poi, narrar degg' io*
La mentita Cipigna, il nero Dio,
iS* CANTO
LXXXII.
Vider sola, e pensosa Ombra pallente.
Che $1 tea de là man sostegno ai volto,
Qual chi rivolga alti pensieri in mente T
Od abbia i 1 cor fra tristi 'afferri involto.
Se non diverso è il ver da l'apparente ,
Alcun Saggio è colui celebre molto.
Sembra a l'aspetto venerando, e strano,.
Un Filosofo Greco, o pur Romano.
LXXXIII.
In desiderio allora entrò colei
Di favellargli, e disse a dirittura.
Ombra onorata , or tu scusar mi dei ,,
S' io ti distolgo da tua grave cura .
La sóla brama di saper chi sei
Ne incolpa, e la tua nobile figura,
Che d' alma grande indizio par che sia.
Ed è cagion di questa voglia mia .
LXXXIV.
Alzò l'Ombra onorata il capo chino- y
E maestoso in ki^ lo sguardo fisse.
E t.u , Donna, chi sei, che pellegrino
Osi il piede innojtrar fra l'Ombre , disse >
Fra cui Mortai giammai non scese fino
Che nel terreno vel suo spirto visse,
E fur ministri i sensi a la Ragione?
Ma , poiché tu- mei chiedi , io son Platone,
LXXXV.
AhT disse allor con riverenza , e gioja r
E meraviglia la Negromantessa ;
Lieta ventura innanzi ch'io mi muoj<a ,
Dal Giel mi venne , e singoiar , concessa .
Se mia presenza non t' incresce , a annoja ,
Deh ! fammi udir co la tua voce stessa
L' alte Dottrine, per cui tanto illustre
Si fé' tuo nome, e la tua penna- industre;.
O T T A V O . i$9
LXXXVI.
Ne mai Fama cosi battè le piume,
Ne fé' squillar tanto sonoro il corno
Per vetusto Scritcor, né tanto lume
Di Gloria ad altri sfavillò d'intorno,
Lume, per cui tu brilli al par che un Nume,
Fra lo splendor d' inestinguibil giorno,
Per cui del Tempo struggitor tuoi scritti
Il terribil poter spregiano invitti.
LXXXVII.
Ne le tarde, e rimote età future,
Al Figlio il Genitor , l'Avo al Nipote,
Come guide infallibili , e sicure,
Additerà 1' altissime tue note .
A chi far vuol con savie Leggi , e pure,
Felice in Terra PUom quant' esser puotc ,
La Repubblica tua fia scopo solo,
Siccome è scopo a calamita il Polo.
LXXXVIII.
"Fd il Mortai , che pel diverso sesso
Verace nutre, e non terreno amore,
Ben differente da V amor , che spesso
Un fomite brutal ci desta in core;
Poiché Virtùde à sol possanza in esso,
Non colmo seno, e non gentil colore,
Non mobil ciglio, che velcn diffonde ,
Ed un perfido cor sovente asconde :
LXXXIX.
Del vero amor la norma , ed^ il modello,
Questo Mortai ne' tuoi precetti scopre .
Amar tu insegni un volto, un corpo bello,
Sol perchè beila, e pura alma ricopre.
kS;n che spregiando la beltà di quello,
Di questa la beltà più si discopre ,
Beltà su cui non à possanza alcuna
l'alce di Tempo, o ruota di Fortuna.
i9o CANTO
xC.
Seguir la Maga il ragionar volea,
Ma disdegnosa l'interruppe l'Ombra .
Mai non ébb'io sì strana, e folle idea,
Disse, e stoltezza a te la^ mente adombra.
Quei che tu pensi , dirlo io non potea
Senz' aver da pazzia ià mente ingombra .
Uom, che seguendo i sensi suoi, non opra,
Contro la Legge di Natura adopra.
XGL
Natura mise i varj sessi al Mondo ,
Non già per vano, semplice ornamento,
Non per offrir spettacolo giocondo,
Che possa il guardo sohrender contento;
Ma perchè il suol d' abitatof fecondo ,
E ricco sia di cento Spezie, e cento»
Segreto impulso , che di noi s'indonna,
Spinge la Donna al' Uom , l'Uomo a la Donna.
XCII.
Sempre in altri veggi-amo, in noiperpruova
Meglio scopriam qua! naturale istinto
Femmina , e Maschio agiti , inviti , e muova ,
E come ognuno a riprodur sia spinto .
Perciò sarebbe assurda cosa , e nuova
Questo sì strano Amor da te dipinto,
Che , mentre al corpo il destinò Natura .
Sol de lo spirto si pigliasse cura.
xeni.
S'è ver che alcun sì stolto in Terra sia
( Poiché stoici così pochi saranno )
Che amar beltà non creda, o leggiadrìa,
Ma le virtùdi , che ne l'alma stanno,
Questo è un error d'accesa fantasìa,
Con cui 1' invesca , e illude Amor tiranno,
Amor, che asconde sua possente face,
Come s'asconde sotto cener, brace.
OTTAVO. 191
XCIV.
Vedrk costui , se il guardo suo portasse
Entro a* recessi de l'amante core,
Che , se in deforme vecchia si cangiasse
La Donna amata, fuggirebbe Amore;
0 converrìa che 1' ordin suo mutasse
Saggia Natura, con massiccio errore?
In lui spegnendo il vivo ardor giocondo,
Senza di cui si voterebbe il Mondo.
xcv.
Se con occhio sagace, e maggior senno,
Sviluppi ciò che ascoso io serbo in parte ,
E sotto ij vel di dotti emblemi accenno
Ne le assai lette, e poco intese carte
( Perchè i gravi Scrittori i sensi denno
Celar d'Amor con Filosofie' arte ,
E '1 Filosofo sempre esprimer dee
In non comune* sul comuni idee :)
XCVI.
Se dunque 1' alto ragionar, che involge
1 miei concetti , u' Verità lampeggia ,
Penetri, e traggi il velo, in cui s'avvolge
Amore , e fai che nudo alfìn si veggia,
Vedrai che a' sensi il mio pensier si volge ,
E in chimeriche vie mai non passeggia ,
Ma ben conosce che un leggiadro aspetto
Destar ci dee fiamma amorosa in petto.
XCVII.
Perciò al verace , al fecondante Amore
Il Vulgo sol crede Platone avverso,
Ma sol ne l'apparenza , e nel colore
Di mistica favella io son diverso.
E se talun si sente acceso il core
Per lino indegno, o per costume terso ,
Tanto non creda amar lo Spirto egregio,
Se non perchè di giovin corpo è fregio.
i5>2 C A M T O
XCVIIL
Non altro quel Filosofo soggiunge*
E fu colei per riverenza, muta.
,Se g-1' inchina ella, e gran desìo la punge
Man di baciar cotanto in pregio avuta;
Ma quella mano ad afferrar non giunge ,,
E non la sente ove Tavea veduta .
S'affanna in van , che non risponde a gli occhi
IJ tatto, qua! chi fumo, o nebbia tocchi.
XCIX.
-Il maestoso venerabU Saggio
Disse: Ti scosta, a voi toccar non lice.
Che ancor vivete nel carnai servaggio >
Alma di questi Regni abitatrice.
3SIon a Mortai , che l' A polline© raggi©
Risplender vede, Ombra toccar s'addice,
Che dal career terreno erra discioita.
Deh! lascia, o Donna , Ja tua brama stolta.
O
Più colei non ardì profferir motto #
Per meraviglia , e in altra via si mise .
TJ-n Ombra vide d' un antico Dotto ,
Che sovra Sfera avea le luci fise .
Le varie Zone in quella , e sopra , e sotto ,
Da paralleli Cerchi eran divise;
E d'Urania il cultor si stava incerto
Con un quadrante , ed un compasso aperto .
Vjl.
Sedea nel centro il Globo nostro ., e intorno
Aggirarsi ia fascia si vedea,
Zodìaco detta , che al Dator àt\ giorno
Segnare il corso un tempo si credea .
Eranvi i Cerchi , dove far soggiorno
Il grand' Astro retrogrado parca ,
E '1 gran Meridian , che uguale impero
<Oifr« a la Notte, e al Di su V Emisfero»
OTTAVO. 19 i
€11.
'Questo il Sistema fu di Tolomeo ,
Che girar fece intorno a' Poli il Cielo,
Né miglior modo ei discoprir potèo
Di spiegar notte, e giorno, e caldo* e -gelo.
Il rotar de la Terra a lui non fèo
Urania noto, e si coprì d'un velo.
Era di Tolomeo quell'Ombra appunto,
E il core avea da grave cura punto.
cui.
Ei dicendo fra sé giva : Ahi! me lasso!
Gloria minor mio nome avrà nei Mondo .
Del mio Sistema lo sfiancato ammasso
Crolla , e non regge di tant' anni al pondo,
Lup.gi alcuno da quel non movea passo,
( Oh ! spettacol per me troppo giocondo ! )
vSeguendo il moto de ta Sfera immensa ;
Alcuno or più quel eh' io pensai , non pensa,
CIV.
Ben più felice osserva tor, che ardito
Spiò Natura, né spiolla in vano,
Gli allori ottenne, e il suo Sistema ò udito
Col suo nome chiamar Gepernìcane.
Costui, s'anco nel Ver non à colpito,
Meno è almcn ch'io nol^ fui, dal Ver lontano;
Ma del Tempio d'Urania io primo apersi
Le ferree soglie, e di sudor le aspersi.
CV.
I rai del Sole egli nel Centro à fissi,
Delgran Sistema Planetario in Trono,
Ed i varj Pianeti in varie Ellissi
Da quell'Astro regnante attratti sono.
Indi nascon le fasi , indi 1' eclissi ,
Queste furto di luce, e quelle dono,
E de la Terra il corso a l'Asse intorno
A vicenda produce, e notte, e giorno.
I
j<H C A NT O
CVI.
Veggio che a l'apparenza assai m'attenni ,
Né ricercai ne' suoi recessi il Vero;
E j benché di Sofia seguace , io tenni
Facile , falso , popolar sentiero ;
Onde a cader fra molti scogli venni,
Nel celeste Oceàn debil Nocchiero >
H'I Ciel credei con prodigioso volo
Ciascun di s'aggirasse intorno ai Polo*
CVII.
Or di più belle, e più feliciidee
Ricco s'innalza quel Sistema industre,
Cui Tolomeo ceder (a palma or dee ,
L'antica palma, che lo rese illustre.
Ma il Cigno pria, che nel Meandro bee,
Sarà cangiato in rauco Augel palustre ,
l'ria volgerassi , e Terra, e Ciel sossopra,
Che Obbiìo vorace il nome mio ricopra,
CVIII.
Su molti , è ver, de lo stellato Regno
Pria fenomeni occulti , e leggi ignote ,
Su i varj moti quel sublime ingegno
De l'austera Sofia la face scuote.
Ma il primo io fui, né d'alta fama indegno
Chi tentò sì grand' opra esser mai puote..
Il volger sol de' Secoli rivela
Quel labirinto , u' Verità si cela.
CIX.
Cosi dicea quel Saggio; ogni suo detto
La Maga udì, né favellargli ardio,
Che quelle Teorienon avea letto,
E poche volte ragionarne udio.
Ella girò de l' infernal ricetto
In altre parti co l'amante Dio ;
Indi Pluto con lei fece ritorno
Ai Trono suo , d' angui fischianti adorno .
O T T A V O. 195
CX.
E tu vanne a posar , Musa , che ornai
Rese lungo cantar debil tua voce .
Di quel loco d' orror dicesti assai ,
E de la Maga, e di Pluton feroce.
D'altri portenti favellar dovrai
Quando l'Aurora sorgerà veloce,
E il pennuto Gantor l'Astro felice
Saluterà su la natia pendice .
V\n$ dtì Centi Ottdvt ,
ìù
i$6
LA MORTE
D' ORLANDO.
CANTO NONO,
ARGOMENTO,
Qicn , the nel Castel languire or deve
Prìgion , perche* a la Maga insulto à fatte ,
Segnanti* , un Vecchie vede , / in den ri et ve
Magica verga , end* è il Castel disfatto .
Sue armi trova , e su deslrier piò lieve
Del vento et sai y giunge in un bosco a un tratto ,
Ivi quel Vecchio , che dal gran disastro
Salvilo , ei scorge ,• V errali , suo Mastro ,
X-^onna, tu, che traesti a' tesi lacci
Fra l'erbe, e i fior, questo^ mal cauto piede s
E m'invescasti in amorosi impacci,
Senza pietà, senz'accordar mercede;
£3è vuoi che da quel nodo unqua io mi slacci ,
Poiché veder mi vuoi fra le tue prede,
Mira come pascendo il duol , che soffro ,
Vò in- questo Cauto , che a te volgo , ed offro .
CANTO NO-NO, %
IL
Canto, che adombra ne l'alérui destino
L'ardente fiamma del mio cor nemica, #
Perchè a te sempre è '1 mio Pensier vicino f
S' anco avvien ch'altra cosa il labbro dica r
E mentre soffia 1' aura del mattino ,
Che l'onda increspa, ed agita la spica,
Non desto ancor , l'immagin tua ravviso ,
O sognando contemplo il tuo bel viso.
III.
Deggio perciò ne le vicende altrui
A varie tinte colorir me stesso,
E celebrar quella beltà, di cui
Vittima io sono , e da cui giaccio oppresso.
Del Turco Otone favellando , in lui
Il rigor di mia sorte ò in parte espresso ;#
E in suo servaggio, onde a parlar rn' accinsi,
Le mie catene, il mio servir dipinsi.
IV.
Egli fu posto in servitù penosa ,
Ma più crudo, ed acerbo è il caso mio,
Che prigionìa di corpo è lieve cosa,
Ben più dolente prigionier son io .
Egli ama, è vero, Angelica vezzosa,
Ma fé' sazio con quella il suo desìo,
Ne colei fu cagion del suo martoro ;
Spregiato io sono , e chi mi spregia adoro.
y.
O la perduta libertà mi rendi,
Donna , o fa che ad amor risponda amore .
Se mie preci non curi, e non intendi,
Io di prigion trar saprò forse il core.
Odi tu, che tiranna esser pretendi ,
Di Tiranna qual pena ebbe il rigore,
De la Maga vo'dir, che il Turco Otone
Nel magico Castel lasciò prigione.
I l
ip8 C A N T O
VI.
Chiuso colui fra le incantate porte,
Fremendo stassi , come Augello in gabbia/
E ducisi in vano di sua dura sorte,
A cui sollievo alcun par che non v' abbia .
Egli darsi vorrìa subita morte,
Se un ferro avesse, onde sfogar sua rabbia*.
Molto vegliò , ma il sonno aifin pietoso
A sue membra accordò qualche riposo .
VIL
Riposo tal che da la grave salma
Di sue cure il Pcnsier scevro non rese-
Corsero i Sogni ad agitar quei!5 alma ,
E del Ver la sembianza il Sogno prese.
Offre dei Sonno a noi la dolce calma
Cose viste nel dì, pensate, o intese.
Quanto più ne la veglia il duol ci turba r
Più s'affolla de* Sogni in noi la turba.
Vili.
Di quel suo career l'abborrlta immago
Tosto a raccesa Fantasìa s'affaccia,
E di veder gli sembra un vecchio Mago y
Che avea di Mago almcn gli atti, e la faccia »
Canuto è il crin, disperso ondeggia , e vago ,
E folta barba il mento, e'1 collo abbraccia ;
Grinza è la fronte , il sopracciglio folto,
E maestoso, e venerando il volto.
IX.
Mesto pallor le gote sue ricopre,
Il corpo è lungo, e stranamente ^munto.
S' innoltra a lenti passi, e ben si scopre
Ch* egli da triste, ed alte cure è punto.
Il nero manto, e gambe, e piedi copre
Sì che il suo lembo al suol sembra congiunto»
Piccioi legno con lui divide il peso
Di lunga età , che curvo il dorso a reso .
NONO. 199
X.
Sembra ad Oton che quel Fantasma strana
Se gii avvicini, indi cosi gli dica.
Figlio , non ti doler ; sempre inumano^
Non è il Destin , né sorte ognor nemica.
Non più Fortuna è avversa , e a te la mano
Porge pietosa , e ti ritorna amica .
Fortuna, il sai, fu sempre instabil Nume,
Sempre di cangiar faccia ebbe costume.
XI.
Questa verga, che a me sembra sostegno,
De la salute tua ssià strumento ,
Questa spezzando , de la Maga il Regno,
Il Palagiocipè , fia sparso al vento.
Più non ti dico; a farti salvo io vegno,
Sarai salvo, e felice a un sol momento,
Così parve adOton che gli parlasse
Il buon Vecchio, e la verga a lui prestasse,
# XII.
Da si gioconda idea l'alma commossa
A l'opre usate richiamò le membra.
Destossi Otonc, e del piacer la scossa
Fa che libero , e salvo esser gli sembra ;
Poiché spesso al destarsi , in noi la possa
Tanta è del Sogno ancor , che al Ver rassembra ,
E può sognata allor strana avventura
Produr diletto, o duol , gioja , o paura.
XIII,
Ma, desto appieno, l'avveduto, e saggio
Oton , che a' sogni mai crede, o s'affida;
Qual mai splende , dicea , fallace raggio
Fra le tenebre mie, di luce infida?
Sogno crudel, tu questo mio servaggio
Inaspri, e fai che il mio dolor m'ancida .
Ma, mentre si dolea del sogno vano ,
£1 vide , « si senti la verga in mano.
I 4
zoa C A N T O
XIV.
Restò sorpreso, istupidito allora-,
Com'uom, che vede inaspettato evento,,
Se sia desto non sa , se dorma ancora ,
E fiso guarda il magico portento .
Inganno il crede, che ingannar talora
Il desir puote allor eh' è violento.
Pur di spezzar la verga egli risolve,.
Ed il real Palagio si dissolve .
Ove fuggirglieli' incantate porte,
Ove gli archi robusti , e gli aurei tetti ;.;
E quei, che il gran Palagio, al parche forte y
Vago , e leggiadro fcan ,# lavori eletti ?
Tante ricchezze ove mai fu™ assorte >
Forse del Mar ne gl'intimi ricetti?
Ov'è il Castel , che^ con profano orgoglio
Quasi di Giove s'innalzava al Soglio?
XVI.
Tutto spari, ne vi restò vestigi» ,
Come gittata non s'avesse pietra.
Sublime è questo in ver, strano prodigio ,
Che merta il suon di ben temprata cetra*.
Ove la Patria fu, del Popol Frigio ,
Ove Carta go,. il passeggier s? arretra ,
E mira almen quelle ruine auguste,.
Illustri avanzi de 1' Età vetuste ...
XVII.
Ma in van fra questo Pelago rn' aggiro^
Sopra l'errante Nave de l'ingegno.;
Con troppo arduo viaggio in vano aspiro
A penetrar de la Magia nel Regno.
Il portento perciò narro, ed ammiro ,
Né come oprato fu spiegar m* ingegno;,
Bastami dir che sbalordito Otone
Quasi il senso a perduto y e la ragione ^
N O N O, 2ot
XVIII.
De la Terra ei non sa qual Emi sfera
Calchi il suo piede, od in qual Zona ei viva" ,
Non sa se in altro Globo altro sentiero
Prema d' intorno al Sol , che il Mondo avviva *
Così , se illeso dal furor guerriero
Rivede il Figlio suo Madre giuliva,
Il pianto Figlio, da stupor, da gioja
Sembra che oppressa illanguidisca, cmuoja,
XIX.
Né forse quegli , sul cui capo scese
Colpo di piatto in sanguinosa pugna,
Colpo crudel , che stupido lo rese
Sì che in pie mal si regge , e più non pugna ;
Né forse Pollo, che di Falco intese
Il noto volo, e ne paventa Pugna,
Sì stordito riman , confuso tanto ,
Siccome Oton pel non atteso incanto.
XX.
Ma tosto che da P alto ei si riebbe
Stupor, che immobil fatto avcalo, e muto,
Di non veder vegliando assai gì' incretbe ,
Quel Vecchio , che dormendo avea veduto.
Dal nascer suo molta credenza egli ebbe
Ne 1* Impostor da' Musulman temuto; (sa
Perciò quel Vecchio un Servo ei crede , un Mes-
Di Maometto, o Maometto stesso;
XXI.
Che sua possanza, e sua bontà dimostra
Col farlo salvo in si mirabjl foggia;
Onde boccone sul terren si prostra ,
E riverente il labbro al snolo appoggia.
Il contento del cor col pianto ei mostra.
Che da le ciglia sue scende qua! pioggia v
(Anco il contento fa che'l pianto sbocchi)
Le braccia ci volge al Cielo j a terra gli occhi .
u
20* CANTO
XXII.
E «5 dice in quell' atto : O veneranda ?
O sapiente, o divino Maometto,
Grandissimo Profeta , al cui comando
Suol di Natura il corso esser soggetto ;
Che fino al Ciclo col pensier poggiando,
Nuove cose , inspirato» al Mondo ài detto
E col dotto Alcoran , sublime , e puro
Cutto insegnasti al Popolo futuro :
XXIII.
Poiché tanta degnasti , o gran Profeta ,
Pietàde aver del mio destino acerbo,
Degna i trasporti udir d'un alma lieta ,
D'un cor, che il favor tuo rese superbo.
Se fìa che palme questo braccio mieta ,
Se perduto non à I' antico nerbo ,
Tutto è tuo dono, ed a te sol degg' io-
La libertà, la vita, e l'onor mio.
XXIV.
Ben mille a te co;n animo sincero
Grazie ne rendo, e pel tuo nome santo
L'armi del primo vinto Cavaliero
Appender giuro# al tuo sepolcro» a canto .
Né quell'armi inviar per iscudiera,
Ma offrirle io stesso a te darommi vanto*
Ode, ciò derto, Otone , o udir gli pare
Una voce sonora alto gridare.
XXV.
Tosto Padoratordi Maometto
A l'improvviso suon l'orecchio tende;
E come Cervo , che i» natio boschetto
Voci di cani, e suon d'acciari intende ,
Dal Fiumicello, a cui bevea soletto,
Alza il ramoso capo, e il guardo stende,
Né più si cai di quella Jimpid'onda,
Che in s£ riflette l' ombreggia nte fronda ;
NON O. 203
XXVI.
Cosi , qualor V ignota voce intese,
Picn di spavento il Musulman fuggia ;
Ma poi là lena , e 1' animo riprese
Quando la voce alto gridò che stia.
Ferma , gli disse , e qual timor ti prese *
Par che fanciullo , o femmina tu sia .
Nunzio non son di duol , ma di contento,
T'offro un destrier veloce più che il vento.
XXVII.
Confuso è Otone , ed interrotta gli esce
Dal labbro, e mal formata la parola ;
Poscia la gioja a lo stupor si mesce
Si che i sensi, qual pria , quasi gì' invola .
Vede allora unDestrier, che nasce, e cresce ,
E la sua spada , e non la spada sola ,
Ma 1' usbergo, e l'elmetto era con quella,
Dei guernito Destrier sopra la sella.
XXVIII.
Tal meraviglia non sentissi in petto
L'incauta Europa sul fallace Toro,
Che sotto incorno, e il bestiale aspetto
Celava insidie al verginal tesoro;
Né lei, che a nuovo Anfitrion ricetto
Ignara diede entro al pudico toro ,
Quando , di Notte il corso alfin compito.,
Moglie si vide a gemino Marito.
XXIX.
Ei , mirando il Destrier dai suol venuto,
Di ciò che udito avea , si risovvenne;
E con fiducia nel celeste ajuto ,
Al Corridor, che il fren mordeva, ei venne.
Con giojoso annitrir fègli un saluto
Il buon Cavallo, e l'agii pie rattenne.
Sovra gli arredi suoi P oro, le gemme,
Le perle stan de l'Eritree maremme.
I 6
*o4 C A N T C*
XXX,.
Le chiome Oton co la sinistra afferrar^
E ne Ja staffa caccia il manco piede ,
E spicca un salto, e le ginocchia serra,
Poco premer la staffa utile ei crede ,
Onde balzar più facilmente a terra,
Se mai sotto il destrier vacilla, e cede . ..
Come composto di persona ei sia
Dicanio i Mastri di Cavalleria.
XXXI.
Ma tutto il sangue entrerà le rene serue
Rallentarsi , arrestarsi il Cavaliere,,
Quando vede spiegar velocemente,
E batter Palejl magico Destriere,
Che pei campi de Paria involo ardente
Par che rivolga a le celesti^ sfere .
Oltre al con fin de l'Atmosfera ei s'alza,
E cento miglia, e forse più, s'innalza. -
XXXII.
Pria che in sella montasse, ei non s'accorse
Che fosse quel , come Cavallo , Augello ;
Forse perchè poco osservollo , o forse ,
Perchè l'ali il colore^ àn del mantello..
Che questo fosse nel pensier gli corse
QuelP Ippogrrfo, o successor di quello,
Che nel Globo Limar portò Ruggiero,
Siccome narra il Ferrarese Omero,
XXXIII.
Esperto egli era, e in cavalcar valente*
Perciò si strinse, equilibrossi in sella ;
A le chiome s' attenne, e a briglie lente
Percorse in sul Destrier strada novella.
Mentre ei s* alza così dirittamente,
E addietro lassa questa nube , e quella >
Già dal Mondo egli pensa esser diviso,
E rapito si crede in Paradiso*
w o n a. #&
xxxiv. t
Come En«c Patriarca , Elia Profeta,
Fur sollevati in un istante al Cielo ;
Di Giovanni non so , che ad altra meta
Fu volto, io credo* il suo terrestre velo-.
Eran vasi costor d'impura creta , >
Siccome ogjrun, cui Morte vibra il telo ;
Ma li sottrasse il Facitor divino
A la forza del Tempo > e M Destino .
XXXV.
Ghi vide il Corvo alto poggiar talora r
Che d'ingordo desir vittima sia ,
Perchè non puote il curvo rostro fuora
Trar dal cartoccio , ove cacciollo pria ;
"E densa gomma l'inviluppa allora,
Che fuggir quell'insidia egli vorria ,
Gomma , che l' orlo del cartoccio cinge ;
Diritto il voi quasi a le nubi ei spinge :
XXXVI.
Chi quello vide, immaginar ben puots
Il viaggio d'Oton, senza fatica.
De' Pianeti ei pa^sò le vie remote,
E Marte vide^ co la Diva amica .
Coloro , a cui non soa le cifre ignote
D1 Urania , al Vulgo stolto ognor nemica >.
euesta , che detta amor fu da' Poeti ,
hiaman Congiunxìon di due Pianeti,
xxxvir.
Cangiai cammin , per molte miglia, e molte
Ver l'Oriente il volo il Destrier volge;
E in loco scende, ove d'antiche, e folce
Piante la squnllid'ombra il suolo involge*
Tante son quivi annose Quercie accolte,
Che fra le fronde in van raggio s' avvolge;
Ne l'estiva stagion sol vi traiuce
Dcbil talor meridiana luce-
zoo CANTO
XXXVIII.
Questo solingo, tenebroso, e cupo
Loco , che al guardo sol desta spavento^
A paragon di cui balza , o dirupo
E* soggiorno di gioja, e di contento;
Ove affamato urla l'ingordo Lupo;
Ov* Uom di fame dee morir, di stento,
O se di stento nò, convien ch'ei pera
Fra zanne, od ugne di vorace Fera:
XXXIX.
Questo sceglie per meta al suo viaggio
Il volator , e in mezzo scende ai bosco ,
Ove neppur meridiano raggio
Mai penetrò , dov' è più l' aer fosco .
Colà s'aggiran , come in lor retaggio ,
Angui in lubriche anella, e spargon tosco;
E quinci, e quindi quella nera, e lunga
Selva parecchie miglia si prolunga.
XL.
Il pennuto Corsier trattenne il corso
Innanzi appunto ad un angusta cella;
E il Cavalier, lasso d'aver sì corso,
Senza punto indugiar, scese di sella.
Non sa se tana sia di Tigre, o d' Orso ,
O di romito alcun sede sia quella.
Spera asilo trovar^ perigli teme,
E incerto ondeggia fra timore , e speme .
XLI.
Né villereccia rozza capannuccia
Quel chiuso loco si può dir che sia ,
Voichè, se fosse povera casuccia ,
Ciò che abbisogna almeno ivi saria.
Uom mendico non avvi , o femminuccia ,
Che sovra scanno assisa non istia^
Che un tavolin non abbia, un picciol letto,
Un rozzo armadio ne l'angusto tetto.
NONO. ^o/
XLII.
Traccia d'abitator qui non sì vede ,
E de gli usati arredi il loco è vuoto
Sì che alfin perde Oton la speme, e crede
Quello il soggiorno d'animale ignoto .
Ciò punto il ^erisimi! non ecceae,
E 1' artifizio del Castore è noto,
Che mura innalza, e vi pon calce sopra,
Indi le stanze a ripartir s'adopra.
XLIII.
Ma che un Mago ivi sia crede, e non erra y
Quando molte bollir pentole scerne ,
E vede^ starsi l'Alcorano in terra ,
E molti cerchi sul terre» discerne ;
Ed una verga scopre, che disserra
Del Tartaro le porte a l'Ombre infcrne .
In quel Castello , in cai prigion vivea ,
Tutte veduto ci queste cose avea .
XLIV.
Or l'ascoso Avvenir molto ei s'invoglia,
Sia tristo, o lieto , saper tutto, o in parte ;
E perchè in queìla selva, a quella soglia
Scese il Destrier fino dal Ciel di Marte ,
Spera a ragion di soddisfar sua voglia
Col propizio poter di magic' arte ;
E con mistiche voci, e cenni strani ^
Gli Spirti invita a disvelar gli arcani .
XLV.
Già da molt'anni ei di Magia s'intende,.
Che n'era stato lungamente a scuola.
Tre pentole, ed un altra in mano prende,
E presso al foco ad apportarle vola .
La quasi spenta fiamma riaccende
Col noto jsuon ò\ magica parola ;
Da le vicine piante in copia accoglie ,
Esca al foco novella , e legna , e fog"lie .
idff CANTO
XLVÌ.
Poscia la verga impugna , e calcia prece?
ÀI crudo Re del cupo Averne ei volge ,
Prece, che sempre uscir gli Spirti fece
Dal nero Abisso, che tant'alme involge.
Tutta ridirla al labbro mio non lece -,
Dironne quei che in mente ormi s'avvolge,
Portar non ama il pie la Musa mia1
Nel diffidi sentier de la Magia.
XLVH.
O forte, o venerabile ,,o tremendo
Imperator de le cornute genti,
Gran Re efe l'Ombre , e de TAverno orrendo,.
Dispensator di straz/ , e d'i tormenti ;
Tu , che puoi , la real fronte^ scuotendo ,.
Capovolger dal fondo i Regni ardenti ;
Per cui le colpe de' Mortali sono ,
£ colonne a la Reggia , e basi al Trono :
XLVIIL
Quel braccio punìtor, che^ il Mondo intero*
Venera, ossequia, ed a ragion paventa,
Deh! stendi in atto di supremo impero-,
E i tuoi Demon fa si eh' io veggia , e senta.
Ciò che impone il Destin, fausto, o severe.
Cui stolto è 1' Uom , che di sottrarsi tenta >
Fa sì eh' io sappia, e di qual Globo è il suolo >
Ove fui tratto con sublime volo.
XLIX.
Scese a Pluton la valida preghiera,
E tosto da ogni pentola bollente
Gli Ambasciator delDio, che al 'Ombre impera,-
Fisciando , urlando uscir ferocemente.
Tutti addosso gli fur ne la maniera
Che le sdegnate fanno Api sovente,
Se alcun le turba, o trae dal fayu fuori
Il distillato nettare de' fiori »
n o re o\ 2c9-
L.
Quegli empj Mostri abitator del cupo
jRcgno d' Averno, offron miscuglio- atroce X
A%a d'Orso il pelo, il dente anno di Lupo,
Di Tigre il ceffo, e di Leon la voce.
Estiva Serpe in sul natio dirupo
Men venefico à il guardo, e men feroce.
Son de l' Augeì , che i folgori fatali
Ministra a Giove, i piedi , e Pugne , e- l'ali «
LI.
Il Musulmano, che assalir si vede.
Fa tosto uscir dal fòdero la spada,
E fra que' Mostri , che ferir ei crede ,
Col ferro struggitor s'apre la strada-
Tanta è l'ira, e il furor , ch'ei non s'avvede
Coree inutil fra l'Ombre il brando cada.
Ombre son quelle , ma in vederle sembra
Che di feroci Belve abbian le membra..
LII.
Son Ombre, è ver, ma cento colpi, e mi ile
Vibrano, tai che spaccherieno un Monte»
Cerca pararli Otone , e sembra Achille,
Quando al Frigio furor faceva fronte .
Ma di sangue non può versar due stille ,
Né ferir l'ali a' Mostri , né la fronte.
Teme perir ne la diffidi pugna.
Sotto il braccio nemico, il dente, e l'ugna ,
lui.
Molto fé , molto ardi , molti rimosse
Colpi , ma tutti non li venne fatto ;
E benché tante orribili percosse ,
Che l'adamante avrian rotto , e disfatto,
Tutte in rispinger sempre abile ei fosse,
Una lo colse , ed atterrollo a un tratto ;
E la percossa fu sì violenta
Che risorger v.orrìa , ma in vano il tenta...
2X0 CANTO
LIV.
Circondato ei si sente, avvinto, oppressa
Da denso stuol sovra di lui congiunto .
Sbalordito rimali , fuor di sé stesso
Per sì strane vicende in un sol punto.
Alfin lo scuote del dolor 1' eccesso,
Poiché da dente viperino è punto .
Misero Ocon ! su le sue membra oh! come
Crollan que5 Mostri le funeste chiome !
LV.
Si divincola , e slancia ad ogni crollo,
Vomitando veleno , un perfid' angue ,
Ed al petto si scaglia, alt ventre, al colla.
Che far può l'infelice? Ei resta esangue.
Giunge il fluido letai fino al midollo',
E gli umor tutti , e tutto infetta il sangue.
Ministra già di troppo avversa Sorte,
Rota sua falce Pimpiacabil Morte,
INI.
Ma quando par che la e evera Parca
Poco il filo fatai ravvolga ancora ,
Filo, che annaspa avara mano, e parca,
E sul primo annaspar tronco è talora ;
Quando Caronte de la nera barca
Par che a Palma d'Oton volga la prora ,
Ecco, s'innoitra un Vecchio a passio lento,
Di maestoso , e grave portamento.
LVII.
Cotanto un cenno di quel Vecchio puote
Che tosto ogn' Angue, ed ogni Furia sparve.
Ei sul petto incrociò le man divote,
E in estasirapito un Santo parve.
Volte al Ciel tenne le pupille immote ;
Nuovo prodigio allor subito apparve.
Oton sano divenne, e snello , e forte,
Oton , che quasi era condotto a morte.
N O N O. |||
lviil
Fra cotante mirabili vicende
Ei non ardisce profferir parola;
A lui quel Vecchio ambe le braccia stende y
Ed al seno lo stringe, e lo consola.
Quel Genio tutelar cosi risplendc
Che de la Selva ii tetro orror s'invola.
Allor che in Lui fissar potè le ciglia ,
Fu preso Oton da nuova meraviglia .
LIX.
Poiché quel Vecchio sì gli apparve- come
Eragli pria l'altro nel sogno apparso,
Simii di volto , d' aspetto , di chiome ,
Sì che il medesmo appunto esser gli è parso.
Il Negromcnte lo chiamò per nome ,
Poi eh' un torrente ebbe di pianto sparso.
Pianto che innaffia la rugosa fronte ,
Siccome innaffia i pingui solchi il fonte.
LX.
Deh ! se a te sia propizio , alma gentile ,
L'irrevocabil Fato, e Maometto ,
Segui, ti prego , tuo cortese stile,
E fa ch'io sappia da chi son protetto.
Sì disse Otone , ed inchinossi umile
A pie del Vecchio, in segno di rispetto.
Sorgi, il Mago rispose , ad istruirti
Qui venni , o Figlio , ed alte cose a dirti .
LXI.
Sappi che in Terra non susurra fronda ,
Né Spirto può di regioni infernea
Prodigio oprar, che a l'occhio mai s'asconda»
Del gran Profeta; il tutto egli discerne.
Ei sveller può le rupi, arrestar 1' ondi,
E trar gli estinti a le tenèbre eterne.
Rendi grazie a Lui sol , che die tal possa
A me suo servo, onde salvarti io possa.
ti* CANTO
LXI1.
Tn Terra sei : da irrevocabil legge
Di sempre^ oscuro inevitabil Fato/
Che pria t'oppresse, or ti conforta, e regge,
In questo loco a voi fosti guidato.
Macon , che del Destirr le cifre legge ,
A* la magica verga a me prestato ;
Ei per mio mezzo il volator Destriero ;
Egli usbergo ti die, brando, e cimiero.
LXIII.
Da me sarar di molte cose istrutto f
Amato Figlio , che avvenir ti denno .
Con somma intendi riverenza il tutto,
Cono' ode Eunuco del Sultano il cenno.
10 son quel Ferraù , che il dolce frutto
Coglier ti fece del valor , dei senno ,
Ferraù, che ti rese in guerra , in pacey
E di Bellona , e di Sofia , seguace .
LXIV.
Fin da' prim' anni in fanciullesca guerra
Assodai le tue fibre , il tuo coraggio;:
Poi de Pihstabil Dea, che manda in Terra
Riflesso il lume del fraterno raggio ,
L'arte apprendesti, per cui belve atterra
11 Cacciatore ardito ai par che saggio.
Pria. col Cervo leggiero, e col Capretto,
Poi co gii Orsi pugnar fu tuo diletto.
LXV.
Farmi veder la pargoletta mano
Regger tremando il grave arco, e Io strale ,
E più bramando che potendo, in vano
A le Fiere drizzar colpo mortale.
Ma ciò che tanto ora è da noi lontano
Per anni, e lustri, memorar che vale ?
Basti il mio nome, e che son io queldcs<o,
Che tu y sognando , ti mirasti appressa „
r NONO. 215
LXVI.
"E perchè in parte dir, celarti in parte
Non voglio il ver, ma narrar tutto io voglio;
Quando nel suo Castel per magic' arte
Vidi altera Colei sedersi in Soglio;
Col libro in man, le chiome al vento sparte,
Diedi sfogo al mio sdegno, al miocordoglio ,
E con voce dicea da Pluto intesa ,
Ch'io non vo' sopportar sì grave offesa.
LXVII.
Gran Re de l'Ombre , che tremendo , e giusto
Punisci l'alme ree, che il Ciel condannai
Perchè a la Maga ergi un Palagio augusto ,
f, me qui lasci in povera capanna ?
Dunque al mio merto, al mio servir vetusto
Serbavi tu questa mercè tiranna?
Sia di tanto favor degna costei ,
Ma Ferraù non obbliar per lei .
LXVIII.
Più non aggiunsi, ed un Fantasma apparve
Da Mostri cinto, orridi, e strani oggetti .
( Fra Macon fra le tartaree larve )
Dièmmi una verga , e profferì tai detti .
Tu quel Castel, che raro don tiparve^
Di Pluto, e i marmi, ed i lavori eletti,
Tutto sfumar vedrai , questa spezzando.
Del Fato, e di PJuton tale è '1 comando.
LX1X.
La .gran verga serbai con molta cura ,
Finché far l'alta pruova a me piacesse.
Volle il Destino che la lunga , e dura
Tua prigionìa termine alfine avesse .
Tu la spezzasti nllor: l'eccelse Mura
Svaniron tosto; e quelle moli stesse,
Che non visibil man prima costrusse ,
Che Magìa sollevò, Magìa distrusse.
*i4 CANTO
LXX.
Poscia il buon Vecchio molte cose disse
.Ad Oton, che implorava il suo soccorso .
Molte strane vicende a lui predisse
Con lungo , e saggio, ed utile discorso .
Sapea quel Vecchio ne le stelle fisse ,
De l'incerto Avvenir leggere il corso.
Felice Oton, cui si disvela, e scopre
Ciò che a guardo mortai s' asconde , e copre !
LXXI.
Quel che ai propizio Mago egli rispose ,
Come a baciarlo, ad abbracciarlo» ei corse,
X quante grazie per le dette cose
Rese al buon Preccttor , che lo soccorse;
Dopo tante venture aspre, e dogliose,
Quanta gioja ad Otone in petto sorse ;
Quanto piacer colmò del Vecchio Palma,
D'Otcn mirando il giubbilo, e la calma :
LXXII.
Tai cose son che converrìa ia cetra ,
Per cantarne, trattar^ d'Apollo stesso,
O il cieco Vate ravvivar, che a P Etra
L' ira innalza d'Achille , agli Astri appresso ;
O quel Cantor, che vive in tela, in pietra >
E che in Sionne -celebrò P ingresso;
O quel , che mesce in variati carmi
Amori, Donne, Cavalieri, ed armi.
LXXIIL
Né più dirne dovrei , s' anco il potessi a
Però che il Vecchio di tacer fé' segno,
Ed una lauta mensa da' recessi
Uscir fé' tosto del tartareo Regno .
Copron la mensa molti arrosti , e alessi ,
Molte vivande , che laggiù l'ingegno
Seppe inventar del cuoco di Lucullo,
Che fea co' cibi il suo maggior trastullo.
NONO. 215
LXXIV.
Oh ! mirabil poter de la Magìa, <
Che in uno istante , in un balen ci mostra
Cose non viste , e non intese pria,
Meravigliose a la veduta nostra.
Soffici seggi ad uso di Turchia ,
Cingon la mensa con piacevol mostra.
Sovra i sottili trapuntati lini
Stanno in terso cristal spumanti vini .
LXXV.
Disse ad Otoneil venerabil Vecchio,
Seco sedendo a Pimmbandita mensa ;
Mira P esca , o Figliuol , eh' io t' apparecchio ,
E che tuo lungo digiunar compensa *m
Il divino Alcoran, ch'è puro specchio
Di virtù, dal divieto or te dispensa.
Dal divieto, che il vino a noi difende;
Vietarlo a tutii, e sempre ci non intende .
LXXVI.
Quel gran Lcgislator l'uso divieta.
Severo al Volgo dei liquor di Bacco ,
Perchè non possa unqua obbliar la meta
Chi nel sentier di temperanza è fiacco ;
E in quel vizio cader, che Ragion vieta,
Che P Uom rende brutal , empio , e vigliacco .
Legge è cotesta per lo Vulgo incauto ,
Pel Saggio nò, sempre avveduto, e cauto.
LXXVII,
^arrischi pur quel valoroso in Campo,
Che difender ben sa la propria vita >
Se Virtù nel Piacer non trova inciampo,
Cosa non avvi illecita, o proibita.
Giusto è de Pira, util d'Amore il vampo,
Desio di Gloria ad alte Imprese invita;
Ma se il confin de la Ragione eccedi ,
L'antidoto in velen cangiarsi vedi»
&itf CANTO NONO.
LXXVIIL
Sì dice il Mago , e di Macon possente
11 -venerato nome umile invoca.
Ambi con alma pura > ed innocente
Tracannan di liquor copia non poca .
L'accorto Vecchio ripetea sovente
Che non v' à cosa mai, che al Saggio nuoca ;
E di spumante vin tazze colmando,
De l'Alcoran mandan la legge in bando.
LXXIX.
Ma le palpebre sollevar non ponno,
Tanto dal cibo son , dal vino oppressi !
Il Dio Cimerio di lor fassi donno,
E i papaveri suoi versa sovr' essi .
Lasciam coloro in braccio al pigro Sonno,
E mentre dormon , riposiam noi stessi ,
La voce poscia più sonora a 1* Etra
Sospingerem su la temprata cetra .
Fittt iti C *ttto Kong
**7
LA MORTE
D^ ORLANDO.
CANTO DECIMO
ARGOMENTO.
Olone , e Ferràà, che stesi al sua/e
Dormisti, destatisi *lfint cose stupende
'Detta il Mago nd Otony che poi di voi*
Su P Ippigrifo in une sceglie scende.
liti è Isabella immersa in aspre duolo >
Oton la invela, e in Vener seco ascende
Ulisse lascia Fierdiligi , / molti
Frati ritrova in antro escure accolti.
C L
Oempre verace quest'assioma , e chiaro
Parve a color , eh' àn di Ragione il Jurae>
Essere il mezzo ne le cose raro ,
E che più d'un serbarlo in van presume •'
Sti. nel mezzo Virtù ; farmaco amaro
Virtù severa offrir suol per costume.
Guida un sol calle al Ver , mille al' Inganno ,
Al multiforme Error sentieri vanno .
4x8 CANTO
IL
li i'Uom,ehe spesso à densa benda a ginocchi,
Cernie il medio sentier discerner spera?
Più diffidi non è che un cicco tocchi
Fra cento bianche pecore la nera.
Molti perciò son gl'ignoranti, i sciocchi,
Che ad ogni cosa dan credenza intera ;
Molti , che a* sensi lor credono a pena ,
E in Terra stan come in fallace Scena .
Ili,
Ma, siccome nel resto, anco In dar fede
Il mezzo v* à , negligerlo è stoltezza.
Quel che intender non sì , y' è chi noi crede,
Quel eh' è recente , avvi chi il nega , e sprezza,
Strana pazzìa, ch'ogni confine eccede,
Che sol vetuste cose ama, ed apprezza!
Con insensato ardir gioco si piglia
Talun di ciò che apporta meraviglia.
Pria che negare , od accordar credenza ,
Veggiam se assurdo, o se possibii sia
Quel che udito ci venne, e l'apparenza
Non seguiam sola, u* copresi Bugia .
Acciò che poi , scoprendo ad evidenza
La Verità non conosciuta ppia ,
Di non maturo esame a noi la taccia
Non giunga quindi, che arrossir ci faccia.
V.
Ciò dico a voi, che di mie rime al suona
Udiste pria molti prodigi in Terra ;
Poi mi vedeste a l'avvampante Trono
Scender di Pluto, che i malvagi afferra;
D'onde fuggito arditamente io sono
(Che a suo piacer s'aggira il Vate , ed erra,
È a testa equina umane membra spesso
Può sottopor chi valica il Permesso : )
DECIMO. zio
VI.
Fuggito sono, e con audace salto
Entro a Cometa penetrai di volo,
E fui sì lungi rapito, e sì alto
Che inorridisco, immaginando! solo.
Ivi mostrai gliabitator , che in alto
Sonno giaceansi in quei gelato suolo,
Ove fur tratti con perversi incanti
Angelica vezzosa , e i fidi amanti .
VII.
Voi mi vedrete, qual vedeste allora,
Per certo umor, per certa bizzarrìa
Poggiar veloce, e far che suoni ancora
In altro Globo questa cetra mia.
Di quegli Eroi , eh* io canto, i passi ognora
Brama seguir mia calda Fantasìa ;
Ma quel che ò detto, e quel che a dir m'accingo,
Creda chi vuol : niuno a dar fede astringo ,
Vili.
Perch' ionon son , né Luca , né Giovanni,
Né metto in fronte a mie parole un Credi.
Mi basta^ che un censor non mi condanni ,
Se il verisimil sempre egli non vede;
E che non creda tutto fole , e inganni ,
Perchè non rnerta una, o due cose, fede,
Ma pensi ancor che si conobbe vera
Cosa talor , che inverisimil era.
IX.
E s'avvien che menzogna anco si scopra,
L'estro vivace a me ne fia discolpa.
Stojto chi il Vero a ricercar s' adopra
Né carmi, e un Vate di fallacia incolpa!
Ne lo Scrittor di Filosofie' opra ,
Nel seguace di Clio menzogna è colpa.
Ma il soffio agi tator , che un Vate spinge,
Fra i confini del Ver non si ristringe ,
K %
zzo CANTO
X.
Mentre in vane parole io fò ritardo,
Mi sfugge quasi il mio pensier di mente»
Ch' è di volger sollecito lo sguardo
A) Turco. Qtone, che lasciai dormente.
Bi si destò , ma per lo vin gagliardo
Grave il capo, e confuso ancor si sente*
Destossi , ed arrossi quel Mago, astuto
Pei soverchio liquor, che avea bevuto.
XI.
E tosto disse quello scaltro Vecchio :
O clemente , o grandissimo Profeta ,
Or ch'io fra queste oscure Selve invecchio %
Co' tuoi favor fa^ mia canizie lieta .
Figlio, a spiegarti il sonno io m 'apparecchio %
Che spiegarlo Macone a me non vieta ;
Sonno quello non fu, come tu pensi,
listasi fu , che ci à rapito i sensi .
XII.
Noi conoscesti? Un rapimento santo
Fu quel, che un pezzo noi da noi divise»
Qflde quaggiù lasciando i corpi acanto,
Lassù nel Ciel l'anime nostre mise.
Perchè quest'alme in lor terreno ammanto
Il nemico Destin tosto rimise?
O perchè aimen serbar Spirto non dee
Quaggù memoria di celesti idee ?
* * XIII.
Si disse il Mago, che sapea di frode,
E molta gioja gii lampeggia in viso.
A braccia tese ti tuttavia dà lode g
A Maometto, e il guardo al Ciel tien fiso.
Per quell'estasi Oton s'allegra, e gode,
E che il Vecchio il deluda non gli è avviso,
$è del Maestro l'inspirato labbro
Bi creder puote di menzogne fabbro.
DECIMO. ai
XIV.
Oh! stolti noi , come ci avvien sovente,
A cui molto crediam, di creder troppo 1
Destro impostor * che de 1' incauta gente
La fé s'usurpa, non ritrova intoppo;
Poiché il giudizio de 1' umana mente
Immaturo è talor, debole, e zoppo ;
!E per l'opposto un labbro menzognero
Crediam che menta, s'anco dice il vero.
XV.
Frattanto Oton sollecito si veste
D'armi cosi come pugnar dovesse;
5' allaccia iy elmo , e il petto si riveste ,
Lieto di riaver sue spoglie stesse.
A* per cimiero un Aquila a due teste ,
Son sue vittorie su l'usbergo espresse ;
E' lo scudo un acciar di tempra egregia ,
Luna d'argento io distingue, e fresia.
XVI.
Ricco pugnai di gemme adorno, e d'oro ,
Diègli quel Mago in dono, opra divina !
E una gualdrappa (di sottil lavoro,
Tutta di maglia rilucente , e fina.
Offre questa al Destrier lustro, e decoro ,
La groppa copre , e scende al suol vicina .
Il volante Destrier pieno di nerbo ,
Pel novello ornamento è più superbo .
XVII.
Il Vecchio poscia un incantata ampolla ,
Ove ignoto liquor stava rinchiuso,
Trasse dal seno, e al caro Oton donolla ;
Oton richiese qual ne fosse l'uso.
Figlio, il Vecchio rispose, al par di colla
E tenace il liquor qui dentro chiuso;
Suole al ferro prestar tanta virtùde ,
Che resistere il fa più d'un ineude .
K 3
m CANTO
XVIII.
Cotesto umor non saprei dirti come
Chiamar si deggia , esso a' mortali è ignoto f
Ma poco giova di saperne il nome ,
U suo poter basta che a te sia noto .
L'usbergo tuo saldo starà , siccome
Scoglio star suol fra Tonde avverse immoto,.
Ne il brando mai, ne ria l'elmetto infranto,.
Se dei liquor l'aspergerai soltanto.
XIX..
Lungo troppo saria narrarti appieno
Come sì gran tesoro avuto io m'abbia.
Or ti basti saper che verrà meno
Pria de' nemici tuoi l'ira, e la rabbia,
E di spezzati ferri il Campo pieno,
E ria di sangue ostil molle la sabbia,
E i più feroci volgeranno il tergo,
Che si spunti Tacciar, ceda l'usbergo.
XX.
Sì disse ; io la cagion saper non tento
( Vana cura sarla ) di tal prodigio,
Né so se figlio sia T alto portento
D'IIlusion, di magico prestigio.
Per tanti doni Oton lieto, e contento,
Più non teme esser tratto al Regno Stigio s
Poiché tai son de Tarmi sue le tempre,
Ch'egli esser debbe invulnefrabil sempre^
XXI.
Con riverenza allor dal Mago prese,
Come volle il Destino, alfin commiato;
Molte , prostrato al suol, grazie gli rese r
Siccom' era dover d' animo grato .
Prima che il tuo favor, Mastro cortese,
Disse, e 'I tuo nome sia da me obbliato,
Mi sia la terra sotto à' piedi aperta,
E freddo il foco in gel pria si converta.
DECIMO. zz$
XXII.
Tal fur suoi detti , ed altri ancor parecchi ,
Hhe il replicar penso che inutil sia.
ìe con ciancie assordassi altrui gli orecchi ,
yOton , che parce, smarrirei la via ,t
Meglio sarà che tosto io m'apparecchi
V tenerli per Paria compagnia,
E se non giungo a seguitarlo appieno,
/o' seguirlo cosi ch'io il veggia almeno.
XXIII.
Già de'folgor, qual folgore novello ^
E de le nubi a l'alta regione
Poggia veloce quel Cavall'-Augello >
E seco tragge l'animoso Otone.
Spettacolo a veder sì raro, e bello,
jiove s'affretta^ Paliacle , e Giunone ;
Ed ir frequente stuol de' Numi assiso
ita su le soglie del beato Eliso.
XXIV.
Chi vide allor che per sollazzo , e festa
[ncontro al Toro il fier Mastin s'attizza,
La clamorosa folla accorrer presta,
Facendo cerchio a 1' apprestata lizza ;
Chi, mentre il Tauro al Can , che lo molesta,
Onde in aria slanciarlo , il corno drizza ,
I plausi intese, il popolar tumulto,
Che il Tauro invita a vendicar 1' insulto :
XXV.
Pensi che tanto stuol, tanto fracasso
Sia di Giove lassù ne l'alta Reggia.
Amor Jfanciul , de gli altri Dei più b3iso ,
Deve il collo allungarpria chcOton veggia.
Ma visto, e conosciutolo , il turcasso
Piglia , e la gioja in volto gli lampeggia ;
E de la Madre, che di Cipro è Donna ,
Festoso trae la trasparente gonna .
K 4
^24 CANTO
XXVI.
Madre , di quel Mortai tran cose o letto
Ne* libri irrevocabili del Fato .
De' miei dardi colui sarà l'oggetto;
Oh ! me fra tutti gi' Immortai beato !
Ficn risse, e guerre de' miei colpi effetto,.
Cosi nel €iel sta scritto, e destinato.
Due celesti beltà .... ma il. tempo vola ,
E mentre io tardo, il volator s'invola.
XXVII.
Tacque, e dalCiel precipitando in Terra-
Venne a uno scoglio , o picciola Isoletta,
Che d' un soj pescatore in sé rinserra
Uno abituro , od una capannetta .
V'eran le reti stese su la terra,
3B vicino a la spiaggia una barchetta .
Poco più che vi fosse y il picciol sito
Certo sarebbe In ogni parte empito.
XXVIII.
Altro non è lo spazio che un pratello 3
Dico pratel , perchè poch'erba il copre.
Amor, che in dito avea magico anello,
Tosto ad umana vista si ricopre .
Tra i fior giacendo innanzi a quell'ostello,
Non discoperto mai , tutto ei discopre ;
E mentre al varco ivi la preda aspetta,
Sceglie fra tutte un agile saetta.
XXIX.
Non ben anco la scelta ci fatto avea,
Che giunge Oton sovra il Cavali'-AugcHOc
Tutto ignorava Oton , tutto sapea
Il volante destrier pien di cervello.
Immaginar non puote umana Idea,
Di quel Destrier mescuglio alcun più bello ;
Augel , Cavallo, e a brutal forma sotto
Più saggio assai del Cavalier , più dotto .
DECIMO. *lf
XXX.
Sorpreso sempre il Musulmano resta
Per sì bizzarro inesplicabil Ente.
Come? dicea , qual meraviglia è questa,
Che tutta fammi instupidir la mente ?
Forse Spirto del Ciel scese in cotesti
Spoglia di volator Destriero ardente?
Mentre Oton tutto ammira , e nulla intende.
Veloce al suolo il Palafrcn discende.
XXXI.
Quasi del Cielo avea fornito il corso
Il gran Cocchio del Dio, che tutto abbraccia ,
Eto , e Piroo copnan di spuma il morso
Sotto la sferza , che nel Mar li caccia ;
E Notte ombrosa, che prestar soccorso
A l'alme suoi, che Amor furtivo allaccia,
Seco traea Sogni fallaci in Terra ,
Al credulo Mortai movendo guerra.
XXXII.
Allora il Musulman smonta d'arcione,
E in quell] angusto rustica! soggiorno,
Se il Destin io concede, ci si dispone
Ad albergar fino al novellò giorno .
Entra né la capanna , e sei persone
Vede a mensa frugai sedute intorno.
Di tre Fratelli un, ch'esser mostra il Padre >
Siede fra lor co la canuta Madre .
XXXIII.
Stassi in disparte una gentil Donzella,'
Che non par quattro lustri aver fornito.
D'Amatunta la Dea non è più bella;
Un sasso ancor se ne saria invaghito .
Al guardo lusinghier grazia novella
Il pianto aggiunge a calde stille uscito,
Come col pianto la vermiglia Aurora
11 rifratt© del Sol raggio colora,
K 5
zz6 CANTO
XXXIV.
Le lagrime cadean. sul bianco viso,
Qual sovra i gigli suol cader la brina «
Più non apria quel vago labbro al riso ,
Pel duolo al suol tcnea la fronte chinai
E fame fior dal vomero reciso
In sul primo apparir de la mattina ,
Perde sue tinte, ed appassito langue ,
Fuggìa cosi da quelle gote il sangue.
XXXV.
Non mangiava ella, che mangiar nonpuote
Chi langue oppresso da dolor cotanto .
Allor che vide le sembianze ignote
Del Musalmano, ed il guerriero ammaato,
Il pianto scese ad innondar le gote,
Balza in piedi, e'1 sedU gitta in un canto,
Poscia , stracciando , e chiome , e volto, e seno,
Corre, e meno di lei corre il baleno*
XXXVI.
Furibonda così tre volte gira
La capanna con uili, e con sospiri ;
Gli occhi stravolge, e s' agita , e delira ,
Ma ignota è la cagion de* suoi martiri.
Spinto dal cor, che palpita , s'aggira
li sangue fra i difficili respiri ,
E la battente arteria al tatto esperto
Nunzia esser puote di quel corso incerto,
XXXVII.
Tenta , ma in van , la semplice famiglia
Tn cotanta procella apportar calma ;
In vano il saggio Padre la consiglia
I ferventi a sedar moti de Palma .
Ragione alfin l'impero suo ripiglia ,
Ed allevia del duol la grave salma.
Schiudesì il labbro allora, e a' suoi lamenti
Eco risponde, e Paleggiar de' Venti.
DECI M O. zz7
XXXVIII.
Ahi giusto Cielo, e qual delitto è'imio,
Onde nebbia a portar sì strana pepa ?
Perchè vivere ancor , lassa ! degg' io?
Qual forza al corpo [' anima incatena?
NcmicoNume avverso al mio desio >
Viva mi serba in sì feroce pena.
Dunque per mio martir , per mia tortura
Leggi, ed ordin cangiar veggio Natura?
XXXIX.
La stessa taglia avea, le forme stesse
L'amante mio ; così soleva armarsi .
Brando simile a questo sen diresse,
Quando a pugnar, come<kierrier , comparsi.
Ah! trafitto quel ferro il cor m'avesse!
Fosser miei membri or fra la polve sparsi!
O la procella a' danni nostri insorta
M'avesse almen fra quelle spume assorta!
XL.
Cosi diss' ella; or chi pensato, o detto
Avrìa che in questa rustical capanaa
Celato fosse quel leggiadro aspetto ,
Cui Sorte fu sì rigida , e tiranna ?
Isabella vo' dir , che il caro oggetto,
Ulisse, estinto crede, e pur s'inganna;
E l'inganno d'Ulisse al suo risponde,
Poiché smarrita egli l'avea fra l'onde.
XLL
Amor frattanto, com'è suo costume,
Tende 1' arco temuto , e un dardo vibra »
Qual Augelletto , che su lievi piurft
Ne gli spazj de l'aria s'equilibra ,*
Scende la freccia del possente Nume,
Che ogni alma accende, ed agita ogni fibra,
Stride la corda, ed il fischiante dardo
11 cor trafìgge al Cavalier gagliardo.
K 6
azS CANTO
XLII.
A la freccia d' un Nume il tuo non LrKta
Usbergo, Otone , o il ben temprato scudo.
Lo strai s'aperse un ampia breccia , e vasta ,
Che per que' dardi è il petto inerme, e nudo.
Contro Amore un Guerriero in van contrasta,
Achille stesso è divenuto un Drudo,
E di Bellona anco il German feroce
Palpitar si senti, queir alma atroce .
XLIIL
Oton , che nuovo, e strano ardor sentla :
Mandò dai core un fervido sospiro .
Crede pietà de lr infelice sia
Ciò che d'Amor soltanto era martiro .
Lraspre vicende sue saper desia ,
E nasconder non puote il swo desiro.
Avidamente al Pescator novella
Chiede, e parlando a lui, guarda Isabella-,.
XLTV.
Guarda Isabella, e non- ne sa distrarre
L'occhio un momento , o se nel trae per poco,,
Destino, istinto, Amor vel# torna a trarre,.
Come al più degno , a I' unico suo loco .
Signor, da quel ch'io ne potei ritrarre.
Disse il buon Pescator, d'ardente foco
Avvampa il cor de la gentil Donzella
Per un, che a lei rapì cruda procella.
XLV.
E voi dovete anco saper che questa
Mia figliuola non è, ma viva a pena
Ella giacca dopo una gran tempesta ,
VomitatPdal Mar, quàsu l'arena ,
Avea di gel man , braccia, « gambe , e testa ,
Tutta il polso perduta avea sua lena ;
Morte apprestava la spietata falce,
Che ci ricopre di funerea calce.
D E C I M O. *t$
XLVI.
Né le ftnrici più feria la fiamma ,
Me ìì braccio alzato si reggea più solov
Corsi veloce , come Cervo , o Damma ,
In ogni lato de l'angusto suolo ;
E tutto quel che accendesr, e s'infiamma,
Stoppie, erbe, e paglia , radunai di volo .
Su T arid' esca la scintilla corse ,
Che da battuta pietra a un punto sorse.
XLVII.
Allora i Figli miei scelsero I Uni
Men rozzi, insicm co la pietosa Madre,-
Ed avvolser fra caldi panni lini
Le sbattute dal Mar membra leggiadre.
Schiuscrsi gli occhi , e fersi porporini
I labbri , che il calor di vita è Padre;:
Poscia il ventre digiun si fé' satollo
Con succo estratto da bollito pollo „
XLVIII.
Come talor la Serpe intirizzita
Nel Verno giace , e d' ogni senso priva ;?
Se t'accingi a scaldarla, invigorita
Scuote il letargo, e par ch'ella riviva;
Cosi la Donna ritornammo a vita ,
Cui molto increbber esser rimasta viva,
E che fin da quel punto aprì soltanto
A' lamenti le labbra, e gli occhi air pianto*
XLIX.
Vigili fummo per timor che il fiero
Duol la portasse ad incontrar la morte*
Ella chiamò sul lido un giorno intero
Colui, che preda fu d'avversa Sorte.
Fin che sul curvo mobile Emisfero
Non vide l'Ombre de la Notte insorte,
Fu copioso il suo pianto , e fu perenne;
Alfin, son pochi istanti* ella qui venne*
%$p CANTO
L.
Ma pria funesto al sospirato amante
Fé giuramento che tre giorni al lido
Vorria di pianto tributargli avante ,
In testimon d'amor costante, e fido;
E poi > dove Nettun siede regnante ,
Precipitarsi, e ov'ànno i pesci il nido.
Ma tu, dimmi, oGuerrier , che l'aure fendi ,
Se un Nume sci 3 se da le Stelle scendi .
LL
Qui tacque il Vecchio, ed il tiranno Amore»
Mentre que' detti con aperta bocca
Otone udia , novella entro al suo core
Da l'arco teso una saetta scocca .
Reca mestizia, ardor, strazio, e dolore
Ad Oton quello strai, che il cor gli tocca ♦
Ora immoto ei rimane, or freme, e smania ,
Or gela , or arde d' amorosa insania .
LIL
Talor si ferma a contemplar le ciglia,
£ gli occhi , e '1 seno , come tronco , o sasso ;
E ad attento Geometra somiglia ,
Che l'orme segua di fedel compasso.
Poscia , allor cHe il vita! senso ripiglia,
A lei s' appressa con veloce passo ,
Ma si smarrisce, e timido s'arretra,
Ch'ella una Dea gli par scesa da l'Ètra *
b LIIL
Splendono già dì scintillante luce
Ne* Campi azzurri le ceiesti faci ,
E il tardo Sonno, che de' So^ni è duce >
Le multiformi segue Ombre fallaci ;
E Fiumi varca, e Mari , e *1 ciglio truce
Chiude a' fervidi ancor Guerrieri audaci ;
Guida il gregge a l'ovile, e a' pingui solchi
Toglie, d' util sudor molli , i bifolchi.
DECIMÒ. 'zpl
LIV.
Ma dove giace in minacciata Reggia
Su molli piume un Regnator possente ,
lì cui serto regal brilla, e lampeggia
Fra mille cure di turbata mente;
Che i papaveri in tan scuoter si veggia
Quel pacifico Nume $ avviensovente ,
Poiché mordaci idee giammai non ponnó
Esser compagne di tranquillo sonno .
LV.
Mentre colà nel più felice obblìo ,
'Stanco del lungo oprar, ciascun riposa,
Di nuovo pianto la Donzella un rio
Versa , né dorme un solo istante, o posa»
Ella furente da la stanza uscio ,
Onde compier nel Mar vita nojosa ;
Ma del suo giuramento le sovvenne ,
E su la spiaggia il picciol pie ritenne *
LVL
Preme 1* amante Otone il duro letto,
E nel sinistro lato, e nei diritto;
Gli balza il core oltre a i' usato in petto s
Il cor da doppio strai punto, e^ trafitto.
Tanto lo strugge ardor , ch'egli a sospetto
Esser da febbre repentina afflitto ;
Arde di sete, e non sa stilla corre
D'amico fiume, che vicin gli scorre.
LV1I.
Ma scusarlo dobbiam , ch'ei vive amante
Senza saperlo, perchè Amor non vide.
S'asconde Amor fra le vicine piante,
E de la smania sua si beffa, e ride.
Vorrebbe Oton su quel Destrier volante
Quindi fuggirsi , o solcar l'onde infide;
Ma sue brame il Destrier par eh' abbia a sdegno*
E per fendere il Mar non avvi un Legno ,
*32 CANTO
LVIII.
Vedeasi a pena la vermiglia Aurora
Versar dal grembo le stillanti rose ,
AUor che Otone uscì dal letto fuera ,
E P usbergo , e l'elmetto si ripose .
Non bene avea 1' armi vestito ancora ,
Le invincibili sempre armi famose,
Quando gli apparve il ieritor Fanciullo ,
Che pigliato di lui s'&vea trastullo.
LIX.
E se gli fé leggiadramente innanzi
Con quella veste, che dar suol Natura*
Mai si vedrà, né un tempo fu, né dianzi
Visto fanciul di si gentil figura.
Pel Greco ardir par che i modelli avanzi
Fra noi serbati con gelosa cura;
Niuno colà del suo venir s' avvide,
Oton soltanto udillo , ci solo il vide.
LX.
Mirami , Otone , e m'odi ; il tempo or giunse
Che del tuo mal tu la cagion conosca.
Là dolente Isabella il cor ti punse.
Amore io sono ; il mio velen t' attosca.
Ma il farmaco al veien mia man congiunse,
Fia lieto dì seguace a notte fosca.
Ai lido corri j ivi Isabella meco
Verri, su l'aure poggierà poi ceco.
LXI.
A questi accenti il Musulman Guerriero
Corse ove il Mar nel lido urta, e si frange .
Amor s' accosta corrucciato , e fiero.
Ad Isabella , che nel ietto piange.
Il Ciel , le dice, è punitor severo
Di quel Mortai, che i giuramenti infrange.
Surge il grand' Astro, e indugi tu cotanto
Sovra il lido a versar giurato pianto?
DECIMO, 233
LXII.
L'Ombra d'Ulisse, o Femmina crudele,
Vedi , che a te volge feroce il guarde ,
Òdi il suo lagrimar , le sue querele ,
Ferch' ài 1' alma sì fredda , il pie sì tardo v
Ah ! d' un tenero cor, d'un cor fedele
Troppo e indegno , Isabella , il tuo ritardo ;
Al caro amante tributar sol debbe
Tuo ciglio il pianto ove la tomba egli ebbe.
LXIII. m
Non veloce così balzare ignudo
Dal violato talamo si vede,.
Mentre il frutto cogliea, smarrito^ il Drudo >
Se giunge quel , che l'arbore possiede;
Come Isabella al favellar dcl# crudo
Nume fallace, al lido volge il piede ,
Amor, mentr' ella a lagrimar s'accinge,
li Musulmano presso a lei sospinge.
LXIV.
Qual su Colomba , che varcar sicura
L'aure si crede, lo Sparvier si scaglia,
Oton l'afferra; ella fuggir procura,
Ma su l'agii Destrier convicn che sagli» .
De* 1| aereo viaggio Amor la cura (guaglia ,
Lascia al Destrier , che in senno a un Dio s' ag-
li d'Amore i comandi a orecchie tese
Ode , e col capo fa cenno che intese .
LXV.
Come divorator Lupo , ch'entrato
In un ovii di pecorelle sia,
Se il nodoso baston vede impugnato
Dal buon Pastor , che ucciderlo vorrìa ;
Lo sventurato Agnel prima addentato
Sul dorso gitta, e se ne fugge via,
Così per l'aria con veloce corso
Reca il Destrier la Donna, e Oton sul dorso* «
234 CANTO
LXVI.
Àlzansi a volo, e tanto è '1 voi sublime,
Che Cittadi, «Villaggi, e Mari, e Fiumi ,
E d'alti Monti le scoscese cime
Mal scerner ponno co gl'incerti lumi.
Alto spavento la Daniella opprime K
Gli Uomini in vano, in vano invocai Numi *
AJ Globo giungo», che Venere è detto.
Ma d'altro or sono a favellar costretto.
LXVII.
B parmi ancor , se canterò d'Ulisse^
Cosa far più gradita a chi m'ascolta,
Poiché il troppo tener le luci fisse
In un oggetto , apporta noja molta .
Forse in udir ciò che mia Musa disse,
D' alcun l'orecchio si stancò talvolta.
Dunque scena cangiam , ma d' Isabella
Si parli in questa ancor scena novella.
LXVIIL
Mentre vivea fra l'onde Ulisse ancora
Sovra un frammento di quel suo Naviglio
Con FiordJligi, d' Isabella suora ,
Un Nocchier li scampò da quel perìglio *
Ma di morte peggior per essi allora
Vita divenne , e doloroso esiglio,
Che d'Isabella già credean distrutto
L'amato corpo da l'ingordo flutto.
LXIX;
Chiese Ulisse al Nocchier, se per ventura
fra l'onde vide Femmina gentile,
La più bell'opra , che mai fé' Natura,
E che avea d'una Diva aspetto , e stile .
Ei ritrasse così volto, e figura,
Che il descritto sembiante è al ver simile .
A quella inchiesta il buon Nocchier risponde
Che Donna tal non ritrovò fra l'onde,
DECIMO. 235
LXX.
Torna Ulisse a descriverla affannoso ,
£ quel che a detto, non gli par bastante,
V'aggiunge sempre, e nulla serba ascoso
Di ciò che veder puotc occhio d'amante .
La bocca, il ciglio, il morbido, e vezzoso
Fianco dipinge, il colmo senile piante ;
Del vermiglio color soltanto ei' tacque,
Che il volto ornar più non potea ne l'acque .
LXXI.
Poi che tanto il Nocchier disse, e ridisse,
Che conforto non ebbe il suo martire;
A Fiordiligi lagrimando ei disse
Ghe in un Eremo i dì volea finire ,
Né in donna più tener le luci fisse ,
Ed il foco d'Amor sempre fuggire,
Puro serbando a la perduta amante
Inviolato ardor , Me costante .
LXXII.
Passò poi Fiordiligi al patrio suolo ,
Cui la Senna tributa onda perenne .
Ulisse immerso ne l'acerbo duolo,
Su la deserta spiaggia ilpiè ritenne.
Come viver poss' io ramingo, e solo,
Dicea, se vita a me pena divenne?
Come fatto non son stupido , immoto ,
Perduta l'almaj e chi mi dava il moto?
LXXIII.
Spirto, che sciolto dal corporeo velo,
Del Pensier non ristretto agiti l'ali,
E ne* riposi , a cui ti trasse il Cielo ,
Compiangi forse i miseri Mortali ;
Quest'alma ardente , che d'Amore il telo
Per te trafisse, e ricolmò di mali,
Non obbliar ", né la costante , e pura (
Fede , che il labbro ti promette, e giura .
*ì6 CANTO
LXXIV.
Giura che mai potrà novello foco
Sorger seguace a questa fiamma eterna ;
Che mai Donna. mirar, nemmen per gioco*
Saprò , se fosse anco beltà superna ;
Che vivrò santa vita in ermo loco,
Acciò l' Ente , che il Mondo , e '1 Ciel governa,
L'alma tua mi conceda in Paradiso
Vagheggiar, co*ne in Terra il tuo bel viso.
lxxv.
Cotali cose fra sospiri, e pianti
Su quella spiaggia Ulisse ripetea.
Misero! che i sospir de' caldi amanti
Esser preda de l'aure non sapea .
Per breve spazio i tardi , e vacillanti
Pie sul deserto lido ei spinto avea,
Quando molte osservò miglia lontano
^Ergersi un Monte su V immenso piano .
LXXVI.
Veder gli parve folta Selva altera
Su .l'ardua vetta guerreggiar col Sole.
Verso quel Monte il passo ei volge, e spera
Opportuno^ quel loco a ciò ch'ei vuole.
Già nel viaggio suo giunge la sera ,
I molto il corpo, e molto il pie gli duole ,
Ma il duol de 1' alma ogni dolore avanza ,
E prestando gli va lena , e costanza.
LXXVII.
Come quel pellegrin , che un giorno intero
Errato abbia^ per balze, e per foreste ,
Quando suoi raggi il Sol vibra severo ,
E co la spoglia dclè Leon si veste ;
Sì che il caldo , e il lunghissimo sentiero
Fa che rabida sete il preme , e investe ;
Se gli addita il cultor lontana fonte,
Di novello sudor bagna la fronde.
DECIMO. *}7
LXXVIII.
E alcune miglia di penoso calle,
Benché su' piedi egli si regga a stento ,
Ardito imprende, e passa Monte, e Valle,
Così s'avanza Ulisse a passo lento.
A la Terra parcan volger le spalle
Gli Astri, e la Diva dai cornuto argento,
Oltre al mezzo suo corso era la Notte,
Quando Ulisse posò fra rupi, e grotte.
LXXIX.
Ei fatto avea di ripida salita
Sei miglia quasi, e giunse alfine al bosco.
Ivi s'assisc, che a seder io invita
Il taciturno loco, e l'aer fosco.
Quella a gli Angui esser dee sede gradita,
Ivi denno versar col fiato il tosco,
v^ol Filomela con soave metro
Tempra l'orror dei bosco denso, e tetro;
LXXX.
In sì diffidi sospirata meta
Qualche riposo ebber sue stanche membra,
L'alma non già, ch'esser non può mai lieta ,
Anzi più mesta, ed agitata sembra.
Lungo pensar più sempre l'inquieta,
E il pensier cupo a nero umor rassembra ,
Che in onda pura distillando scende,
E più torbida, e lorda ognor la rende.
LXXXI.
Ma perchè molto il sonno mai non dura,
fé da lugubri idee commossa è l'alma,
E la spoglia mortai non ben sicura
Posa del duol sotto a la grave salma;
Dcstossi Ulisse, e de la Selva oscura
Ne la profonda spaventosa calma
JL' orecchie sue strano romor percosse,
Che d'uom parta voce indistinta fosse.
238 CANTO
LXXXII.
Dietro al novello suono egli s'avvh
Fra i tronchi annosi de le negre piante,
."E un ramo vede, che giovar potrìa ,
Sostegno offrendo al# corpo suo tremante ;
«Poiché la lunga^ faticosa via
L'usata lena gli avea tolto arante,
Né col debil poter di breve sonno
Smarrite forze ricovrar si ponno .
LXXX1II.
L'amico ramo egli sollevale stringe,
E sovra quel , di curvo vecchio a foggia ,
Mentre a P arduo sentiero egli s'accinge,
Le man , le braccia , e la persona appoggia ,
Curioso desìo P invita, e spinge
A cercar se la Selva uomini alloggia,
E giunge alfin dopo non lungo calle,
Ove più fitto è'1 bosco, ad una valle,
LXXXIV.
Anzi ad una caverna seppellita
De la Foresta nel profondo seno,
pa sovrastanti Quercie essa è munita
Più che Città da muro, p terrapieno.
A la discesa acconcio, a Ja salita
Avvi un sol loco, ma di sterpi é pieno;
Ogn' altro lato é sì scosceso, ed erto,
Che il passo è solo a gli Augeiletti aperto,
LXXXV.
Sembra che nel formar P orribil loco
Voluto s'abbia trastullar Natura,
E impenetrabil con bizzarro gioco
Farlo ad ogni animai d' ogni figura ,
Acciò d'Amore il fecondante foco
Mai non s'accenda in quella sqóg oscura."
Pur da quell'antro uscir tremendo , atroce,
Sonora Ulisse intese umana voce.
DECIMO. *$|
LXXXVI. '
Come Pastor, che le sue Capre guida
Dai colie al piano , e il ben pasciuto armento ,
A quel baston , che il minaccioso sfida
Lupo vorace a singoiar cimento,
Lasso dei lungo errar, tutto s' affida,
E scendendo ne viene a passo lento ,
Mentre al cadente Sol fulgida, e beila,
Surge rivai la vespestìna stella :
LXXXVII.
Così Io stanco Ulisse allor scendea
Js!c la spelonca col Mei suo leg.no.
Ercole, o Teseo d'esser gli parca-,
Che sceser vivi di Plutone al Regno .
Vide ciò che pensar mai non potea ,
E comprender non puotc umano Ingegno ?
Di Frati un bigio stuol , che ergea con zelo
in questo Abisso Inni devoti ai Cielo.
LXXXVIII.
Di molte faci egii li vide al lume ,
Che presso al brevi»! pesante, e negro,
Accese aveano, e che spargean barlume,
De la Spelonca ne lo spazio integro .
Grazie , prostrato al suolo, al sommo Nume
Rese a tal vista Ulisse afflitto, ed egro.
Ciascun di lor tanto a le preci attende
Che alcun noi vede, né sua voce intende.
LXXX1X,
Si stette Ulisse ad ascoltar quel canto ,
Che non canto p&rea , ma suon discorde,
K su i seguaci di Francesco il vanto
Aver potria nel far le orecchie sorde .
Compiuto al$n V Inno devoto , il santo
fctuol con un soffio general , concorde,
Tutte spense le faci, e dense, e crebre
Coprir queir antro orribili tenèbre.
24o CANTO DECIMO.
XC.
Tosto a la grossa voce di colui ,
Che il Padre# esser parea Supcriore ,
In qut' recessi spaventosi, e bui,
Un confuso levossi alto romorc .
Sorpreso è Ulisse , e quelle grida in lui
Fra il tenebroso orror destati terrore .
Ma il pie volger convienmi ad altro loco ;
Ulisse già noi rivedrem fra poco.
XCI.
Se di lui troppo a favellar m'arresto ,
-Cantar non posso più sublimi eventi,
Ne quel Destriero seguitar , che presto
Agita i vanni oltre a le vie de' Venti,
E" d'Isabella al cor dolente, e mesto,
Per dar conforto , e tregua a' suoi lamenti ,
La reca in parte dilettosa , e lieta ,
Di Venere vo'dir entro al Pianeta.
XCII.
Ma pria eh' io tenti di salir sì alto
Convien ch'io posi , e pigli fiato, e lena.
Posa il Guerrier dopo cruento assalto,
Posa l'Attor dopo diffidi scena ,
Posa il cultor sovra l'erboso smalto
Col tardo bove, che respira a pena;
Degno perciò d'alcun riposo parmi
li Vate ancora dopo lunghi carmi .
Fittt dd Canto "Decimi „
24I
LA M 0 H E
D' ORLANDO.
CANTO WDECIMO
«*x^>
ARGOMENTO.
Teste t Janxey e delizie il bel Pianeta
Di Venere a isabella , a Oton presenta .
Peseta un lìquor fa che Isabella e* lieta ,
E Ulisse obblìa , solo a piaceri intenta :
XJlhse , che laggiù ne la segreta
Grotta il Tratesco stuol turba , / spaventa ,•
Ma pei li calmai e un F rate al suelo getta >
E dal Pricr le bigie lane accetta*
Ti-
acete, o lingue de' pia chiari Vati,
Voi , che l'antica Età fate superba, <
Fuggite, Ombre d'Eroi quaggiù pregiati,
Perchè di sangue ostil tingeste l'erba.
Que'gran trionfi, e que' trofei vantati,
Onde memoria ancor Ja Terra serba,
Ne la polve d'Obblìo saranno involti »
Se fia che alcun ciò ch'iodir voglio 3 ascolti.
Mi C A N T O
IL
Cose vo' dir, che mai narrato avete,
0 voi , vetuste, o voi, moderne Storie,
Voi, che di Fama al suono aver credete
Grandi Imprese descritto, alte Vittorie,
Fama, che v'inspirò , Tali inquiete
Chiuda , e non canti or più sì fatte glorie ;
Di sua tuba seguace al mio vessillo
Io solo , io solo udir farò lo squillo,
III,
Che se il più forte, illustre Semidèo,
Se Piritoo, se i' avveduto Ulisse,
S' Enea , prole celeste , e se Teseo
Scese a V A verno, mentre in Terra visse ;
Per ascoso sentiero ir vi potèo,
E credo a quelli un Nume il varco aprisse,
Astolfo jn cocchio un dì salse a la Luna,
lo vò più lungi , e senz' aita alcuna*
IV.
Tu prima a V acque del Castalio fonte
IVI' inebbria , o Musa, e il Pcnsier ùeddo scalda,
Tu su gli omeri adatta ale più pronte ,
Famnù la lingua più faconda , e calda ;
Dammi eh' io nel salir sul doppio Monte
1 terreni pènsicr lasci a la faida.
Fervido Immaginar pingermi or dee
Quadro vivace di novelle idee.
V.
Lento Timor sua grave salma appoggia
Sovra i tuoi vanni , ardente Fantasìa .
Tu à? Paure più lieve, al Cielo poggia ,
E mostra cose non vedute pria.
Mostra la Sfera , ove il Piacere alloggia,
Ove regnan Bcitàdc, e Leggiadria.
Ma d'Isabella, che non fìa più trista ,
L? orme giammai perder tu dei di vista ,
UNDECIMO, *4j
VI.
Scese il saggio Destriero in un giardino,
Che giardin si può dir del Paradiso.
Soave olezza il bianco gelsomino ,
Ed il vario giacinto, e il bel narciso.
Sorge altera la rosa , e al suol tien chino
[Jmil viola il paliidetto viso ;
Di ridenti color fregiano il piano
Il ranuncol dipinto, e '1 tulipano.
VII.
Dico di questi per tacer di mille
Voluttuosi, e dilicati fiori,
Che de' Mortali ignoti a le pupille
7ur sempre , e strano ardor destan ne' cori»
[1 labbro bee come nettaree stille
[ dispersi per l'aer graditi odori.
Che intorno sparge co le molli piume
Z-effir ministro de l'fdaiio Nume.
Vili,
Zeffir , che svolazzando si trastulla
furtivo, audace, a vaghe Ninfe intorno.
y Austro nemboso la possanza è nulla,
£ del rigido Borea , in quel soggiorno.
Ivi Zeffir soltanto ebbe la culla,
(vi spira tranquillo, e notte, e giorno.
Quii Farfalla , che tutti i fiori sugge,
[ tesori di Flora ei succhia , e fugge.
IX.
Il dolce fiato di Ciprigna bella,
Gentil sua Madre , lo nutrica , e pasce .
Ei la fegue ledei, quando vien ella
h Terra , e al soffio cuo tutto rinasce .
Veste Natura allor spaglia novella,
L' Augel canta , il fior sboccia , \ì germe nasce
E ne' recessi ancor d'oscure selW
Sono i tronchi fecondi, aman le Belv»,
L »
2,44 CANTO
X,
Nei mezzo appunto del giardin s! vede
Un Palagio innalzarsi, anzi un prodigio,
Che di terso cristallo esser si crede
JDa T ima base sua fino ai fastigio ,
Amor l'eresse , il cui poter non cede
Unqua al poter di magico prestigio .
Benché diafano sia, pur non si cela
Al guardo quivi, poiché Amor lo svela.
Al.
Son di puro cristallo, e mura, e tetto,
E le colonne , e la dorata porta.
Il leggiadro iavor, fino, e perfetto,
Piacer, letizia, e meraviglia apporta,
Gioja , e stupor tutto ricolma il petto
D' Qtone , ed Isabella si conforta,
Opra d' Amor, per cui la prima fiamma
Lansue, e dì nuovo ardor ella s'infiamma.
XIJ,
Quella porta real , cui nobil arco
Sovrasta intorno, di lavori egregi
Da T Artefice industre , e insieme parco,
Fregiato sì che non son troppi i fregi ;
E il capitel , che sostener 1' incarco
De le volute sue par che si pregi ;
E i'ordin lungo , per cui l'occhio esulta,
Di gran colonne sovra base sculta :
XIII.
E l'ampie loggie , che su tal colonne
Stanno d'intorno, ove uno stuol s'accoglie
{ Dir non saprei se Dive sieno , o Donne)
Coronato di fior , cinto di foglie ,
Foglie , che unite * sventolanti gonne ,
\i frutto acce^an , che fra lor si coglie ;
Tutto al r£*ccr sospinge ii cor più tardo.
A q«e><e foggia rivolgiam lo sguardo.
UN DECIMO. 245
Liete, vezzose, e mdrbicte Donzelle*
:he il mobil ciglia àn di lusinghe pieno*
urpureo il labbro, e le fattezzet belle,
lero, e lucido il crin, ricolmo il seno ,
evolte in brevi , t candide gonnelle,
ine il mal coperto scoprir fanno appieno*
)i cetra, e d'arpa con soave incanto
'anno il suono alternsndo a dolce canto*
XV.
E molte insiem pigliatesi per mano,
il suon gradito intrecciano carole.
mso le guarda , e muto il Musulmano,
:omc amante guardar l'amata suole.
1 suon celeste, il canto sovrumano,
Js, amorose dolcissime parole,^
molli gesti , le ritonde braccia,
.ono reti d* Amos , che lT alme allaccia #
XVI.
E che non opra il faretrato Amore
Ne Tagil piede, e ne la gamba snella?
Più vago pie non pinse mai Pittore ,
Né Tersicore avrìa gamba più bella.
Corsero tutte a far dovuto onore
Ad Oton , qual conviensi, e ad Isabella ,
E gì' invitaro a ber con esso loro
In una taxza di finissim'oro.
XVII.
Oh ! miracol d'Amor , che ogn* altro avanxa \
Non anco Oton di ber finito avea ,
Cho di tutto perde la rimembranza ,
E dissi possi ogni terrena idea,
Né la giurata fé , né la costanza
Or più rimembra , che serbar volea ,
Isabella gentil , né più nel petto
Dopo il liquor sente il primiero affetto .
*46 CANTO
XVIII.
Come , se passeggier L* arida arena
Preme col piede in quel medesmo loco s
Ove di molte lettere è ripiena ,.
Che col dito il fanciul segnò per gioco;
Offrono T orme sue novella scena ,
E si vede lo scritto, © nulla , o poco,
Così il liquor, d'immagini colmando
Nuove ilPensier, mandò le antiche, in bando.
XIX,
Tosto Isabella con leggiadra veste
Sue membra adorna, e'1 Musulman Guerriero 3
Più le belliche qui spoglie non veste.
Che Marte cede a Venere l'impero.
Cangiansi^ in lieti nastri armi funeste, m
E in lievi piume il gravoeìroo, e'icimiero,
La chioma , di sudar pria tutta aspersa ,
Misto odor dì profumi or spande, e versa *
XX;
In mezzo a la dolcissima armonìa
Del suon festoso , e del soave canto ,
In quel Palagio Otone errando già.
Ed Isabella gli veniva a canto»
Favellar d5 ogni stanza opra sarìa
Ardua, né mi saprei prometter tanto .
Meglio è eh' io taccia, e sojo accenni, e mostri
Cose più degne de gii sguardi nostri .
XXI.
Dì vezzose Donzelle ai pie si stanno
Giovani ardenti, belli, e delicati,
Che sospirando d'amoroso affanno^
Fissano in quelle i lumi innamorati .
Non à n quelle Beltà di un cor tiranno ,.
Ma i richiesti piacer sono più grati ,
E dn pari desir ciascuna spinta,
Mai non resiste che per esser vinta*
UNDECIMO, M7
XX11.
Que' giovanetti una catena d'oro
Portano al collo, che siU petto scende,
Indizio certo del servaggio loro,
E di fior la catena adorna pende.
Una collana, anzi un gentil tesoro,
De le Ninfe nel sen brilla , e risplende .
Uomini, e Donne anno sul capo un serto,
Ove fra scelti fiori è '1 Mirto inserto.
XXIII.
Ampie , marmoree, diramate scale»
Di Statue adorne, sono facil guida
A vasta Sala, chedi luce tale
Splende , che quasi il maggior Astro sfida.
Una Reità, ch'esser non può mortale,
Sparge tanto splendor, che in lei s'annida.
Chi sia quella Beltàde Oton richiede ,
Di cui splender cosi 1' occhio si vede.
XXIV.
Ben ài ragion, poiché Stranier tu sci ,
Disse Donzella di gentil sembianza,
Sè^d^sii di saper chi sia colei ,
Che ìftx grazia tutte, ed in bellezza avanza.
Non è cosa mortai, ma de gli Dei ,
Lo splendor, che irraggiar vedi la stanza,
Splendor^ celeste in sue pupille accolto,
Onde brilla cotanto il vago volto .
XXV.
Ciprigna è quella ; or mira con qual arte
S'incurva il braccio , il breve pie s'aggira.
Mira ondeggiar le bionde chiome sparte,
Fra cui lascivo Zcffiretto spira ;
Vedi il sorriso, che far puote a Marte
Deporre il brando nel bollar de l'ira;
Vedi_ in quel labbro svolazzar gii Amori. ,
Lieti succhiando i liquidi tesori .
248 CANTO
XXVI.
Così ne fa stagìon di Primavera
Posar sa fresco , ed olezzante fiore
Suol l'Ape industre, che mutar poi spera
In mei soave quel!' estratto umore ;
Cosi fende Farfalla aura leggiera
Di face intorno al tremulo splendóre ;;
E a dolce latte volgonsi le fosche
Ali sovente de l'ingorde Mosche»
XXVII.
Vedi in quel bianco sen quanto dilètto
Pigliansi^ tatti quegli Dei bambini ;
Ve' colui , che s'asconde a quel poggettov
E guarà se il1 suo loco altri indovini ;
Vedi quell'altro ■•, che scoprì furbetto
1a fra vola gentil fra i gelsomini »
E mentre aitero di quel furto esulta,
Coa fanciullesco ardir gì' invidi insuftav
XXVUL
Casnoe ai soffia crii del di Borea algente ,
Quando il gelido umore in copia scende 3l
Fra due colline , su di cui frequente
Vapor rappreso si diffonde j e stende ,
Appar valletta, in cui l'Autunn-o à spente
1* erbette, e i fiori, e il gel bianca la rende,,
Così la valle. appar, né bianca è mcno3;
Colei diesa , del montuoso seno.
XXIX.
Mira , o Stranier : ceruleo intorno al petto
Ondeggia un manto , ed a- le spalle ignude.
Non copre quello il braccio ri tonde tto ,
E poco sempre a 1' occhio il varco chiude.
Il ricco cinto , onde quel manto è stretto a.
Cinto , che tanti in se pregi rinchiude ,,
E che più vale assai d? ogni tesoro ,
Fu de le amiche Grazie opra, , e lavoro *.
UNDECIMO, 249
XXX.
Esso risplende sì che sparso pare,
Siccome il Ciel , di scintillanti stelle.
Un Diadema rcal vedi brillare *
Su la Regina de le Donne belle.
Il frcgian perle, e scelte gemme, e rare,
Né puossi il prezzo valutar di quelle.
La prima volta che ne vide H foco ,
Invido il Sol fermò suo corso un poco.
XXXI.
Cosi disse la Ninfa, e Oton mirava
La Cipria Diva ; ad Isabella molto
Piacque colui , che co la Dea danzava ,
Che gamba snella avea, leggiadro volto;
Alta avea la statura , e sparso errava
SuMarghi omeri ad arte il crin disciolto.
Al quinto lustro l'età sua non giugne,
E acconcio sembra a 1' amorose pugne .
XXXII.
Poi che fé' sazia di danzar la brama ,
E mute fur V armoniose corde ,
Quella vezzosa Dea Cupido chiama ,
A* materni voler Figlio concorde ,
Perchè non può, se fida coppia s'ama,
Da Venere Cupido esser discorde .
Fra giovani amator , Ninfe leggiadre ,
Ei venne tosto a la vezzosa Madre,
XXXIII.
D' Isabella , e d* Oton Ciprigna voile
Tosto il nome saper, V aspre vicende,
Fra cui lor brame unqua non fé' satolle
Quel piacer, che in amar felici rende,
Qual non mietuta messe in su le zolle
àorge , 0 intatto da ramo il frutto pende j
Suo giglio verginal serbato avea,
Sempre ignota Isabella a Citerea .
25o C A N T O
XXXIV.
A Citerea, che il Musulman Guerriero r
E la Donzella lietamente accolse .
Oton senti di Venere l'impero,
Che la mente, il cor suo tutto sconvolse »
Aver li parve un Mongibello intero
Quando il guardo la Diva a lui rivolse,
Un Mongibel , che nel suo seno ardesse ,
Ed in cenere, e polve il riducesse.
XXXV.
Come distempra il Sol la molle cera
Quando il Leon ferocemente rugge
Ne' vasti campi de 1' immensa Sfera,
Un ignoto Isabella ardor distrugge .
Volge amorosa la pupilla nera
Ad Òcon , che d'amor tuttofi strugge.
Giunger fa Citerea fino a l'insania
L'accesa in ior libidinosa smania.
XXXVI.
Non si cupido, e ingordo il cibo aspetta
Un, che di fame venir men si senta ,
Come Oton de la nera pupilletta
Un guardo attende , che il desìo fomenta «
Ambo Vener guidolli a una loggetta ,
Che delizie novelle offre, e presenta.
Ivi Donzelle co la man veloce
Trattali cetra compagna a grata voce ;
XXXVII.
E i cari nomi ripetendo vanno
De' Giovinetti , onde invaghite sono /
Que' Giovinetti in un giardin si stanno,
Sotto a la loggia , il canto udendo , e '1 suono
D' erbe , e di fiori varj serti fanno ,
Per darli poscia a le lor Belle in dono.
In quel giardino ad amorosa notte,
Are di Voluttà, s'apron le grotte .
UNDECIMO. zyi
XXXVIII.
Tacquer le Giovinette riverenti
Quando vidcr la Diva, che venia.
Elia sorride , e i teneri concenti
Tutte le invita a rinnovar qual pria ;
Ma , come il Sol co' vivi raggi ardenti
Lo splendo^ vince, che da gli Astri uscla ,
Così, bella assai più che l'altre Belle,
Vincea Ciprigna ogni beltà di quelle .
XXXIX.
Tutta chiusa d'intorno era la loggia
Da limpido^ cristallo^ e Citerea
Quivi incisi gii amori in varia foggia -
Veder di Giove al Musulman facca .
Mira quant' alto il mio Figliuolo poggia
Co' robusti suoi vanni, ella dicea.
Gli acuti dardi , per cui tanto impera ,
San penetrar ne Ja celeste Sfera .
XL.
Mira sculto colà , servo d'Amore,
Il Signor de la Terra , il Re del Cielo ,
Che imitò nel sembiante, e nel candore
La cacciatrice Dea, che vibra il telo;
Ed a seguace de la Diva , il fiore
Svelse furtivo da l'intatto stelo.
Cinzia in Orsa cangiolla, e quelle nuove
Forme fra gli Astri scintillar fé' Giove.
XLL
Miralo in forma di Satir maligno
Render cornuto il Re Teban Lieo ;
Sotto aspetto gentil di bianco Cigno
Vedilo allor che Leda egli godèo .
Qui , mansueto Bue , dolce, e benigno,
Delude Europa , che troppo credèo ;
Là in sembianza d'Augel rapir si vede
L' ingrata Asteria , e '1 Frigio Ganimede,
L 6
éf* C A K T Q
XLn;
Mira come disceso in pioggia d'oro*
Danae sorprese 1' amoroso Dio ,
E il frutto ascoso in onta di -coloro ,
Che guardavan la pianta , ei si carpio;
Sempre l'alto poter d'aureo tesoro
R&ppe ogni torre, ed ogni porta aprlo.
Celata aveala in chiusa torre il Padre,
Che assai temea le forme sue- leggiadre o.
XLIII.
Gli sculti fatti Oton poco discerné'.
Benché gli ascolti con aperta bocca ;
Che de: la Diva a -la ^ beltà superne
Rivolti à ginocchi, onde il piacertraboccn >.
L' immenso ardor de le sue fiamme interne
Fa che dal petto il cor quasi gli sbocca;..
E per. troppo sentir, di senso casso
li corpo sembra, © fermo sta qual sasso . -
XLIV.
Come talor quel!' Augellin > eh' entrato »
In uaa stanza per ventura sia ,
Benché il passo , qv' entrò, veggia sermo^.
Sempre a. quello si volge tuttavia;
Cosi d'Otone il core innamorato
Tenta pegli occhi di fuggir ia via 3
E lo» spirto vita! tutto in quel loco
S'aggira, e scaglia vortici di foco.
XLV.
Non lì Pardo altrimenti , ailor che presso
Al suo carcere il Cervo avvien ch'ei vegga,
Di ferocia natia sente l'eccessi,
Né ostacol v' i , che il suo furor corregga ;
Sotto ai dente aggressor trema lo stesso"
Ferreo cancello, e par che a pena regga.
Sdegno , ed Amor destan sovente in petto-,.
Benché opposti fra lor* noa vario effetto v
UKOECfHÓ» Sfai
XLVI.
Tu , Diva, apristi il labbricciuoT vermiglio' y
£ ne traesti d'un sorriso il mele.
Ma il mei tutto rapì l'avido Figlio
Con un sol bacio, il Figlio tuo crudele.
Soffiar l'aure propizie ai suo Naviglio
il' Nauta udì ne le gonfiate vele,
Fuggirò i nembi procellosi , e mesti
In quei momento , o Dea, che tu ridesti,.
XLVII.
Giove1, che udir de' suoi^ passati amork
Si compiace la storia , e si diletta ,r
Perchè d'Oton si calmino gli ardori y
Venere asconde in bianca nuvoletta.
Tutti allor vide Oton qwe'bei lavori ,
K al parlar de Dea meglio die retta .
AI suo narrar l'orecchio attento ei voiss ^
Ma- dì pia non vederla a^sai gli dolsCr
XLVIJI.
Ascolti pur chi d* ascoltar desia ,
Tornar degg' io velocemente in Terra 3«
Che nel Mar del Piacer la Fantasìa
Naufraga , assorta , il porto non afferra .
Ad Ulisse- tener vo' compagnia ,
Che morta crede la sua Donna, ed errav
Frror , per cui s'affligge, e si costerna
Ne i' oscura de* Frati ampia Caverna.
XLIX.
Ahi! sventurato Ulisse, or che diresti ,-
Se, mentre tu spargi sospiri , e pianto f
Sapessi- eh' ella f easi tuoi funesti
Tutti obbliò , serva al Piacer soltanto?
E che ciò che giammai far tu sapesti,
Or fa più d'uno , e le si giace a canto >
Poiché Modestia fugge, e la severa
Yergimcà dove Ciprigna impera ,
fS4 CANTO
L.
Ulisse allor ne la spelonca oscura
Alto romor , siccom'io dissi, intese ,
E di stupor fu colmo, e di paura ,
Che spente eran le faci innanzi accese .
Come far suol chi d'ascoltar procura,
Cheto innoltrossi, e ben gli orecchi tese
E i Frati udì con penitenti voci
Pianger lor colpe, ed urli alzar feroci.
LL
Tacquer poi tutti gli Eremiti, e forse
Breve riposo allor diéro a le membra .
Ma il dolce sonno Ulisse non soccorse.
Che d' Isabella sempre gli rimembra .
Un Frate alfiu fuor da una cella corse ,
Tenendo un lume , che a fanal rasscmbra
Come a Nocchiero il desiato porto,
Die quel lume ad Ulisse alcun conforto ,
LIL
Egli si mise allora à riguardare .
Quel profondo Vallon dei Sol nemico.
Vide molte cellette intorno stare ,
Tutte incavate in seno ai Monte antico -
Vide in ciascuna un Monaco abitare
A la spl«ndor di lumicino amico ;
E mentre ei stava riguardando attento,
Una voce l'empì d'alto spavento.
LIIL
Chi sei, chi sei? Sentì gridarsi dietro i
E in una cella vide un alto Frate .
Ben lo conobbe a quel sonoro metro ,
Con che le preci avea prima intonate.
Tosto si kce alcuni passi indietro ,
E diede a l'altre celle alcune occhiate.
Vide questa fra tutte esser maggiore ,
Perciò quel Frate egli chiamò Priore .
UNDECIMO. gii
LIV.
Il Frate , allor che nominar si sente
Priore, e Tarmi non mai viste vede ,
Una, e due voice con divota mente
Si fa la Croce, che un Demon lo crede „
Tu sei Stregone, o Diavol certamente,
Volgi altrove, per Dio , l'infame piede.
Disse il buon Frate, e P aria benedisse 3
E si meravigliò che non fuggisse .
LV.
Al suono intanto de la nota voce
Tutti i Monaci in folla erano accorsi ;
Ed il grave Prior volse feroce
A tutti il guardo, e tal lor fé discorsi.
Ah ! di qual fallo vi macchiaste atroce' ,
In qual mai siete alto delitto incorsi?
Venne al certo quell'Ombra in questo loco
Per seppellirvi nel Tartareo foco.
LVL
Volete udir la più sicura pruova
Che de l'Inferno è Clittadin costui?
Taccio «lei suo vestir, che è cosa nuova,
E appartener non può che a' Regni bui.
In questa Valle, ove giammai si trova
Straniero alcuno, ei spinse i passi sui *
E senza prima udito avermi, o visto ,
Come Prior mi salutò quel tristo.
LVII.
Qual v' a pruova maggior ch'egli è perito
Ne l'arte empia, infernal de la Magìa ?
Come, senza vedermi, o avermi udito
Da voi chiamar , ciò penetrato avrìa?
Certo l'avremmo noi visto , e sentito,
Se in questo loco ei secso fosse pria.
Ah! miei Fratelli, fate penitenza,
E mondate la yonra coscienza .
Z0 CANTO
LV1ÌI.
Io^, cai Paka Bontà grazia concede
Di serbar pura, ed innocente Palma
Fin daquel di, ch'onda lustrai le impresse?
Macchia lavò su la corporea salma;
Volgerò preci a Lei , che il Cielo elesse
Per dar col ventre intatto al Mondo caima,-
Tasto a la Verghi Madre ginocchioni
Fé l'ipocrita Frate orazione.
LIX.
Ciascun disciolse alior i'a sua elnturay
Grosso cordorr ; di moki nodi carco,
E il nudo omer colpi senza misura ,
E '1 dorso, fin che il sangue aprissi il varcov
Ma lo scaltro Prior, che Palma pura
Aver dicea , iù ne' suoi colpi parco .
Grida Ulisse : Calmate il furor vostro ,
Mago non son , né de PAverno un Mostro • »-
LX.
Degno d'odio non son, ma di pietàde,
Se voi temete, e venerate il Cielo.
Dal Mar sottratto , per ignote strade
Ramingo errai , solo in pensarlo io gelo\
Avessi almen fra le nemiche spade,
0 a l'onde in sen, lasciato il mortai velo!
Cosi dice il meschino, e il suo martiro
Dal cor gli strappa un gemito, eunsospirov
LXI.
A sue parole, ài pianto suo credette
la veneranda turba penitente ,
E volcntier dai flagellar ristette'
Il dorso nudo col cordòn possente .
In don gli diede alcune frutta elette 3
( Poicli' altro il duol mangiar non li consente)
Scarso alimento sì, ma che opportuno
Ristoro offerse al ventre suo digiuno v
UlNfDÉClMO. IfJ
LXfl.
Poi h miser nel letto , ove solea
Giacersi il Padre lor Superiore.
Ivi ei posò, come posar potè*,
Da 1* amor lacerato, e dal dolore.
Mentre chiuse le luci a pena avea ,
Si ridestava colmo d'i terrore ,
Terror , che in sógno là feral gli apporta
Ombra di quella, ch'egli crede mora.
LXIII.
Gli par vedèrfa con turbato voltcr
Scapigliata aggirarsi a lui d' intorno ,
Dicendo: Or dunque è l'amor tuodisciolto y
Qual vapor denso a l'apparir del giorno?
Quel fido ardor, che ogni piacer ni' à tolto», s
Che- incontrar fèmmi og^ni periglio , e scorno.»
Che fin per te fa vita giunse a forai ,
Tu cosi ricompensi ? e vivi , e dormi ?
LXIV.
Più resister non puote Ulisse, e s'alza
Dal duro , molto a Jui più duro , letto .
Oh ! quante volte ambe le mani innalza y
E il collo tien per solcarsi stretto!
Ma pon freno al dolor , che il preme , e incalza" 9
Religio», che pura ei serba in petto ;
E prega in vece la Bontà infinita , m
Perchè gli presti in tanto affanno alta»
LXV.
Il severo Prior frattanto venne
In sua celletta , e ritrovollo desto.
Ulisse al'lor le lagrime ractenne ,
Acciò men lamor suo sia manifesto.
Le braccia al petto incrocicchiate ci tenne»
E ai suol fisso il devoto occhio modesto;,
Poscia umìl palesò sua santa voglia
Di vestir quivi la Fratesca spoglia..
*5* CANTO
LXVI.
Ode il Prior la non attesa inchiesta
In maestoso, e venerabil atto ,
Il curvo dorso rìxza , erge la testa ,
E tutta cangia la persona a un tratto .
Sacro< Orator , che a perorar s'appresta f
Cangia cosi voce, e sembiante affatto,
Se al pallido Uditor le ferree porte
Apre d'Eternità, nunzio di Morte.
LXVIL
Gravemente il Prior gli accenti mancfa
Lungi cosi che 1" antro ne risuona .
Servo dei Ciel , sublime , ed ammiranda
Tua brama è al certo, nonché santa, e buona t
Vestirà questa spoglia veneranda.
Che tanto è cara al Ciel , la tua persona ;
Non profanarla , o Figlio , e ti ricorda
Ch* essa asconder non debbe anima lorda ,
LXVIIL
Ciascun di noi , che di tal veste è carco,
Dispregia il Mondo, e ad altra sede aspira \
Da terreni appetiti il core à scarco ,
Com' uom non fosse , e Dio sol cerca , e mira *
Ne d'Invidia lo preme il grave incarco ,
Né di Superbia , Odio , Discordia , oè Ira ,
In queste membra fragili, e mortali
Son l'alme nostre a' puri Spirti eguali,
LXIX.
Se tal non sci, deh! non voler, Fratello,
Contaminar questa felice pianta ,
Ai cui tronco s'appoggia il Mondo fello,
Che a l'ombra sua sfidar il Ciel si vanta .
Pianta, i cui frutti aspetto anno sì bello,
E sì dolce sapor, fragranzia tanta,
Che sol per essi il Reggitor òc[ Mondo
Non distrusse, e spianò l'orto infecondo,
UN DECIMO. 259
LXX.
Poi che die fine il Frate al suo sermone*
Che stordito ad Uiisse avea l'orecchio,
S'ode un alto romor , che ben s'oppone
A ciò che detto avea lo* scaltro Vecchio .
Fra que' Frati era insorta aspra tenzone ,
V'era di pugna ancor grande apparecchio „
E questi, e quegli avea prestato Tale
Al venerabil, sacro bre viale.
LXXI.
Molti Santi nemici de le risse,
Che segnavano il Vespro, e la Compieta,
Sparsi al suolo attcndean che si finisse
La zuffa , onde tornarsi a la lor meta .
Muto si fé per meraviglia Ulisse
Quella gente in veder sì mansueta;
E rivolto al Prior , disse : Mi piace
Che sì ben fra di voi regni la pace.
LXXII.
Come? disse il Priore , Ah! inique menti
Di voi profani , che tentate il male
Ne l'opre rinvenir pure, innocenti,
E al supremo gradite Ente immortale!
Sue*, che si batton , sono penitenti ,
è perversa gli accende ira brutale,
( Tolgalo il Ciel ! ) ma l'uno l'altro incolpa ,
L' un de l'altro espiar tenta la colpa .
LXXIII.
Oh! quanti furo i penitenti, oh! quanti
Contro sé stessi anno il flagel rivolto!
Quel, che spiegò ne' boschi i libri santi ,
Avea sempre al suo petto un sasso volto.
Merto maggior che un solo,àn molti oranti,
Così il battersi insiem proficuo è molto;
E ciò che un pusillanime in sé stesso
Far non saprìa , fa l'altrui mano in esso.
*6é C A H T O
LXXIV.
Ulisse riverente il capo abbassa»
Come a Dottore di Teologìa .
Ei con sua man, benché snervata, e lassa T
Molte crede espiar colpe potria ,
E far di penitenti una gran massa >
Che gradevole al Cicl molto sarìa ;.
Perciò , bramoso di laudabil opre ,
Al vecchio Frate il suo pensier discopre i'
LXXV.
E gli dice : O Prior, deh f non ti spiacela
Alcun- chiamar, che un tempo abbia peccato*
Affiti ch'io seco penicenza faccia',
35 innocente divenga , e al Ciel più grate ^
Volse il Frate sospeso al suol la faccia ,
Che a tal richiesta ei non avea pensato;
Ma sua menzogna accorto egli sostenne,.
Ed a5 suoi Frati inferociti venne.
LXXVI.
Vide chi giunger sente infili su fossa
Del noioso cordon V opra molesta ,
Co gli occhi bassi, e co la guancia rossa5*
Graffiarsi irato ad ambe man la testa .
Un altro vide , uomo di molta possa ,
Che la battaglia a rinnovar s'appresta;
Kerbuto à il braccio , e muscoloso, e piene
Ar di fervido sangue arterie , e vene.
LXXVII.
La man sinistra in pugno ei ticn raccolta ,
E con la destra il cordon sciolto mena .
Suo nome è Fra-Cappon ; la barba à folta ,
Bassa la taglia, , e largo omero, e schiena.
Ei del divoto Ulisse i prieghi ascolta,
Che al vecchio Frate apportan dubbio , e penar,
Poiché 5 se alcuno in campo non venia v
Scoperta Ulisse la menzogna avrìa*
UN DEC IMO, 2ói
LXXVIII.
Fra-Cappon con aspetta , e in traccia corre
Dei forte Ulisse assai perito in guerra .
lì trova , e dice: Or ti dei tu disporre
A far solenne penitenza in Terra ;
/<cciò tu possa ogn* obbligo disciorre,
Che la portadel Ciel ti vieta , e serra;
V, «una guanciata menando Fratesca ,
Questa accettar j gli disse, or non t'jncresca*
LXX1X.
Crii vide infuriar giovili Leone,
Quando in ascoso laccio è avvinto , e stretto,
Che fra le piante il Cacciator dispone
Dal Vitel poco ìungt , o dal Capretto ;
Leon, che in quelle insidieil collo pone,
E fa tremar, benché a morir costretto ;
O chi da tana uscir Pantera , od Orsa
Vide , che dietro a1 cari tìgli è corsa :
LXXX.
Pensi che tale il furor sia, che accende
Il generoso cor del Cavaliere.
Hi tutto allora a la vendetta attende,
Né ad Isabella pur volge il pensiero.
Senza accento formar , la gamba stende ,
( Veloce sì lo strai non vibra Arciero )
li con un calcio quell'insulto acerbo
Vendica, e atterra Fra-Cappon superbo.
LXXXI.
Or va /la vita a mo non cai di torti)
Ma quindi innanzi rispettar tu dei
f Cavalieri valorosi, e forti,
Se pur bramoso di morir non sei .
Far non si denno tali oltraggi, e torti
A chi di lauri è cinto, e di trofei .
T.i sonsuoi detti, e non gli torna in mente
la brenna sua di farsi penitente.
262 CANTO
LXXXIL
Zitto sta Fra-Cappone, c non s' avvisa
Poter lo sdegno provocar cT Ulisse .
Corre a celarsi , e in avvenir divisa
Tutte fuggir le perigliose risse .
Ei teme oggetto divenir di risa ,
Ei, che temuto , e rispettato visse.
Giunge intanto un buon Frate, e seco lento,
Carco di cibi, e vin, giugne un Giumento.
LXXXIIL
Empie ciascuno il ventre ampio, e capace.
Fra-Cappon nò, perchè a mangiar non pensa,
Ulisse, a cui calma non lascia, o pace,
Il crudo Amor, seder non cura a mensa-
Nel silenzio soltanto ei si compiace,
E ad Isabella sol pensa, e ripensa;
Dolente idea ! ma tanto a lui gradita
Che tutta in quella ei vuol passar sua vita.
LXXXIV.
Costume è questo d'ogni afflitto amante,
Che persa avendo la sua Donna amata ,
Lungi da nuovo amor volge le piante,
E sdegna , e fugge ogni Bcltà> pregiata ;
Poiché di vivo femminil sembiante
Quell'estinta Donzella è a lui più grata,
E il suo Pensiero avidamente bee
Me' vastissimi Fiumi de l'Idee.
LXXXV.
In qu*' recessi tenebrosi , e mesti ,
Ulisse ascoso rimaner desia ,
Coprirsi brama di Fratesche vesti,
E le chiederai Prior, siccome pria.
Nera veste il Prior fa che s'appresti,
Ma yuoI che al suolo egli prostrato stia,
Chiedendo a l'Ente, che fra gli Astri à il Trono,
Con alma umil de' falli suoi perdono .
UN DECIMO. z6i
LXXXVI.
\\ vecchio Frate gli tagliò le chiome.
Mentre supplice ei stava , e ginocchioni ,
E gli fé moke recitar, siccome
E1 lor costume, e lunghe orazioni.
La lingua ei frena, benché Amore il nome,
L'amato nome a profferir lo sproni.
Via i fervidi sospìr, eh' escon dal core,
Sembran di penitenza, e son d'amore.
LXXXVII.
Ei, di tristi pensier più che divoti,
Colmo, s'offerse aiCiel men chea Isabella.
Formato ancora non avea que' voti ,
Vquai spesso l' Uom fragil si ribella.
~onvien che i riti nostri a te sien noti,
Disse il Prior, guidandolo in sua cella;
Perciò, come Pastor di questo gregge,
De P Ordin nostro io t'esporrò Ja Legge.
LXXXVIII.
Oh! prodigio d'Amor! Guerricr famoso
Avvezzo sempre a gloriose Imprese ,
Che con invitto braccio bellicoso
Tanti, e tanti nemici al suolo stese,
I asciò l'usbergo, e'1 brando minaccioso ,
K nere lane entro a spelonca prese ,
Ed un cappuccio su quel capo venne ,
Che de l'elmo fregiar solean le penne.
LXXXIX.
Gran Teatro e la Terra, ivi è dipinta
D^ supremo pennel capanna 3 e Reggia.
Chi di serto reni la fronte à cinta,
Chi fra Pire di Marte arde , e lampeggia.
Chi de l'estro motor segue la spinta,
Chi, seguace d'Urania, il Ciel passeggia;
Ma ninno è lieto, e con volubil mente
Jm'3 SQrce cangia con l'altrui sovente, 1
tU CANTO UNDECIMO.
xc.
Ciascuno Invidia il Rè, ma il Rè sì crede
Infelice talor più che vii servo,
Ed a novelli onor tendersi vede
Sempre inquieto il cortigian protervo.
Lo stanco cacciator , che volge il piede
Su 1' orme in van di fuggitivo Cervo ,
Invidia il Cittadino , ed il Guerriero
•Col cappuccio talor cangia il cimiero .
XCI.
Ulisse così fé; ma lungi ornai
Risuoni il canto da Fratesche Jane,
Splendano alfin del maggior Astro i rais
3E meste cure sien da noi lontane.
Tornisi al bel Pianeta, ove lasciai
Leggiadre Ninfe , lusinghiere, umane-
Ma goder non potrem questo diletto ,
Se il mio v.i£0j non mi rinasce in petto.
Wint dd Canta Uniec'imo „
LA MORTE
D'ORLANDO.
i I
£ANTO DUODECIMO.
ARGOMENTO.
Morirà Ciprigna ad isabella , a Otone ,
// bagno , e la prigion y che i cor rinterra.
Un ampio scritto ciascun n$me espone \
Anco de* Numi il cor quel career serra .
Ma Ferr/ià gli Spirti aduna , / impone
Con un foglio al Destrier che torni in Terra*
Beve un "Demon mirah'il onda ascosto J
A Vener punge , o si trasforma tosto,
P *
V^osa non avvi , che la vista allctti
Pm che un turgido seno, un vago ciglio,
E se de' suoi favor, de' suoi diletti
Ver noi cortese è di Ciprigna il Figlio,
Se a# reciproca fiamma ardono i petti ,
A niun altro contento io l'assomiglio.
Ricchezze, onori il Saggio mai non brama ,
Amor soltanto da colei, ch'egli ama .
M
1.66 CANTO
v IL
Dir felice si dee chi una Donzella
Da> molti amata può vedersi a canto,
Chi sul bearsi in una faccia beila ,
Glie esultisi suo piacer, pianga al suo pianto;
Chi sul ciglio del cor può la favella
Leggere espressa con celeste incanto,
Sul nero ciglio., che in soavi giri
5' avvolge, e pasce i fervidi desiri.
III.
Questi i contenti di Ciprigna sono,
Figlia de l'onde, e Madre di Cupido,
Che die suo nome a quel Pianeta in dono,
In cui scherzan le Grazie, Amor fa njdo.
Possente Diva , che ove scoppia il tuono ,
Ove freme spumante il Mare infido ,
Ove fra i pinti fior l'erba verdeggia,
A* suo Regno, suo scettro, e Trono, e Reggia,
Poi che del Padre de' possenti Numi
F.bbe la Dea narrate i varj amori ,
Otone instupidi quando a' suoi lumi
lilla s'offerse de la nube fuori.
Cosi, seavvien che ilgran Pianeta allumi
Al Polo intorno i densi alti vapori,
Che Aurora Boreal soglion chiamarsi ,
Veggiam Bifolco attonito restarsi ,
V.
E come allor che l'Austro procelloso
L'aer tutto offuscò, coperse il Sole,
Se il freddo Borea surge furioso,
Che, nubi innanzi ai chiaro Dio non vuole;
Il vivace splendor, che prima ascoso,
Scopresi a un tratto, abbagliar l'occhio suole,
Quella apparve cosi Beltà divina ,
D* ogni rara beltà Donna j e Regina *
DUODECIMO. z6j
VL
Gode Isabella dei celeste aspetto,
IVIa tanto nò, siccome Oton ne gode.
Ella a" amor pel-visto Giovinetto
E' tutta accesa, e si tormenta , e rode.
<>uel Palagio bellissimo, perfetto,
A cui bastante non può darsi lode ,
Occulta chiude sotterranea stanza ;
Ivi Isabella con Oton s' avanza .
VIL
Vener precede , e a quella stanza è guida ,
Che di soavi odori olezza intorno . <
Tar che qui Voluttà scherzi , e sorrida,
E più che altrove, ami di far soggiorno.
Roseo serico velo a pugna sfida
1! Nume scopritor, Nume dei giorno;
Vince il raggio la pugna, è ver , ma privo
De l'usata sua luce, entra furtivo.
Vili.
Ampio marmoreo Lagno acqua riceve
Da più zampilli, che tributan Tonde,
Ove le membra sue d'intatta neve
Bagna la Dea , che suoi favor profonde .
Bagno felice! In te Ciprigna il breve
Agile pie, ia molle coscia asconde.
Vanne superbo di tue limpid'acque,
In cui lavarsi a Vener bella piacque.
IX.
A quella vista inebbriar la mente
Sentissi Otone , e tutta accender l'alma.
Suo] così palpitar Giovane ardente ,
Cui P odiato indugio è grave salma,
Quando a l'ora assegnata, o vede, o sente
La Bella, che al suo cor tolse la calma,
E P idea del Piacer tanto in lui puote
Che il sangue affretta , ed ogni fibra scuote,
M i
z6S CANTO
X.
Mentre quivi pasceana I cupid' occhi»
Tutto osservando, Otone, ed Isabella,
Vider lucide perle in varj fiocchi
Pender da un baldacchìn, che un Trono abbella *
pur da piacer, da meraviglia tocchi,
Mirando il Trono di Ciprigna bella;
Ed in quei loco ben dovea compagno
Essere ii Trono, di tal Diva, al bagno.
XI.
Isabella stupisce, e riverente
Così favella: O Diva, o de' Mortali ,
E del Mondo, e del Cielo alta, e possente
Donna, e Reina, che d'Amor gli strali
Mesci al riso, e a' piaceri, ecoaqualmcnte,
Celasti tu l'insegne imperiali
fn sotterraneo loco , ove la luce
Del S<sle animator poco riluce?
XII.
D* Isabella a gii accenti ella sorrise»
E più ridente allor si fé Natura.
Le purpuree schiudean labbra divise
Il varco a1 denti di gentil figura.
Il Soglio mio per mio comando mise
Amor, diss' ella, in questa sede oscura.
Amo il riso, e'1 Piacer, ma il Sol non amo»
E*l furto sempre , e le tenèbre io bramo.
XIII.
Tace Isabella, e tosto china il collo,
Rispettando il parlar di quella Dea .
Il Musulman , che il guardo mai satollo?
A la Diva, e a la stanza rivolgea,
Con Isabella scese ove guidollo
Venere stessa, eh* ei seguir voica ;
E in career giunse , che spavento apporta *
£ sta rinchiuso da ferrata porta .
DUODECIMO. 269
XIV.
Ouel cupo career giace là sotterra ,
fidato in guardia ad un drappel d'Amori ,
Che co lo strai minacciati aspra guerra
A le Donzelle, a' Giovani amatori .
Oton , mentre quell'uscio si disserra, #
Questo motto osservò : Frìgi** de* ceri ,
Che in auree cifre inciso era ne P arco
De la porta, che chiude, ed apre il varco.
XV.
Il caldo Musulmano, a quella vista
Da trasporto d' amor mosso, e infiammato,
Oh! beata, gridò , career, che trista
Career non sei, ma dolce asilo, e grato.
In te cor prigionier mai non s'attrista,-
Né si pente giammai d1 svere amato.
Non t'atterri poter di destra audace ,
Né foco «truggitor, né Tempo edace-.
XVI.
In tali voci Oton sua gioja espresse
D' aver quivi il suo core anch' ei perduto.
Ma i se Venere , Amor cieco noi fesse ,
Si dorrebbe in tai lacci esser caduto .
Duolsi così mosca , che il voi diresse
Ad ampio va?o , di buon latte empiuto ,
Se fatta in dolce Mar naufrago nauta ,
Da P orlo infido sdrucciolò mai cauta .
XVII.
E' ver che Oton di sventurato amante
Fin or le angoscie non provò, le pene ,
Ma Fortuna giammai non è costante,
E il Teatro d'Amore a varie scene.
Cangia in Terra quel Nume il suo sembiante,
E son sue freccie di velen ripiene .
Sol nel Pianeta a Vener sacro lice
tempre ad amante cor esser felice.
M i
2?o CANTO
XVIII.
Oh! quante volte io maledii quell'ora,
Quell* istante fatai, che Amor mi colse.
Perchè pace non ebbi infin d'allora
Che a un solo oggetto il mio Pensier si voice,
Ma l'incendio , che mrarde, e mi divora,
Ed il senso vital quasi mi tolse,
Le inaridite labbra avide rende
Di velenoso umor, che più m'accende.
XIX.
Ah ! ben m'cvveggio che il mie morbo è grave
Tanto che a vaneggiar la mente è tratta >
Come talor staggirà incerta Nave,
Se avvien che irato Mar I' agiti * e batta ►
Non di funesto amor» ma di soave „
Di gradito piaiccr soli© or si" tratta »
Potette h. Dea» co* &uo£ dìkfctS moke
il cateti- iì clic ikgo ài rende , e -dolce *
XX. (
Cintar degg' io de h priglon de' cori r
Ch' à di bronzo le salde , e grosse mura ,
Veder alcun de' celebri amatori ,
Che il cor iasciaro in questa sede oscura .
Oscura sì , ma i diligenti Amori
D' apportarvi le faci ebber la cura .
Di quelle faci io seguirò la scorta
Su l'ali dei Pensier, che mi trasporta *
XXI.
Oh! quanti cor veggio di chiari Eroi,
Illustri Duci di temute Squadre,
Che 1' onorate Età vetuste a noi
Mostran, de'quai fu Roma, e Grecia Madre
Oh! quanti, oh! quanti, che suecesser poi
Onde l'Italo suolo, e '1 Franco è Padre ;
Oratori, Ministri , il cui consiglio
Salvò ia Patria nel maggior periglio .
DUODECIMO. tjt
XXII.
Molti possenti tmperadori , e Regi
Quivi lasciaroinsiem col senno il core,
Kìolti , superbi de' lor fatti egregi,
Languirò alfine in servitù d'Amore* t
Par che quel Nume d'avvilir si pregi
La virtù, la fermezza, ed il valore,
E far per opra di fattezze belle(
Tenti gli Eroi servi di Donna imbelle*
XXIII.
Alcun vi fu , cui l'offerir non valse
Olocausto a Sofia de' suoi verd'anni,
Poiché Fisica in lui tanto prevalse
Chea io studio, al saper fc' oltraggi , e danni ,
Platon, di cui sì alto il nome salse,
Che i fisici piacer chiamava inganni,
Il severo Platone amò non poco
Venere. Amore, e ferisse sol per gioco*
XXIV.
Talun , che sembra di snudar la spada
Avido sol, di fama, e di vittoria,
E par cosa non faccia, o calchi strada,
Ove non creda esser condotto a Gloria ;
Cangia pensicr, lascia che il ferro cada,
E ben d'altro pugnar si gode, e gloria .
Per Daiila Sanson perde la chioma,
E Capua tolse- ad Anniballe Roma.
XXV.
Stan gl'intelletti ai cori ivi congiunti,
Poiché Amor l'alma, e l'intelletto opprime
Di quei, che fur da lesue freccie punti,
Quel Dio su le pareti i nomi imprime.
Gl'infelici amator stanno disgiunti
Dal caro nome , e ciò lor duolo esprime.
Congiunti sono Angelica , e Medoro ,
Altri , che ben conosco, altri, che ignoro
M
*7* CANTO -
XXVL
Veggo io un lato un cor cosi trafitto
Che prodigio mi par , se non si spezza .
Suoi dardi à in quello Amor fitto, e rifitto1
Con quella man, che a ferir sempre è avvezza .
Solo è quel core, e un nome sol v' è scritto ,
Perchè l'amato oggetto il fugge, e sprezza.
Tosto mi punge di saper desìo* (mio.
Qual nome è quello.... Ahi! srenturato, è i
XXVII.
Voi , che ritrarre col penne! volete
Di Crudeltà. la spaventosa immago ,
Darle corpo di Tigre non dovete,
Chioma di Serpi , o pur coda di Drago ,
Né pi n ter Furie, che di sangue in sete ,-
Né il Can , che latra su lo Stigio Iago ;
Ma di colei, che in brani il cor m'à fatto,
E iwn sente pietà, fate il ritratto.
XXVIII.
Ahf veggo ben che l' impossibil chieggìo 3
Poiché tal non la crede uom, che la miri ;
Ed io, che avvolto in tantor mal mi veggio >
Pur corro- al foste ognor de'miei sospiri,
A quel ( fonte letal , che fuggir deggio ,
E a cui bever m' è forza infin ch'io spiri ,
Siccome l'ebbro , che a la botte corre,
Dà sete spinto, e in maggior set» incorre.
XXIX.
I Numi tutti, fuorché Palla , e Diana ,
Anno lor core in questo^ career chiuso ,
E Giove ancor, poiché in bizzarra, e strana
Spoglia Padri, e Mariti egli à deluso.
Entro un ampolla non dal cor lontana
Sta P Intelletto del gran Dio rinchiuso ,
Che tutte avanza de' possibi-1 Enti ,
E de' passati,, accolte insieme Le meati*
DUODECIMO. *7s
XXX.
Altro Intelletto , ed altro Spirto è quello
Che de gli Uomin lo spirto , o de gli Dei ;
So/o una stilla il Mondo di cervello
Riempie } e forma a mille i Semidei .
Stan sotto inscritti in aureo ampio cartello
Ben più di cinque amori, e più di sei;
Tanto senno però chiuso in quei loco,
Per la mente di Giove è nulla, o poco.
XXXI.
A* vvi chi perse il core, e non il senno.
Vuol dir che Amor non gèi passò la pelle,
O ver ch'ogni sua brama, ogni suo cenno
Voller propizie favorir le stelle .
Perchè gli amanti, che aggirarsi denno
Fra nembi sempre, e folgori , e procelle >
Qual di Nettuno sul turbato Regno ,
Veggion perir la Nave de V ingegno .
XXXII.
Mhaculum sta scritto a chiare note
Su' pochi nomi de' felici amanti,
Poiché raro in amor trovar si puote
Felicità fra tanti mali, e tanti.
Ma tutte or sono ad Isabella ignote
Le pene acerbe , che sofferse avanti .
Sotto ad un a cor scritto ella vede Vlìsse .
Chi è costui? Volta a Ciprigna , disse,
XXXIII.
Ahi ! Donzella e rude I, quel caro nóme
Dunque più non conosci ? li dolce oggetto
Del pianto tuo, di mille voti, e come
Potesti mai sbandir cosi dal petto?
Quel, che già ti facea sveller le chiome,
Vegliar le notti in isconvolto letto,
Solo in pensar che a lui potrìa la vita
JNc' cimenti di Marte esser rapita :
M 5
274 C A N r 0
XXXIV.
Ulisse, a cui serbasti intatta tede, <
Qual Peneìope a l^altro Ulisse Argivo,
Quello, in traccia di cui movesti il piede
Per balze, e selve, o morto fosse, o vivo;
Quel, che giurasti ove Nettuno siede
Seguir, credendol già di vita privo,
Obblìasti cosi? Dunque può tanto
Del liquor, che bevesti , il forte incanto?
XXXV.
Oh! quanto saggio fu chi Amor dipinse
Sotto l'aspetto di fanciul co l'#ale, t '
Che non distingue mai , né mai distinse
La ragion dal capriccio , il ben dal male?
Che scioglie a un tratto quei,che prima avvinse,
Ed avvince chi sciolse, in modo eguale;
Che mentre lieve in ogni parte vola,
Dove a questo si mostra , a quei s'invola .
XXXVI.
Fu d'Isabella il nome, e il cor vicino-
Ai cor dr Ulisse per molf anni, e moki,
Né fu disgiunto un solo istante, infino _
Che a quei Pianeta ebb'ella i piè^ rivolti .
Ma quando bevve quel possente vino ,
Onde i lacci primier sono discioiti,
Cangiò loco il suo core, e nuovo affetto
Lo strinse al cor d'ignoto Giovinetto.
XXXVII.
Oton qui ritrovar non si credea
Entro un ampolla il gran cervel d'Orlando,
Poiché nel Giobo de la casta Dea
Eran queste cervella ite, volando ,
Come un Italo Omero aver sapea
iu 1' Eridàn narratoci) di, cantando.
Ma il cervello fuggi, seguendo il core,
Nel Pianeta di Venere, e d'Amore.
DUODECIMO. 275
XXXVIII.
Da la prìgion de* Numi ,* e de' Mortali
Uscite, o voi , che il mio Pcnsier seguite,
E rivediam dì Zeffiro su l'ali
Quelle sacre al Piacer terre fiorite,
Ove ministri a Voluttà gli strali
D'Amor ne l'alme fan dolci ferite,
ti' fredda Felosia , cui tutto incresce.,
A tai dolcezze il tosco suo non mesce .
XXXIX.
Qual penna, o lingua è di ritrar capace
Tutto al Pensiero, ese non tutto, in parte,
Quell'ignoto a' Mortai quadro vivace
Di celesti delizie ovunque sparte?
In questo d'ogni ben suolo" ferace
Par che rivali sien Natura, ed Arte ;
E ben si convenia che fosse adorno
Più ch'altro mai, di Venere il soggiorno,
XL.
La ridente stagione , in cui frondeggia
L'arbore, e '1 suol di mille fiori è pinto,
In cui con dolce susurrar serpeggia
Il ruscelletto da profumi cinto,
Mentre sul margin l'Usignuol gorgheggia,
E H raggio mattutin da r onde è spinto ;
Ogni piacer, che in Terra P Uom trastulla,
A paragon di que' diletti è nulla .
XLI.
Ad altro loco io mi rivolgo intanto,
In Vener poscia converrà ch'io torni.
Se con Otonc ò soggiornato alquanto, *
Col vecchio Mago é forza or che soggiorni.
Col vecchio Mago, il cui possente incanto
Ad Oton fé' passar sì lieti giorni,
Poiché a dura prigion prima il sottrasse,
Poi sul Destriero a que contenti il trasse.
M 6
*i* CANTO
XLir.
Quel VeccMo adorator di Maometto ,
E di Plutone, € de le Furie amico,
Serve a Macoa , ma per lo vino schietto
Talor divien de i*Alcoraa nemico .
Ei di Magìa conoscitcr perfetto,
Prodigi oprar suol per costume antico.
Al dubbio lume de Pargentea Luna
La Furie iì Mago al suon de' carmi aduna >•
XLIIL
Ove il tacente orror di forte piante
Offre ricetto a l'Ombre, ed a la Notte r
Al noto- mormorar del Negromante
Corsero in folla di Demon le frotte .
V'era Maligno, ed Uomini-tentante,
Misteov Fallace, Iniquo, e Scaglia-botte^
Seduttor , Malaguida , e Maladett»
Con* Megera , Tcsifone, ed Aletta,
XLIV.
Son questi i sommi Capitani, i Duci 2
I potenti d' Averno , e gli Ottimati,
Che in Terra fur di scellerate , e truci'
Opre gli autori da Pluton pregiati.
Quaf bragia ardenti anno costor le luci r
h spargon- sempre acuti fischi ingrati.
Eza lor s'avanza il Dio de l'Ombre stesso:
Invidia, ed Ira al Soglio suo. stan presso.
XLV.
Al Soglio , in cui superbamente assiso»
Da la Reggia infernal Piuto comparve
Sa l'omer de le Furie , e tutto intriso
Di nero sangue , e d'Angui cinto apparve ►
Cinzia fra nubi ascose il bianco vis©
A 1' apparir de le Tartaree larve,.
E il fiero Fiuto , vomitando foco,
AUo gridò da 1' eminente loco .
DUODECIMO, iff
XLVI.
Potentissimo Mago, e che comandi
Al- Signor de gli Abissi ? Alcun Mortale n
Vuoi che piombi a P Inferno ? O ver domane^
Altro- del braccia mio colpo fatale >
Brami che in Terra miei seguaci io mandi
Contro di Cristo, che i miei Regni assale ?
Libero parla; invido sdegno m'arse
Fin da queldj, cheil Verbo il sangue sparse*
XLVII.
Dunque i figli d'Adamo, impupa creta: y
Colpevol prole di colpevol Padre,
Ponno aspirare a la beante meta
Dopo le offese più perverse , e ladre >
]E la carne mart3l superba , e lieta
Vn Dìo racchiuse, e di qael £>io la Madre t
Mentre Spirto immortai, Spirto celeste
Mei pianto geme, e fra le fiamme infeste?
XLVIII.
Ak ! che fin da quel di , iin da^ quelP ora *
CÌi'io, lasso! mai di maledir non cesso, -
In cui y alta Giustizia ( avessi allora
Nel mio- Nulla primiero avuto ingresso ! )
Accese il fulmin , che dal Cielo fuora
Per sutta , oimè ! l'Eternità m\à messo y
L' alm« trarre a penar fu il piacer mio ,
Odiar me st^esso> e bestemmiar Iddio.
XLIX.
•Sì disse l'empio , che l'umana razza
Ne la prisca macchiò sede gradita .
Non mugge si feroce Tauro in piazza ,
Né Lupo urla, che fame a prede invitai
Né sì rugge Leon , né si schiamazza
Per risse, od altro, molta gente unita ,
Qual mugge il Mostro, urla, schiamazza-*
£ foco > e fumo da la bocca fugge . U ru^gc *
a78 C A N T O
L.
Tace Plutone alfin , mentre la voce
Con magica possanza^ il Vecchio innalza ,
Così tace talor Mastin feroce,
Se col flagello il suo Signor P incalza ,
Mastin , che ancor tacendo, il guardo atroce
Volge., e alcun grido mal represso balza ,
Digrigna i denti, si dibatte, e freme
Sotto quel braccio punitor, che teme,
LL
Calma, il Mago. gridò, Spirto infelice*
Il rio livor, che più ti fa perverso.
Opra non chieggo di tua destra ultrice,
Centra Pluton Plutone io vo' converso.
Al mal tu inclini ; il mal ben ti s'addice,
E perchè il mal ti piace, il ben t' è avverso <
Ma buona or da te voglio, ed util opra;
Tu senza indugio ad eseguir t'adopra *
LIL
Come, se awien che dal nemico a terra
Un forte Cavalier gittato sia,
Rabbia, e rossor fanno ai suo cor tal guerra
Che spento a un tratto ei di cader desia ;
Pluton cosi tant'ira in sé rinserra
Che doppio Inferno egli soffrir vorrla .
Scaglian tutti i Demon bestemmie felle
Al Rettor de' Pianeti , e de le Stelle.
LUI,
Rizzossi il Mago , indi con bieco ciglio
Che Q^fnun tacesse fé' col dito cenno.
Molto, . disse , di voi mi meraviglio ;
Questo è l'ossequio , che i Demon mi denno?
Non per udir vostro infernal bisbiglio
Magiche voci qui venir vi fenno.
Ma perchè ognun si taccia, ognun riservi
Questi al Regno d'orror detti protervi .
DUODECIMO, 179
LIV.
Pluto, de' tuoi seguaci alcun si chiami ;
Poggi costui fino a Ja terza sfera.
E Isabella, ed Oton quaggiù richiami
Da quel Pianeta, ove Ciprigna impera.
Mal si convien che Ulisse più non ami
Costei, che a lui serbava alma sincera,
E ne l'onda d'Obblio sua fiamma à spenta,
Né di si fido amante or si rammenta.
LV.
Sì disse il Mago; ei damok' anni Ulisse,
E per veduta , e conoscea per fama .
Sapea che al suo naufragio sopravvisse ,
Perciò Isabella in Terra egli richiama .
Come già dissi, a lui le Stelle fisse
Tutto discopron ciò ch'ei saper brama ;
Vuol perciò che ad Ulisse ella ritorni,
E insieme alfin passin felici i giorni,
LVL
Allor Plutone co la nera mano,
Oorn' uom , che^ pensi , U volto si coperse ,
E in atto poscia minaccioso , e strano
Le ciglia spalancò di sangue asperse*
Uno Spirto chiamò, che in volto umano
Sovente^ al guardo de' Mortai s'offerse,
Destro in mentir sembiante , e voce , e chiome
Di tutti quelli, ond'egli prende il nome.
\ LVII.
E)i Pluto i cenni rispettoso , e zitto
Udì lo Spirto, e dar promise effetto.
Poscia in Arabe cifre un foglio scritto
Ebbe dal Mago, al gran Destrier diretto.
Più veloce che folgore , tragitto
Coluifà dove l'Ombre anno ricetto.
Ivi di Pluto la celata prende,
Che posta in capo, non visibil rende.
ito CANTO
LVilI.
A la Corte infcrnal commiato diede*
lì Mago aliar, così dicendo a Pluto :
Altro or non vo*, ritorna a la tua sede
Senza romor col Popol tuo cornuto .
Quello stuolo infernal tacito riede
Al. soggiorno di duolo, onde è venuto;.
-Così de'Calabron le turbe spesse
Volan seguaci a biondeggiaste messe .
LIX.
Lasciamo star ne le sue grotte PiutO,
Lasciamo star ne la sua celia il Mago,
Perch'io son di seguir lo Spirto astuto ,
Chea Vener dee sai ir, bramoso, e vago;
E di saper come a colui potuto
Fare il desh del 'Negromante pago ;
Vo'sue traccie spiar fin eh' io discopra
Com'ei compiè questa dilScil apra.
LX.
Surge là ne 1* Arabia , che Telici
Per voée popolar nomata venne *
Un Monte ; di salirvi-a pochi lice,
Ma a chi vi salse, pria sudar convenne ,
Certo a quella sublime ardua pendice
Il Gigante Tifèo mai non pervenne ,
Che meno aspersa di sudor la fronte
Accumulando avria Monte su Mente *
LXI.
Avvi sorgente cristallina, e pura
Sovra l'eccelsa vetta, e tal virtùde
( Sia lavoro de l'arte, o di Natura )
Quell'umor prodigioso in sé rinchiude ^
Che lungo volger mai <? Età futura
Le antiche idee da 1] intelletto esclude j
E al Pensier di colui, che un dì v' attinse >
V avido Obblio giammai la destra spinse.
DUODÈCIMO, afri
LX1I.
poggiar sì alto è ben diffidi cosa,
jC il difficile sempre a pochi. piacque .-.
Una Torre superba, e minacciosa
5* innalza, e sembra custodir quell'acque'.
Fatica è quivi, che giammai riposa,
E Sciini* , che spesso al Vulgo spiacque.
Non beve alcun , se queste non invoca ,
E de gl'invocator la torma è poca*
LXIII.
Altri non è, benché le invochi , udita ,
Sì che mentre ottener si crede aita ,
Talora , avendo ogni vìfor smarrito*
Trabocca nel più bel de la salita ;
E chi non le invocò, sempre punita
Dal braccio lor fu ne 1' Impresa ardita*
Dive son queste dispietate, e sorde ,
•E di no velie ognor vittime, Ingorde.
LXIV.
Ma quello Spirto messaggier non sufa ,
Perch'esso à Tale, e son sì forti quelle
Che fra nubi il sentier fan eh' ei si schiuda ,
E saprebbe arrivar fino a le Stelle.
Ei non vi giunge co la fronte ignuda ,
E a l'austere s'asconde aspre Sorelle,
Si ricopre ro l'elmo, e 1' ali pronte
Rivolge tosto al desiato fonte.
LXV.
Sempre invisibil fu perfrn ch'ei cinse*
La possente celata di Plutone.
Quella mirabil onda a ber s' accinse,
Quanta ber ne potrìan- dieci persone.
Di Pluto il cenno, or che a quel fonte attinse,
Nel suo Pensier salde radici pone .
Poscia l'elmo ei depose, e di Guerriero
L'aspetto prese, e'i portamento alcero.
ì8z CANTO
LXVI.
Chi fia , che l'alta meraviglia esprima
Di quella coppia , che vegliar custode
Sempre solca Su fa scoscesa cima ,
Ai mirar quel Guerriero ignoto, e prode?
Sc'ten\a in van l'ingegno aguzza , e lima ?
Suda Faticò , onde scoprir la frode .
Costei s'avan2a, e a lui chiede inquieta
Com' ei pervenne a sì diffidi meta .
LXVII,
Uomo al Mondo non v'à, eficea Fatici *
O in vecchia Etàde, o ne l'Età novella,
Che a questa fonte de 1' Obblìo nemica ,
De l'Obblìo ,che il Marcai cruccia, e martella ?
Sia giunto mai senza mia mano amica ,
E il favor di costei , che m' è Sorella ;
Cotanto è [l Monte dirupato, ed erto,
Che non vi sai chi non à penne, al certo,
LXVHI.
Perciò, Signor, non sei tu qui salito,
Senza di noi non vi sarrebbe Giove ;
Ma da Spirto inferna] fosti servito ,
Aeree vie premendo ignote, e nuove.
Molto dunque sei tu ciotto, e perito
Di# magic'arte in istupende pruove ,
Poiché nascoso non saresti sceso ,
S' anco invisibil non ti fossi reso.
LXIX.
Tu t'apponesti, disse il Cavaliere ,.
Cioè lo Spirto, e a mio piacer quest'onde
Co l'elmo volli inosservato bere,
L'elmo, che al guardo altrui le membra asconde.
E tal prodigio io vi farò vedere ,
Poiché sempre a' miei detti H ver risponde.
L'elmo in capoei rimise, e in un sol punto
Ciò che detto egli avea , successe appunto.
DUODECIMO. **j
LXX.
Perchè in un tratto aT guardo Iordisparre",,
E ricomparve poi, discinto I' elmo .
Grave l'oltraggio a le Custodi parve .
Come?( diceano , e noi soffrir dovrelmo?
Senza invocarci quest'audace apparve
A noi dinanzi , né punir potrefmo ?
E si dirà ch'egli è quassù venuto
Impunemente senza il nostro a juto ?
LXXI.
Ma poi, volte alGuerrier, Mortai non seìr
Disser , benché tu vesta il mortai velo.
O sei Spirto d' A verno , o fra gli Del
Alberghi tu ne Io stellato Cielo r-
Pentite slam de'' folti accenti, e rei,
GEe ci svelse «fel ItaEl&ro ma falso zelov
Lo Spirto esulta , e si trastolla , e pasce
Del loro orgoglio, onde la rabbia nasce »
LXXIL
Co' detti suoi di fomentar Io sdegno
Gode Io Spirto, e in avvilirle esulta.
10 qui non venni dal celeste Regno ,
Disse, né donde Pjuto il Cielo insulta.
Orlando io son ; di tanta gloria degno
Magia mi fé, da me onorata , e eulta .
Benché mortai , qui salsi , e senza piume ;
A che qui ne verrei , s' io fossi un Nume?
LXXIII.
De T Inferno , o del Ciel Nume non dee
Quest' onda ricercar, d' obblio nemica,
Poiché di salde, ognor vivaci idee
11 Pensiero de' Numi si nutrica.
E s'una io fossi di quell'Ombre ree ,#
Che a Pluto servon per condanna antica,
Non avrei di Gucrricr l'aspetto preso.
Senza il vostro soccorso io sono asceso.
a84 CANTO
LXXIV.
Ambe Je mani si mordean di rabbia *
£ Scienza , e Fatica ; il tergo ci volge ,
Le penne spiega, e le cruente labbia
Piglia d'Erinni, e'1 crin di Serpi avvoige *
Come Leon ne 1' Affrieaaa sabbia,
Feroce à il guardo, e a Vener si rivolge.
Di Pluto il copre la celata forte ,
E giunge ascoso a le Veneree porte.
LXXV.
Non visto vide , e non sentito udio ,
Vide , e sentì le più leggiadre cose.
Ai Dio de gli orti» e del gran Tirso al Dk>
Molte innalzarsi udì voci festose.
Vide sul margin di scorrente rio
Isabella seder cinta di roie ,
Che fra gli amanti Giovani gagliardi
Spargea carezze y e lusinghieri sguardi.
LXXVI.
Come a comune amica errano intorno
Da libidine mossi i Cani ardenti,
Che vorrebb®n cozzar, ma il loro corno
Par che l'amata d' incontrar^ paventi ;
Nel piaeevol così dolce soggiorno
De le Grazie, del Riso, e de' contenti ,
I Giovinotti fean co la vezzosa
Isabella , «he ad arte era ritrosa .
LXXVII.
V'è chi si prostra a' pie de la Donzella ,
V* è chi più destro, in implorar pietàde
Bacia di furto quella faccia bella ,
Che sdegnosctta simula oncstàde .
Chi mira il sen , chi innalza la gonnella,
Esplorando d'Amor 1' occulte strade .
Con finto sdegno ella talor s'adira,
Perchè il piacer condito sia da l'ira*
DUODECIMO. ì$f
LXXVIII.
Il messaggiero Spirto iti un giardino
Oton giacersi mollemente, vide.
D'ostro il ricopre un manto pellegrino,
E l'auro intesto l'ostro orna, e divide.
Fra la rosa vivace , e il gelsomino
In cespuglio odoroso egli s'asside,
E a l'ombra fresca di palme, e mortelle,
Langue fra vaghe Ninfe in ozio imbelle.
LXXIX.
A tal vista lo Spirto si rallegra,
E questa gente , che non mai tralascia
A Voluttà d'offrir sua vita integra,
Spera ci veder ne l'infernale ambascia.
Qual pesce incauto, c'ebil turba, ed egra,
A 1' amo del Piacer prender si lascia ,
E mentre spera esser felice appieno,
È '1 farmaco trovar , trova il veleno.
LXXX.
Colui s'accinge in quel# giocondo suolo
Ad eseguir Ja comandata impresa.
Lungi scn va dal folleggiarne stuolo,
Da 1 ebbra turba , a feste , a danze intesa *
Di Piuto allora , inosservato , e solo,
La celata depon, che assai gli pesa;
E tutto de l'umor, che avea bevuto,
Come non so, da lui fu l'elmo empiuto ,'
LXXXI.
Né quel liquor sua naturai virtùde
Funto perduto avea, né sua purezza .
bì mjrabil possanza esso rinchiude
Che di Ciprigna le catene spezza.
Ma dove son quelle feroci, e crude
Luci, e la chioma a vibrar serpi avvezza?
Oh! prodigio novello al guardo nostro!
Un leggiadro Ganson si fé quel Mostro.
zU C ANTO
LXXXIL
Oh ! bel veder Furia deforme , atroce ,
fn gentil Giovanetto allor cangiarsi,
Soave divenir volto feroce ,#
Membra sì nere pria , candide farsi !
Mutansiin grata, dilettosa voce
Gli acuti fischi pria dal Mostro sparsi;
Spariscon l'ale , ed in mirabii forma
Vipereo stuolo in chioma si trasforma •
LXXXIII.
Quella boccaccia d'atri denti onusta ;
Che di neri carbon sede parea ,
Or bocca è fatta sonidente, angusta ,
Sembra il dente emular perla Eritrèa,
Quella guancia spolpata , e scarna , e adusta,
Or di gigli, e di rose offre 1' idea;
Odor gradito, che esalar si sente,
Succede al puzzo, a l'alito fetente *
LXXXIV,
Così la bella Figlia diPenèo,
Che serbar seppe il verginei decoro ,
Quando fuggir 1' insidie non potco ,
Cangiata venne in sempre verde alloro ;
Il dorso, il capo, il scn tronco si £èo ,
Si fé rigido ramo il bei crin d'oro,
Sotto ruvida scorza ( oh! strano insulto! )
Fu il breve piede , il liscio braccio occulto*
LXXXV.
Ma stupir non degg' io di tal prodigio,
Che non diverso in te prodigio avvenne , ^
Donna cruda , e vezzosa ; un Mostro stigio
Al tuo volto gentil drizzò le penne,
E con fallace lusinghier prestigio
Oggetto sol de' voti mici divenne ,
Ei da' begli occhi tuoi non si diparte ,
jEi t'insegnò di tormentarmi l'arte»
DUODECIMO . *?}
LXXXVI.
Qual Pastorel , che Ja vivace rosa
Dei suo color superba , incauto svelle,
£ mentre il dito fra le spine egli osa
Frettoloso innoltrar, punto è da quelle ;
Di tanta ignaro feritàde ascosa
Sotto sembianze lusinghiere , e belle ,
Dal vago arbusto, che spinoso è tutto,
J'erito io fui, ne colsi ancora il frutto,
lxxxvii.
La Musa mia, che mi richiama indietro,
Dice che sparse son mie rime al vento.
Saper se il Cielo è a me sereno , o tetro ,
Non apporta ad alcun gioja , o tormento.
Già questi , e quegli del mio lungo metro ,
Che a lui noja recò, non è contento;
¥.d a Cicala emulo io son , che mentre
Vuol loquace cantar, si fende il ventre.
JPi/ìf del Canto HuocUeimo,
*S3
LA MORTE
D' ORLANDO
CAUTO DECIMO TERZO ,
ARGOMENTO,
Ferra in ta%\a il liquor , non saprei come %
Il Messo , ed Isabella a bere invita ,
"Di bel Garden fingendo aspetto , e nome >
"Desta il liquor la fiamma in lei sopita .
I{eca il foglio al Destrier ; sembiante, e chiome
Di Ferraà 4 sgridando Otoney imita .
Ambo in Terra il Destrier co P ali pronte
Porta y in un Bosco /' un s P altra su Monte*
X^Ion avvi nebbia tanto opaca, e densa »*
Ne cosi tenebrosa , e fosca notte ,
Né fumo , aiior che sì solleva , e addensa
Su mojte pietre entro a fornace cotte,
Che vinca mai d' Amor Ja forza immensa
Pici render cieche anco le genti dotte,
Sì che il Mortai non veggia più lontano
D'un volto bello, e d'una bella mano.
CANTO DEC. TERZO. z29
IL
Talor si vede un Cittadino illustre,
I cui saggi consigli ognuno apprezza,
Che incorrotto, facondo , e cauto, eindustre,,
Sempre sudò per la comun salvezza ,
Sotto il poter d'una Beltà trilustre
Cieco languir , che lo deride, e sprezza ,
E ridicol seguace a Citerea,
Fuggire il culto de la grave Astrèa .
III.
Talora onusto di trionfi , e palme,
Andar si vede un Guerrier prode, invitto;
Par che tutte in lui sol risurgan l'alme
De' sommi Duci, onde Clio tanto a scrittoi
Al suon de' viva, al batter de le palme
'Quante volte ei tornò dopo il conflitto!
Se d'Amor punge sue pupille un dardo,
A pugne, a palme ei più non volge il guardo»
IV.
Duo, che d'incensi fin da' lor prim'anni
Fatto avean d' Amistà fumare il Terfrpio,
Che divider solean piaceri, affanni,
Eran d'affetto, eran di fede esempio;
Se Gelosia co' suoi funesti inganni ,
Figlia d'Amor, la di lor alme scempio,
Più non curan la pace, e la concordia,
E implacabil li rode ira, e discordia.
V.
Quante vi furo virtuose Donne,
Cheil core aveanodi^ macigno , o smalto,
Forti , invitte, saldissime colonne,
Torri, che rispingean qualunque assalto;
E giunser poscia a sollevar le gonne ,
Dal CieJ facendo ne 1' Abisso un salto ,
Perchè il Dio feritor , che alfin le accese
Di fervido amator, cieche le rese!
N
*9° CANTO
VI.
Con molto senno fu dipinto Amore
Da gli antichi Pittor di vista casso,
Acciò chi diede a questo Nume il core %
Sappia che ai mal volgerà cieco il passo,
Più di gloria non cai , né di valore ,
Al Turco Oton,sol pensa a darsi spasso;
F.d Isabella ne' piaceri immersa,
Quanto sé stessa obblìa , quanto e diversa!
VII.
Ma poco andrà che dà l'indegno sonno
Ella fia destare scoprirà 1' inganno •
Qualar di «è fia l'Intelletto donno,
Dopo il diletto sentirà 1' affanno.
L'acque, che contra Obblio cotanto ponno'»
Di terso vetro ora in bicchier si stanno.
Versolle quivi il messaggiero astuto
Da la celata del tremendo Pìuto.
Vili.
Del^ Giovinetto, ondMsabella arefea»
Costui le vesti, e la sembianza assume ,
Di quello, che danzar conCiterea
Vid'ella, e punta fu dal picciol Nume.
Ma il Giovin per Ciprigna arde, e la Dea,
Siccome il Sol vince de gli Astri il lume,
Vince, ed oscura ogni Beltade egregia,
Sì che l'amante suo tutte dispregia .
IX,
Supplice innanzi a quel Garzon più d'ima
Ninfa prostrossi ad implorar mercede,
Ed * quel!' alma di pietà digiuna
Pictade in vano anco Isabella chiede .
£i, che non puote amar Femmina alcuna,
Fugge, Qual Cervo allor che i Cani vede.
Di" questo Giovin la beltà gradita
li Mcssafgier, non la ferocia, imita.
DECIMO TERZO. 201
X.
O voi, rivali sventurati amatiti,
Che di Ninfa tiranna al pie languite, ■
Quei , che spargete in yan , sospiri , e pianti ,
Qi^elle fervide , e mai preghiere udite ,
Qual lieto fine avrian , se a voi davanti
La Ninfa, oggetto di contrasto, e lite.
Pietosa , in dolci , e lusinghieri accenti ,
D'Amor v'offrisse i teneri contenti!
XI.
Voi quel Giovin felice invidiate ,
Ed il suo rifiutar vi move ad ira ;
Opra degna vi par de P alme ingrate
Negar pietàde a Donna , che sospira,
Poiché fra i bruti ancor femmine amate
Il maschio fuggon , che d'amor delira ,
Ma non fu il maschio mai tardo, «ritroso,
il dover sacri a soddisfar di Sposo .
XII.
Venne il Messo infcrnal sotto sì bella
Sembianza, e col bicchier d'acqua ricolmo ,
L'abbraccia a-Hor la cupida Isabella,
Come flessibile vite abbraccia l'olmo.
£l!a in tal guisa al Giovane favella,
Poiché d'ardente amore il petto à colmo ;
Ah! sa vedessi il mio cocente foco,
Non più di me ti piglieresti gioco.
XIII.
Lassa! nè'l tuo morir, nè'I tuo periglio,
( Che ciò delitto mi parrebbe , e fora )
Chieggio, Signor ^ né che quel nero ciglio
Ver me propizio sìa rivolto ognora .
Per sembiante mortai di Cipria il Figlio
QuelP alma , il so , punger non seppe ancora ;
Ma sol chieggio , e desio cosa gradita ,
Che a te non costa , e me ritorna in vita.
N a
z* CANTO
XIV.
Me sì brutta io mi son , né tu sì fero
Che negar vogli un amoroso dono.
Dono per te sì facile , e leggero ,
Ben più gradito a me di scettro , o Trono»
Mirolla il finto Giovinetto altero ,
E le disse amoroso : Io mi ti dono ,
Né avrai tu solo il minor don d'Amore,
Ma me stesso in un punto, ed il mio core»
XV.
Acciò tu sappi £he leggiadra spoglia
Unqua celar non può spirto maligno .
Ken egli è ver che 3 l'amorosa voglia
Di più Ninfe il mio cor fu di macigno»
Sola fra tutte Citerea m' invoglia,
E mi par fra Cornacchie un bianco Cigno.
Ma chi potrebbe a sì verace affetto ,
A sì dolce pregar chiudere il petto ?
XVI.
Di pietàde I' impulso a tanto è giunto
Che a que-sto cor seppe trovar la via.
Per Donna Amor col primo strai m'à punto*
Amor gioisce de la fiamma mia ;
Ed il piacer di Citerea disgiunto
Dal filial voler, credo , non fia.
I materni diletti , i dolci ardori
Colmeranno del Figlio i nostri cori.
XVIL
Ma- se a te place con eterno laccio
Anco veder l'anime nostre unite,
Fin che disciolta da mortale impaccio,
L'una, o l'altra discenda in grembo a Dite,
Se vuoi che il nostro ardor non tema il ghiaccio,
Che il Tempo sparger suol su lunghe vite,
Aver di ciò potrai non dubbia speme ,
Ss in cotesto bicchier beremo insieme.
DECIMO TERZO, 293
XVIII.
Laggiuso in Terra su Montagna aprica
Scorre quest'onda prodigiosa, e pura.
Il caldo affetto chi ne bee nutrica ,
Né cangia fin che M»rte al Mondo il tura.
Poco de le Donzelle è l'onda amica,
Piace ad gssq V amor , che assai non dura,
E'.lor sembra Cupido un Nume stolto ,
Se non cangia talor favella , e volto.
XIX.
Dee chi quest'acqua al fonte attigner tenta,
Nemici superar molti , e diversi .
Pria l' immonda Lussuria si presenta ,
E mille son gli assalti suoi perversi ;
Poi 1' Incostanza a cangiar sempre intenta,
La Noja poscia , orribile a vedersi ,
li Piacer folle, l'insensato Obblìo,
La Gelosia, Mostro funesto, e rio.
.XX.
Talvolta Amore i suoi dorati strali
V intigne allor che su la Terra ei scende,
E con questo liquor piaghe mortali
Apre ne V alme, e misere le rende ;
Poiché , vibrando i colpi suoi fatali ,
Raro duo cor di mutuo foco accende ;
Ne l'Uom soltanto questa fiamma ardente,
Che mai spegner sì può , sorge sovente .
XXL
Prodigio è ben, se del liquor si vede
Asperso strai , che in Femmine discenda,
Sì che vinca non sia giurata fede
Da nuovi affetti con crudel vicenda .
Pur nel volger talor d' anni, succede
Che illibata d' Imen la face splenda.
L* Itaco suol Penelope ci addita,
Roma Lucrezia , che sdegnò ì*. vita.
N- j
*$4 C ANTO
xxir.
Disse; e Isabella, che già tutta- arde*.
Di fervido desir fin nel midollo,
Più d'ogn' altra felice esser credea,
Se di( quell'onda il ventre fea- satollo ■.
Al Giovinetto, che il bicchier porgea -,
Le braccia stese , e co le braccia il collo- ^
Acciò tosto-- la-. bocca avida, e ghiotta,
Il bramalo liquor tracanni , inghiotta ...
XXIII.
La metà ne ingojò , come far suole
Un, che di sete abbia la gola ardente.
Non d' Abramo così l'erra rate prole
La manna divorò dal Giel cadente.
O. tu» che a guisa di ragg4ante Sole,
Che d'atre nubi è vincitor possente ,
Diss'ella, in me con un tuo sguardo sole
Sapesti il nembo dissipar del duolo;
XXIV.
Se alf*n render mi vuoi^ fede per fede ,
E nodo stringer, che a discior non- s'abbia ,
Né ceda al Tempo mai , cui tutto cede ,
Poni , com' io , su quel bicchier le labbia -
Oh! sventura! V amante ella non vede -, .
E freme in vano di dolor, di rabbia ,
Ne- s'accorge costei , che un Mostro stigio
Oprato avea quel magico prestigio,
XXV.
Fumo così , se da tizzone ardente,
O da materia corabustibil , sorge,
Da l'aria spinto con soffiar frequente ,-
Graditi oggetti ne 1' ascender porge.
Monti ,. pianure , ed arbori sovente
Fra que' vortici illuso il guardo scorge;
Ma il surgente vapor, che si dirada.
Fa che la, Scena a, dissiparsi vada u
DECIMO TERZO. z9%
XXVL
Oh! in qua! proruppe flebili querele
La sconsolata, misera Isabella!
Per la smarrita amica sua fedele
Tanto non piagne bianca Tortorella ;
Né , mentre vede il cacciator crudele
Dal nido trar la proje tenerella,
Con suo dolente variato canto
Filomela gentil g«eme cotanto.
XXVII.
Ah! spietato Garzon , così deludi
Chi tutta avvampa d'amoroso foco?
Senti ; ove fuggi ? ài come dure incudì
Duro il cor #, se di me ù^ prendi gioco.
A che mentir con labbri iniqui, e crudi
Verace amor, se nulla m'ami, o poco?
Non era dunque per sincera amante
li vederti fuggir pena bastante l
XXVIII.
Perchè fosti cortese , or più feroce
Ti mostri, e voti qual pennuto strale,
Scoprir dov' ài rivolto il pie veloce
Potessi almena , anzi le rapid* ale !
Io ti farei la mia dolente voce
Seguace, e fora allor men aspro il male.
Forse a |? orecchio tuo pietosi i Venti
Recherian susurrando i miei lamenti .
XXIX.
La meschinella in tai dolenti note.
Ebbra d'amor, l'interno affanno esprime
Ella fin ora immaginar non puote
De P onda amica la virtù sublime ,
Sdegna così salubri polvi ignote
L'egro, che febbre violenta opprime ;
Tolta Isabella con sì strano mezzo
Sarà di sozz:\ Voluttàde al lezzo „.
» 4r
z9$ CANTO
XXX.
Ma si lasci per or la Giovinetta ,
Che in van si strugge in lagrime, in sospiri.
In altra parte 1' internai m' aspetta
Messo , e del mio tacer par che s' adiri.
La grande Impresa egli a compir s'affretta ,
Altre fraudi apprestando, altri raggiri.
A un punto sol con magico apparecchio
Ei si trasforma in vencrabil Vecchio.
XXXI.
E ne gli atti rassembra,e nel sembiante
Quel Musulmano bevitor di vino ,
Quel sì perito veccnio Negromante
Gonoscitor dì tutto, ed indovino ;
Mastro d' Otoa, siccome dissi ovante.
Che dà legge a Platon, serve al Destino,
Al Desti» > per e«ì Pluto a suo dispetto
Fu quello Spirto ad inviar costretto.
XXXII.
Il Messaggero , acciò di ver sembianza y
E color più vivace abbia l'inganno ,
Su nodoso baston lento s'avanza
A passi incèrti , come i vecchi fanno.
Oton ritrova in profumata stanza
Fra molli Ninfe, che giacendo stanno.
A lui s' appressa, sul baston s'appoggia,
E severo favella in Questa foggia .
XXXIII.
Dov'è, Signor, dow\è l'illustre ingegno >,
L'almi? feroce, il bellicoso ardire ?
Ov'è il valor, che non avea ritegno ,
Che fea tuo nome fino al Ciel salire?
Ove di lauri , di corona , e regno ,
li prisco andò magnanimo desire?
Ove son del mio labbro i gravi detti ,
Che venerar solevi , i gran precetti
DECIMO TERZO. 2.97
XXXIV.
Altre diemmi lusinghe , altro promise
Il Fato, il Cielo , e la mia magic' arte,
Quando per la tua man Città conquise
Mostrommi, e Genti debellate, e sparte.
Ecco l'Eroe 3 cui tanto Amor sorrise,
E in mirti , e in fior l'arbor cangiò di Marte «
Oh! dolci pugne, u' senza rischi estinto
Muore , e rinasce il vincitore , c'1 vinto.
XXXV.
Certo, Signor, queste de gii Avi tuoi
Non furo un tempo le vestigie , e l5 opre .
Ben d' altre cose essi, lasciaro a noi
Altre memorie, che l'Obblìo non copre.
Nò, Tacciar non pendea di quegli Eroi ,
Qual pende il tuo, che ruggine ricopre.
Va , che di tanta luce al vivo lampo
]1 tuo rossor esce più chiaro in campo.
XXXVI.
Fuggi , fuggi , per Dio, da questo albergo
Di mollezza, d'amor, di codardia;
Il lucid'elmo, il resistente usbergo
Cerca , e lieve il trovarlo impresa iìa »
Più degne vesti l'onorato tergo
Fregino ornai , come ihfregiavan pria;
E de lo scudo, e de la spada armato,
Sciogli, poi sprona il tuo Cavallo alato .
XXXVIL
Si disse il Vecchio , e subito disparve,
Siccome l'Ombre a l'apparir del Sole.
Ma innanzi poscia a V Ippogrifo apparve,
the di sua prigionia molto si duole ;
A l' Ippogrifo, che lassù comparve,
Ove alcun volator giunger non suole,
Che l'esca abborre, e mai nonbee ne l'onde
D' aer si pasce , e molto senno asconde.
N 5
*V%'- C ANTO;
XXXVIIL
Entroi il Pelagio di Ciprigna bella ,
Tutta di terso, limpido cristallo,
Come già dissi ; avvi una stalla , e in quel
Stasai rinchiuso il volator- Cavallo ,
Molti da cocchio pur, molti da sèlla
Destrieri quivi anno indiviso stallo;
Alati nò, ma celere, e leggiero
E' nel corso, e vivace ogni Destriero..
XXXIX.
E tenerli colà per lor diletto-
Soleano i Giovanetti , e- le Donzelle,
Che spesso in riva a .qualche ruscelletto^
Su le pianure più* fiorite , e beile ,
Cacciar godean la Lepre, c*l timidetto
Cervo fra l'ombre di palme, e- mortelle,.
Ed altre spezie d' animai diversi ,
Che in quel Pianeta sci posson- vedersi»-
XL.
Ti volante Destrier, tosto che scorse
De l'amato Signor le vestii il- volto,.,
Con amigo annitrir molti gli porse
Saluti , e- seco rallegrossi molto.
A queìi' Arabo scritto il muso torse,
Scritto^, dai vecchio Mago a lui rivolto ; ;
Chinò tre volte il capo , e fé palese
Che • tutto quel che fa r dovt a -, . comprese ;
XLI.
Otone intanto, eh5 è spronato, e punto.
Dal favellar del Precettore antico,
più tfi Donzella non si cura punto -,
Uè dì ridente Colle , o Campo aprico .
Qual forsennato, che- a spezzar sia giunto,
•Ferreo , che il ritenea , ceppo nemico,
La Reggia tutta di Ciprigna ei scorre,
£ rjfiar«*ora»ido 3 e minacciando, corre,.
DECIMO TER.ZO, &$
XLIL
Corre ovunque a cercar dove riposta'
£ù l'armatura lucida, e famosa.
Trovala alfine in alta stanza ascosta,
Giacente al suol, negletta , e polverosa.
Noti feroce cosi Tigre s' accosta
A greggia imbelle, che fiatar non osa ,
Gom'ei l'usbergo , e Telmo , e'1 brando afferra ,
Gitta piume,, e smaniglie, e bende a terra.,
XLIII.
Lungi , ©spoglie profane, indegni fregi;,
Chs ammolliscono il cor, lungi, *o lascivi
Seducenti piacer, che i forti , egregi
Campion rendete de la Gloria schivi .
Su' rovesciati ornai Troni de' Regi
S alzi il mio nome, ed a le stelle arrivi «
Di dubbio Marte ognor quest'alma forte
Fra i vessilli a sfidar vada la. Morte,
xuv.
Non di soavi distillati spirti'
Fia che la chioma olezzi , il braccio , il petto L
Rabbuffati capelli, incolti, ed irti,
Di polve lordi , avran più deg.no aspetto.
Vale il Lauro immorcal ben più che i Mirti ^
Ben più che i nastri il folgorante elmetto,.
Jù il brando, che d'ostil sangue rosseggia,
Più che di Citerca tutta la- Reggia-.
XLV.
Qual , se nkro cangiato in nera polve",
Che il tuon di Giove in cavi bronzi imita v
Una scintilla non veduta involve ,
Che da# un' accesa fiaccola è fuggita ;
Tutta in immenso foco si dissolve
Ad un sol tratto quella polve unita ,
E palpitando su l'arato solco,
W. fragor de lo scoppio odo il Bifolco:;
M 6
Beo C A N T O
XLVI.
Fur d* Otone a l'ardor ben valid' esca
I pochi detti de' 1' infinto" Mago.
Lieto brilla così fra l'erba fresca
Innanzi al Sol , ringiovanito il Drago,
Siccome Oton , che amor di gloria invesca $.
E' del nuovo splendor contento, e pago.
Lampeggia il capo , il dorso , il fianco , il petto,,
Per Tacciar, per Pusbergo, e per l'elmetto,.
XLVIL
AUor che tanto nel suo stesso Regno
Splender 1' armi non sue vide Cupido ,
Di rabbia pianse, di dolor, di sdegno ,
Chiamò la Madre con acuto grido.
Mirollo a4 suol, di scelti dardi pregno
II turcasso gittar, la Dea di Gnido ,
E il vide far , irato più che saggio ,
Al biondo crine i mirameli a to • oltraggio.
; 'XLVIII.
Così Fanciullo, cui l'acerbo frutto
Con prudente rigor neghi la Mamma ,
Si morde il labbro , si contorce tutto ,
E d'ira pueril le guancie infiamma j
Turgido à il ciglio , e non di pianto asciutto,,
Fugge veloce come Cervo, o Damma,
Gli usati giochi a terra manda , e straccia ,
E si grama a due man la china faccia .
XLIX.
D'un ruscelletto su l'amene sponde
Presso al caro Garzon Vener sedea ,
E quel ruscel col mormorar de V onde
Tanta ventura invidiar parea .
Zeffir lascivo le ombreggianti fronde
Con furtivo talor soffio movea ,
Talor spiava il duplice tesoro
Di quel seno, agitando il bel crin d'oro.
DECIMO TERZO, 3or
L.
Ver lei rivolse sdegnosetto il vaio
Quel pargoletto Nume , e si le disse .
Diva, cui sacro è '1 Cielo, il mare, il suolo*
Per cui tutto nei Mondo , e nacque ,« visse ,
Madre illustre , e temuta , il cui Figliuolo
Fin or co* dardi uomini, e Dei sconfisse,
Or che vai tua possanza ? a me che vaie
Tender più i'arco ornai , vibrar io strale ?
LI.
Che giova a me I' averti fatto un giorno
Di guerra atroce il fiero Dio cruento
Languir, qual molle Ganimede, intorno,
Per te obbiiando iì marzial cimento?
Aver sul Trono suo di stelle adorno,
Ferito Giove cento volte , e cento,
Giove , che il punitor fulmine afferra ,
E '1 Mondo scuote , e fa tremar la Terra >
LII.
Madre gentil , che mai giovar ci ponno
Sì gloriosi, e celebri trofei ,
Se desto Oton da 1 amoroso sonno ,
Tutti giunse a spregiar gì' incanti miei ?
Io vigil sempre , ora in tal rischio assonno?
Tu 1* invitta Ciprigna or più non sei?
E vi sarà chi ci dispregi altero
Entro al Pianeta, ov, ài tu sola Impero ?
lui.
Mira con quanto ardir, con qua! dispetto
[1 Cavalier la Reggia tua trascorre.
Ve' le piume ondeggiar sovra l'elmetto,
Siccome Insegna su difesa Torre.
Ah ! eh' io non possa un Numeesser più detto ,
Se può costui le mie catene sciorre .
Prega , piangi , vezzeggia , accorri presta,
Alto trionfo a tua beltà s appresta.
&» € A N; T G1
LIV.
Tosto- Hiflanzi ad Oton la Diva cors®-
Tn compagnia di molte Ninfe beile .
R-isplcnde- men l'argentea Cinzia forse
Fra il lume- incerto- di. lontane stelle.
Vener quel giorno, che da l'onde sorse 5,
E la recaro in Ciel l'Ore Sorelle,
Tutta- de' Numi ad invaghir la Squadra ,.
Più; vezzosa non fu , ne più leggiadra .
LV.
Non offre il Mar nel vorticoso seno^
A tanti muti abitatori albergo,
Di sante frondi non solleva pieno
Il selvoso A pennino al Cielo il tergo ;
Quanti darxH ricolmi di veleno-
Scagliò Ciprigna, a'quai non regge usbergo**.
Dolce sorriso, lusinghieri sguardi ,
Seducenti* carenze erano i dardi ..
LVI.
Ma come aJlor che su le sponde unFiume;
Gonfio per sciolte nevi, il dorso attolle ,
E Je superbe risonanti spume
Minaccian danno a le feconde zolle,
IlCultor palpitante in. van presume,
Di non util sudor asperso , e molle ,
Argine opporre a la tremenda pieaa ».
A sul resiste annosa Quercia a pena ■:.
LVII.
Così la speme tua, Venere bella, t
Pù vana allor ; tuoi vezzi Oton rispinse',.
Come scoglio rispinge la procella ,
E ìì suo Cavallo a rimontar s'accinse.
Oh'!' da te non attesa onta; novella,
Che lo splendor de' tuoi trionfi estinse !
Ma non opra d' Oton fu quell'insulto,
Fu d'avverso Pestio .P impulso occulto ■ o-
DECIMO' TER&O. £o$
LVIIT.
Servendo accenni de Io Spirto, ei slaccia
U pennuto Destri er , che al volo aspira.
Anelante isabella a lui- s? affaccia ,
Golma di rabbia , di vergogna, e d'ira .
Dal Regno del Piacer, che l'alme allaccia,-
Su quel Destriero ella fuggir sospira,:
Siccome innanzi la rapi su quello.
Lo stesse Oton presso al romito ostello „
LIX.
E fu quel dì , che il Palafreno alato-
Ambo porto] li ne la terza Sfera.
Piangea la morte allor d'Ulisse amato
Isabella gentil , morte non vera-
Ma per l'alta virtù de l'apprestata
Liquor di mente il tutto uscito l'era;
Pòscia l'altro liquor,. che in finto aspetto.^
Le die io Spirto, fé cenerario, elfeua.,,
LX.
Ah P chi la pura , salutar m'addita
Di questo umor benefica sorgente?^
Non temerò presso al selvaggio Scita
Le tue nevi sfidar, Caucaso algente.
Recar quell'onda a gli amator gradita*
Bramo a Donzslle di volubil mente,
Acciò mai non rintuzzi avido Obblìo
li primo strai del faretrato Dio.
LXL
Strazio- fan'- d'Isabella aspri, e mordaci'
Rimorsi, affanni, ed il perenne pianto
Spense l'ardor de' neri occhi vivaci,
Scapigliato è '1 suo crin-, lacero il manto ».
Freme in pensar che que' piacer fallaci
La fèr d#' Ulisse immemore cotanto,
E che di turpe Amor seguace, amica,
Scacciar ftotè. Verginità pudica .
3o4 CANTO
LXII.
Ben fu lo stesso Oton , che primo stese
La mano audace a quell'intatta rosai
Ma di fuggir tanto desìo la prese
Pa quell'infame^ Reggia obbrobriosa ,
Che quando ii vide, e '1 suo pensiero intese ,
A partir seco ella non fu ritrosa ,
Sol desiando per ignoto calle
A l'ignominia- sua volger le spalle.
LXIII.
Anzi veloce a lui s'accosta , e il prega
Che lei compagna a la sua fuga ei voglia ,
Né tal favore il Musulman le nega,
Onde s'allevia dei suo cor la doglia.
Senza indugio il Cavallo egli ^ dislega ,
S' innalza quello più legger di foglia,
Ed Augello, e Destrier, vola , e galoppa.
In sella è Otohc, ed Isabella in grcpoa .
LXIV.
Ah f perchè in simil guisa a me non lice
Uscir dal Regno tuo, barbaro Amore,
E , come" Oton , fuggir 1' incantatrice
Vener terrena, che mi squarcia il core?
Qual fenditor de l'aure, che infelice
Ne la rete inciampò del Cacciatore,
E in van si scuote, in vano agita i vanni,
Vittima io son de' tuoi funesti inganni .
LXV.
Mentre io mi dolgo de la sorte mia ,
Al guardo nostro quel Destrier s'invola;
Per ampia , immensa, sconosciuta via ,
Per vasto Mar di pura luce ei vola .
Quando a 1' altrp Emisfero ii Sol s'avvia,
E i sonnacchiosi Antipodi consoia ,
Sul nostro Globo il Palafren discende ,
Ove un bosco frondoso i rami scende»
DECIMO TERZO. 305
LXVI.
Cupo e quel Bosco, tenebroso, e folto,
Mesti stirgon Cipressi , e Querele antiche .
Offre riposo quei terreno incolto
Al passeggicr fra l'aure , e l'erbe amidi;.
Balzò di sella eOton, ma a .lui fur molto
Di quel Destrier le piume allor nemiche.
Volse il Destrier con Isabella il volo
Altrove 3 e il Musulman rimase solo.
LXVII.
Ma poco ivi restò , poiché ritorno
L' Ippogrifo a lui fé' co l'ali pronte,
E a facil pugna , ed a miglior soggiorno
tiuidoìlo poi , di due rivali a fronte .
Tratta Isabella in quel medesm© giorno
Fu sa la cima dì scosceso Morite,
Ove, sfidando il Sol, fra balza , e balza »
Densa foresta il mobil capo innalza.
LXVIIL '
Vorrei fra quelle annose, eccelse piante
Molto innoltrar con Isabella il piede ,
Ma seguir deggio il Corridor volante,
Che ne l'aere .ancor veloce riede .
Sotto la salma di vicende tante
Il mio Pensiero illanguidisce, e cede,
E de i' estro la fiaccola s' ammorza >
Ove il posar non le ridoni forza •
JBine del Cam* Tiecim» Ttr\e,
30Ó .
LA MORTE
Df ORLANDO.
CAtfTO DECIMO QUARTO
ARGOMENTO.
A la Cometa P lppcgrìfo ascendi ,
E Angelica , e i rivali in Terra adduce v
Sparisce quindi y essi per lei , che accende
Ad ambi il cor, fan lotta acerba , e truce ...
Ma un Guerrier poi , che Angelica pretende*^.
Gli sfidai a liri quelì* ìppogrifo è duce.
Scopre intanto isabella un Monastero ,
La Storia n1 ode , e veste at/mtamo nere .
D. L
al cor sospinto , ne le vene scorre.,
E ne le arterie, circolando, il sangue,
E questo umor , se men veloce corre ,
Ogni spirto vita! s' aljenta , e ianguc,
E in funesto letargo il corpo incorre;
Perde il furor la Tigre , il tosco l'Angue.
Susta possente è il cor , che sola puote
JQi macchina animai muover le ruote .■„
DECIMO QUARTO. joj
li.
Questo impulso eie 1 cor, fonte di vita-.
Da l'aer nasce, che i Mortai^ circonda ,
JE al frequente respir tutti gl'invita,
Ed eatra, ed esce , qual scorrevol onda.-
Desta , premendo il cor, quell'aria unita
L'elastica virtù, che in esso abbonda;
Mentre il perduto a racquistar s'accinge
Suo stato il cor, ne' vasi il sangue spinge-*
III.
Spesso però, se l'aer troppo lieve
Co l'usata possanza il cor non preme,.
Che non atto a cacciar stimol riceve,.
L'umor vital fino a le parti estreme ,
Comi avvenir su gli alti Monti deve r
Per poco impulso allor Natura geme ,
Allora a stento l'Animai respira,
E lento il sangue ne le vene gira.
IV.
Non in' ciascuno, è ver , lo stesso effetto-
Suole accader su la medesma altezza ;
Chi più robusti à gli organi del petto ,
Men paventa de l'aer la sottigliezza.
Ma se spregiando il naturai precetto,
Fia che troppo innalzarsi abbian vaghezza t
E violar tcntin de' nembi il Regno ,
Tutti di Giove proveran lo sdegno*.
V.
Di me so ben che mormorando vanno
Con Cinico livor molti saccenti ,
E a me di stolto Vate il nome danno,
Che di Fisica ignora gli elementi ,
E ancor non sa quello che tutti sanno,
Che senz'aria perir denno i- Viventi ,
E che non puote anco 1' Augel leggiero*
Molto lungi vjolar da l'Emisfero..
3o8 CANTO
VI.
Perciò si bclfan de la Musa mia ,
Che fra' Pianeti i volator trasporta ;
Ma costor non conoscon Poesia ,
li cui fervente ardor fren non sopporta ;
Quel felice Scrittor , che la pazzìa
Cantò d'Orlando , a l'arduo voi m'esorta ,
Astolfo ei spinse a ricercar di quello
Nel cangiante Satellite, il cervello.
VII.
Il pennuto Destrier seguiam , che sole
L'azzurro Spazio fra i Pianeti or fende,
E ad altra Impresa con sublime volo,
Ad altro Clima , ad altro Globo tende .
Verso quel tristo, ed infecondo suolo,
Cui tanto è 'iSoi nemico, i vanni ei stende,
Quella Cometa, ove Pluton già fèo
Orlando trarre. Angelica, ed Orfeo.
Vili.
Questa coppia rivai quivi ritrova ,
Quivi ritrova Angelica vezzosa.
Essi in tal s^de sì bizzarra , e nuova ,
Indivisi traean vita penosa ;
E regger niuno a sì diffidi pruova ,
Che immaginar anco il Pensier non osa,
Un giorno solo al certo avria potuto,
Se a pena tal non li dannava Pluto.
IX.
S' accostò la Cometa a l'Astro alfine ,
Che un foco irraggia di sua vasta Ellisse ;.
Si cangiaro in rugiade , e geli, e brine , .
Ogni assopito abitator rivisse .
Talpa cosi, che fra le nevi Alpine,
Qual morta, in tana intirizzita visse,
Le raggrinzate membra allunga, e scioglie
Quando stagion propizia il gel discio? uè»
DECIMO QUARTO. 309 .
X. ,
Di vista privi gli Abitanti sono ,
Ma in Jor supplisce al naturai difetto
Un odorato cosi fino , e buono
Che ben discerné ogni lontano oggetto.
Di quelli al par, cui d'occhi ilCiel fé dono,
Ove il cibo opportuno abbia ricetto,
E dove l'acqua si ritrovi, sanno,
E sol fiutando, ad accpppiarsi vanno.
Come volar sul Mirto, e su l'Alloro
So.glion fra noi mille Augelleiti , e mille,
Il nero Merlo, 1' Usignuoi canoro,
Il Cardeliin gradito a le pupille ,
Qualor cessa del Verno il rio martoro,
E versa Aurora sue feconde stille ,
E di tepida al soffio aura lasciva
fci ridesta Natura, e si ravviva :
XII.
Era cosi piacevole a vedersi ,
Presaghi allordela stagion novella,
Tanti Animali pria nel sonno immersi,
Errar "festosi in questa pan? , e in quella ,
Piante, Augei , fruita, e fior, colà diversi
Da quelli son , pe' quai la Terra è bella ,
E de' Viventi anno le varie torme
Altro istinto, altro aspetto, ed altre forme.
XIII.
Orfeo sagace, visto il buon Destriero,
Al# prode Orlando questi accenti volse.
Tv. ira prodigio! il Ciel pietoso, io spero,
le che a noi quel Cavallo il voi disciolse.
jir tentiam sul Corridor leggiero
Cotanti mali, in cui Pluton ci avvolse.
Angelica ci, segua , e non alletti
Primavera fugace i nostri petti.
3 io C ANTO
XIV.
Piacque l'avviso al valoroso Orlando,
Corse Angelica lieta a l'alta Impresa.
Già s'innalza il Destriero, a voi portando
Triplice salma , che a lui poco pesa .
S'innalza, come il Falco avvezzo, quando
Del Falconier la nota voce à intesa .
La Cometa abbandono, e gli abitanti,
E ratto seguo i Cavalier volanti .
XV.
Ne l'ardua seguo, non calcata via,
^ue' Nauti audaci de l'Etereo flutto.
Essi il Sistema , che tentò Sofia
Con Urania spiegar, videro tutto.
Lungi dal Sole^ discoperse* pria
Cupo Saturno in tenebroso lutto;
Mesto Vassallo, in larghe ruote intorn-o
JEi s' aggira pensoso al Dio del giorno,
XVI.
E vider Giove, che fregiar si gode
Di maritali piume il capo a Giuno ,
E '1 ferreo Marte , bellicoso , e prode ,
Ma non di carne iemminil digiuno,
La vezzosa Ciprigna , « de la frode
Lo scaltro Dio , Nipote di Nettuno ,
Vider da lungi, perchè f ali serra
Il volator, precipitando in Terra,
XVII.
Avea l'ignoto, rapido viaggio
Angelica , e i Guerrier turbato alquanto ,
Ma scesi in Terra poi , premer coraggio ,
E rescr grazie al Ciel propizio tanto.
Sparve il Cavallo , che ingegnoso , e saggio
Sotto brutal sembianza era cotanto.
Orlando allor, che non temea le risse ,
li ardea d' amor , al suo rivai si disse*
DECIMO QUARTO. 3*1
XVHL
Or dì pugnar faccende in me desìo ;
ficco opportuno a la gran lite il loco;
£e il brando tuo cadde spezzato, e il mio'',
Potran le braccia contrastar non poco .
Tvla ^ria giuriam che il vinto, o tu , od io,
Premerà nel suo cor d' Amore il foco .
Non ricusò quella disfida Orfeo,
E P uno , e P altro il giuramento fèo .
XIX.
L'uno, e Paltro a pugnar , lottando, vanno,
Come talor ne le natie foreste
Per la Giovenca i Tauri oltraggio, e danno
Fra lor si fan co^ le feroci teste.
Bello è il vederli usar forza , ed inganno ,
Gambe, e braccia incrociando agili , e preste ,
lì con mano , e con pie continuo inciampo
Farsi a vicenda, e disputarsi il campo.
XX.
Santa Onestà, che vesti in bianco velo
Le intatte membra , e la cui faccia beila
I puri Spirti àn lavorato in Cielo,
ASeì P ornamento, è ver, d'ogni Donzella.
jVla se a te con si puro , ardente zelo
angelica gentil non era ancella,
Amor, che prende nei contrasto aumento,
£2on gli avria tratti a quei crudel cimento.
XXI.
Mentre in dubbio certame, in lotta atroce
la ri vaP coppia d'atterrarsi tenta,
Da lungi s' ode una sonora voce ,
E un calpestio, che quella zuffa allenta.
Sul dorsosnello di Dcstrier veloce
Un Cavaliere ignoto si presenta .
Oh! meraviglia, P Ippogrifo stesso
E*quel Descrier, ma chiuse à l'ali adesso.
5p CANTO
XXII.
Come di Febo a la possente face
Splende talora l'adamante incontro,
O ne' campi del Ciel lieta, e vivace
Vener scintilla a Diana argentea contro ;
Brilian cosi del Gavaliero audace
L'armi vittrici cPogni avverso scontro.
Corno Lunar fregia io scudo, e dove
Stassi il cimier, surge PAugel di Giove.
XXIII.
Costui feroce , e minaccioso scende
Da quel Destriero, e'1 brando a cerchio mena,
Altro dal fianco al suol brando gli pende
Entro a guaina, che d'intagli è piena.
Ma il nudo brando, che in sua man risplende,
Al primo assalto regger puote a pena ;
( Quello cosi fu lavorato ad arte )
L'altro resiste, e '1 ferro par di Marte .
XXIV.
Cori cupid' occhio rimirò costui
Audacemente Angelica , dicendo : >
Non saggia cosa è disputar fra vui
Quel ch'io del pari ad ambidue contendo.
S'io degnassi rapir le cose altrui,
La Donzella involar potrei, fuggendo;
Ma un generoso cor sprezza le prede,
Che di suo braccio il frutto esser non vede.
XXV.
Chi possanza non à tenti ja frode ,
Ma questo cor mai non vacilla, o teme,
oe alcun di voi tanto è gagliardo , e prode ,
Ch'osi pugnar, noi pugneremo insieme.
Ma se cruenta, e perigliosa lode
Voi non bramate, e se timor vi# preme,
La bella Donna con serena faccia
i Fia consiglio miglior ) ceder vi'piaccia.'.
DECIMO QUARTO. 313
XXVI.
Né te so paventar , né mille curo
De' pari tuoi, disse Tirato Orlando ;
I più possenti ( al Dio de 1' armi il giuro )
A rispettar t'insegnerò pugnando ,
Se pur di Pluto nei soggiorno oscuro. .. .
Ma senza brando io son ; dammi quei brando.
L' ignudo ferro il traditor gli porse;
Misero Orlando ! a certa morte ci corse.
XXV IL
Ei corse a morte ; io senza indugio il corso
D'Isabella su l'orme or volger penso.
De l'Ippogrifosul volante dorso
Ella fu tratta in bosco opaco , e denso .
Di ciò che in Vener fatto avea, rimorso
L'alma sempre le strazia, e duolo immenso j
E in quella Selva si querela, e duole
Con queste, ed altre flebili parole.
XXVIII.
Ah! tiranno Destin , perché rispinta
M'ài tu da l'onde, viva ancor, sul lidqt
Quando la Nave a naufragar sospinta
Ulisse, e me gittò nel Mare infido?
O ver, se allora non rimasi estinta ,
Perché non corsi ov' anno i pesci il nido?
Or non sarei di tante colpe intrisa ,
E con Ulisse avrei tomba indivisa .
XXIX.
Forse, pietoso allor del mio dolore ,
Placido venticel , che increspa l'onda,
Deplorerebbe un infelice amore
Con mesto susurrar lungo la sponda;
E de T intatto mio vergineo fiore
Snrìa fresco lo stcl , verde la fronda ,
Oh! felice morir, che tutta avrja
Ricolmata d*onor la vita mia .
3H C A N T O
XXX.
A che il filo troncar vii non osar
De' giorni miei fra tai vicende, e tante?
Non il suolo a bagnar con questi rai ,
Qual conveniasi a fido amor costante ,
JVTa Ulisse ad obblìar, che tanto amai ,
Ed amo ancor, per un novello amante 3
È del santo Pudor con man perversa
Spezzar il giogo, in rei piaceri immersa *
XXXI.
Ben t'odo, Ulisse, fra i beati Cori»
Puro Spirto racchiuso in^ pallid^ Ombra ,
Rammentarmi sdegnoso^ i nostri amori
{Oh! fera vista, che di duol m'ingombra * )
Dirmi, ahi ! crucici, son questi i pianti, i fiori*
Onde giurasti far la spiaggia ingombra ?
Così dunque serbasti il più bel fregio,
Che può Donzella ornar? Va, ti dispregio «,
XXXII.
Tai detti risuonar fra s^sso , e sasso»
Udia Isabella, o udir credea , d'Ulisse*
E il tardo piede con mal fermo passo
Jvlovea , ma credo poco innanzi gisse.
Volea cespuglio ritrovar, che al lassa
Fianco abbattuto alcun riposo offrisse.
Trovoilo alfine; ivi a seder si pose ,
E gli omeri appoggiò su Quercìe annose.
XXXIII.
Potea molto il dolor, ma il cupo loco >
TI tacente squallor d'oscura Notte,
De" solitari Gufi il canto fioco.
Le frondi spinte a susurranti lotte ,
E la frese' aura }< che temprava il foco
Di quelle ardenti lagrime dirotte,
Per pochi istanti con pietosa cura
Fcr de l'ambascia trionfar Natura.
DECIMO QUARTO. 31$
XXXIV.
Ottenne alfin su gli egri spirti impero
Breve sopor,ma non là dolce ealma,
Che di fallaci Idèe stuol menzognero
In mille forme spaventò quell'alma.
Giacque oppresso, e smarrito il suo Pensiero
Di tanto duol sotto la grave salma ;
Lurid' Ombra talor veder le sembra,
Talor dal flutto le disperse membra .
XXXV.
Cosi , se avvicn che a l'improvviso tolto
Da vicin foco umor bollente sia ,
L' aer sommosso, e rarefatto molto,
Segue a fuggir come fuggiva pria ;
Cosi da Borea , e d' Austro il mar sconvolto
Cli oltraggi suoi non facilmente obblia ,
E benché il vento alfin si calmi , e taccia,
jVIuggc tremendo, *e i Nauti ancor minaccia .
XXXVI.
Poiché surto dal Mar sul cocchio d'oro
yù il biondo Dio co' fervidi Cavalli,
Più non ebbe Isabella alcun ristoro,
Straziolla il dolor senza intervalli.
Come torrente rapido, e sonoro
Dai Monti scende ad innondar le Valli,
Scendea cosi, di tanta ambascia figlio ,
U caldo pianto dal leggiadro ciglio.
XXXVII.
Il picciol labbro era a tacer costretto,
Da tanta folla di querele invaso.
Arrestarsi l'umor sul buco stretto
Veggiam così di capovolto raso.
Col nome alfine de l'amaro oggetto
Ruppe il silenzio, e per bizzarro caso,
Fra sé dicendo; ah! fosse Ulisse vivo J
Eco udì, che rispose : UJiflt è vìvo .
O %
3« CANTO
XXXVIII.
Mentre s' avvolge l'infelice, e gira
Pel cupo orror di quella Selva oscura,
Le folte piante diradarsi mira,
Ed amena apparir vasta pianura .
In mezzo a questa ella un sublime ammira
Edifìzio di vaga architettura ;
Molto s'innalza l'Edifizio, e tutto
Di rilucenti marmi esso è costrutto ,.
XXXIX.
Quel maestoso ,a adorno, ampio ricinto
Di solingo Cenobio offre l' immago .
Chiostro il sorregge , e a bei color dipinto ,
Spettacol forma dilettoso , e vago .
Da Corintie colonne il Chiostro è cinto.
La di cui simetrìa fa l'occhio pago,..
Di simulacri adorna ivi si scorge ^
iMarmorea scala, che in duo rami s.org€ ,
XL.
Su quella Scala, curiosa ascese
Tosto Isabella, e una gran porta vide,
Porta real , che più gradita rese
Scalpel , che i marmi dottamente incide.
Scultevi son le rinomate Imprese
Di chi pugnò contro le Geriti infide.
Un robusto sovrasta arco superbo ,
Che al gran Palagio aggiunge fregio, e nerbo*
XLI.
Con perfetta armonia la porta adduce
Ad una sala di piacevo! forma,
Ove gemma non brilla, oro non luce ,
Ciò a stato Claustral non si conforma.
Ma lungo di colonne ordin riluce,
E specchio il marmo a' riguardanti forma <
Questo Isabella il refettorio crede,
Poiché mense apprestate intorno vede .
DECIMO QUARTO. 317
XLII.
Poscia che in tali cose il guardo fiso >
Colma di meraviglia, un pezzo tenne ,
Ulisse mai non obbiiandoj e '1 viso
Bagnando sempre di pianto perenne;
Lenta avanzossi , e in Corridoi- diviso
Da molte celle quinci , e quindi , venne,
Ivi confuso a lei preme V orecchie
Suono di voci discordanti, e vecchie.
XLIIL
Quelli , che udirò su gli obbliqui tetti
Ne le risse d'Amor gnaulare i# Gatti ,
Che di Vener notturna in fra i diletti
Ebbri si fanno, furibondi, e matti,
Sì che sembra al piacer de' loro affetti
Si mischi il duolo, onde a gridar sien tratti %
Pensin costor che somigliante sia
Cotesto suono, che Isabella udìa,
XLIV.
Tacitamente , dal desìo sospinta
Di penetrar questo romor che fosse ,
Qual chi ad udir l' orecchia tiene accinta)
Su le punte de* piedi ella si mosse .
Voce allor più sonora, e più distinta
Udì, che ogni timor da lei rimosse ,
E riconobbero quelle grida ignote
Sol di femmineo stuol preci devote .
XLV.
Prima gP Inni intuonar con santo zelo
Ellauna voce intese , e molte acute
Voci compagne implorar poi dal Cielo
Con istridulo suon venia, e salute.
Ma qualche Vecchia, cui de gli anni il gelo
Le tronche chiome fé rare , e canute ,
Nel sentier Musical rimasa indietro,
Canta soletta in tremolante metro.
-O 1
3*3 CANTO
XLVI.
Rider ben sì potea , ma non ne rise ,
Perchè troppo dolente era. Isabella.
Su la vicina soglia ella il pie mise,
E altra sala scoperse ornata, e bel fa ,
Molte intorno vi son sedie divise,
Né questa punto è disugual da quella.
Ma un distinto sedil , qual Principessa, .
La suprema tenea Madre Abbadcssa .
XXVII.
Chi può dir qual fracasso, e qual bisbìglio
Al giunger d'Isabella ivi s'innalza? >
Cadon gli ufficj al suol per lo scompiglio v
Veloce ognuna da la sedia sbalza.
Ombra fuggita dal perpetuo csiglio
Predono quella, e gran timor le incalza.
Fanno, e rifanno co la man, che trema,.
De V umana salute il sacro Emblema.-
XLVÌÌL
Ma una certa Maria , detta Beata ,
Che# pe' suoi mera il Vicariato avea ,,
Ed in gravi materie consultata,
Qual Oracoi temuto, decidea ;
Molto baciata avendo, e ribaciata
Lunga corona, che al fianco tenea ,.
Quasi dal Ciel tutta inspirata fosse ,.
Con gravità per ragionar levossc.
XLIX.
Di statura si picciola è costei
Che a cinque palmi giunger puote a pena ;
E' corto il collo y e sol risalta in lei
L' omer surgente , e la deforme schiena .
Bianche le ciglia son, bianchi i capei,
E di rughe , e di pel la guancia è piena j
Gli occhi guerci, e cisposi àn varia sede*
Alto l'un più de V altro esser si vede .
DECIMO QUARTO. $1$
L.
Neri, ineguali, e mal divisi i denti
Ne la bavosa stan fetida bocca ,
Bocca , da cui nel profferir gli accenti,
Qual da Stigia palude, il puzzo sbocca.
Ricopron l'altre membra i vestimenti,.
E al mio peunel dipingerle non tocca;
Scarna è la man cosi che sembra morta ,
E' lungo il pie , gonfia la gamba, e torta*
LI.
Ecco il leggiadro, dignitoso aspetto
Di cotesta gentil Ciceronessa.
Ella a parlar comincia; ogni suo detto
Rassembra al suon d'una campana fessa.
Non vi sarà di meraviglia oggetto
L'udirmi^ favellar, Donna Abbadessa.
Fu mia lingua , il sapete , i miei consigli
Utili sempre fùr ne' gran perigli.
LII.
Maligno Spirto a* danni nostri al certo,
Compagne mi« , donnesca forma prese ,
Però che in questo loco ermo, e diserto,
Mai straniero Mortai giunger s'intese.
Chi sa , colui ne le mal opre esperto
Quali a noi tutte occulte insidie à tese?
11 sacro umor, 1' aspergol benedetto
Fate apportar, Donna Abbadessa . O' detto
LUI.
Qual , se mentre sediam su la predella,
Premendo t'infettili, l'aria s'abbassa,
Pria eh1 elastica forza^ indi 1' espella,
Densa^ ci sembra gravitante massa ,
Poiché ristretta , e condensata quella
In tortuosa region , s'ammassa;
F, dopo alfiu molto sudore, e stento,
Quella gran massa si dissolve in vento:
0 4
ito CANTO
LIV.
L'Oratrice cosi ben poco disse,
Che dir gran cose, e molte avea promesso*
Tenne in udirla al suol le luci fisse
Per riverenza il femminil Congresso .
Parte tosse cómun tutte assalisse
Quando ài suo favellar fu il plauso espresso }
Gome nel Tempio con tacente laude
Al facondo Orator la turba applaude.
LV.
Poscia , seguendo il salutar consiglio,
Il sacrato da l'urna umor s'attinse ,
£ la Badessa in così gran periglio
£Jera cocolla a rivestir s'accinse.
A Paspergolo poi diede di piglio,
E mormorando preci , in man lo strinse *
Lenta de le Marie divota folla
Venia seguace a quella gran Cocolla .
LVL
Oh! puro culto , che il gran Verbo onori*
Sceso il Mondo a sanar guasto, e corrotto t
Quanto sovente da gli stolti errori
Profanato sei tu del Vulgo indotto !#
Co l'aspergol gittando i sacri umori,
Fé la Badessa sette Croci, od otto,
Ed Isabella ancora a labbra mute
il segno fé de la comun salute.
LVII.
Colma d1 alto stupor Donna Badessa
Fu , mirando colei farsi la Croce ,
E più di tutte la Ciceronessa ,
Che, lode al Ciel , perduto avea la voce.
Ad Isabella una di lor s* appressa ,
Come aresse a sfidar Mostro feroce ,
Tanto il pie le vacilla , il cor le trema;
Ma il desio di parlar vinse la tema :
DECIMO QUARTO, jai
LVIII.
E le disse ! Poiché del cupo A verno
Spirto non sei , qual pria sembrasti a noi y
E il gran Vessillo, che domò 1' Inferno,
Di terror non è oggetto a* lumi tuoi ;
Certo qui ti# guidò y Ente superno ,
Ove alcun giammai spinse i passi suoi.
Svelaci il nome tuo, le tue vicende ;
Di noi ciascuna a te giovar pretende.
LIX.
Isabella a costei con un sospiro,
A costei , che fra tutte è la più saggia >
Rispose : E qual d' udir muri desiro
Come la Sorte un infelice oltraggia?
Pietàde , o Donna , avrai dei mio mattiro,
Se non ascondi in seno alma selvaggia.
Ma il sensibil tuo cor si fa palese
Nel volto tuo, nel favellar cortese .
LX.
Ciascuna allor s* avanza, e gli aspri tini
De la Straniera di saper s' invoglia ,
Che spesso i petti femminili invasi
Son per istinto da sì fatta voglia.
Se poi, d'Elezione intati vasi,
Taglian le chiome , e veston bruna spoglia,
Qual pianta in buon terren ,, fra quelle bende
Curioso desìo cresce , e s' estende.
LXI.
Volgiamo , o Musa , a questa istoria il tergo (
A questa , che narrar deve Isabella .
Meglio è frattanto intorno al sacro alberga
Passeggiando girar, di cella in cella.
Musa, non ti doler , se carte io vergo»
Spiando il tetto umìl di Monacella ,
Se stanco alfin d'Imprese illustri, e d'armi,
In oscure cellette io porto i carmi.
O 5 '
$*i CANTO
LX1L
Marmoree scale diramate fanno
A l'ampio, e lun^o Dormitoria scorta -
Ivi in distanza egual tutte si sanno
Le celle intorno con angusta porta ,
Su cui palesi in cifre auree si vanno
Scorgendo i nomi ^ Penitente, Assorta,
Illuminata, Angelica, Celeste,
Ed altre voci somiglianti a queste.
LXIIL
Lungi il sacro furor, che i Vati inspira;,
Che sa le sponde celebrò del Xanto
D' Ecuba il duolo , e di Pelide l' ira ,
Lungi la tuba; una celletta io canto.
Quadra è la stanza , ed Isabella ammira
J tersi arredi in questo, ed in quel canto,.
Poiché swa cella con gelosa cura
Monaca sempre ripulir procura.
LXIV.
Duo grandi armadj le pareti opposte
Ricopron quasi, e fanno al tetto guerrav
Ivi di lana , ivi di lin riposte
Son molte vesti, che ogni armadio serra.
Poco dal letto celibe discoste
Quattro sedie la stanza in se riserra,
Dai piccioHetto , che gli àrdenti accoglie
Vani sospiri, e le represse vogMe.
LXV.
Qtial serie d'Agnusdei , di Crocifissi
Io qui ritrovo, e di frammenti sacri f
De la Vergin , de'Santi intorno affissi
Veggio Quadri parecchi, e Simulacri ;
Di quei , che sepper gl'infernali abissi
Fuggir, pene soffrendo atroci <, ed acri.
Misera Umanità, cui sforzo immenso
Costa gli assalti rintuzzar del senso!
DECIMO QUARTO. 3*3
LXVI.
Dì devoti libelli un vario stuolo
ìn altra parte de la cella giace ;
Inni al Padre celeste, ed al Figliuolo,
E preci al Santo, che di sceglier piace.
Fin che pietosa d'Isabella il duolo
Quella femminea turba ascolta, e tace,
Passiamo ad altra non discosta Cella,
Che dissimil non è forse da quella.
LXV1I.
Ma qual confuso suon , qua! suono misto
D' emule voci il nostro orecchio assorda?
Ecco Isabella con dolente, e tristo
Sembiante; mai d'Ulisse ella si scorda.
Maria Beata pel novello acquisto
Ridente avea la bocca informe , e lorda ,
E volgea fra le Monache stridenti
Ad Isabella non intesi accenti .
LXVIII.
Come una truppa d'anitre ciarliere,
Che lieta in fiume , o stagno si diguazza,
Spifitada l'urto del comun piacere,
Irrequieta ognor grida, e schiamazza;
Così, novella Monaca in vedere ,
La sacra turba esulta , e si sollazza.
Poi tutte in loco entrar bello a mirarsi 3
©ye libri non pochi erano sparsi .
LXIX.
Quivi al loquace stuol Donna Àbbadcssa
Sovranamente di tacer fé' cenno.
Al gran comando de la Principessa
Le Verginelle alto silenzio fènno.
Sacro libro vetusto apre ella stessa,
Dicendo : Ignote cose or io t'accenno;
Odi Isabella, e da profano sciolta
Grave penóier, sì gran Memorie ascolta.
O 6
1*4 CANTO
LXX.
Chese, come dicesti, in ver tu brami
Questi vestir misteriosi veli,
E^dei Mondo fuggir le reti, e gli ami ,
L* origin nostra a te convien ch'io sveli,
Acciò tu questo loco onori , ed ami ,
Che i Cittadini fabbricar dei Cieli .
Fra le tacite allor Suore divise
Sovra un seggio eminente ella s'assise.
LXXL
Trasse, molto cercando a manca , a destra,
-Di tasca alfin gemino vetro rotto .
Maria Beata accorta sempre, e destra ,
Le man provvida mise ai libro sotto .
Donna Badessa nel legger maestra
Non era , e a stento profferiva un motto ,
Che di legger divezza era a tal segno
Per le cure moltiplici del Regno.
LXXII.
Pur molte preci , e molte in varia foggia
A questoSanto susurrate , e a quello,
Fan che il prisco saper di nuovo alloggia
Nel voto spazio di quel gran cervello.
Una su P altra per udir s' appoggia ,
L' origin $acra dei comune ostello.
Memorie auguste d"* un sante ricette
Di Fergin suste , da gli Angeli eretto ,
LXXIII.
Di quei Volume il frontispizio è questo,
Quindici legge la famosa Istoria.
Ma scritta sotto avvi una nota al testo ,
Che di quel Monastero è fregio , e gloria.
Dice la nota che in un giorno festo
Per antica veridica memoria
Esser dai Cel sceso quel Libro è certo.
Dì vivace splendor tutto coperto.
DECIMO QUARTO. ^
LXXIV.
Ma zittì udiam , che la Badessa or legge
La Storia illustre in questi detti espressa .
„ Quando^ quel Dio , che P Universo regge 5
„ Con noi quaggiù vestì la carne stessa >
,, E de Tempio Demon tolse a ia legge
j, Col suo soffrir l' Umanitàde oppressa,
„ Del gran Persico Impero ebbe la culla
a In Hispaham Capitale > una Fanciulla*
LXXV.
„ Sedea Soffi su luminoso Trono
„ Il Genitor de la gentil Donzella.
5, Costui fra i Prenci era il più saggio , e buono.,
,, Come di tutte era colei più bella .
,, Sempre tardo a punir , pronto al perdono }
,, Tirannide abborrh spietata , e fella '.
,, In grazia, ed in beltà sua Figlia crebbe ,
,, E costume di chiuderla ei non ebbe.
LXXVI.
,, Se alcun Guerrier quella felice Corte,
,, O Prence alcuno a visitar venia ,
„ La Giovinetta con maniere accorte
,, Sempre de lo Straniero il cor rapìa .
„ La fama di costei crebbe sì forte ,
,, Fu sì nota a ciascun sua leggiadrìa ,
„ Che voleva de l'Asia ogni Signore
3, Mirarne il volto, e disputarne il core .
LXXVIL
,, Compiuto quasi il diciottesim'anno ,
,, Vergine ancor, questa Donzella avea,
„ Aliar che vide un Cavalier Britanno ,
,, Che quella Corte frequentar solca.
„ Per molti fregi, che gran lustro danno ,
,, La commi laude ei meritar sapea;
,, Beltà , spirto, valor , famose Imprese
t1 11 fcano illustre ; ella di lui s'accese.
s
%z6 CANTO
LXXVIII.
i, E s'accese così che a poco a poco
5, Élla divenne sua perduta amante,
,, Come s' innalza da scintilla il foco
,, Talor fra i rami di frondose piante,
j, A' pie del Padre in solitario loco
„ Lagrimosa prostrossi, e palpitante ,
,, Dicendo: O Genitor, l'avversa Sorte
i, L* unica Figlia tua condanna a morte r
LXXIX.
„ E' sì flaro il mio mal che medicina
„ Noim'è per esso, e farmaco non giova;
j, Morir degg'io, sono a morir vicina,
,, Smania mi strugge dolorosa, e nuova.
5, Ma come rosa a l'aura mattutina
,, Il perduto vigor lieta rinnova,
,, Dal cupo avello , ove mi spinge il Fato ,
3) Sol può trarmi un tuo detto , o Padre amato*
LXXX.
,, Poi, d'onesto rossor tinte le gote,
5, Com' ella ardea di caldo amor gli aperse ;
,, E quel buon Padre , che soffrir non puote
„ Che la cara Figliuola abbia a doicrse,
S) Le rispose propizio in dolci note,
3, Strinsela al seno, e le sue luci terse ,
,, Poi disse: Figlia, al CavaHcr tu Sposa
53 Oggi sarai , su la mia fé riposa,
LXXXL
s, Ei si fé' innanzi lo stranier venire,
,, E a lui la destra de la Figlia offrio.
,, Meglio si puote immaginar che dire
,, Quanto quegli esultò , quanto gioio.^
3i Qual più ti piace, in, dote a te largire
,, Una Provincia io vo' del Regno mio.
,., Sì diceva il buon Padre , ed avea pieno
3) Il Cavalier di meraviglia il seno ♦
DECIMO QUARTO. j*7
LXXXIT.
„ Del felice Imeneo Fama veloce
» Corse ovunque a recar l'alta novella ?
,, Ma la cre-de ciascun bugiarda voce ,
5, E di favola a guisa ne favella.
j, Curioso desio agita, e cuoce
„ I fervidi amator de la Donzella .
„ Di gelosa ciascuno ira s' accende
„ Allor che vera esser la voce intende.
LXXXIII.
„ Diceasi ancor che suoni , e danze, e canti
3, Giansi apprestando, e una festiva giostra ,
3, Per celebrar di sì felici amanti
3> Le fauste Nozze con solenne mostra;
3, E che tai Nozze far doveansi avanti (strati
3, L'ora, in cui scende il Sole, e il Mare inno-
,, Ufl Egizio Signor , che in petto molta
3) Ferocia asconde , tai novelle ascolta .
XXXXIV.
„ Venne costui da gli Affrica ni Mti'i
,, E il fervente suo cor d'amore è calda.
,, Come ? esclama costui , tutti scherniti
„ Nói rivali sarem da quel ribaldo?
,, Partir dovrem mal noti, o mal graditi v
j, Fia l'oscuro Stfanier contento , e baldo?
,, E soffri rem che a tanta nostra rabbia
„ Ei lieto insulti , e quella preda s'abbi;.*?
LXXXV.
„ Ah! nò , per Dio, tutti dobtiamei eppoire1
)} A chi tanta beltàde a tutti toglie .
„ Chi può veder sì dolce frutto corre ,
,, E starsi cheto ad odorar le foglie?
,, Per forza andiam sì vaga Donna a torre,
,, Serberemla rapita a nostre voglie ;
,, Dividendo ciascun sarà felice
»• Quel che intero ad alcun goder non lice.
8*8 CANTO
LXXXVI.
3, Sì dìcea quei protervo, e di costui
3, Molto ad ogni rivai piacque 1' avvisa*,
„ Dunque , ei disse, mi segua ognuna -vui*
,, Ch'io vi dirò ciò che d* oprar diviso.
„ Tutti allora si fèr seguaci sui ,
,, Che avean d'amor , da sdegno il cor conquiso,
,, Tutti giuraron pria silenzio , e fede ,
» E volser quindi a varie parti il piede .
LXXXVIL
,, Lungo saria narrar :Ja pompa , il fasto j
j, Il general contento, i lieti viva,
„ Di deiisat turba il fremito, il contrasto,
,, Che le piazze , e le vie correa festiva ;
,, E le danze intrecciate in campo vasto,
„ I suoni , i canti di voce giuliva ;
,, E le vezzose, ornate in varie foggie,
sj Spettatrici Beltà su pinte loggie ,
LXXXVIII.
,, Col pie veloce dal premuto suolo
5, Gli spumanti Destrief traggon faville,
3, E intorno va» dorati cocchi a volo ,
3, Giran fervide ruote a mille, a mille;
„ Là si vede apparir bellico stuolo ,
3, Che dal forbito acciar manda scintille,
,, Qua , di Persica man sottil lavoro ,
s, Splende in seriche fila argento, ed orò *
LXXXlX.
i, Ne l'ampio Circo in lungo ordine assiso
„ Il Vulgo stassi impaziente, e folto ,
,, È fra le grida festeggianti , e il riso,
,, De le battenti palme il suono è involto.
,, Da' popolari seggi ecco divìso
„ Palco eminente , adorno , e ricco molto ;
„ Ivi gli Sposi , ed a gli Sposi a canto
„ Siede il buonGenitor con regio ammanto.
DECIMO QUARTO, 329
XC.
„ I traditor fra quelle turbe stanno ,
*, Compier bramando la funesta Impresa .
„ Calma, e gioja mentir sul volto sanno ,
„ Mentre d1 invida rabbia àn V alma accesa ,'
„ E disponendo qua, e là si vanno ,
„ Chi per l'assalto, e chi per la difesa.
„ Poscia da lungi ; Si pugni, s'uccida :
j, Ignota voce, non attesa , grida.
XCI.
j, t nudi ferri minacciosi in alto
j, Scuoton gli audaci al concertato segno ,
,, A la guardia real muovono assalto
s, Per torre al Genitor si caro pegno .
„ Spiccano al suol le genti inermi un salto
,, Per Jo terror de l' attentato indegno;
„ E chi non fuggi , e chi al periglio accorre f
„ Per mano ignota in certa morte incoae*
XCII.
„ Come in pallajo imbelle , ove T astuta
„ Volpe nemica insidiosa venne,
„ Odesi a un tratto a questa sua venuta
„ Strano romor de l'agitate penne;
3, Così la turba popolar, che muta
„ Prima per lo stupor tutta divenne,
„ Mirando poi questo delitto orrendo,
„ Bisbigliando fuggìa , fuggìa fremendo.
XCIIL
,, Dal comune terror, che le trasporta ,
Fuggonle Guardie spinte, e il Re con quelle;
Fugge lo Sposo , e fra le braccia porta
Quella Regina de le Donne belle.
Ahi ! dura Sorte , che sventure apporta
A' buoni spesso, ahi! troppo avverse Stelle I
Quell'iniquo Affrican dietro gli è corso,
E tutto il ferro gli cacciò nel dorso .
S3& CANTO
XCIV.
„ AI fiero colpo il Gioviti cade estinto 5
s, Su ia Donna il malvagio avido piomba ,
5, Come Falcon , che ira gli artigli avvinto
>, Stringe 1' esangue Pollo , o la Colomba .
a, Monta a cavallo, e sembra un sasso spinto
,, Dal forte impulso di rotante fromba ,
33 Tanto è veloce! e seco trae mal viva
3j L'infelice, non so , se Donna , o Diva.
XCV.
3, Co' suoi compagni ei corse alquante miglia
9, Fino che giunse in una gran pianura.
3) Là di prender riposo si consiglia,
3, Parve quella a ciascun stanza sicura .
3, Ma il giusto Ciel , che la difesa piglia
3, De V Innocenza con paterna cura ,
3, Non vuol che sia la Vergine infelice
sa Hesa a tutti cornun , qual Meretrice.
XCVL
j, Mentre il ribaldo ala sua preda attende y
3, È la Donzella si dispera , e piange ,
5, Sferica nube , oh ! gran prodigio , scende,
3, Colorita dal Sol, che si rifrange ,
5, E quella nube si dirada, e stende,
,, E in duo grandi emisferi indi si frange .
3, La^ Giovinetta allor circonda , e serra,
a. L'innalza , e toglie a l'odiosa terra.
XCVII.
,, In bianca veste entro a ia nube siede
5, Un Vecchio venerabil , maestoso.
,, Soffice seggio ella apprestato vede ,
3) Che a sue membra abbattute offre riposo.
3, L'accerta il Vecchio poi , degno di [eds ,
3, Che di tanta sventura è '1 Ciel pietoso ;
„ Ma cotal meraviglia allor la prende,
*, Mista al dolor, che paco, o nulla intende*
decimo quarto. 33j
xcviii.
,, Con fragrante liquor l'alma smarrita
5) Richiama H Vecchio , e riconforta i sensi,
3, Le dice quindi : La celeste aita
3> Ti salva j o Donna, da perigli immensi .
si Ombra io non son dal cupo A verno use Uà
3, Fra sulfurei vapor di foco accendi ;
3, Suo ministro mi scelse, e messaggero
3, L'Onnipossente, acciò ti sveli il' vero.
XCIX.
a, E m'inviò , celeste Spirto avvolto,
jj Qual tu mi vedi, fra terrene spoglie.
3, Fia da crude il tuo cor pene disciolto ,
3, Fien volte in gioja le passate doglie.
j) Morbo sovente periglioso molto
3, Co gli schifosi farmaci si toglie ;
*, Tutto così per tua salute eterna
3, Fé' chi tutto dal Ciel muove 3 e governa.
C.
„ Queste, che sembrar denno aspre sventure
5, Al tuo sguardo mortai , che poco scerne,
3, fon le veraci vie, le vie sicure,
„ Che menan dritto a Veritàdi eterne.
3) Di Macon lascia Je vestigie impure ,
3, Se a le sedi poggiar brami superne .
o, Un maligno impostor, fallace , e tristo ,
„ E' il reo Macon, la nostraguida è Cristo.
CI.
,, Spiegando poscia ad un ad un le viene
„ Di nostra Fede il Vecchio i santi arcani.
3, Dal celeste Favor commossa , tiene
3, Colei teso 1' orecchio a' detti strani .
3, Fende con maestà l'aure serene
3) La nube, e par che molto s'allontani .
,, Di luce intanto il Sol versa un tesoro,
„ E la ricopre di colori , e d'oro.
33* CANTO
cu.
s, Su questa Selva solitaria, e densa ,
3, Giunge la nube, e quivi al suol ritorna }
ì, La Vergirt lascia , si ristringe, e addensa 3
,, E col celeste Messo in Cielo torna .
,, Mentre a prodigiosi colei ripensa,
,, E a quella nube di colori adorna,
,> ( Nuovo prodigio !) in quel medesrnogiornc
a. Mira sue fide ancelle a lei d'intorno.
CIIL
,, Con gran piacer, con meraviglia estrema
3j A lei ciascuna , ella a ciascuna corse ;
„ Par che di traveder sospetti, e tema,
a, O di sognar, o d' esser pazza forse.
33 Mille mi son per volontà suprema,
3, O Dònne mie, cose inudite occorse ,
„ Diss' ella alfìn 4 ma pria eh' io narri questa ,
j, Bramo saper come qui voi giungeste .
-'"), Le risposero quelle ad una voce :
3, Quel che ci chiedi tu, dir non sapremmo
3> Tutte per te vinte da duol feroce,
a, Fonti di pianto nostre ciglia femmo,
3, Tnfin che oppresse da 1' ambascia^ atroce
a, Più che a sonno a sopor brevechiuden ii.c
a. Gli stanchi lumi , e allorché ci destammo
a In questa Selva tutte ci trovammo .
CV,
,, Colei per lo stupor muta si stette,
33 Ed a Cristo il suo cor fu servo , e ligio
3, Ciò che dal Vecchio udito avea , credette
3, Di Macon rigettando ogni prestigio.
„ Colme di pura Fé queir alme elette ,
>, Grazie resero al Ciel di tal prodigio,
a, Ella i nomi invocò prostrata al suoio , '
3> De lo Spirto , dei Padre, e del Figliuolo
DECIMO QUARTO. ÌH
CVL
,, Sparver nel bosco allora in uno istante
, ( Oh ! novello miracolo stupendo )#
, Molte, e molte frondose antiche piante,
[ E vi sì venne una pianura aprendo.
L Là 've sorgean quercie, ed abeti avante,
„ Marmorea base si venia stendendo .
E Su quella base un Edifizio alzosse
L Prima che il Sol su 1' Orizzonte fosse :
CVII.
,, Tutto questo Edifizio, e dentro, e fuora,
», Porta, scale, giardini , e sale, e tetto >
k, Fu «la celeste man costrutto allora
„ Con fino gusto, e con iavor perfetto.
?) Ben vana Impresa , e non possibil fora
„ Narrar come in veder 1' albergo eletto ,
a, Che in deserta surgea densa Foresta ,
„ Ciascuna allora sbalordita resta ,
CVIII.
„ Co gli occhi al Ciel , ccn alma penitente
j, Adoran poscia il sommo Ente , che quello
,, Fé' da gli Angeli suoi, mirabilmente
,, Lieto albergo innalzar, sicuro ostello J
L E menaron lor vita santamente
^ In cotesto Palagio adorno , e bello;
3, Ma prima attinser dal vicino fonte
5, Onde lustrali , e si bagnar la fronte, "
CIX.
Qui di legger fini Donna Badessa ,
E il Libro chiuse ; ella mai tanto lesse ,
Tar che la Storia nfl gran Libro espressa
Isabella gentil falsa credesse.
Ma pur finse d'a\cr la fede stessa ,
E, poi ch'Inno di grazie al Ciel diresse,
pi Maria Fortunata assunse il nome,
fc il veJ coperse le accorciate chiome.
334 CANTO DEC. QUARTO.
CX.
Compiute alfin le cerimonie, i riti,
Disse Isabella: Deh ! narrate in questi
Deserti lochi , sterili, e romiti,
Con qual mezzo trovate e cibo , e vesti.
Poco lungi vi son prati fioriti,
Ove pecore , e buoi pascer vedresti ,
Risposer quelle, e il vello poi s'assembra
Che lane presta, onde coprir le membra.
CXI.
Le disser pei che in quelle sacre lane
Cangiar solcano il rozzo vello accolto ,
Volgendo a Ville, od a Città lontane,
Con grave stento il piede, e sudor molto.
Ma se a ciò che a narrarvi mi rimane,
Voi, che or m'udite, dar volete ascolto.
Pria concedete ch'io riposi alquanto j
Tutto spero a voi dir ne l'altro Canto,
Fìm dtì Canto Decìm» &uArf<
ÌÌS
LA M 0 11 T E
D' ORLANDO.
CASTO DECIMO QUINTO
ARGOMENTO.
Per lo Bosco Isabella errando , ascolta
T>J Ulisse il pianto, e in braccio a lui sì getta 0
. Jj* amante coppia è da un Pastore accolla ,
E il nodo a stringer di Imeneo s1 affretta .
Pugna Orlando, ma in van : da timer colta y
Fugge Angelica , Orfeo la segue in fetta y
Seguonla Orlando , e Oton ,• poscia ( eh ! delitto )
"Da P empio Otone è questo Eroe trafitte ,
V . .L
▼ oi , che rinchiuse in siero career siete ,
Ver cui fora l'uscir grave delitto,
Questo Canto giammai deh! non leggete.
Per voi non è questo mio Canto scritto.
Àrdente allor di libertà ia sete
Fariasi , e il vostro cor sariane afflitto ;
}orse dal Chiostro iuggireste in folla
Co la tonaca nera, e la cocolla.
3$$ CANTO
IL
Liete, sicure , placide, e beate,
Lungi dal Mondo torbido, e fallace ,
Allor che siete in quel soggiorno entrate,
Viver credeste , ed in gioconda pace .
Ma in van colà Felicità cercate ,
Che da voi sempre involasi fugace,
"Scherno è de l' onde , o rompe in secca ignota
>Jave senza timon > .senza Pilota ,
III.
Vi sono alcune, è ver, ma $on ben rare
Che viver liete anco nel Chiostro sanno,
Ad Isabella io voglio ritornare,
Che delusa non fu da questo inganno,
Ella il dolce piacer volle gustare, #
Che d'ogni acerbo duol compensa il danno,
Benché recise avesse già le chiome,
Accolto il nero vel , cangiato il nome.
IV.
Bieco al mio favellar io sguardo volse
Uno zelante difensor del Culto %
Cosi suoi voti , disse , ella disciolse ,
Tanto facendo a nostra Legge insulto ?
L'alto prodigio, che suoi ceppi sciolse.
Così serbò ne la sua mente sculto ?
Freni costui lo zel, che il preme, e spinge,
Novizia è ancor, né voto alcun la stringe,
V.
De la mensa annunziò l'ora felice
Cavo metallo con acuto suono .
Contenta l'una a l'altra suora il dice>
E tutte già nel refettorio sono.
Ma la novella Monaca infelice
Chiede piangendo al Ciel ia morte in dono;
E mentre ognuna al pranso avviasi in fretta,
Va per lo Basco soletta soletta .
tOECPMO QUINTO. 337
VI.
Nel fitto séno de la vasta Selva
Molto errò , molto pianse , e molto disse-*
Di lei pietosa ogni feroce Belva
Fatta sarìa, se i suoi lamenti udisse .
Più si rimbosca ognor , più si T'inselva»
Sempre tenendo al suol le luci fisse.
Solleva alfin le molli ciglia , e scorge
Un vicin poggio, che sublime sorge.
VII.
Alto è il poggio, e scosceso, e folta erbetta
Di fiori adorna gli s'aggira intorno.
La Quercia annosa su l'eccelsa vetta
Chiude il varco severa ai Dio del giorno.
Su 1' ima falda erboso speco alletta
A dolce sonno, a placido soggiorno;
y acconcio loco al passeggiero stanco
Offre a posar 1' affaticato fian.co .
Vili.
Presso a l'antro Isabella si ristette,
E parea che seder quivi volesse,
Ma voce udì, che voce d'uom credette *
E d'uom, che sospirasse, e si dolesse.
Presa da meraviglia, attenta stette s
Desiando saper ciò ch'ei dicesse;
E tenendo così l'orecchie tese ,
Del suo fido amator la voce intese,
IX.
Fgli dicea : Dolcissima Isabella,
Qual duro avverso Fato a me ti toglie?
Perchè Fortuna a' voti miei rubella
Da queste membra ancor l'alma non scioglie?
Dunque lieto, e felice Uomo, e Donzella
FU, che d'Amor frutti vietati coglie?
I7- tu neghi soltanto i tuoi favori ,
Destino ingiusto, a gl'innocenti amexi? J
$& CANTO
X.
Oh ! qual destàro i teneri lamenti
S>upor ne Palma d'Isabella, e gioja !
Ella non puote^ profferir gli accenti,
Palpita, impallidisce, e par che muoja.
Poscia, versando lagrime a torrenti,
Che mai di lagrimar si stanca , e annoja ,
Senza moto, e vigor , fredda qual ghiaccio,
Ai caro Ulisse s'abbandona in braccio.
XI.
Come su tronco V edere tenaci ,
vStanno gli amanti avviticchiati insieme;
Scoccan dal muto labbro ardenti baci ,
E l'anelante cor sospira, e geme.
Col vomero soicar terre feraci
Potrebbe Ulisse, ma oltraggiarla ei teme,
E onesto brama in quel propizio istante
Esser piuttosto che felice amante .
XII.
Pare* quel loco solitario , oscuro
Fatto sol per celar furti d'Amore.
Fu per Ulisse aspro tormento, e duro,
Co le vivande in man , fiutar l'odore.
Poi che gli amplessi alfin cessati furo,
E fu posto in obblio tanto dolore,
Ebbro di gioja , ad Isabella disse
Cotali cose il fortunato Ulisse ,
XIII.
Fiamma di questo core, Idolo mio,
Che più s'indugia or qui, che più si bada?
Poiché propizio a' voti nostri è Dio ,
Di quinci uscir cercar dobbiam la strada.
T passi tuoi sempre seguir vogP io
Ove guidarmi, Ulisse mio , t'aggrada, d
Disse Isabella 5 e inesorabil Morte
Òol divider potrà la nostra sorte
DECIMO QUINTO. 359
XIV.
Il buono Ulisse allor con lei s* avvia >
Il Ciel pregando con sommessa voce
Che lor di quinciuscir mostri la via >
Ed abbia fine ogni vicenda atroce .
Il giusto Ciel, che le sue preci udia ,
Che sol per poco in Terra a' buoni nuoce,
Fé che l'amante coppia allor rinvenne
Breve sentiero, e fuor dal Bosco venne,
XV.
Pastor canuto, cui la chioma incolta
L* omer copriva , e folta barba il mento,
Videro, ed Isabella a lui rivolta,
Disse,© Pastor, vi renda il Ciel contento,
Se fra i lacci d'Amor vostr'alma involta
Provò mai cruda angoscia, e rio tormento ,
Pietàde avrete d'un amante coppia,
Che divisa fin or, alfin s'accoppia.
XVI.
Soggiunse Ulisse ; Questa sacra veste
Mai si conviene è vero, a caldi amanti;
Ma , se nostte vicende aspre , e funeste
Bramaste udir, e i mali nostri tanti,
La verace engion certo vedreste
Di questi bruni Monacali ammanti.
Deh ! vi piaccia frattanto offrir pietoso
A due stanchi Stranieri alcun riposo.
XVII.
Lieto rispose il semplice Pastore:
Amici rniei , meco a posar venite.
Duolo mi reca ognor l'altrui dolore,
E bramo a tutti far cose gradite.
Per essi da quel dì cangiò tenore
Fortuna, e tur le pene lor finite.
Visse Isabella al caro Sposo in braccio,
Libera sempre da ogni cura , e impaccia
?40 C A N T G
XVIII.
"Dà quella Dònna volgo lungi il passo- 3-
Da quella Selva , e da quei fidi cori ,
Ed a mirar velocemente io passo
Altra Donna , altra Selva , ed altri amori *
Or veggio ben che di memoria casso,
Spinto, ed acceso da* Febei furori,
Si dal dritto sentier fuori son tratto
Che quasi il'.fijo ò già smarrito affatto.
XIX.
Ma risovviemmi d'Angelica bella,
I cui gra» pregi io non saprò- scordarmi ;
E mi rammento, ripensando a quella ,
D'Orfeo, d'Orlando, valorosi in armi .
Orlando , e Orfeo per la gentil Donzella
Gran cose oprar, che aver narrato parmi ; ;
E sccscr poi su volator Destriero
Da la Cometa, in. Bosco folto > e n?ro.
XX,
Su quel D^stiier, su quel CavaM'-augellò
Sceser, che Gcoa già cavalcò quel giorno- s .
In cui disparve il magico Castello ,
Di gran Pitture, e Simulacri adorno.
Poggiò quel Palafren veloce j e snello
Su la Cometa , e in Terra fé -ritorno,
In quella Selva Angelica portando,
Orfeo sagace., e '1 valoroso Orlando,
XXI.
E a-venne- ciò di Ferrai* per opra»
Cui servir P Ippogrifo ognor solea ,
Di Ferraù, che, come dissi sopra,
Educato fanciullo Otone avea.
Ei perciò lama, e a suo favor s' ad oprav
E Angelica gentil , che a lui piacea ,
Che avea perduta nel Castel distrutto ,
Ecnder gli , vuoi , di , faci! pugna fruste «,
DECIMO QUINTO. 341
XXII.
Or che tai cose io mi ritorno a mente,
Posso il Guerriero discoprir chi sia,
Che ad Orlando , e ad Orfeo ferocemente
Si cara preda a disputar venia .
Egli scese a turbar^ la lotta ardente ,
Ch' era fra i duo rivali insorta pria,
Su quel Destriero di volar mai stanco ;
Un brando à in man, l'altro gli pende ai fianco.
XXIIL
Otone egli è , eh' ebbe dai Mago dotto ,
D* opposta tempra le incantate lame ;
Un ferro è 1' una, che non ria mai rotto,
L'altra non regge a bellico certame.
Questa ei porge ad Orlando , ivi ridotto
Vittima, oh ! Ciel, d'un tradimento infarne,
Pien di furor, la destra al brando stende
Orlando, e Oton da quel Cavallo scende.
XXIV.
E questo, e quel, che ben sapea di scherma,
Il corpo tutto a fiera pugna adatta;
Rimansi ritta la persona , e ferma ,
E la gamba sinistra addietro è tratta ;
Or la destra s' innoltra , ed or si ferma,
E offesa, e scudo insiem la spada è fatta;
Valido l'elsa al sen scudo si rende,
E dal nemico acciar ben io -difende»
XXV.
' Oh! fatai cecità di menti umane \
Oh! folle Amor, chei grandi ingegni oscura*
Orso con Orso, e Can rivai con cane,
Spinti sempre a pugnar son da Natura ;
Però che quelle femmine inumane
De l'altro amante non si pigliati cura ,#
Quando il primier, che al gran lavor s'accinsCr
Lor fomite animai del tutto estinsc»
P 3
.1*»- e A N T G
XXVI.
Ma per Donna pugnar, chea dicci, a'vsnti
Forti Campioni aprir potrebbe il varco ,
E di sangue versar caldi torrenti.
Mostra d'insania un intelletto carco-
A che guastar si dolci , e bei momenti
Go le pugne, co l'ira, e col rammarco ,
Se quel piacer , se quel sollazzo stesso ,
Che un pria gustòj gustar puòl'altro appresso^
XXVII.
Ma sento ale u-a^, chemormora, eborbotta 2
Com' io facessi al gentil Sesso oltraggio.
Io >P onestà d' Angelica , incorrotta
Pregio , ed ammiro il suo costume saggio J,
Ma per salvar da sanguinosa lotta
Uom di tanto valor , di tal cèraggip,
Che perir dee sol per amor, trafitto 3
Uà offesa al Pudor noti è delitto.
XXVIII.
Se. stata fossi, Angelica, men -bella,
Ò men co' fidi amami tuoi tiranna,
Scampato avresti da l'avversa stella
Orlando tuo,, che^ a morte io condanna ; :
E daresti ad Orfeo vita novella >
Cile, lo spietato Amor strugge, ed affanna ,*..
Ma tu, sol perrserbar tua pudicizia ,
Tai danni apporti; e non è ciò nequizia ?
XXIX.
Ad ambe man la spada Orlando afferrai
Jàr. sovra l'elmo tal sendente mena
Che il Bosco rimbombò, tremò la terra 3
E turbata ne fu l'aria serena.
Il non atteso colpo Otone atterra >,
E il fino elmetto suo resiste a pena.
Ma il brando infido, come vetro fosse -s
In mille, schegge, subito, spezsosse.
LCIMO QQfN;TO. §■&:■
XXX.
Orlandoallor, che al mal temprato acciaro
Troppo addossi, d'irà ebbro, ed insanii
Speziato quello , in van cercò riparo,
Ed inerme piombò sul Musulmano .
Arse tutto di rabbia al caso amaro,
E si mordea la disarmata mano,
Mentre quel traditor caduto al suolo
Freme* 3 ricolmo ài vergogna, ■e^duo-lo*-
XXXI.
Come qualor la collera , la rabbia '
DuoTeroci Mastini a guerra spinse.
Se giace l'uno- su ia mobil sabbia
■Sotto il nemico dorriator , che 'L vinse-;
.Digrigna i denti , si dibatte, arrabbia,
E morder tenta chi a cader 1' astrinse ;
Con tremendo ringhiar, con bieco guardo
U altro sopra gii sta fiero, e gagliardo^
XXXII.
Ambi così -l' un sovra l'altro stanne;
I duo Guerrier, famosa, illustre coppia >
Che con mano , e con pie recarsi danno
Tenta , e si afferra , e- il suo furore addoppia L
La tema , e V ira , lacerando vanno
Angelica^ e divien sua tema doppia ; -
Non teme sol che pera Orlando vinto; >
Ma che sia vineicor chi brama eslinto.
XXXIII.
Ella viver volea d'Orlando priva :
Anzi che dal ribaldo esser rapita,
£■ pel Bosco a Cavallo errando giva ,
Perchè ogni traccia sua fosse smarrita .
Ma dietro Orfeo da lungi le veniva ,
L'amante Orfeo, che perder vuol la vita*
Pria che lasciarla ne l'oscura Selva,
Vittima. forse d' aggressore di Belva.
$44 CANTO
XXXIV,
Il Mago allor ', che non sentito, o visto ?
Il presente , il futuro , e vede , e sente ,
Ai fuggir de la Donna avea provvisto ,
Per serbarla ad Oton , mirabilmente .
Con tale ingegno oprato avea quel tristo ,
D'alti prodigi ordinator possente,
Che^ al suo soggiorno la Donzello, trasse 5
E fé che quivi per celarsi, entrasse.
XXXV.
I duo Guerrier,. che nel htil cimento
Volgeano sempre a la Donzella il guardo,
Per meraviglia de l'ingrato evento
Tregua al contrasto dièro aspro, e gagliardo*
Cede^ ad Amor io sdegno in quel momento,
Ambi saltano in pie senza ritardo ;
E come amico, il valoroso Orlando
Va con Otone Angelica cercando»
XXXVI.
Tigre così , mentre in foresta Ircana
Tremenda insegue con furor, con fretta
Il Cacciatoi*. > che da l'oscura tana
Rapi la cara prole pargoletta ;
Se allor che poco ella è da lui lontana ,
Un de* suoi figli accorto al suolo ei getta *
Sol da materno amor sospinta, corre,
Lasciando il Cacciator , quello a raccorre *
XXXVII.
Ma non temeva il destro^ Musulmano,
Che il gran poter di Ferraù sapea ,
Vo'dir del Mago, e Angelica in sua mano
Sa-peaf che al certo ricader dovea .
Pur da questo pensier mplto^ lontano
In presenza d'Orlando ei s' infingea ,
Con perversa bramando alma feroce
Aspra vendetta di quel colpo atroce*
DECIMO QUINTO. M5
XXXVIII.
E cosi aT prode Orlando ad arte ei éisse. :
Or che smarrito abbiamo il dolce oggetto
Di nostre lunghe , sanguinose risse ,
Ed il pugnar privo saria d'effetto ;
Acciò che Sorte rea non ci rapisse
Dopo tanto sudor tanto diletto »
Colei cercar miglior consiglio fia
Sul mio stesso Destriero , in compagnia .
XXXIX.
Per l'aure il mioDestrier batte le piume .,..
Ma non temer che a volo ardito ei saglia,
Se a te non piaccia; è docil per costume,
E niun Destriero in senno a lui s'agguaglia.
L'ire non teme del cruento Nume ,
li giova al Cavalier ne la battaglia.
Gol suo favor raggiugnerem di volo
Angelica gentil, radendo il suolo.
XL.
Piacque ad Orlando tal pensier ; ben noto'
Gli è T Ipprogrifbj e prova ei già ne i'èo
Quel dì, che scese dal Pianeta ignoto
Con Angelica stessa, e con Orfeo.
Dal vecchio Mago, che in sua cella immoto 3
Tanto a favor d' Otene oprar potèo,
Fu pria con arte magica , di tutto
Ciò che far dee, quell' Ippogrifo istrutto^
XLI.
In sella Otone, ingroppa Orlando ascende
Su quel robusto volator Destriere,
Che presso al suol veloci i vanni stende >
£ le placide solca aure leggiere.
MolreggeOton , né il freno allenta , o tende s
£d il Cavallo guida il Cavaliere .
Ciunto nel mezzo de la gran Foresta ,
Qve il. Mago soggiorna , ivi ei s' arrsfti*»;
34* CANTO
XLI1.
Quivi si stava Angelica dolente ',
Orfeo non già, perchè 1' avea smarrita ,
Ella il^ timor cangiarsi in gioja sente
A la vista d'Orlando a lei gradita.
Ma contra Otone è 1' odio in lei possente j
Amor trattienla , odio a fuggir V invita ;
Fuggir vorria , ma un invincibil forza
A rimaner , mal grado suo * la sforza .
XLIIL
Orlando, che colei quivi ritrova.
Colei, che tanto gli à ferito il core ,
Molto stupor , molto diletto prova,
Scende a terra d'un salto, ebbro d'amore,
Misero Orlando , oimè ! che mai ii giova
Di Sorte infida il passeggier favore?
DelMago a un cenno un calcio ilDestrier vibra*
Un calcio tal che lo stordisce , e sfibra .
, XLIV.
Esangue ei cade, eOton,cui brama in sena
D'alta^ vendetta , e antica rabbia ferve ,
Snuda il magico ferro in un baleno,
Volge bieche al rivai luci proterve ;
( Su la preda piombar veloce meno
Suole il Falco, o l'Augel , che a Giove serve )
E quel perfido acciar nel destro fianco
Tutto, ahi! vista, s'asconde, esce pei manco r
XLV.
Ecco qual fu la deplorabil morte
Di quel Campion , di quel famoso Orlando,
Che in guerra sempre valoroso , e forte,
Sempre di lauri si copri pugnando.
Amor 1* accese , e la nemica Sorte
Morir lo fé per tradimento, amando.
Poiché il prode Guerriero or più non rive.
Io mesto fuggo le Castalie rive .
IL FINE.
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