AZ04
150 Cent. 50.
LA
NUOVA FIORITURA
RACCONTI NOVELLE, MONOLOGHI
e VERSI di
PASTONCHI X GAN'DOLIN - PIRANDELLO . CENA - DADONE -
PALMARINI ^ THOVEZ ^ VILLA . CORRADINI . CLARVY -
FERRIANI ^ LAMBERTINI - LAURÌA - BELTRAMELLl - DE
LUCA PINCHIA - TUMIATI . DAUDET - DE AMICIS . DI SAN
GIUSTO ' FOÀ . FAVA / LESSONA . ZOCCOLI . ROCCATA-
GLIATA-CECCARDI - DIOTALLEVI . PUCK . BONTEMPELLI .
GIGLIO^TOS ' MANTEA . RINIERI ^ STURA.
Con ritratto e biografia di tutti i su citati Autori
RENZO STREGLIO Sf C. Editori
Torino -• Galleria Subalpina
Genova «^azza Fontane Marose (Vico Stella. 24
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€^'?i;rycFio^V'
LA NUOVA FIORITURA.
Proprietà Letteraria
Vielata, a lendine di lcgge,^ogni e*qualsiasi riproditzione
0 traduzione
AI LETTORI,
Lo scopo di questa nostra NUOVA FIORITURA e quello di provare al
gran pubblico dei lettori l'erroneità dell'affermazione che la nostra letteratura
moderna italiana, o almeno la parte migliore di essa — romanzi, novelle o
versi — non sia divertente, come con singolare accordo, e con ben poco
amore per le cose nostre, molti critici osannanti agli scrittori goti ed ostrogoti
mostran di credere e di voler far credere.
* E la prova nasce limpida e si afferma in queste pagine che oggi prescD'
tiamo al pubblico italian'". ed in cui abbiamo raccolto saggi letterari pregevoli
sotto ogni riguardo. V'atti da opere di ifiolti nostri scrittori e poeti giovani, i
quali tutti, in fatfo di interessare, commuovere ed avvincere l'animo dei lettori
possono vittor.'osamente gareggiare coi più celebrati scrittori stranieri.
Se nn si sia riusciti, con questi saggi scelti a caso, a smentire una fola
a cui /a troppo tempo si presta cicca fede, lo dicano i lettori cortesi dopo aver
lc« questa NUOVA FIORITURA ad essi dedicata.
GLI EDITORI.
SONETTI
Il fiorire del pesco.
L'offerta.
L'esile pesco al marzo che lo allaccia
Fiorirebbe, ma vede ancora i monli
Troppo nevosi e tenie che lo aD'ronli
D'aspri venti ima sùbita minaccia.
Anche teme che il suo fiorir dispiaccia
Al f^rande pioppo, il re degli orizzonti,
I'' al vecchio lieo che, a vernarne i pronti
Spiriti, allarga le paterne braccia.
Ma una ti-|)i<la notte, ecco, lo invaile
l'ii languore, un tremore, un desio l'dlle.
Pili come un lungo anelitcì... K l'aiuora ;
E vede sé, fulgente di rugiade.
Chiuso in un roseo nembo di corolle
Che ai venti mattutini esita e odora.
O leggiadria d'un vnlii) feniniinili-
Che d'ingenue fiamme s'invermiglia
Amoroso : e più dolce meraviglia.
Se ancor Io avvolga d'un suo raggio ;
Cosi vidi un mattin iniesla gentile.
Andando in mezzo ai fior, chinar le n
Con volto che all'auror.i s'assomiglia,
K balenarvi un riso puerile.
Ma poi subitamente, fitta certa
Che nessun la scorgtn d'oltre i cin.
Alzò gli nciliì sti-llanti nel rossore. .
F. una ro^a m'oDri, duplice oITcrln,
l'oi chi- dirmi p.irenn ipiegli occhi Ik-11
— Prendi anche me; sim tua; portami, ;
Il giogo.
X. .
V'eccliio era il gioito, e poi che il buon villani
D'elette forme non .^enlìa dispregio,
Un 'nitro ne aciiuistò, nuii tozzo, egregio
Per scolpilura e del più lieve onlano.
K disje, innanzi ai bovi, nella mano
Protesa bilanciaiulolo : « In ,:;rau pre:.;io
Abbiatelo. Guardate che bel fregio,
1'" ipianlo è snello, senza nocchi e sano "._
Ma cauto un bove, con sollìanti naii.
S'accostò, lutto l'annusò d'intorno;
Poi deluso, tornando verso il Iruogo,
Agli altri che attendean mnggi : — Comp.iri.
Poco è da rallegrarci ; umile o adorno.
Rude o leggiadro, esso è pur sempre un i^io; '
Alla tua salda fronte non si altari! i
Il verso vaporoso di fintasmi.
Essa è degna del bronzo clic la pl.i :'■
Nitida e ferma in cerchio di medni;'
Ah ! ipiante ansie di atles,! e di b.m i.
Slremeran l'uomo e punte di sArc.iMiii
Crude, prima che amor toro.t di si^ismi
(Juesta fredda Iwllc/Jta che nii nhlM^lia.
M.» Ili vivi di 1 '
Per cento speivln.
Di carnali clcsii, |>ut seinpic int.kll.i ..
Infm che un. caliM-stato da' tuoi pud"
Fra lo sliipor di lutti rIì iillri imlxlli
Intermezzo Primaverile
La primavera è giunta.
E se fiore, dai peschi
Abbri videi! ti ai freschi
Venti, non anche spunta
E se pioppo non svaria:
Primavera è nell'aria.
Per la recente pioggia,
Nitida è la montagna ;
Non un vel pigro stagna
.Sui campi, donde poggia
L' allodola nell'alto
In un canoro assalto.
Lieto è il fragor dell'onda
( jonfia contro le prode ;
Tutta la terra gode
Nell'attesa feconda,
Tutta la terra brilla
Nell'attesa tran(|uilla.
Primavera è nei cuori,
Ogni sperar s'aH'ranca :
La massaia spalanca
Le finestre, che odori
Di buone aure la casa
Dal primo sole invasa.
Quasi un fruscio di spole.
Quasi un ritmo di danze.
Empie le aperte stanze :
Canti di fresche gole
Palpitan, d'improvviso
Interrotti da im riso.
E, come in liete feste,
.Suonan le vie tra un gaio
.Salutarsi e un abbaio
Di sui carri. L'agreste
Opera ai solchi nuovi
Sospinge uomini e bovi.
Balzano da una .soglia
Fanciulle in vesti chiare,
Che il dolce tempo a errare
Per le campagne invoglia,
E in desio con le braccia
L'una all'altra s'allaccia.
O Giovinezza, o Aprile,
Datemi voi leggeri
Sogni, non già [lensieri,
Svegliandomi un gentile
.Spirito: ch'oggi al ramo
Fiori, non fruiti, io bramo!
IL
FRANCESCO PASTONCHI
LA MACCHINA PER VOLARE.
(Monologo).
(All'alzarsi del sipario Pompeo Palamidoni, con
le mani incrociale sul dorso, la lesla china,
passeggia su e giit: poi si ferina e guarda l'oro-
logio) .
Ha detto alle 6 precise e ora sono le 6.20
anzi le 6 e 23 gli do ancora dieci minuti di
tempo e poi lo mando all'inferno lui e i suoi
milioni se ha venti milioni, io ne ho cin-
(]uanta. . cento... e dove?... (baltendosi la frònle^
Qui. Con che cosa si fanno i milioni? coi quat-
trini ? mi fate compassione ! I milioni si fanno
con le idee: e io sono \in uomo pieno d'idee.
Ma non basta avere delle idee; è anche neces-
sario sapere come metterle fuori. E come si fa
a metterle fuori ? Si fa cosi : {caz>a dalla tnanica
UH lungo rotolo di caria) Ecco un'idea che vale
tanti milioni che al solo pensarci fa spavento.
Stamane sono andato dal banchiere Miranda
e gli ho detto :
— Sa chi sono io? Io sono l'ingegnere Pala-
midoni ; lei metta centomila lire a mia disposi-
zione e io dentro l'anno le faccio guadagnare
tanti milioni, che Rothscild a suo confronto di-
venta un mendicante, uno straccione, un nuHa-
tenente.
Il banchiere Miranda deve essere un uomo
furbo assai, un uomo che ha il colpo d'occhio
negli atìari, perchè mi ha risposto subito :
— Metto a sua disposizione tutto quello die
vuole, ma non in questo momento perché ho
molto da fare: ripassi tra un paio di mesi.
— ì\Ia si figuri, questo è un aft'are che non
ammette ritardi ; ogni settimana che passa sono
dieci milioni buttati via.
— Quando è così — mi ha detto — k-i
m'aspetti alle 6 precise in piazza Grande ; se
non mi \ede, sarà per un altro giorno.
Ora io lo aspetto ancora dieci minuti e poi
vado a Londra, e se non vado a Londra vado
a Pietroburgo, e se non vado a Pietroburgo vado
in America ; anzi prima di partire, mando tanti
dispacci per sentire le offerte che mi fanno ; e
se c'è un paese che mi offre di più, ebbene io...
vado a quel paese. Perchè in Italia, per l'amor
di Dio! Tempo fa, avevo inventato un mecca-
nismo per impedire Io scontro del treni. Vado
a Roma, lo propongo al ministro dei lavori pub-
blici e sapete che cosa mi risponde ? Che bisogna
rispettare le abitudini, e che i viaggiatori, ormai,
sì erano abituati ai disastri.
Ah, ma orala farò finita io! Non più ferrovie,
non più locomotive, non più mancanza di vagoni
nel porto di Genova ! Ecco qua ! (svolge il rotolo^
di carta) Che cos'è questa ? Questa è la mia ul-
tima invenzione. La macchina per volare. Qui
si capisce poco dai profani ; ma la macchina è
di una semplicità tale che la capirebbe anche
un ragazzino. Come è nata l'idea di una mac-
china a vapore ? Guardando una caffettiera. E
a me come è venuta l'idea di una macchina per
volare?... Guardando un caffettiere. O piuttosto
era il caffettiere che guardava me, perchè gli
dovevo una cinquantina di lire; ed io pen.savo:
A momenti uscirò, ina egli è capace di venirmi
appresso e farmi anche una scena sulla strada ;
ma se io avessi una macchina per volare!...
Pensa e ripensa, egli non ebbe le cin(]uanta
lire, ma io scopersi questa macchina portentos.i.
che è tutto il contrario di quello che disse ."Krchi-
mede : Toglietemi un punto d'appoggio e io mi
sollevo dal mondo.
E un meccanismo cesi semplice che pare quasi
una burletta. Ecco di che si compone : d'una
navicella, d'un motore a gaz, di due ingranaggi
a scambio simultaneo, di una trasmissione, di
una puleggia e di due grandi eliche di tela, con
un movimento centrifugo, e infine di un ma-
nubrio con lo stantuffo ad aria compressa. E
funziona così: il motore naturalmente igesli)
allora per via degli ingranaggi (e. j.) le ruote
della trasmissione subito si (r. i.) in modo
che la puleggia naturalmente... si... (<•. s.\ così
che l'elica di destra... (gira a (ondo il braccio)
e l'elica di sinistra... (e. s.) in modo che basta
afferrare il manubrio {gesti verticali cernie se gi-
rasse rapidatiicnté\ e allora... immediatamente lo
stantuffo... (gesti come se gitlasse tutte in aria) e
questa è la macchina per volare.
Ora mi direte : — va bene ; abbiamo capito
perfettamente: ma a che cosa serve una macchina
per volare ?
— A che serve ? Ma serve a lutto ; dalle più
grandi alle più piccole necessità della vita.
Non parlo, prima di tutto, dei viaggi ; con
una spesa che è una miseria e in sole venticjuat-
tr'ore, voi potete andare in America. Mettiamo
il caso, voglio andare a Monte video e come fo?
Metto in moto la mia macchina e mi innalzo a
cinque o sei mila metri, poi mi fermo a vedere.
Il mondo gira sotto di me: io vedo passare sotto
i miei occhi la Francia, la Spagna, il Portogallo,
l'Oceano Atlantico ; poi vedo un mucchio di
ca.se e dico: se non ìsbaglio, quello è Montevideo!
E allora discendo fresco come una rosa, entro
in mio dei primi alberghi, vivo come un prin-
cipe e poi dico: Mi si prepari il conto che quest.»
si^a si va via ! E mentre il conio mi aspetta sul
portone io vado via dalla finestra.
I .servigi che può rendere poi la mia macchina
nei casi minuti della vita sono incalcolabili. Vn
giro di manubrio' e siete salvi da qualunt^ue sec-
catore. \'oi mi direte : — ma anche i seccatori
saranno provvisti della niaccliina e ci potranno
inseguire e raggiungere? — Ho pensato anclie
a questo.
Come c'è una legge clic regola il porto del-
l'armi, cosi il Governo dovrebbe regolare l'uso
della macchina _ per volare e questa macchina
sarebbe severamente proibita ai creditori, ai con-
certisti, agli agenti di assicura;4Jone sulla vita, alle
suocere, ai giovani autori drammatici, a quelli
che scrivono dei monologhi, a quelli che li reci-
tano e altre simili categorie.
Proibita, s'intende, anche alle mogli, non
perchè siano una categoria seccante, anzi, tut-
t'altro... ma perchè potrebbero abusarne.
Il marito rientra in casa e non trova la consorte.
— Dov'è mia moglie ?
— Oh, signor padrone... la signora... è... è
salita in cielo '....
Uno riceve una consolazione di i|uesto genere
e poi capisce che è un equivoco.
Proibire anche la macchina ai giovani scapoli,
ai vili seduttori che minaccerebbero sempre la
pace domestica .sotto quella forma di volatile.
yuando avevo moglie, ero geloso come Otello...
ossi;i il marito di Desdemona... ovvero il moro
di Venczig. Per mia tranquillità avevo inventato
il contatore coniugale. Un alt/o meccanismo che
mi avrebbe reso Dio sa quanti milioni, ma che
avrebbe fatto Dio sa cpianli infelici. Era un mec-
canismo semplicissimo che avevo applicato —
senza clvs mia moglie ne sapesse niente — sotto
il sofJi del salotto.
Mia moglie pesava quarantasei chili: era una
donna leggerissima. Tutte le sere, rientrando in
casa, davo un'occhiata al contatore: o non segnava
nulla, o segnava quarantasei chilogrammi. Un
giorno dovetti partire per un viaggio brevis.simo.
Tornai dopo veiitiquattr'ore, abbracciai mia
moglie, deposi la valigia e andai a guardare il
contatore ; segnava sempre c|uarantasei chilo-
grammi.
jDavanti a questo esperimento decisivo, la mia
gelosia sfom parve.
La sera, andai a una riunione di speculatori
che dovevano mettere a mia disposizione venti
milioni, per una mia macchina che, se non ai
fosse fermata, avrebbe realizzato il modo perpetuo.
Rientrai in casa, per abitudine, diedi un'occhiata
al contatore. Corpo di Giuda ! segnava cento e.
ventitre chilogrammi I Io era dunque tradito da
bep settantasette chilogrammi di persona scono-
sciuta ! Mia moglie tentò giustificarsi, dicendo
che anche la serva si era seduta sul sofTi. Vile
menzogna !
Procedetti subito ad una verifica. La mia serva
non pesava che sessantatre chilogrammi ; man-
cavano dunque quattordici chilogrammi alla fe-
deltà di mia moglie !
Vedete, sono passati dieci anni, ho perdonato
a quella disgraziata che non è più eppure,
se Dio fa che io ritrovi un uomo dal peso netto
di 77 chilogrammi Sapete che cosa (o? Lo
Jego come un salame : lo metto sulla mia mac-
china per volare, salgo a tremila metri e poi...
iQes/odi laitciaiio con ira\.
{Guarda rora\ Le 6 e .15 minuti. Che il ban-
chiere Miranda creda di burlarsi di me? ma sarà
lui il burlato: perchè io di capitali ne trovo
(juanti ne voglio. F. di che si tratta poi ?... Di
centomila lire !...
{^Al pubblico) Domando scusa : nessuno di loro
avrebbe per caso centomila lire in saccoccia?..
Nessu'io?... Me ne rincresce tanto: mica per
me per loro \ (viat.
AGENORE SMARRITO.
.Sono le nove e tre quarti di sera. Casa De-
Tiippetti è immersa nella più profonda coster-
nazione.
La serva, seduta nel cantone più oscuro della
sala da pranzo, appoggia la fronte sopra la spal-
liera della propria sedia e dorme in preda alle
più strazianti inquietudini.
La signora Eufemia — dimentica di ogni deli-
cato senso di pudore — è mezzo vestita e mezzo
no, e il suo seno potrebbe presentare ancora
qualche attrattiva agli occhi autorevoli di Poli-
carpo, s'egli non si ostinasse a fissarli sui propri
stivali tron una costanza degna tii migliore scarpa.
La signora Eufemia, ogni tanto, fa un salto alla
finestra, e guarda, con rapido movimento di testa,
ai due lati della via.
Indi, ritorna mestamente accanto a Policarpo,
che continua a considerare le proprie scarpe sotto
un altro punto di vista, più patriottico, ma non
meno doloroso del precedente.
Policarpo, con voce cavernosa :
— Hai visto niente?
— Niente; povera creatura.
Policarpo, reprimendo i singulti :
— Era il yostro amore ! Era il nostro sangue,
Eufemia! Era il mio ritratto! Il niio animo di
padre è straziato nelle sue viscere immediate !
Dio, abbiate pietà di noi ; io non domando al cielo
che una grazia sola; ricuperare mio figlio, per
abbracciarlo teneramente, e metterlo, dieci giorni,
a pane e acqua.
Indi, volgendo gli occhi sopra la serva:
— Oh femmina religiosamente devota ai tuoi
doveri di cittadina e di domestica ! la tua vita è
un sacerdozio, che mantiene acceso il sacro foco-
lare della famiglia, e comprende nel salario gli
affetti d'un vergine cuore, mensilmente retrilniito
con pari tenerezza. Guarda, moglie mia, la po-
vera Rosa. Ella non ha più il coraggio di fare
un gesto, di pronunciare una (inalsiasi parola*.
La commozione la opprime.
— Perdona, amico mio, a me pare che russi.
— T'inganni! non è che il rantolo d'un cuore
esulcerato.
La signora Eufemia, sospirando a mantice, ri-
torna, quasi barcollando, alla lineslra.
Policarpo fa due o tre passi, poi s'arretra e
dice con accento severo e fatale :
— Eufemia, non è più tempo d'esitare, lo devo
perlustrare tutti i sette colli, anche a costo ili
fiaccare il mio. O ritroverò il nostro caro -Age-
nore, o tu sarai vedova anzi tempo.
— Io ne morirò.
— E io verrò a piangere continuamente sulla
tua fossa.
Così dicendo, cadono uno nelle braccia del-
l'altra.
Per essere storicamente esatto, devo dire anzi
che Policarpo, avendo sbagliato la misura, cade
invece sopra il lavamani, e manda in pezzi !,i
catinella.
Rosa si sveglia di schianto, e grida:
— Madonna iiiia, gli spiriti!
E Policarpo, uscendo, con accento (ilo.sotìco:
— Gli spirili sono eccessivamente depressi.
E, ricalcaifdo la bomba ^^ìk ■-h li .,r.„,|,j
scende nella via.
Ah ! voi non sapete...
È una storia, questa, lugubre e nazionale. Age-
nore è fuggito di casa. Il figlio dell'orzarolo gli
ha detto che tutte le sere c'è una tlimostrazione,
con .squilli di tromba, e Agenore s'è lascialo incau-
tamente .sedurre da quella prospettiva rivoluzio-
naria. Agenore è fuggito di casa alle otto, scu-
sandosi col dire che andava a comprare un solilo
di cialdoni.-
Come mai l'oculata signora Eufemia ha pre-
stato orecchio a cosi sfrontata bugia ?
Come mai ella ha potuto, anche per un luu-
mento, supporre che nella vita tli .Agenore potes.se
intercalarsi un episodio, rappresentato da un
soldo di cialdoni?
Non calunniate questa eccellente madre di fa-
miglia. Il sospetto aveva subito attraversato l'a-
nimo suo.
— Agenore ha un soldo? Dio mio! si sarebbe
egli macchiato di qualche crimine? Ma non può
essere. L'avrà trovato per la strada. Ma (juan-
d'anche ciò fosse, come mai e.gli si getta subito
in braccio ai bagordi, alla disperazione, al liber-
tinaggio?
— Agenore, .Agenore !
Hai tempo a strillare! -Agenore è già lonl.nm,
Agenore è già a piazza Navona, insieme col figlio
dell'orzarolo suo compagno di traviamenti e di
perdizione.
Policarpo fernui un agente numicip.ile, davanti
a .San Luigi de' Francesi, e gli domanda:
— -Avete visto mio figlio?
— E chi siete voi ?
— lo? io sono un padre infelice.
I^ guardia si spazientisce e risponde :
— Che vuole che sappia io ?
— Ma come! scusate — esclama De-Tappctli —
non è fi>rse atfidala a voi la Uitela. la salvaguardia
dei cittadini? Sono o non sono mi regnicolo? Voi
stesso siete o non siete un regnicolo?
— Badi come parla! misuri le parole?
Policarpo, spaventalo dalla propria audacia,
teme ili aver otìeso la maestà della Ugge, e fugge
mezzo tonto, verso piazza Navona, pigliando di
petto tutte le persone.
-Appena giunto in faccia alla fontana, sente uno
squillo di tromba, e vede un maresciallo che
porta via di pesoquaich'- ■■'- ■ ■ '"■ i>>r.- un , piin,.
mentre invece è il giovane Agenore, figlio unico
di Policarpo De-Tappettì.
Quale vista per un padre! quale vista per un
Policarpo !
È questo il punto culminante del-
l'azione drammatica.
Policarpo — Figlio mio !
Agenore — {con voce strozzala) Papà,
mi portano carcerato.
Maresciallo — Ah, è vostro figlio
questo pezzo di birbaccione? perchè
non l'avete messo a letto? perchè non
gli date un po' più di educazione?
Policarpo [dignitoso) — Maresciallo,
ve ne prego non diminuite il mio
prestigio davanti a un'indocile prole,
che versa a piene mani il disonore sulla
mia testa, che un giorno .sarà canuta.
Maresciallo — Meno chiacchere!
Policarpo — Rendetemi mio figlio.
Maresciallo — Ma siete matto!
Policarpo — L' avete forse colto in tla-
grante ?
Maresciallo — Gridava Plinio.'.... l'ho
udito io.
Policarpo (rivolgendosi al figlio con tutta
l'amarezza d'un genitore offeso e deluso) —
Agenore! come mai, dopo tanti anni del mio fe-
condo apostolato, hai potuto emettere gridi .sov-
versivi ? come mai ti vedo in mezzo a gruppi di
facinorosi? ahi, tu che dovevi essere il bastone
della mia vecchiaia!
Agenore (piangendo) — Lo sarò, lo sarò.
Policarpo {inesorabile) — Ah, troppo tartli I
il bastone della mia vecchiaia piomberà sulle tue
spalle.
Momento di pausa e di raccoglimento.
Policarpo (con gesto autorevole)— Maresciallo:
io sono un funzionario del Governo; uno zio di
mia moglie è amico d'un ministro, del mi-
nistro Mezzanotte, buon' anima sua ; si davan
del tu...
Maresciallo — Vedo bene che lei è un galan-
tuomo si prenda pure questo birichino e lo
mandi a letto.
Agenore, mezzo sconquassato, passa nelle mani
del genitore, che lo afferra per l'avambr.iccio, e
Io trascina verso casa ruggendo:
— Disgraziato, che ci sei andato a fare in piazza
Navona ?
— A sentire la musica.
— E chi ha destato, nel tuo petto, questi pravi
istinti musicali?
— È il figlio dell'orzarolo che m'ha detto, che
bisognava gridare: Vogliamo l'inno.
— Ma non hai tu riflettuto che il tuo grido
ofiendeva i grandi corpi dello Stato? Ma dimmi:
hai tu mai visto che tuo padre anche nelle grandi
circostanze della vita abbia mai chiesto un inno?
Perchè hai emesso, dunque, grida sediziose ?
Silenzio prudente da parte di Agenore.
— .'\h ! tu non rispondi? tu ti avvolgi in di-
gnitoso silenzio? Ma in non mi farò illudere da
questo tardivo mutismo. Una correzione è neces-
saria. \'edi tu questa mano?
Gli dà uno schiaffo e conchiude con voce solenne:
— Questa mano impedisce al tuo piede di ri-
manere, ulteriormente, sull'orlo dell'abisso.
^nvj^^Un.
LA BERRETTA DI PADOVA.
(Novelletta).
Berrette di Padova : belle berrette fine, di panno
e lunghe, quasi quanto quelle che usano anche
al presente i Sardi, e che usavano allora, — cioè
ne' primi cinquant'anni del secolo scorso, —
anche in Sicilia. Perchè fossero dette di Padova,
ignoro. Certo così si chiamavano.
Le vendeva, fra gli altri, un berrettaio che de'
molti anni passati in quel commercio non aveva
saputo cogliere altro frutto che la fama di gran
galantuomo, che vuol dir minchione, come ognun
sa. Lo sapeva anche lui, e se ne stizziva molto;
ma per quanto poi si sforzasse di mostrarsi
arcigno, corrivo a riavere il suo, non solo non
gli veniva mai fatto, ma ogni volta, alla fine,
era una giunta al danno, impietosendosi egli
alle finte lagrime de' suoi debitori.
Si era ormai radicata in tutti la convinzione
che egli non avesse in fondo ragione di lagnarsi
e tanto meno d'adirarsi; perchè, se era vero da
un canto clie gli uomini lo avevano sempre
ingannato, era innegabile dall'altro che Dio, in
compenso, lo aveva sempre aiutato. Che voleva
dunque di più ? Aveva una cattiva moglie, indo-
lente, malaticcia, sciupona, e se n'era presto
liberato; aveva un esercito di figliuoli, maschi
e femmine, ed era riuscito in breve a far di
tutti buon parentado. Ora provvedeva si gra-
tuitamente di berrette tutto questo parentado,
ma poteva esser certo che esso, all'occorrenza,
non lo avrebbero lasciato morir di fame. Che
voleva di più ?
Le berrette intanto volavano da quella bottega,
come se avessero le ali. Gliene portavano via
figli, generi, nipoti, amici e conoscenti. Per
alcuni giorni egli si ostinava a correre or dietro
a questo, or dietro a quello, per riavere almeno,
fra tante, il costo di una sola. Niente ! Giurava e
spergiurava di non voler dare più a credenza:
— Neanche a Gesù, se n'avesse bisogno 1
Ma ci ricascava sempre.
Ora, alla fine, aveva deliberato di chiuder
bottega, ma appena esaurita la poca mercanzia
che gli restava, della quale non avrebbe dato
via neppure un filo avanti.
BERRETTE DI PADOVA
E 111 QUALSIASI ALTRO OENF.RF.
AL MASSIMO BUON MERCATO
MARCO LA VELA
Cosi l'insegna. Marco La Vela, dunque. Perla
de' berrett.nj ! — Ma tutti, davanti, lo chiamavano
Don Marcuccio, e dietro Cirlinciò : che è il nome
d'un uccello sciocco, per chi vuol saperlo.
Venne un giorno alla bottega di Cirlinciò
Lizio Gallo, ch'era suo compare. Per le sue
berrette il La Vela non temeva del compare.
Ben altro il Gallo, in grazia del comparàtico,
pretendeva da lui. Uomo sodo, denari voleva.
E già gli doveva una buona sommetta. Ora
dunque basta, eh?
— Che abbiamo, compare ?
Lizio Gallo aveva in vezzo passarsi e ripassarsi
continuamente una mano su i radi e lunghi
baflì spioventi, e sotto quella mano, serio serio,
con gli occhi bassi, sballarne di ogni colore.
Caro a tutti per la sua piacevolezza, egli non
pure da Cirlinciò, ch'era molto facile, ma dai
più scaltri mercanti del paese riusciva sempre
ad ottenere quanto voleva, ed era indebitato
fino agli occhi, e sempre abbruciato di denari.
Ma quel giorno si presentò con un'altr'aria.
— Male, compare ! — sbuflò, lasciandosi cadere
su una seggiola. — Mi sento male. Stanchissimo!
E disse, seguitando, col volto atteggiato di
tedio penoso, che non gli reggeva più l'animi)
a viver cosi, d'espedienti, alla giornata, ch'era
troppo il supplizio che gli davano i raflacci aperti
o i muti sguardi de' suoi creditori.
Cirlinciò abbassò subito gli occhi e mise un
sospiro.
— E pure voi sospirate, compare! — soggiunse
il Gallo, tentennando il capo. — Ma avete ra-
gione! Io non posso più acco.starmi a un amico;
sono sfuggito da tutti; e intanto, più che per
me, credetemi, soffro per gli altri, a cui ilebbo
cagionare la pena della mia vista. .Ah, vi giuro
che .se non fosse per Giacomina mia moglie, a
quest'ora....
— Che dite! ^ gli diede su la voce il La Vela.
— E sapete che altro mi tiene? — riprese
Lizio Gallo. — Quella campagna che mi recò in
dote mia moglie, pur così gravala ora da ipo-
teche. Ho speranza, compare, che debba essere
la mia fortuna, per via di non so che scavi che
ci vuol fare il Governo. Dicono che là sotto ci
sono le antichità di Gamico. Uhm! Rottami....
Che saranno? Ma, se è vero questo, sono a ca-
vallo. E non dubitate, compare: prima di tutti,
penserei a voi. Già il Governatore mi ha fatto
sapere che vuol parlare con me. Dovrei andarci
domattina. .Ma come ci vado?
— Perchè? — domandò, stordito, Cirlinciò.
— Con questi str.ìcci ? Non mi vedete? Per
l'abito, forse, potrei rimediare. .Mio cognato,
che ha la mia stessa corporatura, se n'd fallo
uno nuovo da pochi giorni. Me lo prestercblie.
Ma la berretta? Ha un testone cosi!
— Anche voi, dunque! — esclamò .Marcuccio
La Vela, spalancando gli occhi.
— Come, anch'io? — disse, simulando inge-
nuità, il Gallo. — Che son forse solito di andar
per via a capo scoperto ! Ora questa IwrrelU,
vedete? non ne vuol più sapere.
— E venite da me? — riprese Cirlinciò, col
volto avvampato di stizza. — Scusatemi, compare:
gnornò! non ve la do! non ve la posso dare!
— Ma io non dico dare. Ve la p:«gherò.
— Avete i denari ?
— Li avrò.
— Niente, allora! Qu.inil>> ii avrete.
— È la prima volla, gli fece notarv, dolente
e con calma, il G.illo, è la prima volt.i die
vengo da voi i>er una padovana...
— Ma io ho giurato, lo sapete! — gridò il
La Vela, infuriandosi.
— Lo so... Ma vedete di che si traila'
— Non sento ragione ! Piuttosto, guardate,
piuttosto vi dò tre lari e vi dico di andarvela
a comprare in un'altra bottega.
Lizio Gallo sorrise mestamente, e disse :
— Caro compare, se voi mi date tre tari, lo
sapete, io me li mangio, e berretta non me ne
compro. Dunque datemi la berretta.
— Dunque, né questa né quelli! — concluse
Cirlinciò, duro, ostinato.
Lizio Gallo si levò pian piano da sedere,
sospirando:
— E va bene! Avete ragione. Cerco la via
per uscir da questo ginepraio: ma l'unica per
me sarebbe di morire, lo so.
— Mmire... — masticò Cirlinciò. — C'è bi-
sogno di morire? Tanto, la berretta dovete ca-
varvela in presenza del Governatore.
— Eh già! — esclamò, ironico, il Gallo. —
Bella figura ci farei per la strada con l'abito
nuovo e la berretta vecchia! Jla dite i)iultosto
che non volete trarmela.
E si mosse per uscire. Cirlinciò allor.i, pentito,
lo trattenne per tm braccio e gli disse all'orec-
chio:
— Vi do tre giorni di tempo per il p.iganiento.
E non Io dite a nessuno! Fra tre giorni....
badate ! son rapace di levarvela dal capo, per
istrada! .Sono porco io. quando mi ci inetto!
Apri lo scadale e ne trasse ima bellissima
berretta di l'adova. Lizio Gallo se la provò. Gli
andava bene.
—Quanto mi pe.sa! — disse, scotendo il capo.
— Mi sentivo male, venendo qua; voi mi avete
dato il colpo di grazia, compare?
E se ne atidò.
Tutto piteva aspettarsi il povero Cirlinciò,
tranne che Lizio Gallo, ivi a pochi giorni, do-
vesse morir davvero!
— .\h! ah! — si n)ist a piangere, come un
bambino, d,il rimorso, ripensando — ah! — alle
ultime parole del compare presago; ah! gli pa-
reva di vederselo ancora li, nella bottega, nel-
l'atto di tcutemiare amaramenle il capo. — Ah!
ah! ah!
E corse alla casa del morto per condolersi
con la vedova donna Giacomina.
l'er via, tanta gente jjareva si divertisse a
fermarlo :
— E morto Lizio Gallo, sapete ?
— E non vedete che piango ?
Tutti in paese, commendavano la piacevolezza
del Gallo, ne commiseravano la morte, pur sor-
ridendo mestamente al ricordo delle tante beffe
di lui. I molti creditori chiudevano gli occhi,
sospirando, e alzavano la mano per rimettergli
il debito.
Marcuccio La Vela trovò donna Giacomina
inconsolabile. Quattro torcetti ardevano a gli
angoli del letto, su cui il compare .giaceva, co-
perto da un lenzuolo. Piangendo, la vedova
narrò al La Vela com'era avvenuta la morte.
— K tradimento, — diceva. — Ma già, vo-
lendola dire, da parecchio tempo. Lizio mio
non pareva più lui !
Il La Vela confermò, narrandole a sua volta
l'ultima visita del compare alla bottega.
— Lo so ! lo so ! — gli disse donna Giaco-
mina. — Ah, quanto se ne afflisse, povero Lizio!
Le vostre parole, compare, gli rima.sero nel cuore
come tante spine!
Cirlinciò pareva una fontana.
— E più mi piange il cuore. — seguitò la
vedova, — che ora me lo vedrò portar via sul
cataletto dei poveri, si! sì! sotto uno straccio
nero, povero IJzio mio!
Il I^ Vela allora, con impeto di conuiiozioue,
si proflerse per le spese d'una pompa funebre.
Ma donna Giacomina Io ringraziò ; gli disse
esser quella l'espressa volontà del marito, e che
lei voleva rispettarla, e che anzi il marito non
avrebbe neppur voluto l'accompagnamento fu-
nebre, e che inline aveva indicato la chie-sa ove
da morto, voleva passare la notte, secondo l'uso:
la chiesetta cioè di .Santa Lucia, come la più
umile e la più prossima al camposanto, laggiii
fuori del paese.
Cirlinciò insistette ; ma dovette cedere, alla line.
— Quanto all'acconipagnaniento però, — le
disse licenziandosi, — siale pur certa: tutto il
pae.se, dietro al povero compare!
E non s'ingannò.
Ora, andando il mortorio per la stradii die
conduce alla chiesetta di Santa Lucia, avvenne
a Cirlinciò, il quale si trovava proprio alla testa,
dietro al cataletto, che quattro portantini, due
di (|u.i, line di là, sorreggevano i)er le stanghe,
di fi.ssar gli occhi lagrimosi su quella sua fiam-
mante berretta di Padova, che il morto teneva in
capo e che spenzolava e dondolava fuor della
testata del cataletto, poiché la misera coltrice
arrivava appena a coprire il cadavere, e niente ne
avanzava da capo e da piedi. La berretta che il
compare non .gli aveva pagata! Tentazione!
Cercò più volle il povero Cirlinciò di distrarre
lo sguardo ; ma poco dopo gli occhi tornavano
a guardar li, attirali da cpiel dondolio, che .se-
guiva ritmicamenteil passo dei portantini. Avrebbe
voluto consigliare a uno di questi di ripiegar
sul capo al morto la berretta e porvi sopra la
coltrice.
— Ma si ! Non ci mancherebbe altro, — pen-
sava poi, — che io, io slesso, vi richiamassi
raltenzìone della gente. Già forse, vedendomi
qua e guardando la berretta, ridono di me,
sotto i balli.
Morso da questo sospetto, lanciò due occhia-
tacce oblique ai vicini, sicuro di legger loro
negli occhi il temuto dileggio ; poi si rivolse con
rabbioso rammarico alla berretta dondolante. —
Com'era bella! com'era fina! E ora, — pec-
cato! — o sarebbe andata a finire sul capo di
un becchino, o sotterra, inutilmente col compare...
Questi due casi, e maggiormente il primo,
ch'era il più probabile, cominciarono a esagitarlo
così, che egli, senza quasi volerlo, si diede a
pensale se ci fosse modo di riavere quella ber-
retta. Lanciò di nuovo qualche occhiata intorno
e s'accorse che molti, procedendo, seguivano
tjuel dondolar continuo, che a lui cagionava
tante smanie, anzi un vero supplizio. Gli parve
perfino che quel movimento ritmico, prendendo
(|uasi a materia il romor dei passi dei portantini'
ripetesse forte, senza posa
È siato — f^abbato,
li stato — gabbato...
No, perdio, no! Anche a costo di passar
l'intera notte nascosto nella chiesa di Santa Lucia,
egli doveva, doveva riaver quella berretta, ch'era
sua! Tanto, che .se ne faceva più il compare,
morto? Era nuova fiammante! ed egli avrebbe
potuto rimetterla, senz'altro, dentro lo scaffale.
Ed avrebbe adempiuto al giuramento fatto !
Fermato l'animo a questa deliberazione, ([uantlo
il mortorio giunse (ch'era già sera chiusa) alla
chiesetta fuorimano , dove lo scaccino aveva
preparato i due cavalietti, su cui il misero fe-
retro doveve esser deposto, mentre la gente
assisteva a cjuesta deposizione, egli andò a na-
scondersi quatto quatto dietro un confessionale.
Come la chiesa fu sgombra, lo scaccino con
la lanterna in mano si recò a chiudere il portone,
jioi entrò in sacrestia a prender l'olio per rifor-
nire un lampadino votivo innanzi a un altare.
Nel silenzio della chiesa, quei passi strascicati
risonarono cupamente.
Della solenne vacuità dell'interno sacro, nel
buio, Cirlinciò ebbe in prima tale sgomento, che
fu lì li per farsi avanti a pregare il sagrestano,
che lo facesse andar via. Ma seppe trattenersi.
Rifornito d'olio il lampadino, quegli si accostò
pian piano al feretro; si chinò; poi, senza vo-
lerlo, volse in giro uno sguardo e, prima di
ritirarsi nella sua cameruccia sopra la sacrestia,
a dormire, tolse pulitamente, con due dita, la
lierretta al morto, e se la filò zitto zitto.
Cirlinciò non se ne accorse. Ouando sentì
chiudere e sprangar la porta della sacrestia, gli
parve che la chiesa sprofondasse nel vuoto. Poi,
nella tenebra, si avvivò a mala pena quel lumi-
cino innanzi all'altare lontano; a poco a poco
quel barlume si allargò, si diffuse tenuissimo,
intorno. Gli occhi di Cirlinciò cominciarono a
intravedere a stento, in confuso (pialche cosa.
Allora egH, cauto, rattenendo il tìalo, si provo
a u.scire dal nascondiglio.
Ma, contemporaneamente, altri due, che si
erano nascosti in chiesa per lo stesso intento, si
avanzavano cheti e chinali come Ini, e con le
mani protese, verso il feretro, cì.i.scuno senza
accorgersi dell'altro.
\ un tratto però tre gridi di terrore echeg-
giarono nella chiesa buia.
Lizio Gallo, credendosi solo ormai, s'era levato
a sedere sul cataletto, imprecando al sagrestano
e tastandosi la testa nuda, A quei .gridi, urlò
anche lui, spaventato:
— Chi è là?
E, istintivamente, si ridistese sul cataletto.
— Compare.... — gemè una voce soffocata
dall'angoscia.
— Chi è?
— Cirlinciò?
— Quanti siamo?
— Porco paese! — sbulfò Li/io (iallo, but-
tando per aria la coltrice e levandosi in pie<li.
— Per una berrettaccia di Padova! Quanti siete?
Tre? Quattro? E voi, compare?
— ^^a come! — balbettò Cirlinciò, appressan-
dosi tutto tremante. — Non siete mono?
— Vorrei esserlo, per non vedere la vostra
pidoccheria ! — gli gridò il Gallo, indignato, sul
muso. — Come! non vi vergognate? Venire a
spogliare un luorto, come quel mascalzone del
sagrestano! Ebbene, non la ho più, vedete? se
l'è presa ! E dire che l'avevo promessa ad
uno dei portantini... Non si può più neanche
morire in pace, al giorno d'oggi ! Speravo di
farmi rimettere i debiti,.. Ma si! Quanti siete?
In tre? Avreste la forza di tenere il segreto? No!
E dumiue facciamola finita!
Li piantò li, allocchiti, intontiti come tre ceppi
d'incudine, e andò a tempestar di calci e di
pvigni la porta della sacrestia.
— Ohe! ohe! Miiscalzone! Saj, restano '
Questi accorse, poco dopo, in mulande e in
camicia, con la lanterna in mano, tutto sconvolto.
Lizio Gallo lo agguantò per il |x-tto.
— Va a ripigliarmi subito la berretta, pezio
di ladro!
— Don Lizio! — gridò quello, e fu per cadere
in deliquio.
Il Gallo lo sostenne per la camicia che teneva
all'errata.
— La berretta, ti dico, sporcaccione! E vieni
ad aprirmi la porta. Non faccio più il morto.
IL VENTAGLINO.
Il giardinetto pubblico, meschino, polveroso, in
mezzo alla vasta piazza, tutt' intorno cinta da alte
case giallicce, assopite nell'afa, avvampate nell'ab-
bagliamento della luce, in quel torrido pomeriggio
d'agosto, era cjuasi deserto, quando Tuta vi entrò,
col bambino in braccio.
Su un sedile in ombra, un vecchietto magro,
perduto in un abito grigio, lustro, d'alpagà, forse
comprato di combinazione, teneva steso sul capo
un fazzoletto bianco; sul fazzoletto, la paglia in-
giallita; aveva le maniche rimboccate su i polsi
e leggeva un giornale. Accanto a lui, su lo stesso
sedile, un operajo disoccupato dormiva con la
testa fra le braccia, appoggiato di traverso. Di
tanto in tanto il vecchietto sospendeva la lettura
e si voltava a osservare con una certa inquietu-
dine il suo vicino, a cui stava per cadere dal capo
il cappelluccio unto, roccioso. Evidentemente quel
povero vecchio cominciava ad essere stufo di quel
cappelluccio così in bilico chi sa da quanto tempo :
avrebbe voluto ras.settarglielo sul capo o farglierlo
cadere, alla fine. Sbuflava, e poi volgeva un'oc-
chiata ai sedili intorno, chi sa gli avvenisse di
scoprirne qualche altro in ombra. Ce n'era uno
solo, poco discosto, ma vi stava seduta una vec-
chia grassa, cenciosa, la quale, ogni qualvolta egli
si volgeva a guardare, apriva la bocca sdentata a
un formidabile sbadiglio. Tuta si appressò sorri-
dente, pian piano ; si pose un dito su le labbra,
poi prese adagio adagio il cappelluccio e lo ri-
mise a posto, sul capo del dormente. Il vecchio
la guardò, prima sorpreso, poi aggrondato.
— Co' la bona grazia, signo', — gli disse Tuta,
ancor sorridente, — da' 'n sordo a sta pòra crea-
tura.
— No ! — borbottò il vecchietto, aspro, con
stizza, e abbassò gli occhi sul giornale.
— Tiramo a campii! — .sospirò Tuta. — Dio
pruvede.
E andò a sedere di là, su l'altro sedile, accanto
alla vecchia cenciosa, con la quale attaccò subilo
discorso.
Aveva appena vent'anni ; era ba.ssotta, formosa,
bianchissima di carnagione, coi capelli lucidi, neri,
spartiti sul cajìo, stirati su la fronte e annodati
in fitte treccioline dietro la nuca; aveva gli occhi
astuti, brillanti, quasi aggressivi; il naso un po'
storto, ma birichino, le labbra tumide, rosse
come due ciliege. Narrava alla vecchia la sua
sventura. Il marito...
Fin da principio la vecchia le rivolse uno
sguardo, che poneva i patti della conversazione ;
cioè: uno sfogo, si, era disposta a offrirglielo;
ma ingannata, no, non voleva essere, ecco.
— Marito vero?
— Semo sposati co' la chiesa.
— Ah, bè, co' la chiesa.
— E ched'è? nun è marito?
— No, fija : nun serve.
— Come sarebbe a di'?
— Lo sai, nun serve.
E si, difatti la vecchia aveva ragione. Non ser-
viva. Da un pezzo, egli voleva liberarsene, e per
questo ora la aveva mandata per forza a Roma,
perchè cercasse di allogarsi come bàlia. Ella non
voleva venire; capiva ch'era troppo tardi, poiché
il bambino aveva già circa sette mesi. Era stata
quindici giorni in casa d'un sensale, la cui moglie,
vecchia strega, per rifarsi delle spese e per aver
pagato l'alloggio, aveva osato alla fine di pro-
porle...
— Capischi ? A me !
Dalla « collera », le era andato addietro il latte.
E ora non ne aveva più, neanche per la sua crea-
tura. La moglie del sensale le aveva preso gli
orecchini e s'era tenuto anche il fagottino, con
cui ella era venuta dal paese. Da quella mattina
era in mezzo alla strada.
— Pe' davero, sa' !
Tornare al paese non poteva e non voleva : il
marito non se la sarebbe ripresa. Che fare, in-
tanto, con quel bambino che le legava le braccia ?
Certo, non avrebbe trovato neppure da impiegarsi
per serva.
La vecchia la ascoltava con diffidenza, perchè
ella diceva quelle cose, come .se non ne fosse
affatto disperata; anzi, ripetendo spesso quel suo:
— Pe' davero sa' ! — sorrideva.
— Di dove sei ? — le domandò la vecchia.
— De Core.
!•' restò un pezzo cogli occhi invagati, come
se rivedesse col pensiero il suo paese lontano;
poi si scosse, guardò il suo piccino e disse:
— Dove lo lascio? Qua pe' tera? Pòro cocco
mio .saporito !
Lo sollevò su le braccia e lo baciò forte forte
più volle.
La vecchia di.sse :
— L'hai fatto? Te lo piagni.
— Io l'ho fatto? — si rivoltò la giovane. —
Be', l'ho fatto e Dio m'ha castigato. Ma patisce
puro, lui, povero innocente! E c'ha fatto lui? Va',
Dio nun fa le cose giuste. E si nun le fa lui,
figùrete noi. Tiramo a campa!
— Mondo, mondo! — sospirò la vecchia, le-
vandosi in piedi a stento.
— E 'n gran pena! — aggiunse, scrollando il
capo filosoficamente, un'altra vecchia asmatica,
corpulenta, che passava di li, appoggiandosi a un
bastoncino.
L'altra cavò fuori di tra i cenci un sacchetto
che le pendeva dalla cintola, nascosto, e ne trasse
un tozzo di pane.
— Tiè, lo vuoi?
— Si, Dio te lo paghi, — s'aftVettò a rispon-
derle Tuta. — Me Io magno. Ce credi che so'
digiuna da stamattina?
Ne fece due pezzi: uno, più grosso, per sé;
cacciò l'altro fra gli esili ditini rosei del bimbo.
— Pappa, Nino. Bono, sa'! 'Na sciccheria!
Pappa, pappa...
La vecchia se ne andò, strascicando i i)iedi,
insieme con l'altra dal bastoncino.
Il giardinetto s'era già un po' rianimato. Il
custode annaffiava le piante. Ma neppure alle
trombate d'acqua, ond'erano investiti, si vole-
vano destare dal sogno in cui parevano assorti
— sogno d'una tristezza infinita ^ quei poveri
alberi sorgenti dalle ajuole rade, fiorile di bucce,
di gusci, di pezzetti di carta e riparate da stecchi
e spuntoni qua e là sconnessi o da un giro di
roccia artificiale, in cui s'incavavano i sedili. Tuta
si mise a guardare la vasca bassa, rotonda, che
sorgeva in mezzo, la cui acqua verdastra dor-
miva sotto un velo di polvere che si rompeva a
quando a quando, al tonfo di qualche buccia lan-
ciata dalla gente che sedeva attorno.
Già il sole stava per tramontare, e quasi tutti
i sedili erano ormai in ombra. In uno li accanto
venne a sedere una signora su i trent'anni, ve-
stita di bianco; dai capelli rossi, come di rame,
arruffati ; dal volto lentigginoso. Aveva con sé un
ragazzo macilento, giallo come la cera, e guar-
dava di qua e di là, impaziente, strizzando gli
occhi miopi, come se aspettasse qualcuno ; intanto
.spingeva il ragazzo a trovarsi più là qualche com-
pagno di giuoco. Ma il ragazzo non si moveva :
teneva gli occhi fissi su Tuta che mangiava il
pane. Anche Tuta guardava e osservava intenta
la signora e quel ragazzo; a un tratto disse:
— Lei, signo', co' la bona grazia, si tante vorte
vi .servisse 'na donna pe' fa' er bucato, o a mezzo
servizio... No? Embè!
Poi vedendo che il ragazzo malaticcio non
staccava gli occhi da lei e non voleva cedere ai
ripetuti inviti della madre, lo chiamò a .sé :
— \'uoi vede er pupetto ? X'iello a vede,
carino, vie'.
II ragazzo, spinto dalla madre, si accostò ;
guardò un pezzo il bambino, con gli occhi inve-
trati come quelli di un gatto fustigato ; poi gli
strappò dalla manina il tozzo di pane. Il bam-
bino sì mise a strillare.
— No ! pòro pupo ! — esclamò Tuta. — J'ai
levato er pane? Piagne mo, vedi? Ha fame
D.àjene armeno un pezzetto
Alzò gli occhi per chiamare la madre del ra-
gazzo, ma non la vide più sul sedile: parlava
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là in fondo a.H'rettatamente, con un omaccione
barbuto che la ascoltava con un curioso sorriso
su le labbra, le mani dietro la schiena e il cap-
pellaccio bianco buttato su la nuca. Il bambino
intanto seguitava a strillare.
- Be', — fece Tuta, -- te Io levo io un
pezzetto.
Allora anche il ragazzo si mise a strillare.
Accorse la madre, a cui Tuta, co' la bona grazia,
spiegò ciò che era accaduto. Il ragazzo stringeva
con le due mani al petto il tozzo di pane, senza
volerlo cedere, neppure alle esortazioni della
madre.
— Lo vuoi davvero? V. te Io mangi, Ninni?
— disse la signora rossa. — Non mangia niente,
sapete, niente : sono disperala I Magari lo voles.se
davvero... Sarà un capriccio.... La.sciateglielo,
per piacere.
— Be', sì, volontieri — fece Tuta. — Tiello.
cocco, magnalo tu...
Ma il ragazzo corse alla vasca e vi buttò il
tozzo di pane.
— Ai pescetti, eh Ninni ?... — esclamò Tuta,
ridendo. — E sta pòra creatura mia ch'è digiuna...
Nun ciò latte, nun ciò casa, nun ciò gnente...
Pe' davero, sape, signo'... Gnente!
La signora aveva fretta di ritornare a quel-
l'uomo che l'aspettava: trasse d.illa borsetta due
soldi e li diede a Tuta.
— Dio te lo paghi, — le disse dietro questa.
— Su, su, sta' bono, cocco mio : le compro la
bobona, sa' ! Ciavemo fatto du" b.ijocchì cor
pane de la vecchia. Zitto. Nino mìo ! Mo senio
ricchi...
Il bimbo si quietò. Ella rimase, coi due soldi
strettì in una mano, a guardar la gente che gi.^
popolava il giardinetto : ragazzi, bàlie, bambi-
naie, .soldati, poveri vecchi, operai disoccupati.
Era un gridìo continuo. Tra le ragazze che
saltavano la corda, e i ragazzi che si rincorre-
vano, e i bambini strillanti in br.iccio .ille b.Mie
che chiaccheravano placidamente fra loro, e le
bambinaie che facevano all'amore coi soldati o
con gli operai, si aggiravano i venditori di lu-
pini, di ciambelle o d'altre golene. Gli occhi di
Tuta si accendevano talvolta odiosamente, tar.iltra
le labbra le si aprivano a uno strano sorriso.
Proprio nessuno voleva credere che ella non
sapeva più come fare, dove andare ? Stentava .i
crederlo lei stessa. Ma era proprio così. Era
entrata là, in quel giardinetto, per cercarvi un
po' d'ombra : vi si tratteneva da circa un'ora ;
poteva rimanervi lino a sera; e poi ? dove passar
la notte, con quella creatura in braccio? e il
giorno dopo? e l'altro appresso? Non aveva
nessuno, nemmeno là al paese, tranne quell'uomo
che non voleva più saperne di lei ; e, del resto,
come tornarci ? Ma allora ? Nessuna via di scampo?
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Pensò a quella vecchia strega che le aveva tolto
gli orecchini e il fagotto. Tornare da lei ? Il
sangue le montò alla testa. Guardò il suo piccino
che s'era addormentato.
— Eh, Nino, ar fiume tult'e dua ? Così...
Alzò appena le braccia, come per buttarlo. E
lei, appresso... Ma che, no ! Rialzò il capo e
sorrise, guardando la gente che le passava innanzi.
II sole era tramontato ; ma il caldo persisteva,
so'locante. Tuta si sbottonò il busto sotto il
niejito, rimboccò in dentro le due punte ; sco-
prendo tutta la .^ola e un po' del petto bian-
chissimo.
— Caldo?
— Se more !
Le stava davanti un vecchio con due Aenta-
glini aperti in una mano e una cesta al braccio,
piene d'altri ventaglini.
— Du' bajocchi !
— Vattene ! — disse Tuta, dando una spallata.
— Che so' .' de carta ?
— E di che lo vuoi ? de seta ?
— Mbè, perchè no? — fece ella, guardandolo
con un sorriso di sfida ; poi schiuse la mano in
cui teneva i due soldi, e aggiunse : — Ciò questi
du' bajocchi soli. Pe' 'n sordo me lo dai?
Il vecchio scosse il capo, dignitosamente.
— Du' bajocchi. Manco pe' fallo!
— Be' mannaggia a tene ! Dammelo. Moro
de callo. Er pupo dorme... Tiramo a campa.
Dio pruvede.
Gli diede i due soldi, prese il ventaglino e
cominciò a farsi vento, vento, vento, ridendo e
guardando, spavalda, con gli occhi lucenti, la
gente che passava.
LUIGI PIRANDELLO
LA MORTA
EU'era calma, gli aliti si leni
che pareva il suo .seno inunoto stare :
e due lucide stille nei sereni
occhi tremavan pur senza calare.
Io sedeva al suo pie. Iva il pensiero
perduto a riandar la scura traccia,
dov'ella stava a capo del sentiero,
dove la morte sola ora s'afTaccia.
E dissi: « Forse anch'ella riaccende
la vision de' giorni suoi remoti ? »
Le memorie destavano vicende
di risi e pianti ne' suoi occhi immoti.
Stemmo a lungo cosi, muti, sognando.
Da la chiusa finestra, nella notte
fredda, mettea la luna un lume blando
e da lunge salìan voci interrotte.
Copersi la lucerna : una fragranza
di pesco s'eflbndea dal caminetto:
eran penembre nella bianca stanza
e una luce di sogno era sul lelto.
« Mi consiuno cosi, come un sarmento
verde... Nessuno ammorza questo fuoco
che mi divora... Lo sento, lo sento:
non sarò più... non sarò più fra poco...
Com'è triste dover sola morire ! »
Disse e le sorridea la faccia smunta.
« Ma tu non parli, Nino... » Volli dire;
ma nel petto sentii come una punta
sorda che preme e non può penetrare...
Gemendo la baciai, si follemente,
che vidi la sua gola palpitare
e un singulto agitar le labbra spente.
Ella anelava a brevi aliti : « Sono
come in fornace... » Mi guardò con lieve
ansia, tremando: « Tu sei tanto buono...
io voglio un po' di neve, un po' di neve...
Ed uscii barcollando. Pareva ogni
cosa .sonunersa in un sopore lento.
Tutto inniiobil parca come nei sogni :
nube non era, né suono, né vento.
La neve su la terra avea candori
come di lini su letti infantili,
e gli alberi eran carichi di fiori,
e i cieli erano lucidi, .sottili,
fragili quasi. Ma dal bianco intenso
ove ogni cosa parca d'ombre priva
e d'ogni moto e d'ogni vita, un senso
d'oppressione in me, grave, saliva,
e come sacro. Certo nella pura
notte s'apriva al mondo un qualche austero
dramma... Mi assalse quasi una paura
di violare il pallido mistero...
Ella infranse coi tfenti il bianco frutto
avidamente. Le labbra nel breve
refrigerio tremavano : per tutto
il viso si diffuse un roseo lieve...
Poi stette, con le ciglia chiuse, come
sopita. Io rimasi a contemplare.
La faccia magra tra le nere chiome
al baglior che venia dal focolare,
per le fiamme inquiete e serpentine,
sorgea nef lume e s'incavava d'ombra...
Uscian da l'ombra forme repentine,
o le creava la mia mente ingombra ?
Tacito riaccesi la lucerna.
Ella, chiuse le ciglia, non dormiva,
ma pareva seguire alcuna interna
\ision che sorgeva in lei sì viva,
che le sue ciglia percettibilmente
tremolavano. Poveri occhi belli !
Negli angoli oscillarono due lente
l.igrime e cadder, gemme sui capelli.
E mi guardò: « Di tutti i sogni miei,
quali furono, disse, altro che sogni ?
Cosi l'antico sogno che tessei
su la tua culla vagheggiato in ogni
giorno di tua pensosa puerizia...
Bel sogno, schiuso- presso il focolare
nostro ! Né Dio mi die' tanta letizia
ch'io ti vedessi ascendere a l'altare...!
O mio figlio maggior, più dolce figlio,
in cui sentii l'anima mia trasfusa
tutta, il Signor ti dia miglior consiglio
di quelli audaci ond'hai la mente illusa !
E ti sfrondi l'orgoglio e ti riduca
bambino come in quell'età fiorita
ch'io ti fui buona guida; e ti condùca
come un cieco a la cima della vita... »
Tacque prostrata nell'abbattimento:
poi soggiunse: « Ma tu non credi, tìglio!
Lo so. Ancor mi dai questo tormento... >^
Io tacqui tuttavia né mossi ciglio.
Senti forse l'orribile tempesta
che mosse in me la sua parola dura ?
.Io volli urlare in folle impeto : « Questa
fu de' miei giorni l'iniqua tortura:
e invano consumai nella feroce'
ricerca tutto il mio sangue vitale
in traccia d'una luce, d'una voce
che mi svelasse l'enigma mortale ..
E il silenzio fu grave. Certo mai
non nti darà la vita egual martire.
Dissi a me stesso : « Meglio, meglio assai
finir gli strazi, morire, morire ! »
Ella attendeva. Mi guardò e pianse.
Io sentii come un soflio d'uragano.
Tutto quel ch'era saldo in me si franse...
E mi percosse il suono sovrumano
della voce di lei : a. Tu crederai
a me ? Tu crederai se qui verrò ? •
Io come invaso da follia gridai :
« Vieni, mannna !... » Rispose ella: < Verrò. »
Ululali, singhiozzi e gemitìi,
tali onde ancora è la mia testa ingombra,
propaga vansi lugubri nell'ombra,
quando mi cinser due tremule braccia
e baciarmi con lagrime sentii
calde, che mi correan tutta la faccia.
Poi fummo tratti a le vicine case
coi bambini. Guardavan.essi intenti:
gli occhi sbarrati ed i visi sgomenti
erano sotto il tenebroso impero.
Noi lasciammo la rasa che- rimase
custode taciturna del mistero.
Tornai, più tardi, solo. Nella notte
il ciel rosato sopra la montagna
s'inteneriva; tutla la campagna
sopita, chiusa nelle molli piume
era tepida quasi. Lungi, frotte
brune si dilungavano tra '1 lume.
Suoni si dilungavano ondulando
e cantilene ievissimamente.
Esitando, s.ilii nella dolenti-
casa, temendo rompere gli arcani
silenzi. Stava il padre solo orando
a pie del letto, il volto fra le mani.
Non udì. M'appres.saì, calmo così
che mi parea non esser più vivo.
Ero come in un sogno: tion sentivo
più le mie membra... Piano sollevai,
piano, il leilzuolo ed ella con»paii.
bella com'io non l'ho yeduta mai.
Così bella...! Teneva fra le dita
una corona, iii capo la pezzuola
di chiesa, bianca e (juasi di viola
fra «juel bianco parevano i cai>clli ;
e gli occhi onde la luce era fuggita,
-per sempre chiusi... Poveri occhi b. !1: '
Emanava da lei non so che molle
fascino pieno di dolcezze ignote
e di vaghe tristezze. Su le gote
le ciglia ferme dentro la penombra
allungavano come due corolle
d'alcun misterioso fior dell'ombra.
i8
E mai non ero di guardarla stanco...
Poi mi chinai e le baciai la mano,
gli occhi, la bocca ed i capelli, piano,
quasi aspettando, e senza meraviglia,
che si destasse e quel suo viso bianco
si tingesse e tremassero le ciglia.
Lungamente così la contemplai.
Invano i miei pensier tenui quali
in ciel d'agosto nubi mattinali...
Stava in ginocchio il padre ancora. Quando
ei mi guardò: « silenzio... >• gli accennai:
e ci sedemmo taciti, aspettando.
La Chioccia.
Sansone.
La cliioccia empiea di gridi la radura,
che aveva scorto la vivanda ghiotta,
e i pulcini correan avidi in frotta,
quaud'ella vide in ciel la macchia scura.
Grifagno roteò su la pastura
il falco e scese, l'ali chiuse, a rotta:
ella aspettò, stridendo, irta, la lotta,
sovra i pulcini muti di paura,
O ire generose! Ma ghermita
rapidamente dentro l'ugne ladre
ascende nel tranquillo azzurro e spare.
Guardano in alto le pupille ignare.
Ed io che vidi ho l'anima smarrita:
e ricordando gemo: « Madre, madre! »
Quando, tratto da l'opera tapina
fu nell'oscena festa e nel tumulto,
le occhiaie sanguinarono a l'insulto,
fosche sotto la chioma leonina,
e sentendo le membra in repentina
onda gonfiarsi d'un vigore occulto,
le colonne abbracciò. Come un virgulto
le infranse e tutto fu morte e ruina.
Anch'io, sospinto da un oscuro fondo
a cjuesto folgorio d'orge nefande
m'erigo su le mie membra calpeste,
ed uno smisurato impeto investe
l'anima immensa che ha sognato un grande
sogno. Morendo far crollare un mondo.
L'Edificio.
A KusioNuo De Amili:
L'opra da l'uom nei secoli costrutta
sta dell'eccelso monte su la cima :
vaste radici ha nella Terra e tutta
la Terra a' piedi suoi vinta s'adima.
Nel ciel protese in atto di minaccia
levansi torri tinte di sanguigno.
Tutto è grande ed iniquo, e serba traccia
d'uu'umana agonia ciascun macigno.
Sono, le bolge sotterranee piene
d'antichi ossami : vittime recenti
sognano, morte dentro le catene,
i sogni che ne pur la morte ha spenti.
ed intacca il macigno a scaglia a scaglia,
curve le schiene, attorti avidi, come
Here su prede. Intricasi la maglia
serpentina e s'avvinghia in colossali
contorcimenti come di pareti
vulcaniche, cui l'ignea possanza
urga, sommova, agiti d'inquieti
palpiti. Su dai fianchi irti s'avanza
un'orda nuova e guadagna la cresta.
Salgono corpi giovani con nòve
ire a l'assalto sorridenti, dove
li spinga morte, come ad una festa :
Ma, lenta, lungo le ferrigne mura
come una pianta di tenaci braccia
s'aggroviglia una folla ignuda, oscura
che tutto' disperatamente allaccia,
e .scalano gli spalti mentre goccia •
su le lor fronti sangue da le sante
membra paterne, c'or vedranno infrante
ruinar balenando su la roccia.
Fumano i corpi ignudi. Il vasto incenso
e l'angoscia che l'anime travaglia
sorge dai corpi quale da un immenso
rogo. Chi mai terribili, vi scaglia,
L'ultimo sol che annega dentro un cielo
vermiglio, come in un sanguigno mare,
sembra di lung«i tutto lo sfacelo
come un enorme rog'i incendiare.
operai della morte, a la ruina ?
Non san ; vennero, ignari a quali pugne,
nel fòco interior che li trascina.
Dolorosi combattono, con l'ubile
E mentre su la terra già le tarde
ombre scendono dense di paura,
nel silenzio universo la natura
guarda muta il miracolo che arde.
coi denti e con l'inmiane odio. Li incita
l'oscura possa, c'apre i monti e sferra
i mari e muta e sconvolge la vita.
È suddita di lei tutta la Terra.
E succedono atleti, prorom(>enli
da la Terra, l'uo spirito inesausto
li crea, li scaglia perchè s'alimenti
di vittime l'eroico olocausto.
Geme l'umana carne sotto il vano
sforzo. Ma la gran mole a tratti invade
un brivido : a tratti qualche brano
della gran mole si scoscende e cade.
Demolitori delle forme, vuole
per voi l'eternitii mutar vicenda.
Questa è l'opra del tempo, in fin che il sole
grande sul capo all'uomo ultimo splenda.
Cade con esso nell'abisso un denso
sciame di corpi. Fuor da le profonde
caverne il rombo sale, ed un intenso
da infranti petti rantolo risponde.
Che importa il poi.' La vostra opra compila
un tempio sorge su la vetta sgombra.
Non voi, non altri ucciderà la V'ita.
L'Ombra la cova e la ringoi.! r<)mt>ra.
GIOVANNI CENA
F. O. L.
Fermo in Posta - TORINO.
(Novella comica).
Mi è permesso dire che in quella dolce età
dai poeti chiamata primavera della vita, noi tutti,
maschi e femmine, più quelli forse che non queste,
sì è generalmente alquanto sciocchini? Non credo
dir cosa nuova, no, come pure non mi è neces-
sario sprecar parole a persu.^dere i buoni amici
ch'io non facevo eccezione alla regola, anzi!
Tanto è vero, che in vedere a me d'intorno fer-
vere una vita gaia di peccatucci d'amore e di
peccatacci contro ogni regola più elementare del
viver sano o almeno almeno sensato; vita beata-
mente animalesca vissuta dai miei compagni, al
par di me poveri d'anni e ricchi d'illusioni, di
speranze e di pruriti, mi dissi un giorno: « Amico
mìo, vuoi far lume? Ti piacela bella parte dello
spettatore pubblicamente passivo e viceversa ?
Fatti l'aniorosa, grullone ; ce Ih-iMmi tutu, non
. vedi J E dev'essere un gusto, sai, accompagnarsi
con un bel fior di ragazza briosa e om tanto di
cuore del quale tu saresti l'unico proprict.irio;
o pure, in mancanza di meglio, iniziare in vi.i
epistolaria un lamentoso scambio di sospiri con
una signorina couie si dffe... Spicciati, aniic-omio:
non ricordi che l'altro ieri le due sartine di n»«-
dama Protasi ti domandarono, scherzando, se
avevi l'amorosa, e che alla tua risposta negativa
risero tanto da lasciarti scemo e canzonato ? Non
ricordi .' »
Questo ragionamento, che io stessii avevo fatto
al mio io cosciente e consenziantc. non faceva
una grinza, è certo ; ed in quanto a ricordare la
famosa domanda delle due spietate sartine, ahi.
la ricordavo fili troppo! Ed ^nclie ricordavo be-
nissimo come in quel momento negli occhi della
più giovane si era manifesto,,insieme con il riso,
uno strano brillar di desiderii inconsci!, provo-
catori, che mi aveva turbato e quasi fatto perdere
il lume della ragione.
Scegliere una di quelle due per amorosa ? Avrei
ben voluto avere il coraggio di tentar la prova ;
ma che sgomento mi prendeva al solo pensiero
di rivederle, cosi belle e frizzanti di brio e cru-
delmente motteggiatrici ! E poi, non so, ma in
fondo all'anima sentivo una pena ansiosa fatta
di timidezza e di malinconia, onde le ragazze di
madama Protasi io le vedevo troppo lontane da
me, e le intuivo nemiche beffarde di quei senti-
menti delicati che in certi istanti mi facevano,
come un gufo, odiare la luce e i rumori.
Bisognava cercare altrove.
Per esempio : c'era lo/a Eufemia, la figlia del-
l'accordatore di pianoforti ; una brunottìna smilza,
pallida, con due occhioni da madonna addolorata,
un nasino a gancio ed un par di labbra esangui
create apposta per i sospiri; È ben vero che da
(]uando ella aveva smesso le gonne corte io non
le frullavo più in casa a sonare la donna è mo-
bile sui pianoforti disoccupati, ma avevo tuttavia
la buona ventura d'incontrarla sovente per le
scale; quindi non mi sarebbe mancata la neces-
saria occasione propizia. . .
Ma... c'era un ma ! La signorina Eufemia allie-
tava de' suoi favori un grosso merlo, disperazione
del vicinato; e siccome questo suo commovente
affetto per l'alato Alfredo — cosi lei lo chiamava
— la rendeva alquanto ridicola, pensai bene di
non lasciarmi tentare a dividere, con il troppo
canoro uccello, il buon cuore della sua padroncina.
Nel casone alveare dove abitavo ronzava uno
sciame di servette allegre, giovani creature ignare
del domani, che venivano, restavano e scompa-
rivano a capriccio dei padroni ; e ben avrei pò- •
tulo scegliere p£r amorosa una di queste, o la
bionda cameriera di casa Frejus o la brunacuoca
giunonica del- dottor berretta... Ma farmi vedere
in giro con una serva, mentre i miei amici si
pavoneggiavano con signorine di casato, con
brave lolr di famiglia, o almeno almeno con sar-
tine graziosarnente eleganti, ohibò! Più tosto...
più tosto che cosa, eh? Comunque, giunto il mo-
mento propizio avrei forse osato dichiararmi anche
soltanto con un sorriso ? .
Un anno prima, che in pieno inverno m'em
scottato il cuore per la figlia del portinaio, non
avevo forse avuto il coraggio di recarmi ad aspet-
tarla, per chi sa quante sere di seguito, sotto il
portone di casa con un freddo cane che le ore
mi parevan secoli, per vederihela passare sui piedi
dopo aver salutato colui che sempre l'accompa-
gnava a casa, e nient' altro? Mentre ogni sera
avevo pronto in tasca il mazzolino di mammole
che avrei dovuto offrirle...
No, no: di consigli avevo bisogno; degli am-
maestramenti di qualcuno cui non facesse difetto
l'esperienza... e pensai all'amico Cirillo Irsuti,
soprannominato Seneca.
Era questi un bravo pittore di miniature, un
diavolaccio nero barbuto, alto che non finiva mai,
con un par di braccia inverosimilmente lunghe,
alla estremità delle quali due mani poderose si
agitavano senza tregua a rotolar sigarette ed a
trinciare gesti energici che parevano maledetti
.scapaccioni ad invisibili suoi nemici.
Questo bel mobile mi voleva bene, mi trattava
meglio e mi cercava sovente perchè — allora
però non me ne accorgevo — perchè con la scusa
di essermi amico poteva far l'asino a mia sorella,
una santacchiona maliziosa che se la rideva poi
con le compagne ; tanto per la cronaca ; e per
ritornare a. noi, non è a dirsi come il pensiero
di confidarmi con l'amico Seneca tutto mi avesse
consolato.
Lui si che se ne intendeva di donne! Di av-
venture amorose toccategli me ne aveva narrate,
e di quelle verainente deliziose. Non faceva per
dire, lui, che le eran confidenze fatte a me solo,
ma aveva avuto intrighi con signore alto locate,
marchese, contesse... e zitti veh ! ch^ neanche-
l'aria doveva saperlo.
Sceltomi un tal consigliere, impaziente di cer-
care, di fare e di provare, non mi fermai a gin-
gilli, e quel giorno stes.so, uno splendido pome-
riggio d'aprile gaio d'un sole cht^ doveva non
dovere né illanguidire né tramontare mai, salii
le scale del casone-alveare per recarmi fin .sotto
ai tetti nell'ampio studio dell'amico Seneca.
Lo sorpresi che si esercitava a fare il facchino
alzando a braccia tese un paio di 'enormi nia-
nubrii, quattro spaventose palle da cannone, e
perplesso mi fermai sulla soglia ad aspettare che
dolcemente avesse posato sul pavimento que' suoi
igienici strumenti di forza e di salute dei (juali
avevo im sacro orrore.
— Sei tu, Gigi ? — mi disse facendomi entrare
é cliiudendo la porta. — Come hai visto facevo
le forze; aver buoni muscoli è precauzione indi-
spensabile quando da un momento all'altro si
può incontrar cattive sorprese da parte di certi
mariti gelosi e brutali... va là, so io tjuel che
mi dico!
— Ma perchè ti ostini a fare all'amore con
quelle maritate?
L'amico Seneca mi guardò con molta commi-
serazione, tacendo, come quegli che a certe do-
mande puerili sdegna rispoinlere ; poi, dopo un
istante mi fece un lungo discorso narrandomi del
mao e del babao per chiedermi se mia sorella non
parlava mai di lui ; in fine mi mostrò certe de-
licate miniature le quali, non so per ciie miracolo,
eran proprio uscite da quelle sue manaccie scabre
e pulose.
Mi urgeva indurlo a riparlar di di>nne, ma non
sapevo come principiare... Egli intanto zufolava
parodiando il merlo di tota Eufemia, andando e
\-enendo nello studio il cui tavolato gemeva e
scricchiolava sotto le zampate dell'artista-atleta.
— Che il diavolo mi porti se ricordo ancora
dove ho messo quell'abbozzo! — gridò ad un
tratto con un vivo gesto di contrarietà, ferman-
dosi. — E pure lo avevo lasciato qui, sopra questa
mensola.. Un bel nudino fresco e morbido, sai ?
Ieri è venuta la Gina, a posare.
Il pensiero di quella ragazza che veniva a .spo-
gliarsi lì, in quello studio, davanti al mio amico,
mi diede nn piccolo tuflo nel sangue e mi colori
le gote.
— Com'è bella quella tua Gina! — esclamai
con fervore.
— Bah! una modella qualunque, come ve n'ha
tante. C'è ben altro, qui, e che grazia del buon
Dio! Guarda... — e rimosso un cartone mi fé'
vedere una sua miniatura, un ritrattino di donna
bellissima scollata a metà seno, con le braccia
nude ; un giunonico tipo di bionda procace. —
Cosa ne dici? Ti piacerebbe, eh, mariuolo, veder
da vicino una così bella creatura !
— Ed è venuta qui?
— Certamente: e si è seduta lì, proprio su
quella sedia, dopo aver spogliata la camicetta da
passeggio per vestire quella specie di copribusto
di velluto paonazzo, che le vedi nel ritratto.
— E...
Avrei votuto domandargli se aveva provato pia-
cere a starle vicino, a guardarla, ma non osai.
L'amico Seneca parve leggermi la domanda negli
occhi, poiché riprese:
— Però, Gigi mio, quando lavoro non c'è moina
o vezzo di donna che mi tenti ; purtuttavia dinanzi
a quei tesori li, vedi... ma non ho mica fatto lo
scemo, ohibò ! Le donne le conosco, io ! E
sempre, quando le ho come le ho sotto gli occhi,
fingo di non vedere le loro bellezze, di non accor-
germi dei loro vezzi ; anzi, se mi si mostrano pro-
vocanti io sorrido con estrema noncuranza o con
ironia, anche se il sangue mi frulla più lesto nelle
vene... Così le conquisto.
— Con questa, adunque...
Sorrise con molta degnazione, e con fare an-
noiato mi rispose :
— Con questa ? Come con le altre.
Lo invidiai un istante, ammirandolo, e ripresi :
— Io, invece...
— O lo so ; tu sei un buono a niente; te l'ho
già detto altre volte, mi pare ; e sì che a diciotto
anni, con ([uel tanto di barba che ti cresce pre-
coce e che tu ti ostini a farti radere, dovresti
pure avere la tua brava amorosa! Ma già, quando
si nasce timidi...
— È vero, sono sempre stato alquanto timido,
con le donne specialmente... Ma di' tu: cosa
dovrei fare per non esserlo? Per farmi, insomma...
un'amante? Mi consigli?
Seneca si piantò sodo sulle gambe aperte, si
lisciò la barba e sorridendo paternamente mi
rispose :
— Vediamo, vediamo : che cosa hai fatto finora?
Non ti sei mai dichiarato con nessuna? E lettere
incendiarie ne hai scritte? A chi? Ti risposero ?
— Niente di tutto questo... cioè scrissi una
volta alla figlia del portinaio, ma non mi rispose...
Poi volevo scrivere a Iota Eufemia...
— Lasciala con il suo merlo !
— E appunto l'ho lasciata. Vi sarebbero le altre
della casa, le serve, le sartine di madama Protasi,
ma...
— Uhm ! Roba scadente, tinte sbiadite...
— O allora dove devo cercarla ?
— Sta sano ch'io te la metto in tasca! Donne,
caro mio, se ne trova da per tutto, e non dico
di quelle tali, sai ? Ma di veramente oneste, che
l'onestà vera in una donna consiste nel la.sciarci
tranquillo il borsellino. .Ma senti : tu vai per via,
non è vero? E davanti a te, sul marciapiedi, cam-
mina una ragazza, una signorina, o magari una
signorona, se vuoi. Ebbene : tu cominci con un
leggerissimo /i'J.r/ ^.fi/, e questa subito finge d'in-
teressarsi alle chiazze di un muro qualunque pur
di volgere un tantino il capo a posteriori... Buon
segno, questo. Tu acceleri il passo, e più vicino:
« Bella figurina, quanto ben fatta! Come sarei
felice di fare la sua conoscenza !» e se a queste
baggianate la più o meno bella creatura si volta
e sorride, il colpo è fatto.
— Che colpo? .Ma dopo quel sorriso, che cosa
faccio, io?
— Te le metti ai panni, al fianco, e le offri la
tua compagnia, con bei modi garbati, e le parli
della immensa felicità che provi per avere tu. final-
mente, trovato il tuo ideale...
— ... in mezzo alla strada...
— E perchè no? L'ideale è un illusi re ignoto
senza patria e senza tetto: lo si trova in ogni
luogo e non lo si afferra mai ; ma ciò non conta :
le donne non .solo bisogna adularle senza misura,
ma con esse • necessario, iiulispensabile, usar
bugie senza misericordia.
— Ho capito ; e poi ?
— E poi ? ! Fatta la conoscenza ci si rivede, ci
si scrive fermo in posta, e quindi .il tunio dei con-
vegni, e avanti : l'amoros;» ce l'hai e diventi final-
mente un uomo.
— Sarebbe una gran bella cosa... E di', se
l'ideale, ai miei primi A"' /"' ■"'' ^''''** '^ "" ^
dello stupido?
— Tu sorrìdi beato.
— Non sarebbe difficile... ma io, scusami, sento
che non oserò mai fare alcun /«//w/ a nessuna
donna...
— Oh Dio ! E allora perchè sei venuto a farmi
sprecare il ranno ed il sapone?
— Ma non vi sono proprio altre vie di uscita,
caro Seneca? Per esempio: scelta una tale che mi
piaccia non potrei prima scriverle una lettera con
fiori secchi, e mandarle poi cartoline illustrate?
E... tanto per cominciare... non mi spiacerebbe
la tua Gina, sai? la modella...
— Stai fresco; quella ti mangia fin la camicia.
Eh, mio caro Gigi, se, per caso... — s'interruppe
di botto lisciandosi freneticamente la barba, quindi
come inspirato e strizzando gli occhi riprese: —
Zitto : ecco che m'arriva calda calda una gran
bella idea: l'amorosa te la cercheremo per gior-
nale. ""
— Per giornale?
— Sicuro : un richiamo in settima pagina nel
giornale mondano « // Bidet della Marchesa », e
vedrai.
Mentre io, nella beatitudine melensa de' miei
diciotto anni non ne capiva un jota e con tanto
d'occhi guardavo l'amico Seneca, questi, sedutosi
ad un tavolino, scritte tre o quattro righe su d'un
foglietto, me le porse ed io lessi :
« Giovine signore elegante, colto, affettuoso, de-
« sidera far conoscenza epistolare prima, personale
« poi, con bella signora o signorina. Scrìvere alle
« iniziali F. O. L., 21, fermo in posta ; Torino ».
— Eh? Cosa ne dici?
— Ma c'è chi risponde a simili richiami?
— E come ! Un monte di lettere, e tu non avrai
altro fastidio se non quello della scelta. La gri-
dina non è che di ventotto parole: con due lire
e ottanta centesimi metterai in subbuglio lo scrit-
toio di almeno venti signore e signorine.
Io palpitavo in un'ansietà ingenua che — pro-
fanazione! — aveva un fondo di cara tenerezza,
e già vedevo giungere le lettere profumate, e già
immaginavo, nella suggestiva intimità dei loro
salotti, le venti signore e signorine, tutte belle,
che dopo avermi scritto, ansiose esse pure, aspet-
tavano la mia prosa ; se osassi, quasi direi che
già le amavo tutte...
Riscritto il richiamo, mandatolo al giornale, sa-
lutato e ringraziato l'amico Seneca, scesi a casa
mia che mi pareva, non so come, di essere di-
ventato qualche cosa tra l'uomo celebre ed il fur-
fante ; e non mai prima mi ero trovato in impaccio
dinanzi ai miei simili come tosto mi sorpresi,
quasi ognuno avesse potuto leggermi negli occhi
le erotiche speranze che nascondevo in cuore.
Fantasticai più in quella eterna settimana di
aspettazione, ch'io non abbia fantasticato poi,
dopo il mio legale accoppiamento, in continui
piani strategici per trovare i mezzi ed i bezzi atti
al decoroso sbarcamento del feroce lunario.
Giunto il giorno della pubblicazione ebbi ancora
la pazienza di aspettarne altre cinque, come già
mi aveva consigliato Seneca, e finalmente mi
recai alla posta.
Il cuore mi sonava a stormo quando dinanzi ad
uno sportello, dopo avere pestato i calli ad una
ragazza allegra che mi disse: « Guarda 'ndòa
ch'it bute le piote, gamel ! », con voce flebile bal-
bettai le iniziali F. O. L., ed il numero 21.
Dal buco della lettera F uscì un grosso mazzo
di lettere, ed olimpicamente l'impiegato me ne
snocciolò trenta, né una più né una meno, di tutte
le forme, di tutti i colori, per due delle quali
pagai i segnatasse; poi, rosso che mi sentivo le
gote ardenti, presi le lettere con tanto impaccio
e con mani cosi malferme, che certo gli altri spor-
tellantì mi avran creduto un ladro; quindi me ne
andai che nemmanco più toccavo terra, con il mio
tesoro in una tasca buia della giubba, proprio sul
cuore, giungendo poco dopo, trafelato, ansante,
nello studio di Seneca, non senza essermi più
volte volto nella tema di essere codiato.
— Benissimo ! — gridò Seneca, buttando via
un ignobile mezzo toscano e pigliandomi tutta
quella corrispondenza che senz'altro gli offersi
intatta. — Che bella messe, eh, mio caro Gigi?
Non è stata una bella idea la mia? Ce n'é per
tutt'e due, qui, e fin troppe. Vediamo, vediamo.
— E tosto, sedutici a tavolino, ne cominciammo
la originale e stupefaciente lettura.
A me, ignaro, timido, con un cuore tanto fatto
e la mente esaltata dai più fervidi sogni amorosi,
quella strana prosa così varia e diversa di donne
sconosciute, quei profumi sottili, peccaminosi, che
venivano dai foglietti bianchi o rosei, quelle zam-
pette di mosca, quei ghirigori, quei nomi dolci,
poetici, quei misteriosi pseudonimi e quegl'indi-
rizzi promettenti, a me diedero le vertigini; e via
via che leggevo mi sembrava di entrare finalmente
in un eden non mai sognato, in un mondo di
sogni, di promesse e di speranze; e neanche più
ascoltavo il vocione di Seneca il quale, pronto ai
motteggi, ai commenti ed alle considerazioni sar-
casticamente puerili, faceva, come diceva lui, due
parti giuste delle lettere : la migliore per sé,
l'altra per me.
Con quanto entusiasmo risposi a tutt'e quindici
quelle creature che certamente dovevano essere
tutte belle e buone ; con quanta foga, appagando
la mia incipiente mania di grafomane, distillai in
quindici lettere tutte le corbellerie erotico-senti-
mentali che mi sgocciolavano ardenti dal cerebro
in combustione ! Con quanta tenerezza versai la-
crime, mugolai sospiri, scrissi narrando la infe-
licità della mia povera vita senza ideali e senza
amore! Ma finalmente — prorompevo — ginn-
gevano a me i raggi di luce, le promesse di beati-
tudine, ed io, fidando nel mio destino, aspettavo
una parola di vita o di morte : la felicità o la dan-
nazione eterna !
Non so per quante ore quel giorno io e Seneca
abbiamo scritto; infine, suggellate le trenta mis-
sive, sulle cui soprascritte, ohimè, dovetti appic-
cicare altrettanti fi-ancobolli pagandoli io, corsi
ad impostarle, e quindi in fretta a casa, che già
due ore erano sonate da quella del pranzo.
Che giorni, quelli ! Non avevo più testa a niente;
i miei libri dormivano meglio di prima, ed ero
diventato pensieroso, taciturno, come se mi fos-
sero minacciate le più orrende sciagure di questa
allegra lacrymarum valle.
Mio babbo, vedendo che l'appetito non mi
serviva più un fico secco, a tavola esclamava :
— Che cosa ha quel macaco lì che non mangia
più le sue dieci pagnotte al giorno?
E mia sorella, ridendo, con la forchetta per
aria e la bocca piena :
— Eh, sarà innamorato! — rispondeva guar-
dandomi con occhi interrogatori e curiosi, nei
quali a me pareva leggere un principio d'in-
vidia.
Io ficcavo il naso nel tondo, mi facevo rosso
fin sulle orecchie, e mi consolavo al pensiero
che presto sarebbero giunte altre lettere.
E giunsero... ma soltanto quattro risposero
ancora; infine anche tre di queste più non si fe-
cero vive, ed una sola mi restò fedele, alla quale
mi attaccai con pertinacia disperata, scrivendole
perfino due o tre lettere al giorno, con un cre-
scendo di passione inverosimile, eccitato anche
dalle risposte ardenti che mi venivano; squarci
di prosa sgrammaticata, sì, ma eloquente e nimu-
ziosamente descrittiva più di quanto non avrei
avuto bisogno io per abbandonarmi ad un'ado-
razione solitaria che via via mi faceva diventar
sottilino, magrolino, cretino...
Perchè, già, lei non voleva ancora farsi cono-
scere... Eh, se si era risoluta a scrivermi, a spe-
rare in me, a credere di potere infine incontrarsi
nel suo ideale, e se per conseguire questo nobile
scopo si era servita del mezzo volgare di rispon-
dere ad un richiamo di giornale ciò non voleva
dire ch'ella fosse una qualunque, no... Conside-
razioni di natura intima, riguardi delicati di
famiglia la obbligavano a prudenza... e giù let-
terone che pesavano un accidente e per le quali,
beato, pagavo sovente la sopratassa...
Me n'aveva scritte, di lei, per tutti i gusti:
eli 'era così e cosi, né magra né grassa, né bella
né brutta, non più bambina ma tanto simpaticona,
veh! E conosceva tutti i modi e stramodi per
farsi amare : e quando lei amava, Dio guardi era
una caldaia ad alta pressione, un motore a cor-
rente continua... Mandarmi la sua fotografia.' .\h
23
no ! Al momento propizio, quando ol saremmo
visti per la prima volta, la sorpresa sarebbe stata
molto più bella, più cara... Ero io, invece, che
dovevo mandarle il ritratto!
E glie lo mandai, e la cortesia mi valse in
premio una entusiastica letterona di sedici pa-
gine formato protocollo, per la quale pagai doppia
sopratassa.
Nel pensiero m'ero creata la imagine di lei :
una bruna ardente, alta, rotondetta, con occhi
neri vivacissimi ; e la vedevo ne' miei sogni, nei
quadri, nelle incisioni dei giornali, sulle scatole
dei cerini, di notte e di giorno; su tutti i pezzi
di carta bianca che mi capitavano sottomano
scrivendo il nome suo dolcissimo di Eliodora, e
perfino a mia sorella avevo domandato se g^iudi-
cava musicale e poetico un tal nome.
Un bel giorno, finalmente, mi feci coraggio ed
alla mia Eliodora scrissi che era omai tempo che
ella si facesse conoscere personalmente ; ch'io non
ne potevo proprio più dal desiderio di vederla,
di porgerle de visti i miei omaggi e di baciarle
le mani... Non era questo il mio, il nostro sogno?
E lei mi rispose dandomi finalmente convegno.
Si, ella sarebbe venuta il giorno dopo, lunedi
della Pentecoste, nel tal punto preciso, cosi e
cosi, al Valentino, e, come segno convenuto per
riconoscerla io — lei mi avrebbe subito ricono-
sciuto, che già aveva il mio ritratto — ella avrebbe
tenuto, nella mano sinistra, insieme con l'om-
brellino chiuso un giornale spiegato, e nella destra
un mazzetto di fiori bianchi.
Per una volta tanto non dissi nulla a Seneca;
ad ogni modo credo che anche lui fosse occu-
patissimo a scrivere ogni giorno chi sa quante
missive, poiché da forse un mese quasi più non
lo vedevo.
E giunse il giorno lacrimando, quel giorno fa-
tale che conta fra gli indimenticabili di mia vita:
una giornata calda di sole, un'allegria di vita
sana, gioconda; un fiorire delizioso di primavera,
e nel sangue mi correvano tutte le gioie e tutti
i pruriti dell'universo.
Con l'impaccio di mia sorella che sempre mi
scrutava di soppiatto canzonandomi quando po-
teva ; con la tema che mio babbo da un momeuto
all'altro, me assente, andasse in camera mia a
perquisirla ed a trovare tutto quel fenomenale
epistolario amoroso, io non potevo agir libero,
così che in quel giorno, per azziniarmi e lisciarmi
a festa dovetti inventare tutta una storia d'inviti
e di ricevimenti dati da un profes-sore.
Attillato e profumato, con una cravatta verde
nuova di vetrina, con i polsini che m'uscivano
d'un palmo dalle maniche ed un solino che mi
tagliava le orecchie; con la paglietta alla sgherra,
un giunco in mano ed un garofano all'occhiello,
impettito e sp;u'aIdo uscii da casa che ancora
24
non erano sonate le quattordici... ed il convegno
era per le diciotto.
Ma dovevo ancora passare dal barbiere : la mia
barba precoce, molto fitta, non aveva più visto
il rasoio da un par di settimane, e mi nereggiava
sul mento e sulle gote, né per tutto l'oro del
mondo mi sarei presentato così alla mia diletta
Eliodora ; arrzi, per farmi radere la barba avevo
appunto aspettato quel giorno, quelle ultime ore,
per uscire fresco e finito e degno, dalle mani
del barbiere.
Ma che diavolo era quella striscietta di carta
rossa appiccicata sulle imposte del mio barbiere?
Ah ! « Chiuso per festa professional » proprio
cosi ! Ed in quel giorno in quel giorno! Ma avrei
ben potuto trovarne un altro aperto, non è vero?
E avanti di corsa, per vie, per piazze, come un di-
sperato... e niente barbierie ; tutte chiuse ed i car-
tellini « Chiuso per festa professionale » tutti
eguali, tutti stampati su carta rossa, come una
barbara congiura.
Cosa fare adesso che mi capitava una cosi
tremenda disgrazia? Andare egualmente al con-
vegno e presentarmi .con quei miei peli ispidi
alla dolce Eliodora? Mai, mai... più tosto sarei
corso da Seneca, a pregarlo di sbarbarmi...
Ma non ebbi il coraggio, no ; il rasoio in quelle
manaccie pelose mi faceva paura... e correvo,
correvo sempre come un dannato, già madido
di sudore, che la giornata era caldissima, cer-
cando un figaro qualunque, guardando a tratti
le ore, e già mi disperavo sul serio quando una
idea luminosa mi balenò ad un tratto nel pen-
siero.
Entrai sotto il portone di una casa che fra le
sue botteghe aveva la felicità di possederne una
da barbiere, naturalmente chiusa; diedi un par
di pugni in un usciuolo a vetri, ed alla porti-
naia balzata sulla soglia a chiedermi chi cercavo
domandai se il barbitonsore abitava in quella
casa.
— Sì; scala nella corte, (juinto piano, terzo
uscio a destra.
Ringraziai, e via lesto su per le scale giunsi
a quel terzo uscio benedetto sul quale era scritto :
«.Innocenza Raviolo, Pettinatrice »; picchiai,
m'impazientii, stavo per iscaraventare una doz-
zina di moccoli quando l'uscio fu aperto e sulla
soglia comparve una biondona in sottanino bianco,
in camiciola scollata, le braccia nude, due occhi
vivi, una bocca ridente, rossa, un sorriso inter-
rogatore ed incantatore che mi avrebbe fatto
balbettare come imo scemo se in quel momento
stesso un rabbioso cucciolo danese, grosso e
sgarbato, non mi fosse balzato fra le gambe,
ululando, a provare i suoi primi denti in fondo ai
miei calzoni.
~ — Alla cuccia, Doro, via!... — e la biondona
sferrò un benedetto calcio al botolo, che guai,
rotolò, e riscappò in casa; poi, voltasi a me:
— Il signore desidera ?
— Cercavo un barbiere... vorrei farmi radere
la barba... tutte le barbierìe sono chiuse, e la
portinaia mi ha mandato qui... capirà, ho un in-
vito, ho fretta...
— Mio fratello non c'è: mi rincresce tanto...
— Che disdetta! Potrebbe lei, almeno, darmi
l'indirizzo di un qualche altro barbiere?
Nel mio volto rimminchionito quella cara crea-
tura dovette leggere un ben vivo dolore, se n'ebbe
compassione e mi rispose :
— Senta: qualche volta, quando al .sabato
sera c'è furia d'avventori, scendo in bottega ad
aiutare mio fratello... Se lei vuole, finisco di
pettinare una signora e la servo.
Sentii un gran rimescolio nel sangue, entrai,
la giovane richiuse l'uscio, mi invitò a sedere,
mi sorrise ancora una volta pregandomi di aspet-
tare, ed entrò in una seconda stanzetta lasciando
l'uscio di questa socchiuso.
Dopo un istante, fatto l'inventario dei mobili
e dei quadri, guardate le ore tre o quattro volte,
cominciai ad impazientirmi, mentre quasi .senza
volere ascoltavo il vocione della signora che nel-
l'altra camera si faceva pettinare.
— Si — diceva — sento che questa è una
delle mie giornate. Eh, eh, non perdo tempo, io,
e con gli uomini vado subito a fondo. E non
per vantarmi, sa; che se volessi narrare di certe
conquiste amorose, lei ne rimarrebbe stupita!
E l'altra, la pettinatrice, con la sua vocetta
cristallina che mi pareva sottilmente ironica:
— Fortunata madama ! Io, invece, non trovo
un cane che mi guardi ; forse sono troppo
timida...
-- O certo che la timidezza guasta molte
cose... io, già, non mi fermo ai sospiri, ma vado
subito a fondo, a fondo.
Curioso, lasciai la mia scranna, e quatto quatto,
avvicinatomi all'uscio .socchiuso, guardai nell'altra
stanzetta.
Seduto dinanzi ad un tavolino, tutto chiuso
in un lungo accappatoio bianco, stava un donnone
di cui vidi subito, riflesso nello specchio, il volto
grasso, piatto, rubicondo; un nasone cremisino,
due occliietti semichiusi e tre menti cicciosi dei
quali non si capiva quale fosse il vero.
Ed era costei, buon Dio, che parlava di an-
dare a fondo con gli uomini... .\lla larga! E
mentre il donnone continuava la propria apo-
logia spiegando in qual modo essa amava i si-
gnori uomini e quali, in proposito, erano le sue
attitudini speciali e le sue tendenze irresistibili,
io gioivo guardando la bella pettinatrice, quelle
sue braccia rosee, quella sua nuca bianca sotto
l'ombra dei riccioli biondi, e palpitando està-
siato pensavo che fra brevi istanti quella crea-
tura mi avrebbe sbarbato!
La ragazza ora pareva affrettarsi; già aveva
riacconciate, sul cranio qua e là pelato della
sua cliente, alcune treccie morte pigliandole da
sopra il tavolino, e poi si era pronta ad arric-
ciarle i capelli sulla fronte e sulla nuca, quando
io prudentemente lasciai quell'uscio ritraendomi
ad una finestra dalla quale si contei.iplava un 'ampia
distesa di tetti e di comignoli.
Dopo alcuni minuti capii che la cuticagna della
cliente era all'ordine; poscia la udii, accompa-
gnata dalla giovane, passare dietro a me che
continuavo ad animi-rare il panorama dei tetti,
e quindi ad uscire dopo aver bofonchiato altre
corbellerie e gridato cinque o sei cerea.
— Se Dio vuole se n'è andata — mi disse la
bella pettinatrice, ridendo, nientr'io mi voltavo
a' suoi comandi... cioè per farmi servire. Ed
anch'io passai in quella stanzetta, sedetti al ta-
volino, di fronte a quello specchio nel quale mi
pareva ancora di veder riflesso il frontispizio di
quella signora rotondissima che con gli uomini
voleva sempre e subito andare a fondo.
La ragazza, svelta, aggraziata, preparò il ra-
soio, mi pregò di togliermi il solino e la cravatta,
che cosi mi avrebbe lavorato senza impacci, e
poi. dopo avermi incravattato entro un candido
tovagliolo, preso un ciotolino d'acqua ed il pen-
nello cominciò ad insaponarmi il mento e le gote,
dolcemente, carezzosamente, chinandosi sopra di
me che dalla scollatura della camiciola... Ma
bocca chiusa, ehi!... Certe cose è meglio dimen-
ticarle... Dirò invece che in quei momenti per
me la vaga Eliodora era bell'e morta e sepolta,
le sue lettere memorie lontane, ed al suo con-
vegno non pensavo più... e adesso, mentre la
bella barbitonsora mi radeva, stirando con le sue
morbide dita la pelle fatta liscia delle mie gote,
sfiorandomi il volto con il suo alito sano, guar-
dandomi con quei suoi occhioni maliziosamente
birichini, io, in paradiso, con il cuore che pareva
lavorare a cottimo e gli occhi semichiusi, medi-
tavo una folle dichiarazione amorosa, e già pen-
savo, non appena sb.Trbato, di buttarmi ai ginocchi
della ragazza svelando la fiamma che d'improv-
viso era divampata nella mia anima; e già, a
non perder tempo, ero per incoraggiarmi a metter
fuori qualche prima parola, quando quel male-
detto cucciolo ilanese, risortito da chi sa dove
s'era ingusciato poco prima, mi diede un tale
urto nelle gambe con relativo strappo ai calzoni
che per poco, toltomi l'equilibrio, non mi mandò
ruzzoloni sotto al tavolino.
— Maledetto Doro ! — gridò la ragazza ricac-
ciandolo. — Mio fratello, già,. non ne azzecca
una giusta : se non ha qualche bestia in casa
non è lui. Adesso gli hanno regalato questo ca-
gnaccio che è uno spavento vederlo cregcere e
mangiare I — e si chinò a lavarmi il mento met-
tendomi il catino sotto il muso ed il resto sotto
gli occhi, mentre io gorgogliavo:
— Eh già... le bestie... già, già... sono sempr *
bestie...
— K sa chi fu a regalarci quel bestione.^
Proprio quella signora che se n'è andau un
momento fa : una certa madagia Spingarda che
abita qua sotto al terzo piano. Un bel tipo, eTi,
l'ha vista? .Non saprei dove prendere la eguale
per farne il paio. (Juanto ridere ne facciamo io
e mio fratello! A sentirla, tutti i giovinotti le
corron dietro, e lei tutti li strega, nientemeno.
Invece, che Iddio glie la mandi buona, si fa
mangiare fin l'anima da quanti scalzacani sanno
farle vedere la luna nel pozzo... Ma ecco che
abbiamo finito... Ancora un colpo di ferri? Alla
Guglielmo, non è vero?
— Sì, con la scriminatura che si veda bene,
a sinistra.
Le mani della ragazza mi palparono e liscia-
rono ancora dolcemente la zucca, mentre passando
e ripassandomi intorno, le sue girrocchie sfiora-
vano le mie, od il suo seno premeva contro le
mie spalle... e così ancora per qualche minuto
fin che, fermato in istabile voluta il ricciolo alla
Guglielmo, datomi un ultimo colpettino ai quattro
peli sotto il naso, passatomi il tovagliolo sul
volto a togliermi la cipria, la mia bella barbiton-
sora mi disse :
— Il signore è servito.
Allora io avrei dovuto prenderle una mano,
alzare gli occhi al soflìtto, gemere la mia dichia-
razione, e, se non bastava, inginocchiarmele di-
nanzi a chiederle mercè, non è vero? Invece, di
primo impulso, neanche osai dirle un grazie...
mi sentii preso alla gola da una commozione
assassina, mi rimisi, in silenzio, il solino e la
cravatta, e mentre lei mi spazzolava, raccoman-
datomi disperatamente a tutto il mio coraggio,
mormorai alfine :
— .Senta... io vorrei... Sicuro, .sicuro! Oggi
abbiamo una giornata molto calda...
— Ma bella! E mio fratello, che con gli altri
• colleghi si è recato a Superga, dove si U il
pranzo sociale, sarà contento. Ora lui è padrone
di bottega, ma ricorda i tempi in cui, garzone,
lavorava per gli altri, e sìa con la Lega e per
la Lega : i socialisti hanno proprio ragione.
— Certo, certo... — e mentre le davo un bel
due lire nuovo di zecca avrei voluto farle cre-
dere che anch'io ero socialista, e che quindi un
po' di collettivismo pratico fra noi due sarebbe
stato cosa tanto naturale... ma que' suoi occhidhi
troppo aperti che mi fissavano, coadiuvati d.i nn
sorriso troppo malizioso, finirono per darmi il
colpo di grazia e non seppi dir .litro che grazie
26
e grajie, mentre di botto mi veniva in mente
Eliodora, la ignota, l'aspettata, la tanto deside-
rata... prima.
Per me, in quell'istante, Eliodora fu come
un'ancora di salvezza. Mostrandomi impaziente
trassi l'orologio — le diciassette e mezzo! —
salutai, diedi un calcio ad una sedia, un urto
contro l'uscio, e con negli occhi l'immagine di
« Innocenza Ravioli, Pettinatrice » scesi le scale
c^e neanche più vedevo gli scalini.
Non ero ancora fuori del portone che già avrei
voluto ritornare indietro, subito : mi pareva im-
possibile dovermene andar via cosi, a becco
asciutto, come uno guaìimgiie ; e la bella petti-
natrice, intanto, era sempre in quelle sue came-
rette, là su, in sottanino e camiciola, gaia, solis-
sima...
Ohi! ohi! Ero un uomo sì o no? E poi, non
c'era l'altra, la Eliodora, che mi aspettava? Ed
io cosi presto l'avevo dimenticata... avevo dimen-
ticato quella nobile creatura che mi aveva scritto
tante lettere, fatto pagare tanti segnatasse, e che
in quel momento, fiduciosa, palpitava all'avvici-
narsi dell'istante sospirato in cui, insieme con la
stretta delle nostre mani, si sarebbero fuse le
nostre anime, i nostri cuori...
Ah, vile, vile che ero stato! E correvo, correvo
sui marciapiedi senza nulla vedere, (li nuovo ri-
• preso da un'ansia timorosa così viva che mi
pareva tormento insopportabile.
Perchè ora, finalmente, mi sarei incontrato con
l'ignota, le avrei parlato camminandole al fianco,
avrei udito la sua voce .soave...; e che cosa le
avrei detto ? Quali sarebbero state le mie primis-
sime parole? Intuivo che la paura stessa ch'io
provavo per la mia timidezza mi avrebbe fatto
diventar più timido ancora.
Perfino mi venne in pensiero — pare impossi-
bile ! — che a quel primo convegno avrei dovuto
farmi accompagnare dall'amico Seneca, il quale
m'avrebbe aiutato, consigliato...
Come Dio volle giunsi al Valentino.
Il grandioso. Parco in riva al Po era ancora lu-
minosissimo di sole, e dall'altra parte del fiume
la collina, nitidamente frastagliata nell'azzurro
del cielo, seminata di ville e di paeselli, ver-
deggiava pomposa nel lecondo morire della pri-
mavera.
Il luogo del convegno era inteso sotto gli annosi
platani del gran viale dietro al Castello del Valen-
tino; e come ivi giunsi, che ancor non erano scoc-
cate le diciotto, fremente d'impazienza e nume-
rando i minuti che mi parevano ore, cominciai
a camminare su e giù, guatando qua e là, sus-
sultando ad ogni figura di donna che compariva.
Vi fu un momento in cui, sentendomi quasi
venir meno perla commozione improvvisa, credei
indovinare la Eliodora in una graziosa donnina
scesa dal tranvai poco lungi da me; ma il cre-
duto mio ideale mi passò vicino senza nemmeno
guardarmi.
Sonarono le diciotto, passarono altri carrozzoni
del tram, risalii e ridiscesi il viale una dozzina
di volte, rimuginai la tenera conclone con la quale
avrei dovuto salutare la bella ignota, la poetica
e tanto sognata Eliodora; mi impazientii, mi adirai
meco stesso, ripensai con infinito rimpianto alla
bella pettinatrice, e già cominciavo a disperare,
a dubitare di non so chi e di non so che cosa,
quando...
Ah, per Iddio misericordioso! Perchè in quel-
l'istante non mi si aperse la terra sotto ai piedi,
o per lo meno non mi cadde un platano sulla
schiena ?
Da dietro gli alberi, rosso vestita, col largo fac-
cione sorridente sotto un enorme cappello piumato
ed infiorato, con gli occhietti socchiusi ed il trip-
pone tremolante e la triplice pappagorgia più fio-
rente che mai, comparve madama Spingarda, la
cliente della gaia pettinatrice, con il mazzolino di
fiori bianchi nella destra ed un giornale e l'om-
brellino nella sinistra... lei, lei, madama Spin-
garda !
E quel largo sorriso di gra.ssa beatitudine mi
venne proprio incontro, con una raccapricciante
sicurezza di vittoria; ed io, che non potei fare in
tempo a scappare e che m'ero sentito salire le
fiamme al volto ed entrare in cuore un'ira sorda
che poteva. Dio guardi, farmi diventare ipso facto
delinquente feroce, io dovetti balbettare non so
che cosa, stringere una grossa mano sudata, udire
un vocione che intonava non so quali saluti... e
poi... giunse improvvisa la mia salvezza, un tranvai
adorato! Oh sì, il Cielo ebbe pietà di me, ed io
gridai lesto :
— Signora mia, scusi tanto, sa? Ma lei è giunta
troppo tardi: ho affari urgentissimi... tanti saluti!
— e saltai nel tram, ed al fattorino che mi diede
il biglietto glie lo avrei pagato uno scudo; e tutti
quanti erano nel carrozzone liberatore tutti mi
parvero mìei amici cari, carissimi... e mi sentii,
di botto, rivivere non so come: una luce nuova
che ad un tratto m'illuminava l'avvenire, il mio,
troncandolo nettamente da tante mie sciocchezze
del passato; ero vinto, si, ma nur anche vitto-
rioso perchè, non paia esagerazione, in pochi
giorni fortunatamente avevo acquistato un mare
d'esperienza da sprecarne per cent'anni...
Maledette e benedette le tue lezioni, o amico
Seneca !
CARLO DADONE
NON SI PUÒ.
(Novelletta comica).
Questioni storico-critielie - Un temperamento erotico e il culto
della donna - La Partita a Scacchi ■ Volata al settimo cielo
- Elletti turbolenti dell'emozione • La poiUcina - « Xon si
può » - Situazione angosciosa - Accidenti ai pappa'j:alli ! -
ruga - L'onore è salvo !
Se il papiro egiziano scoperto recentemente
nella baia d'Hudson (non potrei garantire l'au-
tenticità di questa notizia sbalorditoria) appar-
tenga al regno di Ramsete II, è argomento degno
di affaticare le menti più dotte del secolo. Se si
stabilisse ciò — al solo pensarci mi sento ve-
nire la pelle d'oca — resterebbe dimostrato che
i figli d'Israele erano sotto il dominio egiziano
sin da quel tempo. Ciò vorrebbe dire che Mosè...,
e ciò secondo le ultime ricerche, era venuto in
Egitto prima del passaggio del Mar Rosso, cosa
che, se veramente si determinasse, basterebbe
•da sola a sovvertire dalle fondamenta il presente
ordinamento sociale.
Il benevolo lettore mi perdonerà questa digres-
sione, necessaria digressione, che ho dovuto fare
per lasciar vedere come io non mi tenga estraneo
alle più alte questioni storiche, e come la severità
scientifica sia la mia più brillante qualità. Senza
essa non avrei potuto stabilire con documenti
inconfutabili che la balia del Petrarca si chiamava
Teresa e non Veronica, e su ciò sto per pubbli-
care due grossi volumi in quarto, che mi assi-
cureranno una cattedra universitaria.
Intanto a proposito di papiri narrerò la storia
di un pappagallo, che, forse senza saperlo, salvò
l'onore di una famiglia.
Il signor Rolando Càpperi, dottore in utroque,
aspirante referendario al Consiglio di Stato, è un
giovinotto maturo — non si può dire altrimenti
— la cui faccia presenta una di quelle fisonomie
inalterabili che non subiscono, come la vernice
a smalto, i deleterii effetti degli agenti atmosferici
e chimici. Da circa quindici anni è sempre lo
stesso ; solo la dose del sale aumenta sul pepe
della barbetta e dei capelli ; ma l'aumento è cosi
graduale che nessuno se ne accorge, e meno di
tutti, lui.
— Io sono un temperamento erotico — ripete
sempre lui. — Io ho bisogno di amare, di espan-
dere la mia esuberanza, di cuocere a fuoco bianco
i miei nervi.
« Io a tutto preferisco il culto della donna! »
E la sua vita in vero è nn^ Jìirtalion continua
e universale. Per la strada, in trattoria, in ufficio,
in chiesa, in teatro, dovunque, egli lancia i suoi
dardi d'amore. Ma, per fortuna dei mariti e dei
padri di questa terra, i suoi dardi sono ideali,
si perchè nessun uomo è più platonico di lui.
Egli non aspira — sono sue parole — che ad
impossessarsi dell'anima della donna, il resto gli
è indifferente.
— Passare accanto a una donna, fissarla, strap-
parle l'anima in uno sguardo e mettermela all'oc-
chiello come un fiore! ecco il mio ideale!
Rolando si serve spesso di uno stile asiatico...
Ma spingendo il suo cuore qua e là, Rolando
fu preso da una impetuosissima passione per la
moglie di un suo amico ; una donna sublitne.
Donna Eulalia Carloni. Però la sua passione era
cosi platonica e filodrammatica che rimaneva an-
cora allo stato latente.
Il suo amico Carloni era un buontempone,
amante dei divertimenti, ricco fannullone, che
provava più gusto a far divertire gli altri che se
stesso. A casa sua ogni settimana, il giovedì,
v'era riunione, si giuocava, si ballava, si cenava,
si organizzò financo un teatrino, e Rolando fu
uno dei primi attori.
— Signora — disse questi un giorno alla pa-
drona di casa con uno sguardo languido — vo-
gliamo recitare io e lei la Par/i/a a scaicMìT
— Sì ! — mormorò la signora stendendogli la
sinistra con un gesto lungo e intenso.
Fu stabilito che si sarebbe rappresentata in
campagua ; la villeggiatura doveva riuscire una
delizia, e si facevano grandi preparativi ; ogni
tanto il signor Carloni partiva per la sua villa a
Castel Gjndolfo, di cui facesa riattare il tea-
trino.
Finalmente la famiglia Carloni parti il primo
di luglio ; verso il quindici Rotando ed altri amici
dovevano raggiungerla iH;r passare una decina di
giorni nella gaia villa, ove si sarebbero date delle
feste strepitose.
28
Rolando si sarebbe voluto addormentare sino
al giorno della sua partenza.
— Fatemi distrarre, divagatemi, voglio dimen-
ticare ! — implorava il misero agli amici.
E il giorno della partenza giunse, giunse anche
il momento dell'arrivo; oli, momento soave,
quando lei, donna Eulalia, gli porse la mano
senza parlare, senza guardare, senza stringere,
senza niente... Eppure!....
Il signor Antonio Carloni condusse gli ospiti
nelle rispettive camere, li accompagnò in una
visita generale alla palazzina ; in fondo al corri-
doio del secondo piano, si fermò dinanzi una
porticina.
— Amici miei — disse il padrone di casa ac-
cennando alla porticina — è inutile ch'io vi spieghi
dove conduce questa porta ; ognuno di voi alla
spicciolata se ne caverà la curiosità quando ne
sentirà l'urgenza.
— La vile prosa della vita! — esclamò Rolando
con un gesto largo.
Si andò a pranzo allégramente e da mezzo-
giorno si sedè a tavola sino alle tre, e Rolando
ebbe la fortuna di sedere accanto a donna Eulalia
di cui platonicamente premeva i piedini adorati.
Verso le frutta il signor Càpperi si chinò un mo-
mento verso l'amata donna e le mormorò:
— Amarti e... morire!
Ella aveva arros-
sito.
Egli aveva detto
a se stesso orgoglio-
samente: Che scapo-
strato che sono !
Quando, alle'tre,
tutti si alzarono da
tavola per andar-
sene a riposare, Ro-
lando senti nei piii
intimi precordi che
qualche cosa di im-
pellente avveniva in
luì. Dice il Kranip-
feld che le emozioni
violenti hanno una
azione drastica in-
fallibile, e il signor
Càpperi univa con
l'emozione violenta un lauto desinare jnaflìato
da vini eccellenti. Figuriamoci.
Ma egli sorrise carezzando il fantasma di quella
porticina misteriosa e si ritirò nella ^jia stanza.
•Quando senti tutto in silenzio, si avviò al noto
corridoio con passo insolitamente veloce ; e con
un senso di benessere toccò la maniglia della
porticina; ma, ahimè, una voce si fece udire :
— Non si può...
Il buon Rolando impallidi ; ma... noli c'era che
c;^^^^
dire. Toenò indietro a passo interrotto, saltuario;
e cercò una distrazione nella recitazione; ma alla
voce sua altre voci tumultuose rispondevano, che
non erano né quella della co.'^cienza, né quella
del popolo.
Incalzato dagli avvenimenti minacciosi, Ro-
lando rifece il corridoio, posò di nuovo la mano
sulla maniglia, ma la voce ripetè :
— Non si può !
Ma quel signore si è stabilito là... pen.sò con
un lampo geniale di fantasia il trambasciato
signor Càpperi; e facendosi coraggio, si mise a
passeggiare sul largo pianerottolo temendo che
mentre l'altro usciva, qualcuno avesse approfit-
tato prima di lui del solitario asilo.
Pensò alle cose più gravi, ai problemi più
astrusi per divagarsi, cercò di spiegare se la
storia fosse arte o scienza, se l'anima fosse im-
mortale, se fosse possibile scoprire una macchina
per volare ; si domandò persino — e su! serio —
se l'Iliade era di Omero. Un uomo giunto a questo
è capace di tutto, e Rolando si diresse a passo ri-
soluto verso la porticina decìso a intavolare un
dialogo con l'indiscreto che, con patologico pia-
cere, scambiava quel luogo fugace con un salotto.
Impugnò la manigìia e la voce per la terza volta
ripetè :
— Non sì può !
— Scusi, la prego di sollecitare... — azzardò
Rolando, in uno di quei momenti in cui si di-
venta eroi.
— Non si può! — rispose seccamente la voce.
Rolando deciso a tutto si avviò frettolgsamentv
verso il giardino con la tragica intenzione di
affidare ai verdi silenzi di qualche solitario re-
cesso quelle confidenze che \m fato avverso.grìni-
pediva di abbandonare alla loro sede naturale.
Per le scale incontra il padrone di casa. •
— Ohe, Càpperi, che hai?
— Perdio c'è un signore che da un'ora si è
stabilito in fondo al corridoio.
Il signor Carloni scoppiò in una omerica risata.
— Ah, ho capito, va pure, va pure, il servitore
ci tiene il pappagallo che ha imparato, a dire non
si pud.
— Come, il pappagallo?!... dice...
— Ma si, va pure liberamente.
Rolando con un agilità e un impeto nuovo si
precipitò pel corridoio, e prima che la voce avesse
rfpetuto flou si può egli aveva quasi atterrata la
porta brontolando :
— Accidente ai pappagalli ! i
Ma... orrore, Rolando testò sul limitare ag-
ghiacciato.
Questa volta c'era projjrio qualcuno, e questo
qualcuno era donna Eulalia!...
Rolando Càpperi sparì e l'onore dei Carloni
fu salvo !
29
LA STATUA DI SAN SEBASTIANO.
(Novelletta comica).
Espedienti erotici della Provvidenza. Presentazione dei prota-
gonisti. Ambiente suino. Gli amori di Clorindo e biella.
S. Sebastiano galeotto. La vendita clandestina. Notte
tempestosa. Fuori S. Sebastiano! Terribile situazióne.
S. Sebastiano tira le tende. Salvi tutti !
Dallo scudo messo in mano alla compiacente
cameriera (spesso è nn nickelino in mano alla
serva), sino al telegrafo senza fili ; dal bigliettino"
inserito nel calice di un innocente garofano, sino
ai dieci centesimi per parola della quarta pagina,
è tutta una complicata sequela di espedienti che
la celeste Provvidenza impiega generosamente
nello spingere l'uomo verso la donna in ossequio
al Codice Civile per diinostrare poi la necessità
del divorzio.
Il racconto ch'io sto per confidare alla vostra
.discrezione, presenta appunto uno dei casi pia-
tipici, in cui la sopraddetta Provvidenza non esitò
a servirsi della statua stessa di uno de' suoi^più
influenti taumaturghi : S. Sebastiano.
Premetto ch'io non posseggo alcun documento
sull'autenticità dell'imminente racconto. Io odio
i documenti e niente mi sembra più interessante,
quanto un avvenimento di cui si -capisce subito,
che non c'è una parola di vero.
E veniamo al fatto.
¥ *
Permettetemi di presentarvi Don Procopio Spi-
naci, Arciprete di Cervereto, uomo sulla cinquan-
• tina : visto di dietro potrebbe esser confuso con
l'animale che predilesse S. Antonio, e questa
strana somiglianza proviene dalla circostanza che
intorno all'anima ingenua di Don Procopio si
sono accumulati centoquattro chilogrammi di
.carne con osso. Visto invece di faccia... la so-
miglianza continua: basta osservare la fronte
sfuggente, il muso prominente, il collo corto, le
lunghe orecchie, gli occhietti grassi...
Amelia Spinaci, sua nipote,, è invece ciò che
si dice un bel tocco di ragazza: vent'anni, occhi
a pietra focaia, capelli ala di cornacchia, bocca
di ciliege, denti candidi da far crepare d'in-
vidia un elefante: e poi un insieme di curve^
seni, coseni da comporre un trattato di geome-
tria solida.
Titolare di tale trattato è Clorindo Sugheri,
giovane della farmacia del paese; alto, snello,
simpatico; ricco di speranze quanto povero di
realtà. Egli vive d'amore e di olio di fegato di
merluzzo, con cui fa colazione quando il princi-
pale, salito a desinare, lo lascia padrone dei ba-
rattoli. Egli ne ingolla quattro cucchiai, poi divora
due soldi di pane e gli pare di essere un prin-
cipe. E la sua faccia rubiconda non lo contrad-
dice.
Cervereto è un paesello di montagna perduto
fra le querce e i castagni. Nulla di .singolare;
un campanile in mezzo; sotto il campanile la
chiesa e la canonica: intórno slraduzze, case e
abituri ribelli al più lunganime regolamento .sa-
nitario. Da per tutto maiali e galline, cumoli
d'immondizie sparsi sapientemente qua e là, e
una fontana in mezzo alla piazza.
I Cerveretani vivono facendo i porci. Piano un
momento : /i7;r il porco in lingua indigena vuol
dire aHevare, ingrassare, uccidere e preparare i
maiali. Se in un giorno d'inverno arrivate a Cer-
vereto, vi sentirete drizzare i capelli! Il paese
risuona di urla strazianti ; pare di entrare in un
villaggio armeno sotto i turchi. Niente paura, i
maiali seguono il loro destino culinario.
In questo ambiente saturo di salciccie e di sa-
lami, da vario tempo si svolgeva il più saporito
idillio fra Clorindo, o meglio Rindo, come lo
chiamavano in paese, e Mella, vezzeggiativo di
Amelia, la nipote dell'arciprete. Ma il testardo
Doli Procopio, ignorando le più moderne idee
collettiviste, aveva apposto il suo aprioristico
rifiuto :'non voleva dare la Mella, con vetiticinque-
mila lire di dote, a un povero diavolo che pranzava
sì e no una volta al giorno.
Ma i due giovani se ne infischiavano delle ire
di Don Procopio ; essi alimentavano la incande-
scente passione con lettere vulcaniche. Le sue,
Rindo le scriveva fra una pillola e l'altra, al-
lorché Besciva a mettere da parte il mestolo.
Siccome però al fervido loro amore la corri-
spondenza epistolare ^o" bastava, i due giovani
avevano anche trovato il modo- di vedersi a
quando a quando.
Facevano cosi.
Bisogna sapere che nella chiesa, fra l'altare niag-
,giore e la porta che metteva alla canonica si
elevava il tabernacolo di S. Sebastiano, il protet-
tore del paese. In esso, bel lavoro architettonico
del Rinascimento, si custodiva gelosamente, co-
perta da tende, la 'statua in legno del santo, al
naturale, opera pregevolissima del quattrocento
fiorentino, visibile al popolo solamente, e con
grandi feste, per tre giorni dell'anno.
Questo tabernacolo," ad archi, difeso da cancel-
lata e vetri nel prospetto e da un lato, aveva una
porticina di dietro e un'altra sull'altro lato ad-
dossato alla parete, che rispondeva sul primo
pianerottolo delle scale conducenti alla canonica.
X'èrso sera Rindo si ficcava in un angolo della
30
chiesa facendovìsi chiuder dentro dal sagrestano
che era miope e vecchio, e aspettava che a notte
fatta la sua Mella, aperte le due porticine del
tabernacolo di S. Sebastiano, gli desse adito di
salir su a far quattro chiacchiere.
La cosa andava, dirò così, a gonfie vele, quando
accadde un fatto inopinato che portò con sé ciò
che i matematici chiamano una soluzione di con-
tinuità.
Don Procopio aveva ricevuto una certa pro-
posta da un antiquario : proposta che, sfrondata
da ogni cornice rettorica, si sintetizzava in questo:
vendere la statua antica di S. Sebastiano per
diecimila lire, farne eseguir subito un'altra iden-
tica da un falsificatore abilissimo durante il tempo
in che la vista del santo era proibita al pubblico,
e sostituire l'imitazione all'opera antica. Al prete,
che non soffriva di tenerezze artistiche, non parve
vero di lasciarsi corrompere, e una certa notte la
statua sali in canonica, da cui, la mattina all'alba,
partiva per destinazione ignota entro un carico
di grano.
Don Procopio, molto lieto del buon affare,
aveva detto alla nipote :
— Bada: ho mandato la statua di S. Sebastiano
ad accomodare; ma ricordati, nessuno deve
saperlo. La chiave del tabernacolo non deve es-
sere consegnata a chicchessia.
— Va bene ; stia tranquillo, — rispose la ni-
pote, pensando a quel che lei sapeva.
Cosi si era arrivati al maggio, al mese dei fiori
e delle escandenze erotiche, e i due giovani, favo-
riti dal successo del loro espediente, si vedevano
molto più spesso.
Una notte, era il 14 maggio, mentre i due in-
namorati filavano il più tenero idillio, si scatena
una tempesta formidabile. Lampi, tuoni, fulmini,
grandine grossa come noci, pioggia torrenziale;
insomma la notte del finimondo.
Don Procopio, per quanto avesse il sonno pe-
sante, fu desto finalmente, e scese dal letto. Mella,
che s'intralteneva con il baldo farmacopula nella
camera sottostante :
— Per carità, Rindo, siamo perduti; ecco lo
zio! Scendi, presto, vieni con me che t'apro la
prima porticina; quando sarà tornato a letto, ci
rivedremo.
L'onesto speziale, che aveva una paura birbona
del prete, non se lo fece diredue volte, e all'oscuro,
a tastoni, seguì la innamorata, che aprì la porti-
cina del pianerottolo, ficcò l'amante nel taberna-
colo, richiuse a doppia mandata e intascò la chiave.
Poi risali le scale a precipizio, e giunse nella sua
camera proprio mentre Don Procopio metteva il
piede nel corridoio.
— Mella, Mella! — gridava il prete.
— Dica, zio! — rispose la ragazza a faccia
fresca, presentandosi sull'uscio.
— Senti che ira di Dio ? Questa è la notte del
diluvio!
Intanto la tempesta incalzava, la grandine scro-
sciava con il frastuono di una fabbrica di confetti;
i lampi e i tuoni si susseguivano a brevissimi
intervalli ; il vento impetuoso strappava le tegole
dai tetti ; si udiva benché confuso, il rumore di
finestre sbattute, di vetri infranti.
Cominciarono a risuonare alte grida di spavento;
la gente usciva, malgrado l' infuriare della pro-
cella, sulla via, invocando l'aiuto del Cielo. Ben
•presto fu un accorrere generale verso la chiesa;
la folla si diede a gridare :
— Aprite la chiesa, aprite, Don Procopio! vo-
gliamo pregare, vogliamo raccomandarci a Dio I
Don Procopio, che sapeva quel che bolliva in
pentola- per l'affare della statua, si senti venire
la febbre. Ma non c'era da esitare!
Chiamò il sagrestano, che gli faceva da servi-
tore e gli ordinò di aprire la chiesa e di accen-
dere solamente due candele. Poi, seguito dalla
nipote, tremante come una foglia, scese anche lui
in chiesa.
La tempesta infuriava sempre.
La folla dei villici si precipitò nel sacro luogo
mandando alte grida, piangendo, e si andò a pro-
strare davanti al tabernacolo di S. Sebastiano.
Don Procopio a quella vista si senti un sudor
freddo per la pelle, molto più che già qualche
voce cominciava a gridare :
• - Scoprite S. Sebastiano ! Fuori S. Seba-
stiano ! —
Il farmacista sventurato, che stava dentro, si
senti venire lo stesso sudor freddo di Don Pro-
copio, e lo stesso sudore ricopriva la candida
pelle vellutata di Amelia.
Fu un momento angoscioso per i tre protago-
nisti di questa lacrimosa storia.
. Intanto le grida aumentavano. Don Procopio
volle fare un ultimo tentativo. Sali sul pulpito e
cominciò a parlare :
— Fedeli miei, è inutile disubbidire ai voleri
del nostro patrono, il quale ama apparire ai
vostri occhi solamente una volta l'anno. Voi, vo-
lendolo scoprire anche adesso, non fate...
Ma non potè continuare. Urla selvagge, accom-
pagnate da minacce, risposero al suo sermone.
Don Procopio scese a precipizio, si fece largo
tra la folla indemoniata e appressatosi al taber-
nacolo, tirò furiosamente i cordoni delle tende.
E attese... Attese nascosto nell'ombra, di essere
massacrato.
Ma nessuno 'si mosse ! Anzi le invocazioni, le
preghiere, le litanie risuonarono più che mai alte.
Don Procopio dalla paura passò allo sbalordi-
mento. Usci quatto quatto da dietro la nicchia per
vedere anche lui. Oh, miracolo, strabiliante mira-
colo ! S. Sebastiano era al suo posto, o almeno
qualche cosa che gli somigliava, a .giudicare dalla
fioca luce dell'ambiente.
Però fu un attimo. S. Sebastiano, dopo essersi
fatto contemplare qualche secondo — fra il ter-
rore e lo sbigottimento generale — chiuse lui
stesso le tende!
Quel che accadde a questa uscita di S. Seba-
stiano è impossibile descrivere.
Gran parte dei fedeli se la diede a gambe ur-
lando di paura ; molte donne svennero ; altri si
picchiavano il petto prostrati per terra.
Don Procopio non volle altro, corse sul pul-
pito e cominciò a fulminare d'invettive oratorie
gli scomunicati che avevano disubbidito al santo;
e fu tale la violenza del suo sermone, che la folla,
atterrita, mortificata, se ne andò a casa, molto
più che S. Sebastiano, oltre al disturbo di chiu-
dere le tende, aveva anche provveduto a far ces-
sare la tempesta.
Don Procopio non vedeva l'ora di essere solo
31
nella chiesa. Appena potè mettere il catenaccio,
mandò su in canonica il sagrestano e la nipote,
poi, con una candela in mano, si presentò sulla
porta del tabernacolo. Voleva fare la personale
conoscenza del ff. di S. Sebastiano.
E trovò il santo nelle spoglie mortali del far-
macopula, inginocchiato avanti a lui, in atto sup-
plice.
Allora Don Procopio, che la sapeva lunga, capi
con un lampo di genio il retroscena del miracolo,
e fatto ragionevole dalla paura presa, afferrò per
un braccio il tremante Clorindo, dicendogli :
— Caro S. Sebastiano, ti ringrazio del mira-
colo, ma fra quindici giorni dovrai aver sposata
mia nipote.
— Ma io non chiedo di meglio !
■ Va bene; alzati, vestiti ed appendi un voto
a S. Sebastiano.
— E anche voi appendetene uno, e grosso, a
S. Clorindo !
I. M. PALMARINI
■^^'i^rzm^r^znrrzmmrz^mr^Èi^^mxi^mx^^^K^ir^ms'^B^S'^l^^ \
VII.
ULTIMO GRIDO.
Anima che m'amerai ! Non ho più altro nel mondo
che te, te sola, che questo presentimento d'amore !
Le donne <iella mia vita mi inaridirono il cuore :
parenti, amici, oh non videro com'era grande il mio spirito,
com'era ardente il mio palpito ! Dileguo, e non conosciuto.
Non ho che te, che te sola. Potessi stringerti in sogno !
Non sei tu bionda? Sei bella, sei tu più cara di lei?
Oh, non lo so; ma ti sento, non sei un sogno: ti sento.
Tu mi amerai, bramerai dar la tua vita, il tuo bene
per farmi un'ora rivivere, per dirmi tutto il tuo amore :
mi chiamerai, mi vorrai, ed io non tornerò più.
Sarà una voce il mio spirito, un suono vano il mio cuore,
questa cuore or così vivo che si dibatte e si strugge
inutilmente di rompersi sopra di un seno fedele :
ah ! non m'è dato di vivere che per sognare e sparire !
Rivivrò voce incorporea. Ed era pur cosi dolce
quando le siepi fiorivano... c'erano coppie damanti...
Ah ! ninna gloria ti vale, perduta mia gioventù I
Anima, spasimo, amore ! amaro viso mort-ile,
fragile corpo consunto dal cupo ardore, tu m'odi ?
m'amerai tu? per te scrivo qui le parole più dolci,
quanto di più carezzevole mi negò il mondo di espandere,
mi esalto in te," ti rapisco, rabbrividisco e mi struggo :
son le mie nozze che celebro con questo grido, io con te !
vili.
RIBELLIONE.
Eli tu sola l'estrema dolcezza della mia vita.
Ti diedi tutto : l'ardore, la tenerezza, l'ingegno.
Non fu che un lungo tormento. E parve un sogno. Le lagrime
erano dolci, sembrava un bene immenso il dolore...
Ah ! ch'era sangue quel pianto ! era la vita, e la diedi !
Giovine, sento nel petto il cuore rotto arrestarsi.
Non n'eri degna. Se ancora la tua bellezza mi acceca,
se d'un supremo fulgore m'inebria gli occhi morenti,
oh non per te ! non per te ! non per un cuore insensibile,
crudele, mobile, indegno, doveva rompersi questo
che conteneva in sé un mondo, e non chiedeva che amore !
PACE.
Vacuità grigie e informi di un piano avvolto in vapori
sotto l'accidia di un cielo confuso e grave. Distese
di solitudini morte, infinità desolate,
miraggi vaghi di un mondo inafferrabile e informe !
L'asilo è questo di un'anima che si smarrì nel dolore.
Da questo monte mi spenzolo su questo mare di nebbie
come ad un seno di pace. Mi lascio a dietro la terra,
queste colline sfumanti tra veli grigi di brume
in una vaga visione di boschi rossi di ruggine...
Parlano ancora d'amori, di intimità dolci e gravi
negli antri secchi dei boschi... È solo più un'eco fievole,
vana, e non l'ode più il cuore. Son calmo. Sento la pace.
ENRICO THOVEZ
Un brano di un romanzo audace.
Io non entrerò più nella sua camera!
La sera, dopo cheto l'ho coricata e ho rim-
boccato con cura le copèrte del suo lettuccio
bianco, e le ho posato tanti baci sulla fronte.
Bea mi getta le braccia nude attorno al collo,
mi attira a sé, mi costringe il capo contro il suo
petto — il suo cuore batte forte nello sforzo di
quella stretta ! — e mi dice le parole che tutta
la notte recano l'esca al mio turbamento.
— Lo sai. Marco, come ti amo?
— ^ Si : lo so, cara.
. — No ; non lo sai. Dimmelo adunque, se
lo sai.
— Ecco : tu mi vuoi bene come si addice ad
una fanciulla che non ha più madre e che con-
centra perciò nel padre suo tutta l'affezione di
cui è capace il suo cuore.
— No ; no ; io ti amo !
Essa mi parla all'orecchio e ripete la santa
parola con un'accento intraducibile, come so-
spirando :
— Io ti amo!
— No; tu mi vuoi bene così come è naturale
che una figlia voglia bene a suo padre.
È falso quello che io dico, epperciò sebbene
io mi provi a dirlo con molta convinzione, essa
agita la testina sui cuscini negando :
— No ; no ; le altre figlie vogliono bene al
loro padre: io ti amo, ti amo! Le altre hanno
della venerazione pel loro padre: io ti adoro!
ti adoro! Le altre figlie baciano le mani paterne;
io voglio la tua bocca!...
E queste sue braccia nude mi si avvinghiano più
strettamente al collo e mi costringono su di lei !
Ah ! Miseria nostra! Che sarà, che sarà di noi!...
Io non entrerò mai più nella sua camera!...
... Ma io ti sentivo venire inesorabilmente o
momento terribile !
Nulla, più nulla poteva opporsi a che il giorno
avesse a giungere, che l'ora fatale avesse a
scoccare ! Tutto era preparato e voluto dal de-
stino ! Io lo discernevo dapprima indistinto nella
lontananza, l'avvenimento; poi, a misura che il
tempo avanzava, lo vedevo delinearsi, avvicinarsi,
precisarsi — e noi vi andavamo incontro senza pos-
sibilità di scampo, essa serena e inconscia, povera
innocente! io presago e rabbrividendo invano!
Senza possibilità di scampo !
No, no: non varcherò più la soglia della sua
camera, ed essa ha sentito il mio proposito,
giacché questa sera assai tardi si decide a riti-
tarsi. Ed io l'accompagno e la reggo come se
fosse addormentata; gli occhi le si son chiusi,
la sua testina arrovesciata grava sulla mia spalla,
ma sotto la sottil vestaglia bianca come vibra
tutto il suo corpo ! Ci separiamo : sul limitare
della mia camera: sciolgo il nostro abbraccio:
essa appare un momento esitante e preoccupata
da qualche pensiero, poi si avvia frettolosa pel
corridoio verso la sua porta e scompare.
Spogliato e coricato mi sento assalito dai bri-
vidi ; io tremo e pure la febbre mi incendia il
sangue nelle vene. Perchè, perchè?...
Ah come è vano che io tenti cacciarti, pen-
siero opprimente, incalzante !
No, no; io non varcherò più la soglia della
sua camera, ma so bene che Bea, si Bea, verrà
a me. Ah! so bene che, stassera stessa, fra poco,
nel silenzio e nell'oscurità della mia stanza, la
portiera si solleverà con un lievissimo fruscio —
so bene che i miei occhi romperanno le tenebre
e che La vedrò, ombra bianca e aureolata, avan-
zarsi lenta lenta, come sfiorando il suolo — so
bene che mi parrà un'eternità il tempo che essa
impiegherà ad arrivare sin qui, da quella porta
al mio letto — che non dirà una parola, che
cercherà la mia bocca e vi inchioderà sopra la
sua — che troverà le mie braccia aperte e vi
cadrà anelante — che allora nessuna forza, nes-
suna forza ci potrà strappare al Destino !
33
Io tremo cosi forte che tutte le mie membra
ne dolorano e una grande spossatezza mi invade.
Poi nell'attesa lunga e febbrile un improvviso
spavento mi fa balzare a sedere sul letto. Ah!
se nel momento in cui L'udrò varcare la soglia
il parossismo dell'emozione immensa avesse a
fulminarmi! Insorgo contro questo spavento ; mi
precipito dal letto, raggiungo tentoni la finestra,
la spalanco e mi affaccio a bere avidamente l'aria
fresca del viale. Nell'ombra della notte stellata
molte cose indefinite e confuse paiono muoversi
e agitarsi... Pochi sorsi vivificanti mi ridonano
la calma e l'impero di me stesso, e ritorno al
mio letto.
Ora Le parlo : tante volte a distanza, Essa ha
raccolto le mie frasi mentali. Udrà anche questa
volta la supplicazione?
— No, non venire, amore, non venire I Resta
nel tuo tettuccio bianco e possa tu riposar\i per
tutta la tua vita come se fossi sempre una bam-
bina e possa tu addormentarvi e calmarvi l'im-
peto dei tuoi sensi anelanti. E lascia che duri il
mio tormento e che prosegua la mia lotta interna.
Io ho voluto farti indipendente, lìbera, sprezzante
di ogni regola, di ogni vingolo, ma non per la
mia, per la tua felicità. Lascia che le nostre mani
si tendano in eterno fra di loro : tu sai che qual-
cosa di invincibile, che è nella potenza del lungo
passato, ci avvince alla miseria dei pregiudizi!
umani e che liberarci sarebbe al di sopra di ogni
audacia... No, non venire, amore! Che sarebbe
di noi, dopo ?...
Ahimè! Inconsciamente, implacabilmente, sopra
la stessa frase un'altra si inquadra e si plasma
e su queste parole altre si adagiano e si sovrap-
pongono e dicono con pari fervore la preghiera
contraria:
— Vieni, vieni ! Perchè t'ho fatta libera, grande,
unica, supera quest'ultima, questa suprema prova I
Apri con impeto le ali alla conquista di più
elevate zone, dove la miseria umana non ci rag-
giunga! Vieni, vieni! Troppo aspettammo, troppo
indugiammo mentre le ore incalzano e nessuno,
nessuno, ci ridarà il passato perduto. Vieni,
io ti spalancherò le porte radiose dell'estasi! Che
importa a noi dì ciò che vedrà il sole di domani?
Vieni, riempì l'anima mia, bevi le labbra, spcsni
la sete dolorosa di tutto l'esser mio !... e avvenga
di noi ciò che è scritto!
Ah!... il fruscio della portiera! Sul chiaro
qu.idrato della finestra spalancata l'ombra biam a
e aureolata che passa sì profila... avanza come
sfiorando il suolo... ah! che l'enioiione non mi
fulmini!... avanza... avanza... e — finalmente! —
in un sussulto ineffabile di tutto il mìo essere
le mie braccia L'accolgono. I^ stringono, L'av-
vincono inesorabilmente, inesorabilmente....
FAUSTO VILLA
DK3I3KZ?CKXSK:36K3I3I
IX.
Lultima notte di Sardanapalo.
Un individuo aveva detto al re Sardanapalo :
— Quando un dardo si conficcherà nel tuo scudo,
pensa alla tua ora.
Dopo due anni di combattimenti giornalieri,
nei quali il re era rimasto sempre illeso, una
sera un dardo si conficcò nel suo scudo.
Sardanapalo trattolo via e provatane la punta
sul braccio nudo che sanguinò : — Non è grave I
— disse e rideva, vedendo intorno a sé il fiore
de' guerrieri e le mura munite.
Poi dimandò a coloro che gli stavano accanto :
— Non credete che la mia fiartuna sia più
forte de' vaticinii ?
— Rispetta i vaticinii, signore ! — gli fu ri-
sposto. Ma già il re aveva gettato via lo scudo
rilucente d'oro e di gemme, s'era precipitato
verso la porta. Lo circondarono i suoi guerrieri,
ma egli disse loro : — Seguitemi ! — e corse a
combattere avanti a tutti. E anche quella sera
molti nemici caddero sotto i suoi colpi, mentre
egli non fu neppur tocco da un'arma.
All' apparire delle prime stelle Sardanapalo.
messi in fuga i nemici rientrò in città e giunto
alla reggia vide a sedere sulla porta un uomo,
nel quale subito riconoscendo l' indovino, gli
disse :
— Un dardo si conficcò nel mio scudo. Ma
io gettai via lo scudo, corsi contro i nemici e
li misi in rotta. Non ti pare che la mia fortuna
sia più forte de' tuoi vaticinii ?
— Non mi pare, signore ! — rispose l'indovino.
11 re sdegnatosi allora :
— E che, esclamò, potrebbe esser più forte ?
— Il futuro, s'io dicessi il falso ! — rispose
l'indovino.
— E più del futuro ?
L'indovino alzò il capo e rispose :
— Il fato.
— E più forte del fato ?
L'indovino alzò ancora il capo e rispose :
— II tuo volere !
A queste parole Sardanapalo si rallegrò molto
e disse all'indovino:
— Hai saputo parlare a un re. Entra. Ban-
chetteremo insieme questa notte.
La reggia era deserta e piena d'ombre, perchè,
fin dal principio dell'assedio, il re vi passava
soltanto qualche rara notte per riposarsi ed aveva
proibite le feste e le riunioni. Solo pochi servi
vagavano per gli atiii. Ma quella sera la voce
gioconda di Sardanapalo risonò in mezzo al fra-
gore suscitato dalle armi e dai passi dei guerrieri.
— Olà, olà! Si prepari un banchetto per me,
per questo indovino, per i miei guerrieri e per
le mìe donne! E sia sontuoso come non fu mai
ai tempi felici ! Vengano le mie donne e i miei
fanciulli dagli occhi innocenti ! Sia giorno per
tutta la notte, si colgano tutti i fiori de' nostri
giardini e s'incoroni ogni fronte, s'incoronino le
colonne degli atrii e delle sale, le coppe del
banchetto e i fastigi della reggia! Si versino tutti
gli aromi e si risveglino tutti gli strumenti della
danza! Giacché questo indovino mi ordina di
celebrare la mia vittoria con le mie care donne
della pace e con i miei cari compagni di guerra !
Udirono le mille donne per le alte stanze la
voce del re e balzarono sui letti odorosi.
— Sardanapalo ha fugati i nemici! — si ripe-
tevano e stavano in ascolto.
Ma quando la voce del re, che esse non ave-
vano udita da lungo tempo, risonò ancora per
la reggia, si adornarono di monili e accorsero,
perchè ciascuna desiderava di esser prescelta
per quella notte.
E già miriadi di faci illuminavano la reggia
vasta come una città. Nei cieli delle sale scin-
tillavano smisurate ghirlande di pietre preziose
entro le quali l'oro massiccio splendeva come
il sole di mezzogiorno. Le colonne d'oro erano
infocate e miriadi di raggi d'ogni vivezza e co-
lore uscivano dalle pareti adorne d'oro e d'ar-
gento, di marmi rari e di gemme. Sui tripodi
ardevano gli incensi, e tutte le fontane dei pro-
fumi erano aperte.
Il re s'aggirava con i guerrieri fra le donne
e gli stuoli dei fanciulli vivaci nelle loro tuniche
rosse. Il re accarezzava le lunghe chiome ondu-
late dei suoi cari fanciulli, che aveva scelti fra
i più leggiadri dell'impero a diletto dei suoi
occhi innamorati delle belle contemplazioni. E
chiamava a nome le donne, poiché le conosceva
a una a una, e ricordava a questa qualche grazia
segreta a lui nota, lodava a quella qualche nuova
grazia nàtale sul volto durante )a guerra. E le
donne raccolte intorno alle colonne d'oro freme-
vano al passaggio del re e i loro occhi erano
luminosi più d'ogni altro lume. Qualcuna affon-
dava le dita nelle chiome dei fanciulli sulle quali
era trascorsa la mano reale; mentre i fanciulli
ebbri di luce tripudiavano e danzavano in corone
sanguigne in mezzo a loro, al suono delle cetre
e delle arpe che si risvegliavano per la reggia.
Intanto migliaia di servi preparavano il ban-
chetto. Altri correvano per i giardini con le
faci e li spogliavano di tutti i fiori ; altri traevano
dalle lontane stalle i bovi mugghianti e li scan-
navano.
E quando il banchetto fu pronto e furon pronte
le corone per tutti i convitati e furono incoronate
tutte le tazze e le colonne e gli architravi e i
fastigi della reggia, il re si pose a giacere sui
tappeti di porpora per banchettare. Egli si era
fatto giacere accanto l'indovino, il quale era
molto vecchio e gli tremavano il capo e le mani.
Vedendolo il re così vecchio e tremante e mal
vestito, ordinò che gli fosse gettato addosso un
manto contesto d'oro e di gemme, sotto il quale
l'indovino mangiava silenziosamente con grande
allegrezza di Sardanapalo. E quella notte ban-
chettarono col re ventimila persone, guerrieri,
cortigiani, ministri, donne e fanciulli; e al cenno
di lui ventimila tazze d'oro si levavano scintil-
lanti di pietre preziose nel fulgore delle faci.
Tutti banchettavano giacendo a terra per la sala
immensa, fra le colonne d'oro, mentre molte
centurie, di danzatrici eseguivano molli danze
al suono delle cetre, delle arpe e dei salterii.
Sui tripodi ardevano gli incensi, e le fontane
versavano acque profumate. Qua e là s'aggira-
vano pavoni e altri piacevoli animali ; e i fan-
ciulli stendevano loro le palme con qualcosa da
mangiare. Ma le donne quasi non toccando cibo
fissavano il re, con le fronti corrugate.
Così si banchettò lungamente e la reggia odo-
rava e risonava nella notte. Tale era il suo
splendore che i nemici ne .stupivano sulle alture
lontane vegliando in armi. Stavano gli arcieri
col ginocchio a terra e gli archi tesi verso quello
splendore.
Quando poi il banchetto fu al termine, il re
si levò in piedi gigantesco e radioso di divina
bellezza e rivolgendosi prima ai ministri e ai
cortigiani, dimandò loro se in quel momento
non lo credevano l'uomo più felice della terra.
I ministri e i cortigiani si prosternarono e
celebrarono la sapienza e la potenza del re.
II quale si rivolse ai guerrieri e fece loro la
stessa dimanda.
E i guerrieri, che lo amavano per la sua forza
e il suo coraggio, si alzarono in piedi brandendo
le armi e celebrarono la fortezza delle mura, il
numero dei combattenti e la fedeltà dei loro
petti. E il più forte tra loro celebrò le gesta
del re ed enumerò i nemici caduti quella sera
sotto il suo braccio.
Dopo, Sardanapalo ridendo si rivolse ai fan-
35
ciulli che, senza comprendere, levarono un tri-
pudio clamoroso e risposero di sì, rammentandosi
di quando prima della guerra il re soleva prender
parte ai loro giuochi.
Finalmente Sardanapalo si rivolse alle sue
care donne e dimandò se in quel momento non
lo credevano l'uomo più felice della terra.
Le donne che lo amavano per la sua bellezza
e la sua lascivia risposero di si, sòrte da giacere,
e i loro petti ansavano verso il re.
Ciò udito Sardanapalo alzò la sua tazza rilu-
cente e tutti avendo fatto lo stesso, prese a
ricordare la sua vita d'un tempo, al bel tempo
della pace, quand'egli reclinava il capo sul grembo
delle sue care donne e componeva le danze per
le sue danzatrici, la musica per i suoi sonatori
di cetra e d'arpa, i suoi profumi e le sue ghir-
lande. Quand'egli si creava le delizie della sua
pace da sé medesimo e mandava i suoi guerrieri
a combattere nei paesi più lontani perchè gli
riportassero oro e incensi, belle creature e ogni
sorta di ricchezza. Queste cnse Sardanapalo
avendo ricordate, volse in giro le pupille e di-
mandò se non fosse stato sempre l'uomo più
felice della terra.
Tutti risposero di sì con grande clamore e
protesero le loro tazze incoronate verso Sarda-
napalo.
Il quale già s'era curvato per interrogare l'in-
dovino.
Ma il vecchio, mettendo fuori il capo treme-
bondo dal manto reale, rispose :
— Certo, o re, tu sei fortunato, avendoti gli
Dei concesso l'amore delle donne e dei guerrieri.
Ma io penso che la tua felicità stia sulla punta
d'un dardo pronto a scoccare.
1 convitati ammutirono sentendo il sibilo d'un
dardo che colpiva il re.
E anche il re impallidì lievemente, perchè era
di cuore superstizioso e aveva visto che tutti
credevano nelle parole dell'indovino. Ma poi
subito sorridendo e scherzando, disse che il vec-
chio aveva senza dubbio voluto significare che
la felicità gli sarebbe giunta col primo raggio
del nuovo sole. Perciò egli insieme con i suoi
fedeli si sarebbe portato a salutare la vicina
aurora sull'alto della reggia.
E dette alcune parole nell'orecchio al capo
dei ministri, ordinò che si ricominciassero la
musica e la danza.
Intanto i servi presero a costruire un rogo di
legni preziosi dal basso al sonmio della reggia
a guisa di smisurata pimmide. E quando le
ultime stelle cominciarono a impallidire e il rogo
fu compiuto, il re vi sali con i suoi guerrieri,
le donne, i fanciulli, i sonatori e le dai:- "
Tutti erano consapevoli di morire; ma l.i \
del re stava su lutti. Egli, tr,)en.l.>M die;:
36
devino curvo e anelante, salì sino alla cima del
rogo, si volse verso l'oriente e a un cenno di
lui le arpe e le cetre ruppero il silenzio della
notte. Il rogo odorava e risonava come una
orchestra delicata.
Ma quando il primo chiarore dell'alba apparve
in oriente, mille servi appiccarono il fuoco alla
reggia e incontanente le fiamme ne lambirono
i fastigi.
-Sardanapalo allora, avendo gettato nelle fiamme
il suo scettro e la sua corona, e vedendo tutti
i suoi fedeli frenetici di devozione e di morte
far lo stesso, e tutti gettar nelle fiamme la loro
corona del banchetto, e i guerrieri le loro armi,
e le donne i loro monili e i loro veli, dimandò
all'indovino :
— Non ti sembra questa morte degna d'un re'
— Certamente d'un re ! — rispose l'indovino
— Perchè sei andato incontro alla tua ora nel
rigoglio delle tue forze e perchè puoi gettare nel
grembo della morte tante cose belle e preziose.
— E non anche di un uomo libero da ogni
dominio ? — dimandò il re.
— Vuoi dire d'un uomo che sta per essere
liberato ! — rispose l'indovino che perseguitava
il re con la sua sapienza.
.'V queste parole Sardanapalo sorrise e senza
più attendere discese verso le fiamme e fu con-
sumato.
In quel mentre gli arcieri nemici che avevano
vegliato tutta la notte con l'arco teso, scaglia-
vano le loro frecce contro il rogo ardente.
ENRICO CORRADINI
nda
A DEUX JOLIES FEMMES.
11 faut qu'avant tout je vous dise
Que je suis un esprit chagrin,
Qui sent et qui pense à sa guise
Et rumine soir et matin.
Que de fois vos éclats de rire
Là, dans mon coin, m'ont fait rèver !
Oui, la jeunesse est un sourire.
Et tant pis pour qui veut pleurer !
Ecoutez donc : c'est l'alouette !
Son chant est gai comma un rayon ;
Mais de la nuit sombre et muette
Naissent l'aurore et la chanson.
Pourtant... Regardez une rose;
Quels parfums et quelles couleurs I
C'est qu'au matin, à peine éclose.
Elle était huniide de pleurs.
Ah ! rèvez parfois, belles dames,
Parfois de vos pleurs parez-vous ;
Sur vos traits — comme dans vos anies
Vous aurez un éclat plus dou.x.
I CUORI IGNOTI.
È tozzo il Pìpelè, non senza gobba
- Una gobbina velata, discreta -
Col torvo sguardo l'inquilin che snobba
La mondana, il travetto ed il poeta
Tutti fruga nell'anima secreta
Pronto a scoprir se zoppica od ingobba.
Ad ore perse, nella loggia cheta,
- Ci.ibattin - dilettante che non sgobba -
Batte magari una mezza suoletta.
Ma arcigno, veglia dalla sua celletta.
Un dì, più smorto e più triste passai ;
Al donian disse: - " Ella è solo Origliai
Stanotte all'uscio suo mi par malato... ,,
Qual cor nella sua voce avea tremato 1
MARIO CLARVY
X[.
La donna nella famiglia giudiziaria.
Ogni classe di persone non può sottrarsi alle
leggi dell'eccezione. Abbiamo quindi una mino-
ranza, sia pur esigua, di donne della famiglia giu-
diziaria, che hanno caratteri assai diversi da quelle
di cui si argomentò prima.
Non sarà inutile in questo « intermezzo »
occuparci delle donne-eccezione, tanto più che
esse presentano caratteri, che credo speciali,
alle donne, che appartengono alla famiglia giudi-
ziaria.
Nella mia qualità di usciere mi sono ficcato un
po' ovunque; in tuguri, case signorili, apparta-
menti borghesi : donne d'ogni condizione ho av-
vicinato, e siccome non mi manca il bernoccolo
dell'osservazione (« modestia a parte » — come
dicono quelli che non ne hanno, e vorrebbero far
credere di averne), cosi riuscii a stabilire confronti,
a registrare nel mio cervello note speciali, per cui
mi convinsi, che certe caratteristiche, certe nia-
niXestazioiiì tipiche, certe anomalie psichiche sono
patrimonio «[nasi esclusivo delle donne, che for-
mano la minoranza intorno cui ragiono.
E studiandole, parvenu poterle classificare nelle
seguenti sette categorie, delle quali dirò separa-
tamente, e che abbracciano le varie forme di ano-
malie, da me rilevate.
I. — La sapiente.
II. — La gazzetta.
III. — La protettrice.
IV. — La superba.
V. — La nemica della magistratura.
VI. — L'indifterente.
VII. — L'aiuto-carriera.
Sette tipi degni d'esame, che non privi d'un
lato artistico saturo di umorismo.
La nemica della magistratura.
Tipetto curioso, e ameno a un tempo. .Si uni
in matrimonio con un magistrato, e detesta l.i
professione di suo marito e tutto quanto con-
cerne il mondo giudiziario.
<> perchè sposò un niagistato?
Misteri del cuore umano. -Ma forse lo sposò
perchè non trovò altri che volesse sposar lei.
Anche questo può darsi. In fatto di matrimoni
tutto è possibile. O non vi sono donne <rhe spo-
sano un uomo iHT ;imaregsiarlo tutta la vita, o
(juert'uomo non ha che un torto, «lueiio di sop-
portarle .'
Lasciamo le digressioni filosofico-coniugali, e
diamo un'occhiata al nostro tipo.
Questa magistrata odia dunque la toga mariule.
Il fenomeno può talora essere affetto d'isterìsmo
morale, d'una qualche delusione amara, ma altre
volte nulla di tutto ciò, e cosi appare più strana
l'anomalia psichica. Del resto non pretendo spie-
garla : rilevo il fatto. Ma poi, se un marito di
un tale fenomeno non riusci dopo venti anni di
matrimonio a spiegarlo, figurarsi se Io potrò io,
e per quanto i fenomeni eccitino la m'ia curiosità
scientifica. Non ridete, sono un usciere che à stu-
diato e studia.
• In generale queste donne appartengono alla
classe delle malcontente. Si annoiano di lutto ;
nulla le soddisfa : hanno rari intervalli d'allegria:
predomina in loro la noia: .ittraversano la vita
sbadigliando, e siccome lo sbadiglio è contagioso,
fanno anche sbadigliare per benino l'infelice che
vive con loro.
Queste nemiche della toga — ecco il fenomeno
— non sono così. Lontane dall'ambiente giudi-
ziario, in ferie, in campagna, al mare, sono gaie,
graziose, soddisfatte... purché niuno , né cosa al-
cuna ricordi loro, che, anche in ferie, al ^^ del
mese pigliano lo stipendio... giudiziario. *
Un marito d'una di queste signore, un egregio
sostituto .procuratori- del Re, una volta in viaggio
fu domandato da una signora che profes-sione eser-
citasse. La moglie comincia a dimenarsi, e lui :
.avvocalo, per servirla.
moglie, con due occhi furibondi) Come ?
— Cioè, ero avvocato, ma ora...
— Mio marito % professore di medicina.
— (signorai Ah ! due lauree, mi rallegro.
— Prego.
— Scusi, se non abuso della sua bontà, vorrei
approfittare dell'occasione per domandare un con-
siglio.
Ini sudando freddo) Dici pure.licti^irao...
- Quando viaggio soffro di un.i puntura qui
vicino alla milza, che sart mai?
— Forse la scos.sa del treno...
— Non credo: mi vi^-"' '■ ' "'■'••-■> ed
escluse questa causale. : '"'"'
una spiegazione convinix '■
— yamgosciaio Eccii... bisognerebi^-
— Oh ! combinazione bellissima : non mi hanno
forse detto che loro vanno ai bagni di Rimini?
— {la moglie ridendo) Precisamente.
— Pur io mi reco là, allora il signor Profes-
sore vorrà certo usarmi la cortesia di visitarmi.
— Non chiedo di meglio!...
Quel disgraziato per non compromettere la
sua dignità dovette cambiar piano e spiaggia. Si
recò a Venezia. Poco economiche sono queste
mogli, eh?
Ma sentiamo i suoi sfoghi anti-giudiziari.
Il marito torna dall'ufficio, tardi.
— Cosi tardi, sono ormai le sette!
— Cara mia, l'udienza fini ora... otto processi.
— L'udienza, i processi!... ma date tutto alle
fiamme, meglio fare il lustrascarpe che il magi-
strato. Ma come mai ti venne l'idea infelice di
entrare in magistratura?
— Eppure, mia cara, debbo a questa la gioia
d'averti sposata. Non ero forse pretore allora?
— Già... la colpa è mia... perchè, vedi, io mi
sentii sempre nel sangue una forte avversione per
la magistratura, ma tu eri cosi carino, elegante,
cosi poco magistrato che mi innamorai di te. Di
quante sciocchezze è padre l'amore.
— Grazie !
Lei e un'amica.
— Sono contenta, presto tuo marito sarà pro-
mosso Procuratore del Re.
— Una vera delizia!
— O perchè lo dici con quel tono?
— Perchè sarebbe meglio andasse a veiukrc-
fiammiferi.
— Ma — dico — vaneggi ?
— No, mia cara, parlo del miglior mio senno.
Detesto tutto ciò che pule di toga. M'auguro di di-
ventar vecchia, allora almeno sarò felice in pen-
sione.
' — Aveste forse dolori per la carriera?
— No, mai, ci mancherebbe altro! Oh! non
basta forse il dolore d'essere magistrato?
— Scusami, sei molto strana.
— Sarà, ma è così : questa professione mi nausea
orribilmente. Vorrei vedere in fiamme tutti i tri-
bunali di questo mondo. Vi soffierei dentro a due
polmoni.
Grazioso il « tipo » eh?
L'indifferente.
Quali e quanti diversi caratteri psichici tra
quelli che governano l'organismo della sapiente,
della ìiemica della toga, e di questo nuovo cam-
pione della minoranza. Un vero abisso tra loro.
Chi pensa alla donna moderna, così come la va
formando la evoluzione sociale; chi à del femmi-
nismo un chiaro concetto, e però non accetta in
tutto le teoriche spencieriane, e comprende come
tutto debba facilitare lo sviluppo delle sane energie
femminili nel campo fisio-psico-intellettuale, onde
essa non solamente sia una madre amorosa, colta;
ma eziando una forza nel consorzio civile, in cui
tante miserie sociali esigono la mano altruistica
della donna, potrà facilmente comprendere quale
compagna sia dell'uomo intellettuale, e specie del
magistrato, la donna, che vive a sé, fredda, in-
differente alla vita laboriosa del marito.
O che è mai una famiglia dove la donna non
partecipa alla vita intellettuale del marito? Una
casa senza sole, senza fiori. Se l'uomo è uno
studioso, un lavoratore, dovrà intanarsi nel suo
gabinetto, e di qui nell'ufficio senza che mai lo
confortino un sorriso, un consiglio, un eccita-
mento della propria moglie. Se ultimato lo stretto
dover suo d'ufficio, non ama dedicarsi allo studio
o perchè dovrà recarsi a casa, se codesta è muta
d'ogni luce intellettuale? È la moglie inerte, apata,
che lo spinge al club, ai caffè, ai teatri, ovunque
insomma dove essa non sia: tanto, oche si può
parlare con le statue?
Anche queste donne apate esistono nella famiglia
giudiziaria.
Sono rare pure nella minoranza, ma vi sono,
e gettano una luce squallida sulla vita de' loro
rispettivi mariti, che finisce per avere in ugpa
il tetto domestico, se l'amor paterno non vince
la legittima avversione.
Facciamone parlare una, e avrete il ritratto di
tutte le sue sorelle in apatia.
— Ma sa che sono molti anni che loro sono qui !
— Sì, ormai dieci.
— Eh? chi sta bene non si muove.
— Oh, per me qui o là è tutto uguale.
— Capisco, ma significa che suo marito si trova
bene nel suo ufficio.
Non saprei.
— che i superiori lo stimano.
— Non saprei.
— (imbaiassata) Ma forse sarà vicina la sua
promozione...
— Proprio non so.
— Eh ! lo so io, suo marito è in graduatoria dieci
numeri avanti del mio, dunque...
— Sarà benissimo.
— Poi, so che fu classificato molto bene...
— Io... nulla so.
— Ma come? suo marito non le parla di ciò?
eppure sono cose interessanti.
— Interessanti? O che me ne viene?
— (sorridendo) Scusi... l'aumento di stipendio,
l'amor proprio.
— Si, sì belle cose, ma non mi fanno né caldo,
ne freddo.
— Perdoni la mia curiosità, ma gli interessi
di suo marito non sono forse i suoi?
— Già, ma io non me ne occupo: lascio che il
mondo vada come vuole. Mio marito ed io par-
liamo poco.
— (timidamente) Forse non vanno d'accordo?
—'Oh! no: è un ottimo marito, ma io voglio
vivere estranea alla sua carriera.
Si congedano, e la signora indifferente stende
una mano gelida, stanca, come è fredda l'anima
sua.
L'aluto-carrlera.
Anche qui dt-bbo invertire un proverbio, ed
esclamare : « V amaro in ultimo ». Già, dirò avanti
tutto, che in queste categorie di donne d'eccezione
è quasi impossibile trovarne una dolce, poi —
almeno così m'insegnò un mio vecchio professore
ginnasiale — le cose più impressionanti vanno
tei\ute per ultime, onde meno facilmente se ne
cancelli il ricordo in chi le ode o legge.
L'ho detto. Ne ho visto di tutti colori, di belle
e di brutte, ma tra le brutte primeggia la donna
che chiamai Yaiiiio-iarricra, e quantunque, per
solito, sia una donnina bella, attraente, carez-
zevole.
È un malanno, clieatiHigge un po' tutto il mondo
degli impiegati, in proporzioni più o meno gravi:
è un malanno che si presenta, per solito, con forme
miti nella vita giudiziaria : ma il guaio esiste, e
mi sembrerebbe venir meno al mio dovere, se per
un falso pudore di corporazione, non ne tenessi
parola in questo libro, che, pur scherzando, ha di
mira solo la verità ed il bene della magistratura.
nullità, cui suppli.sce solo l'ambizione di andare
avanti senza fatica, e con una rapidità , spesso
ignota, al vero merito. Non hanno ingegno, sono
digiuni di scienza, di carattere, e ricorrono agli
scaltrimenti obbrobriosi, che loro suggerisce l'av-
venenza delle loro mogli.
.Sarebbe onesto tirare un velo su igueste brut-
ture ? Non è, per contro, doveroso parlarne, de-
nudarle arditamente, onde quanti hanno seav) di
rettitudine combattano il morbo insidiatore?
La risposta non è dubbia.
« L'aiuto-carriera », è, come dissi, per solito,
una donnina spesso bella, avvenente, leggiadra,
aggraziata sempre. Dalla sua jiersona spira una
languidezza sensuale, che l'arte ratìina con l'abito
della commedia, che recita. È di forme delicate,
gentili, dai modi insinuanti. Le donne forti, vi-
rili, dalle maniere un po' vivaci non s'incontrano
in questa categoria, che inidonee all'uflicio della
seduzione. Occorre per questo una pieghevole/.za,
un'arte speciale nel linguaggio, nel sorriso, nello
.sguardo, nelle movenze, cui si ribella la donna
forte.
E l'arte sopratutto consiste nel far sperar molto
e conceder poco, o magari niente, che, talora, in
fondo ^molto in fondo sono oneste, e appunto
l'abilità loro s'annida nell'accendcre speranze
nell'animo della persona cui si rivolgono |>cr ot-
tenere un favore, che torni a vantaggio del marito:
che senza il suo aiuto jion può far carriera.
V aiuto-carriera, anche se agisce soltanto per
suo impulso vanitoso, per il desiderio — in parte
giusto — di migliorare le condizioni economiche
della casa, è per lo meno incoraggiata dal tacito
consenso maritale.
E' un male.
Ma il male si accentua, e prende forma disonesta,
quando la donna si muove (forse lottò prima di
accettare la parie ingrata, compromettente, inde-
corosa, però maggiore la colpa di chi la spinge)
per consiglio, suggestione, online del marito.
Costui — occorre dirlo? — è un'anima debole,
una coscienza fiacca sempre quando è passivo, un
corrotto quando sospinge al male: indegno, se ma-
gistrato, d'indossare una toga. O come può egli
giudicare gli altri se mette sotto i piedi la di-
gnità umana, se schiaffeggia il decoro maritale, se
privo d'ingegno, di studio, di amore al lavoro,
vuol fare carriera con l'aiuto forzato o compia-
cente della gonnella seduttrice?
Perchè, vedete, in generale questi uomini,
eticamente poveri, sono pure intellettualmente
Un dialogo sintomatico collo al volo.
— K vpro che stanno per nominare cava-
liere K** ?
— Sicuro: l'ho imparato ora in tribunale.
— Oev 'essere un gran valore, perchè altri meno
anziani di lui non lo furono ancora...
— rhni!
— È si o no un giudice di nu-rito?
— Ohi si, à una moglie bellis-.in»a.
— Che c'entra? Forse à pubblic.A/ioni ?
— Lo ignoro: se tu vedessi, è una biondina
deliziosa, due occhi cerulei, cerchiati. lanKu;di,
che innamorano.
— E le sue sentenze?
— Ti dico, insomma uno spi' • mn.i,
la grazia in persona. Vedi, se Mit-
solino — parla cosi bene — i >;n. ...
assolto!
tjuant'arte \
Sorride di conipiacenM se intui-^ce che il imvxm
sarà accord.ito. .\ tempo opp<>rtuno s» arrossire.
Oh!, |K)vcrina, le è occorso tanto coraggio per
vincere la sua timidità e os;ire di rivolgersi « su-
40
periore tanto illustre. Perchè per lei i superiori
sono tutti illustri. Sa confondersi graziosamente,
chiamando commendatore chi è cavaliere, Pro-
curatore Generale chi è magari solo incaricato
di reggere una Procura del Re (quanta roba. eh.
crea l'economia?! Conosce a perfezione tutto il
linguaggio adulatorio. Al momento decisivo, cosi
senza averne l'aria, fa comprendere che la do-
manda sarà appoggiata (vero o non vero poco
cale^ dall'illustre on. X, che è amico intimo del
Ministro. « Che vuole? L'on. X** è nostro ami-
cissimo: un uomo influente; agisce di rado, ma
per noi non so cosa farebbe... e farà quando la
proposta parta da Vostra Signoria, che l'on. X**
ben conósce, perchè noi gli abbiamo parlato della
Signoria Vostra con vero entusiasmo ».
Se trova il terreno ingrato, trova sempre ne
suoi occhi affascinanti una lacrimuccia, che lascia
scorrere per le gote vellutate, onde sia ben visi-
bile la manovra dell'asciugamento, accompagnato
da un sospirone lungo, profondo.
— Creda, signor commendatore...
— Ma, no, le ho già detto che non lo sono.
— .Scusi, signor cavaliere...
— Neppure, glie l'ho già detto.
— {CON uno sguardo carezzevole^ Oh!, un
uomo come Lei, lo è sempre, anche se il Governo
l'ha dimenticato... ma dirò io all'on. X...
— Prego, prego.
— Dunque, creda, Ella farà un'opera davvero
meritoria.
— Capisco, ma pensi vi sono altri i)iii anziani
di suo marito, che potreh*)ero, e giustamente la-
gnarsene.
— È vero, ma il merito...
— Ah! il merito... (e non ha il coraggio di
affliggere quella bella donnina per dirle che suo
marito è un asino).
— Dunque via, sia buono...
— Vedremo, vedremo...
— Sa, mi raccomando, non lo dica a mio ma-
rito ; è un passo codesto fatto di mia testa. Po-
ver'uomo, lui è così modesto, così nemico delle
raccomandazioni ! Chi sa come s'adirerebbe se sa-
pesse che io osai venire da Lei.
— Non dubiti.
— Dunque posso sperare?
— Cara signora, le ho detto, « vedremo », mi
lasci pensare, riflettere, sentire il Presidente.
— Vi fu già.
— Cosa jdisse ?
— Mi parve ben disposto. Ma tutto dipende da
Lei, che è il superiore diretto: poi, sa, la, pro-
posta di un uomo illustre come Lei è sicura di
riuscita. Si lasci commuovere, mi mandi via con-
tenta... {colpo finale]... creda, non avrà a pen-
tirsene. Ella può essere sicura della mia eterna
gratitudine {sospira languidamente).
— Farò quanto posso.
— Si, ma mi dica un bel sì. Ahi che grata
sorpresa sarà per mio marito... E — dolce sogno!
— ma io oso troppo... festeggeremo l'avvenimento
con un pranzetto, lieti se vorrà onorarci della sua
presenza. Oh ! cose modeste... in famiglia.
— Troppo buona, ma...
— Non insisto altro. Ella ha capito il mio de-
siderio, e sono sicura vi metterà tutto il suo buon
volere per accontentarmi.
Si ^alza, rossa in viso, palpitante, prende la
mano del superiore, che stringe nella sua, dopo
averla con disinvoltura,' sprigionata dal niveo
guanto, e mormora dolcemente, con le rosee
labbra un « mi raccomando >• che pare una ca-
rezza, una promessa, e sparisce lasciando nel Ga-
binetto un profumo di violetta, che per moltu
ore ricorda al Superiore la bella donnina, l'aiuto-
carriera.
Cha farà questo superiore?
.So che molti, in casi simili, fecero il loro dovere,
sottraendosi alle seduzioni femminili, ma di un
fatto sopratutto mi occupo, dell'onta che accom-
pagna questa donna, dell'onta che copre tutta la
figura del magistrato, che ricorre a codeste arti
disoneste per riuscire dove mai potrebbe arrivare
co' suoi meriti.
È codesta una pagina brutta — per quanto
piccina — della vita giudiziaria.
Gli onesti si diano fraternamente la mano per
lacerarla-, e si uniscano onde, per quanto è uma-
namente possibile — niuno possa più scriverne
un'altra.
Quel profumo di violetta, è velenoso: le donne
aiuto-carriera, che sono il prodotto della vigliac-
cheria maritale attiva o passiva debbono sparire
là dove debbono imperare l'onestà, e il trionfo
del vero merito.
LINO FERRIANI
XII.
IN FERI^OVIA.
(Bozzetto allegro).
I'm i'oiii]i;irt.iii;i'iitii di [nitir.i l'iiissf. Tua ln'lla i-
U'ioN :nic I- liioiula signora, la CoiìtessaKhc (VE.schict.i,
si aniKiia iu mi ariigolo. Sale il sottotenente l'irò
\'alluanra. "
l'ii'iiciliiala insistenti', nn lieve saluto, ed un sor-
riso clii' vonvlilie essere l'urlio, ma che riesce sola-
mente niali/.insii.
'ifo — (a/ Ji"t.'s/n'uo) Dammi un siornale. Ma
che Messaggero ! dammi tutti t|iiclli di stamane !
Non hai V Italie: ì Tieni (e siede aprendone uno,
lìienOe il convoglio si mei le in violo).
Ebe — [tosse).
Ugo — {alza gli occhi e sorride),
Ebe — (si volge verso il finestrino).
Ugo — {a. fior di labbra) Superba, ma bellis-
sima! (guarda V effetto al -disopra del giornale;
ma l'effetlo è nullo).
Ebe — {non si muove). {Passa un lungo silenzio).
Ugo — {non può leggere) Badi, signorina, l'aria
del finestrino le farà male. La ho udita tossire.
Ebe — Grazie, signore {e continua a guardare
la campagna).
Ugo — {ainnci?ia7idosi) A.nà\2in\o, bella superba,
perchè non degnate volgervi? Pure noi... ci co-
nosciamo.
Ebe — {volgendosi rapidamente e con istupore\
Sì!?
Ugo — {con sorriso malizioso) Non devo rico-
noscervi?
Ebe — Come crede.
Ugo — Ho l'abitudine di essere gentile con le
signore... e se la mia presenza qui vi pone im-
barazzo, saprò sacrificare la felicità di esservi com-
pagno di viaggio.
Ebe — {animandosi) Siete veramente gentile.
UgO" — Dunque dovrò andarmene?
Ebe — No... se non temete di annoiarvi.
Ugo — Ho sufficiente spirito por credere che
non ci annoieremo nessuno dei due.
Ebe — Non siete modesto.
Ugo — Sotro ufficiale di cavalleria.
Ebe — Pardon... non ci avevo pensato... e...
dove mi avete conosciuta?
Ugo — Come?... non ricordate.
Ebe — Non ricordo... bene.
Ugo — Non eravate da Doney otto giorni fanno'
Ebe — Ah!...
( go — Kiruiiiii. r In pranzavo al l.ivolo op-
posto con Juliettc.
Ebe — Quella bionda ?
Ugo — Hionda?... quella bruna; la chanlcnte
spagnuola delle l'arielées.
Ebe — Sicuro... avete ragione.
Ugo — Speravo ve ne foste ricordata. Non
avevo più occhi per guardarvi, non osUnti le
gelosie di Julielte, e le occhiate torve di quel
vecchio che vi offriva la cena.
Ebe — Ah ! dunque ci conoscevamo appena di
veduta.
Ugo - Per forza! non vi ho incontrala più...
Comprenderete facilmente che non mi sareste
sfuggita... almeno per un.i cena.
Ebe — I.o credete?
Ugo — Imtnagino che con quel vecchio le vostre
digestioni siano dithcìli, e, che per aiutarle... a
qualche vigoroso eccitante... di tanto in tanto...
ricorriate.
Ebe — Eh già! la vita odierna è tutta a base
di eccitanti. Anche la vostra Juliette la penserà
come me, immagino.
lìg'o — No, no; essa anzi cerca i deprìmenti.
Eie — E non li trova?
Ugo — Che volete! i tempi sono niuLiti.
Eòe — Ma essa è tanto bella!...
Ugo — Per carità! è una pittrice insigne; oh!
quanto a questo, non ha nulla da invidiare a
Tiziano. Del resto a me non piaciono le bninc.
Fu un capriccio il quale arrivò naturalmente
all'epilogo. E poi, roba estera, costosa, e. pt-r
qualità, sempre inferiore .-illa nazionale.
Ebe — Grazie per il genero... nazionale.
Ugo — Capirete... ma ditemi almeno il vomirò
nome.
Efie — {/mbarazzata) Jole !
Ugo Jole? splendida scelt.ir'
Ebe — Scelta ?
Ugo — Ah! non è il nome di guerra? fc [vr.i
bello egualmente. Dicovo, dunque, sono caprio i
che non durano una stagione. Sono quAsi doveri
ai quali dobbiamo sottomottcrci.
Ebe — Xoblesse obb/ige.
l go — Certo. L'n poco |H:r questo, fe questione
di arma. Noi di cav.illeria .ibbiamo tradizioni d.i
42
mantenere alte. Ma parliamo di voi. Io sono felice
di questo viaggio dove temevo di annoiarmi. E
che strano caso! Dove andate?
Ebe — In Isvizzera... a Lugano.
Ugo — Dal vecchio?
Ebe — Già da lui.
Ugo — Egli vi aspetta là?
Ebe — Si.
Ugo — Vi tratta bene il vecchietto... eh!!
Ebe — Si, non c'è male... e voi?
Ugo — Vado a Milano a passare tre o quattro
giorni : di poi andrò sul lago di Como.
Ebe — In famiglia ?
Ugo — No; un piccolo nido da contessere.
Ebe — Bravo ; non perdete il vostro tempo.
Ugo — Si fa quello che si può. Ho passato
l'inverno a Roma, per le caccie, col corso di ca-
valleria a Torre di Quinto. Mi sono fermato ieri
a Bologna ove ho molti amici.
Ebe — Ed a Roma vi siete divertito?
Ugo — Immensamente. Oh ! a Roma non ho
bisogno di dirvi quello che si fa. E poi noi di
cavalleria, comprenderete, non guardiamo ad un
migliaio di franchi di più o di meno, per queste
occasioni. C'è tutto l'anno per fare economia;
se si vuole ; per me specialmente, che sto in una
guarnigione orribile.
Ebe — Ma ditemi almeno il vostro nome, anche
voi.
Ugo — Avete ragione (estrae una carta dal
portabigUeiti e la porge).
Ebe — [legge) Ugo di Valbianca... Marchese?
Ugo — Debolmente (sorridendo).
Ebe — Dite pure degnissimamente. Sono feli-
cissima di questa preziosa conoscenza.
Ugo — Avete un braccialetto magnifico.
Ebe — State fermo... da bravo.
Ugo — Fatemene vedere un pochino... guar-
date cosi...
Ebe — No.
Ugo — Vi domando tanto poco! il braccio...
chi sa quante volte avrete mostrato la gamba !
Ebe — Qui non voglio; no... no!...
Ugo — Lasciatemi tirare giù il guanto ; di poi
starò fermo.
Ebe — A voi.
Ugo — Che splendore !
Ebe — Adesso basta... che sciocchezze!
Ugo — E pensare che quel vecchio imbe-
cille...
Ebe — Oh !
Ugo — Andiamo ! avete troppo spirito, e non
vorrete farmi credere che questi tesori non li goda
che lui... Chi è il fortunato?
Ebe — Nessuno.
Ugo — Proprio ?
Ebe — Parola d'onore !
Ugo — D'onore?... Allora non ne dubito
E..., dite un poco... che cosa è necessario, per
arrivare ai gradini del vostro trono ?
Ebe — Poco e molto. Bisogna sapere... arrivare.
Ugo — Audacia?
Ebe — Forse... ma... molta; altrimenti...
Ugo — Altrimenti ?
Ebe — Si rimane al primo gradino.
Ugo — Posso iscrivermi ?.
Ebe — Provate.
Ugo — Credete che abbia chance ?
Ebe — Vi rimarrà sempre il tempo di dichia-
rare forfait.
Ugo — Apprezzate almeno la gioventù e lo
slancio di un ufficiale di cavalleria.
Ebe — Ma c'è l'avanscoperta prima; ed occorre
avvedutezza.
Ugo — Opero in terreno cognito.
Ebe — Ogni terreno ha le sue sorprese.
Ugo — Ah ! Jole Jole ! sei un portento ! Dove
hai imparato tutto questo ?
Ebe — Nel lungo servizio fra i vostri colleghi.
Ugo — Ne hai conosciuti molti ? '
Ebe — Pochi anzi, ma... buoni.
Ugo — Ed hai lasciato le armi per quell'im-
becille ?
Ebe — L'ho trovalo più pratico.
Ugo — Però, conti di tornare in servizio?
Ebe — Forse..., ma di complemento.
Ugo — Sia pure. Ma promettimi di riprenderlo
con me.
Ebe — Proprio con voi ?
Ugo — Si, perchè io so apprezzare il tuo va-
lore, perchè ti amo di già.
Ebe — Cosi presto !
Ugo — Si, si, tu superi tutte le donnine che
ho conosciute.
Ebe — Poverette noi !... ma ne avete proprio
conosciute molte ?
Ugo — A Roma credo tutte. Parlo della haiiìe;
della vostra haute.
Ebe — Ah!... s'intende.
Ugo — Ma nessuno ti arriva. Dio ! quanto sei
bella !
Ebe — No, no ; non vi voglio qui: sedete là,
al vostro posto, altrimenti m'inquieto.
Ugo — Perchè vuoi farmi penare cosi ?
Ebe — Perchè non voglio. Amo chiacchierare;
mi divertite, non ve lo nascondo, siate dunque
compiacente. Non bisogna essere cosi entusiasti...
non siete un... raffinato.
Ugo — Non mi tengo per nulla di esserlo.
Dammi un bacio.
Ebe — Ecco, vedete, non badate alla progres-
sione. Per un bacio è troppo presto.
Ugo — Si è vero. Allora un piedino, quello
me lo mostri ?
Ebe — State fermo. »
Ugo — Ah ! devono essere bellissimi.
Ebe — Spero non ne dul)iterete.
Ugo — Non ne dubito.
Ebe — Allora è inutile che ve lo mostri.
Ugo — Ti prego.
Ebe — Non insistete. Pensate che se fossero
grandi mettereste me in confusione e voi in
imbarazzo. Sono cose superflue per un giovane !
E proprio nece.ssario cominciare dai piedi ? .Sono
metodi già passati ! Tutto questo entusiasmo per
vedere un stivalino ! Bisogna sapere frenare il
proprio fuoco, e non perdere lo steccato, se no
vi esaurirete pri.na di arrivare al traguardo.
Ugo — Hai ragione farò la corsa à'tìllenlf.
Ebe — Hravo ! cosi mi piacete.,
Ugo — Dunque, dimmi, vai direttamente a
Lugano ?
Ebe — Può darsi che mio...
Ugo — Marito.
Ebe — ... marito, benis.iimo, venga a Milano,
in tal caso mi fermerò per il déjeuner.
Ugo — E se non venisse ?
Ebe — Farò colezione al Restaurant.
('go — E mi i^ermetterai che io te l'ofì'ra.
Ebe — Grazie; accetterò volentieri.
Ugo — Allora speriamo che non venga.
Ebe — Perchè ? poveretto!...
Ugo — Andiamo ; se lo dici per compassione,
passi. Ma io non ho la modestia di credere che
non preferisci la mia compagnia alla sua.
Ebe — Non lo nego ; e poi si tratta di un'ora.
Ugo — Perchè non resti fino a sera ? C'è un
treno alle nove.
Ebe — E lui ?
Ugo — Ci si telegrafa.
Ebe — È impossibile.
l^ìgo — Jole, psnsa al mio supplizio, sarebbe
una crudeltà.
Ebe — Non è possibile, credetelo.
ITgo — Mezza giornata per la felicità poi.
Ebe — Il di poi mi spaventa.
Ugo — Perchè?
Ebe — Dopo mi disprezzerete ; non mi ame-
rete più.
Ugo — No, Jole. \'uoi che sacrifichi tutto? 11
mio piccolo nido sul lago di Como ? Vuoi essere
tu, la vita, la luce, l'anima di questi venti giorni
di licenza ?
Ebe — No, Ugo, non posso
ergo — Sei crudele (passa un /ungo silenzio^.
pure anche tu sei commossa.
Ebe — Sono giovane anch'io 1 So anch'io .so-
gnare la felicità in un luogo ove tutto è incanto
e sorriso, fra due cuori giovani e amanti !
i 'go — Allora resta ; non ti mancherà il mezzo
di trovare un pretesto per quel vecchio asino.
£l)e — Ugo I non toglietemi l'illusione di poter
essere amata come io vorrei.
Cgo — No mai, mai ! Il tuo cuore non è stalo
43
sordo all'esplosione del mio affetto e lu invano
ti opponi all'impulso del tuo cuore. Ah! io ti
amo!
Ebe — No, Ugo, no ; non mi toccate.
Ugo — Baciami ! baciami !
Ebe — {dhnncolandosi corre al finestrino) Non
vi avvicinate... se... no... (passa un lungo inler-
l'alio. Di poi si trovano seduti entrambi ai lati
opposti del compartimento). E cosi ? che fate lii
giù ? Non vi ho detto di ricantucciarvi là. Perchè
quel broncio ?
Ugo — Non c'è più che un quarto d'or.-i. Pro-
mettetemi almeno che re.sterete con me fino a sera.
Ebe — Perchè volete pensare a questa sera ?
Pensate ad ora. Non avete fatto nulla |)er entrare
nel mio cuore.
Ugo — Che cosa vuoi che faccia qui ? Resta !
Ebe — Per farmi perdere il treno ?
Ugo — Non ho io già perduto la testa ?
Ebe — Pur troppo ! ed inutilmente. Non vi ri-
mane più il tempo di trovarla... bambinone !
L go — Perchè ?
Ebe — Perchè a parte i vostri entusiasmi, siete
il miglior compagno di viaggio che m'abbia mai
trovato.
Ugo — E per l'efietto dell'acqua gelata che hai
gettato sul mio fuoco.
Ebe — Non è stata poi tanta I Poteva evapo-
rare se il fuoco non fosse stato forte.
Ugo — Tu ti fai gioco di me.
Ebe — No, vi prometto di far colazione ■ un mh.
Ugo — Da soli ?
Eòe — Da soli.
Ugo — In un salottino ?
EJ>e — Riservato.
Ugo — Oh ! grazie ! Potrò dunque dimostrarti
il mio valore sul terreno.
Ebe — Però lasciatemi dir\i che un ufliciale <Ii
cavalleria deve sapere combattere in lutti i ter-
reni.
Ugo — Sì ; ma occorre il tempo. Da questo
lato sono un Cwutalor.
Ebe — Dite pure un... Kabio.
IJgo — Non mi m.incherà per questo la tua
stima. Oh ! la rivendicherò.
£l,e _ Non ne avete bisogno. Rispetto le opi-
nioni, ma vi ricordo il proverbio : * Chi ha tempo
non aspetti tempo » i.ti ode il nschùi dstJj T^po-
riera).
Ebe — Di già arrivati ? Dio mio?... Ugo, quale
ansia !
i'go — Jole! un bacio almeno.
^ — No, Ugo.
Ugo — Potrebbe essere l'unico.
Eòe — Ah ! è vero I... povero amico... ma spe-
riamo di no.
Ugo — (mentre H treni) va n/Um/jm/o prcf
le faligie di ' • • '-■ *• ''■•■!■■ >"•• ii<^->>n.i '
44
Ebe — {salutando qualcuno al di fuori i Non
vedo alcuno.
Ugo — Dunque, presto, scendiamo.
Ebe — Presto ? adesso ? adagio anzi ; bisogna
guardare bene. Volete prendermi quella valigia ?
Ugo — Volentieri, certamente. (// treno si è
arrestato. Un vigile apre lo sportello d'innanzi
al quale si presenta un Colonnello di stato mag-
giore).
Colonnello — Ben tornata, Ebe ; hai fatto buon
viaggio {abbracciandola.)
Ebe — (sorridente) Un ottimo viaggio, amico
mio : e lo devo al tenente di Valbianca che
ti presento Mio marito il colonnello d' Es-
chieto.
Colonnello — Fortunato di conoscerlo e di rin-
graziarlo.
Ebe — Ringrazialo di cuore, perchè mi ha te-
nuta allegra per tre ore ; ed io ho avuto la crudeltà
d'invitarlo a colazione.
Ugo — {con le valigie in mano) ! ? !
VICEVERSA
Bozzetto allegro).
— In vettura chi parte !
— Comincia un quarto d'ora prima quell'ani-
male! — pensali tenente Bonetto. Ed intanto pas-
seggia pensando malinconicamente ai sette giorni
di permesso domandati per mandare a compi-
mento un'avventura, e compiuti col mandarla a
vuoto.
La stazione è quasi deserta; e Bonetto continua
a passeggiare pensando amaramente alla caducità
feroce delle umane illusioni !
— In vettura chi parte — insiste da lontano
il vigile.
L'entrata di una signora elegantissima distoglie
il tenente dalle tristi meditazioni: — Come!...
Nora? qui?... è proprio lei... ah! no; ma si...
certo; — e affretta verso lei per salutarla.
Ella con una rapida occhiata dalla testa ai piedi
lo ferma, cagionandogli l'impressione di una porta
sbattuta sul volto.
Bonetto con passo sicuro devia lentamente,
china il capo, si guarda il povero abito civile (il
perfetto figurino di Londra, sei anni innanzi), e
dice tristamente a sé stesso : — Non deve essere
sola ; peccato !
Poi pensa : — Peccato ! perchè ? Ella viaggerà
in prima classe ; il treno è diretto ; il biglietto di
prima classe da qui a Roma costa ventisei lire...
fossi matto ! E poi non sarà sola certamente.
— Ventisei lire per quattro chiacchiere!... e
poi, è inutile pensarci. Non le ho !
— 'In vettura chi parte !
Il convoglio è pronto : la vaporiera sbuffa fre-
mendo : due o tre viaggiatori rurali sono di già
saliti : un fattorino erltra con due valigie e le ri-
pone in un compartimento di prima classe: indi
si presenta alla signora, dalla quale riceve una
mancia, che a giudicarla dalle riverenze deve
averlo sbalordito.
Il colpo dello sportello al chiudersi, dopoché
la signora è salita, si ripete con triste eco di do-
lore nell'anima di Bonetto.
— Il signore parte?
— Si.
— Favorisca il biglietto.
Bonetto estraendo la tes.scra dal libretto ferro-
viario, intravede un biglietto da cinque lire; l'ul-
timo avanzo della disgraziata gita. Una vicenda
rapida di speranza e di rimpianto gli attraversa
il cranio. Il capo stazione è là in fondo e parla
col macchinista. Aflìsrra il biglietto lo stringe con
mossa da giocoliere e dice al conduttore con ària
energica ed intelligente : — Si potrebbe montare
in prima classe?
— Temo di non fare in tempo a staccare un
altro scontrino... e di non avere moneta spicciola.
Il vigile ha percorso in un attimo con un'oc-
chiata tutto l'orizzonte ferroviario; afferra la pal-
lottolina di carta :
— Si accomodi — e corre ad aprire lo spor-
tello dove è entrata Nora.
— Pronti?
— Pronti ! partenza ?
L'ansia del conduttore, la sorpresa di Nora, la
gioia di Bonetto sono assorbite dal fischio, dagli
aneliti, dagli sbattimenti del convoglio movente.
Bonetto sprofondato nella mollezza del divano
di velluto rosso, e nella lettura di un giornale
già letto, ostenta un'attenzione profonda, mentre
Iiensa: — Per quale ragione, essendo sola non
ha voluto riconoscermi? Per l'onesta umiltà del
mio vestito? Non l'ammetto. Nella stascion'e non
c'era nessuno per cui il salutarmi dovesse parerle
umiliante. Non le dirò nulla... se non si scuserà.
Nora — {tosse).
Bonetto — {con gioia, fra sé) Ah I Ah ! siamo
già alla tosse! occorre qualche cosa di i)iù ptr
farsi perdonare ! (la guarda rapidamente e la
trova rivolta al finestrino) Vi punirò con la stessa
noncuranza (e continua la lettura).
Passano parecchi minuti. Egli ode la compagna
di viaggio tossire altre volte, mentre il divano
gli trasìnette fedelmente gualche movimento ner-
voso di lei che. tradisce o la noia o il dispetto.
Sente già la stanchezza di quella lettura vana e
vorrebbe parlare, ma il ricordo dell'affronto su-
bito, di quel disprezzo che io' aveva frustato in
pieno volto, e la visione di quel povero vestito in-
sultato neir onorala vecchiezza, ed implorante ven-
detta e riposo, lo tengono ancora mulo. Chiude il
giornale e lancia un' occhiata a lei.
Lei — {sbadiglia).
Lui — (fra sé) Dunque si annoia; {la gioia lo
invita a prolungare la vendetta) No; non"le dirò
nulla; non la saluterò mai più; nemmeno quando
sarò in uniforme {chiude il giornale e lo pone in
tasca).
Lki — {Lo guarda a traverso la lorgnette).
Lui — {resiste e volge lo sguardo con garbata
noncuranza : però estrae un altro giornale e si
pone ancora a leggere).
Lei — {si alza disturbata dal sole che le incendia
i bei capelli dorati, e tenta abbassare le tendine:
ma o non riesce o finge non riuscire).
Lui — {fi"ge non vedere).
Lei — {cambia posto e si getta irritata sul-
l'altro divano. Pare che il sole alleato a lui l'in-
segna per tormentarla ; è costretta a spostarsi
alquanto verso di lui).
Lui — {gode profondamente : ed intanto senza
nascondere la sua allegrezza estrae una sigaretta
e la pone alla bocca).
Lei — {pensa): Appena l'avrà accesa gli dirò
che il fumo mi fa male.
Lli — {legge, ma non l'accende).
Lei — {passano altri minuti, lo guarda e pensav.
E dire che quando è in uniforme ha dello spi-
rito ! L'abito non fa il monaco, ma fa l'imbecille!
Pare che l'idea si comunichi a lui, perché i'i
quel momento Bonetto scorge che l'abito riflette
al ginocchio per l'uso, qualche raggio luminoso,
e lo costringe a cambiare la posizione delle gainhc.
Lei — {sente il dispetto di quell' indifferenza
convertirsi in un acuto prurito all'estremità delle
dita, in un ardente bisogno di graffiare qualche
cosa e rompe il silenzio): Se vuole fumare, fumi
pure, non mi dà fastitTio.
Lui - Grazie, signora, {inchina prof ondanumte
e si rimette a leggere).
I-Ei — (fra sé) Finge di non riconoscermi. K'
uno stupido permaloso. Che non abbi.! fiamini-
feri ? Sarebbe carina I ( Trae da una valigetta uu
elegantissimo porta-sigarette d'oro unito con ca
tenella ad una scatoletta dello ile s so metallo. JCstrar
una grossa sigaretta e l'accende.
Lui — {sorride al u per finire • del giornale
che ha letto già ben tre volte),
Lei — {fra sé) .Morirai dalla voglia di fumare
se aspetterai che io ti offra il fuoco.
Lti — {getta la sigaretta dal finestrino).
Lei — (fuma con grande lena ; ma ad un tratto
la tosse fTissale. I belli occhi si velano di lagrime.
La pe:zuolina di trine si stringe nulla bocca, lilla
si agita per discacciare il fumo che offende il
volto ; qualche favilla cade accesa sulf abito. f-T
un disastro ! Indispettita getta la sigaretta dal
finestrino).
Li'i — {non s'è mosso, avendola pur guardata
sempre).
Lei — {fra sé) Neanche una.parola quell'asino!
Dio mio ! che pena ?
Lui — (torna alla lettura).
Lei — {precipitandosi sul giornale lo strappa
di mano a lui) Non sentite che ho la tosse !
Lui — {senza scomporsi') Senio, signora, ma
non credevo che la mìa lettura irritasse la vostra
gola.
Lei — La lettura irrita i miei nervi. È stato
il fumo.
Lui — ... che per fortuna non era il mio.
Lei — Sarebbe stato minor male se vostro.
Lui — Forse non vi avrebbe provocato ìa
tosse.
Lei — Le vostre sigarette hanno il fumo che
non irrita? Sono migliori delle wiiie Tokos f Al
lora perchè non me ne avete offèrto almeno
per sdebitarvi della cortesia che io, per prima.
vi ho usato ?
Lui — Che" avete creduto usarmi. Io godo te-
nere la sigaretta alla bocca ; accesa o non, mi fa
lo stesso..
Lei — E la gettate quando la ritenete... fumat.> '
\x\ — No; quando mi annoia.
Lei — È originale fumate come \i.>K-
giate.
Lui — No, no. Tutt'altro. Vwmo mkrognilos,
ma viaggio in pTinia classe.
liEi — Io sono sopratutto gentile. Non Volovo
alludere a ciò. Intendevo dire che come trattate
la sigaretta, trattate le signore.
Lui — Ah !... non le accendo!
Lei — Le si>egnete ! Ma via, scuotetevi su. .u
oendetemi, fumatemi 1
Lui — {Calmo\ Non ho fiammiferi.
Lei — V. allora perchè siete montalo qui ? Non
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mi pare cortese lasciare che una signora si annoi,
specialmente...
Lui — {iìtterrompendold) .Specialmente pe,r me
che non ho l'onore... di esserle conosciuto.
Lei — {pronta) In viaggio non c'è bisogno di
presentazione. È l'uso.
Lui — L'uso non è buona legge quando non
si sa se si abbia a rispettare un incognito.
Lei — Una parola non disturba nulla ; e lascia
sempre alla signora il modo di far comprendere
ciò che desidera.
Lui — Amo non mettermi in circostanze im-
barazzanti.
Lei — Questo vuol dire che un piccolo imba-
razzo non vale il piacere di conversare con me.
Lfi — No, no, sono più gentile di quanto mi
crediate.
Lei — Gentile lo so da tempo. Ma divenite
superbo quando indossate l'abito civile.
Lui - (punto, fra se) Non mi perdona questo
abito ! (a &/) Non mi conoscete ! Sarei assai pic-
colo se un vestito, che uso appena viaggiando,
mi rendesse differente da quando indosso pec
esempio la marsina {fra sé), Dio dei Marsi, per-
donami la sfrontata menzogna !
Lei — Alludevo all'uniforme, la quale vi dà
un aspetto superbo.
Lui — Ah! l'v^niforme?...
Lei — Si, perchè debbo ammettere che il co-
raggio di guardarmi con tanta insistenza alla
passeggiata, e di farvi presentare a me quella
sera al Colonna, e di... salutarmi dì poi sempre...
sorridendo sorrisetti... intelligenti, se non maligni,
e di... perchè non dirlo?... di tentare !a corte:
il coraggio, dicevo, vi venga dall'uniforme.
Lui — No, signora; v'ingannate. Gli è che le
signore accettano più volentieri, credo, il saluto
di una mano ad un berretto risplendente d'oro,
che quello della stessa mano ad un cappello, anche
se di fabbrica inglese — {/ra sé) Cappellerie d'In-
ghilterra non arrossite ! {Guarda il cappello sulla
reticella e vede la targa dell' Unione militare, ma
si rasserena pensando che ella non riescirà a de-
cifrarla). Quando mi feci presentare a voi com-
misi un errore. Voi siete troppo in alto per me,
o troppo in basso sono io da voi. Questo pen-
saste voi ; lo lessi nel sorriso che mi rivolgeste,
e non vi avvicinai più. Ritenni quella presenta-
zione come un omaggio reso alla vostra bellezza
ed alla. mia uniforme; e non ci pensai più.
Lei — Neppure quando mi guardavate al corso ?
Lui — Allora vi guardava come il poeta guarda
la bellezza e la grazia allorché gli passano d'in-
nanzi. Il corso? Non andate voi là per farvi guar-
dare ? E non andiamo noi per raccogliervi, con
poca spesa, soddisfazione e vanità ? L'una e l'altra
con quella briciola di cortese amabilità con la
quale rispondete al nostro saluto ? Del quale <y
siete grate solamente al corso. Fuori da quella
passeggiata non vi importa più nulla di noi, ed
è naturale; ma è naturale anche che noi ci difen-
diamo dalla pietà che sentite per noi e che non
ci nascondete.
Lei — E perchè dovremmo sentire pietà di chi
ci è cortese di un saluto che altri ci nega ?
"Lui — E perchè il cuore vostro è fatto cosi : Voi
non potete ripromettervi nulla da noi, altro che
un omaggio che vi è gradito perchè consacra in
pubblico la vostra vanità. Ma vi rammenta anche
una grave umiliazione. Coloro che più doverosa-
mente dovrebbero rendervi questo omaggio ve lo
negano, ricordandovi che se non coltivano il vostro
orgoglio, coltivano il vostro facile lusso!....
Lei — Che cosa dite mai ?
Lui — ... lusso, che per noi socialisti dell'amore
è semplicemente insultante!
Lei — (spaventata comicamente) Questa frase
è anarchica, e non mi avete davvero l'aria incen-
diaria ! Meglio così se sono aristocratica.
Lui — Quindi non c'intenderemo mai I
Lei — Perchè ! anzi dovremmo intenderci. Di-
cono che gli estremi si toccano... ma voi volete
smentire anche il proverbio. Debbo riconoscere
che non mi avete toccato neppure la punta di un
dito.
Lui — Né vela toccherò mai ! L'amore, come
voi l'intendete e professate, è privilegio di una
classe: l'amore come io l'intendo è un aposto-
lato. Perchè sono montato in prima classe io oggi ?
Lei — Per la briciola ?
Lui — No.
Lei — Per la propaganda dell'apostolato ?
Lui — Forse. Certo per dimostrarvi che se il
vostro vestito non fosse inglese puro, e i vostri
orecchini non fossero purissimi brillanti, e i vostri
guanti non arrivassero al cubito, e il piedino che
ijji mostrate da mezz'ora non fosse racchiuso in
quella calza dì seta, ed in quello stivalino di bul-
garo voi non sareste una prima classe, ma una
seconda, ed io non vi avrei mai neppure osservata,
perchè ognuno potrebbe montarvi per viaggiare...
male. Dunque vedete bene che in amore, a p.-^rte
la differenza della stoffa che copre il divano, la
classe dovrebbe essere, come è unica.
Lei — Già, come un treno di piacere.
Lui — E l'amore non è un treno di piacere?
Nessuno commetterebbe per la moglie le corbel-
lerie che si commettono per un' amante, come
nessuno affronterebbe in un treno ordinario cosi
stoicamente il disagio che si soffre sotto la qua-
lificazione di treno ^i piacere.
Lei — Hanno però il vantaggio dei ribassi.
Lui — L'ultima cosa a cui si bada.
Lei — Dalle vostre pretese di modestia non
si direbbe.
Lui — Le mie parole non vogliono esprimere
che la ribellione. So anch'io del resto {si guarda
il brillante al dito con ai-ia distratta\ sacrilicare
qualche biglietto di banca ad un capriccio.
Lei — {avvertendo la distrazione) ma voi
nelle dita preferite la prima classe?
Lui — Questo brillante ?
Lei — Certamente, il quale è molto bello.
Lui — Peuh ! un regalo.
Lei — Se non regale, principesco.
Lui — E' infatti il ricordo di una principessa
russa.
Lei — Della quale voi foste un capriccio ?
Lui — Un capriccio ?! Eravamo ben più in alto
dalla volgarità di un capriccio! Figuratevi, una
esiliata per nichilismo.
Lei — E... principessa?
Lui — Principessa.
Lei — Nichil...
Lui — ...ista.
Lei — Di molto tempo?
Lui — Quattro o cinque anni al più.
Lei — E' interessantissimo; raccontate.
Lui — [fra sé : Coraggio! i Una donna in tutta
l'estensione dell'idea. Bellezza, grazia, forza! Mi
amò perchè intravide, o credette intravedere in
me l'uomo che avrebbe portato sul freddo cospi-
rare del suo sangue, della sua vita, tutto il sole
di un'anim.T meridionale!
Lei — Siete napoletano ?
Lui — No, siciliano.
Lei — Raccontate, raccontate !
Lui — Eh! mi comprenderete ? Mi amò fino al
delirio, fino alla ferocia ! Il nostro amore attra-
versava contingenze dolorose, vicende strane!
Nelle nostre anime passavano talvolta le gelide
ventate delle sue steppe, di quelle steppe ove ella
possiede migliaia e migliaia di verste in quel
tempo confiscate, o tal'altra le fiamme ardenti del
mio Etna ! Nei nostri abbracciamenti, nei nostri
deliri balenava talvolta il sinistro bagliore di un
pugnale, o l'occhio truce di un poliziotto russo.
Negli abbattimenti del sonno ove cadevano lan-
guenti le nostre teste, un piccolo rumore ci terro-
rizzava. Una zanzara talvolta ha preso l'aspetto
di una spia russa.
Lei — [commossa sinceramente) Ah ! è bello, è
grande !
Lui — {fra sé: Forza!) Due anni di spaventi
e d'incanti; di gioie e di terrori. Due anime
che se non, fossero state le nostre, avrebbero da
quelle altezze ove l' amore ci traeva, cercato
un solo rifugio : Slanciarsi così abbracciate nella
morte.
Lei — E invece ?
Lui — Ed invece la vicenda politica mutevole
come il cuore della donna, restituì a lei beni,
nome ed... anche il marito.
Lei — {vivissima) E voi ?
47
I.ui — ...ed io penso a lei, guardando triste-
mente all'arido deserto che mi circonda.
Lei — {esaltala) Ah ! deve essere bello sentirsi
amare così !
Lui — ...da chi sa amare cosi.
Lei — ... ah! vorrei anch'io e.ssere amala ni-
chilisticamente.
Lui — Con l'esercizio potremmo anche arri-
varci.
Lei — (raffreddandosi) Eh no, purtropjK) ! Il
nichilismo è finito ! Voi non siete che un anar-
chico, e l'anarchia manca di fascino! Non ha la
poesia della persecuzione, del martirio ! Il domi-
cilio coattosurrogato all'esilio, alla confisca, puah!
.Ma la Siberia ! (esaltandosi. Ah ! la immensa, la
gelida, la tenebrosa Siberia! dov'è?
Lui — Se voleste fare con me là un viaggetto
di piacere, vi accompagnerei volentieri.
Lei — Tornerei nichilista, lo sento!
Lui — E perchè non vorreste meco tentare
sino da ora un corso di dilettante nichilista.
Lei — Odio le teorie, \e parole, amo..-, la
Lui — Niente niente teoria, tutta pratica.
Lei — (tornando in terra) Ah ! sempre la vol-
gare realità! Potevate lasciarmi nel sogno.
Lui — {avvicinandosi , le prende una mano e
l'accarezza) Continuate a sognare.
Lei — No, no {rilira la mano) Io amo sola-
mente colui che sa gettare per un mio capriccio
un biglietto da hiille, con la stessa facilità con la
quale voi gettate dal finestrino una sigaretta non
anche accesa.
Lui — E chi vi ha detto che io non la sappia
accendere con un biglietto da mille ?
Lei — {con aria poco situerà) Non ne dubito, •
e tanto meno sapendo che non avete fiammiferi,
ma altra cosa è accendere una donna.
Lui — Voi avete confessato che posso accen-
der\'i con lo stesso biglietto vile. Ed io non voglio
invece farvi quest'offesa. Ah ! accendervi come
una sigaretta ! mi parrebbe di spegners-i.
Lei — No, voi siete* montato qui per conqui-
starmi dicendomi spiritose scortesie. E bene og^i
sistema è buono... quando riesce. Io sono gene-
rosa e vi confesso che siete riuscito ' ìtii.t, <.
sarmi.
Lui — Col biglietto da mille !
Lei — Con la facilità con la quale lo gettate.
Lui — {plinto^ Dopo avere esaurito i mille la-
sciatemi da papà, ora attacco adagio adagio quelli
di mammà.
Lei — E dopo?
Lui — AV aprés... le deluge.
Lei — E bene, vedete, quando si tnitta di sim-
patia, perchè, a parte U nuovo milione che state
per cominciare, voi mi siete sempre stato sim-
patico... no, non vi movete cosi presto...
Lui — Via, Nora, sentite, lasciamo questo voi-
gare argomento del denaro. Io accarezzo questo
soglio da 1111 anno! Ora l'irresistibilità s'impone
ed io l'affronto! Voi lo sapete che da un anno
vi adoro !
Lei — ? !
Lui — Non mi dite una parola ?
Lei — Io adoro (jual brillante... nichilista ri-
dendo).
Lri — Ah ! siete di una brutalità meravigliosa!
Ma del brillante non ne parliamo^ E' il raggio
di un ricordo che vale più della mia vita... do-
mandatemi tutto! un cavallo piuttosto ! ' fya sé:
Sant'Antonio, perdonami, e fa che quel povero
brocco guarisca dalla cronica zoppial)
Lei — Avete bei cavalli ?
Li;i — Sì, non c'è male (fra sé: Forza ! per
l'ultimo colpo). Ho uno splendido hunler, che
serbo esclusivamente per le caccie alla volpe: ho
Black, che tengo solo per le corse ; ho il poney
che attacco, ed ho un brutto ma robusto cavallo
d'un migliaio di lire per il servizio (fra sé: Amici
perdonatemi se in questo supremo cimento mi
approprio i vostri cavalli!)
Lei — Sapete che da un mese ho una passione
sfrenata per i cavalli; da una settimana prendo
lezioni di equitazione.
Lui — Sono felice di offrirvi il mio hunler per
la passeggiata, o se volete per la caccia.
Lei — Davvero ?
Lfi — Ve lo prometto. I3a questo momento
è a vostra disposizione, [fra sé : Cuore, non tre-
mare;.
Lei — Siete molto gentile, ve ne ringrazio.
Li'i — Dunque?...
Lei — Dunque?
Lui — A quando?...
Lei — Che cosa ?
Lui — La... stipulazione.
Lei — ... della conquista?
Lui — Questa sera ?
Lei — No, domani. Questa sera m'è impos-
sibile. •
Lui — Allora a domani. Grazie ile bacia la
mano).
Lei — Aspettatemi all' una al Colonna: Verrò
a colazione.
Lui — {/renando un' acuta puntura All' una
sarò al Colonna, non dubito della vostra parola.
Lei — Non ve lo prometterei. ..ma ad un patto...
Lui — Quale ?
Lei — A Monterotondo cambierete comparti-
mento. Mi lascierete sola. Non devo destare so-
spetti.
Lui — Tutto quello che vorrete. .\ndrò a so-
gnare in seconda {il treno rallenta: Monterotondo!
Monterotondo!)
Lui — [alzandosi] A domani.
Lei — (sincera) All'una... conquistatore!
Lui — ... seduttrice...
— Monterotondo ! Il signore scende ?
Lui — Sì, cambio compartimento. Il fumo in-
fastidisce la signora.
(// conduttore gli largisce un sorriso intelli-
gente].
Lui — Grazie.
(// conduttore F introduce in una seconda classe
e mette P animo iti pace).
— Pronti?
— PartenzaT
« Otto giorni dopo »
Sabato, i... 19...
Sabato scorso in casa vostra dicevate che avreste
voluto essere un re delle antiche favole per farmi
un trono dai gradi d'oro... e tar.te cose vera-
mente belle, veramente ben dette, trovaste in
omaggio se non alla mia bellezza, alla mia va-
nità.
Vi dissi che dovevo recarmi dalla sarta, e che
avendo dimenticato il portabiglictti m'era neces-
sario tornare a casa... e voi gentilmente... man-
daste a chiamare una vettura... perchè non mi
stancassi a piedi.
Anche dissi che avrei profittato della vettura
per una quantità di spesucce che avrei fatto vo-
lentieri in vostra compagnia... e \t)i mi offriste
un'altra sigaretta squisita, ma mi diceste, accom-
pagnandomi che il giorno dopo vi sareste recato
a fare una visita al vostro banchiere, e poi sareste
venuto... dirò così... a restituirla a me.
Ora io tremo pensando che do^u la visita al
banchiere, abbiate per distrazione acceso col bi-
glietto da mille un'altra di quelle squisite sigarette.
La sarta incalza ripetendo che la toiUtle è
pronta, ma non la consegnerà se io non le man-
derò almeno trecento lire, che voi potrete con-
segnare al latore di questa lettera.
Vi dò la mano da baciare ; la piccola mano
che sabato, solcandovi i capelli, vi cagionava
vertigini.
NoR.\.
Sabato a sera.
Bellissima e adorabile Nora,'
Vivevo da otto giorni nell'azzurro continuando
ed eternando con la fantasia addormentata in un
molle languore, quel portentoso sogno di tre ore;
dimentico, ignaro, inconsapevole di ciò che mi
circondava.
La vostra letterina giunge e mi desta, e mi
richiama alla realtà.
Ah ! il nauseante denaro ! Io provo in questo
momento, insieme con voi, il disprezzo più pro-
fondo su quell'ignobile sarta che vi tormenta per
trecento misere lire!
Scrivetele, e domandatele come mai non s'ac-
corge che ribassando i suoi prezzi ad un terzo
essa mette in liquidazione il suo commercio.
49
E punitela non ricorrendo mai più a leil...
Ed ora prendo la manina che mi porgete ; la
porto alle labbra, e mi addormento nella réverie,
da cui la vostra lettera m'ha per un istante, pur
anche dolce, distolto!
eternamente deiolo
BOXKTTO.
ARNALDO LAMBERTINI
^^
XIII.
UN RAGAZZO DEI "MILLE
iDal racconto d'una Signora.
Allora andavamo all'Ospedale dei SS. Apo-
stoli in due o più signore, per visitare ed assi-
stere i feriti garibaldini.
Oh! v'assicuro che non lo facevamo per va-
nità di metterci in evidenza, dopo l'opprimente
regime familiare de' tempi borbonici, tutt'altro !
ci soffrivamo assai in mezzo a quegli agonizzanti,
laceri in più parti del corpo ; soffrivamo tanto
che, tornate a casji, addio voglia di pranzare,
addio riposo, addio sonno! Gli è che noi non
avevamo la fibra virile delle donne lombarde o
piemontesi.
« — Bell'eroismo! — » dicevamo fra noi, sra-
gionando — « quelle si lanciano coraggiosamente
nelle corsie degli ospedali, noi, invece, senza
coraggio, vi andiamo lo stesso. »
Il primo ribrezzo da sormontare ci faceva dire
qualche corbelleria: le nostre sorelle d'Alta Italia
potevano far meglio e più di noi. perchè con-
servavano la calma là ove noi tremavamo.
Quando la prima volta mi risolsi d'andare al-
l'Ospedale, fui spinta a farlo da una vera
loina, Madama O. M., di Francoforte sul Meno,
che, di poi, a Napoli, s'è messa sempre davanti
a tutte in qualunque pubblica calamità.
Veggo ancora quella sua bionda figura tedesca :
lunga, ossuta, andare intrepida per le corsìe, se-
guita da' suoi due lacchè, carichi d'ogni sorta
di roba, d'ogni specie di soccorsi.
Campassi cento anni ancora, non mi potrebbe
mai uscir di memoria il primo giorno nel quale
entrai nell'ospedale de' « SS. Apostoli ».
Era il principio d'ottobre dell'anno iS6o, qualche
giorno dopo la battaglia del N'olturno. I feriti
venivano a carri da Maddaloni, da Capua. La
città era come in fermento, ad aspellar, trepida,
finché le prime notizie di vittoria non arrivarono.
Allora scoppiò dappertullo il più frenetico entu-
siasmo. Ricordo, come in sogno, le principali
vie gremite, assordate da gente enfatica, ardent' .
commossa, che urlava, che abbracciava le prlnn
camice rosse giungenti dal campo, e le bandiere
a sventolar gaie dai balconi, dalle finestre, da
ogni buco. In via Toledo, era uno spettacolo
che non si vedrà mai più!... In quella p.^zza
agitazione, i canti patriottici parevan la sola voce
umana che erompesse da migliaia e migliaia di
petti; un sol nome, allora, faceva battere ogni
cuore, inumidire ogni ciglio, accendere di esal-
tamento tutte le fantasie: il nome del « Generale ■ '
Quando misi il piede nella prima corsìa di
SS. Apostoli, un senso più forte della paura,
un'impressione di raccapriccio sta>a per respin-
germi fuori. Lì dentro, era un'inconcepìbile con-
fusione. .Attraverso alla semioscurità che veniva
dai finestroni, rispondenti nelle sudice viuzM
del basso Napoli, si discerneva il rosso delle ca-
mice che giravano fra i letti, che andavano ptr
ogni dove; ed era un gran vociare stentoreo,
che accompagnava l'incedere pesante di quei co-
lossi sul piancito di marmo della corsia.
Poi, mentre la mano dell'amica mi manteneva
ferma sotto l'uscio, dovetti distinguere i letti
che s'allineavano lungo le pareti, iK>p<^i"' ■' >
facce che parevan fossero allora uscite .!
taglia, emergenti tragiche sulla bianch-
guanciali. Erano occhi lucenti di febbre, erano
ciere esaltate dalle memorie della battaglia. >.■
dai patimenti cW eroicamente sop|X)rtavano :
barbe lunghissime, bafii folti, ciglie aggrottate.
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contrastanti con la lividezza delle guance di
quei prodi, che comprimevano i dolori, o col
tristo color cereo degli altri a cui restava poco
da vivere.
— Caraccio, qui è il posto iella lonna!
Era la voce di Madama O. M. ; ed io, cercando
di guardare il meno possibile intorno, posi il
mio sotto il suo braccio, e si principiò la visita
d'ogni letto.
Un titano barbuto, ccn la fronte fasciata,
sclamò, nel vederci :
. — Gridate prima : « Viva Garibaldi » !
— Vifa Caripalli! — strillò la voce esile del-
l'amica.
— Ammazzatela! è una tedesca! — urlò quel-
l'arrabbiato, figgendo, come due carbonchi rossi
di fuoco, i suoi occhi in faccia all'amica, che di-
venne pallidissima; eppure, seppe subito rispon-
dere serenamente, mentre da tutti i letti veni-
vano sridà minacciose :
. — Sì, amico ìiiio, una tetesca, che at(f)a il
/ostro Cenrale 1 che fi /noi pene, e che fieiie a
soccorrerfi !
— Niente da lei ! — insistè l'altro, voltandole
le spalle.
— Allora lalla mia antica, che è napoletana.
Incominciai a tremare, ma colui, rivolgendosi,
mi guardò urlando :
— Si, si, da quella si!... Viva Napoli!
E tutti in coro :
— Viva Napoli !
— Viva Garibaldi ! gridai io stessa, senza po-
termi spiegare Oi'e la sùbita esaltazione me ne
avesse fatto trovare il coraggio.
iMa, presto, tutti superarono la repulsione per
la Tedesca, che divenne il buon genio dell'Ospe-
dale.
Il giorno appresso, entrai in S.S. Apostoli con
minor ribrezzo, pareva che tutte quelle figure
di gigante.schi combattenti mi avessero rifatto
l'animo.
Giungevano gli ultimi feriti, i più gravi.
— Dobbiamo assisterli tutti insieme, ma poi
dovremo sceglierne uno più bisognoso di cure,
e menarcelo a casa — diceva Madama O. M.,
e già designava al capo dei chirurgi l'erculea fi-
gura d'un veneziano, che fu disceso nella carrozza,
e portato a casa M.
-^Anch'io dovevo sceglierne uno; né mi sapevo
ancora risolvere; allorché portarono nella corsia
l'ultima spedizione che giungeva dal campo.
Guardai i nuovi feriti, ed uno stupore grande
mi prese, nel fissarne uno.
— E una donna ? domandai al chirurgo che li
accompagnava.
— No, é un ragazzo di diciassette anni.
Disteso nella barella, col capo abbandonato.
, inerte, pareva un cadavere. Bianchissima la pelle;
cerea nel viso, quella figura di madonnina aveva
risalto dai fiotti di capelli rossi che gli si spar-
pagliavano per la testa e lungo il collo. Anche
le ciglie eran rosse, e nessuna peluria gli si ve-
deva sul labbro e sul mento.
Mentre il dottcfre mi parlava dello stato gra-
vissimo di quel ragazzo e dell'impossibilità di
amputargli la gamba destra, da cui la palla non
s'era potuta estrarre, sia perchè penetrata nel-
l'inguine, sia pel suo temperamento linfatico,
il ferito aprì gli occhi azzurri come quelli d'una
bambina.
Io mostrai il desiderio di portarmelo a casa,
ma il chirurgo me lo sconsigliò energicamente,
assicurandomi che il resto della vita di quel di-
sgraziato, sarebbe stata una agonia lunghi.ssima.
— Ella sarà ugualmente pietosa avendone
cura qui.
Dovetti cedere, e, presto incominciai a vigilare
il ragazzo, aiutata dalle suore di carità, alcune
delle quali erano già state mie maestre, quando
ero nell'educatorio.
Non appena lo potette, il ferito principiò .\
parlare, con una voce esile, di bambina.
Era di Parma, figlio d'un negoziante ricco e
si chiamava Vincenzo Ferretti. .'Xveva voluto
arrolarsi per vedere il Generale, e moriva senza
averlo visto; ne era inconsolabile. 11 padre si
era riammogliato, ed egli ave«a dovuto lasciarlo,
perchè soffriva troppo a vedere un'altra al posto
della mamma morta. Dacché era partito coi Ga-
ribaldini, il padre gli aveva scritto una sola volta,
per maledirlo.
— E adesso sarà contento della fine che faccio!...
Sa, signora? ho fatto anch'io il mio dovere come
gli altri. Ero trai primi, avanti, avanti a tutti...
e il Generale non l'ho visto. A casa, ho le so-
relline piccole... oh. se babbo me ne volesse
mandare almeno una!... Ma già! egli non mi
perdonerà neppure adesso!...
E piangeva, piangeva in uno stato d'indebo-
limento che faceva male a vedersi mentre gli
altri lo guardavano con un senso di antipatìa,
che egli non sapeva trovar coraggio nelle ultime
sofferenze; ne aveva avuto quanto gli altri un
momento solo, è vero, ma il più utile. '
Il giorno seguente, gli portai certe camicie di
tela finissima, perché quella sua pelle bianca t-
levigata mal sopportava la tela da strofinacci
dell'ospedale, e misi nel mio sacchetto tanti-
altre cosucce che egli mi aveva chieste.
Ferretti se ne mostrò contento come un fan-
ciullo, e, con la mia mano fra le sue, riprese a
raccontarmi di Parma e della famiglia.
Scrissi al padre, narrandogli a lungo del tìglio.
ed il padre mi rispose addolorato per le notizie,
mandando del denaro ed il perdono per Vincenzo.
Il povero ferito fu cosi contento quando gli
portai la lettera!
Nel di appresso, lo trovai in una ben triste
condizione. Tutti i feriti intorno al suo letto,
brontolavano perchè Ferretti non sapeva star
tranquillo ed incomodava i vicini.
— È un guaio 'sto ragazzo! si lamenta di
giorno e di notte come un pulcino bagnato, né
si risolve a morire !
E qui un diluvio di parolacce. Io gridai perchè
non lo maltrattassero, feci il possibile per im-
pietosirli, ma vi riuscii poco.
— Van via tutti! — mi diceva lui, con voce
più fievole del consueto. — Tutti se ne vanno, o
guariti, o morti. Quanti ne muoiono!... Quanti !...
All'alba, viene il carrettone, e ve li gettano
dentro alla rinfusa come bestie!... senza cissel...
senz'altro!... Ma io, li dentro, non ci voglio an-
dare, a quel modo!... Me lo promette? Mi
promette che mi farà costruire...
Avevo un bel ripetergli che guarirebbe!
Pochi giorni dopo, fra gli inservienti e le
suore, era un grande affaccendarsi, per render
pulite le corsie, per metter ordine ai letti, af-
finchè nell'ospedale tutto avesse un aspetto meno
squallido.
Ai pochissimi feriti rimasti, s'eran mutate le
lenzuola, le camice; pareva li avessero apparec-
chiati per una festa. Avevano lustrato financo
il pianato di marmo.
Due chirurghi andavano su e giù, impartendo
ordini.
Che cosa avveniva?
Avrei dovuto comprenderlo dalle fisonoinie
raggianti dei feriti, da quella vita nuova che li
aveva animati subitamente.
Ferretti medesimo pareva rinato, gli brilla-
vano straordinariamente gli occhi ed un po' di
roseo gli era comparso sulle guance smagrite.
— Signora!... signora, lo vedrò finalmente!
era da tanto che non lo speravo più... — sclamò,
con una strana animazione nella voce.
— Ma chi... chi vedrete?
— Il Generale!
Garibaldi aveva voluto visitare S.S. .Apostoli.
Da lì a poco, fuori, risonarono rumori _di scia-
bole e voci concitate, rispettose, mentre, nella
via, si sentiva l'eterno grido della folla entu-
siasta, che sempre accoriipagnava il Generale.
Una suora mi fece entrare in un camerino
posto di fronte al letto del mio ferito, d'onde,
inosservata, avrei vista tutta la scena.
Difatti, Garibaldi, accompagnato dal suo stato
maggiore, incominciò la visita degli ultimi letti
che erano rimasti abitati. Ma finché non giunse
a Ferretti, io non potei discernerlo bene; vedevo
un grande scintillio d'armi sul rosso vivo delle
camicie e sul bianco dei mantelli : nient'altro.
Finalmente, dopo che si fu trattenuto a par-
lare a lungo con ciascun ferito, arrivò al capez-
zale (ti Ferretti. Allora potei vedere Garibaldi,
per non dimenticarlo mai più.
Quella sua stupenda .figura m'è rimasu im-
pressa nell'anima, e di là l'evoca la mia memoria.
Adesso è come l'apparizione in un sogno: i
tratti del viso di quell'eroe (|uasi leggendario,
mi tornano alla mente per commuovermi. Per
me, -la splendida aureola circondante quella testa
bellissima di belva generosa, è inseparabile dal-
l'immagine dell'eroico condottiero.
Egli s'avvicina, pietosamente benevolo, parla ;
io fendo l'orecchio, guardo, e... Miracolo! è un
miracolo: Ferretti si leva a sedere (d'onde ne
ha trovata la forza?) e si preme sulle labbra la
mano di Giuseppe Garibaldi, che la rilira presto.
— Son giovane, son tanto giovane, e debbo
morire! — gli dice. — Ieri me ne addoloravo,
oggi non più, perchè l'ho vista! Ero fra i primi,
sa. Generale? fra i primi, e son caduto innanzi
a tutti, gridando il suo nome!... Mi vuol bene.
Generale?...
— Sì, si, figlio mio!... — E la voce armoniosa
di Garibaldi tremava, nel domandargli poi : —
Come ti chiami ?
— Vincenzo Ferretti, e son nato a Panna.
— Dimmi, Ferretti mio, che cosa potrei fare
per te? Chiedimi qualche cosa, figlio — riiietè.
sedendoglisi al capezzale.
— Vo' morire con la sua sciabola accanto.
- Sì, figlio mio, eccotela. — E .-^e la tolse
per mettergliela allato, sulla coltre.
Ferretti pareva trasfigurato, e volgeva gli occhi
intorno, per convincersi che non sognava.
— Oh, veli? chi t'ha data la bella camicia che
indossi? e questo fazzoletto coi ricami? — gli
domandò, sorridendo, Garibaldi.
— La mia liiamma,. quella che qui è la mia
mamma, una signora... se vedesse!...
— 1^ vo' vedere per ringraziarla.
— Non c'è più, è andata via. Credo che avesse
paura di lei.
— Orsù, coraggio. Ferretti mio, coraggio che
guarirai !
— Eh, no che non guarirò!
— Sì, figlio mio, ti leverai... Ma •
qualche altra cosa... chiedili» al tuo genei.
gli farai piacere.
— Ebbene... voglio un bacio da lei.
11 Generale si curvò, e strinse lunp r
Ferretti fra le braccia, baciandolo, chi.ir
52
« figlio suo ». e quando si rizzò - lo attesterei
davanti a Dio, perchè lo vidi coi miei proprii
occhi - Garibaldi aveva pianto.
Egli nell'allbntanarsi, si volse pep additare ad
uno del suo seguito il letto del mio ferito, e gli
disse :
— Coloro che succederanno a noi, potran mai
immaginare guanto ne costasse- la redenzione del
nostro paese?
E si rivolse per guardare ancora una volta Fer-
retti, che giaceva supino, privo di sensi, con la
sciabola del suo Generale fra le braccia.
« *
Quando Ferretti rinvenne, mi tru\ó .-.edula al
suo capezzale.
Un resto di quella galvanizzazione, che gli
aveva dato l'esaltamento, gli tornò nel parlarmi
di Garibaldi., di ciò che gli aveva detto; mentre
io gli assicuravo df aver tutto veduto ed inteso.
— E perchè non s'è mostrata!' perchè mai
non è venuta? Oh, signora, quanto rimpiangerà
di non avere stretta la mano del mio Generale!...
Ed aveva ragione, difattil
— Senta — continuò egli, pel ritorno di im
pensiero che lo tormentava dal, 'li innanzi. — '
Ora io posso morire: un'ultima grazia soltanto
debbo chiederle, ma prima ella deve promettermi
di accontentarmi.
Glielo promisi.
— Io non voglio andare, come gli altri, nel
« carrettone », nudo, senza un cencio... ella n\\
deve far costruire la bara, ove, morto, m'inchio-
deranno con la sciabola del mio Generale... no, no,
faccia a mio modo, senta, noi metteremo la cassa
.sotto al letto, ed io le giuro che morirò in pace.
Fu inutile, mi ni/n .-.,niMi.,^v < m.>lto, ed an-
dai via.
E non ero sola a soffrire quella forte commo-
zione da circa un me.se. Accanto a me vi era
una buona creatura, meridionalmente entusiasta,
pietosa, nell'ingenuità dell'anima, per quel pic-
colo eroe, che agonizzava all'ospedale cosi mi-
seramente. Era la mia cameriera, Angelica: una
ragazza di sedici anni, clie menavo ogni giorno
con me a SS. Apostoli.
Ella, una sera, s'indugiò fuori oltre il consueto.
— Dove sei stata? — Capii guardandola meglio;
aveva gli occhi rossi. — Che t'ha detto?
Non potette parlare, scoppiò a piangere.
La sera seguente, dopo la stessa scena, riuscii
a strapparle di bocca che il chirurgo le aveva
permesso di portare' il gelato a Ferretti, e che
quell'infelice ne era cosi contento!...
— Bene — le dissi una terza sera, mettendole
in mano dei soldi — Angelica, eccoti la moneta
pei tre gelati, ed anche per l'altro di domani.
— Ed ella arrossendo, posò il danaro sul mio
tavolino.
— Che significa ! quello è il dono che fa una
poverella come me al povero ragazzo. Voi signo-
■*ina, non ci dovete entrare!
Me l'abbracciai.
Fui per un paio di settimane in campagna. I
medici mi Vi costrinsero, perchè le scene dell'o-
spedale m'avevano rovinata la salute. Ma anche
li lo spettacolo del morente m'era sempre dinanzi
agli occhi.
Il giorno seguente al mio ritorno a Napoli,
vennero a dirmi che in sala aspettava un infer-
miere de' SS. Apostoli. Credetti venisse ad an-
nuilzìarmi che il mio ferito era morto; ma m'in-
gannai. l'"erretti era ancora'vivo, e si lamentava
perchè non mi aveva più veduta. Mi voleva ve-
dere assolutamente per l'ultima volta.
— È sempre inquieto perchè dice che, morto.
noi lo getteremo nel « carrettone » ; s'è fis-
sato in t|uesta idea, e ii^ssimo può rimuovernelo.
Chiede un'ultima grazia da lei: una grazia ch'ella
gli ha sempre rifiutata : la sua bara, vuol veder-
sela sotto al letto, per morir tranquillo. Lo faccia
contento, venga per l'ultima volta e sarà proprio
u'na carità la sua !
Diedi ordine per la bara, ed .indai, il giorno
dopo, nonostante le preghiere dei miei.
Rammentandomene, sento ancora l'impressione
di raccapriccio che mi colse in rivedere Ferretti.
Egli era ridotto come un mucchio d'ossicine
ingiallite, e, del capo, che gli avevano coperto
con un grosso fazzoletto a colori, per l'umido
dell'Ospedale, si scorgevano solo gli occhi grandi,
velati, senza più luce.
Con uri fil di voce, che pareva un belato atlio-
chito, egli diceva all'infermiere :
— É la mia signora bella?... Nettatemi gli
occhi, che non la vedo!
Poi si persuase di non poteftiii veder più, e,
dopo che m'ebbe ringraziata afiettuosamente per
la bara, volle un bacio. Io feci forza a me
stessa... vinsi il ribrezzo, e... l'impressione di
quella frónte sulla mia bocca, mi ilà ancora un
freddo nel cuore.
La notte appresso, mori rultin\o ragazzo dei
« MlM.E ».
Lo feci chiudere nella cassa, con la sciabola
del suo Generale stretta sul cuore.
Xapoli, I Ottobre iSH-
AMILCARE LAURIA.
XIV.
GLI UOMINI ROSSI.
CAPITOLO XII.
Nel quale si vede come Madonna Luna si diciiiarasse
.nemica di Monsignor Rutilante.
<'«:"a bocca rossa e dei piccoli denti perlacei,
chiese piegando leggermente il capo ad invito :
Poi una chiara mattina, tanto chiara che il Vogliono venire?
lontano mare tutto si rivelava a l'orizzonte, pieno _ Eccoci - rispose Manso Liturgico, e si
di scintillìi come una immensa corazza di metallo avviarono.
brunito che ripercotesse il sole, il cane da guardia Dalla casupola di Èrla alla porta del castello.
abbaiò con tale insistenza che Èrla e Giasmin chiusa ora da enormi battenti che avevano so-
uscironoe si trovarono di fronte- Europa e Di- stituito le antiche saracinesche, correva una viot-
dino- tola mal selciata, fra due basse siepi di canne
Sono loro gli sposi? — chiese sorridendo Erla. e lunga forse duecento metri, in salita. Innanzi
I fuggitivi si guatdarono negli occhi e Didino a l'entrata del castello era una spianata alla quale
rispose:. * faceva corona una duplice (ila di cipressi e di
— Sì. abeli.
— Allora si accomodino. Li aspettavamo. Ho Giasmin corse innanzi. Scalza com'era, pareva
preparato quattro stanze vicino alla torre di uno scoiattolo per quelle balze : si affrettò ad
destra : vede? quella là.- Sono le migliori e ci si aprire la gran porta grigia, tempestata di borchie
troveranno bene. rugginose come l'armatura di un gigante.
Veclendo poi che gli sposi novelli non rispon- Introdusse la chiave, fece forza pieg.indo la
devano, pensò che l'oscura mole del castello persona, girò gli ordigni ch'ebbero stridori acuti,
incutesse loro timore sicché soggiunse : .sostò guardando se gli sposini giungevano, poi
Oh! non ci sono gli spiriti, è vero Giasmin? appoggiando le braccia e il torso, spinse la porta
Xon ci sono gli spiriti glielo assicuro, lo ho dor- che cigolò e si dischiuse.
mito sola, al tempo de la povera marchesa lerò Ritta ora nel gran vano luminoso, con la sua
ancora ragazza e ne sono trascorsi degli anni!^ bella corona di capelli rossi, attese gli adolescenti
ho dormito sola nella stanza dei quadri. Dicono, che salivano l'erta.
è vero, che nella notte si sente urlare e si vedono Entrarono in un vasto cortile chiu.so da un
fantasmi su tutte le torri, ma non diano ascolto. lato da una torre; negli altri tre lati correva un
Noi non abbiamo veduto niente, ed è un pezzo portico oscuro. Le mura si levavan diritte e
che si vive quassù. grigie; rosse in alcuni punti, dove l'opera inu-
Del resto — soggiunse — se hanno paura raria era in mattoni. Percorsero un andr^Mn-,
\"uriòl dormirà nel castello. chiuso da saracinesche : sbucarono in un conila ito
— Oh! non importa! — fece Didino punto meno grande del primo; volsero a destra ; s.v
sul vivo. una scala a chiocciola e furono in un.i tt r
— 'Non importa — sussurrò Europa. — Dalla parte del mastio non si p,-issa -
— Allora, Giasmin, va a prendere le chiavi Giasmin rivolgendosi — |>erchè la scala è peri-
ed accompagna i signori nelle loro camere. colosa.
Giasmin, ch'era rimasta tutta compresa di am- Traversarono una grande stanza pien.i ■
mirazione e di gioia e s'era ferma a guardare ritoie e di spiombatoi, ridiscesero, videro i
senza batter ciglio, alla chiamata della madre si cortile.
riscosse e andò e tornò in un battibaleno recando — Ma questo è un labcrinto ! — esclamò Di-
un gran mazzo di chiavi rugginose e dismisurate. dino.
Si fermò innanzi a Didino e, con un bel sorriso — Siamo giunti ! — rispose Giasmin. -
indicando con la mano : — Ecco la scala —
riprese.
Sotto un arco a sesto acuto, adorno di quattro
colonnette appaiate, si intravide la bella scala in
marmo, ricca di eleganti balaustrate, della quale
saliron due rami e furono innanzi ad una porta
dorata che Giasmin dischiuse facilmente.
— Aspettino ; apro le finestre — disse Giasmin
entrando. Udiron nel buio lo stopiccio dei pic-
coli piedi nudi, sul pavimento; giunse loro un
senso di umidiccio e un tanfo di aria viziata, poi
un impeto di luce invase la sala, rivestita di
damasco verde e decorata da begli affreschi nel
soffitto.
— Questa è la sala verde — disse Giasmin.
— Le loro stanze son per di qua.
E volse a destra.
Didino ed Europa guardavano maravigliati e
intimoriti la maestà severa del luogo e pareva
loro li seguissero sguardi scrutatori e minacciosi.
Poi, come eran rimasti immobili, quasi vinti
da particolar fascino suggestivo, Giasmin li chiamò
con allegra voce:
— Si accomodino. Questa è la stanza da pranzo.
— Guardarono. Era un enorme vano con zoccoH
di legno alle pareti e decorazioni murali figuranti
scene di caccia. In mezzo era posta una inter-
minabile tavola di noce alla ciuale avrebbero
potuto banchettare, senza trovarsi a disagio, i
diecimila di Senofonte: tutt'intorno numerose
poltrone dagli ampi bracciali, ricoperte di cuoio
nerastro, pareva attendessero gli eroi della gì-
gantomachia. Su la parete di fondo era un trofeo
d'armi.
Due ampie finestre a sesto acuto, fiancheggiate
da graziose colonnette, davano luce alla sala che
aveva in sé una cupa severità e non predisponeva
certo al buon umore.
— Mio Dio! — esclamò Europa stringendosi
al braccio del compagn»^ : — Questa è una ca-
serma ! Io non avrò mai appetito iiua dentro.
— Veramente — rispose Didino — è un po'
troppo grande per due ; ma ci adatteremo.
— La nonna racconta — soggiunse Giasmin
— e dice cose di verità, ch'ella ha risaputo da'
suoi vecchi antichi, che in questa sala mangiava
il conte Leone co' suoi signori ed erano più di
cento; e dice che i cuochi servivano vitelli interi
e pecore e agnelli arrostiti e che si consumava
in un giorno il vino bastante a tutto il paese di
San Benedetto per un mese.
Entrarono poi nella camera nuziale parata di
stofte color rosa, sbiadite dal tempo, biancheg-
gianti qua e là in contorni indefiniti. Aveva il
soffitto a volta. Le voci vi risuonavano sonore,
come fra gli intercolunnii di una cattedrale.
— E qui dormiranno loro — disse Giasmin.
Europa chinò il mento al seno e impallidi,
come amor che langue ; Didino volse gli occhi
in giro.
Un immenso letto di noce si distendeva sotto
il trionfo del baldacchino, sorretto da quattro
colonnine nere, a fregi d'oro; un angiolo, a
sommo degli archi, reggeva le cortine che con-
discendevano in lievi ondeggiamenti a velare i
guanciali e le grandi coperte di damasco, ramez-
zate d'oro.
Vi fu un breve silenzio, poi Giasmin si avvicinò
al letto, alzò le cortine e disse: — Guardino,
come è bello !
E siccome i coniugi non fiatavano, continuò :
— Ci si deve star bene come su le pcime erbe ;
come sul fieno fiorito. — Aflfondò una mano fra
le coltri. — È soffice che più non potrebbe es-
serlo. Su la lana ci si imparadisa, come dicono
su, a San Benedetto, ed ogni sposa da noi —
fece volgendosi — vede? ogni sposa da noi porta
il suo sacco di lana perchè i primi sonni siano
•belli.
La paglia è dura; stride. La notte par d'avere
sotto il capo un mondo di grilli. .A. volte ci si
sveglia di soprassalto che, sa Dio come, pare
qualcuno salga sul Ietto e lo scuota. L'altra notte
ebbi paura veramente. — E scoppiò in una ri-
satella breve che le passò rtella gola tremando,
le illuminò gli occhi e il viso, riempi l'aria di ini
brivido.
Le finestre della stanza nuziale si aprivano su
la breve spianata alla quale facevan doppia cofona
gli abeti e i cipressi ; oltre i primi colli e le lunghe
vallate, si.stendeva nella lontananza l'azzurrg cupn
della pianura e la bianca chiarezza del mare.
— Se odono rumori la notte — riprese Giasmin
— non vi [)ongano niente. .Su la torre maestr.i.
in una vecchia stanza abbandonata, hanno il.
nido i barbagianni e le civette. I barbagianni
russano come uomini e soffiano. Dicono i vecchi
chesoffian per ispegner la luna che li infastidisce.
Li odo anch'io dal mio letto, ma ormai ci sono
abituata.
Europa aveva ascoltato poco rassicurandosi nel
cuore. Manso Liturgico osservava con soverchia
attenzione il disegno degli arazzi sfioriti dal
tempo.
Visitarono un'altra stanza più modesta e la
cucina: un'ampia cucina annerita dal fumo, con
una cappa di camino che poteva ricordare l'en-
trata di qualche remoto inferno.
Passaron quel giorno parlucchiando, guardan-
dosi di rado, turbati sì dal luogo pauroso come
dalla tensione nervosa causata loro dagli avve-
nimenti improvvisi.
Manso Liturgico di fronte a l'amor suo era
impacciato e goffo quasi dovesse risolvere un
oscuro problema impostogli dal Divìn Creatore
allo scopo di martirizzarlo.
Come scese la sera assaggiarono appena la
Genetta che Giasniin aveva allestito. Europa,
perduta quasi in una poltrona da l'ampia spal-
liera, di fronte alle finestre dalle quali luceva
il pallido cielo, verdognolo a l'occaso, come
un'acqua chiara e profonda, guardava pensosa-
mente lo svettar lento, ritmico degli abeti nel
loro breve semicerchio. Didino, con gli occhi
bassi, come immerso in una grave meditazione
su l'eternità, tamburinò con le dita, su la tavola,
un tempo di marcia.*
Si accendevano i primi sorrisi dì stelle. Ve-
s{)ero già era alto a l'orizzonte, bianco « iuceìite
nella dorata diafanità de l'ultimo crepuscolo.
Le lontananze si perdevano sottq l'iniMii^iente
dominio della notte. Ancora qualche punto bianco,
qualche gemmea cosa ne l'infmito; un bagliore di
sogno lontano.
Disse Europa non volgendo il capo, quasi
parlasse agli abeti :
— Io non ho sonno ! '
^Mormorò .Manso Liturgico di rimando :
— Neanch'io.
Poi si lacqilero di nuovo. Così si sarebbero
taciuti chi sa per quant'altro tempo ancora se
una porticina nel fondo non avesse cigolato d'im-
provviso e Giasmin non fosse apparsa.
Gli adolescenti si volsero di scatto.
— Ah ! sei tu ! — esclamò Europa traendo
un sospiro.
— Son io — rispose Giasmin. — .Ma chi po-
teva essere? Nel castello siamo sbli.
— Non so.
Giasniin si avanzò lentamente. Giunta vicino
a Europa le chiese :
— Ha paura?
La giovinetta si alzò un poco su la poltrona
e rispose:
— No.
Passò un'altra pausa.
— Io ho sbrigato le faccende della cucina —
— Bene — rispose Europa.
— Posso andare?
— Fa come credi.
— Come desidera lei, signorina. Vuole dorma
nel castello?
— Ma... tua madre rimane sola.
— Oh! è abituata e non ha paura.
L'ultima parola scosse Manso Liturgico che
fino allora era rimasto assorto. Ecco, mostrarsi
pauroso di fronte ad una giovanetta non gli
conveniva, sicché disse :
— No no, possiamo rimaner soli. Vai, vai nel
tuo letto e dormi bene.
— Allora... — fece Giasniin sorridendo.
-- Buona sera — mormorarono i fuggitivi.
— Buona sera — rispose la giovanetta da' bei
capelli ardenti. E si allontanò guardando gli
ospiti ch'eran rimasti muli r.
bandono.
Quando fu su l'uscio Europa ^rnJ.. ;
— Giasmiiv, Giasmin?
— Eccomi.
Breve pausa in cui il pensiero par
— Chiudi bene la porta.
— Non dubiti. Poi chi vuole venga quassù '
— Le precauzioni non sono mai troppe.
— Ha ragione. Chiuderò a doppia mandala.
— .Ma come? Ci chiudi nel castello? — chiese
Manso Liturgico scattando. «
— Eh! — rispose la giovinetu alzando leg-
germente le spalle.
■ — E se vogliamo uscire? •
Giasntin pensò un poco, poi disse:
— Senta, la chiave la passerò sotto la soglia
e potranno, riprenderla.
— Va bene, non te ne dimenticare.
— No signore. •
— .Allora... buona sera.
— Buona sera.
E Giasmin si avviò per la ><.-luiiii,j v.puii; m.T
non ebbe fatto quattro passi che Europa la ri-
chiamò.
— Senti, Giasmin, non ci dai un lume?
— ,Oh perdoni la sbadataggine! — soggiunse
. sorridendo : — Glie lo porto s^lbito... che il lume
è mezza com'pagnììl.
Poco dopo ricomparve recando una vecchia
lucerna della quale aveva acceso i tre lacchi. I.a
giovanetta aveva sprazzi di luce sul mento, ^u
gli zigomi, alla sommità delle ciglia e la dol- ■ .-.-i
forte del suo viso, per i contrasti, ri' .)t .
mente quasi che un'interna lumin'os;:
Dietro Giasmin si rìdestaron gi.:;
ombre enormi che si abbinavano, si 3uvr<ippu-
nevano, disparivano animate da una vita inaffer-
rabile.
Manso Liturgico guardò con le sopracciglia
inarcate, alzando a pena gli occhi.
— Non avevi un lume a petrolio? — chiese
a Giasmin poiché gli lu vicin.i.
— No signore. Il CTStello ■ molti
anni. Tutto ciò che v'è rini.i-
— Va bene.
Giasmin posò la lucerna su la gran tavola di
noce, indugiò un poco per alzarci lucignoli, poi
disse rivolgendosi ad Europa :
— Le occorre altro?
— No, grane.
— Buona sera.
— Buonji sera.
Udirono chiudersi la porM .'cll.i Kiìi t '.'. Irevc
scalpiccio della giovati'
cora il cigolar delle v
devanp la porta d'ingre-^o i!i! vm-I' "o
Altro silei;zio più grave, più lungo del primo ;
56
poi, giù per la costa, la voce squillante di Gìasmin
cantò l'endecasillabo dei pastori, la semplice in-
vocazione :
« Amante! Amante! Ajnore amore amore! ».
Si perse. Gli alberi neri attesero immobilmente
la sorella che sorge dai mari, per il suo viaggio
remoto.
Europa e Didino si guardarono negli occhi un
attimo. Madre Solitudine li aveva avvertiti ch'essi
erano liberi come il vento; che, nel grande ca-
stello dei Lecci, erano arbitri e padroni poiché ,
due sofi cuori, ne l'ampio giro delle mura turrite,
battevano.. Madre Solitudine li incitò, senonchè i
il fuggevole sguardo non ebbe risultato positivo.
Europa si volse un poco su l'ampia poltrona;
Didino sentì un fremito trascorrergli le reni sot-
tilmente.
Il sonno pertanto esulava dai loro Sensi turbati.
Dalla finestra aperta giunse il trillare dei grilli
mariani, de! grilli che vanno fra stelo e stelo,
sotto i fiori della menta, col loro timpano d'ar-
' gento a far la serenata alle stelle ; giunse l'aroma
dei fieni maggenghi e delle resine dense. Sciami
di falene entrarono attratte dalla luce e fecero
ghirlanda alle tre fiammelle, come iin nimbo
primaverile.
. Europa fissò l'ardente luminosità di Sirio che
era apparso sopra gli abeti. , '
E Didino pensò: — Che cosa aspettiamo?
Perchè non dice ella una pajola? Il suo silenzio
è causato forse dal pentimento. Certo, ella è
pentita d'aver abbandonata la famiglia, d'esser
venuta con me ed 'ora se ne duole e non mi
guarda e non mi parla. Ma io non l'ho ingannata;
iiuando vorrà ci sposeremo. Io anche ho avuto •
per lei il rispetto che si ha per una santa e, da
quando siamo soli, non le ho chiesto pure l'ombra
di un bacio. Dovrebbe amarmi di più; dovreblje
apprezzare il mio sacritì,zio e la mia onestà !
Cosi si doleva in cuor suo il giovinetto ama-
tore, mentre Europa fissava con gli occhi larghi
ed oscuri l'ardente luminosità di Sirio.
E pensava a sua volta : — Che cosa aspettiamo?
Perchè non nji parla? Non vorrà, spero, ch'io
sia la prima a rivorgergli la parola, e non potremo
passare tutta la notte cosi ! Almeno sapesse dirmi
le cose che mi ha scritto 1. Mi piacerebbe sentir- ■
mele ripetere all' orecchio , sussurrate dalla sua •
voce. Ma perchè tace e rimane tanto lontano da
me? Mi farebbe compagnia... ma così!...
, ,E il silertzio continuò ancora finché Europa lo
ruppe con una donianda sussurrata a pena:
— Che ore sono?
Manso Liturgico alzò gli occhi, sorrise, estrasse
l'orologio e lo mostrò senza dir parola alla com-
jiagna :
— Le dieci? — chiese Europa débolmente.
— Si, sono le .dieci — rispose Didino.
— Com'è tardi! — rispose Europa.
— Infatti... é tardi !
— Quand'ero a casa, dormivo già a quest'ora.
— Anch'io '.
— Non hai sonno? Io sono un poco stanca!
— disse Europa chinando il capo con gli occhi
molli di dolcezza.
. — Lo credo, povera piccola! — rispose Didino.
— Il viaggio è stato lungo e faticoso, non si
arrivava mai ! Anche la .notte scorsa non hai
riposato ! Vai a dormire, io rimarrò qui, su la
poltrona e ti aspetterò. ^
Europa lo guardò con un senso di maraviglia
nuo^a :
— Su la' poltrona?
— Si. Ci si sta bene. — E aggiunse dopo una
sosta. — Non preoccuparti per me; io dormo
ovunque.
La giovanotta ebbe timore che il compagno
suo fosfe per davvero più santo di padre Ori-
gene. Chinò il capo sul palmo della mano e si
tacque.
Il sentimento della sua femmin^ità oflfesa, forse
inconsciamente, da l'inverosimile amante, si ri-
bellava ora dandole un senso lieve di amarezz.i
e di scoramento. Ma come non intendere certe
cose? Era egli forse più semplice e più ingenuo
di un poppante? E pure pareva fosse chiara
l'anima sua e aperta come un sillabario! E puri-,
per certi sottintesi giocondamente piacevoli, pa
• reva... Ecco,, non le era dato tacere perchè !■
si imponeva un dilemma: o Didino voleva pren
dersi giuoco di lei, e in tal caso sarebbe stato
imperdonabilmente cattivo; o... — Non compi
il pensiero che il jjudore e lo sdegno le fecer le
guance vermiglie.
Manso Liturgico frattanto, pensava che Europa
gli avrebbe serbato senz'altro gratitudine im-
mensa per quella sua onesta condotta da buon
figliuolo.
Ma la giovanetta si levò ad un tratto, quasi
scattando, e allun.gò la mano verso il lume, poi
si trattenne e, rivolta a Didino, chiese dolce-
mente :
— Rimani al buio ?
Didino parve non avesse inteso :
— Perché?
— lo vado a riposare. Ciasmin non ci ha
lasciato che un lume.
— È vero !
E Didino non pensò alla convinzione di Giasmio,
che una lucerna fosse sufficiente cioè a illuminare
un amore, si. che esclamò indispettito:
— Che asina!
— Ma la piccola non supponeva... — ribattè
calorqsamente Europa; poi si arrestò. Voleva
dire: Non supponeva che tu fossi timido e pa-
uroso!
Manso Liturgico si tacque per qualche secondo,
combattuto fra vari pensieri, poi prese una riso-
luzione eroica e disse alla compagna che aspettava:
— Prendi il lume con te.
Europa indugiò un poco come incerta sul da
farsi, poi su ogni sentimento la vinse il dispetto
e si avviò verso la porta a sagome dorate che
immetteva nella stanza nuziale. Lasciò l'uscio
socchiuso e disparve.
Manso Liturgico rimase ne l'oscurità; vide
però, da uno spiraglio, un lieve chiarore gial-
lastro verso il quale gli occhi suoi stettero im-
mobilmente fìssi. Gli accadde allora di pensare
alle squisite particolarità de l'abbigliamento not-
turno, alle dolcezze intravviste, alle cose immi-
nenti che danno un senso di penosa aspettazione.
Avrebbe voluto avvicinarsi alla porta, furtiva-
mente, senza ch'ella nulla intuisse del suo spiare,
ma non si attentò. Non era impresa facile e piana
quella di avventurarsi al buio nella grande sala.
Chiuse gli occhi, volle dormire e il sonno gli fu
nemico. ,
Passò così forse mezz'ora e di tanto in tanto
sentì un brivido aggricciargli i capelli, alla som-
mità della nuca, per qualche fruscio lungo, in-
determinato che passava ne l'oscurità, che si
perdeva nella notte, lontano.
« Ciò che gli avevan raccontato Èrla e Giasmin,
le stèrie degli spiriti e dei fantasmj, ritornavamo
ora al suo pensiero con impensate particolarità
e siccome egli, pur essendo religiosissimo, aveva
sempre creduto che qualcosa di vero ci fosse,
nei racconti delle vfeioni di spavento, non 'si
tro^'ava perfettamemte sicuro, temendo in cuor
suo di vedersi apparire innanzi l'ombra di qualche
anten.itdl del marchese Barbigi.
Avrebbe dovuto per davvero passare tutta la
notte così senza poter sperare in un attimo di
sosta ?
Qualche tempo trascorse in cui parve stabilirsi
una relativa calma; ma poi, d'improvviso, i battiti
del suo cuore si accrebbero intensamente poiché
udì ne l'ombra, non seppe bene da qual punto
giungesse, un soffio umano, uguale e ritmico
come nella gravità del sonno.
Si rizzò un poco sul torso, cercò acuire l'udito
e si persuase che non si era ingannato; la sua
non era illusione, il soffio ignoto e pauroso con-
tinuava chiarissimo e parevr. si avvicinasse.
Avrebbe voluto fuggire, ma dove? E se Euroi^a
udiva? Come avrebbe risposto alle sue domande
di curiosità? Però la softerenza morale si acuì
d'attimo in attimo si che il barlume di ragione
che ancora lo reggeva dileguò ad un tratto al-
57
lorchè il soffio si converti in mugolio roco. Più
non ci vide, si rizzò sotto il poderoso scatto di
un impulso violento, aveva gli occhi sbarrati, i
capelli irti e gridò per tre volte consecutive, gridò
con voce forte e innaturale :
— Chi è? Chi è? Chi è?
Il mugolio si tacque come d'incanto, ma dalla
contigua stanza nuziale giun.se la voce di Europa,
voce alta e turbata :
— Didino? Oidino?
Egli si ricompose subitamente :
— Che vuoi? — rispose.
— Perchè urli?
— Sognavo!
Vi fu una pausa; poi Europa riprese:
— Non sognar più cosi, perchè mi fai paura.
Il silenzio ritornò; ritornò la calma apparente.
— Potessi addormentarmi almeno! — |>ens<'j
Manso Liturgico; ma in tale benefico rinjedio
non v'era da porre speranza. •
Vide svettare le cime degli abeti, nere sul cupo
cielo e giunse ad avvolgerlo la brezza dei mw
che precorre l'alba e l'annuncia. •
Poi "l'inenarrabile martirio ricominciò. Riudl
il soflìo ritmico passar nella notte con reiterata
ed inesausta lena; poi al primo se ne a_'- ■— •
un secondo; un terzo, ^n quarto c]
fosse su la .spianata del castello un esen :
miente. •
Più non sapeva ormai a» qual santo votarsi :
tentò la preghiera, e gli 'mori su le labbra; si
appellò alle sue energie, ma non posero argine
sufficiente al terrore.
.A.d un tratto gli p!in-e scorgere fra le rame
protese di un abete, qualcosa di orribilmente
rosso, come uno spaventoso fantasma sbucato
da l'ombra e àrridiante d'improvviso tutte le
cose. I mugolìi crebbero d'intensità, «i moltipli-
carono, quasi a festeggiar l'ignota apparizione.
Egli più non vide, più non resse.. Spinse in
dietro la pesante» poltrona che ruzzolò al suolo
con subito fracassio; girò un lato della tavol i
corse verso la stanza nuziale e, allorché fu P'
entrare, la porta si apri. Europa appai ve, dol-
cissima nel suo costume notturno.
Poi la coppia paurosamente felice <lil'i;u. .
Frattantc^ Madonna Luna, salutata dai -
barbagianni, saliva sorridendo nei cieli. '
' che la solitudine non .i\'eva allaccialo,
costrinse. E l'amote piacevolmente fu a.
le vecchie mura, come si .
dabbeife.
ANTONIO BELTRAMELLI
¥-
"-^
58
GLI SPOSI
La madre della sposa, donna Luisa, s'era pur
essa agghindata, facendo stavolta riveder la luce
al suo abito marrone di seta, ritinto per l'oc-
casione, che ricordava alla vedova un' epoca
mai più obliata della sua travagliosa esi-^tt-n^a
Così la zia Spaccamonti, e
le due operaiette aggraziate.
Senfinchè, la zia appariva
come una nota abbastanza
triste in mezzo a tutte le altre
di qufella sinfonia multicolore.
Donna Clementina non aveva
voluto lasciare, nemmeno in
una simile ricorrenza, la sua
veste nera, cucita suljìgurino
del Quarantotto, quasi avesse
fatto un voto all'Addolorata.
Ella pur nel viso era' triste,
quantunque sulle labbra sot-
tili, che non avevano mai sa-
puto la dolcezza d'un bacio
d'amore, apparisse un lieve
sorriso stereotipato. Nei suoi occhi c'era tutto
un poema 'd'affetto, e splendevano d'una luce
ultrainondana quand'ella li fissava sul nipote,
di cui intuiva tutta la gioia.
— Ahfniè ! Durerebbe quella gioia ?
Aveva un triste presentimento. La notte pre-
cedente lo aveva pdito a tossire : la mattina
quel suo pallore l' aveva gettata in un vero
orgasmo.
— Dio mio ! Dio mio ! — pregava col cuore
che le tremava di paura e col sorriso sulle labbra.
Donna Fortunata fella aveva indossato invece
un abito di raso color nocciuola, la» cui vita
mostrava le subite scuciture a cagione del suo
stato eccezionale.
— Uno stato assai poco iìitefessaiite ! — aveva
sorriso Ciccillo, mirando quel tombolo.
E aveva messo un dolce in mano ai due mar-
mocchi di lei, che si sentivano più che mai
inceppati entro i vestitini nuovi. Al più piccolo
era la prima volta che infilavano le brache e la
giacchetta: una vera delizia, per il poverino!
— Dove vogliamo andare, per il pranzo? —
aveva chiesto lo sposo alla Mariella, due giorni
avanti, in presenza del « compagno » Ribolla,
che veniva spesso a intrattenersi presso la stira-
tora, assai più spesso dell'avvocato, che più
positivo, s'era fatta un'amante.
— Ancora lì, ai Pirozzoli — aveva risposto
lei, con la mente ancora inebriata dal ricordo
dell'altr.T vita. — E' tanto bello, lassù !...
Al Ribolla il sangue die' un
tu fio al capo.
— Sicuro, sicuro — ap-
provò subito, credendo che
lei scegliesse-di nuovo quel
posto per fargli piacere.
E cosi s'era stabilito. Giusta
il consueto — ormai ne ave-
vano acquisito il diritto —
l'avvocato e il prossimo dot-
tore avevano pensato all'oc-
corrente per il banchetto non
più semi, ma nuziale. Sfido
io, chi avrebbe osato a sosti-
tuirli .'
— A\'rei preferito di an-
dare a PoJìUipo — chiocdiò
la moglie del Fella, Aicendo gli occhi di triglia al
marito. — Ricordi come ci divertimmo, il giorno
del nostro sposalizio ?
— Oh, allora erano altri tempi !... Adesso, a
Posillipo, si mangia male e ti spogliano, come
ladri di cantonate.
— No, no ! — protestò anche Luigino Russo,
uno dei due giovani del prossimo « .Salone Spac-
camonti ». — Da Noviello si sta bene. C'è quel
vinetto bianco: che ne fate del Marsala ? A
Santo Rocco anche si sta be^1issinlo...
— E alle Pagliarelle, sopra il Campo ? Ci
scherzale I...
— Ora è fatto — s'afiVeltò a troncare Ciccillp
— e non bisogna pensarci più. Siete miei invi-
tati ? Dunque, venite dove vi conduco io...
— È troppo giusto — approvò inimantinenti
il principale, che divideva sempre le idee di
coloro i quali lo invitavano a una scorpacciata.
Non aveva costui le fisime della sua metà,
che lo annoiava coi suoi squasilli, dopo tanti anni
di matrimonio; ed era del parere di dar sempre
|jn po' di gusto a cjii gli regalava magari un
solo bicchier di vino.
— Quanti saremo, stavolta? — domandò l'altro
giovine, Eduardo Esposito, mentre la piincipala
mal celava la propria contrarietà e guardava di
sbieco quel crapulone del suo omo.
— Quanti fummo l'altra volta: no? — e Cic-
cillo si rivolse a donna Luisa.
— Aspetta — fece costei, numerando sulle
dita — Mariella, tu, donna Fortunata, Concet-
cella, tua zia, Nannina, la madre e il padre di
queste due, e son dieci... io, i due giovani, il
principale e donna Rosa, e son quindici...
Saremo quindici, come l'altra volta.
Il meglio l'avete scordato — fece lo sposo.
Concettella e la sposa avevano capito, ma
nessuna delle due parlò.
— Chi?
Com'erano accanto alla finestra, egli accennò
in istrada :
— Guardate.
Una carrozzella si fermava in quel momento,
e le tube lucide dell'avvocato e del Ribolla sbu-
carono di sotto il soffietto alzato.
I due amici erano in gran tenuta, con stiffelius
e panciotto bianco, e in mano avevano due enormi
mazzi di fiori col merletto di carta e il gambo
inargentato, che andarono a offrire alla sposa.
Col mazzo, il Ribolla offrì un orioletto d'oro.
— Oh !... — arrossì la Mariella, confusa.
— In qualità di compare — s'inchinò lui. —
Se no, non avrei ardito...
— Per carità, don Costanti !... Sempre onore
e piacere ! — lo imitò, inchinandosi, lo Spacca-
monti, veramente commosso.
— Dovere, dovere.
— Leviamo queste espressioni — aggiunse lo
Spaccamonti, fedele alla sua origine, in cui lo
spagnuolo non era affatto estraneo.
La sposa era diventata come la cravatta del
suo prossimo marito. Guardava e riguardava quel
gingillo, sul cui tergo era inciso « Ricordo », e
sorrideva, con gli occhi in fiamme anch'essi.
— \'i piace ?
— Tanto!... grazie mille... \'i siete voluto
incomodare !... In che modo potremo disobbli-
garci?... dopo tanto onore!...
Gli altri restavano mortificati di non aver unito
dei fiori a' meschini doni offerti. Chi l'avrebbe
supposto? La moda del tempo d'oggi è tanto
curiosa !
Donna Fortunata cominciò ad accusare la sta-
gione cattiva, gli affari che non venivano, le
spese per il prossimo parto...
— Oh, lo sappiamo ! — rispondeva donna
Luisa, commossa sul serio. — Basta il cuore.
Frattanto il « cittadino >• Borgotti s'era avvici-
nato-alla Concettella e l'anelava complimentando,
insieme con la Nannina, del grazioro vestito
nuovo, delle belle rose che avevano fra le mani.
59
— Potrei averne una ? — sorrise.
— Con piacere !
E una rosa, la migliore, passò nel suo ocxhielto,
donde la gardenia fece un'ascensione: quella <lel
seno di Concettella, — il monte bianco, — pen-
sava lui.
— E a me mi fate star senza fiore ? — disse
Eduardo Esposito, a Nannina.
— Sì. perchè queste tre rose sono unite e non
voglio staccarle — rispose costei con indifferenza.
Evidentemente, invidiava la sorte della rom-
pagna, ma l'altro non si arrese e continuò a
fare il cascante.
— A proposito — si ricordò il Borgotti —
l'avevo dimenticato... Come farete a usar quel
grazioso gingillo ?
S' era rivolto alla .Mariella, mentre Ciccillo
ammiccava Luigino Rus.so.
— Lo legherò ad uno di questi lacci — disse
la sposa, con semplicità, facendo scorrere fra le
dita un filo d'oro.
— No, non va bene, non è «eie. Se vi conten-
tate, invece, di questa catenella I...
E la trasse da un astuccio foderato di raso
azzurro. Tutti si avvicinarono. Oh, oh, questi
poi non l'avrebbero supposta ! Pareva quasi mor-
tificato, sulle prime, all'offerta dell'amico!
La catenella d'oro fu lungamente ammirala,
fra l'entusiasmo generale, come un minuto prima
l'orologetto.
— Oh com'è distinta ! Com'è distinta !
E nella confusione, il Borgotti fece scivolare
nell'orecchio di Concettella :
— L' avevo comperata per te, con un .litro
orologio scicco : se fossi venuta a prenderti
l'abito...
La ragazza sgranò gli occhi, meravigliata. Non
la canzonava ?
Mentre si chiacchierava allegramente di tante
cose diverse, i complimenti continuavano ad in-
fiorare il bruno capo della sposa. Ciccillo s'im-
pazientiva, guarilando ogni secondo l'orologio.
— E quando arrivano queste benedette car-
rozze ? Sono le undici suonate I
Aveva ragione di essere sulle spine, poveretto;
aveva ragione di misurare la stanza in lungo e
in largo e di spingere continuamente lo sguardo
fuori della finestra.
Erano già andate ad abitar nella nuova casa,
le due Percoco : una casetta piccola, a*l un primo
piano, ma ariosa e signorile. Per loro che veni-
vano, una da un ammezzato e l'altro da una
softitu !
La st.mza nuziale, però, era rimasta chiusa.
Non doveva aprirsi che quella sera, per ricever>-i
gli sposi.
Talché, in quei pochi gionti corei dal quattro
maggio, giorno det trasloco, ad allora, la ragaua
6o
e la madre avevano dormito nella prima stanza
— erano due in tutto — in quella stessa prima
stanza da cui era scomparso provvisoriamente il
letto vedovile, per il ricevimento degl'invitati.
Quel letto sarebbe rimasto per la madre. Ed
ecco che tornava dormirvi sola, come dopo la
disgrazia del marito.
Adesso, la finestra era spalancata, e da quelle
di faccia la gente curiosava.
Giù, avanti al portoncino, i soliti capannelli
gestivano, aspettando che calassero gli sposi,
parlottando vivacemente, ridendo forte, con la
ilarità chiassosa del popolo napoletano.
La carrozzella die aveva condotti i due giovani
era ferma all'imboccatura del vicolo, col soffietto
per metà alzato, per indicare d'essere già fissata,
e il vetturino dava al cavallo baio, tutto lustro
nei finimenti nuovi, un pugno di gramigna, che
la bestia masticava lentamente.
— E come? — domandò una donnetta — vanno
a sposare in carrozzella d'affitto.'
— Ma che ! — le risposero le altre. — Quella
è dei due signorini amici dello sposo...
— Il più alto, farà il compare — aggiunse la
cambiavalute, che girondolava in fretta, tergen-
dosi il sudore.
— E' un medico; un professore /ro/£'.j/a///f...
Che vergogna ! Eppoi...
IMa apparvero le due carrozze di rimessa, coi
conduttori in tuba e in livrea; e dalla casetta
cominciarono a scendere gli sposi, i parenti, gli
invitati.
— Vedete : la vecchia colla papalina, quella
scimmia, è la zia del barbiere.
— E' una signora decaduta .'
— Ecco la sposa, Mariella la stiratora !
I commenti e le esclamazioni ammirative o
derisorie scoppiettavano nei gruppi diversi dei
curiosi come altrettanti saltarelli. Ogni vicino
aveva messo il capo fuor del proprio buco, e un
brusìo alto si levava dai bassi, un cinguettamento
confuso dai balconcelli e dalle finestre.
In una delle carrozze prese posto la sposa,
fra la principala e la zia, e, dirimpetto, con le
spalle ai cavalli, si assise donna Luisa, fra le
due apprendiste.
Nell'altra, Ciccillo, fra il principale e il padre
di Nannina, e dirimpetto, Luigino, Eduardo e
i due piccini.
II resto della compagnia li avrebbero raggiunti
all'osteria; mentre l'avvocato e l'amico Ribolla
sarebbero andati, come erano venuti, in car-
rozzella. •
Quando le tre vetture si mossero, un codazzo
di monelli le seguì, vociando : ,
— La sposa ! la sposa !
E servì questo per dar l'allarme al resto del
rione, che usci sulla strada, nell'epitlemica alle-
gria curiosa, ciie si diffondeva a grado a grado.
Quando passarono sotto le finestre di don
Nicolino Scoppa e dell'Amendola, lo sposò levò
il capo a guardare.
Era tutto sbarrato.
— Se l'ho detto che schiatteranno ! — gridò
egli alla sposa, la cui carrozzella li precedeva
di qualche passo.
E i due amici sghignazzarono con lui.
W:
Dalla Sezione municipale passarono nel palazzo
di Donnaregina, ov'è la Curia arcivescovile.
Le carrozze si fermarono nel larghetto ; mentre
la carrozzella dei sijrnorini saettava di già verso
il Museo. I due amici avevano da sl)rigar prima
certe loro faccende : al solito, si sarebbero rivisti
all'osteria. •
— La verità vera — Ciccillo aveva rosicchiata
la foglia — era che non volevano guastarsi lo
stomaco in presenza di quegli ipocriti della curia.
."avevano forse torto? Anche lui ne avrebbe
fatto a meno, perdio!... .Ma, dato il primo passo...
Entrando nella sala indicata dal principale, che
era pratico di quei luoghi, la trovarono affollata
come di sabato un botteghino del lotto.
Erano parecchie coppie, col relativo contorno
dei parenti ed amici, andate lì per lo stesso
scopo; mentre quei pretacchioni, intorno intorno,
a due e a tre dietro i loro banchi di noca, se
la discorrevano placidamente, tabaccando e tra-
scrivendo le unioni.
— Tutti oggi si son ricordati di sposare ! —
osservò Ciccillo, arricciando il naso, quasi fosse
entrato in un porcile.
— Altro che porcile !
Poi fé' osservare ai due colleghi gli occhi che
allargava un di coloro nel domandare a una
seducente sposina il nome, la paternità e il
resto...
— Si lecca le labbra ^— rise Eduardo.
— Poveretto I Chissà che sogni farà, la notte...
— Va là! vft là! — interruppe Luigino Russo.
— Non fanno la quaresima, no ! I migliori boc-
concini sono i loro !
— Sst!... — corresse donna Luisa, scanda-
lizzata.
— E che, anche questa è chiesa?...
Un chierico, vedendo il giovine con le carte
in mano, gli si avvicinò:
— Adesso vi faccio spicciare io... Date qua...
— Ecco un altro camorrista — soffiò lui nel-
l'orecchio diMariella, dopo aver pòrte le carte
all'uomo. t
Aggiunse forte : •
— Senti, amico... Non lì... — e accennò il
prete di cui parlavano.
— Perchè ? — sorrise invec» lei, che in quel
giorno si sentiva più buona.
Il chierico li chiamò, col gesto, presso uno dei
banchi, che parevano quelli delle Assise. Vi tro-
neggiava un obeso vicario del Signore, dai modi
bruschi e dagli occhi scerpellini.
In quel momento egli e il suo collega — l'unico
spilungone, questo, fra i tanti — registravano
il matrimonio di una coppia di mori, brutti en-
trambi come il debito, entrambi infagottati nei
vestiti nuovi. Lo sposo aveva quattro dita di
polsini sulla mano callosa e un fazzoletto di seta
per cravatta; l'altra girava il capo a stento,
strozzata in una gala di merletti più duri del-
l'avorio, che la sarta aveva messi senza risparmio
sulla vita di lanetta bleu gendarme.
Rispondevano, alle interrogazioni rivolte loro,
in un modo esilarante più delle loro figure, in-
ceppati, balbettando.
— Il Signore li ha creati e il diavolo li ha
appaiati.
Quindi Ciccillo Spaccamonti, di condizione bar-
bitonsore, rispose anche lui seccamente e altez-
zosamente alie domand..- dti preti; Unto che
coloro gli levarono per un momento gli occhiali
in viso, pensando di mortificare r.irroganie.
.Altro che ! Il citladino Spaccamonti fiRlio e
nipote di eroi, non ristette dal sorriso s|.rczzantc
che gli copriva tutto il volto.
Di 11, sempre dietro il chierico' passarono a
un altro banco di fronte al primo, ove Ciccillo
pagò quei pochi soldi dovuti, regalò qualche
cosa all'accompagnatore e via, di corsa, come
se li dentro vi fosse la peste.
Donna Luisa ringraziava in cuor suo la Ma-
donna che aveva allontanata una disgrazia : aveva
la testa cosi montata quel ragazzo benedetto !
— Screanzati ! — masticò i! prete obeso, abbas-
sando il labbro floscio, e arricciando il mento
con la barba di una settimana.
E continuò con sprezzo: * ,
— E lo chiamano progresso, questi orbi di
casa del demonio!...
PASQUALE DE LUCA
3B^aE!K3CK30C3BC9EK?CK?DK?Cl
XVI.
SONETTI
Estasi sante.
L auiomooile.
Se tu reclini, pallida colomba
contrita e smunta, in umiltà la testa
si com^ un fior di giglio alla tempesta,
se tu reclini, pallida colomj^a
e, pia, congiunte le diafane mani,
volo sottile di angiolellì snelli,
ti prostri assorta nei gusrdi so^Tani
d'una madonna, — mite dei capelli
il lume irradia la divina santa —
qua! prece esali dalle labbra smorte ?
Tremante implori. Ne l'aspetto, quanta
compunzione! Ansiosa di tua sorte,
entro la gemebonda anima è tanta
l'angoscia del peccato e della morte '
Dalle vivide siepi e dai verzieri •
.salgono effluvii, che la brezxa espande :
intrecciano le nuvole ghitlande,
s'allietano i fioriti ermi sentieri.
Tu non vedi e non senti. Nella grande
tempesta della corsi i bei mi'trr
l'automobile ignora. Son.
visioni... sogni diafani e I .
Tu li sdegni, li turbi e \-ai lonuno.
Vertigine. Non corsa ; né mai sazio
del mobile mirasgio grigio e \Tino.
•
Meteora lugubre, auriga strano
e irsuto, ing'anni. in iii.\.sclit>p , 1" «pari'i
fantasma errante dvlTorgi'
Primavera.
I.
È tempo degli augelli e di verdura,
di quel che luse ed è bello vedere,
del prodigo scialar della natura
aperta alla letizia ed al piacere.
Sembri risorta, umana creatura,
profumi e fiori anela di godere !
Per la nova stagione, ogni figura
si dipinge di gaio compiacere.
Le stillanti fontane, in lor favella
si cambiano cogli alberi i saluti.
Di gentilezze il prato si constella.
Sul chiaro verde spicca arzilla e snella
il gregge a lato, e co' li occhi perduti
nel mite azzurreggiar, la pastorella.
II.
Poi che le rondinelle, d'oltremare
vanno giubili incontro a primavera ;
poi che bianco e cilestro ride il mare
e l'alpe s'invermiglia nella sera,
sul cielo, lieto delle gemme rare
onde si adorna l'Eterna Chimera,
perchè con vano orgoglio, vuoi tentare
il chiuso enigma che sui tempi impera ?
Lascia i silenzi delle cose morte.
La gaia scienza ascolta. Esci ed ammira
i fecondi miracoli.
Risorte
le cernie letizie, nella spira
vertiginosa, vìnce la tua sorte
l'innamorata allodola delira,
EMILIO RINGHIA
skk:?»
XVII.
SCIOPERO IN SALOTTO.
— E, seriamente, a che punto siamo con ((uesto
sciopero?
— A che punto ?
— Perchè, ho letto in treno le ultime notizie :
ma non sono riuscito a capire che cosa preten-
dano...
— Oh, delle pretese! Figurati: si tratta non
solo di un aumento di salario...
Già, già, so benissimo; vogliono tornare ai
patti... Le .solite pretese; ma...
— Ma, quello che è più ingiusto, vogliono,
capisci, una rappresentanza per sindacare tutti i
nostri atti...
— Già, già, so benissimo; ma a che punto
siamo?
Chi insisteva per sapere a che punto fosse la
situazione era un vecchio milionario , .soprag-
giunto da un viaggio in Inghilterra, nel momento
in cui ferveva lo scfopero. Per dare un'occhiata
— cosi diceva — aveva fatto una cor.sa a Gaviole:
e nel frattempo si proponeva di salutare i pro-
prietari che villeggiavano nei dintorni.
L'altro era un vecchio poss'idente che non si
«jera, da molti anni, mosso da Gaviole, e che nu-
triva un gran rispetto pel suo interlocutore co-
smopolita.
Si orano incontrati andando entrambi verso
la villa del marchese Màrgora.
Un gruppo d'uomini e dì donna' sedevano in
terra lungo la strada; gettarono un'occhiata sde-
gnosa sui due vecchi, senza muoversi.
Dietro a loro veniva, con due manovali, Andrea
il ferraio, canterellando a mezza gola, e ascol-
tando ì discorsi dei due personaggi.
A metà strada, dalla villa Torriani, usciva una
signora.
— Senatore, che improvvisata! Viene anche
lei dai Màrgora? È arrivato il colonnello, sanno?
L'ottuagenario scopri il capo roseo, e salutò,
con la paterna bontà degli uomini vissuti e nu-
triti.
— Si, cara, vengo anch'io.
— Ma che aspetto florido, giovanile! escla-
mava la signora.
Il senatore colse l'occasione per cambiare il
discorso, perchè aveva notato il fabbro che li
seguiva; e con la voce lenta e le parole filate
cominciò a parlare della sua salute.
— Sì ; io spero che questo insegni la mia vita,
e non solo le mie idee, ma anche la pratica che
ne ho fatta. Perchè io credo d'essere arrivato
proprio alla perfezione del genere, e che la gente
possa persuadersi che io pensava bene. Tu vedi,
io ho quasi settantotto anni, e son robusto tanto
che mi sembra di essere un giovine. Non credo
vi sia nessuno che si senta giovine come me.
\'edi, quando io cammino, sento tutti i miei mu-
scoli in azione. E il mio corpo, non è soltanto
robusto, ma è statuario.
— Nientemeno! — disse la signora, ridendo
e appoggiandosi all'ombrellino.
— Statuario, statuario, capisci; e bisogna ve-
derlo sotto panni. Vedi, la gente si convincerà
che il regime che io ho adottato è l'unico vero.
Perchè, bisogna pensare al corpo...
— Eh mi ricordo — interruppe l'altro vecchio,
con una voce che metteva a stento le parole
l'una accanto all'altra, tremolando come un 'acqua
intermittente di polla; — eh, mi ricordo quando
io ero a Napoli e venne il povero generale I.ivet,
e tu facevi il bagno... ti ricordi? quando mi co-
minciò quel versamento al ginocchio...
— Sicuro. Bisogna pensare al corpo — seguitò
la florida incarnazione del tempo ; — perchè è
tutt'altro che lo spregievole involucro che dice
la gente; ma è anzi il sacrario dell'anima. Capisci ;
quando io sono arrivato qui da Londra, davanti
a queste rivolte io mi sono sentito fremere come
un giovine. Tutto è in armonia dentro di me.
Capisci : tutti i miei muscoli sono in esercizio.
Pensa che abbiamo cinquecento muscoli, che tutti
richiedono ogni giorno di essere esercitati...
— Tutti cinquecento ! — interruppe col suo
riso cordiale la signora.
— Sicuro, tutti cinquecento: si sa, n6n uno
per uno; ma oggi contenta l'uno, domani l'altro,
si finisce per tenerli in azione tutti quanti...
— E me, come mi trovi? — chiese la voce
intermittente dell'altro vecchio.
— Ti trovo abbastanza bene ; ma capirai che
fra me e te ci corrono cinque anni ; e poi il mio
aspetto...
— Ah, tu sei la floridezza in persona, come
quando eri gio^-ane, e venne il generale...
hi quel momento, il ferraio li .sorpassò rapida-
mentre, e si fermò coi due manovali davanti ai
cristalli d'ingresso della villa Mài-gora ; e veden-
dovi riflessa la sua persona curva e sparuta, non
potè trattenersi dal dare uno strappo rabbioso al
campanello.
I tre personaggi si fermarono anche loro, e il
servo si affrettò a farli precedere.
Nella villa della marchesa Màrgora vi era un
the, in onore del colonnello Piatti, comandante
del reggimento destinato alla mietitura.
Si doveva a lui. la sollecitudine nell'invio dei
soldati, perche egli si era recato in persona dal
63
prefetto, dopo un telegramma ricevuto dal mar-
che.se Màrgora. Il telegramma era cosi formulato ;
Insieme Irene, pregoi'i insistenza prefetto, ur-
genza.
Il colonnello era stato amante della marchesa
Irene durante alcuni mesi che era di guarnigione
a Roma : quindi si affrettò a telegrafare alla villa
Màrgora: Ottenuto prefetto invio truppe. Spero
venire persona.
Il telegramma aveva prodotto un vero furore
d'entusiasmo, tanto da parte del marchese, quanto
della signora, che vedeva spuntar sull'orizzonte
i giorni d'amore della capitale.
Essa aveva subito fatto attaccare i cavalli, ed
era andata a comunicare la notizia a tutte le si-
gnore; le quali ne furono, non solo entusiaste,
ma perfino commosse. La prontezza dell'esercito
nel tutelare i loro diritti le commoveva : e la
probabilità dell'arrivo di un gruppo di unìciali,
che avrebbero rallegrata la loro vita di campagna,
le riempiva di gioia. Sopra tutte, Fify mostrò la
sua allegria, esclamando:
— Cosi verranno gli ufficiali! — e siccome
stava prendendo il vermouth in ghiaccio con la
contessa Itta, si alzò, e toccando il bicchierino,
gridò con voce argentina :
— 'Evviva gli ufficiali !
La contessa Itta non si scosse troppo, perchè
avendo il marito ufficiale, conosceva ormai la mu-
sica delle sciabole, fra gli speroni e il polpaccio, e
ne era seccata; tuttavia, siccome vagheggiava al-
cune rappresentazioni nella sua villa, non poteva
, esser dolente di un aumento di pubblico.
A questo scopo, si era recata, appunto quella
sera, da Fify, per persuaderla a prendere la parte
brillante in una commedia francese, flella (juale
lei si riservava la parte amorosa.
— Come vedi, — disse — avremo anche del
pubblico. Dunqueaccetti? *
— Si, si, accetto. È in costume o in borghese
la commedia?
— Ma in borghese, si capisce! Puoi metterti
i vestiti che vuoi.
Fify bevve il terzo bicchierino di vermouth
dando dello scioccd a suo marito che glielo \o
leva impedire; e. eccitata dalla gioia imp'
e dal liquore bevuto, gettò le braccia al
Tony, un grosso cane grigio che la gu ■
col muso ritto, sopra un seggiolino di ferro.
— Che guardia mi ha fatto ! — disse, baciando
i4 cane sul muso. — Ieri, passavo vicino a un
gruppo di quei contadini che non vogliono lavo-
"rare, e Tony cominciò a ringhiare e a n ■ .
i denti. È vero che vuoi beni* a Fify :
Tony? — diceva, mettendo le n^ninc fra 1 -iv;.;
del cane. , ^
Tony sternutò due volte: « scese dalla seggio' 1
sbadigliando.
64
Dopo aver portato loro l'annunzio, la marchesa
Irene era andata a casa Torriani, poi dal conte
Fadda e da! signor Castellari, che erano parti-
colarmente interessati all'avvenimento ; e percorse
in rassegna le persone incontrate presso di loro,
si accorse che ormai la notizia era divulgata.
Quando scese dal legno a casa, stanca e soddi-
sfatta, sali la scala con maggior fretta del solito,
e giunta nella sua camera, sciolse un pacchetto
di lettere che datavano da due anni, e che por-
tavano la firma voluminosa del colonnello.
— Bisognerà fargli un ricevirrlento d'onore ! —
pensava, nello scendere a pranzo.
Dopo lunghe discussioni, aveva deciso col ma-
rito di dare un the, invitando tutti i villeggianti.
11 colonnello Piatti arrivava il giorno dopo col
diretto, insieme ad alcuni ufficiali.
Alla stazione trovò il, legno di casa Màrgora
con due servitori in grigio, che si affrettarono a
farlo salire. Egli si separò cordialmente dagli
ufficiali, che erano alloggiati a casa Torriani ; e
gettando l'ampio mantello azzurro a lato, si assise,
secondando con leggiero moto del corpo, la stratta
che i cavalli impazienti dettero al calesse. •
— Due buoni storni — osservò, mettendo il
monocolo, e sporgendosi sulla strada.
Poi riprese la sua aria più marziale, vedendosi
osservato da alcuni gruppi di paesani, e ristabili
l'ordine delle sue idee.
Bisognava, prima di tutto, riprendere le rela-
zioni con la marchesa. Sarebbe stato assurdo non
approfittare di una situazione così favorevole, di
cui egli erfe il vero protagonista, e anzi il sal-
vatore.
— Dunque, per prima cosa — disse fra sé, —
un Sgomento intere.«sante, che la occupi della
mia persona in un modo alquanto drammatico.
Ah! il duello con Castelfranco... Va bene. Poi
bisognerà mandare gli ordini agli ufiiciali per la
collocazione delle truppe. Sarà un po' difficile
che quella carne da cannone si avvezzi a mietere
e a lavorare; ma un po' di tempo, e tutto si farà.
Ma quanta strada c'è ancora? — si chiese, guar-
, dando le siepi. •
Appunto in quel momento, dopo avere oltrepas-
sate le ville Torriani e Fadda, i.cavalli entravano
pel cancello di villa Màrgora, smorzando il trotto
.sullo sterrato dei viali, cosa che recò un certi)
piacere al colonnello.
— Mi riceverà subito Irene? — pensò fra sé. '
Ma la marchesa aveva creduto più conveniente
di lasciargli fare prirna la toilette e attenderlo
nel. salotto. Infatti un servitore col grembiule
azzurro, lo /ece passare nella camera a lui desti-
nata, e si mise ai suoi ordini.
Piatti era abituato a una toilette piuttosto ac-
curata.
Svesti l'uniforme: si rinfrescò: si asperse con
l'acqua di Colonia che trovò sul lavamani, e dopo
essersi squadrato rapidamente allo specchio, restò
incerto se tenere o non tenere gli speroni.
— Sarà meglio, dopo tutto, un po' di rumore
militare.... — E si avviò, battendo i tacchi, ver.so
lo scalone.
La marchesa Irene lo attendeva, in preda a
una certa commozione, giustificata dalla viva
amicizia, cosi la chiamavano, che li stringeva.
Però, quando lo vide entrare, gli andò incontro
con un'amabile indifferenza, e tendendogli la
mano, gli disse in francese, che egli veniva a
salvare la patria.
Il colonnello baciò la mano della marchesa,
osservando, con un leggiero imbarazzo, dissimu-
lato da un colpo di tosse artificiale, che era un
onore ed un piacere per l'esercito il prestare un
servizio alle dame.
— Sempre cavalleresco — esclamò la marchesa
con un sorrìso, inghiottendo la saliva con una
leggiera fatica, e sedendo sul sofà.
— Grandi novità, dunque — riprese il colon-
nello, riconquistando la situazione.
— .^h, certo; mio marito è in gran pensiero
per questo sciopero. Capirete, si tratta di un rac-
colto colossale che andrebbe in fumo. È in fondo
una ricchezza dello Stato... lo dice sempre Ric-
cardo.
Il colonnello non era profondo in questioni
, sociali. »Gli parve li per li, che ♦erament^ la ric-
chezza non fosse dello Stato, ma del marchese
Màrgora ; tuttavia, pensò che molto probabilmente
aveva torto e si affrettò ad aggiungere :
— Oh lasciate fare a noi ! I soldati sono in-
telligenti e mieteranno con facilità. In caso di
disordine, faccio suonare un mezzo appello, e
vedrete questi contadini diventare come le pe-
core, cara marchesa...
La marchesa Irene, sentendosi prendere la
mano, la abbandonò, quasi convinta di obbedire
a un obbligo di riconoscenza.
In quel momento entrò il marchese, che si
precipitò verso il colonnello. '
Dopo tutto — pensò Piatti — sono vicino a
una signora, e posso restare seduto.
— Oh, caro marchese, siamo in un casus belli!
Il marchese gli tese la mano con una effusione
di viva gratitudine ; ma internamente pensò :
— Poteva almeno ^ilzarsi sulle due gambe
questo animale !
L'animosità verso il colonnello non gli sarebbe
nata certamente per quel fatto insignificante ; ma
proveniva dall'avere scoperto in camera di sua
moglie dei biglietti di lui, che erano sfuggiti al
plico la sera avanti. Quei bigliett> lo avevano
messo al chiaro di una relazione che egli aveva
appena sospettata a Roma.
II primo impulso era stato quello di fare una
scenata ; poi, da uomo pratico, aveva pensato che
il raccolto valeva molto più dei capricci di sua
moglie, e aveva concluso che era meglio lasciar
andare.
— Però - riflettè — non mi conviene restar
qui sapendo queste cose. V. una parte troppo
noiosa. Bisognerebbe potere allontanarsi.
Allora si ricordq che appunto con alcuni altri
proprietarii, i più grossi della regione, doveva
afidare a Roma per parlare col ministro.
— Ah, sta bene cosi. Noi andiamo a Roma a
parlare col ministro. Questi qui sbrigano le loro
faccende : e il raccolto si salva. Benissimo.
Perciò aveva deliberato di mostrarsi estre-
mamente afl^abile, come 1' uomo che ignora
tutto.
Strinse vigorosamente una mano e una spalla
del colonnello, esclamando :
— Me li mettete a posto voi questi ribelli, è
vero, caro Piatti ? Vi ricordate le belle .serate di
Roma?
La marchesa volle interlocjuire; ma Riccardo
la soverchiò con la voce, non facendo nessun
calcolo di lei, che in quella circostanza era uni-
camente una merce di scambio.
— Sapete, Piatti, io vado a Roma per persua-
dere il ministro, che è assurdo scendere a trat-
tative. Parleremo con alcuni deputati, e il mi-
nistro non potrà che cedere. Intanto l'ordine del
prefetto è sufficiente per darvi l'autorità di far
lavorare su larga scala. I nostrf agenti sono a
vostra disposizione per istruire i soldati nella
mietitura. Pensate che si tratta di una ricchezza
dello .Stato...
Il colonnello, felicissimo di quella immediata
partenza, non pensò neppure, come aveva fatto
primj, che quelfa ricchezza 'era veramente del
marchese Màrgora.
— Oh, che peccato! — esclamò. — Partire!
Caro marchese, mi fate un torto...
Il marchese Riccardo accese una sigaretta,
strinse di nuovo una 'mano e una spalla di
Piatti, e annunziò la sua partenza per la sera
stessa.
La marchesa Irene non ebbe neppur la forza
di fare le Sue meraviglie.
Quella libertà improvvisa le apriva talmente
il cuore alla gioia, _ che, per celarla, prese il
pretesto di dover dare degli ordini, e si allon-
tanò.
— Potete leggere le riviste — disse gettando
uno sguardo obliquo e ridente a! colonnello.
Piatti ringraziò con un'occhiata che vole%a dire:
— Ho già scelta la mia rivista; e finse d'jni-
mersrersi nella lettura.
Cosi dunque aveva luogo il the d'onore pel
colonnello Piatti.
Quando i due vecchi signori entrarono nella
sala, la conversazione era già animau e da varii
gruppi saliva il fumo delle sigarette.
La sala era di forma rettangolare, molto vasta,
con due finestre lunghe che davano sopra una
terrazza, e una che guardava il viale.
La conversazione più calorosa si era impegnata
' i^el gruppo degli ufficiali. Si trattava della caccia
in Sardegna, e di alcuni (Cavalli, recente acquisto
del conte Fadda.
Ma il conte Fadda non prendeva parte a quel
gruppo clamoroso. Era seduto con Torriani e duf
altri signori di mezza età, che calzavano ghette
grigie e adagiavano sulle poltrona un ventre con-
siderevole; parlando, con quella voce sommessa,
propria degli uomini abituati ai commerci e all.i
politica, alla vita seria e pratica, ossia ai proprii
comodi su larga scala.
Parlavano con equilibrato entusiasmo del prote-
zionismo accordato dal Governo alle nuove indu-
strie, lodando la liberalità del Governo, senza
dirsene reciprocamente la ragione, ossia i lauti
guadagni che loro ne dovevano derivare.
I due nuovi arrivati si unirono a loro grave-
mente, accolti con cordialità seria e convmta.
Lrano infatti due fra i più grossi proprietarìi. Il
vecchio ottuagenario, che faceva le* lodi del pro-
prio corpo all'ijigressc^ della villa, risparmiava
ogni anilo, delle sue. rendite, trecento mila lire,
comprando sempre terra; e il suo compagno,
dalla voce tremaftte, aveva il sistema di vendere
• il grano in erba a distanza di i^-e anni, perchè
non subisse diminuzioni sul mercato.
— Che còsa c'è di nuovo da Amburgo? — chiese
al conte Fadda. . t •
— .'\h senatore — rispose Fadda, paJssando la
mano iVa i ciondoli... — collocato.
.\lludeva a dei forti capitali che egli aveva col-
locati presso la Banca d'.Amburgo, per timore di
una rivoluzione in Italia.
• — Bene, bene — riprese l'ottuagenario, strin-
gendo la majio ai due signori dalle ghette grigie,
e chiedendo a uno di loro: — Cqme mai or»:
serio? Siete. di mal umore?j ,
L'altro ebbe uno sguardo d'intesa ct>n lu\, «he
voleva dire : — Non toccate questo tasto.
II suo comiwgno dalle ghette grigie ave\.\ i
latti perduto a -Montecarlo qu.-i.si luticele rt
.dell'annata; ed era |ier giunta irritato con'
Comune, che non voleva riparargli certe ^t e
situate<nei suoi fondi.
L'ottuagenario fìnse di comprendere, e :
salutò con la mano il figlio del >:.->n;v F-
era, insieme ad alcune signo-
66
mente presso la finestra che dava sulla terrazza
degli oleandri. Egli parlava a voce bassa, quasi
isolandosi, con Miss Everett e una signorina
Torriani.
Era un gigvane non molto alto, pallido, che
portava i baffetti ritti e una invariabile impronta
di vita vissuta nel mezzo delle sopracciglia.
Egli si atteggiava sempre a uomo che ha molto
goduto e molto sotì'erto, e che, per conseguenza,
è affetto da una speciale infelicità psicologica.
Egli aveva l'abitudine di dire che qualunque in-
felicità fisica è un nulla di fronte .a un dolore
dello spirito; e con ci^ voleva alludere costante-
mente a una sua passione, ormai celebre fra i co-
noscenti, verso una giovane cantante che l'aveva
.abbandonato. Per riavvicinarsi al marito, la gio-
vine aveva deciso di abbandonare gli amanti : e
di ciò il gioviqe Padda era rimasto così addolo-
rato che aveva pensato di suicidarsi. Ma poi de-
cise di rimettere il suicidio ad altra occasione ;
e frattanto andava trascinando per le conversa-
zioni il suo dolore misterioso, che Io circondava
di un silenzioso rispetto. Tutti ammiravano in
lui quell'impronta di sofferenza ijiterna e quel ri-
serbo nel non accennare neppur di volo ai danni
finanziarli subiti durante la sua passione. Egli
aveva consumato le rendite di due anni nel col-
mare di doni la cantante, che l'aveva ricambiato
con ingratitudine.
Ma questo egli non lo diceva; lo lasciava con-
cludere agli altri; pago soltanto di avvolgersi
in un dolore misteriose^ ,
— Bisogna vivere, vivere — ripeteva lenta-
mente a Miss Everett — per convincersi che
l'infelicità psicologica è molto superiore a quella
fisica. . •
— Oh, certamente — rispondeva la* Miss ; —
vi è anche un libro... Vado a prenderlo.
' — No, Miss — disse il giovine Padda, con
un sorriso calmo e ra.ssegnato. — Non serve.
— Dicevo — aggiunse, rivolgendosi sull'avam-
braccio anche verso la signorina Torriani — che
le sofferenze dello spirito sono molto più crudeli
di ([uelle del corpo. Uno di questi contadini che
non abbia che un pugno di farina, è molto meno
infelice, di me, ve lo assicuro.
Miss Everett aggiunsi- :
— Naturalnvsnte,!...
• Essa era una delle ammiratrici più calde del
giovine Padda e della sua eleganza inglese nel
vestire.
— Petchè non cambiate stato? — chiese con
una punta d'ironia Panny Torriani. — Mi piace-
rebbe di vedervi mietere...
11 giovine Padda si accorse che Panay voleva
ferirlo; ma con un sorriso "'indulgenza si alzò
sulla vita, girò gli anelli nella mano, e fissò gli
occhi fuori della terrazza fra gli oleandri.
Intanto una gran risata scattò su dal gruppo
delle signore e degli ufficiali. Fify, che aveva
stretta grande amicizia col tenente Verri, gli aveva
soffiata la polvere della sigaretta negli occhi, e
il tenente le aveva afferrate le mani, dimenando
la testa.
— Sputate, sputate — gli dicevano.
— Ma che sputare! non ci vedo più. Mi avete
acciecato, signora Fify.
Pify rideva, e cercava un'altra sigaretta.
Il giovine Padda si accosjò ; si accostarono i
vecchi milionari. Miss Everett, Panny Torriani,
i due signori dalle ghette grigie. ,
— .Sputi, sputi, lenente...
Il tenente sbarrò gli occhi infiammati, e vedendo
tutti intorno a se, esclamò ridendo:
— Signori miei, mi auguro di avere tanti as-
sistenti sul campo !
L'uscita fu accolta con molto plauso, perchè
quasi tutti erano fervidi partigiani dell'espan-
sione coloniale; specialmente i due signori dalle
ghette grige che mandavano in Africa le loro
derrate.
In quel punto entrò il cameriere, e chiamò in
disparte il marchese Màrgora, parlandogli al-
l'orecchio.
— E una bestia — esclamò il marchese, facendo
atto di uscire.
— Che cosa è successo.' — chiese la»marchesa
Irene.
— Il fabbro non è capace di aggiustare l'auto-
mobile. Ora vado io.
— Che pazienza ! — osservò la marchesa Irene.
Il colonnello Piatti pensò che quello era il mo-
mento opportuno per ritirarsi, e pi-endendo fra
le sue la mano della marchesa Irene, disse
sorridendo :
— Ci rivediamo a pranzo, cara marchesa: ora
dobbiamo andare sui luoghi per verifiche.
Il suo aiutante 3i campo s'irtchinò con forza ; e
il colonnello prese commiato dagli astanti.
Prima ad uscire fu la contessa Itta, che ripetè
a tutte le àrniche le esortazioni e le notizie intorno
alla commedia, che stava organizzando nella sua
villa.
La contessa Itta aveva fatto rizzare un piccolo
palcoscenico nel suo giardino ; in un lato com-
preso fra la fiancata orientale della villa e il muro
di cinta.
\'i era un largo spazio capace di un centinaio
di sedili, più che sufficiente quindi per gli spet-
tatori.
Per varie settimane non seppe concepire altro.
_ Non solo durante la giornata, ma anche nella
notte, la sua mente era occupata da quinte, scene,
costumi, lumi, ribalte. Era un'impresa colossale:
bisognava scrivere da tutte le parti : alle amiche
delle città vicine, per i costumi ; perchè quei pochi
che possedevano, non erano adatti. .Si era proposta
di rendere lo spettacolo un vero modello di
eleganza : e aveva incaricato il giovane Padda,
profondo conoscitore dei repertori da demi-thcàtre,
di scegliere le produzioni più ricche di parti
femminili.
— Pensate, caro tenente — lo chiamava cosi
per abitudine — che vi saranno anche gli ufficiali
del 22° fra gli spettatori. Non dobbiamo fare cat-
tiva figura.
Il giovane Padda prendeva sempre queste cose
sul serio ; e aveva fatta una gita apposta a Milano
presso alcuni suoi amici per consultarli riguardo
alla scelta. Tornò, carico di fascicoli e di libretti,
dopo una settimana, e prese stanza in^ una sala
terrena della villa Torriani, che deminava alcune
aiuole di fuxie, fiore che egli preferiva sopra
tutti.
-Spesso Fify, che veniva a vedere il progresso
dei lavori nel giardino, si introduceva nella sala,
e vedendolo rivolto verso le fuxie, intendo a leg-
gere gli spartiti, gli tirava il ventaglio o il faz-
zoletto, obbligandolo a voltarsi verso di lei.
Il giovane Padda la .salutava in francese, con
un sorriso molto pallido, pjerchè egli odiava tutta
le espressioni eccessive del sentimento.
Pify che era sempre libera, stante l'assenza di
suo marito che girava in campagna più in traccia
_di sassate che di aftari, gli si metteva accanto e
pretendeva disturbarlo, facendogli vento o chiu-
dendogli improvvisamente le persiane.
Ma il giovane Padda compativa quei picpoli
scherzi e obbligava Pify a mettersi a sedere.
— Ascoltate, petite-amie — le diceva — questa
scena. — E leggeva una scena, mólto sostenuta,
che egli si proponeva di recitare con Pify e la
più giovane delle Torriani.
Fify stava ad ascoltare per qualche minuto:
poi gli batteva il ventaglio sulla nuca, e i guanti
sui baffi: e scappava via ridendo...
— Méchante, petite-amie! — esclamava il gio-
vane Padda, rialzandosi i baffi, che egli non
avrebbe mai sofferto abbassati di mezzo centi-
metro.
Fify infatti non poteva perdere il tempo.
Doveva trovarsi in casa Padda per una que-
stione estremamente interessante.
La contessa Virginia Padda aveva indetta una
adunanza fra le sigilore villeggianti, per stabilire
definitivamente il genere di toilette da adottarsi
in tale circostanza.
La cosa non era semplice; si trattava infatti,
non solo dello spettacolo nel giardino, ma anche
di un the nelle sale terrene di vill^ Torriani, se-
guito da quattro salti, come diceva la contessa
Itta : quattro salti che poi si sarebbero trasformati
in una vera e propria serata.
Pify trovò le signore già radunate. La contessa
Virginia Padda distribuiva le lazze; e accolse
Pify con un amabile rimprovero.
— Ma guardate! si tratta di un'adunanza so-
lenne, e tu vieni in ritardo; e Fanny Torriani
non _fa che parlare, da un'ora, di scioperi e
d'altre .sottises. • ,
Fanny Torriani proruppe in un piccolo ris-j
nervoso, e si tenne fra le labbra una frase che
avrebbe prodotto un disastro. .
Miss Everett sbirciò Fanny con aria di rim-
provero, pensando che quel contegno sarebbe
stato certamente biasimato dal giovane Padda.
In quel momento, entrò la contessa Itta: e il
giovane Della Staffa si affrettò subito a mettersi
in posa di complimenti.
— Ecco chi risolverà il problema...
Sorse un vociferio confuso.
— Tu che sei a capo dell'impresa teatrale ri-
solverai... — esclamò la contessa Virginia. —
Si tratta di sapere quale toilette si deve adottar'.-
per le tue serate.
La contessa Itta si mise a sedere con un certo
sussiego.
In fin dei conti, si sentiva la protagonista di
tutti (luesti avvenimenti e poteva dettar legge.
— Non sta a me, vl-ramente, M dirlo...
— Decolleté — interruppe .Miss E\'erett ; acuì
il giovane Della .Staffa rivolse uno sguardo ridente
di stupore.
Su questa parola, le discussioni si impegnarono.
Chi sosteneva il decolleté; chi la mezza toilette
chi la toilette da passeggio.
Fra i disputanti, la -contessa Virgìnia andava v
veniva con aria trionfale, lietissima che la con-
versazione avesse presa un.ì piega cosi vivace.
Per conto suo era tranquilla, perchè sapeva che
era venuto a Gaviole uti conimes.so di Milano
con abbigliamenti all'ultima moda, che vendeva
a prezzi abbastanza moderati. .A.veva già convinto
suo marito di acquistarle una toilette bolero bianca
pailleté, una rarità del genere, che costava cin-
quecento lire.
Il commesso si chiamava il Fischio, percii'
aveva l'abitudine di carezzare con uno zufolio
ogni su6 articolo di genere.
— Peccato che non vi sia ilVronte Padda, che
conosce gli usi di Parigi ! — os-servò Miss Evenni.
Il giovane Della Staffa, che era vice-presidente
di un'associazione monarchica, interloquì :
— Credo che possiamo benissimo risolver,-
questa quistìone in Italia; .Anzi «propongo al! i
contessa Itta di abolire il vino francese...
— Ma io volevo ^qlo dare il the... — osservo
la contessa Itta, agitando il veiUaglio. l-i testa
le cominciava a girare, nerclu- .iveva dovuto sur
68
ferma in giardino al caldo per un'ora intera, in-
sieme all'ingegnere Ercolani, attorno al palco-
scenico.
— Insomma, l'argomento da esaurire è quello
della toilette — osservò di nuovo la contessa
Virginia. — Mi pare che...
— • Peccato — disse Fanny Torriani — che
quell'agente di Milano... Come si chiama?
— 'Il Fischio — disse Miss E\;erett.
— Già, che il Fischio sia partito.
La contessa Virginia aveva in mano una sfera
'di cristallo piena di biscotti Huntley-Palmers; a
quell'annunzio, la sfera le scivolò di mano sulla
tavola da the ; e con la faccia inebetita, fissò
Fanny dentro gli occhi.
— Che cosa è successo? — chiese Fanny ri-
dendo.
— Partito... partito... il Fiscl^io?
— Si, ha fatto sciopero anche lui... — riprese
Fanny, ridendo disperatamente.
— Ma che sciopero! la contessa. Virginia non
scherza, — interruppe il giovane Della .Stafla,
che era fidanzalo di Fanny e poteva spiegare una
certa autorità: — Ti chiede se quell'agente di
Milano è davvero partito.
Un silenzio glaciale si diffuse nella sala.
L'origine di questo silenzio non proveniva dal
tofio severo» dfl giovane. vice-presi3ente, né da
un po' di rossore di Fanny, ma dal terrore che •
aveva invaso tutte le signore presenti, a quel-
l'annunzio. Tutte avevano accese le loro speranze
intorno al Fischio.
La contessa Virginia sedè sul sofà ; si soffiò il
naso e chiamò Ernestina, la sua bonne; e le
bisbigliò una parola nell'orecchio.
' Ernestina si allontanò : ma vedendo che non
tornava, la contessa Virginia si alzò, e scomparve
dietro la portiera. Tornò poco dopo col volto più
rischiarato: aveva aspirato l'aceto balsamico.
Il giovane Della Staffa non poteva permettere
che si prolungasse un simile equivoco.
Uscì rapidamente, dicendo:
— \'ado a informarmi.
La contessa Virgìnia ebb? un nuovo accesso
nervoso: questa volta di tenerezza. Si coprì gli"
occhi col fazzoletto e cercò di essére disinvolta.
. La conversazione riprese a poco a poco, ma la
contessa Virginia era lontana ton la mente. Se-
guiva passo passo Della Staffa; lo vedeva in
traccia del Fischio, salire, scendere...' — Pove-
retto, come è gentile ! ^ mórmòraxa fra sé —
quella sciocca di Fanny è proprio indegna dì lui.
Che prontezza! Ma tornerà? Sarà partito? Dio,
che pena !
Mentre si isolava in quelle ritìes:?ioni, il came-
riere alzò la portiera é annunziò che il viaggia-
tore era agli órdini di Sua Eccellenza.
Il giovane Della Staffa, per far meglio assapo-
rare la sua cavalleria, aveva creduto bene di non
tornare.
— Passi pure.
— Passare? — chiese il cameriere.
— Si, che passi, che passi ! — insistè la contessa
Virginia, coprendo con un tono d'impazienza la
sua gioia smisurata.
— Passi! — gridò il domestico nell'anticamera.
Un uomo seguito da due ragazzi carichi di
scatole di tutte le dimensioni, si affacciò alla
porta. Tutte le signore si .alzarono in piedi. Il
Fischio s'inchinò, e fece cenno ai ragazzi di de-
porre le scatole.
— Non è finito... — disse, rivolgendosi seria-
mente alla contessa. >
I ragazzi uscirono, e introdussero un altro
carico di scatole...
— Presto, le altre...
I rao;azzi uscirono, e deposero sopra le prece-
denti, altre scatole.
La pila era imponente ; e il Fischio cominciò
ad aprire la prima, con un leggiero zufolfo
Tutte le signore sorridevano.
Fanny Torriani, nell'uscire con Miss Everett,
era cwpa. Tutta la 'giornata non s'era potuta
liberare da due occhi che la fis'savano con una
pertinacia irosa, superba : gli occhi di una con-
tadina in cui si era imbattuta al mattino. Stava
innanzi a una casupola, attingendo acqua da un
pozzo, e Fanny passando, le aveva chiesto se era
passato il fattore.
• — Non lo so — le aveva risposto la giovine,',
ferendola con Io sguardo, e voltandole le spalle.
Fanny era rimasta di sasso. Doveva dunque
essere molto adirata con lei, se le rispondeva posi.
Che cosa le aveva fatto di male?
La contadina s'era allontanata: e allora Fanny
aveva voluto entrare nella casa.
Era la prima casa di una viuzza del paese,
.sudicia, in mezzo alla quale correva sempre un
rigagnolo d'acqua di fogna.
Vinse un certo sgomento, e posò il piedino
calzato di bulgaro, sul^ scaletta di legno.
Nessuno comparve.
Siti pianerottolo, vi era una cesta rotta e delle
zappe senza fusto. Entrònella stanza che serviva
di aicina, e vide un mucchio dì stràcci in un
angolo, da cui usci un lamento. Era un bamJ)ino
di due anni con la febbre. Fanny si curvò sugli
stracci, e senti dietro a sé dei passini rapidi <}\
piedi scalzi. Si voltò; era una bambina di sei
anni, che la guardò con gli occhi smarriti ; e
vergognosa si puntellò alla tavola, inarcando un
piedino, e abbassando gli occhi.
Sulla tavola si vedevano i resti del desinare.
delle mele cotte guaste, e dell'acqua, gialla come
l'orina. .
— Hai mangiato quelle cose li ? — chiese
Fanny arrossendo.
La bambina non rispose.
Fanny le passò una mano sui capelli.
La bambina guardò il suo braccialetto con
stupore; poi inghiottendo a fatica la saliva, disse:
— Mi fa male la gola.
Fanny le osser\-ò la gola, e le disse che era
una glandola gonfia.
La bambina diventò seria e triste :
— Ma non m'importa di morire — disse —
perchè si starà meglio.
Fanny l 'accarezzò ancora.
— Non è nulla, sai, — disse per confortarla;
e le versò nella manina quanto aveva.
Intanto si udì di sotto un vocio. Venivano al
pozzo ad attingere acqua.
Fanny s'affrettò a discendere. Credette di dover
essere ingiuriata, maltrattata; si dispose a una
specie di difesa. Avrebbe lasciato braccialetto,
anelli, tutto...
Vide invece molti occhi che la fissavano, con
meraviglia quasi altera.
Alcune donne bevevano. Ella si avvicinò per
esaminare quell'acqua, che era gialla e putrida.
Altre donne si affollarono intorno al pozzo :
faccie gialle consumate dalla febbre, dove i linea-
menti andavano perdendo ogni bellezza; e resta-
vano gli occhi soli, luminosi e soavi, perfino nel
raccontare la loro miseria.
Una di loro aveva la bocca rovinata dalle
febbri ; e alcune altre, col petto.coperto di stracci,
raccontavano di non aver più latte da dare ai
bambini.
— Abbiamo tutte quante avuU la febi<r-, >t
qualcuna di <ioi l'ha ancora.
— Perché non fate bollire l'acqua?
— Eh, bisognerebbe aver la legna! Non l'ab-
biamo neppure all'inverno per scaldarci...
Eppure, da tutte non potè sentire una sola
parola di odio e di violenza. Una specie di fatalità
disperata e ridente pesava su di loro.
Fanny si era allontanata, trasognando.
Era quella dunque la gente per cui venivano
i soldati, quella la gente che il colonnello Piatti
diceva di voler domare, che il marchese Màrgora
andava a denunciare a Roma presso i Ministri,
che suo padre ti^tte le sere bollava col peggiori
epiteti, spergiurando di non voler cedere di un
palmo solo ? , .
Le pareva di sognare, e un mondo di perchè
le sorgevano in mente.
La risposta più naturale era per lei questa:
bisognava concedere a loro tutto ; dare quanto
volevano, e più ancora, per vederli sani, forti,
senza febbre. Come si poteva far questo?
• Rientrando in casa, trovò sua madre che leg-
geva un romanzo francese.
— Dove sei stata finora ? — le chiese.
— Se sapessi — disse Fanny — non mi guar-
deresti con quell'indifferenza.
— -Me l'immagino ; sarai stala in paese. VA
giorno o l'altro te ne capiteranno delle belle.
Oggi intanto lo dirò a tuo padre.
Fanny le voltò le spalle.
— Guardate che tipo! — borbottò fra sé la
signora, — vuole fare e giudicare come gli uo-
mini.
E sicurissima di essere nella verit.i, riprese la
sua lettura.
DOMENICO TUMIATI
3SS^saESS^^i^a^sas:snK:yaK:^t!Kyr::x^r^Kir3nr:g:r^KFZx^^f^^mw^;g^
XVIIL
LE BAMBOLE
Ricordo ancora la prima mia bambola, una
stupenda bambola troppo grande che mi faceva
paura. Eppure essa aveva i capelli ricciuti, gli
pcchi scintillanti, una gonna di seta che lasciava
scoverti due piedini dalle calze traforate e dalle
scarpe a fiocchetti. Dopo averla ben. bene am-
mirata, l'avevo riposta in fondo ad un armadio,
nel disordine dei vecchi giocattoli, con le due
braccia distese e coi' suoi occhi così pieni di
•viftì rivolti contro il muro. P- " "• - ■" •-»••- '•
guardavo e subito la rimate \
diglio, senza mai potermi a!'i;
a trastullarmi con essa. ,
In seguito ne ebbi molte «aitnr, Kimbolc m.Tl
dipinte, che ,illa mìnima goccia d'.\ .
vano le loro guancie rosee. Quali ■
La bambola ■ lavata, stinta e le mio iiit.» t --•■
dei loro freschi colori ! .\llora mi si consol.iv.»
assicurandomi : « Con l'asciugarsi il colore ritor-
nerà ». E, dieci volte nella giornata^ io andavo,
con un gran rimorso, a contemplare la piccola
vittima, appoggiata con ogni cura ad una seg-
giola con lo sguardo rassegnato fisso nel vuoto,
lina macchietta bianca che assomigliava ad una
lacrima mal tersa, la sfigurava da un lato ed io
ne serbavo per lunga pezza una pena nel cuore.
A venir trascinata sur i tappeti, a cadere giù
dalla tavola, a dormire, sotto gli sgabelli, la bam-
bola finiva di rovinarsi : gli occhi azzurri si fen-
devano, la bocca perdeva il grazioso suo sorriso,
le brpccia il loro gesto ritondo; ma, se qualche
giorno di festa mi procurava una'nuova bambol?,
l'altra,' con la sua testa incollata, con le sue
braccia ricucite da un po' di réfe, rimaneva la
favorita. Tale preferenza rassomigliava ad un in-
tenerimento, quasi che tutte le sue ammacca-
ture mi rammentassero le buone giornate di tra-
stullo e le facili mie disperazioni ad ogni nuovo
accidente. D'altronde io non avevo ancora al-
cuna civetteria, ma avevo una tenerezza inesperta,
un vago sentimento di fifugio, giacche la mag-
giore mia felicità era di coricare la mia bambola
nella sua minuscola cuna di vimini a rischio di
sciuparne la cuffiettina di merletto con tutti i
suoi nastri.
Una sera le vivaci figurette allineate nella ve-
trina di una bottega di giocattoli mi tentarono.
Bisognò entrare' e scegliere, all'incerta luce del
gas che allora accendevasi, una di quelle leg-
giadre bambole sorridenti fragilmente nel lucci-
core della porcellana. Quella che io presi aveva
i capelli fini, che arricciavansi appena bagnati,
i vestitini tutti d'un pezzo, tagliati nell'istessa
foggia dei miei, un grembiule di. battista. Ri-
flettendovi su, mi sembra ch'essa fosse assai
semplice e ragionevole. Né mantiglia di casi-
piirra, né gioielli, né occhialetto di tartaruga,
punto armadio a specchio, punto trine, punto
strascico. Essa aveva proprio l'aspetto di una
ragazzina, di una ragazzina più piccola di me,
e m'ispirava cure materne. Fu poi costei ch'io
incominciai a lavorare, raccogliendo ritagli di
garza e pezzetti di nastri, nel vano della finestra,
intorno a quel cantuccio delle lavoratrici su cui
la luce del giorno cade appiombo come in una
alcova drapppeggiata di larghe cortine. Mi pro-
vavo a tagliare : dalla bella stoffa dalle vivaci
sfumature, sufficiente per un intero vestito, io
riuscivo, a forza d'inettitudine, a non ricavare
che un piccolo cercio da ricoprire un cappel-
lino tondo. Senza scoraggiarmi, mi provavo a
cucire. A poco a poco, appresi a rimanere quieta
al mio posto, a provare il fascino delle giornate
di pioggia senza passeggiate e del lavoro pa-
ziente che rende breve l'ora, rinserrando tra i
forellini dei punti il minuto che passa. Le mani
cosi piccoline facevano l'orlo troppo grosso, il
mio filo annodavasi, rompevasi, io diventavo
rossa, perdevo il mio ditale, le mie forbici; il
gomitolo rotolava a terra, intricato, quasi che
con esso si fossero trastullate le zampe di un
micino.
Allora bisognava aprire il tavol inetto di lavoro
e penetrare delicamente in quel labirinto di
tiratoi, di cassettini colmi di minuti oggetti, pre-
ziosi per ciò appunto che non si maneggiano
che diventando destra,, in cui apprende a cer-
nere un centinaio di spilli senza pungersi ed a
disticare da sola una matassa intorno alla spal-
liera di una seggiola.
1 rocchetti da far girare, g<i aghi da infilzare,
questo aguzzamen{o dello sguardo e delle dita,
lo acquistai mercé la mia bambola. Ed è perciò
che io la veggo all'inizio della mia esistenza di
donna, siccome nella stretta cornice di un viale
che s'allontani, grande proprio abbastanza da
riempire con la sua sagonna di bimba felice
tutto il mio orizzonte d'allora.
Giò ebe si vede attraverso un velo di mussola bianca.
Fu ih un pomeriggio di domenica, all'ora dei
vespri e della processione, che compresi, per la
prima volta, la solennità delle feste religiose,
l'attrattiva dell'organo invisibile e dei ceri impal-
liditi dalla luce del giorno. Non mi dite che la
chiesa era piccola, il tappeto del coro sciupato,
il velluto degli inginocchiatoi gualcito dalle me-
ditazioni un po' lunghe, e che gli innumerevoU
fiori delle cappelle non erano che di carta velina
di tutti i colori : non crederò giammai a tutto
ciò. Il velo bianco teso sopra i miei occhi ha
tutto trasformato, per me in quel giorno.
Ho z'ìsio la preghiera. I misteri mi sono apparsi '
comprensibili e gli emblemi viventi. Le spighe
di grano, i grappoli d'uva ricamati sulla tovaglia
dell'altare, con l'agnello nel mezzo, portante una
croce attraverso il vello, mi colpirono come la-
parola stessa del Vangelo. Ai due lati del coro.
lunghe file regolari di bianche vesti piegavansi
mollemente. Come i ceri che attraverso il mio
velo non erano più che punti luminosi privi di
raggi, tutti gli occhi aperti intorno a me avevano
qualcosa di fisso, e di dolce, un unico pensiero
in mille sguardi sperduti.
Giulietta, tu che parlavi sempre in clas.se.
Marta, così proclive al riso nell'ora delle lezioni,
Amelia, traditrice, burlona e malvagia, come mai
in quel momento eravate tutte tanto tranquille,
calme e raccolte? Giovinette di poi, donne adesso
e madri, nei vostri migliori giorni di virtù, di ras-
segnazione, di pazienza a tutte le lacrime, voi non
avete forse giammai più ritrovato l'istante di fer-
vore che passava allora al di.sopra delle nostre
teste inclinate, come una stella unica sorgente al-
l'orizzonte delle nostre vite, visibile per noi sole.
La mussolina aveva riflessi di lampade celesti,
una vaporosità d'incenso. I rosari ravvolti in-
torno al braccio, le croci luccicanti sui soggoli
erano veri gioielli da chiesa, adorni di argento,
di madreperla e di perle, benedetti, confusi nel
vago degli abbigliamenti, .\vevamo nascosto i
nostri capelli sotto piccole cuffie a pieghe mo-
nacali, regolari, e rammento di avere, quella
mattina, pianto un po' perchè la mia mamma
voleva farmi i ricci e ciò era contrario all'uni-
forme, che richiedeva i capelli divisi, ben pettinati
e lisci, con la linea pura che scorre la fronte,
come per mettere in evidenza l'indifferenza mon-
dana ed il pensiero completamente santo.
Oh! il dolce stordimento dell'intera cerimonia,
il velluto su cui si camminava, i veli che sfiora-
vano appena, il gesto lento delle mani inguantate,
la voce tenera d'un fanciullo che recitava i salmi
nel mezzo della chiesa troppo aftoUata, come un
uccello che volesse cantare in un cofanetto di
raso, ovattato di piume di cigno e ricoverto di
merletti. Non si udiva nulla nelle nostre file, salvo
che sull'impalcatura, in fondo alla navata, dove
quella vocetta, soffocata, giunta nell'aria leggiera
della volta, dipinta in colore azzurro cielo, ritro-
vava la sua sonorità di cristallo puro.
Il coro si sfolla, sfiliamo allineate per la pro-
cessione. I ceri tremano un poco nelle mani
piccine, sporte fuori dai veli dinanzi a noi. Ecco,
l'alto stendardo di seta rigida che ci precede di un
bel tratto. Colui che lo porta è invisibile, confuso
nella folla, ed esso sembra procedere da solo,
innalzato e sostenuto dagli accordi dell'organo,
da «lucile onde di atmosfera vibrante, che si
prolungano affievolendosi. Dinanzi al (tortone
semiaperto, un raggio di luce sfiora le dorature,
le sete ondeggianti, leggero, azzurrognolo, so-
prannaturale, nella gloria dorata, splendente degli
altari. In coda alla processione, tutta in nero con
noi tutte in bianco, unp stuolo di vecchiette le
cui voci esitano alquanto e poi rispondono alle
litanie biascicando...
Come la cappella mi è apparsa grande in quel
giorno, vista lentamente all'intorno a piccoli pa.ssi
e come tutto mi è apparso vero, della verità
delle imagini, delle convenzioni, visto come si
debbono vedere i sogni, le religioni e Dio, at-
traverso un velo trasparente, un' apparenza di
realtà in cui si mitiga la luce troppo viva! .\\
muoversi delle pieghe della mussolina, i quadri
si animavano, le statue sorridevano, il riflesso
complicato delle vetrate non era altro che il
chiarore mistico piovente da quelle ali d'angeli
di cui si parla nei libri santi, iridate come piume
d'uccello.
Bisogna avere una nuvola bianca sugli occhi
per guardare tutto ciò e giammai dimenticherò
la soave intimità dei pensieri che si credono
invisibili, confusi sotto il velo abbas.sato, con le
impressioni pie del difuori. Ciò è durato tutta
la giornata ; e la strada al ritorno, i viandanti, il
cielo grigio, ne sono rimasti trasfigurati, mentre
che, alla nostra porta, io scendevo di carroii-i
con precauzione, profondamente commossa per
quel vestito tutto bianco, osavo appena mettere
i piedi a terra e camminando come in una nube,
abbagliata dalle impressioni ondeggianti, inde-
cise, d'un intero pomeriggio di vespri e di bene-
dizioni.
GIULIA DAUDET
(Tiaduzione di Vittorio Pic.v
^^(^u^mif
XIX.
L'amant cache,
Partout de ton charme sur terre
Te vois le reflet enchanteur ;
C'est ton pur rayon qui m'éclaire,
C'est ton parfum qu'a tonte fleur.
Ta voix, ta caresse attendrie
Berce e rève mon coeur tremblant...
Tu m'aimes en réve - et la vie
N'est plus pour mei qu'ombre et néant.
L'essor de l'ànie frémissante,
Le peu de bien que fait ma main,
L'espoir, la fièvre qui me haute,
C'est tei, c'est tei - triste amour vain!
Je vois pàlir ton front qui souft're
Et je ne puis me dévouer !
Ton coeur défaille au bord d'un gouftre :
Sur quel coeur vas-tu t'appuyer ?
D'un nimbe d'amour entource
Tu passes suivant ton destin :
Tu l'emportes, tout éploróe,
Ma pauvre àme - et tu n'en sais rien.
Tronco solingo,
Si cheta il mar nell'ultimo riflesso,
Scolora in un vapor la costa bruna,
Due trepide barchette van lunghesso
La sponda e un soffio reclina su l'una
L'altra vela fraterna ch'è dappresso ;
L'orizzonte lontan degrada e imbruna
Le fiamme ancor, mentre ai clivi sommesso
Un fiotto d'ombra sale che s'aduna.
Ch'è mai lassù?... Nell'aria tersa e muta
Da uno spalto solingo, denudato
Di frondi e fior — poi che veglia e minaccia -
Un esil tronco stende l'irte braccia
.Supplice, immoto, e il cielo arde squarciato
Dal muto grido nell'ampiezza nmta.
MARIO CLARVY
AMORE
Olia Giginctla,
Tu vuoi proprio conoscere, dopo sei mesi che
ci amiamo, i! perchè di tutto il mio amore? Ti
potrei rispondere : perchè ti amo. Invece, poiché
le cause del mio affetto ci sono e sono parecchie
(tu stessa avresti dovuto intuirle), ti inflìggo una
pagina psicologica e te la infliggo senza pietà,
perchè sei tu che l'ai voluta.
Tu chiedi se in me coi sentimenti individua-
listici si possa conciliare una vera passione. Ma
se questa è nell' essenza stessa del mio io !
Quando si à come me una natura esuberante e
prepotente, fatta ancor più sana e bramosa dal-
l'esercizio fisico; quando la montagna, con la
quale vo lottando, mentre m'indurisce il corpo,
rende tanto più gentile e aflfettuoso l'animo mio,
e mi fa desiderare con tanto ardore un essere
amico ; quando il mio spirito egotista mi separa
come un solitario dal mondo, e fa si che al-
l'amore di una donna sia spinto a forza e a forza
rimanga fedele; quando quest'amore, invece di
contrastare con quello spirito, s'aftratella, perc*tiè
un affetto intenso e naturalmente egoista ci al-
lontana più che mai' dai nostri simili, e ci rende
più che mai indifferenti alle vicende umane ;
quando infine l'amare una per.sona che ci ama
non è che amare noi stessi, tu ti stupisci che io
t'adori? I^ mi domandi perchè il mio riioru si
sia rivolto proprio a te ? Le nostre anime anno
percorso la stessa via, anno vagato nella prima
gioventù in un cielo doralo di sogni, si sono ri-
svegliate, nelle crudezze della realtà, e anno tro-
vato la redenzione nel raccoglimento solitario
nella ridente quiete dell' indifferenza, nel bisogno
d'amore. E l'una all'altra questo bisogno non
poteva davvero soddisfare con più larga dolcezza:
perchè, come in un giovane di venticinciue anni,
per la simijatia dei contrasti, l'ideale della donna
amica è una Gigina di trenta, una vera donna
che conosce il mondo e ama con più tranquilla
intensità, cosi per Gigina l'amore semplice, che
vibra con la mia gioventù, sembra più gradito
alla natura e accarezza di più 1' istinto materno.
Tutti e due, per ragioni diverse, consideriamo
come una fortuna inestimabile il legame che ci
unisce. Questa è la nostra forza; si ama perchè
si è amati. Io sento che, se il tuo cuore non
fosse più mio, mi separerei da te senza dolore.
Ci vogliamo bene perchè siamo liberi e non
schiavi come due sposi, animaletti accoppiati per
far dei tigliuoli. Quel buon Spencer, che fonda
la sua teoria sul postulato della necessità della
conservazione della specie! Ecco due cittadini,
che s'adorano e non vedono proprio questa ne-
cessità. E s'adorano e sono fedeli anche <|uando
sono divisi. Perchè sono oramai due mesi, (".igi
mia, che noi non ci vediamo!
Tua madre non poteva avere un'idea migliore
che quella di condurti in riviera, lontana da me
più di duecento chilometri in linea retta ? Meno
male che sei nel paese di Albi, dove mi pare di
vivere in ispirilo e di proteggerti. Quanti ricordi
di passioni remote mi risveglia 1' immagine di
quel piccolo paese dalle casipole variopinte e
dalla spiaggia deserta I Quel piccolo paese, che
per me rappresenta 1' immensità !
V'è però qualche cosa di novaniente dolce
nella melanconia di un amore lontano. Mentre
'negli inizi ci si adatta a tutto pur di vedere In
persona amata, e ci pare che la sua presenza
sia indispensabile al viver nostro, e appena si
rientra nella solitudine si cade in una tristezza
infinita; quando si è conquistato l'amore della
donna, la lontananza ci è meno dolorosa, perchè
riconduce la nostra fantasia ai sogni, alle tene-
rezze vaghe dei primi giorni.
Cosi mi ritorna alla mente l'allegra scappai.!,
elle facemmo il primo lunedi di aprile. Erravamo
per le praterie solitarie, stretti come due sposi
novelli, col cuore palpitante di gioia, mentre ci
salivano al viso vampate impetuose di felicità
giovanile, e risplendevano in noi tanta sempli-
cità, tanta .idorazione, tanta primavera, che un
vecchio contadino, l'unico abitatore di quell'ampia
distesa, lasciando per un momento di z.ipp.ire
la lerra. salutava con uno «guardo di paterna e
serena compiacenza il nostro amore, il quale a
lui, con un sorriso amico, rendeva il «aiuto. K
soli, muti, in mezzo alla immenna canipa|;n.i,
piangevamo d'allegrezza.
<J dolce Ginetta, ijuanto r:i"'"- ■' - •
rude montanaro è piena di ■.
porla di qualche rifugio, peni •
tiginose sulle roccie nere e sui ghiacciai, guardo
le cime infinite che paiono infinite guglie di cit-
tedrali magiche dorate dal tramonto, e la quiete
solenne della natura fa che l'anima chiami a
raccolta i suoi errori e le sue sp«-rai
o Gigi mia, sovrapporsi a ogni punì
la tua cara immagine; cosi mi pare ... ...,.
una Gigi colossale sul Monte Bianco, una Gi-
gina più slanciata sul Cervino, una Cina can-
didi.ssima su tulle le punte del Monte Rosa, una
Giginetta in costume svizzero sulla Dent Bianche,
una Ginetta vaporosa sul W'eisshom, un'Elta
lontanissima, evanescente sul .Monte Viso; e mi
rammarico che la visione amica non appaia .inche
sul mio monte e, come una f.iln dell.» ■u.mmiti,
non scenda dalla vetta alla capann.t niiicra e
buia per portare al compagno fedele u^ raggio
di luce. Come mi accorgo, contemplando in
queste ore sublimi la natura, che la conifMgnia
desiderata dall'uomo nelle commozioni intenw,
nelle vaghe tristezze, nei sogni infiniti che ci
vengono ilall'universo, non è la compagnia d'un
amico, di una moltitudine, nn '- '• una
donna! E il desiderio di te è C' ■ osi
forte che talvolta. |>er l'eccil . fan-
tasia, mi pare d'averti insieme. L'altro giorno,
sulla mia punta preferita, da cui in un giorno
perfettamente sereno, non velato dai più leggieri
vapori all'orizzonte, si può vedere la linea az-
zurra del mare, non ó forse avuto ' i
guardando fissamente a destra nella
.Mbi. di scorgere Gigina. che legg''
sulla rena, o. peggio, che scopriva
curioso le belle gambette (atte al l<>;:
dendo nell'iicqua.» Oh! va ìk, Mnta che tu te
ne accorga, io ti sorveglio. .
Nel mondo io non vedo più che noi due : i
piccoli villaggi alpestri, le metropoli, l'umanità
intera scompaiono; su tutta qii' ' ■ ' ' ■
della patria non sono piii che
rina avvolta in in ■■■ ">i-i^ ' -. ,
si disegna sull'i:; I mare, e
una piccola mac. : ■ »<il >"<:i
dido di un grande Khiactmio; Uur- '
tari, lontani l'un dall'altro renlinwì»
l'uno, che par gettato i- '■'■ '
rapito da un turbine si: mi
lutti e due uniti '
polente ; mentre
74
regge l'universo, porta il bacio del mare alla
montagna.
L'altro giorno la padrona dell'albergo mi con-
segnò la tua letterina, e, riconoscendo il solito pro-
fumo e la solita busta, mormorò furbescamente:
« Com'è squisito il profumo d'Eliotropio! »
« Stupida! » dissi fra me « profumo di Gi-
netta, non d'Eliotropio ». Quel profumo che mi
ricorda tante divine dolcezze ! Questi ricordi sono
cosi fortemente vivi nei miei sensi che, ritornando
da ascensioni faticosissime di diciotto o venti ere,
quando si va innanzi col cervello vuoto, per forza
d'inerzia, ubbriachi di stanchezza, io frusto,
schiaffeggio' con essi la carne e lo spirito e con-
tinuo il cammino con una nuova e strana energia,
che stupisce le guide. E mi puoi credere tu, che,
vedi tremare, dinanzi ai tuoi calzoncini ni%'ei e
al tuo copribusto color di rosa, questo impeni-
tente montanaro, come un ragazzo che conosca
per la prima volta l'amore.
Quante volte nelle notti brevi e nervose, che
precedono salite lunghe e difficili, tento invano
di cacciare di fra le immagini, che si rincor-
rono nella mia mente, il biondo della tua te-
stina e il bianco paradisiaco delle tue graziose
gambette, perchè mi sia concessa un'ora di ri-
poso! Quel tuo collo sottile e candido di bam-
bina, che pare debba rompersi quando con tutta
la forza del mio amore ti suggello con un bacio
la nuca, è il più ostinato a ripassarmi dinanzi
per negarmi spietatamente il sonno. E, come
orde nemiche, m'accerchiano per affocarmi le
carni i ricordi di tutti i baci ardenti di gioventù
e d'amore, di cui ci coprivamo per lunghe ore
e che ci lasciavano languidi, sfiniti, innamorati
più di prima. Allora, vedendo che è vana ogni
resistenza, mi getto anch'io nella mischia dispe-
ratamente, e riaccendo nella mia memoria tutti
i divini deliri dell'amore non mai sazio, che tu
m'ài concessi; e t'amo di più e fremo. Ah! più
dolce, più seducente, più ammirabile del giuoco
di colori, che offre la montagna più bella col
verde delle praterie, il bianco dei ghiacciai, il
nero delle roccie, gli azzurri, i violetti superbì
del cielo, è il contrasto della calza nera, della
giarrettiera rosa, della carne bianca.
O Gigi mia, stringimi forte, lega alla tua la
mia gagliarda gioventù, la quale à per sempre
abbandonata la società, che la voleva uccidere ;
rasserena con la tua dolcezza gli affetti sublimi,
che l'universo m'inspira, e che l'immenso for-
micaio del mondo deride; fa chel'idea dell'ignoto,
dell'infinito non cozzi colla realtà della mia vita,
ma si unisca in me al tuo amore : tu stringi al
petto un uomo, non una pecora imbrancata fra
le pecore vili. Tu e la montagna siete ormai la
sola mia gioia, la mia sola ragione di vivere. Io
non soffoco gl'impeti della natura con le me-
schine finzioni sociali ; io non esalto la potenza
della natura e dell'amore dopo aver predicato
tutto il giorno che bisogna ad ogni cosa ante-
porre il dovere, il quale l'uno e l'altra opprime.
Io preferisco la tua vita a quella di cento dei
miei simili, alla fortuna della patria. L'abbraccio
di una donna, che vi ama con l'anima e col
sangue, vai bene l'affetto dell'umanità intera!
I prosaici, gli scettici, i cinici, sono i buoni cit-
tadini, che non comprendono nulla a queste cose.
Mentre ti scrivo l'anima mia si espande in vio-
lente ondate di così forte, generosa, alta pas-
sione da travolgere e stritolare le infinite teste
pidocchine, che van gonfiando bolle di sapone.
Ah ! poter passare tutti e due in mezzo alla mol-
titudine, radianti del nostro amore, schiaffeg-
giando con la nostra felicità i mille farisei, che
vanno cercando con ogni mezzo la loro, e pre-
dicando il sacrificio, vogliono rubare agli altri
la poca gioia strappata al dolore con tanta di-
sperata fatica!
Mia cara, mia dolcissima, mia divina Giginetta,
che abbraccione robusto ti darò rivedendoti dopo
due mesi di separazione, che baci violenti, che
strette da lottatore, per cui maledirai tutto l'eser-
cizio montanino, che mi fa i muscoli di ferro.
Salutami il tuo gattino, che professa con tanta
lodevole franchezza la mia stessa filosofia.
Addio : stendiamoci la mano al di sopra delle
pianure e delle montagne, non curandoci di cosa
pensino quei puntini neri, che formicolano in*
fondo alle valli.
Ma questa è l'ora in cui tu scendi alla spiaggia
e immergi il tuo piedino nell'acqua: io, con gli
occhi all'orizzonte, t'accompagno...
Alberto.
UGO DE AMICIS
^g^
^P^
LA MORTE DI. MAURANTONIO
Perchè Maurantonio era proprii) morto. Non
poteva rimanere nessun dubbio dacché don Ni-
cola l'aveva dichiarato, e l'aveva anche messo per
iscritto, perchè anche il sindaco doveva saperlo,
diceva lui, che il pover Maurantonio era morto.
E quando Anna Maria lo vide cosi rigido, di-
steso su quel letto, dove ella lo aveva vegliato
otto giorni e otto notti, e quando capi che egli
non avrebbe mai più aperto gli occhi, perchè
una vicina avea messo su cia.scuna palpebra un
pezzo da due soldi, e che non avrebbe mai più
parlato, chiamandola con quella sua voce amo-
rosa, un po' rauca: Oè, Anna Mari! e che non
avrebbe mai più disteso quel braccio, attaccato
dalla corona del rosario, a prendere la giara
dell'acqua, per dissetarsi. Anna Maria si gettò
in ginocchioni presso il corpo del marito, si
stracciò i bei capelli neri, che ella portava ser-
rati in due lucide treccie, e si diede a piangere
e a dire ad alta voce le virtù del defunto, che
per cinque anni non le aveva mai dato il più
piccolo dispiacere.
« Un uomo d'oro, un uomo santo, che la Ma-
donna mi aveva regalato ! E adesso Dio me Io
toglie per i miei peccati... No, in tutto il mondo,
e nemmeno in America non c'era un uomo si-
mile! Lui timorato di Dio e di San Nicola, che
per tutto l'oro del mondo non avrebbe man-
cato alla novena, e che tutti i santi venerdì di
quaresima digiunava ! Lui paziente come un
agnellino! Mai una parola cattiva, che guardi
Iddio, mai nemmeno una volta in collera... Cosi
buono, così innocente, come la farina da far
l'ostia consacrata! Che sia benedetta, là dove
sta la madre che lo ha portato ! » Oh. lei. povera
Anna Maria, restava adesso come una pecorella
smarrita sulla terra! Proprio come un uccello in
mezzo al verno; era finita la sua gioia, era finita \.\
sua gioventù. Andrebbe a seppellirsi tra quattro
mura ; non voleva più vedere la faccia della gente,
adesso che Maurantonio era morto!
Le comari piangevano tutte con lei, ascolta-
vano i suoi lamenti e le davano ragione. No,
un uomo come Maurantonio non si poteva tro-
vare. Come l'aveva fatta felice quella Anna Mari.il
Come si erano voluti bene! Signore, tienlo nell.i
tua misericordia !
Gli uomini, i viCini i- i lonMrii. m-. ■.
entravano e uscivano. Ascoltavano un i>
lenzio le gridadella vedova, e il brusii ■!, i
delle preghiere, dei pianti delle cor:
andavano, scuotendo il capo, so-^j
quel povero Maurantonio... Dio con lui!
Raffaele, il figlio del massaro Pasquale, che
da un paio d'ore faceva la ronda davanti alla
porta aperta, si era deciso di entrare anche lui;
era diventato un po' smorto, a — ■• - -<
viso giallo, con quei due soldi ■
di occhi, e aveva voltato via la ;■
messo vicino al cassettone, con le spali-
giate, e con lo sguardo fissQ in Anna Mi-
per terra, piangeva, urlando. Ma ella iioa lo
guardò neppure, e Raffaele, dopo un poco, je ne
andò, con un certo fare impacciato, non sapendo
che cosa si dovesse dire in quella circostanza.
E cosi passò tutto il iKimcriggi'- \.,.., \i,.,.
non si .ilzò mai da terra, non vollt-
la camomilla che una comare 1- .
calda. Diceva che voleva morire anche iei. e pre-
gava San Nicola e la Madonna di farle la grmtU.
Cosi calò la sera. L'andare e il venire dei vi-
cini aumentava. Gli uomini venivano fin »ol-
l'uscio, con le zapi>e sulle spalle, si sejrna\-ano
pianamente, poi andavano a cas.i a nj-ingiarc un
boccone d'insalata e tornavano ^ ii.r.',-. i|
morto, dopo essersi infilata la '
nessuna casa quella sera si mang: '.
perchè nessuna delle comari ebbe tempo a p»e-
pararla: solo verso tardi venne la serva del
parroco, con una tazza di bn-»do e due ao\-a
fresche per la povera .■Xnna Maria. Ma la po-
vera Anna Maria non volli
I-a notte era sce»a. Avi
presso il letto del morto, •
vano messo una grossa Ir
Maria era ricca, e si p»>t.
Lei, del resto, non vide niente. «.t>aiiiii.'
gere e a lamentarsi, rhf U \'«h-*> Ir e- .
tata rauca; aveva .
notte 11 per terra. .> ' •
ma d.-il gran pi.ing''- ^
cosi due comari ru
a condurla vis, nei:.i
un lettino, le lexnrono le scarpe
76
poi Ja lasciarono coricata con gli occhi chiusi,
stanca morta ; solo il petto le si sollevava ogni
tanto in brevi singhiozzi.
Anna Maria rimase lì, dove la avevano distesa.
Anche più tardi, quando le donne ebbero chiusa
la porta di comunicazione e un gran silenzio
discese nella stanzetta buia. Anna Maria non si
mosse e continuò solo a lamentarsi' pianamente
con gli occhi chiusi. Per molto tempo ebbe una
perfetta cognizione di ciò che era avvenuto ;
suo marito che giaceva morto, di là, con i suoi
soldi di rame sugli occhi ; le comari che si
erano disposte a vegliare il povero morto, e
avevano finito con l'addormentarsi ; quei due
ceri ardenti presso il letto, che gocciolavano,
gocciolavano, l'odore afoso del cadavere, della
gente, della cera... La porta, chiusa, che le im-
pediva di guardare nella camera di là... poi non
seppe più niente per molto tempo.
Quanto? Un'ora, due ore? Dopo quel tempo
Anna Maria si trovò ancora distesa nel mede-
simo modo, ma aveva aperto gli occhi nel buio,
e li fissava sulla porta, che lasciava da una fes-
sura filtrare una luce giallognola. Anna Maria
aveva aperto gli occhi, perchè aveva udito un
rumore a quella porta. Come se uno, piano
piano, la urtasse... E poi la porta si aprì, entrò
una gran luce, che abbagliò Anna Maria ; quella
luce era un cero acceso, quel cero era portato
da una mano, una mano tutta cinta dalla corona
del rosario... Ella guardò la persona in viso, la
persona che entrava... e, oh, San Nicola aiuta-
temi! quella persona era Maurantonio, il suo
morto marito !
Anna Maria fece per dare un grido, fece per
alzarsi; ma l'urlo le morì in gola, e quella per-
sona si recò in fretta l'indice sinistro alla bocca,
come per raccomandarle silenzio, poi chiuse
dietro a sé la porta, e si avanzò verso il letto
dove giaceva Anna Maria.
Anna Maria non aveva mai avuto paura di
suo marito, no, certo, perchè egli era stato un
gran brav'nomo in vita, ma adesso che era
morto, che era stato proprio morto... Un sudor
freddo le copri tutto il corpo, le gocciolò dalla
radice dei capelli...
Maurantonio aveva messo il cero acceso sopra
una scranna li vicino, e aveva tirato presso
il letto la sedia di paglia, dove giacevano le
calze di Anna Maria ; non le tolse di là, si se-
dette modestamente sopra l'orlo della sedia, con
un fare discreto, proprio come quando era vivo,
e chiamò la moglie per nome; con quella stessa
voce rauca, solita: Oè, Anna Mari!
^ra proprio comft prima, solo che aveva sugli
9cchi ancora quei due soldi di rame ; ma gli
occhi guardavano attraverso ; pareva che il
morto avesse un singolare paio di occhiali.
— Che vuoi, Maurantonio? disse Anna Maria.
— .Son tornato, Anna Mari. Son tornato. Ero
ancora li, sulla soglia della camera; e non mi
sentiva il coraggio di andarmene ; guardavo
quella nostra roba così bella, quasi nuova an-
cora. Quei due letti di ferro, quel cassettone
di noce, quell'armadio pieno di vestiti... Pen-
savo che non erano ancor due anni che mi ero
fatto il mantello nuovo. E poi ti sentivo pian-
gere tanto... No, non avevo coraggio. Allora
San Nicola mi ha fatto la grazia di tornare
a vederti, a dirti qualche parola, perchè prima
di morire non ho potuto...
— Ah, Maurantonio!
— Si, disse Maurantonio con voce commossa,
ti voglio bene, sei sempre stata una buona
moglie, Anna Mari...
— Vi ho voluto sempre bene, disse Anna
Maria rinfrancandosi, e mi fa piacere di vedervi.
Mi direte se avete bisogno di me, e quante
messe volete che vi faccia dire... Voglio che
stiate bene, anche di là, come io già qui non
ho mai mancato... Sentite, marito, giacche siete
venuto, io vi pregherò di dirmi qualche cosa
che mi pesa... Quella cambiale dell'oste Man-
giacane dove l'avete messa? Son duecento lire,
e non vorrei andassero perdute...
— In fondo alla cassapanca, nella tasca del
mio vestito di fustagno, mormorò il morto. E
puoi farmi dire trenta messe dal parroco a una
lira l'una.
Anna Maria sospirò.
— Son trenta lire... Ma per voi, per la pace
vostra... Arderò anche un lumino tutti i sabati
a vostra intenzione...
— Tu non hai bisogno di far tanta economia,
eh, Anna Mari? Ne hai delle belle lirette adesso?
Anna Maria lo guardò spaventata. Il morto
rideva, con una certa malizia bonaria: si fregava
le mani, e i granelli del rosario picchiavano
insieme; strizzava gli occhi, e quelle orribili
occhiaie di rame parevano girare...
— Che cosa vuoi dire, Maurantonio mio? Sì,
per grazia di Dio, ho tutta la roba di casa, il
campo, e l'uliveto... É tutto mio adesso, perchè
tu l'hai messo nel testamento... Ma denari in
contanti, lo sai bene; non hai lasciato che quelle
trecento lire che son dentro alla scatola di
legno...
Qui Maurantonio rise più forte. Rise così di
gusto che scricchiolò tutto. Gli occhi si stringe-
vano... tin tin!... il rosario saltellava, e le tibie
battevano contro le gambe della sedia, dando
un suono strano che fece venire la pelle d'oca
a Anna Maria.
— Perchè ridete, Maurantonio mio?
— Rido perchè... ehm, ehm! (La tosse non
mi è ancora passata...) rido perchè non vuoi
dirmi la verità, adesso... Ai morti si dice tutto,
Quanto hai messo da parte tu, senza che io lo*
sapessi, (luando vendevi i polli e le uova e le
fave di nascosto? Rido per questo, e^co...
— Signore Iddio ! disse Anna Maria spaventan-
dosi di più, sì, mi confesso come in punto di
morte, in cinque anni non ho messo via che
duecento lire... Sono qui, in fondo a questo
materasso...
— E hai fatto bene, disse bonariamente il
morto, è un piccolo peccato, e ti perdono, perchè
Io confessi. I morti tosto o tardi sanno tutto.
Senti, Anna Maria, ho ancora una cosa sul cuore:
Bisogna che tu mi dica la verità, per avere la
•pace... tu e io... Sei sempre stata una moglie fe-
dele? Proprio come lo raccomandava il signor Par-
roco? Rispondi il giusto! San Nicola ci ascolta...
Il morto non rideva più, ma aveva preso un
fare severo, come non aveva mai avuto da vivo,
poveretto !
Anna Maria era fredda di paura...
— Ah, marito mio, — balbettò.
— Su, coraggio, se vuoi che ti perdoni. ,'\i
morti si dice tutto...
— Ah, marito mio ! una volta, senza colpa mia,
Raffaele del massaro Pasquale mi ha baciato,
mentre si coglievano le ulive, dietro la fontana.
Il morto fece scricchiolare i granelli del ro-
sario fra le dita, poi disse:
— E dopo?
— Dopo... qualche altra volta ancora; ma di-
ceva che mi sposerebbe quando, quando...
— Disgraziata ! Non sai che quel Raffaele è un
vagabondo, un giocatore, un vizioso, che ti basto-
nerebbe mattina e sera? Vuole i tuoi denari, il
birbante ! Povera te se gli capiti nelle mani !
— Ah, marito mio... Sci certo?
— Non sai che i morti leggono nel futuro ?
Anna Mari, Anna Mari ! credevo che tu avessi
più giudizio! Tutti i soldi che tieni nel mate-
rasso, e che hai portato via a me, e tutti quelli che
sono nella scatola di legno, e il credito dell'oste, e
i campi e l'uliveto e la casa : anche tutta la bella
roba che ti ho fatta io, tutto se ne andrebbe, se
capitasse in mano di Raffaele... Ascolta, Anna
Mari! Non sono stato io un buon marito?
— Ah si! Maurantonio! gemette la vedova.
— Ti ho mai fatto mancar di niente? Ti ho
vestita bene, ti ho lasciato vendere i polli e le
fave e la lana ; non ti ho fatta lavorare, non ti
ho mai strapazzata. È vero ?
— Come è vero San Nicola, disse Anna .Maria.
— Eppure, tu qualche volta mi avresti fatto
perdere la pazienza. Ricordati. Quando<andavi
in collera per niente... Quan<lo mi ■:
le tue scarpe,.. Ijuaiido mi di'c\i
Quando mi toglievi i soldi fuori d^ ,. ,
la ijera... Quando eri ostinata... Ricordali!...
— Mi pento, .Maui-antonio!...
— Ti perdono. Ti voglio bene, Anna Mari, e
a.scolta quello che ti dico: Se io me ne vado,
tu sei capace di sposare quel vacabondu di
Raffaele. Non voglio che la ri^ba vada io*i d
male, e anche mi dispiace per te... .Senti: San
Nicola mi ha falla la grazia. Intera me l'ha
fatta, lo ritorno vivo ; ritorno con te. E perchè
tu possa volermi ancora più bene, sarò piii
buono di prima. Ti regalo i denari che hai nel
materasso ; lascerò ancora fare a te la vendita
de' polli e delle lane, e di tutto... Ti comprerò
anche un vestilo nuovo, per andare al batleNÌmo
del tiglio di comare .Antonia... Starem» ailctcri, ci
vorremo bene come prima, ohe, .\nna .Mari'
Il morto si era rizzato in piedi, e m'»trava una
faccia cosi allegra, e ri(A'a cosi di gusto che si
scoteva tutto. Poi, d'un tratto levò la mano dove
teneva il rosario, e paf ! diede un graii colpo sulU
spalla di Anna Maria, senza però farle male, all'a-
michevole, come soleva fare in vita. Poi *i voltò,
prese il cero e se ne andò come era venuto.
aprendo quella porla scura che metteva nella
camera di là; e Anna .Maria rimase come mona
tanto era slato lo stupore e la paura.
Quanto tempo rimase ancora cosi? Un'or*?
Due ore?
Quando tornò in sé e aprì gli occhi era giomo.
Dalla finestra bass.i un ramo d'ulivo picchiava
contro i vetri. .Anna Maria si gu.irdò inionio
sbalordita, poi tese l'orecchio; un sordo rumore
di colpi veniva dalla camera di lA.
Che cosa succedeva? Ricordò d'un tratto...
La morte, la risurrezione, il discorso del ma-
rito... 1 colpi continuavano. .Allora ella si t:«tt'''
dal letto, infilò i pie<li nudi nelle scarpe, corte
alla porta, l'apri. Una cassa da morto era flcv»
sulle sedie: già tutta chiusa, nera, un uomo
andava picchiando sull'orlo col martello. Molta
gente era nella stanza.
M.-i .Anna Maria non vide nessuno. Pallida, con
le treccie disfatte ella si slanciò verso il IcUo.
Era vuoto. Cercò intorno iV iikorto. Non v'era
più. .Allora si precipitò v<"r»" In ra«a; «*«t6 in
giro con mani febbrili !■
— Qui, dis,se ad un : '• '"
una fessura tra il cx)|>etcm.. • i.i .n». — <i«i
non è inchiodato bene...
LUIGI DI SAN GIUSTO
■^^:^-^4^=r
78
■^^^^^^^i^T:yi»^r.^-^4»^^i«r^3«^<^'^^:y.i>^a>arìt^
XXII.
Tempo sarà die giungami novella.
Tempo sarà che giungami novella
Delle tue nozze con un uomo ignoto
Cui tu, sommessa figlia, ti conceda.
Udrò con occhi aperti e fissi, immoto,
Come colui che al suon d'una favella
Rivelatrice cosa orribil veda.
Che, sapendoti preda
Di cieche mani, indarno renitente.
Amor subitamente
Divamperà da l'animo sepolto.
Come un lampo cingendo
II bellissimo volto. V
Poi andrò per contrade
Deserte, i nostri cor, folle! sentendo
Non più come due spade
Sibilare in contese
Ma come fiamme, belle fiamme accese,
Divelle con un grido a l'avvenire,
Congiungersi confondersi morire,
Per sempre, in un delirio ebro e supremo.
O nostre nozze! a voi pensando io tremo.
Ma placata la prima febbre umana,'
Ricondurrò gli spiriti in lor pace
Che si farà d'allor più e più serena.
Fosti un giorno la sacra ardente face
Che l'altre caccia, naturai sovrana,
Raggiando solitaria in ogni vena;
Poi, prorotta una piena
Di venture malefiche sui cuori,
Paurosi bagliori
Gittasti tu ne' giorni miei cimriieri
In fiammea idra conversa,
Ed io pe' cimiteri'
Errai, fisso su Morte.
Passò il turbo e fu l'idra in lui sommersa;
Spalancaronsi porte,
Ai miei occhi, d'aurora:
Ricolsi il fior che flora e il fior che odora,
E tu, velata della grazia antica.
Risorridesti spiritale amica.
Sposa, mi splenderai fraterna e bella
Come un alta su me perenne stella.
Meglio di quanto un di pensai or penso.
Non muore Amor che fu si grande e casto
Ma si muta in virtù benefattrici.
Ei forza ti darà per l'olocausto
Del corpo immacolato a l'altrui senso
Ond'abbia il dolce padre ore felici.
Nelle simulatrici
Tue pupille una pia gioia leggendo.
Ed egli convertendo
Il mio travaglio in laborioso ardore
Farà ch'io un dì me vanti
Di più spirti signore.
Noi divisi saremo.
Ma non avvincerà si stretto amanti
Il gioire supremo,
Come noi questa forza
Di bene- che non brucia e non s'ammorza;
Questa, che ti farà serena sposa
E di figli non miei madre amorosa
Questa, che mi terrà fra i nembi ritto
Con gli occhi fissi nel tuo fronte invitto.
■Se vere nozze n'avesser congiunti
Corporalmente per tutta la vita
Sarebbe forse l'amor nostro morto;
Che Amor dinanzi vuol strada fiorita
E non prunaje dove il pie s'impuntì,
O vuole un mar di sogno senza porto.
Per questo mar di pòrto,
Idea raggiante, sin quando n'aflferri
Morte e i corpi rinterri.
L'anime sciolte a più gran mar varcando.
Con un voi di baleno
Pronti allor c'accoppiando
Trasfonderem l'essenza
Interna, contro al divino sereno.
In una coscienza • ,
Perfetta ed immanente
In sé qual fiamma suo gaudio volvente.
Tal dopo l'ideale accordo umano
Ne darà Morte connubio sovrano.
Questa ferma credenza il cor m'india
Sovente come piena melodia.
E s'io non piango tu forte sopporta
Il peso onde la vita oggi ne aggrava
E assolvi chi ti volle e non si mosse.
Memoria gli tien l'anima si schiava
Ch'egli non batterebbe alla tua porta
Se pur tutta l'ebrezza, oltr'essa, tosse.
Va con membra percosse
Da fiero colpo, ma dovunque ha il piede
Sei tu sua guardia e fede.
Assolvi, s'ei la tua bocca fragrante
Non godrà, né le cliiome
Ti sciorrà, né raggiante
Balzerà dal divino
Letto a gittare nel sole il tuo nome
In nuziale mattino.
Ei iwn piange, ma spesso
Freme, e ti sente si calda dappresso,
Che allora per memoria soll'ocart-
K te con senso umano ardenti: .mi.., ■
Kinnegherebbe l'alto paradisi
Godendo lui nel tuo terreno vìmj.
Canzon non le dar pena, .
Ch'ella m'é sacra più d'ogni persona;
E se mai ti perdona
Ritorna a farmi l'anima serena.
Però pria dille: egli ha sicura fede
Che a darti de' tuoi lutti gran mi-rcedr
Un di ti cingerà d'alta coroi. i.
Torino, ntlìa primixxm' ^
ARTURO FOA
GIOCATTOLI
Il bimbo del mio ricco vicino aveva avuto negli
ultimi giorni dell'anno un grazioso dono: un
fantoccio di Norimberga che faceva delle grot-
tesche capriole.
11 bimbo, stringendolo al cuore, correva per
tutte le stanze, riemi)iendole delle più gioiose
grida. Chi più felice di lui ?
Mostrò alla mamma il suo tesoro e poi, non
contento ancora, lo mostrò alla fantesca, accom-
pagnando i movimenti del fantoccio con la voce :
— Ino, due, tre... op là!
Chiamò i due piccini del portinaio e li, sul
pianerottolo, diede un'altra rappresentazione. Ed
i piccini sbarrarono gli occhioni per lo stupore.
Ma, dopo ch'ebbe ripetuto il giuoco quindici o
venti volte, se ne stancò.
Egli era un ragazzo intelligente ed immaginoso.
Perchè — pensava — il fantoccio non faceva
qualche nuovo esercizio ?
Ed il bimbo andò a staccare le rotelline del
suo vaporetto e le legò sotto i piedi del fantoccio
per farlo pattinare. I.a prova riusci benissimo; se
ne stancò.
Poi volle fare altre innovazioni. Ma, per chie-
dere troppo, il ragazzo immaginoso tini per rom-
pere il giocattolo e andò a letto con le lagrime
agli occhi.
I due piccini del portinaio non avevano né
istruzione, ni' inini:igin.\.-ione, ma pur pensarono
anch'essi a divertirsi negli ultimi giorni dfl!'.in!i-.
Non possedevano che un soldatino e una pe<'>r< ll.i
bianca con tre gambe. Si poteva f.irc un maln-
monio.
Il fratellino assicurava che i soldati non ^
le pecorelle, ma la bimba diceva che li a\ : ■
fatti sposare loro.
Att.iccarono due fili alle gambe degU Vfo»,
sparsero di fiori la via per cui dovevi"" •• ■— >•'• i •
pecorella venne coperta d'un p-
bianco e furono condotti a spo^i-
gatto Bibì. Poi fecero la casetta d,
le forbici e la carta fabbricarono 1>
le cortecce d'albero fecero i tavolini e .
Al tramonto vedevo i due bimbi che gì»-
ancor.», mentre il pianto del fanciullo imntAKi::<>^<
mi colpiv.» tuttavia l'ore» chio. '
Non so perchè, paragonav.» ■ > •■i '■•.-.-■•:.' ni. .■>•!
tentabile all'uomo inciviliti •
rotella sotto i piedi del suo •
di convenzionalismi sociali \* sua »ii.>.
giunge a turbare l'incanto iVIU iv«f»n« ■
e ad andare a letto con le lai: :
so v>erchò, paragonavo i dii'
agli spiriti puri • ' ' '
là del loro sol.l
rella: che. traci
cose della vita,
può dare e son
IDILLIO ALATO
Una bella mattina di Settembre giunsero sulla
vecchia quercia i due sposini, riempiendo l'aria
dei loro trilli appassionati, e quei trilli chiama-
rono altre creature vaganti pei cieli, le quali fis-
sarono la loro stanza nelle inforcature dei rami,
all'ombra delle foglie, in certi cavi misteriosi
della vecchia quercia.
Pareva, in alcuni momenti, che l'albero fre-
messe tutto al contatto lieve di quei tepidi cor-
picini rigogliosi di vita, pareva che un nuovo
torrente di giovinezza affluisse nei rami cascanti
e rinverdisse le foglie.
I due sposini, che erano andati pei primi ad
abitare l'albero, erano divenute le persone più
importanti del luogo. Lui, il maschio, se non lo
era ufficialmente, poteva ben dirsi il sindaco del
paese e godeva di una incontrastata autorità ;
lei, la vecchia signora, era sempre quella che
diceva la parola giusta nelle questioni dubbie
e si compiaceva di addestrare i novizi.
In quella moltitudine di creaturine alate c'era
un'usignuola la quale da parecchio tempo faceva
il suo nido in un cavo dell'albero che pareva
una piazza. Ella ne era l'assoluta padrona: an-
dava, veniva, lanciando all'aria certe canzoni
che duravano ore ed ore, felice quando giungeva
il momento che il sole riempiva della sua luce
bionda tutto quell'angolo tranquillo.
Un giorno un uccello spaurito, piombò dal-
l'alto sulla terrazza della nostra usignuola. Ri-
mase qualche minuto con le zampine per aria
come morto. Era stato preso in un'ala da un
colpo di fucile, mentre fendeva l'aria e avea
provato un dolore intenso come se gli avessero
spezzato la vita. S'era sentito venir meno ed era
caduto giù, giù, giù, finché era rimasto là disteso
su quel cavo d'albero, col beccuccio in aria.
Quante ore erano trascorse ?
Finalmente sentì il contatto di una zampina
morbida come una carezza. L'usignuola, uscita
fuori dal suo nido per mandare il solito saluto
al sole, si era spaventata dapprima vedendo
l'insolita cosa — poi si era avvicinata premuro-
samente. Si trattava di un compagno, di un po-
vero compagno ferito...
Quante ore, quanti giorni durarono le cure
affettuose dell'usignuola pél suo piccolo amico
caduto dal cielo? Chi lo sa! l'amore, l'amore,
che non è solo degli uomini sulla terra, ma che
sale su tra i cavi delle querce, che sale fin nelle
plaghe del cielo, seppe suggerire alla minuscola
infermiera i rimedi opportuni.
E l'usignuola guari.
E tra gli occhietti tondi di lui e gli occhietti
tondi di lei, passò una dolce corrispondenza
amorosa, per cui non trascorsero che poche set-
timane e le due creature s'intesero.
Non doni preziosi di parenti e di amici, non
funzioni religiose e civili, non discorsi e brindisi
agli sposi, non gàteau, non sacheis de noces —
ma tutta la popolazione della vecchia quercia
cinguettò di quelle nozze felici.
Lei era vestita del suo solito abituccio di
piume tenere; lui, senza tuba e senza guanti
bianchi, s'era soltanto lavato le ali nel ruscel-
letto, ed era bello, ed era felice, e, andando a
nozze, lasciava all'aria certe note acute, che
riempivano l'anima di allegria.
Tutto il bosco dintorno cantava e la vecchia
quercia pareva ringiovanita.
Lei aveva invitate parecchie amiche dei rami
vicini e faceva loro vedere il nido preparato da
lungo tempo. E lui, volgendo il dorso, lasciava
credere che gl'importava poco di quel nido, al
quale doveva più tardi rivolgere tutte le sue cure.
I vecchi coniugi furono i padrini e fecero alle
giovani bestiole molte raccomandazioni ispirate
dalla loro esperienza del mondo.
Ma lui non se ne die per inteso. Non possedeva
nulla, ma l'ala era guarita ed egli si sentiva forte,
e l'azzurro immenso gli si stendeva dinanzi.
Così poco tempo dopo, nel nido dell'usignuola,
lassù nel grosso cavo che pareva una piazza, il
sole rischiarò con la sua luce bionda quattro
testine minuscole di piccini pigolanti.
E, mentre lei ripeteva a quei piccini le parole
che la vecchia sindachessa le aveva susurrate al-
l'orecchio nel giorno degli sponsali, lui solcava
l'azzurro in cerca di pietanze squisite per la
nuova famigliuola.
E, più giù, tutta una folla di creature umane,
che passeggiava, portando in giro i suoi pette-
golezzi, le sue ambizioni, i suoi desiderii mal
soddisfatti, non sospettava neppure il tenero
idillio alato, che si svolgeva in alto, nel cavo
della vecchia quercia.
ONORATO FAVA
XXIV.
POESIE
In quest'ora
Dimmi, in quest'ora mesta, che tu sei sola e il silenzio
E l'ombra calano sul desolato piano.
Mentre il tuo sguardo vaga d'intorno, non staiti
Scenderti in cuore come una tenerezza
Profonda, come il bisogno di' qualche afìetto piii forte
In cui posar la stanca anima a lungo errante?
In quest'ora, ó gentile, è l'amor mio che ti parla.
L'amor mio che non sai. ma che tutta circonda
La tua persona: o gentile, è l'anima mia.
Che a te viene traverso a colli e monti e piani,
E che, in un tenue abbraccio tutta ravvolgendoti ; ,1,,'.
Occhi socchiusi lieve, lieve ti sfiora.
Fede e scienza
Quando s'addensano in cielo le nere nubi e minaccia.
Rombando, l'uragano alla fiorente vigna, •
Suona la sacra squilla e il pio colono in ginocchio
Prega il Signor che storni l'imminente ruina.
Inutilmente. Iddio nell'alto dei suoi
Cieli non bada alla fervida prece.
Ma il saggio, che ai severi studi rivolse la mente
E di Natura tutti i segreti seppe,
« Io vinco » dice « la furia del turbine » e tuona
Contro le nubi con gli incruenti bronzi.
Così contro la bruta forza di Natura comb.itte
Il saggio e sulle vigne... grandina come prima.
Ruscello alpino
Sulle mie rive non fu liattaglia, ihe il mondo
Ricordi: non mulini, non officine io muovo.
Con sottil vena scendo giù per la balza petrosa
E dopo un correr breve mi perdo in un torrente
Anch'esso ignoto al mondo. Ma nel silenzio dell'Alpe
Chiara è la voce mia, ma nelle pure conche
Dell'acque mie si dis.seta il gaio fringuello e mi dice
Quasi a compenso la sua nota giuliva.
Soche dall'altre valli* calano rivi, che poi
Illustri fiumi corrono i vasti piani.
Ma non li invidio, pago di ricantar qucsU mi«
Canzone ai t-osi-hi, Me nuvole. .<1 sole.
MARCO LESSONA
.,, .r-r-!^f, 7-*"
^^^^^^s^^^^^^t^^t^^^y^^^^^^^^^^^^^^'^'^^^^
La terza volta
— Io non so perchè tu mi faccia questi rac-
conti ! — osservava Marco Pittàra, accarezzando
distrattamente ii boccale.
Gaspare Vigo rideva ; a una cert'ora di notte,
nell'osteria deserta di Stefano Turlo, sulla strada
che da Anticoli Corrado mena attraverso la mon-
tagna a Saracinesco, Gaspare si sentiva invaso
dall'estro narrativo e s'abbandonava al galoppo
della fantasia. Raccontava cose strampalate, ga-
bellandole a Marco quali storie autentiche di
paesi lontani; i quali, lontani o vicini, non sem-
bravan popolati se non da figuri paurosi e da
larve tremanti.
Marco sbuffava, spiacendogli di lasciarsi pren-
dere in trappola ogni sera, e desiderando nello
stesso tempo di provare a sé e agli altri il proprio
coraggio.
Marco Pittàra, vinaio arricchito, uomo robusto
sulla cinquantina, forte bevitore, era nervoso
quanto una femmina; e usciva dall'osteria per
tornare a cosa, ogni notte inquieto- e sospettoso,
come avesse dovuto batter del naso in qualche
apparizione soprannaturale. Egli abitava a circa
un chilometro da Anticoli, verso Saracinesco;
mentre Gaspare, il romanziere notturno, non
aveva che un passo da fare per trovarsi a casa
sua.
— Bel coraggio! — pensava Marco qualche
vplta. — Se Gaspà dovesse camminar come me,
vorrei vederlo!
Ma Gasi)are Vigo non aveva paura. Spirito
naturalmente ingegnoso, animo d'avventuriero,
sdegnando di calare a Roma come tutti i suoi
conterranei a far da modello negli studi di pit-
tura, aveva corso mezza Europa, tentando mille
mestieri, ed era tornato con un certo peculio ad
Anticoli, ove s'era dato all'ozio più rigoroso.
Passava giorno e notte nelle osterie, pellegrinando
db Anticoli a Mandela, da Saracinesco a Cervara,
da Agosta a Canterano. Bellissimo giovane, com-
pagno allegro fin che non raccontava storie bal-
zane, pronto a pagare da bere e anche a farsi
rispettare, era conosciutissimo ed amato.
Del resto, ad ogni poco, egli veniva innanzi
con qualche trovata bizzarra, che dava a pensare.
Egli afìermava, per esempio, che ogni uomo,
prima di morire, arrischia due volte la vita; alla
terza, la morte lo afferra.
Scasami, — osservò Marco', quella sera in cui
accarezzava distrattamente il boccale; — io ho
cinquant''anni fe non ho mai rischiato la vita per
niente, e sono sempre vissuto pacifico.
— Stammi a udire, — ribattè Gaspare. — In-
nanzi tutto, tu non puoi dire se hai rischiato la
pelle o no. Qualche volta si risica di morire e
non si sa; la morte vola e non la vediamo;
casca addosso a un altro e ci pare che non sia
passata vicino a noi.
— A questo modo, hai ragione tu! — disse
Marco, versandogli da bere.
— Si sa, che ho ragione io! Ma qualche volta
avviene che te la trovi a faccia a faccia.
— Chi? — domandò Stefano "Turlo, l'oste,
svegliandosi di là dal banco.
— La morte! — esclamarono Gaspare e Marco
insieme.
— Eh, mannaggia li cani! — disse Stefano,
chiudendo gli occhi di nuovo.
— Dunque, te la trovi a faccia a faccia, e te
là vedi li, dritta e tranquilla, — seguitò Gaspare.
— E per due volte ti rispetta ; e alla terza ti
piglia, vero com'è vero Dio!
Levò il bicchiere e lo bevve d'un fiato.
— E tu? — chiese Marco, interessato a quella
rivelazione cabalistica. — T'è avvenuto di ve-
derla mai ?
Gaspare Vigo si rabbuiò in volto, si lisciò la
barba nerissima, e pronunziò quasi sottovoce :
— Due volte !
All'anima! — esclamò Marco. — E dove!...
— A Londra, la prima volta; caddi dal carro
che guidavo, tra le gambe del cavallo. Il carr»
era carico di sabbia ; e una ruota mi passò 9 due
centimetri dalla testa ; per un dito, non mi ff ce
del cranio una pifza.
— E la seconda volta ? — incalzò Marco.
— La seconda, a Roma! — disse Gaspare,
ma non aggiunse motto.
— A Roma? E perchè? — chiese Marco, dopo
avere invano aspettato il seguito del racconto.
Gaspare si lisciò di nuovo Ja barba, e strin-
gendo le labbra con aria sdegnosa, dichiarò:
— Quistioni di donne!...
Vi fu un silenzio, durante il «luale i due amici
st'ettero ad ascoltare i canti dei giovanotti nella
montagna. Il» giovedì e il sabato era costume di*
recarsi sotto le finestre delle tidanzate a cantare
con l'accompagnamento flebile della cornamusa;
e i canti echeggiavano di valle in valle, arditi e
violenti, qualche volta misti allp strido degli uc-
celli notturni.
Udendo che una fra quelle brigate di cantatori
s'avvicinava. Marco Pittara s'alzò per accompa-
gnarlesi. Gaspare gettò_.i denari del vino presso
il boccale. •
— Sicché, — disse Marco avviandosi, — l'hai
vista due volte?
— Due volte, — ripetè Gaspare cupamente.
— E alla terza ci caschi ?
Gaspare non rispose. Ambedue si diressero
verso la porta, e quando furono sulla soglia del-
l'osteria. Marco stese la mano all'amico, dicendo
a mo' di scongiuro:
— Speriamo di non incontrarla !
— Chi? — domandò Stefano Turlo, alzandosi
per chiudere.
— La morte ! — risposero Gaspare e Marco
insieme.
II.
Gaspare Vigo aveva per amante la moglie di
Marco Pittàra.
La colpa, diceva Gaspare, non era sua ; la
colpa era di Marco, il quale, già sul valico della
maturità, s'era avvisato di sposare una fanciulla
di sedici anni, uno di quei meravigliosi tipi della
Sabina, dalle forme snelle e perfette, dai grandi
occhi cilestri, dai capelli biondi, dal profilo seve-
ramente classico. ,
Queste fanciulle bellissime passano l.'inverno e
la primavera a Roma, posando negli studii dì
pittura; e l'estate rimangono in montagna. Pre-
coci nello sviluppo, sfioriscono presto per le gravi
fatiche alle quali devono piegarsi allorché tornano
a casa. Esse attingono l'acqua nella Valle e riem-
pita la « conca » di rame, che contiene quindici
litri, la recan sulla testa fino in alto della mon-
tagna ; sulla testa portan fasci di legna e gravi
pesi; e incrociate le bracci,., camminan cosi,
lente e solpnni. ,
Mariantonia Pittàra, sposatasi a Marco, non
temeva di sciupar tanto presto la sua bellezza,
perchè aveva due serve ni suoi ordini ed era te-
nuta cohie una signora.
Ella aveva visto Gaspare Vigo andando un
giorno alla fiera di Àrsoli. La gióvane sedeva a
ridosso del suo muletto grigio ; Gaspare andava
a piedi ; e ambedue scesero la bella stratta, che
da Anticuli va nella valle .dcll'Anienc, e rimali-
rono. per l'altro versante sulla strada liscia, la
quale condijce ad Arsoli. , ' '
Nel tramestio della fiera, fra gli uomini e le
bestie, tra i banchi cl,i mt-fce e i tiiriaK>;i. Ir» le
ondate repentine dt.-lla lurba,*Gaspare fu wnipre
accosto a .Mariantonia ; allogò il mulo presso una
stalla, accompagnò la giovinetta qua e 14 per le
sue compere, e verso l'imbrunire; .Mariantonia,
rimessa sulla cavalcatura da fjasparc. tornò con
lui in paese.
Cosi s'innamorarono i due giovani, perciiè in
quel giorno parlarono di molte cose, diventa-
rono amici, puf si sentirono turbali V tacquero.
Poi si videro altre Volte, e per trovarsi inven-
taron dei pretesti ciascune* dal proprio canto:
in ultimo, i pretesti li inventarono insieme, con-
fessandosi schiettamente il loro amore.
Gaspare scendeva all'.Aniene a pescare! granchi,
tra il foltissimo canneto; e presso 1.» correntia
azz6rrastrae tun\ultuosa, .Mariantonia lo ra>;guin-
geva di frei|uente. Il giovane non si di.sMmu-
lavache la 'cosa si sarebbe presto risaputa in
paese; ma non temeva .Marco Pittàra, e alle
prime avvisaglie, per la pace di Mariantoniii, sa-
rebbe tornato a Roma, o più su o più giù,
poiché I9 vita in paese,' la vita senza l'amore gli
sarebbe venuta a noia.
A poco a poco, gli amanti si fecero temerarii,
e quando .Marco, assentatosi per atfarl, dormiva
fuori dije o tre notti, Gaspare entrava nella casa
di lui. •
L'n sabato, passò dalla casa un gruppo di gio-
vani che andavano a serenare sotto le finestre
delle fidanzate, e allorché fu'ron presso la porU
di Mariantonia, tacque la cornamusa ctarci.iir-
i canti; indi s'udi un bisbiglio, fu' proni;;-..- .; •
il nome della giovinetta, e qualcuno aggiua.M.
una parola oscena.
Gaspare si morse le mani, a sangue; ma do-
vette rimanersene presso Mariantonia. che pian-
geva; e a crescere lo scherno, un uccello not-
turno singhiozzò nella montagna, poi diede in
un urlo, che pareva upa sghignazzata.
— Potessi uccidere«hlmen<' -lami»
Gaspare, col pugno teso ver
E disse le parole con ira i. . . ■ , ..;.')nata.
che la .iiiovinetta sorrise tra le lagrime.
Ma l'avviso non giovò se non per qualche ael-
• timana; la passione li lìpresc, e i convegni
notturni furono continuali. • •
Fra tutti, il più inquieto era Si-
l'oste; il quale poteva giudicare, il.i
udiva, la graviti» del fatto e ' '
voleva bene a Gaspafc e a
vevano, pagavano ed erano ..- -.
fano avrebbe voluto evitare una tngvdia, e <tu-
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diava la maniera di rimproverare Gaspare, cau-
tamente, con rispetto.
Una sera, trovò la frase. Erano appunto soli,
Stefano e Gaspare, perchè Marco era partito per
Subiaco.
— Gaspà — disse Stefano , battendo sulla
spalla del giovane, che* sonnecchiava in un an-
golo dell'osteria, aspettando l'ora di scivolare
in casa di Mariantonia, — Gaspà, attenti al
gioco ! Che tu non dovessi vederla la terza volta!...
Gaspare lo guardò trasognato senza com-'
prendere.
— Chi .'' — chiese poi, sbadigliando.
— La morte ! — esclamò Stefano Turlo.
III.
Soffiava il vento, dà sradicare una quercia, e
l'oscurità era così fitta, che chiunque non fosse
stato padrone della .strada, non si sarebbe av-
venturato quella notte per la montagna. La
strada era malagevole, ora larga e sassosa, ora
affondata tra due siepi alte, ora aperta alla raf-
fica e scoscesa lungo il versante; saliva, scen-
deva, risaliva poi per lunghissimo tratto, fino a
Saracinesco.
Gaspare Vigo, senza lume, procedeva cauto,
ma sicuro, ravvisandosi a un nonnulla, a una
scabrosità della .roccia, alla forma d'un albero
appena intravisto. E pensava alle parole di Ste-
fano Turlo, tranquillamente.
Fosse quella, la terza volta, l'ultima?... Ga-
spare aspettava la morte per un giorno più lon-
tano; ma anche in quella notte un masso stac-
catosi dall'alto, un albero che piombasse d'un
tratto abbattuto dal vento, un passo falso e un
tracollo giù per la montagna potevano spacciarlo.
Per ogni dove il pericolo aveva agio a celarsi,
e da qualunque parte Gaspare lo aspettava, fuor
che dalla più facile e dalla più terribile.
Marco Pittàra non era a Subiaco. Tornato su,
un'ora prima che Gaspare passasse, si era appiat-
tato presso la casa e stringeva il fucile tra le
mani... Non era possibile vedere a un palmo
dall'albero appiedi del quale Marco stava rannic-
chiato, ma l'uomo contava che la luce venisse
dalla casa medesima. Doveva pure, Mariantonia,
scendere ad aprire e illuminare i passi dell'amante;
in quell'atto, in quel lampo, IMarco avrebbe fatto
fuoco.
Gaspare Vigo saliva,, tranquillo e sicuro.' Il suo
pensiero aveva abbandonato la morte e presen-
tiva l'amore. Gaspare vedeva già Mariantonia,
tutta bionda, aprire silenziosamente la porta,
fargli cenno, coll'indice ritto innanzi alle labbra,
prendergli la mano e condurlo nella sua camera,
e serrar l'uscio, e poi volgersi a sorridere, mo-
strando la magnifica bocca dai piccoli denti bianchi.
Ella portava sempre alle orecchie due grandi
cerchi d'oro. *
Marco Pittàra, nervoso, contava i minuti. Da
quanto stava egli presso quell'albero? 'Come,
nell'attesa egli s'era mutato! Prima, feroce e
implacabile avrebbe ucciso e Gaspare e Marian-
tonia e le due serve; poi si era messo a ragio-
nare. Vi fosse qualche altra maniera di trar
vendetta ? Che cosa avrebbe fatto suo padre, in
simile frangente!... Non sarebbe stato meglio
discorrere con Mariantonia, ch'era una bambina,
poveretta, e farle comprendere il male, e perdo-
narle, e finirla cosi?... Ma la memoria di suo
padre, uomo risoluto e senza pietà, tolse dal-
• l'animo di Marco ogni tentazione di debolezza.
Bisognava uccidere.
Gaspare Vigo seguitava la sua strada. Era
riuscito, tra il fischiar del vento, ad accendere
la pipa, e si godeva la visione di Mariantonia;
ormai all'ultimo tratto, sostò un istante dentro
un gomito della strada, ascoltò la musica del
vento fra le chiome degli alberi e il grido di
quel maledetto uccello notturno, che sghignaz-
zava ora da presso, ora lontano. Poi riprese il
cammino.
Marco Pittàra dubitava in quell'istante non
più di sé stesso, ma del fucile che teneva fra le
mani. Tutto dedito agli affari suoi. Marco non
faceva un colpo da parecchi anni e le quaglie
parevano sfidarlo, venendo a borbottare presso
la sua casa. La carica era buona e di buona
polvere, ma la canna poteva scoppiare o il gril-
letto far cilecca... Questo pensiero s'impadronì
di Marco, il quale temeva di rimanere vittima
della propria arma e di far ridere tutta la Sa-
bina... e a turbarlo maggiormente, venne il ri-
cordo di certe storie macabre, che Gaspare
raccontava con voce profonda. « La morte vola
e non la vediamo: casca addosso a un altro, e
ci pare che non sia passata vicino a noi ». Vo-
lasse anche in quell'ora notturna? Fosse vicina
a Marco, mentr'egli credeva di lanciarla addosso
a Gaspare?... Alino, due volte già aveva rasen-
tato Gaspare; e quella era la buona... Il fucile
non avrebbe fatto cilecca.
Ma lo strepito di alcune pietre che rotolavan
giù pel versante, mozzò il respiro di Marco. Egli
si drizzò in piedi, e con l'udito acutissimo del
montagnaro, . distinse tra l'ululo del vento il
passo d'un uomo che si avvicinava... Sentì in
quell'attimo una vertigine, una confusione turbi-
nosa'nel cervello, e cominciò a tremar d'ira e
di spavento, di sdegno e d'orrore... L'uomo
ch'egli doveva uccidere .era a qualche metro da
lui. Con un sol balzo sarebbe potuto piombargli
addosso e rovesciarlo giù per la montagna.
— Mariantò ! — bisbigliava una voce presso la
porta.
Nessuno rispose.
— Mariantò ! — disse la voce più forte, mentre
una mano batteva discretamente.
Allora una luce apparve dentro la casa, e si
mosse.
Marco, a ridosso dell'albero col fucile tra le
mani, tremava come una foglia. Di tutto quanto
aveva pensato, di tutto quanto aveva proposto
a sé medesimo, nulla più ricordava ; la certezza
che la moglie lo ingannava con Gaspare gli riem-
piva l'anima d'una maraviglia cosi grande, così
inattesa, cosi nuova, come s'egli avesse appreso
il tradimento solo in quell'ora e in quell'attimo.
La porta si schiuse. Sul limitare, una candela
in mano, apparve Mariantonia tutta bionda, coi
grandi cerchi d'oro alle orecchie. Ella fece un
gesto a Gaspare, l'indice ritto innanzi alle labbra,
e Gaspare l'aflerrò tra le braccia e la portò dentro,
violentemente, d'un colpo.
Mentre la porta si richiudeva, il fucile scivolò
dalle mani di Marco Pittàra, che jjuardava la
sua casa, tornata buia, con gli occhi spalancati.
Poi d'un tratto si mosse, s'allontanò per un viot-
tolo, e 'l'intera notte, fino al comparir del sole.
Marco Pittara vagolò disperato per la montagna.
l\'.
Nell'osteria di Stefano Tarlo v'era folla: si
rideva e si giocava alle carte. Gaspare Vigo gio-
cava a scopone con tre altri giovani, ed era pieno
d'orgoglio per i bei ricordi della notte. Nel
mentre si mischiavano le carte, egli lanciava le
sue frasi bizzarre e raccontava una barzelletta,
suddividendola come in capitoli, ad ogni inter-
vallo tra l'una e l'altro giro di carte; i boccali
giungevano colmi ed eran vuotati in breve.
Si sarebbe detto che anche la fortuna volesse
accarezzare il giovine audace, poiché egli e ri
compagno vincevano una partita dietro l'altra,
e il loro schiamazzo soverchiava lo schiamazzo
di tutti ; Gaspare non era mai stato né più al-
legro, né più arguto, e i bevitori delle tavole
vicine s'univano al coro delle risale ch'egli susci-
tava con i suoi motti.
Ma levando il capo per lanciar dalla bocca il
fumo della pipa, vide Marco Pittàra v'arcar la
soglia dell'osteria, e fu stupito. O non era dunque
a Subiaco ? E dove aveva passato quella notte,
poiché Mariantonia era rimasta libera e sola in
casa ? Istintivamente Gaspare finse di non veder
Marco, e chinò il capo.
— Qua le carte! — disse al compagno. —
-Va' ve /accio vede!
Anche Marco entrando finse di non vedere
Gaspare Vigo.
S'attardò a parlar con l'uno e con l'altro, a
(juesta e a quella tavola, e saJutò con la mano
Stefano Turlo.
— Addio, Stefò!...
Egli pareva rabbuiato e triste; di certo, era
men rubicondo in faccia, e il suo sguardo si po-
sava sui circostanti con una in<|uietudinc nuova,
come avesse temuto di leggere in vivj agli amici
l'espressione d'uno scherno o di una rampogna.
D'un tratto si decise.
Alla tavola di Gaspare, il giro delle cnr'- •-• ■
finito, e uno dei giocatori mischiava il
Gaspare, il gomito destro appoggiato sulla ;
una gamba accavallata sull'altra, Vigilava di sot-
tecchi l'amico, del quale non si sentiva più si-
curo.
Marco andò a lui, dritto, gli battè con la mano
sulla spalla:
— Gaspà! — disse, — tu sei una bestiai...
Come per incanto, si fere un silenzio pnv—'
e a tutte le tavole il giuoco cessò d'ui,
Gaspare toccò l'insulto e stette immolli:
ridendo, (]uasi a far credere che si trattas--''
tl'uno scherzo. •
— Gaspà! — sei una be?>tia' — continua
Marco. — Tu m'hai detto che prima di morire,
l'uomo vede la morte tre volte, e alla tefi* la
morte se lo piglia!... Te ne ricordi?
— Embèt — chiese G.Tspare. togliendosi la
pipa dalla bocca.
— fCmbè, non è vero ! — dichiarò .Marco. —
Stanotte, tu hai visto la morte per la tena volta.
e non ti ha piglialo !
Gaspare crollò le spalle.
— Chi ti ha detto che io ho veduto la mortr
per la terza volta? domandò con un .sorriso, li-
sciandosi la bella barba.
— Guardami in faccia, Gaspà!
Gaspare si alzò in piedi, e guardò Marco ncsli
occhi.
— Te lo dice il figlio di mio padre, te '
Marco Pittàra, che tu hai visto la morte >! .
— dichiarò Marco a voce alta. — E non w hi
iSigliato ancorai...
S'allontanò, e andò al banco di Stefano Tiirk»,
che era pallido di spavento.
Gaspare tornò a sedersi; poi prese Je carte
dal compagno, rispose con ciJma:
— Sai come fu?... avrò sbagliato 0 conio'...
Ma quel giorno medesimo Gaspare Vii: ■ ->'
bandonava Anticoli e si recava a Roma, in . . r .1
d'altre avventure.
LUCIANO ZÒCCOLI
XXVI.
SONETT
Luna estiva.
•Estate fuggitiva.
Or che la- luna estiva in su le soglie
chiama f'abitator de la campagna,
Kuom loda 11 chiaro tempo e la compagna
da la conocchia il suo fpso discioglie.
E un indistinto mormorio di foglie
a quell'uman susurro s'accompagna,
come sospiro d'acqua che si lagna
nel cavo de la man che la raccoglie.
Ouindi jje' campi cadono giganti
oilibre di nubi e d'arbori tra '1 lume,
e il timor preme i pie' dei viandanti ;
e pel seren la luna alta governa
la bianca vela, e specchiata sul fiume
gli conta una sottil favola eterna.
Quando l'Agosto in vel cerulo arriva '
a' deserti de' pascoli mietuti,
Pestate con balen d'aurei saluti
avalla, d'Appeonin già fuggitiva :
lei seguono i pastor, di riva in riva,
con richiami di campani sperduti
in mattutine tiebbie, e al sol arguti
variando un umil gemer di piva. ,
Quella non danza o trilla: orecchia lieve
il calpestìo onde il cavai ventoso
d'Autunno piomba dal Cimòn piorno;
e piega, ne la fretta, il luminoso
òmero in un vanir d'algido gioAo
che presente i silenzi de la neve.
Il pioppo.
Corrispondenze.
Malanconia che da' cipressi apprese
orror d'ombre solenni e antico oblìo,
siede, o pioppo, talor al mormorio
de le tue fronde a la luna alta iirotese.
Ma sempre un ori'ol de l'aria il mio
cuore, te imtuaginò allor che intese
per- i silenzi" del natio paese
tuo irrequieto tremolìo.
E nel fusto ei mi fingea rinchiuso
un vivcf spirto che di fuor da un velo
di argentee fogliette sospirando,,
si sforzasse ne l'aria, e ognor deluso
lungi origliasse,, il vento misurando
onde le nubi sciamano pel cielp.
Chiara felicità de la riviera
quando il melo si fa magro d'argenti,
e scorre con la verde anima ai venti
pe' gréppi solatìi la Primavera
Sol la rovere par, umida, ostenti
la spoglia al serenar tepido: fiera
che Maggio sol le violi la nera
ombra co i radiosi abbracciamenti.
.\nche la speme in cor esita; come
fanciulla che le imposte apra e stillanti
da' lavacri al mattin terga le chiome;
e canti, e segua al pian nel chiaro lume
uscir da l'apuane Alpi fumanti
con. un lento stupor, cerulo, un fiume.
CECCARDO ROCCATAGLIATA CECCARDI
xxvir.
^s:^
SENZA SCARPE
Visitavo le lene intorno Firenze: giorno per
giorno, a piedi o in calesse di posta, come mi
capitava.. Non c'era inica i tramvai a que' tempi !
Una volta montai in una vettura che andava
dalla parte di Trespiano (eravamo tutti vivi nel
legno, ve'!) e scesi a Pratolino per recarmi a
piedi nelle abetine di monte Senario.
Passata l'ombria delle macchie piene di frulli
d'ali e di chiò chiò di merli, m'avviai per il
pianoro ventoso che finisce sotto al monte. Non
si scopriva una persona a portata d'occhio su
quei prati pingui che adesso son bandita dei Lori.
Ad un punto però, sotto un gruppo di alberi
cresciuti quasi su la via malagevole, mi trovai
davanti, all'improvviso, un uomo che mi guar-
dava, fermo su i piedi. E lo guardai a mia volta.
Chi era?! E pure quell'uomo c'era già ne" miei
occhi! Ma più accorto di me egli mi riconobbe:
— Giovanni !
Mi fermai, lo guardai ancora perplesso, un
istante. Egli sorrideva. — Non mi riconosci
dunque?! — E lo riconobbi!
Oh, che impressione meravigliosa quando le
nostre memorie calate e spente si riaprono al-
l'impensata, come si potrebbe aprire fortuita-
mente un forziere chiuso da cent'anni!
Eravamo stati compagni di adolescenza. Poi,
alla morte di suo padre, mi sembra, egli era tor-
nato in Toscana detìnilivaniente. E ci eravamo
dimenticati.
Ed ecco che dopo tant'anni un caso mi faceva
ritrovare il giovinetto querulo e stravagante in
quell'uomo alto e fatticcio con una lunga barba
bronzina e una gran voce !
Manco a dirlo : ci abbracciammo ; mi sequestrò :
e dimenticai i frati di monte Senario e il liquore
di gemma d'abete.
Egli possedeva una parte di quel pianoro e
delle sottostanti foreste : e viveva colà. Rimasto
solo, aveva preso moglie in una vicina borgata.
Ma non molto dopo la donna era morta lascian-
dogli un figlioletto.
Stravagante, incline alla solitudine, si era osti-
nato a starsene, col piccino, segregato tuttavia
nelle sue terre : convinto che al mon^o un uomo
non si può acconciar meglio che vivendo in
buoni rapporti con le lodole, con gli alberi e col
sole. E vi sfido a dire che egli avesse torto!
Ci incamminammo verso la piccola casa che
occhieggiava poco lontano fra i lecci. Egli aveva
tolto il mio schioppo. E il nostro passato lontano
rifiniva su le nostre labbra: trent'anni di vita
riassunta all'improvviso nel breve specchio di
quattr'occhi che si guardano!
Stavamo per giungere quando ci venne in-
contro, sorridente, un ragazzetto scalzo, a capo
scoperto, appena vestito. Ci fermammo. — Ti
piace? - Un bel ragazzo! — Mio tìglio! — E
gli die un bufTetto su la guancia soda e ver-
miglia.
Dico la verità, non seppi che rispondere. I^
mia curiosità era tutta nei miei occhi. Egli fece
al fanciullone : — Di dunque, vuoi bene a tuo
padre? — E tuo padre ti vuol bene? — aggiunse
tosto ridendo. Il ragazzo si alzò su la punta de'piedi
e baciò suo padre con tenerezza infantile. — Or
non ti meravigliare per ciò che vedi, uomo di
poca fede, — conchiuse la bella barba. E mi
spiegò quello che non avrei potuto capire.
— Questo ragazzo, che sembra trascurato, è
l'unica mia passione. Sono un uomo bislacco?
Può essere! Ma io ò pensato: Che patrimonio
posso dare a mio figlio, che nessuno abbia mai
saputo dare ai figli proprii? Scienza, onori, ric-
chezze? Cose vecchie, inventate, pericolose, lo
invece ò voluto dargli un tesoro autentico che
gli altri uomini anno perduto irreparabilmente:
la salute e la verità come la natura le à tr.isfuse
nella vita. Ò avuto l'idea di rifare il primo uomo,
un'altra volta: semplice e fragrante come i frutti
della terra ; tramiuillo e forte come i giovenchi
che conduce all'aratura.
Non potevo riavermi dallo sbalordimento. Il
caso era troppo singolare! — E non gli ài im-
parato nulla? — chiesi. — Gli ò insegnato le
leggi elementari del cielo e della terra. — E leg-
gere e scrivere ? — Anche, da me : ma quanto
basta. .Ammonendolo che devon servire solo in
sussidio della memori.i e della parola; dove non
possono giungere l'una e l'altra.
Azzardai una domanda... Voi l'immaginate!
— Puro — mi rispose, come il giorno the nacque!
Quel ragazzo fortunato non conosceva né meno
le facezie del pievano Arlotto !
Entrammo in casa. Ci mettemmo a pranzo.
Noi bevevamo il nostro vino. Ed il ragazzo bevve
la sua acqua. Poi noi fumammo su l'aia. Ed il
ragazzo prese un'ascia e provvide pel focolare.
La sera noi ci coricammo su i materassi. Ed egli
se ne andò lietamente sul suo pagliericcio.
Stetti due giorni colà, incantato. Quando partii,
di buon mattino, trovai nei campi il fanciullo
primitivo che guidava i suoi buoi. Mi avvicinai.
Sorrideva: d'un sorriso ingenuo da ragazzetta.
Tutta la sua pelle d'oro viveva di gioia sotto
una peluria di germoglio che butta. Fermò i
buoi col braccio robusto e con la voce : e mi
tese la mano.
Io me ne andai pensoso, quasi preoccupato.
Una diecina di anni dopo forse, quando avevo
dimenticato completamente il caso singolare, un
bel giorno la fante mi annunciò: Il tal dei tali!
— Restai col naso in aria. Il tal dei tali ?!
Gua'! Ma fallo entrare subito! — E gli andai
incontro io stesso.
Si era fermato su la soglia di casa, fra sorri-
dente ed impacciato. Era un bel giovanottone
adesso, tant'alto! e vestito signorilmente.
Gli tesi ambedue le mani, per fargli festa; ma
un po' stordito. Senza volerlo gli guardavo le
scarpe. — Ho capito ! — fece lui. - Sempre
curioso voi! ma avete ragione: evi contenterò.
Era in viaggio. Rimase mio commensale. E
mentre s'imbandiva, mi narrò com'era avvenuto
quell'inesplicabile mutamento.
Suo padre era morto un anno prima. Ed il
figliuolo, che era rimasto erede di una discreta
fortuna, aveva mantenuto le sue abitudini patriar-
cali. Il mondo...! Uhm! Il pane, il latte, il gia-
ciglio e la semplicità, tra i suoi fieni e le sue
giumente ed i suoi buoi : senza un minuto di
noia : senza una idea di perplessità.
Ma se tutto à da finire in questo malanno
della vita, è naturale che l'innocenza, più presto
o più tardi, sia la prima a lasciarci in asso. E
per quel ragazzo aveva già tardato abbastanza !
Un giorno dunque (era l'estate di due anni
avanti), mentre egli se ne tornava a casa di fretta,
essendosi levata all'improvviso una buriana nera
come fuliggine, che gli veniva incontro minaccio-
samente, fu sequestrato dalla rapidità del tempo-
rale sotto un gruppo di alberi. Urli di vento,
turbini di polvere rivoltuosa, e tuoni e lampi e
poi acqua a rovescio : un finimondo !
Una vettura di Firenze col mantice alzato
venne a fermarsi accanto a lui. Investito dalle
raffiche che gli sbattevano sul petto torrenti
d'acqua, il ronzino a testa bassa grondava a
ruscelli. Il vetturino snocciolava le più compunte
litanie fiorentine. Dentro due donne raggomito-
late tremavano dai gricciori e dalla paura.
E poiché l'acqua strosciava sempre con inter-
minabile violenza, una d'esse, che aveva veduto
il contadino, sporse il capo e chiese se c'era
un luogo da ripararsi. ^ In casa mia - disse il
gocciolone cordialmente. E il fiaccheraio, che,
praticando quei luoghi, lo conosceva, soggiunse
in aria rassicurante : — Possono andare ! Gli è
un galantuomo! — Si deve andar lontano? —
Ve' la su' casa ! - insegnò il poveraccio che co-
lava come una fontana.
Allora le due donne scesero prestamente e in-
sieme al giovinetto, correndo a rompicollo sul
prato che pareva convertito in uno stagno, an-
darono a rifugiarsi al coperto.
Ma nel breve tragitto si erano tutte immollate,
i capelli, le belle vesti, gli stivalini.
Incurante di sé, il giovinotto non scrollò né
anche la casacca che gli si incollava su le reni,
offri alle donne da sedere e ordinò ad una con-
tadina di buttare una buona stipa sul focolare.
Poi chiuse la porta da cui frizzava il vento e
l'umidità.
Le ragazze (perchè erano due splendide fi-
gliuole su i vent'annij si desolavano rimpian-
gendo le loro acconciature affloscite. Pareva che
né meno si accorgessero del beneficio del fuoco
e delle cortesie del padron di casa. E quando
cominciarono a sentir freddo nei piedi bagnati,
senza preoccuparsi punto di quei due o tre vil-
lani che stavano loro a torno, si interrogarono :
— Ci caviamo gli stivalini? — Sì! E le calze.
Sono fradicia sino ai ginocchi. — E i cappelli.
— Il mio é gocciolante. — Non vedi la pedana
della mia veste?! — Fra giubbetto e camicia io
ò un appiccicaticcio su le spalle. — Una si volse,
e stava per dire: — Avreste un tappetino? -
quando vide sopraggiungere il giovanotto che
allungò una stola ai loro piedi. — Bravo! -
esclamarono insieme. E lo guardarono con curio-
sità : per la prima volta.
In un attimo si tolsero i cappellini, che il gio-
vine passò ad una contadina, la quale andò a de-
perii sopra un letto in un'altra camera, e si
cavarono gli stivalini e le calze. Poi si sfilarono
la veste, la sottana ed il giubbetto, restando col
busto e con le mutandine crespe di seta. E
mentre si staccavano dal petto e dalle spalle i
merletti umidi della batista, cominciarono a ri-
dere, tutte liete ormai, come due bambinone
maliziose.
Le contadine, in imbarazzo, ostentavano di
tirarsi da parte; mentre i piedini d'avorio sal-
tellavano su la stola, e al riverbero del fuoco le
gambe tornite parevano fusi d'oro. — Io - mi
raccontava l'uomo primitivo, infiammandosi an-
cora - non potevo raccapezzarmi. Mi pareva di
vedere due panieri colmi di pésche... con delle
fragole!...
Intanto la tempesta era passata. Ma era quasi
notte - seguitò a raccontarmi il giovine. - Una
delle due ragazze mi domandò : Ci sarebbe da
dormire qui? — Si, c'è. — E il padrone dov'è?
— Son io. — Voi?! E quegli altri chi sono?
— Contadini della mia azienda. — Ma se portano
le scarpe : e voi non avete né meno un cappello !
— Perchè io sono stato abituato così. — Sempre?!
— Sempre. — Anche d'inverno?! Anche.
Si erano alzate ambedue: e mi stavano sopra,
osservandomi adesso con una curiosità che mi
turbava.
Poi si consultarono fra loro. — Possiamo re-
stare, che ne dici? Si sta così bene qui ! — Dite
su, giovanotto, ci darete da dormire? — Volen-
tieri. — E da mangiare? — Certamente. — Tanto
non si va in iscena che domani ! — conchiuse
una. Supposi che dicesse a me. — Dove si va ?
— In scena. Ma come! non sapete...?! — No,
non me ne intendo io! — E non siete mai stato
al teatro? — No. — Né meno ai teatri di Fi-
renze? — Non sono mai stato a Firenze. — È cu-
riosa ! E pure è un giovane di civiltà ! — È un
caso straordinario — ribattè l'altra" — Ma non
avete moglie ? — mi chiese quindi. — No. —
Né anche un amante? — No. — Né anche una
fidanzata? — No, no. — E... — Poi s'interruppe.
E non udii quello che bisbigliarono fra loro.
La carrozza era stata rinviata. I lumi accesi. I
contadini se n'erano iti pian piano, ammiccando.
Erano rimasti la fante ed un vecchio guardiano
che dormiva in casa mia.
Fu ammanita la cena. C'era della carne allo
spiedo in un angolo del focolare. Feci aggiun-
gere delle uova. Al vino non ci pensavo punto.
— E del vino non ce n'è?! — Ah, è vero! —
E poiché erano ancóra in cantina alcune vecchie
bottighe rimaste dopo la morte di mio padre,
corsi a prenderne un paio io stesso. Le recai su
la tavola. E mi posi a sedere. — Tu dove ti
metti? - domandò una delle ragazze all'altra. —
Accanto a lui. — Ed io pure.
Ci sedemmo dunque tutti da un lato, su la stessa
panca, in filai E mi stavano così addosso quei due
fiori di tentazione che i nostri visi si incontra-
vano quando ci voltavamo uno verso l'altro.
— Mesci, padrone! — Empii i loro bicchieri.
— E tu?! — Io bevo acqua. — Sei astemio?
— Non lo so. Non ò mai bevuto altro.
«9
Stavo con le maniche rimboccate. E sentivo
passarmi su le braccia un fresco vellicamento di
seta. Erano quei panieri riboccanti di ptechel...
Mentre esse mi riempivano la casa della più
vivace letìzia femminile, io provavo invece come
un sordo furore ed una malinconia che fino a
quel punto non avevo mai conosciuto.
Cosi, insoddisfatto, umiliato, dovetti prestarmi
ad assaggiare il vino per la prima volu. E come
avrei potuto rifiutarmi ? Un po' crucciate, un po'
ridenti, esse lo pretesero. Di qua e di là le loro
mani scorrevano supplicando per la mia persona.
E mi calcavano sempre : mi si buttavano ad-
dos.so: mi parlavano su le orecchie e su la bocca,
tutte vermiglie in viso, infervorate dal vino ge-
neroso.
Dopo cena s'infilarono le calze, gli stivalini,
le sottane, e vollero uscire su lo sterrato. La notte
era calda e serena. Non passava un fiato d'aria
nella oscurità. L'odore dei fieni, pesante e pen«>
trante come una nebbia, pareva che fasciasse la
terra. E una inquietudine nuova, come un senso
di angoscia, si impadroniva di me.
Sigari poi non ne tenevo ! Ma esse avevan re-
cato delle sigarette. E per la prima volta dovetti
anche fumare, mentre le ragazze mi raccontarono
di essere piemontesi (le ragazze - me ne sono
avveduto più tardi - che parlano peggio, ma sanno
farsi intendere meglio di tutte le altre d'Italia)
ed artiste in una compagnia di ojjcrette che do-
veva debuttare a Firenze il giorno appresso.
Ma, dopo avermi narrato i fatti loro, vollero
che dicessi i miei. Vollero sapere tante cose:
sopra tutto quelle che io non sapevo. E mi in-
terrompevano continuamente, con esclamazioni
di stupore, con dei fremiti, con piccoli nitriti che
si sniorzav,ino nel buio come campanellini d'ar-
gento lanciati sopra di noi.
Si erano strette a me per interrogarmi e per
udirmi meglio. Tenevano nelle loro piccole mani
ciascuna una mia mano. Il loro respiro pareva
che attizzasse il fuoco su le mie guance. Avrei
detto di intravedere nell'oscurità i loro occhi lu-
minosi che si riflettevano sul mio viso.
Poi vennero a sedersi, ambedue contemj>ora-
neanienie, sopra le mie ginocchia.
La fante e il vecchio dormivano ormai. E le
stelle del cielo si erano rifugiate dietro gli abeti
di monte Senario...
Cosi l'indomani partimmo tutti tre per Fircnxe.
E per la prim.i volta mi misi le scarpe.
GIOVANNI DIOTALLEVI
■^=^^-^^'ì^:r-
XXVIII.
)Nel nido della quaglia
Leonilda esitò un pochettino ma fini per ce-
dere alla curiosità e quella sera stessa verso le
nove, attillata da scoppiare nel suo finto Chan-
tilly un po' verdastro un po' rossiccio, faceva
il solenne ingresso in casa Quaglia. In antica-
mera la accolsero Aminta tutta luccicante e fru-
sciante di sete verdoline e di oreficerie anti-
quate e Pallade rosea nel volto e nell'abito con
uno strascichetto coperto di trina e una piu-
metta rosa nel ciuffo dei capelli color di mela-
rancia. Sorrisi, inchini, complimenti.
— Brava Brava favorisca in salotto
Prima lei prego
Al fulgore accecante del gas il salotto por-
pureo nei mobili nei parati nei tappeti folgo-
rava come una macelleria. E le donnette e gli
ometti che vi si trovavano a quei riflessi appa-
rivano verdognoli giallastri e turchinicci.
— Si accomodi qui sul sofà... signora... Vi-
cino alla signora Taccorini... Permetta, signora
Coppa, che le presenti la signora Piota... mia cara
amica... Signora, il dentista Piota... il geometra
Fioretta.
Leonilda stordita stringeva le mani che le si
protendevano inchinandosi impacciata perchè
le stecche del busto la premevano fieramente.
Sedette sul sofà presso a Fanny Taccorini, una
gran bruna con degli occhioni appassionati entro
borse di pelle floscia scoppiante anche lei da un
abito di velo. La signora Ernesta Piota era in-
vece magrissima con un naso adunco e un nodo
bianco sul seno. Suo marito Evasio Piota, chi-
rurgo e dentista, aveva una fronte interminabile
su cui calava nel mezzo un promontorio di ca-
pelli verdicci leggeri come una muffa, e degli
occhi color d'acqua saponata orlati di rosso. Il
geometra Nino Fioretta invece era un bellissimo
giovinottone di quarantatre anni, roseo e lucente
come una mela d'inverno, con dei baffi sottili e
lunghi come pennelli bagnati. Ma quel che ve-
ramente splendeva e trionfava era l'uniforme
d'un militare di fanteria intento presso il piano '
alle ciarle di Pallade Quaglia.
— Cara signora ! — esclamò Aminta Quaglia
— Come le sono grata della sua venuta ! Pino,
vieni a salutare la signora Coppa... SignoraCoppa,
le presento mio nipote il tenente Pino Pini...
Leonilda s'alzò per rispondere all'inchino del
sopraggiunto tenente ma la stecca del busto la
ripunse in territori vaghi. Non riuscì a balbet-
tare che sconnesse parole. Nella gran luce, nel
gran calore, su tutta quella porpora di beccheria
l'uniforme del fante abbagliava veramente. E
colui che essa vestiva era un giovine roseo e im-
berbe e infantile nel volto, ma nella persona
gonfio e sconcio come una donna pregna.
— Un cattivo soggetto! — aggiunse Aminta
contenta.
— Mi metta alla prova! — declamò audace
il paffutello guerriero.
Ma tornò al suo angolo presso Pallade Quaglia
a cui s'era unita Ernesta Piota.
Il discorso riprese variamente nei vari gruppi.
Ma chi lo dirigeva soddisfatta era Aminta Quaglia
troneggiante nella sua sedia sanguigna, e gialla
come un biscottino e ostentante sul seno un
pezzo di Colosseo in una rotonda spilla di mo-
saico larga come il coperchio d'una tabacchiera.
Parlava con gran dignità, ma ogni tanto vol-
geva un'occhiata furibonda alla figlia col nipote.
— Verrà anche il sindaco — annunziava la
donnetta gonfiandosi. È mio parente... Mio cu-
gino per parte di madre... Un uomo! Un uomo!
Il commendatore Carlo Carelli... Ha un gran da
fare perchè i socialisti non lo lasciano in pace.
Verrà più tardi... ma verrà... me lo ha pro-
messo. . .
— É vero che sposa Clotilde? — chiese som-
messamente Fanny Taccorini compunta.
— Ma che dice mai... mia cara signora... Ma
è un'infame calunnia dei suoi nemici... Sa?
Un uomo solo... Lo fanno subito sposo con la
sua serva... Ma un uomo come quello?... Ma
nemmeno la contessa della Frola sarebbe degna
di lui... È un uomo superiore... creda...
— Ah ! un uomo simpatico ! — sospirò Fanny
Taccorini. Aveva le gote molli e rugate e una
bocca che sotto la fodera troppo larga della
pelle morta rivelava la sua cerniera ossea di va-
ligia guasta. — Un uomo d'oro ! Era grand'amico
del mio povero Pio... Quando rimasi vedova fu
più clie un fratello per me... ' Alibiamo pa.ssato
delle sere d'incanto vicino al fuoco parlando dei
npstri poveri morti...
Si soffiò l'enrme naso in un fazzolettino
minu-scolo, che incartocciò e insinuò nei misteri
del seno. i
— È bello... vedesse! Delle gambe bianche
come un pollastro — confessò Aminta Quaglia
beata... '
— E i bambini? — richiese più piano laTacco-
rini. — Sono sempre a Vignale ?
— Ah! Si Quella è stata una vera di-
sgrazia!... — Mostrò alle amiche solo il bianco
dell'occhio, il Colosseo tremolò su le sue colline
e le mani si protesero pietose. — Si figuri si-
gnora Leonilda un uomo con tanto mondo... Ma
è stata quella grama pelle di Clotilde che lo ha
stregato Due bambini... Si imagini; due ge-
melli... Non è una vergogna?
Leonilda Coppa ascoltava aftettahdo grande
attenzione ma imbarazzata nel rispondere, non
potendo staccar gli occhi dal tenente che tra la ,
donna rosea e quella verdognola declamava e
gestiva. Che bel giovine! Non rassomigliava
forse iin poco a quel militare che l'aveva se-
guita in treno quatido era stata col povero Coppa
a visitare l'esposizione di Milano? Più bello
ancora! L'idealo; proprio come A't>(i'o//y nel Figlio
della l'ergine! K quelle due pettegole che lo se-
questravano ! Perchè ìion se ne liberava e non
veniva a presentare alla forestiera il dovuto
omaggio ? Ma già ! Doveva essere brutta quella
sera! Perchè non s'era messo il vestito bianco,
quello a righe rosse che piaceva tanto al farma-
cista del paese ! Che sciocca ! Che sciocca !
Veramente anche Aminta non perdeva d'occhio
il terzetto, ma anzi ogni tanto lo fulminava con
occhiatacele. Soltanto i due uomini solitari ciar-
lavano presso \\ focolare in pace. Il dentista
Evasio Piota a tratti 'infilava il mignolo nel-
l'orecchio agitando la mano spiegata come l'ala
d'un ventaglio elettrico, e l'Adone quarantenne
sputacchiava nel fazzoletto. Ma Aminta più non
resse. La 'cosa cominciava ad essere indecente...
La madre oftesa s'alzò. Disse :
— "Pallade.... Intanto che s'aspetta il sindaco
potresti sonar qualcosa...
— La Bohème! — fece il tenente entusiasta.
— Oh! La Bohème! -— sospirò languida Fanny
Taccorini.
— Obbedisco ! — esclamò Pallade facendo un
inchino — E tu Pino voltami le pagine...
— Tutto quello che vuoi... •
Cominciò la piagnucolante hiusica. Pallade
sedeva di sbieco sporgendo la groppa indietro e
il seno avanti alzando esageratamente te mani e
lasciandole ricadere di peso come gli sportelli
(1 uii.i i..ir,>.i. I-, sui ifjiuzz'iji) M piunieu I i'ys.i
tremolava sul ritmo dei sospiri di Mimi e di Ro-
dolfo.
— Come suona b«ne! — susurrù fa madre
commossa. — Lezioni di Paolini Tre lire
Torà...
E pili piano :
-*■ Pardon... Un momento... Mi chiamano di
là... Torno subito...
E se ne andò frettolosa.
— Sono proprio contenta d'averla conosciuta
— disse Fanny Taccoiyni prendendo le mani dì
Leonilda. — Diventeremo amiche, non è vero?
Sorriderfdo si guardarono le due faccione di
vecchia carne incipriata. '
— Io ricevo il venerdì — seguitò la Taccorini
È di moda ora... E lei?...
— Io ricevo il sabato... Ma qui non ho ancora
incominciato. 1 tappezzieri non mi hanno ancora
arredata la casa. Ho rinnovato tutto... Laggiù
davo un gran pranzo tutte le settimane e d'in-
• verno anclit dei balli... Facevo arrivare i'baHe-
rini da Milano... Dico la verità: un gran pensiero
e una gran spesa... •
— Io non dò soiréos perchè sono vedova... Ho
dovuto dire al sindaco di non venire più alla
sera tante erano le critiche. Oh! Seccature cer-
tamente. Per far come la signora Quaglia... tra
noi... sarebbe me};lio non far niente... Sa dove è
andata? In cucina a far lo zabaglione... Uova e
vino della campagna... E intanto Pallade con la
sua musica ci fa portare un famoso lume E
tutti i mercoledì è la stessa storia...
— .Simpatico però quel tenente... ,
-- Poh! Corteggia la cugina perchè crede sia
ricca... Del resto è l'amante della signora Bian-
chetti... Sa? La Josephine Bianchetti... la moglie
dell'ingegnere Bianchetti prasiderfte del Casfno
dei nobili... Cose note... Gli paga lin le calze e
le mutande... Me lo ha detto la mia serva che è
fidanzata dell'ordinanza del tenente... Oh! delle
scene stupende... Glie le racconterò poi... Ecco
il sindaco...
Allo strimpellio della commovente musica entrò
un ometto rossastro e calvo con una barbeltina co-
lor di carota e degli occhi dietro gli occhiali spor-
genti e vitrei come bottoni in una vetrina. Lo
accompagnava l'avvocato Apolline Quaglia serio
ed elegante coi suoi bei batti lunghi e nn gran
ciulTo luccicante di pomata. La musica cessò.
Tutti si posero a complimestare la prima auto-
rità cittadina...
— Commendatore! — Ben fortunato! — Sempre
al lavoro... — Cugina, tante cose! — Signora
Piota sempre atVascinantel Non si disturbi !... —
Prego, prego!.... — La signora Coppa!... —
Onoratissimol — Che belfa festa!...
.\minta ritornò scortando un v.issoio di uzze
92
fumanti portato da una servettina in grembiale
e cuffietta bianchi.
— Viva la signora Quaglia ! — esclamò il den-
tista.
— Pallade ! Pino! Aiutatemi...
La distribuzione dei viveri cominciò. Pino
Pini portò una tazza a Leonilda Coppa. E sor-
ridendo le disse :
— Signora, l'avverto che vi ho messo dentro
una magia...
— Ah! Si?
— Sicuro... Una magij per sedurla... Stia at-
tenta... Ora che è avvisata...
Bellissimo ! Una vera donna grassbttella tra-
vestita da militaf-e... Che fianchi nella uniforme
attillata! E che bella bocca rosea con dei den-
tini radi nella spuma della saliva... E che grazia
nel porger la tazza... una tazza larga e gonfia
come una maiolica da teletta...
— Non ho paura... Lei non mi fa proprio
paura I
— Per Bacco! Le sono cosi indifferente? Non
sono mica innocuo, sa?
. — Burlone ! Lei è un vero gentiluomo... E sarò
felicissima d'averla ai miei ricevimenti... Tutti i
venerdì...
— Volentieri... E vedrà che sono un buon ra-
gazzo.
Sedettero vicini su certe poltrone piatte ed
ampie come semicupi e si misero a ciarlare.
Aminta aveva spinto la figliuola verso il cugino
sindaco e lo stava circuendo con gesti e parole.
— Guardi Pallade che occhiate mi lancia!
— Poverina... Ma non è la sua fidanzata?
— Non ancora... Aminta non vuole... Ha
delle altre idee... È il sindaco che le piacerebbe...
Ma ci vuole altro... Con due gemelli... E per
di più... ce ne è un terzo per strada...
• — Come fa a saperlo?
— Ho dato una sbirciatina...
— Spiritoso ! mi fa ricordare il conte Farina
di Milano... Un vero gran signore...
— Si fa quel che si può... Ha bevuto il filtro?
Dia a me la tazza che se la rompiamo... poveri
noi... La metteremo qui sul tavolino... Oh! Ecco
l'albo delle cartoline di Pallade... Bellissimo...
Presero l'albo rilegato in pèlle di finto co-
codrillo e ne voltarono qualche pagina ammi-
rando.
— Le piace ?...
— Moltissimo...
— Io ne ho cinque... Cinquemila cartoline...
Come vorrei che le vedesse... Sono la nota ar-
tistica delle mie due stanzette... Li sfoglio, li
sfoglio e mi oblio tra tante belle imagini di
donne e paesi...
— Diventa poeta?
— Vicino a lei...
Sorrideva e il sorriso gli accendeva gli occhi
di una fiamma lasciva, gli poneva su le labbra
voluttuose un anelito di baci.
Anche Leonilda sorrise.
— Non vuol dunque vederle?
— Eh ! Chi sa?
PUCK
^^^1^^
XXIX.
INVERNALE
A Giannino Antona - Traversi.
Ricordi, amico, l'albeggiante strada
Che giù via correvam tra le pruine
Lucide al congelar xlella rugiada?
Chiara era l'aria e bianche le colline;
Decembre s'annunziava acre e possente
Tra quel brivido d'ore mattutine.
Parlavam d'arte, e assai soavemente
Mi pervadeva il gaudio sommesso
Di quella nostra intimità recente.
O amico, e al vespro di quel giorno istesso
10 la rincorsi, ma rompea dal core
11 suon d'un pianto inutilmente oppresso,
E nebuloso m'apparla l'albore
De' miei colli : ogni forza era legata.
Percossa in me d'un sùbito sopore.
Su, nel paese ch'io fuggìa, lasciata
Avea mia Madre, e sì smarrita e grama !
Bianca come giammai l'avrei pensata.
Ora al bel colle volgo ogni mia brama,
Il qual m'è dolce di chiamar per mio,
Che nostra patria è dov'è alcun che s'ama;
Ma quel chiaro ricordo, esca al desio,
Più mi ti lega, e il mio dolor fecondo
Ama coniporsi in un canoro invio,
E a te venir, che tu ben sai, giocondo
Signor del riso in su l'accese scene.
Come pianga ogni cor nel suo proforjdo. —
NoVi però rinnegai quelle serene
Idee, che indotte per filosofia
3i tornar quindi in sangue di mie vene.
Né dell'attender la virtij natia, •
Che sempre intesi in un doman più gaio
Ne scorti insin all'ultima agonia. ,
Buona è la vita al provvido massaio
Che è parco in ripartir le sue speranze ;
Fresche per Luglio, tepide a Gennaio :
Buona è la vita a chi di risonanze
Sa ricomporla, e se il bicchiere è rude
Ricco ha il pensier di fregi e d'eleganze:
L'occhio più fine è quel che si socchiude
Per suscitare il più vivace arazzo
Sovra il giallor delle pareti ignude.
Ma cui la vita neghi ogni sollazzo
E pur le fonti del sognar sien strane.
Se tutto in cor non sia macero e lazzo.
Una perenne limpida rimane
Fonte per lui, che in giovial freschezza
Agguaglia e passa tutte le fontane !
O Natura ; e d'amor tu sai l'ebbrfzza
Senza i cordogli : in te non segue il morso
Vipereo la tenera carezza.
Madre ch'è pronta al più virii soccorso, .
Sposa che nulla chiede e tutto dona,
Amor che già non lascia esca al rimorso;
Tutta^sei bella e onnipossente e buona;
Fosca o serena o squallida, divina
Tu sempre; e quando raggia e quando tuona.
Tu signora, e al mio cor vera regina;
Oh dovunque tu regni entro e t'adoro.
Al piano al fiume e al monte e alla marina.
Cosi rimpiango i miei tramonti d'oro,
E la Stura gemente, e il bel Monviso,
E i pioppi scarni ad orlo del pianoro:
Ma qui, dove si nega ogni sorriso
Del sole, e il piano inesorato e smorto
Perennemente sta di pozze intriso,
Pur qui so dove parli, e con che assorto
Delirio e con quale ansia avida io t'oda.
Quando vengo a cercar te per conforto.
Là ove il Po dilaga e si disnoda,
E tra l'ombra e la nebbia ed il mistero
Grigio si perde nell'opposta proda,
'Ve pochi alberi radi e un vel leggiero
Sembran segnar quella region lontana,
Dove si sperde o si rifa men fiero
L'errar della sognante anima umana.
MASSIMO BONTEMPELLI
^9(C^^^)Sf
Avvertenza ai Lettori.
Tutte le opere, di cui è detto nelle seguenti biografie, sono edite daùa nostra Casa
Editrice RENZO STREGLIO & C. — Torino. Galleria Subalpina - Genova. Piazza
Fontane Marose - (Vico Stella).
RITRATTI E BIOGRAFIE
simpatie, e sa vedere in lui non un cantastorie
piacevole, non un trastullo sentimentale, ma un
uomo le cui sventure incutono rispetto e il cui
ingegno suscita spontaneo l'applauso. Non è poi
vero che tutti siano ingrati o ciechi. E gli uo-
mini si possono disprezzare; ma la lode e la
fama che vien da loro non si disprezzan mai ».
E recentemente un critico francese : « Estimé
« pour la probité de son talent et la droiture de
« son caractère, arrivé jeune encore à une en-
« viable notoriété, il semblait que M. Cena eùt
« cent raisons pour une de .se réconcilier avec
« l'existence ». Il Cena è rimasto serio e grave
a considerare i mali della società e a cercar
degli ideali nuovi d'esistenza. Perchè? L'editore
(fi questi fogli ricorda. Un giorno, all'autore fe-
steggiato di Madre che tornava da una gita al
paese, egli domandò: « Ebbene? Tuo papà de-
v'esser contento di te !... »
Il Cena lo guardò con un sorriso melanconico :
« Sì. Mio padre ha preso il mio libro, l'ha ri-
girato fra le mani tremanti, ha riconosciuto il
mio nome, che è il suo, sulla copertina... poi
me l'ha restituito asciugandosi una lagrima col
dosso della mano ». E il poeta pensoso aggiunse
dgpo un niomento: « Bisogna incominciare dalla
base... siamo ancora in principio!... » Pensava
certo ad un'opera' di rivoluzione int^|ettualc
della società, per cui non sarebbe bastata la sua
vita. Ecco la ragione degli Amiiionilori, il ro-
manzo sociale testé pubblicato dalla Nuova An-
tologia, e del volume di versi Hoìno che verrà
pubblicato l'anno prossimo, come pure d'un ciclo
di romanzi di cui è già annunziato il primo. La
Ghiacciaia.
Giovanni Cena ha ora trentaquattro anni: è
nel pieno delle sue forze, ed egli è di quelli che
non si fermano mai.
(■)/"
Umbra
— Versi - L.
,
0. (Da
a paff.
i8 1
ripnr-
(I) Madri
Poema
— L.
tammo i
duo son
etti « La chioi
:c;
la
» e «
Sa.i
isone »
e i
versi
intitolato «
La
morta i
..).
« L'edifi.
ciò »).
(Di
V.
CARLO DADONE.
È nato a Torino il giorno undici di maggio
(lei milleottocentosessantaquattro, da poveri, si...
ma onesti genitori, e fin dalla prima infanzia
non diede affatto prove di quella gaja, o dolente,
o fantastica grafomania da cui è ora travaglia-
tissinia la sua età virile. Chiuse i suoi studi a
nove anni, con la terza elementare, solennemente
bocciato in buona condotta, in aritmetica ed in
composizione italiana. A dieci anni entrò inta-
gliatore nella fabbrica dei Leverà, in Vanchiglia ;
ed era cosi ardente in lui l'amore per l'arte che,
dopo tre anni di artistico tirocinio, ne sapeva
meno di quando aveva principiato. Suo padre
buonanima pensò allora se non sarebbe stato
meglio farne uno scatolaio, ed ecco il Dadone,
a tredici anni, occupatissimo a marinare la fab-
brica di bomboniere, dove, come primo stipendio,
— in grazia delle consuete protezioni, gran piaga
della nostra vita pubblica e privata — percepiva
una lira alla settimana.
Dopo qualche mese la fabbricazione delle sca-
tole cominciò a rompere le medesime non a lui,
che non se ne occupava niente, ma a suo padre
che ne capiva meno ancora; ed il futuro conta-
storie, con l 'approvazione e sotto il patrocinio
di un imbianchino amico di casa, passò .pittore
d'insegne in un'umile, sì, ma parecchio squallida
e sudicia bottega di piazza Carlina. Dove qual-
mente, essendogli stato proibito di fumar la pipa,
piantò in asso le insegne per ridursi novell.i
mente alla disoccupazione sotto i vigili scapac-
cioni del povero babbo che non sapeva più a
qual santo votarsi. Ma se il Dadone lavorava
poco, leggeva molto, e scriveva moltissimo a
tutte le serve del vicinato ; esercizio questo che
gli valse quel tanto di praticacela calligralìca per
passare segretario privato con relativa privazione
di stipendio causa la bella invenzione del tiro-
cinio gratuito; tutto. un insieme di falsi scambii
che gli lasciarono insanabile il rimorso di aver
mangiato ad ufo, per tanto tempo, il pane dei
sempre troppo buoni genitori. È ben vero chie
a quattordici anni, causa una poco allegra of-
talmia, fimase cieco un
anno intiero, per poi gua-
rire sì e no... — un occhio *
si e l'altro no; — ed è
anche vefo che dopo lo
incolse un ancor meno al-
legro mal d'orecchi, per
cui ora non ci' sente più
nulla, o quasi; disgrazia
questa che, come egli dice,
se non gli permette d'u-
(fire le troppe corbellerie
altrui, gli' permette però
sempre di scrivere le pro-
prie; e tutto ciò sia detto
come attenuante alla sua
itisapabile poltroneria.
Le sue prime armi, A
adunque, furono le innu- ^j
meri sue lettere amorose;
e fu una di queste, scritta
di commissione per un
suo amico che si era cotto
d'una sartina, che, letta
da una cara persona, gli
valse un mondo di lodi,
in seguito alle quali, da-
tosi con passione a consu-
mar carta ed inchiostro, ed
essendo per soprammer-
cato caduto nelle unghie dei
componenti un cenacolo
di futuri pubblici seccatori, cominciò a pubbli-
care le sue prime novelle... E bisogna dire che
cominciò subito bene nella indimenticata . KzVa
Moderna diretta dal Macchi, e per giunta, pagato.
Pubblicò poi in seguito un po' da per tutto, dan-
dosi, per desiderio di varietà, cosi al fantastico,
tjuanto al comico, al serio, o al patetico; non
mai al noioso.
Sua specialità commerciale, nota soltanto a
pochi suoi intimi, èia pubblicazione d'un'infinita
serie di opuscoli politici innocui quanto anonimi,
pei quali sembra avere il brevetto d'invenzione;
non che un'altra serie di
• giornaletti chiassosi, po-
litici od umoristici poco
importa, purché si ven-
dano e spillino quattrini
a quella parte di pubblico
facilona che noi tutti be-
nissimo conosciamo
ed amiamo. Scrisse anche
parecchi romanzi d 'appen-
dice, camufiato da Ugo
di San Lery ; e ora s'è dato
con passione a certi feroci
racconti sociali che pub-
blica assiduamente sull'^-
vanti della Domenica (e
che forse son le migliori
cose sue) ; ha pubblicato
due libri fortunatissimi :
« Come presi moglie -
Autobiografìa di un e.\
ghiottone » (i) e « La For-
bice di legno » {2); Ma i
due suoi capolavori, creati
in collaborazione, sono e
rimarranno sempre i suoi
due belli e forti maschiotti
Àttico e Virgilio, che gli
ricordano troppo sovente
i sacrosanti doveri della
paternità. Egli si dichiara
socialista, ma è invece un
arrabbiato sentimentale, che si irrita fino alla
ferocia contro tutte le volgarità dei curialeschi
bottegai che, a suo giudizio, sgovernano noi e
le cose nostre; è un ottimista impenitente che
sa ridere di tutto e di tutti, perchè sa anche
piangere, e perchè rose ne ha visto poche e
spine molte...
Perdonatelo se scrive; non è colpa sua se non è
nato, ricco: da poveri, sì ma onesti genitori...
(l) Come presi moglie - Aiilobiograjia di un ex ghioìtone
— Illustrato — lire 2,50 (I voi. della « Biblioteca Gaja »). Cou-
tiene: I. Cuoco scienziato. — II. L'idillio — III. In viaggio —
IV. Giroldo suo malgrajio e pazzo per forza — V. La catastrofe..
Ed i racconti : Come nacque, visse e morì «.La mosca bianca »
— Giovannino sposo — La trahison du petit turquet... — e Le
lezioni di Seneca, (quesfultimo pubblicato qui, a pag. 19, sotto
il « titolo F.p, L, 12 fermo in posta, Torino»).
(2) La forbice di legno — Lire 1,50. Contiene : Il segreto del
Cimbro — LMnvincibile — La grande scoperta di Von Giibler
— Il divino tesoro — Un ladro di genio — Il sepolto dì Vodena
— La forbice di legno.
-^^4^H^^
da retta imparzialità, scrisse molle riviste d'Espo-
sizioni d'Arte ; e sopratutto si distinsero per chia-
rezza e profondità di vedute e d'osservazione
quelle veneziane.
Nel 1901 pubblicò quell'originalissimo Poema
dell'adolescenza (i) che fece arricciare il naso a
più d'un critico assonnato e che diede modo a
parecchi, dei toccati prima dal Thovez, di ven-
dicarsi con critiche aspre quanto vuote; poema
che l'autore aveva scritto dieci anni innanzi.
In seguito, per incarico del Corriere della Sera,
tradusse un volume di Racconti americani del-
l'umorista americano Mark Twain.
Volle anche provarsi a dipingere, e tutti ricor-
dano, all'Esposizione di Torino del 1900, un suo
105
ritratto di esecuzione bizzarra che fu assai discusso,
ed un suo paesaggio a Venezia, nel 1901.
Nel 1902 fu tra i fortunati e geniali iniziatori
della 1" Esposizione Inlernazionaled'Arte Decora-
tiva Moderna, e membro segretario, sagace e
attivissimo, del Comitato Artistico.
.Sappiamo che pubblicherà prossimamente un
nuovo volume di liriche « Il vortice della vita »
un volume di Saggi di estetica pratica, uno di
Dialoghi morali, ed uno di schizzi di viaggio:
« L'oro del Reno ».
Così la sua attività sempre geniale, vivace e
varia à campo vasto per estrinsecarsi, con non poco
guadagno della nostra giovane letteratura ita-
liana.
(1) Il Poema dell' Adolescenza di Enrico Tuo
- s.'Lggi dal Poema dell' Adolescenza).
z. Lire 3.00. (Vedere a pag. 31-3J - Ultimo grido — Ribellione - e
mmùmms^mi^^^mmmmm.
vili.
FAUSTO VILLA.
Fausto Villa è figlio di Tommaso Villa e mai
forse come per lui ebbe ragione l'antico adagio
« buon sangue non mente ».
Modestissimo, quasi timido,
per inclinazione di carattere, egli
possiede un ingegno vivace ed
una tempra aristocratica per ec-
cellenza.
Ha quarantadue anni ed è av-
vocato ; ma ai codici ha preferito
sempre le... Muse, ed in arte è un
decadente.
All'età di diciott'anui il suo
nome ha fatto, assieme con
lineilo del maestro Oastaldon,
il giro... del mondo, compo-
nendo le famose parole della •
« Musica Proibita », romanza
diventata popolare dovunque.
Ha pubblicato sopra parecchie
riviste letterarie e mondane no-
velle, versi, articoli scintillanti
^Xt^(
di verve, caitseries sentinniitali avvolte nel mi-
stero di una sigla femminile; .idora la musica e
ne è cultore egregio.
Ultimamente ha lanciato il suo
primo romanzo « La sconfitta di
Marco Diana» (i 1, libro .audace,
ma forte e profondo, che ha su-
scitato un vespaio tra la sinagoga
ilelle piccole coscienze, racco-
gliendo invece larga onda di
encomio fra i critici di tutta la
Penisola. Fausto Villa oramai
può dire d'avere trovata la sua
strada, e vi camminer.'» sicuro,
stampandovi chiare orme.
L'Itimo € segno p.irticolare »
non è bello, ma piace alle donne.
E, per questo, è refrattario
al matrimonio. Ha giurato fe-
deltà alle Muse ed in fatto di
produzioni egli si dedica unica-
mente a quelle... letterarie.
(1) La Sconjilla di Marco Diana, roiuanio - lire J.oo •
Questo rouianio, nel campo della critica, sollevò proprio dav-
vero un furioso vespaio : polemiche prò e contro, denigr.izioni
ed osanna. 6ichi mbbioii ed appUu.i .inceri. Per conto nctro
crediamo soltanto bene avvertire che non e un romao.o per
IX.
ENRICO CORRADINI. (■)
É il deraciné per eccellenza. Civis romaiius
di sentimento e d'elezione, appartiene alla terza
Italia ed è costretto a vivere nella Firenze con-
temporanea : immerso nel-
le lettere per professione /'
quotidiana, disprezza in
cuor suo la letteratura
ed il giornalismo e crede
che l'uomo sia nato per
combattere battaglie ben
più cruente di quelle nelle
quali scorra soltanto del-
l'inchiostro. Il suo eroe
è Cesare, la sua mèta
l'impero e non dispone
che di un Regno sim-
bolico quanto il potere
temporale di Pio X.
Ma tutto ciò non turba
la sua serenità d'animo,
perchè Enrico Corradini
sa colmare gli abissi che
dividono 1' ideale dalla
realtà delle cose col pla-
cido buon senso e con
una punta di sottile scet-
ticismo. In fondo è la
persona più contentabile
della terra; a lui basta
di proiettare nell' avve-
nire sotto forma di aspi-
razione tutta la grandezza
del passato e di arrab-
biarsi coi piccoli uomini
moderni che non hanno
neppure la sola virtù
consentila dalla miseria dei tempi : la virtù del
rimpianto. Romanziere, drammaturgo, novel-
liere (2: critico e giornalista, cyli spiega un'at-
ti vita operosa che contrasta
con la sua andatura al-
quanto dinoccolata.
Perchèquesto militaristi
ML-U'anima , alle esercita-
zioni atletiche, preferisce
le stilistiche e non ha
alfatto il passo militaresco.
La sua vera indole si ri-
vela però quando siede
a tavolino : allora^ egli
brandisce la penna come
una spada che guizzi e
strida in un supremo cer-
l.ime.
Giustamente apprezzato
rome uno dei più acuti
critici e dei più forti e
(-.istigati scrittori italiani,
autore di un Giulio Ce-
sare che ha conquistato
p;r la seconda volta la
Gallia, il Corradini ha tro-
vato di solito minor for-
tuna ^ulle tavole del pal-
coscenico.
Né egli ha avuto mai
il cattivo gusto di lamen-
tarsene: anzi così i suoi
voti più ardenti erano
esauditi : il teatro diven-
tava un campo di bat-
taglia!
(i) Istantanea di Kodak (dal « M
. 21. — S3 maggio 1904.
(2) Le sette lampade d'oro — ricchis
del Corredini. Uo volume di quasi 400 pag
Costctti, lire 2,00.
1 copertina del
i raccolta di novelle
■^
-^r^
ISr
X.
MARIO CLARVY.
Di Mario Clar\ y, creduto per buona pezza un
uomo e truccato come un Orsini pel suo stesso
editore, ben poco si riesce a scoprire. Sollecitato
e intervistato ad hoc rispose :
— « Assomiglio ai popoli fe-
lici : non ho storia e a diffe-
renza di essi non ho patria. Un
giorno, passando per Venezia,
mi venne, non so perchè, il tic-
chio di vedervi la luce l'anno
di grazia Non mi ricordo
più ! Il mio povero padre era
metà slavo, metà francese con
qualche po' di sangue greco;
mia madre italianB, io nacqui
per caso a Venezia ; a quale
razza appartengo ? Mi chiedete
della mia vita, de' miei propo-
nimenti, de' miei studii, ecc.,
ecc. Mi propongo, battendomi
il petto, di non annoiar piCj
nessifno né in versi, né in prosa
— e saranno promesse di mari-
^^
w
nafo. Non ho studiato, ho leggicchiato, non ho
vissuto, ho sofferto e fantasticato — vedi pia-
gnucolanti sonetti ! Nulla feci che meriti d'es-
sere noto, (i) Adottai tre anni
or sono una rivista letteraria
— // P'eiitesiino — di cui è
injelligente direttore Alessan-
dro Sacheri, — e me ne occupo
con tenace entusiasmo. Ecco
tutto «.
Nuli" altro si potè cavar di
bocca a Mario Clarvy ; aggiun-
geremo che il Ventesimo, edito
a Genova, e che è dato in dono
agli abbonati di tre grandi^ior-
nali quotidiani, è giornale lette-
rario di graditissima lettura,
serio e moderno senza osten-
tazione, nemico giurato della
noia ed amico fedele di valenti
collaboratori, i quali vanno a
gara nel prosperarlo dei loro
frutti più belli.
(r) E' troppa modestia. Di Mario Clarvy abbiamo un buo-
suoi sconforti accoranti, e
ne' suoi slanci verso la verità e
nissimo libro di versi - « Ckimaeva » (lire 1,50 - cbe ^no
l'amore. (Di « Ckintaera »
diamo parecchi saggi a pag. 36
la fine anatomia di un'anima che si mostra intera ed ingenua
e a pag. 72I.
nei ricordi delle prime dolci illusioni, nelle sue speranze, nei
f
1I2 1I2 tlì sii ili it: ^ ^ ^ tt£ ^ ^ iti ^ ^ ^ 1I2 ^ iti ^ :l2 ^ li: ili :t^ :l2 112 :l2 ^ ili Ili il^ ^ ili ^ Ili ili ili iti ili :l! it! il! ^ ^ ^t: 1I2 ^ ili 1^ 1I2 sÈ ^ !& ili ;t! ;!: ik Iti ^ ^ ^ ^ ^
XI.
LINO FERRIANI.
Su la vita, meravigliosamente operosa, di
questo insigne scrittore, altamente stimato pur
all'estero — dove conta amicizie illustri nume-
rosissime — • si potrebbe ormai dettare un ge-
niale e prezioso volume : una vita tutta consa-
crata a un ideale grandioso, « la rigenerazione
dell'infanzia infelice ». Si spiega cosi come egli
venga designato quale il « Magnaad d'Italia ».
E il volume sarebbe utile, che, ancora una volta,
proverebbe cosa possano in un uomo la volontà
ferrea, lo studio assiduo (lavora ogni santo di
dell'anno non meno *di undici ore per l'ufficio
— ch^ copre con tanto onore — e per le cose
sue) rivolti a una grande idealità umanitaria,
per la quale combatte con ardore di apostolo,
dicendo sempre alto il vero, ribelle a ogni roti-
lOS
line burocratica, pur conscio di pregiudicare la
propria carriera, perchè si sa in Italia, purtroppo,
quali altri requisiti occorrano — diciamo in ge-
nerale — per conseguire promozioni. Ne' libri,
negli articoli, nelle eloquentissime conferenze,
nelle dotte requisitorie, sempre si rivela l'uomo
dal cuor d'oro — come disse il nostro illustre
De-Amicis — lo scienziato forte, battagliero (tale,
tra gli altri, il giudizio di
Lombroso, Nordau, Mor-
selli), che onora il pen-
siero italiano vibrante di
dolce umanità. Noi non
possiamo qui che fugace-
mente parlare di lui e del-
l'opera sua, davvero ric-
chissima e poderosa.
Nacque a Ferrara il 6
Dicembre 1852. Bambino
andò all'estero. Fu edu-
cato nella Svizzera ita-
liana, tedesca, e a Londra,
dove il padre suo eserci-
tava, reputatissimo, la me-
dicina. Tornò in patria nel
i8;f2. Si laureò in legge^
Insegnando nell'un tempo
l'inglese, e dedicandosi
pure alle belle lettere.
Scrisse alcune commedie
popolari, che ebbero lieto
successo. — Esercitò poi
V avvocatura, specie nel
ramo penale, spiegando
doti d' oratore squisite.
Fondò intanto' a Ferrara,-
col prof. Scarabelli, un
giornale democratico « La
Rivista » — che tuttora
vive — e col professore Agnelli loggi esimio
bibliotecario comunale) un vivace Gazzettino let-
terario, nel quale collaborarono Panzacchi, Yorick
e l'àllora giovanetto D'Annunzio.
Nel 1881, superati splendidamente gli esami
di pretore, fu nominato sostituto Procuratore
del Re a Palermo, e nel 1SS9 promosso Pro-
curatore del Re. Per i suoi meriti quale magi-
strato, fu nominato cavaliere mauriziano e uffi-
ciale della Corona d'Italia; onorificenze che gli
riuscirono gradite, ma giammai diminuirono la
modestia, la mitezza del suo carattere, che sol-
tanto divien fiero, ardito quando le energie feno-
menali dell'uomo si concentrano nella lotta per
il bene, nel salvataggio» del fanciullo. Inutile
dire che è padre e marito modello, £ la sorte
gli arrise dandogli per compagna un' angelica e
intelligentissima signora, che, nel lavoro arduo
e nelle amarezze della vita (a tali uomini non
può mancare il morso feroce dell'invidiai, lo sor-
regge con intenso affetto.
Le sue opere, — di cui parecchie tradotte in varie
lingue, e specie in tedesco dal dott. Ruhemann —
sono innumerevoli. Nel 1886 stampò « /.'/«/aw/i-
cirfa », che, per quanto pal-
piti di modernità, risente
della scuola classica : ne'
libri che vengono dopo si ri-
vela un nuovo, profondo e
meditato indirizzo di studi
positivi, fortificati da una
benedettina scienza stati-
stica ; e così Io vediamo
tra i campioni più valorosi
della scuola ferro'lombro-
siana, e, dacché Garofalo
tace, forse l'unico magi-
strato, che continui a lot-
tare strenuamente per essa.
Dal 1S87 al 1903 (e si noti,
molte sono le opere volu-
minose e frutto di lunghe
indagini mondiali) scrisse:
•• L' Amore in Tribunale »
— Madri snaturate » —
« A/inorenni de/intuenti »
— « Delinquenti scaltri e
/ortunati » — Delinquettti
che scrivono » — Delin-
quenza precoce e senile » —
/ drammi dei fanciulli » —
« Fanciulli abbandonati »
(tutji studi di psicologia
criminale). « Nel mondo
Jtl l'infanzia » — Studi di
psicologia infantile » — v. Conferenze» — *L^ umo-
rismo di un usciere giudiziario » (i) — Tredici
disccnsi inaugurali » : opere tutte, che ebbero la
lode unanime della stampa più autorevole italiana
e straniera. — Ferriani scrive inoltre nelle più re-
putate riviste europee ed americane, in parecchi
giornali, specialmente ricercato per i suoi studi sul-
l'infanzia. — Ora attende da un anno a un volume
poderoso di sociologia dal titolo « Donne e fan-
ciulli ». Concludendo, un gran lavoratore, una
mente geniale, eruditissima, un uomo modesto, de-
mocratico, affabile con tutti, vero padre dei bimbi
infelici, e ben lo sa Como, dove da 13 anni esercita
con intelletto d'amore, amato da tutti, le sue deli-
cate funzioni di Procuratore del Re, in attesa di
esser promosso alla Cassazione di Roma.
(I) uu,
pag. 350.
orismo di un Usciere gindtztan'o • — Un volume
opertina illustrata, lire 3.00. — (A pagina 37
eguenti riporti
te : «< La doDD;
mo un gustoso brano di questo fortunato 1
nella famiglia giudiziaria ».)
109
XII.
ARNALDO LAMBERTINI.
È un innamorato dell'arte e della
in ispecie, alla quale ha portato 1'
febbrile, la viv-acità sincera, franca e
del suo carattere t-oma-
gnolo.
Chi non ricorda a Roma
lo sportman appassionato,
il gagliardo corridore, alle
caccie e sul turf, reci-
tare alla sera versi e mo-
nologhi negli aristocra-
tici saloni romani, din-
nanzi a tutto il mondo...
rappresentato, con la effi-
cacia e la comicità dei-
dicitore elegante ed in-
contentabile?
É capitano d'artiglieria,
e pensa che Napoleone
in fine dei conti non fu
che un gran capitano.
Con i suoi Racconti
della Mensa (i) volle mo-
strare che nella calun-
niata vita della caserma
fervono momenti di ven-
tenne genialità serena, al-
legra e spensierata, i quali
possono indurre agli estra-
nei quella simpatia e quell'affetto a cui la ca-
serma ha diritto.
E vi è riescito a meraviglia. Quei Racconti,
informati a verità ed a
sincerità, ebbero un _ suc-
cesso di schietta anuiiìra-
zione.
^*V Ma non ha trattato solo
■ il genere militare. I gior-
9 nali letterari lo ebbero
collaboratore instancabile.
Esordi nel campo let-
terario con commedie e
con drammi — poi che
il teatro fu, ed è, la pas-
sione sua tenace inguari-
bile.
Ora, mentre prepara un
al^ro volume di novelle,
torna serenamente e co-
raggiosamente al teatro —
nel quale non si sente ne
abbastanza, né . definitiva-
mente, applaudito o
fischiato.
Per ciò ha per motto:
Il teatro sol mi darà
fama e riposo! ,
(l) / Racconti della Mensa di Arnaldo Lambertiui - III volume
della «Bibliot, Gaial>, L. 2,50. -Coiitiene; La sveglia - A mali
estremi... ecc. - La teoria al sottotenente - La Pasqua - Pjerrot -
La^olvere senza scoppio - In ferrovia - Viceversa - Il convegno
di caccia - Bijou - Armi e tiri - 11 difensore - Andata e ritorno...
e andata - Cinque ore dopo : alla sLuioi
rovia, andata; Susa : alla stazione; Torii
Caforio - Il silenzio.
(Di questi racconti diamo un saggiti
rovìa » e *• Viceversa »1.
a : in restaurant ; in fer-
j : alla stAzionc - Monssii
^««^^^"^««l^^M^iiiMlMiliSSiMll^^
XIII.
AMILCARE LAURÌA.
Nasce a Napoli (3 aprile 1854) da illustre fa-
migli^ di magistrati — (suo avo, Francesco Lauria,,
fu il primo oratore de' suoi tempi ; suo padre
fu vice-presidente del Consiglio di Stato e sena-
tore del Regno).
Dopo le malattie che afflissero il I.aurìa fino al-
l'adolescenza (onde dovette star-
sene tre anni a Ginevra e due
a San Gallo), principiò gli studi
giuridici e letterarii insieme, dopo
i diciotto anni. Ebbe a maestri
il famoso latinista napoletano
monsignor Antonio Mirabelli,
l'altro, principe della filologia,
Emanuele Rocco — suocero di
Alfonso Balzico — . il venerato
prof, d'estetica Antonio Tari e
l'immortale Francesco De San-
ctis.
Dopo due anni d'esercizio di
avvocatura (che il Lauria odiava
cordialmente) incominciò a get-
tar giù bozzettini e caricature
della piccola borghesia napole-
tana (della tipica contrada di
Foria), i quali, pubblicati ano-
nimamente nei giornali umori-
stici del tempo, destarono un
senso di curiosità grande* per
l'originalitìi.
L'anno appresso Angelo Som-
maruga pubblicava il primo volume del Lauria,
Sebeha, bozzetti umoristici napoletani, con pre-
fazione del francese più amante dell'Iella, Marc-
Monnier.
I>Jella prefazione egli diceva che i bozzetti del
Lauria potevano piacere a tutti e italiani e fore-
stieri, perchè educato all'estero. Quando il Lauria
era tornato in patria aveva t'isio i suoi compae-
sani con quella sorpresa con cui li vedano i fore-
■stìeri.
Difatti il successo della Sebeiiaiu straordinario:
ieri il Lauria era sconbsciuto a tutti, oggi ecco
che Angelo Somniaruga, costretto a fare otto
edizioni al primo libro di lui, lo dà in premio a»
lettori delle Forche Caudine (dello Sbarbaro) in-
sieme con j libri del Carducci, del D'Annunzio
e del Rapisardi.
■ <^-t^z-t-^>fc ■
L'anno appresso Edoardo Ferino pubblica una
seconda Sebetia del Lauria, e ne van via sei edi-
zioni, mentre, in Germania, Arnous le traduce en-
trambe pei giornali tede.schi, e le raccoglie poi
in un sol volume della Universapl Bibliqtek di
Philipp Réclam di Lipsia.
■ Amilcare Lauria, allora, pensò
al romanzo, ad un romanzo na-
poletano con lo stesso sistema
che s'era formato per la Sebetia:
tutto suo, personalissimo, umo-
ristico nel pretto sen.so della
parola, e scrisse Donna Candida,
pubblicato dal Galli di Milano
nel 1890. Lo dissero zoliano (ed
ebbero proprio torto) sol perchè
la protagonista del romanzo era
una ruffiana in ritiro, come se
Zi)la (che amò tanto il Lauria)
fosse stato mai umorista!
Il romanzo ebbe tale successo
che tutti i critici italiani ed esteri
se ne occuparono in lunghi arti-
coli.
Allora il Lauria pensò di stu-
diar la questione sociale napole-
tana in un romanzo, che avesse
per eroe il tipo del povero ga-
lantuomo partenopeo,ischiacciato
dagli arruffoni di laggiù, e, dopo
parecchi anni di studio, scrisse
il Povero don Camillo ! c\\e, pubblicato dal Gian-
notta di Catania, ebbe successo letterario anche
superiore a quello ottenuto da Donna Candida.
Infaticabile com'è, il Lauria, odiatore della
scuola psicologica, voUe^ mostrare quanto psico-
logia senza fisiologia, pensiero senza azione, in
un'opera d'arte sia assurda cosa, e scrisse il
romanzo antropologico JSIicia, che ebbe cosi Jieto
successo e che Cesare Lombroso chiamò splendido
lavoro.
Da questo il Lauria passò al romanzo pura-
mente fisiologico, tracciando le linee della donna-
sfinge, che riesce fatale a chiunque l'avvicini, di
qualsiasi temperamento, e il romanzo", pubblicato
dalla Poligrafica di Milano, fu « Sulla Lyona ».
Ma non soltanto pei grandi Amilcare, Lauria
scrive, sibbene andie pel mondo dei piccini. Chi
non ricorda i suoi Ragazzi napoletani, edito dal
Tre\ isini, e quei Quattro del Molo, che rallegra-
rono e commossero insieme e grandi e piccini,
edito dal Voghera?
Dopo codesto romanzetto napoletano, il Lauria
pensò ad un vero romanzo educativo per ragazzi,
nel quale svolgere in azione il socialismo moderno
e dette ai ragazzi 1' esempio dì quel che dovrà
essere il piccolo signore di domani, o sparire:
ecco // Signorino, edito dal Sandron di Palermo.
Ma non meno interessante labbenchè, ingiu-
stamente, non abbia avuto la fortuna degli altri)
è la raccolta di novelle napoletane per signorine:
Figurine ingenue di Amilcare Lauria, edito dal
Cappelli di Rocca San Casciano.
{0 Le Garibaldine - Memorie del iSòo a Napoli, di Ami[
CARE Lai'RÌA - Elegante volume con copertina del Martoglio
I-ire 2. - Contiene : .< Virginio -. - Un ragazzo dei Mill
Teatro Sebeto - Una liber.izione - « Masto Fetrico » - Boldrìn
Al
L'ultimo libro del Lauria è La mala gente,
novelle socialiste, che egli chiama Scene, quadri
e storie della vita comtemporanea, edito dal Ner-
bini di Firenze, di cui la critica disse il mi-
glior bene.
Ed ora ecco Le Garibaldine iii.
Il Lauria vive a Roma, circondato dai suoi sei
piccini, dalla sua migliore amica, in casa, e fuori,
alla scuola, da un centinaio di giovanissimi romani
che adorano il loro professore. ,
Che più? ogni Pasqua egli fa la sua sacca da
viaggio, e sen viene in Alta Italia, a concedersi
Io svago di tener conferenze, alle quali corrono
gran parte dei lettori dei suoi libri.
- L'incontro. (A pag. 49 riportiamo il commoventissii
ramente splendido racconto *< Un rag.i2zo dei Mille
da « Le Garibaldine) ».
XIV
ANTONIO BELTRAMELLT.
Antonio Beltramelli n,acque l'undici gennaio
del 1875 in una lieta e bella città della Verde Ro-
magna: Forlì; nacque da gente di modesta con-
dizione e trascorse la sua
barbara giovinezza silen-
zio.samente fra la tristezza
di una piccola casa e la
libera vastità dei monti,
del piano e del mare.
Dal padre tolsalo spirito
nomade, l'incessante de-
siderio di raggiungere
ogni confine apparente ;
dalla madre la dolce
pensosità serena.
Le scuole furono per
lui un martirio continuo,
che non sapeva piegare il
suo spirito al burocratico
sistema d'insegnamento
per il quale le giovani
nienti imparano ad odiare
le cose belle; ebbe neces-
sità continua d'amore e
ciò che imparò e seppe
fu per le vie dell'amicizia
e della simpatia.
Spirito' incolto fino alla sua prima giovinezza,
amò il suo popolo e tentò di signitìcarne l'anima
bella e gagliarda.
La sua voce si compose a quella dei novella-
tori raminghi che vanno di paese in paese favo-
leggiando di cose grandi e lontane ; egli senti
in ogni fatto umano vi-
vere la leggenda ed il
mistero, a' suoi occhi
attoniti ogni cosa leg-
germente si trasfigurava.
Amò la musica sopra
ogni cosa e molte volte
nella sua giovinezza tentò
dedicarvisi ; le contra-
rietà incontrate non glielo
permisero mai.. Compiti
gli studi superiori a Fi-
' renze (aveva bisogno del
suo marchio per es*re
accettato fra gli altri nella
vita grande\ Roma, l'e-
terna ammaliatrice, lo at-
trasse e, come lo inna-
morò per la sua divina
grandezza, vi rimase.
Si unì al gregge: tra-
scinò il suo carro pesante
per cinque anni; fu gior-
nalista alla Tribuna ed
alla Patria, poi l'arida vita che rapidamente
consuma lo stancò. Egli era l'adoratore dei
silenzi e delle solitudini. Ritornò nei suoi paesi
selvaggi, nei quali vive tuttora unicamente in-
tento a racchiudere nel breve ritmo delle parole
le visioni di uomini e di cose dalle quali l'anima
molteplice di tutta una gente si appalesa.
La sua prima raccolta di novelle — L'antica
madre — pubblicata dall'editore Licinio Cappelli
di Rocca S. Casciano, rivela, nella sua rude
compagine, la via che il Beltramelli aveva già
fin d'allora delineata innanzi a sé. L'antica madre
è la prima- parte di un ciclo di novelle dal titolo
generale — / vittoriosi, — coloro cioè che sopra
ogni effimero mutamento di cose mantengono in-
tatta nella loro integrità l'anima di una stirpe.
/ vittoriosi sono gli uomini semplici e rudi
che vivono in solitudine sotto la vastità e
l'eterno mistero, coloro che natura predilige e
che possono dirsi i sacerdoti ai quali essa affida
le sue immutabili leggi. Vittoriosi sulle piccole
vanità, sul piccolo scalpitare degli uomini che si
racchiudono in un breve giro di mura e, camuf-
fati da Grandi, dimenticano la piccola miseria
che li guida. La casa editrice dei fratelli Treves
ha dato alla luce, qualche mese fa, la seconda
parte di questo ciclo — Anna Perenna. — Aima
Perenna è un'antica divinità del Lazio; è la
primavera. La dea che sorrise all'anima primi-
tiva della nostra gente, guida l'autore attraverso
alle terre della sua Romagna e gli appalesa e le
passioni e le tragedie che agitano la vita degli
uomini fra i monti ed il mare, nelle pianure
sterminate. L'ultima parte di questo ciclo s'inti-
tola — / primogenili — e vedrà la luce quanto
prima.
Gli Uomini rossi (i) — romanzo satirico che
apre una trilogia intitolata : — // carnevale delle
democrazie — ha visto la luce quest'anno, ed
è stato un vero trionfo, perchè esso, con invi-
diabile sagacia d'osservazione e con indiavolata
vena satirica dipinge magistralmente l'ambiente
del repubblicanesimo romagnolo. È poi un ro-
manzo pieno di verve, di umorismo, e di casi
comici divertentissimi, per cui lo si legge con
diletto vivissimo, e lo si rilegge più volentieri
ancora. Ne diamo un gustosissimo saggio a
pag. 53, con il capitolo XII intitolato: « Nel quale
si vede come Madonna Luna si dichiarasse ne-
mica di Monsignor Rutilante ».
Dello stesso autore si annunciano d'imminente
pubblicazione,: un volume d'azioni sceniche iira-
presentabili, dal titolo — / drammi delle solitu-
dini; — in essi è un riverbero della tragica ed
eterna lotta degli uomini con la natura cieca —
è un romanzo nel quale pulsa la tragica rapidità
della vita moderna alla quale fa contrasto l'im-
mobile dominio di due città eterne: Roma e
Ravenna.
(I) Gli Uoi
di Antonio Beltramelli, VII voi. dell.t Biblioteca Gaja
copertina di Filiberto Scarpelli - L. 3.0
XV.
PASQUALE DE LUCA.
È fra i più fecondi e versatili ingegni nostri.
In Francia o in. Inghilterra la sua attività lo
avrebbe reso celebre e ricco: presso di noi, per
vivere, deve moltiplicarsi. Ed egli lo fa con ar-
dore sempre giovanile e con fede da apostolo.
Dirige da sette anni la più elegante e diffusa
rivista artistico-letteraria, Natura ed Arte, che fu
la prima e rimane la più interessante del genere:
ma precedentemente fu giornalista, a Napoli, e
di questa metropoli studiò la vita complessa e
multiforme, che fa rivivere nei suoi romanzi e
nelle sue numerose novelle, e in ispecial modo
nella trilogia: Alle porte della felicità (i), (am-
biente, popolare); Le ambiziose (borghesia) e //
cavaliere di Malta (aristocrazia; di futura pub-
blicazione. Nato a Sessa Aurunca (Terra di Lavoro)
nel 1865, esordì con un volumetto di Racconti
Silvani che iurono lodati e s'ebbero larghi inco-
raggiamenti dai migliori letterati nostri, fra i
quali Verga, Rovetta, la Serao, D. Milelli,
Colautti, ecc.
Seguirono L'onorevole Zucchini, Senza sole....
Mamme, /denari, Myosotis, ecc., che conferma-
rono le sue « memorabili doti di novellatore forte
ed originale » . E intanto collaborava al Corriere
di Napoli, al Piccolo, al Don Marzio, al Pungolo,
di Napoli ; scriveva romanzi per le appendici del
Caffaro, del Resto del Carlino, del Capitati Fra-
cassa, ecc.; pubblicava versi e prose nei prin-
cipali periodici ebdomadari e quindicinali, fra i
quali la Gazzetta Letteraria, del Depanis, il Fan-
fulla della Domenica, la Gazzetta del Popolo, e
la Commedia umana, e faceva rappresentare, da
primarie compagnie, i suoi drammi, e le sue
commedie. Fu uno dei tre prescelti al gran Con-
corso di Torino, per il Teatro d'Arte, e col Nani
ha tradotto in versi V Eterno femminino del
iMisch, ripetuto sette volte a Torino. Ha in pronto
un altro romanzo : La novella l'ila, che si svolge
a Milano e sul lago di
Como — comincia con un
colpo di pistola, e finisce...
con un sorriso, nel trionfo
della vita. Uscirà prima
del Cavaliere di Afalla.
Appassionato per le
belle arti, ne scrive con
giusto criterio e con forma
attraente ; e con sapore
italiano traduce e popola-
rizza fra noi quello spirito
bizzarro che si chiama
H. G. Welles, il fantasioso
romanziere inglese. In A^a-
tiira ed Arte ottiene con-
tinui successi con le sue
caitseries firmate « il Conte
Azzurro »; nella cerchia
dei giovani musicisti è ap-
prezzatissimo per i suoi li-
bretti d'opera. Ha ridotto
per il teatro lirico il Quo
"3
vadisT per il maestro italo-argentino A. Fracas<ii ;
Criugoire per il milanese maestro A. Cantii; A<r
hourgeois genlilhommc di Molière per il maestro
E. Elsposito, residente in
Russia ; Luisa San/elice
per un giovane musicista
che vive a Parigi, e Una
notte di Cleopatra per il
maestro Bellini Hi Lugano,
oltre a una Foglia d'al-
loro- interamente origi-
nale, in tre atti, giudi-
cati fra i più poetici del
teatro contemporaneo. € Il
libretto — egli dice — rias-
sume due forti ed antiche
passioni mie:' la poesia
e il teatro, e potrà essere
remunerativo più di qual-
siasi altra forma d'arte».
Afferma, inoltre, nelle sue
piacevoli conversazioni,
che per il '910 dovrà esser
ricco : chi scrive glie lo
augura sinceramente, e di
tutto cuore !
(l) AIU porU dtlla /eticità, r
•iportiamo un saggia a pag. 58).
.-ipoletano di Pas<3UAI.k Db Li'ca - z.a cdÌ2
XVI.
EMILIO PINCHIA.
Emilio riuchia k nato in Torino il 25 febbraio
1S52, di nobile e antica famiglia canavesana.
Addottoratosi in legge nell'lljiiversità di fisa non
esercitò l'avvocatura, ma entrò, per quanto gio-
vanissimo, nella vita pubblica avviandosi per la
strada che gli era additata dalla tradizione fami-
gliare, poiché il bisavo ed il padre furono Sin-
daci di Torino e questi negli anni memorabili
'4S e '49, salendo poscia agli alti gradi della ma-
gistratura. Emilio Pinchia non trascurò le lettere
e alle lettere anzi dovette la prima fama e i
primi onori. Esordi infatti nel giornalismo come
collaboratore della Rivista, che ebbe a' suoi dì
i suoi momenti di celebrità, e come romanziere
con Oriente e Occidente e con Valdiana.
Non sarebbe facile seguire il Pinchia ne' .suoi
passi successivi, poiché ringegno vivace, l'in-
cessante bisogno di commentare, di proporre U
inim'agini e le idee quali presentavansi allo si\i-
rito alacre e pronto, cominciarono ben presto a
esplicarsi in una serie di scritti di vario argo-
mento, rivelanti lutti una visione personale delle
cose. Epperò citiamo, come soccorre la memoria,
i Ricordi di Tunisia, contenenti pagine notevo-
lissime, i saggi /tatti e Casa Savoia, omaggio di
devozione a quella Casa che inquartò sullo scudo
la croce d'Ivrea, da cui il Pinchia deriva i natali,
gli Opuscoli politici ed A-onomici, rivolti ai pro-
blemi più gravi della vita prc-^ente, programma
vero e proprio d'un amico della s<-ii'>'> ..1.1...
114
non dell'ultima ora, poiché studiando la Vita
/iella campagna ne conobbe l'importanza.
In questi opuscoli, come in quel suo Politica
nuova che suscitò molte polemiche, quando ap-
parve — e apparve come
segno e come ammoni-
mento dei nuovi doveri
della democrazia liberale
— è un fondo di sano
ottimismo, una speranza
confidente nei destini della
Patria ; ma il desiderio
inestinguibile del bene e
la lentezza dei governanti
gli suggeriscono a volte la
parola disdegnosa. Questa
sua politica fiiiova non pare
opera del signorile illu-
stratore dei Castelli e dei
poeti canavesani, dell'ele-
gante dicitore, del chiosa-
tore scaltrito, ma sì di un
altro uomo. Di un uomo
che abbia passato i suoi
begli anni negli studi se-
veri dell'economia, nella
ricerca di quanto può dare
allo Stato un assetto più
giusto e più sincero e al
Principato nuova giovi-
nezza, pel quale hanno
pochi segreti le gravi qui-
stioni dei tributi, della ri-
l'orma della 'scuoia. Con-
trasti singolari che ha'nno
rispondenza con la terra,
onde egli proviene, dove
le praterie lucenti e le ombre discrete sotto i noci
e i castagni si avvicendano con la natura sel-
vaggia e claustrale, terra piena di memorie.
dalla legione Tebea a Calvino, da Annibale a
Napoleone.
In politica è un liberale: impaziente di freni
è piuttosto un solitario che uomo di parte o di
partito. Siede alla Camera
dei Deputati fin dal 1890
ed ora intende per la se-
conda volta alle cose della
pubblica istruzione_in qua-
lità di -Sottosegretario di
Stato, impiegando nella
carica insieme con l'espe-
rienza d'un lungo, volon-
tario e disinteressato tiro-
cinio, la forza che gli
deriva dai fervori dell'a-
nimo e dall'integrità della
vita.
E oratore apprezzatis-
simo, perchè anche nelle
questioni più gravi porta
la nota della poesia (i) e
(iella gentilezza, ma si
trova più a suo agio ogni
qualvolta l'argomento lo
porti in alto e lontano dai
luoghi comuni della poli-
tica.
Cosi la sua parola evo-
catrice fu sempre un de-
gno conmiento alle feste
dell'arte e del pensiero e,
in recentissima occasione,
in Arezzo, dove inaugu-
rava le feste del cente-
nario petrarchesco, ebbe
il valore di nobile affer-
mazione della rinnovata fratellanza tra le due
gloriose nazioni latine nel nome del poeta di
Valchiusa e di Arquà.
(i) Ultimi versi "pubblicati il;i
8V piccolo, catta a,»mauo. L
Emilio Pinchia, dei quali di;
» Epiloghi
XVII.
DOMENICO TUMIATI.
Domenico Tumiati è nato a Ferrara il 2 di-
cembre 1874, nell'anno in cui sì celebrava il cen-
tenario della nascita del poeta di Orlando. Fer-
rara è generosa madre di poeti, e il più giovane
e ardente dei suoi figli non smentisce la tra-
dizione. La poesia, lo stile del Tumiati ha la
chiarezza, la musicalità dei
grandi poeti ferraresi : anche
nella sua prosa, il periodo
n«?rvoso e rapido obbedisce
a una musica interna. In un
tempo in cui il verso cani
mina a piccoli passi con qual-
che asma, egli canta, nel
senso più sereno della parola.
I, 'innovazione da lui portata
nella lirica coi celebri melo
loghi, è un'espressione natu
rale del suo temperamento,
che ebbe la fortuna d'incon-
trarsi in due anime fraterne,
quella di '«Gualtiero Tumiati
e del M. Vittore Veneziani.
Da quattro anni i tre valen-
tissimi artisti battono in corsa
tutte le città della penisola,
seguiti dalle loro orchestre e
quintetti, portando il verbo
nielologico, e destando ovun-
que tanto interesse, discus-
sione e entusiasmo. Le ultime
esecuzioni di Napoli e, di Roma, con la Morie
di lìajardo, nello scorso inverno, segnarono il
trionfo di questo nuovo genere d'arte, che già
aveva ottenuto a Corte il ^ilauso augusto di S. M.
la Regina Madre. Dalle Alpi alle Piramidi ormai
non vi è città che non conosca i rnelologhi, i
quali sono del Tumiati l'opera più nota.
Noi ci siamo proposti di rivelare un nuovo lato
di questo poeta così singolare", il lato analitico,
l'osservazione della vita, col volume di novelle
Fumo e Fiamma, {\\ che forma una gemma della
nostra collana. Fumo e Fiamma è il sesto volume
pubblicato dall'Autore. Egli esordi nel 1S95 con
un poema di ballate ^ Iris Floreniina — in cui
spira tutto il profumo di Firenze, dove il Tu-
miati visse per molti anni: seguirono nel 1S97
due altri libri — Musica antica per chitarra — e
— Frale Angelico: — il primo delicatissimo tes-
suto di liriche intime, il secondo, storia di un'a-
nima, quella dell'antico pittore mistico. Il Tu-
miati tacque per alcuni anni, finche nel 1902
lanciò tre nuovi libri : — Dal Maloja a Xatre-
Dame — (Beltrami - Bologna 1
ove raccolse molti suoi scritti
d'arte e di viaggio — Poemi
Lirici — (Zanichelli' che com-
prendono nove poemi, tra i
(|uali i rnelologhi ; e Funw e
Fiamma, originalissima serie
di novelle, di cui una spiritua-
lità acuta e ironica si sprigiona
da persone e da cose. Lo stile
del Tumiati in questo libro,
come negli ultimi poemi Morte
di lìajardo. Flmigranti, Pari-
Sina, viene atteggiandosi al
dramma, e ci prepara a un
nuovo periodo che egli ha
iniziato "or ora col poema
drammatico Ramon Escydc,
rappresentato la prima* volta
al teatro Duse a Ttologna nel
maggio, scorso. L' elemento
drammatico è già visibile in
Fumo e Fiamma, in ispecie
nelle novelle Contro corrente
e Krajova, veramente uniche
nella nostra letteratura.
"Di Fumo e Fiamma si è largamente occupata
tutta la stampa italiana, e sèmpre fu notata l'e-
strema personalità di queste novelle,» che non
possono ricondursi a -ne.ssun altro tipo preesi-
stente, ma sono uno sguardo nuovo gettato sullj
vita. Le figure che ne emergono, nella loro va-
rietà bizzarra, riuniscono in sé la lontananza del
sogno e la precisione della vita : ognuna di esse
è un tipo tracciato in poche linee, per un mi-
racolo dello stile. L'edizione di Fumo e Fiamma
è stata da noi particolarmente curata, e il volumO
rispecchia l'eleganza rartìnata del contenuto. Di
esso diamo un saggio a p.ig. 17, con la novella
« Sciopero in salotto ».
ali ; Un volume di p-igs. 4""
XVIII.
GIULIA DAUDET.
Raccontasi che Alfonso Daudet, la cui salute
cagionevole era stata messa a troppo dura prova
nelle lunghe veglie, vere orgie di lavoro richieste
dalla composizione dei Rois cn exit, fosse co-
stretto a lasciare a mezzo il suo romanzo ed a
mettersi a letto e che,
aggravandosi sempre
più il suo malessere fino
a far temere prossima
una catastrofe, egli,
torturato da inesprimi-
bili softerenze fìsiche e
morali, gridasse alla
moglie: « Finis litoti
bouquin! »
T «^ 1 e commovente
aneddoto, che dimostra
ad un tempo la fiducia
del grande romanziere
nella rara intelligenza
della sua fida compagna
e la paterna tenerezza
per i suoi libri, (juesti
dolci figli dell'anima,
rivelò agli amici di casa
Daudet, i qualidel resto
già da parecchio tempo
r avevano indovinata,
la misteriosa collabo-
razione della moglie
all' opera del marito,
collaborazione da costui
esplicitamente confes-
sata nella dedica del
Nabab, che rimpiazza-
va, in un ristretto nu-
mero di copie per gli
intimi, quellasemplicis-
sima — A ina chère
fcmnie — apposta sulla prima pagina delle copie
destinate al pubblicb.
Giulia Daudet però non si è accontentata di
ascosamente collaborare all'opera del marito, ma
ha anche pubblicato col suo solo nome, articoli.
versi, impressioni, bozzetti, raccolti poi in varii
volumi dagli editori Charavay, Charpentier e
Lemerre, che'tutti rivelano una delicata ed ori-
ginale tempra d'artista, che tutti hanno uno squi-
sito ed infalsificabile accento di femminilità soave.
Ma il libro di Giulia
Daudet, che si può dire
sia un piccolo capolavo-
ro, è « L'infanzia di una
parigina » (i) seguito
da « Bimbi e niarhme »
cosi egregiamente e fi-
nemente tradotto da
Vittorio Pica; nel cui
libro ella ha evocato i
suoi ricordi d'infanzia
ed ha saputo serbarne,
non ostante l'intensità,
l'adorabile ingenuità e
quella particolare fre-
schezza che posseggono
le prime impressioni di
una creatura da poco
venuta al mondo, la
quale ignora tutto e
di tutto vuole rendersi
Conto, ma ha dato loro
un artistico accento di
sincerità, presentandole
avvolte di nebbia, pre-
sentandole nella natu-
rale ed abbastanza di-
sordinata alternativa di
luce e di ombra, giac-
ché, siccome ella mede-
sima giustamente osser-
va « les toutes jeunes
mémoires, dans leurs
confus, ont des grands
éclairs entourés denuit, des apparitions de sou-
venirs bien plus que des souvenirsréels ».
Le feste, le passeggiate, le bambole, la scar-
lattina, le prime letture, la villeggiatura, un ballo
di fanciulli, i granai, la prima comunione, o
meglio, per serbare il poetico titolo della gentile
scrittrice, « ciò che si vede attraverso un velo di
mussolina bianca » : questi ed alcuni altri sono i
tenui argomenti dei se-
dici capitoli del libro; ma
come si può ridire l'efli-
cacia di evocazione, la
delicatezza di tocco, l'o-
riginalità psicologica, la
eccezionale malìa d'arte,
che posseggono tali pa-
gine?
In « Bimbi e mamme »
poi, che nello stesso vo-
lume fa seguito a « L'in-
fanzia di una parigina »*
è una geniale serie di
capìtoli che ogni madre
dovrebbe leggere e ri-
leggere; ne» quali sono
analizzate, con impareg-
giabile delicatezza e con
minuziosa chiaroveggente
penetrazione d' indagini,
le successive e deliziose
emozioni della maternità,
dalla prima presentazione
del neonato colle carni ro-
see e tenerelle immerse
in un bagno di tiepida
e limpida, acqua, a quelle
che sono le altre tappe
•dell'infanzia; i primi passi
incerti e le prime cadute»
"7
i giochi, i primi scarabocchi, i primi disegni, le
prime lezioni di scrittura e di lettura e cosi via
via.
Bel libro, eg^ande anima
Giulia Uaudet ! '
E di modestia rara !
Che, ispirata forse da
quello stesso spiritual pu-
dore che le ha fatto sem-
pre nascondere la sua
parte di collaborazione
all'opera gloriosa del ma-
rito, fa di tutto per te-
nersi in disparte, per far
dimenticare la scrittrice ;
ed ella, che è piuttosto
sobria discorritrice, si en-
tusiasma e diventa elo-
quente soltanto quando
parla dei suoi figli, che
idolatra.
E in tal modo che può
affermarsi che la spiccata
e davvero preziosa dote
'di Giulia Daudet, come
persona e come scrit-
trice, sia di saper ser-
bare intatto quel sottile,
profondo, adorabile pro-
fumo di muliebrità intel-
lettuale, che è cosi raro
ad incontrarsi, e che pos-
siede un cosi invincibile
fascino. •
(l) L'Infattzia d' una parigina - Bimbi e Mamme - di Giulia
Daudet - Traduzione dal francese di Vittorio Pica, preceduta
da un saggio critico. Un volume di pagine 200, in 16O piccolo
oblungo, L. 2.00. (Vedere i*saggi « Le bambolo» e ,(CiÒ4
si vede attraverso un velo di mussolina bianca » a pag.
XX.
UGO DE AMICIS.
Ugo De Amìcis, figlio def grande Edmondo,
è giovanissimo, ardente e battagliero. Indivi-
dualista convinto, impenitente esaltatore e ado-
ratore dell'io, anzi, egotista, come scrive lui,
mal soffre l'avanzarsi ìncomposto ed incosciente
dì tutta una turba equivoca che, in nome d'un
forse ipotetico avvenire economico, .sembra im-
porsi, insofferente di qualsiasi giogo, con una
novella tirannia, tanto più crudele «n quanto
che si presenta anonimamente collettiva.
Strano contrasto questo, delle sue opinioni poli-
tico-sociali, con quelle ben note del suo grande
Genitore! Tanto più notevole, in quanto che è
regela pecorile che sian sempre i figli a professar
principi! politici cosidetti avanzati!
E non è da dirsi che in Ugo De Amicis non
iiS
sia animo generoso ; a disingannarci basterebbe la
lettura del suo « Infischiat^dosi del mondo » (iT,
duro e superbo libro che è tutto un inno a\
forte e battagliero individualismo.
Questo suo volume esce
dopo altri due suoi fervidi
lavori « Amori e birichi-
nate » (2) ^ « L'anormalità
dell'altruismo ». Incomincia
bisbigliando appena per scan-,
sare gli anatemi del gran
pubblico^ e della gente per
bene, continua esitando la
bellezza e la forza in ogni
loro manifestazione — non
ultima la ben temprata fibra
dell'audace escursionista — e
finisce inneggiando all'amore
« sola ragione di vivere » per
un uomo « non pecora im-
brancata fra le pecore » e beve
a piena anima la poesia della
natura, e sferza del suo trion-*
fante e squillante amore i
mille farisei e le infinite « teste
pidocchine che van gonfiando
bolle di sapone ».
E l'essenza del libro è in
queste ultime righe che lo
suggellano :'
« Mi sentivo forte contro ogni evento, contro
ogni dolore. Alcuna preoccupazione del mondo
meschino, da me tanto lontano, più non mi toc-
cava. Ero per sempre divisto da lui... Ero forte,
ero amato, ero giusto. Ero felice quanto lo può
essere un uomo . . .
« Una vampata più calda di
felicità m'avvolse, e dissi in
francese alla brava guida val-
dostana quello che io pensavo.
«Ange ascoltò compiacendo-
si dellamiagioia,e, dopo esser
rimasto un momento in silenzio
per meditare il mio discorso,
sorrise : — Mais voyoTis, mon-
siciir, est-ce que lout le reste ne
compte plus rien poiir vous?
« Io gli risposi: — Je lu'eii
fiche ...»
Ugo De Amicis ha comin-
ciato benone. Forse gli nuoce,
in principio, l'esser figlio di
tanto padre, onde il lettore, ab-
barbagliato dai ricordi e da una
antica invincibiletenerezza, di-
scerne a stento e male, ed una
pacata imparzialità gli si affac-
cia quasi come un'infedeltà;
ma egli saprà vincere l'osta-
colo, il quale, d'altronde, può
anche avere il suo lato buono ;
e faràegualnientelasuastrada:
è forte, sagace, peiseverante, ed orj è soltanto
alle sue primissime armi !
\ÀJkjQ^ JU-^ ,^,
(ij Infischiandosi cUl mondo di Ugo De Auicis. Un volume in 16*^ piccolo oblungo, lire 1,50. f\^cdere saggio squisito dal titolo
U Amore » a«pag. 72).
(2) Amori e birichinate di ^^go De Amicis — lire 2,00.
XXI.
LUIGI DI SAN GIUSTO.
La forte scrittrice, colta e valorosa, è nata a
Trieste, ma giovanissima, bimba quasi, si è sta-
bilita a «Torino, dove in breve tempo il suo in-
gegno e i suoi romanzi, vere opere d'arte, taluni,
le hanno creato la possente aureola, in cui oggi,
la soave, mite bellezza, splende nel doppio fa-
scino del talento e della grazia.
I romanzi di Luigi di San Giusto, che tutto il
mondo intellettuale conosce, sono certo fra le più
alte opere femminili che vanti l'Italia.
Nennella, La l'ita nuova, L'Errore, La Maestra
bella, I bimbi. Il Reduce, La conquista di Man-
temerlo (i), sono *i fiori smagliaflti sbocciati da
questo meraviglioso cervello di donna, che sotto
il mite splendore dei capelli biondi, ha forze e
virilità poderose.
La vita di Luigi di San Giusto è tutta una vita
di lavoro, di pensiero, di famiglia e di bontà.
Creatura perfetta nel cuore come nella mente,
essa illumina come un raggio benedetto la .sua
casa, i suoi tìgli, che sono tutta la sua tenerezza
e tutta la gioia e la forza dell'anima sua.
E per chi ha il bene dolcissimo di conoscere nel-
l'intimità questa scrittrice e questa mamma, più
soave e più grande appare la sua figura, e il cuore
si inchina entusiasta e devoto a questo valore, a
questa forz'a, a questa b9ntà ; mentre la dolce
signora percorre quieta la
sua via, quasi inconscia .
della lucQ che spgna il suo
passaggio.
L'opera letteraria di
Luigi di San Giusto è varia
e complessa. Ella è autrice
di molti romanzi : Una
vecchia storia, fu pubbli-
cata in appendice della
« Gazzetta Piemontese ».
— Due donne e // segreto
di Donna Graziella furono
stampate sulla « Gazzetta
del Popolo », entrambi ' jfc-
questi romanzi avendo
vinto il 1° e il 2° premio
in un Concorso bandito da
quel giornale.
Ma allora la San Giusto
non aveva vent'anni ! E la
sua arte era ancora piut-
tosto d'impressione, di sen-
timento, d'intuizione e di
ricordo, che non di verità.
Dopo fece assai meglio.
Xennella fece piangere
molte anime femminee :
àfiVC Errore disse la Serao
che un simile libro, in tempi meno anemici.
avrebbe fatto chiasso.
Nei Bimbi l'autrice spese un ricco tesoro di
osservazioni e di affetti perchè ella ama tanto i
bimbi. Ah, che peccato, pensa ella, che non
restino sempre bimbi ! Quello che vien poi è così
triste e così brutto!
La Maestra bella, la Vita nuova, sono altri due
romanzi lodati dai critici, ma che non contenta-
rono abbastanza l'autrice « Non è ancora questo » .
diceva ella.
Ma dove lasciamo l h z-iiifo .' Un libro cosi dolo-
roso e cosi vero ! La prima parte di esso è spe-
119
cialmente un quadro di dolore, di miseria, di verità
vista e vissuta !
Fede è un dolce e melanconico idìllio, scritto
quasi per le giovanette; e questa Conquista di Mon-
teiitcrbo (uè un intermezzo giocoso in un'opera
dolorosa e faticosa.
Anche dei versi scrive questa donna, che sente
l'anima vibrare così mol-
teplicemente. E anche, in-
namorata com'è delle let-
terature straniere, molto
ha tradotto in prosa ed
in versi, specialmente dal
tedesco, chea lei triestina,
è lingua quasi materna.
Cosi il Goethe, il Pfungst,
il Mominsen ebbero tra-
duzioni vive e lodate ;
così questa scrittrice ar-
guta, fine e dotta effonde
la sua anima ardente, ap-
passionata e inquieta in
cento fonti di lavoro, in
-•/■■ diverse forme di vita.
Ma il Reduce, V ultimo
libro della San Giusto,
libro materiato di lagrime
di angoscia, palpitante di
un tormento senza fine
^J _ è quello che meglio rispec
=^f '*•" chia la dolorosa anima
che si cela sotto un sor-
riso !
Anche il teatro fu ten-
tato felicemente da questa
nostra così cara, così affa-
scinante scrittrice. Ella
vinse un concorso dram-
matico, con una commedia
// Bimbo, che fu rappre-
sentata a Torino dalla compagnia De Sanctis.
L'anno scorso nelle appendici della magna
« Tribuna » compar\"e un romanzo storico dal
suggestivo titolo Prima-vera italica, e suscitò una
grande ammirazione.
Ora sappiamo, noi colleghi e amici suoi, che
la San Giusto prepara per lo stesso giornale un
altro grande romanzo, d' argomento interessan-
tissimo ; e poi, per suo conto, lavora intorno a
un volume nel quale vuol mettere, dice ella,
tutta la sua anima di artista e di pensatrice.
Bella, dolce e grande anima!
Questa fiera e tenera natura, che vede nel-
^•^^/
#
l'arte qualcosa di più alto che un diletto dello
spirito, o un mezzo per arrivare alla gloria e
alla fortuna (gloria e fortuna che già ampie
avrebbe mietuto altrove che in Italialj, certo ci pre-
para un'opera poderosa, densa di pensiero sociale,
pregna dell'umano dolore. Ella che freme al con-
spetto di tutte le miserie, di tutte le ingiustizie,
di tutti i mali ! Ella che disprezza ogni ipocrisia,
ogni menzogna, e che anela a strappare a questa
società borghese il mansueto manto di cui copre
i suoi vizi, ella, debole donna e pure forte come
un arcangelo di verità, ci dirà una parola, una
parola di fuoco, di bellezza, di vita !
(1/ La Conguihta di Montemerlo - Storia Giocosa di
Luigi di S. Giusta - L. 3. - {Siccome ci è stato impossibile
riportar qui un brano qualunque di questo nuovo romanzo -
6. voi. della Biblioteca Gaja - che avrebbe soltanto dato una
pallida idea della recentissima nuova opera, pubblichiamo in-
vece, a pag. 25, un originalissimo racconto: « La morte di
Maurantonio » cortesemente favoritoci dalla esimia Autrice).
XXII.
ARTURO FOA.
È nato a Cuneo nel 1877 e s'è laureato a Torino
in filosofia e lettere nfel 1898. Il suo primo libro
« L'amore in Ugo Foscolo » rilevò un'intelli-
genza profonda ed ardita, desti-
nata a crearsi, per il suo merito
intrinseco, un nucleo compatto
d'ammiratori e di seguaci.
I maestri della critica italiana
e forestiera affermarono che quel-
l'opera segnava l'inizio della nuo-
va critica, dotta nell'analisi, elo-
quente e splendida nella sintesi,
e il successo letterario fu pari a
quello commerciale. L'eco dell'u-
nanime lode non era cessato che
il Foà uscì con un altro volume,
non più di critica ma di novelle :
« I nostri cuori » (1). Fra tutti i
libri dei giovani scrittori quel
libro balzò su robusto e finissimo
insieme, tutto vibrante di pas-
sione, sfavillante di luce, multi-
fragrante dei mille profumi della
natura. Innumerevoli lettori bev-
vero a quelle pagine, come a una
ricca fonte, pensieri ed emozioni
intense e delicate; e Arturo Graf
si rese interprete della lode universale in questo
giudizio: « Visione quando acuta quando gagliarda
delle cose, sentimento multiforme, trasformabile,
caldo, sottile, generoso. Sorrisi e lagrime. Un
pensar vario, agile, fremebondo, dietro la luce
del vero e il fantasma della felicità. Si afferma
sempre più il poeta e lo scrittore. In alcune
pagine appare l'artista poderoso. » Poeta e scrit-
tore. Come ben disse il Graf; e,
quasi a confermare questo giu-
dizio, il Foà sorse a cantare in un
altro volume « Per un amore » (2)
una passione fatale per una bel-
lissima ignota. Tre canzoni di
rìgido schema petrarchesco, ma
fatte piene di sangue dalle febbri
d'un cuore moderno che s'abban-
dona con voluttà al dolore, ma
sa ritrarsi per mutarlo in una
forza della sua vita. Ardori, spa-
simi, pianti, memorie dolci e
propositi virili; voci violenti e
voci intensamente umane; e tutto
questo chiuso in una forma lo-
gica e serrata, che evita le sca-
pigliate scompostezze, e anche
nella sobrietà fa rendere la con-
vulsa concitazione interiore, il
battagliar degli spiriti discordi
in uno scabro rilievo. Dissero i
critici giustamente che questi
versi fanno di Arturo Foà un per-
fetto artista; anzi, uno dei più perfetti che abbia
oggi la poesia italiana. Ma l'operosità del Foà non
s'è arrestata a queste forme d'arte. Anche il teatro
ha affascinato il suo ingegno. Ed egli ha risposto
all'invito con la « Figlia » commedia in tre atti.
in cui studia con tesi ardita gli odierni rapporti
fra i cristiani e i semiti e le molteplici necessità
che spingono questi a fondersi con quelli. Rap-
presentata al teatro Nazionale di Roma nel Marzo
di quest'anno, segnò un grande successo. 11 pub-
blico gli decretò il trionfo, e la critica lo con-
fermò giudicando la « Figlia » uno splendido
lavoro. Particolare caratteristico di Arturo Foà :
odia le conferenze, ma fu ed è applaudìtìssimo
conferenziere.
(i) i nostri e
(3) Ptr un :
- Novelle e bozzetti dì Arturo Foà, lire 2,00.
— Canzoni — lire 1,00. — (Di queste
splendide
saggio a pag, 78,
[ Tempo sarà che giungami novella) >*.
XXIII.
ONORATO FAVA.
' Napoli, la gaia, l'incantevole città dei canti e
dei sogni, ha avuto in Onorato Fava il suo pit-
tore più sincero e appassionato. Dipinse con la
penna, è vero, ma non gli mancarono j colori
più caldi, l'intonazione più sicura, che rivelano
l'artista. E a giudizio degli stessi napoletani più
colti e insieme più gelosi di
quanto è seducente e carat-
teristico nella loro Napoli,
Onorato Fava nella sua K/fe
Napoletana, più vivacemente
che altri non abbia mai fatto,
riproduce costumi, abitu-
dini, sentimenti e perfino i
pregiudizii del popolo napo-
letano. Non c'è però da
meravigliarsi che le gustose
e genialissime novelle ab-
biano avuto tosto l'onore di
una traduzione inglese per
cura di miss Craig, e ab-
biano contribuito a far cre-
dere l'autore figlio autentico
di Napoli. È una credenza
che al Fava rende il mas-
simo onore, a cui egli po-
tesse ambire come scrittore ;
egli nacque invece a Collobiano in l'icmonte, il
7 luglio 1S59. Napoli fu la città da lui prediletta,
che Io affascinò ; ed egli l'ama studiandola, stu-
diando soprattutto l'indole, lo spirito del suo
popolo, di cui ne' suoi scritti ci porta l'eco vibrata
di quanto l'agita, lo commuove, Io esalta. É una
delle peculiari e più spiccate qualità del tempe-
ramento artistico del Fava l'osservazione dili-
gente, acuta dell'ambiente e dei caratteri. V'ita
Napoletana ne è un saggio
delicato, al quale fa riscon-
tro Vita nostra, che la Se-
rao giudica una delle più
importanti raccolte di no-
velle degli ultimi tempi, in
cui una pagina sola — scrive
il Rovetta — basta a creare,
e scolpire un carattere indi-
menticabile. .\nche \'ita no-
stra ebbe una traduzione in
olandese del prof. Warren di
Pordrecht.
11 Fava non aspira che ad
essere buon novelliere; ed è
tra i migliori ; ma l'acco-
glienza ch'ebbe i! suo Rina-
scitm'nto prova eh' egli è
anche romanziere coscien-
zioso, essenzialmente mo-
derno nella sceneggiatura e
nello studio psicologico. Esula da lui ogni studio
di seguire alcuna scuola ; ogni suo lavoro reca
l'impronta originale del suo carattere, e da esso
spira una gentilezza di pensiero e di sentimento
da giustificare in tutto le simpatie che il Fava
meritò anche oltr'alpe.
Non è nostro compito di seguire il Fava in
tutti i suoi lavori, che segnano un crescente
successo, come quello ottenuto dalla Discesa
cC Annibale, Contro i più, e da altri; a noi im-
porta rilevare più particolarmente un altro aspetto
del suo talento d'artista, quello che si rivela ne'
suoi lavori dedicati alla letteratura infantile. La
stessa attitudine spiccata del Fava a studiare
i fenomeni della vita famigliare, e rilevarne con
finezza i contorni netti, precisi, nonché quella
di addentrarsi nell'esame psicologico e rendere
i momenti più interessanti e decisivi. Io portava
inevitabilmente a studiare anche il piccolo mondo
dei fanciulli, la loro vita interessante e curiosa.
E nel nuovo arringo il Fava si presentò con
Graneìlin di pepe, che fu presto tradotto in varie
lingue, e lo indusse a scrivere altri volumi che
inglesi, tedeschi, spagnuoli e francesi gustarono
tradotti, e procurarono all'autore, il nome di
« Andersen del Mezzogiorno », parecchie medaglie
alle Esposizioni di Edimburgo, Parigi, Milano, e
quella di benemerito della P. I., nonché il plauso
àAV Educational Congress di Chicago.
Dopo il Paese delle Stelle, Serate invernagli,
Treszadoro, Bliz e Friz, Al paese dei giocattoli.
Francolino, del quale riproduciamo qui poche
pagine, ci presenta un modello dei pochi romanzi
fortunati pei fanciulli. La critica non ha esitato
a porlo accanto al Cuore, del De Amicis e a
riputarlo più pratico negli intenti educativi quanto
gli aurei libri dello Smiles.
Scorrendo la schiera ormai numerosa e varia
dei libri pubblicati dal Fava, si potrebbe credere
ch'egli sia interamente dedicato alla letteratura,
e che faccia il letterato di professione. Non po-
trebbe darsi un giudizio più fallace di questo. Il
letterato lo fa per passione e la letteratura ge-
niale é un gradito intermezzo all'insegnamento è
all'ufficio di segretario che tiene presse la Dire-
zione generale del Banco di Napoli. I suoi lavori
letterarii sono pensati e scritti nei giorni festivi,
nei quali egli ha la mente più tranquilla e serena,
non distratta da alcuna altra cura. Si può dire
che i libri sono i suoi figliuoli, poiché non n'ebbe
dalla sua colta e gentile signora Giulia Masucci,
figlia del Procuratore generale alla Suprema Corte
di Cassazione di Napoli. A quei figliuoli egli pensa
col cuore e col cuore li scrive: vi mette una tene-
rezza tutta paterna, e non v'è pagina che non in-
tuisca e renda con isquisita verità lo studio interiore
dei nostri fanciulli e non ne tradisca le segrete ten-
denze, le voglie, i capricci, le tenerezze, i dolori.
Egli trova ancora tempo (}i collaborare a taluni^
delle prindpaliiriviste d'Italia, come la Nuova An-
tologia, f Illustrazione italiana, ecc. V Enciclopedia
ted-^sca del Kùrschner, di Berlino e il Magyar Sza-
lon di Budapest,' la Revue encyclopcdique di Parigi
il Dictionnaire des ccrivains, del De Gubernatis,
V Enciclopedia Hoepli, hanno già dato rilievo a que-
sta simpatica figura di romanziere e di educatore.
Or ora é anche uscito un suo splendido volume
di racconti che sono, si può dire, veri romanzi.
E' intitolato « La Rinunzia » 1 1).
(il /.a Riiiuiizia (L'Attesa
La Cal.lndrai. Splendido volu
La Sorgente ■ La Villa
di oltre 350 pagine- lire 3,»
(Di Onorato Fava di:
pag. 79).
XXVI.
CECCARDO ROCCATAGLIATA-CECCARDI.
Nato nel 1872 in Genova, crebbe i suoi primi
anni in Ortonovo, borgo ligure sul confine del
Carrarese. Compì liceo a Massa, e studiò legge
all'Università di Genova. Già la famiglia materna
avea annoverato nei secoli xvii e xvjii poeti
e umanisti : (di cui si trovano memorie negli
archivi ducali di Massa) primo tra essi un Pier
Angelo che s'ebbe amicizia col Fantoni.
E da sua madre, gentildonna
della più antica nobiltà luni- .
giana, e quel che più importa,
chiara conoscitrice e ammira-
trice del Leopardi, di Vittor
Hugo, e dello Shelley, il gio-
vinetto Ceccardo apprese
amore e dettami di poesia.
Nel 1S92 la ruina si abbatte
sulla sua vecchia casa ; gli
mori di schianto Ja madre e
gli altri suoi furon dispersi
nel mondo. Gli fu forza, allora,
abbandonar l' Università, e ap-
prestarsi a mangiare il gramo
pane delle lettere; come Bau-
delaire e Maupassant fu recen-
sionista giudiziario; poi re-
dattore di giornali politici,
collaboratore di riviste lette-
rarie, tra cui la « Vita mo-
derna » diretta da Gustavo
Macchi, e la « Tavola ro-
tonda » ; collaboratore poe-
tico di 4-iviste politiche come
Videa liherate... e viandante,
secondo la fortuna. ,
A quel tempo risale la sua amicizia fraterna con
Plinio Nomellini, il giovine e glorioso pittore delle
« Notti di luna » e degli « Autunni » ; e più di
una battaglia essi combatterono insieme — in Ge-
nova — per la libertà e l'idealità dell'Arte. E
forse allora il Ceccardi cominciò a procacciarsi la
leggenda di Gorki italico, alla quale accennava,
or son due anni, Luciano Zùccoli, trattando della
di lui opera poetica nel Merciirc de France, ove
conchiudeva con un breve commento signitica-
tivo« il est ... un poète de premier ordre ».
Nel 1895 pubblicò un piccolo libro di versi —
il libro dei Eranimenti (Milano, Aliprandi), che
gli meritò le lodi del Marzocco e del Fanfulla
delia Dotiìcnica, e gli incoraggiamenti del Mar-
^lV//7j /^//A^ ''^/Uli../.- lc(C/^ ì'k.
radi e deh Pascoli. Intanto continuò a scrivere in
giornali e riviste: diresse egli stesso un periodico
settimanale (1896-97) di provincia, lo Svegliarino
di Carrara, al quale aggiunse per Undici numeri
un supplemento letterario, — oggi curiosità let-
teraria assai rara; — supplemento in cui collabo-
rarono il Pascoli, Io Zùccoli, il Contri, l'Orvieto,
il Novaro e il Garoglio, ecc.; e per cui il Cec-
cardi contribuì validamente
all'inchiesta aperta dal Mar-
zocco « sulle condizioni lette-
rarie delle città italiane ».
Nel 189S ritorna a Genova.
D'animo ardente, irrequieto,
ricercatore di libertà e di ve-
rità, non ha pace.
Varie passioni tragiche lo
avvinghiano: Ija tre duelli e
attenta a sé medesimo con un
colpo di,pistola che gli squar-
cia un braccio.
Nel 99 va a Roma, ma la
miseria lo caccia dalla Città
eterna. È a Milano, ma anche
colà per poco tempo. Ritorna
a Roma, ove ammala di tifo;
morente è portato dalla pietà
di alcuni amici a SantoSpirito.
L'opera sua di <]uegli anni,
poesie, novelle, critiche d'arte,
son dispersesu giornali politici
e in oscuri fogli letterari...
Nel 1901 la tragica ;norte
di due bimbi a Parigi gli offre
motivo di un poema, di una
dolcezza e di una ingenuità meravigliosa, pubbli-
cato, poi, a Genova in edizione oggi esaurita.
Intanto l'amicizia e. la stima dei fratelli Novaro
a Oneglia gli permettono di collaborare assidua-
mente nella « Riviera Ligure v, un'imitazione
geniale dei Magazincs inglesi. In breve le prose
e i frammenti poetici che pubblica su quella
Rivista richiamano l'attenzione degli intelligenti,
mentre lo scandalo artistico, che egli con nobi-
lissimo gesto solleva a Genova Kebbraio 1903.
contro la contaminazione dei quadri di Pal.izzo
Rosso, gli procaccia bensì l'urlo di tutta una
greggia di piccoli, e la maledizione tonante degli
Accademici, ma piire il saluto e l'auspicio dei
mìi;liori artisti e critici d' arte d' It.ilia e di
126
Francia: così il Ceccardi si guada,a;na, d'un balzo,
nella critica d'arte se non l'ufficio rimunerativo,
certo il bel nome che con lungo studio ed amore
s'era già meritato.
Ora egli ha pubblicato « Il viandante » (i),
raccolta di pochi sonetti, una dozzina, dai quali
il nostro bravo poeta ligure fa precedere il vo-
lume che forse vedrà la luce fra mesi. È un saggio
veramente prezioso di detto volume « Sonetti e
poemi » che conterrà l'opera poetica sua daJ 1897
al 1904, con illustrazioni del Nomellini e del De
Albertis. Di questo Viandante noi riportiamo
quattro splendidi sonetti a pag. 86.
etti di Ceccardo Rocc
diata-Ceccardi. Cn volumetto <
opertiija del De Albertis - L.
XXVII.
GIOVANNI DIOTALLEVI.
Nato in Roma — educato in un ambiente
claustrale — scacciatone, giovinetto, per sospetto
di eccessivo liberalismo; passato con fervore dagli
studi del cristianesimo al classicismo pagano,
dalle catacombe al foro — feqp da principio una
letteratura speculativa e trascenden-
tale, finché, riescito a liberarsi com-
pletamente deH'uomo anteriore so-
vrapposto all'indple di lui, non si
gettò con foga nella vha, spirito mo-
derno, mente avanzata §d audace,
uomo soprattutto, senza pastoie,
senza le diminuzioni convenzionali
che impone la società.
Massimo poeta e più adeguato ai
tempi è per lui Walt Whitman.
La sua caratteristica più spiccata
è dunque un senso alacre della vita,
una cognizione indefettibile della
forza e della dolcezza che possono
venirci soltanto dalle realtà mate-
riali e morali le più avanzate.
In afrte egli segue dunque le forine
semplicissime — che gli sembrano
il classicismo definitivo — delle quali
si è impadronito con lungo e continuo sforzo,
— e quanto alla sostanza, ripudiato, senza
disprezzo, quasi tutto il passato, non ammette
che vi sia più arte possibile all'infuori della
sincerità assoluta, della espressione immediata e
genuina dei sentimenti e delle sensazioni, non
più quali giungono all'espressione verbale a tra-
verso il costume, l'abitudine, la coazione, ma
quali vibrano elfettìvamente o divampano nei
sensi, nei cervelli, nei cuori.
In politica oscilla il Diotallevi fra' la tirannide
e l'anarchia, le due forme estreme di società che
si toccano e che, sole, si giustificano, in inverso
modo, nei rapporti della nativra umana.
Egli ha già pubblicato un grande romanzo « Su
le rovine del mondo » del genere che, secondo la
visione dell' A., dovrà trionfare su gli altri, com-
ponendo le forme più elette dell'arte con la verità
della vita interiore: romanzo che fu largamente
amn>irato.
Prima di questo egli dette alle
stampe un altro breve romanzo idea-
lista intitolato « Senza ideale », che
, fu pure molto godiito da coloro che
più si avvicinano a un concetto spi-
rituale dell'esistenza. E da poco più
di un anno si diffusero le sue « No-
velle del dolore », un volume che
venne giudicato, in molte recensioni,
come uno fra i più suggestivi e me-
glio costruiti della novellistica mo-
derna. La novella del Diotallevi è
la concenti^zione di un romanzo a
forti chiaroscuri e scorci potenti.
È inoltre dell'A. un volume di
versi « La spiritual primavera», che
fu pubblicato tre anni or sono in edi-
zione eleganti.ssima : liriche in parte
giovanili, di una gagliarda aspira-
• zione e di un continuo spunto sug-
gestivo; cosi che si può dire che risentano di due
grandi, per quanto diverse influenze, Shelley e
Mallarmé.
Adesso poi il Diotallevi sta componendo cinque
« Laudi » della vita, della forza, del dolore, del-
l'amore e della morte, che egli viene pubblicando
separatamente su riviste letterarie e che riunirà
poi in un volume de « Le cinque laudi >• : poemetti
di grande evidenza ed originalità, che hanno
rilevato veramente una individualità di poeta;
la parola di cui forse ormai si era troppo abu-
sato !
Anche pubblicherà egli nel venturo anno un
volume di filosofia : « Saggio critico di filosofia
sociale ». Ed infine sta per dare al teatro tre
^Vh
suoi drammi : « I sopravvissuti », « L'equivoco
della virtù » e « La necessità di vivere ».
Vorremmo dar un saggio di un romanzo- ori-
ginale e birichino — genere che il Dìotallevi
aveva già appena accennato , felicissimamente,
in qualche sua novella — ; ma preferiamo invece
pubblicare, di questo giovane scrittore, una no-
li) Peccati di dnniia di Giov.TTmi Diol.ille
127
velleità graziosissima intitolata « Senza scarpe »
a pag. ,87. Il romanzo che avrà per titolo « Pec-
cati di donna; 11) », il poeta lo ha scritto, per
espressa commissione della nostra Casa, come
inizio di una serie di 'lavori identici destinala
ad avere, senza dubbio, il più grande successo.
voi. dell;i •• Ii.l.li.
mm^m^m^m^^^'^^^^'^^m^^^mmwm^^^
XXVI li.
P U e K.
È il vispo spirito che erra
di flotte e tiene allegro Ghe-
rone e gioca a Titania dei tiri
birboni? Non può quindi man-
care di spirito. E uno spirito .
lirico e satirico, benché al-
l'apparenza abbia l'aspetto di
un uomo qualunque. Giovane
ancora per qualcheflnno.Fece
i soliti studi letterari coi solito
buon successo e cominciò a
collaborare ai soliti giornaletti
e pubblicò l'immancabile vo-
lumetto di versi sentimentali.
Sazio di cercare sé stesso nei
libri altrui, pensò di scriverne
esso stesso a propria imagine
e simiglianza. II. mondo Io in-
teressa come una tragedia
comica, tragica nella materia
e comica nella forma. Ama
pochissimo sé stesso e quindi
evangelicamente pochissimo il
jjrossimo. Preferisce la donna
all' uomo, il fanciullo alla
donna, un gatto a un fan-
ciullo, una rosa ad un gatto,
una stella a una rosa. Si com-
piace dei libri che nessuno
legge perchè danno essi soli
la coltura rara e raffinata. Pre-
dilige_ tra i romanzi quelli di
Montepino e di Ponsone del
Terraglio perchè al loro con-
fronto si sente esaltato. È quasi
convinto coi V'eda che il mon-
do é un'apparenza e con Ca-
mille Mellusand die la realtà
non dift'erisce dal sogno. S :
128
credesse al libero arbitrio prenderebbe per diret-
tore spirituale V Imitazione. Suo sogno : essere un
principe (delle fiabe, ben inteso) o un contadino
(cioè un corpo senz' anima). Ha una vivissima
simpatia per Tristano-Norma, lo stile Luigi XVI,
la cioccolata, l'estate, il libro dei salmi, l'acqua
e la novella d'inverno. È occupatissimo a diven-
tare un letterato. Per questo autunno ha pronto
// casto Giuseppe, ove dolcemente si beffa la me-
lanconia degli amori extra-coniugali — e // Ta-
lamo ove si deride il medesimo. Non è sprovve-
duto di novelle, commedie ed altro consimile
materiale letterario indispensabile per creare e
dare vita a una persona letteraria. Intanto come
saggio pubblica Niente (i). È il sermone d'un
laico. Invece di fulminare la corruzione del mondo,
Puck ne tenta la caricatura. Il motto della pre-
diletta Imitazione ne è la giustificazione : Omnie
terrena... ut stercora. — Del resto toccherà al let-
tore (se ci sarà) definire la significanza del lavoro.
(r) Puck - Niente
Gaja. Di questo
Romanzo, L. S. IX voi. della Biblioteca
Niente » del misterioso Puck,
[lamo un saggio a pag.
lido della Quaglia ».
t il frammento intitolato « Nel
XXIX.
MASSIMO BONTEMPELLI.
Giovanissimo, è venuto per ultimo ad aggiun-
gersi alla schiera dei poeti d'Jtalia, ma con tanto
sicura forza d'originalità sjncera e d'eleganza,
che il sup libro recentissimo
delle « Egloghe » occupa
senz'altro, a detta di critiai
insigni che estesamente ne
scrissero, un posto spiccata-
mente significativo nella più
nuova produzione.
Massimo Bontempelli è nato
a Como il 12 maggio 1S7S.
Ingegno sveglio, osservatori*
pronto e acuto, ebbe la ven-
tura di conoscere luoghi e
uomini di mezza Italia, poiché
abitò successivamente in Lom-
bardia, in Liguria, ove inco-
minciò gli studi nel ginnasiodi
Chiavari, nel Lazio, in Lom-
bardia ancora, e in Piemonte,
ove compì gli studi laurean-
dosi in lettere, filosofia e legge
nell'Ateneo^ di Torino.
Pubblicòassai, versi e prose,
sparsamente su per molti gior-
nali e riviste ; ma troppo mo-
desto non volle mai raccorre
nulla di suo in volume, prima
di risolversi a queste sue
« Egloghe », crediamo più ~~
spinto dai buoni consigli di qualche suo amico,
che non dal desiderio di mettere in mostra i suoi
pregi singolari di poeta, A Torino è molto ricor-
Mci^'itho ^i~tr7cJu/,jeùi
(l) E V invernale (Che riportiamo a p;
1 bellissima ira le belle ,< Egloghe », degn
dato fra l'eletta .schiera dei giovani letterati ora
notissimi che gli furono compagni di studio e di
sapere ; e certe sue fconfenenze, e certe lezioni del
Graf non sono dimenticate.
Così che molti ebbero a ral-
legrarsi di queste sue fresche
« Egloghe'», sane, limpide,
vive di originalità squisita, che
vennero a noi come una rive-
lazione. E che sian tali, valga
questa chiusa all'articolo di un
critico fra i più bravi, che ri-
portiamo qui integralmente.
«... Onde non sappiamo non
finir questa chiacchierata, tra-
lasciate molte cose, mostrando
la persuazione che quella felice
anima mondana (il Bontem-
pelli I dovrebbe pure e potreb-
be ridarci le morte belle forme
del capitolo e della satira,
poscia che ebbe in sé tanta ita-
lianità, e tanta saldezza di spi-
rito italiano, da fare con le
« Egloghe » indubbiamente il
libro più classico nostro, di
forma e di spirito, che sia in
questo tempo uscito».
Il Bontempelli, che si pre-
para a novelle battaglie, di-
mora via via dove richiede la
sua professione di insegnante nei ginnasii gover-
nativi, e quando può gode ad abitar Cherasco,
il » bel colle » della « Invernale » (i).
pubblicato con severa eleganza, carta a mano, formato in ot-
tavo piccolo. Costa lire 1,50.
XXX.
EFISIO GIGLIO-TOS.
Fece i suoi primi studi nel ginnasio d'Ivrea,
ma dovette interromperli per venire a Torino
con la famiglia, dove da questa fu consigliato e
persuaso ad entrare nel commercio. Ma il nostro
autore, amantissimo' degli studi, non era nato
pel commercio; onde i cin-
que anni ch'egli dovette
per forza trascorrere in
qualità di commesso in
un negozio furono per lui
una continua amarezza, un
continuo dolore. Ma non
si perse d'animo ; volontà
ferma, cuore aperto, ac-
colse i consigli di un amico
carissimo, e pur lavorando
non meno di dieci o dodici
ore al giorno, trovò modo
di studiare da sé di notte,
nei giorni festivi, sovente
anche di nascosto sul la-
voro ; ed ognuno può figu-
rarsi quanta dovette essere
la soddisfazione nel nostro
autore, quando il professor
Garizio all'esame di licenza
ginnasiale gli domandò in
qual ginnasio aveva stu-
diato, complimentandolo
pel modo corretto di leg-
gere il greco !
E altrettanto fu per l'al-
gebra. L'autodidatta si as-
segnava egli stesso i com-
ponimenti, li eseguiva e li
correggeva; e così per altre
materie.
Superata felicemente la
licenza ginnasiale, tre
giorni dopo il medico di
casa chiedeva un consulto
per una terribile tiflite che tenne tre mesi a
letto il Giglio-Tos. Guarito, da commesso di
negozio passò applicato di segreteria al Club
Alpino, ed ottenuta cosi maggiore libertà, entrò
finalmente uditore all'Ateneo torinese, giurando
a se stesso (e mantenne il giuramento !) che
avrebbe conseguito tre lauree.
Nel fervido periodo della sua vita gaia di stu-
dente fu ispiratore geniale e organizzatore d'una
infinita serie di feste studentesche, e creatore di
novelle istituzioni che furono e sono l'onore
dell'Università torinese. Non sappiamo tratte-
,• nerci dal darne qui pn
sommario 'cenno cronolo-
gico.
1891-92 — Organizza le
prime regate universita-
rie e debutta da prima
ballerina di rango italiano
nello Scholasticon.
1S93 — Organizza il Fri-
gidum Museum, diventa
pittore, espone 23 capola-
vori, e finisce odalisca, con
relativa danza del ventre...
e poi segretario dell'Asso-
ciazione Universitaria To-
rinese.
1894 — Membro della
Commissione esecutiva del
III Congresso Universita-
rio, prende parte... in qua-
lità di giullare, alla Giostra
universitaria.
I S94-95 — Nominato pre-
sidente dell' Associazione
universitaria, organizza il
Caflfe Chantant Bath' Ack-
lan.
1S96 — Inizia la petizione
internazionale degli stu-
denti allo Czar.
1S97 — Propone a Pisa
la fondazione della Fede-
razione Internazionale de-
gli studenti.
1S9S — Organizza il
primo Congresso interna-
zionale degli studenti per fondare la Corda
Fratres, che proclama a Roma. E nello stesso
anno, per aiutare finanziariamente il Congresso,
con l'aiuto dei bravi amici, organizza il Carne-
vale d'Ivrea che riusci magnifico, e che fu la
più gran giornata dell'Esposizione Italiana di
Torino.
I30
1S99 — Fs viemmeglio fiorire la Corda Fratrcs,
compilandone lo statuto ed i regolamenti, modelli
di chiarezza e di oculatissima organizzazione.
1900 — Più che mai instancabile, organizza
una festa a Roma eJ un'altra a Parigi, a totale
benefizio della Corda Fralres.
1900-901-902 — Organizza altri Congressi,
stampa un infinito numero di opuscoli, pronunzia
discorsi, conferenze di propaganda in favore
dell'Università Italiana'a Trieste, e viaggia a
Bes^n(;on, Venezia, Bucarest, a« Trieste, a Capo-
distria, ecc., ecc.'
1904 — Fra altri lavori, pubblica: « La genesi
jJella Corda Fratrts », « La Corda Fratres dans
■ les rapports franco-italiens », « La Morale nel
teatro d'Ibsen » ii'. «Albori di libertà» 21 ed
(i) La Morale nel teatro d' IHcit di Knsl^
Jn volume dì pag. 140, lire 2.
Giono-Tos
altro ancora... E con tutto questo lavoro, e con la
missione di professore ginnasiale, ch'egli compie
con sagace solerzia, non trascura un giorno solo
la corrispondenza epistolare della Corda Fratres,
quella della Società Jleteorologica, eia personaje!
Inf.iticabile lavoratore, è amatissimo da quanti
lo conoscono; e si può dire che, eterno studente
egli ste'sso benché già triplicemente laureato, sia
conosciuto dagli studenti di tutta Italia ,e di
mezza Europa. , ' ,
Preparerà prestò altri lavori di genere storico...
e irqvcrà cefto ancora altre idee geniali per su-
scitar qualche nuova gaia festa studentesca, od
iniziare qualche nuovissima istituzione, per la cui
invenzione sembra abbia l^t privativa in Italia ed
all'estero...
(Il Albori di libertà di Efisio Giiìlio-Tos
pag. 264, lire 2.
Un volume di
, XXXI.
MANTEA.
Sotto questo gentile pseudonimo si nasconde
la brava scrittrice donna Gina Sobrero, la più
letta,* la più interrogata e la più ascoltata scrit-
trice d'Italia. Basti dire che essa •
è l'Autrice .rfi quel' libro d'oro
oramai notissimo e difiìisissimo
che è «Le buone Usanze» (i).
Principiò a scrivere nella Gaz-
zetta Piemontese di Torino, ora
La Stampa, ed i suoi articoli
squisitamente eleganti, in cui
trattava di mode femminili con "s^
raro acume di donna e di artista,
erano avidamente letti, e le ot- '«-
tennero così, di punto in bianco,
una fama veramente invidiabile.
Attualmente è a Roma, ma a
Torino, specialmente nell'alta so-
cietà e nel mondo giornalìstico
non è dimenticata la sua leg-
giadra figura dal portamento ari-
stocratico, ed i suoi modi cosi
affabili ed accaparranti, onde si
era creata come un'aureola di
vivissime simpatie.
Giovinetta, fu educata nell'Isti-
tuto delle figlie dei militari, ed
il ricordo di quei giorni sereni le fece scrivere
più tardi quel pn-ezioso libriccino che sono « Le
JMemorie di Collegio » (2), nel quale trabocca
#•
a^^^^
tutta la sua anima d'ingenua e schietta osserva-
trice, per cui ne nacquero pagine oltreniodo
commoventi ed originali.
Ma il suo capolavoro è e re-
sterà sempre l'aureo libro « Le
Buone Usanze », il vero galateo
moderno per eccellenza; e niun
lettore certo, a leggerlo, cosi ben
redatto e nitidamente distribuito
nella materia, potrà immaginare
quale somma di ricerche sia esso
costato all'egregia Autrice.
Dopo questa vittoria si direbbe
che Mantea non abbia più cercato
novelli trionfi, e più non voglia
cercarne ; però noi la conosciamo
troppo bene, e pensiamo che forse
nel suo silenzio ostinato mediti
qualche nuova opera singolare che
noi le auguriamo fortunata come
il fortunatissimo galateo moderno
« Le buone usanze ».
.♦»>
Le Buone Usanze.
Questo celebre galateo moderno
di Mantea è oramai diventato il
bro indispensabile di ogni persona civile ed
educata, di ogni famiglia, e si può ben dire di
tutta la società elegante italiana. Però, per un
caso qualunque, taluno potrebbe fin qui av(.'r_
ignorato l'esistenza di questo aureo libro giunto
ora felicemente alla 4^ edizione, XXX" migliaio :
d'altra parte poi, anche a chi già lo conosce,
tornerà utile sapere che questa 4''' edizione, oltre
delle nuove aggiunte e correzioni, fu arricchita
del « Galateo del Marinaio » e di quello del-
l' « Autemobilista », onde oramai le nostre
« Bl'ONE Usanze » si possono proclamare il ga-
lateo più perfetto e più moderno che fin 'ora sia
stato pubblicato.
Esso è tutto quanto si può immaginare di ac-
curato, di scrupoloso e di gentile in materia di
garbate consuetudini e di perfetta educazione ; è
un consigliere efficace onde chiunque, appar-
tenente a qualsiasi ceto o classe di persone, troverà
in esso una guida sicura in tutti i casi anche nuo-
vissimi che la moda e la civiltà progredita hanno
creato nella buona società. Le signore specialmente
troveranno in « Buone Usanze » un vero tesoro,
poiché si tratta d'una completa enciclopedia di
cognizioni che abitualmente ben pochi posseg-
gono. •
Possiamo dire che ce n'è per tutti ; fanciulla,
sposa, madre, vedova, istitutrice, impiegata, zi-
tella ; bambino, fanciullo, giovanotto, marito,
sposo, vedovo, fidanzato, militare, sacerdote,
ciclista, marinaio, automobilista; potremmo fare
un'affrettata nomenclatura di tutte le materie di
cui si tratta nell'aureo libro, ma amiamo meglio
avvertire le nostre gentili (lettrici ed i lettori che
la iio.stra Casa, a semplice richiesta, spedisce a
chiunque ed in qualsiasi paese un grazioso
opuscolino spiegativó intitolato « Le Bl'o.n'e
Usanze, ».
Avremmo anche potuto, come si usa, riportar
numerosissimi giudizii della stampa italiana, tutti
favorevolissimi e senza restrizioni laudativi in
onore della solerte Autrice Maxtea; ma in ve-
rità le lodi sono tante che non avremmo saputo
né dove principiare né dove finire.
Cosi, dopo tutto, non abbiamo bisogno di rac-
comandar troppo un libro che si raccomanda da
sé; finiamo solo dicendo che l'edizione, riuscita
elegantissima, nitida, accurata, costa soltanto lire
2,00 (aggiungere cent. 20 ger l'invio franco di
porto) e qu'ella legata in piena tela a bordo do-
rato, lire 3 (indicatissima pA regali). •
Oltre alle Buone Usanze abbiamo anche, di
Mantea, l'utilissimo libriccino
■ Consigli pratici alle persone ili servizio.
*Si raccomanda specialmente alle signore che,
squisitamente educate, lamentano, nelle loro per-
• sone di servizio,, modi poco urbani od incapacità
' relativa nel disbrigo dei lavori domestici.
È' un manuale-galateo curioso, praticissimo;
ricco di consigli, divertente; un grazioso regalo
da farsi, con molta utilità, alle persone di ser-
vizio.
L'elegante libriccino costa soltanto una lira.
(ti M 'Le Buone Usanze ». Il più ricco, il più ricercato, il più
completo galateo moderno. Ha superato il XXX'5 migliaio. Un
volarne in i60 oblungo elegante, di pag. 270, con indice anali-
tico per facilitale qualunque ricerca: costa lire 2.(
speciale riccamente rilegata (per regali) lire 3,00.
« Memorie di coUegio » una lira.
XXXII.
PADRE ILARIO RINIERI.
Il Padre Ilario Rinieri, sagacissimo raccoglitore
ed illustratore di documenti storici, è nato in
Aleria di Corsica, dalla famiglia nobile fiorentina
dei Rinieri, di cui un qualche ramo emigrò in
quell'isola verso gli ultimi anni del secolo deci-
mottavo. All'età di diciasette anni entrò nella
Compagnia di Gesù, dove rifece gli studi classici,
ed attese a quelli delle scienze, in Francia ed in
Ispagna. Poscia fu occupato nell'insegnamento,
e da maestro di ginnasio, e poi di liceo e quindi
di teologia, percorse ad una ad una tutte le
scuole dalla prima ginnasiale all'ultima della
scienza teologica.
Nell'anno 1S97 fu destinato a scrittore della
« Civiltà Cattolica », periodico che si pubblica
a Roma; ed in questo il nostro illustre Autore
tiene alta la bandiera della sua fede e della
scienza.
Le sue opere, accuratissime, scritte con molta
arte ed originalità, sono oramai note all'intiera
Europa letteraria. Troppo lungo sarebbe ripor-
tarne qui l'intiero elenco, onde ci limitiamo a
quelle di più alto valore, e fra queste in prima linea
a quel vero monumento alla memoria di Silvio
Pellico che è l'interessantissima opera « Della vita
e delle opere di Silvio Pellico » ij).^ '
132
Con questi tre nuovi volumi storici è esaurito
tutto il corredo di notizie che ancora si poteva
desiderare sulla vita, sulle opere, sulle vicende
private e politiche del grande Silvio Pellico. Nel
primo volume, ric-
chissimo di docu-
menti pellichiani,
son completate le
notizie dell'infanzia
del Pellico, giovi-
nezza, primo fervore
del suo dolce inge-
gno di letterato, di
poeta e di dramma-
turgo. '
Nel secondo volu-
me sono illuminati
i punti più oscuri e
riportati aneddoti
nuovi illustranti l'o-
dissea tragica e do-
lorosa del suo ar-
resto, le sue infinite
sofferenze a Milano,
a Venezia, allo
.Spielberg, e gli ul-
timi anni di sua vita
a Torino, nell' inti-
mità di Casa Barolo.
Nel terzo volume,
'che fu atteso con
tant'ansia dal pub-
blico, è pubblicato
quanto ancora rima-
neva d'inedito del
Pellico: Ricordanze,
cantica. Quattro tra-
gedie inedite : Lao- ^
damia, Adella, Boezio e Turno. Cinque lavori che
sono cinque gioielli. Dopo questf tre volumi sul
Pellico, ecco comparire un'altr'opera documen-
taria di altissimo valore: «I Costituti del Conte
Gonfalonieri ed il Principe di Carignano » (2).
Dei settantanove Costituti del Confalonieri , nei
quali per quasi due anni il celebre patrizio mi-
lanese combattè coi giudici austriaci il più tre-
mendo duello giudiziario di cui si abbia memoria
nei fasti dei processi di Stato, se quei Costituti
disgraziatamente
sono quasi tutti per-
duti; una tale per-
dita accfesce natu-
ralmente il valore
di quei pochissimi
che si poterono ri-
trovare; e siccome
l'argomento di que-
sti concerne le re-
lazioni del capo dei
Federali lombardi
con il Principe di
." Carignano, il valore
di essi si fa più
grande # ancora, e
C -^ storicamente altissi-
' mo, perchè illumina
di luce vivissima le
cose e le persone che
si agitarono intorno
al Confalonieri svol-
gendo ampiamente
l'argomento delle
sètte straniere, mas-
simaniemente quella
del Tugendbund, in
(juanto si collega-
rono con «juelle che
iniziarono il Risor-
gimento Italiano;
argomento questo,
si può dire, del tutto
nuovo in Italia.
Cosi ben possiamo considerare questo nuovo
volume come il quarto dell* stessa opera intorno
al Pellico (ne sono evidentissimi i legami di
questa con quello); nuova opera di sommo inte-
resse che, come appendice chiude e corona no-
bilmente la intiera opera del padre Ilario Rinieri.
(i) Ilario Rinieri. « Della vita e delle opere di Silvio Pel-
lico >»• (Da lettere e documenti inediti). Ire Tolumi in ottavo
^ande, di circa 400 pagine ciascuno, con ritratti e autografi,
lire cinque ogni volume. L'opera completa lire dodici.
(2) Ilario Rinieri « I Costituti del Conte Confalonieri ed il
Vincipe di Carignano ». Un volume in S^ grande dì pag. 160,
XXXIII.
FRANCESCO STURA.
Il dott. cav. Francesco Stura, egregio pubbli-
cista di scienza in tutta l'estensione del termine,
è medico condotto a Castello d'Annone, amato
ed ascoltato si può dire da tutta una popolazione.
Cominciò a dar buona prova
del suo talento di scrittore di
scienza popolare, e di medico
volgarizzatore, in brevi e suc-
cosi articoli nella Gazzetta del
Popolo della Domenica, con-
tinuando in seguito con studii
più serii in molti giornali ed
in riviste di medicina, am-
pliando sempre più la fama
che ora gli si 'concede tutta
senza esitazione.
Oltre a parecchi opuscoli e
libriccini, scrisse un volume
« Miserie nostre » e poi il
celebre « Medico Moderno
nelle Famiglie » (i), che fu
veramente il libro nuovo, ori-
ginale, di cui era sentitissimo
il bisogno, e che lo fece ad
un tratto celebre.
In fatti, un libro di medi-
cina popolare cosi denso, così
completo, cosi sincerò ed in-
sieme tanto facile ad essere inteso, non era mai
uscito.
Era la vera guida della salute che ad un tratto
si svelava; ed il pubblico tosto dimostrò la sua
viva approvazione esaurendo in pochi giorni la
prima edizione.
Affermato così il successo di questo libro,
l'Autore pensò ad un'opera audace, e non meno
utile; e scrisse « Le Miserie di Venere » (2). 11
titolo dice tutto. Il libro, vera battaglia contro
le immoralità di Venere Afrodite, destò le ire ed
. i rabbuffi delle menti piccine e dei tartufi di me-
stiere e di convinzione ; ma fu lodatissimo da
ogni ceto di persone oneste e di buon cuore ed
amanti davvero della sana morale che non vuol
conoscer veli per conoscere i mali ed evitarli.
Naturalmente anche « Le Miserie di Venere »
ebbero lietissimo esito, e riaffermarono la fama
del bravo dottore cav. Francesco Stura.
^^/
Ora egli, nella tranquillità della sua Castello
d'Annone sta meditando nuovi lavori; ai quali
auguriamo di cuore, fin d'ora, la fortuna toccata
ai due suoi ultimi libri.
Il Medico Moderno
nelle Famiglie.
È un libro oramai popola-
rissimo, che fu giustamente
qualificato un vero tesoro in
casa. In pochi mesi fu esau-
rita la prima edizione di cin-
quemila esemplari, ed 0x2. le
edizioni si susseguono senza
interruzione. Questo gran suc-
cesso è dovuto al fatto che
non fu mai pubblicato, in
Italia, un libro di medicina
popolare cosi completo e mo-
derno, così istruttivo e diver-
tente insieme, ed al prezzo
addirittura stupefacentemente
mite, data la sua mole di 400,
pagine, di una lira! 11,20
franco di porto nel Regno).
Nel « IMedico moderno nelle Famiglie »
tutte le malattie sono studiate e descritte con
invidiabile chiarezza, e di ognuna son rilevati i
sintomi, analizzato il corso e proposta la cura
più efficace da seguirsi; il tutto esposto confortne
le più moderne teori^ medico-scientifiche, cosi
che a ciascun lettore parrà di avere il medico in
casa, a propria disposizione, pronto ad essere
interrogato e pronto sempre a rispondere esaH-«
rientemente a qualsiasi domanda intoiino a qua-
lunque malattia^
Autore dell'opera, come più sopra è detto
nella biografia, è il doti. Francesco Stura, oramai
notissimo collaboratore di principali riviste e
giornali; ed il suo libro — come scrisse un illustre
critico — non è soltanto ben fatto, utile e dilette-
vole, ma è anche sopratutto ed innegabilmente
una buona azione.
Dello stesso Autore è pure il libro i per gli adulti'
Le Miserie di Venere.
Quest'opera è tutta una rivelazione. Ma chi im-
maginasse il libro un'arida dissertazione medica si
ingannerebbe a partito, perchè noi crediamo vera-
mente che mai opera del genere fu scritta in forma
più popolare e curiosissima di fatti, d'esempi,
e di nuovi ed incredibili documenti umani.
Come potremmo noi parlarne, scriverne ? Il
tema è' troppo scabroso Stralciamo invece
quanto segue dalla prefazione del bravo Autore:
...... Purtroppo, è giuocoforza ammetterlo,
l'universale convenzionalismo in materia di mo-
rale nasconde, ma non corregge, la generale de-
pravazione, e la civiltà, questa grande fabbrica-
trice d'orpello, di apparenze e di transazioni di
coscienze, non fa altro che tenere il sacco, rico-
prendo d'una più fitta vernice il numero infinito
di sepolcri imbiancati insozzanti la terra.
« Aggiungasi ancora, per colmo di sventura,
che il lezzo nauseabondo, che esala dal putridume
di tanta gente corrotta, non trova negli articoli
del codice il più valido e potente antisettico delle
alcove.
« Così stando le cose, e dal momento che noi
non possiamo e non dobbiamo isolarci, come
altrettanti fachiri, ma in questa civiltà, comunque
essa sia, dobbiamo lottare ed evolvere le nostre
energie, sarà sempre miglior partito assuefarci
le nari alle esalazioni mefitiche della corruzione
dilagante ed apprendere, conoscendo i mali, l'arte
saggia e provvida degli energici rimedi. Non
si farà così da noi opera puerile di bimbo, che
chiude gli occhi per non veder l'orco, ma azione
virile di uomo forte, il quale rifugge con orrore
dalla taccia d'infingardo tartufo.
« Ecco perchè io ho voluto, o lettore, in questo
volume che ti presento, parlare liberamente e
senza reticenze delle innumeri degenerazioni ses-
suali che deturpano il mondo cosi detto civile.
Scoprendo e mettendo a nudo certe piaghe io
ho fede vivissima di compiere una buona azione;
e se dalla vista e dal fetore di queste piaghe un
solo vizioso pigliasse coraggio e lena a viver
savio ed umano, io null'altro chiederei, pago del-
l'umile — e pur grande — vittoria ottenuta ».
E noi non potremo aggiungere nulla di meglio
se non che il libro, naturalmente, si legge tutto
d'un fiato, e lo si rilegge senza stanchezza e
senza noia.
Chi , poi, voglia maggiori spiegazioni , può
scrivere direttamente alla nostra Casa, e riceverà
gratis un curioso opuscolo analitico spiegativo.
Ricordiamo che il libro « Le Miserie di Venere »,
di pagine 250, formato in 16°, costa lire DUE
(Lire 2,20 franco di porto).
Oltre ai due suaccennati libri, dello Stura ab-
biamo anche
Pregiudizi ed errori nella tradizione popolare.
É un libro così sano, cosi bello e altamente
morale, che vorremmo vedere in. tutte indistin-
tamente le famiglie italiane. (Così scriveva un
critico insigne). Perchè è un libro che con rara
semplicità sfata tutti i vecchi pregiudizii ed errori,
nel campo della medicina popolare e dell'empi-
rismo; Jjregjudizii perniciosi che durarono pur
troppo molto tempo, e che in molti luoghi e
presso molte persone durano tutt'ora.
Il libro è inoltre curiosissimo e divertente,
perchè riesce come una raccolta dal vero di un
numero infinito di sciocchezze consacrate dalla
cieca tradizione dei popoli.'.
Il volume, di circa 200 pag., costa UNA lira.
(i) « Il Medico Moderilo nelle Famiglie ». Volume in 16O
di oltre 400 pagine, una lira (1.20 franco di porto). Non una
sola famiglia dovrebbe essere priva di questo libro che è un
vero tesoro in casa 1
(2) « Le Miserie di Venere » (libr
lume in 16O di pagine 250, lire 2,00
per gli adulti),
^^^•►4^r
NB. — I ritratti di FRANCESCO PASTONCHI e di GIOVANNI CENA sono dello Studio
Artistico di Platinotipia del cav. Oreste BERTIERI, via Po, 21 — TORINO.
135
Le celebri opere del poliglotta Prof. A. de R. LYSLE
Un tesoro per tutti — Le praticissime Guide dialogate di conversazione
— Il Segretaria internazionale.
Indistintamente a tutti, professionisti, viaggia-
tori, commercianti, touristes, letterati, artisti,
operai, insegnanti, a tutti indistintamente noi
diamo un consiglio pratico, facile a seguirsi, e
che vai tant'oro per far fortuna: studiate te
lingue !
Non crediate che sia difficile, che ci voglia
una speciale intelligenza, che sia assolutamente
indispensabile un buon maestro e molte lezioni ;
basta invece un poco di buon volere, e di appli-
cazione perchè ognuno, senza professore, senza
speciali lezioni, ma soltanto guidato da un me-
todo sicuro e veramente razionale possa impa-
rare, in soli tre mesi, una lingua: l'inglese o il
tedesco, il francese o lo spagnuolo.
Imparare unalingua, o, meglio, due o tre lingue,
vuol dire crearsi, con tutta certezza, una posi-
zione, una fonte di sicuro guadagno.
A noi, italiani, sarebbe possibile, in nn pros-
simo avvenire, esser più fortunati ancora che
non siamo adesso. L'innata nostra intelligenza
ci sospinge a sempre nuove industrie, a sèmpre
nuovi commerci, ed è innegabile che la nostra
ricchezza produttrice cresce ogni giorno. Eppure
tante volte ci siamo domandati: perchè mai qui,
in Italia, alla direzione di gran parte delle
nostre industrie vi son tanti stranieri? E mai
ci siamo sinceramente risposto: « perchè questi
stranieri sono assai colti, e non v'è nessuno di
essi che' non sappia leggere, parlare e scrivere
almeno tre lingue ».
Ecco il segreto !
Invece noi, che pur diamo in tutti i paesi il
più forte contingente all'emigrazione, che ab-
biamo sviluppntissime reti commerciali in tutto
il mondo, clie continuamente ricoviamo in casa
nostra gran numero di forestitri. noi ci curiamo
ben poco d'imparare le principali lingue viventi.
Perchè?
Si dice: è tanto difficile e costoso! Ci vuol
tempo, buoni professori, denaro, e poi, alle volte,
s'impara poco o niente. E cosi si emigra o si
viaggia nelle Americhe, nel Transvaal, in Au-
stralia od in Inghilterra senza capire una sola
parola d'inglese o di spagnuolo; si va in Francia
od in Germania senza conoscere una parola di
francese o di tedesco, impossibilitati cosi a far
fortuna; impossibilitati egualmente nella ricerca
d'un impiego: e, se siamo commercianti, impos-
sibilitati a trattar con le Case estere. .Mentre,
come dicem»no, è tanto facile imparare il fran-
cese, l'inglese, il tedesco o Io spagnuolo senza
maestro ed in soli tre mesi col celebre Metodo
Razionate Americano del poliglotta prof. Lvsle,
l'unico veramente perfetto, razionale, affatto
nuovo, che lascia le noiose regole grammaticali
alla fine, soltanto come complemento.
Questo celebre Metodo è basato sul principio
che, come in natura, con estrema facilità un
bambino impara a parlare senza maestri e senza
regole speciali di grammatica, cosi un adulto,
se guidato razionalmente e praticamente: come
praticamente e razionalmente insegna il metodo
Lysie, può, da sé, in pochissimo tempo, impa-
rare a leggere, scrivere ed a parlare l'inglese,
il francese, il tedesco e lo spagnuolo.
L'Autore di questo Metodo, il celebre poli-
glotta prof. A. de R. Lvslk. che ha dato lezioni
di lingue nelle principali Capitali d'Europa e di
America, ha creato un'opera veramente nuova,
e che si può dir geniale, perchè ha aperto nuovi
orizzonti e nuovi campi dì attività nell'insegna-
mento moderno delle lingue.
Centinaia e centinaia di attestati, giunti al-
l'Autore da ogni parte del mondo, provano in-
contrastatamente la superiorit;\ assoluta del ce-
lebre Metodo americano Lysle su tutti quanti
finora videro la luce, i quali, o son vecchi,
136
inutili trattati, o sono vane e ancor più inutili
imitazioni.
Abbiamo detto la semplice verità, non esage-
rando in nulla; e aggiungiamo ancora che i
metodi Lysle sono stampati con somma cura e
precisione, e che i volumi sono legati elegante-
mente in tela, alla bodoniana. Ecco i prezzi :
L'inglese pagg. 400 costa lire 5, —
Il francese » 350 » » 4,50
Il tedesco » 386 » » 5, —
Lo spagnuolo » 396 » » 5,-
Dello stesso Autore abbiamo anche le
Praticissime
«GUIDE DIALOGATE di CONVERSAZIONE»
Queste Guide, come già avviene pel Metodo
Razionale Americano dello stesso Autore, sono
una vera geniale creazione, per cui non hanno
niente a che fare con le consuete Guide che ser-
vono a poco o nulla, insegnando esse una lingua
da letterali, e quindi affatto arbitraria, che cioè non
è quella parlata, quella di cui veramente si ha
bisogno di conoscere per conversare con gli
stranieri e per farsi prontamente capire ; mentre
le guide dialogate di conversazione Lysle inse-
gnano con la massima facilità la vera lingua
parlala; cosi che al bisogno si troverà sempre
in esse la frase fatta e pronunziata, scritta, cioè,
come la si pronunzia ; e di frasi e di domande
e risposte ptr tutti i casi, sono veramente ricche
queste inimitabili Guide dialogate di conversa-
zione Lysle.
Indispensabili ai viaggiatori, ai turisti, ed agli
emigranti, godono oramai un'invidiabile fama,
e si meritarono le lodi ed il plauso d'insigni
filoioghi e letterati.
Sono, diremmo, quasi l'indispensabile com-
plemento al celebre Metodo Razionale Lysle.
Le Guide dialogate di conversazione sono tre:
Tedesca-Italiana - Mw volume in-i6 piccolo,
tascabile, elegante, legato in tela. Lire 4, —
Francese-Italiana - Un volume in-i6 piccolo,
tascabile, elegante, legato in tela. Lire 3, —
Inglese-Italiana - Un volume in-i6 piccolo,
tascabile, elegantemente legato in tela. Lire 5, —
La nuova Corrispondenza commerciale e
famigliare Francese-Italiana, Tedesca-Italiana
e Inglese-Italiana.
È un vero aiuto a tutti, professionisti, viag-
giatori, commercianti, letterati, artisti, insegnanti,
operai, quello che porge la nuova opera vera-
mente geniale del poliglotta prof. A. de R. Lysle,
« La nuova Corrispondenza commerciale e fami-
gliare francese - italiana, tedesca - italiana, ed
inglese-italiana », che si potrebbe anche intito-
lare « Il Segretario internazionale ».
' Quest'opera, dal chiaro Autore creata con saga-
cissima coscienza d'osservatore e di scienziato,
è una completa Guida pratica per chi voglia
scrivere lettere in francese, od in inglese, od in
tedesco, di qualunque genere esse siano, non
soltanto senza sbagliare, ma con eleganza di
stile e di lingua, e con assoluta proprietà.
Capita ogni giorno, anche a chi conosce abba-
stanza bene il francese, o il tedesco, o l'inglese,
di non saper scrivere degnamente una lettera
in queste lingue, così che chi sa a quanti sarà
capitato di esclamare:
Ah ! se avessi a mia disposizione un buon libro
completo, pieno di lettere francesi-italiane, o te-
desche-italiane, o inglesi-italiane d'ogni genere
e per tutti i casi, onde più non mi rimanesse
che da copiare, quanto sarei felice!
Ebbene, questo libro d'oro, che finora non
esisteva, è stato creato; opera geniale, ricchis-
sima, che sarà benedetta da tutti quanti deside-
rano sbrigar presto, e purè con somma cura,
alla propria corrispondenza francese, o inglese,
o tedesca. •
L'n amico, una casa commerciale, un'azienda
industriale vi ha scritto una tal lettera in francese,
od in inglese, od in tedesco alla quale vi è noia
rispondere pel dover redigere in queste lingue
una buoiia lettera?
Voi ricorrete all'indice dell'aureo libro, trovate
il caso appropriato alla lettera ricevuta, cercate
nella tal pagina, ed eccovi la lettera pronta,
come voi la desiderate, e precisissima, onde non
vi resta più altro che da copiarla.
Quanto tempo guadagnato!
E qual sicurezza di aver scritto veramente una
buona lettera che vi farà onore!
L'na tale opera è costata un difficilissimo lavoro
di scelta e di selezione, e l'Autore vi ha lavorato
intorno per anni ed anni.
Ora noi la presentiamo finalmente al pubblico,
in veste elegante, nitidamente stampata, rilegata
in tela alla bodoniana, in circa trecento pagine
ciascun volume formato in ottavo piccolo, con
ampia appendice di frasi fatte di risposta e do-
manda.
Per che ognuno poi possa farsi un'idea esatta
della indiscutibile bontà dell'opera, diatno qui
per disteso l'indice di un volume, di quello fran-
cese, il quale può dare una giusta idea anche
di quelli tedesco ed inglese.
Prefazione - Como incominciano e finisoouo Ir
lettore Iraucesi - Circolari - Oli'crto «li servizi e
risposte - Inizio di relazioni - Domande d'infor-
mazioni o risposte - Commissioni di merci e lettere
di risposta ad ordinazioni - Avvisi di spedizioni
merci e avvisi di ricevuta merce - 'trasporti marit-
timi - Contrordini di conunissioni date - Reclami
- Lagnanze - Avviso di avarie subite dalla merce
e risposta - Consegna di merci a spedizionieri e
a\TÌsi ai destinatari. Ordini a eseguirsi da spedi-
zionieri - Sollecitazioni di pagamenti a commer-
cianti ed a privati - Eimesse di fondi « Avvisi di
disposizione - Avvisi di tratte spiccate - Rimessa
di tratte e regolamenti - Eice^^lte di effetti a saldo
di conti j Preghiera di presentare una tratta al-
l'accettazione. Ritorno di tratta accettata. Conferma
d'una accettazione. Tratte accettate - Spedizione
di alcune « prime lettere di cambio » agli accet-
tanti - Domande di prolungamento di tratte e ri-
spost» - Ritorno di tratta per mancanza di girata
e risposta - Ritorno di tratte non pagate con o
senza spese - Ordine di trarre una cambiale - Av-
viso d'una Banca ad un accettante - Ordini alle
Banche e risposte delle medesime - Modulo di as-
segno bancario. In^no di assegno - Invio di conto-
corrente - V^endita sulla piazza, fattura. A\'viso
di tratta e risposta - liomanda di dilazione per
l'esecuzione di una commissione - Risposta di un
13?
fabbricante ad un'ordinazione. Impossibilità di
eseguire la commissione - Accusa di ricevuta d'una
lettera di cambio da portare a credito d'un terzo.
Ordine di pagamento al cambio in debito - Domande
di credito. Risposte favorevoli e sfavorevoli - Xota
di credito - Ordini di borsa. Compera e vendita di
titoli a data fissa e senza indicazione di termine -
Domande d'impiego e risposte - Lettere di racco-
mandazione-Fatture - Ricevute di denaro - Cambiali
- Lettere e docujuenti diversi - Corrispondenza varia
- Corrispondenza famigliare.
E certo che da questo indice, più che dalle
nostre parole, ogni persona colta si sarà fatto
una chiara idea dell'indiscutibile valore della vera
Corrispondenza commerciale e famigliare francese-
italiana, tedesca-italiana, e inglese-italiana, e a
noi non resta altro che ripetere che i volumi,
elegantissimi, formato in ottavo piccolo, legato alla
bodoniana, di 300 pagine circa, costano soltanto
quattro lire ciascuno, franco di porto nel Regno.
TEODORO GATTI
SALUTE E BELLEZZA.
Non "v'ha chi non sappia quanto sia veramente
proficua e salutare la nuova — nuova per modo di
dire — forma di ginnastica armonica senza, stru-
menti ora così in auge, e con ragione, fra le miss e
gli sportmans inglesi ed americani, cosi che si di-
' rebbe essere, il nuovo metodo, di importazioìie
straniera, mentre, come accade dell'esotico /oo/-
éa//, che è l'antico nostro giuoco del calcio, così
pure succede della ginnastica armonica senza
strumenti che ha origine prettamente italiana.'
Ed appunto sotto questo titolo di ginnastica
armonica, preceduto da quello sintetico di « Sa-
lute e bellezza » (n,' il dottore Teodoro Gatti
della R. Marina italiana pubblica un elegante
volumetto clie vivamente raccomandiamo a tutti
i cultori dell'educazione fisica e ad ognuno che
nell' intimità della sua casa e della sua famiglia
voglia applicare questo sovrano mezzo igienico
e terapeutico che è l'esercizio metodico.
La prima parte del libro è costituita dalla de-
scrizione delle esercitazioni, illustrata da 44 fi-
gure di gran precisione e bellezza, e da una ta-
vola murale.
La seconda parte, di indole elevata, svolge
brevemente e con molta chiarezza ed efficacia
il concetto di educazione fisica che è fondamento
al libro stesso, ed una teoria estetica della salute
e della malattia.
L'Autoi'e, che fin dalla prima sua giovinezza
si è dedicato con passione agli esercizii fisici
che descrive, può dire, in certo modo, di aver
vissuto coi muscoli il suo libro, prima ancora
di averlo pensato e scritto. È questa una buona
garanzia di sincerità e di utilità pratica, onde
noi raccomandiamo volentieri ai nostri lettori la
bella operetta « Salute e bellezza » che costa
soltanto due lire.
(il Salale e belhz^fl
tavola murale, L. 2,
del dottor Teodoro Gatti della R. Marina. — Un volume di pagg, 200 con 44 lltustr.lzioni ed una
138
ANGELO BROFFERIO
I MIEI TEMPI.
Rileggendo ora questa sempre giovane e fre-
schissima cronistoria del grande Angelo BrofFerio,
« I Miei Tempi » dopo tanti anni che la si aveva,
se non dimenticata, almeno negletta, poiché era
impossibile trovarne una copia, si prova una
commozione cosi profonda ed un piacere tanto
vivo come si fosse stati sorpresi da una vera rive-
lazione.
Angelo Brofferio ! Oh come questo bel nome
di cavaliere della libertà, senza macchia e senza
paura, suona ancora adesso come fanfara belli-
cosa, ispiratore di alte virtù civili, così ai vecchi
che ricordano, come ai giovani che dai padri
impararono a venerare il nome del Grande Ita-
liano!
Tempi felici, quelli, di epiche lotte per la patria
e per la libertà ! E Angelo Brofterio, poeta, let-
terato, commediografo, giornalista, storico, av-
vocato, politico, ma, sopratutto, patriota fervente,
fu astro glorioso di quei tempi, luce ai giovani,
sprone ai paurosi, sferza ai vili. Poeta, per il
popolo che lo capiva e idolatrava, scrisse can-
zoni così vive e schiette e belle in sé, che vie-
tate o mutilate dalla polizia diventavano bellis-
sime, e ricercatissime dal popolo che se ne faceva
editore stampandosele nella memoria e cantan-
dole musicate originalmente dallo stesso Autore.
Commediografo, scrisse un' infinità di com-
medie e tragedie ; giornalista combatté strenua-
mente per la libertà e per il progresso, contro
ogni sorta di soprusi ; avvocato librò la sua af-
fascinante eloquenza non inchinandosi alle opi-
nioni dei partiti, ma alla santità della giustizia,
e fu sublime in molte arringhe, delle quali corse
fama da un capo Gl'altro d'Italia. Politico, a lui
bastava modestamente essere considerato sen-
tinella avanzata della libertà contro i reazio-
narii del tempo, amato dai liberali, adorato dal
popolo.
Ma il grande ingegno del Brofterio rifulse sin-
golarmente nel suo capolavoro « I Miei Tempi »,
autobiografia brillante ed umoristica, in cui v'ha
pagine cosi splendide ed affascinanti che sol-
tanto possono avere riscontro in altre di un altro
capolavoro : David Copperfield dell' immortale
Carlo Dickens. E questo classico capolavoro, cosi
fresco, vivo e leggiadro come fosse stato scritto
ieri ; questa cronistoria interessantissima, friz-
zante di umor gaio, di satire, aneddoti e di
osservazioni profonde; che ancora adesso è ri-
cercatissimo, ma non più trovato, perchè l'unica
edizione fattane andò completamente esaurita,
quest'opera geniale è uscita or ora in veste ele-
gantissima, come una risurrezione che riempie
di maraviglia i giovani, che nel fervore della vita
odierna, non seppero dell'opera insigne, e fa fre-
mere di commozione i vecchi che, ringiovaniti,
rivivono quei tempi...
Pochi, crediamo, vorranno privarsi del godi-
mento spirituale di leggere per la prima volta
o rileggere il capolavoro brofferiano ; e non vi
sarà certo Biblioteca pubblica o privata che voglia
star priva del classico lavoro, così alto di ideali
e di ammaestramenti, e così fedelmente storico.
L'opera consta di dieci volumi di 500 pagine
ciascuno, a tre lire ogni volume. Chi acquista
l'opera intiefa — lire 30, franco — riceverà gratis
il ricco volume delle Canzoni Biofferiane, per la
prima volta pubblicate con la musica dell'Autore,
finora rimasta inedita.
Riepilogando: questa ristampa é certo il più
bel ricordo del Centenario di Angelo Brofiferio.
^**i^
139
'T^^^mt^^.m^:^,^rr-^m',jinrrjgìr--iirtrjttr^^^
ALTRE OPERE SCELTE
LA TRIENNALE. — Rivista-ricordo illustralo
dell' Esposizione Triennale di Belle Arti in To-
rino > Maggio-Setteìiìbre i8g6). — Gran volume
in-folio, di pagg. 115 a due colonne, con 60
incisioni in fotozincotipia nel testo e iS tavole
^\' acquaforte fuori testo f ultime copie) L. 5. —
DOMINGO MOBAC. — Genio, Scienza ed
Arte, ed il positivismo di Max Nordau — Un
voi. in-8» grande L. 2 —
TESTA prof. ALFREDO. — Nuova Antologia
ad uso dei Ginnasi inferiori e delle Scuole Tec-
niche. — Fremitila con medaglia all' Esposiziofìe
Nazionale di Torino iSgS. — Un voi. in-8° di
pagg. XIII-43S L. 3-
GIUSEPPE GAVUZZI. - Vocabolario pie-
montese-italiano, ed italiano-piemontese. —
Due voi. di circa 700 pag. ciasc. Ogni voi. L. 4 —
Opera completa 1-. 7 —
• E. GIUSIANA. — La Tintura del Cotone.
— (Analisi chimica delle materie prime i. Vc^.
in-S° di 325 pagg., con numerose illustr. L. 5 —
K il titolo di un libro compilato dal sig. Et-
tore Giusiana, direttore d'industria, perito nelle
industrie chimiche, meccaniche e tessili. Passati
in rassegna i caratteri fisici e cliimici dell'acqua,
i processi di verifica e di correzione in rapporto
cogli impieghi industriali, i depuratori più in
uso ; fatto uno studio accurato dei caratteri della
cellulosa vegetale (cotone), dei metodi di analisi
chimica e microscopica, del modo con cui si
comporta all'azione dei reagenti chimici, l'A.
espone la teoria della Mordenzatura con partico-
lari considerazioni sull'applicazione dei mordenti
minerali ed organici di più comune impiego.
La teoria della tintura è ampiamente svilup-
pata in altra parte del libro, con riguardo alle
materie coloranti di maggiore importanza sia
naturali che artificiali.
I procedimenti di tintura sono pure descritti
con illustrazioni sui meccanismi ed apparecchi
inerenti ai varii processi ; seguono opportuni
cenni sulla Stampa dei filati e sulla Mercerizza-
zione del cotone.
I coloranti artificiali vi hanno ampia trattazione
in apposito capitolo, nel quale trovansi distinti
in dodici speciali gruppi. Chiudono l'opera al-
cuni cenni smW analisi dei tessuti misti.
II libro è così compilato da riuscire di giova-
mento a coloro che attendono giornalmente a
quell'importante ramo dell'industria tessile che
è la tintura del cotone e viene ad accrescere la
troppo scarsa letteratura industriale italiana.
SCHILLER E^ — La Divina Commedia.
Trascritto micro-calligrafico — Un foglio proto-
collo (riproduzione litografica) . . . L. i —
Una curiosa produzione 'dantesca è questa
pubblicata dal signor Schiller : si tratta d'un
foglio protocollo, nel quale, riprodotta in foto-
zincotipia addirittura irriducibile per piccolezza
di lettere, è contenuta nientementp che tutta
la Divina Commedia di Dante Alighieri, vale a
dire 14,233 versi, 96,000 parole, 400,000 lettere !
È un vero tour de force, dal quale appare la
paziente e mirabile abilità dello scrivente, il
quale, vittima del proprio lavoro, ha perso com- '
pletamente la vista nella compilazione dell'ori-
ginale ; ma quel che più monta è il fatto che
taluni, dotati certo di vista perfetta, riescono a
leggere questi versi: i quali hanno tutto l'aspetto
di atomi allineati, tanta pure è la limpidezza,
della grafia.
11 curioso trascritto micro-calligrafo, fatto a
mano libera, senza uso di lente, forma la mera-
viglia non solo del pubblico, ma di tutti i
calligrafi, onde il successo è stato veramente
straordinario.
A. JOURDAN. — A Parigi in bicicletta. —
Un elegante volumetto L. i —
Il Console del T. C. C. I. sig. A. Jourdan ha
compilato, e la nostra Casa ha pubblicato, un'ot-
tima Guida Ciclistica da Torino a Parigi. —
L'elegante volumetto contiene delle norme uti-
lissime pel viaggiatore concernenti l'igiene, la
bicicletta, gli alberghi e le strade. Per ogni
paese toccato dall'itinerario — sia che questo lo
fei percorra in 8, come in 12 giorni — sono dAe
le distanze parziali e pi;ogressive,* l'altimetria,.
gli alberghi raccomandati e brevi cenni sulle
cose più notevoli e degne di essere vedute,
nonché i nomi dei delegati e dei meccanici.
La Guida è corredata anche di un'accuratis-
sima Carta-profilo dell'itinerario.
Naturalmente serve anche benissimo per gli
Automobilisti.
Raccornandiamo ai nostri lettori l'elegante vo-
lumetto, degno di essere in tutte le biblioteche
dei Ciclisti e degli Automobilisti.
FRANCESCHINA BARGJS- ROGGERO —
Sai uzzo — Guida Storica — Un elegante volu-
metto in-i5o L. 0,50
Questo elegante volumetto è proprio una vera
Guida Storica, succinta, non pedante, ma diver-*
tente. La storia di Saluzzo, fin dai tempi più
lontani, vi è narrata con vivacità, con finezza ;
l'autrice non si smarrisce in ^jarticolari inutili,
ma va diritta allo scopo e riesce ad interessare
sommarnente ed a ftr amare la sua Saluzzo, che
sa farci conoscere con tanta maestria. L'antica
città piemontese non avrebbe potuta trovare,
per un sunto fedéle della sua storia, una scrit-
trice più pura e più elegante. Il libro è adorno
di bellissime fotoincisioni che rappresentano i
principali monumenti saluzzesi. Possiamo ancora
aggiungere che il più gran merito di questa
Guida è quello di interessare,' anche da lontano,
tutti quanti non videro e noi) vedranno mai la
.forte città piemontese.
* A CASELLINI, ROSETTANl e VENEZIA»
tre martiri fermani decapitati per ire settarie
dopo il 1848, è un fascicolo importantissimo.
Con documenti, attestazioni, illustrazioni che lo
adornano, il quale, oltre il valore della rivendi-
cazione basata per documenti, ha anche un ca-
rattere storico che dà al prezioso scritto sommo
valore.
I raccoglitori di memorie patrie troveranno
pagine di sommo interesse.
II numero unico in elegante edizione di 28
pagine non costa che L. 0,50
F. AUGUSTO DEBENEDETTI
(Rime). — L^n voi. in-16". . .
Al Vento!
. L. 1 —
F. AUGUSTO DEBENEDETTI. — Per la
via del Dolore. — 'Sensazioni e Figure) L. 3 —
CIRO D'ARBIA — Luce Nera {Romanzo) —
2 voi. in-ió" L. 5 —
G. CHIGGIATO. — La Dolce Stagione ( K<?;-ìj).
Un voi. in-16'^ oblungo, elegantissimo L. 1,50
CIRO ALVI. ~ L'Invincibile Ideale [Il Culto ^
■dell' Avvenire) — Un voi. in-16" . . L. 2 —
LINA CASTINO. — Sensualità maschile
(Romanzo). — Un voi. in-ió» . . . L. 2 —
BARONE DI YORK, — Montecarlo... oc-
culto, Montecarlo... palese! — Un volume in
16" L. 3 —
Non mai fu scritto un librg più. interessante,
più curioso, e, sopratutto, più... rivelatore di
questo, su la terribile bisca di Montecarlo.
L'Autore, che per molte ragioni ha creduto bene
di conservar l'incognito, ci presenta francamente
e coraggiosamente il vero Montecarlo, la sfinge
maledetta che dal suo paradiso' terrestre trae a
sé ricchezze favolose accumulando rovine su ro-
vine, sempre bella, giovine, fascinatrice e pos-
sente. Per dare un'idea al lettore di che cosa
sia fatto questo libro che ha in sé, diremmo
quasi, il marchio del mistero, noi, semplicemente,
riporteren)0 qui l'indice, la lettura del quale ci
dispensa largamente da altre spiegazioni.
INDICE:
, Per la buona intesa,
PARTE PRIMA.
// soggiorno alla Conca Azzurra.
I. L'arrivo.- Primi passi, giardini.
II. La Piazza del Casino - Impressioni e contrasti.
III. Montecarlo - Condamine - Monaco e viceversa.
IV. La Posto - Sale di lettura e di scrittura.
V. Santa Devota e la sua leggenda - 11 Ponte consolatore -
Le Terme di Valentia.
VI. Cundamine - Stazione - Teatro - Mercato.
VII. Monaco nelLi sua storia - Principi e governo.
VIII. Monaco nei suoi monumenti.
1 PARTE SECONDA.
Le CercU des Élrangers.
I. Un'occhiata a ritroso.
IT. Entrando nella Casa da giuoco.
III. La gran sala dei Pas perdus - Pennellate.
IV. Entrando nelle sale da giuoco - Norme e precauzioni.
V. Le grandi tentatrici - Roulette - Trenta quaranta.
■**^ Sguardi retrospettivi - Consigli da amico.
11 viatico.
...Ultime piaghe - 11 silenzio e lo spionaggio. • Aned.
doti... in salsa piccante.
Riepiloghiamo l
VII.
VIII
141
.GIUSEPPE STICCA. — Gli Alpini (ristampa
dell'opera « Non si passa!) » Un voi. in-i6°
illustrato.
Questo volume, che già ottenne insperata for-
tuna, sotto il titolo popolare di « Non si passa! »
e riscosse unanime lode per l'elevato scopo ed i
nobili Sensi che l'informano, rivede oggi la luce
sott'altro titolo che meglio ne determina il sog-
getto e la comprensione: essendo esso, infatti,
una propria compendiosa istoria degli Alpini.
E perchè possa andar. per le mani di tutti ^ e
segnatamente dei graduati e soldati Alpini, ad
accendervi l'emulazione e lo spirito di corpo, lo
si riduce al prezzo minimo di UNA LIRA, pas-
sandolo alla nostra Biblioteca Scelta.
LA QUADRIENNALE. — È un'opera vera-
mente splendida e riuscita l'intiera raccolta
della " Quadriennale „ rivista in gran formato
illustrante riccamente l'indimenticabile Esposi-
zione Torinese di Belle Arti, del 1902.
Oltre al testo vario ed interessantissimo, do-
vuto ai più noti scrittori italiani, trattante serie
questioni d'arte o illustrante le singole opere di
eminenti artisti, il prezioso volume contiene
una serie di ben venti tavole fuori testo, che
sono veri quadri degni di cornice, ed una infi-
nità di fotoincisioni nel testo, illustranti le mi-
gliori opere della Mostra, comprese le Esposi-
zioni Collettive del Fontanesi, del Cavalieri, del
Grosso, del Ricci, ecc. ; onde l'opera coscienziosa
merita , davvero di esèere raccomandata viva-
mente a tutti gli artisti e ad ogni persona colta;
che ognuno dovrà essere lieto di ornare d'un
simile tesoro d'arte il proprio studio o la propria
biblioteca.
Noi siamo certi che ognuno apprezzerà le fa-
tiche ed i sacrifizii che ci costò la compilazione
e la stampa d'una tale opera d'arte, e vorrà ac-
quistare una copia delle non molte che ci riman-
gono, le quali, stante il relativamente mitissimo
loro prezzo, saranno fra breve completamente
esaurite.
La raccolta completa della !' Quadriennale ,,
venti fascicoli in tutto, legata in rustico, lire otto
franco nel Regno. Chi desidera una ricca ed ele-
gante copertina in tela ed oro, appositamente
lavorata, mandi lire 2,50 in più.
Vili CENTENARIO DELLA CONSOLATA.
— È uscito, edito dalla nostra Casa Editrice, un
elegante fascicolo NUipero ùplco, formato
in-So grande, in onore ed in ricordo delle gran-
diose Feste per l'Ottavo Centenario della Con-
solata di Torino.' In esso, con numerosissime
fotoincisioni tratte de fotografie istantanee, sono
riprodotte vedute del Santuario e del quadro
miracoloso; gruppi di pellegrini, illuminazione,
processione, visite principesche, ritratti di Arci-
vescovi e d'Eminentissimi Cardinali, ecc., ecc.
Inoltre questo I^Urpet-o Ulrico è ricco di testo
vario ed originale. Non crediamo di esagerare
affermando che esso è il più bello ed elegante
ricordo delle solenni feste che in occasione del-
l'Ottavo Centenario della Consolata i Torinesi
decretarono alla loro Madonna.
Il Numero unico, elegante fascicolo in ot-
tano grande, con numerosissime illustrazioni,
costa soltanto lire 0,50, ed è spedito franco di
porto a chi ce ne invia l'importo, anche in fran-
cobolli.
*mBm:im
142
CRMDE BIBLIOTECA ROMANTICI CIRCOLANTE
10,000 Yolatr)i italiai)i m fi^ai^cesi h ipotesi
Il sempre crescente successo, che è premio iperitato alla nostra Grande
Biblioteca Circolante, oltre all'averci dato modo di accrescerla di molte nuove
opero tutte di pi-ima scolta, portandola cosi alla veramente considerevole cifra
di 10.000 volumi, ci permise pure di creare un nuovo tipo di abbonamento, con-
venientissimo, sempre conservando ogni altra condizione indicata nel catalogo.
Abbonamento anmfalo . . L. 22
Semestrale » 12
Trimosti-ale , » 7 ' •
Bimestrale ». 5
Mensile » 2,50
I libri che compongono la nostra Gran Biblioteca Circolante sono romanzi,
racconti, novelle, memorie, viaggi, libri di scienza, educativi, ecc., così italiani
come stranieri, comprese tutte le novità che tosto vengono messe in circolazione
non appena pubblicate.
Ogni abbonato ha diritto a sei volumi per volta, e può cambiarli a volontà,
anche ogni due o tre giorni. Il catalogo generale di tutte lo opere costa L. 0,80,
e lo si dà in dono a quanti prendono un abbonamento di almeno due mesi.
Per gli abbonati fuori Torino sono a loro carico le spese di andata e
ritorno dei libri. Il solito deposito è di lire IO, che* verrà restituito al termine
dell'abbonamento. Pagamento anticipato.
Per le borse modeste i libri costano troppo. Per molti lettori un libro letto
diventa im oggetto inutile. Dar modo ad ognuno di leggere molto e con minima
spesa è lo scopo della suddetta Grande Biblioteca Romantica Circolante.
INDICE
Francesco Pastonchi —
Sonetti
Il fiorire del pesco Pag- 5
Il giogo » 5
L'offerta » 5
X » 5
Intervento primaverile » 6
Gandolin —
\j&. macchina per volare imonologol . » 6
Agenore smarrito » S
Luigi Pirandello —
La berretta di Padova ..,....» io
Il ventaglino » 14
Giovanni Cena —
La morta » 16
La chioccia >■ iS
Sansone » 18
L'edificio » 18
Carlo Dadone —
F. O. L. — Fermo in posta — Torino
Novella comica » 19
I. M. Palmarini —
Non si può (Novelletta comical ...» 27
La stàtua di S. Sebastiano .... » 29
E.NRico Thovez —
Ultimo grido » 31
Ribellione . " » 32
Pace » 32
Fausto Villa —
Un brano di un romanzo audace . . . ». 32
Enrico Corradini —
L'ultima notte di Sardanapalo ...» 34
Mario Clarvv —
A deu.x jolies femmes » 36
I cuori ignoti » 36
Lino Ferriani —
La donna nella famiglia giudiziaria . . » 37
Arnaldo Laiibertini —
In ferrovia » 41
Viceversa » 44
Amilcare Laurìa —
Un ragazzo dei « Mille » » 49
Antonio Beltramelli —
Gli uomini rossi » 53
Pasquale De Luca —
Gli sposi PO'g- 58
Emilio Pinchia —
Sonetti :
Estasi sante » 61
L'automobile » 6t
Primavera » 62
Domenico Tumiati —
Sciopero in salotto » 62
Giulia Daudet —
Le bambole > 69
Ciò che si vede attraverso un velo di
mussolina bianca » 70
Mario Clarvy —
L'amant cache » 72
Troncp soHngo » 72
Ugo De Amicis —
Amore » 72
Luigi di San Gusto —
La morte di Maurantonio « 75
Arturo Fo.\ —
Tempo sarà che giungami novella . . » 78
Onorato Fava —
Giocattoli '' » 79
Idillio alato ~- . » So
Marco Lessona —
Poesie :
In quest'ora » Si
Fede e .scienza . » Si
Ruscello alpino » Si
Luciano Zì-ccoli —
La terza volta » 82
Ceccardo Roccatagliata-Ceccardi —
Sonetti :
Luna estiva » 86
Il pioppo » 86
Estate fuggitiva » 86
Corrispondenze » 86
Giovanni Diotallevi —
Senza scarpe (Novella) >^ 87
PrcK —
Nel nido della quaglia » 90
Massimo Bontempelli —
Invernale » 92
146
INDICE DELLE BIOGRAFIE.
Francesco Pastonchi Pag- 97
Gandolin » 9^
Luigi Pirandello » 99
Giovanni Cena » loo
Carlo Dadone » loi
I. M. Palmarini » 103
Enrico Thovez » 104
Fausto Villa » 105
Enrico Corradini » 106
Mario Clarvy » 107
Lino Ferriani » 107
Arnaldo Lambertini » 109
Amilcare Làuria » no
Antonio Beltramelli » iii
Pasquale De Luca » iia
Emilio Pinchia » 113
Domenico' Tumiati »" 115
Giulia Daudet » 116
Ugo De Amicis » 117
Luigi di San Giusto » 118
Arturo Foà Pag. rao
Onorato Fava » 121
Marco Lessona » 123
Luciano Zùccoli » 124
Ceccardo Roccatagliata-Ceccardi . . » 125
Giovanni Diotallevi » 126
Puck . . . , » 127
Massimo Bontempelli «128
Efisio Giglio-Tos » 129
Mantea » 130
Padre Ilario Rinieri » 131
Francesco Stura .... ...» 133
R. de Lysle »" 135
Teodoro Gatti » 137
Angelo Brofferio » 13S
Altre opere scelte » 139
Grande Biblioteca romantica circolante .
4.204
A9N8
La Nuova fioritura
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