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Full text of "La patria; geografia dell' Italia ..., Volume 1, Part 2, Issue 2"

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La Paibia 



GEOGRAFIA DELL'ITALIA 



PROTDICIE DI TEROM, TICENZl E PiDOTl 



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PARTI DELL^ OPERA PUBBUCATE 



Introduzione generale (97 figure e 4 carte) ....... L. 7. 25 

Provincia di Torino (189 figure e 2 carte) » 8. 60 

Alessandria (111 figure e 3 carte) > 5.30 

Cuneo (57 figure e 3 carte) » 5. — 

Novara (88 figure e 3 carte) > 6. — 

Qenova e Porto Maurizio (113 figure e 4 carte) » 8. — 

Palermo, Oaltanissetta, Catania, Qirgenti, Mes- 
sina, Siracusa e Trapani (185 figure e 5 carte) » 15. — 

Roma (274 figure e 29 carte) » 15. — 

Milano (145 figure e 2 carte) > 10. 60 

Firenze (150 figure e 5 carte) > 8.40 

Cagliari e Sassari, Corsica, Malta, Mari dltalia 

(59 figure e 3 carte) > 8. 60 

Arezzo, Qrosseto e Siena (80 figure e 3 carte) > 5. 30 

Perugia (135 figure e 1 carta) > 7. 30 

Como e Sondrio, Canton Ticino e Valli dei 

GMgioni (58 figure e 1 carta) .' » 9. 30 

Massa e Carrara, Lucca, Pisa e Uvomo 

(104 figure e 3 carte) » 5. 30 

Pavia (109 figure e 2 carte) » 6. — 

Napoli (238 figure e 5 carte) » 9. 30 

Bergamo e Brescia, con Appendice sulle Valli del 
Versante lombardo appartenenti aW Impero Austro- 

Ungarico (115 figure e 3 carte) » IO. — 

Avellino, Benevento, Caserta, Salerno (91 figure 

e 1 carU) » 7. 30 

Ancona, Ascoli Piceno, Macerata, Pesaro e 

Urbino (145 figure e 1 carta) ......> 8. — 

Cremona e Mantova (58 figure e 2 carte) . . > 6. — 

Bari, Foggia, Lecce e Potenza (129 fig. e 2 carte) > 8. — 

Aquila, Chieti, Teramo e Campobasso (97 figure 

e 1 carta) > 7.50 

Bologna (86 figure e 2 carte) > 5. 30 

Reggio Calabria, Catanzaro e Cosenza (35 figure 

e 2 carte) » 5. — 

Ravenna, Ferrara, Forlì e Repubblica di San 

Marino (160 figure) > 7. — 

Venezia (108 figure e 2 carte) » 6. — 

Modena e Reggio neirBmilia (43 figure) . . > 6. — 

Parma e Piacenza (47 figure e 1 carta) ...» 5. — 

Verona, Vicenza e Padova (132 figure e 1 carta) > 9. 30 



Legata L. 



9.75 
11.10 
7.80 
7.50 
8.50 
10.50 

17.50 
17.50 
13.10 
10.90 

11.10 
7.80 
9.80 

11.80 

7.80 

8.50 

11.80 

12.50 

9.80 

10.50 

8.50 

10.50 

10.— 
7.80 

7.50 

9.50 
8.50 
«.50 
7.50 
11.80 



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Là Patria 



GEOJIRAFIA 

D E LU' ITALIA 



CENNI STORIO - COSTUMI — TOPOGRAFU — PRODOTTI — INDUSTRU 

COMMERCIO — MARI — FIUMI — LAGHI — CANALI — STRADE — PONTI — STRADE FERRATE 

PORTI - MONUMENTI - DATI STATISTICI - POPOLAZIONE 

ISTRUZIONE " RILANCI PROVINCIALI E COMUNALI ~ ISTITUTI DI BENEFICENZA 

EDIFIZI PUBBLICI, ecc., ice. 



OPERA COMPILATA 

DAL PROFESSORE 

GUSTAVO STRAFFOEELLO 

COLLA COLLABORAZIONE DI ALTRI DISTINTI SCRIHORl 



PROVINCIE DI VERONA, VIGENZA E PADOVA 

Per GUSTAVO CHIESI 



TORINO 
UNIONE TIPOGtRAFICO-EDITRIGE 

28 — Corso Raffaello — 28 

MILAMO — ROMA - NAPOLI 

1903 



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HARVARD 

UNIVERSITY 

LIBAARy 



La Società Editrice intende godere dei diritti accordati dalle vigenti Leggi e Convenzioni 
intemaeioncUi sulla Proprietà letteraria e artistica per la presente Opera. 



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(Continuazione) 



PROVINCIA DI TTERONA 



Confini, popolazione e divisione amministrativa. 

jSffi^A provincia di Verona occupa la parte più occidentale della regione veneta: 
Jlr^ ha forma di cuore allungato, con inclinazione da nord-ovest a sud-est. Essa 
^^ confina: a nord, coll'Impero d'Austria-Ungheria (Trentino); a nord-est ed est, 
^*^ colla provincia di Vicenza; a sud-est, colla provincia di Padova; a sud, colla 
provincia di Rovigo; a sud-ovest, colla provincia di Mantova; ad ovest e nord-ovest 
fa sponda al lago di Garda, comune alla regione veneta ed alla Lombardia (Brescia). 

La linea di confine colle Provincie e regioni attigue è assai irregolare, e, più che 
creata da vere ragioni orografiche, idrografiche, geografiche, fu stabilita a capriccio : 
con intendimenti politici e militari, per quello che riguarda il confine settentrionale 
coir Impero Austro-Ungarico, e da antiche consuetudini ed interessi amministrativi ed 
elettorali per quello che riguarda le altre parti. 

Il territorio della provincia, circoscritto a settentrione dai lembi meridionali delle 
Alpi Retiche, discende in piano inclinato e leggermente ondulato tra il Mincio e il tor- 
rente Alpone, e forma la parte media, ch'è anche la maggiore, della valle dell'Adige. 

La superficie della provincia è, secondo i dati definitivamente accertati dalla Dire- 
zione generale del catasto, di 3071 chilometri quadrati ; la sua popolazione presente o 
di fatto, censitali 10 febbraio 1901, era di 422.437 abitanti, cioè di 138 abitanti per 
chilometro quadrato. 

La ripartizione della provincia di Verona è la seguente: 



DISTRETTI 


COMUNI 


MANDAMENTI 

giudiziari 


COLLEGI 
elettorali poliUci 


SUPERFICIE 

in 

diilomelri quadr. 

(dati ufflfiali) 


VERONA 


25 


3 




585 


BARDOLINO 


8 






354 


CAPRINO VERONESE 


10 






186 


COLOGNA VENETA 


6 






138 


ISOLA DELLA SCALA ...... 


12 






408 


LEGNAGO 


10 




7 


290 


SAN BONIFACIO 


10 






207 


SANGUINETTO 


7 






203 


SAN PIETRO IN CARIANO 


10 






225 


TREGNAGO 


9 






241 


VILLAFRANCA DI VERONA .... 

Totale . . 


6 






234 , 


113 


13 


7 


3071 



40 — Ia Patria, yoL I, parte 2*. 



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Parte Prima — Alta Italia 



La provincia di Verona, come le altre del Veneto e come quella di Mantova, aggre- 
gate al Regno d'Italia dopo la guerra del 1866, conserva l'antica divisione amministra- 
tiva per distretti, stabilita dall'Austria, mentre il rimanente delle provinole italiane 
è divìso in circondari o sottoprefetture sul metodo francese. 

n. 

Orografia, idrografia, climatologia e viabilità. 

La provincia di Verona ha quasi una metà del suo territorio in regione montuosa. 
Il suo sistema orografico può dividersi in due parti ben distinte: alla destra del fiume 
Adige ed alla sinistra di esso. 

Alla destra dell'Adige sorge il grandioso blocco del Baldo, dividente la gran valle 
Atesina dal bacino del Garda ; del quale lago, lo stesso Baldo, o quel complesso di 
cime e di propaggini che dal confine austro-ungarico scende fin verso Caprino, forma 
la sponda orientale o veronese. 

Come s'è detto, col nome di Baldo va designato collettivamente quel gruppo di 
monti che s' intemano fra la valle dell'Adige ed il lago di Garda. Più lungo che largo, 
il gruppo del Baldo misura 38 chilometri dalla punta di San Vigilio presso Garda, a 
Nago nel Trentino; e ne misura circa 12 nei suoi punti di maggiore larghezza, tra 
l'Adige ed il lago. Si alza dalle colline presso Caprino e Rivoli e finisce nella valle di 
Loppio, che la divide dal monte Cremo. 

La vetta più alta è in territorìa italiano, il monte Maggiore (in luogo Mon Maor\ 
che tocca i 2200 metri sul livello del mare. Questa punto è pure detta del Telegrafo. 
Seguono poi la cima di Val Dritta (2218 m.), il monte Altissimo di Nago (2070 m.), 
in territorio austriaco; poi la punta di Naole (1660 m.), il monte Belpo (884 m.), in 
territorio italiano. 

La roccia principale del monte Baldo è un calcare giurassico, che sta frammezzo 
ad un calcare nummulitico (superiore) e ad un calcare conchigliaceo (inferiore). Le 
arenarie intermedie che accompagnano questa formazione si mostrano di quando 
in quando coi loro colori variati. Né mancano di mostrarsi le roccie vulcaniche, i 
basalti, che mettono talvolta fuori le loro punte dagli strati superiori. Il Baldo è ricco 
di cave marmifere, che danno belle e svariate qualità di pietre, fra le quali citiamo 
il giallo-verde, con macchie violette e striature bianche di Valcaregna presso Castione; 
il marmo giallo e marmo grigio di Brentonico; il rosso-scuro di Piada ed altri ancora. 
La flora del Baldo è ricchissima, speciale, delle più svariate : essa offre agli studiosi 
un elenco di sessanta specie fra le piante più rare che si trovino sulle Alpi orientali. 

Da Caprino, girando a mezzodì e ad occidente, comincia quel superbo anfiteatro 
di colline moreniche — uno fra i più ampi che si conoscano — chiudente l'estremità 
meridionale del lago di Garda fino a Salò, fra le quali rimasero celebri nei fasti delle 
guerre per l'indipendenza le alture di Custoza, di Sommacampagna, di Solferino e 
di San Martino. 

Alla sinistra dell'Adige chiudono la provincia di Verona, formandone in parte col 
loro spartiacque il confine colllmpero Austro-Ungarico, i monti Lessini, ultima dira- 
mazione delle Alpi Retiche. I monti Lessini chiudono la provincia di Verona, a set- 
tentrione, in un ampio semicerchio, che trova il suo nodo maggiore nel monte Pasubio 
(Ì2236 m.), ma che si apre a mo' di ventaglio in parecchi sproni o contraiiorti, in dire- 
zione di nord a sud, che vanno a declinare nella pianura tra Verona e Vicenza, dopo 
aver formate alcune vallette assai pittoresche ed ubertose, le più celebrate delle 
quali sono la vai d'Agno, la vai Pantena e la vai Policella. Dopo il Pasubio le cime 
maggiori dei Lessini, interposte fra la provincia di Verona ed il Trentino, sono: il corno 
d'Acquiglio (1546 m.), il monte Sparavieri (1798 m.), la cima Tre Croci (1975 m.), il monte 



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Provincia di Verona 



Tomba (1766 m.). Vengono poi le alture di Beandole (1 122 m.), di Chiesanuova (1 104 m.), 
di monte Bolca (933 m.) ed altre minori che qui non mette conto ricordare. 

Come il gruppo del Baldo, cosi anche i Lessini sono, per la loro struttura geologica, 
assai interessanti. Tutte le grandi epoche secondarie sono rappresentate in questo 
gruppo di montagne, tanto nelle roccie vulcaniche che sovente aflBorano, quanto nelle 
formazioni sedimentari facilmente rilevabilì. Il primitivo stato di fondi marini di questa 
regione è suflScientemente dimostrato dai larghi sedimenti calcarei e ferruginosi che 
lo costituiscono e dagli infiniti avanzi fossili, come ostreoliti, nummoliti, pettinidi ed 
echinidi, che vi si rinvengono. 

L'Adige compendia, si può dire, tutto il sistema idrografico della provincia di 
Verona. Questo magnifico fiume, che fra i fiumi italiani, per lunghezza di corso ed 
ampiezza di bacino raccoglitore, non è superato se non dal Po, nasce dal laghetto di 
Reschen nell'alta vai Venosta, formato dallo stillicidio dei ghiacciai del pizzo Bianco 
(Alpi Retiche), a 1475 metri di altezza. Il nome antico, latino, di questo fiume era 
Athesis, nome che il tedesco, parlato ormai per lungo tratto della sua valle supe- 
riore, mutò in Etsch. Solo sotto Bolzano, ove la lingua di Dante conserva il suo dominio, 
il nome latino si volta neirarmonico ed italico Adige e tale dura fino alla foce nell'Adria- 
tico. Dell'alto corso dell'Adige che va fino al confine geografico naturale dltalia par- 
leremo più diffusamente nell'appendice di questa provincia dedicata al Trentino. Qui 
diremo che nel lungo suo corso, d'oltre 200 chilometri sul territorio austro-ungarico, 
l'Adige riceve il tributo delle numerose e copiosissime acque scendenti dalle valli 
laterali, tra le quali l'Eisack, il Noce, l'Avisio. Pochi fiumi hanno corso più rapido ed 
abbondante dell'Adige. Fra Trento e Verona conserva una larghezza media di circa 
100 metri ed alle varie strette o chiuse, formate dal restringersi della valle fra le 
propaggini del Baldo e dei Lessini, l'impeto delle sue acque è sovente spaventoso. 

L'Adige entra nella provincia di Verona presso Belluno Veronese, tenendo costante 
direzione di sud-sud-ovest fin verso Sant'Ambrogio di Valpolicella, ove fa gomito, per 
prendere la direzione di est-sud-est, nella quale costantemente si mantiene fin sotto 
Verona. Attraversata questa città, inclina sempre più a sud-est e, sotto Legnago, prima 
d'entrare in provincia di Padova, poco sotto a Castagnaro, si dirige più marcatamente 
ad est, direzione che conserva poi fino alla sua foce in Adriatico, a Porto Fessone, a 
13 chilometri a nord-ovest dalla punta della Maestra, presso cui il Po ha la sua maggior 
foce, e 2 chilometri a sud della foce del Brenta. La lunghezza del corso dell'Adige, 
dàlie sorgenti alla foce, è calcolata in 410 chilometri e raccoglie le acque di un bacino 
d'oltre 12.200 chilometri quadrati, bagnando, oltre che il Trentino, le Provincie di 
Verona, Padova, Rovigo e Venezia. Per la rapidità della sua corrente, per l'abbondanza 
delle sue acque, l'Adige è un fiume assai temibile. Causa l'improvvido diboscamento 
delle valli tributarie, l'Adige va soggetto a piene terribili, che si risolvono quasi sempre 
in inondazioni disastrose per la città' di Verona e le pianure sottostanti. La piena 
del 1882 è fra le più memorabili che si conoscano e fu cagione di danni incalcolabili. 
Al disotto di Zevio, nella pianura veronese, l'Adige è contenuto da potenti arginature, 
che si alzano a 6 ed anche ad 8 metri sul piano delle adiacenti campagne. 

Sullo scorcio del VI secolo (589 di Cr.), in occasione di una piena straordinaria, 
l'Adige cambiò in parte l'antico corso, presso Montagnana ed Este, nonché la foce che 
aveva presso Brondolo, per seguire l'attuale alveo. 

Da Rovereto fino alla foce l'Adige è navigabile da zattere e barconi, che portano 
legname, fascine, carbone, stramaglie, arena, sassi, calce, pietre. Entro e sotto Verona 
dà moto a numerosi molini galleggianti, per la macinazione dei cereali e dello zolfo, 
e nelle vicinanze di Verona a non pochi stabilimenti industriali. 



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Parte Prima — Alla Italia 



Gli affluenti dell'Adige in provincia di Verona sono : l^ il Fibbia, che vi si getta 
a ponente di Belfiore, ingrossato dalle acque scendenti dai Lessini per le valli di Pan- 
tena, di Squaranto, di Mezzane e d'Illasi; dal Fibbio sono derivati canali per l'irriga- 
zione e traggono moto anche opifici industriali. — 2<> VAlpone, che scende da alte valli 
della provincia di Vicenza ed entra in quella di Verona a 2 chilometri sopra Montec- 
chia di Crosara; unendosi sotto Monteforte al torrente Chiatnpo scendente da valli 
collaterali, diventa di una certa importanza appena sboccato nella pianura. Presso a 
San Bonifacio riceve alla sua destra il Tramigna e, prendendo direzione da nord a 
sud, mette foce nell'Adige a 2 chilometri sopra Albaredo, dopo aver servito colle molte 
sue derivazioni all'irrigazione dei campi sottostanti ed alle risaie di quella bassa plaga. 

Dopo l'Adige il corso d'acqua più importante della provincia di Verona è il Canal 
Bianco, Questo corso d'acqua nasce colla denominazione di Tartaro, da varie sorgenti 
a levante di Povegliano, nel distretto di Villafranca. Scende a scirocco per Isola della 
Scala a Nogara, a Gazze sino alla confluenza del Tiene proveniente dalle morene 
orientali del lago di Garda, di dove piega a levante entrando nelle Valli grandi vero- 
nesi, segnando i confini fra la provincia di Rovigo e quella di Verona sin presso Canda, 
nel qual luogo, accolte le acque della Fossa Maestra, dopo un corso di 81 chilometri, 
assume il nome di Canal Bianco, e vuoisi così, perchè quivi entrate le acque dell'Adige 
nelle rotte del 1434, vi condussero tanta sabbia e materie terrose da cambiare il pri- 
mitivo colore giallognolo delle acque. In seguito il Canal Bianco si unisce al naviglio 
A digetto ed al canale di Loreo, per mezzo del quale comunica coll'Adige, e, col nome di 
Po di Levante, si dirige al mare Adriatico, dove sbocca nel Porto di Levante. La portata 
media di questo fiume è di 34 metri cubi e la sua lunghezza totale di 168 chilometri. 

Segue la Fratta, fiume che nasce del pari nell'alta pianura, attraversa i distretti 
(li San Bonifacio e di Cologna, entra in quello di Legnago, ove, da Bevilacqua fino oltre 
Terrazzo, segna il confine tra la provincia veronese e quella padovana ; quivi piega a 
levante e più avanti va a formare il Gorzone, che sbocca poi nell'ultimo tronco del 
Brenta in vicinanza di Brondolo. 

Il Frassine, detto dapprima Agno, poi Guà, indi Fiume Nuovo, nasce nella valle 
Trissina in provincia di Vicenza, ove bagna i Comuni di Recoaro, Valdagno, Trissino, 
ilontebello e Lonigo ; passa ^juindi in vicinanza di Cologna Veneta, sotto cui prende 
il nome di Frassine, che va perdendo nella sua riunione col canale Bisatto presso Este 
per mutarsi in Canal Brancaglia. Questo poi, ricevuto il canale Restara, dà origine 
al canale Santa Caterina, sboccante sotto Vescovana nel Gorzone. 

Canali. — Nella provincia di Verona si contano 46 canali, scavati a scopo precipuo 
di irrigazione. I maggiori sono derivati dall'Adige, gli altri sono alimentati da sorgenti 
proprie, da scoli naturali od artificiali di campi e da torrenti. La lunghezza comples- 
siva di tali canali è di 610 chilometri e la portata complessiva ordinaria, per una 
media di sei mesi, è di 48.000 litri d'acqua; mentre la minima è di circa 43.000 litri, 
sebbene i principali canali abbiano la portata costante per tutto Tanno. Coll'apertura 
del canale Giullari, avvenuta in questi ultimi anni, utilizzando una buona parte delle 
acque dei canali veronesi che andava perduta nel deflusso, la superficie irrigua servita 
da questo canale è di circa 38.000 ettari, coltivati in parte a risaie ed in parte a 
cereali, a prati naturali ed artificiali. Fra questi canali merita di essere specialmente 
ricordato quello dell'Alto Agro Veronese, avente una lunghezza di circa 77 chilometri 
ed una portata di 11.500 litri per cinque mesi dell'anno, e che serve alla irrigazione 
di 10.500 ettari di terreno, coltivato a cereali ed a prato artificiale. 

Il Lago di Garda. — È l'unico lago della provincia, che lo ha in comune colla 
provincia di Brescia e coU'Impero Austro-Ungarico (Trentino). Senza ripetere l'estesa 
descrizione che di questo laojo abbiamo dato nei cenni descrittivi per la provincia di 
Brescia (v. voi. Bergamo-Brescia, pag. 236), diremo qui che il lago di Garda appartiene 



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Provincia di Verona 



alla provincia di Verona per una superficie di 180 chilometri quadrati, mentre appar- 
tiene per 162 alla provincia di Brescia e per 15 all'Impero Austro-Ungarico. La lim- 
ghezza delle rive del lago sviluppantesi nel territorio provinciale di Verona, da 
Peschiera al confine austriaco sotto il monte Altissimo, è di 52 chilometri. Il peri- 
metro complessivo del lago è di 125 chilometri e la sua profondità massima, secondo 
gli scandagli eseguiti dairUfiicio idrografico della R. Marina, è di 346 metri, sebbene 
lo Stoppani aflFermi che gli scandagli operati dal generale Lechi sul principio del 
secolo XIX abbiano trovato una profondità di 825 metri. Ma c'è forse equivoco nella 
unità di misura. 

Deirantica bellezza di questo lago, che nella parte sua più ampia dà quasi Tillusione 
del mare, e nella parte più ristretta è fiancheggiato da alte, scoscese, pittoresche 
montagne, stendentisi poi nei meravigliosi seni di Riva e di Torbole, non vi ha chi 
non sappia. Da Catullo a Bonfadio, da Prati a Gazzoletti, da Betteloni a Carducci la 
celebrarono i poeti; viaggiatori illustri ne lasciarono le più pittoresche descrizioni, ed 
ogni anno, a centinaia e migliaia, viaggiatori scendenti dal nord d'Europa, o prima 
di ritornare fra le brume malinconiche del settentrione, fanno sosta sulle rive incan- 
tevoli di questo lago, a trarvi il conforto di un'aria purissima, di un clima quasi 
sempre delizioso, di un cielo meraviglioso, di una vegetazione lussureggiante. 

Prima dell'epoca glaciale l'Adige, passando per la depressione di Vezzano, si get- 
tava nella conca lacustre del Garda, ove è pure opinione si gettasse, per la depressione 
di Mori, il fiume della Vallarsa, ora tributario dell'Adige. Ma l'apertura dello sfogo 
della Chiusa, al risolversi dell'epoca glaciale, ha mutato il corso dell'Adige che ha 
presa la via attuale, lasciando alla sola Sarca l'ufficio di principale emissario del 
grande bacino lacustre. 

L'illustre geologo prof. Torquato Taramelli, in una recente monografia, ha dato 
ragione degli studi suoi sul lago di Garda, dimostrando che le condizioni dei terreni 
predisponevano la regione a quel contorcimento di strati ch'è la causa iniziale della 
conca benacense ed a quella fratturazione in massi che si combina col carattere sel- 
vaggio delle sponde settentrionali del Garda e che, in seguito nella serie dei periodi 
posteriori al terziario antico, quella conca fu erosa da correnti che hanno poi cam- 
biata la loro direzione e che traevano origine da una parte delle acque del vasto 
bacino retico. Fatto l'esame delle principali condizioni di fondo, di area e di volume 
del Garda, il prof. Taramelli dimostra l'esistenza di un solco od avvallamento assai 
prolungato — profondo in media 300 metri con una massima profondità di 346 metri 
— la quale si mantiene dapprima verso la sponda bresciana e si dirige poscia verso 
la punta di San Vigilio. Da questo lato è una dorsale sommessa che separa la por- 
zione meridionale del lago nei due bacini di Desenzano e di Bardolino: il primo è 
quello che raggiunge la maggiore profondità. L'anfiteatro morenico che a mezzodì 
circonda le estremità del lago, non è, secondo l'illustre geologo, come altrove avvenne, 
la causa necessaria del lago, il cui bacino venne scavato dall'erosione fluviale prece- 
dente l'epoca glaciale e più ancora dall'erosione del ghiacciaio, il quale non aveva 
meno di un chilometro di spessore. 

Sulla sponda veronese del Garda scendono parecchi rapidissimi torrenti, rovinosi 
nei periodi di pioggia, ma aridamente sassosi durante la bella stagione, tutti però di 
ben poca importanza. 

Presso la stessa sponda veronese, e nella sua parte settentrionale, si trovano l'Isola 
di Trimelone, fra Ascensa e Cassone, e presso Malcesine l'isolotto dell'Olivo, assai pit- 
toresco e caratteristico. Interessante sotto ogni rapporto è poi la punta di San Vigilio, 
che si protende per oltre un chilometro nel lago a ponente di Garda, cui è contrap- 
posta la punta Belvedere nella opposta sponda bresciana, con la quale divide il bacino 
superiore dall'inferiore del lago. 



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Parte Prima — Alta Italia 



Paludi. — Nella parte bassa della provincia si hanno grandi estensioni di terreni 
acquitrinosi e paludosi, dette le Grandi Valli Veronesi. Queste occupano una superficie 
di 28.54Ì ettari. 

Data la speciale conformazione di questa provincia, per buona parte montuosa, per 
altra in basso piano ed in palude, si comprende come le condizioni climatologiche siano 
assai varie ed incostanti. Grandi sono le differenze di clima fra la parte bassa e la 
montana: nella prima le mandre svernano a cielo aperto e nell'altra la neve scompare 
appena nei mesi più caldi deiranno; nelle riviere di Garda e di Malcesine si hanno gli 
olivi e gli agrumi ; nella valle dell'Adige, a poca altezza, non sono possibili che le colti- 
vazioni comuni. La media della temperatura data dall'Osservatorio meteorologico di 
Verona è di + 35* nei massimi calori e — 6<> negli inverni più rigidi. Le Alpi proteg- 
gono gran parte della provincia veronese dai venti nordici : per contro vi dominano 
i scirocchi ed i venti di ponente, apportatori sovente di disastrose grandinate. 

L'Amministrazione austriaca, è d'uopo riconoscerlo a suo onore, cedette al Regno 
d'Italia la provincia di Verona, dotata di un quasi perfetto sistema di viabilità, d'una 
pressoché completa rete stradale. Tutti i Comuni della provincia sono allacciati fra di 
loro e coi centri più importanti, dal capoluogo cominciando, da ottime strade. Secondo 
le ultime notizie ufficiali le strade ferrate e le rotabili nella provincia misurano una 
lunghezza di 2462 chilometri, cosi ripartiti: 

Strade ferrate Km. 235 

Tramvie a vapore i 42 

Strade nazionali » 35 

• provinciali u 274 

• comunali obbligatorie s 1876 

In seguito agli studi per il riordinamento della viabilità obbligatoria, rimanevano 
a completare le reti secondarie della provincia, circa 125 chilometri di nuove strade ; 
ma una buona parte di queste fu, negli ultimi anni, condotta a termine. 

Dei 235 chilometri di ferrovie correnti in questa provincia, 200 appartengono alla 
Rete Adriatica e 35 ad una Società anonima per l'esercizio di ferrovie secondarie; 
sono così ripartiti fra diverse linee o tronchi di linee: 



UNEE FERROVIARIE 



Milano-Venezia , 



Verona-Confine A.-U. (Peri) 

Modena-Verona 

Dossobuono-Legna go-Ro vi go 



Legnago-Monselice 

Mantova-Cerea 

Verona-Caprino Veronese . 



STAZIONI PIÙ IMPORTANTI 
nella ProTindi 



Percorreoia 

nelU 

ProTiocia 

in Km. 



Peschiera, Castelnnovo, Sommacampagna, Verona, 
S. Martino Buonalbergo, Caldiero, S. Bonifacio . 

Pescantina, Domegliara, Ceraino, Peri 

Dossobuono, Villafranca 

Isola della Scala, BoYolone, Cerea, Legnago, Casta- 
gnaro 

Boschi Sant'Anna, Bevilacqua 

Nogara, Sanguinetto 

Quinzano, San Pietro in Cariano, S. Ambrogio, Affì 



58 
39 
21 

56 

9 

47 

35 



Dei 42 chilometri di tramvie a vapore che percorrono, in gran parte con sede 
sulle strade provinciali, la provincia di Verona, 31 appartengono alla linea Verona- 
Caldiero-Lonigo-Cologna ed 11 alla linea Caldiero-Tregnago (diramazione). Altra linea 
traraviaria di recente costruzione è quella Verona-Albaredo. 

Molte strade private e consortili facilitano la viabilità in quest'importante provincia. 



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Provincia di Verona 



III. 
Istruzione pubblica. 

Le condizioni dell'istruzione pubblica in provincia di Verona sono, in confronto 
alla media generale del Regno, abbastanza soddisfacenti. L'istruzione primaria è note- 
volmente diffusa nella provincia e non v'ha Comune, o frazione importante di Comune, 
che non abbia le scuole ed in qualche Comune il miglioramento delle scuole, sia dal 
lato morale che materiale, e T intensificazione delP insegnamento coi metodi migliori 
trovati dalla moderna scienza didattica, formano le principali cure degli amministra- 
tori. Gli effetti benefici di questo stato di cose sono evidenti ed incontrastabili. Quivi 
più che altrove è combattuta e quasi estirpata la vergognosa piaga dell'analfabetismo. 
Il censimento del 31 dicembre 1881 dava, nella provincia di Verona, 48 analfabeti per 
100 abitanti sopra i 6 anni d'età. Ma un notevole progresso era riscontrato nelle suc- 
cessive statistiche, dedotte in occasioni di operazioni di leva o per altri studi demo- 
grafici e si hanno fondate ragioni per ritenere queste cifre assai migliorate in questi 
ultimi anni. 

Per quello che riguarda l'istruzione primaria le cifre ufficiali danno le seguenti 
risultanze: Asili infantili 43, fanciulli frequentanti in media 5000; scuole elementari 
diurne, aule 789, alunni oltre 40.000; private 97, alunni 2800; scuole serali, aule 169, 
alunni 6000; festive, aule 157, alunni 4000; scuole normali pubbliche 2, alunni 220. 

L'istruzione secondaria è impartita in un ginnasio, un liceo, tre scuole tecniche, un 
istituto tecnico. Nel Comune di Legnago esiste una Scuola d'arti e mestieri, la quale 
è frequentata in media da 130 alunni, ed a Verona havvi una Scuola d'arte applicata 
all'industria, le iscrizioni alla quale ogni anno oltrepassano i 400 alunni. 

Nel Comune capoluogo della provincia si pubblicano 15 periodici, dei quali 2 politici 
quotidiani, 1 politico-religioso, gli altri amministrativi, didattici, educativi, letterari, 
agricoli e religiosi. 

IV. 
Finanze, bilanci provinciali e comunali, ecc. 

Finanze. — I versamenti in conto tributi ed altri proventi finanziari nella provincia 
di Verona si aggirano attualmente sulle cifre seguenti: 

Imposte dirette : fondi rustici, fabbricati, ricchezza mobile . . . L. 4.500.000 

Tasse sugli affari i 2.700.000 

» di consumo i 12.000.000 

Lotto I 700.000 

Bilancio Provinciale. — Il bilancio della provincia di Verona si aggira anno per 
anno intorno a 2.500.000 lire. Gli oneri maggiori di tali bilanci sono le opere pub- 
bliche (circa 700.000 lire), la beneficenza (circa 450.000 lire), poi gli oneri patrimoniali, 
le partite di giro, l'istruzione (circa 100.000 lire), ecc. 

BiLANa Comunali. — La cifra complessiva dei bilanci di tutti i Comuni della pro- 
vincia è, un anno per l'altro, di quasi 8 milioni, dei quali circa 3 e mezzo sono rap- 
presentati dal bilancio del Comune capoluogo. Complessivamente questi Comuni spendono 
all'anno poco meno di un milione per l'istruzione pubblica, 950.000 lire per beneficenza, 
700.000 lire per la loro amministrazione, 900.000 lire per la polizia locale e l' igiene, 
quasi un milione in opere pubbliche. 

Poste e Telegrafi. — Gli uflSci postali nella provincia di Verona sono 61 e gli 
uffici telegrafici 64, dei quali aperti al pubblico, con servizio permanente, 1 ; di giorno 
completo, 2; con orario limitato, 31; nelle stazioni ferroviarie, 24; non aperti al pub- 
blico, 6. Havvi pure in Verona un servìzio telefonico, esercitato da una Società privata. 



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8 Parte Prima — Alto Italia 



Movimento delle Corrispondenze. — Negli ultimi anni il movimento delle corri- 
spondenze, pacchi postali e telegrammi in tutta la provincia si è aggirato sulla media 
seguente: lettere e cartoline 3.200.000; stampe e manoscritti 1.500.000. Numero totale 
degli oggetti di corrispondenza (comprese le corrispondenze ufBciali spedite) circa 
6.800.000. Telegrammi privati spediti in media da 83 a 85.000. 

V. 
Agricoltura, produzione agraria e forestale. 

Sebbene V industria in molte sue esplicazioni si sia, negli ultimi anni, vittoriosa- 
mente impiantata nella provincia di Verona, nondimeno questa provincia è e rimarrà 
sempre a carattere fondamentalmente agrìcolo. È dalFagricoltura eh essa trae e trarrà 
sempre i tre quarti della propria attività. 

Sotto il punto di vista agricolo la provincia di Verona può ripartirsi in tre zone di 
produzione agraria ben distinta, cioè: 1* zona, alpina; 2* zona, collina; 3* zona, pianura. 

Nella prima zona, comprendente una parte rocciosa e quasi sempre coperta da 
nevi, la coltura è scarsa, quasi nulla. E quivi e nei brevi altipiani, dov'è possibile, si 
coltivano la segala, Tavena, il mais, le patate; il pascolo e le mandre vi formano 
la ricchezza e T industria principale. 

Nella zona delle colline prosperano la vite, il gelso, gli ulivi, il castagno, i cereali 
e molte qualità di frutta. Sulle rive del lago di Garda si coltivano anche gli agrumi 
ed a questa zona appartengono le valli Policella e Pantena, dovunque rinomate per 
la squisitezza ed abbondanza dei vini e delle frutta. 

La terza zona si può suddividere in due parti: alta e bassa pianura. La coltura 
principale nell'alta pianura è quella dei cereali e vi è pure importante quella del 
gelso, per il copioso allevamento dei bachi da seta che qui si fa. Comincia pure e con 
buon esito la coltura di piante tessili industriali. Nella bassa pianura le risaie, avvi- 
cendate coi cereali ed anche coi terreni coltivati a lino ed a canapa, determinano il 
carattere della zona. La vite ed il gelso in questa zona, mano a mano che si accosti 
alla parte acquitrinosa, vanno poco a poco scomparendo. Qualche importanza ha pure 
la coltura del seme di ricino, specialmente nel territorio del distretto di Legnago. 

Secondo i dati uflSciali della Divisione generale dell'agricoltura, la superficie delle 
terre arabili nella provincia si calcola in 89.179 ettari, cioè il 28,04% della superficie 
totale. Secondo le stesse fonti uflSciali la produzione delle varie colture, rispetto alia 
superficie media del terreno impiegato in esse è così valutata: frumento, 57.638 ettari, 
452.223 ettolitri; granturco, 62.426 ettari, 546.669 ettolitri: avena, 4115 ettari, 46.078 
ettolitri; segala, 1923 ettari, 14.710 ettolitri; riso, 8750 ettari, 215.922 ettol.;fagiuoli, 
lenticchie, piselli, 1837 ettari, 14.572 ettolitri; fave, lupini, veccie, ceci, 305 ettari, 1892 
ettolitri; patate, 1560 ettari, 30.137 quintali; castagne, 1450 ettari, 6286 quint.; canapa. 
442 ettari, 2778 quintali; lino, 154 ettari, 400 quintali; vino, 37.166 ettari, 345.37^ 
ettolitri; olio d'olivo, 2553 ettari, 5234 ettolitri; agrumi, piante 1678, numero dei frutti 
954.500; bozzoli, prodotto medio 2.361.520 chilogrammi; foraggi, erbe leguminose ed 
altre foraggere, 706.345 quintali; erbe dei prati naturali, 267.463 quintali; fieno dei 
prati naturali, 513.781 quintali. Calcolando, secondo i coeflScienti medi adottati per 
tatto il Regno, il valore lordo di questi prodotti ammonterebbe ad oltre 54 milioni. 

Secondo il Bollettino Ufficiale per V Amministrazione forestale, la superficie dei 
boschi, dei terreni cespugliati e dei terreni nudi, svincolati o vincolati agli effetti della 
legge forestale vigente è la seguente: superficie dei terreni vincolati, 35.860 ettari; 
superficie dei terreni svincolati, 3417 ettari. 

La produzione media annua dei boschi cedui e di alto fusto soggetti al vincolo 
forestale non fu peranco accertata. Le piante più comuni nei boschi d'alto fusto sono il 



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Provìncia di Verona 



faggio, l'abete, il castagno. Quest'ultimo si governa allo scopo di ricavarne il frutto. Nei 
boschi cedui invece predomina la quercia, il carpino, il nocciuolo, l'acero e il frassino. 

Bestiame e Prodotti relativi. — L'allevamento del bestiame ha preso in tutta la 
provincia di Verona notevolissima importanza, tanto per gli animali da macello che 
per quelli da lavoro. Ottime sono le razze bovine ed equine che si allevano nel Vero- 
nese ed anche l'allevamento degli ovini, specie nella zona montuosa, ha una certa 
importanza. Secondo sempre le statistiche uflSciali, la media dei capi di bestiame che 
si allevano in questa provincia sarebbe: bovini, 7G.500; ovini, 42.G00; caprini, 9087; 
suini, 10.780; e degli equini: asini, 7697; cavalli, 10.558; muli, 3G12. Coi prezzi unitari 
medi adottati neìY Annuario di Statistica il valore capitale di questi animali si calcola 
in circa 27 milioni di lire. 

Quanto ai prodotti secondari degli animali stessi, la produzione della lana va 
sempre più scemando nella provincia, gli allevatori applicandosi di preferenza allo 
allevamento del bestiame da macello e da lavoro. 

Nella produzione dei latticini, peraltro considerevole, mancano i dati precisi per 
poterne determinare la produzione media. Nella regione delle Prealpi, specialmente 
durante la stagione dei pascoli, è rilevante e, secondo le notizie raccolte dalla Dire- 
zione d'agricoltura, nelle sole regioni del monte Baldo e dei monti Lessini si sarebbero 
ottenuti i seguenti prodotti: burro, 2^25.000 chilogrammi; formaggi, 474.000 chilogr.; 
ricotta, 275.000 chilogr. Il valore totale di questi prodotti si calcola in 993.000 lire. 

Latterie e Caseifici. — Secondo le notizie che si poterono raccogliere dai sindaci, 
esistono nella provincia di Verona 51 latterie, alle quali sono da aggiungersi altri 
40 piccoli caseifici detti malghe e sparsi sulle alpi nel tenimento del Comune di Bosco 
Chiesanuova, aperto soltanto dal giugno al settembre, durante la stagione dei pascoli. 
Delle altre 51 latterie circa una metà lavora più o meno tutto l'anno, dell'altra metà 
alcune lavorano soltanto dall'ottobre al maggio e le altre si aprono soltanto dal giugno 
al settembre. Si può calcolare che queste latterie producono complessivamente ogni 
anno circa 773.000 chilogrammi di latticini, venduti per la maggior patte sul mercato 
di Verona. In quest'industria sono saltuariamente occupati 456 operai. 

VI. 
Statistica industriale e commerciale 

Industrie minerarie e meccaniche. 

Opfigi.ne del Ferro. — Nel Comune di Verona esistono 2 opifici per la fusione 
di oggetti in ghisa ed in ferro: Tuno dispone di 2 caldaie a vapore della forza di 
14 cavalli, con 2 motori di uguale potenza, ed impiega 57 operai ; l'altro, di un motore 
della forza di 6 cavalli ed occupa 39 operai. Nel Comune di Montorio Veronese havvi 
un piccolo maglio di ferro, mosso da una forza idraulica di 4 cavalli ; ed una torneria 
in ferro, pure mossa da forza idraulica. Si fabbricano strumenti ed attrezzi rurali. 

Fonderie e Stabilimenti meccanici. — Sette stabilimenti in provincia di Verona atten- 
dono all'industria meccanica, ma 3 soli fanno uso di motori a vapore. Il più importante 
è l'officina della Società delle Ferrovie meridionali (Rete Adriatica), nella quale si ese- 
guiscono esclusivamente riparazioni di locomotive, veicoli e materiale ferroviario in 
genere. Essa è fornita, di motori a vapore della forza complessiva di 136 cavalli, che 
servono a dare movimento alle macchine-utensili; ha 4 maglia vapore, 4 ventilatori, 
85 fucine, 20 grues di varia portata e 168 macchine-utensili diverse. Vi sono occupati 
circa 1200 operai e vi si riparano annualmente oltre 100 locomotive e 9000 veicoli. 
Nel Comune di Cucca havvi un'officina meccanica con fonderia in ghisa per la fabbri- 
cazione di aratri, ingranaggi, turbine idrauliche, cuscinetti per trasmissioni, argani, ecc., 

41 — Ijm Patria, voL I, parte 2*. 



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10 Parte Prima - Alta Italia 



la quale dispone d'una forza a vapore di 16 cavalli. Nel Comune di Erbe esiste un'officina 
per costruzione e riparazione a macchine agricole, con motore a vapore di piccola forza. 
Le altre officine meccaniche di minor conto si trovano nei Comuni di Cotogna Veneta, 
di Bovolone, di Vigasio e vi si riparano locomobili, trebbiatrici ed altre macchine 
agricole, e se ne costruiscono anche di minore importanza. 

Fonderia di Campane. — Nel Comune di Verona esiste una fonderia di campane 
con 3 forni a riverbero. 

Arsenale Militare. — Dipendente dalla Direzione territoriale d'artiglieria è l'Ar- 
senale di Campagnola, per l'allestimento e la riparazione del materiale d'artiglieria, 
nonché il Laboratorio artifizieri di San Bernardino, ove si caricano le cartuccie e si 
fabbricano e lavorano le munizioni in genere. Queste due officine sono fomite di due 
motori a vapore ed occupano 135 operai, tra maschi e femmine. 

Fabbrica d'Armi da scherma. — Esiste in Verona una fabbrica di sciabole, spade, 
maschere, guantoni ed altri oggetti per l'insegnamento della scherma. Ha un motore 
a vapore, macchine-utensili e vi lavorano 22 operai. I prodotti di quest'industria si 
smerciano, oltreché all'interno, anche all'estero ed in ispecie nell'America del Sud. 

Illuminazione. — Oas. Nel solo Comune capoluogo esiste un'officina per l'illumina- 
zione a gas,, alimentante un migliaio di becchi per l'illuminazione pubblica e circa 
5000 per quella privata e raccordamento. Vi lavorano 50 operai. 

Luce elettrica. In questi ultimi anni fu impiantata ed ha preso sviluppo in 
Verona l' illuminazione elettrica. L'officina é situata sopra un canale dell'Adige, dal 
quale ritrae una forza di 40 cavalli dinamici, oltre i 250 cavalli-vapore prodotti da 
2 caldaie Tosi. Le dinamo e gli apparati elettrici accessori sono di fabbrica estera. 
L'impresa però non ebbe buon esito, per l'opposizione della Società del gas. 

Cave. — Rinomatissime sono le cave di marmo veronese nei Comuni di Sant'Am- 
brogio di Valpolicella e Fumane. Oltre 70 sono le cave in esercizio in quelle località, 
delle quali 30 di marmo (pietra di masso), 35 per pietre tabulari (lastre) e 6 di pietra 
da calce (bronzetti). Fra tutte produssero per un valore di circa 700.000 lire, occu- 
pando in complesso 708 operai. Di tali cave 30 sono a cielo scoperto ed occupavano 
circa 335 fra cavatori, manovali, scalpellini e levigatori. La pietra calcare che si ricava 
appartiene al terreno giurassico ed i giacimenti sono suscettibili di fornire monoliti 
di grandi dimensioni. I marmi sono di una eccezionale compattezza con tinte molto 
cariche, vivaci e variabili fra il rosso-sanguigno e il rosso-giallastro. I pili pregiati, 
anche per la loro rarità, sono il broccatello ed il nembro, adoperati, per la bellezza 
dei loro colori e per la varietà della loro venatura, in opere ornamentali di gran lusso. 
La qualità che più comunemente si scava e si vende é quella detta sengie, con tinte 
bianche, giallognole, canarine e rosee. 

Oltre alle cave suddette esistono in provincia di Verona altre 160 cave sparse in 
30 Comuni, le quali forniscono trachite, pietre comuni per le costruzioni in genere e 
le decorazioni degli edifizi, il lastrico e la manutenzione delle strade. Le più impor- 
tanti, per il numero di operai a cui danno lavoro, sono le cave del Comune di Bosco 
Chiesanuova, ove se ne annoverano in esercizio circa 80, delle quali 60 di pietre 
comuni per costruzione e 20 di pietre stillari, le quali, oltreché usarsi per gradinate, 
rivestimenti, decorazioni di edifizi, si adoperano anche per coprire i tetti delle case. 
Hanno del pari molta importanza le cave di pietra da costruzione e marmo rosso 
per pavimenti e decorazioni del Comune di Grezzana. Queste cave sono in numero 
di 8. Vanno inoltre ricordate le cave di tufo nei Comuni di Quinzano e di Negrar; di 
ghiaia nel Comune di Mozzecane ; di terra colorata od ocra nel Comune di Verona, ecc. 
Complessivamente quest'industria mineraria occupa 1300 operai. 

Segherie di Marmo. — Nel Comune di Verona quest'industria é esercitata in due 
opifici, uno dei quali animato da forza idraulica di 9 cavalli. 



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Provincia di Verona \[ 



Macinazione delle Terre colorate. — Due molini galleggianti sull'Adige sono adibiti 
air industria delFocra, che prima, mediante cottura, è trasformata in ocra gialla o 
rossa, a seconda del bisogno. In quest'industria lavorano circa 30 operai. 

Fornaci. — Nella provincia si contano 47 stabilimenti per la cottura della calce, 
dei laterizi, delle stoviglie, delle bottiglie e lastre di vetro, occupanti fra tutti un 
migliaio di operai. La produzione complessiva di tali industrie è così valutata: calce, 
70.200 quintali; laterizi: mattoni, 5.900.000 ; quadrelli, 4.500.000; tegole ed embrici, 
2.450.000; pezzi diversi, 206,000; stoviglie comuni, pezzi 200.000; bottiglie in vetro, 
1.200.000; lastre di vetro, 300.000 metri. 

Calce. Le tre più importanti fornaci da calce della provincia sono nei Comuni 
di Dolce, Sant'Ambrogio di Valpolicella e San Michele Extra. Altre 5 di minor impor- 
tanza sono ripartite nei Comuni di Grezzana, Torri del Benaco e Vestena Nuova. La 
materia prima si ricava in vicinanza al luogo stesso di lavorazione. Come combustibile 
si adopera generalmente legna. 

Laterizi. Quest'industria è esercita da 11 stabilimenti sparsi per i Comuni di 
Bovolone, Gazze Veronese, Peschiera sul Lago di Garda, San Pietro di Morubio, Zevio, 
Dolce, Belfiore e Cerea. Il più importante di tali stabilimenti è quello di Dolce, con 
forno a sistema HoflFmann e che produce annualmente 1.600.000 pezzi, tra mattoni, 
tegole ed altri lavori in terracotta. L'argilla è generalmente scavata nei dintorni delle 
fornaci. Vi sono inoltre 22 fornaci, che producono contemporaneamente calce e laterizi 
e sono sparse per i Comuni di Albaredo all'Adige, Caprino Veronese, Cologna Veneta, 
Parona all'Adige, Pescantina, Ronco all'Adige, San Massimo all'Adige, Zevio, Zimella. 
L'argilla per la fabbricazione dei laterizi e la pietra calcare proviene sempre da 
cave attigue alle fornaci. H combustibile è legna prodotta o nei Comuni stessi o prove- 
niente dai boschi del vicino Trentino o fluitata per l'Adige. 

Stoviglie d^uso comune. Nel solo Comune di Verona è esercitata quest'industria 
da uno stabilimento di modesta importanza. Vi si producono, oltre le stoviglie di uso 
comune, vasi artistici e tubi di terracotta. 

Vetrerie. Nel Comune di San Giovanni Lupatoto venne esercitato per alcuni anni 
uno stabilimento per la produzione delle bottiglie e delle lastre di vetro, impiegando 
come materia prima quarzo raccolto sul luogo e sabbia silicea proveniente da Mazzara 
del Vallo in Sicilia e dal monte Soratte presso Roma; ma da qualche tempo questo 
stabilimento ha sospeso il lavoro. 

Industrie chimiche. 

Solfato di Rame. — Si ottengono annualmente nella provincia 1000 quintali di 
questo prodotto. 

Carbonato di Magnesio. — Nel Comune di Castelletto di Brenzone esiste una fab- 
brica di carbonato di magnesio ed ossido di magnesio in soluzione, detto magnesia 
fluida, con 3 motori idraulici della forza di 22 cavalli e 10 operai. La produzione annua 
è di circa 850 quintali di carbonato di magnesio. 

Acido solforico e Concimi artificiall — Quest'industria ha preso, negli ultimi 
tempi, un più largo sviluppo ed esistono nel Comune di Verona ed altrove opifici che 
l'esercitano. Secondo le ultime notizie relative al 1901 si producono in tutta la pro- 
vincia di Verona 40.000 quintali di acido solforico, 81.000 quintali di perfosfati minerali 
e miscele diverse. 

Colori e Vernici. — Quest'industria è esercitata in uno stabilimento esistente nel 
Comune di Verona. 

Fiammiferi in Legno e Cera. — Quest'industria è esercitata in 4 fabbriche residenti 
tutte nel Comune di Verona. Due fabbricano esclusivamente fiammiferi in legno e due 
producono fiammiferi in cera ed in legno. Nelle più importanti sono occupati 100 operai. 



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12 Parte Prima — Alta Italia 



Lavorazione della Cera. — Nel Comune di Verona sono in attività 5 fabbriche di 
candele di cera ed un'altra ne esiste nel Comune di Montorio Veronese. In tutte 
queste fabbriche si lavora senza il sussidio di alcun motore meccanico, ma con sem- 
plici caldaie per la fusione e purificazione della cera. Questa è in gran parte prove- 
niente dall'estero. Complessivamente lavorano in quest'industria circa 50 operai. Il 
prodotto è consumato nella regione. 

SapoxNi. — Esistono nella provincia 3 fabbriche di sapone : 2 nel Comune di Verona, 
una in quello di Montorio Veronese, ch'è inoltre la più importante, animata da un 
motore idraulico della forza di 8 cavalli. 

Profumerie. — Esiste nel Comune di Verona una piccola fabbrica e distilleria di 
essenze e profumi. 

Fabbricazione dello Zucchero di barbabietole. — Quest'industria,che si può dire 
nuovissima in Italia, ha preso largo sviluppo nella provincia di Verona, rappresentatavi 
com'è da 3 grandiosi stabilimenti di recente impianto: uno nel Comune di Legnago, 
uno in quello di San Bonifacio ed uno in quello di Cologna Veneta. Questi due ultimi 
vennero aperti all'esercizio colla campagna dell'anno 1900. Il macchinario di tali opifici 
fu costrutto in Germania. 

Raffinerie. — Nel Comune di San Martino Buonalbergo esiste una raffineria per 
lo zucchero appartenente al Sindacato della RaflSneria Italiana. Vi sono occupati 
180 operai maschi adulti. La forza motrice è data da 3 motori, che sviluppano in com- 
plesso 120 cavalli- vapore. Il macchinario è di provenienza estera. Dall'estero si ritrae 
in gran parte lo zucchero greggio da raffinare; oggi questa materia prima di lavoro 
sarà più agevolmente data dalle vicine fabbriche di San Bonifacio, Cologna Veneta 
e Legnago. 

Olio di Ricino. — Nel Comune di Montorio Veronese havvi una fabbrica dotata d'un 
motore idraulico della forza di 50 cavalli per l'estrazione dell'olio dai semi di ricino 
ed in parte anche dalle olive. Essa produce annualmente circa 5000 quintali di olio 
di ricino ed occupa 75 operai. Nel Comune di San Pietro di Morubio vi sono pure 
4 piccole fabbriche d'olio di ricino, un'altra si trova nel Comune di Albaredo d'Adige 
ed infine una in quello di Zevio. 

Industrie alimentari. 

Macinazione dei Cereali. — Secondo gli accertamenti degli uflSci tecnici di finanza, 
quando era ancora in vigore la tassa sul macinato, nella provincia di Verona erano 
in attività 504 molini, dei quali uno solo a vapore e tutti gli altri a forza idraulica. 
Certamente le condizioni di quest'industria hanno assai mutato negli ultimi dieci anni 
coir impianto di colossali molini a vapore a sistema ungherese ed americano, avve- 
nuto in varie regioni d'Italia; ma ci mancano le cifre precise per poter dire del vero 
stato dell'industria al presente. Notiamo solo che sono ancora numerosi i molini 
natanti sull'Adige, utilizzanti con grande economia la rapida corrente del fiume. La 
quantità media di cereali macinati per il consumo locale si valuta in 326.063 quintali 
di frumento, 633.127 quintali di granturco e cereali inferiori. 

Paste da Minestra. — Nella provincia di Verona si contano 28 piccole fabbriche 
di paste da minestra sparse in 16 Comuni. Inoltre in Verona havvi un grandioso pani- 
ficio militare. In quasi tutte le fabbriche di paste sì lavora con torchi a mano, ad 
eccezione di una nel Comune di Legnago, con un motore a vapore della forza di sei 
cavalli, e di un'altra in quello di Vigasio con un motore della forza di 3 cavalli. Il 
prodotto annuo totale di quest'industria si valuta oltre i 2000 quintali. 

Nel panificio militare di Verona si producono in media annualmente oltre 14.000 
quintali di pane e circa 5000 quintali di gallette. L'opificio dispone d'una forza motrice 
a vapore di 36 cavalli ed a gas di 8. Al lavoro attendono esclusivamente dei militari. 



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Provincia di Verona 13 



Brillatura del Riso. — Vi sono nella provincia, sparsi per 20 Comuni, 36 brillatoi 
pei riso, animati da motori idraulici per la forza complessiva di 238 cavalli. Uno solo 
di tali brillatoi ha il sussidio di un motore a vapore della forza di 20 cavalli nel caso 
che manchi la forza idraulica. Il riso sottoposto alla brillatura è generalmente pro- 
dotto nel Comune stesso di lavorazione, o tutt'al più dei Comuni limitrofi. Alcuni bril- 
latoi sono anzi esclusivamente adibiti al servizio del proprietario od affittuario del 
fondo, che vi lavora i soli suoi prodotti. Il riso brillato si vende tutto nella provincia, 
pochissimo esportandosene nelle limitrofe. Sono adibiti a quest'industria HO operai 
ed il prodotto annuo totale si valuta oltre i 54.000 quintali. 

Torchi da Olio. — Le notizie relative all'estrazione dell'olio che si hanno per la 
provincia di Verona riguardano 13 Comuni, nei quali si contano 27 opifici, cioè: 23 per 
la estrazione dell'olio d'olivo, 2 per l'olio di noce, uno per l'estrazione dell'olio dai 
semi di lino e di ravizzone ed uno per l'olio di sesamo, di mandorle ed in parte anche 
di ricino. Gli operai addetti a quest'industria sono 141; il prodotto si valuta:. olio di 
olive, 4953 ettolitri; olio di sesamo, 1600 ettolitri; di ricino, 700 ettolitri; di mandorle, 
150 ettolitri; di lino e ravizzone, 180 ettolitri, ecc. 

Cioccolata e Mandorlato. — Nel Comune di Legnago esiste una fabbrica di cioc- 
colata con motore a vapore della forza di 2 cavalli; nel Comune di Cologna Veneta 
havvi una fabbrica di mandorlato o torrone, di piccola importanza. 

Liquori. — Nel Comune di Verona vi sono 4 fabbriche di specialità liquorose ed 
una ve n'ha pure nel Comune di Zevio. 

Birra ed Acque gassose. — Si contano nella provincia 4 fabbriche di birra, delle 
quali una nel Comune di Verona e le altre 3 in quello di Garda. La sola fabbrica di 
Verona dispone di un motore a vapore della forza di 6 cavalli. Le fabbriche d'acque 
gassose in provincia sono 5, delle quali 4 in Comune di Verona ed una in quello di 
Legnago, con forza motrice a vapore. 

Industrie tessili. 

Trattura, Incannaggio e Torcitura della Seta. — Quest'industria ha belle tradi- 
zioni nella provincia di Verona, tradizioni che si riattaccano a saggi provvedimenti 
presi dalla Repubblica Serenissima, per favorire la lavorazione della seta nei suoi Stati. 
Attualmente, secondo le statistiche ufficiali, si contano in provincia 11 stabilimenti 
per la semplice trattura della seta, ripartiti in 8 Comuni. Tali opifici dispongono di 
caldaie a vapore per la forza di 60 cavalli ed hanno 246 bacinelle attive a vapore. 
Vi sono impiegate, per una media di 220 giorni di lavoro all'anno, 400 donne e 
15 uomini. Vi sono inoltre, nei Comuni di Illasi e di Montorio Veronese, 2 opifici 
per la trattura, torcitura ed incannaggio della seta, impieganti complessivamente 
3 caldaie a vapore della forza di 54 cavalli, motori a vapore ed idraulici per la forza 
di 13 cavalli, 112 bacinelle attive a vapore e 1268 fusi attivi di torcitura. Vi sono 
impiegati, per una media di 228 giorni all'anno, 77 operai maschi e 350 femmine. La 
materia prima trattata in questi opifici è esclusivamente indigena. I prodotti si smerciano 
a Milano, Basilea, Zurigo e Lione. 

Filatura e Tessitura del Cotone. — Esiste nel Comune di Montorio Veronese un 
opificio per la filatura del cotone, fornito di 2 motori a vapore della forza di 100 cavalli, 
con 2 caldaie di 150 cavalli e 3 motori idraulici, parimenti della forza di 100 cavalli. 
Ha 10.816 fusi attivi, coi quali si fila il numero medio 13 Vi- Gli operai, tra maschi e 
femmine, sommano a 417. Il lavoro è continuo per 300 giorni dell'anno e si lavora anche 
di notte con illuminazione a gas, prodotta nello stesso stabilimento. Altro opificio per la 
filatura del cotone esiste in prossimità di Verona, sorto da pochi anni nella località detta 
Basso Aquar ed è allacciato con una breve linea di raccordo con la stazione di Porta 
Nuova. Utilizza la forza idraulica del canale industriale nella misura di 200 cavalli. 



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14 Parte Prima — Alta Italia 



Tessitura. — Esistono nel Ciomune di Zevio S piccoli opifici per la tessitura del 
cotone, con telai semplici a mano. Altre industrie afSni sono la tessitura dei passamani» 
con 2 opifici nel Comune di Verona; la tessitura dei veli, con 3 opifici pure in Verona; 
la fabbricazione delle maglierie, con 4 piccoli opifici, ecc. 

La tintura, T imbianchimento e la stampa dei filati e dei tessuti sono industrie che 
si esercitano in 19 opifici di limitata importanza, ripartiti in 13 Comuni della provincia. 

Vi sono inoltre 19 opifici per la fabbricazione dei cordami sparsi in 10 Comuni. 
Questi opifici danno lavoro a 150 operai. Là materia prima, costituita da canapa o 
stoppia di canapa, è in parte prodotta sul luogo stesso di lavorazione o si ritira dalle 
Provincie di Bologna, Ferrara e Rovigo. I prodotti, oltre servire al consumo locale, si 
vendono nelle Provincie vicine e si esportano anche in Austria, in Svizzera, in America. 

Industria Tessile Casalinga. — Secondo le notizie mandate dai sindaci al Ministero 
d'agricoltura e commercio V industria tessile casalinga, ripartita in pressoché tutti i 
Comuni della provincia, era esercitata con 1326 telai, così classificati a seconda delle 
materie prime sottoposte alla lavorazione: tessitura della seta, 1; della lana, 7; del 
cotone, 197; del lino e della canapa, 744; delle materie miste, 349; per maglierie, 1; 
per stoffe reticolate, 18; per passamani, 9. La poca lana che s'impiega, sia per i tes- 
suti semplici che per i tessuti di materie miste, è tutta di produzione locale. I tessuti 
di cotone si fabbricano per lo più con filati già tinti od imbiancati che si acquistano 
sui vari mercati della provincia. Il lino e la canapa sono in gran parte di produzione 
locale. 

Industrie diverse. 

Concerie di Pelll — Si contano in provincia 12 concerie di pelli ripartite nei 
seguenti Comuni: Verona 7, Belluno Veronese 1, Legnago 1, Pescantina 1, San Michele 
Extra 1, Valeggio sul Mincio 1. Tranne quest'ultima, animata da un motore idraulico 
della forza di 6 cavalli, le altre eseguiscono il lavoro cogli antichi sistemi. Gli operai 
addetti a quest'industria sono 70, con 131 tini o vasche di concia. I prodotti consi- 
stono in cuoio da suole e da tomaie, ottenuto dalla concia di pelli bovine ed ovine» 
in parte di provenienza nazionale ed in parte dall'estero. 

Guanti. — Vi sono nella città di Verona 3 fabbriche di guanti, con una produzione 
annuale di 16.000 paia, che in parte viene esportata nell'America del Nord. 

Cartiere. — Quest'industria è esercitata in 2 opifici: l'uno in Verona, l'altro a 
Malcesine. Vi si fabbrica carta a mano, di paglia e per imballaggio. 

Rocchetti di Carta per Incannaggio. — A Valeggio sul Mincio hawi una fabbrica di 
incannatoi o spolette di carta per la filatura del cotone. La fabbrica è animata da 
un motore idraulico della forza di 12 cavalli. I prodotti si smerciano specialmente in 
Lombardia. 

Arti Poligrafiche. — In tutta la provincia si contano 15 stabilimenti, 12 dei quali 
per sola tipografia e 3 per lavori di tipografia e litografia. Di questi 2 soli dispongono 
di motori a vapore. In Verona gli stabilimenti tipografici sono 9; gli altri si trovano 
nei Comuni di Bardolino, Cologna Veneta, Isola della Scala, Legnago, San Bonifacio. 

Altre industrie, sulle quali non si possono dare esatti ragguagli, esistono nella pro- 
vincia di Verona e tra queste ricordiamo: le segherie del legname, con 8 opifici; le 
fabbriche di mobili e di pavimenti in legno; le tomerie da legnami; le fabbriche di 
carrozze, carri ed aratri, con 10 opifici su 7 Comuni; le fabbriche di botti e tini, con 
13 opifici su 7 Comuni; le fabbriche di strumenti musicali, di cui 2 per organi da 
chiesa in Verona, ed altre per riparazioni d'organi e pianoforti ; di fiori artificiali : di 
pettini; di stuoie, graticci, cesti e panieri in vimini. Quest'ultima ha una certa impor- 
tanza e dà lavoro a buon numero di persone. 



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Verona 



15 



I. — Disfreno di VERONA 

n distretto di Verona occupa la parte nord-centrale della provincia e si stende a nord 
fino a toccare il confine dello Stato colllmpero Austro-Ungarico, sullo spartiacque dei 
monti Lessini; ad est, confina coi distretti e mandamenti di Tregnago e San Bonifacio; 
a sud, col mandamento di Isola della Scala; ad ovest, coi mandamenti di Villafranca, 
Bardolino e San Pietro in Cariano. 

Il distretto di Verona ha una superficie di 585 chilometri quadrati ; la sua popo- 
lazione presente o di fatto, accertata dalPultimo censimento (10 febbraio 1901), era 
di 140.560 abitanti. Comprende 25 Comuni raggruppati in 3 mandamenti giudiziari, 
dipendenti dal Tribunale civile e penale di Verona, nel modo seguente: 



MANDAMENTI 


COMUNI 


TEROXA I, II 

ÙKUUU 

i 


Verona, Avesa, Bussolengo, Buttapietra, Cà di David, Castel 
d'Azzano, Lavagne, Marcellise, Mizzole, Montorio Veronese, 
Parona all'Adige, Pastrengo, Quinzano Veronese, San Gio- 
vanni Lupatoto, San Martino Buonalbergo, San Massimo 
all'Adige, San Michele Extra, Sona, Zevio. 

Grezzana, Bosco Chiesanuova, Cerro Veronese, Erbezzo, Quinto 
di Valpantena, Santa Maria in Stelle. 



La maggior parte del territorio dì questo distretto è montuosa, solo intorno a 
Verona, dopo un magnifico anfiteatro di colline, si apre la pianura. 

L'Adige attraversa, in direzione di sud-est, il distretto, ch'è pure bagnato dal fiume 
di vai Pantena e dal Fibbio, tributario del primo. 

Il medesimo è attraversato dalla grande linea ferroviaria Milano-Venezia ed è per- 
<M)rso anche dalle linee Verona-Ala, Verona-Mantova, Verona-Legnago, Verona- Caprino. 

Le principali arterie stradali del distretto di Verona sono: la provinciale, che 
costeggiando l'Adige, conduce ad Ala e nel Trentino; la provinciale, che per Peschiera 
conduce a Brescia e Milano; la provinciale, che per Villafranca conduce a Mantova; la 
provinciale, che da Verona per Isola della Scala conduce a Ostiglia sul Po; la grande 
strada provinciale, percorsa anche da una linea di tramvia a vapore, che per Soave 
conduce a Vicenza parallelamente alla ferrovia. 



MANDAMENTI E COMUNI DEL CIRCONDARIO DI VERONA 

APPARTENENTI AL DISTRETTO MILITARE DI VERONA 



Mandamenti di VERONA I e II (comprendono 19 Comuni, con una popolazione 
<ii 125.620 abitanti, secondo il censimento del 10 febbraio 1901). 

Verona. — Capoluogo della provincia e del distretto, siede in pianura, a 59 metri 
sul livello del mare, sulle due rive dell'Adige, al piede delle ultime diramazioni dei 
monti Lessini, fra la valle d'Avesa e la vai Pantena: è sede di un Vescovado, del 
Comando di un Corpo d'armata, di una Direzione provinciale delle poste e telegrafi, 
di un'Intendenza di finanza ed altri uffici inerenti. La giustizia vi è amministrata da 
un Tribunale civile e penale e da un Circolo di Corte d'assise, dipendenti dalla Corte 
•d'appello di Venezia e per il civile dalla Corte di cassazione di Firenze. 



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16 



Parte Prima — AlU Italia 



Popolazione. — La popolazione del Comune di Verona, accertata presente la notte 
del 10 febbraio 1901, era di 74.271 abitanti, con un aumento di 5530 abitanti sul 
precedente censimento del 31 dicembre 1881. 

Bilancio Comunale. — Il bilancio del Comune di Verona fu, per l'esercizio 1902, 
consolidato nelle cifre seguenti: 



Attivo 

Entrale ordinarie L. 2.076.851,73 

» straordinarie . . . . i 55.314,23 

Movimento di capitali . . . . b 386.506,64 

Diirerenza attiva dei residui. . b 6.157,94 

Partite di giro e contabil. speciali • 92*2.990,91 



Passivo 



Totale L. 3.447.821,45 



L. 



Oneri e spese patrimoniali 

Amministrazione d 

Istruzione n 

Beneficenza b 

Igiene » 

Opere pubbliche m 

Sicurezza pubblica b 

Culti B 

Movimento di capitali . . . . b 

Partite di giro e contabil. speciali b 



442. 
401 
366 
332 
375 
159 
101 
1 
345. 
922. 



092,50 
.251,16 
,588,74 
.170,53 
.786,81 
336,49 
577,84 
000- 
026,47 
990,91 



Totale L. 3.447.821,45 



LA CITTÌ 

Il viaggiatore che si arresta a Verona, colla ferrovia, davanti alla città adagiata 
su una pianura fertile ed alberata, tagliata in due da un grande e rapido fiume, cir- 
condata per una vasta area d'orizzonte di olivi, di cipressi, di pini, di vigne, fra cui 

spuntano avanzi di mura e di torri merlate, ville signorili 
e palazzi maestosi, non può a meno di correre, per analogìa 
di quadro, col pensiero alla conca, in cui appiedi dei colli 
fiesolani, si adagia Firenze, la città dall'eterna bellezza 
artistica italiana. Perchè non sono molte le città, anche 
belle, che si presentano con tanta simpatia, grandiosità e 
varietà di quadro panoramico come Verona: Tantica città 
romana, la ghibellina ospite di Dante, la più affezionata 
delle città venete alla Repubblica gloriosa di San Marco. 
E l'interno corrisponde pienamente al contorno, peroc- 
ché Verona può degnamente assidersi fra le più belle città 
d'Italia; come, dopo Venezia, è la città più ricca, industriosa 
e bella della regione. 
Nulla di più irregolare della pianta della città, che, nel suo nucleo più denso, si 
è formata su un vasto sprone — se l'espressione è concessa — di terreno alla destra 
dell'Adige, che intorno ad esso fa un immenso gomito. In questa parte rientrante di 
terreno, che può essere delimitata dalla grande curva del fiume e da una linea che 
dal Castel Vecchio per le vie del Teatro Filarmonico e del Pallone arrivi fino al nuovo 
ponte Aleardi si formò il nucleo della città r(miana; quivi, nella rapida loro conquista^' 
appena scesi in Italia, si rinchiusero Goti e Longobardi; più tardi quivi si circoscrisse 
il Comune glorioso e la città signorilmente ghibellina degli Scaligeri e solo dopo il 
secolo XIV, quando Venezia cominciò a sconfinare dalle lagune nell'estuario ed in 
terraferma. Verona uscì dai suoi recinti secolari, dell'età romana e medioevale, passò 
sull'altra sponda del fiume, si distese più comodamente nella pianura verso sud, senza 
regola, liberamente, come vien viene, e così fu la forma irregolarissima presa in pianta 
dall'abitato di questa singolare città, cui tentò in parte correggere col circuito mul- 
tilineo delle sue mura poderose il Sanmicheli e, dopo questi, gli architetti e gl'in- 
gegneri militari che dovettero coordinare le linee delle fortificazioni alla configurazione 



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LAPATRIA-Geog 



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EDIFIZI MILITARI 



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Verona 17 



Pig. i. — Verona : Ponte della Pietra (da fotografìa). 

originariamente strana del nucleo vero della città ed alla sempre crescente potenza 
dei mezzi offensivi di guerra. 

Verona, come ora si presenta, consta di due parti: la maggiore, la più densa ed 
antica, è alla destra deirÀdige; la minore e, sotto ogni riguardo, la meno interessante, 
alla sinistra. Sei ponti, dal ponte di Castel Vecchio al ponte Àleardi, uniscono le due 
parti della città. 

Il punto centrico, tipico, pulsante della vita cittadina in Verona è la^ piazza delle 
Erbe, dalla quale si diramano le principali arterie della vita e del movimento cit- 
tadino; la via Nuova conduce alla vasta piazza Vittorio Emanuele, ove grandeggiali 
più cospicuo dei monumenti romani nelPÀlta Italia, TArena; il corso Cavour, che in 
rettilineo taglia, dall'Adige a porta Pallio, la città ; la piazza dei Signori, ove sonvi gli 
uffici principali della provincia ed i tribunali e dove nei monumenti tutto parla della 
Verona medioevale, dantesca. Città di vita, di lavoro, di commercio, di avvenire, Verona 
è nel suo aspetto viva, monumentale, varia, piacevole. 

Se alle attrattive della città moderna, cortese, ospitale, si aggiungono Tincantevole 
paesaggio dei suoi colli, la grandiosità ed importanza dei suoi monumenti romani, 
medioevali, del Rinascimento e moderni, si comprende T impressione e T interesse che 
Verona desta in chi sa comprenderne le bellezze e rievocarne le alte e nobili memorie. 



VERONA MONUMENTALE 

Verona, che singolari vicende storiche e politiche hanno fatta sede di un grande 
presidio militare, cinta d'una triplice linea di fortificazioni per renderla — secondo 
il concetto sempre fallace di chi non crede al continuo progresso ed evolversi d'ogni 
cosa — imprendibile, è città essenzialmente artistica e monumentale. Ed è una vera 
singolarità sua questa, poiché le esigenze dell'arte della guerra si mostrarono sempre 
in ogni tempo nemiche acerrime, inconciliabili dei diritti e delle ragioni delle arti 

42 — Ija PfttrlA, voL I, parte 2*. 



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18 Parte Prima — Alla Italia 



Fig. 2. — Verona : Arena od Anfiteatro. 

belle. Verona è delle poche città nostre che ancora si possono presentare al visitatore 
con monumenti importantissimi, segnanti le tre più grandi ère della storia italiana: 
Fera romana, il medioevo, il rinascimento. 

MONUMENTI ROMANI 

Municipio illustre, allo sbocco d'una delle più grandi vallate per le quali dallltalia 
si passava nel paese dei Germani, Verona ha tutti gli attributi e gli agi di una grande 
città. Sulla collina, ora detta di San Pietro, era l'Arce sacra della città, il Campidoglio. 
Le rovine e le lapidi, che scavando a più riprese si rinvennero, lo attestano. E dove fu 
il Campidoglio, è avviso di antichi cronisti che sorgesse poi il palazzo che Tcodorico, 



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Verona 



19 



Fip:. 3. — Verona : Interno deirArena od Anfiteatro (da fotografia deirEmilia). 



Fig. 4. — Verona: Esterno dell'Arena od Anfiteatro (da fotografia dell'Emilia). 



il conquistatore goto, per un momento sognando di poter diventare il continuatore 
della grandezza e della civiltà romana, abitò dopo la sua conquista. Il muro vetu- 
stissimo, che mettendo piede all'Adige dal ponte della Pietra si stende sulla collina 
fino alla chiesa del Redentore, fu ritenuto da alcuni avanzo di quell'antichissima 
costruzione: ma Tipotesi è arrischiata. 



Teatro Romano. — - Appiedi dello stesso colle di 
San Pietro alcune rovine ricordano il Teatro Romano 
ivi sorgente, anteriore certo alPArena. L'emiciclo colla 
gradinata dava le spalle al còlle ; la scena e le loggie 
a più ordini che Tadomavano sorgevano in riva. Co- 
struito in tufo scavato dalla stessa collina, poco resi- 
stette agli urti della barbarie e del tempo. Esiste un 
editto dì Berengario I deir89o, che consente ad ognuno 
di abbattere le parti di queiredifizio che allora esiste- 
vano, ma che minacciavano rovina. Il Palladio, il 
Saraina, il Panvinio, pariando delle antichità di Ve- 



rona, trattano a lungo di questo edifizio. Il Monga, 
con molta cura e non lieve dispendio pro^nrio, facendo 
operare scavi e ricerche, ridonò in luce avanzi di 
colonne, archi, statue. Attualmente rimane gran parte 
del podio coi primi sette gradini ; dietro il coro della 
chiesa dei Ss. Siro e Libera si vedono numerosi avanzi 
degli ambulatori che conducevàno alle precinzioni. 

Pure in vicinanza del Teatro si rinvennero avanzi di 
un altro edifizio di origine romana, che si rileim^ 
èssere le Terme, delle quali pariò Giovanni DìaconQ 
narrando di Teodorico. 



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20 



Parte Prima — Alta Italia 



Ponte della Pietra (fig. i). — Monumento au- 
tentico e considerevole della Verona romana è il Ponte 
della Pietra, che unisce al sonuno della curva fatta 
dall'Adige la città piana al colle di San Pietro, ove 
al tempo del Municipio romano era TArce Capitolina. 



Pig. 5. — Verona : Porta dei Borsari (da fotogr. dell'Emilia). 



Questo ponte fu presumibilmente costruito ai tempi di 
Augusto. I due archi poggianti alla spalla sinistra e la 
parte inferiore del terzo sono di struttura prettamente 
romana; gli altri evidentemente si rifecero nel medio 
evo dopo la rovina di qualche pietra. Questo ponte 
solidissimo resisteva interamente nell'ottavo secolo, si 
che il longobardo Luitprando ebbe a chiamarlo mar- 
moreo , essendo assai rare in quei tempi siffatte co- 
struzioni; fu restaurato più volte: nel 1298 da Al- 
berto Scaligero, che vi fece erigere sulla testata di 
sinistra una torre, della quale oggi rimane, colla porta 
di passaggio, il mozzicone inferiore; nel 1521, per 
cura della Serenissima, subì un restauro generale, ed 
un altro ne ebbe nel secolo XIX, in cui fu abbassata 
la curva nel mezzo ed abbattuto un gruppo di me- 
schine casupole che ne deturpavano il prospetto e 
toglievano il panorama della ridente collina. 

Arena od Anfiteatro (fig. 2-4). — Ma il monu- 
mento romano del quale Verona va giustamente su- 
perbi e famosa nel mondo è TArena od Anfiteatro. 
Questo edifizio, che per la mole vien subito dopo il 



Colosseo, superando gli anfiteatri di Pela e di Arles, 
sorge nell'ora piazza Vittorio Emanuele giù detta Bra 
(da Braida), ampio e splendido centro della parte più 
nuova e moderna della città, fuori dal recinto delle 
mura antiche. Fu costruito, sembra, nel secondo secolo 
dell'era nostra imperando gli Antonini, 
documento irrefutabile del grado di 
splendore e di grandezza a cui era giunto 
sotto l'Impero il Municipio di Veroni. 
Ha forma di elissoide, misurando sul- 
l'asse maggiore m. 150 e sul minore 
m. 123; ma questa piccola differenza 
rimane inavvertita. Chi osserva dal- 
l'alto della gradinata il vasto bacino 
deU'Anfi teatro ha l'illusione di avere 
davanti un circo perfetto — del quale 
non rimangono oggi che le quattro 
grandi arcate, vòlte ad oriente e dette 
ala — e la cui periferia monumentale 
misurava m. 435; la seconda cinta, 
formata dal vero corpo dell'edifizio, che 
tuttora si conserva, misura in periferia 
m. 391. 

Ciò che rimane nell'ala della predn- 
zione estema mostra la grandiosità e 
l'imponenza deiredifizio. Meno fastoso 
del Colosseo, aveva un carattere di 
austerità elegante, per lo stile italico- 
toscano che ne formò il carattere prin- 
cipale. Consta di un grande porticato 
d'accesso al basso; di due ordini di 
loggie (una in più dell'anfiteatro di 
Pola) e inferiormente di grandi fine- 
stroni. Fu costruito con massi di pietra 
veronese, bruna e rossa; con tufi e 
conglomerati. Nei tempi della barbarie 
e delle devastazioni, che seguirono la 
caduta dell' Impero romano, ne fii ro- 
vinata in gran parte la prednzione 
esteriore o monumentale, il cui enorme materiale servi, 
come si potè constatare, a risarcire le mura. Altra 
parte ne crollò nel 1184 per terremoto. Nei bassi 
tempi fu anche trasformata in fortezza, con quale 
scempio per la integrità generale dell'edifizio è fadle 
ad inmiaginarsi. Soltanto con lo stabilirsi del reggi- 
mento comunale il grande monumento cominciò ad 
essere rispettato e protetto dalle leggi e riparato dove 
era possibile riparario. Gli statuti veronesi del 1228, 
che ancora ci rimangono, fanno obbligo al podestà di 
spendere, nei sei primi mesi del suo governo, una 
data somma in reparaiione et refectione Arenae. Si 
comprende che il popolo, il quale aveva già data prova 
del suo gusto e della sua liberalità per l'arte colla 
meraviglia di San Zeno, pensasse a conservare nel- 
l'insigne monumento romano il proprio patrimonio 
artistico e storico. 

Per le settantadue arcate del porticato esteriore, a 
seconda della tessera posseduta, ogni cittadino entrava 
nell'Anfiteatro. Sessantaquattro vomitorii mettevano 
in comunicazione le scalette inteme colla gradinata 



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Verona 



21 



ditisa in cunei. I gradi o ipadini servivano per se- 
dersi, ed a tale effetto erano coperti da tavole di legno. 
Le precindoni e le scalette scolpite nei gradi servi- 
vano agli spettatori per ra^ungere il posto loro 
assegnato dall'indicazione della lettera. 

Alia quarta precinzione, formata dal podio 
nella parte più bassa dell'Arena, cominciavano 
i posti riservati ai maggiori personaggi, ai 
magistrati, ai patrizi, ai cavalieri, ai tribuni, 
ai sacerdoti ; lastre di marmo africano, di verde 
antico, di serpentino, di porfido, ne formavano 
il pavimento ; reti dorate, cancelli ed altri ri- 
pari difendevano gli spettatori illustri dall'as- 
salto delle belve. 

L*arena, ove avvenivano i ludi, misurava 
nel maggiore diametro m. 73,68 e nel minore 
m. 44 ^/,. Il velario era sostenuto da antenne 
fisse al cornicione della facciata e Io si stendeva 
con un giuoco ben combinato di grosse gomene. 

Sembra accertato, per condutture trovate 
nei recenti scavi, che nell'Arena si introdu- 
cesse acqua per giuochi nautici, ed anche per 
pulire Tedifizio dalle immondizie che la enorme 
folla degli spettatori (oltre 20.000) non poteva 
a meno di lasciarvi. Vuoisi anche che questa 
acqua fosse derivata dall'Adige a Parona. 

il eh. archeologo veronese Antonio Pompei 
ha lungamente studiata l'Arena in ogni sua 
parte, ne ha rifatto il disegno quale doveva 
in origine presentarsi, rimise a posto gradi e 
prednzioni, curò i lavori di restauro che ai 
suoi tempi furono eseguiti, e morendo fece 
nel testamento un lascito perchè la Cavea, da 
lui soprattutto studiata ed illustrata, venga 
ripristinata all'antico stato. I restauri ora in 
corso tendono a soddisfare l'ultima voloQtà 
dell'illustre uomo e benemerito cittadino. 

Porta dei Borsari (fig. 5) e Mara di 
Gallieno. — A metà del corso Cavour, tra 
piazza Erbe e Castel Vecchio, si trova un altro mo- 
numento romano del periodo della decadenza (terzo 
secolo), conosciuto generahnente col nome di Porta 
Portoni dei Borsari. Di questo edifizio, che ne ri- 
corda altro consimile in Roma, rimane ancora il rive- 
stimento estemo in pietra da taglio. Consta di due 
portoni ad arco a pieno centro, formanti una porta 
gemina, come i Romani spesso usavano per luoghi 
di molto passaggio, onde facilitare il transito, riser- 
vando un'arcata a chi entrava e l'altra a chi usciva. 
Sopra i due archi o portoni si alza un doppio ordine 
di finestre e di nicchie, il cui disegno mostra il rapido 
avviarsi dell'arte romana verso il suo decadimento, 
n doppio ordine di finestre sovrastante alla porta ser- 
viva, si comprende, ai balestrieri che erano sempre 
preposti alla custodia e difesa delle porte nelle città 
romane. 

È opinione degli eruditi che questa porta preesi- 
stesse, e non da poco tempo, all'erezione delle mura 
fatti da Gallieno ; tale opinione è avvalorata ampia- 
mente dal fatto che alcuni particolari architettonici 



sono di gusto assai migliore di quello che non si 
usasse al tempo dell'imperatore Gallieno. Di più la 
iscrizione che più sotto si legge, e che ricorda la co- 
struzione delle mura gallìeniane, fu sovrapposta ad 
altra ricordante il primo costruttore della Porta, 



Fig. 6. — Verona : Porta dei Leoni (da fotogr. Lotze). 



scalpellata insieme a parte dell'architrave per potervi 
incidere l'epigrafe gallieniana cosi concepita : 

COLONIA . AVOVSTA . VERONA . NOVA 
GALUKNIANA . VALERIANO . II . ET . 
LVCIUO . C0N8. IIVRI . VERONENSIVM . 
PADRICATl . EX DIB IH NON . APRILIUII • 
DEDICATI . PR . NON . DECEMDRIS . 
JUDENTE . 8ANCTI88IM0 . GALLIENO . 
AVGVSTO . V . INSISTENTE . AVR . 
IIARCELLINO . V . P . DVC . CVRANTB 
SVE . IIARCELUNO. 

Delle mura rifatte da Gallieno non rimangono omai 
più vestigia allo scoperto, essendo rimaste nel processo 
del tempo incorporate nelle case, che Io espandersi 
continuo della città — specie dopo il periodo comunale 
e durante la dominazione veneta — fece sorgere. Se 
se ne vogliano trovare vestigia, bisopa ricercarle 
nell'interno dei cortili o dei giardini di qualche casa 
privata. Questo fu il primo giro di mura del quale si 
abbia notizia storica in Verona ; il secondo recinto della 
città fu opera di Teodorico, e di questo rimangono 
ancora qua e là visibili avanzi. 



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22 



Parte Prima — Alta Italia 



Porta dei Leoni (fig. 6). — Alla Porta dei Bor- 
sari si congiungevano le due branche delle nuove 
mura erette dalPimperatore Gallieno intomo al 265 
di Cristo, una branca delle quali si partiva dalla non 
lontana sponda dell'Adige e Taltra si spingeva fino 
alFArena, donde volgendo verso TAdige finivano con 
l'altro avanzo di porta romana — gemina pur essa — 
che ancor si vede, e conosciuta ora col nome di Porta 
dei Leoni, 

In via dei Leoni, che è una delle arterie maggiori 
del movimento cittadino da piazza Erbe alla Stazione 
principale, vedesi quest*avanzo di monumento delFetà 
romana, conosciuto col nome di Arco dei Leoni. 
È infatti arcata, ora in gran parte otturata, di una 
porla gemina, somigliante a quella già descritta dei 
Borsari, con ancora sovrapposto un ordine di finestre 
ad archetto in pieno centro. Fiancheggiano Farce due 
colonne scannellate, Tarchitrave ed altri particolari 
architettonici rivelano la fattura del buon tempo. Il 
Seriio, il Gunter, lo Scamozzi, TAddison ed altri 
lodarono questa porta come uno dei buoni saggi del- 
Tarchitettura romana, che contribuirono a rimettere 
in onore fra noi il culto delFarte. Il fecondo ma su- 
perficiale Scipione Maflei opinò che questa fosse la 
porta del Foro Giudiziale ; ma è opinione errata. Ulte- 
riori scavi hanno provato che questa altro non era se 
non una porta della città, gemina come quella dei 
Borsari, sórta ove un'altra ne preesisteva, perchè nel- 
rintemo di una casa che a questo monumento fu ad- 
dossata si rinvennero avanzi di un'altra più antica 
porta d'ordine dorico, la quale essendo in tufo fu presto 
rovinata e dal tempo e dagli uomini, si che non ne 
rimangono oggi se non poche rovine. 

L'architrave dell'Arco dei Leoni porta ancora la 
scritta: T.l . Flavius . P. F, IIII ,Ver . I . D, 



Arco dei GaTi. — Altro avanzo del perìodo ro^ 
mano, che or più non esiste in luogo, ma del quale si 
conservano nell'Anfiteatro i pezzi, è l'arco cosidetto dèi 
Gavif che sorgeva sol corso principale della città, al 
di là di Porta de' Borsari, presso il Castello Vecchio. 
Era una specie d'arco di trionfo, di grandiose propor- 
zioni e di bellissime linee. Portava scolpito il nome 
dell'architetto Lucio Vitruvio Cordone, liberto e disce- 
polo del grande Vitruvio. Quest'arco, che servi ad uso 
trionfale, fu da Teodorico utilizzato come porta della 
città, includendolo nel giro delle mura che egli fece 
elevare. Sopra l'arco erano le nicchie ove stavano le 
statue di quattro cittadini della famiglia Conia, in onore 
dei quali fu eretto, a quanto sembra, nell'anno 145 
di Cristo. 

Nel 1805, durante la dominazione francese, queste 
Arco fu demolito, più che per ragioni militari allora 
accampate, per un dispetto alla popolazione a cui i 
Francesi non sapevano perdonare le Pasque del 1797, 
né l'antica devozione alla Repubblica Veneta. 

Arco di Giove Ammone e fontana di piasia 
Erbe. — Un altro arco romano, del quale ora noD 
si hanno più vestigia, dedicato a Giove Anmione, 
sorgeva sul quadrivio del Corso venendo da Santa 
Eufemìa. 

Infine la statua di donna, che 80i|;e sulla fontana di 
piazza Erbb, fu trasportata per ordine del Consolare 
della Venezia dal Campidoglio al Foro ai tempi di 
Teodosio. Secondo una leggenda popolare, che nulla 
documenta, nell'anno 860 fu posta sulla fontana ne) 
luogo ove ancora si vede. Essa è intesa a rappresen- 
tare simbolicamente Verona colla corona in capo ed un 
breve in mano nel quale è la scritta : 



EST . JVSn . LATRIX 
, HAIC . ET . LAVDIS . AMATRIX. 



MONUMENTI MEDIOETALI 

Verona è ricchissima di monumenti del medioevo — taluno dei quali di primissima 
importanza — tanto che su di essi si può agevolmente rievocare la storia di questa 
città, che nei bassi tempi, alla caduta dell'Impero romano, ebbe parte importante 
nelle vicende d'Italia, come prima capitale del conquistatore goto, poi di Alboino, 
fondatore del Regno longobardo, indi di Berengario del Friuli, l'effimero e più disastroso 
degli stéssi dominatori stranieri, re italiano. 

Sul colle di San Pietro, ove al tempo di Roma oltre al Campidoglio sorgevano il 
tempio di Giano, le Terme, il Teatro, Teodorico fece erigere il proprio palazzo del 
quale non rimangono più traccie, se non in alcuni ruderi di muraglie» tali giudicati 
dagli eruditi. Teodorico, nell'intento di assicurarsi contro gli invasori del nord la 
pingue conquista, prima di trasferire la sua Corte a Ravenna, pensò di fortificarsi io 
Verona, ed a tal uopo ordinò quella seconda cinta di mura che da lui prese nome, 
la quale dalla sponda dell'Adige vicino all'arco dei Gavi andava alla sponda del- 
l'Adige vicino alla chiesa del Crocefisso, e da Santa Maria in Organo andava fino a 
Santo Stefano, racchiudendo così nella cinta della città il colle di San Pietro, ov'era 
il palazzo regio. Di questa cinta si hanno molti avanzi. 

Il Cristianesimo entrò in Verona nel primo secolo, ma vi si diffuse in ispecie per le 
predicazioni di San Zeno che ne fu uno dei primi vescovi, forse Fottavo. Mancano le 
notizie delle prime chiese o ritrovi dei Cristiani in Verona, quando la nuova fede, già 



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V«Pona 23 



Pig. 7. — Verona; Porta maggiore della Basilica di San Zenone 
(da fotografìa deirEmilia); 

potente per numero di adepti e fermezza di coscienza, era oggetto delle feroci perse- 
cuzioni neroniane, domiziane e diocleziane. Solo dopo un secolo, dacché per Teditto 
di Costantino il Cristianesimo era consentito nelP Impero romano, si hanno notizie 
delle chiese esistenti in Verona. Queste nel secolo V dell'era nostra furono: la chiesa 
che si disse scavata nel monte Castiglione presso alla chiesa dei Ss. Nazzaro e Celso ; 
-^ la chiesa di San Procolo presso la basilica di San Zeno, ora chiusa al culto; -^ la 
chiesa di Santo Stefano, distrutta nel 524, quindi riedificata e più volte restaurata; — 
la chiesa di San Pietro in Castello, sul colle di San Pietro, distrutta nel secolo scorso 
per la costruzione della grande caserma dominante quell'altura; — la chiesa di 
San Zeno, già esistente nel 589 presso al luogo nel quale sorse poi la celebre basilica ; 
— la chiesa di Santa Maria Matricolare, sulla quale poi sorse Fattuale duomo. 

Durante il periodo longobardico, in cui fu per tre anni capitale del regno fondato 
da Alboino, e perciò sede di uno fra i più potenti duchi di quella oligarchia politico- 
militare, furono costruite varie chiese, delle quali taluna, e col nome e rinnovata, è 
giunta fino a noi: così la chiesa di Santa Maria in Organo, colPattiguo monastero; — 
la chiesa sotterranea di San Fermo Maggiore; — il palazzo Vescovile, più volte 
distrutto e rifatto, ed altre molte che ora non mette conto il rammentare. 



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Parte Prima — Aita lUlia 



Fi>. 8. — Verona : Basilica di San Zenone e Torre detta di Pipino 
(da fotografia deirEmilia). 



Basilica di San Zenone (fig. 8). — Ma il primo 
e grandioso monumento che Verona eresse alla fede, e 
col quale ebbe la gloria di segnare un punto importante 
nella storia delFarte italiana, è la basilica insigne di 
San Zeno o Zenone che voglia dirsi, posta nella parte 
occidentale della città, allora fuori delle mura di Teo- 
dorico ed oggi pure in luogo assai eccentrico e soli- 
tario, tra TAdige e le mura delPultima cinta. Dove 
ora sorge la monumentale basilica, la pietà dei Vero- 
nesi aveva eretto un tempio dedicato al primo vescovo 
predicatore della fede fra di loro; ma, decrepito e 
cadente, venne ricostruito, come il Biancolinì ed altri 
asseriscono, ai primi tempi dei Carolingi. Si vuole, 
infatti, che verso Tanno 8i0 Pipino, figliuolo di Carlo- 
magno, al quale era toccato il regno d'Italia ed aveva 
posta la sua sede in Verona» come i primi re longo- 
bardi, ed a Verona era molto aflezionato, abbia posto 
mano alla riedificazione di San Zeno. Si dice altresì 
che, essendo stata questa basilica grandemente dan- 
neggiata per le incursioni e devastazioni fatte dagli 
Ungheri, fu riparata e migliorata dal vescovo Raterio 
con danaro datogli dall'imperatore Ottone. Tale è la 
tradizione mantenuta costantemente dai Veronesi in- 
tomo al principale monumento sacro. Il Persico prima, 
ed il Darteim poscia, vollero questo edifìzio fattura 
della prima metà del secolo XI. Ma un accurato esame 
deiredifizio e più minute indagini fanno risalire gli 
inizi di questa fabbrica alla seconda metà del secolo X, 
iotomo al 961 . Perciò il San Zeno di Verona, come 



il Sant'Abbondio di Como, sarebbe uno di quegli edifizi 
tipo da cui figliarono, nel secolo successivo, le catte- 
drali di Parma, di Modena, di Ferrara, di Trento, di 
Verona stessa, per dire solo delle maggiori, aventi la 
impronta propria di contemporaneità, di uguale deri- 
vazione artistica che è loro caratteristica: l'origine, 
cioè, il carattere, la forma dell'arte lombarda. 

La facciata di San Zenone è semplice. La porta mag- 
giore (fig. 7), a colonnine e ad archetti sovrapposti l'uno 
all'altro, spicca in largo sfondo, fra molti ornati cui 
dà maggior risalto l'atrio estemo, formato da quattro 
colonne sorrette due da leoni contornati da animali 
strani e da grotteschi emblemi e due da figure umane 
piccole, tozze e quasi schiacciate sotto il peso. La fac- 
ciata è ornata da un bel comicione che corre in giro 
e da un coperto terrazzino, sopra il quale nel mezzo 
della facciata s'apre, magnifico per ornati e propor- 
zioni, jl tipico rosone degli edifizi lombardi. Nella 
fronte, ai lati della porta, sono rozzi bassorilievi dei 
secolo XI, dovuti a Nicolaus e Wuillelmus, il quale 
ultimo vuoisi sia stato anche l'autore di scolture con- 
simili ornanti la fronte del duomo di Modena. Rap- 
presentano fatti biblici ed allegorici — tra cui la leg- 
genda del re Teodorico, che un giorno cacciando si 
vide inseguito da un cervo mandato dal demonio — 
i mesi dell'anno e fasti della vita di San Zenone. 

Il corpo interno dell'edifizio è diviso in tre navate : 
grandioso nella sua semplicità, mirabile perla statica, 
perchè la navata maggiore, altissima, slanciata, poggia 



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Verona 



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Fig. 9. — Verona : Chiostro di San Zenone (da fotografia deirEmilia). 



sa sottili ed eleganti colonne, taluna delle quali è pro- 
ireniente dagli antichi edifìzi romani della città. L'al- 
ternarsi dei lunghi pilastri cordonati alle colonne di 
sostegno delle arcate dà alPinterno di Sao Zeno aspetto 
bellissimo, erario, che suscita una indimenticabile im- 
pressione di ammirazione. Il cielo o palio è in legno, 
ma ben scompartito e lavorato a carena di nave ; la 
cupola sopra il santuario è alta ed agilissima. Il san- 
tuario, spazioso ed armonico, è rialzato sopra una 
cripta confessione, nella quale, fra le altre tombe di 
vescovi personaggi illustri, trovasi quella di S. Zeno. 
Anche nella cripta sono colonne dì marmi finissimi 
vegnenti da antichi edifizi deirèra romana. La cripta, 
per quanto interamente nel sottosuolo, è ampia quanto 
la chiesa superiore, ariosa, ben illuminata e difesa dal 
rivestimento marmoreo dall'umidore solito a prodursi 
m simili luoghi, specie se non lontani, com'è questo 
tempio, da un fiume ricco d'acque e sovente allagatore 
della città, come fu fino ai nostri giorni l'Adige, 
prima che i poderosi muraglioni costrutti dopo il di- 
sastro del 1882 ne regolassero ed imbrigliassero il 
corso. 

Oltre la speciale ed interessantissima sua archi- 
tettura, molte cose notevoli olire San Zeno al visi- 
tatore : ricorderemo il grande afiresco sull'alto della 
navata centrale attribuito a Giotto, ma certo di carat- 
tere giottesco ; il trittico del Mantegna, che si trova 
nel coro di fianco all'altare maggiore, dipinto mandato 
insieme a tanti capolavori dell'arte nostra nel 1797 a 

48 -~ Ij» Patria, voi. I, parta 2*. 



Parigi ; il coro, mirabile lavoro d'intarsio e di scoltura 
in legno del secolo XV; due gruppi di quattro colonne 
scolpite su un sol blocco di marmo rosso bruno di 
Verona, lavoro condotto con maestria e sicurezza di 
scalpello meravigliosa ; una vasca antica di porfido, 
di oltre 2 metri di diametro, che già serviva per le 
abluzioni dei fedeli ; molti capitelli delle colonne della 
cripta e delle navate con caratteristiche e simboliche 
scolture medioevali, ecc. ecc. 

Quali siano stati gli artefici del San Zenone ci è 
ignoto ; ma — come osserva il ^lerzario — il sapersi 
che in Verona tennero lunga sede i Longobardi, co- 
minciando da Alboino; l'aversi i documenti che sotto 
i Longobardi e poi sotto i Carolingi operavano quasi 
soli nelle grandi costruzioni i maestri comacini ; l'or- 
dine del disegno e la qualità del lavoro di quanto 
sopravanza di antico, ci manifesta che autori princi- 
pali del San Zenone dovettero essere e furono artefici 
comacini. Gli emblemi peculiari e simbolici che for- 
mano una specie di linguaggio occulto; i leoni posti a 
guardia del tempio, di una forma singolare tra il leone 
ed il grifo, che dopo l'SOO i Comacini introdussero e 
mantennero per secoli nelle loro costruzioni, ci forni- 
scono validi argomenti non solo di probabilità, ma di 
certezza della scuola e dell'origine del San Zenone. 
Anche l'incontro dell'architetto comacino, che prima 
del mille andava e veniva da Verona al suo lago ed 
assalito dai ladri invocava S. Zenone, ed in suo onore 
con squadre dei suoi operai edificava una chiesa presso 



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Parte Prima — Alta Itolia 



Fig. 10. — Verona : Facciata del Duomo (da fotografia delFEmilia). 



Cìsano, e prima ancora Tatto autentico dei due Tin- 
chierì Domenico e Pietro che fanno dono di un loro 
terreno all^oralorio di San Zenone di Campione, sono 
prova di induzioni che Verona era frequentata allora, 
come di poi, da maestri comacini che vi spiegarono la 
loro arte, visibilissima nel San Zenone. 

Attiguo alla chiesa era il convento dei Benedettini, 
che la officiavano e custodivano. Di questo grandioso 
edifìzio la parte oggidì interessante è il mirabile chio- 
strino a colonne binate elegantissime (fig. 9), che in 
più modeste proporzioni ricorda quello di San Gio- 
vanni in Laterano di Roma. È opera del secolo XI e 
fu restaurato nel 1123. Quivi sono alcune tombe sto- 
riche; ricordiamo quella di Ubertino Scaligero, priore 
del convento, uomo dotto ed amico di Dante, che 
quivi spesse volte recavasi a visitare i frati ed a con- 
sultare i loro libri ; e di Farinata degli liberti, al pari 
di Dante fuoruscito fiorentino di parte ghibellina, 
parente al Farinata celebre, immortalato nel divino 
poema. 



Presso il chiostro havvi l'antico cimitero dell'Ab- 
bazia, da secoli abbandonato. Quivi mostrasi un sar- 
cofago, nel quale la tradizione e la scritta non autentica 
volevano fosse sepolto Pipino re d'Italia. 

Altissimo è il campanile, in cotto con incastri in 
pietra da taglio e marmo. Fu cominciato nel i0i5 da 
un abate Alberigo e terminato nel 1178. 

Sul piazzale del San Zeno, a destra della basilica, 
sorge un'alta torre massiccia e quadrata in cotto, or- 
nata alla sommità di merli ; la leggenda popolare la 
dice eretta dal re Pipino, e perciò viene chiamata la 
Torre di Pipino. (ìerto che essa è molto antica, e 
formava una volta buona parte del palazzo che servi 
alcun tempo di dimora ai vescovi e dove soggioniarono 
più volte, tra il XU ed il XIII secolo, gli imperatori, 
quando venivano a Verona. Parecchi diplomi furono 
datati da tal luogo. Il Muratori ne registra uno di 
Federico Barbarossa, che incomincia : Cum Federicus 
Romanorum Imperator apud Veronam in Palatio 
S, Zenonit cum maxima Curia essel, eie. 



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Verona 



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Pig. 11. » Verona: Porta principale del Duomo (da fotografìa deirEmilia). 



n Duomo (fig. iO). — Si fanno risalire le origini 
di questo magnifico tempio -^ che sorge in vicinanza 
deir Adige, nel punto in cui il fìume fa la sua curva mag- 
giore contro la collina di San Pietro — al secolo Vili, 
e nel luogo ove la cattedrale attuale sorge era prima 
la chiesa vetustissima di S. Maria Matricolare datante 
dal secolo VI. Ma a guardar bene la parte inferiore 
della facciata, perchè la parte superiore e Tintemo 
deiredifìzìo appartengono ad altro stile, si deve in- 
durne che tra Tuna e Tallra costruzione non può 
essere intercorsa grande distanza di tempo, né vi fu 
differenza di scuoia e di metodi nei primitivi loro 
artefici. 11 portale (fìg. 11), ch'è il motivo principale 
di questa parte della facciata, è in marmo rosso vero- 
nese, cogli stessi motivi spedalissimi delParchitettura 
lombarda che si vedono davanti a San Zeno e nelle 
altre cattedrali contemporanee, o quasi, delPEmilia e 
di Trento, e lo si ritiene opera dello stesso Nicolaus che 
esegui quello di San Zenone. Le colonne che sorreg- 
gono Tarco del breve portico poggiano su due grifi o 



leoni alati; e come nel duomo di Modena, sopra Tarco 
del portico poggia un loggiato ad un solo arco con 
tetto a cuspide. Le scolture che ornano ai lati ed agli 
stipiti la porta non sono dissimili per fattura e per 
carattere da quelle ornanti i già citati monumenti. 

[Notevoli però, ai lati della porta, le due statue 
maggiori rappresentanti i due paladini che la leggenda 
pone a compagni di Carlo Magno nelle sue più famose 
imprese : Orlando ed Oliviero. Il primo si riconosce 
dal nome che è scolpito sulla lama della sua spada, 
Durindana, Taltro non può essere che Tindivisibile 
compagno del primo. Oliviero, invece di spada, porta 
una mazza ferrata con catena, in fondo alla quale è 
una palla di ferro irta di punte. È vestito di maglia, 
da cui ha coperta la gamba sinistra, ma non la diritta, 
ed ha lo scudo cuneato. Livio affibbia un simile co- 
stume agli antichi Sanniti. I tre busti in alto con le 
iscrizioni Fides, Spts, Chariias, la leggenda vuole 
rappresentino la madre e la moglie di Carlomagno e la 
moglie di Desiderio. 



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Parte Prima — Alla Italia 



Fig. 12. — Verona : Abside del Duomo (da fotografia dell*£miiia). 



Nel secolo XV la parte superiore delia facciata e 
rinterno del tempio vennero trasformati nello stile 
gotico-lombardo, allora diventato di gran moda in 
Italia e fuori ; sulla facciata furono tirate le due lunghe 
finestre ogivali che tanto disdicono alla sua parte 
centrale. 

Ije navate airinterno furono voltate ad arco acuto, 
n tempio perdette della sua primitiva ed austera sem- 
plicità; ma non rimase per questo meno nobile e 
grandioso. Antichissima, nella sua parte esteriore, è 
Tabside semicircolare (fig. 12-13), serbante tutta la 
caratteristica delPantica arte lombarda. 

Tra le memorie storiche che in questo tempio si con- 
servano, notevole la lunga iscrizione deir846, scolpita 
sulla tomba di Pacifico Arcidiacono, che è documento 
di notizie yeronesi ; poi quelle di Notcherìo del 928, 
dì Bonincontro del 1298. In questo tempio, coirin- 
tervento di papa Lucio III e di Federico Barbarossa, fu 
tenuto nel 1185 il Concilio che preluse alla sfortunata 
crociata tedesca in Terra Santa, condotta dalf impe- 
ratore medesimo che vi lasciò la vita; papa Lucio 
morì in Verona e fu sepolto in questo tempio in un^arca 
di pietra t fianco delFaltar maggiore. 11 suo successore 
Urbano III, eletto in Verona alli 13 settembre 1187, 
dedicavi solennemente il tempio. Quivi sono pure i 
monumenti sepolcrali del cardinale Colonna ; del padre 
Antonio Cesari, la cui iscrizione fu dettata dal Gior- 



dani; di monsignor Comboni, missionario in Africa e 
viaggiatore Ulustre ; del cardinale Agostino Valerio, 
alla munificenza del quale la chiesa deve un generale 
restauro ; del cardinale Noris e d'altri prelati. 

Fra le cose d'arte si raccomandano in questo tempio 
Y Assunta del Tiziano e i dipinti del Balestra, del Giol- 
fino, di Gian Maria Falconetto, del Burato, del Bni- 
sasorci, del Cignaroli, del Morene, deirUgolini, del 
Manin e d*altri meno famosi ; fra le scolture ammi- 
rabili i pilastri con candelabri in pietra di Verona, 
opera del secolo XVI ; l'arca di Sant'Agata, coperto 
da padiglione con bassorilievi e statue, lavoro del 
secolo XIV, dei primordi del Rinascimento. 

Il campanile, non compiuto, fu disegnato dal San- 
micheli, e la sua base è romanica. 

San Giovanni in Fonte. — Vicino alla Catte- 
drale, ed antica quant'essa, è la chiesa di San Gio- 
vanni in Fonte, presso alla quale sì veggono avanzi 
dell'antichissima chiesa di Santa Maria Matricolare. 
Abbattuta da un teiremoto, venne riedificata dal ve- 
scovo Bernardo. Il fonte battesimale, dì un sol pezzo 
di marmo, ha m. 9,50 di circonferenza. Le scolture 
a bassorilievo che lo ornano rappresentano fatti della 
vita di Gesij ed hanno la fattura ingenua e rozza delle 
scolturc primitive. 

Palazzo Vescovile. — Sulla stessa piazza è il 
palazzo Vescovile» dì notevole antichità, più volte 



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Verona 



29 



Fig. 13. — Verona : Porta laterale all'abside del Duomo. 



manomesso e restaurato ed ora ridotto ad aspetto mo- 
derno. Quivi abitò papa Lucio HI dal 1184, durante 
il Concilio, fino alla sua morte ; e quivi fu tenuto il 
conclave per la elezione di Urbano III. Vi si conser- 
vano buone pitture del Bnisasorci, del Caroto, del- 
rUgoUni e di altri. Nel cortile è una colossale statua 
di Alessandro Vittoria da Trento. La porta (fig. U) 
in istile del Rinascimento (1502) si dice disegnata 
dal valente Fra Giocondo da Verona. 
Sant'Elena. — Del secolo IX è pure la chiesa di 



Sant'Elena, vicino alla Cattedrale. Fu fondata da Pa- 
cifico Arcidiacono e dedicata dapprima a San Giorgio. 
Quivi si vuole che Dante nel 1320 sostenesse la tesi : 
De duobus elementis: terrae et aquae. Vi sono dipinti 
del Brusasorci, del Falconetto, del Caldadella, del Ca- 
roto e d'altri buoni artisti. Nel sotterraneo sì conserva 
un bel frammento di mosaico, del secondo secolo, 
ritenuto ornamento d'un porticato del periodo romano. 
Il chiostro attiguo a questa chiesa ha belle colonnine 
binate in marmo rosso del secolo XII. 



Tra il secolo IX ed il XII, oltre di quelle descritte, si ricordano nelle cronache 
veronesi come compiute le seguenti fabbriche sacre o profane: le mura di Verona, 
rifatte per ordine di re Pipino, nella direzione di quelle di Teodorico; — la chiesa di 
Santa Maria in Organo; — la chiesa ed ospedale di Sant'Apollonia (915), descritti; — 



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Parte Prima — Alla Italia 



la chiesa dei Santi Siro e Libero (922), poi rinnovata; — la chiesa di Sant'Anastasia, 
poi, come si vedrà, magnificamente rinnovata; — la chiesa di San Fermo Maggiore, 
ampliata nel 1065 e trasformata di poi, ed altre di minore importanza, ora scomparse 
trasformate ad altro uso. 



Palazzo della Ragione. — È Fantìca sede del 
Comune glorioso di Verona, che si nobile parte ebbe 



Fig. 44. — Verona: Porta del Palazzo Vescovile 
(da fotograQa deirEmilia). 

nella lotta memoranda per le libertà comunali contro 
Federico Barbarossa, facendosi promotore della famosa 
lega che a Legnano doveva debellara la (superbia im- 
periale. Sorge nel cuore della vecchia città in vici- 
nanza di piazza Erbe, ed è il primo e più cospicuo 
monumento civile che della Verona medioevale ci 
rimanga. 

Fu eretto in un momento di grande splendore e 
potenza pel Comune di Verona sullo scorcio del se- 
colo XII (1193-97); essendo podestà del Comune il 
milanese Guglielmo dall'Ossa. È un edilizio massiccio e 
-mndioso, che ebbe non poche manomessioni ed avarie 



nel tempo in cui gli animi popolari erano eccitati da 
sciagurate fazioni, e per il caprìccio e Tinstabile gusto 
dei vani reggitori fu haroccamente detur- 
pato e trasformato. Da qualche anno, con 
provvido ed illuminato consiglio, il Comune di 
Verona fa eseguire lavori per ricondurre — 
in quanto ora è possibile — Tantica sua sede 
al primitivo aspetto, al suo severo carattere. 
La facciata, in mattoni a vivo, ripulita e siste- 
mata, impone colla nuda sua semplicità. Gnmde, 
vario, pittoresco è il cortile, completamente 
restaurato. Notevole la scalinata estema del 
secolo XV, ricordante in parte il motivo della 
scala del Bargello a Firenze (fig. 15-17). In 
un angolo sorge la robusta torre merìata, ove 
erano le prigioni, altam. 94 ed eretta nel 1 172. 
Il lato del palazzo verso piazza Erbe fu restau- 
rato nel 1810, con non troppo felice risultato, 
da Giuseppe Barbieri. 

Attiguo è Tedifìzio ora adibito a sede dei 
Tribunali, nel quale sono notevoli le belle fine- 
stre della fronte sul Iato della or via Oiroli, 
disegnate dal Sanmicheli, del quale è pure la 
porta in istile jonico del cortile. Curiosissima è 
la parte intema, in marmo, tutta a trofei di 
armi, di cannoni, di obici, di bombe, tamburi, 
eretta a spese dei bombardieri della Serenis- 
sima residenti a Verona, quale attestato del 
loro affetto per questa città. In linea d*arte 
non ha gran valore, ma per la sua stranezza 
ed originalità è degna a vedersi. 

Piazza dei Signori. — Attigua al palazzo 
della Ragione è la piazza dei Signori, nel cui 
centro è la statua a Dante, fiancheggiata dal 
mirabile edifizio della Loggia del Consiglio — 
di cui parleremo toccando dei monumenti ve- 
ronesi del Rinascimento — e del palazzo dei 
Giureconsulti, eretto nel 1272 da Mastino I 
delia Scala. Quivi Can Grande ospitò, con onori 
che gli meritarono l'immortalità della dedica 
della terza cantica del divino poema. Dante. 
Una lapide apposta dal Comune sulla fronte del 
palazzo, ora in via di restauro dalle deturpazioni di cui 
fu fatto segno nel perìodo barocco, rìcorda il solenne 
avvenimento. 

Attiguo è il palazzo della Prefettura, nella sua fronte 
orìentale in gran parte restaurato. Fu pure abitazione 
degli Scaligeri, che lo fecero ornare di pitture da 
Giotto e dairAltichierì : pitture oggidì perdute sotto 
gli intonachi e le manomissioni, a cui nel corso dei 
secoli e pel volgere dei più disparati eventi, questo 
edifizio fu soggetto. 

Il bel pozzo attiguo alla piazza dei Siguorì, scavato 
nella seconda metà del secolo XV, è ornato da una 



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Verona 



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Fig. 15-16. — Verona: Scalinata esterna del Cortile del Palazzo della Ragione 

(da fotografìa Lotzb). 



magnifica vera o anello puteale con colonnette e capi- 
telli ornati, ed è considerato fra i più beili del genere 
che si conservino in Italia. 

Dalla piazza dei Signori, ove risorge àncora, per chi 
sa evocarla, Tanima nobile e fiera della Verona ghibel- 
lina del medioevo, è breve il passo alla vicina piazza 
Erbe, il punto tipico della vita popolare della città. 

Piazza Erbe (fig. 18). — Fu questa senza dubbio 
il centro dell'antica città romana e medioevale, ed è 



ancora il ccnti'o virtuale, interessante e pittoresco, 
della Verona moderna. 

Anticamente la piazza Erbe era il Foro civico, e 
come fu già accennato più sopra parlando delle an- 
tichità romane, Valerio Palladio, proconsole di Ve- 
nezia nel terzo secolo imperando Teodosio, fece qui 
portare la statua che ora adoma la fontana, e che sim- 
bolicamente rappresenta la città. Il fatto è accertato da 
una iscrizione che si consei*va nel Museo Lapidario. 



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Parte Prima — Alla Italia 



Fig. 17. — Verona : Cortile del Palazzo della Ragione (da fotografia deirEmilia). 



La fontana pubblica, sulla quale la statua venne 
coUocata, fu eretta nel 1368 da Cansignorìo della 
Scala, e venne fatta restaurare dal Governo veneto 
più volte. 11 popolino ha una speciale venerazione per 
questa statua, alla quale attribuisce un pò* la benefica 
virtù dei Benati, e bonariamente la chiama col nome 
di Donna Verona, 

Nel mezzo della piazza havvi una piccola tribuna in 
marmo con ombracolo cuspidale, poggiata su quattro 
colonnette. È di là che veniva proclamata la elezione 
del podestà e che i banditori annunziavano al popolo 
le leggi e le deliberazioni del Comune. Più tardi servi 
come berlina ai falliti, ai debitori, ai bestemmiatori, 
ai falsari ed altri consimili delinquenti. 

Nel fondo della piazza, davanti al fastoso palazzo 
Mnlìei, sorge la magnifica colonna di marmo d*un sol 
pezzo, innalzata nel 1524 da Venezia come segno del 
proprio dominio. Il leone di San Marco che stava 
sopra al capitello, nei tumulti popolari del 1797 venne 
abbassato e fatto a pezzi. Più tardi fu sostituito da 
quollo che ora si vede, opera dello scultore Poli. 

Li piazza è assai vasta e di forma ovale. Da tempo 
immemorabile vi si tiene il mercato quotidiano della 
verdura, delle erbarie e delle minute mercerie su 
banchi ben disposti e sotto immensi ombrelloni vario- 
pinti, che nelle ore mattinali, fra lo stipare di mia 



folla multiforme, danno alla scena una impronta tutta 
sua, originalissimo soggetto non di rado di buoni quadri 
a celebri artisti. 

Importanti e vani sono gli edifizi che su tre lati 
circondano la piazza Erbe. 

Ricordiamo innanzi tutto la Casa dei Mercanti, 
edificata nel 1210 ad uso dell'arte dei lanieri, rinno- 
vata e compiuta quasi un secolo appresso, nel 1300, 
ad opera di Alberto I Scaligero, perchè vi si stabilisse 
la corporazione dei mercanti a ti-altarvi de' suoi aiTari 
ed a giudicare delle questioni di commercio. Sulla 
fronte vei*so la piazza era collocata una statua della 
Madonna^ opera pregevole del veronese Gerolamo 
Compagna, che poi fu tolta e collocata nella casa dei 
Canonici presso il Duomo. Nel corso dei secoli questo 
edifizio, per tante ragioni cospicuo, subì gravi detur- 
pazioni. Ma dacché, nei tempi nostri, è diventato sede 
della Camera di commercio, lo si va con grande cura 
risarcendo dei vandalismi passati e restaurando in ogni 
sua parte, onde già appare, sulla fronte della piazza e 
nell'angolo della via Pellicciai, quale era in origine, 
ottimo saggio dell'archi lettura civile nel medioevo. 
Sulla facciata di questo Iato della casa si notano af- 
freschi — assai deteriorati dalle intemperie — del 
Liberale, e poco lungi, verso la piazzetta di S. Marco, 



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Verona 



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Fig. 18. — Verona: Piazza Erbe (da fotografia). 



oVera Tedifizio delle carceri, notansi eccellenti dipinti 
a chiaroscuro della scuola di Andrea Mantegna e, molto 
probabilmente, di Gian Maria Falconetto. 

Altro edifizio medioevale su questo iato della piazza 
è la Torre del Gardello, detta anche della Gabbia, 
perchè ad una certa altezza era la gabbia in ferro ove 
mettevano i condannati a questo strano e feroce sup- 
plizio. Su questa torre, eretta da Cansignorìo della 
Scala nel 1370, fu collocato il primo orologio a bat- 
taglio che funzionasse in Verona. La campana, tolta 
nel 1797, si conserva nel Civico Museo. 

Notevoli sono pure nel circuito della piazza altri 
edifizi colle facciate dipinte a fresco. Ricordiamo la 
casa detta dei Mazzanti, già abitazione di Alberto 
della Scahi, con affreschi del mantovano Cavalli ; la 
casa Cobianchi con affreschi di Domenico Brusasorci, 
ed infine la casa Ghiglieri con dipinti del Caroto. 

Sul lato orientale della piazza sorge la giù rammen- 
tata Torre del Comune, cominciata nel 1 1 72 dalla fa- 
miglia dei Lamberti, ma che non fu terminata se non 
nel secolo XV. Quivi è la grandissima campana detta 
RengOj perchè i suoi rintocchi servivano a radunare 
il popolo in piazza, nei tempi del libero Comune, a 
discutervi e deliberare sui negozi dMnteresse generale. 

Passando per il porticato Barbaro — cosiddetto 
perchè sotto quel vòlto fu, secondo la leggenda popo- 
lare smentita dai documenti, nel 1277 assiissinnto Ma- 
stino I della Scala — in pochi passi si è in piazza dei 
Signori, attraversata la quale, per un altro arco, di- 
rimpetto al precedente, si giunge alla piazzetta di 
Santa Maria Antica, ove sono le tombe degli Scaligeri. 

Santa Maria Antica e le tombe degli Sca- 
ligeri. — Basterebbe questo piccolo recinto per dare 

44 — Ea Patria, voi. I, parta 2*. 



fama ad una città ed attirarvi quanti hanno il culto 
delle belle arti e delle memorie storiche. 

Le origini di Santa Maria Antica si fanno risalire 
alla metà del secolo Vili ; ma Tedifizio fu evidente- 
mente e più volte rinnovato, specie da quando diventò 
cappella gentilizia degli Scaligeri, abitanti il contiguo 
palazzo, e che nel suo sagrato vi eressero le arche dei 
loro maggiori. 

L*estemo della chiesa nulla presenta di notevole 
airinfuori del mausoleo di Can Grande I, che fu Tamico 
ed il protettore di Dante, morto a Treviso nel 13^; 
il morto principe è steso sul sarcofago poggiante sul- 
Tarchitrave della porta. Ma sulla cuspide mozza, or- 
nata agli spigoli di gattoni, è ritratto su cavallo bar- 
dato, colla celata alzata e Telmo piumato. 

Neirintemo una lapide di fianco alPaltar maggiore 
ricorda commessa sia stata consacrata nel 1177 da 
papa Alessandro III colFintervento di quindici cardi- 
nali e del marchese Ermanno, governatore per Tim- 
peratore della Marca Veronese : lapide poco veritiera, 
perchè in quel tempo Alessandro III era a Ferrara. 
La consacrazione generale della chiesa risale al 1185. 

Nell'antico sagrato della chiesa furono successiva- 
mente collocate le arche degli Scaligeri. Recinge 
Questo sepolcreto, che, nel suo genere, non ha uguale 
nel mondo, uno zoccolo di marmo rosso veronese, 
sopra il quale, fìssa a pilastrini sormontati da statue, 
havvi una cancellata di ferro a maglie intersecata da 
9cale — emblema della famiglia di quei potenti vicari 
imperiali — lavoro stupendo del tempo. 

li primo monumento sulFangolo verso piazza Dante è 
la sepoltura di Mastino II .della Scala (fig. 19), morto 
il 3 giugno 1351, che la volle vedere eretta prima di 



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Parte Prima — Alta Italia 



morire. È opera d*uD Ferino di Milano, del quale non si 
hanno altre notizie. Consta di un'arca sorretta da quattro 
pilastri, sopra la quale si erge un magnifico ombracolo 
cuspidate, a quattro arcate gotiche trilobate, ornate 
agli angoli da edicolette cuspidali entro le quali sono 
statuette simboliche. Altre statue sono nei frontoni 



Fig. 19. 

Verona : Tomba degli Scaligeri. Mastino II 

della Scala (da fotogr. dell'Emilia). 

acuti soprastanti i quattro archi. La piramide dell'om- 
bracolo è mozza e fa da basamento alla statua equestre 
dell'estinto, armato di tutto punto, colla lancia, come 
se dovesse partire in guerra. L'arca è finamente lavo- 
rata : su di essa è ritratto Mastino sul Ietto di morte, 
ed ai quattro angoli sorgono quattro statuette di santi. 
Napoleone 1, quando fu di passaggio nel i797 per 
Verona, non sì fece scrupolo di fare aprire sacrìlega- 
mente quest'arca e di togliere l'elmo e la spada di 
Mastino II per mandarii a Parigi ! 

Dall'altra parte del recinto sorge il monumento- 
sepolcrale di Cansignorio della Scala (fig. 21), uno dei 
più grandiosi e ricchi che si conoscano nel mondo. 
Scipione M allei, nella sua Verona illustrata, cosi ne 
parla: « Cansignorio, che morì nel 1375, volle prìma 
prepararsi il sepolcro ed avanzare in ciò la magnifi- 
cenza degli antecessorì. Non può certamente essere 
piò superbo, supposta l'angustia grande del sito. Ha 
sei faccie ed è sostenuto da sci colonne, che reggono 



prìma un piano di bel marmo antico, sopra il quale 
sta la grand'arca tutta istorìata... Sei altre colonne 
reggono l'altissimo fastigio, sulla cima del quale fa 
bella mostra lo Scaligero a cavallo. Il tutto è cosi 
operosamente ornato e con tanta spesa lavorato, che 
di maniera gotica, come suol chiamarsi, diffìcilmente 
si troverà cosa più nobile, più bella. L'iscrìzione è 
intomo nel fregio ed è già stata pubblicata con l'altre 
da più d'uno dei nostrì, ma senza avere avvertito che 
altra ne si ha nel prìmo e più basso listello col nome 
dell'artefice : Hoc opus sculpsit et fecil Boninus de 
Campiglione Mediolanensis Dioecesù ». 

Il Merzario, sempre sollecito ove si tratta di illu- 
strare rivendicare la gloria dei maestri comacini, 
scrive in proposito : « Come i Torriani a. Chiaravalle, 
i Visconti a Sant'Eustorgìo e altri signori in altri 
luoghi, cosi gli Scaligeri, liberi pensatori dei loro 
tempi, eransì scelto non una chiesa o wi chiostro, ma 
una piazzetta presso Santa Maria chiamata V Antica 
per i sepolcri di loro famiglia. In queUa piazzetta co- 
minciò a sorgere un sepolcro a Mastino I della Scala, 
poi un altro che fu collocato sopra la porta della chiesa, 
composto di nn sarcofago e dì una statua equestre, a 
ricordo di Can Grande della Scala morto nel i3^, 
capo della fazione ghibellina, mecenate e ospite di 
letterati, fuorusciti e giullari, cui teneva alla sua ta- 
vola, amico delfesule Dante Alighieri che accolse alla 
sua Corte. Dopo quei due fu innalzato un terzo mo- 
numento, che superò in magnificenza i primi due, 
quello di Mastino II, mancato ai vivi nel 135i. Dei 
sepolcri di Mastino I e di Can Grande non si cono- 
scono gli autori; leggesi, sebbene a grande stento, 
sulle quattro colonne ai quattro angoli il nome del- 
l'autore del sepolcro di Mastino II, che è un Perino o 
Piarino milanese. Questo home lo si incontra nei 
registri del duomo di Milano sotto la data del 6 feb- 
braio 1395. Era bravo artista, fratello di Giovannino 
de' Grassi, altro artista dell'Agro comacino ; per con- 
seguenza il Parino o Perino cbe scolpì in Verona potò 
essere lui stesso o un suo antenato di ugual nome. 
« Allato alla tomba dei suoi maggiori sta quella di 
Giovanni della Scala, morto nel 1350, che sorse dap- 
prima nella chiesa dei Ss. Fermo e Rustico, e sop- 
pressa questa usci all'aria libera sulla piazzetta. — 
e Consiste, scrive il Calvi, nella semplice urna soste- 
nuta da due mensole assicurate nella parete. È lavorati 
con ornamenti di una eleganza, di uno stile al tutto 
precoce a quel tempo, che essendo dalla natura del- 
l'opera escluso l'arco, il capitello e le aguglie, potrebbe 
giudicarsi una delle gustose scolture della metà del 
secolo successivo. Le mensole vi sono adorne di bel- 
lissime e grandi foglie che assecondano la forma loro ; 
le nicchie nelle vòlte ornate a guisa di conchiglia; le 
figure sedute rappresentanti le Viriti pur esse com- 
poste e panneggiate siccome in quelle del monumento 
di Cansignorio, da non lasciare di essere opere di 
una stessa mano ». 

« Ecco dunque assegnata, all'ìnfuori di ogni contro- 
versia, questa elegantissima scoltura, sebbene man- 
cante di iscrizione, a Bonino da Campione, al quale 



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Verona 



35 



incontrastabilmente appartiene, per la chiara voce delle 
parole scolpite in pietra, il sepolcro di Cansignorio. 

« 11 merito di questa tomba splendida, per la cui 
creazione lo Scaligero, giovane di trentanni, ma che 
sentivasi consumare da incurabile malore, dispose la 
sonama di diecimila fiorini d*oro e che scelse artefice 
Bonino da Campione, non fu da nessuno contrastato 
ed andò sempre aumentando. È inutile esporre la 
descrizione dì questo sarcofago, che venne fatta da 
parecchi, e con minutezza da Gerolamo Calvi, il quale, 
nel toccare della forma architettonica, dice che Bonino 
in questa e nella tomba di Giovanni Scaligero (fig. 20), 
segnò, primo in Italia, quello stile di passaggio dd 
gotico ad greco-romano, che fu detto e dicesi ancora 
bramantesco da Bramante di Milano, al quale fu di 
esempio il Bonino. Il professore Defendente Sacchi, 
neiriUustrare Parca di Sant'Agostino in Pavia, dichiara 
che il monumento funerario di Cansignorio no)i è se- 
condo a nessun altro de* suoi tempi e anche di poi, 
tranne a quello di Gian Galeazzo Visconti nella Cer- 
tosa di Pavia. Ma questo, ei soggiunge, è opera col- 
lettiva di molti maestri che vi lavorarono intomo per 
72 anni, talché lo si può proclamare il primo mau- 
soleo d'Italia dall'età del Rinascimento fino alla morte 
di Canova >. 

Il Taine, che fii esteta, interprete e critico sapiente 
d'arte, cosi parla delle tombe scaligere nelle sue im- 
pressioni d'Italia : « In un recinto. .. presso Santa Maria 
l'Antica sono le tombe degli antichi sovrani della città, 
gli Scaligeri, che a volta a volta, o insieme, tiranni e 
guerrieri, politici e letterati, assassini e proscritti, 
grandi uomini e fratricidi, diedero, come i principi di 
Ferrara, di Milano, di Padova, esempio di quel pos- 
sente ed immorale genio che Macchiavelli ha descritto 
nel Pnndpt e messo in scena nella vita di Castmccio. 
Le prime cinque tombe hanno la semplicità e la pe- 
santezza dei tempi eroici. Sembra che Tuomo, dopo 
aver combattuto, ucciso e fondato, non chieda al se- 
polcro che un posto per dormire. Il macigno scavato 
che ricovera le loro ossa è solido e logoro come l'ar- 
matura che difendeva le loro membra. È un vagello 
enorme e massiccio di pietra nuda e d'un sol pezzo, 
rossastro, appoggiato su tre corti travicelli di marmo. 
Una lastra unica, grossa e senza ornamenti ne forma 
il coperchio, e, come diceva Amleto, « la pesante 
mascella » del sepolcro. Da questo mondo selvaggio, 
ove si scatenarono le ferocie di Ezzelino e dei suoi 
distruttori, si sviluppò un'arte. Dante e Petrarca fu- 
rono accetti a questa corte diventata letterata e ma- 
gnifica ; lo stile gotico, che dalle vette dei monti scende 
a Milano e da ogni parte impregna l'architettura ita- 
liana, viene a spiegarsi puro e completo nei monu- 
menti degli ultimi signori. Due di queste sepolture, 
specie quella di Cansignorio, sono nel loro genere 
preziose quanto le cattedrali di Milano e di Assisi. II 
ricco e delicato sviluppo di forme attorcigliate, sca- 
nalate ed acute, la trasformazione della mnteiia pe- 
sante in filigrana di merletti, il molteplice ed il com- 
plicato, ecco* ciò che ricerca il gusto novello. Al basso 
dell'epitafiìo alquante colonnette dai capitelli strava- 



ganti si collegano con una specie di tentacolo sterminato 
per portare sopra una piattaforma la tomba istoriata e 
la statua addormentata del defunto. Di qui si slancia 
un cerchio di alu*e colonnette, i cui archi dentati di 



Fig. -20. 

Verona: Tomba degli Scaligeri. Giovanni 

della Scala (d.i fotogr. doirCmilia). 

trifoglio si ricongiungono in una cupola adorna di 
lanterne e di campaniletti a fiorami, che vanno assot- 
tigliandosi e ammonticchiandosi come una vegetazione 
di spini. Al sonuno Cansignorio, montato sul cavallo, 
sembra la statua terminale d'un lavoro di orificeria. 
Delle processioni di figurine scolpite rivestono la tomba. 
Sei statuette in armatura e capo scoperto coprono gli 
orii della piattaforma e ciascuna delle nicchie del se- 
condo piano rinchiude una figura di angelo. Tutta 
questa fioritura e tutta questa popolazione formano 
come una piramide che si innalza come un mazzo di 
fiori in un vaso, e il cielo brilla attraverso i frastagli 
infiniti dell'ossatura. Per compiere la impressione, 
ciascuna tomba presa a parte ed il recinto tutto intero, 
sono rinchiusi in una di quelle cancellate cosi originali 
e così traforate, di cui si compiaceva l'arte del medio 
evo, specie di rete d'arabeschi, ricamata di trifogli a 
quattro foglie, adornata di ferri d'alabarde, coronata 
di spini a triplice dardo... ». 



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36 Parie Prima — Alta Italia 



Fig. 21. — Verona: Tomba degli Scaligeri. Cansignorio della Scala (da fotogr. deirEmilia). 

Le opere edilizie e di abbellimento della città più importanti compiute tra il 
secolo XIII ed il XIV, che fu il periodo d'oro della dominazione Scaligera, sono : il 
lastricato di piazza Erbe in marmo bianco, compiuto nel 1243; — la chiesa e l'ospedale 
di Sant'Antonio al Corso, compiuti nel 1211 ; — il monastero di Sant'Anastasia, inco- 
minciato nel 1260, e la chiesa alla stessa santa, cominciata dopo la metà del XIII secolo; 
— il palazzo Pretorio (ora della Prefettura), costruito nel 1272 e più volte rinnovato; — 
il palazzo dei Giudici, di fronte al Pretorio, in piazza dei Signori, eretto nel 1273, 
poi distrutto; — la chiesa di Sant'Eufemia, riedificata nel 1275; — le mura da porta 
Vescovo a porta Vittoria, erette da Alberto Scaligero fra gli anni 1283-87; — le mura 
lungo l'Adige da Castel Vecchio a San Zenone (ora distrutte), nel 1298; — la torre in 
capo al ponte della Pietra, nel 1298; — i pili del ponte Nuovo, che erano di legno, 
fondati in pietra da Alberto Scaligero nel 1299 e poi distrutti; — la chiesa di San Fermò 
Maggiore, rinnovata nel 1313; — le mura di Can Grande della Scala, erette nel 1324, 
in gran parte sul luogo delle odierne mura; — la torre del Gardello in piazza Erbe, 
1363; — gli Orti Scaligeri, 1363, distrutti, nel luogo ove è ora la piazza dell'Indipen- 
denza; — l'acquedotto derivato dall'Avesa, ad uso delle pubbliche fontane; — il primo 
orologio a battaglio sulla torre del Gardello, 1370; — il ponte delle Navi, 1373-75; — 
l'ospedale di S. Giacomo, 1383; — i portoni di Bra, la cittadella, nel 1389; — l'apertura 



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Verona 



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Pig. 22. — Verona : Chiesa di Sant'Anastasia (da fotografia dell'Emilia). 

della vìa Nuova tra la piazza Erbe e quella Bra, 1391; — il castello di San Pietro, 1393, 
terminato sotto i Veneziani; — ed una quantità di chiese e di oratorii, o distrutte 
non più aperte al culto, di cui è ora superfluo il parlare. 

di questo edifizio venne murata la grandiosa tavola in 
bronzo votata dal Comune e dalla Provincia di Verona 
a ricordo del coraggio e delfabnegazione dei soldati 
italiani durante la terrìbile innondazione da cui Verona 
ed il suo agro furono desolati nclPottobre del 1882. 
Attiguo al Castello Vecchio, ed anzi a questo legato 
per orìgine, per scopi e per nome, è il magnifico 
ponte, che si può dire uno dei più bei saggi di questo 
genere, non facile, di costi'uzione, che ci sieno venuti 
dal medioevo. La costruzione ne fu cominciata nel 
1354, ma non è rìcordato il nome delParchitetto. 
Forse non è induzione arrìschiata il supporre che possa 
essere lo stesso Bevilacqua, al quale Can Grande li 
aveva in quel medesimo tempo affidata la costruzione 
del Castello Vecchio. Anch'esso fu ideato a scopo di 
difesa mililnrc : comunicando col Castello doveva ser- 
vire per tòr dentro soccorsi da quella parte e per avere 



Castel Vecchio e suo ponte. — Sorge alla 
estremità del corso Cavour vei*sf poita Pallio. È una 
delle maggiorì costruzioni di cui gli Scaligerì abbiano 
lasciato memorìa in Verona. La prìma pietra di questo 
edifizio fu collocata nel 1355 da Francesco Bevilacqua, 
ingegnere e matematico, per ordine di Can Grande II 
della Scala, neir intento di presidiare meglio la città. 
Terminato nel 1358, Can Grande vi pose per alcun 
tempo la sua dimora. Era assai munito e forte, ma 
la scoperta delle armi da fuoco ed il continuo perfe- 
zionarsi delle artiglierìe gh' tolsero ben presto ogni 
importanza mihtare. Fu adibito a caserma; poscia vi 
ebbe per lungo tempo sede FAccademia degli Aletofili ; 
Del 1759 la Repubblica di Venezia vi istituì un col- 
legio per ventiquattro alunni dedicantisi allo studio 
delle matematiche e della ingegnerìa. Dalla fine del 
secolo XIX in poi fu ti*amutato in caserma. Sulla fronte 



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88 



Parte Prima — Alta Italia 



iin*uscita in pronto. A tale scopo le sue testate sono 
munite di torri e le sue sponde sono fiancheggiate da 
parapetti altissimi, merlale alla ghibellina. Non poche 
dovettero essere le dillìcollà che presiedettero alla 



Fig. 23. — Verona: Porla delia chiesa di San Pietro Martire 
(da fotograiia deirEmilia). 



costruzione di quel ponte, in una località ove TAdige 
si presenta nella sua maggiore larghezza e la corrente 
facente gomito è impetuosissima. Ma tali difTicoltà 
furono vittoriosamente superate dal valente costrut- 
tore, e dei ponti di Verona, in tutte le innondazioni e 
piene che da allora ai giorni nostri avvennero nel- 
TAdige — e ve ne furono delle spaventose — questo 
fu il solo che non ebbe mai a risentire danni. 

11 ponte ha tre grandi arcate, delle quali una ardi- 
tissima, con una corda di 49 metri, fu per molto tempo 
la maggiore che in muratura si avesse in Italia. Da 
una sponda all'altra del fiume il ponte si mostra in 
pendìo, e le sue tre arcate sono in sua ampiezza in 
ordine decrescente : la maggiore è quella attigua al 
Castello Vecchio ; la minore quella sulla riva sinistra 
(vedi fig. 43, pag. 63). 

Castello di San Pietro. — Questo edifìzio, del 
quale ora non rimangono che pochi avanzi, venne 
cominciato nel 1393 sul colle di San Pietro domi- 
nante la città; ma non fu ultimato se non nei periodo 
della dominazione veneta, sotto la quale Verona passò 



nel secolo successito. Non ebbe mai grande fortuna, 
e fu distrutto nel 1801 per dotare quella parte della 
città di più acconcie fortificazioni e di caserme. 
Sant'Anastasia (fig. fS). — Questo magnifico 
tempio si può dire anello di congiun- 
zione tra gli edifizi della Verona me- 
dioevale e quelli della Verona del Rina- 
. scimento. Fu incominciato dai Padri 
Domenicani che in Verona avevano 
stabiHta una lor casa intorno al 1300 ; 
ma la sua costruzione andò a rilento, 
tanto che durò, ad intervalli, tutto il 
secolo XIV e non ebbe compimento, 
all'interno, che nel secolo XV, verso 
il 1422. Fu fatta colle elargizioni che 
quei frati poterono ottenere da Al- 
berto I della Scala, dal vescovo Pietro 
della Scala, dal conte Gughelmo di 
Castelbarco, da Domenico Marzari, da 
altri benefattori e dalla città. Contut- 
tociò la facciata, che doveva essere 
rivestita interamente di marmo e di 
scolture, rimase incompiuta e solo ne 
fu lavorato il mirabile portale gotico 
bipartito, saggio pur questo di buon 
gusto e d'arte squisita. 

Il campanile, di stile perfettamente 
gotico, con acuto pinacolo, fu ultimato 
nella metà del secolo XV ed è uno dei 
più alti della città, risparmiato — come 
quello di San Zeno — dalla manìa che, 
in un dato periodo, ebbero le Autorità 
militari di fare scapitozzare le torri ed 
abbassare gli edifizi della città fortifi- 
cata sorpassanti una certa altezza. 

L'interno di Sant'Anastasia si pre- 
senta al visitatore grandioso, impo- 
nente. È a tre navate archiacute divise 
da dodici colossali colonne monolitiche, 
di marmo giallognolo. II pavimento a mosaico offre 
graziosissimi disegni a colorì. Orìginalissime le pile 
dell'acqua santa, sostenute da due gobbi in marmo, 
scolpite, per strana bizzarrìa di artisti, secondo taluni, 
quella di destra da Alessandrìno Rossi e quella di 
sinistra da Gabrìele Caliarì che fu padre di Paolo, 
il grandissimo Veronese. 

Nei particolarì sono notevoli: all'altare prìmo a 
destra il mausoleo di Giano Freyoso, erettogli dalla 
pietà del figlio Ercole, opera ricercata e nobilissima 
di Danese Cattaneo (1565). Giano Fregoso, genovese, 
fu per molli anni generalissimo delta Repubblica di 
Venezia, alle cui guerre di terra e di mare diede 
l'opera del suo ingegno e del suo valore. Nel secondo 
altare si osservano affreschi della scuola di Mantegna, 
ed eleganti fregi in marmo della prìma metà del se- 
colo XV, nonché due buone opere di scoltura nei 
depositi funerari di Sebastiano Pisani, su disegno del 
Crìstofoli, e del cùi-so Francesco dOrnano, capitano 
pur esso della Serenissima. Nel terzo altare vedonsi 
una statua della Veryine del iMarìnali ed adresdii di 



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Verona 



39 



Fig. 24. — Verona: Chiesa di San Pietro Martire (da fotografia deirEmilia). 



buona fattura del Liberale e di Francesco Caroto. 
L*architettura del quarto altare riproduce con leggere 
modificazioni la fronte del distrutto arco romano dei 
Cavi; Francesco Caroto vi dipinse San Martino a 
cavallo. La cappella de! Crocefisso è quanto avanza 
deirantichissiina primitiva chiesa di Sant'Anastasia ; 
vi si conservano interessanti scolture del secolo XIV. 
Al settimo altare, nella crociera, havvi una bella ta- 
vola, riputata fra le cose migliori di Francesco Mo- 
rone. Nella cappella Cavalli si notano affreschi di 
scuola giottesca attribuiti airAIticbiero ed il monu- 
mento al conte Federico Cavalli, con buone scolture. 
Famosa è la cappella detta dei Pellegrini pei basso- 
rilievi in terracotta rappresentanti la Storia di Cristo, 
opera squisita del secolo XV, ritenuti di anonimo te- 
desco. Vi si notano inoltre pregevoli monumenti se- 
polcrali di Bevilacqua e di Tommaso Pellegrini 
(morto nel 1392), con dipinti a fresco di buona fat- 
tura dovuti, probabilmente, a Michele da Verona. 
Vittore Pisano dipinse a fresco un San Giorgio sopra 
Tarco esterno della cappella. La Uivola nel coro, 
dietro airaltar maggiore, è dovuta a Felice Torelli; 



notansì il grandioso mausoleo di Cortesio Serego, 
generale degli Scaligeri (eretto nel 1432), con affreschi 
dovuti a Vincenzo Di Stefano. Cli stalli del coro, 
scolpiti con molta arte, sono degni di rimarco. Vi sono 
inoltre buoni dipinti del firusasorci, del Morone, del 
Caroto, del Farinati, del Giolfìno e d'altri. 

San Pietro Martire (Gg. 23-24). — Attigua alla 
chiesa di Sant'Anastasia è la piccola chiesa di S. Pietro 
Martire, in isti le neogotico del secolo XIV e con un 
portale di buon disegno. Neirinterno è notevole un 
beiraffresco del Falconetto. Il monumento sepolcrale 
che sta sopra la porta alPangolo della via chiude gli 
avanzi del conte Guglielmo di Casielbarco, che fu uno 
dei maggiori benefattori della chiesa. 

Il grande convento dei Domenicani annesso alla 
chiesa fu trasformato in edifizìo scolastico, e vi hanno 
sede il Ginnasio ed il Liceo, intitolato quest'ultimo al 
poeta e storiografo veronpsc, vissuto nella seconda 
metà del secolo XVIII, Scipione MalTei. Quivi insegnò 
il celebre fisico abate Giuseppe Zamboni, che lasciò un 
ricco gabinetto di macchine e di utensili in gran parte 
da lui ideati per le prove e gli esperimenti fisici. 



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Parte Prima — Alta Italia 



7ig. 95. — Verona : Chiesa di San Fermo Maggiore (da fotografia dell'Emilia). 



San Fermo Maggiore (fig. 25-26). — Questo 
tempio sorge nella parte meridionale della città presso 
l'Adige, e precisamente in vicinanza dell'antico ponte 
delle Navi. Anticamente, cioè fin dal 750, in questa 
località esisteva una chiesa dedicata ai martiri Fermo 
e Rustico, dei quali, nella cripta, conservavansi le 
spoglie. Stabilitisi i Minori Conventuali in Verona, 
nella prima metà del secolo XIII cominciarono a rac- 
cogliere mezzi ed aiuti per erìgere a loro uso insieme 
ad un convento una chiesa di grandiose proporzioni, 
che potesse emulare con quelle già costrutte od in via 
di erezione possedute dagli altrì ordini religiosi. In 
questo loro intento i seguaci del fraticello di Assisi 
trovarono validissimo aiuto nel piissimo Guglielmo di 
Castelbarco, e poterono nel 1313 iniziare i lavorì. Era 
il momento nel quale il gusto gotico si era sovrap- 
posto a qualunque altra regola e tradizione di arte 
nostrale, e la nuova fabbrica potè dirsi il trionfo del- 
l'arte gotica in Verona. Perfettamente gotica è la 
facciata di questa chiesa, della quale è specialmente 
osservato il portale rientrante per una quantità di 
colonnati e cordonate in marmo finamente lavorati. 
A destra della porta, per chi entra, di fianco alla sca- 
linata si erge il monumento sepolcrale di Aventino 
Fracastoro, medico di Can Grande I della Scala. L'arca 
rozzamente scolpita è sorretta da due pilastri, e sta 
sotto il baldacchino od ombracolo a sesto acuto. Nelle 
parti inferiori della facciata, parallele all'arco delle 



porte, si aprono ad ogni lato quattro finestre ogivali, 
divise da colonnette in marmo binate. Sopra il portale, 
nella parte centrale della facciata, anziché il rosone o 
ruota caratteristica dell'arte comacina, sono aperte 
quattro lunghe finestre archiacute divise da colonnette 
e cordonate. Sopra una fascia che attraversa la fac- 
ciata in linea orizzontale, nel mezzo del timpano, si 
apre un'altra finestra trifora, divisa da colonnette e 
fiancheggiata da due finestre circolari. Ornato ad ar- 
chetti acuti è pure il cornicione cuspidale, fiancheggiato 
da due pinacoli in pietra rossa. 

L'interno è ad una sola grandiosa navata, misurante 
16 metri di larghezza. U tetto di larice, a fondo di 
carena di nave è, nel suo genere, mirabile lavoro e fu 
ornato, a cura del priore Daniele Gusmerio (1320), di 
una bella rivestitura in noce. Anche in questa chiesa 
non mancano affreschi di scuola giottesca, e se ne 
additano del Turone, di Martino, del Pisanello e di 
Stefano da Zevio. 

Notevolissimo, nel mezzo della chiesa, al lato destro, 
è il pergamo in marmo, ordinato nel 1396 da Bar- 
naba de' Moroni, avvocato degli Scaligeri, il sepolcro 
del quale si trova nella vicina cappella. È ornato di 
iscrizioni, di fregi, di figure, lavorati da buono scal- 
pello, talché può dirsi un pregevole saggio dell'arte 
rinascente. Dopo il pergamo, a destra, vedesi il mo- 
numento di Torello Saraina, primo storico di Verona, 
ornato da un dipinto di Francesco Buousignori (1484). 



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Verona 



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Fìg. 26. — Verona (Chiesa di San Fermo Maggiore) : Dettaglio della facciata 
(da fotografìa deirEmilia). 



Sopra l*arco attiguo liawi un affresco della maniera di 
Giotto, con le figure di Guglielmo Casielbarco e di 
Danide Gtumerio. Vi sono inoltre pitture del Liberale, 
di Francesco Morone, del Pisano, del Caroto e di altri, 
nonché scolture del fiorentino Russi ed altri. 

La cripta è al livello della primitiva chiesa dei 
Ss. Fermo e Rustico, riedificata forse nel 1065. 

Santa Maria in Organo. — Questa chiesa, che 
è fra le più auliche di Verona, sorge sulla sponda si- 
nistra del fiume, appiedi della collina di San Pietro, 
non lungi da quella porta Organa che faceva parie 
dell'antico circuito delle mura erette da Teodorìco, 
che dal castello di San Pietro scendevano e termina- 
Tano airAdige. Le prime notizie di una chiesa con 
questo titolo si hanno in Verona durante il reggimento 
longobardo. Ad essa era unito anche un monastero di 
Benedettini. NelFanno 860 fu rifabbricata ed ampliata 
a cura del vescovo Andone e subì altri restauri, finché 
fii ridotta allo stato presente verso la fine del secolo XV. 
La facciata, in ordine corinzio, non è compiuta se non 
nella parte inferiore, e mostra la grandiosità dell'in- 
tenzìone, che per mancanza di pecunia rimase a 
mezzo. Il campanile, di buon disegno, elegante, slan- 
ciato, è dovuto a Fra Giovanni degli Olivetani. 

L'interno è a tre navate di belPaspetto. Questa 
chiesa è ricca soprattutto di dipinti dovuti ad artisti 
pressoché tutti eccellenti, tra cui ricordiamo il Guer- 
dno da Cento, il Balestra, Francesco Morone, Paolo 

46 * liA Patria, voi. I, parte 2*. 



Morando detto il Cavazzola, Luca Giordano, Dome- 
nico Brusasorci, Paolo Farinati, Nicolò Giolfino, il 
Brentana ed altri. 

Magnifico il coro (fig. 29), i cui stalli e schienali 
furono lavorali da Fra Giovaiuii da Verona, al quale 
si attribuisce Pinvenzione di colorire i legni da intarsio 
per ottenere maggiore varietà nei disegni e verità nei 
lavori, (^n tal mezzo, quasi raggiungendo la finezza 
e la perfezione della pittura. Fra Giovanni riesci a 
ritrarre al vero prospettive, palazzi, chiese, alberi, 
uccelli, animali d'ogni specie, Hbrì, strumenti da la- 
voro, chimere, cose fantastiche, quali si vedono negli 
schienali e nei sedili di quel coro. AlParte deiPintarsio 
egli aggiunse anche la valentia dello scolpire, ed ornò 
il coro di statuette, rabeschi, sfingi, festoni di fo- 
gliame, frutta e fiori, in modo grazioso e mirabile. 
Dello stesso Fra Giovanni è il grandioso candelabro in 
legno di noce scolpito, che si usa per il cero pasquale. 
È lavoro ritenuto unico nel suo genere (fig. 27). La 
sagrestia, che a detta del Vasari era la più bella allora 
esistente in Italia, era pure superba dei pregevoli in- 
tagli di Fra Giovanni, e di pitture di Giovanni Bellim', 
del Moretto, di Gerolamo Dai Libri, deirOrbetto, del 
Brusasorci, del Balestra e d'altri (fig. 28). Nelle lunette 
della vòlta furono ritratti i frati Olivetani che vennero 
assunti al pontificato ed i principi che vollero pren- 
dere Tabito di quell'Ordine. Sopra la porta della sa- 
grestìa é il ritratto a fresco di un frate che vuoisi sia 



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Parte Prima — Alta lulia 



fl cdebre intarsiatore e scultore in lepo FVa Giovanni 
da Verona. 

San Bernardino. — Alla estremità occidentale 
della città, non mollo lungi dalla basilica di San Zeno, 
sorge la chiesa dì San Bernardino, eretta in occasione 



Pig. 27. — Verona (Chiesa di S. M. in Organo): 
Candelabro in legno di noce scolpito (da foto- 
grafia deirEmilia). 



defla peste del i45i, tra il i452 ed fl 1455. È 
nello stile gotico aDora in voga ed ha belle pro- 
porzioni. Sulla facciata, assai semplice, si aprono doe 
lunghe finestre ogivali, fra le quali in alto è un rosone 
drcolare. 11 gioiello di questa chiesa è la cappella 
costrutta dal Sanmicheli a spese di Margherita PeUe- 
grini-Raimondi, morta nel 1557, detta perciò a^ 
pella Pellegrini. È in istile rinascimento, del più 
puro ed elegante, tutta in marmo bianco, sormontata 
da una svelta cupola, con pilastri ornati di graxiosi 
arabeschi. Vi dipinsero il Morene, il Caroto, il Gioì- 
fino, rindia ed il Brusasorci. 

L'ampio chiostro, che è attiguo a questa chiesa, 
servi per oltre un ventennio da cimitero alla città ed 
è pieno di iscrizioni, scoltore e ricordi funerari. 

Sant'Eufemia. — Sorge questa chiesa neDa parte 
settentrionale della città presso TAdige. È pur essa 
antichissima, datando le sue origini dai primi secoli. 
Venne riedificata per cura degli Eremitani di Sant'A- 
gostino, che in quei dintorni avevano stabilita la loro 
casa, nel 1275, nello stile gotico che allora dominava 
dovunque nell'arte del costrurre. L'interno, ad una 
sola navata di grandioso efletto, fii alquanto guasto 
da restauri eseguiti nella prima metà del secolo XIX, 
che tolsero airedifizio l'austerità del suo carattere 
antico. Notevole la porta in gotico lombardo, presso 
cui sono i monumenti sepolcrali di Cavakan Cavai- 
cani e di Tommaso Lavagnoli. In questa chiesa si 
conservano dipinti di Domenico e Felice Brusasorci, 
di Giovanni e Gaetano Gignaroli, di B. Dal Moro, di 
Francesco Caroto, e, fra i moderni, dell'Ugolini e del 
Caliaii. Xel coro si mostra il mausoleo ove sono se- 
polti insieme Pte/i-o e Luchino Dal Verme, padra e 
figlio, capitani al soldo di Venezia. 

Il vicino chiostro è attribuito al Sanmicheli ; e quivi 
vissero i due dotti scrittori di cose veronesi Onofrio 
Panvinio ed Enrico Noris, che fu anche insignito della 
porpora cardinalizia. 



La fede al certo vivissima degli antichi Veronesi, che si appalesa col numero 
veramente straordinario di chiese, oratori!, monasteri, abbazie, sòrti nella città tra il 
secolo V ed il XV, non andava scompagnata da un sentimento di pietà pei soflFerenti, 
dalFesplicazione del sentimento di solidarietà umana col soccorso portato ai bisognosi. 

Fin dal secolo Vili abbiamo notizie documentate della esistenza in Verona di un 
ospedale per i pellegrini infermi, fondato intomo al 750 presso la chiesa di San Fermo. 
Forse non era quello il primo sorto in questa città, che fra l'altre deiritalia Superiore 
portava il titolo di regia, ed aveva, per la sua positura, storia e per il soggiorno pro- 
lungato che vi facevano re goti e longobardi, grande importanza politica e militare. 

Di altro ospedale per vecchi infermi presso Sant'Apollonia si ha notizia nell'anno 915. 
Dopo il 1000 questi istituti si moltiplicano, e verso la fine del 1100 è accertata l'aper- 
tura di tre nuovi ospedali: uno intitolato a San Giovanni presso la chiesa di Santa 
Toscana; l'altro ai Santi Jacopo e Lazzaro, per i lebbrosi; il terzo presso la chiesa di 
San Luca. Nel secolo XIV le cronache veronesi registrano l'apertura di altre due 
case ospitaliere: l'ospedale di San Jacopo (1383) e l'ospedale presso la chiesa dì 
Sant'Antonio della Chiara (1380). 

Il secolo XV si inaugura coll'apertura (1404) dell'ospedale di San Jacopo di Gal- 
lizia, presso la chiesa omonima; nel 1426 è ampliato l'Istituto della Santa Casa di 



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Verona 



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Fig. 28. — Verona (Chiesa di S. M. in Organo) : Stalli della Sagrestia 
(da fotografìa delTEmilia). 

pietà per soccorso agli indigenti; nel 1430 è notizia di un ospedale e d'una chiesa 
intitolata ai Santi Cosma e Damiano, e gli ultimi anni dell'evo medio in Verona sono 
segnati coll'apertura del Monte di pietà (1490). 

MONUMENTI DEL RINASCIMENTO 

Non indarno la grandmerà del Rinascimento italiano è passata sulla città dell'Adige, 
che anche quivi ha lasciate traccio durature e grandi di quell'arte che fu, fra tante 
sventure, gloria luminosa, incontrastata ed invidiata della patria. 

Nel periodo del rinascimento Verona ebbe la fortuna di avere fra le sue mura 
tre artisti veramente grandi: Fra Giocondo, il Sanmicheli ed il Veronese; e delle 
opere loro ne trassero vanto e bellezza la città, decoro e fama i suoi edilìzi. 



Loggia del Consiglio (fig. 30). — In piazza dei 
Signori, nel cuore deirantica città, fra le torri ed ì 
palazzi massicci, merlati alla ghibellina, che furono la 
sede del Comune, dei suoi giureconsulti, dei signori 
Scaligeri, ove più intensa e forte si sprigionò Panima 
del medioevo veronese, sorse a singolare contrasto il 
più raro e perfetto gioiello che Tarte, tutta gentilezza 



pagana del Rinascimento, abbia in questa città saputo 
creare. 

Diciamo della Loggia o palazzo del Consiglio. Ne 
diede il disegno, secondo Liluni, Fra Giocondo da Ve- 
rona, e cominciato nel 1476 fu condotto a termine nel 
1492, proprio quando Cristoforo Colombo colla prodi- 
giosa sua scoperta segnava la data di distacco tra il 



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Parte Prima — Alta Italia 



Fig. 29. — Verona (Chiesa di S. M. in Orfrano) : Dettaglio del Coro (da Totogr. dell'Emilia). 



medioevo e Tetà moderna. Tanto neirinsieme che nei 
particolari può dii-si perfetta. L*edifizio consta di due 
parti : un loggiato o porticato al pianterreno, rialzato 
dal suolo da uno stilobato e da tre gradini, ad otto arcate 
in pieno centro soiTette da colonne in niamio delle più 
eleganti proporzioni e con capitelli corinzi di fìnissiroo 
lavoro. Le arcate sono contornate da leggiadre moda- 
nature. Sopra il porticato si presenta la fronte del- 
Tedifizio, scompartita in quattro da finestre hiforc a 
tutto centro di bellissima invenzione, altcni.ite con 
riquadri e lesene lavorate a scalpello ed a grafito, di 
ornati, fogliami e chimere con tutta la grazia e la 
eleganza che è propria del tempo ; così anche la fascia 
che sopra alle arcate del portico sottostà alle finestre. 
Un cornicione, colle statue dei Veronesi illustri del- 
l'epoca romana — cioè Valerio Catullo, Cornelio Ne- 
potè, Emilio Maci-o, Plinio il Vecchio e Vitruvio — 
forma il fastigio di questo mirabile cdifizio. Sull'arco, 
in perfetto stile del rinascimento, che congiungendo 



la Loggii del Consiglio al vicino palazzo servi di pas- 
s;iggio ni vicolo Foggie, fu collocata la statua del 
dottissimo Gerolamo Fracastoro, la cui iscrizione 
dedicatoria fu dettata da Onofrio Panvinio. Nel sotto- 
portico vennero collocati medaglioni e busti dei pili 
illustri cittadini veronesi d'ogni tempo. Sulla porta, 
oroata di bellissimo architrave, è scolpita la iscrizione 
ricordante la fedeltà di Verona a Venezia ed il ricam- 
biato all'etto della Repubblica pei Veronesi. Ai lati 
due statue in bronzo di Gerolamo Campagna rappre- 
sentano V Annunciazione. Il Seituno^ che è a capo 
della sada, è scoltura di Pietro Todesco, ed ornava 
una fontana ch'era nel mezzo della piazza e che fu 
tolta nel 1679. — Al piano superiore è la sala delle 
adunanze del Consiglio provinciale, adoma di buonis- 
sime pitture dei secentisti Brusasorci, Ugozzi e Crcara, 
rappresentanti fasti della storia veronese. 

Questo cospicuo cdifìzio fu con molta cura ed intel- 
letto d\irte restaurato nel 1873. 



Nel secolo XVI parve rallentato quel vivo fervore religioso che i secoli prece- 
denti avevano popolato Verona di chiese, oratorii e monasteri d'ogni genere. Le 
costruzioni di carattere sacro si fanno meno frequenti, mentre cominciano a sorgere 
in quantità ed a rinnovarsi edilizi civili o profani. Vediamo, ad esempio, tra la fine 
del secolo XV ed il principio del XVI ricordata la erezione dei palazzi: Franchino 
in via Sant'Eufemia; Miniscalchi, in via San Mammoso; Dal Bene, sulle regaste di 



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Verona 45 



Fig. 30. — Verona : Loggia o Palazzo del Consiglio (da fotografia deirEmilia). 

San Zeno; Dal Verme, indi Gattamelata, poi Montagna e Maflfei, a San Pietro in 
Cornano ; vediamo rifatto (1497) il ponte delle Navi e vediamo sorgere quel bellis- 
simo edifizio, rivestito di marmo ed adomo di scolture di Grazioco Sforzi, che è Fat- 
tuale sede della Banca d'Italia sul corso Cavour. Per contro, Topera sacra più 
importante che si ricordi di questo periodo è il rifacimento della chiesa, già descritta, 
di Santa Maria in Organo, oltre TAdige, nella parte orientale della città. 

In questo secolo si manifesta la forte personalità artistica di Michele Sanmicheli, 
che in Verona, sua patria, piiì che altrove lascia indistruggibile impronta del suo 
passaggio. Per un lungo periodo d'anni egli è l'artista sovi*ano che domina sulla città: 
edifizi sacri e profani, pubblici e privati, e le opere grandiose delle fortificazioni sor- 
gono dai suoi studi, portano l'impronta del suo stile, un lampo del suo genio. Il suo 
nome si accompagna, fra l'altro: alla fabbrica del campanile delle Maddalene (1524); 
al restauro del ponte Nuovo (15S6-29); all'erezione del palazzo Canossa (1527-64); 
all'erezione delle mura ordinate da Venezia, tra porta Vescovo e l'Adige (1527) e di 
quelle alla destra del fiume (1530); alla creazione dei bastioni di San Francesco e 
del Duomo (1530); al disegno delle nuove porte dei palazzi dei Giureconsulti e della 
Ragione (1532); al palazzo Bevilacqua, non compiuto (1532), ed all'incompiuta facciata 
di Santa Maria in Organo. Il Sanmicheli opera ancora: nel presbiterio della Catte- 
drale (1534); alla creazione dei bastioni di San Bernardino (1538), di San Zeno (154U); 
delle porte: Nuova (1524-40), di San Zeno (1540), del Pallio (1542) ed ancora del 
bastione di Spagna (1548). La cappella Pellegrini, in San Bernardino, è, abbiam visto, 
gioiello uscito dalle sue seste; così il palazzo Guastaverza (1551), in piazza di Bra; 
il palazzo Della Torre a San Fermo Maggiore (1551), rimasto incompiuto; il palazzo 



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Parte Prima — Alta Italia 



Fìg. 31. — Verona: Palazzo Canossa (da fotografia Lotze). 

Butturini; il coro e presbiterio della chiesa di San Tommaso Cantuariense (1554); la 
torre di San Giorgio, incompiuta (1550) e quella, del pari rimasta mozza, del Duomo 
(1553). Del Sanmicheli sono inoltre: la facciata e la cupola di San Giorgio Maggiore; 
il palazzo Venta; il Lazzaretto, ora deposito delle polveri (1549-51), ed una quantità 
di altre opere attestanti della feconda operosità di questo artista valentissimo, il quale, 
mentre in patria attendeva a lavori di tanta entità, non si rifiutava alle frequenti 
chiamate della Serenissima, che lo mandava ad erigere fortificazioni in Dalmazia od 
in altri suoi possedimenti, e dei magistrati e dei signori delle città vicine che gli 
commettevano chiese, palazzi, ville, che oggi ancora ammiransi da chi ha il culto 
dell'arte e del bello. 



Palazzo Canossa (fìg. 31). — Sorge questo pa- 
lazzo sul corso Cavour, presso il Castello Vecchio, in 
riva air Adige. Fu. come si disse, eretto sui disegni del 
Sanmicheli tra il 1526 ed il 1564. È una delle opere 
più cospicue dell'insigne artista. La parte inferiore 
consta di un bugnato in pietra bigia nel quale si aprono 
tre grandi archi che danno accesso alPimmenso atrio, 
dal quale, oltre il giardino, si ha una stupenda vista 
sulPAdige e sulle vicine colline formanti quasi sfondo 
al giardino stesso. Il piano superiore, ed unico, è in 
ordine corinzio con grandi fìncstre, stile rinascimento, 
egregiamente trattato. Maestoso è il cornicione, nel 



quale, a mo' di attico, si alza una balaustra in marmo 
ornata da statue allegoriche. Questo edilìzio fu eretto 
a spese della famiglia del marchese Ludovico di Ca- 
nossa, patrizio veronese che fu vescovo di Bayeux. 
Quivi, uno studioso della famiglia raccolse una splen- 
dida collezione di pesci fossilizzali del monte Bolca ed 
altri minerali rarissimi, che sono sprazzi di luce nella 
storia geologica sistematica di questa regione. 

Notevole all'interno il grande salone centrale : uno 
dei più vasti della città, la cui vòlta fu dipinta dal Tie- 
polo. Anche le altre sale furono trattate da buoni 
pennelli secentisti e del settecento di scuoia veneta. 



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Verona 



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Fig. 32. — Verona : Palazzo Bevilacqua (da fotografìa deirEmilìa). 



Palazzo Bevilacqua (fig. 32).— Sullo stesso corso 
Cavour, a sinistra, andando verso il Castel Vecchio ed 
a metà strada fra questo ed ì portoni dei borsari, sorge 
il palazzo Bevilacqua, celebrato fra le opere più riescile 
del Sanmicheli. Fu eretto intomo al 1532; doveva, 
neirintendimento dell'autore e dei committenti, avere 
proporzioni assai maggiori di quello che ora non si 
veda. Ma il solito difetto di danaro non consenti né 
alFartista né ai padroni dì condurre a compimento il 
progetto. Tuttavia la parte che ne abbiamo è gran- 
diosa e monumentale abbastanza, per darci un saggio 
bellissimo dell'arte e del gusto del Sanmicheli, che 
ne ideò il disegno e ne curò Terezione. Consta anche 
questo edifizio di due parti : un robusto bugnato ad 
arcate in pieno centro e pilastri al piano inferiore, ed 
una ricchissima decorazione in istile corinzio nel su- 
periore. Tra runa e Tal tra parte della facciata sporge 
una magnìfica balconata in marmo, lunga quanto lo è 
la fronte stessa. Tutta la parte media, oltre la mira- 
bile euritmia delle linee e degli scompartì, è ricca- 
mente ornata da fregi e bassorilievi nel miglior gusto 
dell'epoca. Stupendamente ornato è Tarchitrave, sul 



quale a fastigio dell'edifìzìo sporge un cornicione stu- 
pendo, rammentante ì più belli che si veggono nel- 
l'alma Firenze. 

Questo palazzo fu eretto allo scopo di collocare una 
galleria di quadri e la ricca biblioteca della famiglia 
Bevilacqua, e così fu fino alla fine del secolo XVIIl. 
Ma dopo, per non sappiamo quali vicende, la ricca 
collezione, nella quale, oltre quadri di insigni autori 
— quali il Veronese, il Caracci, l'India, il Tintoretto, 
il Morone, il Balteus ed altri — eranvi statue e marmi 
greci e romani, fu dispersa. 

Chiesa di San Giorgio Maggiore (fig. 33). — 
Sorge questa chiesa sulla sponda sinistra dell'Adige, 
quasi a riscontro del Duomo che sorge sull'altra riva. 
Ha origini antichissime, perchè si hanno notizie fin dal 
secolo VII! di una chiesa esistente in questo luogo 
col nome di San Giorgio in Braida (o brolo). Fu rie^ 
difìcata nel 1046 dai Benedettini che presero ad offì- 
ciarla, e ricostrutta nel 1477. Al Sanmicheli fu com- 
messo di disegnare la facciata e alzarne la cupola: 
incombenza nella quale si disimpegnò da pari suo. 
Maestosa e ad un tempo elegante è la facciata del 



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4«. 



Parte Prima — Alta Italia 



Fig. 33. — Verona : Chiesa di San Giorgio Maggiore (da fotografìa Lotze). 



tempio, per quanto non la si voglia del tutto scevra 
da quelle mende che già neli*arte della metà del se- 
colo XVI annunziano Tèra incipiente del barocco. 
Arditissima è la cupola, che prova la grande cono- 
scenza che il Sanmicbeli aveva della statica. Visto dai 
suoi emuli il progetto della cupola, tutti sentenziarono 
che quella mole non avrebbe potuto reggere sulla 
chiesa, la cui ossatura sembrava troppo debole. Ma 
egli, senza guastarne le linee, seppe rafforzarla in modo 
che la gran cupola vi fu impostata e voltala senza 
difficoltà, e regge gloriosamente da tre secoli. 

L* intemo della chiesa è ad una sola ed ampia na- 
vata, con otto cappelle divise da otto mezze colonne. 
Belli, ed in rapporto alla maestà della cupola, sono i 
basamenti della cantoria e Tampio presbiterio. 

San Giorgio Maggiore, o in Braida, come lo si suole 
ancora chiamare, in fatto di pittura lo si può consi- 
derare per una vera pinacoteca, perchè vi hanno 
quadri innanzi tutto del Veronese — che vi dipinse il 
Martirio di San Giorgio e il Miracolo di San Bar- 
naba — di Jacopo e Domenico Tintoretto, di Fran- 
cesco Montemezzano allievo di Paolo, del bresciano 
Gerolamo Bomanino, emulo del Moretto; di Paolo 
Farinati, che su due immense tele dipìnse la Molii» 
plicazione dei pani e la Caduta della manna nd 
deserto; di Alessandro Bonvidno, detto il Moretto, 
bresciano; di Bernardino India, di Gerolamo dai 
Libri, di Domenico Brusasorci, di Sigismondo Deste- 
fanì, di Francesco Caroto e d'altri. Bellissimo è pure 
il pavimento fatto nel 1585. 

11 campanile di San Giorgio fu eretto nel 1550 su 
disegno chi vuole del Sanmiclieli e chi di Bernardino 
Brugnoli, suo nipote e discepolo, del quale è pure 
Faltare maggiore bellissimo. 

In vicinanza della chiesa è la porta di San Giorgio, 
con una fronte estema non priva di pregi del se- 



colo XVI. Nella casa attigua si osservano ancora le 
traccie dell'assalto dato dai Francesi nel i805 a Ve- 
rona, allorchò^ vinti gli Austriaci neUa non lontana 
Campagnola, per questa porta vollero entrare nella 
città. Non lungi sono i due bastioni della Baccola e 
delle Boccare, e le mura seguono il tracciato della 
cinta di Teodorico fino al Castello San Felice, poi 
quelle della cinta di Gin Grande 1. 

Palazzo Pompei (Museo Civico). — Si trova 
questo cospicuo edilìzio nella parte orientale della città, 
sulla sinistra dell'Adige. Ne diede »i disegno il San- 
micheli verso la metà del secolo XVI, ed è ritenuto la 
migliore cosa, in fatto di architettura civile, dal grande 
artista lasciata. 

\a fronte, bella e severa, consta di due parti : Fin- 
feriore. a robusto bugnato con grandi finestre senza 
omaroenti, ma di mirabile proporzione nella loro sem- 
plicità. Il piano superiore figura a loggia con balaustra: 
le belle arcate a pieno centro sono sorrette da pilastri 
mascherati da belle colonne doriche salienti a reggere 
un architrave ed un cornicione della più mirabile fat- 
tura. Gli ornamenti che si vedono distribuiti nelle 
varie partì delPedifìzio sono tutti del miglior gusto, e 
non presentano queiresagerazione, quel sovraccarico 
che sovente, anche nei più pregevoli edifizi, è lamen- 
tato. Non v'ha una linea di più né una linea di meno 
dì quello che il buon complesso euritmico dell'edifizio 
richiegga. 

Ultimo possessore di questo palazzo fu il conte 
Giulio Pompei, uomo studiosissimo di cose archeolo- 
giche ed artistiche, mecenate degli studiosi, degli 
artisti, il quale morendo (1858) lo legò al Comune 
insieme alle preziose collezioni di archeologia e d'arte, 
che egli e suo fratello Alessandro avevano saputo 
riunirvi. Il Municipio, accettando il legato, con prov- 
vido consiglio deliberò di trasformare il palazzo in 



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Verona 



49 



Fig. 34. — Verona : Porta Nuova (da fotografia Lotzb). 



Museo Civico, riunendovi tutta la suppellettile arti- 
stica che già era in suo possesso e quelle che man 
mano, o per acquisti o per donazioni, gli pervennero. 

Questo Museo è interessantissimo a visitarsi, non 
solo per quanto riguarda la storia deirarte in generale, 
quanto per ciò che ha tratto allo sviluppo e alla storia 
deirarte nella città. Senza entrare in una minuta 
descrìzioDe, accenneremo, di volo, alle cose più im- 
portanti che vi si conservano. Nel vestibolo : iscrizioni 
antiche, romane e medioevali ; avanzi di monumenti 
cittadini d*ogni epoca, specialmente del periodo ro- 
mano e del medioevo. Nel loggiato attiguo : ritratti 
dei più celebrati artisti ed uomini illustri di Verona. 
Nel cortile coperto di tettoia vetrata : riproduzioni in 
gesso delle migliori opere del Canova ; avanzi del teatro 
romano presso Tantica Porta di Pietra. 

Nel piano superiore è la Phiacoteca, formata coi 
quadri lasciati dai fratelli Alessandro e Giulio Pompei, 
dal dott. Bernasconi — altro intelligente collezionista 
— colle opere già possedute dal Comune e con altre 
aquistate o altrimenti pervenute dipoi. Nella prima 
sala si notano, fra gU altri, quadri di Michelangiolo 
da Caravaggio, di I. Tintoretto, di Leandro da Bus- 
sano (una Maddalena), di Sante Creara, di Paolo 
Veronese (Battesimo di Cristo), di Pietro Perugino, 
di Cesare Vecellio, del Brusasorci, del Tiepolo, di Ja- 
copo da Bassano. — Nella seconda sala hannovi quadri 
del Parmigianino, di Bartolomeo Montagna, di Gio- 
vanni Bellini, del Mantegna, di Vittore Pisani (U50), 



di Francesco Caroto, del Correggio, di Gerolamo Santa 
Croce, di Cima da Conegliano (la Vergine), del Por- 
denone, di Paolo Veronese {Donne che suonano), del 
Cavazzola, di Bernardino Luino, del Buonsignore, del 
Catena, dei due Dai Libri, di Francesco Francia, del 
fiammingo Amberger. — Nella terza sala sonvi dipinti 
del Morene (la Vergine), del Romanino, del Beccac- 
cino, del Moretto, di Giovanni Bellini, di Paolo Ve- 
ronese, di Jacopo Bassano, dello Schiavone. — Nella 
quarta sala figurano dipinti di Paolo Veronese, di Gio- 
vanni Caroto, di Brusasorci, di Andrea Mantegna, del 
Giolfino, una Sacra Famiglia di scuola neutra, del 
Badili. ~ Nelle altre sale si hanno quadri del Veronese, 
del Cavazzola, del Tarone, di Giacomo Bellini (padre 
a Giovanni ed a Gentile), di Gerolamo Dai Libri, del 
Bersaglio, ecc., ecc. — La dodicesima sala ha notevoli 
afireschi del Veronese, del Morene, di Vincenzo Foppa, 
di Martino da Verona. Le grandi tele rappresentanti la 
Battaglia dei Veronesi presso Garda (849) di Felice 
Brusasorci, e contro Federico Barbarossa presso Vi- 
gasio nel 1164 di Paolo Farinati, dal Museo furono 
portate alla Gran Guardia Vecchia. 

Notevole poi la raccolta numismatica, di oltre 
22.000 pezzi, e gli oggetti preistorici in bronzo, ossa 
e pietra, rinvenuti negli scavi fatti nel territorio ve- 
ronese, e busti antichi in bronzo ed in marmo che si 
consolavano, insieme ad una collezione di ittioliti ed 
altri fossili dei monti Bolca e Lessini, nelle sale del 
pianterreno. 



Opere minori di questo importantissimo periodo di attività innovatrice sono in 
Verona: la porta maggiore della chiesa di Santa Maria della Scala, in perfetto stile 
del Rinascimento; — le arcate del Duomo, a destra di chi entra; — il palazzo e giar- 
dino famoso del Giusti, sulla sponda sinistra del fiume', di architetto incerto, ma con 
affreschi nella facciata di Orazio Farinati, rovinati dall'intonaco: nel passato assai 
rinomato per lo splendore degli appartamenti, per le collezioni di cose rare che vi 
erano raccolte, e soprattutto il bellissimo giardino che dal piano con mirabili effetti 

46 — La Patria, voi. I, parte 2\ 



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50 



Parte Prima — Alta Italia 



8i stendeva fino alla vetta del colle vicino; — i quartieri pei soldati vicini alle porte; 

— il monumento a Tommaso Da Vico, a sinistra della basilica di San Zeno ; — il 
palazzo Murari, ora Trezza, ai Ss. Nazaro e Celso; — il palazzo ove ha sede la Cassa 
di risparmio, sul corso Garibaldi, già Sparavieri, architettura della scuola del Sanmi- 
cheli; — il palazzo Guastaverza, in piazza Vittorio Emanuele, disegno del Sanmicheli; 

— il palazzo Della Torre, presso San Fermo Maggiore; — il palazzo Ridolfi ; — il monu- 
mento di Galesio Nichesola, nella Cattedrale, dovuto a Sansovino; — la statua di 
Gerolamo Fracastoro, che è nell'arco del vicolo Foggie in piazza Dante; — l'altare 
del Fregoso in Sant'Anastasia; — il rifacimento della Cattedrale allo stato presente, 
promosso dal cardinale Valerio; e molte altre cose di minor conto. 



Mura, porte e fortificazioni del Sanmicheli. 

— L* importanza strategica di Verona, sedente sulle 
rì?e di un grande e rapido fiume, allo sbocco di una 
vallata che fu per molti secoli la più sicura e diretta 
via tra la Germania e Tltalia, e quasi a sbarramento 
della strada che dalla Lombardia sì addentra nella 
Venezia, fu riconosciuta in ogni tempo. Lo sviluppo 
grandissimo preso da Verona nel perìodo romano è 
segno che questa città fu oggetto di cure speciali per 
parte di Roma, la quale vi teneva di continuo molte 
forze, sia per incutere timore ai Rezii vicini e sempre 
ribelli, sia anche come stazione intermedia per la via 
della Germania, ove tra la fine della Repubblica e il 
prindpio delFImpero erasi iniziata una delle più grandi 
lotte di razza che la stona rammenti. Gli invasori che 
si succedettero allo sfasciarsi delPImpero romano eb- 
bero in Verona lo stesso concetto militare : rafforzarla 
e raflorzarvisi. Perciò vediamo Teodorìco, appena en- 
trato in Italia e stabilito nella sua conquista, prìma 
ancora che a Ravenna, cingere Verona, smantellala 
dalle precedenti incursioni barbaresche, di un nuovo 
giro di mura, rìsarcime le torri ed i castelli e costrurvi 
per proprio uso un palazzo che, giusta gli usi del 
tempo, non poteva essere che una nuova fortezza. 
Più tardi i re goti, nelle loro difese contro la rivolta 
nazionale e Tinvasione bisantina, fanno di Verona uno 
dei loro propugnacoli. In seguito Alboino, condottiero 
in Italia dei Longobardi, pone la sua dimora quivi per 
i tre anni del suo regno e vi si munisce e rafforza prìma 
di muovere alla conquista della Lombardia e di Pavia, 
ed in Verona, quando dalle Alpi di Susa scende coi 
Franchi il flagello sterminatore della potenza longo- 
barda, questa trova le ultime sue difese. Nella mala 
prova fatta dai re italici, Verona giuoca sempre, come' 
luogo forte, una gran parte : Berengario 1 del Friuli 
ne fa la sua città di elezione e la tiene presidiata, 
magari da Ungari, contro i molti suoi competitori e 
contendenti. Quando Arduino d* Ivrea fa il tentativo 
di difesa deireffimero regno contro Tinvasione tedesca, 
deve correre da Pavia a Verona e tentare alla Chiusa 
dell'Adige di far ostacolo al nemico. Nelle guerre 
comunali, come città forte e per la sua posizione stra- 
tegica, ha sempre grande importanza, per gFimpe- 
ratori che vogliono averla come guardia della strada 
libera per andare e venire dalla Germania, pei nemici 
dell* imperatore, ai quali preme di chiudere a questo 
U passaggio, tanto nello scendere in Italia che per 



ritornare in Germania. I privilegi e gli onori che gii 
imperatori, da Federico II in poi, si affrettarono ad 
accordare agli Scaligeri allorché ebbero la signoria di 
Verona, col farli vicari imperiali, sono la riprova del- 
rimportanza che annettevano all'aver favorevole Ve- 
rona chi in Verona aveva potere e comando. 

Si comprende che Venezia, avveduta ed oculata 
come sempre, venuta nella prima metà del secolo XV 
in possesso di Verona e suo territorio, pensasse subito 
a stabihrvisi solidamente ; e che poi uscita per mira- 
coli di accortezza e di sagacia nelle arti diplomatiche 
dalla distretta nella quale Taveva posta la formidabile 
lega di Cambra], formata da pressoché tutti i potenti 
d'Italia e d'Europa ai suoi danni, nel continuo imper- 
versare di eserciti stranieri e di guerre in Italia du- 
rante la prìma metà di quel trìste secolo, pensasse e 
provvedesse a fare di Verona l'antemurale in difesa 
dei suoi dominii di terraferma contro possibili invasori 
dalla Germania e dalla Lombardia. Verona era già 
allora città forte e ben munita; ma Venezia volle 
renderìa formidabile ed imprendibile. 

L'opera, davvero grandiosa e nuova, fu commessa 
a Michele Sanmicheli, ingegnere ed architetto della 
Serenissima, il quale sopperì all' incarico in modo sì 
grandioso e nuovo, che, date le cognizioni ed i metodi 
del tempo, ancora oggi desta meraviglia, ed affermò 
in quello e nel secolo successivo il primato del genio 
italiano, non solo nella concezione delle arti belle, ma 
anche nelle invenzioni e creazioni relative all'arte ar- 
chitettonica militare delle fortificazioni e della bali- 
stica. Questa, che per molti fu creduta e si crede 
tuttavìa merito ed importazione dello straniero, fu 
prima che dovunque studiata e professata in Italia, 
ed in Italia trovò le prime e maggiori sue applicazioni: 
assai prima che dei sistemi di fortificazioni adottati 
dai Tedeschi, dagli Olandesi, dai Francesi nelle guerre 
che contristarono l'Europa tra la fine del secolo XVI 
e quella del XVII, ed apparìssero i loro dottori e pro- 
fessori celebri in arte delle fortificazioni e scienza della 
balistica, già l'argomento era stato da quasi un secolo 
sviscerato da Nicolò Tartaglia, da Pietro Cattaneo, da 
Daniele Barbaro; già Gerolamo Cattaneo e Giacomo 
Zontero avevano pubblicati libri, carte, tavole e calcoli 
in proposito ; già l'ingegnere ed architetto della Re- 
pubblica di Venezia, Giorgio Castrìota, aveva prevenuto 
in Venezia, io Dalmazia, in Istria, in Grecia, dò che 
più tardi parve novità e trovato degli stranieri; e più 



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Verona 



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Fig. 35. — Verona: Porta del Palio (da fotografia Lotzb). 



ancora Michele Sanmicheli fa il rinnoyatore, se non il 
creatore, di quest'arte nelle molteplici sue applicazioni, 
quasi un secolo prima che il Vauban levasse, per le 
stesse cose, o press'a poco, tanto grido di sé in FVanda 
ed in tutta Europa. Nulla di più esatto della simbolica 
epigrafe che si legge sul monumento che Verona volle 
eretto al suo grande concittadino. Michele Sanmi- 
cheli: e Grande nell'architettura civile e religiosa, 
massimo nella militare ». Infatti, se nei due primi 
generi di architettura potè trovare chi Io uguagliò e 
superò, nell'architettura militare, quale allora e fin 
quasi ai nostri tempi si intendeva, fu da pochi egua- 
gliato e da nessuno, fra italiani e stranieri, superato. 

Quando Venezia gli conmiise le fortificazioni di Ve- 
rona sapeva quel che si faceva; perocché lo aveva 
già visto alla prova in consimili lavori a Padova, a 
Brescia, in Dalmazia, a Corfu, a Retimo, a Canea, 
al Udo, ove costnisse il castello che è ancora oggi 
uu modello a tutta prova di saldezza e di stabilità. AI 
Sanmicheli si deve la trovata dei bastioni angolari — 
tanto sfruttati poi dal Vauban e suoi imitatori — e dei 
nuovi metodi per la difesa delle artiglierie. 

Alle nuove mura di Verona, che sono poi le attuali, 
si pose mano nell'anno 1507. La prima parte che si 
compi fu quella dalla porta del Vescovo a quella 
di San Giorgio, cioè la linea orientale alla sinistra 
dell'Adige. 

La porta del Vescovo, coi nomi dei Rettori e di Teo- 
doro Trìvulzio governatore, reca sul frontone l'anno 
MDXX. La fronte antica di questa porta guarda la 
campagna ; quella verso la città, del secolo XIX, è in 
uno stile artifizioso in completo contrasto colle severe 
e semplici hnee dell'edifizio del secolo XVI. Nello 
stesso anno, narra il Moscardo, fu eretto il bastione 
prossimo, detto di Santa Toscana dalla vicina chiesa 
a quella martire intitolata. Sulle mura del castello di 
San Felice, all'esterno, e sopra i tre bastioni che se- 
guono, con le armi dei rettori si vede quella del doge 
Andrea Gritti creato nel 1523. 

SuUa porta di San Giorgio, della quale abbiamo 



già detto, fu collocata nella bella nìcchia una statua 
di San Marco, con questa iscrizione : 

MDXXV 

JOHANNES BADVARIV8 

DOGTOR ET EQVES 

PRAEPEOTVS 

MIRO 8TVDI0 PIERI CVRAVIT 

I bastioni di questo tratto sono tutti rotondi e con 
casematte coperte. Dopo il lavoro fu rimesso al San- 
micheli che, lasciato il servizio del papa Clemente VII, 
era entrato al soldo della Repubblica di Venezia. Questi 
si pose tosto all'opera, cominciando la cinta da porta 
Vescovo ad occidente, ed apphcando subito la sua 
speciale maniera nel fare bastioni. D primo bastione 
costrutto dal Sanmicheli fu quello detto delle Madda- 
lene: sotto il leone collocato all'alto di una delle sue 
facce è inciso l'anno MDXXVII. Chi s'interessa della 
storia della fortificazione — la quale ha pure il suo 
interesse per lo studioso, come singolare manifesta- 
zione dell'ingegno umano — non può desiderare meglio 
di questo recinto, in cui si vede lo spirar della vecchia 
maniera ed il nascere della nuova. Questo bastione 
fu il primo saggio dell'arte nuova di difesa, la quale 
si rivela peraltro ancor bambina, essendo un misto 
del vecchio modo e del nuovo. Ha gli angoli e le 
facce piane, e Janchi, ma questi semplici e continuati. 
Aveva in origine le cannoniere sotto, in casematte 
coperte ; sopra erano le piazze, poco basse, col para- 
petto ugualmente alto a quello delle facce, senza 
fianco ritirato che possa ferire. 11 bastione è anche 
assai piccolo. 

Costrutto questo, si sospesero i lavori sulla simstra 
del fiume per cominciarli sulla destra. Ed è in questa 
parte dove si rivelarono l'arte e la perizia somma del 
Sanmicheli. Per la grandiosità e solidità sua, questo 
tratto di mura, che va dalla riva destra dell'Adige alla 
estremità meridionale della città, fino a ritoccare il 
fiume nella parte settentrionale, al disopra della porta 
San Zeno, può gareggiare con un'opera romana. Oggi, 
dopo più di tre secoli e mezzo dacché fu costruita 



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52 



Parte Prima — AlU ItaUa 



quella muraglia, presenta il carattere della solidità e si 
direbbe quasi della severità dei primi tempi. E si che 
dovette resistere contro l'azione distruttrice del tempo, 
contro le vicende create dagli uomini, contro le inon- 
dazioni frequenti e devastatrici del fiume. 11 fiitto però 
si spiega quando si pensi che nella costruzione s'im- 
piegarono materiali di scelta: che la più gran cura fu 
posta al lavoro ; che il muro delle cortine è grosso, 
a seconda della località, dove 6 e dove 8 metri; che 
queUo dei bastioni è grosso da dieci a dodici metri ; 
che dietro questo muro si massiccio e solido vi sono 
kri^issimi terrapieni, e che i bastioni furono del pari 
riempiti di terra e di materiale compresso ; onde anche 
i cannoni, oggidì di si straordinaria potenza, avrebbero 
assai a lavorare prima dì operarvi uno squarcio. Colla 
forza e colla corta portata deUe artiglierie d'allora, 
era quasi un sogno U pensare di poter far breccia in 
quelle enonni muraglie. Aggiungi che intomo alle 
mura ed ai bastioni gira una larga e profonda fossa 
ad ogni momento facilmente allagabile colle acque 
copiose e rapide del fiume, per comprendere come coi 
mezzi di offesa d'allora, ed anche dei due secoli che 
seguirono, una città come Verona affidata a buon nerbo 
di sicuri difensori e ad un abile capitano, potesse ri- 
tenersi inespugnabile. 

Da una estremità all'altra di queste mura le opere 
costrutte coi disegni e sotto la vigilanza del Sanmi- 
cheli sono : il mezzo bastione di San Francesco sulla 
riva del fiume, col fianco perpendicolare alla cisterna; 
sistema poi seguito dal Moralais, dal Doyen, dal De 
Ville e da altri celebri ingegneri militari dei secoli 
decimosettimo e decimottavo. 

Segue il bastione del Como, eretto nel 1530, ad 
angolo assai ottuso: sistema che fu poi da altri seguito. 

La porta Nuova sta a metà strada fra il bastione 
della Trinità e quello dei Riformati ; ed fl Sanmicheli, 
che nel 1533 la faceva aprire dandone il disegno mae- 
stoso, preveniva d'un secolo e più l'insegnamento del 
Vauban, che vuole le porte delle fortezze aperte nel 
mezzo delle cortine fra due bastioni. Con questa porta 
il Sanmicheli ha pur risolto il problema di mantenere 
ininterrotta la linea fortificata, facendola servire da 
eavaliere, come si diceva nel gergo militare d'allora, 
e da cavalcavia, come si dice ora, alla strada che 
daUa campagna conduce da quella parte in città. Fu 
costratta nel 1533 e compiuta nel 15^0. È d'ordme 
dorico puro e di disegno assai accurato. Nella fronte 
verso la campagna è rivestita in marmo bianco di 
Sant'Ambrogio ; la parte verso la dttà è nel tufo cal- 
care delle vicine colline. Sul fit>ntone si vedeva un 
tempo il leone di San Marco, egregio lavoro del Vit- 
toria, fiancheggiato dalle usuali iscrizioni dedicatorie. 
Ma nel tumulto del 1797 venne abbassato e fatto a 
pezzi. Una tettoia, poggiata sopra ventotto pilastri, 
per comodità del presidio e dei passanti, copriva la 
porta; fu demolita dal Governo militare austriaco. 
Questa porta è ritenuta, nei genere, una delle più 
riesdte opere del Sanmicheli (fig. 34). 

Seguono la porta Nuova: il bastione dei Riformati, 
ad angolo meno ottuso del precedente, col fianco in- 



teriore rivestito di un grooo moro circolare, concen- 
trato, come praticò in seguito anche il Vauban ; ed il 
bastione di Santo Spirito, sorto so anteriore lavoro, 
dal quale è avanzato dinanzi al recinto per una gola. 

Tra fl bastione di Santo Spirito e qoello di San Ber- 
nardino, eretto por esso dal Sanmicbdi, a poco meno 
della metà deQa cortina, si apre la porta detta dd 
Palio (fig. 35), lavoro reputatissimo del Sanmicheli. 
Fu incominciata nel 1542 e terminata nel 1547. Vaine 
cosi chiamata perchè in quel luogo si facevano le 
corse dette del Palio, dal premio che si dava ai vin- 
citori. È tutta in nuumo e consta di un ordine dorico 
nobflissimo, le cm colonne altissime, per due terzi 
scanalate nel prospetto estemo, sono tutte d'un pezzo. 
Dal lato intemo è d'un rastico toscano semplicissimo, 
ma imponente, ed ha dnque arcate ed aperture con 
bellissimo atrio. Il Vasari la chiamò e miracolo del 
Sanmicheli >. Il generalissimo delle armate venete, 
marchese Sforza-Pallavidno, vedendola dòse: e Non 
potersi in Europa trovare £ibbrica alcuna che a questa 
si uguagli >. Questa porta doveva portare on attico 
che servisse di parapetto e di e cavaliere > tra l'una 
e l'altra branca delle mura. Ma per la morte del San- 
micheli, il lavoro fu mal condotto e la parte superiore 
restò deturpata. Per ragioni che si dissero militari, 
questa porta venne chiusa nel 1630, e non fu riaperta 
al transito se non negli ultimi anni. 

Alla porta Palio seguono U bastione di San Ber- 
nardino già detto e il bastione di San Zeno o Zenone, 
dalla sua vicinanza colla insigne basilica già descritta ; 
all' infuori delle variate proporzioni non è dissimile 
dagli altri già menzionati. 

Vicino a questo bastione è la porta di San Zeno: 
soda, magnifica e bene architettata, anch'essa in 
quadro. Sarebbe, al dire del Vasari, e molto osserva- 
bile se dalle altre offuscata non fosse >. 

Chiude da questo lato la cinta delle mura di Verona 
U bastione detto di Spagna — eretto pur questo sotto 
la direzione del Sanmicheli — di superba strattura ad 
angolo acuto e per la sua situazione di figura partico- 
lare. Nel di fuori tondeggia agli angoU, essendo i 
contorni fecilmente dissipabili. Dal basso all'alto sono 
incastrati a mo' di gradinata nel muro grandi massi 
di pietra, leganti perfettamente fn di loro. D San- 
micheli, in cui parve fosse passata l'anima di Vitravio, 
trasse questo modo di costrurre dall'interno meravi- 
glioso dell'Arena. 

Questa formidabile cerchia di fortificazioni non 
ha subito alcuna prova di assedio. Compiuta nella 
seconda metà del secolo XVI, quando l'Italia assopi- 
vasi nella stretta snervante e corruttrice della domi- 
nazione spagnuola, la Repubblica di Venezia, entrata 
pur essa nel periodo della sua lenta vecchiaia e deca- 
denza, non ebbe occasione di provare né di hr provare 
a nemici la bontà di quel suo forte amese di guerra, 
né di esperìmentare l'eccellenza delle concezioni mi- 
litari del Sanmicheli. Quando parve venuto il mo- 
mento di fame uso, alla fine del secolo XVIII, contro 
la fortuna insolentemente vittoriosa di Napoleone Bo- 
naparte, essa non aveva più la forza di fario, ed i 



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Verona 



53 



Fig. 36. — Verona : Palazzo Portalnpi (da fotografia deirEmilia). 



Francesi entrarono senza colpo ferire, senza resistenza 
in quella fortezza finallora inviolata, e che dopo Man- 
tova era considerata come la più importante, la meglio 
guarnita deiritalia superiore. In tutto quel burrascoso 
perìodo Verona, ora occupata dai Francesi, ora dagli 
Austrìaci, ora dagli Austro-Russi e poi dai Francesi 
ancora — a seconda che le disfatte d^Egitto o la vit- 
toria di Marengo abbassavano o rialzavano le sorti dei 
Fhmcesi in Italia — non servi mai veramente a quello 
che sembrava essere suo ufficio principale: come 
grande fortezza. Fu luogo di stazione, di acquartiera- 
mento, di rifornimento di eserciti ; ma non sub! as- 
sedio, né arrestò una divisione d'invasori nella marcia 
prefissa. 

Napoleone, che la considerava come un intoppo 
inutile, se non pericoloso, alle sue escursioni militari 
verso il Tirolo e TlUiria, impose air Austria, nel trat- 
tato di Luneville (1801), lo smantellamento delle for- 
tificazioni veronesi. L'Austria cominciò infatti questa 
opera di distruzione; ma in quel perìodo le guerre ed 
i trattati si succedevano e si modificavano nelle loro 
ragioni con tanta rapidità, che ogni cosa fu presto 
sospesa e le fortificazioni veronesi rimasero presso a 
poco quali erano allo slalu quo ante. 

Dopo il 1814 le cose mutarono. L'Austria, fatta 
padrona di gran parte dell'Italia superiore, ed indi- 
rettamente per vincoli di famiglia, aflìnità d'interessi 



e di politica, pensò a rafi^orzarsi seriamente nel Lom- 
bardo-Veneto — base di tutta la sua forza in Italia — 
creando quel formidabile campo strategico che fu detto 
il Quadrilatero^ colle fortezze di Mantova, Peschiera, 
Verona e Legnago. Entro queste quattro fortezze 
l'Austria era persuasa di tenere incatenati per sempre 
il pensiero, il cuore, l'anima d'Italia. Perciò con 
grande alacrità si diede a risjaircire le quattro fortezze 
dei danni subiti nel periodo napoleonico ed a trasfor- 
marle secondo i dettami ultimi della scienza militare, 
che nelle ultime guerre aveva fatto tesoro di molta 
esperienza e grandi progressi. A Verona fu dato — 
come a quella che era in più sicura e diretta comuni- 
cazione colle strade per il Tirolo e la Baviera — l'uf- 
ficio di centro di quella egemonia militare, di anima 
della difesa, di alimentatrice di uomini e di munizioni 
per le altre tre fortezze. Perciò le cure maggiori del- 
l'Austria furono tutte rivolte su Verona, ove, in linea 
di fortificazioni, di opere e di stabilimenti militari, fece 
cose veramente grandi, senza risparmio, e nel loro 
genere anche ammirabili. Chi per molti anni fu l'anima 
di tutti questi lavori in Verona, fu il generale del genio 
ingegnere capo militare Von Scholl, uomo certamente 
d'ingegno superiore, che seppe trarre partito dal- 
l'opera del Sanmicheli contro quegli innovatori ad 
oltranza, che per fantasia, vanità personali od interessi 
particolari, tutto avrebbero voluto mutare e disfare. 



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54 



Parte Prima — Alta Italia 



Ma già la campagna del 1848, o?e fosse stata 
meglio condotta, avrebbe sfatata la leggenda della 
impenetrabilità ed imprendibilità del Quadrilatero. La 
campagna del 1859, se non fosse stata interrotta al- 
rindomani della clamorosa vittoria di Solferino e San 
Martino da ragioni politiche e diplomatiche, avrebbe 
dimostrata la possibilità d*invadere la Venezia e recidere 
i nervi alla organiizazione difensiva militare aostriaca 
del Quadrilatero. Ma non se ne fece nulla. L'Austria, 
dopo il 1859, sapendo che la partita non era peranco 
finita, continuò a lavorare nel Quadrilatero ed in Verona 
particolarmente di trincee, fossati, cunette, terrapieni, 
forti scoperti e forti mascherati ; continuò a costruire 
casematte e caserme, polveriere e ridotti; a puntare 
' cannoni ed obici dovunque, sicché era convinzione che 
qualunque esercito si fosse avventurato fra le sirti del 
Quadrilatero &moso, sarebbe stato schiacciato, strito- 
lato, ridotto al nulla; impossibile l'aggirario, impossi- 
bile fl tentare di prenderb, di sfondarlo per via di 
assedii regolari. Peschiera, Legnago forse potevano 
cadere; ma Mantova, ma Verona, mai : era cosa da folle 
il pensarlo. E si attese la prova. Ma anche questa volta 
la prova mancò; mancò per Verona come per le altre 
tre città del Quadrilatero fiunoso. Le sconfitte di Cu- 
stoza per l'Italia e di Sadowa per l'Austria lasciarono 
il problema insoluto, ed abbiam fede per sempre. La 
diplomazia si sostiti ai belligeranti e la ragion poli- 
tica ebbe ancora una volta il sopravvento sulla ragion 
militare. I vinti di Gustoza, tre mesi dopo o poco più. 



entravano sema colpo ferire per le porte aperte del 
famoso Quadrilatero, e si sostituivano, uomo p^ 
uomo, ai presidii stranieri che riprendevano, e defini- 
tivamente, la via delle Alpi. 

Colle mutate teorie tattiche e strategiche, con lo 
straordinario progresso fatto dalle artiglierie, con la 
potenza degli esplodenti ed i nuovi sistemi di trasporti 
mobilitazioni, perdettero completamente la loro ra- 
gione di essere, come fortezze. Peschiera e Legnago, 
ed anche per Mantova e Verona la cosa comincia a 
diventare problematica. 

Oggi Verona è ancora inscritta nel ruolo delle 
piazze forti di primo ordine d' Italia. Ma Io sarà do- 
mani? lo sarà fra un anno o due o tre? Questo è il 
problema dell'avvenire. Ogni giorno die passa di- 
mostra, anche per chi crede alla funesta eventualità 
di grandi guerre future, la inutilità delle piazze forti, 
delle città fortificate, cosi come sono adesso concepite. 
Noi crediamo che questa persuasione diventerà presto 
generale, e farà presa anche nell'annuo di chi og^ 
vuol mantenere le città fortificate. Quel giorno sarìi 
un giorno di grande fortuna per l'antica città del- 
l'Adige ; poiché, prosciolta da tutte le servitù che ora 
le impediscono quell'espansione industriale, agricola, 
commerciale, a cui per la posizione sua, per le forze 
naturali di cui dispone, per l'attività vivace de' suoi 
cittadini, essa mira, raggiungerà quell'alto grado di 
prosperità economica e di raffinamento morale e civile 
a cui ha diritto. 



MONUMENTI MODERNI 

Dalla seconda metà del secolo XIII in poi Verona migliorò grandemente le sue 
condizioni edilizie generali; e venne mano a mano abbellendosi di edifizi, che, se in 
linea d*arte non raggiungono i pregi e le bellezze di quelli già descritti sdrti nel 
perìodo del Rinascimento, hanno pregi e caratteristiche architettoniche di grande 
rilievo, e sono per altre ragioni commendevoli e degni di ricordo. Certo, che in quel 
perìodo di vera degenerazione artistica, quale fu il perìodo dell'arte barocca, anche 
Verona, che tanti modelli di arte pura e classica serbava entro le sue mura, non potè 
sottrarsi alFinfluenza del momento ; ma è d'uopo constatare che assai meno di tanti 
altrì luoghi fu in Verona sacrìficato all'arte barocca. 

migliori traduzioni dell'arte del secolo precedeote. 
Eccessivamente festosa pel sovraccarico degli orna- 
menti — e non tutti del miglior gusto — è la parte 
superiore, dalla cornice del primo piano all'attico con 
balaustre e statue formanti il fastigio, e dentro il 
quale in origine erasi creato un giardino pensile. Nel- 
r intemo è lodatissima la scala a chiocciola che dal 
sotterraneo va fino all'ulthno piano e che con vero 
ardimento statico si regge tutta su sé stessa. Questo 
edifizio era adomo all'interno di buone pitture ; ma, 
passato per varie vicende in varie proprietà, dovette 
subire, a seconda del capriccio e degli uomini, grandi 
mutamenti. 

Palazzo Portalopi (fig, 36). — Quest'edifizio, di 
grandiose proporzioni, che sorge sul corso Cavour fìra il 
palazzo Canossa e la chiesa di San Lorenzo, fii eretto 
tra la fine del secolo XVI ed il principio del secolo XYIL 



Palazzo Maffei (in piazza Erbe). ^ Questo gran- 
dioso edifizio, che chiude la fronte settentrionale della 
piazza delle Erbe, fu eretto nel 1668, ed è l'edifirio 
di maggior importanza tipico che Verona abbia del 
secolo barocco. 11 disegno di questo fabbricato fu dai 
nobili Mafiei, che lo fecero erigere, conunesso a 
Roma ; ma non è rimasto ricordo di chi ne fu l'au- 
tore. Il quale, peraltro, si rivelò uomo di non comune 
abilità e di gusto migliore a quelli nel tempo correnti, 
perocché questo edifizio, pur appartenendo allo stile 
prettamente barocco, è dei migliori e più corretti che 
in questo stile si conoscano. Consta, nella parte infe- 
riore, di grandi arcate in bugnato rustico, che danno 
al complesso della fabbrica un aspetto robusto e se- 
vero. La parte centrale, del pian nobile, divisa in 
scompartì d'ordine jonico, con grandi finestre e bal- 
coni a balaustra io marmo, non si discosta molto dalle 



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Verona 



6b 



Pig. 37. — Verona: Palazzo de)la Gran Gaardia Vecchia (da fotografia Lotze). 



Ne (u architetto Giuseppe Pinter, che sacrificò, per i pronto ad ogni eventualità, detto la Gran Guardia, 

manìa di singolarità, al nuovo gusto del tempo, quanto | e perchè dal suo loggiato il capitano della Repubblica 

pili gli fu dato. Infatti Tedifizio consta di tre 

piani, ma discordi fra di loro e contro le buone 

regole. II pianterreno è il più leggero di tutti 

e non mostra sufiìcienza di sporti per reggere 

la massa superiore ; quello di mezzo sarebbe 

la parte migliore e di buon disegno, se non 

restasse addirittura schiacciato, sopraffatto dal 

piano superiore, pesantissimo e per il disegno 

e per la ornamentazione. In complesso, qualche 

cosa che non soddisfa ed urta. 

Altre case ebbe la famiglia Portalupi in Ve- 
rona meritevoli di ricordo: una in via Santa 
Eufemia, con dipinti del Caroto e d'altri, ed 
una terza con una fascia a fresco di Bernar- 
dino India sotto la grondaia, nei pressi di 
Sant'Anastasia. 

Palassi Pellegrini. — Due edifizf por- 
tano il nome di questa famiglia patrizia in 
Verona : Tuno in via Santa Eufemia e Taltro 
in via Rosa. Tutti e due appartengono all'epoca 
barocca; ma tra Tuno e Taltro passa un secolo 
di età. Il più antico è quello di via Rosa, 
eretto su disegno del Cortoni, e l'altro in via 
Sant'Eufemia su disegno del Bibbiena, artista 
che nella prima metà del secolo XVII era salito 
a grande fama e lasciò in varie città d' Italia 
edifizi di molto pregio architettonico, nei quali 
è palese nell'autore la tendenza a divincolarsi 
dalle pastoie del barocchismo. 

Palasse della Gran Guardia Vecchia. 
— Questo grandioso edifizio (fig. 37) sorge 
sulla vasta piazza Bra, ora Vittorio Emanuele, 
all'ovest dell'Arena. Ne diede il disino, a 
quanto si assicura, Domenico Curtoni, uno 
dei buoni discepoli del Sanmicheli. Fu eretto 
nel 1609 ad istanza del nobile Giovanni Mocenigo, 
capitano della Serenissima in Verona, per mantenervi 
quel presidio permanente, che allora tenevasi sempre 



Flg. 38. 



Verona: Porta del Palazzo Barbaran 
(da fotografia dell'Emilia). 



e gli altri magistrati potessero passare in rivista le 
milizie. Il piano superiore doveva essere sede dell'Ac- 
cademia letteraria dei Filotomi, partecipante nella 



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56 



Parte Prima — Alta Italia 



Pig. 89. — Verona : Porta del Palazzo Da Lisca (da fotografia deirEmilia). 



Spesa. Ma, o per deficienza di mezzi o per altre cause 
rimaste ignote, più della metà dell'edifizio rìmase in- 
compiuta ed il porticato senrì ad uso deli* Autorità 
militare. Nel 1821 Tedifizio irenne compiuto a spese 
del Comune e del Goterao, e cessato poi Tuso di 
mantenervi un presidio, il loggiato venne adibito a 
mercato granario, e qualche volta anche ad esposi- 
zione di prodotti e di macchine agrìcole. 

Nell'aspetto la Gran Guardia Vecchia si mostra 
maestosa nella sua semplicità. L'ordine dominante è 
il dorico, e davvero questa potrebbe dirsi opera degna 
del Sanmicheli, se qua e là, nella trabeazione e negli 
ornati, non spuntassero troppo evidenti le licenze dello 
stile barocco. 

Lazzaretto. — Nello scorcio del secolo XVI fu 
costruito, a breve distanza dall'Adige nel sobborgo 
Tombetta, come recinto ad uso dei contagiosi, quel 
vasto edifizio che fa detto e dicesi ancora il Lazza- 
rello. Il disegno originario fu dato, credesi, dal San- 
micheli, ma subì canmiin facendo, secondo il capriccio 
ed il gusto dei tempi, notevoli mutamenti in carattere 
barocco. Fu eretto a spese dell'Ospedale di San Ja- 
copo che vi spese intorno ad 80.000 zecchini. Ha la 
forma di un vasto parallelogrammo lungo m. 38 e 
largo m. 117, circondato da portici con 150 arcate 
ciascuna della luce di cinque metri. Nel centro sorge 
un piccolo tempio di ordine toscano, a doppio giro di 



colonne, sormontato da una statua m bromco rappre- 
sentante San Rocco. Era in origine coperto da lastre 
in rame, che vennero tolte per fame uso più proficuo. 

Chiesa della Trinità. ~ Fin dal 1117 edificata 
a spese della piissima moglie di Folco d'Este, esisteva, 
dove ora sorge' l'attuale chiesa deUa Trinità, non lungi 
dal bastione omonimo nella parte sud-ovest della città, 
una chiesa collo stesso titolo. La officiarono per lungo 
tempo i monaci Yallombrosani, che vi compirono anche 
parecchi restauri. Ma il rifacimento generale della 
chiesa nello stato attuale data dal 1632, dopo la 
grande pestilenza che afflisse tanta parte dell'Italia 
superiore: la Lombardia ed il Veneto — percorsi 
dagli eserciti imperiali — in particolar modo. 

L'architettura dell'edifizio ha serbati i caratteri pri- 
mitivi, messi in luce principalmente dal recente re- 
stauro. Dei tempi precedenti furono conservate alcune 
cose, tra cui la porta sulla strada laterale, che si vuole 
disegnata dal Sanmicheli, e l'arca — della figlia di 
Frignano da Sesso, morta nel 1421 — che si trova 
presso al vestibolo. Nell'interno si mostrano numerosi 
dipinti dei cinquecentisti Felice e Domenico Brusasorci, 
di Sante Brunati e di altri di minor nome. 

Palazzina Gazola. — Dì questo perìodo è pure la 
palazzina Gazola, vicina alla chiesa della Trìnità, rì- 
cordata per essere stata rìcovero, nell'anno 1794, al 
conte d'Artoìs, fratello di Luigi XVI, che gli alleati 



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Verona 



67 



Fig. 40. — Verona : Palazzo del Comune (da fotografia). 



Tinrìlorì di Napoleone nel 1814 rimisero sul trono 
pericolante degli avi col titolo di Luigi XVIII. In 
Verona aveva assuntoli nome di conte di Lilla; alla 
ma casa era un continuo andirivieni di emigrati fran- 
cesi, nobili e cospiratori ai danni della Repubblica, 
che ebbe a lagnarsene colla Serenissima. Questa ospi- 
talità, da Venezia accordata al conte di Lilla e ad altri 
membri della famiglia reale di Francia e loro aderenti 
foggiti dalFonda rivoluzionaria, non fu una delle cause 
ultime del malanimo mostrato due anni appresso da 
Bonaparte e dal Direttorio verso Tantica Repubblica 
dell'Adriatico e di quei maneggi che condussero al 
trattato di Gampoformio ed alla fine della Repubblica 
stessa. 



Palazzo Emili (ora Foriit). » Sorge questo pa- 
lazzo, di grandi proporzioni, in via Sant'Eufemia, e ne 
diede, verso la metà del secolo XVII, il disegno Ignazio 
Pellegrini. Ha tutte h caratteristiche del periodo 
barocco, sebbene, come struttura complessiva, non 
manchi di pregi. 

Chiesa di Sant'Antonio. ^ Questa chiesa, che 
sorge sul corso Vittorio Emanuele, fu eretta nel iG52 
nello stile degenerato allora in voga massima. Appar- 
tenne dapprima ai Minori Riformati, che vi avevano 
un attiguo convento; indi e Funa e Taltro passarono 
ai Gesuiti. Attuaknente nel convento ha stanza la 
legione dei carabinieri. Nella chiesa si mostrano dipinti 
secentisti di mediocre valore. 



Nello stesso secolo, per Tarte ed anche per le condizioni morali e materiali d'Italia 
disgraziatissime, furono ricostruite o rinnovate in Verona le chiese ed edifizi seguenti 
ancora esistenti: la chiesa di San Carlo, rinnovata nel 1614; — di San Benedetto, 1617; 
— il baluardo di Campo Marzo; — la chiesa delle Stimmate, in Cittadella, 1624; — 
la porta intema della Cattedrale e la sagrestia dei canonici nella Cattedrale mede- 
sima, 1628 ; — la chiesa di San Niccolò, eretta tra il 1627 ed il 1630, edifizio di bello 
aspetto sebbene barpccheggiante, disegnato da Lelio Pellesina, ricca di buoni quadri 
del Balestra, del Brusasorci e di scolture del Tomezzoli, del Marinali: fra i dipinti 
moderni hawi una lodata tela del Malatesta; — la fontana in piazza dei Signori, eretta 
nel 1647 e levata nel 1679, la cui statua ora vedesi al sommo dello scalone del palazzo 
del Consiglio; — la chiesa di San Pietro Martire; — il palazzo Barbaran, del quale 
è ammirabile la porta in istile del Rinascimento puro (fig. 38); — il palazzo Da Lisca, 
ornato di un portone del Rinascimento, ricco di fregi e di buon disegno (fig. 39) — ed 
altri minori edifizi che in gran parte ancora si conservano. 

Teatro Filarmonico. — È questo uno dei più l bella città dell'Adige. Soi^e sulla via che dal teatro 
importanti edifizi che il secolo XVIll abbia lasciato alla | stesso prende nome, e che dal corso Cavour, di fronte 

47 •- liA Patria, voi. I, parte 2*. 



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58 



Parte Prima — Alta Italia 



al Castel Veechio, sbocca in piazza dì Bra. Fu eretto 
nel 1716 da una Società od Accademia dei Filarmo- 
nici, ed il disegno ne fu commesso al Bibbiena, giù 
celebre per altri lavori di questo genere, tra cui il 
lodatissìmo Comunale di Bologna. Fu annoverato fra 
ì pili ampli e belli del tempo. Un incendio nel 1750 
lo distrusse in parte ; ma a cura della stessa Acca- 
demia proprietaria fu ricostruito sul primitivo disegno, 
salvo qualche modificazione di comodità e Famplia- 
mento reso necessario dal sempre crescente sviluppo 
che, in quell'era d'oro del melodramma italiano, an- 
davano prendendo U rappresentazioni teatrali. Altri 
restauri ed ingrandimenti alla scena — onde accon- 
ciarla alle spettacolose macchine odierne — furono 
fatti a questo teatro negli ultimi anni, e sempre a 
spese della Società proprietaria. 11 Filarmonico oggi 
è uno dei maggiori e più eleganti teatri d'Italia, e sulle 
sue scene si diedero e si danno spettacoli dli primo 
ordine. Il velario venne ridipinto nel secolo scorso da 
Eleuterìo Pagliano ; ricca ed elegante è la decorazione 
a stucchi e dorature dell'ampio boccascena, della sala 
e dei palchi, ognuno dei quali è fornito di comodo ed 
elegante camerino o retropalco. Gli accessi, le scale, 
i corridoi sono egregiamente ideati e disposti. Elegante 
è pure il Casino o ridotto annesso al teatro, convegno 
un tempo delle nobiltà veronesi e veneziane, ora della 
high-lift cittadina. 



Moseo Lapidario. — Attiguo al Teatro Filar- 
monico, sotto un bellissimo porticato d'ordine dorico 
con 42 arcate, eretto nel 1745 su disegno di Alessandro 
Pompei, ed in altri locali annessi, è il Museo Lapi- 
dario, uno dei più copiosi e celebri dell'alta Italia, il 
vanto del cui primo ordmamento e raccolta di colle- 
zioni spetta ai letterato ed erudito Scipione MafTei. 
Numerosi e preziosi per gh studi archeologici sono i 
pezzi di questo museo, sebbene nel 1797 i Francesi 
mandassero a Parigi otto dei più antichi e celebrati 
monumenti, dei quali uno solo fu restituito nel 1816, 
e reputati fra i più importanti, nel genere, d'Italia. Vi 
sono frammenti di antichità etnische ed ìtaliote; 
lapidi greche, latine, ebraiche, fenicie, egiziane ed 
arabe, taluna, per le nozioni storiche serbate, impor- 
tante. Vi sono inoltre bassorilievi, sarcofaghi, arche, 
are, capitelli, ed il celebre bassorilievo attico votivo 
del lY secolo av. C, raffigurante Esculapio ed Igea. 
n Museo veronese fu illustrato dallo stesso suo fon- 
datore Scipione Maffei nell'opera Museum Veronense, 
alla quale Terudito uomo raccomandò, meglio che alle 
tragedie, la sua fama. Sulla porta che conduce al 
maggior salone vedesi il busto di Scipione Maffei, 
dedicatogli dalla riconoscente cittadinanza mentre era 
ancor vivo. L'attiguo porticato jonico, ov*erano i locali 
dell'Accademia Filotoma, di buona architettura, è at- 
tribuito da taluni al Curtoni e da altri ad un Fontana. 



Appartengono al secolo XVUI ì seguenti ragguardevoli edifizi che ancora si veg- 
gono in Verona e ci danno prova del continuo, progressivo miglioramento edilizio 
della città: la facciata del Seminario Vescovile, grandioso edifizio cominciato sotto il 
vescovado di Giovanni Gradenigo, nella prima metà del secolo, e continuato dai suoi 
successori Marco Gradenigo, Nicolò Giustiniani, Giovanni Morosini, sotto il quale il 
vicentino Ottone Galderon disegnò la bella facciata: il vescovo Suriati compì Tedifizio 
erigendo l'ultima ala; — il palazzo Carlotti; — la chiesa di San Silvestro, completa- 
mente restaurata; — la chiesa di San Fermo Minore in Braida, poi dei Filippini; — 
— Pedifizio della Biblioteca Capitolare, nel 1713, su disegno del Parino; — il grandioso 
edifizio della Dogana al ponte delle Navi, su disegno di Alessandro Pompei, tra il 1744 
ed il 1752; — i rinnovamenti delle chiese di San Tommaso Apostolo, di San Pietro in 
Cornorio, di Santa Maria del Paradiso, tra il 1728 ed il 1752; — il ponte delle Navi, 
restaurato nel 1748 dal Cristofoli (v. fig. 44); — la ricca cappella del Sacramento nella 
Cattedrale, 1759; — il palazzo Tessari, nello stradone del Duomo; — il palazzo Giu- 
llari; — il Molo e la dogana dell'Olio, 1792; — la Biblioteca Comunale, iniziata 
nel 1792 ed aperta al pubblico dieci anni dopo, nel 1802; — nonché altri di minor 
conto, ma non del tutto privi di pregi. 

Anche nel secolo ultimo scorso Verona, oltre gli importantissimi restauri e ripri- 
stinamenti degli edifizi antichi, già ricordati, del palazzo della Ragione, della Sala del 
Consiglio, della Casa dei Mercanti, ecc., ecc., si arricchì di nuovi, importanti edifizi, 
fra i quali giova ricordare: 



Palazzo del Comune (fig. 40), in piazza Bra o 
Vittorio Emanuele. — Questo edifizio grandioso, co- 
struito senza dispendio, fu disegnato dairarchitetto 
Giuseppe Barbieri. Notevole è il bell'atrio a colonne 
d'ordine corinzio, che ne forma il motivo principale 
delia fronte. Venne cominciato nel 1836, ma ne rimase 
incompiuta la parte posteriore. Questo edifizio, per il 



Comando militare che gli Austrìaci gli avevano in- 
stallato, venne detto la Gran Guardia Nuova, e questo 
titolo tenne fin dopo il 1866, quando per l'avvenuta 
cessione del Veneto al Regno d' Italia vi fu trasferito 
il Municipio. 

Ospedale Civile. — Questo grandioso edifizio, 
sorgente nella parte occidentale delia città, in capo 



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Verona 



59 



alla fia Sant*ADtonio, fu eretto nel i 812 in sostitu- 
zione di altro esistente in piazza Bra ed atterrato in 
quell'epoca per dar luogo a più moderne costruzioni. 
Ùarchitettura ne è semplice ed appropriata allo scopo 
mesto e pietoso. Negli ultimi anni vi furono introdotti 
i migliorameuti resi necessari dai progressi e dalle 
esigenze della scienza moderna. NelVOspedale Civile 
di Verona, detto già di Santo Spirito, sono concen- 
trate le rendite dei molti ospedali che nel passato, 
come abbiamo visto, esistevano nella città, e che 
man mano soppressi andarono formando un ente solo. 

Casa di Ricovero. — Attigua airOspedale Ci- 
vile, rinnovata nel 1872, ampliata e migliorata in 
seguito coi doni di cospicui cittadini, nella quale sono 
mantenuti circa 600 indigenti, vecchi, cronici o per 
altre cause impotenti al lavoro ed abbisognevolì di 
cnre e soccorso. 

Ospedale Militare. — A breve distanza dal- 
rOspedale Civile, verso porta Pallio, sorge questo 
grandioso edifizio, eretto nella prima metà del secolo 
scorso dall'Autorità militare austriaca, ampliato ed in 
più riprese modificato anche dairAutorità militare 
italiana. È capace di circa 3000 letti in infermeria, 
oltre i servizi accessori. 

Cimitero pubblico. — Fuori di porta Vittoria, 
nella parte meridionale della città, di fronte ad un 
gran viale che imbocca il nuovo ponte Aleardi, sorge 
fl Cimitero Comunale. Fu incominciato nel 1828, sul 
disegno e sotto la direzione dell'architetto Giuseppe 
Barbieri, che allora era il primo architetto della città ; 
non è ancora completamente ultimato. È d'ordine 
dorico, rigorosamente classico, improntato ad una se- 
vera grandiosità di linee. Sulla fronte un'amplissima 
scalea mette per cinque intercolunnii nel grande ve- 
stibolo. Nella metope fiorìsala sono buoni bassorilievi 
in btile classico, allegorici al mesto uso del luogo ; 
8uU*alto è un gruppo coW Angelo evocatore^ il Tempo 
e r Eternità, opera dello Spazzi. La pianta interna 
del Cimitero è quadrilatera ; un porticato per i monu- 
menti ed i depositi a pagamento ; in uno dei bracci 
laterali, è in forma rotonda il Pantheon, ove sono 
deposte le salme e le lapidi commemorative dei Vero- 
nesi illustri ; di fronte un edifizio di uguale forma è 
destinato a raccogliere i dttadini che si resero bene- 
meriti verso la patria. Nel lato di fronte al vestibolo 
campeggia il tempio in forma rotonda, con una gran- 
diosa cupola a calotta perfetta. I sotterranei spaziosi 
erano destinati ad ossario; ma l'umidità infiltrante 
dal non lontano fiume, consigliò a costrurre questo 
altrove. 

Stazione ferroviaria di porta YescoYO. — 
Questo edifizio fii costrutto con grande larghezza di 
vedute verso la metà del secolo XIX, ed era compiuto 
nel 1849. Fu allora ed è ancora una delle più ampie 
ed importanti stazióni dell'Alta Italia, ed è prova del 
conto che il Governo austrìaco faceva di Verona, e 
come punto strategico e come centro diramatore del 
traffico tra la Venezia e la Lombardia, tra la Germania 
e la valle del Po. Dalla stazione di porta Vescovo, 
che è la principale di Verona, e la stazione succursale 



di porta Nuova, punto di diramazione per le lince di 
Ala e di Mantova-Modena, la ferrovia attraversa il 
grande avvallamento prodotto dal corso dell'Adige, su 
un gran ponte lungo 272 metri, costruito dal 1850 
al 1853 su disegno dell'ingegnere Gerolamo Dondi dal- 
l'Orologio da Padova, lodato assai per la sua ampiezza, 
eleganza e solidità. L'Adige, in quel punto assai largo, 
è attraversato con cinque grandi arcate in pietra di 
29 metrì di luce cadauna. 

Monumenti ad nomini illnstri. — Verona 
non volle mai essere seconda ad altre città nel culto 
degli uomini che onorarono con grandi opere e colla 
virtù dell'ingegno e del carattere là patria comune. 

Cosi, anche negli anni tristi della soggezione stra- 
niera ed a solenne aflermazione del proprio altissimo 
sentimento di nazionalità, mentre in Firenze nel 1865 
con memorabili feste si celebrava il sesto centenario 
delta nascita di Dante, Verona, in quella piazza dei 
Signori che già vide il poeta sonuno salire alla Corte 
di Can Grande della Scala, con onori grandissimi, 
volle inaugurato il monumento al gran padre della 
lingua italica. Opera delio Zannoni, questo monu- 
mento rende assai bene nella statua l'austera figura 
del divino poeta (fig. il). 

Al suo grande pittore Paolo Caliari, detto il Vero^ 
neie, Verona eresse nel 1888, ricorrendone il terzo 
centenario dalla morte, il monumento che sorge sulla 
piazza davanti alla chiesa di Sant'Anastasia. Il boz- 
zetto originario di questo monumento fu ideato da 
Torquato della Torre ; ma, nell'esecuzione affidata a 
Romeo Cristiani, il primitivo modello subì qualche 
modificazione. Paolo è ritratto in attitudine di pie- 
gasi alquanto indietro per vedere l'eiTetto del dipinto 
cui attende (fig. 42). 

A Michele Sanmicheliy l'architetto famoso, creatore, 
si può dire, dell'arte del fortificare, sepìta fin quasi 
ai nostri tempi, ed al quale è per Verona vanto di 
aver dato i natali, fu eretto nel 1873, sul corso Vit- 
torio Emanuele, al termine del Prato della Valle, un 
monumento. È opera assai lodata del Troiani : note- 
vole sulla fronte del basamento il bassorilievo in 
bronzo rappresentante il Sanmicheli in atto di mo- 
strare al doge di Venezia il piano delle celebri fortifi- 
cazioni di Candia. 

Ad Aleardi Aleardo, il poeta gentile, malinconico 
e patriota a tutti noto, fu pure eretto dalla sua città 
natale un monumento, sorgente sul corso Cavour, nel 
largo davanti alla chiesa degli Apostoli. La statua fu 
donata al Comune dallo scultore Zannoni, che, amico 
del poeta, pose cura grandissima nell'opera, e ne rag- 
giunse in modo sorprendente la rassomiglianza. 

Al re Vittorio Emanuele 11, sotto il cui regno, 
dopo la gueri'a del 1866, Verona potè unirsi alla 
patria comune, fu eretto in piazza Bra un grande 
monumento equestre, opera del Borghi di Milano, del 
quale è specialmente lodato il bellissimo cavallo. Il 
piedestallo, in marmo veronese, semplice e severo, 
fu disegnato dall'architetto Franco. Il monumento 
venne inaugurato con grandi feste e coli' intervento 
dei Reali nel 1883. 



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60 



Parte Prima — AlU Italia 



Pig. 41. — Verona: Monumento a Dante, in piazza dei Signori (da fotografia LOTO^. 



Anche alFeroe popolare Giuseppe Garibaldi, che 
sì gran parte ebbe neiropera del riscatto italiano, fu, 
per pubblica sottoscrizione e col concorso del Comune 
e della Provìncia, eretto un monumento equestre in 
piazza della Indipendenza. È opera dello scultore 
Bordini, e Garibaldi è raffigurato in atto di salutare 
mentre trattiene il cavallo. Il basamento, semplicis- 
simo, in marmo rosso di Verona, ha forma di pira- 
mide tronca. Fu scoperto nel 1887 e ne pronunziò fl 
discorso Benedetto Cairoli, che fra i seguaci del- 
Teroe, per il valore e le virtù, ebbe il soprannome di 
Bajardo. Appunto a ricordo delPintervento di Cairoli 
a quella solennità, fu posU nel 1890, sulla fronte del 
palazzo tribunalizio guardante il monumento Garibaldi, 
una lapide col busto del patriota pavese, lavorato dallo 
stesso scultore Bordini. 

Lapidi commemorative di cittadini illustri o di fatti 
memorabili si vedono sulla piazza dei Signori e in 
altri punti della città. 



Ponti snir Adige. — Senza dire del ponte gran- 
dioso della ferrovia, TAdige nel suo corso serpeg- 
giante fra le mura della città è attraversato da cinque 
ponti, cioè : il ponte di Castel Vecchio (flg. i3), già 
descritto (vedi pag. 37), che ricorda i tempi e le for- 
tificazioni scaligere; — il ponte Garibaldi, in ferro, 
robustissimo, costruito nel 1864 per conto deU*impresa 
Neville di Venezia, che vi mantiene sopra un diritto 
di pedaggio ; — il ponte della Pietra (v. fig. 1), che 
serba ancora due archi delPantichissimo ponte romano 
costruito al tempo di Augusto ; — il ponte Umberto 1, 
costruito in ferro (fig. 45) nel luogo ove Alberto della 
Scala aveva fatto gettare il ponte Nuovo, restaurato 
poi nel 1539 dal Sanmicheli e travolto nella piena 
del 1882, — e il ponte Aleardi, pure in ferro, co- 
struito da pochi anni ed irrobustito dopo la piena 
del 1882, che raccorcia la via tra la stazione di porta 
Vescovo e la piazza Vittorio Emanuele, pur questo 
soggetto a pedaggio. 



Altri edifizi storici o ricordanti avvenimenti storici non mancano in Verona; fra 
questi ricorderemo, per la leggenda romantica che vi si collega, resa inmiortale da 
una delle più belle concezioni di Shakespeare, quell'antico edifizio che è ora lo Stallo 
del Cappello^ cui vuoisi fosse parte delle case de' Capuleti, la famiglia guelfa dalla 
quale uscì Giulietta; — la tomba di Giulietta, esistente idl'estremità dell'orto dell'antico 



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VeroDa ^\ 



Ftg. 43. — Verona : Monamento a Paolo Galiari, detto il Verane$e (da fotografia Lotzb). 

convento dei Francescani, tomba apocrifa, quanto immaginaria fu la leggenda degli 
amanti di Verona, la quale però non cessa di essere meta al pellegrinaggio di anime 
meste ed appassionate (fig. 46); — la casa ove morì il gentile poeta Ippolito Pindemonte, 
che fa fra i prediletti del Foscolo, ed altri dei quali ci sembra superfluo qui il trattare. 
Verona è città viva, movimentata; essa siede nel mezzo di una plaga agricola di 
primo ordine, ed in una posizione geografica favorevolissima, sulla grande linea del 
transito e del commercio internazionale. Questa condizione di cose potrebbe far di 
Verona un centro industriale di grande importanza, se proprio allo sviluppo, alla 
espansione industriale della città non contrastassero le infinite servitù militari, che 
alla sua periferia la cingono. Quando la soppressione delle improduttive ed ormai 
inutili fortificazioni verrà decretata, sorgerà certamente per Fantica e nobile città 
Falba di un'era nuova di grandezza e di prosperità. 



CENNO STORICO 

Indubbiamente Verona è da collocarsi fra le piìi antiche città d'Italia: ogni indu- 
zione logica fa credere ch'essa abbia preesistito a Roma. Il punto nel quale la città 
sorge fu ed è uno dei pa^si più facili e naturali del fiume, tra la Venezia e la Lom- 
bardia, Gkillia Cisalpina. In questo punto, ov'erano gli antichi guadi dall'una alFaltra 
parte d'Italia, i Veneti antichissimi, gli Euganei, i Reti forse — - gli Etruschi poscia ed 
i Galli — dovettero stabilire le loro stazioni di sosta, donde la futura città. Dalla 



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62 Parte Prima — Alta lUlia 



etimologia del nome, sq cui discussero a lungo ed infruttuosamente, o pressoché, gli 
eruditi, è difficile assai trarre argomento positivo intomo alle origini prime della città. 
Chi vuole il nome derivato da Vircuum, che sarebbe parola originaria del veneto- 
illirico; chi dal celtico Bresciana, ma con minor fondamento; chi dal retico-germanico 
Beris; chi dalla voce etnisca Vera, designante il nome d*una famiglia o tribù; o chi 
anche da altra voce etrusca Arugnates, altra qualifica di tribù. Il Bellinghieri, che 
delle cose veronesi fu studiosissimo, fa risalire le origini della città alle immigrazioni 
degli Euganei-Veneti; ma è ovvio ritenere che la maggior consistenza del nucleo urbano 
sulle rive dell* Adige dati dal periodo etrusco, da quando questo popolo affacciatosi, tra 
il VI ed il V secolo av. C, sul crinale deirApennino emiliano, si riversò nella valle del 
Po, attraversò il gran fiume e, risalendo il corso del suo grande tributario d'allora, andò 
a portare la sua civiltà colonizzatrice fino alle prealpi. Quest'induzione è la più logica 
a seguirsi. Perchè ciò ch'era avvenuto per le valli del Ticino e dell'Adda, del Serio, 
deU'Oglio, del Mincio, per la Gallia Insubre, la Orobia, la Gamonica, non può o non deve 
essere avvenuto anche per la valle dell'Adige, che è delle più grandi e rìsalibili fra le 
valli padane? È ammissibile che i Veneti o Euganei o Illirici, come i Liguri loro pre- 
decessori, popoli essenzialmente nomadi, emigranti, nel loro movimento secolare, dal- 
l'oriente all'occidente, abbiano sostato sulle sponde dell'Adige e vi abbiano creato il 
primitivo punto di guado o di passaggio; che quel punto, per ragione naturale o geo- 
grafica, per consuetudine secolare, si sia mantenuto fino al sopraggiungere di nuovi 
occupatori del territorio, derivanti da una società maggiormente evoluta e, come la 
etrusca, in uno stadio di civiltà relativamente avanzato, è ammissibile. Perchè viene 
logico il supporre che, come gli Etruschi, stabilitisi nel territorio della Gallia Cisalpina, 
avevano tosto dato mano a grandi lavori di cultura, di bonifica, di diboscamento e vi 
si erano stabiliti creando i loro centri di dimora o sul fiume o all'incrocio delle vie 
di comunicazione, così gli Etruschi stessi, risalito il corso dell'Adige e pervenuti nella 
regione media, tra il Po ed il monte, regione già non palustre e feconda, vi si siano 
stabiliti per attivare le loro coltivazioni ed abbiano fatto del punto in cui, per antica 
consuetudine, il fiume era guadabile, il centro della loro attività nella regione e forse 
anche il propugnacolo della loro difesa contro i Reti, barbari e feroci, che, scendendo 
per la gran valle Adigina, venivano a predare al piano ov'erano messi, derrate, mandre 
e ricchezize. 

Ciò ch'è più verosimile, intomo alle origini primitive di Verona, è indotto dallo 
studio e dallo accertamento che finora fu possibile farsi sulle condizioni dell'Italia 
superiore nel periodo preistorico, ma non è positivo. Quando, dopo due secoli circa di 
prospero soggiorno, una nuova e poderosa immigrazione di Galli (veniamo al perìodo di 
Belloveso e di Brenne) ritolse agli Etruschi quello che nella valle del Po essi avevano 
tolto agli antichi Celti -— sovrappostisi ai Liguri ed ai Veneti — e ricacciò questi nel 
maggior numero alle avite locumonie d'oltre Apennino, pare assodato che nell'attuale 
plaga veronese, determinata dalla valle dell'Adige, si stabilisse una tribù di Galli 
Cenomani, i quali vi si mantennero fino alla conquista romana della Gallia Cisalpina 
od Italia superiore, cominciata nel II secolo avanti Cristo e durata più di un secolo, 
tra varie e non sempre per Roma fortunate vicende ; il che prova come quella fosse 
anche per Roma, che già aveva debellati tutti i popoli a lei circostanti, i Sabini, i 
Sanniti, i Campani, gli Etruschi, e l'emula potentissima d'oltre mare, Cartagine, e già 
mandava navi e legioni in Grecia, impresa non facile. Ma la costanza, la forza ed 
anche il tradimento diedero finalmente ragione a Roma su tutta l'Italia superiore» 
e Verona, che, a quanto sembra, per spontanea dedizione, si era messa con Roma 
e l'aveva aiutata sin dal tempo delle guerre puniche, e dichiarata, poco meno di un 
secolo av. Cristo (a. 89), colonia romana, indi municipio, con tutte le attribuzioni e 
prerogative che a tale grado erano inerenti. Della sua posizione sul fiume ed allo 



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Verona Qg 



Fig. 48. — Verona : Ponte di Castel Vecchio (da fotografia Lotzb). 

sbocco d'una delle più profonde vallate che dal cuore delle Alpi Retiche mettesse in 
Italia, Roma trasse subito profitto per fame un propugnacolo di grande importanza 
contro le incursioni di quei barbari che, forti di tempra e neirasprezza delle loro mon- 
tagne, si mostrarono e si mantennero a lungo irreducibili al giogo romano. L'invasione 
dei Cimbri, che fu per un momento di grave pericolo per la Repubblica, venne da Mario 
fronteggiata nei piani che stanno intomo ed al disotto di Verona, e la grande disfatta 
toccata a quei barbari ov'è ora Sommacampagna legò maggiormente d'interesse e di 
amicizia Roma a Verona, che tra le sue mura ebbe a proconsoli e governatori taluni 
dei cittadini più illustri vantati nel periodo di Roma, quali Pompeo e Cicerone. 

Appunto per la sua posizione favorevolissima Verona divenne il luogo d'incrocio 
di tre delle più importanti vie romane delle quali ci sia rimasta memoria: la via 
Gallica, che andava da Torino ad Aquileja; la Postumia, che conduceva dalla Liguria 
in Illiria; e la Claudia Augusta, che conduceva in Germania, per la quale passarono» 
senza più ritomare, le legioni famose di Varo. 

Eretta in principio, con tutti i diritti della cittadinanza romana, Verona, domina- 
trice di una regione oltremodo fertile e sulle grandi e necessarie vie del traffico» 
divenne centro ed emporio di commerci attivissimi; la sua ricchezza superò quella 
delle città circostanti per lungo raggio; i templi, i teatri, le terme, le statue, gli archi 
e gli edifizi sontuosi dei quali Verona si abbellì nei tre primi secoli dell'Impero e 
del quale, come s'è visto, rimangono avanzi che non hanno pari in tutta l'Italia supe- 
riore, ne fanno ancora testimonianza. £ come alla prosperità dell' agricoltura e dei 
commerci, al benessere pubblico, non va disgiunta la coltura, vediamo tra il secolo 
avanti C. ed i due primi dell'era volgare, una seria efflorescenza di uomini illustri, 
tra cui ci basti ora ricordare i sommi, cioè Gaio Valerio Catullo, Cornelio Nepote, Emilio 
Macro e Mario Aulo Vitruvio,il più grande fra gli architetti romani dei quali sia rimasta 
memoria. 

Cominciano anche per Verona, come per tutta Italia, i tempi tristi nella decadenza 
dell'Impero e nelle lotte fra i pretendenti di questo. Così fu teatro delle guerre fra 
Vespasiano e Vitellio, e non ne ebbe certo vantaggi. Poi sotto le sue mura si com- 
batterono Massimino, Balbino ed altri fra quei condottieri di truppe, ai quali il favore 



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64 I^arte Prima — Alta Italia 



Fig. 44. — Verona : Ponte delle Navi (da fotografla Bressànim). 

delle legioni o gl'intrìghi e le ambizioni dei Pretoriani facevano credere per essi sempre 
aperta la successione all'Impero. Ma come i barbari indomiti della Rezia, coir inde- 
bolirsi progressivo dell'Impero, prendendo ansa a maggiori imprese, facevano più 
estese e frequenti le incursioni verso la pianura, Fimperatore Gallieno trovò neces- 
sario riattare ed in gran parte costrurre a nuovo le mura della città, munendola di 
fortilizi. È di questa cinta, della quale rimangono ancora visibili gli avanzi, che già 
discorremmo fra i monumenti della Verona romana. 

Sul principio del secolo lY, nella lotta tra Massenzio e Costantino, lotta nella quale 
oltre delle ragioni dì dominio, si agitava tutto il nuovo orientamento morale-religioso 
dell'Impero, che datò poi dall'editto di Milano, Verona, obbligata da Massenzio ed a 
questo devota, subì, ad opera di Costantino, un vivace assedio, che va segnalato fra 
le maggiori imprese militari compiute da questo imperatore. Nazario, e gli illustri 
panegiristi contemporanei di Costantino si diluDgano assai intomo a questo assedio, 
da cui sappiamo che nella città per Massenzio aveva il comando Rurìcio Pompeiano, 
prefetto del Pretorio, uomo di grande esperienza in cose di guerra, il quale, senza 
volersi esporre al rischio di una battaglia in campo aperto, si dispose a sostenere 
Tassodio in modo da tenersi sempre aperto lo scampo sull'altra riva dell' Adige. Costan- 
tino, come ebbe iniziate le operazioni d'assedio, si avvide che non poteva venire a capo 
di prendere la città per fame se non riusciva a circondarla anche dal lato setten- 
trionale, sull'altra sponda del fiume, e, con un'abile sorpresa, passando l'acqua ov'era 
più debole la guardia, riesci a circondare tutta la città ed a toglierle ogni comuni- 
cazione estema. Pompeiano tentò più volte, con audaci sortite, di rompere quella 
cerchia, ma invano. Allora, trovato modo di uscire segretamente dalla città, andò in 
luoghi ancora fedeli a Massenzio a raccogliere genti; e con quelle nuove forze, seb- 
bene inferiori a quelle di Costantino, attaccò Tesercito di costui alle spalle, mentre 
i difensori della città tentavano l'ultima disperata sortita. La zuffa sulle sponde 



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Verona g5 



Fìg. 45. — Verona : Ponte Umberto I (da fotografia Bressanini). 

deir Adige e sotto le mura della città durò l'intera giornata senza che la vittoria avesse 
a decidersi; ma al cader della notte, essendo rimasto morto Pompeiano, lo sgomento 
cominciò ad entrare nelle file dei Massenziani, e da ciò la vittoria luminosa di Costan- 
tino, preludio a quella definitiva che contro lo stesso Massenzio doveva riportare sul 
Tevere. Nondimeno la città resistette alcun tempo dopo e non si sa se fu presa per 
dedizione o per assalto. Certo è che dalle truppe di Costantino fu orrendamente sac- 
cheggiata e Tanonimo panegirista, onde non offuscare la gloria di Costantino col ricordo 
dello scempio fatto dalle sue truppe di una si bella e nobile città, ne riversa tutta 
la colpa su Pompeiano, dicendo che la sua ostinata resistenza fu causa della rovina di 
Verona. Ai cittadini fu concessa salva la vita, così pure ai soldati che avevano mili- 
tato con Pompeiano e Massenzio. Ma poiché non si trovarono sul luogo tante catene 
quante erano necessarie a legarli tutti ed a tradurli prigionieri a Roma, Costantino 
ordinò, che delle loro spade, deHe loro armi si facessero altrettanti ceppi per quei 
disgraziati (312). 

Ma ben peggiori sventure aspettano Verona nel susseguente secolo, durante le 
invasioni barbariche. Già sul principio del secolo V (401) Alarico, re dei Goti, che per 
timore ed impotenza, da Arcadie imperatore, era stato creato generale, dalla Tracia 
e dairilliria era penetrato in Italia, movendo a Roma. Per ragioni di itinerario, dovendo 
seguire le strade romane. Verona fu una delle prime città dltalia occupate dalle orde 
barbariche, miranti, dapprima, alla distruzione dell'Impero romano, poi alla conquista 
del nostro paese. E mentre Alarico, al quale invano combattendo con lealtà e valore 
un altro barbaro — romanizzato — Stilicene, contrastava la via di Roma, era entrato 
con nuove orde di Goti e d'altri barbari, il suo congiunto e socio Radagiso o Radagasio, 
seguendo T itinerario del primo, risaccheggiava e ridevastava i luoghi già messi a 
sacco, a ferro e fuoco da Alarico (405), la Venezia in ispecie. Verona in particolar 
modo. Né il flagello cessa per mutare di uomini alla testa dell'Impero o di condottieri 
alla testa delle orde barbariche. 

48 — litt Patria, voi. I, parte 2*. 



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66 P^te Prima — Alta iulk 



Alla metà del secolo stesso la finmana nimica, condotta da Attila, penetra dalla 
Carsia in Italia: fa di Aqoileja, di Aitino, di Opitergio, di Padova macchi di rovine insan- 
guinate e fumanti. Verona si trova snlP itinerario del ciclone — ci sia consentito di cosi 
chiamare Tannico — che dall'anzidetta città si spinge per Vicenza, Verona, facendo 
ana punta fino a Bergamo e, discendendo verso il Po, fin sotto Mantova, ove più che 
dai preparativi bellici di Ezio e dell'imbelle Onorio, pare placato dalla mansueta parola 
del pontefice Leone. 

Pochi anni dopo (476) T Impero Romano d'Occidente cade sotto i colpi d'un altro 
barbaro, Odoacre, condottiero di una accozzaglia di orde barbariche di varie origini 
e nazioni, ma tutte concordi nel solo intento di saccheggiare e far bottino nelle nostre 
contrade. A Ravenna si compie la tragedia finale dell'Impero Romano, sopra un fan- 
ciullo che per ironia riassume in sé due nomi fatidici per Roma, Romolo Augusto: un 
figlio di barbaro malamente romanizzato (470). Odoacre, spezzata la tradizione impe- 
riale romana, si proclama rex gentium, re delle genti, e volendo dominare in Italia e 
non osando guardare al nome troppo alto di Roma, si installa a Ravenna, dove egli 
aveva finito l'Impero. Ma un altro barbaro, dì maggiore ingegno e di maggiore potenza, 
condottiero di una nazione forte, compatta, guerriera per eccellenza, che già aveva nel 
suo attivo la tradizione di aver piantate le aste delle sue lancio sul suolo sacro di 
Roma, di aver fatto scalpitare i suoi cavalli nel Foro, nel Campidoglio e nei templi 
della città etema, abbandonata alla sua mercè, si affaccia a contendergli il troppo 
facilmente guadagnato regno. Teodorico coi suoi Goti dell'Ostro viene in Italia, ed a 
Ravenna ed a Verona prima, poi a Ravenna ancora assedia e combatte l'emulo, lo 
vince e poi, simulando pace, lo fa trucidare in un banchetto e si impossessa, con o 
senza beneplacito degli imperatori bisantini, pure vagheggiane, nell' impotenza loro, 
la riconquista d'Italia e dell'Impero latino. 

Gol regno di Teodorico, con cui si fonda in Italia una vera monarchia militare, 
straniera sull'elemento italiano, il quale ancora mezzo secolo prima era virtualmente 
dominatore di tanta parte del mondo conosciuto, Verona assurge a grande importanza. 
Il nuovo conquistatore, che, al pari del predecessore, non osa installarsi in quella Roma 
della quale si è tolto il dominio, alterna la sua residenza tra Ravenna e Verona. Di 
Ravenna fa la capitale virtuale del suo regno, di Verona fa il centro militare di mag- 
gior importanza. Tutte le sue cure sono rivolte e divise fra queste due città. Mentre 
a Ravenna fa erigere monumenti e basiliche, a Verona rialza le mura atterrate dalle 
precedenti incursioni barbariche: innalza sul colle di San Pietro, ove fu già l'antico 
Gampidoglio della città romana, un castello che era reggia e fortezza ad un tempo. Da 
Verona o da Ravenna alternativamente, a seconda della residenza sua, sono datati gli 
atti più importanti di cotesto barbaro fondatore di monarchie, che non fu uomo mediocre 
e certo superiore d'assai a quelli che in genere i suoi tempi avevano dato e davano. 

Ma per quanto abile sia stata la politica colla quale egli tentò la fusione tra domi- 
nati e dominatori, onde conservare e consolidare in Italia il regno alla propria schiatta 
militare e straniera, non riesci. Più forte fu negli Italiani il sentimento della nazio- 
nalità e l'effetto dell'allor troppo recente e viva tradizione di grandezza e d'indipen- 
denza, troppo grande il distacco tra la loro civiltà, la loro fede, il loro genio, colla 
civiltà, la fede, il genio dei dominatori. Perciò, non appena è scomparso dalla scena 
della vita Teodorìco, che fu la testa forte, la maggiore individualità del regno gotico, 
ecco farsi maggiormente sentito il movimento nazionale contro Io straniero, ed i suc- 
cessori di Teodorico, costretti a difendere militarmente le loro monarchie e le loro 
conquiste militari, debbono allontanarsi da Ravenna indifendibile, cercare qua e là per 
l'Italia un punto strategico d'appoggio, di difesa e, non trovandone altro migliore di 
Verona, il cui possesso garantiva ad ogni modo anche la loro ritirata dall'Italia, accer- 
chiarsi in questa città con tutte le loro forze, stabilirvisi il maggior tempo possibile. 



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Verona 67 



Fig. 46. — Verona: Tomba di Giulietta (da fotografia). 

Quivi, nella lunga lotta sostenuta dai loro re Yitìge, Ildibaldo, Erarico, Totila il vit- 
tùrioso e Teja, contro il movimento repulsivo della nazione italiana, che vuole ricac- 
ciarli al di là delle Alpi, neiriUiria, e nei centri d'Europa da dove erano venuti, e 
contro i condottieri bisantin^ mandati da 6iustÌDÌano, che da questi moti ebbe l'av- 
vedutezza di trarre profitto per la propria grandezza, trassero forza e consigli. Da 
Verona partivano gli eserciti che scendevano nella bassa Italia a fermare la marcia 
di Belisario o ad affrontare Narsete nella verde e boscosa Umbria, fra Matelica e 
Gubbio, od a Nocera alle falde del Vesuvio, ove, nella battaglia finale, morto Teja il 
valoroso, i Goti dettero ai Bisantini la partita vinta e, con patti onorevoli, colle loro 
armi, il tesoro, le insegne, poterono uscire d'Italia, attraversando per l'ultima volta 
Verona (553). Durante il regno gotico Verona ha una parte primaria nella storia 
italiana, una forza di capitale militare che non le è contesa neppure da Ravenna, 
ove Teodorico ed i suoi immediati quanto inetti successori avevano collocata la loro 
capitale politica. 

' A quella dei Goti succeduta la dominazione bisantina, l'Esarcato di Ravenna stende 
la sua giurisdizione sull'Italia continentale, e la necessità di tenersi per via del mare 
in sollecita comunicazione con Costantinopoli, immobilizza gli esarchi a Ravenna e 
fa loro perdere d'occhio le porte d'Italia; cosicché, quando la vendetta di Narsete 
sospinge Alboino coi suoi Longobardi sul nostro paese, egli può, quasi senza colpo 
ferire, dalle Alpi scendere fino a Verona, insediarvisi, fortificarvisi e proclamarvi il suo 
regno; di là muovere e dirigere la triennale opera di conquista sul rimanente dell'Italia 
superiore, per la Lombardia ed il Piemonte, finché in Verona si compie la tragedia 
domestica per cui Alboino fu tolto di vita (571) e venne aperta la successione al trono 
longobardo, del quale per un istante credettero potersi impossessare Rosmunda ed 
Elmigiso, suo drudo, gli autori principali della morte del re, commessa materialmente 
ad un sicario detto Perideo. Ma i capi longobardi, intuita quella trama, si accingevano 
a fare giustizia di Rosmunda e di Elmigiso e vendicare il morto Alboino, quando 
questi, avuto sentore della procella addensatasi su di loro, coli' aiuto dell'esarca di 
Ravenna, Longino, che loro inviò barche alla foce dell'Adige per riceverli, fuggirono 



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68 ^^>r^ Prima - Alta Italia 



dalla città regale, portando con loro il tesoro longobardo. A Ravenna, istigata da Lon- 
gino, Rosmunda tentò liberarsi col veleno del complice Elmigiso, ma dovette dello 
stesso veleno morire; il tesoro longobardo fu dall'esarca mandato a Bisanzio alllm- 
peratore Giostino II. La Dieta dei duchi o capi longobardi radunati in Verona nominò 
a re, successore di Alboino, Clefi o Clefone, duca di Bergamo, il quale condusse a ter- 
mine le imprese iniziate da Alboino, e si accingeva ad altre conquiste quando fu ucciso 
da un suo famigliare (gasindio) in Verona, dopo diciotto mesi di regno, lasciando il 
figlio minorenne Autari. I capi o duchi longobardi pensarono superfluo eleggersi un 
re e formarono quella confederazione che fu detta dei Trentasei duchijTesideiiti ognuno 
nelle principali città del conquistato regno. Questo stato di cose durò dieci anni» 
segnando un raddolcimento nel trattamento dei conquistatori verso i conquistati. Cosi 
afferma Paolo Diacono, longobardo e storico affettuoso della sua gente, ma accurato e 
sincero abbastanza. 

Il minacciare continuo dei Franchi al di là delle Alpi e al di qua, le mene della 
C!orte di Bisanzio e degli esarchi, che speravano dall'acefalia della confederazione mili- 
tare dei duchi longobardi trarre profitto per riguadagnare il perduto in Italia, indussero 
i duchi ad una Dieta, nella quale elessero a loro re Autari, duca di Verona, figlio di 
Clefi. La storia del cavalleresco Autari è nota: egli respinse i Franchi per tre volte 
al di là delle Alpi; tolse ai Greci non poche delle città che questi ancora possedevano 
nell'alta e nella bassa Italia, e spinse la sua opera di conquista fino a Reggio di Cala- 
bria, creando contro Roma — avversa — il ducato di Spoleto, nel cuore dell'Umbria, e 
contro Bisanzio, dominatore nel mezzodì ed in Sicilia, il ducato di Benevento. Fu Autari 
che decapitò Verona portando, per ragioni di centralità, la capitale del regno longo- 
bardo a Pavia, dove stette fino alla caduta del regno stesso, sotto i colpi della spada 
franca di Carlo Magno, secondato nella propria ambizione di grandezza e d'impero 
dalla chiamata della Corte di Roma, fattasi istigatrice dell'avversione, già naturale 
negli Italiani, contro i dominatori, per timore che la politica unificatrice dei Longo- 
bardi riescisse di danno alla politica temporale, già stabilita, del papato. Ma come la 
prima pagina della storia longobarda in Italia fu scrìtta in Verona, cosi in Verona si 
scrìsse l'epilogo di quel regno, il solo del quale in Italia siano rimaste orme profonde 
e tuttora rìntracciabili. 

Caduta Pavia in mano di Carlo Magno, mandato il re Desiderìo colla moglie Ansa 
prìgionierì in un convento in Francia, Adelisio o Adelchi, figlio e socio a Desiderìo nel 
regno, negli ultimi tentativi di difesa e di riscossa ch'egli fece, passò prima a Brescia, 
poscia a Verona. Quivi mosse ad assediarlo Carlo Magno col grosso dell'esercito (774); 
ma egli, non perduta ogni speranza di vittoria, di nottetempo, con barche sull'Adige, 
riesci a fuggire e cominciò la vita raminga di prìncipe spodestato, invocando aiuti alla 
Corte di Costantinopoli ed a tutti quei prìncipi che avevano avuto torti da Carlo Magno, 
che temevano dallo smisurato accrescersi della costui potenza. Ma invano; la sorte 
del regno longobardo era fissata. 

Carlo Magno diede, com'è noto, il regno dltalia a Pipino suo figlio prediletto, il 
quale soprattutto ancora dimorava in Verona, come rìsulta da un Bitmo pubblicato 
dappriiùa dal Mabillon e poscia rìprodotto dal Muratorì nella preziosa e celebrata sua 
collezione dei Rerum Italicarum Scriptores. Prova del grande attaccamento di questo 
re a Verona è la basilica di San Zenone, ch'egli fece rìedificare e nella quale, morendo 
in Milapo (805), volle essere portato e sepolto. In quella gran parte del secolo IX, 
che durò la dominazione carolingia, Verona fu tenuta sempre fra le città italiane di 
prim'ordine. 

Alla caduta dei Carolingi e coll'affermarsi di nuove signorìe in Francia ed in Ger- 
mania, ancora in Italia si appalesa un ripicco di movimento nazionale, ed in una Dieta 
di baroni e signorì — di quella feudalità che sulle rovine della confederazione militare 



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Verona 69 

longobarda era stata portata ed inflìtta agli Italiani da Carlo Magno e successori 
suoi — venne proclamato e incoronato re dltalia Berengario, duca del Friuli, il quale 
fece di Verona la sede — capitale non è piìi il caso di dirlo — deireflSmero, tormen- 
tato e tormentoso suo regno. Combattuto da emuli non peggiori e non migliori di lui, 
Berengario, il cui animo non rifuggiva dalle maggiori bassezze, chiamò contro i suoi 
nemici Arnolfo di Carinzia, imperatore di Germania, al quale infeudò — causa di futuri 
mali — la corona d'Italia; chiamò inoltre gliUngheri, che da qualche anno, venuti 
dair intemo delFAsia, si erano stabiliti da conquistatori nella gran piana pannonica, 
minacciando di trasbordare anche in Italia. Gli Ungheri vennero e furono per l'Italia 
un flagello da far ricordare quello di quattro secoli e mezzo prima dei loro avi, gli 
Unni. Berengario, incapace a fronteggiare il male che egli stesso aveva cagionato 
all'Italia, dovette — maledetto, imprecato da tutti gli Italiani — abbandonare ogni cosa 
alla loro mercè; poi quando potè combatterli e vincerli non seppe patteggiare con 
essi prudentemente onde farli uscire d'Italia, li costrinse a nuova guerra, nella quale 
egli fa disfatto sul Brenta e gli Ungheri poterono devastare tutto il territorio, por- 
tando le offese fin sotto le mura di Verona, ove il re tenevasi, dopo la rotta, rim- 
piattato. Dovette venire a patti con quei barbari ed a prezzo d'oro e di regali catti- 
varseli, cosicché quando gli occorse di combattere qualche nemico in sostegno della 
sempre crollante sua corona, si appigliò < all'indegno ripiego > — dice il Muratori — 
di chiamare in Italia quella spietata nazione. Ciò egli fece anche nel 924, che fu l'ul- 
timo di sua vita. Egli aveva chiamato un corpo di Ungheri per spingerlo verso Pavia 
ed in Lombardia, ove nei feudatari era assai vivo il malcontento, per queste ed altre 
colpe, contro di lui. Né a Verona, memore del danno già patito a causa di quei barbari 
e rapaci avventurieri, piacque la cosa; onde, temendosi danni per tutti maggiori, for- 
mossi una congiura per togliere di mezzo quel re effimero, quanto impotente impe- 
ratore. Berengario aveva avuto sentore della cosa e, saputo che certo Flamberto, 
suo famigliare, partecipava della congiura, lo chiamò a sé e, rammentandogli i benefizi 
da lui avuti, ne rimproverò l'ingratitudine. Flamberto mostrò pentimento; ma la notte 
appresso, come Berengario entrava nella piccola chiesa attigua al palazzo onde assi- 
stere agli uffizi divini, gli fu sopra coi congiurati e lo finì. Da questo fatto nessuno 
ebbe vantaggio, perocché le cose del pae^e non mutarono in meglio, anzi peggiorarono 
ed i congiurati, fatti prendere da Milone, conte o governatore di Verona, nel terzo 
giorno dopo l'uccisione di Berengario, furono impiccati tutti per la gola (924). 

Ugo di Provenza, fatto scendere, per intrighi donneschi di Ermengarda e di Marozia, 
in Italia e proclamato re, tenne per alcun tempo la sede sua a Verona; ma le neces- 
sità politiche dell'instabile dominio ne fecero un re ambulante, sì che lo si vede or di 
qua or di là e, cacciato da Roma da una sommossa di popolo, chiamò in suo aiuto 
prima gli Ungheri, che scorrazzavano l'Italia fino in Campania; poi i Saraceni, dai 
quali si fa aiutare per combattere Berengario d'Ivrea, che, avuti soccorsi da Ottone 
re di Germania, per Trento e Verona, scendeva in Italia da conquistatore. Fallitagli 
rimprAa,Ugo ritornò in Provenza. Lotario, suo figlio e socio nel regno, muore poco 
appresso di veleno propinatogli da Berengario; la vedova di Lotario, che come erede 
dei diritti di costui alla corona d'Italia, Berengario voleva far sposare al proprio figlio 
Adalberto, rifiutandosi a queste nozze, fu mandata prigioniera nella rocca di Garda, 
mentre Berengario ed Adalberto si facevano proclamare re d'Italia. Il caso pietoso e 
romanzesco della regina prigioniera infiamma il cavalleresco Ottone re di Germania, 
che, sollecitato anche dai signori italiani, stanchi ed invidi della signoria di Berengario 
e di Adalberto, scende con forte esercito, libera la captiva regina, la sposa in Pavia 
e debella poscia Berengario ed Adalberto, mandando il primo colla moglie a morire 
prigionieri in un chiostro in Germania; mentre l'altro, sfuggitogli, andò ramingando 
per il mondo, cercando inutilmente chi poteva dargli i mezzi per riconquistare il trono 



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70 P>irte Prima — AlU Italia 



perduto. Tutte le volte che Ottone I, e come re e come imperatore, ebbe a scendere 
in Italia, fece di Verona la sua tappa favorita, trattenendovisi a lungo. Prova questa 
che la città non era scaduta della sua importanza di città regia, sebbene gli ultimi 
re francesi e Berengario d'Ivrea Tavessero depressa, risiedendo altrove ed in Pavia 
particolarmente. 

Né altrimenti avvenne del suo successore, che, sceso in Italia nel 962, convocò in 
Verona una Dieta generale dei signori di Germania e dltalia, per statuire intomo a 
molti disordini che i difetti e T inosservanza delle leggi civili e religiose lasciavano 
sussistere, e per ordinare una grande raccolta di truppe onde combattere i Saraceni, 
che già padroni di Sicilia e di molte località di Calabria, mmacciavano sempre più 
di estendere il loro dominio nella penisola* Fu in questa Dieta che fra le altre disposi- 
zioni di legge, venne sancita la legalità del duello, detto Giudizio di Dio, come mezzo 
di prova, di decisione contro accuse di £gl1so, di spergiuro, di perduellione, di adulterio 
e di altri consimili reati di frode. Nota il buon Muratori, che a stabilire questo singoiar 
modo di conoscere la verità contassero in gran numero vescovi, abati e prelati! 

Questa condizione di città privilegiata è tenuta da Verona durante il regno di 
Ottone II, di Ottone III, di Arrigo II e degli altri re ed imperatori tedeschi che si 
successero ed influirono nelle cose dltalia durante il secolo XI. 

Ma ad una funzione ben più alta e civile assurse Verona tra il finire del secolo XI 
ed il principio del XII, quando cominciò a svilupparsi in essa ed a porre radici di 
libertà la forma del reggimento comunale. Verona è delle prime città italiane nelle 
quali il Comune abbia levata la sua libera bandiera, secondando quei movimenti mera- 
vigliosi deiritalia superiore e della Toscana, che, in pieno medioevo, pose la nostra 
patria alla testa della civiltà, distanziando di gran lunga tutti gli altri popoli d'Europa e 
iniziando Fera del Rinascimento, che in una società feudale non sarebbe stata possibile. 

Durante le guerre di Barbarossa contro le città lombarde, che alla potestà del- 
Fimperatore volevano dare un valore piii virtuale che effettivo, il Comune di Verona 
spiegò un'azione che ebbe conseguenze grandissime, se non risolutive, nella grande 
contesa. Le gravezze e le restrizioni ad ogiy Ubertà imposte ai Comuni da Federico 
dopo che ebbe vinta e distrutta Milano suscitarono grande malcontento anche nei cit- 
tadini di Verona ed in tutta la Marca veronese, che fino allora, nella contesa dell'im- 
peratore coi Lombardi, si era tenuta neutrale. Tocchi ingiustamente nei loro diritti, 
nelle loro libertà più care, nei loro averi, i cittadini di Verona mossero lagnanze ai 
ministri ed ai vicari dell'imperatore, i quali respinsero in malo modo le loro lagnanze, 
minacciando anzi peggiori trattamenti se si fossero rinnovate. Ciò produsse grande 
malcontento in Verona e nei Comuni della Marca, che pÌH)fittando della lontananza 
dell'imperatore, in viaggio per Ancona, si accordarono fra di loro. Verona, Vicenza, 
Padova, Treviso ed altre città minori giurarono di sussidiarsi vicendevolmente nel ten- 
tativo che farebbero per minorare i diritti dell'Impero, riducendoli ai termini praticati 
dagli imperatori che precedettero Federico. Convennero inoltre di opporsi a qualunque 
soperchieria per parte del monarca e di esaminare le prerogative che gli apparte- 
nessero per diritto. Poco dopo anche i Veneziani entrarono in questa lega e, secondo 
taluno, ad istigazione dell'imperatore greco Michele Comneno, che contestava a Federico 
i titoli alla dignità imperiale. I collegati, tenendosi abbastanza forti per metter fine alle 
prepotenze dei vicari imperiali, attaccarono nella marca trevisana tutti i feudatari reni- 
tenti ad entrare nella lega, scacciarono gli uflSciali dell'imperatore e ritornarono i 
Comuni alle primitive forme liberali. 

Non appena Federico ebbe notizia di tali novità ritornò a Pavia e, radunati insieme 
ai suoi Tedeschi quei Lombardi dei quali più si fidava, le milizie cioè di Parma, di 



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Veroaa 71 



Como, di Novara, di Lodi, di Cremona, mosse sopra Verona per devastarne il territorio 
e punire la città (llGi). Ma la Lega veronese, pronta e sollecita agli eventi, animata 
dal sacro faoco del diritto e dell'amor di patria, marciò coraggiosamente contro Tim- 
peratore. Non tardò Federico ad avvedersi che le truppe lombarde, non più animate 
come prima dal loro odio per Milano, lo seguivano di mala voglia in quell'impresa e, 
spaventato dal pensiero di trovarsi con piccolo numero di Tedeschi in loro balìa, 
abbandonò precipitosamente il campo, fuggendo quasi davanti ai Veronesi, siccome 
narra uno dei suoi più fidi e devoti storiografi contemporanei, Acerbo Morena. 

Da quel momento tutte le città diventarono all'imperatore sospette e, perchè i 
marchesi, i conti, i capitani dovevano essere i naturali nemici delle città libere, ei 
contrasse alleanze con questi e ripartì nei loro castelli i suoi più agguerriti soldati 
tedeschi, in attesa del nuovo esercito ch'egli andava a raccogliere in Germania per 
ridurre a dovere — diceva — i sudditi ribelli. 

La lontananza dell'imperatore dall'Italia e lo splendido esempio dato dalla Lega 
veronese sollevarono gli animi a migliori cose. Si comprende che la sola unione delle 
forze può essere salvaguardia alla libertà. Rientrato Federico, nell'autunno del 1166, 
per la strada della Val Camonica, diede il sacco a molti castelli e ville del Bresciano, 
minacciando la città stessa, ma non osando attaccarla; altrettanto fece nel territorio 
di Bergamo, dal quale per Lodi venne a Pavia onde svernarvi e prepararsi a maggiori 
imprese per la primavera successiva. Le città lombarde gli mandarono ambasciate 
per lamentarsi delle avarìe e prepotenze loro inflitte dai suoi ministri ed ufficiali e 
domandando giustizia. L'imperatore le trattò duramente, ben mostrando quali propositi 
tutt'altro che concilianti nutrisse nell'animo. Perciò, non potendo più fare assegna- 
mento che sulle loro forze, le città lombarde, che non volevano più oltre sottostare 
al giogo imperiale, sull'esempio dato dalle città della Marca veronese, concordarono 
a Pontida quella Lega ofi'ensiva e difensiva, ch'è il più grande fatto della storia ita- 
liana del medioevo. Alla Lega giurata in Pontida, consacrata colla ricostruzione delle 
mura di Milano e col proposito di cacciare l'imperatore dall'Italia, si unì ben presto 
la Lega veronese, formandosene una sola, e le armi e le insegne del Comune di Verona 
seguirono le vicende gloriose della Lega, da Alessandria all'epica vittoria di Legnano, 
alla tregua di Venezia, alla pace solenne giurata in Costanza (1182). 

Ma dopo l'epopea luminosa della Lega, per la difesa ed il consolidamento delle 
libertà cittadine, si iniziò in Verona, per opera dei nobili, che miravano a soverchiare 
l'elemento popolano, il germe delle intestine discordie. È sul principio del secolo XIII 
che anche in Verona, come nelle altre città, cominciano a formarsi le fazioni dei Ghibel- 
Imi e dei Guelfi: i Ghibellini, nei quali l'elemento nobiliare prevaleva, s'appoggiavano 
all'Impero per averne sussidi di forze e di autorità; i Guelfi, nei quali si contava la 
maggior massa popolare, erano capitanati da quei nobili che, per ambizione o per rivalità 
con altre famiglie patrizie di parte ghibellina, si appoggiavano per contrappeso alla 
Chiesa, onde averne se non altro il sostegno dell'autorità morale. L'attrito delle fazioni 
si acuisce e scoppia in lotta violenta coli' infierire del dissidio fra l'imperatore Fede- 
rico U ed il pontefice Innocenzo III. Dalle castella del contado, ove dominavano spe- 
cialmente i signorotti ghibellini, la lotta penetra nelle mura delle città e n'ha sanguinose 
ripercussioni ed alternative di disfatte e di vittorie dell'una o dell'altra fazione, a seconda 
delle vicende esteriori. Di più, continuavano anche le guerre vicinali, non più causate, 
come nel secolo precedente, da ragioni d'interessi immediati di contini, di acque, di 
possessi, ma dall'atteggiamento politico diverso preso dalle parti contendenti; cosicché, 
se a Brescia trionfava la fazione e la politica guelfa, a Verona, ov'era in auge e trion- 
fava la corrente ghibellina, si trovava modo di guardare in cagnesco e punzecchiare la 
vicina, finché non si veniva alle mani ; o viceversa Vicenza, ghibellina, trovava modo 
di romperla con Verona, o con Padova, per il momento, guelfe. Fu durante questo 



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72 Parte Prima — Alta Italia 



succedersi continuo dì rivolte e di sanguinosi conflitti entro le mura della dttà e di 
guerre alPesterno con vicini e lontani, che devastavano il territorio ed erano causa 
di calamità infinite nel popolo, che apparve sulla scena politica di Verona la figura di 
frate Giovanni da Vicenza (o Schio), predicatore di pace e di fratellanza, di perdono fra 
gli uomini. Fra Giovanni, uomo di molto ingegno e di singolare eloquenza, aveva vestito 
Tabito dei Domenicani e s'era fatto alla scuola di Domenico Gusman, del da Perego, 
di Filippo da Verona (San Pietro Martire) e di Rolando da Cremona. Da Bologna, 
ove risiedeva, vedendo le città, le ville, i castelli della sua regione desolati dalle guerre, 
dalle fazioni, dagli odi fratricidi, che le passioni politiche e le ambizioni dei signori di 
San Bonifacio, dei Torriani, dei Da Romano, dei Montecchi, dei Crescenzi, dei Cappel- 
letti e d'altre famiglie nobilesche e militari alimentavano, si diede in questi paesi a 
predicare la pace. Fu dapprima a Vicenza, poi a Monselice, a Padova, a Treviso, a 
Feltre, a Belluno, a Verona, a Brescia, a Mantova, domandando ed ottenendo a quei 
Comuni, a quelle repubbliche, ai signorotti del contado d'essere fatto arbitro e paciere 
nelle loro contese. Tutti, nel desiderio della pace, gli diedero la desiderata facoltà ; 
in ogni luogo gli fu concesso di riformare gli statuti municipali, di mutarli a suo senno, 
aggiungendo e levando tutto quanto credeva; finalmente gli fu in ogni luogo pro- 
messo di intervenire alla solenne Assemblea dei popoli lombardi, ch'egli convocò per 
il 28 d'agosto di quell'anno (1233) nei prati della Paquora, in riva all'Adige, a breve 
distanza da Verona. Al convegno intervenne l'intera popolazione di Verona, Man- 
tova, Brescia, Padova e Vicenza col Carroccio ed i magistrati; vi mandarono larghe 
rappresentanze coi magistrati ed i loro stendardi Treviso, Venezia, Ferrara, Modena, 
Reggio, Parma e Bologna ; vi parteciparono con molto clero i vescovi di queste città, 
il patriarca d'Aquileja, il marchese d'Este, i signori di Romano e molti altri della 
Venezia col seguito dei loro vassalli. Parìsio da Cereta, contemporaneo, afferma che 
oltre a 400.000 erano le persone convenute nei prati dì Paquora; ma il Tiraboschi e 
Cesare Canta diminuiscono questo numero, che, comunque, fu grandioso, tanto che l'As- 
semblea di Paquora fu considerata la maggiore riunione di popolo della quale sì abbia 
notizia. Fra Giovanni si era fatto erigere un gran pulpito nel mezzo del prato e di 
là con voce tonante, prendendo a testo le parole della Scrittura: Io vi dono la mia 
pace, io vi lascio la mia pace, fece uno spaventoso quadro dei mali della guerra, predicò 
il perdono delle reciproche ingiurie e la pace fra gli uomini. Dettò una specie di trat- 
tato di pacificazione universale, che ci fu conservato dal Muratori, e per assicurarne la 
esecuzione fece sposare al marchese d'Este una figliuola di Alberico da Romano; invocò 
l'eterna maledizione su gli infrattori di quella pace, la pestilenza sul loro gregge, 
la sterilità alle loro terre ed alle loro vigne. Tutti andarono via da^ Paquora colla 
migliore impressione e contenti, nella persuasione che per un poco la pace non sarebbe 
più turbata, venerando Fra Giovanni come un santo, come un nuovo inviato da Dio, 
un apostolo apportatore della buona novella. E fino a questo momento l'opera di 
Fra Giovanni appare, nella storia, sincera, inspirata, disinteressata. Senonchè il successo 
di Paquora inorgoglisce il frate, ne turba la serenità e gli mette nell'animo strane 
cupidigie di comando. Subito dopo l'Assemblea va in Vicenza, entra improvviso nel 
Consiglio del Comune e domanda che gli sia aflSdata un'illimitata autorità sulla Repub- 
blica col titolo di duca e conte. Tant'era l'ascendente ch'egli aveva saputo acquistarsi 
sugli animi che, nella fede dì qualche nuova e strepitosa impresa a benefizio del 
popolo e della pace, ogni sua richiesta fu esaudita, e allora si diede a raffazzonare 
a modo suo gli statuti del Comune, sconvolgendo le acquisite libertà, scontentando 
molti e contentando nessuno. A Verona, dove sì recò poscia, fece ancor peggio. Affer- 
rata la suprema autorità nella Repubblica, colla forza fece ritornare in città il conte 
di San Bonifacio, allora esiliato perchè fomentatore di cittadine discordie; chiese ostaggi 
alle fazioni nemiche; mise presìdi nei castelli di San Bonifacio, di Illasi ed altrove; e 



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Verona 73 



peggio ancora, fatti imprigionare 60 cittadini delle principali famiglie di Verona, li 
sentenziò egli stesso per eretici e senz'altro li fece abbruciare sulla pubblica piazza; 
poi raffazzonò a modo suo leggi e statuti, con grave danno delle libertà e delle pre- 
rogative cittadine. Questi fatti persuasero i Vicentini ed i Veronesi che Fra Giovanni, 
anziché accrescere i privilegi e le libertà del popolo, andava assodando la propria 
signorìa e quella dei nobili, che, colle adulazioni e gli onori, avevano saputo amicar- 
selo. Perciò, mentre Fra Giovanni trovavasi a Verona, Uguzio Pilio podestà di Vicenza, 
aiutato dai Padovani, rivendicò a libertà il Comune, ripristinando gli antichi statuti e 
dichiarando decaduta la signoria di Fra Giovanni. Questi accorre da Verona, ma è 
fatto prigioniero. Dovette air intromissione del papa se fu rilasciato libero e potè ritor- 
nare nel suo convento a Bologna, lasciando il Veneto e la Lombardia di bel nuovo in 
preda alle guerre ed alle discordie da cui erano afflitte prima del convegno di Paquora. 

Frattanto una delle famiglie nobili e ghibelline della marca di Treviso era salita a 
maggiore potenza delle altre e mirava a stabilire la propria signoria sulle principali 
città del Veneto, Treviso, Padova, Vicenza, Verona. Era la famiglia dei signori da 
Romano, che fin dal secolo precedente aveva cominciato a prendere parte per l'im- 
peratore contro i Comuni e che delle franchigie popolari e nazionali mostravasi sin- 
golare odiatrice, sì che tutte le sue guerre erano volte contro i Comuni della regione 
e contro quei signori che li favorivano. Vicenza e Padova ed i signori di Camposam- 
piero specialmente, avevano potuto provare tutto il furore dei signori da Romano, 
di Ezzelino II in particolar modo, contro le loro libertà. Il punto culminante della 
potenza dei da Romano fu nella prima metà del secolo XIII, durante il regno for- 
tunoso di Federico II, in cui grandeggiò la figura, rimasta celebre nella storia, d'Ez- 
zelino IV detto il Feroce. Costui, nell'intento d'impadronirsi di tutto il Veneto, aveva 
preso con ardire la parte di Federico II e lo eccitava contro i Comuni di Lombardia 
e del Veneto e contro la Chiesa sostenitrice dei Guelfi suoi avversari, assai potenti in 
questa regione. Nel 12^ Ezzelino IV fu dai nobili, formanti il Senato della città, eletto 
a podestà; e quest'elezione, della quale erano stati principali fautori i Montecchi, fu il 
segnale della cacciata dalla città dei Guelfi, di cui era capo il conte Roberto di San Boni- 
facio. Appena insediato nel comando, Ezzelino si fece nominare anche capitano del 
popolo, riunendo in tal modo nelle sue mani le due potestà: la civile e la militare. 

Nel 1236 Ezzelino costrinse, col pretesto di rendere più forte la parte ghibellina, 
a ricevere in'Verona un presidio di truppe imperiali tedesche, affidatogli dall'impe- 
ratore Federico, del quale si giovò per assodare la sua signoria in Verona e per esten- 
dere il dominio suo, col titolo di vicario imperiale, anche sui castelli e sulle città della 
regione. Contro di lui e contro il partito imperiale in genere si andò formando la 
nuova Lega delle città lombarde e venete ascritte alla parte guelfa: Lega minacciosa 
per Ezzelino, perchè entrarono a farne parte i suoi nemici più temuti, i marchesi di 
Este ed i conti di San Bonifacio. Federico U, cedendo alle sollecitazioni di Ezzelino 
da Romano, entrò, nel 1236, in Italia per la valle Trentina e giunse a Verona il 16 di 
agosto con 30.000 cavalli tedeschi, ponendo il campo nelle vicinanze della città. Dopo 
avere ingrossato il suo esercito del partito dei Montecchi, ligio ad Ezzelino, e con quanti 
aiuti questi potè procurargli dalle altre parti del Veneto si inoltrò al di là del Mincio, 
per intraprendere quella campagna che doveva debellare per sempre il guelfismo, ma 
che come la precedente terminò col danno e la disfatta della parte imperiale. 

n declinare della fortuna imperiale, l' intensità sempre crescente del conflitto fra 
Federico II ed il papa, fa tremare il suo vicario Ezzelino, il quale, per consolidarsi 
nel dominio delle città del Veneto, di cui per una ragione o per l'altra si era imposses- 
sato, col consenso e l'appoggio dell'imperatore, che lo considerava per il suo maggiore 
e miglior amico in Italia, si diede ad applicare i più tirannici e feroci metodi di governo 
che si possano escogitare per opprimere e terrorizzare un popolo. Verona, Padova, 

49 — litt Patria, toI. I, parte 2^ 



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74 Parte Prima — Alta Italia 



Vicenza e Treviso sono da lui poste sotto il più crudele ed arbitrario regime del sospetto, 
deirarbitrio, della vendetta. Nelle disgraziate città non esistono più leggi, ma la sola 
sospettosa, torva e vendicativa volontà del tiranno, aggravata dalla protervia e dalla 
servilità dei suoi luogotenenti. Non v'è eccesso che non si commetta, non v'è delitto 
che non si mediti e si compia agli scopi o alle vendette di Ezzelino. Su questo fon- 
damento di odi, di morti, di terrori, di sangue, Ezzelino crede incrollabile la sua potenza: 
Verona, Vicenza, Padova, Feltro e Belluno gli obbediscono domate; T ambizione si 
acuisce: vuole di più. Vuole Brescia, vuole Mantova, vuole Ferrara; mira al di là del Po 
e dei fiumi lombardi e con cieca fiducia nella fortuna, che lo aveva fino allora assistito, 
muove pieno di baldanza per la guerra in Lombardia, nella quale, avviluppato dalle 
armi della Lega crociata contro di lui levata, doveva essere vinto a Cassano d'Adda 
e morire di ferite e di rabbia prigioniero di Azzo d'Este e dei Guelfi, nonché dei loro 
antichi amici Buoso di Dovara ed Oberto Pallavicino che gli si erano voltati contro, 
nel castello di Soncino (1259). 

Morto Ezzelino fu un grande sollievo per le città del Veneto da lui dominate e 
per quelle che erano sempre sotto la sua minaccia. Verona per la prima respirò e 
ripristinò tosto gli antichi ordinamenti comunali, dei quali il dispotismo di Ezzelino 
non aveva più lasciato traccia. Ma purtroppo le discordie prima e la lunga tirannia 
poscia avevano dissuefatto il popolo dagli usi della libertà. Non si poteva più con- 
cepire la vita, la salute della Repubblica senza un padrone. Cosi fu eletto podestà a 
vita Mastino della Scala, ghibellino pur esso, uomo di ardire e di virtù, che si era 
tenuto appartato dalle nefandezze del periodo di Ezzelino ed aveva con onore retto 
pubblici uffici in altre città. L'insediamento di Mastino I della Scala quale podestà e 
capitano del popolo in Verona segnò per la città il principio di quella signoria, che 
fu una tra le più caratteristiche d'Italia nel secolo XlV e sulla quale Dante seppe 
gettare un lampo di simpatia immortale. Al confronto del governo di Ezzelino quello 
di Mastino I della Scala, tuttoché inteso a consolidare la signoria propria e della sua 
famiglia, fu un governo ottimo, e Verona potè rimettersi delle passate sventure e 
godere d'una pace relativa, interrotta da brevi conflitti con Padova, Brescia e Vicenza. 
Mastino I della Scala fu ucciso il 17 ottobre 1277 da quattro congiurati per ragioni 
di vendetta privata. Alberto della Scala, suo fratello, che trovavasi allora podestà in 
Mantova, saputo dell'eccidio, volò a Verona, afferrò le redini del comando e per primo 
fatto vendicò colla morte degli assassini il fratello. Se Mastino I fu il preparatore abile 
della signoria dei suoi, Alberto fu, si può dire, T instauratore. Largo d'idee e muni- 
fico, addormentando il popolo sotto le parvenze della tolleranza o solleticandolo con 
lo splendore della Corte e dei lavori fatti intraprendere nella città, in continuazione 
o compimento di quelli ordinati dal fratello, seppe a grado a grado trasformare la 
repubblica in principato. Ad ingrandire il quale, oltre che colle astuzie e le sottili 
arti della politica, si adoperò anche colle armi, difendendosi contro una lega di città 
guelfe della Lombardia, istigata da Venezia, la quale cominciava già a volgere i suoi 
sguardi verso terraferma; e nel Trentino contro il principe-vescovo di Trento, al quale 
tolse per alcun tempo la storica sua sede; a Riva, al castello d'Arco, a Belluno, a 
Feltro, ad Este. Alberto della Scala morì di idropisia nel 1301, in un momento nel 
<iuale la fazione imperiale, a causa della debolezza di Alberto d'Austria, era ridotta 
a mal partito, tanto che Dante ebbe a muovergliene acerbo rimprovero nel canto vi 
del Purgatorio: 

Vieni a veder Montecchi e Cappelletti, 

Monaldi e Filippeschi, uom senza cura, 

Color già tristi e costor con sospetti. 



Vien, crudel, vieni e vedi la pressura 
De' tuoi gentiU e cura lor menzogne . . . . 



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Verona 75 

Comunque Alberto potè reggersi con fortuna fino airultimo e morendo lasciò lo 
Stato ai tre figli suoi: Bartolomeo, Alboino e Can Francesco, nato il 9 marzo 1291, che 
fu l'ospite ed il protettore di Dante: 

Non se ne sono ancor le genti accorte, 
Per la novella età (che pur nove anni 
Son queste ruote intorno a lui tórte). 

n popolo confermò tosto Bartolomeo nell'ufficio di signore perpetuo della città; 
ma tre anni dopo, per infermità, moriva; il popolo, che proprio non voleva star senza 
padrone, confermò Alboino (secondogenito di Alberto) nella carica di signore e capitano 
generale; ma, malaticcio com'era per mal sottile, chiamò il fratello a compagno nel 
governo e, nel 1308, il popolo proclamò per suo assoluto signore Can Francesco e gli 
giurò fedeltà, mentre ^Alboino rinunziava ad ogni cura e moriva poi tre anni appresso, 
il S4 ottobre 1311. In' questo stesso anno Can Francesco, colle milizie di Verona e di 
Mantova, tolse Vicenza ai Padovani, assoggettandola nominalmente all'imperatore, di 
cui era vicario perpetuo nella Venezia. Jacopo Carrara, signore di Padova, volendo 
tentare la rivincita su Vicenza subì, il 17 settembre del 1314, per opera di Can Fran- 
cesco, sotto le mura di quella città, un'altra gravissima sconfitta. In poco tempo, facendo 
sempre prosperare le armi ghibelline, Can Francesco potè occupare Vicenza, Padova, 
Treviso e gran parte della Marca trevisana. 

I Ghibellini, assai depressi dopo la catastrofe di Casa Sveva e dopo T insuccesso di 
Arrigo di Lussemburgo, trovarono in Can Francesco il loro eroe, e nel 1318 la Lega dei 
ghibellini lo proclamò suo capitano generale, colla paga dì 1000 fiorini d'oro al mese. 

Per queste sue qualità e per l'ospitalità e la protezione larghissima da lui accor- 
data ai Ghibellini illustri, vittime della reazione guelfa in Firenze ed in altre città. 
Dante non solo volle dedicargli la ui cantica del suo divino poema, ma volle insinuare 
le sue lodi anche nel poema stesso. Così egli fa predire a Cunizza (fin dal 1300) la 
sconfitta che Can Francesco avrebbe inflitta ai Padovani, dicendo che questi muteranno 
in sangue l'acqua del Bacchigliene : 

Ma tosto fia che Pado^'a al palude 
Cangerà Tacqua che Vicenza bagna. 

Quando Dante fu condannato all'esilio Can Francesco contava solo 11 anni. Ben- 
venuto da Imola racconta che, condotto fanciullo dal padre a vedere un gran tesoro, 
per mostrare il suo disprezzo per il danaro. Cane lo scompigliò. Forse da questo 
aneddoto il poeta trasse la predizione: 

Questi non ciberà terra né peltro 
Ma sapienza e amore e virtute, 
E sua nazion sarà tra Feltro e Feltro: 

pronosticando 'con questi versi, messi in bocca a maestro Michele Scotto, non solo la 
signoria di Cane sulla Marca di Treviso e su Padova, ma estendendola ad abbracciare 
tutto il paese di Romagna, allora rigurgitante di Ghibellini, e sui confini del quale è 
appunto la regione montuosa del Montefeltro. 

Giovanni Villani disse Cane : < il maggiore tiranno e U più possente e ricco che 
fosse in Lombardia >. Cane accoglieva presso di sé quei distinti personaggi .cui sinistre 
vicende spinti aveano a vivere dalle patrie loro lontani; ma tratteneva pure ai suoi 
stipendi brigate di istrioni, di giocolieri e d'altre sollazzevoli persone, che dai cor- 
tigiani venivano accarezzati di preferenza a quegli uommi per imprese e per sapienza 
famosi. Uno dei ricoverati fu lo storico di Reggio, Sagacie Muzio Cazzata, che ci tra- 
mandò la relazione del trattamento che ivi ricevevano gli illustri sventurati fuoru- 
sciti. Diversi appartamenti erano loro assegnati nel palazzo del signore, indicati da 
vari simboli; il trionfo pei guerrieri, il boschetto delle muse pei poeti, Mercurio per 



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76 Parte Prima — Alta Italia 



gli artisti, il Paradiso per i predicatori, per tutti T incostante fortuna. Cane riceveva 
pure alla sua Corte i suoi illustri prigionieri di guerra Jacopo Carrara, Vanni Scoma- 
zano, Albertino Mussato ed altri molti. Tutti avevano addetti famigliari e mensa ugual- 
mente imbandita. Cane ne invitava talvolta alla propria, specialmente Dante e Guido 
di Castel di Reggio, dalla patria esiliato cogli amici della libertà e che per la sua 
semplicità era detto il Semplice Lombardo. Trovavasi Dante in tal condizione dopo 
la morte di Arrigo VII e dovette risiedervi per alcuni anni od almeno aver Verona 
a centro delle sue peregrinazioni, se presso Cane contrasse amicizia con Uguccione 
della Faggiuola, il quale non si trasferì a Verona se non dopo essere stato cacciato 
dai Pisani. Cane per alcun tempo assai si compiacque del sapere di Dante e molti 
contrassegni in più riprese gli diede della grande sua stima, onde egli potè chiamare 
a sé, probabilmente nel 1310, Pietro suo figlio, il quale in Verona dedicossi allo studio 
delle umane lettere e della giurisprudenza; ma avendo poi il fiero ed altìssimo ghi- 
bellino osato far sentire in qualche aperto richiamo a Cane la possanza del suo ingegno 
e la rigidezza del proprio carattere esso corse pericolo di attirarsene la disgrazia, 
onde fu meglio ch'egli abbandonasse Verona per la meno fastosa e più pacifica e con- 
templativa dimora di Ravenna. Pietro, figlio di Dante, si allogò in Verona e vi prese 
stabile dimora, dando origine ad una prosapia che è durata fino al secolo XVUI, in 
una nobilissima e colta famiglia di quella città: la famiglia Serego degli Alighieri. 
Cane Francesco morì all'apice della sua potenza di 39 anni appena, per avere, tra- 
felato, in una giornata di luglio, bevuto in grande quantità acqua di fonte freddissima. 
Il titolo maggiore che ora raccomanda il suo nome alla posterità è quello delPospi- 
talità cordiale e sicura offerta a Dante in uno dei momenti più tristi della sua vita. 
Dante a Verona. — Del soggiorno di Dante e delle impressioni che il divin poeta 
riportò di questa città e dei ricordi storici ch'essa gli suggerì trovansi molti passi 
nella Divina Commedia, dove è pure manifesta in replicate volte tutta la speranza 
che aveva riposta in Can Grande, per il compimento di quello che era il suo sogno 
politico. Così nel canto i iélVInfemo designa in lui quegli che farà morire con doglia 
la malvagia lupa: e Tallusione, < assai bizzarra — dice il Foscolo — negli ultimi versi 
del Purgatorio dalle parole un cinquecento dieci e cinque^ nelle quali intende fare 
l'anagramma della parola latina dvx, profetando in Cane, già eletto capitano della 
Lega ghibellina, colui < che anciderà la rea donna in tresca col gigante > ; ed infine nel 
Paradiso (e. xxvii) dove assicura che la fortuna volgerà la poppa dove ha la prora 
e dopo il fiore verrà il vero frutto >. Delle persone e dei luoghi veduti in Verona il 
poeta ha accenni diversi: nello spirto che in Purgatorio (e. xvm): 

Io fui abitante in San Zeno di Verona 
Sotto Io imperio del buon Barbarossa . . . 

rammentando le corse del pallio usate in Verona, quando, descrivendo la rapidità colla 
quale ser Brunetto Latini, dopo essersi con lui intrattenuto, corre per raggiungere la 
propria brigata (/«/"., e. xv) : 

Poi si rivolse, e parve di coloro 
Che corrono a Verona *1 drappo verde 
Per la campagna; e parve di costoro 

Quegli che vince e non colui che perde. 

Cosi, in altro canto deiìVInferno, egli comparò lo sfranamento del girone a quella 
località, a tutti ben nota in vaile Lagarina, al disotto di Rovereto, detta degli Slavini 
di Marco, e designa in una nota terzina sul lago di Garda ed altri passi ancora. 

Per serbarne tante impressioni e conoscenza di uomini, di usi e di luoghi, U sog- 
giorno di Dante in Verona, sebbene non si sia potuto precisare con esattezza quando 
sia veramente cominciato e quando finito, dovette essere lungo e non continuato, e 



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Verona 77 



quindi fatto a frequenti riprese, poiché abbiamo la testimonianza contraria della dimora 
fatta dal poeta in altre località. Ugo Foscolo, nelle sue considerazioni sulla Divina 
Commedia, dimostra che Dante, dopo la sentenza che lo bandiva in perpetuo da Firenze 
e dopo ch'erano riusciti vani i tentativi — da lui sconsigliati — degli altri ghibellini 
fuorusciti suoi compagni, per rientrare in patria a forza d'armi e di sollevazione popo- 
lare, volse per primo rifugio alla casa dello Scaligero Alberto, ch'era vicario dell'Im- 
pero e signore di Verona. Dopo egli peregrinò, e per ambascerie e per irrequietezza 
dello spirito e per vaghezza di conoscere nuovi paesi e per interesse della parte ghi- 
bellina, di cui era appassionato fautore; ma a capo di queste peregrinazioni doveva 
sempre essere Verona il punto fisso di dimora, quasi come una seconda patria. Solo, 
al declinare degli anni, avvenuto il suo rafifreddamento con Can Grande, lo vediamo 
stabilirsi definitivamente presso Guido da Polenta nella quieta Ravenna, che rimase 
fra i secoli e rimane ancor oggi custode gelosa della sua tomba. 

*% 

Morto Can Grande della Scala il dominio passò ai suoi nipoti Alberto II e Mastino II, 
figli di Alboino. Il primo poco volle occuparsi delle cose di Stato e morì nel 1352; Mastino 
all'incontro ebbe per le cose di Stato tutte le cure e morì qualche mese prima del 
fratello. Fu costui principe assai abile ed ambizioso e tutta l'opera sua fu rivolta ad 
accrescere il dominio, guerreggiando ora coi Visconti di Milano, ora coi Óarraresi di 
Padova, ora con altri signori e città di minore importanza che stavano ai confini dei 
suoi Stati e coi possessi dei quali egli intendeva allargare ed arrotondare i proprii. 
I Veneziani, che già andavano maturando disegni su la terraferma che circonda il 
semicerchio estremo del golfo Adriatico, non vedevano di buon occhio il rafforzarsi 
della potenza Scaligera sul limitare quasi del loro estuario, onde, solleticando il fervore 
guelfo dei Fiorentini, li persuasero ad entrare in lega con loro allo scopo di frenare un 
po' l'ambizione di Mastino II, lasciando libero corso alla quale — dicevano — non 
sarebbero bastati i confini dell'Apennino e del mare. I Fiorentini acconsentirono e la 
guerra fu portata negli Stati di Mastino II, che non potè competere con sì potenti 
nemici e perdette gran parte del suo territorio, rimanendogli, a pace conclusa, la 
sovranità su Verona e Vicenza. 

Con questi avvenimenti comincia la decadenza della signoria Scaligera in Verona, 
che colla morte di Mastino II precipita nella più atroce tragedia di famiglia da disgra- 
darne quelle classiche degli Atridi. Mastino, morto il 3 giugno 1351, lasciò lo Stato 
ai suoi figli Can Grande II e Cansignorio. Can Grande II, come primogenito, ebbe la 
preminenza ed il governo s'imperniava tutto in lui, cosa che dispiaceva al fratello, 
cupido ed ambizioso. Sotto il suo governo Verona fu abbellita e si completarono col 
castello Vecchio, il ponte annesso ed altri lavori, le fortificazioni già iniziate da Mastino li. 
Ma, nel 1359, Cansignorio, dominato dall'impazienza di regnare e dall'odio concepito 
contro il fratello, lo fece assassinare, e per assicurare la successione ai proprii figli 
bastardi fece rinchiudere e strangolare nella fortezza di Peschiera l'altro suo fra- 
tello minore Paolo Alboino. Non è con siffatti procedimenti che si possono fondare 
dinastie e regni. 

Cansignorio morì nel 1375 e con lui si spense la linea diretta degli Scaligeri: gli 
succedettero, perchè minorenni sotto tutela di quattro cospicui cittadini, i figli naturali 
Bartolomeo II ed Antonio. Questi, dopo due anni, uccise il fratello per la smania di 
governare da solo; ma, inetto e prepotente ad un tempo, guastatosi coi più abili e 
forti vicini, il Gonzaga di Mantova, il Carrara di Padova ed il Visconti di Milano, subì 
tal seguito di sconfitte, che ad una ad una perdette tutte le sue terre e finalmente 
anche Verona, caduta nelle mani di Galeazzo Visconti. Antonio della Scala fuggì, ma 
poco appresso moriva, a quanto sembra, di veleno (1390). Così ebbe fine la signoria 



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78 Parte Prima — Alta Italia 



degli Scaligeri su Verona e tanta parte del Veneto* mgnoria che ebbe un momento 
di grande splendore e potenza, tanto da fare sperare e profetare Dante, in essa, la 
fortuna e la salvezza d'Italia. Profezia fallace per quanto dettata da alti concepimenti, 
perchè la forza, la libertà, la grandezza di una nazione non possono essere opera di 
uno di pochi uomini solamente, ma della virtù, del volere e della costanza di tutto 
un popolo, ed erano queste doti che mancavano allora in Italia e mancarono sempre 
più nei secoli appresso. 

La dominazione dei Visconti su Verona durò fino al principio del secolo XV, nel 
qual tempo, per lo sfacelo avvenuto nel ducato di Milano alla morte di Galeazzo, fu 
agevole a Francesco Novello da Carrara, signore di Padova, d'impossessarsi di questa 
e di altre città del Veneto cadute sotto il dominio visconteo. Ma la nuova signoria 
non piacque troppo ai Veronesi, che, sull'esempio di altre città del Veneto, sponta- 
neamente si diedero alla Repubblica di Venezia, sotto la quale Verona godette molti 
anni di pace perfetta, turbata solo da due infelici tentativi di Antonio e Brunoro della 
Scala,' nipoti di Antonio Scaligero, per riacquistare lo Stato, e completamente fallitL 
Venezia mise al bando quegli ultimi due rampolli della stirpe Scisdigera e nessuno 
ne sentì più a parlare. 

Le vicende calamitose della fine di questo secolo e del principio del susseguente, 
nelle quali .Venezia fu impigliata, e per poco non dovette soccombere, posero sovente 
Verona alla mercè degli eserciti che passavano e ripassavano dalla Germania in Italia 
e viceversa; e la Lega di Cambrai, che per un momento parve dovesse strozzare la 
Repubblica Serenissima, mise Verona per otto anni nell'assoluto dominio degli Impe- 
riali. Ma allo schiarirsi delle cose, dovuto alla paziente abilità della diplomazia veneta» 
Verona ritornò esultante sotto il vessillo protettore di San Marco e da allora, per 
oltre due secoli e mezzo, godette d*una pace assoluta, di un governo equo e moderato 
che consentiva il progressivo sviluppo della sua attività e salvaguardava gli usi e le 
sue antiche costituzioni comunali. Il fatto di maggiore rilievo di questo, per Verona, 
fortunato periodo, fu la terribile pestilenza del 1630, che ridusse la città da 55 a 22.000 
abitanti. Ma fu calamità generale per tutta l'Alta Italia. Al principio del secolo XVII 
il territorio veronese fu danneggiato dal passaggio delle truppe francesi ed imperiali, 
che nei piani di Lombardia e nelle montagne del Trentino combattevano per la successione 
di Spagna. 

Gli ultimi anni del Governo veneto passarono per Verona nella più assoluta tran- 
quillità. Ma la procellosa fine di quel secolo scosse anche queste popolazioni dal pla- 
cido torpore nel quale sembravano immerse. Le notizie di Francia avevano messo un 
gran fermento negli animi, specialmente nella gioventù, desiderosa di novità e di mag- 
giori libertà; mentre la debole tentennante politica della Serenissima, non all'altezza 
della situazione, dava poco affidamento alle popolazioni di fronte agli avvenimenti 
che rapidamente si maturavano in Lombardia, colla vittoriosa corsa fatta da Monte- 
notte a Milano dalle truppe repubblicane francesi, sotto il comando di Bonaparte e 
d'altri generali non meno giovani ed avventurosi di lui. Dall'andamento delle cose 
facilmente si comprese che i Francesi ed i Cisalpini assieme non avrebbero rispettata 
la neutralità proclamata dalla Repubblica di Venezia, la quale peraltro non poteva 
impedire il passaggio delle truppe imperiali austriache attraverso i suoi Stati per 
correre a Mantova minacciata e nella bassa Lombardia invasa. Le occupazioni di Ber- 
gamo, di Brescia, di Crema e di altre città e terre di San Marco facevano presentire 
la non lontana catastrofe finale della antica Repubblica oligarchica sotto i colpi della 
giovane e giacobina Repubblica di Francia. 

Al principio del 1797 due terzi delle provinole venete di terraferma erano nelle 
mani dei Francesi: se questi si fossero impadroniti di Verona, sotto qualsiasi pretesto, 
la capitale degli Stati veneti avrebbe dovuto cedere. A tale scopo, come narra il 



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Verona 79 



fionnoli, che ha raccolto con cura tutti gli elementi storici riguardanti la caduta di 
Venezia, Bonaparte si valse, come di consueto, di emissari segreti. Landrieux era cir- 
condato da buon numero di ufficiali giovani, vivaci, pronti ad ogni impresa palese o 
segreta. Un capitano di nome Pico fu incaricato da Bonaparte di operare su Verona 
con qualsiasi mezzo. Questi stimò non prudente suscitare un tentativo d'insurrezione 
nella città mentre l'esercito dell'arciduca Carlo stava di fronte ai Francesi; ma Bona- 
parte insistette e Tufficiale si diede all'impresa, accordandosi coi generali Beaufrois 
e Eelmaine per avere, occorrendo, gli aiuti necessari. Dalle provincie limitrofe accor- 
sero in Verona emissari armati o disarmati di tutte le razze: francesi, svizzeri, ita- 
liani, polacchi. Il Senato veneto, informato di questo stato di cose, mandò in Verona 
due nuovi provveditori, TErizzo ed il Giovannelli, con numerose truppe schiavone. Con 
queste venne pure in Verona il conte Emilio degli Emilii, il quale, influentissimo come 
era nella regione, armò soldati quanti ne potè raccogliere ed ebbe compagni nell'im- 
presa tutti i nobili veronesi. Religiosi secolari e regolari eccitavano le popolazioni 
della città e della campagna alla resistenza ed alla sollevazione contro i Francesi, 
traendo partito dallo incameramento da essi fatto dei beni ecclesiastici nel Milanese 
e nei ducati, dal saccheggio dato al santuario della Madonna di Loreto e dalle enormi 
contribuzioni di guerra che imponevano alle popolazioni fra cui passavano. A Salò ed 
altrove avvennero ammutinamenti che portarono a sanguinosi conflitti. D'altra parte gli 
emissari francesi eccitavano la gioventiì, i generali, i malcontenti dell'antico regime a 
ribellarsi contro l'oligarchia nobilesca di Venezia, a costituirsi in bande armate, che 
affrontassero poi le squadre dei volontari veneti, reclutati dai provveditori e dall'Emilii 
nella campagna. Lo stesso Landrieux, messosi alla testa di queste bande di patrioti^ 
com'erano detti, guidava palesemente il moto contro Venezia. Una banda di rivoltosi, 
fra cui eranvi alcuni Polacchi e Francesi, essendosi diretta verso Salò, fu inseguita, 
attaccata e decimata dagli abitanti. I prigionieri furono condotti a Verona e quelli che 
erano sudditi della Repubblica di Venezia vennero incarcerati come rei di Stato. Ciò 
eccitò maggiormente gli animi e Bonaparte, alla ricerca di pretesti per attaccar briga 
direttamente colla Serenissima, fece da un suo agente, Salvadori, compilare un mani- 
festo col quale si eccitavano le popolazioni della terraferma ad assalire e massacrare 
i Francesi. A quel manifesto fece porre la firma apocrifa di Francesco Battaglia, prov- 
veditore straordinario per la Serenissima in terraiferma, e da esso prese pretesto per 
tutte le proteste e le violenze ch'egli intendeva usare contro Venezia. Invano il Bat- 
taglia ed il Senato veneto protestarono e provarono la falsità del documento. Bonaparte, 
i suoi generali ed emissari si ostinarono a tenerlo per buono, perchè faceva loro giuoco 
nell'eccitare gli animi e nel preparare il meditato colpo su Verona. Lahor, comandante 
delle reclute nelle repubbliche Cispadana e Transpadana, obbedendo agli ordini avuti 
da Bonaparte, dichiarò alla Signoria che per colpa del Governo veneto la neutralità 
era rotta. Non bastavano le calunnie e gli incentivi ad un attentato che ridesta la 
memoria dei Vespri Siciliani, si volle aggiungere anche l'insulto. Nel suo proclama 
spavaldo Lahor mostrò chiaramente chi lo inspirava ed il proposito di prevalere. 
< Il provveditore Battaglia — diceva quel manifesto, riportato dal Botta — ebbe 

< la pazza idea di credere che alcuni contadini, ignari dell'arte militare, potessero 

< vincere i Francesi, la prima nazione per valore e per scienza di guerra. Sappiate 

< che, per ordine del generale in capo. Battaglia sarà imprigionato ed appiccato; che 

< la medesima sorte è serbata agli istigatori della rivolta ; che le vostre case saranno 

< abbruciate e le famiglie vostre ridotte alla mendicità; che sarà generale lo ster- 

< minio se non vi affrettate a deporre le armi, a consegnarle al comandante di Brescia, 

< ad inviargli una deputazione >. 

Questo linguaggio, studiatamente violento, talvolta contraddittorio, falso, ferisce la 
dignità del Governo di Venezia e dei sudditi della Repubblica, disonora coloro che Io 



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so Parte Prima - Alta Italia 



adoperavano e più di tutti Bonaparte che lo consigliaya. Oli storici francesi, nelle loro 
querimonie per le Pasque Veronesi^ non ne tennero conto; il Darù, nella sua Storia 
di Venezia, serbò un calcolato silenzio su questi fatti. Ma la verità è una. Il prov-^ 
veditore Battaglia respinse nuovamente T infamia dell'atto attribuitogli, il Senato pro- 
testò del pari; ognuno sapeva che Landrieux aveva trovati e pagati l'estensore, lo 
stampatore ed i distributori del manifesto, circolante a migliaia di copie tra Francesi 
e Cisalpini : tutto fu vano. 

La tregua stipulata a Judenburg il 7 aprile colPÀustria doveva avere per conse- 
guenza finale Loeben e Campoformio; ma frattanto bisognava accumulare davanti ai 
popoli ed alla storia i pretesti. A questo pensò Bonaparte, mandando, per mezzo del 
suo aiutante Junot, alla Signoria, la sua famosa lettera del 9 aprile, odiosa per la forma 
e per la sostanza, nella quale, attribuendo alla Serenissima la responsabilità di tutto 
quanto era avvenuto, intimava a Venezia il disarmo delle truppe assoldate. 

< 11 mio aiutante — scriveva il generalissimo dell'armata d'Italia -— che vi reca la 

< presente è portatore o di pace o di guerra. Se voi subito non dissolvete le masse, 

< se non arrestate e date in mia mano gli autori degli omicidi la guerra è dichiarata >. 

La risposta del doge Manin fu dignitosa e calma; ma parve a taluni della Signoria 
troppo mite e non tutti la votarono. Il doge si limitava a respingere le infondate 
accuse; a protestare contro la violata neutralità; ad affermare la lealtà e la corret- 
tezza del Governo suo in ogni atto e trattativa verso il Governo francese ed il generale 
delle truppe francesi in Italia. Ma a nulla servi contro la soldatesca smania di Bona- 
parte di brigare per atterrare la vecchia Repubblica, dei cui tesori il miraggio eccitava 
la sua avidità còrsa. 

Nei primi giorni di quell'aprile funesto (1797) gli intrighi dei partigiani francesi 
con maggiore ardire si dilatarono ad eccitare gli animi nelle terre veronesi, dove la 
popolazione campagnuola era avversa ai Francesi. 

Nelle città i partiti erano divisi ed aspettavano un'occasione favorevole per agire. 
I capi francesi volevano compiere un'impresa simile a quella che aveva cagionate le 
sommosse in altre provinole della terraferma. I capi veneziani volevano conservare 
quel territorio alla madre patria. Victor, futuro duca di Belluno, presentossi colla sua 
divisione nel Padovano eccitando la rivolta. Lahor lo seguiva e la guarnigione francese 
di Mantova lo appoggiava. I comandanti veneti formarono reggimenti con truppe schia- 
vone e dalmate che erano di passaggio; nello stesso tempo una parte delle truppe 
cispadane si acquartierò senz'altro in Verona, come in terra di conquista. La presenza 
in città di uomini animati da sentimenti cosi opposti diede luogo ad eccessi parziali 
Ai tumulti, ai conflitti, ai massacri fecero seguito le risse, le uccisioni. I Francesi ed 
i loro aderenti percuotevano o ferivano tutti coloro che gridavano Viva San Marco^ 
grido di guerra dei Veneziani. 

Il clero, contrario ai Francesi, auriche calmare e metter pace, eccitava maggior- 
mente gli animi. Mentre i Francesi saccheggiavano il Monte di pietà, ad istigazione 
del clero si formavano dei reggimenti di soldati paesani. 

Il generale Balland, subentrato al Kelmaine nel comando delle truppe repubblicane, 
scrisse al provveditore lagnandosi di ciò che ormai nessuno poteva più impedire. Il 
provveditore promise di reprimere la rivolta, esortando in pari tempo il generale 
francese a' fare altrettanto. 

Neirs aprile il provveditore Giovannelli fece conoscere alla Signoria il suo timore 
che l'accordo dei Francesi coi rivoltosi promovesse piii gravi molestie. £ infatti i soldati 
veneziani che presidiavano Peschiera furono disarmati dai Francesi, e alle proteste 
del provveditore non si diedero che risposte equivoche. Landrieux nel contado con- 
tinuava a pubblicar proclami, l'uno più minaccioso e provocante dell'altro, invitanti 
gli amici della Francia a disarmare i villici e ad abbruciare le loro case. 



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Verona 81 



n dispaccio del 10 aprile del provveditore Giovannelli alla Signoria è un vero atto 
di accusa contro Bonaparte ed i suoi. Giovannelli si mostra esatto nella esposizione 
dei fatti: nulla manca nei suoi rapporti. Trovansi le date precise, i nomi delle persone 
interessate, i luoghi dove si svolsero gli avvenimenti, i reclami, le risposte. Il quadro 
— dice il ricordato Bonnoli — è completo: non havvi esagerazione, né fraseologia; 
tutto è preciso senza declamazioni, senza parole enfatiche ; nei suoi scritti dominava 
la sincerità ed i riguardi verso i suoi avversari. I proclami e le lettere ufficiali e pri- 
vate dei capi delle truppe francesi sono riferiti nelle relazioni del Giovannelli in modo 
da mostrare ad evidenza che quei documenti si risolvono in altrettanti capi d'accusa 
contro i loro autori. Tutti i dispacci del Giovannelli negli otto giorni che precedettero 
la sanguinosa rivolta delle < Pasque veronesi >, mettono in mostra la irregolarità e la 
scorrettezza degli atti politici e militari del generale Balland. Il Senato, con pubblici 
manifesti, esponendo la verità delle cose, tentò invano di sedare Teccitamento degli 
animi e richiamare Bonaparte ed i suoi generali al rispetto della neutralità, del diritto 
delle genti ; ma gli uni e gli altri perseverarono nella loro politica provocatrice, dichia- 
rando di non credere alle proteste ed alla sincerità dell'amicizia del Governo veneto. 
£ quello che doveva avvenire, e che da lungo si preparava, fatalmente avvenne. 

Narra il Botta, e la sua narrazione è esattamente concorde ai documenti ufficiali: 
< Il lunedì di Pasqua 17 aprile 1797, verso le quattro ore di sera, scoppiò ad un tratto 
la terribile sollevazione di Verona. Cominciò con minacce ed insulti che alcuni soldati 
veneziani e delle milizie veronesi rivolsero ai soldati di Francia sparsi nei diversi 
quartieri della città. Il generale Carrère, spaventato dal pericolo sovrastante, radunò 
le sue truppe in piazza d'armi, pronto a recarsi dovunque la sua presenza potesse 
divenir necessaria. Da un'ora egli rimaneva in quel posto, quando Balland diede in 
certo modo il segnale dell'attacco, facendo tuonare il cannone dai castelli. Allora 
Carrère precipitosamente si condusse al Castello Vecchio, contro il quale già com- 
battevano i Veronesi dalle case vicine. Fino dai primi scoppi delle artiglierie francesi 
sospettarono i cittadini che Balland volesse trattarli ostilmente, né si ingannavano ; 
poco dopo il generale fece tirare ad oltranza contro il palazzo di città che risentì 
danni considerevoli. La prima cannonata colpì il tetto del palazzo degli Scaligeri ed 
in brevissimo tempo tutta la città mutò d*aspetto. 

< Si alzavano da ogni parte grida di rabbia contro i Francesi, e un ardore indi- 
cibile tutti invadeva nelP inseguirli; metteva terrore il suono non interrotto delle 
campane a stormo. Quanti Francesi si trovavano nei pressi dei castelli s'affrettavano 
a ritirarvisi ; ma nemmeno questo riesciva senza rischio e difficoltà, giacché il popolo 
trucidava quelli che poteva raggiungere, e dalle finestre piovevano sassi, pietre od 
altro, onde la ritirata era resa impossibile o, per dir meglio, mortale. Vecclii, donne, 
fanciulli, resi più forti dal furore, aiutavano l'opera micidiale ; comune era la brama 
di vendicare col sangue odiato gli oltraggi ed i patimenti. Moltr Francesi furono 
immolati in quella fuga in mezzo agli schiamazzi di gioia della plebaglia (?) inferocita. 
Altri cercavano scampo nei nascondigli più riposti delle abitazioni, ma ben poche di 
queste offrivano asilo sicuro, che gli abitanti, violando ogni legge di ospitalità, li 
massacravano: chi veniva gettato nei pozzi, chi pugnalato; alcuni veniyano respinti 
violentemente sulle strade per divenire bersaglio della folla aizzata, la quale, ad ogni 
istante, ingrossava sempre più. Alle orribili grida s'univano il rimbombo delle arti- 
glierie ed i tocchi della campana a stormo. Nella sua vendetta il popolo non rispar- 
miava gli innocenti, e con inaudita crudeltà le donne, i fanciulli, i malati faceva 
inumanamente capri espiatorìi delle ingiustizie, delle rapine, delle frodi e dei tradi- 
menti di coloro che avevano reso odioso il nome francese. 

€ Era uno spettacolo deplorevole e terribile vedere malati languenti inseguiti da 
assassini intrisi di sangue; donne calpestate da femmine furibonde. Vidi un portico 

60 — li» PAiriA» Tol. I, parte 2*. 



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82 Parte Prima - Alla Italia 



stillante ancora del sangue di Francesi; vidi trarre dalle fogne e dai pozzi delle 
uniformi insanguinate; vidi gli assassini portare in trionfo le spoglie delle vittime; 
gli strazii e le crudeltà maggiori si notarono all'ospedale militare ; moltissimi malati 
furono uccisi, altri maltrattati o spogliati. Le preghiere, Taspetto stesso degli agonizzanti 
non ispirava pietà a quei crudeli . 

< Né minor pericolo correvano i poliziotti veronesi ed i forestieri; anzi contro di 
essi con più violenza divampava Tira popolare. Però gran parte s'erano ritirati nei 
castelli, altri accuratamente nascosti trascorsero più giorni tra la speranza e lo spa- 
vento. Non è a dire che nel deplorevole avvenimento signoreggiasse soltanto la 
barbarie. Alcuni Veronesi, e fra questi lo stesso conte Nogarola, uno dei capi del 

movimento, diedero asilo e salvarono la vita a molti Francesi La nuova dì ciò che 

accadeva a Verona non tardò a diifondersi nelle campagne vicine. Dappertutto for- 
mavansi assembramenti ; ed i paesani armati venivano a gettarsi in mezzo alla tempesta 
che scompigliava la città, e con nuovi furori riaccendevano il furore. 

< Tosto si rinnovarono i tumulti ed i massacri, ed il sangue non cessò di sgorgare 
che allorquando non se ne trovò più da sgozzare. Non potendo più sgozzare gli uomini, 
si inveì contro le proprietà. Covava un odio antico contro gli Ebrei, si dicevano par- 
tigiani di Francia, e perciò il loro quartiere fu messo a saccheggio ; i fondachi del 
pubblico erano minacciati e solo i molteplici sforzi dei provveditori valsero ad impedire 
che i feroci difensori di Venezia si tramutassero in ladroni 

< Le case e le strade rosseggiavano di sangue ; i castelli fulminavano la città ; gli 
Schiavoni sfogavano contro i castelli tutta la loro rabbia, e dicevano di voler dare 
l'assalto, insieme al popolo, ai ripari dei tiranni d'Italia. Il Castel Vecchio, perchè 
più vicino alla città, si trovava maggiormente esposto agli attacchi della plebaglia e 
dei soldati. Oramai era divenuta debole la difesa; vi si comunicava da Verona per 
mezzo di un ponte chiuso soltanto da un cancello di ferro, e la porta di fracido legno 
ero priva financo di saracinesca. Nel frangente il Giovannelli avrebbe voluto, non già 
disarmare il popolo, poiché il carattere troppo noto dei Veronesi avrebbe interposto 
ostacolo, né lo poteva permettere il fuoco ben nutrito dei nemici, ma avrebbe desiderato 
porre argine alla barbarie, introdurre ordine e moderazione >. 

Abbiamo voluto riportare i brani principali della narrazione fatta dall'illustre 
storico piemontese, ch'ebbe la ventura di essere testimone oculare dei fatti; prima 
perchè ha il valore di documento storico della massima importanza; poi perchè il 
moto veronese presentato dagli storiografi successivi, troppo ligi all'astro sorgente, 
con caratteri essenzialmente odiosi e falsati, è qui messo, nelle cause e nella sua 
esplicazione, nei suoi veri termini, e sfronda tutte le invettive più o meno rettoriche 
che su Verona e sul suo popolo furono poscia lanciate per questo avvenimento. Certo 
fu fatto triste e doloroso, dovuto alla singolare esasperazione messa nell'animo di un 
popolo, per lunga tradizione e per fatti, chiaro di virtù, di pietà, di civiltà, in fama 
di buono, cortese, ospitale. Le colpe delle folle, si sa, sono — quando avvengono — 
grandi, spaventose. Ma nel contagio irresistibile dell'autosuggestione delle masse sta 
anche la maggiore discriminante loro. La vera responsabilità di queste colpe cade 
su chi porta la esasperazione preparatoria nell'animo delle masse al punto da pro- 
vocarne lo scoppio violento e le infrazioni alle leggi scritte e dell'umanità e della 
civiltà. Nel caso di Verona abbiamo visto chi fossero i preparatori veri di cotesto 
stato patologico dei Veronesi. 

La responsabilità massima, per non dire totale, del sangue versato in quelle tristis- 
sime giornate dell'aprile 1797, la storia ormai l'ha giudicato: spetta a Bonaparte ed ai 
suoi generali, che vollero, ad ogni costo, senza diritto e senza ragione, violare la neu- 
tralità della Repubblica Veneta, ed allo scopo di abbattere quest'antica potenza ecci- 
tarono, con arti insidiose e sleali — oggidì documentate — gli animi della popolazione. 



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Verona 83 



Alla notizia delle < Pasque veronesi > Bonaparte, che si trovava a Jndenburg, ordinò 
che fosse vendicato il sangue francese sparso, senza pensare che il generale Balland 
fu il primo a dare il segnale del massacro, facendo lanciare palle infuocate contro 
una città indebitamente occupata. Giovannelli aveva intavolato col generale Ghabran 
trattative per la miglior soluzione della cosa. Ma gli ordini di Bonaparte erano 
perentorii. Le trattative furono rotte ; le ostilità ricominciarono. Giunsero in Verona 
ì soldati di Lahor, del quale annunciavasi una vittoria nella pianura tra il Mincio e 
r Adige; si avvicinavano le truppe comandate da Kilmaine e da Victor: il brigadiere 
veneziano conte Maffei era sconfitto, e la notizia dei preliminari di Leoben si diffuse 
per gli Stati veneziani come una nuova minaccia alla vita della Repubblica. I prov- 
veditori tentarono trattative sulle condizioni seguenti: disarmo degli insorti, evacua- 
zione di Verona, consegna delle armi e munizioni, garanzia mediante ostaggi, tra i 
quali gli stessi provveditori Erizzo, Giovannelli ed il segretario Sanfermo. Invano; il 
generale Kilmaine, con grande tracotanza disse di non potere e non volere garantire 
nulla: il che equivaleva imporre alla città una resa a discrezione. I provveditori, non 
volendo accettare tali condizioni, deliberarono di ritirarsi a Padova, rimettendo la 
città nelle mani delle autorità municipali. Con dispaccio del 25 aprile, essi notifi- 
cavano alla Signoria che si erano ritirati da Verona, non per timore di prigionia o di 
morte, ma perchè avevano la certezza della inutilità dell'opera loro contro la ferocia 
dei due partiti in lotta. 

I Francesi dopo la capitolazione occuparono tosto la città. Furono immediatamente 
atterrati lutti gli stemmi di Venezia dal leone alato di San Marco, e cominciarono le 
repressioni, le punizioni, le vendette a base di giudizi marziali. Fra le vittime di quella 
feroce soldatesca reazione furono il conte Emilio degli Emilii, il conte Verità, il conte 
Malenza, che insieme ad altri espiarono colPestremo supplizio il delitto di aver preso 
le armi per protestare contro la proditoria, illegale, violenta occupazione della loro 
patria. Oltre ai supplizi, decreti di Bonaparte stabilirono che i soldati francesi dove- 
vano essere mantenuti ed approvvigionati di tutto dai cittadini; il Monte di Pietà 
venne vuotato di tutti gli ori, le gemme ed oggetti di valore depositati, che vennero 
consegnati al Comando militare; si asportarono le somme che costituivano il patri- 
monio dei poveri; venne imposta una contribuzione di cento e venti mila zecchini: 
alla guarnigione dei castelli fu data facoltà di esigere altri cinquantamila zecchini; 
furono assegnate indennità ai soldati ed agli ospedali ; furono requisiti tutti i cavalli 
dei privati per darli alle truppe; llntendenza impose un contributo d'un gran numero 
di pezze di tela, di panni, di oggetti di vestiario, di scorte, di finimenti; gli oggetti 
d'oro delle chiese furono incamerati dai commissari francesi; le somme perquisite 
nelle casse pubbliche e private passarono alle casse dell'armata francese; si deva- 
starono istituti di belle arti e scientifici, e le sostanze ingenti di molti dei condannati 
e dei fuggiaschi furono confiscate. I latrocinii commessi in quell'occasione dai com- 
missari di guerra e da generali francesi furono inauditi: il commissario Bouquet ed 
il generale Landrieux sorpassarono in questi ogni improntitudine, tanto che furono 
pubblicamente accusati e destituiti. Il generale Augereau, il valoroso, non si macchiò 
in queste brutture, e giudicando chi le commise, scrisse: che non si aspettarono gli 
ordini di Bonaparte; che Lahor aveva provocato la rivoluzione di Verona con sac- 
cheggi e violenze inaudite; che non si risparmiarono le campagne; che gli incendi, 
ì furti, le requisizioni ebbero luogo senza alcuna autorizzazione legale; che alcuni 
ufficiali, per avidità di lucro, si diedero la falsa qualifica di comandanti di piazza, allo 
scopo di commettere eccessi che ledono l'onore ed ogni sentimento di giustizia. 
L'arbitrio aveva presieduto ai saccheggi dei palazzi e delle case più ricche di Verona. 
Si asportarono somme rilevanti senza rilasciare ricevuta, e si spogliarono fondachi 
collo stesso sistema. Verona era fatta un deserto e si procedette da alcuni ufficiali 



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84 Parte Prima — AlU Italia 



alla vendita di mercanzie, accampando diritti di possesso che non avevano fondamento. 
Augereau, impressionato da questo stato di cose, ch'era una vergogna pel nome fran- 
cese, aveva promesso di porvi riparo ; ma gli ostacoli che trovò in alto e gli avveni- 
menti tumultuosi dell'epoca che lo chiamarono altrove non gli consentirono di tradurre 
in eifetto le sue buone intenzioni. 

Così, con questo quadro sanguinoso di stragi, di orrori, di vergogne, finì la domi- 
nazione veneta in Verona: dominazione che in circa tre secoli aveva lasciato nella 
città i migliori ricordi di tolleranza e di giustizia, e ne aveva favorito in modo singolare 
lo sviluppo civile, economico, commerciale ed edilizio. 

Con Tapplicazione delle clausole del trattato di Campoformio, nel gennaio 1798 
Verona fu, insieme a Venezia ed alle altre città di terraferma oltre il Mincio, retrocessa 
all'impero d'Austria; ma nel 1800, dopo Marengo, ritornò in potestà dei Francesi. 
Nel riordinamento del Regno Italico, dopo il 1805, Verona fu dichiarata capoluogo 
del dipartimento dell'Adige, e cominciò a riaversi, reintegrata come fu nei suoi diritti, 
dalle passate sventure. 

Alla caduta di Napoleone passò, come tutto il Lombardo- Veneto, sotto il dominio 
austriaco; e quello Stato maggiore, conosciutane tutta l'importanza strategica, in rap- 
porto specialmente colle comunicazioni tra l'Italia e l'Austria, ne fece il caposaldo 
della sua occupazione militare in Italia; ed in quel periodo nel quale nessun alito 
di vita industriale spirava nel paese, stremato dalle guerre e dalle contribuzioni del 
periodo napoleonico, passò per Verona una fortuna grulla. 

Nel 1822, dopo che un fremito di aspirazioni liberali aveva percorso l'Italia coi 
moti carbonari del Piemonte, delle Calabrie, del Napoletano, coi tentativi abortiti 
in gestazione di Milano e dell'Emilia, e coi principii della insurrezione greca, tra il 
1830 ed il 1821, i principi collegati della Santa Alleanza, sentirono ancora il bisogno 
di riunirsi e d'intendersi, per stringere meglio i vincoli della loro politica di oppres- 
sione e di reazione, già sancita al Congresso di Vienna ed a quello cQ Lubiana. Quindi 
fu scelta Verona, ben fitta di baionette e di cannoni, per quel convegno. Intervennero, 
oltre l'imperatore d'Austria e la sua corte numerosa di duchi e di arciduchi, i re di 
Napoli e di Sardegna, i duchi di Modena e di Lucca, il granduca di Toscana, il 
vicario pontificio, i rappresentanti di Carlo X e l'imperatore Nicola di Russia, che 
in quel Congresso, forse per far dispetto agli altri collegati, fece la parte di libe- 
rale e patrocinò specialmente la causa della Grecia. Fu quello forse il primo colpo 
diretto che la Russia dava alla integrità dell'Impero ottomano; senza curarsi se, 
stabilendo quel principio di nazionalità, guastasse le uova nel paniere all'imperatore 
d'Austria, in quel momento troppo interessato a non voler sentire in alcun modo a 
parlare di nazionalità. 

Nel 1848, Verona non ebbe, al pari di tutte le altre sorelle italiane quel breve, 
ma sempre salutare periodo di libera espansione patriottica. Fortezza di primissimo 
ordine, base di tutte le operazioni militari dell'Austria in Lombardia e nel Veneto, 
non fu un sol momento abbandonata a sé stessa. Radetzky vi condusse e rattoppò i 
resti dell'esercito cacciato da Milano dopo la lotta delle Cinque Giornate, e quivi piur 
si ricoverarono le truppe austriache, dopo le sconfitte subite al fortunato inizio della 
campagna dell'esercito sardo in Lombardia. A Verona si riunirono le truppe fatte 
venire dall'Austria per sedare il movimento italiano, da Radetzky lanciate per la 
rivincita su tre direzioni: sopra Milano, sul Po, nei ducati ed in Romagna e nella 
Venezia. Anche Radetzky soggiornò lungamente in Verona. Egli alternava pressoché 
esclusivamente la dimora in questa città con quella in Milano. 

Durante i tristi periodi dei processi statari di Milano, di Brescia e di Mantova, a 
Verona risiedeva la Commissione Suprema, che esaminava i processi e giudicava in 
ultima istanza. Superfluo dire che le sentenze di questo tribunale supremo e quasi 



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Verona 85 



occulto, essenzialmente politico e militare, concludevano sempre per la pena capitale 
la lunghissima prigionia allo Spielberg. 

Così durante la guerra del 1859 e quella del 1866 Verona fu il punto d'appogrgio 
deir Austria: la testa del famoso quadrilatero, il quale, nel 1859, non avrebbe impedita, 
dopo Solferino e San Martino, la marcia in avanti degli alleati, trionfale fino a Venezia, 
se le arti e le convenienze della politica non Pavessero arrestata a Villafranca: né 
preservò l'Austria dal cedere la Venezia, sebbene vincitrice a Custoza ed a Lissa, ma 
sconfitta irreparabilmente a Sadowa. 

La cessione del Veneto fatta dall'Austria a Napoleone III, come compenso della 
sua mediazione pacifica, e la retrocessione fatta da Napoleone al Governo italiano di 
quella regione, furono la conclusione della disgraziata guerra del 1866. Con questi 
atti Verona, insieme a Venezia ed a tutta la regione veneta, veniva restituita alla 
madre patria, ed un plebiscito solenne indetto per il 21 e 22 ottobre di quell'anno 
sanciva Tavvenimento auspicato. 

Ma gli ultimi giorni della dominazione austriaca furono in Verona macchiati del 
sangue popolare. La sera del 6 ottobre, in piazza di Bra, a causa di una dimostrazione 
popolare, il presidio austriaco, che non aveva puranco lasciata la città, caricò la folla 
inerme. Una donna incinta, Carlotta Aschieri, cadde uccisa da un colpo di baionetta e 
molti cittadini rimasero più o meno gravemente feriti. Fu questo l'episodio finale della 
dominazione austriaca in Verona. Pochi giorni dopo la città era dal generale Leboeuf, 
rappresentante di Napoleone, consegnata al commissario italiano De Betta. 



UOMINI ILLUSTRI 

Lunga è la nota degli uomini illustri, che per civili virtù od in ogni ramo della 
scienza hanno onorato la patria comune, che nacquero in Verona o nel suo immediato 
territorio. Scendendo dalla più alta antichità fino al secolo XIX, ricorderemo minuta- 
mente i nomi dei cittadini veronesi che levarono maggior fama per le opere loro e 
per le loro virtù. 

Periodo romano. — Sòrta a grande splendore nel tempo che fu municipio romano, 
fiorirono in Verona nobilissimi ingegni, fra cui : Caio Valerio Catullo, nato neirs? a. C , 
morto nel 30, amico di Cicerone, letterato, grammatico, poeta latfno dei più fini e 
ricercati : fu autore di liriche, di elegie, di epigrammi e di varii componimenti riboc- 
canti di grazia e di freschezza, tra cui è anche il poemetto La chioma di Berenice, del 
quale lasciò una versione italiana anche il Foscolo ; — Cornelio Nepote, storico illustre, 
il Plutarco romano, vissuto nel primo secolo av. Cristo ; — - Emilio Macro, grammatico, 
filosofo e poeta, amico di Virgilio e di Ovidio ; - Marco Aulo Vitruvio, considerato 
dagli autori come il principe degli architetti romani, sebbene Formia contrasti a Verona 
la gloria di esserne stata la culla; — Pomponio Secondo, tragico dei migliori; — Plinio 
il Vecchio, che altri vorrebbe nato a Como, ed a tessere l'elogio del quale è superfluo. 

Secolo VI. — Verona vanta i vescovi Petronio e Massimo, santificati, dotti predi- 
catori e zelanti propagatori del Cristianesimo. 

Secolo VII. — Portano lumi alla storia patria: V Anonimo Veronese, cronachista, 
per quanto l'indole dei tempi lo comportava, diligente, riportato dal Muratori nella 
sua celebre raccolta degli scrittori di cose italiane e dal quale ha tratto buoni mate- 
riali per la storia intricata di quei tempi; — - V Anonimo, poeta veronese, il solo docu- 
mento che ci mostri non interrotto durante il periodo longobardo il culto della poesia 
latina... per quanto imbarbarita. 

Secolo Vili. — Si citano di Verona: Coronato, autore di una leggenda di S. Zeno; 
— l'Anonimo poeta, autore del Ritmo, nel quale in forma poetica sono celebrate le 
virtù di Pipino, e di una descrizione di Verona in quel tempo ; — Anselmo, abate, 



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86 Parte Prima — Alta lulia 



fondatore della celebre abbazia di Nonantola presso Modena, dopo essere stato duca 
del Friuli e uomo di guerra e politico, assai autorevole nel suo tempo. 

Secolo IX. — Notingo, vescovo della città, teologo e letterato di gran fama nel 
suo tempo; — l'arcidiacono Pacifico, matematico insigne, famoso per aver inventato 
l'orologio notturno o clepsidra, ed una catapulta di grande forza per lanciare il fuoco 
greco sulle navi nemiche. Fu architetto valentissimo, e presiedette alla erezione di 
molte chiese. Fu poliglotta e commentò il Vecchio ed il Nuovo Testamento, e scrìsse 
anche in poesia. La celebre Biblioteca Capitolare di Verona ha codici e pergamene 
raccolte da lui. 

Secolo X — Fu vescovo di Verona Roterio, belga, scrittore e critico di cose sacre 
e profane. Per le sue opinioni, non sempre conformi a quelle dei tempi suoi, ebbe a 
soflFrire il carcere e l'esilio. — - Fu pure di questo secolo e veronese papa Gregorio V. 

Secolo XL — Stefano da Verona, storiografo e matematico, del quale è rimasto 
un calendario con molte notizie sulla storia politica ed ecclesiastica di quel secolo. 

Secolo XIL ■— Il diacono Lorenzo, poeta, che cantò e descrisse le vittorie dei 
Pisani sopra i Saraceni, delle quali fu testimonio oculare. 

Secolo XIIl. — Paris da Cereta, autore della più estesa ed accurata cronaca di 
Verona che si conosca e buon latinista; — Jacopo da Brolio, giurista assai reputato; 
— Frate Alberto, dotto scrittore di cose teologiche ; — Guglielmo Piacentino, medico 
ed autore di un'opera medica che ai suoi tempi fece testo ; — Pietro della Scala, teologo 
e scrittore fecondissimo; — Daniele da Verona, uno dei primi pittori dei quali si abbia 
notizia nel Veneto, i cui affreschi in San Zeno furono per lungo tempo ritenuti come 
opera di Giotto. 

Secolo XIV. — - Giovanni da Verona, diacono, scrittore di cose storiche; — Guglielmo 
da Pastrengo, uomo assai dotto e ragguardevole, ambasciatore più volte al pontefice 
ed all'imperatore, amico del Petrarca che fu ospite in casa sua; — il vescovo Tebaldo, 
uomo dottissimo e scrittore di cose teologiche ; — Boncambio, che lasciò una storia 
degli Scaligeri ; — Rinaldo da Villafranca, poeta e musicista; — Bernardo Campagna, 
protomedico e scrittore di opere di medicina; — Guarino da Verona, geografo, giurista, 
letterato, commentatore di classici e maestro in lingua greca e latina di cui aperse 
una scuola. — In questo secolo vissero molti pittori: Dante de' Baccalari, Jacopo di 
Santa Cecilia, Giovanni di San Sebastiano, Silvestro della Seta, Stefano di Zevio padre 
e figlio, Giovanni Badile ed altri che segnarono il notevole risveglio artistico, per il 
quale Verona andò distinta fra le città del Veneto. 

Secolo XV. — Fu gloria di Verona Fra Giovanni Giocondo^ letterato ed artista, 
uno di quegli uomini meravigliosi del Rinascimento che sembrava compendiassero la 
onniscienza. Come letterato, filologo, archeologo, lasciò una preziosa raccolta di iscri- 
zioni ed accurate edizioni di Plinio il Giovane, di Vitruvio e di altri sommi latini. Come 
architetto, lasciò in Verona, in Venezia e altrove opere celebrate da noi già ram- 
mentate. Infine, quale idraulico, rettificò il corso del Brenta, liberando la laguna dagli 
interramenti che questo fiume causava: regolò, con pari scopo, il corso del Piave; 
costrusse a Parigi un ponte sulla Senna; a Roma lavorò con Raffaello nella fabbrica 
di San Pietro; dovunque egli fu lasciò tracce del suo ingegno grandissimo e del suo 
valore artistico. Basterebbe, se altro non vi fosse di suo, la loggia del Consiglio in 
Verona ed il restauro al ponte romano sull'Adige, per assicurarne la fama ai posteri 
più lontani; — Giovanni Falconetto, pittore assai apprezzato; — Fra Giovanni da 
Verona, celebre lavoratore in tarsia ed intagliatore in legno, del quale sono famosi 
cori e pulpiti in molte chiese d'Italia; — Antonio Panteo, letterato; — Bartolomeo 
Cipolla, giureconsulto insigne; — Giovanni Bevilacqua, storico militare; — Michele 
Sanmicheli, architetto di fama mondiale, del quale già si è detto a lungo nella descri- 
zione delle fortificazioni e delle opere monumentali da lui lasciate in Verona; — 



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Mandamenti e Comuni del Distretto di Verona 87 



Vittore Pisano, celebre cesellatore e medaglista; — Giovanni di Nicolò, introduttore 
dell'arte tipografica in Verona ; — Giovanni Burana, letterato e grecista. — Fiorirono 
in qnesto secolo i pittori veronesi: Paolo Morando Òavazzola, Stefano dai Libri, Zeno 
di Martino, Nicolò da Verona, il Morene, Cecchino da Verona, Matteo Pasti, Gerolamo 
Pasti ed altri valentissimi che diedero incremento all'arte e crearono Pambiente arti- 
stico, nel quale doveva poi fiorire il sommo Veronese. 

Secolo XV L — Torello Santina, storico delle cose veronesi e venete; — Bernar- 
dino Rutilio, nativo di Gologna, letterato illustre; — Onofrio Panvinio, storico, archeo- 
logo, lapidario acclamato: illustrò con grande cura ed amore i monumenti della Verona 
romana; — Giulio Cesare Bordone, soprannominato lo Scaligero, uno degli uomini più 
dotti del suo tempo, autore di molte opere letterarie e scientifiche; — Paolo Caliari, 
detto il Veronese^ con Tiziano e Tintoretto uno dei tre massimi maestri della scuola 
veneta, uno dei più grandi pittori d'Italia. Il Veronese ha tal fama mondiale che 
ci dispensa dalFaggiunger parola. — Fra i pittori che fiorirono in questo secolo a 
Verona, ricordiamo: Gerolamo dal Moro, Paolo Farinati, Francesco Montemezzano, 
il Bellotti, ecc. 

Secolo XVIL — L'idraulico Teodoro da Monte, che servì la Repubblica di Venezia 
con molto onore; — Francesco Cerruti, letterato, commentatore di classici ; -— Francesco 
Bianchini, teologo, astronomo, matematico, letterato, ecc., ecc. 

Secolo XV III, — Vi fu in questo secolo, in Verona, grande fioritura di poeti e 
letterati, accademisti ed arcadi, taluno dei quali non del tutto meritevole di oblio; 
ma chi si innalzò di gran lunga sugli scrittori suoi contemporanei fu Scipione Maffei, 
storico, filologo, economista e poeta; colla sua Merope rinnovò la tragedia italiana 
imbastardita dai secentisti, e spianò la via all'Alfieri, al Foscolo, al Monti; — lo storico 
Enrico Norìs; — i matematici Antonio Cagnoli, M.Bianchini e Antonio Maria Lorgna; 
— l'architetto Alessandro Pompei; — il musicista Antonio Salieri, uno dei buoni 
innovatori del melodramma italiano, precursore del periodo rossiniano. 

Secolo XIX, — In questo secolo furono celebri nelle lettere e nella poesia i vero- 
nesi: Ippolito Pindemonte, poeta elegiaco di gentilezza squisita, che Foscolo ebbe fra 
i migliori suoi amici; — Cesare Betteloni, lirico efficace e cantore inarrivato delle 
bellezze del Garda; — Aleardo Aleardi, che alla fibra appassionata del poeta aggiunse 
l'animo ardente del patriota. — Fra i letterati vanno ricordati i gesuiti Antonio Cesari 
e Antonio Bresciani, scrittori copiosissimi e stilisti accurati. — Fra gli architetti : il 
Giullari, Giuseppe Barbieri e Luigi Trezza. — Fra i pittori : Giuseppe e Carlo Canella 
e Domenico Scattola. — Angelo Messedaglia, scienziato ed economista. — Bella spe- 
ranza della letteratura moderna, troppo presto rapita dalla morte, fu in questi ultimi 
anni il giovane avvocato Arnaldo Alberti, autore di romanzi, novelle e studi critici 
e d'arte di prejgio non comune. 

Coli, elett. Verona I e II — Dioc. Verona — P*, T., Slr. ferr. e Tr. 

Avesa (2472 ab.). — Il villaggio è sparso in bella posizione, al piede di ridenti 
colline, a 3 chilometri a nord di Verona e a circa 150 metri sul mare. Ha una bella 
chiesa ed alcuni edifizi notevoli e nei dintorni è qualche graziosa villa privata. 

Il territorio è fertile ed assai bene coltivato a vigneti, granaglie e legumi. Mol- • 
tissimi e prosperosi i frutteti. Dalle terre circostanti si estrae una pietra calcare di 
assai facile lavorazione, la quale, tagliata regolarmente, è usata per la costruzione di 
case ed edifizi di non grande importanza. In queste cave sono impiegati un centinaio 
di operai. L'industria principale e la sorgente massima di lucro è la lavanderia, nella 
quale sono impiegati uomini, donne e ragazzi per oltre due terzi della popolazione. Di 
poca importanza è l'aUevamento dei bachi da seta. 

GoU. elett. Verona II — Dioc. Verona — F\ T. e Str. ferr. a Verona. 



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88 Parte Prima — Alta Italia 



Bussolengo (3459 ab.). — n grosso villaggio trovasi in pianura sulla destra del- 
FAdige, a 127 metri sul mare e a 12 chilometri in direzione di nord-ovest da Verona, 
a metà strada circa fra questa città ed il lago di Garda. È in bellissima posizione e 
centro ad un nodo di strade importantissimo, sia commercialmente che strategicamente. 

Il territorio è agricolmente fertile, lambito come è dall'Adige ed in varie parti 
irriguo; la coltura dei varii generi produttivi non potrebbe esservi più attiva e sagace, 
e la massima parte della popolazione attende quindi alFagrìcoltura. Vi è anche larga- 
mente esercitato Tallevamento del bestiame bovino e del pollame, del quale si fa 
esportazione. Gran parte dei prodotti del paese va ad alimentare i grandi mercati 
quotidiani di Verona, ma soprattutto si offre in vendita in paese stesso nel mercato 
frequentatissimo e commercialmente assai attivo che vi si tiene ogni giovedì. 

Importante è la tessitura casalinga della tela, la quale impiega molte donne, 
essendovi un telaio in quasi tutte le famiglie alquanto numerose. Oltre al consumo 
locale di questa tela se ne fa largo smercio anche in Verona e nei paesi vicini. In alcuni 
telai si tesse anche lana. Molti molini natanti agiscono sull'Adige e servono a macinare 
farine anche per i villaggi dei dintorni. 

Cenno storico. — Bussolengo fu luogo contrastatissimo durante le guerre accesesi 
sul finire del secolo XVIII in Italia tra Francesi ed Austrìaci. Il villaggio stesso fu 
teatro di accanitissima battaglia fra le truppe di Massena ed alcuni riparti tedeschi 
subito dopo la battaglia di Arcole, così famosa per Fatto coraggioso di Napoleone, il 
quale primo passò il contrastato ponte sotto il Aioco nemico. Anche durante la prima 
guerra d'indipendenza italiana (1848) avvennero varie fazioni intomo a Bussolengo, 
con variò esito. 

CoU. elett. Bardolino — Dioc. Verona — - P^, T. e Str. ferr. a Sommacampagna. 

Buttapietra (1450 ab.). — Questo Comune si trova in perfetta pianura, a 38 metri 
sul mare e a 12 chilometri a sud di Verona; è sparso in molte frazioni, delle quali 
la principale non conta che 400 abitanti. È a metà strada circa fra Verona ed Isola 
della Scala, sulla provinciale che conduce ad Ostiglia. 

Il territorio è coltivato a cereali ed i campi sono intersecati da lunghi filari di 
gelsi. Esteso è quindi l'allevamento del baco da seta. Anche del bestiame bovino si 
fa allevamento e commercio. Si esporta pollame e uova, ma si produce pochissima 
uva. La frazione principale è attraversata da un rivo formato da acque raccogliticce 
e di scolo, il quale discende al Tartaro. All' infuori della tessitura casalinga di tele 
ordinarie quasi nessun'altra industria è esercitata. Vi è qualche piccolo brillatoio da 
riso con alcuni molini da farine. 

Coli, elett. Isola della Scala — Dioc. Verona — P^ a Verona, T. e Str. ferr. a Isola della Scala. 

Cà di David (1967 ab.). — Lungo la strada da Verona ad Ostiglia € a 6 chilometri 
dalla prima città è questo villaggio sparso in diverse frazioni, fra le quali la maggiore, 
del centro, conta 494 anime. L'altitudine del paese è di 49 metri sul mare. 

Il terreno, sebbene non eccessivamente fertile, dà buoni prodotti in frutta, cereali, 
vino e legumi. Diffusa vi è la coltura del gelso e per conseguenza l'allevamento del 
baco da seta. Buon prodotto è pure il bestiame, allevato con cura. Se ne esporta in 
quantità assieme a pollame ed a uova. Vi si esercita con qualche estensione la tes- 
situra casalinga di tele ordinarie. Molti abitanti di Gà di David si recano tutti 1 giorni 
a Verona per lavoro. 

CoU. elett. Verona I — Dioc. Verona — P\ T. e Str. ferr. a Verona. 

Castel d' Azzano (1210 ab.). — Sorge questo Comune a 43 metri sul mare e a 
9 chilometri a sud-est da Verona, in territorio piano, coltivato a cereali, legumi, viti, 
gelsi. Notevole l'allevamento del bestiame e dei bachi da seta. Nelle famiglie praticasi 



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Mandamenti e Comuni del Distretto di Verona 89 



la tessitura casalinga e non solo per i bisogni locali ma anche per commercio. Vi è un 
molino per farine, il quale sviluppa Fenergia elettrica per Tilluminazione del paese. 

Cenno storico. — Si suppone che in questo luogo esistesse ab antico un castello 
importante fondato da un Anzio od Azzìo. Da ciò il nome, del villaggio. Intorno ad 
esso manovrarono ripetutamente, sul finire del secolo XVIII, Austriaci e Francesi, 
anzi i primi, comandati da Ehreus, ottennero un successo sui secondi comandati da Ser» 
rurier, il quale dovette ritirarsi, e ciò nel 1797. Nel 1866 vi sfilò gran parte dell'eser- 
cito austrìaco, il quale, abbandonando il giorno 22 giugno la linea dell'Adige, si recava 
a prendere posizione davanti Gustoza, Sommacampagna e Villafranca, ove l'esercito 
italiano, comandato dal La Marmerà, fu battuto. 

Coli, elelt. Isola della Scala — Dice. Verona — P* a Verona, T. e Str. ferr. a Vigasìo. 

Lavagno (2485 ab.). — Questo Comune è situato a circa 10 chilometri a levante di 
Verona ed a 90 metri sul mare ; è sparso in molte frazioni, la maggiore delle quali 
conta 1048 anime. 

Il territorio è assai produttivo di cereali e viti e il vino che si ricava da queste 
è buono ed anche riputato nei dintorni. Dai monti circostanti si estrae un materiale 
grossolano, il quale è però assai adatto alla lastrìcazione delle vie ed a qualche altro 
lavoro da scalpello per uso domestico. Serve anche per ottima pietra da costruzione. 
Nel mese di ottobre il Comune diventa centro di rinomate fiere, che si tengono nel 
secondo, terzo e quarto lunedì di quel mese. Gli scambi in quell'occasione sono 
animatissimi ed importanti. 

Coli, elell. Tregnago — Dioc. Verona — - P" locale, T. a San Martino Bnonalbergo, 
Str. ferr. nella fraz. Vago. 

Marcellise (1656 ab.). — Dista il principale abitato 9 chilometri a nord-est da 
Verona ed è sparso in molte frazioni che superano di poco, ciascuna, il centinaio di 
abitanti. La sua altitudine media è di 200 metri sul livello del mare; il luogo è pitto- 
resco e fertile. I colli sono coperti di vigneti e non mancano nemmeno gli olivi. Sono 
sparse qua e là per il territorio del Comune molte villeggiature di famiglie veronesi : 
notevoli quelle veramente signorili della famiglia Orti e del comm. Cesare Trezza. 

Il suolo produce ogni sorta di cereali. Non mancano i gelsi e quindi ha una certa 
estensione l'allevamento del baco da seta. Così pure quella del bestiame di vario genere. 
Nella parte bassa del Comune si stendono fertili praterie irrigate dal Fibbie. Nel terri- 
torio esistono diverse cave di gesso, rinomato e conosciuto in commercio col nome di 
gesso di Marcellise. Sonvi anche parecchi piccoli molini ed una segheria da legname» 
GoU. elett. Tregnago ~ Dioc. Verona — P*, T. e Str. ferr. a San Martino Buonalbergo. 

Mizzole (2064 ab.). — È situato a nord-nord-est di Verona, nel fondo di una valletta, 
all'altezza di 90 metri sul mare. Il capoluogo conta 500 abitanti ed è ben fabbricato. 
Da Verona si va a Mizzole per una bella strada lunga 7 chilometri. Il Comune com- 
prende, oltre il capoluogo, le seguenti frazioni : Pigozzo, Trezzolano, Cancello e Moruri. 

Fertile e ben coltivato è il territorio di Mizzole, che produce vino ottimo, olio, 
cereali, frutta diverse in quantità. Boschi cedui estesi danno ottima legna da fuoco. 
Si coltiva pure il gelso e si alleva il baco da seta. Si esportano vino, olio, pollame^ 
nova, legname e frutta. 

CoU. elett. Tregnago — Dioc. Verona — P*, T. e Str. ferr. a Verona. 

Montorio Veronese (3172 ab.). — In posizione amenissima, tra colli fertili e bene 
coltivati, a 6 chilometri a nord-est di Verona, nella valletta del Fibbie. Questo villaggio 
è ritenuto per il più industre dell'intera provincia e difatti i molti corsi d'acqua e le 
solventi frequenti sono utilizzati a dar vita a parecchi stabilimenti industriali impor- 
tanti. Notiamo in primo luogo uno stabilimento per la trattura della seta, che impiega 

61 — 1a Patria, voi. I. parte 2*. 



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90 Parte Prima — Alta Italia 



an centinaio di operai alle bacinelle e circa 200 operaie alla torcitura ed incannaggio. 
I prodotti di questa lavorazione vengono in parte smaltiti in Italia, ma nella maggior 
quantità vanno in Francia e in Germania. 

Una ditta lombarda possiede a Montorio Veronese uno stabilimento per la filatura 
e torcitura del cotone, mosso da forza motrice a vapore ed idraulica. Occupa, secondo 
le statistiche governative, 417 operai d'ambo i sessi e vi sono in attività 10.816 fusi. 
Vi si lavora anche di notte e la materia prima viene tratta parte dalle Indie e parte 
dagli Stati Uniti d'America. La produzione consiste in filati di cotone ordinari. 

Questi sono i principali edifizi del borgo, ma non ne mancano altri, come officine 
di lavorazione del ferro, fabbriche di candele di cera, altra d'olio di ricino, fabbriche 
di paste alimentari, una di sapone, una torchiatura da olio, una tintoria, una segherìa 
per legname. Oltre a ciò è esercitata in alcune famiglie anche la tessitura casalinga 
del lino e del cotone. Nel territorio del Comune sonvi poi parecchie cave di tufo ed 
altre di ocre gialle e rosse, le quali ultime vengono utilizzate per la composizione di 
colori da pittura. 

Il territorio è poi, per sé, fertile in ogni sorta di prodotti agrìcoli. Vi tengono 

primo posto i cereali, poi il vino, il fieno, la frutta ed i legumi. Si coltivano molti gelsi 

e Tallevamento del baco da seta vi è curato con somma diligenza. Le condizioni 

economiche del paese sono discrete e tutta la popolazione è industre e lavoratrice. 

Coli, elett. Verona II — Dìoc. Verona — P* locale, T. e Slr. ferr. a Verona. 

Parona all'Adige (2133 ab.). — Grazioso villaggio situato sulla riva sinistra del- 
l'Adige, 5 chilometri a nord-ovest da Verona e a 81 metrì sul mare. Attivissima è la 
produzione delle due fabbriche di paste alimentari esistenti nel Comune. Né sono 
trascurabili le fabbriche di spirito, i brillatoi da riso, le tintorie, ecc. Notevole è un 
piccolo stabilimento per costruzione dei carri e carrozze d'uso locale. In alcune famiglie 
si esercita la tessitura casalinga del cotone e del lino. 

L'agricoltura occupa sempre però il maggior numero degli abitanti ed il territorio 
del Comune é assai ben coltivato e produce cereali in quantità, fieno, legumi, vino e 
frutta. L'allevamento del bestiame é operato su scala discreta e dà buoni risultati. 
Nel paese si tengono mercati il primo martedì di ogni mese e vi concorrono tutti i 
villaggi vicini; vi si fanno importanti contrattazioni, specie in bestiame. 
Coli, eletl. Verona II — Dioc. Verona — P*, T. e Str. ferr. 

Pastrengo (1433 ab.). — Il villaggio é situato a un chilometro dalla destra del- 
l'Adige e a 150 metri sul mare; dietro stanno le colline moreniche, le quali dividono 
il fiume dal lago di Garda. A Pastrengo (chilom. 17 a nord-ovest da Verona) si incro- 
ciano importanti strade, le quali mettono in comunicazione il lago di Garda colla valle 
dell'Adige e questa con quella del Mincio. 

Il territorio é ben coltivato e produce ogni sorta di cereali, legumi e frutta, di 
cui si fa esportazione. Vi si alleva bestiame e pollame. Mancano industrie speciali 
al paese e quindi tutta la popolazione vive dell'agricoltura. L'emigrazione non é infre- 
quente; l'istruzione pubblica curata. Nei colli circostanti a Pastrengo sonvi numerose 
villeggiature, quali signorili e quali più modeste, frequentate da famiglie veronesi. 

Battaglia di Pastrengro. 
Ha per noi particolare interesse la battaglia che da Pastrengo prende appunto il 
nome e che si combatté fra Austriaci e Piemontesi il 30 aprile 1848 e fu il primo 
combattimento ordinato avvenuto in quell'epoca fra le truppe italiane e le imperiali 
dominatrici. Un anonimo cronista militare cosi descrive in un suo libro Custoza, stam- 
pato a Torino nel 1849, l'avvenimento bellico che ha speciale importanza, perchè forse 
dal modo con cui fu condotto dipese l'esito di quella sfortunata campagna. 



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Mandamenti e Comuni del Distretto di Verona 9J 

< Tra il Mincio e l'Adige — scrive il cronista — una catena di colline, formata 
dagli ultimi contrafforti del monte Baldo, si distende obliquamente da Pastrengo a 
Valeggio ed offre un seguito di posizioni importanti. Il nemico le occupava in parte, 
bisognava sloggiamelo. Il primo corpo (piemontese), composto delle divisioni d'Arvillars 
e Ferrerò, si stabilì, senza aver bisogno di combattere, a Custoza, Sommacampagna e 
Sona. Il secondo, formato dalle divisioni Broglio e Federici, investiva Peschiera sulla 
riva sinistra del Mincio e prendeva posizione in Castelnuovo e dintorni, scacciò il 
nemico nelle giornate del 28 e 29 aprile col più grande vigore, prendendo le posizioni 
di Cola e Santa Giustina. La divisione di riserva fu posta al centro, ed indietro, a Gua- 
stalla, Oliori e San Giorgio. Ma se Radetzky persistendo, e con ragione, a non ingag- 
giare troppo le sue truppe all'inizio della campagna e prima d'aver ricevuto rinforzi 
non aveva difeso come avrebbe potuto le posizioni che gli erano state tolte, si decise 
nonpertanto a disputare piiì fortemente quelle più importanti di Piovezzano e di 
Pastrengo. Situate allo sbocco della vallata, assai vicino all'Adige e nel punto ove 
questo fiume cambia di direzione, esse lo dominavano ed assicuravano le comunicazioni 
di Verona con Rivoli ed il Tirolo dalla riva destra, a mezzo di ponti di barche stabiliti 
fra Pescantina e Pontone, al disopra di Bussolengo. 

< Tre divisioni sotto gli ordini del generale d'Aspre e formanti circa 20.000 uomini 
tenevano queste posizioni. Il re (Carlo Alberto) incaricò il generale Sonnaz di attac- 
carle il 30 aprile con la divisione Broglio e del duca di Savoia, la brigata Piemonte 
ed una brigata di cavalleria, un complesso da 21 a 25.000 uomini. L'attacco avrebbe 
dovuto aver luogo al mattino assai per tempo, ma poiché era domenica e bisognava 
ascoltare la messa, il movimento non cominciò che verso le 11 ore. La divisione 
Broglio, situata a Santa Giustina, s'avanzò a dritta, lungo le colline del lato di Piovez- 
zano; l'altra, partendo da Sandra, si diresse sul centro del nemico, che era a Cola, e 
dovette girare Pastrengo per la sinistra. La cavalleria doveva, situata sul fianco 
destro, secondare l'attacco e sorvegliare la strada di Verona, dalla quale il nemico 
avrebbe potuto fare una diversione. Il re prese posizione davanti Sandra su di una 
eminenza, dalla quale poteva vedere i movimenti delle due ultime colonne. Il nemico 
teneva tutte le alture le quali stanno davanti a Pastrengo. 

< La brigata Piemonte si ingaggia per la prima e respinge di collina in collina 
tutto ciò che trova davanti a sé; la brigata Cuneo, ch'é a diritta, attacca quasi nello 
stesso tempo, ma, ritardata da accidisnti di terreno e soprattutto da un canale pro- 
fondo e fangoso, essa non avanza che con estrema lentezza. Il re, impaziente, abban- 
dona la collina ove si era posto ed accorre per accelerare la marcia di questa bri- 
gata, la quale arriva infine al piede delle colline che dominano Pastrengo ed ove 
l'attende la brigata Piemonte. Tutte e due salgono allora il declivio. Durante quel 
tempo la destra si avanza collo stesso successo spingendo davanti a sé il nemico, 
che non può resistere da alcun lato. Ma tenta allora uno sforzo vigoroso e, concen- 
trandosi contro le due brigate di sinistra, le arresta. L'esitazione e l'ondeggiamento 
occasionato da questo brusco attacco poteva degenerare in rotta, ma la fermezza del 
3^ fanteria diede agli altri corpi il tempo di rimettersi. Il comandante dei tre squa- 
droni di carabinieri, i quali scortavano il re e che erano anch'essi stati scossi per un 
istante, comanda loro l'attacco e li lancia al galoppo sulla collina; tutte le truppe li 
seguono al passo di corsa; nello stesso tempo arriva la destra, e il nemico, respinto 
da tutte le parti, si ripiega in disordine sui suoi ponti. 

< Non erano che le 4 pomeridiane. Si aveva il tempo d'inseguire i fuggenti e si 
poteva arrivare ai ponti nello stesso tempo di quelli e convertire la rotta in un 
disastro del quale le conseguenze erano incalcolabili, in un momento nel quale Radetzky 
aveva poche forze. Dopo la battaglia si poteva gettarsi nella vallata dell'Adige e 
tagliare le comunicazioni del maresciallo. Ma il re non seppe trarre profitto del successo 



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92 Pa'te Prima — Alta Italia 



6 si limitò all'occapazione della posizione che aveva volato conquistare. Egli arrestò 
le sue truppe assai male a proposito, come fece un mese più tardi a Coito, e diede fin 
d'allora la prova del modo limitato col quale egli comprendeva Tarte della guerra. In 
questa prima battaglia ordinata le truppe piemontesi mostrarono tutto l'ardore dal 
quale esse erano animate ed eseguirono con intelligenza e precisione le buone dispo- 
sizioni date dal generale Sonnaz. 11 nemico invece agi con mollezza: evidentemente 
non si era ancora riavuto dal suo scoraggiamento e temeva assai il fuoco abilmente 
diretto delP artiglieria piemontese. Le sue perdite ascesero a circa 1200 uomini fra 
uccisi e feriti, nonché a 500 prigionieri; quelle dei vincitori furono limitatissime. 

< Durante la battaglia 3000 uomini usciti da Verona si diressero su Sona e Som- 
macampagna, ma trovate le posizioni ben guardate non osarono attaccarle e si con- 
tentarono di sparare qualche colpo di cannone. La guarnigione di Peschiera tentò 
pure una sortita, che Ai vigorosamente respinta e costò agli assediati un centinaio 
di morti e qualche prigioniero. Air indomani il re spinse una ricognizione fiqo a Pon- 
tone e trovò la riva destra dell'Adige completamente sgombra dal nemico ed i ponti 
di barche ripiegati sulla riva sinistra. Mentre egli batteva cosi il nemico verso l'Adige, 
i Toscani, assaliti dalla guarnigione di Mantova, la respingevano e le facevano provare 
delle perdite assai sensibili; ed i volontari, che avevano rimpiazzato a Govemolo i 
Komani partiti alla volta della Venezia, respinsero anche essi felicemente un attacco 
loro mosso da quella stessa guarnigione >. 

Sul luogo della battaglia fu innalzato un monumento rammentante l'avvenimento. 
GoU. elett. Bardolino — Dioc. Verona — P' locale, T. e Str. ferr. a Domegliara. 

Qninzano Veronese (2227 ab.). — - Trovasi a 4 chilometri a nord-ovest da Verona, 
poco lungi dalla via che da questa città conduce a Trento, sulla sinistra dell'Adige. 
Il paesetto (il suo centro maggiore è di 1156 anime e la sua altitudine di 164 metri 
sul mare) è ben situato e ben fabbricato, di aspetto gradevole. Vi è qualche edifizio 
notevole, fra cui la chiesa parrocchiale, il nuovo palazzo del Municipio, l'ex- villa 
Canossa, il castello, ove credesi sia stata la residenza di Quinzio duce romano, rimesso 
al primitivo stato, e la villa Maso dei conti Perez. 

Il territorio, abbastanza produttivo e ben coltivato, dà vino, cereali, legumi, olivi 
e frutta. Il tutto viene generalmente portato e venduto sul mercato di Verona. Vi si 
alleva bestiame e si fa largo commercio di uova e pollame. Nel paese esistono cave 
di tufo. Sono eserciti anche alcuni molini per la macinazione del grano. Il borgo è 
assai frequentato dai carrettieri che transitano fra Verona ed il Trentino. 
Ck)ll. elett Verona II — Dioc. Verona — PS T. e Str. ferr. a Verona. 

San Giovanni Lnpatoto (4541 ab.). — La popolazione del borgo è sparsa in molte 
frazioni, la principale delle quali conta 2428 abitanti e dista 8 chilometri da Verona, 
in direzione di sud-est. In vicinanza del paese (42 m. sul mare) sorgono importanti 
ville, fra cui rinomata è quella detta la Palazzina, dalla quale dipendono ragguardevoli 
estensioni di terreno tenute a giardino ed a pometi. 

Il territorio del Comune, in bassa pianura, non è considerato fra i fertili della pro- 
vincia, però vi si produce grano ed un poco d'uva e frutta. Non mancano i gelsi e l'alle- 
vamento del baco da seta si opera su larga scala, così l'allevamento del bestiame da 
lavoro e da macello. Si esportano pollami, uova e si fa largo commercio di cavalli. 

Fino ad alcuni anni addietro si fabbricavano in San Giovanni Lupatoto lastre di 
vetro e bottiglie in uno stabilimento della Società Veneto-Trentina, il quale trovasi 
ora inattivo. Vi è però uno stabilimento di trattura della seta con un buon numero 
di bacinelle e con un motore a vapore, impiegante parecchie decine di operai. Nelle 
famiglie è anche esercitata la tessitura casalinga del cotone, producendo tele ordinarie 
di uso locale. Nel paese sonvi varii molini per la macinazione dei cereali ed una 



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Mandamenti e Comuni del Diàtretto di Verona 93 

fabbrica dì paste alimentari, la quale non solo basta ai bisogni locali, ma serve 
puranche al consumo dei paesi vicini. 

GoU. elett. Isola della Scala — Dioc. Verona — P* locale, T. e Str. ferr. a Verona. 

San Martino Buonalbergo (2008 ab.). — Questo Comune trovasi ad est di Verona, 
dalla quale città dista 7 chilometri. È sparso in parecchie frazioni, di cui la princi- 
pale (45 metri sul mare) conta circa 1300 abitanti. Nel suo territorio scorre il Fibbie, 
altro dei fiumi che col Pantena e coirillasi discende dai monti Lessini ; dietro il vil- 
laggio, verso nord, si elevano le amene colline di Montorio e Marcellise. 

Il suolo è fertile ed abbonda di cereali; grande è anche la produzione del fieno 
e non indifferente quella del riso. L'allevamento del bestiame è esercitato su larga 
scala e dà prodotti ottimi ; anche quello del baco da seta è rilevante. Si esportano 
uova e pollame. II caseificio vi è esercitato con buoni risultati. Parecchi molinì, ali- 
mentati dalle acque del Fibbie, macinano granaglie per questo ed altri villaggi. Oltre 
a ciò si contano alcuni brillatoi da riso. La Società Ligure-Lombarda ha impiantato una 
sua' raffineria di zucchero anche a San Martino. Lo stabilimento è mosso dal vapore 
ed impiega buon numero di abitanti. 

Cenno storico. — Il terreno circostante a questo umile villaggio fu luogo di con- 
trastate battaglie, specie nel periodo delle campagne d'Italia dal 179G al 1800 fra 
Austriaci e Francesi. 

GoU. elett. Tregnago — Dioc. Verona — P*. T., Str. ferr. e Tr. 

San Massimo all'Adige (3349 ab.). — Il paese dista 4 chilometri da Verona, in 
direzione di ovest e a 2 dalla destra delF Adige ; la sua altitudine è di 85 metri sul 
mare. Il territorio è fertile e coltivato con estrema cura dagli abitanti, che gareggiano 
fra di loro in abilità e laboriosità. Esso dà prodotti abbondanti in foraggi, cereali, ecc. 
I gelsi tengono parte importante nell'economia agricola del paese e di conseguenza 
vi è assai sviluppato anche T allevamento del baco da seta, come pure quello del 
pollame, del bestiame bovino e cavallino. 

Le industrie paesane sono rappresentate dalla tessitura casalinga di cotoni e lini, 
dalla molinatura delle farine, da fabbriche di paste alimentari, da tre piccoli stabili- 
menti per la trattura della seta, da una fabbrica di acque gassose e da una fornace 
producente mattoni, quadrelli e calce. Le condizioni economiche del paese sono abba- 
stanza buone, l'emigrazione non vi è rilevante e P istruzione pubblica è oggetto di 
attente cure. 

Cenno storico. — Intorno a San Massimo all'Adige si svolsero, nel 1848, durante la 
campagna sardo-austriaca, varii combattimenti: più importante fra gli altri quello 
di Santa Lucia del 6 maggio. 

Con. elett. Verona I — Dioc. Verona — PS T. e Str. ferr. a Verona. 

San Michele Extra (5381 ab.). — Questo grosso borgo è situato a 2 chilometri a 
est da Verona. Il centro principale comprende 2745 anime e la sua altitudine è di 
5S metri sul livello del mare. Il villaggio si presenta assai bene ed ha edifizi non 
comuni e belle chiese, fra cui il tempio bellissimo e rinomato detto della Madonna di 
Campagna (fig. 47). È di forma rotonda e costruito su disegni dati dal Sammicheli. Vi 
si gode stupenda vista sulla campagna circostante fertile ed irrigata. I dintorni, specie 
la parte collinosa, sono sparsi di numerose e belle ville. Vi esistono parecchie società 
operaie e qualche istituto di beneficenza. L'istruzione pubblica è abbastanza curata. 

Il territorio del Comune è pianeggiante, ma sui limiti di esso comincia ad ele- 
varsi il cerchio bellissimo delle ultime colline discendenti dai monti Lessini; il suolo 
è fertile e produce ogni sorta di frutta, cereali, nonché vino e riso. I gelsi tagliano 
i campi in forme regolari e sono numerosissimi, da ciò un esteso allevamento del 



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94 Parte Prima — Alta Italia 



Fig. 47. — San Michele Extra : Santuario della Madonna di Campagna (da fotografia). 

baco da seta. Anche rallevamento del bestiame da lavoro e da macello è in fiore. 
I prodotti, abbondanti, trovano il loro mercato principale in Verona, il che non toglie 
però che ogni primo giovedì ed ogni terzo sabato del mese si tengano in San Michele 
dei mercati attivissimi e frequentatissimi. 

Le industrie sono rappresentate da una ben avviata concieria, da caseifici, da un 
grosso forno da calce e da una fabbrica, assai importante, di cordami. Vi si fabbri- 
cano pure paste alimentari. Nelle famiglie è esercitata la tessitura casalinga del 
cotone e del lino ed altri piccoli lavori, come l'intreccio dei vimini, ecc. 

GoU. elett. Tregnago — Dice. Verona — P* e Tr. locali, T. e Str. ferr. a Verona. 

Sona (3941 ab.). — Il paese è diviso in quattro frazioni principali e dista 1 1 chilo- 
metri ad ovest da Verona. Sona (169 m. sul mare) fu, nel 1848, 1859 e 1860, centro di 
impoitanti evoluzioni militari e nelle sue vicinanze si svolsero vani fatti d'arme. È 
luogo importante per le varie strade che, attraversata la zona delle circostanti colline 
moreniche, vi si incrociano. 

La popolazione è essenzialmente dedita all'agricoltura ed il suolo, assai bene e 
laboriosamente coltivato, produce cereali, frutta e vino. Vi si alleva bestiame, ma non 
in grande quantità. Vi si esportano pollame e uova. Il paese è privo d'industrie note- 
voli e tutte quelle che vi si riscontrano sono aflFatto casalinghe e primitive. Ciò non 
pertanto le condizioni economiche del paese non sono cattive. 

Coli, elett. Bardolino — Dìoc. Verona — P' locale, T. e Str. ferr. a Sommacampagna. 

Zevio (6401 ab.). — Questo Comune, situato sulla riva destra dell'Adige, a 15 chi- 
lometri a sud-est di Verona, in bella e salubre posizione (30 metri sul mare), ha 



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Mandamenti e Gomnni del Distretto di Verona 95 

aspetto grazioso e ridente. L'antico Castello, già dei Trìnlzi, tutto cireondato da un 
ampio corso d'acqua (ove nel 1439 il duca Francesco Sforza ricoverò, dopo l'assedio di 
Bardolino, il suo esercito ammalato, perchè luogo abbondevole e sano) ridotto poscia a 
villa signorile dalla nobile famiglia Sagramoso, venne da molti anni acquistato dal 
Comune, che vi collocò le scuole elementari. 

La chiesa ha buoni dipinti del Brusasorci, ma nessuno del celebre Stefano, che in 
Zevio ebbe i natali e che da Zevio prese il nome. Il portone d'ingresso al cortile della 
casa parrocchiale, tolto al vecchio palazzo veronese degli Emilei, è in marmo rosso 
finamente intagliato, e nella facciata della casa stessa sono murate importanti lapidi 
romane, riportate dal Mommsen. In tutto il territorio si riscontrano vestigia romane, 
specialmente sepolcreti. Notevole, fra le costruzioni recenti, il bel ponte in ferro 
sull'Adige, lungo m. 254, costruito a spese del Comune. 

Le scuole pubbliche sono particolarmente curate a Zevio, che ha eziandio buone 
istituzioni di beneficenza, e fra queste un Ospedale civile con annesso ricovero, fra i 
migliori della provincia. 

Il territorio, abbondantemente irrigato, produce in copia cereali, vino, foraggi e 
riso. Il gelso vi è coltivato su larga scala e la barbabietola da zucchero vi fa ottima 
prova. Notevole è l'industria casalinga della fabbricazione di legni per sandali (zoccoli) 
e più ancora quella dei canestri in vimini per uso dell'industria e dell'agricoltura, dei 
quali ogni anno si confezionano circa 300.000 capi. Vi esistono una filanda a vapore di 
bozzoli da seta, un molino idraulico a cilindri per la macinazione dei cereali e parecchie 
pile da riso. Nell'alveo dell'Adige vi si escava una prodigiosa quantità di ghiaia, che 
viene trasportata fin nel lontano Polesine per la manutenzione di quelle strade. Vi è 
pure un rilevante commercio di frutta, specialmente pesche e mele, e di legna da 
ardere. L'abbondanza della mano d'opera, l'indole mitìssima della popolazione e la 
facilità di usufruire dell'immensa forza idraulica dell'Adige indicano Zevio come luogo 
assai opportuno all'impianto di qualche industria. 

Coli, elett. Tregnago — Dioc. Verona — P*, T. e Str. ferr.. 

Mandamento di GREZZANA (comprende 6 Comuni, popol. 14.940 ab.). — Questo 
mandamento è situato a nord di Verona, nella parte superiore delle belle e mon- 
tuose valli del Pantena e del Fibbie. Esso segue in parte anche la linea di confine 
italo-austriaca, che passa sulle creste maggiori dei monti Lessini. 

Grezzana (5230 ab.)- — U paese trovasi a circa 9 chilometri a nord da Verona, 
situato sulla riva destra del torrente Valpantena, in una valle amena e ricca di bella 
vegetazione. II borgo è suddiviso in molte frazioni ed il suo centro principale conta 
1644 anime. La sua altezza è di 166 metri. Belli edifizi privati e pubblici adomano le 
varie frazioni di Grezzana e fra tutti la sua chiesa parrocchiale di buona architettura, 
nella quale si ammirano pregevoli dipinti. In una villa appartenente alla famiglia 
Arvedi si conservano avanzi di pitture a fresco dovute al pennello di Paolo Veronese. 
E neppure di bellezze naturali manca il luogo, poiché, poco lungi dal borgo, si può 
vedere il grandioso ponte di Veja, naturalmente formatosi fra le due valli di Pantena 
e Negraro. Due rupi, alte più che 30 metri, formanti le testate di questo bellissimo 
ponte, sono tagliate a picco; vicino sonvi due caverne ricche di stalattiti. Il corso d'acqua 
che sottopassa al ponte cade, poco più a valle, da un'altezza di circa 60 metri formando 
una bellissima cascata, che molti touristee accorrono a vedere, specie quando le piogge 
primaverili o lo scioglimento delle nevi danno ad essa la massima imponenza. 

Nel territorio di Grezzana si fanno vini di ben meritata celebrità. Vi si coltivano 
poi cereali, olivi e gelsi e, nella parte più alta sonvi boschi di castagni. Molte sono 
le cave di materiale da costruzione e di marmi aperte nel Comune. Le ultime stati- 
stiche contavano 5 cave di marmo, 3 di pietra da costruzione e 2 di tufo. Vi sono poi 



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96 Parto Prima — Alta Italia 



un importante oleificio ed nn premiato stabilimento bacologico. La tessitura casalinga 
del cotone e del lino è industria assai diffusa fra quella laboriosissima popolazione 
Una particolarità del territorio è che dalle cave qua e là aperte si vanno dissotterrando 
tratto tratto animali e piante fossili in rilevante quantità. 

Cenno storico. — Grezzana fu luogo antico e nella frazione di Romagnano esisteva 
un castello che le cronache chiamano Castrum Bomanianum ed attestano essere stato 
donato dall'imperatore Ottone I al famoso monastero di San Zeno in Verona. 
Coli, elett. Verona II — Dioc. Vòrona — P* e T. locali, Slr. ferr. a Verona. 

Bosco Chiesanuova (3829 ab.). — Grosso villaggio posto in amenissima posizione 
montana, a llOi metri di altitudine sul livello del mare. Dista 17 chilometri da Grez- 
zana e non meno di 26 da Verona. Il suo territorio si presta alle più varie colture, 
estendendosi dalla valle al sommo della montagna. Soprattutto produce cereali d'ogni 
sorta. La parte alta del territorio è tenuta a boschi dì castagni bellissimi. I dintorni 
sono amenissimi e meta quindi di frequenti passeggiate di iouristes. Vi sono anche 
parecchie villeggiature private. 

In questo Comune sono numerosissime le cave di pietra, sia per costruzione che 
stillari (da taglio). Delle prime se ne annoverano 60 in esercizio; delle seconde, le quali 
oltre che usarsi per gradinate, stipiti, rivestimenti, decorazioni di edifizi, si adoperano 
anche per coprire i tetti delle case, se ne contano SO e tengono continuamente occupati 
più di 100 operai. Altra e prosperosa industria locale è quella delle latterie e dei 
caseifici, la quale, specie dal giugno al settembre, tiene occupate parecchie centinaia 
di persone. La produzione media di quest'industria è calcolata in 45.000 chilogrammi 
di burro, 100.000 di formaggi ed 80.000 di prodotti secondari. Bosco Chiesanuova è 
quindi uno dei centri più importanti di produzione in questo genere. 

U commercio locale è rilevante e fra gli altri generi si negozia legname ed anche 
ghiaccio, del quale si fa raccolta durante T inverno nelle più alte montagne circo- 
stanti. Due fiere importantissime, oltre a diverse sagre (feste religiose), si tengono 
neiralto villaggio due volte all'anno, il terzo martedì di luglio ed il 9 settembre. 
CoU. elett. Verona II — Dioc Verona — P* e T. locali, Slr. ferr. a Verona. 

Cerro Veronese (939 ab.). — Fabbricato a 729 metri sul livello del mare, sulla 
destra dello Squaranto o Fibbie, afSuente dell'Adige, il villaggio è sparso in molte 
frazioni, la principale delle quali non conta che 221 abitanti e si trova ad una distanza 
di 7 chilometri da Grezzana e 16 da Verona. 

Il territorio è fertile e ben coltivato, belli ed accuratamente tenuti sono i vigneti, 
numerosi gli alberi fruttiferi ed i gelsi. Discreto Tallevamento del baco da seta, del 
pollame, del quale, come pure delle uova, si fa esportazione. Dalle parti alte del terri- 
torio si ricavano castagne e fieno. Nel limite del Comune sonvi alcune cave di pietra 
focaia e di uno schisto bituminoso, il quale brucia con fiamma chiara; vi si rinviene 
anche della lignite di qualità ordinaria. Sono in esercizio inoltre alcune cave di pietra 
da costruzione. Le latterie e i caseifici sono un elemento importante di produzione nel 
paese ed occupano, specie nella stagione estiva, moltissima parte della popolazione. 
Coli, elett. Tregnago — Dioc. Verona — P* e T. a Grezzana, Str. ferr. a Verona. 

Erbezzo (1220 ab.). — È il Comune situato più a nord del mandamento, e la sua 
altitudine è di 1118 metri sul livello del mare. La posizione è bellissima, centro com'è 
ad un magnifico anfiteatro di montagne nell'alta vai Pantena. Dista 20 chilometri da 
Grezzana e ben 29 da Verona. 

Il territorio, per quanto montuoso, è assai ben coltivato e produce cereali di varie 
qualità, frutta, patate, foraggi, legna, ecc. Vi si tiene a pascolo numeroso bestiame, 
specie nella stagione estiva. Nel paese si esercitano numerose latterie e si fabbricano 



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Mandamenti e Comuni del Distretto di Bardolino 97 



i eccellenti formaggi. Alcuni di questi caseifici stannò assumendo vera importanza inda* 

» striale. Vi è rilevante Temìgrazione temporanea. 

GoU. elett Verona II — Dice Verona — P* a Greizana, T. a Bosco Caiiesanuova, 
I Str. ferr. a Verona. 

Quinto di Valpantena (2158 ab.). — Sito all'imboccatura di vai Pantena e sul 
fiumiciattolo che la corre, è in aggradevole posizione, a 115 metri sul livello del mare. 
Dista 3 chilometri a sud di Grezzana e 6 a nord di Verona. Comprende varie frazioni 
sparse su liete costiere, il che dà un bellissimo aspetto al paesaggio. 

Il suolo è fertile e ben coltivato; da esso si ricava ogni sorta di prodotti proprii 
alla regione, cioè cereali, vino, olive, friitta, ortaggi. Vi prosperano i gelsi e la bachi- 
coltura è assai diffusa in tutto il territorio. La principale industria del paese, dopo 
quelle attinenti o derivate dalPagricoltura, è quella che si riferisce alla fabbricazione 
delle botti e delFattrezzame necessario airenologia, nella quale si impiegano molte 
diecine di operai. Vi sono pure diversi molini per farine, torchi da olio ed una tintoria. 
CoU. elett. Verona II — Dioc Verona — P* e T. locali, Str. ferr. a Verona. 

Santa Maria in Stelle (1564 ab.). — Si trova questo Comune sulla sinistra di vai 
Pantena, ^ 3 chilometri a sud di Grezzana e 8 da Verona. H centro principale, situato 
a 115 metri di altitudine sul livello del mare, è raggruppato intorno ad una bella chiesa 
d'antica origine e nel cui sotterraneo si può vedere ancora Tavanzo d'un pavimento 
di mosaico romano di qualche pregio. L'aspetto ameno della località fa sì che molte 
ville si mostrino nei dintorni, alcune delle quali sono davvero splendide; notevole 
quella che fu di Uguccione Giusti, come quella che appartenne al Moroni, che vi sta 
sepolto nell'annessa cappella gentilizia. 

Il territorio è fertilissimo in viti, le quali danno buonissimo ed apprezzato vino; 
produconsi pure grano, frutta ed altri prodotti secondari. La coltura del gelso è assai 
estesa e di conseguenza è altrettanto fiorente l'allevamento del baco da seta. Nel 
Comune si fa largo Commercio di bozzoli. 

GolL elett Verona II — Dioc. Verona — P* e T. a Quinto di Valpantena, Str. ferr. a Verona. 



n. — Dislretlo e llandamento dì BARDOLINO 

Stretto fra il Garda, di cui occupa tutta la riva orientale da Peschiera al confine 
austriaco, ed il monte Baldo con relative propaggini, il distretto di Bardolino si pre- 
senta come una lunga striscia di territorio variamente frastagliata, da un lato dalle 
acque del lago e dall'altro dalle rientranze e sporgenze di valli e cime. 

È questo il più occidentale fra tutti i distretti della provincia di Verona, fra i 
quali conta come terzo per estensione, misurando 359 chilometri quadrati di super- 
ficie, e come decimo per popolazione, non annoverando che 20.423 abitanti. La popo- 
lazione relativa è quindi di circa 57 abitanti per chilometro quadrato e ciò secondo 
i dati del censimento del 10 febbraio 1901. 

I confini di questo distretto sono segnati a nord ed in parte anche ad oriente 
dell'Impero Austriaco, ancora ad oriente dai distretti di Caprino Veronese e di Verona, 
a sud dal distretto di Villafranca e dalla provincia di Mantova. Il lago di Garda segna 
ad occidente, a metà della' sua distesa, il confine giurisdizionale del distretto e della 
provincia a cui questi appartiene colla confinante provincia di Brescia. 

II territorio è fra i più accidentati che si possono immaginare, essendo costituito 
da tutto un sistema di ripide e strette vallate disposte normalmente alla linea spinale 
del monte Baldo e delle elevazioni minori che da questo si distaccano per venire a 
morire nella serie di colline moreniche, le quali si spingono fino a Custoza e Somma- 

62 — Ia Patria, yoI. I, parte 2% 



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98 P^t® Prima — Alta Italia 



campagna. In molte parti, e specie nella parte settentrionale del distretto, la riva 
precipita a picco nel Garda, lasciando appena adito a strade e sentieri. 

Mancano a questo distretto fiumi di reale importanza; vi abbondano invece, nume- 
rosissimi, i torrenti ed i rivoli che scendono ad alimentare il Garda e che in occa- 
sione di piogge disciogliersi di nevi assurgono ad importanza non lieve, sia per il 
volume d'acqua trasportato come per T impetuosità del corso. Nel territorio del 
distretto, e precisamente a Peschiera, ha peraltro principio il Mincio, che è il corso 
d'acqua emissario del Garda. 

Il clima del distretto è vario assai, comprendendo zone in cui prosperano gli agrumi 
e zone di alta montagna; ma lungo tutto il litorale del lago si può dire generalmente 
mite, sia d'estate che d'inverno. 

Varie sono le produzioni del distretto di Bardolino, sia considerandole dal lato 
agricolo che da quello industriale. L'agricoltura dà all'economia generale del territorio 
cereali e frutta d'ogni sorta, gelsi, ulivi e castagni. La vite vi è largamente coltivata ed 
alcune valli ne sono ricoperte; si ricavano da esse quei vini che in commercio sono 
generalmente conosciuti col nome di vini di Bardolino. Notevoli le cave di pietra da 
costruzione che si lavorano in questo territorio e dalle quali si estrae materiale ottimo. 

Le industrie che si esercitano nel distretto sono la tessitura, sia casalinga che 
organizzata in appositi opifici. Quelle inerenti all'allevamento e trattamento del baco da 
seta e quelle relative alla produzione enologica ed all'oleificio. Vi sono anche fabbriche 
di laterizi e in ispecie di mattoni. 

Mezzi di comunicazione fra le varie parti del distretto sono le linee lacuali, le 
quali mettono in comunicazione rapida e diretta i Comuni colla stazione ferroviaria 
di Peschiera da un lato e con quella della linea tridentina, la quale fa testa a Riva 
di Trento dall'altro lato. È poi attraversato, nella sua parte meridionale, dalla prima 
sezione della strada provinciale, che mette dal confine della provincia presso Peschiera 
a Verona; dalla strada carrozzabile che, costeggiando il Iago di Garda, va da Peschiera 
fin oltre Malcesine verso il confine austriaco ; dalle strade che da Garda conducono 
a Caprino e da Lazise a San Pietro in Cariano. Non mancano le strade vicinali rileganti 
fra di loro le varie frazioni dei Comuni. 

Per quanto vasto, il distretto forma un sol mandamento, la cui sede con pretura 
è in Bardolino. Esso comprende i seguenti otto Comuni: Bardolino (capoluogo). Castel- 
letto di Brenzone, Castelnuovo di Verona, Garda, Lazise, Malcesine, Peschiera sul 
Garda e Torri del Benaco, dipendenti dal Tribunale civile e penale di Verona. 

Bardolino (3013 ab.).— È questo il borgo che serve di capoluogo di distretto e 
di mandamento. Dista da Verona circa 27 chilometri in direzione ovest; la sua altitu- 
dine media è di 68 metri, il centro principale conta 1711 anime. 
Il luogo è certamente di origine antichissima e non sono rari 
gli avanzi di costruzioni di fattura romana e parecchie lapidi, la 
cui romanità è indiscutibile. Ma Bardolino fu certamente abitato 
assai prima che l'aquila della città etema giungesse a spingere 
fino ad esso i suoi voli, poiché su tutta la riva che sta fra Garda, 
Bardolino, Pacengo e Peschiera vennero scoperti avanzi di pala- 
fitte e di abitazioni lacustri. La famiglia dei Fermi, che qui tenne 
possedimenti e signoria fino al finire del XVI secolo, in cui si 
estinse, vuoisi venisse dal Lazio, ed a questa nobile ed antica 
origine essa teneva in particolar modo. Di questa famiglia è ricordato il dominio con 
epigrafe latina apposta sulla facciata della cattedrale. Notevoli sono gli avanzi di un 
antico fortilizio eretto da cotesti Fermi, come pure sono degni di nota molti altri edifizi 
che verremo mano a mano menzionando. 



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Mandamenti e Comani del Distretto di Bardolino 99 



Il paese è disposto ad anfiteatro e viene digradando dalla collina al lago, ove si 
dispone intorno ad un'insenatura che gli fa ufficio di porto. Ai due estremi dell'arco 
così descritto mettono foce due rapidissimi torrenti: il Progne di San Severo a nord 
ed il Progne di Valsorda a sud, il cui ultimo tratto è sostenuto da forti muraglioni» 
i quali impediscono il riversarsi delle acque nel paese, essendo questo in alcune sue 
parti più basso dell'alveo dei torrenti. 

Domina la borgata la bella chiesa di San Sebastiano, la quale ha un bellissimo 
pronao. Si accede ad essa per la bella via principale, che si stacca dal porto e va 
verso oriente. La chiesa fu eretta nel secolo XYIII su disegno del cav. Giuliari ed 
ha forma basilicale. Vi si osservano diversi dipinti, fra i quali due del Zanon di 
Verona, un'antica tavola rappresentante V Annunziata ed una bella Via Crucis del 
pittore veronese Marco Marcela, donata nel secolo suddetto da un principe Gonzaga. 

Lungo la via che da Bardolino conduce a Garda, detta via Dom, si trova un'altra 
chiesa dedicata a San Severo. Anticamente aveva in quella sede la parrocchia. Vi si 
conservano ancora alcune pregevoli opere d'arte. Una bella testa di San Giovanni 
dipinta su pietra si può ammirare nella piccola chiesa della Disciplina, non molto 
discosto dalla già citata di San Severo. 

Nell'opposta parte del paese, alla sua estremità meridionale, noi troviamo le rovine 
del castello Scaligero, del quale sussistono una torre,, un tratto di mura merlate e la 
porta, assai ben conservata; i suoi antichi cortili e le adiacenze furono ridotti a giar- 
dino inglese dal prof. Bagnara di Vicenza. Nel paese si trovano poi parecchi palazzi 
signorili. Belle le ville Giullari, Bottagisio e Guerrieri. 

Nel palazzo che fu dei Fermi venne ospitata Maria Luigia d'Austria, moglie al 
primo Napoleone, e vi risiedette alcun tempo. Intervenuto al Congresso di Verona 
del 1822 Alessandro I, imperatore di tutte le Russie, fu egli pure in Bardolino e dimorò 
in casa Gianfilippi, sulla cui facciata è murata una lapide con iscrizione, dovuta al 
Padre Antonio Cesari, ricordante l'avvenimento. Anche Ferdinando IV, re di Napoli, 
abitò nella stessa casa, essendo di passaggio in Bardolino. 

Frazione importante del Comune di Bardolino, sulla riva del lago, è il bel vil- 
laggio di Cisano Veronese o di Gardesana, per distinguerlo da altri di egual nome. 
Anche questo è paese di origine lontana e forse ebbe importanza non lieve nel 
passato, poiché lo vediamo nominato come città in certi documenti del secolo IX. 
Attualmente non è che un aggregato di piccole case di lavoratori, in mezzo alle 
quali ne spiccano gaiamente alcune di più civile e ricca apparenza. La chiesa par- 
rocchiale dedicata a San Giuliano, di costruzione assai antica e di bella architettura, 
ma guasta da sopraffazioni e da ristaurì moderni, apparteneva un tempo ai Benedet- 
tini. Ne adoma la facciata un bel bassorilievo e nell'interno non mancano dipinti 
degni di osservazione. 

Sopra Cisano è un'altra pittoresca frazione detta di Calmasino (163 m. sul mare). 
Bella nei dintorni la villa Cavazzocca, a forma di castello con torri merlate e circon- 
data di boschi e da ampio giardino. Essa fu disegnata da Giacomo Franco di Lonigo; 
a disporre il giardino lavorò il citato Bagnara. Annessa alla villa è la chiesa detta 
Madonna Pergolana, con un dipinto pregevolissimo, il quale viene dai conoscitori 
attribuito al Brusasorci. 

Da Bardolino, come da ognuna delle sue frazioni, si possono godere impareggiabili 
punti di vista, sia sul lago che sui colli vicini e sul Baldo. Dappertutto il suolo si 
presenta ridente, adomo di casino di campagna, ben coltivato e riccamente alberato, 
specie nella sua parte alta. 

La vite tiene il primo posto fra le colture dell'agro bardolinese e da essa s'ot- 
tiene quell'ottimo vino che da Bardolino appunto prende il suo nome e del quale 
è grande ricerca in tutte le città del Veneto e della Lombardia. Molto considerevole 



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100 Parte Prima — Alta Italia 



ed antico è il commercio delle frutta che si fa in Bardolino, tanto che dall'abbondanza 
di questo prodotto venne il distico dialettale: 

A magnar i frutti de Bardolin 

No basta gnanca la gola d'Arlecchin. 

Queste frutta sono esportate a Verona, Mantova, in Liguria ed anche in città del- 
l'alta Lombardia. Ogni altra sorta di prodotti è data dal fertile suolo di Bardolino e 
non mancano neppure gli olivi, dal cui prodotto si estrae olio assai buono, sebbene in 
quantità relativamente ristretta. In Bardolino funzionano dei torchi da olio e si eser- 
ciscono parecchie cave di pietra da costruzione. La pesca occupa pure buona parte 
della popolazione ed è generalmente assai rimunerativa. Anche Tallevamento del baco, 
che trae seco la coltura del gelso, si opera su scala discreta. 

Nel paese si tengono assai animati e fiorenti mercati settimanali, prestandosi la 
posizione centrale sua e le facili comunicazioni a renderli animati. Un'importante fiera 
si tiene PS settembre ed allora non vi concorrono soltanto i produttori del distretto, 
ma vi portano il loro contributo anche quelli di Caprino e ài San Pietro in Cariano, 
nonché gli abitanti dell'opposta riva del lago. 

Il Municipio di Bardolino, il quale per lascito possiede una rinomata libreria ed 
una ricca collezione d'armi, cura del suo meglio la diffusione dell'istruzione e le scuole 
di questo Comune sono fra le migliori e più modernamente ordinate del Veronese. Né 
mancano nel Comune alcune buone istituzioni di beneficenza, per quanto di mezzi e 
di azione limitata; vi si annoverano pure alcune società operaie di mutuo soccorso 
e d'indole ricreativa. 

Uomini illustri. — A Bardolino nacque Cesare Bettoloni, dolcissimo poeta ed 
entusiasta cantore del suo Garda, davanti le cui onde azzurre volle, in un giorno di 
sconforto, trovare morte prematura. 

ColL elelt. Bardolino — Dioc. Verona — P*, T. e Stai, lacuale locali, Str. ferr. ad Affi. 

Castelletto di Brenzone (210* ab.). — Formato dalla riunione in un sol Cornane 
di tre antichi municipi e delle rispettive frazioni (Magugnano, Castello di Brenzone 
e Castelletto), il paese si distende per lungo tratto della riva del Garda e si arram- 
pica pittorescamente sulle estreme pendici del monte Baldo, presentando, visto dal 
lago, un aspetto vario ed aggradevole, impressionante talvolta, tanto sembrano mal- 
sicuri e quasi sospesi nell'aria i vari! centri abitati qua e là appiccicati all'estrema 
falda della scoscesa montagna. Il centro del paese, e cioè la frazione di Castelletto, 
conta B77 abitanti e trovasi a 20 chilometri al nord da Bardolino e 69 m. sul mare. 

La frazione più settentrionale di questo villaggio tanto sparso, o meglio di questa 
riunione di piccoli villaggi, é Ascensa, il cui territorio confina col Comune di Malce- 
sine. Qui la costa del lago comincia a ricoprirsi di viti e di olivi, che si arrampicano 
fino ad altezza relativamente grande sui fianchi del Baldo. In Ascensa, presso la riva, 
é la bella villa Teresa della famiglia Scudellari, da cui si gode una bella vista sul 
lago e suir isoletta di Trimelone, la quale ha avanzi di un castello scaligero. 

Castello di Brenzone è una grossa frazione arrampicata in alto sulle prime pendici 
della montagna. Ha una bella chiesa dedicata a Santa Maria, dal cui piazzale lo 
sguardo può ampiamente distendersi fino all'opposta riva del lago. Serve di scalo a 
questa frazione un altro agglomeramento di casette nere e povere poste in riva al 
lago, intorno ad un piccolo porto murato. Gli abitanti di quelle casette si occupano 
quasi esclusivamente di pesca. In Castello di Brenzone è una fabbrica di magnesia 
abbastanza notevole. Stanno attorno a questa frazione le minori di Borago, Zognago, 
Vanzo e Boccino, nelle quali nulla è di notevole. 

A Magugnano, una bella frazione, con case di antica costruzione con giardinetti, 
sui quali dei grandi gelsi gettano la loro ombra, ha sede il Municipio del Comune di 



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Mandamenti e Comuni del Distretto di Bardolino IQl 



Castelletto, in un bel palazzotto guardante al lago con una bella loggia. Vi è anche 
un piccolo porto per le barche ed un pontile per i piroscafi che &nno il servizio 
lacuale. La chiesa di San Giovanni di Brenzone si trova in prossimità di questa fra- 
zione, in mezzo ad un ampio bosco di olivi, in situazione assai bella e pittoresca. La 
chiesa ha imponente facciata e bellissime porte, nelP intemo possiede un pregiato 
affresco di fattura antica rappresentante Gesù Cristo. Appartenne ai monaci OlivetanL 

Dopo aver attraversato altre frazioni, altri aggruppamenti di case, sempre circon- 
dati da boschetti di belli olivi, forti e prosperosi, ecco finalmente, all'estremità meri- 
dionale di questo tratto di costiera, il villaggio di Castelletto. Sono case piccole e 
rustiche addossate al monte, fra il cui grigiore mettono gelsi e fichi una forte nota 
verde. Tutt'attomo e su su in alto per la costiera sonvi sempre boschi di olivi. Il 
villaggio di Castelletto di Brenzone, che vuoisi prenda il suo nome da un castello di 
cui esistono ancor oggi alcune rovine e che sarebbe stato edificato da un Brenzone 
venato al seguito di Carlo Magno e da lui investito di diritti feudali sul paese, ha 
una bella chiesa ottagonale dedicata a San Carlo Borromeo, nel cui intemo si osser- 
vano quadri riferentisi ai principali avvenimenti della vita di questo santo. Adorna 
Tedifizio anche un bel campanile merlato. 

Non lontano dal paese è un piccolo cimitero con una chiesa di assai piccole dimen- 
sioni, divisa in due navate, che si ritiene, per tradizione, essere la più antica fra 
quante si specchiano nelle acque del Garda. 

I prodotti del paese sono particolarmente agricoli e Polio d'olivo vi tiene il primo 
posto. È conosciuto in commercio col nome di olio della Siviera del Oarda^ ed è apprez- 
zatissimo. I boschi vicini danno poi castagne e legname da taglio e da costmzione. 
Ottimi cespiti di guadagni sono le belle, pingui e grandi praterie montane. Nel paese 
si estrae del carbonato di magnesia, del quale si fa pure la preparazione commerciale 
in apposita fabbrica; vi sono anche parecchi torchi da olio. 

Un discreto movimento di emigrazione rivolge la parte sovrabbondante della popo- 
lazione verso il vicino Trentino, ove si reca temporaneamente per la falciatura dei 
fieni e per i lavori dei boschi. La proprietà è molto frazionata. Anche la pesca e la 
navigazione sul lago costituiscono parte delle occupazioni della popolazione, specie 
di quella le cui proprietà e case sono poste in frazioni lungo la spiaggia del lago. 

GoU. elett. Bardolino — Dioc. Verona — P* e Staz. lacuale locali, T. a Malcesine, 
Str. ferr. a Caprino Veronese. 

Castelnnovo di Verona (4010 ab.). — È questo il Comune più meridionale del 
distretto di Bardolino; dista 15 chilometri dal capoluogo di mandamento e si trova 
fra le colline moreniche, le quali limitano il Garda a sud-est e che si distendono poi 
fino a Sommacampagna, Custoza e Valeggio. È centro d*un importante nodo stradale, 
poiché ivi s'incrocia la strada carrozzabile Peschiera-Verona con quella Mantova- 
Valeggio-Pastrengo-Rivoli-Ala. Comunica pure direttamente con Bardolino a mezzo 
di una strada che passa per Lazise; altra arteria assai frequentata è quella che da 
Castelnnovo va a Bussolengo e che, passato l'Adige in questa località, immette nel 
distretto di San Pietro in Cariano. 

U paese è in situazione elevata (130 metri sul mare), su di un colle, in basso del 
quale scorre il Tiene. Tutto il territorio (che è anche attraversato da una sezione 
della ferrovia Peschiera- Verona) è produttivo ed in alcuni luoghi anche pingue. Dap- 
pertutto ben coltivato, con estrema cura. Produce cereali, gelsi, viti. La popolazione 
si dà all'allevamento del bestiame ed a quello del baco da seta. 

La popolazione è sparsa in molte frazioni e generalmente dedita all'agricoltura; 
però non mancano nel paese alcune industrie, come fabbriche di paste alimentari e 
filande da seta. Vi è anche una fabbrica di alcool ed è esercitata limitatamente la 



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102 ^^^^^ ^'^■^^ — ^^ i(^iì>^ 



tessitura casalinga. Il commercio è assai animato e vi si tengono mercati importanti; 
ragguardevole è la fiera che vi si tiene il primo lunedì dopo TU novembre n^Ua 
frazione Cavalcasene. 

Cenno storico. — La situazione geografica di Castelnuovo ne ha fatto sempre in 
tutte le guerre, dal 1796 in poi, un punto assai contrastato. Massena, alla testa di 
divisioni francesi, ha sconfitto, nel 1796, in Castelnuovo gli Austrìaci, e nel suo terri- 
torio hanno manovrato, nel 1814, ancora Austriaci e Francesi; poi, nel 1848 e 1866, 
ancora Austriaci ed Italiani. Specie nel 1848 Radetzky fece centro in Castelnuovo per 
disporre tatticamente la giornata del 25 luglio, che prima prese il nome di Custoza 
e che fu contraria alle armi italiane. Di Castelnuovo il Senato di Venezia diede inve- 
stitura al conte di Carmagnola, dopo che questi ebbe acquistato Brescia alla Sere- 
nissima. Il luogo ha certamente origini antiche, poiché il suo nome ricorre spesso in 
documenti del XII secolo. 

Coli, elett. Bardolino — Dioc. Verona — P*, T. e Str. ferr. 

Garda (1817 ab.). — Situato a 3 chilometri a nord di Bardolino, è questo il vil- 
laggio che fu nei tempi di mezzo città tanto importante da dare il proprio nome al 
lago che prima cbiamavasi Benaco. L'abitato è situato in una vasta insenatura ed è 
rivolto a sud-ovest; gli stanno alle spalle le estreme pendici del monte Baldo, che 
qui vengono a cadere improvvisamente dirute nelle acque; lo sovrasta la rupe sulla 
quale, a guisa di nido d'aquila, stava un giorno la rocca di Garda, famosa nella storia 
d'Italia per avere racchiuso fra le sue mura Adelaide vedova di Lotario, la quale 
aveva ricusato di dare la sua mano ad Adalberto figlio di Berengario, re dltalia ed 
uccisore di suo marito. Per ordine dello stesso Berengario essa era stata rinchiusa 
nelia rocca allora famosa, ritenuta inespugnabile e sicura prigione. Ma la forte donna 
non tardò, colla complicità di un sacerdote, a trovar modo di uscire dalla rocca in 
abiti mascolini, di attraversare una notte il lago in barca e di rifugiarsi presso il 
marchese Azzone d'Este, già amico del suo defunto marito. 

Quando Ottone U, il grande imperatore germanico, venne in Italia, chiamatovi dalle 
istanze del vescovo di Milano, da quelle di altri feudatari, mal sofferenti la signoria 
di Berengario, e dalle lettere di Adelaide, volle vedere quest'ultima e le parve tanto 
bella che, invaghitosene, la fece sua sposa. Adelaide aggiunse al serto imperiale ger- 
manico la corona d'Italia, della quale essa sola riputavasi legittima erede, e per 
questo matrimonio fu sostituita la dominazione franca in Italia con quella germanica. 
Ciò avveniva nel 952; ma assai prima, sul finire dell' Vili secolo, Carlo Magno aveva già 
eretto Garda a contea, segno evidente che la località aveva diggià grande importanza. 

L'imperatore Enrico II donò la contea e la giurisdizione sul lago ad un suo fido, 
Tidone. Poi la signoria passò ai vescovi di Verona e da questi, per opera del vescovo 
Tibaldo, ai Torrisendi, che assunsero, nel 1145, il titolo di conti di Garda. Nel 1163 
la rocca, essendo Torrisendi dei Torrisendi partigiano della Lega Lombarda, fu asse- 
diata per il corso di un anno dal conte Marquardo, capitano agli ordini di Barba- 
rossa. La rocca non si rese che con capitolazione e con tutti gli onori di guerra 
riservati. Barbarossa la concesse ad Adelperto II, vescovo di Trento; poi ripassò al 
vescovo di Verona e nuovamente, nel 1179, al Torrisendi, che però non la tenne molto, 
poiché Enrico VI vendette, nel 1193, Garda al Comune di Verona. Lo possedettero gli 
Scaligeri ed anzi Martino II ne fu regolarmente investito signore da Carlo VI impe- 
ratore. Nel 1405 Garda, con tutto il suo lago e con tutto il territorio di Verona, 
passò sotto la potestà di Venezia. 

Nel colle attiguo a quello della rocca i Padri Camaldolesi vi costrussero, abbat- 
tendo quanto rimaneva di tre antichi forti, un loro convento, che chiamarono Eremo. 
Di questa proprietà essi furono spossessati nel 1811 e l'acquistò la nobile famiglia 



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Mandamenti e Comuni del Distretto di Bardolino 103 



Buri, la qnale io conserva nelPantica apparenza. La rocca fu abbattuta dai Veneziani 
alla metà del secolo XYI. Daireremo dei Camaldolesi godesi una delle più belle viste 
del lago che sia possibile immaginare. 

U paese, posto in basso, come abbiamo detto, è tuttora cinto da antiche mura 
veronesi, merlate ; lambono quasi le sue mura due correnti : una ad oriente, il Tesina, 
Taltra od occidente, il Gusa: entrambi vanno soggetti a grosse e rapide piene. L'in- 
terno del villaggio o borgo è attraversato da vie strette e talvolta costeggiate da 
portici. Vi è qualche palazzotto di antica e buona architettura. Vi sono pure parecchie 
torri, una delle quali sta sopra la porta orientale, è merlata ed ha un beirorologio. 
Bella è pure la sede municipale, discreto il teatro. 

La chiesa di Santa Maria, con ottima facciata ornata di statue, ha tre porte, a cia- 
scuna delle quali corrisponde una navata. Neir interno sonvi sette altari con statue 
e pitture, fra le quali notevolissime le pale di Palma il Giovine, Francesco Paglia e 
Tedeschi. Rimarcasi pure una lapide latina di 3ì righe, scolpita nel 1138 nel nono 
anno del pontificato di Innocenzo II, al quale era stata sottoposta una questione di 
decime, ch'egli definì a favore di Garda contro Cisano. Vi sono pure nelP interno 
un* altra lapide romana dedicata a Gajo Julio Echimero e nel piazzaletto della chiesa 
stessa, sopra un pilastro, un'altra iscrizione, in cui si parla di un P. Velie. Una piazza 
di Garda è dedicata a Domizio Calderoni, letterato e matematico, che ebbe i suoi natali 
a Torri del Benaco nel 1446 e morì a Roma nel 1478. 

Appartiene al territorio di Garda la bellissima punta di San Vigilio, che segna il 
termine del grande bacino inferiore del lago ed il principio della sua strozzatura 
verso nord. È questa, una delle più incantevoli posizioni della riviera veronese. Di là 
si ha completa la vista dell'ampia conca inferiore del lago, col golfo di Salò, la peni- 
sola di Sermione, l'isola Lecchi, le insenature di Desenzano e di Peschiera, tutto l'an- 
fiteatro delle morene terminali, colla torre di Solferino spiccante neirorizzonte, più 
pittoresca, nera e. massiccia come è nella sua solitudine, che non quella del vicino 
ossario di San Martino. Di là si vede pure la superba fiancata del Baldo e gran tratto 
della frastagliata riva bresciana. 

In questo punto veramente delizioso Agostino Brenzoni, gentiluomo e letterato 
veronese di buona fama del secolo XVI, ritiratosi dalla vita rumorosa e non libera 
delle Corti, si fece erigere dal Sanmicheli quella magnifica villa che fronteggia il lago 
e che anche oggidì è detta Villa Brenzoni. Ivi scrisse la migliore delle sue opere, 
il libro Della vita solitaria. Malgrado i molti danni arrecati alla magnifica residenza 
dal passaggio continuo di soldatesche guerreggianti fra di loro, essa è ancora fra le 
più belle ed interessanti del lago. Vi si ammira un ampio e bel bosco di alberi e 
cipressi, vi sono antri e viali, numerosissime le statue, i busti, le lapidi. Fra i busti 
v'è quello del Petrarca, dai cui occhi un tempo uscivano zampilli d'acqua i quali cade- 
vano a bagnare del lauro. Sotto erano questi versi : 

Serba del nostro amor le sacre fìronde . . 

CSon li tuoi rai; che io si fatto umore 
Piangendo stillo u' le radici asconde 
Chò *1 terrà sempre verde e pien d*odore. 

Sopra un sepolcro, che si simula essere quello di Ca^u^, il Brenzoni fece incidere: 

Lugere kio veneres cupidineiqtte 

Amissam lepidi lyram Catulli, 

Hoc musae stattiere graiiaeque , 

Et nymphae lacrimis piis sacellum. 

Né questa è la sola villa presso Garda, che anzi ve ne sono altre ricche e belle, 
quali la villa Carlotti, la villa Abrile e la villa Albertini, ove ebbe per qualche tempo 
stanza Carlo Alberto durante la guerra del 1848. Quivi anzi ricevette la Deputazione 



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104 Parte Primft - Alta Italia 



lombarda, la quale, il 10 giagno. gli presentava il voto di annessioiìe, condizionato^ 
alla Costituente, dato dalla Lombardia. 

I prodotti del suolo non sono inferiori in ricchezza alla bellezza del paesaggio. 
Nel territorio di Garda prosperano gli olivi, gli agrumi e le piante da frutta di ogni 
specie; cresconvi bellissime le viti e danno ottimo vino; ricco è il prodotto delle 
granaglie. Il gelso vi è pure coltivato e ad esso si riattacca Tallevamento del baco 
da seta. Vi si produce vino, olio e vi si fabbrica della birra riputata in tutto il distretto. 
Vi sono pure fabbriche d'alcol e filande da seta. I mercati, come le fiere, di Garda 
sono frequentati ed animati ed attivo è il commercio di vino, olio, pesci e anche delle 
frutta. La popolazione è attiva ed amante dell' istruzione, essendo le scuole frequen- 
tatissime; si dedica, oltre che all'agricoltura, alla pesca. L'aspetto del paese è lindo. 
L'emigrazione non è molto rilevante e nella generalità temporanea. 

Coli, elett. Bardolino — Dioc. Verona — ?*, T. e Staz. lacuale loeali, Str. ferr. a Gostermano. 

Lazise (3534 ab.). — A sud di Bardolino, distante 5 chilometri e, sempre in riva 
al lago, si trova l'antichissimo borgo di Lazise, che già fu noto in tempi remoti sotto 
il nome di LasUium. Ottone III, imperatore germanico, lo ricorda in un documento 
datato del 983; nel 1014 lo vediamo concesso in feudo ad Antonio Bevilacqua da 
Enrico U. E questi circondò Lazise di mura e fossa con castello, le quali opere furono 
poi ampliate ed accresciute in robustezza dagli Scaligeri e queste costruzioni di difesa 
sussistono ancora in parte, poiché il borgo è cinto di mura merlate. I Veneziani fecero 
la loro apparizione in Lazise nel secolo XV quando occuparono Verona e vi stabilirono 
un'importante dogana, a cui difesa fii posta una forte torre merlata, ora uscita dalla 
perpendicolare e strapiombante verso il lago per non meno di mezzo metro. 

Di Lazise s'impadronirono i Visconti durante la guerra ch'essi mossero a Venezia, 
ma Brunoro e Stefano Gontarini la ripresero bombardandola e poscia la lasciarono 
preda alle soldatesche, che la saccheggiarono da cima a fondo e vi arrecarono danni 
rilevantissimi. 

Ciò avvenne nel 1439 e, nel 1441, il doge Francesco Foscari emanava un decreto 
per il quale erano ridonati a Lazise i suoi antichi privilegi. Mezzo secolo più tardi 
l'imperatore Federico III, desiderando vedere il Garda, fu dagli ambasciatori della 
Repubblica di Venezia condotto per terra da Rovereto, ove egli si trovava, fino a 
Lazise e di qui imbarcato sopra una galea e fatto navigare per il lago. Venuta la 
Lega di Cambrai contro la Serenissima, i rivieraschi si mostrarono favorevoli ai 
nemici della Repubblica, tanto che il provveditore del Governo veneto Zaccaria Loredw 
si appigliò al partito di abbandonare la regione, non prima di avere bruciato in Lazise 
tutte le galee poste al suo comando, perchè non cadessero nelle mani dei nemici. 
Finita la guerra e rientrata Venezia in possesso di Lazise questa non si riebbe più 
dei danni sofferti e rimase oscuro villaggio. 

Frale antichità di Lazise si mostra un grosso torrione in pietra, situato nel cimitero, 
senza porte e senza finestre, che si ritiene sia di costruzione romana fra il 900 ed 
il 1000. Fra gli edifizi notevolissima la chiesa parrocchiale, rifatta sul disegno del 
Trezza nel 1836. Vi si accede per una bella ed ampia scalinata. Un'altra chiesa, notevole 
soprattutto per il suo campanile di elegwte disegno, è quella dedicata a San Nicola. 
Di buona costruzione è il palazzo Municipale e notevole, pure il palazzotto Brunati. 

Quanto rimane dell'antico castello scaligero, che è da giudicarsi fosse ampio, bello 
e forte, oggi è compreso nel recinto della villa Buri, ora De Bernini. Nel castello risie- 
devano i magistrati veneti al tempo della Repubblica e di loro è ricordo in lapidi 
Occupato il territorio dopo il 1796 i Francesi posero nel castello una fabbrica di salnitro 
per la polvere da sparo. Ritornati gli Austriaci lo vendettero ad un privato per sole • 
1500 lire e d'allora il castello servi per molto tempo da cava di pietre a chi in paese 



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Mandamenti e Comuni del Distretto di Bardolino 105 



voleva costruire; perfino le scale inteme delle quattro torri furono asportate! A porre 
fine a tanto vandalismo venne fortunatamente il conte Buri, che, comperato il castello, 
conservò gelosamente quanto rimaneva di conservabile, ristaurando anche qualche 
parte non del tutto distrutta. Il porto antico, riservato al castello e che per Tincuria 
degli ultimi possessori si era trasformato in palude, il Buri interrò e trasformò in 
giardino, così che è diventata questa una delle più belle ville dei dintorni, liberando 
così il paese dalla febbre malarica che vi regnava. 

Appartiene al Comune di Lazise anche la frazione di Pacengo, sita poco lungi dal 
lago, nonché quella di Colà posta più in alto, a 146 metri sul livello del mare (Lazise 
76 metri e Pacengo 106) : quivi sonvi le ville Miniscalchi-Erizzo, Guy, Benello e quella 
assai fastosa appartenente ai conti Sacco. 

Particolarità di Lazise è una fonte ferruginosa acidula di antichissima rinomanza, 
la quale si trova a circa 2 chilometri dall'abitato, sul fianco di una bella collina. 

A Lazise è il punto ove il lago di Garda si allarga maggiormente e dove la riva 
bresciana è in linea retta, a maggior distanza (chilometri 17). Dalle colline circostanti 
si godono dei panorami incantevoli. 

L'istruzione pubblica è assai curata e le scuole sufiicienti ai bisogni della popola- 
zione. L*emigrazione non è rilevante e quasi tutta temporanea. 

Il territorio del Comune di Lazise è considerato fra i più pingui deir intiera riva 
veronese del lago di Garda. Qui si producono in copia cereali, frutta, olive e special- 
mente uva. Vi è coltivato il gelso e Tallevamento del baco da seta è assai esteso. 
In paese vi si fa esteso commercio di vini. La località è assai pescosa e quindi larga 
parte della popolazione si dedica temporaneamente a quest'opera. I suoi commerci 
sono attivissimi. 

Cenno storico. — Lazise, durante le campagne 1796-1800 e 1848, vide a più riprese 
passare eserciti ora in una direzione ora in un'altra, ma mai si combattè fra le sue 
mura. Fu terreno di manovra e la divisione sarda Sonnaz, che dopo la presa di Peschiera 
affrontò gli Austriaci a Rivoli, ne fece per qualche tempo la sua base d'operazione. 

CoU. elett Bardolino — Dioc. Verona — ?', T. e Slaz. lacuale locali, Str. ferr. a Pontone. 

Halcesine (2189 ab.). — Estremo paese verso nord del distretto di Bardolino; 
Malcesine è anche Comune di confine del regno d'Italia coU'Impero Austro* Ungarico; 
dista 31 chilometri da Bardolino, e altri 8 ne corrono dal paese al contine. Esso 
è di bellissimo aspetto, specie visto dal lago e nell'interno è pulito e ben disposto. 
Giace sopra un piccolo promontorio che si avanza nel lago e può dirsi la spia di 
questa parte superiore del Garda. Le cronache antiche danno lontana origine a 
Malcesine, il cui castello si vuole edificato da Carlo Magno, sebbene non conservi 
nessuno dei caratteri che furono speciali alle costruzioni franco-longobarde; si fa 
invece notare come tipo di costruzione veronese quali l'adottarono gli Scaligeri per 
i molti fortilizi di cui seminarono la regione. In questo castello ebbero sede i capi- 
tani del lago' al tempo della Repubblica Veneta, per la quale Malcesine segnava il 
luogo di confine col principato di Trento. Del bel castello gli Austriaci hanno voluta 
fare una fortezza moderna e l'hanno in certo modo guasto. Però anche com'è ora, 
ritto sullo scoglio proteso nel lago, colla sua alta torre merlata, è pur sempre di 
aspetto interessante^ 

Il paese ha buone ed artistiche costruzioni, le quali ricordano i migliori tempi 
della Repubblica. Non ultima il merlato palazzo Municipale, ove pure ebbero sede i 
capitani del lago, dei quali, nelle sale, si ammirano ancora alcuni stemmi. 

In alta situazione — e dal suo piazzale si gode magnifico panorama del lago — è la 
chiesa parrocchiale. In essa vi sono altari ricchi di marmi e di statue. Vi è pure una 
bella Deposizione dalla Croce, tenuta in grande pregio dai conoscitori ed attribuita a 

68 — t4i Patria, voi. I, parte 2*. 



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106 Parte Prima — Alta Italia 



Girolamo dei Libri, artista veronese vissuto fra il 1472 ed il 1556. Come sacra reliquia 
sono conservati in apposita arca i corpi dei due anacoreti Benigno e Caro, i quali 
vissero sullo scorcio del secolo IX in una grotta del monte Baldo. Un antico docu- 
mento del 1073 dice come le popolazioni della riviera veronese avessero stabilito una 
funzione annuale in onore dei santi sopraddetti per essere preservati dai terremoti. 
Ma la pia opera non vietò che queste rive fossero, nel corso dei secoli, più volte 
danneggiate da moti tellurici e che questi si siano ripetuti con incredibile intensità 
fra il 1870 ed il 1893. Altre chiesette notevoli sono: quella denominata Madonna del 
Castello, presso il villaggio di Piovere; più oltre, fra gli olivi, è la chiesa detta della 
Madonna della Fontana. 

Frazioni notevoli di Malcesine sono: Madonna di Navene, estremo gruppo abitato 
verso il confine austrìaco e comprendente un 150 persone. Da Navene si può salire 
in 6-7 ore sulla punta estrema del Baldo; e Cassone (a sud di Malcesine), nel bel 
mezzo della cui piazza sgorga una sorgiva, la quale muove parecchi molini ed opifici 
e dà origine ad un breve fiume che si chiama Be. Presso questo villaggio sonvi gli 
avanzi di una torre e di altre costruzioni antichissime. 

Malcesine ha tre piazzette dette del Porto, Centrale e Disciplina. La prima è 
abbastanza vasta, quadrata e racchiude nel suo intemo il piccolo porto del paese, 
ove si adunano a sera le barche peschereccie; le altre due sono di minor ampiezza; 
ma entrambe contornate da caratteristici edifizi. In Malcesine ha principio la strada 
carrozzabile, la quale costeggia la riva veronese del Garda ed è detta appunto Garde- 
sana e va a riattaccarsi alla rete stradale veneto-lombarda a Peschiera, mentre cessa 
a nord di Malcesine, e cioè verso il confine, ove avrebbe potuto congiungersi colla 
strada tridentina proveniente da Riva e da Torbole. Quest'arteria non fu proseguita 
per esplicita opposizione del Governo italiano, il quale ha addotto delle ragioni mili- 
tari, che oggi, ci sembra, non abbiano più ragione d'essere e non fanno se non rendere 
più difficili lo sviluppo delle potenzialità economiche del paese e non permettono di 
profittare come si dovrebbe del movimento dei viaggiatori, il quale anche sul Garda 
si va facendo d'anno in anno sempre più intenso. 

Presso Malcesine le acque del Garda appaiono seminate di isolotti e di scogli, 
che concorrono a dare varietà al paesaggio. Fra le isole citiamo quella di Trimelone, 
sulla quale sonvi gli avanzi di un castello scaligero e di una torre; l'isola dell'Olivo 
od anche isola del Gallo, dallo strano profilo presentato da lontano da un enorme 
olivo che torreggia su di essa. 

Il territorio, frastagliatissimo, montuoso, è ben riparato dai venti del nord dagH 
speroni del Baldo strapiombanti sul lago e quindi, oltreché dolce clima in ogni tempo, 
offre una vegetazione affatto speciale e degna di paesi più meridionali. Vi si ammi- 
rano gli olivi di maggior dimensione che si trovino su tutto il lago. Nelle zone alte 
prosperano i castagni ed in certe insenature presso il lago cedri bellissimi. Oltre ciò 
si coltivano nel territorio cereali, viti e gelsi. Il vino e l'olio si producono in copia 
discreta, l'allevamento del baco da seta è assai curato. Esistono in paese varii torchi 
da. olio e dalla montagna si estraggono pietre da costruzione ed anche una specie 
non volgare di marmo. Nelle famiglie è esercitata la tessitura casalinga e qualche 
altra piccola industria locale. 

Malcesine si distingue per il suo spirito di solidarietà e dì beneficenza verso i 
meno provvisti della fortuna. Possiede un piccolo ospedale, ove ricevono assistenza 
gli ammalati poveri, ed inoltre ha anche un ospizio per i vecchi e gli indigenti del 
Comune. Né mancano le associazioni fra operai e contadini, sia di assistenza che di 
ricreazione. Buone le scuole; Tistruzione pubblica é seguita con slancio dagli abitanti. 

Uomini illustri. — In questo paesello ebbe i natali Angelo Bottura, e quivi lavorò 
alla composizione del suo poemetto La coltivazione del riso il veronese G. B. Spolverini» 



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Mandamenti e Comuni del Distretto di Bardolino 107 



vìssuto fra il 1695 ed il 1762, che in Malcesine fa- capitano di la^o e dimorò lunghi 
anni* A Malcesine il poeta dedicò alcuni versi, i quarii così suonano: 

dove 

Tra *1 marmifero Torri, e la pescosa 
Torbole, re degli altri altero monte. 
La soggetta Malcesine, Tamena 
Primogenita sua Baldo vagheggia 
Fisa in lei la selvosa antica fuccia 
Immobilmente e le canute ciglia. 

La quale immagine del Baldo, che affisa in Malcesine le < canute ciglia >, fu imi- 
tata in altri dolcissimi versi anche dal Betteloni. 

Coli, eletl. Bardolino — Dioc Verona — ?•, T, e Staz. lacuale locali, 
Str. ferr. a Caprino Veronese. 

Peschiera sul Lago di Garda (2351 ab.). — Questo grosso borgo trovasi all'estremità 
sud-est del lago di Garda, dove ne esce il Mincio, e dista 22 chilometri a ponente da 
Verona e 14 a sud da Bardolino. Esso ha avuto l'onore di una citazione dantesca. Nel 
canto XX deìV Inferno il divin poeta così lo ricorda: 

Siede Peschiera bello e forte arnese 
Da fronteggiar bresciani e bergamaschi. 
Ove la riva intorno più discese. 

Ivi convien che tutto quanto caschi 
Ciò che *n grembo a Benaco star non può 
£ fassi fiume giù pe* verdi paschi. 

Tosto che Tacqua a correr mette co*, 
Non più Benaco, ma Mincio si chiama 
Fino a Govemolo ove cade in Po. 

Ma assai prima che non dei tempi di Dante, Peschiera era < bello e forte arnese >• 
In tempi romani, ove ora è Peschiera, era un luogo abitato chiamato Arilica ed era 
sede di un Collegio di navicellai benacensi. Mario, vincitore dei Cimbri, quando si 
avvisò di fortificare, contro le incursioni dei barbari del Nord, Verona, pare abbia 
pensato a munire anche Arilica e ciò avveniva circa cento anni avanti Péra volgare. 

È ignoto quando Arilica abbia cambiato il suo nome in Peschiera, ma sembra che 
ciò sia avvenuto neirVIII secolo. Due secoli dopo, nel X, pare abbia Peschiera dato 
rifugio a Berengario I, sconfitto dagli Ungheri. Passato in dominio dei Veronesi, 
questi vi fabbricarono uno dei loro famosi castelli turriti e merlati, il quale fu spia- 
nato da Ezzelino da Romano, poiché questi lo ebbe in suo potere acquistandolo per 
3000 lire veronesi dai Guelfi. Non sì tosto che il truce avventuriero fu scacciato dal 
Veronese e che gli Scaligeri vennero in possanza, il castello fu rialzato ed accre- 
sciuto di nuove opere. Ma anche quello andò distrutto e solo se ne conservano poche 
rovine ed il nome nella frazione di Castelletto. Quando i Veneziani vennero in pos- 
sesso del Veronese tolsero ai marchesi di Mantova, ì quali allora la possedevano, 
Peschiera (1441) e più fortemente la munirono e la fortificarono, su disegni forniti 
dal duca d'Urbino, intorno al 1550. 

La città fu espugnata dai Francesi nel 1801, i quali l'ebbero dopo un mese d'as- 
sedio e, nel 1848, dai Sardi, i quali se ne impadroiiirono dopo un assedio durato qua- 
ranta giorni e diretto dal principe Ferdinando di Savoia. La piazza forte cadde il 
30 maggio ed a Carlo Alberto ne giunse l'annuncio nel punto istesso in cui si deter- 
minava a suo favore la battaglia di Goito, nella quale erasi gravemente impegnato. 

Rientrati gli Austriaci in possesso di Peschiera dopo la prima battaglia di Custoza, 
la quale determinò la ritirata dell'esercito sardo fino alla linea del Ticino, essi impre- 
sero subito a munire fortemente Peschiera di nuove fortificazioni ed ancor più ne 



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108 Parte Prima - Alta ItaUa 



eressero dopo il 1859, quando, oltre che piazza forte del famoso quadrilatero, divenne 
anche fortezza di confine vers» il nuovo e minaccioso regno d^Italia. 

n borgo dista alquanto dal lago, al quale si discende per una bella via alberata 
ed in posizione relativamente elevata; è attraversato dal Mincio, sul quale corrono 
due ponti, uno dì legno e Taltro di mattoni, servente quest'ultimo di comunicazione 
per i forti che stanno sulle due sponde. Naturalmente i principali edifizi per una 
piazza forte come questa, la quale ospita in permanenza non meno di 600 soldati 
sopra circa 1500 abitanti residenti al centro, non possono essere che caserme. £ 
Peschiera ne possiede due costruite dagli Austriaci, lunghe 166 metri ciascuna e fian- 
cheggianti due lati della piazza Giardini, piazza quadrangolare ed alberata. Gli altri 
due lati di questa spianata sono tenuti uno dal palazzo del Comando della piazza e 
Taltro da edifizi varii. Un'altra grandiosa caserma-ospedale, di 142 metri di lunghezza 
sopra 46 di profondità e comprendente 100 stanze, si trova in piazza d'Armi. Questa 
fu eretta nel 1865-66 dagli Austriaci, in previsione dell'allora minacciata guerra per 
parte nostra. Di bell'aspetto è il palazzo Municipale ed anche la chiesa di San Mar- 
tino, sebbene in questa nulla di particolare si racchiuda. Curiosa è la torre dell'Oro- 
logio, al disopra del quale stanno due aquile le quali segnano l'ora battendo del 
becco nella campana. L'abitato è completamente rinchiuso nelle linee di fortificazioni 
ed altri quindici forti guardano la città tutt'attorno. 

Il borgo è molto commerciale ed ogni lunedì vi si tengono mercati animatissimi. 
Le fiere principali per il territorio sono aperte l'ultimo lunedì e martedì del mese di 
luglio. Vi si fa largo commercio di bestiame sia da allevamento che da lavoro o da 
macello. Il snolo produce in copia cereali. Vi si coltivano i pascoli, il gelso e la vite. 
L'allevamento del baco da seta è operato su scala discreta. Vi sono nel paese alcune 
fabbriche di laterizi ed altre piccole industrie. Anche la pesca dà importanti prodottL 
GoU. elett. Bardolino — Dioc. Verona — ?*, T., Str. ferr. e Staz. lacuale. 

Tlorri del Benaco (1405 ab.). — Il centro del villaggio, composto di circa 800 anime, 
si trova sulla riva del lago, a circa 8 chilometri a nord di Bardolino ed a 68 metri 
sul mare. Il Comune ha una bella chiesa parrocchiale con facciata di buona architet- 
tura e con avanzi di torri e di mura merlate. Neil' intemo delFedìfizio sacro sonvi 
alcuni dipinti pregevoli, sovrapposti ai cinque altari, dovuti principalmente ai pennelli 
di pittori veronesi di vario tempo : da Simone Brentana, che vi dipinse intomo alla 
fine del secolo XVII, al Rotari, al Signorini ed al Cignaroli, che vennero di poi fino 
alla fine del secolo successivo. 

Notevoli sono gli avanzi del castello con mura merlate e torri, eretto dall'ultimo 
degli Scaligeri che dominò la contrada, Antonio, figlio di Cansignorio II, il quale lo 
eresse intomo al 1383. Ora del castello i moderni proprietari hanno fatto una magni- 
fica villa, adattandovi un'importante cedraia. Il castello è situato a sud del piccolo 
porto del paese e dalle sue torri è possibile distendere lo sguardo su tutto il lago. 

Interessante frazione del Comune è Pai o Pali, ov'è il palazzo Brogi, con bella torre 
merlata e graziose logge. Altra è Loncrino ed altra ancora Albisano, nelle cui vici- 
nanze si trova una varietà di marmo giallo, simile assai a quello detto di Siena e che 
può essere finamente lavorato. Nel territorio si escava pure un'altra varietà di pietra 
marmifera conosciuta sotto il nome di mandorlato di Torri, per il curioso aspetto che 
presenta quando sia sottoposto a pulitura. Molte case dei paesi del lago sono costraite 
appunto con l'una o con l'altra di queste pietre. Torri del Benaco è centro di amene 
quanto facili escursioni sui vicini speroni del Baldo, dai quali si possono godere incan- 
tevoli panorami. Oltre che all'agricoltura, parte della popolazione si dà anche alla 
pesca ed alla navigazione lacuale; l'industria vi è rappresentata dalle cave di cui 
abbiamo già parlato, da alcune fornaci e dagli oleifici necessari alla produzione locale. 



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Mandamenti e Comuni del Distretto di Caprino Veronese 109 



In alcune famiglie si esercita la tessitura casalinga del cotone e della canapa. Si 
. fabbricano anche cordami in piccola quantità. 

n suolo, fertile e ben coltivato, produce olivi, agrumi, cereali, viti. Vi si coltivano 
anche alberi da frutta in quantità e cereali. 

Cenno storico. — Anticamente fu luogo importante e prima che Garda assurgesse 
a capitale del lago era in Torri del Benaco che si tenevano i Consigli dei rappresen- 
tanti dei Comuni rivieraschi, sotto la presidenza dei cosiddetti Capitani del lago. Nel 
secolo XIV fu ancora capitale, ma per breve tempo, di una lega di Comuni, composta 
di Torri, Pai, Brenzone, Malcesine, Albisano, Costermano, Bardolino, Cisano e Lazìse. 

Uomini illustri. — Nel secolo XV, e precisamente nel 1418, diede i natali a Domizio 
Galderinì, filosofo, matematico e letterato insigne per il suo tempo. Studiò e com- 
mentò parecchi autori antichi come Giovenale, Perseo, Virgilio, Ovidio, Silio Italico ed 
altri; annotò la Cosmografia di Tolomeo, il che non gli impedì di coprire pubblici 
ufBci, fira i quali quello di segretario apostolico del cardinale Della Rovere, che egli 
accompagnò in Avignone. Morì giovanissimo, a 32 anni, e Poliziano scrisse di lui l'epi- 
taffio riconoscendone gli insigni meriti. Il Tiraboschi, considerata la mole e la quantità 
delle opere lasciate dal Calderini, si meravigliò che un uomo il quale ebbe ad essere 
distratto dagli studi e da altre cure abbia potuto lavorare e produrre tanto. 

CoU. elett. Bardolino — Dioc. Verona — P* a Bardolino, T. a Ghurda, 
Staz. lacuale nella fraz. Pai e Str. ferr. a Ciosterinano. 



m. — Disfrelfo e Mandamento di CAPRINO VERONESE 

Situato fra il distretto di Bardolino, col quale confina ad ovest, e quello di San Pietro 
in Cariano, col quale confina ad est, il distretto di Caprino Veronese forma, nel suo 
lembo settentrionale, confine politico coHlmpero Austro-Ungarico. A sud i suoi confini 
sono segnati, per brevissimo tratto, dal distretto di Verona. La sua superficie è di 
190 chilometri quadrati, il che ne fa, per estensione territoriale il decimo fra gli undici 
distretti componenti la provincia veronese; la sua popolazione presente, secondo il 
censimento ufficiale del 10 febbraio 1901, era di 14.805 abitanti e tiene, nella gradua- 
toria cogli altri distretti, per numero di anime, il posto undecime. 

n territorio è assai accidentato e va dalle altissime cime del monte Baldo, rag- 
giungenti i 2218 metri, digradando fino a toccare i 100 metri, a sud-est di Affi. 

Unico piccolo corso d'acqua notevole nella regione è il torrente Progne, il quale 
tiene il fondo della valle di Caprino e si getta in Adige a Ponton. Invece, come si 
può rilevare dalle accennate altitudini, è sviluppatissimo il sistema orografico, il quale 
comprende tutto il fianco orientale del monte Baldo e tutti i suoi contrafforti fino 
all'Adige. Questo fiume fa poi da confine fra il distretto di Caprino Veronese e quello 
di San Pietro in Cariano per lungo tratto del suo corso. 

Serve alle comunicazioni del distretto la linea ferroviaria che da Verona mette 
capo a Caprino, dopo aver toccato San Pietro ed attraversato TAdige a Ponton. Vi è 
poi una completa rete stradale carreggiabile, che mantiene le comunicazioni fra i varii 
Comuni del distretto non solo, ma con tutta la regione circostante. Importantissima 
fra tutte è quella che partendo da Verona e passando per Bussolengo, Pastrengo, 
Rivoli e Belluno Veronese mette ad Ala, nel Trentino, seguendo la riva destra del- 
TAdige. Di non trascurabile importanza commerciale ' sono le molte strade le quali 
uniscono Caprino al lago di Garda. 

U commercio principale del distretto è rappresentato dall' industria enologica e 
sue attinenze, poiché Caprino ed il suo territorio è luogo vinifero per eccellenza, e 



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110 Parte Prima — Alte Italia 



il vino di Caprino è buono ed assai ricercato. Segue per importanza la prodazione 
dei cereali e quella delle frutta e dei foraggi. Anche ralievamento del bestiame» 
specie di quello bovino e del pollame, è fonte di grande lucro per la popolazione. 

Varie sono le industrie esercitate nel distretto di Caprino Veronese. Vi si notano 
cave importanti di marmi, fornaci, industrie tessili, tintorie, fabbriche di prodotti ali- 
mentari, latterie, caseifici, corderie ed altre minori e casalinghe. Fra queste ultime è 
da tenersi in considerazione, per la sua speciale importanza, la tessitura casalinga 
del cotone e del lino. 

Il distretto è formato da un solo mandamento, il quale comprende 10 Comuni: 
Caprino Veronese (capoluogo), AflB, Belluno Veronese, Brentino, Castione Veronese, 
Cavajon Veronese, Costermano, Ferrara di Monte Baldo, Rivoli Veronese, San Zeno 
di Montagna. La pretura risiede in Caprino. 

L'istruzione pubblica è cura continua dei diversi Comuni ed è seguita con amore 
dalla popolazione, ch'è intelligente ed ha passione allo studio. L'emigrazione si man* 
tiene in limiti normali e solo è in incremento quella temporanea. 

Il distretto è generalmente, per quanto si riferisce alle finanze dei Comuni, in 
buone condizioni. Ottime sono poi le condizioni igieniche. 



Caprino Veronese (6378 ab.)* — Il borgo è situato in amenissima posizione, 29 chi- 
lometri a nord-ovest di Verona, in fondo ad una valle formata dal dipartirsi di alcuni 
contraiforti del Baldo. La sua altitudine è di 254 metri sul livello 
del mare ed il luogo è punto di partenza alle numerose strade 
alpine, le quali conducono alle erte cime del Baldo. 

Il paese è diviso in parecchie frazioni, ma il centro principale 
raggruppa non meno di 3215 anime. L'abitato si presenta assai bene 
ed è pulito e ben disposto. Vi sono parecchi edifizi notevoli, fra 
i quali citiamo la chiesa parrocchiale, ricca di marmi scavati dai 
monti circostanti e vagamente lavorati; il palazzo Bagatta, di buona 
architettura, e varìi altri edifizi pubblici. 

Il suolo è dei meglio favoriti dal clima e dà prova della sua 
ubertosità producendo vino, cereali, olio, frutta, gelsi. I tartufi di Caprino sono apprez- 
zatissimi e ritenuti fra i migliori che si producano nel Veneto. La parte montuosa 
della regione dà castagne ed altri prodotti, come fieno, patate, segala, ecc. Molto curato 
è l'allevamento del bestiame, del quale si fa largo conmiercio e dal quale si derivano 
le industrie del caseificio, fiorenti in luogo. 

Tutte queste circostanze di luogo e di clima fanno della popolazione di Caprino 
una popolazione essenzialmente agricola e dedita, per quasi tutto Tanno senza tregua, 
al lavoro della terra, sia esso dato per la vite o l'olivo, come al grano od al prato 
naturale dell'alta montagna. Ma non pertanto mancano assolutamente le industrie nel 
Comune. Citiamo in primo luogo le numerose cave di marmi e di pietre da costru- 
zione. Da alcune si estraggono marmi di bella venatura e di gradita tinta, 1 quali 
possono acquistare, colla pulitura, una levigatezza perfetta. Vi sono terreni calcari, 
dai quali si estraggono i materiali necessari ad attivare alcuni forni da calce e terre 
argillose, delle quali si confezionano mattoni, quadrelli, tegole e cuocionsi in diverae 
fornaci. Altre industrie locali sono quella dei cordami, abbastanza sviluppata, e quella 
della lavorazione delle ossa, esercita in un opificio dove sono occupati 30 operai. Vi 
sono altresì alcuni oleifici con torchi appositi, nonché molini per la macinazione del 
grano, sia frumento che mais. Nelle alpi del monte Baldo vi sono anche piccoli caseificL 
I mercati che si tengono in Caprino ogni sabato sono sempre fra i più frequentati 
nella regione e la ferrovia, che percorre tutta la parte inferiore del distretto, li faci- 
lita grandemente. I mercati di Caprino sono quindi delle vere piccole fiere agricole 



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Mandamenti e Comuni del Distretto di Caprino Veronese HI 



Bectimanali. La vera e grande fiera, che dà luogo a molti scambi e ad importanti con- 
trattazioni, si tiene in Caprino in marzo e precisamente a cominciare dal terzo venerdì 
di quel mese fino alla successiva domenica. La ferrovia, di recente inaugurata, unendo 
Caprino e gran parte dei Comuni che compongono il suo distretto al capoluogo di 
provincia, Verona, ha grandemente facilitato il deflusso delle merci del produttivo 
territorio e ne va migliorando con sufficiente rapidità le condizioni materiali. 

Diverse sono le associazioni operaie nel Comune e tutte con scopi od educativi o 
di mutuo soccorso. Le più note ed importanti sono: Società operaia di Caprino, Società 
operaia di Pesina (frazione di Caprino) e Società patriottica del Baldo. 

Come abbiamo detto, Caprino è punto di partenza per molte ascensioni al Baldo 
e per belle escursioni nei dintorni. Una di queste ultime, e fra le più belle, è senza 
dubbio quella che conduce al celebre santuario della Madonna della Corona, il quale 
sta come aggrappato ad una rupe soprastante alla vallata delFAdige. L'altitudine del 
santuario è di 774 metri sul livello del mare e vi si va con una bella strada carroz- 
zabile, la quale si spinge fino a Spiazzi (862 m.)» da dove si sale in circa quattro ore 
alle vette del monte Baldo. Il santuario, da cui si gode un imponente panorama di 
tutta la vallata delPAdige, è luogo frequentatissimo in estate e specie durante le 
ricorrenze religiose, che durano dal 15 agosto a tutto ottobre. 

Cenno storico. — Caprino con tutto il suo territorio e perfino il santuario di Corona 
furono teatro di frequenti conflitti tra Francesi ed Austrìaci nel 1796-97; fra questi 
va famosa la battaglia di Rivoli, della quale avremo campo di occuparci in seguito. 

Uomini illustri. — Caprino diede i natali ai seguenti: Giulio Cesare Bordone, detto 
lo Scaligero, critico e letterato (1484-1558); Giovanni Arduino, naturalista (1714-1795); 
Pietro Arduino, botanico (1728-1805); G.B. Alberghini, storico (1769-1842); Giulio 
Sandri, naturalista (1804-)876); mons. Luigi Gaiter, letterato (1815-1895). 
Coli, elett. Bardolino — Dioc. Verona — P*, T. e Slr. ferr. 

Affi (934 ab.). — Il piccolo villaggio, diviso in parecchie frazioni, la principale delle 
quali conta 500 anime, è situato a 188 m. sul mare, ai piedi del monte Moscai (427 m.), 
noto per i magnifici boschi che lo ricoprono. Presso di esso scorre il torrente Pregno, 
scendente da Caprino e che va ad immettersi nell'Adige. 

Il villaggio dista chilometri 7 a sud da Caprino, al quale è unito dalla linea ferro- 
viaria. Nel territorio del Comune sonvi cave di marmi e dì pietre da costruzione 
ottime. La situazione è pittoresca e ciò ha influito perchè nelle vicinanze si costruissero 
belle ville signorili. Notevoli fra tutte le ville Pèrsico e Soggi, veramente suntuose 
e contenenti varie opere d'arte. Hanno bellissimi giardini e contomi. 

Le produzioni agricole di Affi sono quelle comuni alla restante parte del distretto. 
Prevalgono i vigneti, dai quali si ha ottimo vino; poi la coltura dei cereali e quella 
degli alberi da frutta. U gelso è diifusissimo in tutto il territorio di Affi, ch'è centro 
importante di sericoltura; il che non impedisce però che l'allevamento del bestiame 
bovino vi sia attentamente curato. Del pollame e delle uova si fa larga esportazione. 

Cenno storico. — Anche questo territorio fu campo di contrastati combattimenti tra 
Francesi ed Austriaci nel 1797 ed Italiani ed Austriaci nel 1848, dei quali tratteremo 
in seguito parlando di Rivoli. 

Coli, elett. Bardolino — Dioc. Verona — ?■, T. e Slr. ferr. 

Belluno Veronese (607 ab.). — È l'ultimo paese politicamente italiano che s'in- 
contri risalendo la vallata dell'Adige. Subito oltre è il confine austriaco e si passa 
nel Trentino. Dista più di 15 chilometri a nord-est da Caprino ed è situato sulla destra 
dell'Adige all'altitudine di 148 metri sul mare. Trovasi sulle estreme falde orientali 
del monte Baldo e la zona di territorio che gli appartiene è montuosa ed in gran parte 
tenuta a pascolo. Nonpertanto vi si coltivano cereali, frutta e gelsi. Vi si fa un poco 



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1 12 Parte Prima - AlU Italia 



dì sericoltura, ma più largamente sì esercita rallevamento del baco da seta. Nel paese 
vi è una piccola concieria di pellami e qualche altra piccola industria casalinga. Si 
commercia in cereali e vi si eserciscono alcuni molini. 

GoU. eletU Bardolino — Dioe. Verona — P' e Str. ferr. a Perì, T. loeale. 

Brentino (652 ab.). — Situato sulla destra delF Adige, alquanto più a valle dì Bel- 
luno Veronese. Questo paese è, come quello, situato sulle ultime propaggini orientali 
del monte Baldo; da questo villaggio anzi, situato a 178 metri sul mare, comincia la 
salita al monte per un sentiero mantenuto ed alternato da scalinata scavata nella 
roccia, per il quale si accede anche al celebre santuario della Madonna della Corona^ 
a breve distanza dal paese. Il Comune di Brentino è sparpagliato in varie frazioni, delle 
quali la principale contiene 2G4 abitanti e dista 9 chilometri a nord-est da Caprino. 

Il suolo, dove è possibile coltivarlo, è fertile e dà grano e vino; nella parte supe- 
riore ha grandi e buoni pascoli, sui quali, d'estate, sono mandate a far montagna 
grandi mandre dì vacche lattifere. 

ColL elett Bardolino — Dice. Verona — P*, T. e Str. ferr. a Peri. 

Castione Veronese (993 ab.). — Questo Comune è situato a ponente di Caprino, 
dal quale dista 6 chilometri ed a 315 metri sul mare. È un bel villaggio in amenis- 
sima posizione, gradito ritrovo estivo della borghesia dei maggiori centri della pro- 
vincia. Lo circondano prosperi vigneti e bei boschi di olivi; ed il territorio produce 
grano, fhitta, gelsi e vino. Si alleva molto bestiame ed è curata la sericoltura. Alcuni 
molini per la macinazione dei granì sono in azione; nessun'altra industria airinfuori 
della tessitura casalinga. 

Coli, elett. Bardolino — Dioc. Verona — P" locale, T. a Garda, Str. ferr. a Gostermano. 

Cavajon Veronese (1556 ab.). — Il villaggio, diviso in molte frazioni, la principale 
delle quali tocca gli 854 abitanti, è posto sopra lievi elevazioni, a mezza distanza fra 
TAdige ed il Garda, a 9 chilometri da Caprino in direzione sud ed a 340 metri di 
altitudine. La posizione è bella ed i dintorni sono ameni. 

Il territorio è ubertoso, poiché produce in copia vino, cereali, olio e frutta, fra le 
quali sono da notarsi una speciale qualità di pere. Molti i gelsi ed è in fiore la bachi- 
coltura, come pure Tallevamento del bestiame. Del pollame e delle uova si fa esteso 
commercio. Fra le industrie locali vanno annoverati: una segheria da legnami, 2 torchi 
da olio, alcuni molini; nelle famiglie è esercitata, con una certa estensione, la tessitura 
casalinga. Fra i commerci quello del bestiame, dei bozzoli e del vino tengono i posti 
dì prima importanza. Quasi tutti ì prodotti, ora che le comunicazioni sono agevolate 
dalla ferrovia, af9uiscono a Verona. 

Coli, elett. Bardolino — Dioc. Verona — P' locale, T. e Str. ferr. ad Affi e neUa fraz. Sega. 

Gostermano (982 ab.). — Questo villaggio sembra abbia origini storiche, derivando 
il suo nome da un antico Castrum Romanum che il console Catulo vi avrebbe costruito 
quando, nell'anno 102 avanti Péra volgare, guerreggiando contro i Cimbri, si sarebbe 
accampato nella posizione oggi tenuta dal villaggio. 

Il paese è situato a 254 metri di altitudine sul mare e proprio sullo spartiacque 
fra il Garda e la valle di Caprino, 5 chilometri a sud-ovest di quest'ultimo. La sua 
posizione è incantevole, il suo territorio assai ricco. Produce cereali, vino, frutta d'ogni 
sorta. Estesa la coltura del gelso, la quale dà vita alla sua volta ad un'estesissima 
bachicoltura. L'allevamento del bestiame non è trascurato. Il commercio del pollame e 
delle uova, come delle frutta per l'esportazione, è abbastanza rilevante. Il villaggio ha 
alcune piccole industrie, quali una fabbrica di spirito e la tessitura casalinga del lino, 
ma la quasi totalità della popolazione vive dell'agricoltura. 

GoU. elett. Bardolino — Dioc. Verona — P*, T. e Str. ferr. 



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Mandamenti e Comani del Distretto di Caprino Veronese 113 



Ferrara di Monte Baldo (551 ab.). — Alpestre villaggio in bella situazione, a 
856 metri sul mare, al disopra della riva destra dell'Adige. Una bella strada con- 
duce a questo villaggio al nord di Caprino. Fra i due abitati vi è una distanza di 
12 chilometri. Ferrara di Monte Baldo è punto di partenza per gli alpinisti i quali 
vogliono fare Tascensione del monte Baldo. Da Ferrara alla cima non si impiegano 
che quattro ore di cammino e la strada è buona. 

L'agricoltura nel territorio è limitata alla poca -che si può fare in terreno aspro 
e montuoso. Viceversa vi sono grandi praterie, ove si tengono a pascolo numerose 
mandre. Da ciò, naturalmente, l'industria del latte ed il caseificio sono discretamente 
sviluppati. Nel Comune si esercita pure la tessitura casalinga per le tele ordinarie e 
di consumo locale. Vi si eserciscono pure alcuni molini per farine. Complessivamente 
hi popolazione è industre e laboriosa, ma in parte è costretta ad emigrare, almeno 
temporaneamente per lo svernamento del bestiame. 

Cenno storico. — Anche Ferrara fu luogo di vicende belliche durante lo svolgersi 
della famosa campagna d'Italia combattuta nel 1797-98 fra Austrìaci e Francesi nello 
scacchiere veronese. 

GoU. elett. Bardolino — Dice. Verona — P* e T. locali, Str. ferr. a Perì e Caprino. 

Rivoli Veronese (1374 ab.). — U villaggio è situato 5 chilometri circa a sud di 
Caprino, sul lembo orientale di un altipiano alle falde del monte Baldo e limitato dal- 
l'Adige. Non lontano, sull'opposta riva di questo fiume, è la famosa antica Chiusa 
Veronese. La sua altitudine è di 188 metri sul mare ed il suolo è assai frastagliato* 
Tre rupi si disegnano sull'altipiano e portano i nomi di San Marco, Castello e Bocca. 
Nel paese v'è qualche edifizio notevole, come la chiesa con campanile quadrato, alcune 
ville signorili, fra cui quella Cerù, che fu dimora del generale Massena nel 1796-97. 

La produzione del territorio è in grano, vino, frutta; moltissimi i gelsi, prospera 
la bachicoltura, diffuso e rimuneratore l'allevamento del bestiame. Il commercio ò 
animatissimo e le condizioni economiche del Comune abbastanza buone. 

BattagUe di RivoU. 

Rivoli ha nome ben noto nella storia per i molti combattimenti che si sono svolti 
nel suo territorio a più riprese nel 1796-97 e nel 1848; rileveremo soprattutto la bat* 
taglia del 14 gennaio 1797, sulla scorta di una cronaca manoscritta intitolata: Atweni* 
menti della Valle di Caprino negli anni 1796-1801, scritta da Don Alberghini, curato di 
un paesello presso Caprino, manoscritto esistente nella Biblioteca comunale di Verona. 
Sotto la data < 14 gennaio 1797 > troviamo la seguente narrazione : 

< ..... Ecco dunque la grande giornata nella quale si deciderà definitivamente la 
nostra sorte e quella dell'Italia. Il piano di battaglia è stato concepito dal generale 
Alvinzy e se l'esecuzione avesse corrisposto al progetto la vittoria sarebbe stata 
all'Austria. Ma perchè non ha corrisposto?... 

< All'alba, o meglio alla luce della luna, l'ala sinistra austriaca cominciò il com- 
battimento. Al levare del sole l'attacco divenne generale. I Francesi occupavano le 
alture di Cimi, quelle della Cappella San Marco e la valle di Frescalunga fino a 
Ceredello. B campo di battaglia si stendeva da Masi fino a Trambazore. Il combat- 
timento fu accanito da entrambe le parti, ma la vittoria si pronunciava nettamente 
per gli Austriaci ed i Francesi, nell'impossibilità di tener testa più a lungo, abban- 
donarono le loro posizioni della Cappella di San Marco e Cimi. Il cdrso, situato sulle 
alture di Ceredello, vi si mantenne più a lungo, ma dovette cedere alla sua volta 
e ripiegarsi su Rivoli. I Francesi si trovarono allora concentrati, ma accerchiati, in 
Rivoli e prevedevano una terribile disfatta. Gli uni gettavano le armi, altri proto* 
stavano rumorosamente, ve ne furono di quelli i quali confidarono il loro danaro 

64 — 1a PatriA» yoL I, parte 2*. 



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tl4 . Pa«*te Prima — Alta Italia 



ai contadini, a patto di restituirlo in seguito; Bonaparte, Massena, Joubert ed i loro 
brigadieri tennero consiglio, temevano d'essere fatti prigionieri. Mentre si delibe- 
rava, Bonaparte, vincendo lo scoraggiamento, propose di rianimare il coraggio delle 
truppe e di far loro attaccare ad Affi la destra austriaca, promettendo la vittoria se 
riuscivano a sloggiare il nemico da quella posizione. L'impresa era difficile, quan- 
tunque le forze austriache fossero sparpagliate e che buon numero di soldati avesse 
già deposte le armi. Malgrado tutto, davanti T impetuosità dell'attacco, i soldati di 
Alvinzy dovettero battere in ritirata su questo punto e questa ritirata fu il principio 
del disastro. Rianimati dal successo, i Francesi rientrano nei ranghi e si gettano con 
furia sul nemico, il quale, dimenticando che la vittoria era diggià sua, si sbanda ver- 
gognosamente in ogni direzione. £ quelle stesse truppe che si erano viste, non era 
molto, inseguire con tanto vigore i Francesi, eccole disarmate e fuggenti davanti essi 
come un torrente. Bonaparte potè ben presto far riprendere tutte le alture di Cimi, 
cacciando gli Austrìaci davanti a sé come una massa confusa; solo qualche compagnia 
fece atto di resistenza per proteggere la ritirata delle altre. Era una fuga generale 
sia per la Corona, sia per Rubiana, sia per Castione e Pesina. Le truppe le quali si 
trovavano nella vallata dell'Adige potevano ancora attaccare i Francesi, ma fu loro 
dato ordine di ritirarsi quando si seppe che l'esercito aveva dovuto fuggire da Fer- 
rara Monte Baldo. Un così doloroso cambiamento di scena non dev'essere imputato 
solamente ai soldati che, presi da paura, non osarono più lottare contro un nemico 
che nonpertanto avevano vinto poco prima, ma a quelli i quali, avendo forse patteg- 
giato coi Francesi, mancarono al loro dovere. Io ho visto un ufficiale, il quale, alla vista 
della sconfitta dei suoi, corse a briglia sciolta a Pozzon per ottenere dal comandante 
un rinforzo di qualche uomo e che, non avendolo ottenuto, ruppe la spada, rimpro- 
verando ai suoi capi di tradire i loro sovrani. 

< Non erano che le 2 e già tutto l' esercito austrìaco aveva abbandonate le sue 
posizioni, quando si intese rìcominciare la battaglia a Gaiun presso Rivoli. Era un 
grosso corpo di truppe, il quale, inviato a prender parte alla battaglia, arrìvava quando 
questa era già perduta. Non si tardò a prenderlo prìgioniero. La notte sopravvenne, 
i Francesi ne profittarono per rìoccupare tutte le antiche loro posizioni; in quanto 
agli Austriaci, invece di concentrarsi per tentare all'indomani un nuovo sforzo, si 
dispersero nella campagna, invadendo le case per procurarsi del pane e del vino, così 
poco curanti della guerra come se fossero in perfetta pace o in tempo d'armistìzio 
e scusando la loro diserzione col dire che erano mancate loro le munizioni. Menzogna 1 
perchè dei corpi intierì non avevano sparato colpo. Di più si era messo nella chiesa 
di Pesina una grande provvista di cartucce, la quale cadde neUe mani dei Francesi 
due giorni più tardi. 

< Nella stessa notte dal 14 al 15 un battaglione di 1000 uomini si lasciò far prì- 
gioniero da 50 soldati francesi. Questo battaglione aveva preso per guida una spia 
francese, o quanto meno un traditore, perchè lo condusse nella gola di Rocca di Garda, 
ove i Francesi Tattendevano. Gli Austrìaci, non conoscendo la forza colla quale ave- 
vano a fare ed udendo d'altra parte i pescatorì del lago di Garda mandare delle alte 
strida, perchè essendo stata la loro pesca abbondantissima si erano ubbriacatì, cre- 
dettero di aver a fare con altrì nemici e deposero le armi. 

< Restava ancora una parte della truppa intatta, quella che occupava i Masi e che 
si era così validamente battuta alla cappella San Marco. Si poteva utilizzarla, ma era 
partito preso il battere in rìtirata ed invece di servirsene la si abbandonò, ed essa 
fu fatta prìgioniera per intero. La giornata del 15 gennaio, finendo l'opera del giorno 
precedente, segnò l'agonia dell'esercito austrìaco. Alle 3 del mattino i Francesi attac- 
carono le frazioni dell'esercito, le quali, nel pensiero che la lotta non poteva essere 
finita, avevano conservate le loro posizioni. Qualcuno dì queste truppe resistettero 



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Mandamenti e Comuni del Distretto di Caprino Veronese 115 



ancora valorosamente, per Tenore. Un grosso distaccamento il quale occupava la 
Corona, volendo fuggire, discese la scalinata scavata nella roccia, la quale conduce dal 
santuario fino al piano, ma al momento in cui questo distaccamento stava per arri- 
vare in fondo alla gradinata si trovò in faccia di un altro corpo austriaco spedito da 
Brentino in suo soccorso. Lo spazio era limitato in quel posto e la truppa sopravve- 
gnente, paralizzando la fuga dell'altra, diede tempo ai Francesi d'arrivare sulle alture 
dominanti il sentiero. Con un arnese appropriato a lanciar pietre fecero rotolare nel 
fondo della vallata degli enormi blocchi di pietra, coi quali si mise in pericolo la vita 
dei soldati delle due colonne. Ne venne uno spaventevole < si salvi chi può >. Buon 
numero di disgraziati, credendo di poter fuggire, tentarono la discesa lungo le roccie 
e perirono; il rimanente, non vedendo nessuna fuga possibile, si arrese a discrezione. 

< La battaglia di Rivoli sarà eternamente celebre per la sua durata, che non fu 
inferiore ai tre giorni et per T irreparabile disfatta delTesercito austriaco. Si dice che 
non vi erano stati in tutto che 5000 uomini uccisi o feriti, la qualcosa è poco credi- 
bile dato Taccanìmento dei combattenti. Quanto al numero degli Austriaci fatti pri- 
gionieri si è parlato dapprima di 20.000, poi di 17.000. Finalmente si è affermato che 
dei 30.000 uomini, i quaU si trovavano a Ferrara Monte Baldo, 2000 solamente ave- 
vano potuto mettersi in sicurezza. Dei battaglioni intieri furono fatti prigionieri, per 
esempio quelli di Brenchaville e di De Herbach, nonché le tre compagnie di caccia- 
tori di Mahoni. Il generale Liptaj per poco non fu fatto prigioniero egli stesso ed il 
colonnello Lusignan dovette salvarsi a Garda e saltare in una barca per non cadere 
nelle mani dei vincitori >. 

Subito dopo Tesercito francese riprendeva la marcia trionfale ed entrava nel Tren- 
tino. Conseguenza della battaglia di Rivoli fu allora la completa cacciata degli Austriaci 
dairitalia. 

* * 

Ma un'altra battaglia e per gli Italiani ben più importante della precedente, per 
quanto di proporzioni infinitamente minori, ma che ci ha risparmiato un disastro, o 
quanto meno reso meno grave quello successivo di Custoza, si è combattuto su questo 
stesso altipiano di Rivoli il 22 luglio 1818. Molte altre scaramucce vi si erano veri- 
ficate prima, però non rilevanti, ma in quel momento era a Rivoli T estrema ala 
sinistra dell'esercito piemontese e Radetzky, il quale preparava l'attacco decisivo alle 
forze sarde, il quale doveva avere il suo fatale svolgimento alcuni giorni più tardi, 
a Custoza, meditò di separarla dal rimanente corpo di operazione piemontese. 

n 21 luglio il corpo del generale Thurn, accantonato a Rovereto, discendeva fra 
il lago e l'Adige diviso in due colonne. La prima attaccò la Corona il 22 mattino, 
mentre l'altra coll'artiglieria seguiva la strada per sboccare da Incanalo su Rivoli. I 
Piemontesi stavano all'erta ed il battaglione il quale occupava la Corona sostenne 
assai bene l'attacco, aveva anche qualche pezzo da montagna, che gli dava un van- 
taggio sugli assalitori, ai quali il terreno non permetteva di trascinare cannoni da 
quel lato. Nonpertanto bisognò cedere al numero e la ritirata, sostenuta da un altro 
battaglione inviato da Rivoli, si operò in buon ordine. Il terreno che comincia ad allar- 
garsi verso Caprino permise al generale austriaco di spiegare le sue forze e di mar- 
ciare così, col vantaggio del numero, verso l'altipiano di Rivoli, sul quale cercavano 
di arrivare nello stesso tempo gli otto battaglioni e l'artiglieria, i quali seguivano la 
strada carreggiabile. I Piemontesi non poterono impedire la congiunzione delle due 
colonne nemiche, che pervennero al limite dell'altipiano, ove esse portarono le loro arti- 
glierie. Ma in quel momento arrivarono da Sandro al generale piemontese De Sonnaz, 
che comandava la posizione, dei rinforzi, i quali portarono a 5000 uomini le sue forze, 
mentre gli Austriaci ne avevano almeno 12.000. 



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116 Parte Prima — Alta Italia 



n generale Thurn, non avendo più gravi difficoltà di terreno a sormontare, avrebbe 
dovuto vincere, ma non seppe trar profitto della sua superiorità numerica e si limitò 
ad attaccare di fronte ì Piemontesi, i quali si difesero intrepidamente e gli impedirono 
di stabilirsi sulPaltipiano. La sua artiglieria riprese ben presto la strada dlncanale, 
scortata dalle truppe che l'avevano accompagnata ; Taltra colonna indietreggiò ancora 
fin oltre Caprino, inseguita passo a passo dai Piemontesi, che la cacciarono da tutte 
le alture. A notte gli Austriaci si trovarono rigettati su tutta la linea. 

Questa giornata gloriosa per le armi piemontesi ricorda assai bene la celebre bat- 
taglia del 14 gennaio 1797 da noi già ricordata: in entrambe le circostanze, gli Austriaci, 
assai superiori in numero, per potere trionfare, a malgrado degli svantaggi del ter- 
reno, furono sconfitti in causa delle cattive disposizioni di manovra prese, nonché dal 
coraggio e dalla resistenza eroica dei loro avversari. Ma il Thum fu ancora meno 
abile delPAlvinzy e se avesse diretto una parte delle sue forze lungo i fianchi del 
monte Baldo per girare il De Sonnaz, il quale non aveva riserva, la vittoria sarebbe 
stata sua. 

Nonostante il successo, il De Sonnaz era in una posizione crìtica a Rivoli ed aveva 
forze troppo inferiori per potervi resistere. Egli doveva temere un nuovo attacco per 
l'indomani, nonché un secondo dal lato di Verona ed allora, preso fra il lago e l'Adige, 
separato dal resto dell'esercito, non poteva sfuggire ad un disastro completo. Non 
lasciandosi quindi impressionare dal successo egli decise di abbandonare Rivoli e 
questa ritirata, operata a proposito, salvò le truppe che avevano combattuto ed il 
rimanente della divisione portò sotto il suo comando. 

Ora il Governo italiano ha coperto la posizione di Rivoli con tutta una serie di 
forti, vi ha installato delle polveriere, dei depositi, ne ha fatto un punto strategico 
importante per una nuova evenienza guerresca su quei campi, per quanto la tendenza 
generale della politica non sia tale ora da far supporre possibile un tale avvenimento. 

Sul campo di Rivoli era stato edificato dal Governo Italico, nel 1805, un grandioso 
monumento ricordante la battaglia ivi combattuta, nel 1797, tra Francesi ed Austriaci 
Ritornata l'Austria in possesso del Veneto nel 1814 il monumento fu subito distrutto 
ed il marmo di cui si componeva venne impiegato in costruzioni di edifizi rustici in 
paese, non restando ora sul luogo, dove era eretto, che pochi ruderi. 

Coli, elett. Bardolino — Dice. Verona — P" e T. locali, Slr. ferr. a Ceraino. 

San Zeno di Montagna (778 ab.). — È Comune posto sulle falde occidentali del 
Baldo e precisamente sul versante di questo monte, che guarda il lago di Garda. Il 
paese dista 9 chilometri a nord-ovest da Caprino e la sua altitudine é di 609 metri 
sul mare. Una grande e bella chiesa é nel villaggio e dal piazzale di questa si gode 
un magnifico panorama sul lago. Nel luogo oravi anticamente un rinomato monastero. 
Nel Comune esiste un bellissimo poligono militare e nell'estate i reggimenti della 
Divisione di Verona vi si susseguono per esercitarsi nei tiri individuali e collettivi 
di guerra. 

Il territorio é assai fertile: produce vino e cereali in copia. Vi sì vedono, nella 
parte inferiore e meglio esposti, dei bellissimi olivi, del cui legno si fanno anche 
intagli; in alto ha invece pascoli vasti ed ubertosi. Vi si fa grande allevamento di 
bestiame. Fra le industrie casalinghe ha importanza la tessitura del lino e del cotone 
per tele ordinarie. La bachicoltura é abbastanza curata e diffusa nelle varie famiglie 
del paese ed é fonte di discreto guadagno. 

Coli. elelL Bardolino — Dioc Verona — P* e T. a Torri di Benaco, Str. ferr. a Caprino. 



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Mandamenti e Comuni del Distretto di Cologna Veneta 117 



IV. — Distretto e Mandamento di COLOGNA VENETA 

Cotogna Veneta sta a capo di un distretto non molto vasto di territorio ma fer- 
tilissimo e densamente popolato. La sua superficie è di 130 chilometri quadrati, e 
quindi è il più piccolo fra gli undici distretti della provincia di Verona. Viceversa ha 
una popolazione di 23.932 abitanti, secondo il censimento del 10 febbraio 1901, e tiene 
quindi proporzionalmente il sesto posto per questo riguardo. Il distretto comprende 
un solo mandamento e i seguenti 6 Comuni: Cologna Veneta (capoluogo), Albaredo 
d'Adige, Pressana, Roveredo di 6nà, Veronella, Zimella, sotto la giurisdizione del 
Tribunale civile e penale di Legnago. 

I confini sono i seguenti: ad ovest, TAdige che divide il distretto di Cologna da 
quello di Isola della Scala; a nord-ovest, il distretto di San Bonifacio; a nord-est e 
ad est, la provincia di Vicenza; a sud, il distretto di Legnago e la provincia di Padova. 
Di conseguenza il distretto di Cologna si presenta come un cuneo di territorio veronese 
infranmiezzo le provincie di Vicenza e di Padova. 

Attraversa il distretto, lambendo il capoluogo stesso, il fiume che con diversi nomi 
corre da Recoaro, ove nasce, fino all'Adige e che in territorio veronese prende il nome 
di Ouà, Fiume Nuovo, Frassine, ecc. La corrente dell'Adige, lambente il limite occi- 
dentale del distretto, è anche utilizzata per la navigazione intema. 

Nessuna ferrovìa attraversa o percorre il distretto; invece vi è una tramviache 
lo mette in comunicazione con Lonigo, San Bonifacio, Soave e Verona. Molte strade 
carrozzabili l'attraversano però in ogni direzione e facilitano il movimento commerciale 
del distretto. 

D territorio, piano ed intersecato da canali di scolo e d'irrigazione, è essenzial- 
mente agricolo e generalmente ubertoso. Fra le produzioni tengono il primo posto i 
cereali, il riso, i gelsi, la canapa, ecc. Non mancano le industrie, specie in Cologna, 
ove hanno sufficiente sviluppo. Particolare attenzione meritano i numerosi molini sta- 
biliti sull'Adige e mossi dalla forza della corrente. Notevole è il movimento d'emi- 
grazione; discrete sono le condizioni igieniche dei vari Comuni, così pure lo stato 
delle loro finanze. 

Cologna Veneta (8318 ab.). — La piccola città è importante luogo di commercio; 
è attraversata dal fiume Nuovo o Frassino. Trovasi 37 chilometri a sud-est da Verona 
e all'altitudine di 24 metri sul mare. Sonvi parecchie chiese di 
buona architettura ed alcuni edifizi pubblici e privati notevoli 
Nelle chiese sono da osservarsi alcune statue ed alcuni quadri 
di buon autore. 

Molte sono le istituzioni di beneficenza del Comune, fra le 
quali ci piace notare parecchie opere pie di soccorso e l'Ospe- 
dale civile. Vi sono anche parecchie società operaie e circoli 
ricreativi. Progredite e zelantemente curate sono le scuole. 

Il territorio è fertile ed assai ben coltivato: oltre i cereali 
e la canapa produce frutta e limitatamente anche vino. Molte 
sono le piantagioni di gelsi e fiorente è la bachicoltura. Su 
larga scala si opera l'allevamento del bestiame, di cui si fa grande commercio. Si 
esportano frutta, pollame e uova. 

Né meno importante dell'agricoltura è l'industria in Cologna. Vi si annoverano 
alcune fonderie e stabilimenti meccanici, diverse fornaci per la produzione di mattoni 
e quadrelli, parecchie fabbriche di paste alimentari, alcuni brillatoi da riso, poi tintorie» 




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118 Parte Prima — Alto Itolia 



fabbriche di cordami, tipografie, tomerie da legname, alcune fabbriche di carri e car- 
rozze, altre di botti da vino e tini. Binomato in tutto il Veneto ed anche oltre i confini 
di questa regione è il mandorlato che si produce in Cologna. Importanti, per il numero 
di operai che impiegano, circa un 200, sono le varie industrie attinenti alla trattura 
della seta. Di quest'industria Cologna è il centro principale per tutta la provincia di 
Verona. Altre importanti industrie esercite in Cologna sono quella della molinatura 
delle farine, della tessitura casalinga del lino e della canapa e più specialmente quella 
deirestrazione dello zucchero dalle barbabietole, impiegante oltre 300 operai. 

Cenno storico. — Come origine è luogo antico e starebbero a provarlo i molti 
cimelii d'antichità romane trovati in molti punti del suo territorio. Notiamo, fra gli 
altri, alcune urne interessanti, con iscrizioni e medaglie. Come gran parte delle città 
venete, è ancora cinta di antiche mura merlate edificate dagli Scaligeri. In antico 
ebbe vita indipendente; gli Scaligeri vi ebbero in seguito dominio e ad essi succedette 
quello tranquillo ed illuminato della Serenissima Bepubblica di Venezia, che vi esercitò 
signoria fino alPapparire delle armate rivoluzionarie di Francia nel 1796-96. 
CoU. elell. Cologna Veneta — Dioc. Vicenza — P*, T. e Tramvia. 

Albaredo d'Adige (4316 ab.). — In territorio piano e fertile ed in prossimità del 
fiume, che lo contraddistingue dalle altre località di uguale nome, Albaredo d'Adige 
è un bello e grosso borgo assai industre, costruito in vicinanza del luogo ove TAl- 
pone discendendo dai Lessini s'immette nell'Adige (24 m. sul mare), dopo aver attra- 
versato San Bonifacio. Una buona strada carreggiabile unisce l'abitato a San Bonifacio, 
ov'è la stazione ferroviaria, la quale dista 11 chilometri. Altri 10 chilometri separano 
Albaredo da Cologna. 

11 suolo è fertile e produce in copia cereali, riso e fieno; in alcune località attec- 
chisce bene anche la vite, la quale però dà prodotti limitati. Invece sono molti i filari 
di gelsi i quali intersecano i campi e, per naturale conseguenza, è estesissima la 
bachicoltura. Pure produttivo ed operato su larga scala è l'allevamento del bestiame 
d'ogni sorta. Vasto commercio per l'esportazione si fa del pollame e delle uova. Fra 
le industrie locali va annoverata quella della brillatura del riso. In Albaredo sono poi 
alcuni telai per la produzione casalinga delle tele ordinarie. Numerosi i molini per 
le farine. Parte dei prodotti af9uiscono generalmente al mercato di Verona. 

Coli, elett. Cologna — Dioc. Verona-Vicenza — P", T. e Tr. locali, Str. ferr. a S. Bonifacio. 

Pressana (2778 ab.). — Situato a sud-est di Cologna Veneta, questo villaggio è fab- 
bricato sulla destra del fiume Nuovo, a 19 metri sul mare e a 4 chilometri dal capo- 
luogo. Da questo Comune è in gran parte originaria quella specie di bellissimo frumento 
selezionato, che prende nome di Cologna Veneta, dalla città ove principalmente se ne 
fa mercato. Le gelsicoltura e la bachicoltura vi tengono buon posto, ed i bozzoli quivi 
prodotti sono molto apprezzati per morbidezza, resistenza e finezza della seta. Negli 
anni passati estesissima era la coltivazione della canapa, come ne fanno fede i nume- 
rosi e vasti maceratoi tuttora esistenti, ma ora tale industria è quasi abbandonata 
perchè poco rimunerativa. Gran parte dei prodotti affluiscono sui mercati di Cologna, 
Iionigo e Montagnana. — Il Comune comprende la frazione di Caselle, la quale è divisa 
dal capoluogo dal fiume Fratta, ricco di saporitissimi pesci. 

CoU. elett. Cologna Veneta — Dioc. Vicenza — P', T. e Tr. a Cologna VeAeta. 

Hoveredo di Guà (1617 ab.). — Il Comune è diviso in molte frazioni, la principale 
delle quali si aggira intorno a 594 abitanti. Si trova all'estremità sud-est del distretto, 
sulle sponde del Guà e il suo territorio confina con quello delle Provincie di Padova e 
di Vicenza. La frazione capoluogo trovasi 7 chilometri a sud-est da Cologna, all'altezza 
di 18 metri sul mare. 



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Mandamenti e Comuni del Distretto di Isola della Scala ]19 

Molto accuratamente coltivato è il suolo, il quale produce ricercatissimo frumento, 
molto riso, fieno, ecc. Non manca la frutta e, come ovunque nel distretto, il gelso tiene 
primissimo posto. La coltivazione della canapa è estesissima e di questo tessile sì fa 
grande commercio, oltre la grande quantità che viene usata sul luogo per alimentare 
r industria della tessitura casalinga di tele ordinarie. Vi sono anche parecchi molini 
e brillatoi. Industria agrìcola molto curata è Tallevamento del bestiame, di cui si ten- 
gono nel distretto importanti fiere. Si esportano polli, uova e bozzoli. 

CoU. elett €!ologna Veneta — Dice. Vicenza — P", T. e Tr. a Gologna Veneta. 

Teronella, già Cucca (3588 ab.).— Con R. decreto 23 gennaio^ 1902 questo Comune 
mutò il nome di Cucca in quello di Veronella; esso comprende molte frazioni, di cui la 
principale è di 1503 anime. Si trova a 5 chilometri da Cologna, in direzione ovest, ad 
un'altezza di 22 metri sul mare. 

n suo territorio è rimarchevole per produttività. Vi si coltivano grani, gelsi, viti, 
moltissime e variate piante fruttifere. Importante è pure la produzione dei bozzoli, 
Fallevamento del bestiame, Tesportazione del pollame, delle uova, nonché delle frutta. 
Nel Comune ha sede una prospera Banca operaia. 

GolL elett, Cologna Veneta — Dice. Vicenza — P* e T. a Cologna, Str. ferr. a S. Bonifacio. 

Zimella (3315 ab.). — La popolazione di questo Comune è sparsa in diverse fra- 
zioni, la principale delle quali conta circa 1712 anime. Il villaggio è situato a nord 
di Cologna Veneta e sulla Unea tramviaria Lonigo-Cologna. Dista da questo capoluogo 
di distretto 3 chilometri e le comunicazioni sono particolarmente facilitate dalle 
numerose corse del tram. 

Il territorio, la cui altitudine media è intorno ai 25 metri, è assai fertile e dà 
cereali, tessili, fieno e pascoli abbondanti. Il gelso tiene posto importante nella regione 
e dei filari di quest'utile pianta sono intersecati tutti i campi. La bachicoltura è dif- 
fusa in ogni famiglia e dà rilevante utile a chi Tesercita. Le industrie locali sono 
molte, ma particolarmente importanti sono le fornaci per mattoni, quadrelli, tegole, 
dei quali laterizi si producono più di 600.000 pezzi annualmente. Anche un forno da 
calce è in attività e produce intomo ai 2000 quintali annualmente. Segue, per impor- 
tanza, r industria casalinga della tessitura della canapa e del lino, la quale occupa 
molte donne. 

Cenno storico. — Zimella fu luogo da assai antico tempo abitato ed ancor oggi si 
escavano dai suoi dintorni oggetti di bronzo, specie idoletti, e si rinvengono fondazioni 
di edifizi risalenti all'epoca romana. 

Coli, elett. Cologna Veneta — Dioc. Vicenza — P*, T. e Tr. locali. 



V. — Distretto e Mandamento dì ISOU DELU SGALA 

Questo distretto si trova al sud di quello di Verona e confina inoltre con la pro- 
vincia di Mantova e col distretto di Villafranca ad ovest; con quelli di San Bonifacio, 
di Cologna Veneta, di Legnago ad est; infine a sud con quello di Sanguinetto. È in 
rasa pianura ed è toccato dall'Adige, che ne forma ad oriente il confine, coi distretti di 
San Bonifacio e di Cologna; dal Tiene, che si forma fra le colline moreniche a levante 
del Garda; dal Tartaro e dai canali a scopo irriguo ed industriale derivati dall'Adige. 

È plaga essenzialmente agricola e vi sono attivate tutte le colture proprie della 
pianura lombarda e della veneta, in cui hanno parte grandemente i cereali ed i prati. 
Il gelso vi prospera e per conseguenza Fallevamento dei bachi da seta è in questa 
regione una delle industrie di maggior sussidio per l'agricoltura. 



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120 Parte Prima - Alta ItaHa 



n distretto di Isola della Scala ha nna snperficìè di 419 chilometri quadrati e una 
popolazione presente di 38.986 abitanti, secondo il censimento del 10 febbraio 1901. 
Comprende un solo mandamento e i seguenti 12 Comuni: Isola della Scala (capoluogo), 
Bovolone, Erbe, Isola Rizza, Nogara, Oppeano, Palù, Ronco all'Adige, Salizzole, Sorga, 
Trevenzuolo, Vigasio. Questi Comuni dipendono dal Tribunale civile e penale dì Verona. 



Isola della Scala (6077 ab.). — Questa grossa borgata, capoluogo del distretto, si 
trova quasi al centro del distretto medesimo, sulla strada provinciale che da Verona 
per Nogara ed Ostiglia conduce al Po ed a Modena, chilometri 18 
a sud di Verona e a 29 metri sul mare. Questa strada si interseca 
colle linee ferroviarie Verona-Mantova e Verona-Rovigo, che ad 
Isola della Scala hanno una delle loro principali stazioni. Il luogo 
deve forse il suo nome dall'essere chiuso a guisa di isolotto fra 
i corsi del Tartaro e della fossa Pìgonza, che un tempo, assai 
meno contenuti del presente, davano appunto al territorio imme- 
diato del borgo tutto il carattere di un'isola fra valli ed acqui- 
trini. Attualmente Isola è borgo di bell'apparenza, la via mag- 
giore formata dal tratto della strada provinciale nell'abitato è 
fiancheg^ata da edifizi moderni che non disdirebbero in una 
città. Notevole fra tutti il palazzo comitale degli Emilj, famìglia nobilissima che diede 
alla Repubblica dì Venezia magistrati e guerrieri. Vasta, di buona architettura, rimo- 
dernata, è la chiesa abbaziale, adoma di dipinti dei migliori pennelli di scuola veronese 
dei secoli XVII e XVIII. Isola ha buone scuole pubbliche, un Asilo d'infanzia, un Monte 
di pietà e la Congregazione di carità con discreto patrimonio ed amministratrice di 
parecchie istituzioni benefiche, principali delle quali l'Ospedale e l'Asilo di mendicità 
O, Garibaldi, per gl'indigenti inabili al lavoro, eretto nel 1890. 

L'agricoltura è base della ricchezza e dell'attività locale ed i prodotti principali 
del territorio sono i cereali e i foraggi in grande quantità. Notevole è pure l'alleva- 
mento del bestiame da lavoro e da cortile e dei bachi da seta, ed importante in questo 
luogo il commercio d'esportazione del pollame e delle uova, esercitato, questo, da una 
società commerciale che ne fa traffico in Francia, Svizzera, Germania, Austria ed 
Inghilterra. Industrie speciali del luogo sono la brillatura del riso; la lavorazione della 
canapa; la fabbricazione dei cordami, che si esportano in varie regioni d'Italia ed 
airestero; la fabbricazione del bottame; quella dei pesi e misure e quella dei veìcolL 
Havvi altresì una tipografia ed una tintoria. 

Cenno storico. — Isola della Scala è luogo antico e, per la sua posizione intermedia 
fra Verona ed il Po, ebbe sempre una certa importanza. Le cronache veronesi e man- 
tovane dei bassi tempi ne fanno sovente menzione e per la sua chiesa abbaziale e per 
le vicende guerresche di cui questo territorio fu teatro nel perìodo fortunoso e belligero 
dei Comuni. Quivi ebbe orìgine la famiglia degli Scaìigeri, che, per un secolo e più, 
dominò in Verona, assurgendo, nella prima metà del secolo XIV, a grande splendore. 
Isola fu sempre feudo degli Scaligeri, donde l'aggiuntivo delia Scala al nome originario. 
Durante le guerre per la Lega di Cambrai contro Venezia, nel princìpio del XVI secolo, 
nei pressi di Isola della Scala Gian Paolo Baglione, perugino, generale delle truppe 
veneziane, affrontò le truppe francesi comandate da Gastone di Foix, ed inflisse loro 
una grave sconfitta, preludente all'altra definitiva che le attendeva a Ravenna. Fra i 
prigionieri fatti dal Baglione in quella circostanza vi fu Francesco Gonzaga, in armi 
esso pure contro Venezia (1509). 

Uomini illustri. — Fu originario di Isola della Scala quel conte Emilio degli EmìQ, 
che il governo della Repubblica di Venezia mandò, per l'influenza grande da lui goduta 
in Verona ed in tutto il contado, a coadiuvare i provveditori Giovanelli ed Erizzo nel 



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Mandamenti e Comuni del Distretto di Isola della Scala l^t 



momento gravissimo dell'invasione delle truppe francesi, comandate da Bonaparte, 
negli Stati di terraferma. Il conte Emilj, affezionatissimo al governo della Serenissima, 
non risparmiò né zelo, né fatica, né danaro per armar gente di campagna ed orga- 
nizzare la difesa contro V invasore fedifrago. Nelle giornate memorabili di Verona, del 
17 e 18 aprile 1797, ebbe, a quanto sembra, parte attivissima nelPeccitare il popolo 
alla rivolta contro lo straniero; onde, quando Verona fu presa a discrezione dai luo- 
gotenenti di Bonaparte, egli fu dei primi ad essere arrestato e giudicato da una Corte 
marziale come uno dei principali autori ed istigatori delle < Pasque Veronesi >, venne 
condannato a morte ed insieme ad altri patrizi e cittadini, imputati degli stessi fatti, 
fucilato. ^jj ^j^j^ jg^j^ ^^^ g^j^ _ j^.^^ Verona - P», T. e Slr. ferr. 

Bovolone (4418 ab.). — Si trova questo Comune in bella campagna, 9 chilometri 
ad oriente del capoluogo del distretto, sulla strada provinciale da Verona a Legnago 
e sulla linea ferroviaria avente la stessa direttiva. — Il capoluogo del Comune (24 m. 
sul mare) é una bella borgata, non priva di edifizi moderni e rimodernati, taluni dei 
quali di bell'apparenza e di grandiose proporzioni. Notevole la chiesa parrocchiale, per 
la buona architettura e per i dipinti pregevoli dei secoli XVI e XVII che conserva. 

Il territorio di Bovolone è assai fertile in cereali, foraggi, ortaglie ; essendo in loca- 
lità bassa, acquitrinosa, irrigua, si presta alla coltivazione del riso, che vi é prodotto 
in notevole quantità. Importante é pure l'allevamento del bestiame da stalla e da 
cortile. Industrie del luogo: la lavorazione della canapa e la fabbricazione dei cor- 
dami, la fabbricazione dei laterizi ed un'officina meccanica con fonderìa per la costru- 
zione e riparazione di macchine ed attrezzi agrari. 

Cenno storico. — Bovolone è luogo antico; feudo degli Scaligeri fu oggetto di con- 
trasto, al tempo delle guerre comunali, tra Verona e Padova. 

CoU. elett. Isola delia Scala — Dioc. Verona — P«, T. e Slr. ferr. 

Erbe (1787 ab.). — Questo Comune, di carattere esclusivamente rurale, si stende a 
sud-ovest del capoluogo del distretto; è attraversato dal fiumiciattolo Tiene e forma 
confine della provincia di Verona con Mantova. — Il capoluogo è un discreto villaggio 
sulla riva sinistra del Tiene, a 5 chilometri da Isola e 26 metri sul mare ; ha bell'appa- 
renza, ma nulla offre degno di speciale rimarco, all' infuori della chiesa parrocchiale, di 
buon disegno e di belle proporzioni, e del palazzo Municipale. 

Il territorio di Erbe è fertilissimo: produce cereali, foraggi, viti, gelsi in grande 
quantità, frutta, ortaglie. Vi si alleva bestiame da stalla e da cortile, oggetto di un 
rilevante traffico d'esportazione per le Provincie limitrofe e per l'estero ed impor- 
tante vi è pure la produzione dei bozzoli. Industrie locali: la pilatura del riso ed 
un'officina meccanica per la costruzione e la riparazione degli strumenti agricoli, 
impiegante 12 operai. 

GoU. elett Isola della Scala — Dioc. Verona — ?', T. e Str. ferr. a Isola della Scala. 

Isola Rizza (2143 ab.). — Questo Comune, che altra volta era detto Por corizza, 
si trova 17 chilometri ad oriente del capoluogo del distretto, in rasa campagna, fra il 
canale o fossa Busse e la Pigonza. È Comune essenzialmente rurale. — Il capoluogo 
é un grosso borgo con notevoli edifizi, tra cui la chiesa parrocchiale con dipinti del 
secolo barocco. 

U territorio di Isola Rizza è basso, acquitrinoso e fu, per la vicinanza dell'Adige, 
molte volte danneggiato dalle violente inondazioni di questo fiume. Vi sono fiorenti 
le coltivazioni del frumento, del granturco, della canapa e soprattutto del riso, cui si 
prestano i molti colatori e fosse d'irrigazione che solcano il territorio del Comune. 
Unica industria del luogo, a sussidio della produzione agraria, é il copioso allevamento 
dei suini e del pollame. 

55 — ti» Patria, voi. I, parte 2». 



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122 Parte Prima — Alta Italia 



Cenno storico. — Porcarizza è terra antica, ricordata nelle cronache e nei docu- 
menti notarili e capitolari di Verona fin dal secolo Xt Fu anche teatro di vicende 
guerresche al tempo delle lotte comunali. 

Coli, eleti. Isola della Scala — Dioc. Verona -^ P' e T. loeali, Str. ferr. a Bovolone. 

Nogara (4848 ab.). — Il territorio di questo Ckmiune si stende all'estremità sud-est 
del distretto, al confine con quello di Sanguinetto. È attraversato dalla strada provin- 
ciale da Verona ad Ostiglia ed è bagnato dal Tiene e dal Tartaro. Questa è la parte 
più bassa della provincia di Verona e non lungi da Nogara comincia quella plaga 
palustre conosciuta col nome di Valli Veronesi. — Nogara (19 m. sul mare), capoluogo 
del Comune, si trova 12 chilometri a sud di Isola ed è una grossa borgata di carattere 
essenzialmente rurale, che non manca però di edifizi mpdemi e di bell'aspetto. Rimar- 
chevoli la chiesa parrocchiale e il palazzo Marogna, lavoro del Sanmicheli, con pitture 
del Brusasorci, ormai rese irriconoscibili. 

Il territorio di Nogara è fertilissimo in cereali e soprattutto in rìso, la cui colti- 
vazione è favorìta dai terreni acquitrinosi e dall'abbondanza di canali irrigatori. Impor- 
tante vi è Tallevamento del bestiame da stalla e da cortile; Tesportazione del pollame, 
delle uova, dei suini vi si fa su larga scala. 

Cenno storico. — Antico castello dei Veronesi, loro propugnacolo contro i Manto- 
vani, i Bolognesi, i Modenesi, il nome di Nogara s'incontra di frequente nelle cronache 
veronesi del medioevo e del periodo comunale. Anche la chiesa di Nogara è fra le 
più antiche del Veronese ed aveva un tempo larghi benefizi e privilegi. 

Uomini illustri. — Di questo luogo sono oriunde due delle più illustri famiglie 
venete, i da Nogara e i Nogarola, che magistrati, letterati, poeti e guerrieri diedero 
alla Repubblica di Venezia. 

Coli, eletl. Isola della Scala — Dioc. Verona — P», T. e Str. ferr. 

Oppeano (3304 ab.). — Questo Comune si stende nella parte nord-est del distretto, 
in pianura fertile e solcata dal canale o fossa Busse. È Comune essenzialmente rurale 
e nulla oifre in linea d'arte o di storia che possa essere rilevato. La distanza dal capo- 
luogo del distretto è di circa 16 chilometri e la sua altitudine di 26 metri sul mare. 

Il territorio di Oppeano, benissimo coltivato, produce cereali, foraggi e riso. Impor- 
tante vi è l'allevamento del bestiame da stalla e da cortile, a scopo principale di 
commercio e di esportazione. Nei dintorni fu accertata l'esistenza di bacini torbosi di 
considerevole estensione e spessore, ma non si pensò peranco ad utilizzarli. 

C!oll. elett. Isola della Scala -- Dioc. Verona — P^ a Verona, T. locale, Str. ferr. a BoTolone. 

Palù (692 ab.). — Il territorio di questo piccolo Comune si stende nella parte supe- 
riore del distretto tra l'Adige e la fossa Busse. — È Comune esclusivamente rurale 
ed il capoluogo (chilometri 14 da Isola) è un villaggio di modesta apparenza, che 
nulla offre di notevole. 

Il territorio di Palù, fertilissimo, produce cereali e foraggi. L'allevamento del bestiame 
è la sola industria di sussidio all'agricoltura in questo Comune, ove funziona pure inter- 
mittentemente un brillatoio da riso. 

Coli, elett. Isola della Scala ~ Dioc. Verona — P^ a Verona, T. e Str. ferr. a Bovolone. 

Ronco all'Adige (4468 ab.). — Si stende questo cospicuo Comune nella estremità 
nord-est del distretto, sulla sponda destra dell'Adige, che in questa località è attra- 
versato da un ponte volante, il quale serve alla strada provinciale che da Verona 
per Albaredo va a Cologna e che da questo punto si biforca in altre linee dirette a 
San Bonifacio e altrove. Di fronte a Ronco, con una vasta zona di impaludamenti, mette 
foce in Adige l'Alpone, fiume torrentizio che scende dal monte Bolca e raccoglie altre 
acque dei Lessini. — Ronco all'Adige è una grossa e bella borffata di carattere moderno, 



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Mandamenti e Gomani del Distretto di Isola della Scala 123 

con edifizì notevoli, a circa 20 chilometri da Isola e 22 metri sul mare. Nel centro ha 
l'aspetto di una piccola città ed è osservabile la chiesa parrocchiale, di antiche orìgini 
ma rimodernata. 

n territorio di Ronco all'Adige è fertilissimo: produce frumento, granturco, foraggi 
in quantità. L'allevamento del bestiame bovino, dei suini e del pollame sono le industrie 
affini all'agricoltura che qui hanno maggiore incremento. Vi sono inoltre nel Comune 
2 fornaci per la fabbricazione dei laterizL 

Cenno storico. — Ronco è luogo antico ed il suo nome lo si riscontra talvolta nelle 
storie medioevali di Verona e dei conflitti di questo Comune con Vicenza e Padova. 
Ronco, per la sua posizione, fu sempre riguardato un punto strategico di grande 
importanza e, nel 1797, ebbe luogo nei suoi dintorni un combattimento tra Francesi 
ed Austriaci, che fu preludio alla famosa battaglia d'ArcoIe, una fra quelle in cui mag- 
giormente s'imperniò la leggenda della gloria napoleonica. 

GoU. elett Legnago — Dice Verona — P' locale, T. e Str. ferr. a San Bonifacio. 

Salizzole (3041 ab.). — Questo Comune si stende nella parte media del distretto, 
alquanto al disotto del capoluogo, sulla strada che da questo va a Sanguinetto. — È 
Comune essenzialmente rurale, ma il villaggio capoluogo (chilometri 7 a sud-est da 
Isola e 28 m. sul mare) ha bella apparenza. Vi si notano gli avanzi dell'antica torre di 
Salizzole, ricordata nelle cronache veronesi del periodo comunale, ed è importante la 
sua chiesa maggiore per le pitture del XVI e XVII secolo che vi si conservano. 

U territorio di Salizzole è feracissimo e vi si coltivano cereali, soprattutto gran 
turco, riso e foraggi. Non vi sono in luogo industrie, all' infuori di quelle sussidiarie 
ed affini all'agricoltura, come l'allevamento del bestiame da stalla e da cortile, del 
quale si fa rilevante commercio. 

CoU. elelt Isola della Scala — Dioc. Verona — P", T. e Str. ferr. a BoYolone. 

Sorga (3086 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte sud-ovest 
del distretto e forma confine con la provincia di Mantova. È attraversato dal torrente 
Tione e dalla ferrovia Mantova-Legnago. Il Comune consta di quattro frazioni : Sorga, 
Bonferraro, Pontepassero e Pampuro, paeselli di carattere affatto rurale che nulla 
offrono di notevole. La prima di esse trovasi 9 chilometri a sud di Isola e all'altitudine 
di 25 metri sul mare. 

Il territorio di Sorga, fertilissimo ed irriguo, è coltivato a cereali, a foraggi, a riso, 
a canapa e a barbabietole. Vi si alleva pure bestiame da stalla e da cortile. L'industria 
del luogo sono 4 brillatoi da riso. 

CoU. elett Isola della Scala — Dioc. Verona — P' ad Isola della Scala, 
T. e Str. ferr. nella fraz. Bonferraro. 

Trevenzuolo (2333 ab.). — Il territorio di questo Comune si trova nella parte più 
occidentale del distretto, attraversato dal fiumicello Tione e forma confine colla pro- 
vincia di Mantova. Il Comune è diviso in tre frazioni. La principale, Trevenzuolo, è in 
bella posizione rìdente, ed ha edìfizi ragguardevoli, come i palazzi Spolverini ed Allegri 
e la chiesa parrocchiale. Trovasi 6 chilometri a ponente da Isola e all'altitudine di 
31 metri sul mare. 

Il territorio, feracissimo, di Trevenzuolo è coltivato a cereali, foraggi, viti, fhitta. 
Vi si alleva bestiame da stalla e da cortile e si fa grande esportazione di pollame 
e di uova. L'industria è quivi rappresentata dalla brillatura del riso. 

Coli, elett. Isola della Scala — Dioc. Verona — ?*, T. e Str. ferr. ad Isola della Scala. 

Tigasio (2589 ab.). — Questo Comune si stende nella parte alta del distretto o di 
nord-ovest ed è attraversato dal Tartaro e dalla strada Verona-Mantova per Nogara e 
dalla ferrovia Verona-Dossobuono-Legnago, che vi fa stazione alla borgata principale. 



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1^ Parte Prima — Alta Italia 



— Vigasio è Comune rurale, frazionato ed il suo capoluogo (chilometri 7 a nord-ovest 
da Isola e 37 m. sul mare) è villaggio di qualche importanza. 

Il territorio, assai fertile, è coltivato a cereali, riso e canapa. La popolazione vi è 
sveglia ed industriosa, ed oltreché airagrìcoltura, airallevamento del bestiame da stalla 
e da cortile si applica alla lavorazione della canapa, alla fabbricazione di attrezzi e 
macchine agrarie, alla pilatura del riso, alla fabbricazione delle paste alimentare 
Coli, elett. Isola della Scala — Dice Verona — P*, T., Str. ferr. 



VL — Distretto e Handamento di LEGMGO 

Questo distretto, che copre una superficie di 278 chilometri quadrati e forma Testre- 
mità sud-est della provincia di Verona, è foggiato pressoché a quadrilatero, con un 
angolo che si inoltra nella provincia di Rovigo. Confina : a nord, coi distretti di Isola 
della Scala e Cologna Veneta; ad est, colle Provincie di Padova e di Rovigo; a sud, 
ancora con quella di Rovigo ; ad ovest, col distretto di Sanguinetto. E attraversato, 
nella sua maggior lunghezza, dall'Adige, che ne esce per entrare fra Padova e Rovigo; 
dalla strada provinciale Verona-Legnago-Badia Polesine, dalla ferrovia Verona-Rovigo 
e da quella Mantova-Monselice. 

È pur questa plaga essenzialmente agricola, ove però vanno nascendo e prospe- 
rando industrie che colPagricoltura hanno intimi legami e da essa, come l'estrazione 
dello zucchero di barbabietola, traggono l'esistenza. 

Il distretto di Legnago ha una popolazione di 42.335 abitanti, secondo il censimento 
del 10 febbraio 1901. Esso é formato da un solo mandamento, comprendente 10 Comuni, 
dipendenti dal Tribunale civile e penale di Legnago. I Comuni sono: Legnago (capo- 
luogo), Angiari, Bevilacqua, Bonavigo, Boschi Sant'Anna, Castagnaro, Minerbe, Rover- 
chiara, Terrazzo, Villa Bartolommea. 

Legnago (14.529 ab.). — Capoluogo del distretto e del mandamento, sede di un 
Tribunale civile e penale. Il Comune di Legnago si estende in una plaga bassa ed 
umida, per quanto feracissima, martoriata da quella che è una 
delle grandi piaghe dell'Italia presente, l'infezione malarica. 

La città di Legnago, capoluogo del Comune, luogo sacrificato 

dall'insalubrità dell'aria e dalle servitù militari, non ha potuto 

sinora raggiungere quello sviluppo e queUa prosperità a cui, per 

la sua posizione, per il suo agro fertilissimo e per altre ragioni, 

giustamente può aspirare. Chiusa, fino agli ultimi anni, entro una 

triplice cerchia di mura e di trincee, costretta a non spingere 

l'elevazione dei suoi edifizi oltre una certa misura, ha, colle sue 

case ad uno o due piani al massimo, salvo qualche eccezione, 

l'aspetto malinconico e caratteristico di tutte le città fortificate. 

Sorge a 40 chilometri sud-est da Verona, a 16 metri di altitudine e, nella massima 

parte, sulla riva destra dell'Adige; l'abitato a sinistra di questo fiume, detto Parto 

Legnago, é congiunto alla città propriamente detta mediante un ponte metallico (già 

di legno) munito di grandi — ed ora rese perfettamente inutili — opere di difesa. 

Le vie della città sono spaziose e ben tenute, fiancheggiate da edifizi che vanno, 
dopo che la città, radiata dal novero delle fortezze, fu liberata dalle servitù militari, 
prendendo aspetto moderno. Maestosa è soprattutto la chiesa parrocchiale maggiore 
che s'apre su una bella piazza, la quale si può dire il centro della piccola città. Essa 
fu ricostrutta a nuovo nel secolo scorso, conservando la dedicazione antica, sotto il 



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Mandamenti e Comuni del distretto di Legnago j^25 



dominio austriaco, quando la vecchia chiesa, insieme alPantica rocca, fu demolita per 
dar luogo ad opere di fortificazioni ed aprire il nuovo passeggio e la via che conduce 
al grande Arsenale d'artiglierìa. Anche le altre chiese di Legnago non mancano di 
buoni particolari architettonici ed hanno dipinti di buona scuola. 

Fra gli édifizi civili vanno ricordati il palazzo Municipale, di bella architettura, 
con ricche decorazioni inteme e coi ritratti dei cittadini illustri del paese; TOspedale, 
il Teatro e parecchi palazzotti privati. 

Legnago ha buone scuole elementari e secondarie; istituti di beneficenza con largo 
patrimonio, quali l'Ospedale civile, il Monte di pietà, la Congregazione di carità, TAsilo 
infantile, ecc. 

Come centro di commercio agrario e specialmente di cereali, di riso e di foraggi, 
Legnago è mercato importantissimo ed i suoi mercati settimanali sono frequentati da 
gran numero di negozianti del Veneto, dell'Emilia, della Romagna. Le sue fiere annuali 
di bestiame sono fra le più importanti della regione veneta, accompagnate general- 
mente da corse e da altri divertimenti. In rapida comunicazione ferroviaria con Verona, 
con Padova, col Polesine, dopo che l'abbandono delle fortificazioni permise l'erezione 
d'altri edifizi, Legnago è diventato anche un centro industriale e la fabbrica di zucchero 
di barbabietola e la raffineria di zucchero, sòrta da pochi anni in questa città, vi hanno 
iittirata una larga corrente di afifari; vi sono inoltre in Legnago fornaci per la fabbri- 
cazione e cottura dei laterìzi e lavori in terracotta, fabbriche di paste alimentari, 
brillatoi per il riso, un oleificio importantissimo, una fabbrica di cioccolata, una fab- 
brica di acque gassose, una filanda per la seta, concerie di pelli, una tipografia ed una 
fabbrica di carri e carrozze, nonché tutte le piccole industrie per i bisogni locali, 
delle quali non è possibile il tenere qui conto. 

Cenno storico. — Legnago è luogo antico ed illustre, ricordato in documenti dei 
bassi tempi. La sua chiesa pievana è fra le più antiche del Veneto. Subì varie infeu- 
dazioni e nel secolo XI era celebre nelle sue vicinanze (ora frazione di Vigo) l'ab- 
bazia di Santa Maria Vangadizza, fondata da Ugo marchese di Toscana, officiata dai 
Camaldolesi, sulla quale aveva patriziato e sovranità la contessa Matilde, che la dotò 
di benefizi, poderi e privilegi. Durante il periodo delle lotte comunali la rocca di 
Legnago, allora fortissima, ebbe parte notevole nelle guerre di Verona con Vicenza, 
Padova e Rovigo; coi conti di San Bonifacio, signoreggiatori feudali in queste plaghe, 
passando, a seconda delle vicende e della fortuna delle armi, da una in altra signoria. 
Ezzelino da Romano prima, indi gli Scaligeri l'assicurarono all'assoluta podestà di 
Verona. Sulla fine del secolo XV, quando per Venezia si facevano minacciosi gli eventi, 
Legnago, ch'era un grossa terra, fu fortificata dai Veneziani e, nel secolo XVI poi, il 
riordinamento definitivo delle fortificazioni di Legnago fu dalla Serenissima commesso 
al Sanmicheli, che vi costruì, mentre attendeva alle maggiori fortificazioni di Verona, 
le mura ed i bastioni che ancora si vedono. 

La posizione strategica di Legnago fu rilevata anche da Napoleone Bonaparte, che 
nel 1797, tra Ronco all'Adige, Caldiero, Arcole e San Bonifacio, ebbe a sostenere fiere 
battaglie e vi ordinò alcune fortificazioni. Maggior importanza fu data dagli Austriaci, 
dopo il 1815, rimasti padroni del Lombardo-Veneto, alla posizione di Legnago, che 
pensarono di fame uno dei punti inespugnabili del famoso Quadrilatero e vi compi- 
rono opere di fortificazioni, che però non servirono né durante la campagna del 1848, 
né durante quelle del 1859 e del 1866. Questa cerchia di forti, di bastioni, di trincee 
che impediva alla piccola città ogni sviluppo moderno ed industriale, fu finalmente 
dichiarata inutile ed atterrata; ed oggi, nelle nobili lotte del lavoro, dell'agricoltura, 
dell'industria, del commercio, Legnago s'avvia ad una prosperità che invano poteva 
sperare dalle arti di Marte, se, come per il passato, fosse rimasta chiusa nel triplice 
giro delle antiche e moderne sue fortificazioni. Vinta come sarà nell'avvenire, nelle 



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126 Parte Prima - AlU Italia 



sue cause generatrici e di propagazione, l'infezione palustre che nell'estate Taffligge, 
Legnago diventerà senza dubbio una deUe più popolose ed industri fra le minori città 
del Veneto. ^^^ ^j^^^ Legnago — Dioc. Verona — P«, T. e Str. ferr. 

Angiari (1940 ab.)* — Il territorio di questo Comune si stende a nord-ovest di 
Legnago, sulla riva destra deir Adige ed è attraversato dalla strada provinciale da 
Verona per Legnago. — Angiari è Comune essenzialmente rurale ed il suo capoluogo 
(chilometri 3 da Legnago 17 m. sul mare) è un paesotto di bella apparenza, con edifizi 
moderni o rimodernati. 

Il territorio, fertilissimo, d* Angiari dà frumento, granturco, ricino, viti, legumi ed 
ortaglie in grande quantità. Vi si alleva molto bestiame da cortile ed attivo vi è il 
commercio del pollame e delle uova per Tesportazione. Industrie del luogo sono la 
fabbricazione degli aratri e di altri attrezzi per ragricoltura» i brillatoi per il riso 
e la fabbricazione delle paste alimentari. 

Cenno storico. — Di questo luogo si hanno, neUe carte veronesi, notizie fin dal 
periodo comunale e scaligero. Nel 1797, nelle campagne di Angiari, fra Austriaci e 
Francesi, fu combattuta una delle tante battaglie delle quali fu teatro questa plaga. 
CSoU. elett. Legnago — Dioc. Verona — P*, T. e Str. ferr. a Legnago e Cerea. 

Bevilacqua (1710 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte 
orientale del distretto, alla sinistra dell'Adige e forma confine colla provincia di Padova. 
È pure bagnato dal Fri4|a. — È Comune esclusivamente rurale ed il suo capoluogo 
(chilometri 9 da Legnago e 14 m. sul mare) non è che un villaggio di mediocre appa- 
renza, che nulla ha di notevole sotto il riguardo artistico e storico, airinfuori del celebre 
castello della famiglia Bevilacqua. 

n suolo, feracissimo, produce grano, rìso, meliga, viti, foraggi e gelsi. L'allevamento 
del bestiame da stalla e da cortile e dei bachi da seta sono le industrie di sussidio 
airagricoltura esercitate in questo Comune. 

Coli, elett. Gologna Veneta — Dioc. Verona — P* a Legnago, T. e Str. ferr. locali. 

Bonavigo (2033 ab.). — Questo Comune si stende a settentrione di Legnago, sulla 
sinistra dell'Adige. È Comune assolutamente rurale. — Il capoluogo, Bonavigo (chilo- 
metri 8 da Legnago e 19 m. sul mare), è un discreto villaggio con qualche edifizio 
moderno e di buona apparenza; vi sono frazioni formate da ville e cascinali sparsi 
per la campagna. 

Il territorio produce cereali d'ogni specie, viti, gelsi e foraggi. L'allevamento del 
bestiame da stalla e da cortile è l'unica industria del luogo sussidiaria all'agricoltura. 
Coli, elett. Legnago — Dioc. Verona ~ P' locale, T. a Goriano (fras. di Albaredo), 

Str. ferr. a Legnago. 

Boschi Sant'Anna (1355 ab.). — Si trova questo Comune alquanto a nord-est del 
capoluogo del distretto, alla riva sinistra dell'Adige. È Comune esclusivamente rurale 
ed il suo capoluogo, a chilometri 3 da Legnago, è un piccolo villaggio di poca impor- 
tanza. Vi sono anche frazioni formate da ville e cascinali sparsi per la campagna. 

Prodotti del suolo, fertilissimo : cereali di ogni specie, foraggi e gelsi. Nessuna 
industria, all' infuori di quelle strettamente affini all'agricoltura. 

GoU. elett. Legnago — Dioc. Verona — P*, T. e Str. ferr. a Legnago. 

Castagnaro (5211 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella punta 
estrema sud-est del distretto e della provincia e forma confine con quella /li Bovigo. 
La parte inferiore del Comune tocca la zona di acquitrini e paludi detta delle Valli 
Grandi Veronesi. È attraversato da un copioso canale alimentato dall'Adige, detto 
appunto Fossa Castagnaro. — U capoluogo del Comune (chilometri 11 da Legnago e 



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Mandamenti e Comnni del Distretto di Legnago 1^7 

14 m. sul mare) è un discreto borgo che non manca di baoni edifizi, tra cai la chiesa 
parrocchiale. 

n territorio di Castagnaro è in parte a cereali ed in parte a barbabietole. Vi si 
alleva bestiame bovino e suino, del quale si fa esportazione nelle finitime provincie. 
Nessun'altra industria che non sia strettamente affine all'agricoltura. 

Cenno storico. — Castagnaro è luogo antico, del quale si ha notizia nelle cronache 
veronesi del perìodo comunale, durante le guerre con Padova e Rovigo. Era allora 
munito di una rocca ben presidiata, della quale i Veronesi tenevano gran conto. Fu 
luogo di battaglie e sul declinare della potenza scaligera fu teatro di battaglie tra 
Padovani e Veronesi, e quivi si azzuflEarono Francesco Novello Carrara ed Antonio 
della Scala, ultimo signore di Verona. 

CoU. elett. Legnago — Dioc. Verona — P*, T. e Str. feir. 

Hinerbe (3592 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte nord-est 
del distretto, sulla sinistra dell'Adige. — Il Comune è completamente rurale ed il capo- 
luogo (chilometri 6 da Legnago e 7 m. sul mare) è una grossa borgata con bei fabbri- 
cati, tra i quali quello della residenza municipale, recentemente costruito. Belle le 
ville Augiani e dei conti Niebesola. L'interno della chiesa parrocchiale è ammirevole 
per la purezza del disegno e dello stile. Il campanile alto e slanciato è opera del- 
l'ingegnere Castelli di Verona. Il portone del palazzo dei conti Somaglia Stoppazzola, 
eretto nel 1700, è fattura del distinto architetto concitta4ino Bighignato. 

I prodotti del suolo, fertilissimo, sono i cereali, la vite, iù^so, t foraggi e le barba- 
bietole. Non vi sono in luogo industrie speciali, all'infuori ddl'allevaitiento del bestiame 
bovino e da cortile. Il pollame e le uova sono utilmente destinate all'esportazione 
da parte di alcune Ditte veronesi. 
GolL elett Ck)logna Veneta — Dioc. Verona — P' e T. locali, Str. ferr. a Legnago e Bevilacqua. 

Roverchiara (3127 ab.). — 11 territorio di questo Comune è nell'angolo nord-ovest 
e nella parte migliore del distretto. Esso è frazionato ed ha carattere del tutto rurale e 
consta, oltre del capoluogo, di piccole frazioni. — Roverchiara (chilom. 10 da Legnago 
e 20 m. sul mare) è un paese di modesta apparenza, nel quale notansi edifizi di bella 
apparenza. Notevole la chiesa parrocchiale dedicata a San Zenone, per le pitture di 
buona scuola delle quali è ornata. 

Prodotti del suolo, fertilissimo, sono cereali d'ogni specie e foraggi. All'infuori del- 
l'allevamento del bestiame non vi sono in luogo industrie. 

Cenno storico. — Roverchiara è luogo antico, del quale è notizia in documenti e 
cronache veronesi dei bassi tempi e del periodo comunale. 

GolL eletL Legnago — Dioc. Verona — P' locale, T. e Slr. ferr. a Legnago, Cerea e Bovolone. 

Terrazzo (2822 ab.). — U territorio di questo Comune si stende nella parte orien- 
tale del distretto al disotto di Legnago, fra l'Adige e il confine con Padova. — Terrazzo 
è Comune completamente rurale ed il capoluogo (chilometri 7 da Legnago e 12 metri 
sul mare) è un villaggio che nulla offre di notevole al visitatore. 

Prodotti del suolo, assai fertile, cereali d'ogni specie e foraggi. Vi si alleva bestiame 
da stalla e da cortile, destinato in gran parte al commercio d'esportazione colle vicine 
Provincie ed anche coU'estero. Non vi sono altre industrie. 

GoU. elett. Legnago — Dioc Verona — P* a Villa Bartolommea, 
T. e Str. ferr. a Legnago e Bevilacqua. 

Villa Bartolommea (6016 ab.). — Il territorio di questo cospicuo Comune si stende 
nella parte sud del distretto di Legnago, fra la riva destra dell'Adige ed il confine 
colla provincia di Rovigo. Consta in parte di quella regione paludosa, che è detta Valli 
Grandi Veronesi. — Il Comune è frazionato, e tanto il capoluogo (chilometri 6 da 



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1^ Parte Prima - Alta Italia 



Legnago e 14 metri sul mare) che le frazioni sono villaggi di modesta apparenza, di 
nessuna importanza artistica e storica. 

Il territorio di Villa Bartolommea è fertilissimo: dà cereali, riso, foraggi in grande 
quantità, gelsi e barbabietole. Vi si alleva bestiame d'ogni qualità su larga scala e se 
ne fa commercio colle finitime Provincie. 

Coli, elett. Legnago — Dioc. Verona — P*, T. e Slr. ferr. 



VII. — Distretto e Mandameiito di SAN BOMFAOO 

Il distretto di San Bonifacio, con una superficie di 188 chilometri quadrati, si trova 
nella parte orientale della provincia e confina: a nord, col distretto di Tregnago e colla 
provincia di Vicenza; ad est, ancora colla provincia di Vicenza; a sud, coi distretti di 
Cologna Veneta e di Isola della Scala; ad ovest, coi distretti di Verona e di Tregnago. 
Si stende parte in pianura e parte in collina e la linea divisoria del piano dalla parte 
collinosa è data dalla strada provinciale Verona-Vicenza, alla quale corre parallela 
la grande lìnea ferroviaria Milano- Venezia. Oltre delle due grandi vie già menzionate 
il distretto di San Bonifacio è servito da una completa rete di strade comunali belle 
é ben tenute e da una linea di tram a vapore, che, seguendo la strada provinciale, lo 
mette in comunicazione con Verona, Cologna Veneta e Lonigo. 

Il distretto di San Bonifacio è attraversato dall'Alpone, scendente per la stretta 
valle di San Giovanni dal monte Bolca. AlPAlpone si uniscono altri piccoli corsi d'acqua 
scendenti da vallette laterali. 

Il territorio di questo distretto, ubertosissimo, si presta alle più svariate colti- 
vazioni e per quanto la plaga sia essenzialmente agricola vi si va producendo ed 
accentuando anche un confortante movimento industriale. 

Il distretto di San Bonifacio ha una popolazione di 38.588 abitanti, secondo il censi- 
mento del 10 febbraio 1901. Esso comprende un solo mandamento e 10 Comuni, sotto 
la giurisdizione del Tribunale civile e penale di Verona. I Comuni sono: San Bonifacio, 
Soave, Arcole, Belfiore, Caldiero, Cazzano di Tramigna, Colognola ai Colli, Montecchia 
di Crosara, Monteforte d'Alpone, Ronca. 

San Bonifacio (6578 ab.). — Questo cospicuo Comune, capoluogo del distretto, si 
trova pressoché al centro della sua circoscrizione amministrativa. — H capoluogo è 
una grossa e bella borgata sulle rive delFAlpone, in posizione 
ridente, davanti ad un ampio semicerchio di colline. Dista 21 chi- 
lometri a levante da Bologna ed ha l'altitudine di 31 m. sul mare. 
San Bonifacio ha vie belle e spaziose ; edifizi in gran parte mo- 
derni, di bellissimo aspetto; la sua chiesa parrocchiale è grandiosa 
e di buona architettura. Notevole è pure, a breve distanza da 
San Bonifacio, sulla strada provinciale per Verona, una chiesa 
del secolo XII, fiancheggiata da un robusto campanile della 
stessa epoca. 
Il territorio di San Bonifacio produce: cereali, soprattutto frumento e granturco in 
grande quantità, foraggi, ortaglie, frutta e gelsi. Vi si alleva bestiame suino e pollame 
e le quattro fiere annuali che vi si tengono sono delle più frequentate ed impoitanti 
del Veneto, per le contrattazioni e gli scambi di derrate e di bestiame. Industrie del 
luogo sono le fornaci per la fabbricazione e cottura dei laterizi ed altri lavori in ter- 
racotta da costruzione, la brillatura del riso, la lavorazione dei cordami e della canapa, 
la fabbricazione dei mobili e dei pavimenti in legno (parquets), la fabbricazione del 



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Mandamento e Comuni del Distretto di San Bonifacio 129 



bottame e dei tini, che anche si esportano a Vicenza ed a Verona ; la estrazione dello 
zucchero di barbabietola, per la quale è sòrta nel 1900 una grandiosa fabbrica impie- 
gante 300 operai e capace di lavorare circa 500 tonnellate di barbabietole al giorno. È 
sede centrale dei zuccherifici veronesi riuniti. 

Cenno storico. — San Bonifacio è uno dei luoghi più antichi e famosi del Veronese. 
Se ne hanno notizie sin dai bassi tempi. Subì varie infeudazioni e fu culla di quella 
potente famiglia feudale dei conti di San Bonifacio, che, tra il secolo X ed il XIU, 
tenne il primato in questa regione; non si peritò a tener fronte ai Comuni di Verona 
e di Vicenza ed a sostenere guerre anche con Ezzelino da Romano e cogli Scalìgeri. 
Ck>U. elett Gologna Veneta — Dice. Vicenza — P', T., Str. ferr. e Tr. 

Soave (5343 ab.). — Questo popoloso Ciomune, capoluogo del mandamento giudi- 
ziario nel distretto di San Bonifacio, si stende alle falde di belle colline, in posizione 
quant'altra mai pittoresca e ridente, sulle rive delPAlpone. ~ Il borgo di Soave (chilo- 
metri 3 a nord-ovest da San Bonifacio e 40 m. sul mare) ha, colle sue mura merlate del 
secolo XIV, colla sua rocca ricostruita nello stesso periodo dagli Scaligeri, conservato 
airesterno un aspetto medioevale; ma le sue vie, larghe e ben tenute, sono fiancheg- 
giate da edifizi di bell'apparenza ed affatto moderni. Notevole la chiesa parrocchiale, 
nella quale si conservano anche buoni dipinti. 

H territorio di Soave, ubertosissimo, è soprattutto messo a vigne, che danno un vino 
così prelibato per sapore ed aroma da essere conosciuto col nome di vino santo di 
Soave. La produzione relativamente limitata non può dar luogo ad un considerevole 
commercio di questo peraltro ricercatissimo prodotto. Anche i cereali, i gelsi, le 
ortaglie, i legumi, gli alberi da frutta sono coltivati in Soave con molto successo. 
Industrie locali, oltre quelle strettamente connesse alla produzione agraria, sono la 
fabbricazione delle paste alimentari, la distillazione degli spiriti, la tintoria e le cave 
di tufo per costruzioni. 

Cenno storico. — Il nome di Soave si trova in antichi documenti della Curia e del 
Comune di Verona. Fu castello sempre considerato per la difesa di Verona dalla parte 
dei Vicentini. Subì varie infeudazioni; poi passò in dominio del Comune di Verona, 
dominio contrastato sovente da Vicenza. Gli Scaligeri lo ricostrussero e fortificarono 
come press'a poco, dalle sue porte, dalle sue mura merlate, dalla sua rocca, anche 
oggidì appare. 

Cioll. elett. Tregnago — Dice. Verona — P*, T. e Tr. locali, Str. ferr. a San Bonifacio. 

Arcole (3221 ab.). — Il territorio di questo storico Comune si stende nella parte 
sud-est ed inferiore del distretto, in pianura rasa ed aperta, bagnata dairAlpone, che 
prima di buttarsi in Adige si allarga ed impadula per vasta estensione. Il Comune è 
attraversato dalla strada provinciale che da San Bonifacio va a Cotogna Veneta e da 
altre strade di minore importanza. — Arcole, capoluogo del Comune (5 chilometri da 
San Bonifacio e 27 m. sul mare), è una borgata di bell'apparenza, con edifizi in gran 
parte moderni. Di buona architettura è pure la chiesa parrocchiale. 

Tranne il tratto ch'è a destra dell' Alpone, il territorio di Arcole è fertilissimo: 
dà fhimento, granturco in quantità, fieno, gelsi, barbabietole é fhitta. L'allevamento 
del bestiame da cortile è T industria di maggior sussidio alPagrìcoItura del luogo. 

Battaglia di Arcole. 
Il nome d'Arcole è rimasto famoso nella storia per uno dei fatti d'armi più impor- 
tanti compiuti dalla famosa Armata d'Italia, condotta da Bonaparte nel 1796-97 alla 
conquista del nostro paese ed intorno al quale più d'ogni altro ha lavorato la leggenda 
glorificatrice creata dagli adulatori o dai fanatici intomo al nome di Napoleone L Cer- 
tamente che le tre giornate combattute tra Arcole, Caldiero e Ronco all'Adige furono 

56 — I A Patria» toL I, parte 3*. 



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130 Parte Primi - Alta lulia 



definitive agli interessi della campagna da Bonaparte intrapresa in questa regione, ma 
è giusto anche riconoscere che una grande fortuna lo assistette ed il merito della 
vittoria va diviso tra lui, Massena, Joubert e Lannes. 

Il problema militare di Arcole era di impedire alPesercito austrìaco, comandato 
da Alvinzy, di unirsi a Wurmser, per portare soccorsi a Mantova assediata dai Francesi 
Dopo Tinsuccesso avuto dalla divisione Vaubois, nella difesa delFaltipiano di Rivoli, 
Alvinzy era in buonissime condizioni e ben lungi dall'essere respinto oltre il Piave» 
com'era stato proposito di Bonaparte, aveva raggiunto la meta di dominare tutto il 
terrìtorìo tra il Brenta e l'Adige, di sentirsi sicuro alle spalle dal fedele Trentino e 
di avere aperte, quasi libere, le strade su Mantova, evitando Verona, entro ed intomo 
a cui, erano radunate le maggiori forze francesi Spezzare il blocco di Mantova e 
portare soccorso a Wurmser era il proposito del generale austriaco, che, a tale intento, 
divise i suoi 90.000 uomini in tre colonne, dirigendone una a Verona, l'altra a Villanova 
per Arcole, la terza ad Albaredo, scendendo l'Adige. Bonaparte intuì il movimento 
e l'intento del nemico — questo è il suo merito — e con meravigliosa sollecitudine 
si adoprò a prevenirlo, portando contro di esso il maggior numero d'uomini che gli 
fu dato, ma sempre inferiore al numero di cui disponeva l' Alvinzy, che aveva anche 
il vantaggio di comandare a truppe fresche, ben munite e ben nutrite, il che non 
poteva dirsi delle truppe sotto gli ordini di Bonaparte e dei suoi generali Staccato 
Kilmaine con 20.000 uomini dal blocco di Mantova, lo manda a guardar Verona; coi 
2000 uomini che erano tra questa città e Peschiera si pòrta sulla destra dell'Adige; 
ma, mentre sembrava ai più in ritirata verso la Lombardia, passò a Ronco l'Adige su 
un ponte improvvisato dal colonnello del Genio Andreani; suo primo obbiettivo era di 
circondare e rafforzarsi in Càldiero; ma poi presa nozione dal movimento di Alvinzy, 
che non aveva curato di occupare il territorio tra Arcole e l'Adige, tutto a fosse e palucU, 
ritenuto impraticabile per un esercito per quella via insospettata, negli argini e le 
dighe che contengono le paludi, lancia verso Arcole 13.000 uomini e coglie Alvinzy, 
che si preparava ad avere il nemico di fronte a Càldiero, alle spalle. Delle tre dighe 
Massena tiene la sinistra ed Augereau quella più diretta su Arcole. È là che Alvinzy 
improvvisa la sua difesa ed è là che Bonaparte vuole penetrare. Dal centro della 
colonna Augereau, vedendo che quella sotto la mitraglia e la difesa accanita del 
nemico, ben postato nell'abitato di Arcole al di là dell'Alpone, non poteva avanzare 
e seminava di cadaveri l' imboccatura del ponte, Bonaparte si portò alla testa e, colla 
sua presenza, incuorando i granatieri, che sotto il fuoco micidialissimo del nemico già 
piegavano, riesci ad instradarli sul ponte ed a lanciarli all'assalto di Arcole. Gli sto- 
rici molteplici, contemporanei o della prima metà del secolo, che Napoleone ebbesi, 
a questo punto mettono l'episodio della bandiera da lui afferrata ad un alfiere caduto 
mortalmente ferito e della corsa fatta sul ponte alla testa dei granatieri, sotto il gran- 
dinare della mitraglia nemica. E non solo gli scrittori, ma i pittori napoleonici hanno 
rappresentato il fatto con grande evidenza di particolari e di colorito, come se ne 
fossero stati testimoni oculari. Il De Nervina, che fu uno degli storici di Napoleone 
più riputati, così descrive questo episodio : 

< In quel terribile momento scende il generale da cavallo, afferra una bandiera e, 
slanciandosi sul ponte, grida: Soldati, pia non sareste i valorosi di Lodi? Seguitami 
Alla sua voce alcuni dei più risoluti superano l'argine e si avanzano; ma il turba- 
mento sta alla coda della colonna, di cui solo la testa segue il movimento che gli è 
dato; ma Bonaparte, sempre tenendo la bandiera, s'inoltra fra una grandine di palle 
e di mitraglia, circondato da quel famoso stato maggiore che deve procacciare i più 
illustri generali all'armata. Lannes gli è usbergo del suo corpo e riceve tre ferite; 
Nuiron, che lo difese all'assedio di Tolone, cade morto ai suoi piedi, e la colonna à 
già presso a valicare il ponte, quando un'ultima scarica la fa retrocedere. I generali 



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Mandamento e Comuni del Distretto di San Bonifacio 131 



s'impossessano di lui e seco Io portano in mezzo ad un fuoco desolatore ed un fumo 
spaventevole. Incalzato fin sulla diga, Bonaparte, sempre irremovibile, vuol ricondurre 
i suoi al combattimento; ma una nuova scarica a mitraglia colpisce tutti quelli che 
lo circondano e fra tanto disordine egli medesimo cade nella palude e vi s'immerge 
fino alla cintura. Belliard e Yignolles, accortisi del pericolo, gridano: Salviamo il gene- 
rale! A questo grido fanno eco i soldati, che si precipitano sul nemico e lo respin- 
gono fin oltre il ponte, malgrado un fuoco terrìbile. Tratto da quella pozzanghera, 
Bonaparte ritorna alla testa della colonna. Poco stante il generale Guyeux, che aveva 
passato r Adige ad Albaredo, prende da tergo il villaggio di Arcole; ma Alvinzy è sol- 
lecito ad allontanarsi ed a sfuggire così ai Francesi, che non interamente poterono 
fruire dell'esito di quella sanguinosa giornata >. 

La crìtica e l'indagine storìca hanno sfrondata di molto la leggenda della parte 
personale avuta da Bonaparte nella famosa traversata del ponte d' Arcole, ed anzi si 
è giunti a dichiarare insussistente e fantastico l'episodio della bandiera. Certo è però 
che il fatto d' Arcole, nelle tante battaglie napoleoniche, fu uno di quelli nei quali 
Bonaparte potè mettere in rilievo il suo valore personale. 

A prevenire la marcia dì Alvinzy su Verona, Bonaparte nella notte stessa abban- 
donò Arcole, la cui presa era costata tanto sangue; rìtornò a Ronco sull'altra sponda 
dell'Adige e quivi a Galdiero, in due giornate successive di combattimenti lungo le 
sponde del fiume, sugli argini e nelle paludi, costrinse Alvinzy a ritirarsi in Vicenza, 
avendo perduto, in tre giornate, 12.000l uomini morti ed altrettanti feriti e sbandati, 
6000 prìgionierì, 18 cannoni e 4 bandiere. L'armata francese fece trìonfale ingresso 
in Verona per porta Venezia ed il blocco di Mantova potè essere rìpreso con maggior 
forza e sicurezza per parte dei Francesi fino alla capitolazione della piazza. Bonaparte 
da Verona recossi direttamente a Milano ad assaporare le delizie del trìonfo. 

La battaglia dei 15, 16, 17 novembre intorno ad Arcole fu decisiva per le armi 
francesi in Italia, perchè consenti loro di mantenere le posizioni intomo a Mantova 
e di rìunirsi a Verona e nell'alta valle dell'Adige. Alvinzy, vincitore e Mantova libe- 
rata dall'assedio, l'armata francese avrebbe dovuto ritirarsi al di là dell'Adda, con 
quali diverse conseguenze per tutto il succedersi degli avvenimenti, è facile l'imma- 
ginare. Una piramide, con un'enfatica iscrizione, eretta nel 1810, ricorda presso al 
ponte d'Arcole, i tre sanguinosi combattimenti del novembre 1797. 

Coli, elelt. Gologna Veneta — Dioc. Vicenza — P* e T. locali, Str. ferr. a San Bonifacio. 

Belfiore (1533 ab.). — Il territorìo di questo Comune si stende alla sinistra del- 
l'Adige, alquanto al disotto del capoluogo del distretto ed è in pianura bassa, solcata 
da canali e piuttosto acquitrinosa. — £ Comune di carattere essenzialmente rurale 
ed il villaggio capoluogo ha discreta apparenza, ma nulla di notevole ofiFre al visita- 
tore. Nelle vicinanze è, fra stagni e risaie, il grandioso edifizio della villa Moneta, 
teatro d'uno degli episodi della battaglia d'Arcole. La distanza del paese da San Boni- 
facio è di chilometrì 5 a sud-ovest, la sua altitudine di 26 metri sul mare. 

Il territorio di Belfiore, ove non è paludoso, è fertilissimo e produce cereali, gelsi, 
foraggi. La parte acquitrinosa dà riso, canne, stramaglia. Vi si allevano suini e pol- 
lame, ed industrie del luogo sono la fabbricazione dei laterizi e la brillatura del riso. 

Cenno storico. — Durante le giornate d'Arcole, Massena colla sua divisione tenne 
le posizioni circostanti a Belfiore. Fu più volte investito dalle truppe dell' Alvinzy, in 
numero assai superiore alle sue, tanto che vi fu un momento nel quale dovette ripie- 
gare. Già daUa parte degli Austrìaci si udivano grida di vittorìa salutanti il movi- 
mento in addietro dei Francesi. Massena allora, che trovavasi nelle vicinanze della 
villa Moneta, fatto del suo cappello piumato una specie di segnacolo col tenerlo alto 
sulla punta della spada, comandò una carica generale, che, eseguita furìosamente. 



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132 Parte Prima — Alta Italia 



giovò a respingere gli Austrìaci e ad impedire loro di correre su Arcole ad aiutare 

quelli che erano impegnati nel grosso della battaglia contro Bonaparte ed Augereau. 

GoU. elett. Cotogna Veneta — Dioc. Verona — - ?■ e T. a San Bonifacio, Str. ferr. a Galcdero. 

Caldiero (2572 ab.). — Si stende questo Comune nella parte occidentale del distrettOi 
al confine con quello di Verona, ed è attraversato dalla strada provinciale Verona* 
Vicenza, nonché dalla linea ferroviaria Milano- Venezia. — 11 paese di Caldiero, capo- 
luogo del Comune (14 chilometri a levante da Verona e 40 m. sul mare), non distante 
dalla stazione ferroviaria, è d^aspetto moderno e pulito; vi sono edifizi di belPappa- 
renza ed una vasta chiesa parrocchiale. Notevole anche lo stabilimento dei bagni, di 
recente costruzione, ove sono utilizzate per cura le acque delle antiche sorgenti di 
Caldiero, di cui sarà detto qui sotto. 

Il territorio di Caldiero è fertilissimo : vi si coltivano cereali d'ogni specie, viti, 
gelsi, frutta, ortaglie. L'allevamento del bestiame e dei bachi da seta sono le industrie 
esclusivamente praticate dagli abitanti del Comune. 

Acque di Caldiero. — Hanno rinomanza antica, ma è assai dubbio che — come 
vuoisi da taluno — fossero conosciute ed usate nel perìodo romano. Plinio, che di 
molte di queste acque ha dato notizie, e che per esser di Verona e per aver abitato 
a lungo in questa città, avrebbe dovuto conoscerle, non ne fa motto. Le prime notizie 
che se ne hanno datano da un ordine della Serenissima Repubblica dell'anno 1405, 
facente obbligo agli abitanti di Caldiero di espurgare annualmente in maggio le sor- 
genti e di cessare dall'abuso del macerare in esse il lino e la canapa. Due giudici 
ducali, con speciali poteri, erano incaricati dell'esecuzione di tale decreto. Nel 1493, 
un altro decreto muta i giudici in tre provveditori: untis tniles, unus doctor, unus 
civis. Costoro fecero circondare le sorgenti di un muro, eressero abitazioni per chi si 
recava ad esperimentare quelle acque salutifere ed imposero dazi per il manteni- 
mento delle terme. Nel 1791, da un Pignolato, fu dimostrato al Governo di Venezia 
la decadenza di quelle acque e la necessità di provvedimenti. L'Accademia d'agri- 
coltura, commercio ed arti di Verona pubblicò un concorso col premio di 60 zecchini 
da assegnarsi a chi avrebbe pubblicato la migliore illustrazione di quelle terme, colle 
proposte dei miglioramenti da introdurvi. Il concorso fu vinto dai dottori Barbieri e 
Bongiovanni, che fecero per i primi l'analisi di quelle acque, ed il loro lavoro fa 
pubblicato con grande lusso tipografico, ma senza risultati praticL 

Le terme di Caldiero furono anche dette Bagni di Giunone {Fontes Junonis) e da 
taluno anche Sacre, ma il perchè non si sa. Non solo le fonti ma il luogo fu detto 
anche Gauderio, perchè vi si provava il godimento di ricovero ; e Nicolò Massa (epist 28 
de Balneis Calder ionis) scrive: Balnea Gauderiana, sive, ut vulgo dicitur^ Calderiona^ 
scateni in vico Gauderii, in agro veronensis. — Di tali fonti apparve sempre proprie- 
tario, e sarebbe ora difficile dime la ragione, il Comune di Verona. 

La sorgente termale di Caldiero si trova appiedi di due isolate colline vulcaniche, 
formate da massi di basalto nero, poggianti sopra un fondo di tufo calcareo incro- 
stato di conchiglie marine. Sono due: una fonte, detta la Brentella, la maggiore, è 
circondata di due muri, l'uno più antico dell'altro; l'interno del canale è di 4 metri 
in altezza e 70 in circonferenza, e vi sono collocati intomo cinque gradini di marmo, 
pei quali si scende ad attingere l'acqua ed a bagnarvisi : il muro è opera del XV secolo 
e vi fu eretto ad impedire che gli animali andassero ad insozzare l'acqua. L'altra 
fonte, meno copiosa, detta il Bagno delle Cavalle, si allarga in forma elittica a guisa 
di piccolo lago ed è circondata di sponde erbose. Nella prima, che è a fondo arenoso, 
le acque sgorgano a larghe polle; nell'altra zampillano con maggior forza. Vivono in 
queste acque dei pesci e dei gamberetti, nonché una pianta acquatica. Vi si estraggono 
anche funghi d'un color nerastro, glutinoso e d'odore leggermente putrido. 



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Mandamento e Comuni del Distretto di San Bonifacio t3^ 

L'acqua è limpida, di sapore dolcigno, leggermente acidulo e pressoché inodora. 
La temperatura della Brentella è di + 22*» e quella del Bagno delle Cavalle di + 28^ 
Contiene cloruri di sodio, di calcio, di magnesio, solfati, joduri ed acido silicico. Si usa 
per bibite e per bagni ed ha efficacia nelle malattie cutanee, reumatiche, vaginali, ecc. 

Cenno storico. — Galdiero è, come s*è visto, luogo antico e fin dal periodo comu- 
nale dipendente da Verona. Ma la sua maggiore celebrità la deve al combattimento 
sostenutovi da Massena contro le truppe austrìache di Alvinzy, che volevano forzare 
le strade sa Verona e Mantova durante quella fazione di tre giornate campali, che è 
conosciuta sotto il riassuntivo nome di Battaglia d'Arcoìe. A Caldiero avvennero inoltre 
altri fatti d'armi nel 1803 e nel 1813. Quest'ultimo, quando al precipitare della fortuna 
napoleonica, per i disastri di Russia, di Germania e di Francia, un corpo d'esercito 
austriaco, scendente dal Tirolo, penetrò in Italia, mirando su Verona e Mantova. 
Coli, elelt. Tregnago — Dice. Verona — ?•, T., Str. ferr. e Tr. 

Cazzano di Tramigna (2148 ab.). — li territorio di questo Comune si stende nella 
parte alta del distretto, sulle rive del torrente Tramigna, che porta le sue acque all'Ai* 
pone. È Comune totalmente rurale, formato da varie frazioni e casali sparsi per la 
campagna; il centro principale, Cazzano (chilometri Ila nord-ovest da San Bonifacio 
e 100 m. sul mare), con 1600 abitanti, è un villaggio che nulla offre d'interessante. 

Il suo territorio, abbastanza fertile, dà cereali, viti, gelsi, alberi da frutta ed in 
particolar modo ciliegie. AH' infuori di quelle che traggono diretto sussidio dall'agri- 
coltura non vi sono in questo Comune industrie. 

Con. elett. Gologna Veneta — Dice. Verona — P' e T. locali, Str. ferr. a San Bonifacio. 

Colognola ai Colli (4453 ab.). — H territorio di questo Comune si stende nella 
parte occidentale del distretto, su quella bella linea di amene colline che è tra Soave 
e San Michele Extra, in quel di Verona. È bagnato dall'Illasi e da altri minori torren- 
telli, scendenti per ristrette valli dai soprastanti monti Lessini e tributari tutti del- 
l'Adige. Il Comune è assai frazionato, essendo formato da vari piccoli villaggi, da molti 
casali e da ville sparse per le ridenti colline. — Il centro principale, Colognola (chilo- 
metri 6 a nord-ovest da San Bonifacio e 177 m. sul mare), dirimpetto a Cìaldiero, è un 
piccolo villaggio di discreta apparenza con alcuni edifizi moderni, ma che non conta 
più di 500 abitanti. 

Il territorio è fertilissimo: dà soprattutto cereali, viti, dalle quali si ha vino assai 
apprezzato, legumi, frutta, ortaglie, che trovano largo e proficuo spaccio sul mercato 
di Verona. Così pure quivi è fiorente l'allevamento dei suini e del pollame. Vi sono 
in luogo due cave di tufo per costruzione. 

Cenno storico. — Di questo Comune, detto anticamente Coloniola, si hanno memorie 
nelle carte della Curia vescovile di Verona e nelle cronache del Comune fin dal medio 
evo. Subì varie infeudazioni, dalle quali fu liberato col passare sotto la signoria diretta 
del Comune di Verona. 

Coli, elett. Tregnago — Dioc. Verona — P" e Tr. locali, T. e Str. ferr. a Caldiero. 

Hontecchia di Crosara (3250 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella 
parte alta o settentrionale del distretto di San Bonifacio, in quella piccola valle per- 
corsa dall' Alpone ch'è detta Valle Trissina. — È Comune essenzialmente rurale, fra- 
zionato in ville e casali sparsi per le circostanti colline. Il capoluogo (chilometri 11 
da San Bonifacio e 87 m. sul mare) ha poco più di 700 abitanti ed è un villaggio di 
modesta apparenza che nulla offre di speciale al visitatore. 

Prodotti del suolo, fertilissimo, sono cereali, viti, legumi, ortaglie, alberi da frutta. 
Vi si allevano suini e pollame. Il territorio è ricco di prodotti minerali; vi si trova 
ottimo tufo per costruzioni, macine di varie qualità ed anche curiose cristallizzazioni. 



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134 Ptrte Prima — Alta Italia 



Cenno storico, — Montecchia è luogo assai antico e ricordato nelle cronache vero- 
nesi dei tempi di mezzo. Da Montecchia fd originaria la famiglia dei Montecchi, di 
parte ghibellina, la quale ebbe grandissima influenza nei rivolgimenti veronesi del 
XII e XIII secolo. A questa famiglia sarebbe appartenuto Romeo, Teroe della leg- 
genda romantica degli Amanti di Verona, dalla quale Shakespeare trasse la più pas- 
sionale, se non la più profonda, delle sue tragedie. Ma la critica storica ha distrutto, 
si sa, la patetica leggenda. 

Coli, elett. Goiogna Veneta — Dioc. Vicenza — P* locale, T. e Str. ferr. a San Bonifacio. 

Honteforte d'Alpone (5789 ab.). — Si stende questo Comune nella parte orientale 
e collinosa del distretto, a nord-est del capoluogo del medesimo. L'Alpone attraversa 
questo Comune. — Il capoluogo, una grossa e bella borgata d'oltre 3400 abitanti, sorge 
alla destra del fiume, a 3 chilometri da San Bonifacio e a 83 metri sul mare. Monteforte 
non manca di edifizi notevoli e tra questi vanno ricordati il palazzo Vescovile, residenza 
estiva — ove occorra — del presule veronese; la grandiosa chiesa parrocchiale, l'Ospe- 
dale della Misericordia, il palazzo Municipale, la torre maestosa ed alcuni palazzotti 
privati. I villaggi di Costalunga e Brognoligo e i cascinali sparsi per la campagna 
completano come frazioni il nucleo comunale. 

Prodotti del snolo, fertilissimo, cereali, viti (dalle quali si trae la famosa uva da 
tavola di fama europea e vino prelibato), gelsi, frutta, ortaglie. Considerevole vi è 
Tallevamento dei bachi da seta. Industrie locali sono la fabbricazione delle paste 
alimentari, la distilleria dello spirito, la tintoria. 

Cenno storico. — Di Monteforte si hanno notizie in documenti antichissimi della 
Curia veronese, e nel periodo delle guerre comunali fu luogo più volte contrastato 
tra i Veronesi, i Vicentini ed i conti di San Bonifacio, che tentarono più volte d'allargare 
il loro dominio in vasta zona all' intomo. 

Uomini illustri. — Diede i natali all'illustre psichiatra e sociologo Silvio Venturi, 
scienziato eminentissimo, a cui il Comune innalzò un monumento. 

Coli, elett. Goiogna Veneta — Dioc. Verona — P' e T. locali, Str. ferr. a San Bonifticio. 

Ronca (3701 ab.)- — Il territorio di questo Comune si stende nella parte alta del 
distretto, all'estremità nord-est di questo e forma confine colla provincia di Vicenza. 
La valletta ove il Comune giace, chiusa a nord dal monte Calvarina (683 m.) e bagnata 
da torrentelli tributari dell' Alpone, è detta Valle di Boncà. — H Comune ha carattere 
essenzialmente rurale ed anche il capoluogo. Ronca (chilom. 10 a nord di San Boni- 
£etcio e 83 m. sul mare), grosso borgo dì oltre 2000 abitanti, per quanto dotato di edifizi 
moderni e di bell'aspetto, non ha perduto il suo tipo di grosso villaggio. 

n suolo, fertilissimo, produce soprattutto viti, dalle quali si hanno vini ottimi, assai 
ricercati a Verona ed a Vicenza; cereali, frutta, legumi. 

La valle di Ronca divide col monte Bolca nel Veronese la specialità degli abbon- 
danti depositi di pietrificazioni di corpi organici animali e vegetali, e soprattutto di 
pesci e conchiglie marine. Tali pietrificazioni si trovano generalmente fra sottili strati 
di lignite o di schisti o d'argille, che sfogliandosi in laminette di minimo spessore 
sono dette da quei terrazzani libri del Diavolo. Né mancano in questa singolare regione 
basalti e marmi di vario colore, ocre gialle e rosse stratificate, nonché filoni di quel 
prezioso serpentino che é emulo del verde antico di Calabria e del polceverasco, 
conosciuto col nome di verde di Verona. 

Cenno storico. — Anche Ronca ha origini antiche: se ne trovano notizie negli atti 
della Curia vescovile vicentina e nelle cronache del Comune durante il periodo delle 
sue lotte con Vicenza. 

Cioll. elett. Goiogna Veneta — Dioc. Verona — P* locale, T. e Str. ferr. a San Bonifacio. 



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Mandamento e Ck>nmni del Distretto di Sanguineito 135 



Vni. — Distretto e Mandamento di SMGUINETTO 

Questo distretto, che occupa una superficie di 202 chilometri quadrati, si stende 
nella parte meridionale e più bassa della provincia di Verona. Confina: a nord, col 
distretto di Isola della Scala; ad est, col distretto di Legnago; a sud, colle Provincie 
di Mantova e di Rovigo; e ad ovest, ancora con quella di Mantova. È in rasa pianura, 
attraversato in parte dal Tartaro e dal Tiene, che si uniscono formando un solo corso 
col nome di Tartaro, il quale per certo tratto forma il confine tra la provincia di 
Verona e quelle di Mantova e Rovigo. 

Attraversano questo distretto la strada provinciale Verona-Ostiglia e la Mantova- 
Legnago-Montagnana-Este. Così pure la ferrovia, colla stessa direttiva, Mantova-Mon- 
selice attraversa questo territorio, facendo stazione, tra le altre, a Sanguinetto, come 
pure la Verona-Legnago, unentesi colla precedente a Cerea. È plaga essenzialmente 
agricola, ancora chiusa alle grandi industrie, che pur dalPagricoltura attingono i loro 
elementi di vita, la loro ragione d'essere. 

n distretto di Sanguinetto ha una popolazione, secondo il censimento del 10 feb- 
braio 1901, di 23.658 abitanti ed è costituito da un solo mandamento e dai 7 Comuni 
seguenti: Sanguinetto (capoluogo), Casaleone, Cerea, Concamarise, Correzzo, Cazzo 
Veronese, San Pietro di Morubio. Questi Comuni dipendono tutti dal Tribunale civile 
e penale di Legnago. 

Sanguinetto (2663 ab.). — Il Comune di Sanguinetto (1), capoluogo del distretto e 
del mandamento giudiziario, siede in posizione pressoché centrale del suo territorio 
amministrativo, 32 chilometri a sud-est da Verona e 19 metri sul mare. È Comune fra- 
zionato ed assolutamente rurale. — Sanguinetto, capoluogo, è una borgata di circa 
1700 abitanti, che ad onta della sua importanza amministrativa e giudiziaria non ha 
svestito il tipo del grosso borgo rurale, del centro agricolo per eccellenza. Di cose 
notevoli in Sanguinetto si citano: il castello, abbastanza ben conservato, ora sede di 
pubblici uffici; la chiesa parrocchiale, ampia e di buon disegno, di cui fu autore 
Giovanni Canella, pittore veronese; ed alcuni edifizi privati. 

II territorio di Sanguinetto, fertilissimo, produce cereali, viti, gelsi, riso, ortaglie, 
frutta, foraggi, ^allevamento del bestiame da stalla e da cortile è quivi industria fio- 
rente; così vi si pratica con ottimo risultato anche l'industria del caseificio. I mercati 
settimanali e le tre fiere annuali di Sanguinetto attirano gran numero di negozianti 
di bestiame e di cereali dalla Lombardia, dalFEmilia e dalla Romagna, senza dire di 
quelli che vengono dalle Provincie finitime. Piccole industrie per i bisogni locali non 
mancano in Sanguinetto e fra queste, per la produzione, è considerevole la fabbricazione 
delle paste alimentari. 

Cenno storico. — L'antichità del castello o borgo di Sanguinetto è assodata da 
documenti mantovani, veronesi e dalle cronache delle guerre comunali fra queste due 
città, delle quali guerre Sanguinetto fu sovente teatro. Nella sua rocca fu imprigionato 
e fatto morire uno degli ultimi Carraresi; e nei dintorni di Sanguinetto il vecchio 
Wurmser, nel 1796, riesci ad infliggere un non lieve scacco alla divisione francese 
comandata da Massena, il quale però non tardò a prendersi, a Caldiero ed a Belfiore, 
la rivincita. Nel castello vi sono le prigioni già celebri per avervi ivi pernottato Silvio 
Pellico, quando da Mantova lo si traduceva a Venezia. 

CoU. elett. Isola della Scala — Dioc. Verona — P*, T. e Slr. ferr. 



(1) Questo Ck>mime, capoluogo di distretto, non possiede stemma proprio. 



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136 Parte PHma -- Alta Italia 



Casaleone (4010 ab.). ~ Il territorio di questo Comune 8ì trova nella parte meri- 
dionale del distretto, in pianura bassa ed acquitrinosa, per quanto solcata da numerosi 
canali di scolo. — Il Comune consta di due frazioni principali: Casaleone, capoluogo, 
con circa 2300 abitanti, e Sustinenza, che si trova nella parte più bassa ed umida 
della regione, ove non sono che valli e risaie. Casaleone (chilometri 4 a sud-est da 
Sanguìnetto e 16 m. sul mare) è un grosso e popoloso villaggio di bell'apparenza e 
non privo di edifizi moderni. 

Prodotti del suolo, abbastanza fertile ov*è asciutto o bonificato, cereali, foraggi e 
riso in grande quantità, stramaglia e canne. Vi si alleva bestiame suino e pollame. 
Industria del luogo è la brillatura del riso. 

Non vi hanno intorno a Casaleone notizie storiche meritevoli di rilievo. 
Ck>Il. elett. Legnago — Dioc. Verona — P', T. e Str. ferr. a Cerea. 

Cerea (7714 ab.). — Questo cospicuo Comune si trova nella parte orientale del 
distretto, percorsa dal fiumicello Menage, che da Cerea comincia ad essere navigabile 
per i barconi di discreta portata fino alla sua foce nel Tartaro. Il Comune è attraversato 
dalla strada provinciale Verona-Legnago e dai tronchi ferroviari Dossobuono-Cerea 
e Mantova-Legnago, che appunto nella stazione di Cerea si congiungono. — Varie fra- 
zioni concorrono a formare il nucleo comunale di Cerea; il capoluogo (chilometri 5 
a levante da Sanguìnetto e 18 m. sul mare) è una grossa borgata d'oltre 5100 abitanti, 
che ha tutte le parvenze di una piccola città, non priva di edifizi moderni e di bello 
aspetto. Cerea, favorito dalle comunicazioni ferroviarie, è diventato un centro di pro- 
duzione e di commerci agricoli di grande importanza; la sua fiera annuale ed i suoi 
mercati settimanali sono dei più frequentati nel Veneto. 

Prodotti del suolo, coltivato con cura e feracissimo: cereali, riso, foraggi. L'alle- 
vamento del bestiame è quivi praticato su vasta scala. Altre industrie esercitate in 
luogo: la fabbricazione dei laterizi, la brillatura del riso, la fabbricazione delle paste 
alimentari, la lavorazione dei cordami e della canapa, la tintoria ed altre piccole 
industrie per i bisogni locali. 

Cenno storico. — Anticamente detto Cereta, questo borgo è segnato nelle cronache 
mantovane e veronesi del perìodo comunale per i contrasti che il suo possesso diede 
luogo fra le due città. Nel 1798, tra Francesi ed Austrìaci, di cavallerìa, ebbe luogo in 
Cerea un breve ma sanguinoso combattimento, nel quale la cavallerìa francese ebbe 
la peggio. Durante la campagna del 1848 un corpo di truppe volontarìe italiane si 
scontrò, presso Cerea, con gli Austrìaci ed impegnò un vivo combattimento, nel quale 
questi ebbero il vantaggio del numero e del migliore armamento. 

Domini illustri. — Fu patrìa di Paris o Parisio de Cerreta, che è il più accurata 
ed autorevole degli antichi cronisti veronesi. 

CoU. elett. Legnago — Dioc. Verona — P*, T. e Str. ferr. 

Concamarise (1013 ab.). — Si stende questo piccolo Comune nella parte alta del 
distretto, a nord della strada Mantova-Legnago, in mezzo a bella e ubertosa pianura* 
È Comune esclusivamente rurale ed il capoluogo (chilom. 4 a nord di Sanguìnetto e 
18 m. sul mare) è un piccolo villaggio di circa 450 abitanti, di nessuna importanza. 

Il terrìtorìo, fertile, produce cereali, gelsi, legumi, ortaglie e frutta. Vi si alleva 
bestiame da stalla e da cortile. Non vi sono in luogo industrìe se non quelle attinenti 
alla produzione agricola locale. 

Coli, elett. Isola della Scala — Dioc. Verona — P* locale, T. e Str. ferr. a Sangoinetto. 

Correzzo (3032 ab.). — Si trova questo Comune nella parte meridionale e più bassa 
del distretto, al confine della provincia di Mantova. Il territorio è in buona parte palu- 
doso, bagnato dal Tartaro e da molti canali di scolo. £ Comune essenzialmente rurale» 



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Mandamento e Ck>manl del Distretto di San Pietro in Cariano 137 



frazionato in piccole ville e casali ed il suo capoluogo (chilometri 5 a sud-ovest da 
Sanguinetto e 15 m. sul mare) è nn discreto borgo di circa 1300 abitanti, che serba 
in tutto il carattere rurale. 

Il territorio, ove non è palude; é fertilissimo : dà cereali, riso, foraggi, viti, gelsi é 
piante da frutta. Si alleva bestiame bovino, suino e pollame per il commercio ; non 
vi sono in luogo industrie. 

Cenno storico. — Correzzo (Corrigium) è luogo antico, ricordato in atti dei bassi 
tempi. Subì varie infeudazioni e fu teatro delle lotte tra Verona, Mantova e Ferrara^ 

Coli, elett. Isola della Scala — Dioc. Verona — P* e T. a Nogara, Slr. ferr. a Sanguinetto. 

Gazzo Veronese (2846 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte 
sud-ovest estrema del distretto e fa confine della provincia di Verona con quella di 
Mantova. Anche il Comune di Gazzo Veronese è per buona parte costituito da paludi 
e percorso da canali. Lo attraversano anche il Tartaro ed il Tiene, che in questo ter- 
ritorio si uniscono per formare un sol corso, causa non ultima degli impaludamenti. 
Il Comune è costituito da varie frazioni, delle quali la maggiore è Gazzo, capoluogo 
(chilom. 8 da Sanguinetto e 16 metri sul mare), con circa 900 abitanti; viene poscia 
San Pietro in Valle. Ma tanto Tuna che Taltra non sono che agglomerati di case rurali 
senza alcunché di notevole. 

Prodotti del suolo : cereali, rìso, gelsi, frutta, canne, stramaglia. L'allevamento del 
bestiame vi è industria fiorente, oggetto di attivo commercio di esportazione. Altre 
industrie non vi sono. 

Coli, elett. Isola della Scala — Dioc. Verona — ?', T. e Str. ferr. a Nogara. 

San Pietro di Mombio (2380 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella 
parte più settentrionale ed alta del distretto, in prossimità della strada provinciale 
Verona-Legnago. Anche questo è Comune esclusivamente rurale, costituito da varie 
frazioni, di cui le maggiori sono San Pietro, la Bonavicina e il Borgo di Bonavicina. — 
San Pietro di Morubio (chilom. 10 da Sanguinetto e 19 m. sul mare) è un grosso villaggio 
di circa 1900 abitanti, di belFaspetto, ma che nulla offre di interessante al visitatore. 

Prodotti del suolo, coltivato con molta cura, cereali, gelsi, foraggi e frutta. Vi si 
alleva bestiame da stalla e da cortile. Importante industria locale è la fabbricazione 
dell'olio di rìcino. 

Coli, elett. Legna go — Dioc. Verona — - ?', T. e Str. ferr. a Cerea. 



G. — Distretto e Mandamento di SM PIETRO IN CARIANO 

Questo distretto, la cui superficie fu valutata in 227 chilometri quadrati, è costituito 
dalla valle dell'Adige, al nord-ovest di Verona e da altre valli minori più a levante, sino 
al confine dello Stato Italiano. Perciò esso confina: a nord, colPImpero Austro-Unga- 
rico; ad est e a sud, col distretto di Verona ; ad ovest, con quello di Caprino Veronese. 

Il distretto di San Pietro in Cariano si stende tutto in una zona montuosa, com- 
presa tra la valle Pantena e la valle Lagarina (dell'Adige), di cui forma la sponda 
sinistra. Il monte o Corno d'Acquiglio (1546 m.) è la vetta dominante in questo ter- 
ritorio, suddiviso poi in vallette sussidiarie, quali la vai Pregno, la vai Sorda, la vai 
Policella. L'Adige costeggia in tutta la sua lunghezza questo distretto, che è pure 
percorso dal Progne e da altri torrentelli scendenti dalle vallette laterali dei Lessini. 

La strada nazionale da Verona al confine, percorrente la valle Lagarina, e la linea 
internazionale Verona- Ala-Monaco sono le due maggiori arterie stradali di questo ter- 
ritorio, il quale è anche percorso da altre buone strade, come la provinciale che da 

57 — liA Fa Irla, voi. I, parte 2i. 



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138 Parte Prima - Alta Italia 



Verona per San Pietro in Cariano risale la valle Progne sin oltre Breonio e ridiscende» 
per altro ramo, in vai Pantena. 

Il territorio di San Pietro in Cariano è essenzialmente agricolo, ma il prodotto di 
maggior rilievo è il vino, essendo apprezzatissimi i vini di questa regione ed in ispecie 
il noto Valpolicella. 

Secondo il censimento del 10 febbraio 1901, questo distretto conta una popolazione 
di 29.869 abitanti ed è formato da 10 Comuni, raggruppati in un solo mandamento, 
dipendente dal Tribunale civile e penale di Verona. I Comuni sono: San Pietro ini 
Cariano (capoluogo), Breonio, Dolce, Fumane, Marano di Valpolicella, Negarine, Negrar, 
Pescantina, Prun, Sant'Ambrogio di Valpolicella. -i 



San Pietro in Cariano (2766 ab.). — Questo Comune, capoluogo del distretto e del 
mandamento giudiziario, si trova nella parte ^bassao meridionale della sua circoscri- 
zione amministrativa. È Comune agrìcolo e per eccellenza vini- 
colo, in una regione di pittoresche colline. — Il capoluogo è una 
bella borgata di circa 1400 abitanti, ali chilometrì a nord-ovest 
da Verona e a 163 metri sul mare. Vi si notano alcuni palazzi di 
bella architettura e la chiesa parrocchiale. Nei dintorni sonvi 
ville signorili, in amene posizioni. Il Comune di San Pietro in 
Cariano è dotato di buone scuole e di istituti di beneficenza a 
sollievo dei derelitti. 

Come fu detto, il territorio di questo Comune è plaga essen- 
zialmente vinicola; appartiene infatti a quella fortunata vai Poli- 
cella, i cui prodotti hanno di gran lunga passato i confini della provincia e sono 
dovunque apprezzati. Le colline di San Pietro in Cariano sono coperte di splendidi 
vigneti e, dove non è la vite, da gelsi, da alberi da frutta, da olivi, da cereali. La si 
può dire questa una delle regioni più fortunate del Veronese. Oltre quelle attinenti 
all'agricoltura ed alla produzione vinaria, industrie locali sono le cave di marmo e la 
estrazione delPolio dalle olive e da altri semi oleosi. 

Cenno storico. — San Pietro in Cariano è luogo antico ed assai rammentato nelle 
cronache veronesi del medioevo, in ispecie del periodo comunale. Nei bassi tempi 
subì varie infeudazioni ; ma in seguito appartenne sempre al Comune di Verona, del 
quale seguì costantemente le sorti. Durante i fortunosi eventi della fine del XVIII secolo 
San Pietro in Cariano ebbe molto a soffrire per il continuo passaggio o stazionare di 
truppe or francesi, or austriache od austro-russe nel suo territorio, di cui devastarono 
sovente le piantagioni. 

CoU. elett. Verona II — Dìoc. Verona — P*, T. e Str. ferr. 

Breonio (3397 ab.). — Il territorio di questo Comune occupa la parte più alta, 
alpestre anzi, del distretto, sulle propaggini del Como d'Acquiglio. Il Comune è assai 
frazionato e Breonio, capoluogo, è un villaggio di montagna a 890 metri sul livello 
del mare e chilometri 15 circa al nord di San Pietro, in posizione sana e pittoresca, 
ma che nulla offre per sé stesso di speciale. Altra frazione importante è Sant'Anna 
d'Alfaedo, ove trovasi anche l'ufficio postale. 

11 territorio non è molto fertile: vi si coltivano in limitate proporzioni i cereali; 
vi sono boscaglie cedue ed avanzi di boschi d'alto fusto, ed estesi pascoli. I monti 
che circondono Breonio sono, per la loro struttura e per le stratificazioni che facil- 
mente si rilevano, oggetto di studi interessantissimi per i geologi. Vi sono cave di 
pietre e grande è la produzione dei latticini. 

Non si hanno su questo Comune notizie storiche meritevoli di nota. 
Coli, elett. Verona II — Dioe. Verona — P' locale» T. e Str. ferr. a PerL 



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Mandamento e Comuni del DìstreHo di San Pietro in Cariano 139 

Dolce (2467 ab.). — Il territorio di questo esteso Comune si trova sulla sinistra 
dell'Adige e forma la lunga striscia che dalle falde del monte Pastello (1122 m.) va 
fino al confine dello Stato. H Comune è assai fradonato ed il capoluogo, Dolce, in 
posizione pittoresca, nella valle dell'Adige, è un bel villaggio a 14 chilometri circa 
da San Pietro e 115 metri sul livello del mare, fronteggiante l'imponente blocco del 
Baldo, che, s'alza sull'altra sponda dell'Adige. Frazioni importanti del Comune sono 
i graziosi paesetti di Ceraino e di Peri, ch'è l'ultima stazione ferroviaria dell'Italia 
verso il Trentino. A sud del paese trovasi la celebre Chiusa dell'Adige, ricordata da 
Dante nella Divina Commedia, 

U territorio di Dolce, abbastanza fertile, dà uve, cereali, castagni, frutta, ortaglie. 
Industrie del luogo sono le fornaci per laterizi e per la calce, le cave di pietra calcarea 
ed altre per costruzioni. 

Cenno storico. — Di Dolce si hanno notizie nelle cronache veronesi dei tempi di 
mezzo. Durante la campagna del 17%-97, ed in ispecie nelle giornate delle due memo- 
rabili battaglie di Rivoli, il territorio di Dolce fu singolarmente devastato dal contìnuo 
andirivieni delle truppe. 

CoH. elelt. Verona II — Dioc. Verona — P*, T. e Str. ferr. 

Fumane (2809 ab.). — Si stende il territorio di questo Comune nella parte orientale 
del distretto, in regione montuosa, ed è bagnato dal torrente Pregno, uno dei piccoli 
tributari dell'Adige. È Comune essenzialmente rurale. — Fumane, capoluogo, è una 
discreta borgata di circa 1700 abitanti, con edifizi moderni e di bell'apparenza, 3 chilo- 
metri a nord di San Pietro e 195 metri sul livello del mare. Piccole ville e casali sparsi 
per la campagna completano il nucleo del Comune. 

Il territorio, abbastanza fertile e ben coltivato, dà cereali, uve, castagne, patate, 
legumi, boscaglie e pascoli. Industria del luogo, oltre quelle attinenti alla produzione 
agricola, è l'escavazione della pietra da calce e da costruzione. 

Non si hanno memorie storiche di questo Comune degne di rilievo. 

Coli, elelt. Verona II — Dioc. Verona — P*, T. e Slr. ferr. a S. Pietro in Cariano. 

Marano di Valpolicella (2447 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende 
nella parte media del distretto con carattere in tutto montuoso; è bagnato dal tor- 
rente Pregno di Marano, che scende dalla piccola vai Sorda. Il Comune è frazionato in 
vari villaggi di modesta apparenza, dei quali il maggiore è Marano, con buoni edifizi, 
in bella posizione, 6 chilometri circa a nord di San Pietro e 350 metri sul mare. 

U territorio di Marano è fertile e ben coltivato: dà uve, cereali, gelsi, alberi da 
frutta, legumi e patate. Industrie locali sono quelle attinenti alla produzione del vino, 
dei latticini ed all'allevamento del piccolo bestiame da cortile. 

Cenno storico. — Vuoisi che questo luogo derivi il suo nome da Mario, il quale 
qui avrebbe stabilito un campo trincerato (Castrum Atarianum) per impedire ai Cimbri, 
già dispersi dopo la sconfitta di Sommacampagna, per queste montagne e nel non lon- 
tanissimo altipiano di Asiago, di unirsi di nuovo e ridiscendere ai danni di Roma. 
Ma è leggenda. — - Marano, detto anche Veronese, era conosciuto nel medioevo per il 
castello, dalle rovine del quale si trassero avanzi del periodo romano. 

Coli, elelt Verona li — Dioc. Verona — P*, T. e Str. ferr. a S. Pietro in Cariano. 

Negarine (1522 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte meri- 
dionale del distretto, su pittoresche colline cosparse di ville, ed è attraversato dalla 
strada provinciale da Verona a Trento. Il Comune è assai frazionato. — Negarine, 
capoluogo (3 chilometri da San Pietro e 171 m. sul mare), è un discreto villaggio con 
edifizi per la maggior parte moderni, ben tenuti e di buona apparenza. Sui colli circo- 
stanti sono numerose le ville delle famiglie facoltose veronesi. 



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i40 P^i^e Prima •- Alta Italia 



Prodotti del. suolo, assai fertile, uve, gelsi, cereali» frutta, ertale. L'allevamento 
dei bachi da seta e quello del bestiame minuto sono le industrie di massimo sussidio 
all'agricoltura in questo Comune, ove esistono anche cave di pietra da calce. 

GoU. elett. Verona II — Dioc. Verona — P\ T. e Str. ferr. a S. Pietro in Cariano. 

Negrar (3422 ab.). — Questo Comune si stende nella parte media e orientale del 
distretto, in una valletta percorsa da un torrentello detto Progne di Negrar. È Comune 
essenzialmente agricolo ed assai frazionato. — Negrar, capoluogo, è un mediocre vil- 
laggio di meno che 1000 abitanti, in posizione pittoresca, a circa 5 chilometri da 
San Pietro e 190 metri sul mare, dotato di qualche bell'edifizio. Numerose ville ed 
i casali sparsi per le circostanti colline completano il nucleo del Comune. 

Prodotto principale del suolo, abbastanza fertile,, è Tuva, da cui si trae il vino 

detto di Negrar j che è una varietà del Valpolicella, assai apprezzata dai conoscitori. 

Vi prosperano inoltre i gelsi, i cereali, gli alberi da frutta, i legumi, le ortaglie. Non 

vi sono in luogo industrie che non abbiano stretta attinenza colFagricoltura locale. 

Coli, elett. Verona li — Dioc. Verona — P*, T. e Str. ferr. nella fraz. Santa Maria. 

Pescantina (3451 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte piana 
del distretto, sulla riva sinistra dell'Adige, ed è attraversato dalla linea ferroviaria 
Verona-Ala. — Pescantina, capoluogo del Comune (chilometri 4 a sud di San Pietro 
b 90 m. sul mare), è una grossa e bella borgata di quasi 3000 abitanti, in posizione 
iamenissima, in riva all'Adige e poco lungi dalle colline veronesi, che le si aprono 
davanti in splendido semicerchio. I dintorni di Pescantina sono popolati da graziose 
base di villeggiatura. 

Fertilissimo è il territorio di questo Comune, che dà cereali, uve, frutta ed in ispecie 
pesche prelibate, legumi ed ortaglie, delle quali si fa attivo traffico sul mercato di 
Verona. Industrie del luogo sono le fornaci per la fabbricazione dei laterizi, la fabbri- 
cazione delle paste da minestra, le tintorie e le concerie di pelli. 
CoU. elett. Bardolino — Dioc. Verona — P*, T. e Str. ferr. 

Prun (3200 ab.). — Si stende il territorio di questo Comune nella parte alta, mon- 
tuosa del distretto, su quel contrafforte dei Lessini che divide la valle di Progne dalla 
^val Pantena. È Comune essenzialmente rurale e frazionatissimo. — U capoluogo, Prun, 
è un modesto villaggio di circa 500 abitanti, ali chilometri a nord-est da San Pietro 
^ circa 500 metri sul livello del mare. Né in questo, né negli altri villaggi formanti 
il nucleo comunale di Prun, nulla havvi, air infuori delle pittoresche posizioni, che 
possa interessare il visitatore. 

Prodotti del suolo, non tanto fertile quanto coltivato con cura, sono le uve, i cereali, 
i pascoli e le boscaglie cedue. Vi sono in luogo cave di pietra per costruzione. 

Coli, elett. Verona II — Dioc. Verona — P* a Negrar, T. e Str. ferr. a S. Pietro in Cariano. 

Sant'Ambrogio di Valpolicella (4388 ab.). — Il territorio di questo Comune si 
stende nella parte meridionale del distretto, sulla sponda sinistra dell'Adige ed é 
attraversato dalla linea ferroviaria Verona- Ala e da quella Verona-Caprino. Il Cernirne 
é assai frazionato. — Sant'Ambrogio, capoluogo (chilometri 4 ad ovest di San Pietro e 
180 m. sul mare), é una cospicua borgata d'oltre 2000 abitanti, ricca dì edifizi moderni 
di bell'aspetto. Notevole n'è la chiesa parrocchiale e per la buona architettura e per 
i marmi colorati che Tadomano. Frazioni importanti del Comune sono Domegliara e 
Ponton, due discrete borgate d'aspetto moderno. 

Il territorio di Sant'Ambrogio é fertilissimo ed é costituito dalla zona maggior- 
mente vitifera della Valpolicella. Dei vini eccellenti di Sant'Ambrogio si fa grande 
esportazione nel Veneto, in Lombardia ed anche in Austria. Altri prodotti del suolo: 
i cereali, i gelsi, gli alberi da frutta, i legumi, le ortaglie, i foraggi. Sono attivissime 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Tregnago 141 



le cave di marmo rosso e di pietra da costruzione e da calce. Il marmo rosso di 
. Sant'Ambrogio è rimarchevole per la eccezionale sua compattezza e per la vivacità 
delle sue tinte, che dal rosso carico, sanguigno, vanno per belle gradazioni al rosso 
giallastro. Pregevole per la sua rarità e colorazione è pure il broccatello, che si estrae 
<ia queste cave. Vi sono anche fornaci per la cottura della calce e dei laterizi. 

Cenno storico. — Sant'Ambrogio è luogo di antiche origini, assai ricordato nei 
documenti e nelle cronache medioevali di Verona, di cui sempre seguì le vicende. 
Ck)U. elell. Verona II — Dioc. Verona — ?•, T. e Str. ferr. (anche nella fraz. Ponton). 



\. — Distretto e MandameBfo di TREGMGO 

Questo distretto copre una superficie di 253 chilometri quadrati e forma la parte 
nord-est della provincia di Verona. Confina: a nord — per breve tratto — coll'Im- 
pero Austro-Ungarico; ad est, colla provincia di Vicenza e col distretto di San Bonifacio; 
a sud, ancora con San Bonifacio e col distretto di Verona; ad ovest, con lo stesso. 

Il distretto di Tregnago è zona completamente montuosa, formando la stretta ed 
alpestre valle deimiasi, che va a raggiungere lo spartiacque dei Lessini al passo della 
Lora (1717 m.), al monte Obante (2042 m.), alla cima Tre Croci (1942 m.), ecc. Il monte 
Bolca (933 m.), celebre per la ricchezza e la varietà delle sue pietrificazioni ittiologiche, 
trovasi in questo territorio. 

Llllasi è il maggior corso d'acqua della regione, arricchito dal tributo di numerosi 
torrentelli che scendono dalle piccole vallette laterali. 

La maggiore arteria stradale del distretto di Tregnago è la provinciale, che, stac- 
candosi a Caldiero dalla strada Verona-Vicenza, s'inoltra nella valle deirillasi fino ^ 
Oiazza (758 m.) e su cui, fino a Tregnago, corre anche una linea tramviaria a vapore. 

Il distretto di Tregnago, che è plaga esclusivamente agricola, ha una popolazione 
<ii 24.397 abitanti (censimento 10 febbraio 1901). Esso è formato da 9 Comuni, compresi 
in un solo mandamento, sotto la giurisdizione del Tribunale civile e penale di Verona. 
.1 Comuni sono i seguenti: Tregnago (capoluogo). Badia Calavena, Illasi, Mezzane di 
.Sotto, Rovere di Velo, San Mauro di Saline, Selva di Progne, Velo Veronese, Vestena 
Nuova. 

Tregnago (3619 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte media 
<iel distretto, di cui n'è capoluogo insieme al mandamento giudiziario ed al Collegio 
elettorale. Il Comune è frazionato, ma Tregnago, capoluogo 
(21 chilometri a nord-est da Verona e 317 m. sul mare), è un 
bel borgo d'oltre 200Ò abitanti, sulla sponda sinistra dell'Illasi 
ed in posizione pittoresca quant' altra mai. A Tregnago non 
mancano edifizi di buona architettura antichi e moderni, diverse 
chiese, delle quali notevole la parrocchiale con dipinti del 
secolo XVII ; buone scuole ed istituti di pubblica beneficenza. 
Il territorio di Tregnago, un tempo boscoso ed a pascoli, 
fu, fin dove è possibile, messo a vigneti, che danno eccellente 
prodotto, ed a cereali. Vi si alleva anche, limitatamente, 
bestiame. All'infuori di quelle strettamente attinenti alla prò- 
dnzione agricola e necessarie per i bisogni locali, non vi sono nel Comune industrie. 
Cenno storico. — Tregnago è terra antica, un tempo fortificata e teatro di vicende 
guerresche nel periodo delle lotte comunali tra Vicenza e Verona, della quale ultima 
città seguì sempre le sorti. 

CoU. •leti. Tr«gnago — Dioc. Verona — P*, T. e Tr. locali, Slr. ferr. a Caldiero. 




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142 P«^ Prima — Alta Italia 



Badia Calavena (3017 ab.). — Si stende il territorio di questo Comune nella parte 
alta del distretto, a nord di Tregnago e sul prolungamento della strada provinciale 
Verso il passo della Lora. È Comune essenzialmente rurale e frazionato. — Badia 
Calavena, capoluogo, è un villaggio di circa 600 abitanti, a 5 chilometri da Tregnago 
e 475 metri sul livello del mare, che, a parte la pittoresca sua posizione e Taria salu- 
berrima, nulla può offrire d'interessante allo studioso od all'amatore di cose d'arte. 
Gli altri villaggi sparsi per la montagna, formanti le varie frazioni del Comune, non 
hanno importanza di sorta. 

Prodotti del suolo, p3r natura non troppo fertile, per quanto coltivato con cura, 
sono frutta, castagne, patate e rape in grande quantità; e nella parte più alta pascoli. 
Industrie del luogo sono le caye di marmo e pietre da costruzione; il caseificio, spe- 
cialmente nella stagione dell'alpeggio; la fabbricazione dell'olio da semi oleosi di 
varie qualità, ma soprattutto lino ; la fabbricazione del bottame e dei tini, che si man- 
dano in altre parti della provincia; la fabbricazione dei panieri di vimini, prodotto 
anche questo consumato Aiorì del Comune e della provincia. 

Cenno storico. — Badia Calavena ha origini antiche, medioevali. Insieme agli altri 
comunelli circostanti fece parte di quella lega o congregazione comunale che fu detta 
dei Tredici Comuni, reggentesi in repubblica autonoma con statuti speciali. A questo 
governo, detto anche Vicariato della Montagna, Verona prima e Venezia poscia, accor- 
darono facoltà e privilegi che durarono fino alla caduta della Serenissima. Di Badia 
si hanno notizie in diplomi del secolo XI. Fu luogo fortificato con mura e rocca, la 
quale andò in rovina e per gl'insulti del tempo e per l'incuria degli uomini. 
Coli, elell. Tregnago — Dioc Verona — P', T. e Tr. a Tregnago, Slr. ferr. a Caldiero. 

Diasi (3811 ab.). -- Il territorio di questo Comune si stende nella parte sud-est 
del distretto, attraversata dalla strada provinciale da Verona a Tregnago per Caldiero. 
-— niasi, capoluogo del Comune (chilometri 5 a sud da Tregnago e 181 m. sul mare), 
con circa 2200 abitanti, è una bella borgata circondata da pittoresche colline, sulle 
quali non mancano le ville signorili. È bagnato dal torrente che gli dà nome, che tà 
unisce, presso Soave, all'Alpone, tributario dell'Adige. Non vi sono in questa borgata 
cose degne di speciale rimarco. 

Prodotti del suolo, in questa plaga fertilissimo, viti, gelsi, cereali, frutta, ortaglie. 
L'allevamento dei bachi da seta è industria assai fiorente in questo Comune, ove esiste 
uno stabilimento per la trattura, torcitura ed incannaggio della seta, nel quale trovano 
lavoro 189 operaie. 

GoU. elett. Tregnago — Dioc. Verona — ?', T. e Tr. locali, Str. ferr. a Caldiero. 

Mezzane di Sotto (2060 ab.). — Il territorio di questo Comune si trova nella parte 
sud-ovest del distretto, in una valletta aprica e verdeggiante. — Mezzane, capoluogo 
del Comune (chilometri 5 a sud-ovest da Tregnago e 129 m, sul mare), è un discreto 
villaggio di circa 1000 abitanti, nel quale sono da notare l'antica chiesa parrocchiale 
ed il palazzo Della Torre, di bella e grandiosa architettura. Altri piccoli villaggi, per 
la valle circostante, completano il nucleo di questo Comune. 

Prodotti del suolo, fertile abbastanza, viti, gelsi, cereali, alberi da frutta, ortaglie» 
Sole industrie del luogo sono quelle aventi stretta attinenza colla produzione agricola. 

Coli, elett. Tregnago — Dioc Verona — P* locale, T. e Slr. ferr. a S. Martino Buonalbargo. 

Rovere di Velo (2756 ab.). — Nella parte più montuosa e occidentale del distretto 
e sulle propaggini del monte Purga (1257 m.) stende il suo territorio questo Comune, 
diviso in molte frazioni e di carattere essenzialmente rurale. — Rovere di Velo è un 
villaggio di circa 1200 abitanti, a chilometri 14 a nord-ovest da Tregnago e 843 metri 
sul livello del mare, in posizione pittoresca e solitaria, ma che nulla per sé stesso può 



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Mandamento e Gòmani del Distretto di Tregnago 143 

offrire al visitatore. Né (dissimili sono gli altri piccoli villaggi ed i cascinali che, sparsi 
per la montagna od a valle, completano il nucleo di questo Comune. 

U suolo, non troppo fertile, dà cereali, legumi, patato, castagne e, nella parte alta, 
buoni pascoli. Nessuna industria è in luogo. Nelle vicinanze si trovano acque minerali. 
Coli, elett. Tregnago — Dioc. Verona — P* locale, T. e Slr. ferr. a Verona. 

San Mauro di Saline (1336 ab.). — Questo alpestre Comune si trova nella parto 
media del distretto, chiuso in una vaUetta solitaria, circondata da alte propaggini dei 
Lessini. Anche questo, come il precedente, faceva parte della confederazione dei Tredici 
Comuni. — Attualmente San Mauro di Saline è villaggio di circa 400 abitanti, 8 chilo- 
metri a nord-ovest da Tregnago e 800 metri sul mare. Non è che un modestissimo 
agglomerato di case rurali; né diversi sono gli altri piccoli villaggi dei dintorni. 

I prodotti del suolo consistono in cereali, castagne, legumi, patate, foraggi, legname 
da ardere e da lavoro. 

CoU. elett. Tregnago — Dioc. Verona — P*» T. e Tr. a Tregnago, Slr. ferr. a Galdiero. 

Selva di Progne (2630 ab.). — Il territorio di questo Comune forma Testremità 
settontrìonale del distretto al confine della provincia di Verona con quella di Vicenza e 
col Trentino. £ intieramento alpestre, dominato dalle punte maggiori della catena dei 
Lessini e dal Bolca. U Comune é assai frazionato: lo costituiscono alcuni villaggi 
alpestri, del quale il maggiore e capoluogo é Selva di Progne, a 10 chilometri a nord 
da Tregnago e 550 metri sul livello del mare, con 490 abitanti, sulla sinistra deirillasi. 
Nelle vicinanze di Selva di Progne, sotto il monto, si aprono diverse caverne, dalle 
quali vennero estratti fossili di foche e di altri mammiferi anfibiL 

Prodotti del suolò: pochi cereali, castagne, legumi, patato e pascoli. Vi sono cave 
di pietra da costruzione e durante la stagione dell' alpeggio notevole vi é la produ- 
zione dei latticini, esercitata in 3 caseifici. 

Coli, elett. Tregnago — Dioc. Verona — ?*, T. e Tr. a Tregnago, Str. ferr. a Galdiero. 

Velo Veronese (1588 ab.). — È il più alpestre dei Comuni di questo distretto, toc- 
cando il suo capoluogo la considerevole altitudine di 1087 metri sul livello del mare. 
Si stonde nell'alta valle delPIllasi, a nord-ovest da Tregnago, non lungi dal confine 
settentrionale della provincia e sulle pendici dei monti Lessini. £ frazionato ed il 
capoluogo. Velo (chilom. 14 da Tregnago), é un villaggio di circa 690 abitanti, pittoresco 
per la sua posizione, ma di tipo completamento alpestre e primitivo. 

II suolo, abbastanza fertile, dà segala, patate, legumi, foraggi, castagne, legname 
da ardere e da lavoro. Vi sono in luogo cave di marmo e di pietra da costruzione. 
Industria maggiore, nella stagione dell'alpeggio, è la produzione dei latticini. 

Coli, elett. Tregnago — Dioc. Verona — ?*, T. e Tr. a Tregnago, Str. ferr. a Galdiero. 

Vestena Nuova (3580 ab.). — Il torritorio di questo Comune si stonde nella parto 
orientale del distretto, sulle pendici meridionali del monte Bolca. È pur questo Comune 
essenzialmente rurale e frazionato. — Vestona Nuova, capoluogo, è un discreto borgo 
di circa 1300 abitanti; ha qualche edifizio moderno, ma in complesso serba tutto il 
carattere del villaggio montanino. È a 10 chilometri a nord-est da Tregnago e 515 metri 
sul livello del mare. Gli altri villaggi di cui si completa il Comune hanno importanza 
minore di questo. 

Prodotti del suolo, abbastanza fertile, cereali, castagne, legumi, patate e foraggi. 
Industrie del luogo sono : l'estrazione del marmo e della pietra da costruzione e da 
calce e la fabbricazione dei latticini. 

I dintorni di Vestona Nuova sul Bolca sono celebri per le loro singolarità naturali 
e geologiche, studiati da una quantità di scienziati italiani e stranieri, a cominciare 
dallo Spallanzani per venire allo Stoppani ed al Taramelli. Il monte Bolca offre, nelle 



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144 Pa"^ Prima — Alta Italia 



vicinanze di Vestena Nuova, un grandioso ammasso piramidale di colonne basaltiche, 
per il quale si è scavato il passaggio la cascata pittoresca delFAlpone. £ sempre nello 
stesso territorio di Vestena Nuova si trova la famosa ipescieria o cimitèro dei pesci > 
del Bolca, che è fra i più celebri e grandiosi depositi di ittioliti che si conoscano. 
Questa pescieria è formata da strati di pietra scissile e da grandi massi di pietra 
calcare. I più begli ittioliti si trovano nella parte alta del monte. Alla base invece 
, furono guastati o corrosi dalle acque. Lo sfregamento della pietra scissile del Bolca 
sviluppa odore bituminoso. 

CoU. elett. Tregnago -— Dioc Verona — P*, T. e Tr. a Tregnago, Slr. ferr. a San Bonifacio. 



XI. — Distretto e Nandameoto di VILLAFRANGA DI VEROM 

Il distretto di Villaf ranca trovasi nella regione sud-ovest della provincia di Verona; 
con una superficie di 241 chilometri quadrati, viene sesto per estensione fra gli undici 
che formano l'intiera provincia* La sua popolazione è di 24.884 abitanti, secondo il 
censimento ufficiale del 10 febbraio 1901. 

I suoi confini sono: a nord, i distretti di Verona e di Bardolino; ad est, ancora 
quello di Verona e quello di Isola della Scala; a sud e ad ovest, la provincia di Man- 
tova. Il territorio, in gran parte pianeggiante, è attraversato da una serie di lievi 
colline moreniche appartenenti a quel sistema, il quale, staccandosi da Caprino Vero- 
nese, si distende a semicerchio intorno air estremità sud del lago di Garda, finché 
arriva a ricongiungersi a più alto sistema di monti dietro Salò. 

II Mincio lambisce in parte il confine ovest del distretto di Villafranca e per breve 
tratto Tattraversa in prossimità di Valeggio. Scorrono nel distretto il Tiene, il quale 
ha le sue orìgini presso Pastrengo (distretto di Verona), ed il Tartaro, il quale trae 
origine dalle ghiaie di Povegliano (distretto di Villafranca). Questi due fiumi, racco* 
glierido tutte le colature dei terreni che stanno fra il Mincio e TAdige, assumono, 
specie nel loro corso inferiore, importanza grandissima, sia come volume d'acqua che 
per importanza irrigatrice e forza motrice. Quest'ultima viene utilizzata per dare 
movimento a numerose macine, a pile, a frantoi, ecc. 

Il distretto è attraversato dalla linea ferroviaria che da Verona discende a Mantova 
e Modena, con diramazione per Legnago ; dalla strada provinciale che da Verona con* 
duce a Roverbella e Mantova e dalla strada nazionale che da Roverbella va a Pastrengo 
ed oltre, come raccordamento a quella Verona-Ala passando per Valeggio. 

La coltura più importante in tutto il territorio è quella dei cereali; segue quella 
della vite e dei gelsi, alla quale ultima si associa un largo e razionale allevamento 
dei bachi. Vi si producono anche limitate quantità di lino e di canapa. 

Il distretto si compone di un solo mandamento, il quale ha centro e pretura in 
Villafranca di Verona e comprende, oltre il nominato Comune, quelli di Mozzecane» 
Nogarole di Rocca, Povegliano Veronese, Sommacampagna e Valeggio sul Mincio. 



Villafranca di Verona (9461 ab.). — Distante 14 chilometri a sud-ovest da Verona, 
alla sinistra del Tiene, Villafranca è una delle più note ed importanti cittadine della 
provincia. Il suo territorio, limitato a nord-ovest dalle colline dì Custoza, è pianeg- 
giante ed assai bene coltivato, sebbene straordinariamente ghiaioso. La sua altitudine 
è di 54 metri sul livello del mare. 

Le vie di Villafranca, lunghe, diritte, spaziose, s'intersecano ad angolo retto e danno 
aspetto di costruzione moderna alla città. Degli edifizi che fiancheggiano queste vie 
alcuni sono pregevoli per architettura, altri importanti per mole; tutti, anche i più 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Yillafranea di Verona 145 



piccoli e modesti, si distinguono per una certa apparenza elegante e civettuola. La 
principale arteria di comunicazione è costituita dalla via chiamata Vittorio, Emanuele^ 
bellissima e lunga contrada rettilinea di una larghezza non comune. Serve di artistico 
sfondo al corso Vittorio Emanuele il castello dei Salinguerra, imponente mole monu- 
mentale, della quale avremo ad occuparci alquanto largamente in seguito. 

Vengono seconde e trasversali a questa grande via le due 
intitolate Corso Garibaldi e Via della Pace, le quali, dipartendosi 
dalla stazione ferroviaria, attraversano tutta la città in direzione 
da sud-est a nord-ovest e mettono all'aperta campagna verso le 
colline di Custoza. Nel punto ove queste vie s'intersecano con il 
corso Vittorio Emanuele si forma una larga piazza centrale, nella 
quale sorgono vari edifizi notevoli e fra questi risalta la facciata 
del Teatro comunale. 

Il tempio di maggiore importanza, del quale si adoma Villa- 
franca, è di data relativamente recente, poiché risale al 1769 il 
suo inizio. Non fu finito che quasi un secolo dopo, nel 1882. È di stile derivato dal Pal- 
ladio ed imita il famoso tempio del Redentore in Venezia; è dedicato ai Ss. Pietro e 
Paolo e contiene dipinti e scolture pregevoli, nonché adorni e ricchi altari. Altra pre- 
gevolissima chiesa é quella detta del Cristo in Castello, la cui costruzione risale 
al 1100; essa contiene diversi dipinti notevoli ad olio, appartenenti ad allievi di Paolo 
Veronese. Meno antica, ma pure con pitture di assai pregio, dovute a Domenico Morone, 
è la chiesa di San Rocco, la cui edificazione risale al 1400. Con bella facciata barocca 
è la chiesa della Disciplina annessa all'Ospedale ; vi si può vedere un bel quadro del 
Farìnati ed altri del Brusasorci. 

Hanno buon posto, fra gli edifizi moderni, il Teatro comunale, la cui facciata, sem- 
plice, ma elegante, merita di essere notata, e Teditìzio delle Scuole, finito nel 1891 
e costruito su disegno dell' ing. Paolo Zuccalmaglio. Un bel palazzotto é pure quello 
ove hanno sede gli ufiici municipali e quelli governativi. 

Le case storiche, per avere alloggiato sovrani o per aver servito ad importanti 
interviste diplomatiche, sono numerose in Villafranca, la quale, per una fatalità stra- 
tegica, ha visto svolgere intomo ad essa, nello scorso secolo, i grandi avvenimenti 
determinanti dell'indipendenza d'Italia. Vi é, per esempio, il palazzo Gemini, ora Valesi, 
nel quale risiedette il generale Napoleone Bonaparte durante la sua permanenza nella 
città mentre conduceva la campagna del 1797. Vi é il palazzo ove tennero dimora Carlo 
Alberto e suo figlio Vittorio Emanuele, nel 1848, durante lo svolgersi infelice della 
campagna, cominciata con tanta fortuna contro gli Austriaci in quell'anno colle Cinque 
Giornate di Milano. Infine vi é la casa ove Napoleone III e Francesco Giuseppe ten- 
nero colloquio all'indomani della sanguinosa giornata di Solferino e San Martino nel 
giugno 1859. In quella casa furono stabiliti i preliminari di quell'accordo, per il quale, 
a malgrado della lunga serie di vittorie riportate dagli alleati, il Veneto rimase ancora 
per sette lunghi anni legato al carro dell'Austria. 

Ma il più grande monumento di Villafranca, sia dal lato storico che artistico, 
resta pur sempre il suo antichissimo castello. Questo deve la sua origine alle citta- 
dine discordie fra Verona e Mantova. Avendo molte grosse e successive inondazioni 
rovinato il castello veronese di Ostiglia, il Comune di Verona mandò schiere d'operai 
a riattarlo. Il che non poteva garbare ai vicini Mantovani, i quali non avrebbero 
voluto veder risorgere la bastìa al limite del loro territorio. Ed i Mantovani assali- 
rono e dispersero più volte gli operai veronesi, rallentandone e danneggiandone i 
lavori; finché questi, ricevuti soccorsi di soldati da Verona, poterono mettere freno, 
con successive sconfitte, alle incursioni dei Mantovani e finire l'opera loro. Ciò volgeva 
Ael 1199. L'anno appresso, avendo saputo i Veronesi come in Mantova si andassero 

68 — Ija patria, voi. I, parte 2» 



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146 Parte Prima - Alta Italia 



adunando soldatesche in grande numero e pensando che potessero essere rivolte contro 
di essi, pensarono a porvi riparo erigendo un nuovo e più forte castello a Villafranca. 
É Topera, cominciata dal podestà Salinguerra de' Garimenti, fu condotta a termine 
nel 1202 e subito presidiata da numerosa forza armata. 

L'imponenza della mole, la robustezza delle mura, la grandiosità delle torri e del- 
l'acuminata merlatura sono ancor oggi oggetto degno di meraviglia e ci danno una 
chiarissima idea di quel che dovettero essere le molte centinaia di castelli sòrti fra 
il 1200 ed il 1400 in Italia, a difesa di piccole ma non sempre ingloriose signorie. 
Dati i tempi in cui fu costrutta, la fortezza di Villafranca tiene certamente un primo 
posto fra le opere di tal natura. E non fu vana la sua edificazione ; intorno alle sue 
mura i popoli della regione circostante, da Padova, da Ferrara, da Mantova, da Brescia, 
vennero spesso a scontrarsi ed a battagliare. 

Il primo ad arrecargli gravi danni fu Ezzelino da Romano, il quale, venuto a con- 
tesa coi guelfi del Veronese e territori finitimi, mosse loro guerra feroce e ridottine 
molti a rinchiudersi nel castello di Villafranca ve li strinse d'assedio, incendiò la bor- 
gata ed il maniero ed arrecò danni e guasti in copia a tutto ed a tutti. Ezzelino da 
Romano fu il primo il quale pensasse di congiungere, con un forte bastione, il castello 
di Villafranca con quello di Sommacampagna, allo scopo di proteggere efficacemente 
tutto il territorio retrostante dalle continue incursioni degli avversari. 

I fuorusciti veronesi rioccuparono pertanto il castello di Villafranca, guidati da 
Pulcinella delle Carceri, nel 1268, e lo tennero fino al 1271, nel quale anno mosse a 
scacciarli di là Martino della Scala. Del castello è ancora questione nel 1337 nelle 
cronache guerresche dell'epoca, per l'assalto che ad esso diedero le truppe manto- 
vane e ferraresi collegate per i danni che quivi ed alle borgate esse arrecarono e per 
aver fatto l'avvenimento rinascere in Martino II ed in Can Grande della Scala, suo 
figlio e successore nella signoria di Verona, l'idea di Ezzelino da Romano, di far cioè 
del castello di Villafranca testata d'un lungo bastione di protezione da erigersi attraverso 
la campagna veronese. 

L'opera nuova, fatta di robustissimo bastione, interrotto tratto tratto da torricelle e 
percorso al piede da un largo fossato, fu iniziata nel 1348, sospesa l'anno successivo 
per cagione di pestilenza scoppiata nel territorio e ripresa, fino a termine, nel 1355. 
Il bastione si partiva dal corpo principale del castello di Villafranca e correva verso 
occidente fino al castello di Valeggio, il quale per essere edificato sul Mincio aveva 
singolare importanza. Con questi due castelli, quello di Villafranca e di Valeggio veni- 
vano ad assumere nuova importanzajormando come le testate d'una specie di muraglia 
della Cina in miniatura, la quale difendeva larghissima parte del territorio veronese 
dalle incursioni mantovane, mentre il Mincio lo riparava da quelle dei Milanesi. 

Questa cinta di fortificazioni, che la cronistoria del tempo designa col nome di Sfr- 
raglio.duYÒ intatta e poderosa fino al 1404, anno in cui per la prima volta Galeazzo Gon- 
zaga vi aperse una breccia e, dopo aver saccheggiato il territorio, andò a porre assedio 
al castello di Villafranca. Ma là fu accolto come forse non s'aspettava dalla popola- 
zione rifugiata nella fortezza, e tanto male che al terzo o quarto assalto si convinse 
dell'inutilità dell'impresa e retrocesse fino a Vigasio, da dove aveva forse animo di 
ritornare meglio munito, ma non tornò. Non pertanto, dall'assedio del Gonzaga, il 
castello di Villafranca sofferse assai e molte delle costruzioni inteme e delle coper- 
ture andarono distrutte in quell'epoca dal fuoco. Poi il castello vide ancora, nel 1441, 
i Mantovani; nel 1487 i Ferraresi; nel 1493 i Milanesi, ma tutti lasciarono poche tracce 
del loro passaggio. Occupato, nel 1493, dal Sanse verino, capitano al servizio della 
Repubblica Veneta, a questa rimase definitivamente. 

Oggi molte torri del castello sono diroccate, parte anche dei bastioni minacciano 
rovina; ma dalla corona di merli che ancor conserva, dalle alte torri che ancora lo 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Villafranea di Verona 147 



adornano è facile farsi un'idea della sua importanza e maestosità passata. In recenti 
lavori di sterro si sono rinvenuti nel basamento della torre principale, frammenti di 
iscrizioni romane dell'epoca imperiale, un capitello corinzio ed altri frammenti meno 
importanti. L'interno, vastissimo, del fabbricato è oggi ridotto ad orto ed un grande 
orologio è stato applicato alla faccia della principale torre quadrangolare che guarda 
la città. La qual cosa costituisce una deturpazione del rudero guerresco, alla quale 
sarebbe bene ovviare. 

Il territorio coltivabile e coltivato del Comune di Villafranca è di 5547 ettari e 
di questi sono resi irrigui dal canale del Consorzio dell'Alto Agro Veronese ben 2847 
ettari. Non c'è chi non veda quale importanza agricola abbia per quest'ultimo fatto 
specialmente il contado di Villafranca. Vi si producono in copia granaglie, foraggi ed 
ogni altra civaia propria alla regione. Numeroso è il bestiame sia di allevamento per 
uso di macello o di lavoro che si trova nel Comune ed il commercio ne costituisce un 
importante cespite di guadagno per la popolazione agraria. 

Fra le industrie cittadine notiamo un opificio di tintura e stampa di filati e quella 
affatto casalinga dei tessuti di cotone, alla quale si dedicano alcune diecine di donne. 
Questa piccola industria, nonostante la grande concorrenza degli stabilimenti indu- 
striali, è in continuo incremento. U Comune possiede pure una grande fabbrica di 
oggetti in cemento. 

Le istituzioni di beneficenza sono largamente rappresentate in Villafranca. Vi è 
l'Ospedale Morelli-Bugna, fondato dai fratelli Andrea e Pietro Morelli-Bugna, dotato 
di un capitale di 68.000 lire austriache, col quale si doveva dapprincipio provvedere 
alla cura di dieci infermi costantemente. Agli stessi fratelli si deve l'inizio di un 
Monte di pietà istituito in locale attiguo all'Ospedale, con un primo capitale di 12.000 lire 
austriache. Vi è poi un Luogo Pio elemosiniere, sórto mediante legati e capitali lasciati 
da benemeriti cittadini, il quale ha per iscopo di sussidiare i poveri del Comune. Così 
pure attende a quest'ufficio la Congregazione di carità, istituita nel 1862 dal Comune. 
Visone anche le cucine economiche. Un'importante e veramente utile istituzione è 
l'Asilo infantile, il quale cominciò ad avere vita, per iniziativa privata, nel 1882 ed 
accolse in quel primo periodo 50 bambini. Ora il numero dei bambini che ricevono 
cura ed istruzione ascende a quasi 300. Il locale destinato prima, dalla donatrice 
signora Zugnoni, a scuola per le fanciulle, serve ottimamente al suo ufficio. Ai bam- 
bini viene fornita quotidianamente una buona refezione. Provvedono al mantenimento 
dell'istituzione il Comune e la pubblica beneficenza. 

Alle scuole di corso superiore provvede largamente il Comune ed è bellissimo e 
comodo Tedifizio scolastico. Una buona Biblioteca circolante fu istituita nel 1869 per 
iniziativa di Alessandro Rizzini. Malgrado le molte vicissitudini che più volte ne misero 
in forse l'esistenza, oggi la Biblioteca, tutelata dal Comune, possiede un discreto numero 
di opere storiche ed un largo numero di libri di amena lettura. 

Altre istituzioni cittadine di non piccola né trascurabile importanza sono le Società 
operaie di mutuo soccorso. Fra queste noteremo particolarmente la Società operaia, 
floridissima; il Circolo operaio, la Federazione Concordia, la Società Reduci delle patrie 
battaglie. Vi è pure una Società mandamentale di Tiro a segno, che possiede un campo 
di tiro posto nelle vicinanze del luogo in cui Nino Bixio, nella sera del 24 giugno 18G6, 
manteneva l'occupazione di Villafranca, malgrado la disordinata ritirata della rimanente 
parte dell'esercito. 

Invaso il Veneto, nel 1875, da uno stuolo di cavallette devastatrici, vide Villafranca 
venire al seguito di queste un bellissimo uccello abitante le piìì calde regioni dell'Africa 
e dell'Asia ed anche diffuso in certe località del Caucaso, ma assolutamente scono- 
sciuto in Italia, e questo fu il Pastor roseus o stomo roseo. Questo singolare uccello si 
accampò e nidificò in Villafranca in numero grandissimo e vi tenne residenza per tutto 



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148 Pu^ Prima — Alta Italia 



il perìodo fra il 2 giugno ed il 14 laglio. Sebbene la caccia di questo uccello fosse 
proibita, attesi i grandi servizi che esso rendeva in quel momento airagrìcoltura, non 
pochi Tesercitarono nascostamente allo scopo di vendere ai musei d'Europa campioni 
dell'alato nemico delle cavallette rìtraendone forti compensi. Il fatto va notato perchè 
d'interesse naturalistico eminente, avendo il Pastar roseus nidificato ed allevato pic- 
cini solo in Villafranca, fra quanti paesi conta lltalia. Villafranca è pure il punto più 
nordico verso il quale Tuccello in questione si sia spinto. 

Cenno storico. — Sulle origini di Villafranca mancano le notizie sicure, mia si con- 
gettura che il suo nome si riattacchi ad una concessione dell'imperatore Onorio, il 
quale, per sollevare le popolazioni dalla miseria nella quale erano cadute in seguito 
a gravi danni di epidemie e inondazioni, le francò dalle imposte per un lungo giro 
d'anni. Altri fanno risalire l'esistenza di Villafranca ai tempi di Caio Mario, ma ognun 
vede quanto si navighi nell'indeterminato. Certo è che di Villafranca si fa menzione 
in parecchie circostanze nel lungo periodo delle invasioni barbariche. Alarico coi suoi 
Goti l'occupò e la devastò. Attila vi passò e certamente del suo passaggio il luogo 
serbò lungamente traccia. Venuta la volta del passaggio di Ricimero, questi la trovò 
ancora tanto popolata da potervi assoldare truppe. Odoacre prima e Teodorico poi 
l'occuparono e vi tennero presidio. 

Discesi gli Alemanni e piantato il campo in Villafranca scoppiò fra gli invasori 
una terribile pestilenza, la quale si comunicò in breve anche agli abitanti, i quali molti 
ebbero a soflfrime. Mentre Ostrogoti e Greci si disputavano il possesso d'Italia, Teja 
e Narsete vennero successivamente in Villafranca a volta vinti ed a volta vincitori. 
I Longobardi tennero Villafranca alle dipendenze di Verona e le cronache del tempo 
di Autari fanno menzione di una piena dell'Adige di tal violenza che il fiume deviò 
dal suo corso e cosperse di un alto strato di ghiaie tutte le campagne che stanno a 
mezzogiorno di Verona, fino a spingersi, quasi, a portar danni a Villafranca. 

Quando il dominio longobardo cedette il posto a quello dei Franchi, Villafranca 
fu incorporata in quella divisione feudale, la quale ebbe nome di Marca Trevigiana. 
Da quel tempo si tace di Villafranca fino al giorno in cui, nel 1200, fu iniziata la costru- 
zione del castello, del quale abbiamo brevemente accennate le vicende. E d'allora 
tutta la storia di Villafranca può dirsi intimamente connessa a quella del suo castello. 

Quando intomo a questo non rumoreggia suono d'armi, Villafranca prospera tran- 
quilla ed attende pacificamente alle fruttifere fatiche dei campi; quando gli armati 
si appressano e si contendono presso i suoi colli od intomo al suo castello, soffre di 
tutte le peripezìe che alla guerra si connettono: incendi, saccheggi, stragi. 

Ma è nel testé decorso secolo che Villafranca prende posto nella storia per gli 
interessanti avvenimenti i quali si sono svolti nel limite del suo territorio. Essa fu 
successivamente meta di contendenti numerosissimi eserciti e di misteriose trattative 
diplomatiche. 

Bonaparte, il primo, tenne stanza in Villafranca nel 1796 quando, sconfitti gli 
Austriaci a Borghetto, si avviava sopra Verona. Da Villafranca prese le mosse per 
avviarsi alle battaglie di Arcole e di Sanguinetto. In tutto quel periodo, cosiddetto 
delle guerre d'Italia, dal 1796 al 1801, Villafranca vide spesso passare a volta a volta 
Francesi ed Austriaci ; una seconda volta essa vide aspra battaglia sul cadere della 
fortuna napoleonica, quando le armate del regno d'Italia, guidate dal viceré Eugenio 
di Beauhamais, si scontrarono con quelle austriache che, condotte dal maresciallo di 
Bellegarde, muovevano alla riconquista del Lombardo-Veneto ed alla ristorazione di 
tutti i principotti e dinastie che il turbine rivoluzionano aveva spazzato via dalle 
terre italiane. 

La battaglia ebbe luogo nel 1814 agli 8 di febbraio e fu lungamente contrastata 
e micidialissima, ma alla fine la fortuna volse favorevole alle armate austriache, le 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Villafranca di Verona 149 



quali dalla vittoria ebbero aperta la via alla Lombardia. Sui campi di Villafranca può 
dirsi cadde veramente la fortuna napoleonica in Italia. 

I successivi movimenti di ribellioni agitatesi dal 1814 al 1848 in Italia non ebbero 
eco alcuna in Villafranca, né alcun avvenhnento importante si svolse nell'ambito del 
suo territorio. 

Ma nel 1848 fu ben diversamente. Scacciati dalle rivoluzioni di popolo gli Austrìaci 
da tutta la Lombardia, costretti ad abbandonare successivamente le linee del Ticino 
e dell'Adda per riannodarsi lungo quella meglio difesa del Mincio, Villafranca divenne 
subito centro di avvenimenti importanti. 

L'esercito sardo, portato sulla strada aperta dalla rivoluzione, aveva potuto arri- 
vare dal Ticino al Mincio senza quasi colpo ferire. Deciso l'assedio e la presa di 
Peschiera, il 26 e 27 aprile esso passava il fiume a Goito, a Valeggio ed a Monzam- 
bano, coir intento d'investire il famoso quadrilatero e cioè Mantova, Verona, Peschiera 
prima, per poi occuparsi eventualmente di Legnago, più discosto e meno importante. 
Villafranca divenne allora il centro di ogni avvenimento guerresco. L'espugnazione 
di Peschiera, i tentativi contro Verona da una parte, l'investimento di Mantova, il 
combattimento di Govemolo furono azioni militari le quali irradiarono da Villafranca 
e dal suo territorio. I combattimenti di Sommacampagna e di Custoza, i quali ebbero 
un'azione determinante sulla condotta della campagna, si verificarono nelle sue imme- 
diate vicinanze, e noi ci soffermeremo per il momento su queste due ultime battaglie, 
poiché esse si riattaccano veramente alla storia di Villafranca. 

Battaglie di Villafranca. 

Dopo quasi tre mesi dì continuo battagliare, dall'epoca in cui le divisioni piemontesi 
avevano varcato il Mincio, si' era giunti intomo al 20 di luglio senza che la situazione 
delle due annate, l'austriaca e la sarda, fosse molto cambiata. Se gli Italiani avevano 
potuto contare molti combattimenti vittoriosi ed alcuni anche importantissimi, come quelli 
di Goito, non se n'era tratto sufiiciente profitto. Il maresciallo Radetzky, destreggian- 
dosi in modo da risparmiare, per quanto era possibile, le sue forze attendendo rinforzi, 
aveva sempre evitato uno scontro decisivo, tenendosi sempre sotto la protezione delle 
fortificazioni o veronesi o mantovane e facendo manovrare le sue truppe entro un 
ristretto raggio in modo da poter tenere in continuo all'erta e stancare il nemico. Ma 
il 20 luglio cominciò ad operare attivamente contro la divisione Sonnaz obbligandola 
a sgomberare il terreno fra Rivoli e Sona ed a ritirarsi dapprima in Peschiera poi 
a retrocedere fino a Volta, mentre egli il maresciallo, si stabiliva fortemente lungo 
le due rive del Mincio fra Ponti e Valeggio, la quale ultima locaUtà era stata, impru- 
dentemente, lasciata sguernita dai Piemontesi. 

Uno storico militare, che in un'importante pubblicazione dell'epoca fa la critica 
di tutta questa campagna, dice che al mattino del 23 luglio Carlo Alberto, il cui 
quartier generale era a Marmirolo, venne informato prima dello spuntar del giorno 
della nuova situazione creata dal movimento degli Austriaci. Bisognava portarsi subito 
sulla linea Valeggio- Villafranca-Sommacampagna, con tutte le truppe disponibili, 
togliendo anche l'assedio, appena iniziato, di Mantova e, facendo perno su Valeggio, ope- 
rare una conversione a sinistra, in modo da respingere le truppe di Radetzky dalla 
riva sinistra del Mincio, sulla diritta, separandole così dalla loro base, la quale era 
Verona. L'ordine di concentrazione sopra Villafranca fu dato e nella notte dal 23 al 
24 si trovarono colà riuniti circa 2^.000 uomini, i quali avrebbero potuto cominciare 
ad agire all'alba del 24- prendendo completamente alla sprovvista gU Austriaci, i quali 
non si attendevano a questa mossa. Ma la giornata del 24 fu spesa quasi per intero 
in consigli di guerra, consultazioni, ricerche d'informazioni, che non approdarono ad 
alcun buon risultato. E qui lasciamo la parola al critico militare. 



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150 Parte Prima — Alta Italia 



< Fatto il piano d'attacco Bava fu incaricato del comando e prese le sue dispo- 
sizioni. La sua attenzione doveva portarsi prima di tutto su Valeggio, base e punto 
d'appoggio di tutta Toperazione; ma sia che lo credesse occupato dalle truppe del 
Visconti, al quale aveva dato l'ordine nella notte di ritornarvi, ordine che non era 
stato eseguito, come avrebbe dovuto saperlo, sia che il Bava giudicasse di non avere 
forza sufficiente per fare un attacco simultaneo sopra tre punti, non vi pensò per il 
momento. Non poteva commettere errore pili grave. 

< Una colonna di 9000 uomini sotto gli ordini del duca di Savoia marciò sopra 
Custoza, un'altra di 5000 sotto gli ordini del duca di Genova marciò sopra Somma- 
campagna, fiancheggiata a destra da numerosa cavalleria. Cinquemila restarono in 
riserva sopra un punto intermedio e 2000 restarono a guardia di Villafranca, ove si 
trovavano tutti i bagagli e dove erano state erette barricate e trincee. Le truppe non 
furono messe in movimento che verso le 4 del pomeriggio. Il nemico non era arrivato 
a Valeggio che nel corso della giornata ed era a Custoza ed a Sommacampagna dalla 
sera precedente, ma con assai piccole forze. Occupato dalla sua marcia in avanti, 
lungo il Mincio, ed ignorando la rapida concentrazione dei Piemontesi non aveva colà 
(a Custoza e Sommacampagna) che i 5000 uomini provenienti da Legnago, i quali non 
poterono essere soccorsi a tempo. Attaccati quasi all'improvviso e da forze così supe- 
riori furono ben presto obbligati a cedere il terreno, non senz'avere opposto un'assai 
viva resistenza su qualche punto e specialmente verso il cèntro all'ingresso della 
vai di Staffalo; messi in un disordine completo essi ripiegarono nella direzione di 
Oliosi sul grosso dell'esercito con 4 o 500 uomini fuori di combattimento è lasciando 
1800 prigionieri e 2 bandiere nelle mani dei Piemontesi. Bava, che aveva una cosi 
forte riserva, avrebbe dovuto marciare immediatamente su Valeggio del quale si 
sarebbe dovuto impadronirò. Se poi questi attacchi avessero avuto luogo al mattino 
si sarebbe potuto, inseguendo il nemico, riconoscere le sue forze e riconoscere che 
riguardo alla loro imponenza non si era in errore. 

< Il facile successo che aveva riportato confermò invece il re nel suo errore sulla 
debolezza del nemico, al punto che uno scacco sarebbe stato preferibile per lui in 
quest'occasione. La sua confidenza era tale che egli non considerava l'ingaggiamento 
del domani che come il completamento di quello del giorno corrente, credeva di non 
aver più che ad impadronirsi di Valeggio e spingersi quindi vigorosamente contro il 
nemico per avvilupparlo, e continuò quindi il suo attacco senza pensare a rinforzarsi. 
La brigata di Governolo non era ancora a Coito; le divisioni Ferrerò e Perrone con- 
tinuavano a restare immobili nei pantani di Mantova, mentre i destini d'Italia si deci- 
devano sulle colline di Valeggio e di Custoza. In quanto al Sonnaz, del quale si era 
saputo l'arrivo a Volta, non ebbe ordine che di fare all' indomani una dimostrazione 
per facilitare l'attacco di Valeggio. 

< Invece il combattimento di Staffalo aprì gli occhi di Radetzky e richiamò tutta 
la sua attenzione da quel lato. Giudicando, con una grande sagacia, lo stato delle 
cose, penetrando nelle intenzioni del re e supponendo, come lo doveva fare, che all'in- 
domani avrebbe avuto sulle braccia la piiì gran parte delle forze piemontesi, modi- 
ficò subito il suo piano ed impiegò la notte ad operare un cambiamento di fronte. I 
suoi ordini furono dati e le sue disposizioni prese con un'attività ed un vigore che 
palesarono subito il grande capitano. Portò immediatamente la sua sinistra ed il 
suo centro contro il nemico, fece ritornare in tutta fretta le quattro brigate, le quali 
avevano già passato il Mincio, richiamò ancora deHe truppe da Verona e riuscì così 
a mettere in campo un 55.000 uomini. 

e Si vede che per un duplice errore, il quale stava tutto a vantaggio degli Austriaci, 
i due avversari si ingannavano in senso inverso: il re supponeva 55.000 uomini al 
maresciallo, mentre ne aveva il doppio; il maresciallo supponeva 40.000 uomini al 



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Mandamento e Comuni del Distrette di YiUafranca di Verona 151 



re, il quale avrebbe potuto averli, mentre non ne aveva che 20, e 30.000 se si vuol 
contare la divisione Sonnaz. È sempre molto difficile il conoscere esattamente le forze 
del nemico che si sta per avere contro di sé, su di un campo di battaglia, ma bisogna 
sempre supporre che il nemico si presenti con tutte quelle di cui dispone ed agire 
di conseguenza. Era ciò quello che aveva fatto il maresciallo, ma il re aveva fatto 
precisamente il contrario ed era restato a YiUafranca dalla sera del 23 fino a quella 
del 24, senza nulla apprendere circa le forze ed i progetti dei nemici. Passò anche 
la notte dal 24 al 25 nella stessa ignoranza. 

e Mentre gli Austriaci si accumulavano sul punto decisivo, egli, Carlo Alberto, non 
dubitando di ciò che l'attendeva, lasciava a Goito, a Volta, sotto Mantova più di 30.000 
uomini, dei quali 20.000 almeno avrebbero potuto essere messi in movimento in quella 
stessa notte (dal 24 al 25) e comparire in tempo utile sul campo di battaglia. Le 
disposizioni del Bava per quella giornata consistevano nel fare attaccare Valeggio 
dalle truppe tenute in riserva il giorno innanzi, combinando questo attacco col movi- 
mento di conversione delle colonne di Custoza e di Sommacampagna. Lasciò 3 o 4000 
uomini in riserva a Villafranca, che egli designò come punto di ritirata in caso di 
scacco, punto assai mal scelto come troppo lontano da Goito, ove il nemico avrebbe 
potuto facilmente prevenire i Piemontesi. 

< Radetzky distribuì le sue forze nel modo seguente: piazzò a destra il corpo di 
Wratislaw, una divisione a Borghetto e Valeggio, l'altra a San Zeno e Fornelli ; mise 
a sinistra, fra Custoza e Sommacampagna e fin verso San Giorgio, il corpo d'Aspre. 
Il corpo di riserva prese posizione a San Rocco ed Oliosi, rinforzando nello stesso . 
tempo il centro e la destra. Il corpo di Thurn restò in riserva assai lontano, a Castel- 
nuovo, e sorvegliando Peschiera; i ponti di Monzambano e di Salienze erano guardati 
il primo da due battaglioni ed il secondo da uno solo. 

< I Piemontesi, secondo la loro abitudine e malgrado la necessità nella quale si 
trovavano di occupare prontamente Valeggio, marciarono assai tardi contro questa 
posizione e non toccarono gli avamposti nemici che verso le ore 9. Questo attacco 
era condotto personalmente dal Bava accompagnato dal re. 

< Alla vista della numerosa artiglieria che difendeva la posizione e dei battaglioni 
che, situati sul versante delle alture, potevano prenderlo di fianco, il Bava s'arrestò 
deciso a limitare l'azione ad un fuoco di fucilerìa ed artiglieria, fino a quando i pro- 
gressi delle altre due colonne gli fornissero il momento opportuno per attaccare la 
posizione. Ma le due colonne non si muovevano. 

< II. duca di Genova non aveva finito di prendere tutte le sue disposizioni alla 
Berettara, il punto più importante della sua linea, i suoi viveri non erano ancora 
arrivati ed, infine, sembra che egli avesse ricevuto ordine di non mettersi in marcia 
che alle 11. L'inazione della destra produceva necessariamente quella del centro, il 
quale avanzando da solo avrebbe tutto compromesso. Invece questo ritardo era favo- 
revole al nemico, al quale permetteva di fare arrivare al loro posto, prima dell'inizio 
deirazione, le truppe più lontane. Quando Radetzky ebbe tutte le sue forze in linea 
le mosse contro Custoza e Sommacampagna; il piano dei Piemontesi essendo così 
mandato a monte, poiché il suo successo dipendeva dair avanzarsi delle colonne di 
destra e del centro, la loro sinistra dovette entrare in azione ed il combattimento 
si trovò ingaggiato su tre punti. I Piemontesi attaccavano Valeggio e gli Austriaci 
Custoza e Sommacampagna. I due giovani principi fecero prova in quel giorno di 
molta bravura e di fermezza e le loro truppe ricevettero con un grande vigore gli 
attacchi reiterati dei nemici. A destra il duca di Genova, il quale aveva appena 
4000 uomini, li concentrò abilmente alla Berettara, ove resistette fino a sera respin- 
gendo tre volte di seguito alla baionetta il nemico che ritornava senza tregua all'at- 
tacco. Al centro il duca di Savoia, il quale era assai più in forze, guadagnò un poco di 



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152 Parte Prima - Alta ItaUa 



terreno al principio dell'azione. Una delle sue brigate, le quali secondavano la colonna 
di sinistra, sMmpadronì di una delle colline vicine a questo villaggio e fu anche sul 
punto di entrarvi; Taltra si sostenne intrepidamente nella posizione di Gustoza. Durante 
questo tempo il Bava ed il re si ostinavano contro Valeggio, pur non essendo in grado 
di conquistarlo con la poca forza di cui disponevano, e si tennero tutto il giorno su 
questa posizione senza andare a vedere al centro quel che avveniva, senza servirsi 
della riserva, senza accordarla ai principi, i quali non cessavano di domandarla, e 
con Taiuto della quale avrebbero forse potuto mantenersi nelle loro posizioni fino 
alla notte. 

< Radetzky non si mostrava per questo molto più abile; si teneva sulla difensiva 
a Valeggio e cercava conquistare Gustoza e Berettara prendendole di fronte. La dispo- 
sizione del terreno impediva di valutare le forze dei Piemontesi, ch'egli credeva assai 
più numerose, ma dovette non pertanto finire coir indovinare che era sempre colle 
stesse truppe che egli aveva a fare ed allora, portando una massa considerevole di 
truppe su di una delle ali, avrebbe potuto sormontarla ed obbligare ben presto il 
nemico a mettersi in fuga. Ma non seppe valersi della sua superiorità numerica ed 
attaccò sempre di fronte con lo svantaggio del terreno e senza ingaggiare in una 
volta tutte le truppe che avrebbe potuto. Non fu che dopo sforzi straordinari e dopo 
essere stato respinto più volte alla baionetta che il corpo del D'Aspre riuscì a sta- 
bilirsi sulFaltipiano di Gustoza. Da quel momento il Bava, resistendo più lungamente, 
non avrebbe fatto altro che compromettersi maggiormente e d'altronde le truppe erano 
affaticate e non si poteva più contare sulla cooperazione del Sonnaz. 

< L'ordine di ritirata fu dato su tutti i punti ed il movimento cominciò verso le 6 
di sera. Il centro, il quale non aveva potuto impedire al nemico di arrivare sulle 
alture di Gustoza, continuò a disputargli il terreno passo a passo, dando tempo alla 
destra ed alla sinistra di abbandonare le loro posizioni senza essere sopraffatti. L'ar- 
tiglieria e la cavalleria contennero con fermezza il nemico a distanza ed una ritirata 
la quale avrebbe dovuto essere disastrosa si fece al contrario con abbastanza ordine 
e precisione e senza essere seriamente inquietati; alle 8 tutto l'esercito arrivava e 
si accampava intomo a Villafranca. 

< Le perdite non furono così considerevoli come si potrebbe supporre dalla durata 
della lotta e dall'effettivo dei combattenti e, come sempre capita quando la vittoria 
è dovuta soprattutto al numero, quelle dei vincitori sorpassarono quelle dei vinti 
Gli Austriaci ebbero all' incirca 2000 uomini uccisi o feriti, i Piemontesi 1500. Dalle 
due parti non si fecero prigionieri se non qualche ferito. Gli ufiiciali, i quali davano 
continuamente alle loro truppe l'esempio dell'ardire e del coraggio, ebbero un numero 
di morti e di feriti al disopra della proporzione normale. 

< Tale fu questa battaglia di Gustoza, poco importante come risultato materiale, 
ma che decise non pertanto le sorti della campagna, per l'effetto ch'essa produsse 
sull'esercito piemontese >. 

Alla sera del 25, come abbiamo veduto, l'esercito piemontese era per buona metà 
radunato in Villafranca, estenuato e vinto. Bisognava ritirarsi e il movimento sopra 
Goito cominciò alla mezzanotte, ma procedette lentamente, poiché bisognava mettere 
in salvo le salmerie, e le vie di Villafranca e dei dintorni erano attraversate da bar- 
ricate e trinceramenti. La retroguardia piemontese non partì da Villafranca che il 26 di 
luglio, alle 7 del mattino; fortuna volle che gli Austriaci non tentassero alcun movi- 
mento di inseguimento, poiché altrimenti la sconfitta avrebbe potuto mutarsi in disastro. 
Villafranca non fu occupata dagli Austriaci che alcuni giorni dopo. 

Dovevano passare più di dieci anni prima che a Villafranca si vedesse sventolare 
ancora la bandiera d'Italia. Dopo le battaglie di San Martino e Solferino il generale 
Mac-Mahon, passato il Mincio a Valeggio, veniva ad accamparsi coi suoi famosi zuavi 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Villafranca di Verona 15B 



in Villafranca. Anche allora si palpitò sperando giunto il momento della liberazione, 
ma non doveva essere così. 

La mattina deiru luglio un grave avvenimento si verificava in Villafranca, rin- 
contro cioè dell'imperatore Napoleone III, alleato di Vittorio Emanuele, con Francesco 
Giuseppe, imperatore d'Austria. A questo incontro aveva preceduto la conclusione di 
un armistizio conchiuso in Villafranca stessa su richiesta dell'imperatore Napoleone, 
fra il maresciallo Vaillant, il generale Martimprey, rappresentanti della Francia; il 
generale Hers ed il tenente maresciallo Mendsforf per paite dell'Austria ed il gene- 
rale Della Rocca come rappresentante del Piemonte. In questa convenzione, composta 
di dodici articoli, veniva stabilita una sospensione d'armi a tutto il 15 agosto 1859. 
Villafranca veniva dichiarata città neutra e così avvenne che, sgombrata dai Francesi, 
vi si tenne il convegno riferito fra Napoleone e Francesco Giuseppe. 

I due imperatori si riunivano in una sala della casa Gandini-Morelli-Bugna, accolti 
al loro arrivo assai freddamente dalla popolazione, la quale non si aspettava nulla 
di buono da un colloquio al quale mancava una delle parti contendenti e la più inte- 
ressata alla soluzione della questione italiana, e cioè il rappresentante del Piemonte. 

Quello che uscì da quel colloquio lo sanno tutti gli Italiani. Napoleone, intimorito 
dagli armamenti che la Prussia stava facendo sul Reno ai suoi danni, propose la pace 
a Francesco Giuseppe sulla base della cessione della Lombardia e del non intervento 
per quanto si riferiva all'azione delle potenze verso i ducati e verso la Toscana. 

L'imperatore d'Austria, il quale, dalla continuazione della guerra, temeva che 
anche il Veneto andasse perduto non solo, ma che la Prussia soppiantasse l'Austria 
nell'egemonia della Confederazione Germanica, accettò. E da quella conferenza usci- 
rono quegli umilianti preliminari di pace, secondo i quali, se la monarchia di Savoia 
veniva ad essere ingrandita della Lombardia, si tradivano le speranze di tutti gli Ita- 
liani, ai quali si era promesso di fare l'Italia libera dall'Alpi all'Adriatico e dall'Alpi 
al capo Passero. 

Sulla facciata della casa Gandini, ove questo accordo fu concluso e dove si sperò 
forse dai contraenti di aver posto definitivo assetto alle cose d'Italia, fu posta una 
lapide la quale ricordasse ai posteri l'avvenimento. Dice la scritta: Napoleone III 
imperatore dei Francesi — Francesco Giuseppe I imperatore d* Austria — Pll luglio 
1859 — soscrivevano qui — il memorando trattato di pace — a perenne ricordo — la 
famiglia Morelli- Bugna pose. 

Così il nome di Villafranca si legò ad uno dei più importanti atti politici che si 
siano compiuti in questo secolo. Ma non per l'ultima volta d'allora esso doveva fare 
apparizione nella nostra storia del Risorgimento. Compiutasi, per volontà della nazione 
e per irresistibile impeto rivoluzionario, in gran parte quell'unità alla quale Napoleone 
aveva creduto poter porre ostacolo colla pace di Villafranca; annessi i ducati, le 
Romagne, le Marche, la Toscana per volontà dei plebisciti; conquistato, dalla spada 
di Garibaldi, tutto il Mezzogiorno e proclamato il Regno d'Italia, una nuova guerra 
si rendeva inevitabile per strappare all'Austria le Provincie venete che essa ancora 
deteneva in dominazione. 

* * 

Non è nostro compito dire qui come lo scoppio delle ostilità avvenne nel 1866; 
invece dobbiamo ancora rilevare come sui colli di Custoza ancora una volta venisse 
deciso della sorte di una campagna, la quale, cominciata con un esercito italiano, 
solamente italiano, di quasi 300.000 uomini, dava adito alle più grandi, ma giuste, 
speranze di vittoria e di gloria. 

Sul Mincio erano stati concentrati nel giugno tre corpi d'armata e si componevano 
di 136.000 uomini, con 23.977 cavalli e 282 cannoni sui 250.000, con 36.850 cavalli e 
466 pezzi di artiglieria di cui si componeva l'esercito regolare allora mobilizzato. 

69 — t«a Patria» voi. I, parte 2^. 



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154 I^A<^ Prima — Alta Italia 



Contro queste forze Farciduca Alberto, comandante austriaco, non poteva mettere, in 
nessun caso, in campo aperto più di 70 od 80.000 uomini. Come avvenne che noi 
fummo sconfitti e non gli Austriaci è cosa non ancor bene spiegata oggi. D Tivaroni, 
nella sua Storia critica del Risorgimento Italiano^ così scrive: 

< Naturalmente La Marmerà non rifletteva che una vittoria sul Mincio poco 

giovava e ne richiedeva una seconda sull'Adige, mentre il passaggio del Po, assicurato 
Borgoforte, prendeva a rovescio le fortezze. 

< Diviso l'esercito. La Marmerà il quale credeva l'esercito austriaco sul basso Adige, 
voleva con una ricognizione tentar di richiamarlo alle fortezze per facilitare a Cialdini 
il passaggio del Po e dell'Adige fissato per la notte dal 25 al 26 giugno, dopo di che, 
tentata una battaglia sopra Verona, avrebbero forse marciato assieme su Vienna se 
non si fosse presentato necessario di osservare le fortezze con una ragguardevole 
parte delle forze. Quell'operazione di guerra che La Marmerà, per mostrarsi conse- 
guente a quanto aveva detto nel convegno con Cialdini a Bologna, chiamava una seria 
dimostrazione, mirava ad occupare le alture di Santa Giustina, Sona e Sommacampagna 
per minacciare le comunicazioni tra Verona e Mantova, isolare Peschiera e far libero il 
passo a Cialdini. 

< L'arciduca Alberto, a sua volta, compreso che l'esercito italiano si divideva mentre 
s'era posto nella posizione centrale, Montagnana, Megliadino, San Fidenzio e Lonigo, 
sulla sinistra dell'Adige, per provvedere da essa a tutti i casi, il 22 giugno decideva d'as- 
salire prima La Marmerà per piombare poi, potendo, su Cialdini e rompere i due eser- 
citi separati, comprendendo che in caso d'insuccesso poteva ritirarsi o nelle fortezze o 
nell'interno dell'Impero prima che Cialdini arrivasse, per cui, con una rapida marcia 
occulta, cominciata il 22, si portava sulla regione collinosa del Garda, da Gustosa a 
Verona. Dell'abbandono delle linee dell'Adige, ad onta che con La Marmerà vi fosse 
un servizio di informazioni pel Veneto diretto da Alberto Cavalletto, non giungeva 
notizia in tempo al campo italiano. Diguisachè l'esercito di La Marmerà muoveva il 23 
verso il Mincio senza prevedere battaglia e l'esercito austriaco credeva probabilmente 
a sua volta d'incontrare l'italiano colla sinistra a Villafranca, diretto ad attraversare 
il basso Adige per congiungersi con Cialdini, quando invece se lo trovava di fronte. 

< Ghiaia ritiene che se la sera del 22, invece di ordinare la ricognizione pel 23, 
si fosse senz'altro ordinato che si occupassero le alture, non si sarebbe incontrato 
alcun ostacolo e quindi si sarebbero rotte, come si voleva, le comunicazioni fra Verona 
e Mantova e si sarebbe presa una forte posizione nel mezzo del Quadrilatero. Ma il 
La Marmerà aveva l'abilità di passare il Mincio, disperdendo le sue truppe su 40 chi- 
lometri, mentre l'arciduca spiegava non più di 94.000 uomini (73 a 74.000 secondo 
Rustow, La guerra del 1866) sopra una linea di soli 15 chilometri, così perdendo 
La Marmerà il vantaggio del numero: una divisione del 1"* corpo doveva rimanere 
sulla destra del Mincio, due divisioni procedere su Sona, Santa Giustina, Colà e Pacengo, 
le quattro divisioni del 4<' corpo dovevano disporsi tra Villafranca e Sommacampagna a 
sinistra collegate col \^ corpo, a destra col ÌP, il quale doveva occupare Roverbella 
e Marmirolo, mentre Nunziante doveva agire sopra Borgoforte e due divisioni del 
T corpo occupare Curtatone e Montanara, inoltrarsi nel Serraglio e minacciare la strada 
fra Mantova e Borgoforte. La divisione Cerale del 1<> corpo doveva passare il Mincio 
a Monzambano e marciare verso Castiglione per la strada da Valeggio, poi a Sandra, 
Colà e Pacengo; la divisione Bixìo doveva occupare Ganfardine, la divisione Cugia 
Sommacampagna, la divisione principe Umberto avanti a Villafranca, la divisione 
Covone in riserva 

< Dunque La Marmerà si cacciava, il 24 giugno 1866, in mezzo al triangolo Peschiera, 
Mantova, Verona, con l'Adige a fronte e il gran campo trincerato ed il Mincio alla 
spalle, conducendo dieci sole delle venti sue divisioni e facendole seguire da tutti i 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Villafranca di Verona 155 



bagagli, movendo al passaggio del Mincio da Pacengo a Villafranca senza prevedere 
battaglia, imperocché neanche il servizio di avanscoperta della cavallerìa aveva pro- 
dotto alcun'utile notizia, sebbene gli Austriaci avessero occupate le colline di Salienze, 
di Oliosi, di Sommacampagna fino a Castelnuovo. Quali si fossero le opinioni dell'ar- 
ciduca Alberto sul punto in cui avrebbe trovato l'esercito degli Italiani dalle alture 
occupate dai suoi, egli deve aver veduta la disposizione delle truppe nemiche ed in 
ogni modo il suo era un attacco preordinato per ricacciarlo al di là del Mincio. La 
difesa invece riusciva improvvisa, < tanto che le truppe, quasi sbalordite, non oppo- 
sero dapprima quella resistenza che si sarebbe desiderata, per quanto poi in alcuni 
luoghi si comportassero valorosamente e la battaglia — evidente e chiaro difetto di 
mente direttrice — degenerava in combattimenti parziali e successivi, slegati, senza 
scopo generale > (così il gen. Ghie, La guerra delVanno 1866); mentre l'arciduca 
addensava i suoi battaglioni sul centro nemico, a Custoza, per rovesciarlo. 

< La 1» divisione Cerale muoveva da Monzambano per Veleggio, Oliosi e Castel- 
nuovo, Sirtori da Valeggio a Santa Giustina, Brignone procedeva da Veleggio per 
Custoza e Sona; a destra la divisione principe Umberto, per l'ampia strada di Villa- 
franca, Bixio dal Belvedere alle Ganfardine, Cugia a Sommacampagna, Govone presso 
Pozzo Moretto. 

< L'arciduca faceva avanzare a Castelnuovo Rupprecht, Rodich a San Giorgio in 
Salici e Zerbare, Hartung a Sommacampagna; in riserva Maroicic, tra Sona e Casazze, 
la cavallerìa a sinistra tra Calzoni e Dossobuono, Hartung e Lichtenstein al centro 
sorretti da Maroicic, Pulz a sinistra con cavalleria; Rupprecht coU'incarico di colpire 
fortemente sulla destra italiana, rovesciarla sul centro, gettarla nel fiume, possibil- 
mente girando poi alle spalle da Monzambano a Valeggio. 

< La Marmora, dicono, non si avvedeva che la sinistra austriaca era più debole e 
quando se ne accorgeva era troppo tardi, nulla tentava per valersene. Egli aveva 
disposto una marcia di ricognizione con una metà delle sue divisioni ed ora si trovava 
assalito per via. All'arciduca invece fu attrìbuito il proposito di assaltare obliqua- 
mente l'ala sinistra italiana, mettendo il suo esercito intiero a fronte dell'uno e poi 
dell'altro corpo nemico; ma accusato anch'egli di non aver saputo serrare le file sui 
corpi sparsi, conche avrebbe più facilmente vinto, cominciava la battaglia con un finto 
attacco della cavallerìa a destra alle Ganfardine, sulla strada di Sommacampagna, dove 
la divisione del prìncipe Umberto, poiché Bixio mandava a dire al principe che egli era 
alle Ganfardine, cioè a 6 chilometri avanti alla sinistra del principe, mentre invece 
stava indietro, trovatasi di sorpresa colpita dalla cavallerìa di Pulz si foimava in qua- 
drato, il prìncipe nel quadrato del 4" battaglione del iQ"" reggimento (brìgata Parma), 
non accorgendosi il comandante del corpo Della Rocca che era un solo squadrone che 
attaccava ed avendone sottomano 32, anzi non saliva neppure sul campanile per 
abbracciare la pianura da Sommacampagna a Verona e contare il nemico ad occhio 
nudo. Guerzoni, nel suo Nino Bixio, dice: < Diirante la giornata di Custoza parve che 
i paesi non avessero campanili, tanto poco si pensava da quanto si legge nelle varìe 
relazioni, a scrutare le mosse del nemico dall'alto >. Nessuno essendosi accorto della 
cavalleria concentrata sull'ala sinistra, nessuno pensando di avvolgerla per impedirle 
la ritirata su Verona, solo Bixio accorrendo e con ciò solo respingendola, perdendovi 
solo 52 uomini fra morti e feriti e 114 mancanti. 

< Alla sinistra Sirtori, smarrita l'avanguardia, comandata da Villahermosa, avviata 
per informazioni di contadini sulla via migliore per Fornelli e San Rocco di Palazzolo, 
poiché gli ufiBciali italiani non avevano famigliarità colle carte topografiche, e quindi, 
non trovata l'avanguardia a Fornelli, avanzava sull'assegnatagli di Santa Lucia, dispo- 
neva i battaglioni a destra e a sinistra della cascina Pernisa, con 4 pezzi, e, passato 
il piccolo torrente Tiene, urtava alla cieca nel nemico, tutta la sinistra austriaca, 



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156 Parte Prìmt - Alta Italia 



80.000 uomini, con Rodich anche, alle spalle alla Parnisa e là, invece di raccogliere le 
sue forze indietreggiando, si ostinava a tener testa per quattro ore alla Pemisa, al 
Feniletto, a Santa Lucia, perdendo 3 cannoni; respinta a fascio nel burrone del Tione la 

brigata Brescia e, dovendo 
~ allora ripassare il torrente, 

lasciava scoperta la brigata 
Valtellina contro la brigata 
Bauer; Sirtorì afiérmando 
neir//a/ia Militare ch'era 
stato costretto a ritirarsi 
dalla rotta della divisione 
Cerale e da quella Brignone. 
Così ad Oliosi la divisione 
comandata da Cerale, valo- 
roso soldato ma mediocre 
strategista, il quale, per evi- 
tare il fuoco di monte Croce 
da Peschiera, invece di se- 
guire la più breve via pre- 
stabilitagli, aveva disceso il 
Mincio fino a Valeggio per 
precedere di là la strada di 
Castelnuovo, dove doveva 
recarsi. Raccolta V avan- 
guardia di Sirtori, coman- 
data da Villahermosa, mar- 
ciando alla sinistra di Sir- 
tori, più indietro incontrava 
Rupprecht, ma non resisteva 
neppure un'ora. Combat- 
tendo Villahermosa ad O- 
liosi, Villarey al Cricol, Ce- 
rale imperterrito per la via 
deirAlzarea con la brigata 
Pisa; invece d'indietreg- 
giare alle prossime alture, 
la brigata Forlì veniva rotta 
da una carica di uno squa- 
drone di ulani di Sicilia e 
da un attacco di fianco della 
brigata Piret, caduto Ce- 
rale, il suo stato maggiore 
disperso, fuggiti e disfatti 

Fìg. 48. — Sommacampagna : Ossario di Gustoza. verSO V aleggio e verSOMon- 

zambano, morto Villarey al 
Cricol contro la brigata Benko; il colonnello Dezza resistendo alle Maragnotte. Presso 
Oliosi il capitano Baroncelli con 38 uomini si difendeva sinché poteva in una casa; ma, 
venendo essa bruciata, faceva rompere a brani i pezzi della bandiera e li distiibuiva 
tra i presenti perchè li custodissero e li restituissero come fu fatto dopo la prigionia. 
< Frattanto La Marmora faceva portare la divisione Brignone sul monte Tabor e 
monte Croce che, guardando il piano di Villafranca, offriva il fianco ad Hartung a 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Villafranca di Verona 157 



Sommacampagna. Mentre la brigata Bock mirava ad occupare monte Godio per Custoza, 
la brigata Weckbecker ad assaltare monte Croce, avendo in sostegno la brigata Kirch- 
sberg e, mentre Della Rocca non si muoveva da Villafranca, che riteneva la chiave 
della posizione; Brignone, a 
monte Croce e a monte Torre, 
si difendeva per tre ore, fin 
verso le il, contro il generale 
Hartung, con le brigate Weck- 
becker e Bock, respinti tre at- 
tacchi, trovavasi abbandonato 
da molti soldati. A Custoza la 
brigata Granatieri di Lom- 
bardia del principe Amedeo, . 
< dopo un breve e confuso com- 
battimento , si scompigliava 
quasi tutta >, quando aveva 
ordine di agire di fianco alle 
colonne austriache che dalla 
Berettara muovevano all'at- 
tacco di monte Croce, ed al- 
l'attacco della Cavalchina ve- 
niva ferito lo stesso principe 
Amedeo; occupata, dopo 3 ore, 
la Cavalchina stessa, difesa dal 
capitano Cragnotti con altri 
4 ufficiali e 50 uomini fatti pri- 
gionieri. 

< Narra il Chiala che alla 
casa di monte Torre il colon- 
nello Boni, fatto suonare il 
silenzio, diceva ai suoi : < Io 
credeva di comandare il più 
bel reggimento dell'armata e 
ne ero superbo, ma piuttosto 
di retrocedere e di vedere in 
esso la benché minima confu- 
sione io prendo la bandiera e 
vado a morire con essa in 
mezzo ai nemici. A me la ban- 
diera >. — < No, no, gridavano, 
a noi la bandiera, noi la con- 
serveremo ; comandi , colon- 
nello, essa sarà sempre ben p.^ ^g _ vi„afranca di Verona : Monumento del Quadrato 

difesa >. Il colonnello Ferrari dei 24 giugno 1866. 

liberava la casa di monte Torre 

e monte Croce, perduto. Alle 11 Brignone, fulminato, ritiravasi dalla Berettara, dalla 

Cà del Sole, poi da Godio ; ferito il generale Gozzani di Tréville, perduti 5 cannoni e 

quasi un quarto del suo effettivo, sempre indietreggiando fino a monte Croce, poi a 

Belvedere; infine a Custoza sostituito dalle divisioni di Cugia e di Govone. 

€ A sinistra Sirtori, al Tione, dopo essersi riordinato, riconquistava la Pernisa, ma 
non riceveva soccorsi. Durando accorreva a raccogliere i dispersi della T divisione 



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158 Pt^rte Prima - Alta ItaÙa 



ed abbarrava la via che mena a Valeggio, non opponendo neppur egli lunga resi- 
stenza. Pianell faceta testa presso casa Pasquali e sul monte Sabbione. Ma la destra 
continuava a rimanere immobile a Villafranca. 

< Vittorio Emanuele, ignorando le peripezie della battaglia, da Valeggio si ritirava 
a Cerlungo. La Marmerà, che aveva desiderio di veder tutto, andava ad informarsene 
in persona, aggirandosi per ove si combatteva ed invece di diramar ordini si trovava 
impegnato in prima fila; verso le 3 alle 4 pomeridiane andava in cerca di Longoni 
ed Angioletti, partiti tardi da Castellucchio, rimasti indietro a Goito, a 15 miglia, per 
coprire la ritirata, egli cavalcava e la battaglia andava da sé, secondo le disposizioni 
di marcia, nessuno la comandava. 

< Al tocco Durando, alla Mandricarda ed a monte Vento, contrastava il passo alle 
brigate Moring e Piret. Verso il fiume le brigate Benko e Weimar minacciavano Pianell. 
Durando ferito, la divisione si ripiegava a Fenili su Valeggio. Pianell, per suo conto, 
respingeva Rupprecht e una colonna uscita da Peschiera, che però non aveva attac- 
cato con impeto ; quindi raccoglievasi a Monzajnbano, contribuendo, vien detto, con 
tale movimento, a contenere la destra degli Austriaci, e poi si ritirava, per ordine, 
da Cerlungo, al di là del fiume, a Volta. 

< Sirtori, verso le 3, vedendo sopravvanzata la sua sinistra dalla brigata Piret e 
minacciato di fronte dalla brigata Moring, abbandonava combattendo le alture di via 
Cava, Santa Lucia, la Pemisa, le Muraglie, lasciando così libero il V corpo austrìaco, 
che si volgeva contro Covone, e rìducendosi a Valeggio e, anch'egli passato il fiume, 
andava a Volta, credendo impossibile la difesa di Valeggio in caso di probabile attacco 
e non voleva ritornarvi, ad onta degli ordini di La Marmerà e del re, i quali man- 
davano: < Chi comandava Valeggio tenesse sotto la sua stretta responsabilità, ad ogni 

costo, quella posizione >, ritenendo Sirtori di non poter assolutamente difendere 

Valeggio contro forze preponderanti e inseguenti, un fiume alle spalle e un solo ponte 
per la ritirata. La ritirata di Sirtori faceva abbandonare, alle 5, monte Vento alle 
truppe del 3<> corpo, che altrimenti vi sarebbe rimasto, < il che faceva che la bat- 
taglia di Custoza divenisse non più un insuccesso, ma una sconfitta >. Dopo le 
11 Covone col colonnello Boni, sostenuto da Cugia, riprendeva Custoza, assaliva e 
riprendeva Belvedere contro le brigate Bock, Scudier e Weckbecker, per cui contro 
di lui e contro Cugia l'arciduca lanciava la riserva; il 1^ corpo Maroicic con le brigate 
fresche Toply, Welsesheimb e Bauer, 13.000 uomini, le quali, avviatesi in cinque colonne, 
4 verso Belvedere, una su monte Croce ; respinte alla sinistra, obbligavano, verso le 
3 e mezzo, Cugia sulla destra ad abbandonare monte Croce ed a ritirarsi per Pozzo 
Moretto a Villafranca; mentre Della Rocca, secondo Tordine avuto la mattina di stare 
a Villafranca e, sebbene sentisse il cannone a Custoza, non si muoveva, neppure badando 
alle preghiere del principe Umberto e di Bixio, né ai suggerimenti del re, quando un 
soccorso da Villafranca o una diversione su Sommacampagna, che l'arciduca temeva, 
avrebbero bastato ad assicurare la giornata, tanto egli aveva la convinzione che la 
sua missione consisteva nel salvare Villafranca; solo sul tardi, ordinando alla 9* divi- 
sione di muovere verso monte Torre; Covone, lasciato solo, preso d'ogni parte, dovendo 
indietreggiare dal Gorgo, dal MafTei, dal Belvedere, a Custoza e a monte Torre, poi 
per Villafranca, infine a mezzanotte a Valeggio. 

< Alla sera Della Rocca e Bixio ripassavano il Mincio a Pozzolo, coprendo almeno la 
ritirata, questi sfogandosi a ributtare i cavalli di Pulz e le brigate Kirchberg e Toply, 
Il ponte di Goito veniva custodito da Longoni e da Angioletti, che non avevano com- 
battuto. Anche la divisione Pianell sosteneva la ritirata, scortando la riserva d'artiglieria 
che manteneva il fuoco. 

< Mai una battaglia era stata combattuta con maggior vigore e valore da parte 
dei soldati e degli ufficiali, mai una battaglia divenuta, per mancanza di direzione, 



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Mandamento e Ck>miini del Distretto di Villafranca di Verona 159 



im combattimento di divisioni slegate, era stata perduta per minor criterio del capo. 
Imperocché se l'arciduca non raggiungeva tutto intiero il suo scopo di rovesciare 
resercito italiano e se la vittoria di Custoza non poteva perciò, come vuole Ghiaia, dirsi 
definitiva, che tale sarebbe stata soltanto con Toccupazione di Valeggio da parte sua, 
mutandosi in insuccesso colPoccupazione di Sommacampagna da parte degli Italiani, e 
se Valeggio veniva sgombrato senza necessità, e se pure il tentativo di schiacciare la 
divisione Cerale per girare alle spalle T esercito italiano, tagliandogli la ritirata al 
Mincio, non era riuscito per la resistenza delle divisioni Cerale e Sirtori e dei movi- 
menti di Pianell; e se la tenacia delle due divisioni, prima di Brìgnone, poi di Covone 
impediva che il centro venisse separato dalla destra in Villafranca; se F immobilità 
della destra a Villafranca giovava anch'essa ad impedire che Custoza pur da questo 
lato venisse avvolta; se, adunque, nell'insieme il piano dell'arciduca non riusciva com- 
pleto, in ogni modo era perdita l'aver dovuto, seppur si trattasse di una semplice 
ricognizione, mentre la marcia mirava invece ad un'occupazione permanente delle 
alture, l'ayer dovuto indietreggiare con tutto l'esercito, con due divisioni rotte, Cerale 
e Sirtori, e due disfatte, Brìgnone e Govone; era perdita il ripassare il Mincio, dopo 
aver lasciati i corpi avvolti, isolati, senza speranza di aiuto uno dall'altro, combat- 
tenti per proprio conto senza coordinamento. Il capo di stato maggiore qua e là si 
era trovato soldato audacissimo, quasi solo in là di Villafranca, galoppante in mezzo 
al fuoco, conducente da sé le divisioni a prender posizione come un capitano di stato 
maggiore e poi dimenticitva le divisioni Cosenz e Nunziante, tra Custoza e Mantova, 
e lasciava immobile quella di Villafranca, inoperosa quella di Coito, nulla compren- 
dendo del piano del nemico, nulla provvedendo per rafforzare i punti deboli suoi. La 
prima volta, dopo mille e cinquecento anni, che i soldati di tutta Italia trovavansi 
uniti contro il comune nemico, la fatalità voleva che il loro comandante non sapesse 
valersene, sembrando destino che l'Italia dovesse costituirsi senza gloria militare. 
Certo che ogni circostanza secondaria, come quella che il re non aveva simpatia per 
La Marmerà e che Della Rocca e Cucchiari non lo potevano soffrire, aveva la sua 
importanza, imperocché sono le circostanze secondarie che concorrono a determinare 
i risultati delle grandi imprese ; ma era La Marmerà che, malissimo informato delle 
mosse del nemico, aveva raccolto il maggior nerbo dell'esercito sopra Villafranca, dove 
credeva d'essere assalito, mentre veniva preso di fianco; era La Marmerà che, c61to 
all'improvviso da questo attacco, non sapeva orizzontarsi, non sapeva ordinare un 
movimento in avanti delle divisioni da Villafranca a Coito; era La Marmerà che non 
sapeva adoperare le quattro divisioni di Cucchiari a Coito. Non era solo Mazzini che 
giudicasse < un favoloso disordine nelle mosse secondarie e l'assoluto difetto d' un 
insieme nelle marcie e nelle operazioni affrettarono il rovescio di Custoza > ; non erano 
solo i Prussiani che dicessero: < una tale sconfitta, senza La Marmerà, sarebbe stata 
una vittoria >; era l'evidenza che s'imponeva. 

< Secondo la Relazione dello Stato maggiore austriaco combattevano a Custoza 
94.180 Austriaci, con 13.278 cavalli e 150 cannoni. Secondo Chiala gli Italiani erano 84.705 
con 6900 cavalli e 192 pezzi, comprese le 4 divisioni di Cucchiari, per cui La Marmerà 
aveva avuto il talento, mentre avrebbe potuto disporre in linea di battaglia di forze 
preponderanti , di opporre 50.000 uomini, in realtà combattenti, contro 94.000. 

< Le perdite italiane risultavano in 1155 morti, 2547 feriti, 3669 prigionieri, in tutto 
7371 uomini e 5 cannoni; le perdite austriache in 1946 morti, 3858 feriti, 2152 pri- 
gionieri, in tutto 7956 uomini, quasi uguali; ma la differenza stava in ciò: che gli 
Austrìaci avevano vinto e gli Italiani perduto >. 

Questa è una delle più miti ed imparziali relazioni che sul grande avvenimento, 
le cui conseguenze pesano ancor oggi sull'Italia, ci sia stato dato di leggere, e perciò 



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160 Parte Prima - Alla lUHa 



rabbiamo riprodotta per disteso anche perchè ci rìsparmierà di ritornare suirargo- 
mento quando, proseguendo, avremo occasione di parlare delle varie località ove la 
battaglia si svolse od ebbe azione. 

Oggi tre monumenti ricordano nel territorio ì principali avvenimenti e gli episodi 
della battaglia. SuH'altipiano di Custoza un ossario raccoglie i resti di quanti perirono 
nella disputata giornata (fig. 48); un obelisco ad un chilometro da Villafranca, sullo 
stradale di Verona, segna il luogo ove si formò il quadrato del 49° fanteria, che rac- 
chiuse dentro di sé e salvò dal cader prigioniero il principe ereditario Umberto contro 
un improvviso attacco di uno squadrone di ulani (fig. 49). Un terzo monumento, presso 
la cascina detta Cavalchina, mostra il luogo ove il principe Amedeo fu ferito da una 
palla di rimbalzo; ma soprattutto ricorda il valore dispiegato in quella località dal 
3<* reggimento granatieri, i quali in quella giornata si distinsero in particolar modo. 

Sulla fronte dell'Ossario sta quest'iscrizione: Ai prodi caduti — nelle battaglie 
del 25 luglio 1848 — « 24 giugno 1866 — Italia 1879. — Nel tempietto dell'Ossario: 
Nemici in vita — morte li adeguò — pietà li raccolse. 

Ck)sì nella terra di Villafranca, per tre volte si tentò colle armi il destino d'Italia 
e per tre volte la sorte ci fu contraria, non per mancato valore di soldati, non per 
deficienza di spirito di sacrifìcio, di ardente patriottismo, ma per assoluta inabilità di 
generali. Villafranca fu libera nell'ottobre 18G6. 

Uomini illustri. — Molti uomini illustri può vantare Villafranca di aver dato alla 
patria in ogni tempo, a cominciare da Arnaldo da Villafranca, amico del Petrarca, vis- 
suto nel XIV secolo, insigne grammatico, poeta e musicista ad un tempo, e Petrarca 
ebbe per lui larghissimi elogi. — Di straordinario valore, come artista, fu Giovanni 
Maria Pomedello, cesellatore, il quale preparò medaglie di grande pregio, fra le quali 
queHa di Federico II, marchese di Mantova ; di Giovanni Emo e Tommaso Moro, pre- 
fetti di Verona; di Lodovico di Canossa, vescovo di Bajeux; di Santo Stefano, la quale 
ha la data del 1519. — Buon pittore fu pure Jacopo Tumicelli, vissuto tra il 1786 ed 
il 1828, il quale lavorò in Padova ed in Venezia e lasciò quadri di molto pregio, fra 
cui la Maddalena, il Tempo che svela la verità ed un Cristo che oggi adorna il frontone 
del castello di Villafranca. — Ingegnere valente, specie come idraulico, fu Giuseppe 
Rensi, il quale progettò il prosciugamento delle Grandi Valli Veronesi e partecipò 
all'esecuzione di moltissimi altri lavori pubblici; fu anche architetto e sua opera è 
l'Ospedale civile di Verona. Scrisse poi lavori apprezzatissimi intorno ad argomenti 
tecnici. — Altra notorietà nata a Villafranca fu il prof. Zuliani, il quale insegnò è scrisse 
d'ogni argomento. Le sue opere vanno da una Grammatica francese a romanzi e poesie 
d'ogni specie. Fu musicista e pittore ed in ogni cosa dimostrò ingegno pronto e versatile. 

Tra i moderni potremmo citare lo scultore Trojani, il pittore Fantoni ed altri. Ma 
a tutti sopravvanza Angelo Messedaglia, economista e statista di grande valore ed 
apprezzatissimo nel mondo degli scienziati. Insegnò economia politica a Padova. Fu 
deputato del Collegio I di Verona dal 1866 al 1883, indi senatore nel 1884, ove fu 
relatore di leggi importantissime e specie di quella suH' imposta fondiaria. Sue ppere 
principali sono quelle riguardanti questioni di economia politica e di statistica, seb- 
bene non manchino suoi lavori, davvero pregevoli, d'indole letteraria. Fra le opere 
principali date alla luce dal Messedaglia, nella sua lunga e laboriosa esistenza, sono: 
Dei prestiti pubblici e del miglior sistema di consolidazione (1850); Della teoria della 
popolazione (Verona 1858); La statistica criminale deW Imparo Austriaco (1864-66); 
La scienza nelVetà nostra (1874); // calcelo dei valori medii (1884); La moneta e il 
sistema monetario in generale, opera recente e sopra ogni altra importante, poiché 
vi è sviscerata con vera scienza la questione monetaria, così preoccupante per gli 
Stati moderni e specie per il nostro. 

Coli, elett. Verona I — Dioc. Verona — ?', T. e Str. ferr. (anche neUa firaz. Do8ed>aono). 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Villàfranca di Verona \Q\ 



Hozzecane (1981 ab.). — Questo Comune, nella parte meridionale del distretto, è 
attraversato dalla strada provinciale e dalla ferrovia che da Verona mettono a Mantova. 
Esso è suddiviso in molte frazioni, la principale delle quali contiene più di 1100 abi- 
tanti, a 5 chilometri a sud da Villafranca e a 47 metri sul livello del mare, in territorio 
perfettamente piano e fertile. 

Nel territorio di questo Comune trovasi la località di Grezzano, dove sorge la 
magnifica e grandiosissima villa dei marchesi di Canossa, edificata nel 1770 su disegno 
delParchitetto Cristofali, al quale si deve pure il palazzo Cavriani in Mozzecane stesso. 
Il lavoro di costruzione della villa durò 7 anni e credesi che il suo palazzo, dopo 
quello della Villa Reale di Caserta, sia il più vasto di tutta Italia, misurando una lun- 
ghezza di 236 metri. Nello stesso luogo esisteva anticamente una Casina di villeg- 
giatura celebrata in versi latini da Marc* Antonio Flaminio, invitato a ciò da un vescovo 
della famiglia Canossa. Nel palazzo Cavriani in Mozzecane dimorò, nel secolo XVIII, 
un re di Napoli in viaggio alla volta di Vienna. 

n territorio, in molta parte irrigato e lavorato con grande cura, dà una produ- 
zione varia e ricca. Vi si raccolgono cereali e riso ed è grandissima la produzione 
dei bozzoli da seta. Vi abbonda il bestiame bovino, sia da lavoro che da macello. In 
Mozzecane vi sono importanti cave di ghiaia, le quali impiegano 70 operai. Nelle 
famiglie è esercitata con una qualche estensione Tindustria tessile casalinga, specie 
per tessuti di cotone e di lino; vi si fanno anche tessuti misti. Ma la gran parte della 
popolazione resta pur sempre addetta all'agricoltura; l'emigrazione vi è sensibile, 
specie quella diretta all'America. 

GoU. elett. Isola della Scala — Dioc. Verona — P*, T. e Str. ferr. 

Nogarole di Ròcca (1563 ab.). — Questo Comune è situato nell'estremità sud-est 
del distretto, attraversata dal fiume Tione, e il capoluogo trovasi a sud-est di Villa- 
franca, dalla quale dista 7 chilometri ed a 36 metri sul mare. 

Il territorio, fertile ed irriguo, produce cereali, gelsi e riso; abbondante è l'alle- 
vamento dei bozzoli, come non scarso quello del bestiame. Le industrie sono quasi 
tutte locali e di carattere casalingo e f^a queste notiamo quella della tessitura. 

Il nome di Nogarole non ricorre particolarmente in nessun avvenimento storico, 
né ad esso si riattacca in modo speciale. 

Coli, elett. Isola della Scala — Dioc. Verona — P", T. e Str. ferr. a Villafranca. 

Povegliano Veronese (2523 ab.). — Il paese dista soli 3 chilometri da Villafranca, 
della quale sta ad est, e la sua altitudine è di 47 metri. Nel suo territorio ha prima 
origine il fiume Tartaro, il quale, discendendo verso sud e raccogliendo quante acque 
stanno fra il Mincio e l'Adige, si ingrossa ed acquista importanza in seguito. 

Quasi tutta la popolazione è dedita all'agricoltura e ricava dal suolo cereali e 
legumi, i quali sono particolarmente apprezzati e trovano smercio in Verona, nei mer- 
cati settimanali, in grande quantità. Vi si allevano pure bachi per rilevante quantità 
di bozzoli; così bestiame da lavoro e da macello. Nessuna industria locale rilevante; 
diffusa la tessitura casalinga. 

CoU. elett. Isola deUa Scala — Dioc. Verona — P*, T. e Str. ferr. a Villafranca. 

Sommacampagna (3567 ab.). — Questo Comune, il cui nome è così di frequente 
ricorso nella descrizione delle varie battaglie combattute intorno a Villafranca, si 
stende nella parte nord del distretto, alla sinistra del Tione, parte in piano e parte in 
colle, diviso in molte frazioni. Fra queste sono celebri quelle di Custoza e di Caselle, 
colle quali ha sempre avuto comune l'importanza strategica, comandando Sommacam- 
pagna per la linea di colline, di cui è chiave, alle strade che dal Mincio conducono a 
Verona. H centro principale, che dà nome al Comune, conta 1984 anime e trovasi 

60 — 1a Pa«Ha» voL I, parte 2». 



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162 Alta Italia — Mandamento e Comuni del Distretto di Villafranca di Verona 



6 chilometri al nord di Verona e 1S1 metri sul mare. Adorna il borgo una bella chiesa 
arcipretale di assai antica costruzione. Bellissime ville, abitate nell'autunno da ricche 
famiglie veronesi, stanno nei dintorni, adorne di ampii giardini e di boscosi recessi. 
Il suo territorio, fertile e ben coltivato, produce cereali, viti, gelsi, legumi, ecc. Vi 
si allevano bozzoli e bestiame bovino ed ovino. Il commercio è assai animato nel 
borgo, ove si tengono mensilmente, ogni primo martedì del mese, mercati animatis- 
simi. Vi sono anche molini e fabbriche di paste alimentari. La classe operaia fa parte 
di una fiorente Società di mutuo soccorso e di una Cooperativa di consumo. Il credito 
agricolo è sussidiato da casse rurali. 

CoU. elett. Verona I — Dioc. Verona — P", T. e Str. ferr. 

Valeggio sul Mincio (5789 ab.). — Questo Comune si stende nella parte più occi- 
dentale del distretto, e il capoluogo si trova sulla strada che da Mantova va a Peschiera, 
sulla sinistra del Mincio, alle falde della linea di collinette che segue le rive di questo 
fiume e che appunto a Valeggio finisce. Dista 9 chilometri da Villafranca, di cui è 
situato ad ovest, e 5 dalle colline di Custoza: trovasi alFaltitudine di 126 metri, con 
una elevazione di ben 40 metri sulla pianura circostante. La sua posizione è ridente e 
conserva gli avanzi di un grande castello, edificatovi dagli Scaligeri quando a Valeggio 
posero una testa di quella grande costruzione guerresca che fu il Serraglio. Oltre a ciò 
conta bellissimi edifizi, tra i quali vanno ricordati il palazzo Maffei, edificato su disegno 
dell'architetto Cristofali, e Tedifizio scolastico, il quale è riputato per essere il migliore 
e più adatto al suo ufficio fra gli esistenti in provincia. Questo breve cenno valga a 
dire quanto sia tenuta in onore in Valeggio la pubblica istruzione. 

Il territorio di Valeggio è fertile ed i suoi colli sono adomi di vigneti ; nel limite 
del Comune, si alleva grande quantità di bestiame ed è pure largo l'allevamento dei 
bachi. Sonvi alcune industrie tessila concerie, fabbriche di cordami, tintorie, fabbriche 
di rocchetti per incannaggio ed altre di minore importanza. La borgata è quindi in 
discrete condizioni economiche, anche per il largo sviluppo delle industrie casalinghe. 

Cenno storico. — In ogni tempo il nome di Valeggio è sempre unito a quello di 
quante battaglie si sono combattute nel territorio del Quadrilatero, poiché la sua, 
dominante il Mincio, è davvero una posizione strategica ed ancor più importante era 
nel passato quando era uno fra i tre soli punti in cui il Mincio fosse attraversabUe. 

Ezzelino da Romano vinse in Valeggio i guelfi veneti; nel 1797, dopo la battaglia 
di Borghetto, i Francesi, comandati da Napoleone, occuparono Valeggio e lo fecero 
base delle loro successive operazioni. Nel 1814, dopo la battaglia di Villafranca, lo 
occuparono gli Austriaci e lo tennero fino alla primavera del 1848, nel qual tempo 
vi entrarono per la prima volta i Piemontesi e Carlo Alberto vi tenne per qualche 
tempo il suo quartiere generale. L'averlo momentaneamente lasciato sguernito di 
truppe e l'aver consentito che gli Austriaci vi si stabilissero solidamente fu una delle 
cause per le quali si perdette la prima battaglia di Custoza (25 luglio 1848), poiché 
quando si tentò la riconquista della posizione non si potè farlo. 

Nel 1866 a Valeggio fu per qualche ora, come abbiamo veduto, Vittorio Emanuele II, 
mentre si combatteva a Custoza. Anche in quell'occasione la località fu lasciata sguer- 
nita dai nostri e fu ventura che gli Austriaci non pensassero ad occuparla, altrimenti la 
sconfitta avrebbe potuto cambiarsi in disastro veramente irreparabile. 

Coli, elett Bardolino — Dioc. Verona — P' e T. locali, Str. ferr. a Gaitelnuovo. 



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163 



APPENDICE 

ALTA TAIiliE DELL'ADIGE 

(appartenenle all'Impero Aastro-Ungarieo) 



^MjL bacino idrografico dell'Adige , dopo quello del Po, il maggiore di quanti si 
^jh versino in mare italiano, quantunque le ragioni politiche abbiano diversamente 
^^ stabilito, appartiene per ragioni geografiche esclusivamente all'Italia. Non pos- 
^^ siamo quindi, per lo scopo principale di quest'opera, che è di raccogliere le 
notizie, i dati, le descrizioni di tutto ciò che è nell'ambito dell'Italia geografica, esi- 
merci dal tratteggiare qui — come in sua sede logica e naturale, in appendice alla 
descrizione della bassa valle Adigina — per sommi capi, ciò che sia la parte superiore 
dell'Adige, non meno importante dell'inferiore per particolarità geografiche, idro- 
grafiche e storiche. 

L'ALTO ADIGE 

La parte del bacino idrografico dell'Adige compresa nell'Impero Austro-Ungarico 
si può dividere in tre grandi zone. La prima, che diremo dell'Altissimo Adige, la 
quale dalle scaturigini del fiume viene fino alla confluenza dell'Eisack, sotto Bolzano; 
— la seconda, che da questo punto, ove nel territorio circostante si schiarisce mag- 
giormente anche la favella italiana, va fino alla stretta di Galliano sotto Trento; — 
la terza infine, che da questa stretta, poggiando di fronte a Rovereto e, prendendo 
il nome di Valle Lagarina, va fino al confine italiano, presso Peri. 

Etnograficamente la prima zona, cioè quella che va dalle scaturigini dell'Adige fino 
a Bolzano, è oggi completamente tedesca. La seconda zona è mista di popolazione 
tedesca e di molte isole italiane da Bolzano alla chiusa di Salerno; al di là della 
quale, cioè entro i confini dell'attuale Trentino, si presenta compatta la sola popo- 
lazione italiana. 

I. 

ZONA DELL'ALTISSIMO ADIGE VAL VENOSTA 

L'Adige, è noto, ha le sue origini ai laghetti di Reschen, che a circa 1500 metri 
d'altezza raccolgono le acque, sempre copiose, calanti dai ghiacciai immensi del Weiss 
Spitz Pizzo Bianco, nel gruppo centrale delle Alpi Retiche, facente riscontro al non 
meno colossale gruppo dell'Ortler. La valle, stretta e profonda, fiancheggiata in ogni 
parte da imponenti montagne, per le quali TAdige uscendo dai laghi di Reschen, 
collocati in una sella, che segna la divisione del bacino mediterraneo dal bacino danu- 
biano e del mar Nero, è detta Val Venosta: valle, per lo spartiacque ed il corso 
dei fiumi che sono davvero le grandi divisioni messe dalla natura ai paesi, geografica- 
mente italiana ; che ancora un secolo fa poteva dirsi filologicamente ed etnografica- 
mente latina, ma che oggidì, nessuno può negarlo, è, sotto questi due ultimi rapporti, 
completamente tedesca. 



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164 Appendice 



Nella valle Venosta (Vintschgau) l'Adige ha il nome tedesco di Etsch e segue un 
andamento assai tortuoso, semicircolare quasi, da ovest ad est, fino a Merano e da 
Merano allo sbocco dell'Eisack, prendendo più decisa direzione di sud-sud-est 

In questo primo tratto TAdige si ingrossa di tutti i corsi d'acqua scendenti alla 
sua destra dal gruppo deirOrtler e sue diramazioni fino al Lischau ed al Rassas Spitz, 
chiudente da quel lato rimbocco delPEngadina, e inoltre riceve alla sua sinistra i 
colatori delle molteplici valli che s'aprono sui fianchi del colossale Weiss Spitz. 

Dire partitamente di queste valli e dei loro colatori ci porterebbe oltre lo scopo 
prefissoci : ci limiteremo perciò a segnare le principali valli e rispettivi corsi d'acqua, 
tanto da una parte che dall'altra. 

A destra l'Etsch riceve: il Ramm, fiume della valle di Taufers, scendente dall'Ofen 
Pass; il fiume della valle di Trafoi, che scende insieme alla grande strada intemazio- 
nale dal giogo dello Stelvio; il fiume della Martelthal (Plima), che scende dal gruppo 
dell'Ortler e precisamente tra il monte Cristallo ed il Cevedale ; il fiume della Ultentiial, 
che raccoglie le acque delle propaggini orientali delFOrtler. 

A sinistra l'Etsch riceve : il fiume Carlin, proveniente dal Weiss Engel ; il fiume 
della valle di Planait; il fiume Salurn; quello della valle di Natums, ed una quantità 
di altri corsi minori scendenti tutti dal gruppo centrale del Weiss Spitz e sue dira- 
mazioni e contrafforti. 

La valle Venosta è una delle più belle, ricche e verdeggianti valli che si conoscano 
nelle Alpi Retiche. AH' infuori dell'altitudine, per bellezza di panorama, purezza e fre- 
scura d'aria, ricchezza di boschi e di pascoli, eleganza e proprietà di villaggi, di bor- 
gate, di piccole città, ben poco ha da invidiare alla contigua fortunatissima Engadina. 
Suoi luoghi principali sono Reschen, Heide, Planait, Glums, Mais, Morter, Schlanders, 
Natums. Merano (324 m. sul mare), bella ed industriosa città, se ne può dire il capoluogo. 

La storia della vai Venosta si confonde, nelle sue origini, colla storia feudale della 
Valtellina, alla quale fu per un tempo legata da interessi politici e religiosi. Quando 
gli imperatori tedeschi, dopo il secolo X, cominciarono ad imparare le vie d'Italia, 
essendo questa una delle vie che da Coirà più sollecitamente portavano nella Lom- 
bardia, diventò feudo imperiale e fu sempre infeudata a uomini devotissimi alla causa 
imperiale. Ciò non toglieva che la valle si serbasse fedele alle sue tradizioni di razza 
e di lingua prettamente latina e quivi, come nella vicina Engadina ed in altre località 
dei contigui Grigioni, si parlava la lingua romanica o ladina: diretta derivazione 
déirantico latino. 

Se nella valle dell'Eisack — specie nelle vallette secondarie che ne completano 
il sistema — fino a Bressanone ed oltre ancora, vivono dialetti ladini o romanici ad 
attestare della ininterrotta latinità della razza dei loro abitatori, in valle Venosta 
queste ultime tracce delle origini antiche del suo popolo sono del tutto scomparse. 
All'opera politica dell' intedescamento della valle Venosta giovò anche la forza delle 
dissensioni religiose dai Valvenostani avute coi Grigioni, quando questi abbracciarono 
la Riforma. 

Sulla germanizzazione della valle Venosta, l'Egger, nel suo bel libro Die Tyroler 
und Vorarlberger, ha questa pagina veramente interessante : < La reazione contro la 
Riforma guadagnò al germanesimo una provincia, della quale esso non potè rendersi 
padrone per tutto il medioevo, cioè la vai Venosta. Nell'alta Venosta il romanismo 
era ancora in fiore nel principio dell'evo moderno. Le reazioni frequenti colla vicina 
Engadina e l'unione politica che esistette per lungo tempo fra i due paesi dava alla 
lingua comune una base assai solida. Nei giudizi di Naudersberg, Glums e Mais, nelle 
signorie di Matsch e Marienberg, al princìpio del secolo XVII, la lingua romanica era 
la prevalente ed in molti luoghi la esclusiva fra i contadini del paese. Ma a questa 
epoca cominciò con mezzi energici la germanizzazione, allo scopo di dividere con una 



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Alta Valle dell'Adige 165 



barriei*a linguistica gli abitanti della valle Venosta, divenuti Luterani e Calvinisti ed 
avversari della Casa .degli Absburgo. Chiesa e scuola agirono nello stesso senso e tro- 
varono appoggio nei rapporti avviatisi nel frattempo fra gli abitanti della vai Venosta 
e quelli oltre la Malser Heide. Così con molta fatica si riesci qui a debellare il roma- 
nismo, ma una parte della popolazione conservò la lingua romancia fin nel secolo XVIII 
(come gli abitanti di Taufers nella Munsterthal) ed alcune espressioni romancie si con- 
servarono fino oggigiorno: i nomi proprii, i nomi delle cose e dei paesi sono, in 
parecchi siti, ancora in massima parte romanci >. 

Due secoli e mezzo or sono in tutta la valle Venosta si parlava ancorar idioma 
deirEngadina; oggi invece, le sue terre di GoflFan, Vezzan, Castelbell, Morteli, Morter, 
Tobland, Tormas, Tschars, Schnals, Planait, Prad e giù fino a Vollan, Tisens, Lana, 
Andrian, Meran, Riffian, Voran, che avevano origini uguali a quelle trentine e ladine, 
parlano esclusivamente il tedesco. 

Non oltre lo sbocco delPEisack dunque, per questa valle dell'alto Adige, bisogna 
cercare ora le tracce ultime della pertinenza delle antiche famiglie e tribù colonizzatrici 
da Roma mandate nell'Alpe Retica. 

IL 
LA VALLE MEDIA DELL'ADIGE ~ DA BOLZANO A GALLIANO 

È questa, idrograficamente, geograficamente ed anche sotto il rapporto storico ed 
etnografico, la parte più importante dell'alto Adige compresa negli Stati Austro-Un- 
garici. Per maggiore facilità e chiarezza descrittiva dovremo dividere questo capitolo 
in due parti; la prima: l'Adige da Bolzano a Trento; la seconda: l'Adige da Trento 
a Galliano. 

1. — L'Adige da Bolzano a Trento. 

Questo tratto comprende la parte più vasta ed importante del bacino superiore 
dell'Adige. Esso riceve le acque defluenti da tre grandissime valli — senza dire delle 
innumerevoli minori, dirette per la valle Adigina — ognuna delle quali può dirsi un 
grande bacino idrografico, una regione sotto ogni aspetto, geografico, idrografico, oro- 
grafico, importantissima ed interessantissima, cioè le valli di Non od Anaunia a destra 
e le valli dell'Eisack o Isargo e di Flemme a sinistra. 

La valle dell'Eisack si trova, come la vai Venosta, completamente esclusa dall'at- 
tuale Italia etnografica. Solamente in una delle valli secondarie che vi confluiscono, 
cioè nella vai Gardena {Ghrodenthal dei Tedeschi) si trovano ancora gli avanzi del 
vecchio parlare ladino. Invece le valli del Noce (vai di Non e vai di Sole) e dell' Avisio 
(valli di Fassa, Flemme e Cembra) percorrono territori prettamente italiani. È in 
questo tratto che l'Adige prende il nome italiano ed insieme l'aspetto di grande ed 
impetuoso fiume, che più non lo abbandona fino al suo sbocco nel mare. 

Affluenti di Destra. — Da Bolzano (265 m. sul mare), sotto cui in un largo letto 
l'Eisack entra nell'Adige, la parte di destra della valle Adigina è formata da una cresta 
di alte cime, che, tagliate fra aspri e scoscesi burroni, verso la valle che- dal passo 
della Mendola (1360 m.) giungono al punto culminante del monte Roen (2115 m.), fino 
all'imbocco della valle di Non, dalla quale il copioso Noce esce, il maggior tributario 
dell'Adige a destra. Dopo il monte Roen, la cresta continua scoscesa colle cime: Cimone 
di Tres, monte Malachino, cima d'Arza, ecc., tutte fra i 1300 ed i 1800 metri, finché 
sopra il paese di Mezocorona scende ripida a formare la stretta gola della Rocchetta. 
In questo tratto, da Bolzano al passo della Rocchetta, l'Adige riceve pure alcuni rivi 
di carattere torrentizio. 

Il Noce e le valli di Non e di Sole. — Sopra Lavis, il fiume Noce uscendo dalla sua 
valle per il passo della Rocchetta, entra con grande impeto a confondere le sue acque 



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166 Appendice 



con quelle delFAdige. Il Noce è uno dei fiumi più importanti del Trentino. Nasce dai 
ghiacciai della Présanella e del Tonale, appendici avanzate a nord-est del gruppo del- 
FAdamello, per una branca e per l'altra, del Como dei Tre Signori, del monte Vioz e 
del Cevedale nel gruppo dell'Ortler. Le due branche si congiungono ad Ossana in vai 
di Sole e, ingrossandosi continuamente col contributo delle molte acque scendenti 
dalle alte e profónde valli laterali, da cime che ben di rado sono sotto i 2200 metri, 
percorre tutta la valle di Sole in direzione di nord-est, fino al gomito violento di Cles, 
ove la valle prende il nome di Non e, piegando in direzione da nord a sud, va a 
sboccare nella gran valle dell'Adige, sotto Zambana e sopra la borgata di Lavis. 

Valli di Sole e di Non. — Delle alte valli del Trentino una delle più rinomate e 
battute dai touristes è la valle di Non, estendentesi per tutta quella regione che anti- 
camente fu detta Anaunia oppure Anagna dai Romani, conquistata, colonizzata, ferti- 
lizzata, civilizzata al punto da far dichiarare i suoi abitanti — come appare dalla 
famosa Tavola Clesiana conservata nel Museo di Trento — elevati alla dignità di cit- 
tadini romani. L' Anaunia antica dividesi ora in due denominazioni o parti ben distinte: 
la valle di Non propriamente detta e la valle di Sole. La valle di Non tiene tutta la 
parte inferiore della vallata, seguendo la direzione da nord a sud, mentre la valle di 
Sole comincia all'angolo acuto che al disopra di Cles è fatto dal Noce e prosegue in 
direzione da est ad ovest fino ai piedi dei ghiacciai della Présanella e del passo del 
Tonale, che la dividono dalla Valcamonica ad ovest e dalle Giudicane a sud, e sulle 
quali vette passa l'attuale linea di confine col Regno d'Italia. In tutta la loro lun- 
ghezza le valli di Sole e di Non sono percorse dal torrente Noce (che nasce propria- 
mente nella valle di Pejo) e ricevono fra i principali loro aflSuenti: la Vermigliana, che 
scende dai gioghi del Tonale ; il Rabbies, che sbocca a Male, dopo aver percorso la 
valle di Rabbi; il Meledrio, che scende dal passo di Campiglio; la Novella, che riceve 
le acque dell'alta valle di Non ; la Tresenga, che esce dalla profonda valle di Tovel, 
ed altri minori. 

Nella valle di Non corrono due strade di grande importanza: quella che da Trento 
per Mezzolombardo, Rocchetta e Cles porta a Male in vai di Sole e al di là, per il 
valico del Tonale, in Valcamonica, a Edolo e altre. L'altra, più recente, detta della 
Mendola, dal valico che fa di questo monte e che scende da Bolzano e Fondo a Cles, 
tenendo la sponda sinistra del Noce, con diramazione sulla prima a Rocchetta. 

Cles (656 m. sul mare) è il capoluogo della valle di Non : borgo antichissimo, sede 
del Capitanato e della Giudicatura distrettuale, ricco di memorie antiche. Nelle sue 
vicinanze, ai Campi Neri, si rinvennero molte antichità romane, fra le quali la famosa 
Tavola Clesiana: un pezzo archeologico di primissima importanza. La popolazione 
della valle di Non, come tutte le popolazioni alpine, quando sono sane e godenti di 
un relativo benessere, è vivace, intelligente e laboriosa. Parla comunemente un dialetto 
come quello delle vicine Giudicarle, un misto cioè di veneto e di lombardo, con qualche 
infiltrazione ladina. È una dell* regioni più interessanti del Trentino e, durante la 
stagione estiva, vedesi continuamente percorsa da forestieri che si recano alle stazioni 
alpine e balneari di Pejo e di Rabbi, adiacenze di vai di Sole, del Tonale, del monte 
Campiglio. Gli alpinisti fanno di Cles il punto di partenza o di ritrovo per le escursioni 
sul gruppo dolomitico della cima Brenta: veri viaggi circolari fra i ghiacciai, rifugi 
alpini, valichi a 2 o 3000 metri e cime la cui ascesa è sempre ricca di forti, virili emozioni. 

Fra gli antichi castelli di cui questa valle conserva gli avanzi primeggia ancora, 
perchè abbastanza ben conservato, il Castel Brughiere o Brughier — com'era detto 
anticamente — sulla sponda sinistra del Noce, in territorio del Comune di Corredo. 
Risale in origine al secolo XI, ma fu rifabbricato in varie epoche: l'ultimo adatta- 
mento vi fu fatto nel secolo XVII. Aveva giurisdizione sui villaggi di Tajo e di Segno, 
e sulla piccola vallata che si apre alle sue spalle. Appartenne quasi sempre alla 



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Alta Valle deirAdige 1<57 



famiglia principesca di Thun o Tono, della quale fu l'ultimo dei vescovi sovrani di 
Trento: Emanuele Maria. Sorge su di un'altura da cui si gode un delizioso panorama. 

Più bella, se mai fosse possibile, della valle di Non, certo più alpestre e selvaggia, 
comechè chiusa all' ingiro da imponenti ghiacciai, è la valle di Sole, ben nota alle 
ricche e festose comitive che dal Regno per la Valcamonica, da Trento e dalla Ger- 
mania vengono a cercare riposo, frescura, aria vivificatrice ed acque salutari nel 
ritrovo diPejo ed ai bagni di Rabbi, località climatiche d'incomparabile bellezza, ai 
piedi dei ghiacciai maggiori delle Alpi Retiche. Val di Sole può dirsi un inno alla bel- 
lezza alpina: è la perla delle alte valli del Trentino e merita il nome che le diedero 
i suoi antichi abitatori. 

Affluenti di Sinistra. — UEisack e Bolzano. A breve distanza da Bolzano, a mez- 
zodì di questa città, si getta nell'Adige il fiume Eisack (yhargo degli antichi), che 
scende, pella Kunterswegg, la valle profonda di Klausen e Bressanone (Brixen), per 
la quale ascende la linea ferroviaria del Brennero, da Verona a Monaco, e dalla 
quale scesero tante volte imperatori ed eserciti teutonici in Italia. Era questa la via 
dell'antico Pirone, il Brennero attuale, la via Claudia Augusta, percorsa dalle legioni 
di Ottaviano e di Varo, mantenuta e protetta da militi sedentari e coloni romani, che 
fin su queste aspre pendici lasciarono l'impronta della loro razza e della loro lingua 
nel dialetto romanico, che ancor un secolo fa si parlava in questa regione. Pittoresca 
assai è su questo versante la linea ferroviaria del Brennero, dominata dalle alte e 
nevose vette del Rittnerhorn (fig. 50 e 51). 

Ma, come abbiamo detto, Bolzano va oggi considerato come l'ultimo lembo di terra 
italiana che si perde in terra tedesca. Fra i suoi abitanti oggidì l'elemento tedesco, 
per molte ragioni, vi soverchia l'italiano, che in tempi ancora vicini a noi costituiva la 
grande maggioranza. Le sue case, i suoi edifizi vanno, mano a mano che agli antichi si 
sostituiscono i nuovi, perdendo l'impronta del carattere, del gusto italiano e tendono 
tutti al gusto tedesco. Anche in questo paese, serrato fra le montagne, il genio gotico 
finisce per sovrapporsi al romano, che s'indebolisce e perde, come s'indeboliscono e 
si perdono nella lingua i caratteri, le desinenze, le tracce delle origini latine. 

Affluente considerevole dell'Eisack, nelle vicinanze di Bolzano, è il fiume della valle 
di Sam o Samthal. 

L*AvÌ8Ìo e le valli di Fiemme e di Fassa. — L'Avisio è uno dei tre grandi fiumi 
che sono tributari dell'Adige, nella tratta superiore della sua valle mediana, fra Bol- 
zano e Trento. Scende questo fiume, copioso e rapido, dal fianco settentrionale della 
Marmolata e dopo avere percorso una lunga e tortuosa valle, che prende i nomi suc- 
cessivi di Valle di Fassa, di Fiemme e di Cembra. Interessantissimo sistema di vallate 
è quello segnato dal corso dell' Avisio: è formato dalla valle di Cembra, che n*è la 
parte inferiore presso lo sbocco in valle d'Adige; la valle di Fiemme, che ne è la 
parte media; e la valle di Fassa, che, cacciandosi nel cuore del gruppo dolomitico 
della Marmolata, ne forma la parte superiore. In queste tre valli principali se jie 
aprono molte altre secondarie, come, ad esempio: la valle di San Pellegrino, la valle 
del Travignolo, celebre per le bellissime foreste di conifere, di Paneveggio, ecc.: 
tutte d' importanza oro-idrografica grandissima. In queste tre valli, alpestri per eccel- 
lenza, havvi tutto quello che il semplice touriste, il provetto alpinista, il geologo, il 
botanico, lo storico, il poeta, l'artista, possono desiderare per arricchire il corredo 
'delle loro impressioni e dei loro studi. 

Una buona strada postale percorre queste tre valli: le valli di Cembra e di Fiemme 
in tutta la loro lunghezza; la valle di Fassa fino a Gries, alle falde della Marmolata, 
mantenendosi postale, ed a Mezzano, ai piedi del Cismone, carrozzabile. Da Predazzo 
poi si biforca la postale che, risalendo la valle del Travignolo e valiòando il magnifico 
passo dì Rolle (1956 m.), scende per la valle del Cismone a San Martino di Castrozza 



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168 Appendice 



Fig. 50. — Ferrovie del Brennero. Panorama del Rittnerhorn. 

(celebre stazione estiva) ed a Fiera di Primiero, nella valle omonima. La valle di 
Primiero non è altro che Talta valle del Cismone, un tributario del fiume Brenta, nel 
quale sbocca poco sotto Fonzaso nel Feltrino. La valle di Primiero appartiene geogra- 
ficamente al Veneto piuttosto che al Trentino, dalle cui valli essa è separata da valichi 
alpestri. Ed anche la sua popolazione per dialetto e per costumi è identica alle popo- 
lazioni venete dell'alto Bellunese. 

Il punto centrale di queste tre valli è Predazzo (1026 m. sul mare), presso cui è 
il centro di emissione di grandi masse di rocce eruttive, geologicamente assai impor- 
tanti. Poche, a detta degli scienziati, sono le località che come questa mostrino chia- 
ramente coIPeloquenza di un libro aperto, all'occhio intelligente, il processo della 
loro formazione geologica. Nei dintorni di Predazzo, meglio che altrove, il geologo può 
leggere a larghi tratti, con sicurezza di elementi, la storia di uno dei più notevoli 
periodi della formazione della crosta terrestre. Nella valle di Fiemme, o meglio ancora 
nel, punto ove ora c'è Predazzo, l'attività eruttiva durò sin oltre il periodo permiano; 
e mentre sotto la superficie delle acque i coralli lavoravano assiduamente, nell'era 
triasica, a formare quei monumenti eterni della loro attività che restarono le dolo- 
miti, le rocce ignee scorrendo e sovrapponendosi alle formazioni calcaree, produssero 
le rocce metamorfiche di cui le valli di Fassa e di Fiemme sono ricchissime, fra cui 
la cosiddetta roccia di contatto di CanzócoU è rimasta uno dei più belli ed evidenti 
esempi di metamorfismo che la scienza possegga. 

La valle di Fiemme, ossia la media valle dell' Avisio, è una valle larga, a dolci 
declivi che scendono verso l'Avisio. £ ricca di molti paesi, che spiccano fra tutti quelli 
delle valli trentine per la loro pulizia e per la loro buona costruzione. La popolazione, 
se non ricca, è agiata. In parte emigra, in parte attende all'agricoltura. Nel suo 
dialetto sono evidenti e forti le tracce dell'antico ladino, benché, per altri aspetti, si 



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Alta YaUe dell'Adige 1(>9 



Fig. 51. — Ferrovie del Brennero. Santuario delle Tre Fonti presso Trafoi. 

avvicini pure ai contermini dialetti dell'alto Veneto. La valle di Cembra invece è più 
stretta, TAvisio scorre nel fondo di una stretta spaccatura, mentre i paesi (poveri 
e sporchi) stanno su in alto, a mezza costa, lungo il percorso della carrozzabile. La 
popolazione parla un dialetto trentino, in cui le tracce ladine sono poco evidenti. 

Il capoluogo della valle di Fiemme è Cavalese (993 m. sul mare), amena borgata 
di circa 3000 abitanti, sede di Capitanato e di Giudicatura, dotata di parecchi bei 
fabbricati, fra cui il palazzo Vescovile, edifizio medievale che conserva ancora nella 
sua parte esterna dei pregevoli affreschi del secolo XVL Quivi il celebre astronomo e 
meteorologo Padre Denza ha fondata, a 1042 metri sul livello del mare, un^importante 
stazione meteorologica. 

Più selvaggia ed aspra è la valle di Fassa che da Moena, seguendo sempre 
TAvìsio, si spinge tino alla Marmolata. Al suo lato destro od occidentale è chiusa dalla 
superba scogliera di dolomiti formante il gruppo del Rosengarten (3002 m.) e ad 
oriente in gran parte dal non meno bello gruppo della Viezzena (249^ m.) e dei 
Monzoni — formante l'incantevole valle di San Pellegrino — una delle appendici di 
vai di Fassa, uno dei gioielli del Trentino. 

Vigo di Fassa e Campitello sono i due paesi principali della vallata. Nell'uno e 
nell'altro di questi due paesi si danno convegno gli alpinisti che intendono fare la 
ascensione della Marmolata o per lo meno godere l' imponente panorama di questo 
monte singolare, insieme agli altri colossi dolomitici del Cadore e d'Ampezzo, salendo 
al passo della Fedaia. 

La Marmolata o Marmolada, come più volentieri la chiamano nel linguaggio pae- 
sano i Trentini ed in ispecie quelli della valle di Fassa e del Cordevole, che si stende 

61 — 1^ Patria, voi. I, parte 2*. 



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170 Appendice 



ai suoi piedi, deve il suo nome alPapparenza di cosa marmorizzata o marmorea; ed è 
nome ben appropriato, perchè il marmo il popolino se lo figura sempre di color bianco, 
come dovunque appare il ghiacciaio della Marmolata; eppoi anche perchè i calcari 
dolomitici di cui questa montagna si compone sono, in certe località, perfettamente 
bianchi e somiglianti ai marmi di Carrara, quali si veggono fra le spaccature delle 
Alpi Apuane. Essa è anche detta la Regina delle dolomiti, ed il titolo è meritato, 
poiché è uno dei più bei monti che si possono vedere. È alto 3344 metri ed il suo 
massiccio alla base misura circa 8 chilometri nel diametro maggiore e 4 nel minore. 
È quasi a picco nei tre lati e inclinato nel lato nord, sempre coperto da un ghiacciaio, 
che è dei più belli che si trovino sulle Alpi. Da questo lato si fa Tascensione della 
Marmolata, che fu eseguita per la prima volta da Paolo Grohmann, matematico tedesco, 
il 28 settembre 1864. Fu il Grohmann che rilevò pel primo l'altezza del monte. 

La valle di Fassa è, fra le vallate del Trentino, una delle più caratteristiche, ed 
una di quelle oramai fattesi rare, nelle quali vigono ancora incarnate certe abitudini, 
certi usi nazionali che le danno un' impronta speciale. Questi costumi si estrinsecano 
soprattutto nei fidanzamenti e nelle cerimonie nuziali, ed hanno le caratteristiche, 
gentili e cortesi ed in pari tempo ingenue dei popoli semplici e primitivi Belli e 
ricchi sono i costumi che uomini e donne in quelle circostanze indossano. Curiose le 
ambasciate, le finzioni, gli equivoci e le allegrie chiassose colle quali queste cerimonie 
si iniziano, si svolgono e si chiudono. 

Nella parte superiore della valle dell' Avisio o di Fassa comincia a perdersi la 
lingua italiana propriamente detta e a subentrare quella lingua che è l'idioma ladino 
romancio, sebbene alquanto modificato e corretto da quello purissimo, elevato ad 
onore di lingua letteraria nell'Engadina ed in parte dei Grigioni (1). 

Tra il dialetto che si parla nelle due parti della valle di Fassa hawi una diffe- 
renza non lieve : il dialetto della parte inferiore, quantunque infiorato di voci ladine, 
sia per la pronunzia che per la sintassi del discorso, è facilmente comprensibile a 
chi abbia formato l'orecchio alla lingua italiana; nella parte superiore della valle di 
Fassa, che fa centro in Campitello, bisogna essere bene esercitati nell'uso dei dialetti 
romanci per afferrare e seguire il filo del discorso in questo dialetto, che può dirsi 
un'estrema ramificazione di quella gran lingua latina, dalla quale sorsero tre fra i più 
grandi idiomi dell'umanità moderna. 

Portiamo due brevi esempi: a Vigo, nella valle di Fassa inferiore, si canta, in modo 
comprendibile anche per chi non è del paese, la seguente canzonetta rusticana : 

L'ega frestgia e la polenta 

L'è la speisa del pastor 

Co *I temp rè bon, el se contenta 

E Ve dùt de bon umor. 

In valle di Fassa superiore, in Campitello, ove l'idioma italiano va gradatamente 
perdendosi per accostarsi al tedesco, gli innamorati che si dichiarano alle loro belle 

cantano: Appede i rames e la vessigna 

Che screvéden sul fregoler 
Tirete in ca, mia Teresina 
Che se parlón de marider. 

La sola lettura di questi due saggi poetici ed il loro superficiale raffronto bastano 
per mostrare al meno filologo dei lettori la grande differenza del linguaggio esistente 
fra gli abitatori delle due parti della valle di Fassa. 

(1) La lingua ladina, o meglio i dialetti ladini che si parlano nella valle di Fassa ed anche in Badia, 
non sono una specie di transizione fra la lingua italiana e la tedesca, sibbene dialetti antichissimi deri- 
vati dalla lingua latina e da elementi preromani provenienti dalle antichissime parlate dei popoli alpini. 
L'idioma ladino di Fassa si rannoda da una parte al romancio dei Grigioni, dairaltra al dialetto frinlano. 



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Alta Valle dell Adige 



171 



L'essersi conservato fra quelle popolazioni delle alte valli Trentine — valle di 
Fassa e contermini — l'idioma ladino, che malgrado i suoi barbarismi è pur sempre 
una derivazione della madre lingua latina, gli studiosi di storia trentina lo attribui- 
scono, non senza buone ragioni, all'influenza del mite governo dei principi-vescovi di 
Bressanone, che dal 1400 fino al secolo XIX tennero in feudo queste valli e ne 
rispettarono il patrimonio avito della lingua e del genio nazionale, il che non fecero 
i capitani tedeschi mandati dai conti del Tirolo a governare le altre valli del versante 
meridionale delle Alpi stendentisi ai piedi del Brennero. 



2. — La parte media dell'Alta Valle dell'Adige 

(ClI\CONDA*niO DI TRENTO). 

Questa parte dell'alta valle dell'Adige — soggetta all'Impero Austro-Ungarico ^ 
colla successiva parte bassa, valle Lagarina, è, per ragioni geografiche, etnografiche, 
storiche, quella che più colleghi ed interessi l'alto Veronese e l'alto Vicentino, con 
cui ha confini politici, di Stato, ma non confini di lingua, di razza, di ragioni geografiche 
e di passato storico. 

Essa comprende l'antico circondario di Trento o distretto capitanale, suddiviso poi 
nei distretti giudiziari di Trento, Porgine, Civezzano, Cembra, Lavis, Mezolombardo 
e Vezzano. Si stende su una superficie di 949 chilometri quadrati e confina: a set- 
tentrione, coi distretti già da noi ricordati di Cles e di Bolzano ; ad occidente, colla 
valle del Sarca e le Giudicarle; ad oriente, colla Valsugana e la provincia di Vicenza 
nel Regno d'Italia; a mezzodì, col distretto capitanale di Rovereto. 

Seguendo col metodo finora tenuto, la gran valle discendente dell'Adige, proce- 
diamo da settentrione a mezzodì, nella succinta descrizione degli interessanti paesi, 
di questa regione, sopra ogni altra interessantissima. 

I. Distretto di MEZOLOMBARDO. — Per superficie, se non per abitanti, di tutti 
i distretti del circondario di Trento è il più importante. Ha una popolazione di 
16.550 abitanti, suddivisi in 29 piccoli Comuni alpestri e rurali. Il distretto di Mezo- 
lombardo è formato da due valli, l'una superiore e Taltra inferiore, divise dal Passo 
della Rocchetta, la quale è all'ingresso di quell'anfiteatro naturale, meraviglioso che 
è la prima parte della valle di Non. È bagnato dal fiume Noce, scendente dal Corno 
dei Tre Signori a ponente di Pejo e si getta in Adige dalla sponda destra, presso 
Zambana, in territorio di Mezolombardo. Tutto il distretto di Mezolombardo è, per 
bellezze naturali, interessantissimo. 



Mezolombardo, capoluogo del distretto e sede 
della Giudicatura, è una bella e grossa borgata di 
3500 abitanti, posta parte in piano e parte sul declivio 
del monte, a 264 m. sul mare, sulla destra del Noce. 
Ha edifìzi moderni, puliti, di buona apparenza; scuole 
pubbliche di vari gradi; un Casino di lettura riputato 
ed antico (il primo che si sia istituito nel Trentino) ; 
una privata ed interessante collezione di oggetti pre- 
istorici, antichi, archeologici ; ed abitanti, come scrive 
l'Ambrosi, « fomiti di grande intelligenza, attivi, com- 
merciali e mirabilmente concordi nel mantenere ed 
accrescere il lustro ed il decoro del proprio paese j>. 

Mezolombardo ed i suoi dintorni sono ricchi di me- 
morie storiche d'una certa importanza. Innanzi tutto 
viene il castello feudale, sorgente un tempo sul colle 
di San Pietro, ove se ne veggono gli avanzi e dove i 
Uomaoi, come è dimostrato dalle memorie del paese 



e dai molti oggetti romani ivi rinvenuti, avevano col- 
locata una forte rocca a guardia dell'antica strada dai 
Romani pure aperta, da Vervò per Trento, Zambana, 
Acquamagra, Rocchetta. Nei bassi tempi il feudo di 
Mezolombardo, detto aUora Medium e dai Tedeschi 
— impiantati visi coi ronti del Tirolo — Metz, venne 
diviso in due parti : in uno, il Medium Sancii Petri o 
vetus, venne compreso il castello e territorio deìl'at- 
tuale Mezolombardo; Taltro, il Novum o Sancta Maria 
de Corona, è l'attuale castello di Mezocorona, altro 
insigne monumento della storia medioevale di questa 
parte del Trentino. 

Il castello di Mezocorona, o San Gottardo, sorge a 
breve distanza dal piccolo ed ameno paese dello stesso 
nome, presso la sponda sinistra del Noce, facendo 
parte, insieme a Mezolombardo, del Campo RotalianOf 
nel quale, secondo Paolo Diacono, i Franchi, discesi 



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172 



Appendice 



nel 777, sconfìssero il longobardo duca, ocapo, Magi- 
Ione, di Lagaro. Una parte dello storico castello è ben 
conservata e rimodernata; ma la parte più antica, esi- 
stente già prima della metà del secolo Vili, e la rocca 
cbe a monte domina l'attuale edilìzio, sono in com- 
pleta rovina. 

Il castello di Mezocorona fu dominio e residenza 
dei signori della famiglia omonima, cbe lo ebbe in feudo 
nel 1239 da Mainardo conte del Tirolo, con vasta giu- 
risdizione nel paese circostante e sui Comuni di Grumo, 
Nave, San Rocco, Rovere della Luna, Monte, ecc. Passò 
per successione alla famiglia dei conti Firmian, che 
lo tenne dal 1473 al 1825 con diritti feudali, ed ora 
vi abita ancora, signorilmente. 

Altri castelli di questo territorio, che ebbero nel 
passato importanza nelle vicende del paese, sono : U 
castello di Molveno dei signori di Stenico, famiglia 
spentasi intomo al UOO; — il castello di Belforte, 



ora in completa rovina, sopra una punta rocdosa, fra 
Spormaggiore e Cavedago; anticamente era detto Co- 
stello di Sporo f dalla famiglia tedesca Spaur, a cui (a 
infeudato nel secolo XIV dai conti del Tirolo ; — il 
castello di Bellosio del secolo XIV, posseduto dai conti 
Kiìen di Monaco ; — il castello di Sporo Sant'Anna, 
ora un mucchio di rovine ; — il castello, pure rovi- 
nato, di Enno, presso il paesello di Dauno ; — il ca- 
stello dì Tono Thun, sulla vetta di un colle a 600 
metri, sopra il paesello di Toss, maestoso, imponente, 
al principio della valle di Non ; appartenne airillustre 
famiglia trentina dei conti di Tono, che vescovi, 
principi, capitani e giuristi diede alla città nativa; — 
il castello torre' di Visióne, su un colle presso la 
Rocchetta, a cui si danno origini romane e del quale 
vuoisi che, mediante certi segnali, i presidi romani 
dell'Anauniir fossero avvisati delle mosse dei nemici, 
i terribili Rezi delle vicine Alpi. 



IL Distretto di CEHBRA. — Questo distretto ha una popolazione di oltre 8000 abi- 
tanti, ripartiti in nove Comuni: Cembra, Lisignago, Sevignano, Fa ver, Segonzano, Valda, 
Grumes, Grauno, Sover. È sulla sinistra dell'Adige ed occupa tutta la malinconica 
vallata inferiore delFAvisio : valle d'erosione, scavata dalle acque tortuose, profonde, 
in molte parti di non sempre facile accesso. I monti di Cembra geologicamente sono 
assai interessanti, presentando delle formazioni cristalline di vario genere. Non sono 
molto elevati: talvolta affatto denudati, tal altra a boschi, a cespugli, a pascolL 



Oembra, capoluogo del distretto, è certamente il 
più bel borgo della valle (677 m. sul mare). Più che dai 
Cimbri, i quali, sconfìtti da Mario, si sarebbero ritirati 
in questa ed in altre valli del Trentino, come si disse 
facessero nel non lontano altipiano dei Sette Comuni o 
d'Asiago, è probabile che il suo nome, col paese circo- 
stante, rabbia tratto dall'albero cembro, una specie di 
pmo (Pinus cembra di Linneo), conosciuto anche dagli 
antichi e comunissimo, anche in tempi recenti, prima 
della mala febbre dei diboscamenti in tutta la bassa 
vallata delPAvisio. Il distretto di Cembra è uno dei 
più poveri del Trentino. 

Nei dintorni di Cembra, a sinistra dell'Avisio, sopra 
una rupe di porfido quarzifero, isolata nel mezzo della 
valle, solvono ancora gli avanzi dello storico castello 
di Segonzano, eretto da Rodolfo Scancio nel 1216, in- 
tomo ad una rocca d'origine romana e della quale, 
benché minacciante rovina, si vede anche oggi Fan- 
nerìto e mozzo torrione. Il punto importante nel quale 



soi^e il castello di Segonzano, e quindi anche Tantica 
rocca, si connette a quel piano di fortificazioni che i 
Romani avevano ideato ed in gran parte anche attuato 
nel Trentino per arrestare la marcia delle orde barba- 
riche, dalle nevose vette delle Alpi minacdanti le rì- 
denti e feconde valli del Brenta, dell'Adige, del Po. 

Gli Scancio, i Rottemburgo, i Uchtenstein, i signori 
da Prato successivamente abbellirono, ingrandirono e 
fortificarono questo castello per modo che, alla fine del 
secolo XVIII, era considerato come un modello del 
genere. Occupato, nel 1796, dagli Austrìaci rìtiratisi 
nel Tirolo, fu dalla brigata fi^ncese incaricata di mo- 
lestare quella rìtirata bombardato ed espugnato, indi 
incendiato e saccheggiato. 

Al rìstauro di questo castello, considerato come un 
modello di architettura medioevale, rìnunziarono per 
il grave dispendio i proprìetari baroni da Prato, laonde 
esso è in uno stato di completo abbandono e va mano 
a mano minando. 



III. Distretto di LAVIS. — Questo distretto, che si stende sulla sponda sinistra 
dell'Adige e nell'estremità inferiore del corso dell'Avisio, il quale presso Lavis mette 
foce nell'Adige stesso, ha una popolazione di 8763 abitanti. Consta di cinque Comuni: 
Lavis, Meano, Giovo, Faédo e San Michele, e comprende quel tratto della valle del- 
l'Adige che dal distretto di Trento va fino a quello di Egna. È in gran parte montuoso 
e il suo territorio è dominato da cime poco alte, a pendici non troppo scoscese, in 
parte disboscate, in parte coperte da bosco ceduo. 



Lavis, capoluogo del distretto, è una bella e cospicua 
borgata di oltre 2000 abitanti, sulla sponda destra del- 
l'Avisio, a 238 m. sul mare e 8 chilometrì da Trento. 



La linea del Rrennero vi fa stazione. Lavis è forse il più 
recente dei paesi del Trentino. Ha un secolo e mezzo 
di vita appena. Dove oggi sorge Lavis, attivo, pulito, 



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Alta Valle deirAdige 



173 



popoloso paese, non era, un secolo e mezzo fa, che una 
Tasta pianura formata dalle alluvioni deli*Avisio, dila- 
gante tutto all'intorno prima di gettarsi in Adige. I 
primi a piantare delle case in quel deserto sassoso ed 
in questi acquitrini furono dei contadini di Pressano 
che, spinti dalla miseria giù dalle loro colline, non pa- 
ventando i pericoli delle piene e degli straripamenti 
delPAvisio, si impadronirono a buon diritto di quel- 
Talluvione e cominciarono a coltivarvi dei campi, che 
diedero largo compenso alle loro fatiche. Da questa 
prima colonia di operai agricoltori ne venne poco per 
Tolta Fattuale Lavis. Le inondazioni delFAvisio, perchè 
non rìmangiassero quello che avevano dato, furono, da 
quei provvidi lavoratori, contenute con opere di argi- 
natura, anche oggidì degne di anmiirazione. Il letto 
deirAvisio fìi ristretto, incanalato anzi, e condotto per 
la via più breve al suo destino, in Adige. 

Lavis è attualmente una borgata industriosa e mo- 
derna, piena di vita e di industrie. Vi sono filande da 
seta, segherie, fabbriche di biacca ed altri stabilimenti 
importanti. 

Sebbene breve, la storia di Lavis rammenta due 
£atti d'una qualche importanza. Il primo è l'incendio e 
saccheggio di Lavis, avvenuto il 5 settembre 1796 ad 
opera dei Francesi comandati dal Vaubois, sospettante 
i terrazzani di favoreggiamento e compiiate cogli Au- 
striaci, che, evacuando Trento, quivi si erano ritratti 
e fortificati, opponendo seria resistenza all'avanzarsi 



delle truppe repubblicane. L'altro fu un episodio della 
insurrezione del Tirolo, capitanata da Andrea Hofer, 
contro i Bavaresi ed i Francesi alleati e dominanti, 
nel Trentino e sul Tirolo propriamente detto. Il 5 ot- 
tobre 1809 i Tirolesi seguaci di Hofer, che presso 
Lavis difendevano il maggior ponte dell'Adige, assaliti 
con forze assai superiori dai Francesi, vennero ricac^ 
ciati nel paese ed inseguiti perfino nelle case, ove molti 
furono uccisi a colpi di baionetta. 

Dopo Lavis, San Michele è il paese più importante 
del distretto. Si trova sulla linea del Brennero, che vi 
fa stazione, e quasi di fronte all'imboccatura della 
valle di Non. Il paese è antico, ma si va rimodernando 
al soffio fecondo delle industrie che vi prosperano e vi 
portano un alito di benessere morale e materiale. A 
San Michele havvi un grandioso Istituto agrario per 
la provincia del Trentino, con podere modello, affmchè 
le nuove generazioni vi abbiano a trarre utili, pratici 
e moderni insegnamenti nella coltura delle loro terre 
e per la prosperità della regione. 

Sopra un poggio presso San Michele, ridotto ormai 
ad abitazioni rurali, trovansi gli avanzi del castello feu- 
dale di Corona, celebre nelle vicende medioevali del 
Trentino, posseduto ab antiquo dai signori di Piano, 
poi dai conti del Tirolo, che in bisogno sempre di 
quattrini lo impegnarono a Bortolo e Pietro Zenobio, 
patrizi veneziani, dai quali passò alla famiglia dei conti 
Albrizzi, pure di Venezia. 



lY. Distretto di CIVEZZANO. — Il distretto di Civezzano, confinante con quello 
di Trento, sulla sponda sinistra dell'Adige, ha una popolazione di 10.094 abitanti, 
sparsa nei Comuni di Civezzano, Albiano, Fornace, Baselga, di Pine, Bedol, Lona- 
Lases e Miola. Consta, topograficamente, di un bacino o semicerchio di colline, con- 
giungentesi da un lato colla rapida pendice tagliata dalla strada da Pergine a Trento, 
dall'altro coiraltipiano dell'amenissima valle di Pine, allungantesi a settentrione di 
Pergine e formante il dorso che divide il Fersina dalPAvisio. Vi corrono i torrentelli 
Siila, Bosco, Bedol, Regnana e Prada. È regione quant'altra mai pittoresca. 



OiTezzano, capoluogo del distretto, a 709 metri 
sul livello del mare, è un villaggio cospicuo con 1856 
abitanti, case in gran parte moderne, belle vie e ben 
pulite. La sua chiesa decanale, eretta per ordine del 
munifico cardinale Bernardo Clesio, prìncipe-vescovo 
di Trento, è di buona architettura, dovuta ad Antonio 
Medaglia, comense. È forse, architettonicamente, la 
migliore deiragro tridentino, essendone in special 



modo ammirato il portale ed il tetto in istile neogotico 
lombardo. Vi si conservano quadri pregevoli, tra cui 
una Sacra Famiglia di Jacopo da Ponte, bassanese, 
una fra le glorie della scuola veneta nel secolo XVI. 
Civezzano è patria di Giambattista Borsieri, uno dei 
Kanifeld, illustrazione delle scienze mediche in Italia 
nella seconda metà del secolo XVIII. Visse gran parte 
della operosissima vita in Milano e Pavia. 



In questo distretto, non del tutto alpestre, si notano quattro laghetti, cioè: di Pine, 
della Serrala, di Piazze e di Lases. Nei non lontani colli di Sant'Agnese trovasi poi 
il laghetto detto Lago Santo, la cui singolare, per non dire assurda, leggenda fu 
raccolta dallo storico locale Mariani nell'opera Trento con il Concilio. 

Nei paesi rurali e montanini del distretto di Civezzano nulla havvi che, all'infuorì 
delle bellezze naturali dei luoghi, meriti rimarco. Solo nei pressi di Fornace, villaggio 
posto sulla destra del torrentello Siila, si trovano i ruderi dell'antico castello di 
Fornace, posseduto per molto tempo dai signori di Roccabruna, da cui per eredità 
passò ai Gaudenti di Trento. Il castello venne in parte distrutto per costrurre la nuova 
chiesa parrocchiale, ed il torrione, alto e massiccio, crollò or son circa quarantanni. 



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174 



Appendice 



V. Distretto di TRENTO. — Il distretto di Trento si estende sopra una superficie 
di 1007 chilometri quadrati e comprende una popolazione di 30.154 abitanti. Consta di 
12 Comuni: Trento, Gardolo, Monte Vaccino, Villa Montagna, Cognola, Povo, Villaz- 
zano, Mattarono, Vigolo Vattaro, Sardagna, Ravina, Romagnano. Forma il punto cen- 
trale di questa parte dell'alta valle dell'Adige, detta Bacino di Trento, il quale si chiude 
ad oriente dai monti Celva, Maranza, Vigolana — parte dello Scanupia (2150 m.) guar- 
dante la città — a greco dal Calmo, ad occidente dal Bondone (2180 m.) ed a maestro 
dai monti di Terlago e dal Gara: i primi, gli orientali ed il grecale, a falde molto dila- 
tate, sparse di colline amenissime con due dossi : uno ad oriente (boss' Sani" Agata) e 
l'altro a mezzogiorno (Doss* San Bocco); ed i secondi a falde più ristrette, che fini- 
scono alla sponda destra dell'Adige, e un dosso (Doss' Trento) fortificato, guardante 
la città antica, sede di una rocca eretta dai Romani a freno dei barbari. 

Nel distretto di Trento, oltre l'Adige che scorre rapido a breve distanza dalla 
città, quasi a rasentarne le mura occidentali, corrono: il Fersina, scendente dal laghetto 
alpino di Nardemolo sopra Palù e, dopo aver bagnata la valle dei Mocheni, ingrossato 
da rivi e torrentelli, scendenti dalle valli laterali, entra nella bella piana di Pergine, 
da cui, volgendo verso Trento, scorre incanalato fra alti dirupi fino a precipitare nel 
piano trentino per un'alta e magnifica cascata (Pontalto), dopo la quale mette foce 
in Adige, a mezzodì della città, nella località detta il Deserto ; il Bio di Vela, il Bio 
di Sardagna, il Bio Bondone, il Sale ed altri minori corsi d'acqua che ingrossano 
TAdige, a monte ed a valle di Trento. Il Sardagna, prima di finire in Adige, sulla riva 
destra del fiume, fa una bella cascata, precipitando dall'altipiano di Sardagna per alti 
dirupi nella valle di Trento, davanti a questa città. 

La linea ferroviaria del Brennero taglia nella sua lunghezza il circondario o distretto 
capitanale di Trento, scendendo da San Michele a Mattarello. Essa segue, con lievi 
varianti, il tracciato dell'antica strada Claudia dei Romani, ed ha in questo territorio 
quattro stazioni: due estreme, Mattarello e San Michele; due intermedie, Trento e 
Lavis. Fanno capo a Trento le strade postali della Valsugana (Pergine, Borgo, Primo- 
lano e Bassano), della valle del Sarca (Cadine, Vezzano, Arco, Riva); la prima si stacca 
dalla porta orientale della città (porta Aquileja) e risale il corso del Fersina; l'altra, 
a maestro di Trento, si stacca, al sobborgo di Piedicastello, dalla carrozzabile percor- 
rente la valle dell'Adige e, per il Buco o stretta di Vela, passa nel bacino fluviale 
del Sarca, tributario maggiore del lago di Garda. Strade di minore importanza con- 
giungono Trento con tutti i Comuni del distretto e dei circondari limitrofi. 

Clima. — È dei più temperati, e consente nella regione le più utili colture del 
gelso, della vite, delle ortaglie. L^^emperatura dà in Trento una media di + 12'',7 cen- 
tigradi; il caldo sale da +^f>* a 36o: il freddo rade volte oltrepassa i —7®. 



TRENTO. — Città principale della regione, con 
oltre ^.000 abitanti, si stende su una superfìcie pres- 
soché piana, alla sinistra dell'Adige, a 490 metri sul 
mare. È cinta in gran parte di mura ed ha forma in 
pianta di cuore. È sede della Sezione di Luogotenenza 
per il Trentino, del Comando militare di brigata, del- 
1 Ufficio del Genio militare, della Direzione di finanza, 
di un Tribunale di giustizia pel Circolo di Trento, di 
un Capitanato distrettuale, di una Pretura, di una Di- 
rezione di poste e telegrafi. È città vescovile, con sede 
di un principe-vescovo, la cui diocesi, assai vasta, si 
estende anche su una parte del Tirolo tedesco. L'istru- 
zione pubblica è impartita in Trento in un I. R. Gin- 
nasio liceale, un Ginnasio-Convitto, un Seminario ve- 
scovile, un 1. R. Istituto magistrale per le fanciulle, 



una I. R. Scuola media di commercio, una Scuola 
di pratica agraria annessa al Consorzio agrario di 
Trento ; più le Scuole civico-tecuiche, ci vico-popolari, 
gli Asili d'infanzia ; una Scuola di canto e musica, uaa 
Scuola di ginnastica, un Istituto pei sordo-muti, una 
Società filarmonica. La pubblica assistenza è esercitata 
dall'Ospedale civico, dalla Casa di ricovero, dall'Or- 
fanotrofio maschile e femminile, dal Monte dì pietà e 
da altre istituzioni benefiche di carattere più o meno 
moderno, tra cui una Società di mutuo soccorso tra 
artieri ed operai. 

La Città. — Tanto per chi arriva colla ferrovia, 
sia da Verona o da Bolzano, quanto per chi ne viene 
da una delle grandi valli tributarie dell'Adige, dalla 
Valsugana o dalla valle di Non, il panorama della conca 



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AlU VaUe dell'Adige 



175 



montana sulla quale si distende la città di Trento 
appare bello, rìdente, maestoso. Il bacino di Trento, 
formato da Falta corona dei monti già ricordati, si do- 
mina tutto airintomo : e nel mezzo di questo bacino, 
che sembra uno scenario circolare da panorama ada- 
giato sopra tre colli, i tre Dossi, 
sorge non vasta, ma graziosa e irta 
di torri e di pinacoli, Trento, la ca- 
pitale storica della regione, del- 
l'alta valle dell'Adige, del Trentino. 
Dai suoi Dossi forse Trento prese 
il suo nome latino, Tridentum, e 
non senza una ragione, perchè visti 
dairalto, nello sfondo dell'orizzonte, 
presentano appunto il fantastico 
aspetto di tre immani denti capo- 
volti. L'antico motto della città 
suona difatti : 

Montes argentum mihi 4ant 

Nomenque TWdenlum, 

ma, in realtà, l'etimologia pare 
abbia tutt'altra origine. 

Di cotesti tre colli o Dossi, l'o- 
rientale è detto Doss' Sant'Anna, 
quello a mezzodì Dom' San Rocco, 
ed infine quello ad occidente, a 
falde più ristrette, a forma di fungo, 
meno alto, ma degli altri più ce- 
lebre, è il Doss* Trento o Verruca, 
guardante la città : antica sede di 
una rocca romana a difesa dai bar- 
bari, poi di fortificazioni a difesa 
della città verso la parte inferiore 
dell'Adige, ed ora di una polveriera 
ed una caserma d'artiglieria. 

Giungendo dalla strada di Riva 
dalla stazione ferroviaria Trento 
si presenta nel mighor modo pos- 
sibile, colla veste di città elegante, 
pulita, moderna. 

Il piazzale della Stazione, ridotto 
a magnifico square o giardino in- 
glese, nel quale torreggia il superbo 
monumento a Dante, opera lodatis- 
sima del fiorentino Cesare Zocchi, 
inaugurato pochi anni sono con feste grandiose ed 
indicibile entusiasmo di tutto il popolo trentino, che 
diede al monumento al padre della lingua nostra il più 
alto significato, è circondato da grandiosi edifizi mo- 
derni, taluno dei quali ad uso di albergo, è uno dei 
ritrovi più graditi della cittadinanza. 

Si entra in Trento per una via larga, fiancheggiata 
da platani alti e fronzuti, detta della Stazione e, dopo 
aver passato sopra un ponte in pietra un rivo che scorre 
placido fra quel verde per finire poi in Adige, al di- 
sotto della stazione stessa. Oltre questo ponte sorgeva 
l'antica cinta delle mura di Trento, costruite, dicesi, 
da Teodorico, che i disegni e le incisioni di mezzo se- 
colo fa ci danno ancora diritte, nere e meriate. Dove 
sorgevano le mura antiche — delle quali sono ancora 



in piedi alcuni avanzi nella parte occidentale ed a mez- 
zodì della città — con grande vantaggio della pub- 
blica igiene, c'è oggi una larga ed ariosa spianata 
con filari d'alberi rallegranti la vista ed ossigenanti 
l'aria. 



Fig. 52. — Trento : Angolo del Duomo. 



L'aspetto generale della città, nell'architettura delle 
case, nei porticati, nello stile delle chiese e dei mag- 
giori edifizi non presenta differenza alcuna di indole 
di carattere colle vicine città del Veneto e della 
Lombardia. 

Monumenti Pubblici, Sacri e Privati 

Il Duomo (fig. 52). — Sorge sulla piazza Grande 
del Duomo ed è il monumento antico più completo che 
Trento possegga. Esso appartiene al novero di quelle 
cattedrali che, tra la fine del secolo X e la prima metà 
dell'XI, i Maestri Comacini costrussero nelle principali 
città dell'Alta Italia, e delle quali a Parma, a Modena, 
a Ferrara rimangono ancora gli esempi più perfetti e 
notevoli. Secondo gli storici più accreditati il Duomo 



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176 



Appendice 



di Trento fu cominciato nella prima metà deirXI se- 
colo per volontà del vescovo Ulderico II ; proseguito, 
dopo lunga interruzione, dal 1129 al ili9, dal ve- 
scovo Allamanno, da cui fu consacrato, coirintervento 
del vescovo di Concordia e del patriarca d*Aquileja ; fu 
rifatto e compilo tra il 1207 ed il 1218, per le cure 
del vescovo Federico di Vanga, cancelliere deirimpe- 
ratore Ottone. Chi sìa stato Tarchitetto della prima 
costruzione non è noto ; ma ciò che di essa rimane, 
nelle tre absidi specialmente, la dic^ della gran fa- 
miglia dei Maestri Comacini ed indubbiamente di 
quella stessa razza da cui uscirono le cattedrali di Mo- 
dena e di Ferrara, colle quali ha le maggiori rassomi- 
glianze. Noto è invece il nome delfautore delPultìma 
rinnovazione dell'insigne monumento e del suo com- 
pimento. E questi fu un maestro Adamo da Arogno, 
località dell'antica diocesi comense, poco discosta dalla 
sponda orientale del lago di Lugano, tra Bissone e 
Campione : i due paesi da cui uscì il maggior numero 
di cotesti valentissimi artisti. 

Il Selvatico, nella sua Storta deir architettura, at- 
tribuisce al comasco monaco Adamo da Atrogno (come 
egli stesso scrive alterando Tortografia del nome) il 
disegno del Duomo tridentino, ch'egli considera conoe 
uno dei capi più splendidi dell'arte lombarda e dice di 
essere « il modello più sicuro dell'arte edificatoria 
e usata dai Comacini >. 

Che quel tempio, ossen^a lo storiografo dei Maestri 
Comacini, Giuseppe Merzario, appartenga a maestro 
Adamo è fuor di dubbio; anzi, perchè la fabbrica durò 
più di mezzo secolo, al padre, quando si rese defunto, 
subentrarono i figli, poi i figli dei figli, quasi fosse una 
eredità di famiglia. 

Dal quale fatto si potrebbe argomentare all'esistenza 
di segreti di famìglia, odi unioni o chiusure dei Coma- 
cini nelle cose d'arte. Il prof. Cipolla, in una sua re- 
cente monografia sulla Cattedrale tridentina, loda il 
vescovo Federico e soggiunge : « Commise egli la ri- 
costruzione artistica della propria cattedrale ad un 
maestro comacino, e l'opera dovuta all'iniziativa sua 
ed all'ingegno di maestro Adamo ci viene descrìtta da 
un'epigrafe ben nota. È incisa profondamente in carat- 
teri gotici non ineleganti, forse della seconda metà del 
secolo XIII, finiti con molta cura ». L'epigrafe che il 
Cipolla rìporta nel testo latino dice : t Nell'anno del 
e Signore 1212, l'ultimo giorno di febbraio... inco- 
t minciò l'opera di questa chiesa, e costrusse maestro 
e Adamo da Arogno della diocesi di Como {Magister 
e Adam de Arognio cumanae diocesis et circuito.,,): 
« fabbricarono con maestrìa, egli, i suoi figli, e i suoi 
« abbiatici all'interno ed all'esterno di questa chiesa, 
e colle aggiunte : egli e la sua prole giacciono qui sotto 
t nel sepolcro. Pregate per loro ». 

Il dotto marchese Enrico Ricci analizza e loda questa 
fabbrica, che, malgrado qualche ristauro non insipiente 
nei tempi successivi, riconosce di pretto stile lom- 
bardo, così nella facciata come in una serie di pìccole 
loggie, quali sono nel frontispizio del duomo di Parma 
e in altre cattedrali italiane; negli archetti, nei fregi, 
nelle cornici della parte esterna della tribuna, nelle 



navate, nella cupola ottangolare, nell'abside dì forma 
elittica. 

La parte architettonica, anche nei suoi particolari 
minimi, nei dettagli decorativi, è quanto di più rimar- 
chevole ofl^'e il duomo di Trento al visitatore, sia allo 
estemo che allo intemo : ove le tre navate archiacute, 
sorrette da piedritti mistilinei, completano e confer- 
mano l'impressione di artistica austerità data dalla parte 
esteriore del monumento. 

Curioso particolare, nell'interno, sono poi le scale 
singolarissime, ad archetti e colonnette ricorrenti, sgu- 
scianti in lunga linea diagonale nelle due pareti in- 
teme laterali dell'edifizio per condurre ai torrioni della 
facciata : elemento architettonico del quale non si ha 
esempio nelle lontane fabbriche dei Comacini ; ma per 
la sua impronta opera evidente o di maestro Adamo o 
dei suoi figli. 

Nelle cappelle, negli altari, nella sagrestia il duomo 
di Trento ha dipinti pregevoli del Romanino, del Bm- 
sasorci, del Dorigati, del Loth (bavarese), delFOr- 
betto (Alessandro Turchi da Verona), un affresco di 
scuola giottesca del 300, ecc. 

Fra gli oggetti che hanno ricordo storico è il Cro- 
cefisso in legno scolpito, antichissimo, davanti al quale 
in pompa solenne fiirono lette e pubblicate le decisioni 
del Concilio; e nella sagrestia si conservano arazzi 
preziosi, argenterie, messali ed antifonari di grande 
valore, ecc. 

Nelle tombe, di cui il duomo di Trento abbonda, 
vanno distinte: quella, più o meno autenticata, di 
SanfAdalpertOy vescovo e primo predicatore del Cri- 
stianesimo nella regione, difesa da una densa infer- 
riata, con placca dorata portante a cesello la scena del 
martirio subito dal santo ; la tomba di Roberto Sanse- 
verino, capitano generale di Venezia, ferito e morto 
alla battaglia di Calliano contro Sigismondo d'Austria. 
Questo monumento è dovuto ad un Luca Moro, ed oltre 
del busto del valoroso guerriero porta due epitaffi, uno 
in tedesco e l'altro in latino: quest*ultimo, abbastanza 
contorto, cosi concepito : 

Italiae ficfor, Severina SHrpe Roberlmi 
Sigmundum AuttraUm Cartia in 

Arma Dueem, 
Ter proecre* Veneti bello petiere 

Tridentum 
Ter vieti, hic i4nctìu eue Robertu» 

adut. 

Altri monumenti sepolcrali che si coUegano alla storia 
tridentina sono quelli dei principi-vescovi : Giorgio di 
Lichtenstein, Cristoforo Sizzo di Noris; poi le arche 
di Pier Andrea Mattioli^ sanese, medico del cardi- 
nale Bernardo Clesio, scienziato chiarissimo al suo 
tempo e commentatore di Dioscoride; di Liduino Pie- 
colomini, preposto del Capitolo e deUa stessa famiglia 
di Enea Silvio, che fu pure canonico nella cattedrale 
tridentina e quello del celebre giureconsulto trentino 
Calepino Calepini, 

* * 

Bella, pittoresca, caratteristica è la piazza Grande 
del Duomo, centro, se non topografico, certo mtuale 
della vita cittadina. Essa è aperta dal lato dirà Larga 



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Alta Valle dell'Adige 



177 



Fig. 53. — Trento : Fontana in piazza del Duomo. 



e contornata da edifìzi grandiosi, come il Duomo, nel 
quale Farte dei Gomacini ha trasfuso tutta la sua ge- 
nialità ; monumenti, come l'antico palazzo del Pre- 
torio, col suo grande torrione merlato ; e le due ti- 
piche case dette dei Portici, coi loro deteriorati 
affreschi del cinquecento. Questi edifizi, colla monu- 
mentale fontana sulla fiancata del Duomo e il gruppo 
degli ippocastani, formano un complesso che non può 
a meno di fermare Tattenzione del visitatore. 

La fontana è nello stile barocco, rigonfio, frondoso 
dei secolo XVIII. Consta di tre ordini di conchiglie 
marine, nei quali stanno sirene, trìtoni, delfini gettanti, 
con vago giuoco, zampilli d'acqua dalle narici e dalle 

62 — Ia Patria» voL I, parte 2i. 



bocche. Sulla sommità vi è una buona statua di Net- 
tuno col tridente allato, l'occhio accigliato quasi a sfi- 
dare la tempesta che lo circondi. Questa fontana, di 
varie qualità di marmi del Trentino, è opera di Fran- 
cesco Giongo da Lavarone, che la condusse a termine 
nel 1768. In questi ultimi anni fii abilmente restau- 
rata (fig. 53). 

Le due case dette Ai Portici, volte verso il Duomo, 
sono parti rimarchevoli della piazza. La loro architet- 
tura è del periodo del Rinascimento, coi tetti delle 
grondaie fortemente sporgenti ed i portici sottostanti 
ad arco assai dilatato. La singolarità di queste case sta 
negli affreschi dei quali si veggono tuttavia larghe 



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178 



Appendice 



impronte. Michelangelo Mariani, nella sua opera Trento 
con il Sacro Condlio ed altri notabili ^ edita nel 1672, 
parla di queste pitture cosi: e Sono le pitture di questi 
luoghi di città assai lodevoli, ma cedono a quelle 
t che stanno in faccia della torre del Duomo su la 
€ piazza, dove in gran varietà portano le figure a 
< scurcio, motto e geroglifico, rispondendo quelle che 
« si veggono nella Torre stessa e dirimpetto •. Delle 
pitture della Torre non si hanno più tracce ; queste 
delle due Case ai Portici, assai interessanti per Parte, 
sono ancora abbastanza bene conservate. Credesi siano 
dovute al pittore vicentino, ben noto nella storia del- 
l'arte veneta, Marcello Fogolino. 

Santa Marìa Maggiore. — Dopo il Duomo è fra 
gli edilìzi sacri di Trento, per bellezza di architettura 
e per memorie storiche, il più importante. Sorge sulla 
piazzetta omonima, nel luogo ov'era anticamente Tan- 
tica chiesetta di Santa Maria della Neve, prima par- 
rocchia che fu chiamata in sussidio della cattedrale 
di San Vigilio. Fu fatta costnirre dal principe-vescovo 
cardinale Bernardo Clesio nella prima metà del se- 
colo XVI. È ad una sola navata, ampia, grandiosa, 
con tre altari per lato in marmi preziosi, ma di disegno 
barocco, come la moda del secolo decadente portava. 
I dipinti che adomano gli altari e le pareti delia chiesa 
appartengono alla scuola veneta. Fra questi uno è di 
G. B. Cignaroli : vari altri, alquanto interessanti, sono 
di dubbio autore ; il quadro veramente prezioso con- 
servato in questa Chiesa è quello nel secondo altare a 
sinistra, opera sempre attribuita al Moretto, ma che 
recentemente si volle attribuire al Morone. 

Questa storica chiesa venne ora ristaurata ; la fac- 
ciata fu quasi per intiero modificata su disegno del- 
Tarchitetto Emilio Paor. In essa tennero le loro sessioni 
i Padri del Concilio, ed un gran quadro, che, coperto da 
un tendile, si mostra solo dietro speciale richiesta, nel 
coro, rappresenta una seduta del Concilio stesso, nel- 
l'ordine e disposizione a cui pei loro gradi avevano diritto. 
L'organo, grandiosa opera del lombardo Bartolomeo 
Antcgnate, aveva 2180 canne : fu distrutto da un in- 
cendio causato dal fulmine nel 1819. La cantoria, in 
marmo di Carrara, ha belle scolture attribuite a Tnllio 
Lombardo. 

* * 

Chiese di minore importanza, non prive di merito 
architettonico, sono: la Chiesa delV Annunziata , eretta 
nel 1719 su disegno di Antonio Brusinello, con bella 
cupola dipinta da Francesco Fontebasso da Venezia ; 
— la Chiesa del Seminario, eretta sui disegni del 
P. Andrea del Pozzo, gesuita, nel 1701 ; — la Chiesa 
di San Pietro, in istile gotico, rimodernata sui disegni 
di Pietro Selvatico, a tre navate ed una magnifica can- 
toria: — ed infine la piccola ma elegante Chiesa di 
San Martino, con un bellissimo dipinto del Cignaroli, 



Castello del Bnon Consiglio. — E fra gli edi- 
fizi profani di Trento il più importante per ragioni ar- 
tistiche, architettoniche e storiche. Fu Tantica splen- 
dida residenza dei prìncipi-vescovi di Trento, e per 
quanto malridotto dalle successive occupazioni militari 



serba in alcune parti buoni avanzi dell'antico splen- 
dore. Il castello del Buon Consiglio sorge nella parte 
orientale della città, che è anche la più elevata, e 
presso l'antica porta di Aquileja, alle falde quasi del 
monte Calisio, che si presentano irte e spezzate in lunga 
fila, come una scogliera battuta dal mare, l^ posizione, 
alta e sgombra da ogni parte nella quale sorge il ca- 
stello, permette, dagli spalti e dalle finestre, di domi- 
nare, non solo sulla città, ma su l'intero bacino di 
Trento e di buona parte della vallata superiore dell'Adige 
fino alla piana di Lavis. Secondo le antiche memorie 
trentine, ove ora sorge il castello e preci.samente nel 
luogo ove è il torrione rotondo, vuoisi sorgesse, al 
tempo della dominazione romana, una rocca di ri- 
scontro a quella esistente suUa Verruca o Doss' Trento. 
Ma nessun monumento serio conferma questa leg- 
genda : ed il torrione attuale, sebbene porti il nome di 
Augusto, è evidentemente opera dei secoH di mezxo, 
nei quali tempi il castello di Trento, circoscrìtto alla 
sola parte superiore, ràggruppantesi intomo alla torre 
rotonda, più che altro fu una rocca di presidio, un ar- 
nese di guerra e dai feudatari, prima della venuta di 
Corrado t7 Salico, e dai principi-vescovi poscia vòlto 
contro i nemici esterni ed anche contro i cittadini. 

Questa parte del forte, resistente all'urto di tanti 
eventi, serbò per molto tempo il nome di Castello 
Vecchio. Verso la metà del secolo XV i prìncipi- vescovi 
di Trento pensarono di fare del castello Vecchio la re- 
sidenza della loro Corte. Prìmo fu il vescovo Giorgio 
di Hach, che munì di torri e di propugnacoli il ca- 
stello Vecchio ; continuò Topera sua Giovanni di Hin- 
derbach (1465-86), che continuò i lavori del castello 
Nuovo; ma il merito di avere avviata vigorosamente 
la grande opera e condottala a termine spetta al prin- 
cipe-vescovo cardinale Bemardo Cle^o, il quale si 
aflìdò per i disegni al celebre architetto del tempo, 
Gian Maria Falconetto, veronese, e per le opere di 
costruzione a mastro Martino da Como, espertissimo 
nell'arte sua. 

Dal lavoro riunito del Falconetto e di mastro Mar- 
tino da Como ne venne quei complesso eccentrico e 
grandioso che anche oggidì si ammira e che fa di 
questo castello uno dei più bei campioni del genere. 

1^ vecchia rocca, colla cosidetta Torre d'Augusto, 
venne, per una continuazione di fabbriche, riunita ed 
incorporata in una sola massa : tutto l'edifizio prese il 
nome di Castello del Buon Consiglio, perchè i prin- 
cipi-vescovi che vi abitavano e tenevano Corte tale 
chiamavano il loro governo. Secondo le descriziooi 
che ne fanno il Mattioli, il Mariani ed altri storici e 
scrittori del periodo di quel principato ecclesiastico, il 
castello di Trento poteva competere colle più splen- 
dide reggie del tempo. Le vaste sale e gli ampi ele- 
ganti loggiati, gli scaloni furono dipinti a fresco dai 
bresciano Girolamo Romanino, dai due Palma, da Do- 
menico Riccio detto il Brusasorci, da Marcello Fogo- 
lino, dai Dossi di Ferrara e vi operò perfino il grande 
Giulio Romano, emulo in tante cose a Michelangelo. 

Il cardinale Clesio era uomo munifico e liberale, 
intonato alla morale ed al gusto dei tempi, laonde 



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Alta Valle dell'Adige 



179 



lasciò ai pittori che lavoravano nelle sale e nelle logge 
del suo castello la sconOnata libertà di soggetto e di 
metodo ; sì che tutta la mitologia greco-romana, ardita 
e naturalista, venne, nei mille suoi episodi, illustrata 
nei soffitti, sulle pareti ed in ogni parte di quel ca- 
stello, destinato ad essere sede di 
una Corte essenzialmente ecclesia- 
stica. Ma indetto il Sacro Concilio 
e fissata Trento per sua sede, il 
principe-vescovo del tempo, cardi- 
nale Cristoforo Madruzzo, successo 
al Clesio, dovendo dare nel castello 
ospitalità ai più eminenti porporati, 
ai piìt illustri dottori della Chiesa, 
preso da scrupolo per quelle pitture 
troppo profane e contrastanti cogli 
intendimenti coi quali, per far ar- 
gine alla Riforma, il Concilio si 
radunava, chiamò Daniele Riccia- 
relli, detto il Volterrano, a ritoc- 
care, a correggere, a ricoprire di 
panneggiamenti, di fronde, di foglie 
e di fiorì la soverchia arditezza 
lasciata dagli altri pittori. 

Fra gli ospiti insigni del cardinale 
Clesio nella sua nuova reggia si ha 
per primo Cario V imperatore, che, 
nel 1530, vi si trattenne col suo 
seguito per otto giorni; dopo di lui 
vi fii Don Giovanni d'Austria, che 
doveva essere il comandante su- 
premo alla battaglia di Lepanto, 
gloria della marina italiana e della 
veneta particolarmente. Durante il 
Concilio il castello albergò, ospite 
munificente, il cardinale Cristoforo 
Madruzzo, un'infinità di personaggi 
cospicui, principi e magnati, tra cui 
Filippo infante di Spagna ed i figli 
di Ferdinando d'Austria, re dei Ro- 
mani. Sono poi rimaste celebri le 
feste date nel castello dal cardinale 
Madruzzo suddetto nell'occasione 
della sua prima messa; e dall'ultimo 
dei princìpi-vescovi di famiglia Ma- 
druzzo — per compiacere alla bella e fantasiosa Claudia 
Particella — quando vi ricevette Anna de' Medici, 
l'imperatore Ferdinando IV e l'arciduchessa d'Austria, 
Anna Maria. 

Nei suoi bei tempi si entrava al castello del Buon 
Consiglio per la gran porta coU'eifigie di San Vigilio, 
che si vede oggi murata. Il principe-vescovo teneva la 
sua Corte nella parte detta appunto Castello Nuovo o 
Domus Aurea. Nel castello Vecchio c'erano gli uflTici 
del Consiglio di Stato, del Tribunale, nonché le abi- 
tazioni dei numerosi dipendenti della Corte civile ed 
ecclesiastica del principe-vescovo. Nel torrione d'Au- 
gusto ed adiacenze c'erano, oltre delle prigioni, gli 
alloggi del presidio, per molti anni formato da milizia 
cittadina; ma dopo il libello deW Undici, da truppe 



mercenarie, per lo più svizzere e tedesche, maotenuta 
dal conte del Tirolo, come onere per la sua carica di 
avvocato della Chiesa tridentina. Tale stato di cose 
durò per oltre tre secoli, finché non venne l'onda ri- 
voluzionaria a spazzar via tutto. Occupato il Trentino 



Fig. 54. — Trento : Torre Vanga. 

da Joubert, abolito il principato ecclesiastico, il ca- 
stello del Buon Consiglio, senza alcun rispetto alle 
memorie storiche ed ai suoi pregi artistici, venne tras- 
formato in caserma, nella quale, a seconda delle varie 
vicende delle guerre napoleoniche nel principio del 
secolo scorso si alternarono truppe francesi, tedesche, 
italiane, bavaresi. Dopo il 1815 vi sedette il Comando 
militare austriaco nel Trentino e quivi, il 15 aprile, 
furono fucilati ventun giovani di Trento e del circon- 
dario, che, attratti dalla voce della patria comune, ar- 
mati, si accìngevano a passare in Lombardia, sorpresi 
e catturati, dopo breve scontro, dalla truppa austnaca 
nei pressi di Castel Toblino, in valle dì Sarca. L'ese- 
cuzione di quel gruppo d'animosi avvenne nella gran 
corte del castello. 



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180 



Appendice 



Fiu quasi ai nostri tempi il castello del Buon Con- 
siglio era legato per un braccio delle mura, ora demo- 
lite, alla 

Torre Verde. — È questo un singolare edifizio, 
le cui origini si voirebbero far risalire nientemeno che 
al periodo etrusco. Ma senza andare tanto alto certo è 
che la Torre Verde è edifìzio vetustissimo, anteriore 
forse alla cinta murata di Teodorico. Forse è sòrta 
sulle rovine o sulle fondamenta di qualche propugna- 
colo che si collegava all'antica rocca o torre d'Augusto. 
Nelle fazioni medioevali la Torre Verde ha servito da 
prigione pei colpevoli dei più gravi delitti ed era la 
più terribile delle prigioni tridentine, una vera sepol- 
tura, perchè il suolo su cui poggia, costituito dall'an- 
tico alveo del fiume, è permeabile ed acquitrinoso, 
stillante di continuo umidità nelle piccole segrete che 
erano nei sotterranei della torre. Ora la Torre Verde 
non è che un massiccio torrione circolare, costrutto in 
pietra bugnata corrosa dal tempo, sormontato da un 
tetto conico acutissimo, coperto da piastrelle in cotto 
a smalto giallo e verde, donde gli efletti bizzarri se- 
condo la luce e quando il sole vi batte sopra. 

Torre Vanga (fig. 54). — Più recente, anzi per- 
fettamente medioevale, meno singolare nella sua forma 
tozza in mattoni, ma non meno celebre della Torre 
Verde nella storia trentina è la Torre Vanga, sorgente 
all'estremità opposta della città e della stessa via nella 
quale è la Tor Verde. La cinta murata di Trento che 
si staccava dalle pareti bugnato e corrose dal tempo 
della Tor Verde, giungeva, con una linea quasi retta, 
fino alla Tor Vanga — presso la quale aprivasi l'an- 
tica porta Bresciana — ingresso a Trento per quanti, 
attraversate le giogaie di Vela e di Bondone, giunge- 
vano dalla Lombardia. La guardia di questa porta si 
estendeva fino alla testa dell'antico ponte detto di San 
Lorenzo, sulPAdige. 

Il nome di Vanga venne a questo massiccio tor- 
rione da una illustre famiglia tridentina, che molto 
probabilmente la eresse. 

Fra i molti cittadini cospicui dati alla patria dalla 
famiglia Vanga — ora estinta — va ricordato il prin- 
cipe-vescovo Federico, del quale si conserva nella Bi- 
blioteca civica un pregevole codice da lui appunto detto 
Vanghiano, 

Anche la Torre Vanga funzionò da prigione, certo 
più umana ed abitabile della Torre Verde, e quivi per la 
rivolta popolare, provocata dalla durezza del principe- 
vescovo Giorgio di Lichtenstein e dalle angherie dei 
suoi mercenari, scoppiata nei primordi del 400, fu 
sTppunto rinchiuso quel principe caduto in potere del 
popolo, capitanato da Rodolfo dei Bellenzani. 

La prigionia del principe mitrato non fu lunga, 
perchè Enrico di Rottemburgo seppe vincere i rivoltosi 
e togliere di mezzo il loro capo ; ma fu però buono 
anmionimento per il vescovo stesso e dei suoi succes- 
sori, che tennero in seguito sistemi di governo più 
miti ed umani. 

Antico Palazzo del Pretorio. — Sorge sulla 
piazza Grande, nel lato orientale di questa. Il palazzo 
del Pretorio era Tantica residenza dei principi-vescovi, 



avanti che facessero rimodernare e ricostrurre 11 ca- 
stello del Buon Consiglio. II Mariani, nel suo Trento 
con il Sacro Concilio et notabili, dice questo edifido 
tanto antico che ospiti in esso « furono persino i pre- 
decessori di San Vigilio v. 

Lasciamo al cronista tridentino la responsabilità 
della sua affermazione. La parte più antica di questo 
edifizio è il torrione costruito in pietra viva, merlato, 
nel quale è conservata l'antica campana del Comune, 
detta Renga, perchè chiamava coi suoi rintocchi al- 
y arringo i magistrati del Comtme. Ora è serbata al 
più modesto ufficio di awisatrice delle funzioni re- 
ligiose. 

Municipio. — Il Magistrato civico di Trento ebbe 
nel secolo scorso due residenze : il palazzo Vecchio ed 
il palazzo Nuovo del Municìpio: M l'uno che Taltro 
sorgono nella via più centrale della città, la via Larga. 
Il primo, ora adibito a sede della I. R. Scuola Com- 
merciale, è dotato di un'antica torre. Vi si serba an- 
cora intatta la spaziosa sala che serviva alle riunioni 
del ConsigUo, adoma all'interno da dipinti. La facciata 
era pure ornata di dipinti, tra cui uno rappresentante 
il Supplizio di Rodolfo de' Bellenzani, colui che aveva 
osato condurre la ribellione del popolo contro l'auto- 
rità del principe-vescovo. Di questo singolare affresco, 
rovinato dagli uomini e dalle intemperie, non rimane 
che una testa conservata nel .Museo civico. Nel cortile 
l'archeologo conte Giovanelli ha ordinata la raccolta 
delle lapidi tridentine, tra le quali è notevole quella 
colla effigie del buffone di Bernardo Clesio. Il palazzo 
Nuovo del Municipio, sorto sul luogo ove un tempo 
erano le case dei Bellenzani, già appartenente alla fa- 
miglia dei conti di Tono (Thun), è un vasto edifizio 
rinnovato nel secolo XVIIl, sui disegni dell'architetto 
Vanti ni, con una vasta, magnifica sala destinata alle 
radunanze della rappresentanza cittadina, adoma d'un 
grande quadro rappresentante il Concilio, simile a 
quello che mostrasi in S. Maria Maggiore, e da un altro 
rappresentante la Guardia civica tridentina nel 1801. 

In questo edifizio sono allogati tutti gli uffici del 
Comune, la Biblioteca ed il Museo. In tempo del Con- 
cilio vi ebbero fastosa dimora i cardinali Ercole Gon- 
zaga e Giovanni Morene. 

Palazzo Nuoto della Giustizia. — È il più no- 
tevole degli edifizi pubblici moderni di Trento, per la 
grandiosità o la ricchezza con cui venne costruito, 
nella nuova via che da piazza Fiera va a piazza d'Armi. 
I primi disegni di questo maestoso e severo edifizio 
furono dati dalParchitetto trentino Ignazio Liberi ; il 
Ministero dei lavori pubblici in Vienna li modificò al- 
quanto, ed in ispecie nella tecnica, per quello che ri- 
guardava le annesse prigioni. Occupa la non piccola 
superficie di 13.600 metri quadrati e vi hanno sede 
ri. R. Tribunale distrettuale (fig. 55), la Procura di 
Stato, la Pretura urbana ed uffici e cancellerie inerenti. 
Magnifica è la sala della Corte d'assise, di 150 metri 
di superfìcie e 9 di altezza. Nella parte retrostante hawi 
l'edifizio delie prigioni ad uso ergastolo con 180 posti, 
pei detenuti, 90 dei quali a sistema celhibu^ : sale di 
lavoro, gallerie, loggiati, cortili di passeggio, abitazioii 



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Alla Valle (lell'Adlge 



181 



Fig. 55. — Trento : Il Tribunale. 



per il direttore, impiegati, guardie, cappellano ; infer- 
meria, chiesa, confortatorio e locali adibiti ai lugubri 
uffici dell'esecutore di giustizia. 

Orfanotrofio. — Qnest'edifizio, sorgente nel sob- 
borgo di San Bernardino Vecchio, ha aspetto mae- 
stoso e di belle linee architettoniche. iNc diede il disegno 
l'architetto cav. Milesi di Como; ed oltre le ampie 
camerate, refettori, sale di studio ha un bel giardino, 
una cappella, un elegante teatrino, le officine ed un 
locale adibito all'esposizione permanente dei lavori 
compiuti dagli alunni e ricoverati. Ne è proprietaria 
ed amministratrice la Congregazione di carità. 

Edifizi privati. — Per quanto non molto vasta 
Trento possiede buon numero di edifizi privati, degni, 
per pregi architettonici ed artistici, di essere ricordati 
ed additati airattenzione degli studiosi. Fra i più im- 
portanti citiamo i seguenti : 

Palazzo Galasso. — Sorge in via Lunga ed è 
uno dei più grandiosi edilìzi della città. Fu eretto nel 
1581 a spese di Giorgio Fuegger, ricco banchiere di 
Augusta, che aveva dovuto abbandonare la città natale 
per sfuggire alle ricerche della giustizia. Da questi il 
palazzo passò in proprietà di Mattia Galasso, unico 
figlio di Pancrazio da Campo, generale delle armi im- 
periali ed emulo del Wallenstein nella famosa Guerra 
dei Trent'anni, morto in Vienna nel 1647. Sotto il 
Galasso il palazzo del Fuegger mutò altresì di nome e 
d'aspetto: fu rifabbricato, ingrandito ed ornato del 
cortile in istile palladiano, che forma anche oggidì la 
sua parte migliore. 

Palazzo Tabarelli (fig. 56), in via San Benedetto. 
— È fra i più notevoli edifizi privati della città. Fu co- 



struito da un canonico Antonio Tabarelli, sui disegni, 
dicesi, del Bramante. Ma se non del grande artista, esso 
è certo nello stile di questi e del miglior momento. Il 
bugnato in pietra viva, che il tempo ha annerito e reso 
più solenne, interrotto da tre strisde a medaglioni e i 
due ordini di finestre ad archetti tondi, ora sole, ora 
accoppiate, colla divisione di una elegante colonnetta, 
fa ricordare i bei palazzi del Cinquecento che fan bella 
Firenze e le altre città della Toscana. I medaglioni ed 
i fregi delle strisele e della cimasa sono opera dello 
scultore tridentino Alessandro Vittoria, celebre nei 
fasti dell'arte veneta e del cui valore più che altrove 
parlano tante opere in Venezia. Il palazzo Tabarelli fu 
recentemente ristaurato dagli attuali proprietari, i conti 
Moor-Salvadori, che ne rispettarono la bella e forte 
architettura. 

* * 
Edifizi che meritano d'essere ricordati ed ammirati 
in Trento sono i palazzi Sardagna e Da Prato: il 
primo già appartenente all'antica famiglia dei Colepìni, 
con affreschi delRomanino ed una singolarissima porta 
a cariatidi, balaustra e putti in marmo (di bel ba- 
rocco), ritenuto lavoro di Francesco Barbacovi di Toja; 
l'altro, oggi sede della Scuola magistrale femminile, 
eretto sui disegni del Palladio, già dimora del cardi- 
nale Crescenzio durante il Concilio e dove i legati so- 
levano tenere le loro adunanze speciali ; — la casa 
Carruffi, colla facciata (ora assai deteriorata) dipinta 
a fresco dal bresciano Lattanzio Gambara, discepolo e 
genero del Romanino; — l'antica casa Geremia (ove, 
nel 1508, alloggiò l'imperatore Massimiliano! e dove, 
nella tei'za riunione del Concilio, dimorò il cardinale 



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182 



Appendice 



Gonzaga), con avanzi di pitture a fresco nella facciata 
mostranti il rìtratto delKimperatore stesso e le figure 
dì Quinto Curzio e Muzio Scevola ; — la casa Monti, 
con affreschi del seicento, raflaelieschi di buona 
scuoia ; — la casa Garavaglia, in via San Marco, con 
affreschi del Brusasorci, di bellissima fattura, rappre- 
sentanti un Episodio della vita di Scipione, nella parte 
inferiore ; una Battaglia, nel mezzo ; e più alto la 
Sfida d'Apollo e Mida : questi affreschi, relativamente 
conservati, portano la data MOLI. 

Istituzioni. — Trento è città ricca di istituzioni 
educative e filantropiche. Tra le prime, oltre le nume- 
rose istituzioni scolastiche già ricordate, vanno enu- 
merate la Biblioteca ed il Museo comunale, la Società 
degli Alpinisti tridentini e la Società ginnastica : isti- 
tuzioni queste due ultime alle quali è specialmente 
commesso l'alto e nobile mandato di destare e tenere 
vivo nella gioventù trentina Tamore dei patrii luoghi, 
facilitando la conoscenza delle meravigliose bellezze 
naturali di questa e delle regioni vicine, facilitando i 
contatti e i rapporti colle popolazioni vicine e di tener 
soprattutto vivo il sentimento nazionale contro la pre- 
potenza dei pangermanisti. 

La Biblioteca, che si trova collocata nel piano su- 
periore del palazzo Civico, fu fondata dal principe- 
vescovo Giovanni Benedetto Gentilottì e dal canonico 
Giambattista, suo fratello, che legarono alla città la 
loro libreria, ricca di oltre 13.000 volumi, fra cui ra- 
rità tipografiche e codici preziosi. Il barone Antonio 
Mozzetti, bibliofilo assai conosciuto, morto in Milano 
nel 1841, lasciò alla nativa Trento tutta la sua ricca 
collezione di Ubri e di documenti : la prima di circa 
15.000 volumi, l'altra di 1148 documenti, formanti 
50 volumi in-folio, tutti relativi a pratiche, sessioni o 
deliberazioni prese dal Concilio. Oggi la Biblioteca tri- 
dentina consta di quasi 40.000 volumi ed è in continuo 
aumento. 

Il Museo Civico, conservato nello stesso palazzo, 
fti fondato col lascito del conte Benedetto Giovanelli, 
che, morto nel 1846, lasciava alla città il ricchissimo 
suo medagliere ed i preziosi cimeli dell'età etnisca e 
romana, raccolti nel suo palazzo. Altra collezione pre- 
gevole di monete ed oggetti d'antichità paesane, rac- 
colta dal canonico De Pirziui di Ala. fu da un nipote 
di questi donata al Comune di Trento, che con acquisti 
di oggetti rari ed artistici e doni di benemeriti citta- 
dini riesci a formare un interessante Museo di memorie 
patrie, regionali; nonché un ricco campionario della 
fauna e della flora tridentina. La perla di questo Museo, 
pezzo archeologico di grandissimo valore, è la famosa 
Tavola Clesiana, rinvenuta nei Campi Neri presso 
Cles nell'anno 1869, dichiarata da Teodoro Mommsen 
ed oggetto di studio per gli eruditi in archeologia e 
storia. 

Fra le istituzioni di beneficenza di cui Trento ha 
vanto va ricordato l'Ospedale civico intitolato a Santa 
Chiara, ricostnitto e regolato ora secondo i più mo- 
derni e rigorosi dettami della scienza ospitaliera. 

I Sobborghi. — Pittoreschi ed interessanti sono 
i sobborghi immediati di Trento, formanti piccole fra- 



zioni del Comune, quali: Piedicastello, sulla sponda 
destra del fiume, alle falde del Doss' Trento o Verruca 
e dove primeggia il curioso gotico edifidodi SanfApol- 
linare, nel quale si conservano frammenti di scolture 
del perìodo romano e discreti dipinti ; — il grazioso 
paesello di Vela ; — le colline di San Giorgio, cosparse 
di graziosi villini ; — il convento dei Carmelitani, eretto 
dal Galasso, indi trasformato in Ospizio di maternità ed 
ora adoperato dal Governo ad uso di caserma ; ~ la 
scogliera delle Laste, formata dalla base del monte Ga- 
hsio, fiancheggiata da colline e pendici ameniss'une ; — 
la passeggiata al Fersina, eminentemente pittoresca; — 
il Cimitero (fig. 57), di recente costruzione, ricco di mo- 
numenti : — il palazzo o villa degU Alberi, costruito dal 
conte Gian Gaudenzio Madruzzo, padre del cardinale 
di Trento. Al tempo del Concilio servì ad ospitare prìn- 
cipi e personaggi ragguardevoli e a darvi trattenimenti 
e spettacoli grandiosissimi. Quivi albergarono Marco 
Girolamo Vida, cremonese, vescovo d'Alba, letterato, 
filosofo dottissimo e poeta, che vi tenne conversazioni 
od accademie letterarìe col Flaminio, i cardinali Poto, 
Dal Monte e Madruzzo. 

Castelli storici. — Negli immediati dintorni di 
Trento si notano avanzi più o meno importanti di al- 
cuni castelli che ebbero parte notevole nelle vicende 
trentine e di questa parte principale della valle supe- 
riore dell'Adige. Sono : 

Castello di Belvedere. — Sorgeva presso Vil- 
lamontagna, nel luogo chiamato Castel de la Mot; non 
ne rimangono che poche vestigia ed un pozzo. Quivi 
si rifugiò Egnone, vescovo -prìncipe di Trento, quando 
la città col suo territorio furono occupati da Ezzelino 
da Romano, vicario dell'imperatore Federico II : che 
di là, per tre volte, lanciò la scomunica contro l'in- 
vasoi'e efferato ed i suoi partitanti (1286). 

Castello di Povo (Castrum Povi). — Sorgeva 
sul Doss* Sant*Agata, a circa 560 metri sul liTello del 
mare ; fìi feudo della famiglia comitale dei Povo, dalla 
quali usci un patriarca d'Aquileja. Non ne rimangono 
che pochi avanzi. 

Castello di Mattarello {Castrum Mattarelli), 
~ Su un altipiano, nel luogo detto Mattareilo di 
Sopra. È abbastanza ben conservato ed ha apparenza 
di un palazzotto forte, con quattro torri rotonde e mer- 
late agli angoli ed una torre quadrata nel mezzo. Ap- 
parteneva ai prìncipi-vescovi di Trento, che Io diedero 
ni feudo ai Castelbarco e ad altri. Quivi è fama si ri- 
fugiasse Siccone da Caldonazzo allorché, nel 1412, 
l'arciduca Federìco d'Austrìa, sceso in Valsugana con 
molte forze, se ne impossessò. Ora appartiene alla 
famiglia dei conti Martini. 

Castello di Beseno. — Non lungi, sopra il co- 
cuzzolo di un colle alla sinistra dell'Adige, si vedono 
ancora gli avanzi del castello di Beseno, esteriormente 
abbastanza conservato, ma all'interno in completa ro- 
vina. Fu feudo dei Castelbarco, indi rìtomò alla Mensa 
vescovile, che lo cedette alla famiglia Trapp, la quale 
lo consei*vò fino ai tempi nostrì. 

Castello di Vicolo. — Sovrastante al paese già 
rìcordato di questo nome. Appartenne alla Mensa 



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Alta Valle deirAdige 



183 



vescovile dì Trento, la quale pagava un assepo annuo 
dì 1^ lire veronesi agli uomini di Vigolo perchè vi 
tenessero una guardia. Fu distrutto da Ezzelino, poscia, 
riedificato, sfidò il tempo ed è ancora 
a tntt*oggi in istato di sufficiente con- 
servazione. 

CENNO STORICO 

Nelle sue antichissime origini Trento 
segui le leggi etniche e storiche ita- 
liane, e nulla ebbe a che fare colle razze 
nordiche, le quali fin dopo il periodo 
romano, quando si spinsero a mezzodì, 
non si afl*acciarono mai oltre il limite 
delle Alpi. Con ogni probabilità i primi 
colonizzatori dell'alta valle deirÀdige 
furono gli Etruschi, sovrappostisi ai 
primitivi abitatori della vaUe, aborìgeni 
od autoctoni, appartenenti a quella 
grande famiglia arìana che prima po- 
polò la valle Padana, insinuandosi gra- 
datamente — rìsospinta quasi dalla 
fetabtà e dal sopraggiungere di genti 
nuove — su per le vallate laterali e 
tributarie. 

Agli Etruschi si sovrapposero poi le 
invasioni galliche, che hanno dato es- 
sere a tutta ritalia superiore, e si andò 
nei secoli e colla fusione di tanti ele- 
menti, cementando quella razza cisal- 
pina, che fu per lungo perìodo il piìi 
grande ostacolo alFespansìone romana 
al disopra del Rubicone e fu poscia, 
dopo la Guerra Sociale, uno dei mag- 
giori coefficienti della forza e della 
potenza romana. Infatti, è nell'ampio 
semicerchio delle valli prealpine che 
Roma trovò i maggiorì aiuti, la mag- 
giore fedeltà nella lotta sostenuta contro 
i popoli del Nord, minaccianti di sor- 
passare la barriera delle Alpi per scen- 
dere alle opime pianure della Gallia 
Cisalpina ed ai colli rìdenti delPEtrurìa 
e dell'Ombrìa. E quivi, nell'alta valle dell'Adige, ove 
per contenere i Rezi, i Cimbrì, i Teutoni nelle gole 
dei loro monti od al di là di questi, la guerra di Roma 
fu secolare, le legioni romane furono ognora ingros- 
sate dalle genti del paese, liete di portare il contrì- 
buto del proprio sangue, del proprìo valore, alla libertà 
della patria, alla grandezza di Roma, sintesi ornai 
della grandezza della razza italiana. 

Trento fu presto cospicuo, splendido municipio ro- 
mano. Memorie e monumenti d'ogni genere ne par- 
lano e fra gii altrì la famosa lapide o Tavola Clesiana, 
trovata nei Campi Nerì di Cles nel 1869, recante 
l'editto di Claudio Cesare, che conferìsce la cittadi- 
nanza romana agli abitanti dell'Anaunia, ora valle di 
Non, emanato l'anno 46 di Cai 15 di marzo. In quella 
tavola il Municipio di Trento, al quale gli Anauniensi 
erano obbligati d'obbedienza, èqualiGcato per splendido. 



Nel travolgimento dell'Impero Romano la sorte del 
Trentino non è disgiunta da quella di tutta l'Italia 
superiore. I barbarì vi calano sopra, precipitando dalle 



Fig. 56. — Trento : Palazzo Tabarelli. 

Alpi non più guardate e difese da^li antichi legionari, 
minando sul loro passaggio tutto quello che la gran- 
dezza romana vi aveva creato. In quel perìodo il Cri- 
stianesimo si dilTonde nelle valli del Trentino portatovi 
da Ermagora d'Aquileja: Trento diventa la sede, il 
centro della nuova Chiesa e Giovinone è il prìmo pre- 
sule precursore di San Vigilio, instancabile predicatore 
delia nuova fede fra i barbarì abitatori delle vicine 
Rezie. 

Caduto l'Impero d'Occidente il regno dei Goti fa di 
Trento una delle sue provincie e delle più importanti, 
perchè antemurale ad altre minaccianti invasioni di 
barbarì. Per questo Tcodorìco rìedifica le mura e le 
torrì della città e la munisce di numeroso presidio. 
Colla venuta dei Longobardi, Trento seguì le vicende 
della madre patrìa, e dei trentasei duchi die governano 
rìpartito il regno fondato da Alboino : Evino ha con 



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184 



Appendice 



Trento l'alta valle delPAdige. Né diverso succede 
quando, nel dominio d'Italia, i Franchi di Carlo Magno 
si sostituiscono ai Longobardi: Trento da duchea lon- 
gobardica è tramutata in marchesato feudale, subendo 
tutte le vicende che nel secolo della dominazione caro- 
lingia sub! ritalia, coll'aggra vanto che Trento e le sue 
valli furono di continuo percorse dagli eserciti degli 
imperatori scendenti a riaffermare od a prendere in 
Roma la corona imperiale, o risalenti, decimati e di- 
sfatti, a rimpolparsi d'armi e d'armati nei paesi di 
oltremonte. 

Né durante il secolo X, in cui si avvicendarono, tra 
Pavia, Verona, Spoleto, Roma e Germania, re ed im- 
peratori indigeni ed esotici, la storia del marchesato 
tridentino, il quale si estendeva allora fino alle Giudi- 
cane e per tutta la Valsugana, diflerìsce o si distacca 
da quella di tutta l'Italia superiore, ed anzi ha parte 
grande nel conflitto delle due correnti che dividevano 
allora l'animo degli Italiani. 

Da Trento, fatU la Pasqua del 1004, si partì Ar- 
rigo di Bamberga a combattere, nel nome dell'Impero, 
la monarchia feudale italiana rappresentata da Arduino 
d'Ivrea: e dalle Chiuse dell'Adige, avuta facile vittoria 
sui pochi rimasti fedeli a quel re, passò incontrastato, 
trionfatore, a Pavia per l'incoronazione a re d'Italia, 
a Roma per esserne consacrato imperatore. 

E quando, nel procedere del secolo XI, comincia- 
rono, cogli albori della vita comunale, i primi impulsi 
di una vita nuova per l'Italia, Corrado il Salico, a de- 
primere il feudalismo, molestia e pericolo per l'Impero, 
trasformò il marchesato di Trento in un principato ec- 
clesiastico, visto che l'autorità ecclesiastica del vescovi 
era la sola che teneva testa al feudalismo, sostenendo 
contro di esso le ragioni del popolo. 

Quel periodo, che Giuseppe Ferrari qualifica della 
rivoluzione vescovile, è uno dei più importanti nella 
storia nostra, come quello che fu il preparatore imme- 
diato dell'era comunale. 

Ulderico II fu il primo vescovo-principe di Trento, 
creato da Corrado il Salico. Aveva giurisdizione per 
tutta la valle deU'Adige e dipendenze, dalla Chiesa di 
Verona a quella superiore di Bressanone. 

Sullo scorcio del secolo XI la vita comunale co- 
mincia a manifestarsi in Trento, con istituzioni e leggi 
che tenevano in gran parte del carattere liberale e 
popolare del municipio latino. A Trento il governo cit- 
tadino non fu, come nelle altre città d'ItaUa, detto Ciy- 
mune, ma per molto tempo serbò il nome romano dì 
Magistrato consolare: cosa che mostra in modo elo- 
quente l'attaccamento antico alle tradizioni romane di 
questa popolazione. Il Magistrato consolare di Trento 
godeva diritti stabiliti e riconosciuti in precedenza 
dai principi-vescovi: prendeva con questi parte ai 
pubblici affari, a seconda della loro natura, con voto 
consultivo e dehì)erativo ; aveva un proprio e largo 
statuto, riconosciuto e confermato dagli imperatori che 
saccedettero a Corrado il Salico, esclusi Barbarossa e 
Federico II, per le peculiari condizioni di lotta coi Co- 
muni italiani, nelle quali si trovarono durante il loro 
regno. 



Delle franchigie di cui godeva il Magistrato conso- 
lare di Trento, di fronte all'autorità vescovile, la più 
gelosa era quella del diritto di presentare al principe- 
vescovo la tema delle persone (ira le quali si doveva 
scegliere il podestà o pretore, l'autorità suprema alla 
quale affidavasi la giurisdizione civile e criminale della 
città e territorio. Secondo il sistema adottato dal mag- 
gior numero dei Comuni italiani il podestà doveva es- 
sere nato non solo fuori della città o del Comune, ma 
benanco della diocesi principale, né doveva avere atti- 
nenze di parentele, d'affari, di amicizia con alcuno dei 
cittadini. Una volta nominato, il podestà entrava in 
Trento al suono dell'antica campana del Comune detta 
Renga, preceduto da trombetti, araldi, littori coi fasci 
consolari d'argento — continua la tradizione romana 
— dai consoli, e seguito dai banderali colle imprese e 
gli stemmi del Comune, delle terre a questo soggette, 
del casato del podestà, degli anziani, del clero, del po- 
polo. Percorrendo la via Maggiore della città il corteo 
entrava in Duomo, ove il neo-podestà pregava e giu- 
rava sull'altare di San Vigilio fedeltà alla costituzione 
cittadina ed entro tre giorni faceva, a seconda del 
proprio censo, un'offerta all'altare del santo. Allora i 
consoli lo presentavano al principe-vescovo, che gii ri- 
metteva lo scettro, insegna del comando, ricevendo da 
lui il giuramento di fedeltà. 

Il podestà rimaneva in carica un anno e prima di 
rassegnare l'ufficio doveva sottoporre gli atti della 
propria amministrazione ad un sindacato di tre citta- 
dini anziani censiti, due dei quali eletti dal Magistrato 
consolare ed uno dal principe-vescovo. Insieme al po- 
destà fungeva da vice-podestà un dottore in diritto dd 
Collegio dei Giureconsulti tridentini. 

La giurisdizione podestataria di Trento comprendeva 
un vasto territorio e si distingueva in intema, per la 
città coUe frazioni o terre di Piedicastello, Ravioa, 
Romagnano, Mattarello, Valsorda, Sardagna, Monte- 
vaccino, Cognola, Gardolo ; ed in estema, per i teni- 
tori di Terìago, Cadine, Sopramonte, Baselga. Vigolo- 
Baselga, Piedigazza, Vezzano, Padergnone, Calavino, 
Lasìno, Cavedine, Povo, Meano, Civezzano, Albiaoo, 
Fornace, Pine, Vigolo Vattaro e Bosentino. Questo 
stato di cose durò fino al principio del secolo XIX. 

L'antico Municipio di Trento vanta nei suoi fasti 
quello d'avere assecondato il movimento dei Comuni 
italiani, in rivolta contro Barbarossa, resistendo alle 
intimazioni di costai, che, con un editto dei 1182, 
imponeva a Trento di non eleggere più i suoi consoli, 
di cessare da ogni atto di sovranità e di accogliere un 
vicario imperiale. Altri eventi distolsero Barbarossa 
dal punire Trento della sua disobbedienza ; ma Fede- 
rico II richiamò in vigore l'editto dell'avo e, soppressi 
i consoli, mandò a Trento i suoi vicari, fra cui il più 
celebre fu Ezzelino da Romano. Costui fu il primo che 
introdusse in Trento un presidio di Tedeschi, costrin- 
gendo il vescovo Aldrigfaetto dei signori di C^po ed 
altri cospicui cittadini ad esalare. 

Morto Aldrighetto ed eletto a prìncipe-vescovo 
Egnone conte di Piano, questi, nel 1248, riuniti i 
fuorusciti trentini ed accordatosi coi cittadini, mai 



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Alla Valle dell'Adige 



185 



Fig. 57. — Trento : Il Cimitero. 



sofferenti Todiosa tirannia, riusci a cacciare Ezzelino. 
La fortuna di Egnone non durò molto, perchè a sua 
volta venne cacciato dal nuovo vicario imperiale, 
>lastino della Scala, signore di Verona. 

Per tutto il secolo XIII Trento fu soggetta alle al- 
ternative continue delle fazioni che allora si combatte- 
vano nelle città d'Italia e quivi, come altrove, molto 
sangue fu sparso per le vie della città. 

^>lla sua calata in Italia, Lodovico il Davaro tenne 
in Trento, nel 1327, un Parlamento, al quale conven- 
nero i capi del partito ghibellino, i legali delle città 
ghibelline e quello di Castruccio Caslracane, che allora 
teneva in pugno le sorti della Toscana. 

Il Bavaro tradì e deluse ben presto le speranze dei 
Ghibellini italiani e Trento, pochi mesi appresso. Io 
vide risalire il Brennero umiliato, caccialo, fuggente, 
maledetto. 

Sui primordi del quattrocento una rivoluzione popo- 
lare contro i mercenari tedeschi tenuti dal vescovo, 
che con taglie ed angherie d*ogni sorta molestavano i 
cittadini, sbalza dal trono il principe-vescovo Giorgio 
di Lichtenstein e lo chiude prigione nella torre Vanga. 
Capitanava la rivolta popolare Rodolfo de' Belleiizani, 
che fece proclamare il governo repubblicano. Arrigo 
di Rottemburgo, mandato dal conte delTirolo, si mette 
a capo della fazione vescovile : libera Giorgio dalla pri- 
gionìa, lo rimette sul trono e, sconfìtta la fazione po- 
polare, Rodolfo de'Bellenzani, preso, fu condotto sulla 
piazza Maggiore e decapitato per mano del boia, come 
traditore : le sue case saccheggiate, ai-se, rase al suolo. 

Presto però i principi-vescovi di Trento si trova- 
rono in conflitto coi conti del Tirolo per ragioni di 
giurisdizione e per lungo tempo tennero testa alfin- 

63 — li« Patria, voi. I, parte 2». 



vasione tedesca in queste valli. E mentre a nord ave- 
vano a nemici i conti del Tirolo, a mezzodì dovevano 
difendersi contro gli attacchi della Repubblica di Ve- 
nezia, che dal Veronese e dal Vicentino aveva comin- 
ciato ad insinuarsi nel loro territorio, tanto che, nel 
1416, era già padrona della valle Lagarina e minac- 
ciava Trento, mentre, per la parte della valle di Loppio, 
estendevasi a Riva, nella valle di Ledro, e giù fìnn a 
Brescia. 

I conti d'Arco, impauriti dal progresso della po- 
tenza veneta in territori sui quali vantavano diritti feu- 
dali, ricorsero, insieme al vescovo di Trento, del quale 
^rano virtualmente vassalli, per aiuti a Sigismondo 
d'Austria, conte del Tirolo. Questi, vedendo gli antichi 
nemici mutarsi in amici, non lasciò sfuggire l'occa- 
sione e da lui datò la prima ingerenza diretta degli 
Austriaci nelle cose del Trentino. La lotta dei Vene- 
ziani contro gli Imperiali durò parecchi anni, dapprima 
con fortuna dei Veneti, indi col trionfo degli Austriaci, 
che il IO agosto 1487, a Galliano, inflissero ai Vene- 
zkini una sanguinosa sconfìtta, nella quale perì il duce 
loro, Roberto Sanseverino. 

Al disastro di Galliano i Veneziani poterono riparare 
con piccole vittorie negli anni seguenti ; ma, passata 
la signoria del Tirolo nelle mani di 1^1 assimi liane 1 im- 
peratore d'Austria, questi, con forze preponderanti, 
scese nella valle dell'Adige e li fece sgombrare dalla 
vai Lagarina, che ancora occupavano. Ciò avveniva nel 
1509; indi Giorgio III di Neidech, per le influenze 
dell'imperatore, fatto vescpvo e principe di Trento, 
concludeva con Massimiliano quel trattato, che dal- 
l'anno in cui fu sottoscritto venne detto Libello del- 
l'Undici, per fona del quale si stabiliva una specie di 



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186 



Appendice 



protettorato delPAustria sul Trentino, col pretesto 
della comune difesa dei territori posseduti dal conte 
del Tirolo, dai principi-vescovi di Trento e da quelli 
di Bressanone. 

Durante il reggimento del cardinale Bernardo Clesio, 
cominciato nel 1514, Trento fu teatro di una nuova 
sommossa popolare contro i feudatari e Tatto clero ; 
sommossa che, essendosi estesa nel contado, prese il 
nome di Guerra Rustica. Fu domata dalle forze ve- 
scovili unite a quelle del conte del Tirolo ed i capi fi- 
nirono per mano del carnefice o nelle segrete del 
castello e della Tor Verde. 

U punto culminante dello splendore, per il princi- 
pato di Trento, fu durante il vescovado del cardinale 
Cristoforo Madruzzo, conosciuto più specialmente nella 
storia col nome di Cardinale del Concilio. 

Com'è noto il Concilio Ecumenico, che. prese il nome 
di Trento dal hiogo nel quale tenne il maggior nu- 
mero delle sue sessioni, fu organizzato ed indetto per 
riformare e disciplinare le istituzioni ecclesiastiche e 
dichiarare i donmii della fede, a fine di fronteggiare il 
progresso clamoroso e rapido che in buona parte d'Eu- 
ropa, contro la Chiesa romana, faceva la Riforma di 
Lutero. Per sottrarre il Concilio dalle influenze troppo 
dirette della Corte di Roma ed in pari tempo da quella 
della Germania, ove ardeva allora il maggior fen'ore 
riformista, per volere di Carlo V e, secondo il Mura- 
tori, anche per consiglio di Giovanni Morene, vescovo 
di Modena e nunzio pontificio alla Corte imperiale, si 
stabili di fissare in Trento la sede del Concilio. Questo 
si apri il 15 dicembre 1545 e si chiuse il di 4 dicembre 
1563, dopo molte interruzioni e sospensioni, dopo es- 
sere stato traslocato una volta in Bolopa (1547), per 
suggestione di Paolo IH Farnese e per il desiderio di 
molti Padri ai quali non conveniva il soggiorno di 
Trento; indi, per la volontà perentoria di Carlo Vela 
condiscendenza del nuovo papa, Giulio III, riportato a 
Trento. Durante le sessioni del Concilio il cardinale 
Cristoforo Madruzzo provvide con munificenza ad ospi- 
tare nel castello del Buon Consiglio, nella villa degli 
Alberi, nei principali palazzi della città pontefici, car- 
dinali, vescovi, prelati d'ogni titolo, legati d'impera- 
tori, re, principi, repubbliche che venivano a sotto- 
mettere al Condilo questioni, reclami, desiderati. 
Ciò portò molto in alto il prestigio e la potenza di 
Casa Madruzzo ; sicché, alla morte del cardinale Cri- 
stoforo, avvenuta in Tivoli presso Roma nel 1567, gli 
iu nominato successore nel principato vescovile il suo 
congiunto Lodovico, che tenne il vescovado per tren- 
tadue anni. A lui succedettero, come per diritto di 
eredità, altri membri della Casa Madruzzo fino al prìn- 
cipe Cario Emanuele, col quale la nobile famiglia si 
spense. 

Golia morte dell'ultimo Madruzzo, il Capitolo dei 



canonici tridentini, nel quale risiedeva la potestà delU 
elezione vescovile, cominciò ad inclinare verso l'ele- 
mento straniero o, per meglio dire, austriaco. Il suc- 
cessore di Cario Emanuele Madruzzo fu Sigismondo 
d*Austria, figlio delTarciduca Leopoldo, già vescovo di 
Gurk e d'Augusta ; questi, avendo rinunziato, fa eletto 
Emesto conte di Harrak, cardinale ed arcivescovo di 
Praga; indi Sigismondo Alfonso conte di Thun. Indi, 
per quasi un secolo, si elessero degli Italiani, cioè: 
Francesco degli Alberti, di Poja; Giuseppe Vittorio 
degli Alberti, di Enno ; Gian Michele cónte di Sporo. 
Nel 1725 si ritornò ai Tedeschi col conte Antonio di 
Walchenstein, per oltre trent*anni. Il terz'ultimo ed il 
penultimo dei principi-vescovi di Trento furono ancora 
italiani, cioè: Francesco Felice dei conti di Enno 
(1758-62); Cristoforo II dei conti Sizzo de' Noris 
(1763-76) e tedesco l'ultimo, Pietro Vigilio conte di 
Thun (1776-800). Sotto il governo di questi il potere 
temporale venne, dalle truppe francesi, tolto ai vescovi 
di Trento e non fu loro mai più restituito. 

I Francesi, comandati da Joubert, entrarono in 
Trento il 5 settembre 1796 e vi instaurarono tosto, 
come avevano fatto nelle città deUa Lombardia e del- 
l'Emilia, forma di governo repubblicano. 

Dopo due mesi d'occupazione francese, le necessità 
della guerra in Lombardia e nella Venezia fecero riti- 
rare le truppe francesi da Trento e subito vi si inse- 
diarono gli Austriaci, instituendovi un /. R. Consiglio 
d* Amministrazione. Ma poco appresso, vinti gli Au- 
striaci a Rivoli (16 gennaio 1797), Bonaparte mandò 
Joubert a rioccupare Trento, che rimase cosi sotto il 
governo dei Cisalpini, con un Consiglio centrale per 
gli affari interni e della regione, altri tre mesi. Rial- 
zatasi, colla partenza di Bonaparte dall 'Italia, la for- 
tuna degli Austriaci, Trento fii, nelFaprile del 1797, di" 
nuovo sgombrata dai Francesi e rioccupata dagli Au- 
striaci, che vi stettero più di tre anni, fino a che le 
conseguenze militari e politiche della vittoria di Ma- 
rengo non li ricacciarono oltre le Alpi. 0)1 trattato dì 
Luneville, nel quale Bonaparte dettò i patti della 
pace, Trento ritornò all'Austria, mentre se ne soppri- 
meva il principato ecclesiastico autonomo. Cosi Trento, 
per mezzo di un trattato riconosciuto dalle potenze, 
veniva abbandonata all'Austria ed aggregata alla contea 
austriaca del Tirolo, con tutta la regione prealpina che 
fu desipata col comprensivo nome di Tirolo italiano. 
Dal 1805 al 1809 Trento passò sotto il dominio franco- 
bavarese e, dopo Austeriitz, Trento e territorio fecero 
parte del proclamato Repo d'Italia. 

Nel 1814, alla prima caduta di Napoleone, l'Austria 
rioccupava il Trentino e il Congresso di Vienna consa- 
crava quell'occupazione, colla quale il Trentino venne 
incorporato nell'anmìinistrazione politica, civile e giu- 
diziaria, prettamente tedesca, dei Tirolo. 



Circondario, — - Il circondario immediato del distretto di Trento è formato dai 
seguenti Comuni: Gardolo, con 1094 abitanti, fra Trento e Lavis, paese di bell'aspetto 
con una chiesa parrocchiale di buona architettura, dovuta al milanese Pages; — Mon- 
tevaccino, con 127 ab., sul declivio settentrionale del monte Calisio; —Villamontagna, 



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Alta Valle delFAdige 



187 



con 294 abitanti, a 502 metri sul livello del mare, in bella posizione, con eleganti 
ville ; — Cognola, con 1486 abitanti, ameno paese sulla vecchia strada di Civezzano, è 
Comune formato da varie jS-azioni; — Povo, colle frazioni di Pantè, Gabiolo, Oltre- 
castello, Sprè e Sale, forma un Comune di 1981 abitanti, steso per gli ameni colli, ad 
oriente di Trento, formanti le ultime falde della Maranza; — Villazzano, con 744 ab., 
sui fianchi del Doss' di San Rocco, capoluogo del Comune, che colle varie frazioni 
conta 1185 ab.; — Hattarello, con 1837 ab., sulla bella strada per Calliano-Rovereto, 
paese di bella apparenza, in gran parte rimodernato; — Vigolo Vattaro, con 1732 ab., 
ad oltre 700 metri sul livello del mare, sulla strada che da Valsorda va a Caldonazzo, 
con una bella chiesa parrocchiale ed una grandiosa filanda perla seta; — Sardagna, 
con 755 ab., a 569 metri sul livello del mare, sulla costa orientale del Bondone e 
sulla sponda destra dell'Adige, in cui precipita con bella cascata — che si vede anche 
da Trento — il rivo Sardagna scendente dai prati del Vazone ; — Ravina, con 992 ab., 
sulla destra delP Adige ed ai piedi del Bondone, ove notasi la magnifica villa di 
Marogne; — Romagnano, con 773 ab., sul colle tra Ravina e Aldeno, in posizione 
amenissima, ricca di vigneti, con case di bella apparenza e chiesa curaziale di buona 
architettura. 

VI. Distretto di PERGINE. — Questo distretto comprende una popolazione di 
quasi 15.000 abitanti, divisi nei Comuni di Pergine, Vigalzano, Madrano, Negare, 
Sorso, Viarago, Sant'Orsola, Palù, Fierezze, Frassilongo, Canezza, Falesina, Vignola, 
Ischia, Tenna, Castagne, Susà, Costasavina e Roncegno. È formato dalla valle del 
Fersina, che s'apre a settentrione, e dal piano che da questa valle e da quella di 
Pine si distende sotto un vasto orizzonte sino ai monti di mezzodì. È bagnato dal 
Fersina, che trae le sue origini dal laghetto alpino di Nardemolo (1956 m.) e finisce in 
Adige non lungi da Trento, dopo aver fatto, nella località di Pontalto, una grandiosa 
e pittoresca cascata. Il distretto di Pergine è attraversato dalla strada postale bellis- 
sima, eminentemente pittoresca, che da Trento per la Yalsugana e Primolano conduce 
a Bassano con un ramo e coll'altro a Feltro. 

Anticamente il Perginese era diviso in sette gastaldie, dalle quali erano esclusi la 
valle di Palù, spettante ai signori di Caldonazzo, e Fierezze, i cui abitanti erano tenuti 
per arimanni al servizio del castello di Pergine. 



Pergine. — Capoluogo del disti'etto è una nota, 
popolosa borgata d*oltre 4500 abitanti, in posizione salu- 
l)erriina, a 482 m. sul mare, riparata contro i rigori dei 
venti nordici dai monti cbe le stanno a tergo e firesca 
nelKestate perchè chiusa fra ombrose valiate. È sede 
della Giudicatura distrettuale, ha vie ampie e pulite, 
fiancheggiate da buoni fabbricati e da varie piazze. La 
chiesa parrocchiale, costrutta tra il 1510 ed il 1540, ha 
aspetto grandioso ed è a tre navate, sostenute da 14 
belle colonne in pietra rossa ; vi si notano dipinti del 
Da Ponte, di Bassano, del Cigoaroli,deirUgolini. Per- 
gine ha un Ospedale, eretto nel 1423 ; un Monte di 
pietà, creato nel 1610. Negli ultimi tempi vi fu eretto, 
secondo i dettami più moderni della scienza freniatrica, 
un grandioso Manicomio provinciale per tutto il Tren- 
tino. Pergine è luogo eminentemente industrioso : im- 
portantissima vi è rindustria della coltivazione dei 
gelsi, delFalIevamento dei bachi da seta e della trat- 
tura della seta, esercitata in alcune filande, delle quali 
una grandiosa. LMndustria della seta fiorisce nel Per- 
ginese dalla seconda metà del secolo XVII. Anche 
Fagrìcoltura in genere e la coltura dei cereali è eser- 



citata con grande attività, traendo speciale incremento 
dal prosciugamento di una vasta palude che infestava 
questa vallata, dalla chiesa di San Rocco fin quasi al 
lago di Caldonazzo, opera compiuta nel 1820 ad ini- 
ziativa di un benemerito cittadino, Tonmiaso Mayer, 
che, per condurre a termine questMmportante bonifica, 
pii]i ancora che cogli ostacoli naturali, ebbe a lottare 
contro i pregiudìzi ed il malvolere degli uomini, che 
non gli risparmiarono persecuzioni ed amarezze d'ogni 
sorta. Questa bonifica è oggi fonte principale della ric- 
chezza agricola del luogo. 

La maggiore celebrità venne a Pergine dal suo ma- 
gnifico castello feudale, sorgente ad oriente della bor- 
gata stessa, sul colle Tegazzo, tutto contornato di 
boschi di castagni, nell'estate verdeggianti e freschis- 
simi. È uno dei piìi belli del Trentino e, per molte 
vicende, memorabile. Vi si giunge, da Pergine, como- 
damente, per una via serpeggiante sul fianco della 
montagna, in meno di mezz'ora, e dai suoi spalti, an- 
cora muniti di colubrine del secolo XIV, si gode la vista 
stupenda dei monti di Lavarone e di Folgaria, appiè 
dei quali stanno ì laghetti di Caldonazzo e di Levico. 



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188 Appendice 



Il castello di Pergìne appartiene al pnmo periodo | vole di danaro per le sue imprese, ad Albredo dei si- 



dei medioevo e si ritiene opera dei Longobardi, che 
lo avrebbero eretto in luogo del fortib'zio antichissimo 
di Tenna, opera romana, distrutta, sembra, dai Franchi 
nel VI secolo e della quale oggi non si hanno più ve- 
stigia. Fin dal secolo XI il castello diPergine fu tenuto 
da signori feudali, per lo più messi dagli imperatori 
tedeschi scendenti in Italia. Contro uno di costoro, 
Guidobaldo di Baviera, i Perginesi, stanchi delle ves- 
sazioni continue che loro erano imposte, si ribellarono, 
chiamando l'aiuto di Vicenza. Fra le varie vicende sue 
il castello di Pergine conta pur quella di essere stato 



gnori di Mezocorona per 1200 lire piccole. Nel se- 
colo XIII passò ai conti del Tirolo, die vi posero uno 
dei loro ufficiali con truppe tedesche, dopo che, ad 
opera di Siccone da Caldonazzo, militante per il mar- 
chese di Brandeburgo, n'ebbero cacciati i Carraresi di 
Padova, che vi avevano piantato dominio. Il cardinale 
Bernardo Clesio, cedendo certi diritti della Chiesa tri- 
dentina su Bolzano, lo ebbe in compenso dall'arciduca 
Ferdinando d'Austria e da quei momento il castello 
di Pergine restò sotto la giurisdizione dei principi- 
vescovi di Trento. Anche ora è proprietà della Mensa 



impegnato dal vescovo guerriero Egnone, abbisogne- i vescovile di Trento. 

Altri luoghi interessanti del distretto di Pergine sono : Vigalzano, con 906 ab., 2 chi- 
lometri al nord da Pergine e meno di 5 dal lago di Caldonazzo, la cui parte morta, 
detta Stagno di San Cristoforo, costituisce la palude che fu con tante fatiche pro- 
sciugata da Tommaso Mayer, e che forma la parte principale e feconda del territorio 
di questo Comune; — Hadrano, coi piccoli paeselli di Nogarè,. Seregnano, Sorso, che si 
trovano all'altezza di 6 a 700 m. sul livello del mare, sul corso del torrente Siila, verso 
la valle del Fersina; — Viarago, con 658 ab., a quasi 700 metri sul mare, sulla destra 
del Fersina, in amena, posizione; — Sant'Orsola, con 862 ab., a circa 1000 metri sul 
livello del mare; — Palù, il villaggio più alto del Perginese, a 1403 metri sul livello 
del mare, con 550 ab. ; è all'estremità della valle del Fersina, presso un laghetto dal 
quale il fiume trae le sue origini. È d'aspetto in tutto alpino. Le sue case sono fatte 
con tronchi d'albero appena dirozzati, sovrapposti gli uni agli altri. Gli abitanti di 
Palù sono tutti pastori. Parlano un dialetto durissimo, un misto di veneto e di tedesco, 
e si vogliono discendenti dei Tedeschi venuti in varie riprese sul territorio di Pergine 
nei secoli X, XI e XIII, attrattivi dalla natura dei luoghi e dalle miniere di rame, 

più ancora dai feudatari tedeschi che i conti del Tirolo e gli imperatori vi collo- 
carono, i quali, trovandosi in un paese naturalmente avverso, sentivano il bisogno di 
farsi sorreggere da gente della loro razza. Cessato il dominio feudo-militare dei signo- 
rotti tedeschi, i loro più umili connazionali, avversati, risospinti dalla popolazione dei 
nativi, poco per volta si isolarono, si ritirarono alla montagna, nei luoghi più ascosi 
e meno accessibili: formarono una popolazione con usi e costumi proprii, differenti 
dagli altri, con una lingua quasi speciale, che nelle radicali ha dei punti di contatto con 
quella vetta di origine cimbrica degli abitanti dei Sette Comuni sull'altipiano d'Asiago. 

1 terrazzani perginesi, con intenzione schernitrice, chiamano Macheni gli abitanti di 
Palù e di qualche altra piccola terra, come Fierezze e Vignola: Macheni, per l'abi- 
tudine che hanno d'intercalare in ogni loro discorso la parola tedesca Machen; — 
Fierozzo, sebbene meno alto (988 m.), ha la stessa origine di Palù; i suoi abitanti, 
quasi tutti Tedeschi, in altri tempi servivano da uomini d'armi — arimanni — ai 
castellani di Pergine e di Povo. 

Munivano anticamente il territorio perginese altri castelli : tra questi si ricordano 
il Castel Cuco, interamente distrutto nelle scorrerie fatte da Ezzelino da Romano in 
questo territorio, su un colle tra la valletta d'Urbano ed il prosciugato padule di San Cri- 
stoforo; il Castello di Cavione, in riva al lago di Caldonazzo; il Castello di Eoccabruna, 
tra il paesello di Nogarè e la chiesa del Bus, distrutto dagli uomini di Pine in rivolta 
contro i loro signori ; ed altri dei quali non rimangono più tracce, distrutti da Ezzelino 
da Romano, che da Bassano, di cui s'era iìnpadronito, risalendo la Valsugana, moveva 
alla conquista di Trento in nome dell'imperatore Federico II, del quale era vicario. 

Per ultimo il territorio del distretto giudiziale di Pergine si presta a parecchie 
ed interessanti escui*sioni alpine, fra le quali si addita in ispecial modo l'ascesa alla 



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Alta Valle deirAdige 189 



Montagna Grande (1999 m.), bel possesso boschivo e di pascoli del Comune di Pergine, 
confinante: a settentrione, con Roveda; a oriente e mezzodì, coi Comuni di Levico, 
Novaledo e Roncegno in Valsugana; ed a sera, col Comune di Vignolo. In questo terri- 
torio si trovano il monte Orno (1520 m.) ed il Canzana, intomo al quale battagliarono 
a lungo i dantofili più celebri, taluno afiTermando, altri negando che questo monte sia 
la Chiarentana designata da Dante al principio del canto xv déìV Inferno coi versi: 

E qaale i Padovan lungo la Brenta, 
Per difender lor ville e lor castelli, 
Anziché Chiarentana il caldo senta . . . 

Naturalmente molto inchiostro fu sparso sulla questione, ma ognuno rimase del 
proprio parere, poiché V intenzione vera, primitiva del divin poeta rimase impenetrabile. 

VII. Distretto di VEZZÀNO. — Di questo importante distretto fu già ampiamente 
trattato néìT Appendice al volume Bergamo-Brescia, pag. 530. 

III. 
DA TRENTO A ROVERETO 

Interessante è sotto ogni aspetto quella parte della valle delFAdige che chiude 
a mezzodì il bacino di Trento e passa poi nella valle Lagarina, percorsa dalla ferrovia 
e dalla strada postale Trento-Rovereto- Ala- Verona. Questa parte dell'alta valle Ati- 
sina è fiancheggiata da alte caratteristiche montagne ed ai suoi lati si aprono valli 
di minore importanza, tributarie del gran fiume, ma delle quali il tacere sarebbe 
rendere incompleto questo cenno. 

La Val Sorda. — È una delle piccole valli tributarie, alla sponda sinistra del- 
l'Adige, compresa fra i monti Maranza e Scanupia. Singolarmente alpestre e solitaria, 
è percorsa dalla strada che dalla valle dell'Adige, per Bosentino, Vigolo, Vatiaro e 
Calceranica, conduce a Caldonazzo in Valsugana. 

Oltre rimbocco della vai Sorda la vallata dell'Adige si restringe sempre più. A 
Mattarello, ultimo villaggio del circondario di Trento, lo Scanupia colle sue erte pendici 
si avvicina tanto alla sponda sinistra dell'Adige da lasciare appena posto per la 
strada carrozzabile e per la ferrovia che corrono ambedue sulla sinistra del fiume. 
Alla destra invece si stendevano una volta paludi ed ora fertili campagne, mentre 
il Rondone si tiene fino a Calliano ed- a Nomi, distante dal fiume. Alla cosiddetta 
chiusa dei Murazzi (poco sopra Calliano) esisteva, nel XV secolo, il confine politico 
fra la Repubblica veneta ed il Principato del vescovo di Trento. Da. qui comincia pure 
la Valle Laoarina. 

Lo Scanupia, il Finonckio, lo Zugna, il Castelberto e VAcquiglio alla sinistra del- 
l'Adige; il Bondone ed il Baldo, a destra del fiume stesso, sono i monti fra i quali 
è circoscritta la valle Lagarina. Lo Scanupia ed il Bondone dominano la valle dalla 
parte superiore, il Baldo nell'inferiore, separandola dal lago di Garda. 

Lo Scanupia — la cui vetta maggiore tocca i 214f8 metri — è, come la vicina 
Maranza, sulla sponda sinistra dell'Adige e la sua formazione è di dolomite princi- 
pale. Sta fra le vallette di Vigolo e di Besenello. La sua sommità è divisa in tre punte, 
cioè il Becco della Ceriola, ad occidente; il Becco di Filadonna, ad oriente; ed il 
Cornelio, nel mezzo. Sui suoi fianchi vi sono quattro malghe o cascine, delle quali la 
maggiore è detta del Palazzo. Ha pascoli e boschi abbastanza estesi nel suo versante 
settentrionale; la sua base ha un'estensione considerevole, che va dalla valle di Conta 
fino al paese di Besenello ed al Rivo Gola, scendente dal Cornelio e scaricantesi in 
Adige presso Calliano. 



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190 Appendice 



Air incirca a pari altezza, ma più celebre e conosciuto dello Scanupia, è il J?on- 
done (2100 m.), che s'alza a ponente di Trento sulla riva destra dell'Adige, dividendo 
la vallata di questo fiume da quella del Sarca. Il Bondone è più visitato e celebrato 
dello Scanupia, perchè entra nel suo sistema quel bellissimo altipiano che si chiama 
Orto di Abramo, dal quale sì alza il Cornelio che sale a 2176 metri, ed il monte 
Yazom (1631 m.)- Fra l'Orto di Abramo ed il Cornelio sonvi prati bellissimi e boschi 
e si trovano i cascinali di Fragari, Alto, delle Pozze, con un piccolo albergo alpino 
di recente costruzione. Dalla vetta del Bondone, dall'Orto d'Abramo, dal Cornelio, dal 
Yazom si gode un panorama meraviglioso che va dal gruppo dolomitico del Brenta 
alle ghiacciaie immense dell' Adamello. 

Il Bondone ha leggenda e storia. I Madruzzo dal loro vicino castello, da Calavino 
e da Cadine venivano al Bondone a farvi brillanti partite di caccia. Ed il Mariani, nel 
già ricordato suo libro Trento et il Sacro Concilio et notabili, narra che l'imperatore 
Carlo V, nel 1530, lo percorse in ogni senso cacciandovi ogni sorta di selvaggina. 
La flora del Bondone è ricchissima, vi si raccolgono bianchi di roccia, primole, ane- 
moni, arniche, genziane, tra cui la rara Genziana nivalis di Linneo. Il Bondone è di 
formazione giurassica inferiore ; nella parte più alta però si mostrano il giura superiore 
ed il calcare nummulitico. 

Alle falde ed intorno al Bondone si raggruppano vari paesi; per esempio, verso 
Trento si trovano: Savina e Oarniga; nel territorio capitanale di Rovereto invece 
Villa Lagarina, Nogaredo, Castelnuovo, Castellano^ Pederzano, Aldeno, Nomi, Cimone: 
paesi tutti di qualche importanza, che non mancano di notizie storiche interessanti 
l' intera valle. Cosi, Castellano e Castelnuovo, vicini e destinati ad una sorte comune, 
furono un tempo castelli dei Castelbarco, che, nel 1456, ne furono spogliati da Giorgio, 
vescovo-principe di Trento, il quale ne passò l'investitura ai conti di Lodrone. CJostoro 
assalirono violentemente Castelnuovo o Noama, com'era anche detto, e quello di Nomi, 
facendo prigionieri il conte di Castelbarco e sua moglie. L'imperatore Sigismondo, 
chiamato da Castelbarco a giudicare della contesa, obbligò i Lodrone a rifondere 
16.000 fiorini se volevano conservare la potestà dei due castelli. Il che fu fatto. 

Così a Nogaredo rimane memoria del famoso giudizio per il quale, il 17 febbraio 
del 1647, furono decapitate ed abbruciate, dopo che, sotto le più atroci prove della 
tortura, si erano dichiarate convinte di stregonerìa cinque donne di Villa e dei din- 
tomi, restando questo di Nogaredo uno dei più mostruosi processi eretti dalla super- 
stizione cieca che la storia rammenti. 

Infine Nomi è uno dei paesi più antichi del Trentino: la sua chiesa esisteva già 
nel 1185 ed alla sua rocca si danno origini romane. Fu feudo dei Castelbarco e dei 
Busio: uno di questi, Pietro Busio, durante la Guerra Rustica, scoppiata nel Trentino 
sul principio del secolo XVI, fu nel castello di Nomi assalito ed abbruciato vivo dai 
suoi vassalli. 

La Valle di Cei. — Questa pìccola valle si apre sul fianco del Bondone, fra la 
Becca ed il Cornelio, ad oltre 900 metri sul livello del mare. Nel fondo di questa 
valle si sono formati alcuni laghetti, in vaste conche di roccia. Da uno di questi laghi 
scende il Rivo, che scorre nella bella ed alpestre Valle d^ Inferno passando presso ai 
villaggi di Cimone ed Aldeno, presso l'ultimo dei quali finisce in Adige, precipitando 
così in breve tratto da un'altezza di oltre 800 metri, per una sequela di scaglioni e 
cascate di bellissimo efifetto. 

Aldeno, piccolo paese sull'Adige, all'imbocco della vallata di jBtt^o deW Inferno^ 
alle falde del Bondone e di fronte allo Scanupia, può dirsi, per chi viene da Trento, 
la prima terra della valle Lagarina. £ paese antichissimo, sulla via romana, che dalla 
valle del Po, risalendo l'Adige, conduceva in quella del Danubio; il suo nome vuoisi 
derivato dalle parole etrusche allena o aUuna. 



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Alta Valle delPAdige 



191 



La Valle Lagarlna. 

Oltrepassate le estreme falde dello Scanupia, alla sinistra dell'Adige, Torìzzonte 
si allarga improvviso in uno stupendo ridentissimo bacino. 

Calliano è il primo paese di questa ridentissima plaga. È l'antica Villa Oal^ 
liana, stazione di sedentari romani. Nel corso dei secoli, per la sua posizione allMm- 
bocco della stretta trentina, fu teatro di frequenti battaglie, fra cui rimase celebre 
quella del 10 agosto 1487 fra i Veneziani, comandati da Roberto Sanseverino, ed i 
Tedeschi, sotto il comando di Sigismondo d'Austria, alleato al vescovo di Trento: bat- 
taglia finita colla sconfitta dei Veneziani. Nella chiesa curaziale havvi un quadro che 
rappresenta in certo modo quella battaglia. 

Nel 1796 a Calliano si batterono Austriaci e Francesi, questi ultimi capitanati da 
Bonaparte in persona. La vittoria fu favorevole alle armi repubblicane ed i Francesi, 
oltre che di Calliano, s'impossessarono anche dell'antichissimo vicino Castel Pietra, di 
origine romana, feudo un tempo dei signori di Beseno, poscia dei Castelbarco, sede 
dei vescovi di Trento, infine degli arciduchi d'Austria conti del Tirolo, che la diedero 
in feudo ai Wolchestein. Ora appartiene ai baroni Cresceri di Calliano. 



Cenno storico. — Come tutto il Trentino, fino alle 
pendici delle Rezie, la valle Lagarìna fu colonia ro- 
mana; colonia datante, secondo Mommsen, non dal- 
rimpero ma dalla Repubblica. Cotesta valle mediana 
dell'Adige fu certamente la prima terra conquistata 
dai Romani e dotata del ricco e civile corredo delle 
loro istituzioni, della loro cultura. E, come ben dice 
uno storico locale, e quando i Rezi, spaventati, am- 
e miravano il rapido e terribile avanzarsi delle legioni 
e romane condotte da Druso, potevano dagli abitanti 
€ della valle Lagarìna nvolgersi ai romani soldati, e 
« con diritto, le parole: Non toccate questa terra che 
€ è terra d'Italia, sacra agli Dei : Haec est Italia Diis 
€ Sacra ». 

I Romani in valle Lagarìna hanno lasciato tracce 
durature del loro passaggio. La via militare Claudia- 
Augusta, che conduceva in Germania, percorreva la 
valle Lagarìna in tutta la sua lunghezza; anzi è'accer- 
tato, che dalla Chiusa Veronese fino a Trento, due 
fossero le strade romane percorrenti questa valle: Tuna 
sulla destra e l'altra sulla sinistra del fiume. Sepolcreti, 
iscrizioni, medaglie, armi e monete romane rinvenute 
in ogni parte della valle provano la consistenza e l'im- 
portanza data da Roma a questa sua colonia prealpina. 

II nome attuale la valle Lagarìna Io deve al medio- 
evo, alla conquista longobarda. La prìma nozione che 
di essa si ha è in Paolo Diacono, accennante ad un 
Regilone comes de Lagare, che governava il paese 
tenendo la sua sede in Villa^ che fìi detta dt Lagare 
e poscia Lagarina. 

Nell'invasione franca la valle Lagarìna passò sotto 
il dominio feudale dei marchesi di Trento, come appare 
dal placito tenuto da Lodovico li in Trento nelI'SiS 
— rìcordato dal Muratori — ed al quale intervennero 
gli uomini di Avio, di >larco, di Castione, di Morì, di 
Tiemo, di Lenzina, terre tutte delle valli che al mar- 
chese di Trento facevano atto di vassallaggio. Corrado 
il Salico attribuì la valle Lagarìna — nel memorando 
Placito che erigeva Trento in principato vescovile — 



alla Mensa trìdentina ; ed i prìncipi la divisero in vari 
capitanati con sedi a Pradaglia, Lizzana, Castelbarco 
e Serravalle, dando orìgine a frequenti conflitti fra ca- 
pitani e capitani ed anche cogli stessi prìncipi-vescovi 
di Trento. 

Fra le famiglie di questi signorotti crebbe potente, 
per le ramificazioni e per le alleanze abilmente con- 
tratte, la famiglia dei Castelbarco, tantoché, nel 1300, 
teneva sotto di sé l'intera valle Lagarìna. Il più fa- 
moso dei Castelbarco, Guglielmo, fortificò Rovereto, 
fu chiamato dagli Scaligerì per tre volte al governo di 
Verona come podestà ed i prìncipi-vescovi dì Trento 
lo nominarono loro capitano generale nelle Giudicane. 
Morto Guglielmo di Castelbarco (1314), il dominio della 
valle Lagarìna restò divìso fra ì suoi nipoti. Guglielmo 
ebbe la valle ìnferìore, cioè il vicariato dì Ala ed i 
castelli di Avio, San Giorgio, Corte, Chizzola, Bren- 
tonico; la sponda destra superiore dell'Adige, con 
Castellano, Castelnuovo e Castelcomo fu data ad un 
Aldrighetto ; ad altro Aldrighetto toccò la sinistra del- 
l'Adige, coi castelli di Beseno, della Pietra, di Liz- 
zana. Per il testamento di Azzone Castelbarco, che 
dopo il figlio suo, ove morisse senza figli, lasciava il 
suo dominio alla Repubblica Serenissima di Venezia, 
questa, nel Uil, occupò i Comuni dì Ala, Avio e 
Brentonico; nel 1413 s'impadronì del castello di Be- 
seno e di Pietra, riescendo al capitano di San Marco, 
Francesco Bembo, mettere in fuga il duca Federico 
d'Austria e ad imporgli una pace di cinque anni con un 
trattato che fu segnato a Bolzano. 

Come si furono bene stanziati in valle Lagarina, i 
Veneziani, cui per la ragione politica della difesa del 
Veronese e del Padovano — loro Stali di terraferma 

— necessitava il dominio sull'intera valle, assediarono 
Rovereto, difeso da Aldrighetto III di Castelbarco, e 
lo presero il 14 ottobre 1416 ; indi, man mano, s'im- 
possessarono, per smantellario, del castello di Lizzana 

— a fine di non avere nemici alle spalle — e poscia 
presero i castelli di Albano e Nomesino, ond'è che 



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192 



Appendice 



rimasero padroni di tutta la valle Lagarìna, nonché delle 
sue grandi tributarie, le valli Arsa, Tetragnolo e Fol- 
garia, confinando i Castelbarco — fuor di Beseno, che 
tennero ancora — al di là della sponda destra dell'A- 
dige nella valle Gresia ed ai tre castelli più sopra 
nominati. 

La fortuna dei Veneziani in vaUe Lagarina durò fino 
al 1487. Il 25 aprile di quest'anno Sigismondo arciduca 
d'Austria, che alla chetichella aveva radunati in Bolzano 
circa 12.000 uomini, tra Tedeschi e Svizzeri, fece pro- 
ditoriamente imprigionare i mercanti veneziani accorsi, 
come di consueto, alla fiera che in quell'epoca colassù 
tene vasi. Quest'atto di prepotenza fu la sfida lanciata 
contro Venezia, che la raccolse, ed in breve tutta la 
valle fu in armi. 

Dopo la battaglia di Galliano, già ricordata, per la 
pace firmata in Venezia il 13 novembre dello slesso 
anno, la valle Lagarina ritornò alle condizioni di prima, 
ma per poco. Nel 1507 l'imperatore Massimiliano ri- 
prende la guerra contro Venezia, in odio alla quale si 
forma, tra le maggiori potenze d'Europa, il papa e vari 
principi italiani, la famosa Lega di Cambrai. La valle 
Lagarina fu tolta ai Veneziani, che dovettero rinun- 



ziarvi per sempre nei successivi trattati, coi quali sep- 
pero scomporre la Lega di Cambrai. 

Impossessandosi della valle Lagarina, l'imperatore 
Massimiliano fece bombardare Rovereto, quantunque 
lo sapesse già sgombro dal presidio veneto e divise la 
regione in varie piccole signorie, date a famiglie sue 
fidate, quali i Traph, i Lichtenstein, i Lodrone ; ai 
principi-vescovi di Trento, suoi alleati, toccarono i vi- 
cariati di Arco, Ala, Mori e Brentonico; ai Castelbarco, 
in disgrazia dell'imperatore, non rimase che Gresta 
colla povera sua valle. Più tardi, ritornati in favore dei 
principi- vescovi, furono investiti dei quattro \icariati 
suddetti, di cui godettero la sovranità fino al 1796. 

Durante il periodo napoleonico la valle lagarina fece 
parte del Dipartimento dell'alto Adige. Dopo il 1815 
fu incorporata, col Trentino, nella provincia del Tirolo. 

Dopo il 1866 la valle Lagarina fu tagliata assai ir- 
regolarmente dalla linea di confine tra l'Impero Austro- 
Ungarico ed il Regno d'Italia, che del territorio, geo- 
graficamente, spettante alla valle Lagarina possiede i 
paesi di Ossenigo, Peri, Dolce, Ceraino, alla sinistra 
dell'Adige ; e Belluno, Brentino, Rivalta, Canale alla 
destra, e giù giù fino alla Chiusa di Verona. 



Valli sussidiarie. — Le maggiori valli formanti il sistema della valle Lagarìna ed 
a questa tributarie sono tre, tutte sulla sponda sinistra dell'Adige: Folgaria e le due 
Valli di Leno, cioè di Terragnolo e Vallarsa. 



Valle di Folgaria. — Sono due le strade che 
conducono nella valle ed altipiano di Folgaria: Tuna, 
per chi viene da Trento, fa capo a Galliano ; Taltra, che 
partendosi da Rovereto passa per Noriglio, Beccachè, 
bivio fra Terragnolo e Serrada. Queste strade sono belle 
e pittoresche ed in breve cammino portano ad una 
rispettàbile altezza ed in una regione stupendamente 
alpestre. 

Folgaria, capoluogo della vallata, si trova in un 
bell'altipiano a 1133 metri sul Uvello del mare ed è 
un Comune assai esteso come superficie di territorio, 
ripartito in varie frazioni, tra le quali le più impor- 
tanti, oltre Folgaria (1568 ab.), sono: Mezzomonte, 
Guardia, Serrada, San Sebastiano, con popolazione 
che varia dalle 300 alle 700 anime. 

La popolazione di Folgaria, dell'altipiano special- 
mente, vuoisi di origine cimbrica, afiìne a quella che 
popola Taltipiano di Asiago o dei Sette Comuni, con 
Folgaria quasi confinante. Di tale origine nulla ora 
rimane fra quei valligiani, i quali parlano tutti un dia- 
letto veneto-italiano, corretto e buono; solo nella 
frazione di San Sebastiano (1250 m., 684 ab.) vive 
un dialetto antico tedesco, detto dai valligiani slam- 
brot, il quale va gradualmente, di generazione in ge- 
nerazione, restringendosi e perdendosi nel dialetto 
comune alle altre parti della valle. 

Le prime notizie di Folgaria si hanno nel 1140; da 
un documento del 1222 risulta che essa era popolata 
da scarso numero di famiglie. 



Stette sempre sotto il dominio dei signori di Castel 
Beseno e, quando costoro dovettero far posto ai Ve- 
neziani, Folgaria passò volontieri sotto la Serenissima, 
da cui ottenne garanzie e privilegi. Nel 1508 Giam- 
battista Caracciolo, capitano dei Veneti, da Rovereto 
per Serrada giunse a Folgaria e di là rapidamente 
piombò a Calliano, ove sorprese e mise in fuga le truppe 
di Massimiliano L 

1 Folgaritani mostrarono più volte un singolare at- 
taccamento a Venezia, del quale è rimasto nella storia 
locale un bel ricordo nel Giudizio tenuto in Arco in 
confronto di cinquanta valligiani di Folgaria, accusati 
di avere spariato dell'arciduca d'Austria, conte del Ti- 
rolo, colla seguente pubblica dichiarazione: 

No volenìo noi altri de Folgaria ricorrere piit da 
S. A. l'arciduca, né ricercare da lui V espedizione 
della nostra causa, perchè no ne trovemo giustizia 
pei poveri; l'arciduca tende solamente ai giuochi, 
alle p...., alle cene, et imbriagheggi, ei perciò se ve- 
nisse l'occasione ghe voltaressimo le spalle ei se da- 
ressimo ai Veneziani (1). 

Gli imputati furono mandati assolti, perchè non si 
trovarono testimoni atti a confermare l'accusa, il che 
potrebbe provare che avevano consenzienti i loro con- 
valligiani. 

L'altipiano di Folgaria è dominato da varie cime, 
tra cui le più importanti sono quelle del Cornetto 
(2034 m.) e del Becco di Filadonna (2148 m.), pro- 
paggini dello Scanupia. 



(1) C. Barri, Rovereto e la Valle Lagarina. Tip. Roveretana, 1882. 



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Alta Valle dell'Adige 



193 



A buon tratto della strada da Folgarìa a Galliano, 
oltre la frazione dì Dietro Beseno, sorgono, sopra un 
poggio isolato, gli avanzi dello storico castello di 
Beseno, il quale, dopo essere passato per diverse 
signorìe, venne nel 1470, dal principe-vescovo di 
Trento, per ordine deU*imperatore, dato in feudo alla 
famiglia Traph. 

Valle di Terragnolo. — Il monte Finonchio 
(1601 m.) divìde la Folgarìa dalia valle di Terrapolo, 
ove scorre uno dei rami del Leno, quello cioè che 
scende dal CoUanto e dalle propaggini settentrìonali 
del Pasubio. 

La valle di Terragnolo, che dal paese di TrambiUeno 
presso Rovereto, ove i due rami del Leno, prima 
di gettarsi in Adige, si uniscono, rìsale in direzione 
d*orìente fino al confine col Regno d*Italia ; col quale, 
per il passo di Laste, o per quello di Bercela, o per il 
Doppio Pass, di fianco al Pasubio, ha facili comunica- 
Boni, scendendo da Posina per la valle delFAstico, ad 
Arsiero e Schio. Una strada carreggiabile percorre la 
valle di Terragnolo nella sua lunghezza, fiancheggiando 
la sponda destra del Leno. Si alza fino al passo della 
Borcola (1252 m.), per discendere in vai di Posina, 
terrìtorìo italiano. 

Piazza, paesello a circa 800 m. sul livello del mare, 
è il capoluogo del Comune dì Terragnolo, formato da un 
numero grande di piccole frazioni e casolarì sparsi 
kmgo la strada ed il corso del torrente o sui fianchi 
del Fmonchio, del Pasubio, del Colsanto. 

Questa valle alpestre e solitarìa ha scarsi abitatorì 
e le sue memorìe storìche si limitano a dire che 
segui sempre le sortì delia valle maggiore, cioè della 
Lagarina. 

U Finonchio domina la valle dì Terrapolo in tutta 
la sua hmghezza. È un monte tipico fra quanti circon- 
dano il bacino di Rovereto. 

Val Arsa o Vallarsa. — Questa superba alpestre 
vallata, nella quale nasce e corre il ramo maggiore 
del Leno che prende il nome di Leno di Vallarsa, è 
percorsa dalla bella e nuova strada postale che da Ro- 
vereto porta a Schio, con una hmghezza complessiva 
di 45 chilometrì : strada assai battuta e commerciale. 
Sì parte dalla piazza del Podestà in Rovereto e, giunta 
presso il ponte di San Colombano, presso il quale 
il Leno sì biforca, entra in Vailarsa, tenendosi suUa 
destra del torrente. Presso il ponte di San Colombano 
si apre la valletta di CaserU, interessante per gli 
enormi anunassì di ghiaia stratificata, per la sorgente 
intermittente dell* Arso, e per il corso sinuoso dello 
Spino da cui si alimenta Tacquedotto che dà l'acqua 
potabile a Rovereto. 

La chiesa parrocchiale di Vailarsa — punto princi- 
pale della vallata — possiede un altissimo campanile, 
tutto in pietra da taglio, costrutto nel secolo scorso 
dagli stessi terrazzani e sul quale fu posto un armo- 
nioso concerto dì campane, fuse sul luogo stesso da 
un celebre fonditore del tempo, Giuseppe Ruffini da 
Reggio Emilia. 



n dominio dei Castelbarco, nel 1304, si estendeva 
sino a Vailarsa ; che, come l'attigua valle di Terra- 
gnolo, segui sempre le sorti di Rovereto, del cui Ca- 
pitanato distrettuale e giudiziarìo fa tuttora parte. 

Proseguendo sempre la strada postale si trova a 
450 m. la valletta di Po%»acchiOy oltre la quale si apre 
la solitarìa Valmorbia, coi piccoli paesi di Dosso e 
Zocehio, donde, per mulattiere e sentierì, si può, per 
la Trappola, Albe, monte Pazùl, salire al Colsanto 
(2110 m.). 

Dopo la chiesa di Vailarsa (808 m.), il paese, attra- 
versato dalla strada postale, si fa severamente alpestre 
e maestoso. L'orizzonte è serrato da una parte e dal- 
l'altra dalle masse imponenti della cima di Posta o 
Carega, del Pasubio, del Colsanto. Prìma di arrìvare 
al piano delle Fugazze, ove trovasi il confine di Stato, 
la strada passa davanti allo sbocco della selvaggia e 
deserta Val Prigione, ove il silenzio deU'alta mon- 
tagna è grave, solenne. Il piano anzidetto è a 1157 m. 
sul livello del mare ; il confine sì trova a 26 chilometrì 
da Rovereto e 19 da Schio, ove si discende passando 
per gironi dalla Vailarsa alla Valle dei Signori per 
Valli e Torrebelvicino, 

Il piano delle Fugazze è centro topografico impor- 
tante e punto di partenza ad interessanti escursioni 
alpine, tra le quali l'ascensione al Pasubio (2236 m.), 
al Bafielano (1791 m.), dal quale, discendendo per la 
strada mulattiera che attraversa le malghe di Morbi, 
Pra-di-là ed il passo di Campogrosso, in terrìtorìo 
italiano, si può arrivare all'elegante stazione balnearia 
di Recoaro. Sul passo di Campogrosso, vicinissimo al 
confine trentino, fìi edificata ultimamente dalla sezione 
del Club alpino italiano, un'elegante cascina-rìfugio. 
n Pasubio ed il Colsanto, le due cime più ragguardevoli 
della regione, formano, nel loro complesso oro-idro- 
grafico, una massa delimitata dal Leno dì Terragnolo, 
dal Posina fino ad Arsiero, dall'Astice fino a Piovono, 
dalla strada postale Rovereto-Schio, dal Leogra e dal 
Leno di Vailarsa. Fra i due rami del Leno questo gruppo 
maestoso si distende a guisa di altipiano elevato ed on- 
dulato, con pascoli, vallette, insellature ; dall'altro si 
distende con maggiore dolcezza sui versanti della Val 
Posina e della Valle dei Signori, in una lunga cresta 
di montagne, che staccandosi dal Pasubio, prendono i 
nomi di Posina, Fontana d'Oro, Monte Alba, Zollata, 
Pria fora, Montelumexzo, ecc. U Colsanto si eleva tra 
le valli di Caserle e di Zuccheria, fino a toccare i 
2110 metri sul livello del mare ; ed il Pasubio sì stacca 
imponente, colla sua cima nera e brulla — quando non 
è coperta di neve — dal piano deUe Fugazze. Gran- 
dissimo è il numero delle piccole valli scendenti dai 
fianchi di questi due monti e che complicano il sistema 
oro-idrografico del gruppo. 

Sul versante settentrionale od austriaco vanno ricor- 
date: la valle d'Acciaio; le valli di Buse e di Zuc- 
cheria, sboccanti in valle di Terragnolo ; le valli di 
Caserle, Parrocchie, Valmorbia, Fosci, Prigione ed 
altre minori, tributarie della Vailarsa. 



64 — litt Patria» voL I, parte t». 



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194 



Appendice 



I. Distretto di ROVERETO. — U Capitanato distrettuale compreDde ammini- 
strativamente tutta la valle La^arina e convalli, insieme a piccola parte della valle 
superiore dell'Astico, con oltre 52.000 abitanti. 

Esso è poi diviso nelle seguenti giudicature: l** distretto della Pretura urbana di 
Rovereto, con circa 21.000 abitanti, ripartiti nei Comuni di Rovereto, Besonello, 
Calliano, Folgaria, Lizzana, Marco, Noriglio, Isera, Sacco, Terragnolo, Trambilleno, 
Vallarsa, Villa Lagarina e Volano ; — 2° distretto del Giudizio distrettuale di Mori^ 
con 10.800 abitanti, ripartiti nei Comuni di Brentonico, Chienis. Manzano, Mori, 
Nomensino, Pannone, Ronzo e Valle; — 3'* distretto del Giudizio distrettuale di 
Nogaredo, con 10.300 ab., ripartiti nei Comuni di Aldeno, Castellano, Cimone, Garniga, 
Lenzima, Marano, Nogaredo, Nomi, Patene, Pederzano, Pomarolo, Reviano, Folase, 
Sasso-Noarna; — i^ distretto del Giudizio distrettuale di Ala, con circa 10.000 abi- 
tanti, ripartiti nei Comuni di Ala, Avio, Borghetto, Cbizzola, Santa Margherita, 
Pilcante e Serravalle. 



Bovereto (circa 10.000 ab., aSUm. sul livello del 
mare). — È sede del Capitanato distrettuale ; del Tri- 
bunale circolare e della Corte d'assise pei fìnitimi di- 
stretti; della Pretura urbana; della Camera degli av- 
vocati, per il circondario giudiziario ; della Camera di 
commercio ed industria, stendente la sua giurisdizione 
su tutto il Trentino (360.000 ab.); e sede d'una fi- 
liale della Banca Austro-Ungarica. Appartiene alla 
diocesi di Trento. 

Rovereto, sotto ogni rapporto, si può dire la seconda 
città del Trentino e, dal punto di vista industriale, 
contende il primato alla stessa Trento. Per chi viene 
da quest'ultima città in ferrovia Rovereto si presenta 
di prospetto, adagiata su un leggiero declivio, mentre 
il Cengialto, monte abbastanza aspro, le s'innalza a 
tergo. Intorno le sta un ampio bacino circoscritto dalle 
propaggini dello Scanupia, del Rondone, dello Zugna; 
il fondo di questo bacino, spazioso e piano, solcato 
dall'Adige, percorso dalla ferrovia e da varie strade 
postali e carreggiabili, si presta a tutte le coltivazioni 
delle nostre pianure ed è dai suoi abitatori coltivato 
con grande cura. Un poggio isolato, nei pressi della 
stazione ferroviaria, detto Doss' Circole, consente di 
abbracciare con un solo sguardo il panorama grazioso 
della piccola città e girando all'intorno tutto il pano- 
rama dell'incantevole bacino roveretano e delle alte 
cime che lo chiudono. 

Rovereto ha tutti gli agi di una città moderna, pu- 
lita ed elegante. Le sue vie sono animate, popolose, 
contribuendo molto a tale movimento la classe nume- 
rosa degli operai lavoranti nei vari opifici industriali, 
dei quali la città è ricca. 

Il punto centrico di Rovereto è la piazza del Podestì, 
ove trovasi il Palazw Pretorio, cominciato nel 1^80 
per ordine del Governo di Venezia ed alla spesa del 
quale concorse il popolo di Volano. Oltre degli uflìci 
del Comune vi hanno sede la Camera di commercio e 
i civici pompieri. In una sala si veggono ancora dipinti 
a fi-esco i ritratti di tutti i podestà veneti, che tanta 
orma di saggio governo quivi lasciarono. 

Il Castello è, fra gli edifìzi pubblici di Rovereto, il 
pilli cospicuo ed antico. I^ sue origini sono anteriori 



al mille, probabilmente longobarde. Fu ricostrutto 
verso il 1300 da Guglielmo di C^stelbarco, fattosi si- 
gnore di gran parte della valle Lagarina. I Veneziani 
lo ingrandirono e fortificarono meglio, secondo le esi- 
genze militari d'allora, costruendo il massiccio torrione 
dalla parte del Leno, che ancora oggi domina da quel 
lato la valle. Fu, nelle vicende di quegli anni fortunosi, 
varie volte assediato, bombardato ed in parte anche 
incendiato. L'Austria, nel 1782, ne fece demolire le 
fortificazioni e lo ridusse a semplice caserma, uflfìcio 
al quale anche al presente è riservato. Dal torrione 
del Castello si ha una magnifica vista su tutto il ter- 
ritorio circostante. 

n Palazw della Pubblica Istruzione, già Alberti- 
Poja, costruito nel 1772 e comperato, per farne la 
sede degli studi, dal Municipio, è fra gli edifizi civili 
di Rovereto il piìi notevole, per la maestà delle linee 
architettoniche e la grandiosità sua. Vi hanno sede otto 
classi ginnasiali e cinque liceali superiori ; la Biblio- 
teca ed il Museo civico, contenente importanti colle- 
zioni, fra le quali una di oggetti appartenenti all'epoca 
romana, assai interessante per gli studiosi di archeo- 
logia e di storia. 

Notevoli edifizi sono pure : il Palazzo Fedrigotti, 
di maestosa semplicità, dovuto all'architetto Ambrogio 
Rosmini; — il Palazzo Annonario, eretto in gran 
parte nel 1772, su disegni del ricordato Ambrogio 
Rosmini, a spese della città e servì per magazzino di 
granaglie: ora è trasformato in stabilimento industriale; 
— il Teatro Sociale, aperto nel 1784 e rimesso a 
nuovo nel 1872 ; — il Palazzo Rosmini, di proprietà 
della famiglia da cui venne il celebre filosofo, ove sì 
conserva una ricca collezione di scritti e di suppellettili 
sue (fig. 58) ; — V Asilo Infantile, edifizio moderno, 
costruito sui disegni del Didioni; — il Palazzo delVIsti- 
tuto Magistrale, pur esso di recentissima costruzione. 

Opera edilizia pregevolissima, dalla quale la città 
ha tratto immenso vantaggio igienico e materiale, è i! 
civico Acquedotto: l'acqua, purissima e freschissima, 
viene presa dalle fonti dello Spino in Vallarsa e per- 
corre 5 chilometri, fino al diramatore soprastante alla 
città. Fu inaugurato il 4 ottobre 1845. 



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Alta Valle dell'Adifre 



195 



Fig. 58. — Rovereto : Palazzo Rosmini (da fotografìa). 



Gli edifizi sacri di Rovereto, dove pure abbondano 
chiese e conventi d'ogni specie, non hanno gran vanto. 
Il più importante è la chiesa parrocchiale decanale, 
intitolata a San Marco. Fu cominciata nel 1450 e 
compiuta nel 1461; venne rifabbricata nel 1600 ed 
ampliata ed abbellita nel 1835; vi si notano buoni 
dipinti, tra cui un pregevole San Girolamo^ de! Bru- 
sasorci. 

Santa Maria è Taltra parrocchia di Rovereto. È una 
chiesa antica, esistente già nel 1300 e consacrata nel 
1333. Aveva annesso un cenobio di Carmelitani. Nel 
1678 venne rifabbricata sull'attuale disegno, baroc- 
dieggiante, dello Schiavi, veronese. Conserva buone 
pitture del Baroni. 

Sul corso Nuovo è notevole la piccola Chiesa di 
SanVOwaldOy eretta nel secolo XVIIl sui disegni di 
Ambrogio Rosmini, sul luogo stesso ove è fama che, 
per opera di Aldrìghetto di Castelbarco e d'altri signo- 
rotti della valle Lagarina, fosse assassinato Adalperto 
principe-vescovo di Trento, mentre, nel 1176, reca- 
vasi a Venezia ad'assistere alla pace tra Alessandro III, 
Barbarossa e le città lombarde, preludente poi la pace 
definitiva di Costanza. 

Il vescovo Adalpeito fu canonizzato ed i Castelbarco, 
in espiazione del delitto commesso da uno dei loro, 
dovettero concorrere, per forte somma, alla costru- 
zione del duomo di Trento. 

Nella chiesetta di Sant'Osvaldo conservasi Punico 
quadro esistente nel Trentino del valentissimo pittore 
Unterpergher di Cavalese. 



Industrie. — La forza motrice che viene dal Leno 
e suoi derivati non va perduta a Rovereto. Il Comune, 
proprietario di quella forza, con provvido pensiero, si 
adoperò ad utilizzarla, accordando facilitazioni ad ogni 
specie d'industriali che vollero impiantare opifici lungo 
il corso del Leno. Ond'è che oggi Rovereto conta fra 
le sue mura e nei suoi dintorni immediati importanti 
stabilimenti applicati alle più svariate industrie, quali 
la macinazione dei cereali ; la fabbricazione della birra, 
coi sistemi grandiosi e perfezionati di Germania ; la 
fabbricazione della carta; le concerie di pelli; la pila- 
tura e brillatura del riso ; la fabbricazione di pizzi e 
merletti, di stoffe di seta, di lana, di velluti ; le tin- 
torie; la lavorazione delle carni suine insaccate, delle 
quali si fa grandissimo commercio in Germania; la 
produzione di eiierg^ia elettrica, ecc. 

CENNO STORICO 

Dubbie sono le origini di Rovereto : le lapidi ed i 
sarcofaghi romani trovati in quelle vicinanze ed illu- 
strate dall'abate Strofella lasciano credere che Rove- 
reto esistesse sin dal tempo della dominazione romana. 

Nel medioevo, il primo cenno che di hoyereXo si 
trova è in un documento illustrato dal Baroni, storio- 
grafo roveretano, datato dal 1292, nel quale si trova 
firmato, come testimonio, un Litius de Roveredo; più 
tardi poi non mancano documenti che parlino di Rove- 
reto e di Guglielmo di Castelbarco, che, ristaurandone 
e fortificandone il castello, diede al luogo maggiore 



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196 



Appendice 



importanza di quella che fino allora, dopo la decadenza 
romana, non avesse avuta. 

Quando i Veneziani, nel 1411, per il testamento di 
Azzone di Castelbarco, si stabilirono nella valle Laga- 
rina, mirando alla conquista del Trentino, fecero di 
Itovereto il centro della loro occupazione, la quale durò 
quasi un secolo, poiché, nel 1509, dopo la disfatta dì 
Agnadello a Ghiaradadda, dovettero abbandonare, con 
tutta la valle Lagarìna, anche Rovereto. Il dominio 
veneto ha però lasciato in Rovereto e nella valle La- 
garìna memorìe care indelebili, ancora oggi vive, nel 
linguaggio e nelle consuetudini popolari. 

E ai Veneziani che Rovereto deve il principio e lo 
sviluppo dell'attuale sua fortuna ed importanza. Facen- 
done il punto centrale della loro dominazione, delle 
loro operazioni nell'alta valle dell'Adige, diedero una 
maggiore consistenza e vitalità alle istituzioni comu- 
nali, che sotto il governo feudale dei Castelbarco, per 
Rovereto, non si erano annunziate che in embrione, 
n podestà del Comune dì Rovereto, scelto sempre fra 
le famiglie patrizie di Venezia, governava l'intera valle 
Lagarìna col tìtolo di capitano, ed il Comune di Rove- 
reto, stabilito su uno statuto proprio — che fii poi 
riformato dal giurista Francesco Botta dal Toldo — 
godeva di alti privilegi politici e civili, che nel pro- 
cesso dei tempi le successive dominazioni andarono 
man mano assottigliando, fino a rivocare, come avvenne 
nel 1566 pel Comune di Rovereto, ogni diritto di giu- 
risdizione, posseduto ab antiquo e sempre riconosciuto, 
sulle cosidette Vicinie, cioè sulle terre di Sacco, Liz- 
zana e Sega di Noriglio. 

Ai Veneziani Rovereto deve pure il principio della 
propria attività industriale, poiché essi furono i primi 
ad introdurvi e coltivarvi i gelsi, a produrre e lavo- 
rarvi la seta, facendo prendere a Rovereto un posto 
importante nell'antica industria od arte serica, come 
allora era detta, al punto che, nel 1766, esistevano in 
Rovereto ventitré case di commercio, dedite esclusi- 
vamente a questo ricco ramo di traffico ; 36 filande, 
26 incannatoi, quasi 13.000 arcolai e 5 tintorie. 

Nel 1564, avendo l'imperatore Ferdinando I d'Au- 
stria diviso il suo dominio tra i suoi figli, l'arciduca 
Ferdinando, cui era toccato il Tirolo, non contento 



della parte fattagli, voUe aggregarvi Rovereto colle sue 
dipendenze. 

Così non l'intese la cittadinanza di Rovereto, che, 
per mezzo del suo Comune, manda una solenne pub- 
blica protesta, nella quale, fra l'altro, era detto : < Che 
€ Rovereto coi Comuni si erano semplicemente sotto- 
€ posti a S. M. Cesarea, come imperatore dei Romani, 
e ed al Sacro Romano Impero : e questo essere il loro 
« protettore e difensore, e non l'arciduca d'Austria 
e conte del Tirolo, né voler essi mai riconoscere dì 
« essere sottoposti all'imperatore come a conti del Ti- 
« rolo, dalla giurisdizione del quale essi intendono 
« ritirarsi >. 

In seguito a questa protesta ed al rifiuto di inviare 
la propria deputazione ad InnsbrQck ad ossequiarvi il 
conte del Tirolo, la città venne dagli Austriaci occu- 
pata militarmente ed il podestà Dal Bene, primo fir- 
matario della protesta, mandato in esilio a Lavis. In 
pari tempo furono tolte e sospese a Rovereto tutte le 
franchigie accordate dai vari imperatori ed in queste 
condizioni, cioè sotto un governo esclusivamente mili- 
tare, la città durò due secoli. Nel 1765 furono resti- 
tuiti a Rovereto i diplomi consacranti i suoi privilegi, 
il governo militare venne sostituito da quello comu- 
nale, ripristinato nelle sue facoltà ^ mediante il paga- 
mento d'una somma equivalente a 32.000 lire italiane 
e consegnando per un certo tempo dodici cittadini in 
ostaggio. 

Con questo accomodamento la città proponeva tre 
persone e l'imperature ne sceglieva una come podestà; 
il Consiglio poi eleggeva quattro cittadini sovrainten- 
dentì alle cose civili e militari. 

Sotto il governo di Maria Teresa, nel 1752, venne 
istituito, per Rovereto e la valle Lagarina, l'ufficio di 
capitano del Circolo. 

Nei 1796 Rovereto venne in potere dei Francesi e 
da quell'anno, fino al 1815, subì tutte le alterne vi- 
cende dell'Italia superiore durante il periodo napoleo- 
nico, facendo parte, dal 1809 al 1815, del Regno Ita- 
lico come capoluogo di circondario nel Dipartimento 
dell'Alto Adige. Nel 1815 venne, perì deliberati del 
Congresso di Vienna, incorporata, insieme al Trentino, 
aUa provìncia del Tirolo. 



Oltre le località e Comuni più sopra ricordati di Yallarsa, Terragnolo, Galliano, 
Folgarìa, fanno parte del distretto giudiziario di Rovereto le località seguenti: 

Sacco, con 2106 abitanti, sulla riva sinistra delP Adige; anticamente era grande 
emporio di commercio, perchè vi si fermavano le zattere che con legname, carbone, 
derrate dal Trentino discendevano il fiume. Attualmente in Sacco è da notarsi la 
grandiosa fabbrica governativa dei tabacchi, cominciata nel 1849 e compiuta nel 1854. 
Vi lavorano più di 1500 operai. Sacco è luogo antico, ricordato in documenti dei bassi 
tempi. Negli Annali di Fulda deir888 si ricordano fra le altre le Curtes Navium et 
Sagum, che sono la Nave presso Mezolombardo e Sacco. — Sacco è patria del pittore 
Gaspare Antonio Baroni (1612-62) e dello storiografo Clemente Baroni (1726-96). 

Isera, con 672 abitanti, sulla destra dell'Adige, in località fertilissima, coltivata a 
superbi vigneti e più in alto, a breve distanza, i paeselli di Folas, RevianOy Lenzima 
(antichissimo, ricordato nel placito di Trento deir845). Nel territorio di Isera, sopra 



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Alta Valle dell'Adige 197 



Fig. 59. — Rovereto : Monumento ad Antonio Rosmini. 

una rupe isolata, veggonsi gli avanzi di Castel Corno, antichissimo, già dei Castelbarco, 
poi dei Lichtenstein e della Mensa vescovile di Trento. Fra Isera e TAdige, sul punto 
culminante di una piccola catena di colline basaltiche, si ergono ancora imponenti le 
rovine del Castello di Pradaglia, antichissimo feudo della Mensa vescovile di Trento, 
da questa ceduto ai Castelbarco nel 1198. 1 Veneziani lo smantellarono nel 1416. Sotto 
Isera accampava, nel 1487, prima della battaglia di Galliano, l'esercito dell'imperatore 
Sigismondo; e nell'attesa della battaglia ebbe luogo la sfida e conseguente tenzone 
tra il conte Giovanni di Sonnenburg e Anton Maria Sanseverino, figlio di Roberto, il 
generalissimo delle truppe venete. Il campo fu eretto nella località di Tradaga e, dopo 
varie vicende, sebbene al Sanseverino riescisse di atterrare l'avversario e porselo 
sotto, dovette dichiararsi vinto, perchè quegli era riescito a strappargli il pugnale e 
ferirlo tre volte alle coscie. 



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198 



Appendice 



Villa Lagarina, con 601 abitanti, alla destra delP Adige, in posizione amena, presso 
un ponte sul fiume. Notevole la chiesa decanale. A Villa Lagarina passava la strada 
romana per la Germania, battuta anche al tempo dei Longobardi. Fu sede del 
conte Regilone de Lagare, ricordato da Paolo Diacono. 

Lizzana, con 955 abitanti. Anticamente era detto Pieve di Lizzana ed aveva giu- 
risdizione su molte chiese della^ regione; ora sovrintende a quelle di Lizzanella, 
Trambilleno, Marco e Albaredo. È un bel paese in pittoresca posizione alla sinistra 
dell'Adige. Notevolissimo, sopra l'alta roccia dominante la valle, il Castello di Lizzana: 
lo si ritiene di origine romana per il numero dei sepolcreti e delle monete di quel 
periodo trovate nei suoi paraggi. Nel 1014 ospitò Arrigo II di Bamberga, imperatore, 
che dall'Italia risaliva in Germania. Nel secolo XIII fu feudo dei vescovi di Trento, 
dai quali passò ai Castelbarco. È antica e vivissima in paese la tradizione che nel 
castello di Lizzana, ospite di Guglielmo di Castelbarco, podestà di Verona e grande 
amico degli Scaligeri, abbia dimorato Dante, il quale dalla vicina orrenda rovina del 
monte Zugna, conosciuta col nome di Slavini di Marco, avrebbe tratto l'immagine 
per descrivere, nel canto xii delVInferno, il luogo nel quale il Minotauro, < infamia 
di Greti >, sta a guardia dei < violenti >, coi versi: 

quella ruina, che nel Qanco 

Di qua da Trento 1* Adige percosse 

per tremuoto, o per sostegno manco. 

Marco, con 753 abitanti. Si trova oltre 3 chilometri a sud da Lizzana, sulla strada 
postale da Rovereto a Verona. È un bel paese con edifizi in gran parte moderni. È 
luogo antico, ricordato nel famoso placito trentino dell'SiS. Ma la sua celebrità Marco 
la deve allo slavino o sfranamento del monte Zugna, ch'è nelle sue vicinanze: un quadro 
orrido e fantastico ad un tempo, che non ha riscontro se non in quel fenomeno con- 
simile ch'è detto delle Marocche nella valle del Sarca, fra Riva e le Sarche. Nelle 
vicinanze delle rovine di Marco lo Stoppani rinvenne vari pozzi glaciali o marmitte 
dei giganti, la qual cosa rafforza l'opinione di coloro che attribuiscono cotesto 
spaventevole franamento di un fianco del monte al lavorìo del ghiacciaio dell'Adige 
ritirantesi, piuttostochè — come altri vorrebbe — ad un cataclisma tellurico, per il 
quale, nell'anno 883, il corso dell'Adige sarebbe rimasto per alcun tempo ostruito, sì 
che è fama che il letto del fiume, da Serravalle a Verona, rimanesse per parecchi 
giorni asciutto. La questione è scientificamente insoluta, ma è certo però che la frana 
di Marco, nella sua parte principale, è di gran lunga anteriore al fatto relativamente 
recente dell'ostruzione al corso del fiume, avvenuta in quella località nel secolo IX. 
Durante la campagna napoleonica del 1796, fra le alte, fantastiche rupi di Marco, si 
batterono più volte Francesi ed Austriaci. 

Altri Comuni del distretto giudiziario di Rovereto, di minore importanza storica 
dei precedenti, sono: Noriglio, costituito da una quantità di frazioni sparse pel monte 
e per il piano, con una popolazione complessiva di 1412 abitanti; — Volano, con 
1415 ab., in diverse frazioni, luogo antico ricordato da Paolo Diacono, e distrutto dai 
Franchi nella loro prima apparizione in queste valli; frazione importante di Volano 
è Sant'Ilario, colla sua chiesa curaziale fondata nel 1 1 97 — ed altre minori località 
delle quali non mette conto il parlare qui. 

II. Distretto di MORI. — Il distretto del Giudizio distrettuale di Mori in valle 
Lagarina conta 10.800 abitanti, ripartiti nei Comuni seguenti: Mori, Brentonico, Chienis, 
Manzano, Nomensino, Pannone, Ronzo e Valle. 



Mori, con 4268 abitanti (comprese le frazioni di 
Ravazzone, Molina, Binde, Sano, Tierno e Besagno), 
è, dopo Rovereto, il centro più importante della valle 



Lagarina ed ò sede del Giudizio distrettuale e del De- 
canato parrocchiale comprendente le parrocchie di Morì, 
Brentonico, Gardumo. Siede a 194 metrì sui mare, 



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Alta Valle delKAdige 



199 



in posizione rìdente, sebbene circondato da alte mon- 
tagne, e nella parte superiore e nella piana il suo ter- 
ritorio, fertilissimo, è coltivato a gelsi, a cereali, a viti. 
Ha begli edilizi, buoni alberghi ed opifìci industriali. 

La chiesa parrocchiale di Mori è delle più cospicue 
della regione. Fin dal 1214 era eretta ad arcipretura; 
appartenne per molto tempo alla diocesi veronese ed i 
suoi parroci erano generalmente presi ira la nobiltà 
veneta. Nella facciata della canonica si osserva ancora 
uno stemma gentilizio della famiglia Centanni. 

Nelle vicinanze, sopra Mori, torreggiava un tempo 
il Castel Albano, posseduto da un ramo della famiglia 
Gastelbarco. Venne preso e distrutto dai Veneziani nel 
1440 ed oggi non ne rimangono che poche rovine. 

Cenno storico. — Mori è luogo molto antico. Nelle 
sue vicinanze fu scoperta, nel 1881 , dal dott. Orsi, 
una stazione litica molto importante, perchè prova 
come la località fosse abitata anche nell'età preistorica 
della pietra. Anche di Mori è fatta menzione nel fa- 
moso Placito imperiale tenuto a Trento neir845. Poscia 
ili soggetto alla giurisdizione dei signori di Castel Al- 
bano fino alla conquista fattane dai Veneziani nel 1440. 

La Valle di Loppio. — Mori si trova allo sbocco 
della valle di Loppio, che mette in comunicazione la 
valle Lagarina con quella del Sarca e col lago di Garda 
per Nago, Arco e Riva, mediante una buona strada 
carrozzabile ed una ferrovia a scartamento ridotto, co- 
strutta in questi ultimi anni. Stretta fra i contrafiurti 
dell'Altissimo di Nago (monte Baldo) e del Bondone, 
la valle di Loppio è solitaria e malinconica. Ad un 
certo punto essa pure presenta una quantità di diruti 
e massi enormi precipitati dall'alto, come le Marocche 
in vai Sarca, o gli slavini di Marco presso l'Adige. 
Oltre queste rocce, per chi viene da Riva, trova il 
laghetto di Loppio, piccola conca lacustre circondata 
da canneti e da giuncaie, sulle quali domina nella triste 
sotìtndine, sopra una rupe, una cappelletta dedicata a 
San Giovanni. 



Per la valle di Loppio la Repubblica di Venezia, do- 
gando Francesco Foscari, in guerra contro Filippo 
Slaria Visconti, fece passare quella flottiglia di 25 barche 
e 6 galere, colle quali tentò impadronirsi della parte 
superiore del lago, che dalla valle Gardesana e dalla 
Sugana, era guardata dal Piccinino. Brescia, assediata, 
chiedeva soccorso e per farle giungere aiuti la Re- 
pubblica Serenissima accolse il progetto dell'ing. Sor- 
bolo di far passare la necessaria flottiglia per la valle 
di Loppio. Dalla foce dell'Adige furono fatte risalire 
fino a Mori le barche e le galere ; quivi, tirate a riva 
con 2000 buoi ed argani e uomini in gran numero, su 
cilindri e traini speciali immaginati dal Sorbolo, furono 
condotte sul lago di Loppio, d'onde, con uguali sistemi, 
per le malagevoli, ripide discese, furono condotte a 
Torbole, ove vennero scalate nel lago di Garda. Questa 
impresa costò a Venezia 15.000 ducati e Sorbolo ebbe 
per ricompensa una pensione annua di 500 ducati. Ma 
non fi] di grande utilità alle armi della Serenissima, 
perchè la flottiglia veneta fu, poco appresso, affrontata, 
incendiata, distrutta dalla flottiglia che il Piccinino 
aveva per parte sua fatto armare a Salò, a Desenzano 
ed a Garda. 

Nella valle di Loppio sboccano alcune vallette se- 
condarie formanti il bacino idrografico del lago di 
Loppio, e tra queste va ricordata la valle di Cresta, a 
metà della quale, sopra un poggio presso il paesello 
di Valle, veggonsi gli avanzi del Castello di Cresta, 
edifìcato nel secolo XIII dai signori di Gardumo e pas- 
sato poscia, per sanguinose vicende fra le due famiglie, 
ai Gastelbarco. 

Loppio, il piccolo paese che dà il nome alla valle ed 
al lago, è nel centro della valle stessa. Vi si nota una 
bella villa dei conti di Gastelbarco, di cui è celebre la 
serra di fiori e frutta, un vero palazzo di cristallo; 
notevoli pure le case coloniche ed un'elegante cappella. 
Verso Mori la valle di Loppio si allai^a e si ik più 
verdeggiante e ridente. 



Comuni del distretto giudiziario di Mori, meritevoli di essere qui ricordati, sono 
i seguenti: 

Brentonico, con 4146 abitanti e varie frazioni, tra cui ricordiamo: Crosano, Caz- 
zano, Saccone, Castione e Loppio. — Brentonico, frazione principale con 689 abi- 
tanti, è un paese di carattere piuttosto alpestre, a 670 metri sul mare. Notevole la 
ehiesa parrocchiale dei Ss. Pietro e Paolo, ad una sola navata con sette altari ed 
una cripta sotterranea antichissima. Sopra al paese, a 761 metri, si trovano ancora le 
rovine dell'antico castello di Brentonico. Nelle vicinanze del paese un piccolo monu- 
mento coUa scritta: NeWanno 1668 qui si subissò Fano, ricorda appunto la terribile 
frana del 30 dicembre di quelPanno, dalla quale fu inghiottita quella frazione. 

Da Brentonico comincia l'ascesa propriamente detta al Baldo o Altissimo di Nago 
(2070 m.), in territorio austriaco: ascesa che si compie in cinque ore facendo sosta 
a San Giacomo, paesello a 1166 metri. L'Altissimo di Nago è uno dei migliori esser- 
vatorii che oflFrano le Prealpi veronesi s con poca fatica, dalla vetta dell'Altissimo, si 
passa a quella del monte Maggiore o Tele^rrafo (2200 m.), in territorio italiano. Sul- 
l'Altissimo di Nago fu costruito, per cura della Società degli alpinisti tridentini, un 
comodo rifugio alpino. Un altro rifugio fu pure costruito, per cura della sezione di 
Verona del Club alpino italiano sulla cima del monte Maggiore. 



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200 Appendice 



Valle, con 507 abitanti, è il capoluogo delle valli di Cresta e di Gardumo, tribu- 
tarie delia valle di Loppio, ed ha una chiesa parrocchiale notevole con buoni dipinti. 
Essa ha giurisdizione sulle chiese curaziali dei comunelli alpestri completanti il distretto 
di Mori, cioè: Chienis, con 414 abitanti, a 974 metri; Fannone^ con 529 abitanti a 
753 metri; Nomensino, con 258 abitanti e Marnano. 

Questo territorio fu anticamente soggetto ai signori o baroni di Gresta, ai quali 
fii tolto dai Castelbarco. 

III. Distretto di NOGAREDO. — Il distretto del Giudizio distrettuale di Noga- 
redo in valle Lagarina, con 10.272 abitanti, comprende i seguenti Comuni: Aldeno, 
Castellano, Cimone, Garniga, Lenzima, Marano, Nogaredo, Nomi, Patene, Pederzano, 
Pomarolo, Reviano, Folase, Sasso-Noarna. £ regione essenzialmente rurale e sparsa 
parte in colle e parte in piano. 

Nogaredo, con 453 abitanti, sede del Giudizio distrettuale, è un discreto paese in 
bella posizione, sulla destra delP Adige, a 240 metri sul livello del mare. È luogo 
antico, ricordato nelle cronache della valle e del Trentino. É quivi che fu iniziato 
quel famoso processo per stregonerìa che, nel 1647, costò la vita a cinque disgraziate 
donne. Nelle vicinanze di Nogaredo si trova ancora ben conservato il Castel Nuotfo, 
che fu feudo dei Castelbarco: subì sempre le sorti del non lontano Castellano — 
origine di gravi discordie fra i Castelbarco ed i Lodrone — dei quali è ancora oggidì 
in possesso. 

Altro castello storico nel territorio di questo distretto è quello di Nomi, vicino al 
paese omonimo, ove pure trovasi la chiesa di San Zanone, antichissima, già esistente 
nel 1185. U castello di Nomi è ricordato nei documenti della Chiesa tridentina risa- 
lenti al 1188. Fu feudo di Pietro da Nomi e dei suoi successori fino al 1424, nel quale 
anno questa famiglia si spense. Il feudo passò al principe-vescovo di Trento, che lo 
cedette ai Castelbarco. Nel 1511 il castello di Nomi fu impegnato e poscia venduto 
dall'imperatore Massimiliano a Pellegrino Busio per 10.800 zecchini. Il figlio di costui, 
Pietro Busio, durante la Guerra Rustica, fu assalito ed abbruciato vivo nel suo castello 
il 3 luglio del 1525. Nomi subì varie altre infeudazioni ed ora è proprietà dei baroni 
De Moli. Il castello non è ormai che un mucchio di irreparabili rovine. 

Nella frazione di Chiusole trovansi gli avanzi del Castel Barco, che ifu culla di questa 
celebre fra le antiche principesche famiglie del medioevo e del Rinascimento, n 
castello di Barco esisteva già nel 1 198 ed era governato da un Briareo, figlio di Aldri- 
ghetto. Subì fortunose vicende di guerre e fu più volte distrutto e rifabbricato. Nel- 
Tanno 1507 venne totalmente distrutto dalle truppe di Massimiliano L In Chiusole si 
rinvenne il famoso Codice delle storie imperiali di Giovanni Diacono, veronese, che 
fu poi commentato ed illustrato dal dottissimo Gerolamo Tartarotti. 

Pomarolo, con 863 abitanti; è un discreto paese di carattere affatto rurale, a 
204 metri sul mare. Una volta, insieme a Chiusole e Pederzano, formava una gastaldia. 
Ora il Comune è formato dalle frazioni di Pomarolo, Chiusole, Piazza e Savignano, 
Fantica Villa Sabiniana. Antica è la chiesa parrocchiale di San Cristoforo, già esi- 
stente nel 1185 e più volte rifatta. È patria dei fratelli Felice e Gregorio Fontana: 
il primo dei quali, celebre naturalista, morto in Firenze nel 1805, fu sepolto in Santa 
Croce fra Galileo e Viviani; Gregorio, matematico insigne, fu decoro dell'Università 
pavese fino al 1803. 

IV. Distretto di ALA. — Il distretto del Giudizio distrettuale di Ala occupa tutta la 
parte inferiore della valle Lagarina verso Verona e forma confine tra l'Impero Austro- 
Ungarico ed il Regno d'Italia. Esso ha una popolazione di circa 10.000 abitanti, divisi 
nei Comuni di Ala, Avio, Borghetto, Chizzola, Santa Margherita, Pilcante e Serravalle. 



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Alta Valle delFAdige 



201 



Ala, eoo circa 3000 abitanti, sta sulla sioistra del- 
r Adige, a 172 m. sul mare. È una piccola graziosa 
città, che va prendendo sempre maggiore importanza 
per lo s^luppo del traffico di transito tra Fltalia e la 
Germania, svolgentesi nella sua stazione intemazionale. 
Questa è vasta, ma non quanto abbisogna per le cre- 
scenti esigenze del traffico in continuo aumento. Ala, 
città, consta di edifizi in gran parte moderni e di bel- 
lissima apparenza, mentre le vicine borgate di Merani, 
MuravaÙe, Ronchi e Sdruzzina hanno carattere affatto 
rurale. 

Notevole la chiesa parrocchiale, con dipinti del Bru- 
sasorci, del Palma il Giovane, di Alessandro Turchi 
detto VOrbelto, del Graffonara da Udine e d*altrì. In 
Ala la pubblica beneficenza è esercitata da uno Spedale 
e da una Casa di ricovero. La pubblica istruzione, ol- 
treché nelle scuole elementari, è impartita in un Gin- 
nasio con sei classi. 

Ala è luogo industrioso. Nel passato fu celebre per 
le- sue fabbriche di* velluto, le quali, impiantate nel 
i640 da Genovesi, crebbero in tanta prosperità che, 
nel 1700, producevano annualmente 360O pezze di 
velluto. Questa industria decadde sullo scorcio del se- 
colo XVUl e non si è più ripresa. 

Cenno storico. — Come la maggior parte delle 
terre di questa plaga, Ala è d'origine romana. Il suo 
nome deriva dalPild Palatium antico, corrotto nel la- 
tino dei bassi tempi in Hala, perchè quivi è fama sor- 
gesse un palazzo a comodo dei consoli, condottieri ed 
imperatori romani nei loro frequenti viaggi tra Roma 
e le Provincie danubiane e viceversa. Le multe monete 
romane ed altre memorie trovate in luogo confermano 
rimportanza che Ala ebbe in quel periodo. Qui fu pure 



trovata la pietra miliare romana che segnava il vige- 
simoquarto miglio della strada Claudia-Augusta. 

Nel H98 fu conferita in feudo ai Castelbarco, as- 
sieme ai vicariati. di Brentonico, Mori ed Avio. Sul 
principio del secolo XV, alla morte di Ettore di Castel- 
barco, Ala, insieme coi vicariati di Avio e di Brento- 
nico, si pronunziò spontaneamente per Venezia, che 
accettò la dedizione e conferì a quelle terre privilegi 
ed onori (1411). In seguito al trattato di Ratisbona, 
rimperatore Massimiliano 1 diede Ala ed il suo terri- 
torio al principe-vescovo di Trento (1509). 

Valle dei Ronchl — A settentrione di Ala ed in 
direzione circa di nord- est si apre la pittoresca valle 
dei Ronchi — ultima delle valli del Trentino propria- 
mente detto — percorsa dalla strada che da Ala porta 
a Recoaro, in circa 7 ore di raai-cia. 

La valle dei Ronchi è formata dal versante meridio- 
nale del gruppo dolomitico della Cima di Posta o Carega 
fino allo Zugna e cime minori ; e dal lato opposto da 
quel gruppo minore delle prealpi veronesi, detto dei 
Monti Lessini, che si spinge da un lato verso il Baldo, 
fin quasi a toccarlo e dall'altro alla Stretta o Chiusa di 
Verona. Il torrente Ala, che scende dal passo detto 
della Trappola (1527 m.), percorre in tutta la sua 
lunghezza questa vallata, che, nella sua parte alta, si 
fa malinconica e selvaggia. Il punto culminante della 
valle dei Ronchi, dal quale si discende pure in temtorio 
italiano, è il passo della Lora, a 1717 metri sul livello 
del mare. 

Sulla riva destra delFAdige, di fronte ad Ala, il 
Baldo s'innalza più maestoso che mai, mostrando i 
suoi fianchi poderosi, or diryti e brulli, or verdeggianti 
per pascoli e boscaglie. 



Hanno qualche importanza, nel distretto di Ala, i Comuni seguenti : 

Chizzola, con 537 abitanti, sulla destra dell'Adige, discreto paese, anticamente 
detto Chisoria o Clusola, perchè con Serravalle ed il castello di San Giorgio, che si 
staccano di fronte, formano una delle cosidette Chiuse dell'Adige in difesa del Tren- 
tino. Nelle vicinanze di Chizzola si rinvennero a più riprese, in quantità, monete ed 
oggetti del periodo romano. 

Serravalle, con 407 abitanti, in un punto, come è dallo stesso suo nome indicato, 
più stretto della valle. La stretta o Chiusa di Serravalle, punto caratteristico della 
valle dell'Adige, comincia, discendendo, poco dopo gli slavini di Marco ed è formata 
dairavvicinarsi della parete diruta dello Zugna ad un contrafforte del Baldo. I fianchi 
delle due montagne che fanno da parete alla lunga stretta di Serravalle sono scoscesi 
e radamente coperti da cespugli di quercioli. Era questa la più temuta delle Chiuse 
dell'Adige, ove non era possibile ad un esercito scendente dalla Germania penetrare 
nel Veronese se non col consenso avuto, per amicizia o per tradimento, da coloro che 
erano deputati a difenderla. 

Pilcante, ameno paese di 687 abitanti, di fronte ad Ala, sulla strada romana che, 
seguendo la destra dell'Adige, si dirigeva al Brennero, l'antico Pirone. Notevole in 
Pilcante l'antichissima chiesetta di Santa Lucia. 

Avio, con 3162 abitanti, Comune formato da varie frazioni, tra cui Mamma d^AviOy 
Sabbionara e Vò. È il capoluogo dell'antica vicaria d'Avio; ha origini romane e si trova 
sulla già ricordata strada Claudia Augusta. È ricordato in documenti deir872. Note- 
vole l'antica chiesa parrocchiale, nella quale si conserva un buon quadro del Guercino. 

65 — Ijm Patria» voi. I, parte 2*. 



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202 Appendice — Alta Valle dell* Adige 



Nelle vicinanze della frazione di Sabbionara si trovano le rovine del Castello (TAvio^ 
già residenza dei Castelbarco, che vi ospitarono, nel 1332, Carlo figlio del re di Boemia. 
Perii testamento di Azzone Castelbarco passò ai Yeneziani, dai quali, dopo il 1511, 
ritornò ai principi-vescovi di Trento e poscia ai Castelbarco ancora. Fu demolito 
nel 1812 ed ora non ne rimangono che la facciata e T imponente torrione. 

La piccola valle dell' Aviana, una delle tante valluncule che scendono dal Baldo, ri 
apre dietro ad Avio, che sta sulla riva destra dell'Adige, mentre la linea e la stazione 
ferroviaria è sulla sinistra. 

Avio sulla destra dell'Adige e Borghetto sulla sinistra, sono gli ultimi Comuni 
della valle Lagarìna e quindi dell'Impero Austro-Ungarico verso il Regno d'Italia. 
Presso Mamma da un lato e a breve tratto da Borghetto dall'altro passa nella valle, 
non deternùnata da nessuna ragione geografica, la linea del confine di Stato, oltre la 
quale, a non molta distanza, sono i villaggi italiani di Belluno e di Ossenigo, dai due 
lati del fiume, e poco più a sud di quest'ultimo, la prima stazione ferroviaria 
italiana. Peri. 




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203 



»•••♦*■ 



(Cantinucufione) 



PROTINCIA DI TIOENZA 



Confini, popolazione e divisione amministrativa. 

. A provincia di Vicenza occupa una parte importante negli antichi Stati di ter- 
raferma della Repubblica di Venezia. Essa confina: a nord, collo Stato Austro- 
^SSfA Ungarico e precisamente colla Valsugana; a nord-est, colla provincia di 
^^ Belluno; ad est, con quella di Treviso; a sud-est e sud, con quella di Padova; 
a sud-ovest ed ovest, con quella di Verona ; a nord-ovest, ancora coirimpero Austro- 
Ungarico e precisamente colla valle Lagarina, o capitanato di Rovereto. 

Secondo i dati ufficiali più recenti la superficie della provincia fu accertata di 
2735 chilometri quadrati. La forma planimetrica della provincia ha marcatissima 
l'apparenza di un cuore, colla testa al nord e Testremità o punta a sud. 

Secondo il censimento del 10 febbraio 1901 la provincia aveva una popolazione 
complessiva di 447.999 abitanti, cioè di 164 per chilometro quadrato. 

Nel 1901 remigrazione dalla provincia di Vicenza fii di 12.3:22 individui, dei 
quali 11.889 in emigrazione temporanea e 433 in emigrazione propria o permanente. 

Amministrativamente la provincia di Vicenza è divisa in 10 distretti, comprendenti 
123 Comuni e così ripartiti: 



DISTRETTI 


COMUNI 


MANDAMENTI 
giudiziari 


COLLEGI 
elettorali poUUci 


SUPERFICIE 

ia 

cbilomeiri qoadr. 

(daU aradali) 


VICENZA 


24 

9 

7 

IO 

15 

10 

14 

16 

11 

7 


2 
1 


7 


518 
153 
452 
161 
276 
222 
190 
396 
182 
185 


ARZIGNANO 


ASUGO 


BARBARANO 


BASSANO 


LONIGO . . 


MAROSTICA 


SCHIO 


THIENE 


VALDAGNO 


Totale . . 


123 


11 


7 


2735 1 



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301 Parte Prima - Alta Italia 



n. 

Orografia, idrografia, geologia e climatologia.. 

La provincia di Vicenza è regione eminentemente montuosa e collinosa, non offrendo 
nel suo complesso che spazi relativamente ristretti di vera pianura. 

I monti, che costituiscono molta parte del territorio della provincia di Vicenza, 
appartengono alla regione delle prealpi venete e trentine: regione quant'altra mai, 
sotto l'aspetto orografico e geologico, interessante ed importante. 

II nodo principale delle montagne vicentine si trova al nord della provincia ed è 
precisamente formato da quella regione conosciuta col nome di Altipiano d^ Asiago 
dei Sette Comuni^ confinante colla Valsugana od alta valle del Brenta, in territorio 
austro-ungarico. I monti d'Asiago, chiudenti il magnifico altipiano, formano un semi- 
cerchio, il cui crinale raggiunge altezze ragguardevoli, come la cima Dodici (2341 m.), 
la cima Manderiolo (2051 m.), la cima Undici (2228 m.), il monte Tre Croci (1942 m.), 
il Oiogone (1834 m.), la cima della Caldiera (2125 m.), il monte Luzzo (1961 m.), il 
monte Cucco (1788 m.), il monte Zebio (1779 m.), il monte Verena (2019 m.)i il monte 
Sunio (1505 m.), il monte Bertiaga (1318 m.) ed altri minori che completano la cerchia 
dell'alta conca (circa 1000 metri), sulla quale si trovano Asiago e gli altri sei Comuni, 
formanti, etnograficamente, l'isola teutonica a tutti nota. 

Dai Lessini, che costituiscono, oltre il Baldo, la parte montuosa della finitima pro- 
vincia di Verona, la provincia di Vicenza stacca il gruppo principale delle sue prealpi, 
facente nodo intomo all' imponente Pasubio (2236 m.), colla cima di Posta (2263 m.), 
col Baffelan (1791 m.), coU'Obante (2043 m.), col Plische(1991 m.), col Ze vola (1975 m.), 
coi Tre Apostoli (1775 m.), col Coston d'Arsiero (1779 m.), col Cornetto (1903 m.), col 
Novegno (1696 m.), col Priaforà (1653 m.), col monte Toraro (1899 m.), collo Spitz di 
Tonezza (1696 m.), col monte Maggio (1500 m.), col monte Summano (1299 m.), coi colli 
di Posina (1056 m.) ed altri minori, che rendono tutta la regione delle valli d'Agno, 
del Leogra, delPAstico uno fra i paesi alpestri più pittoreschi della regione veneta. 

Fra queste montagne ed i loro contrafforti si aprono magnifiche ed industriose 
vallate, fra le quali ricorderemo le principali, cioè la vai d'Agno, che si apre dal 
semicerchio dell'Obante, della Lora, del Campogrosso, chiusa dalla lunga catena dei 
contrafforti di questo gruppo e sboccante nella piana vicentina, di fronte ai colli Berid; 
la valle del Leogra, scendente dal Pasubio e dai monti circostanti e sboccante nella 
piana sotto Schio; la valle dell' Astice, scendente dai monti di Lavarono e di Arsiero 
ed unentesi a quella del Leogra sotto Schio; la valle dell' Assa, che scende dall'altipiano 
dei Sette Comuni; e la valle del Brenta fino al confine di Stato fira il Regno d'Italia 
e l'Impero Austro-Ungarico. 

Delle valli minori, che pur sono per molte ragioni interessanti, toccheremo, onde 
non ripeterci, nella descrizione che faremo dei singoli distretti ai quali appartengono. 
Dei colli Borici, avanzi di antichissimi vulcani, toccheremo più diffusamente parlando 
del distretto di Vicenza. 

Data la speciale sua configurazione orografica e le valli che ne derivano, le acque 
della provincia di Vicenza si raccolgono in quattro grandi bacini fiuviali, cioè quelli 
dell'Adige, del Oorzone, del Bacchigliene e del Brenta. 

Appartengono al bacino dell'Adige: VAlpone, YAldegò, il Rodegò ed il Chiampo^ 
torrenti di meno che mediocre importanza, scendenti dalle valluncole del distretto 
di Arzignano, nell'estremità occidentale della provincia. 

Al bacino del Gorzone sono tributari: il Restena, scendente dal monte Falde, e 
VArdega, tributari dell'Agno; VAgno o Ouày che, scendendo dal monte Tre Croci, 



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Provincia di Vicenza 205 



bagna Recoaro, Valdagno, Lonigo, entrando poi nel Veronese presso Cologna; H 
Brendola, pure scaricantesi nell'Agno; la Liana, scendente dai colli Borici e gettantesi 
nel Bisatto, canale navigabile antichissimo esistente già nel 1143. 

Il bacino del Bacchigliene è il più importante per la provincia vicentina, come 
quello che raccoglie la maggior quantità d'acque e ne impegna la maggior parte del 
territorio. Il Bacchigliene si forma tra Dueville e Vivaro, a 9 chilometri a monte di 
Vicenza, coli' insieme delle acque del Timonchio e AéìVIgna, cui si aggiungono più 
sotto VAstico col Tesina, i raccoglitori veri delle acque di tutto il grande bacino 
prealpino, che va dal Pasubio all'altipiano d'Asiago. Il Bacchigliene è navigabile, per 
grosse barche, da Vicenza al mare e, nel suo corso inferiore, è arricchito dalle acque 
della Debba, che scende dal versante settentrionale dei colli Berici e serve di emis- 
sario al lago di Fimon; dalla Valdiezza, che s'ingrossa delle acque del Bio Onte, 
formando poi il Betrone, che attraversa Vicenza e si getta nel Bacchigliene presso la 
porta del Monte; dall' Óro/o, che nasce presso Magre col nome di Livergone e bagna 
Malo ed Isola di Malo; dalla Leogra, scendente per la valle dei Signori a Torrebelvicino 
a Schio, dopo cui si confonde col Timonchio già ricordato, che scende dal Summano; 
A9\V Astichello, che entra in Bacchigliene presso Vicenza ; AMÌAstico, il più importante 
dei corsi d'acqua scendenti dalle prealpi vicentine, che nasce sul pendìo occidentale 
del monte di Lastebasse, segnando per un tratto il confine settentrionale della provincia 
col Trentino, bagna Arsiero e dà vita ad importantissime industrie, accogliendo il 
Posina e la Valdassa; più in basso si allarga unendosi al Lavarda per formare il 
Tesina, col qual nome si getta in Bacchigliene, che riceve ancora altri piccoli rivi 
scendenti dai colli circostanti. La portata ordinaria del Bacchigliene a valle di Vicenza, 
a 15 chilometri dalle origini e dopo ricevute le acque del Betrone e dell'Astico-Tesina, 
è di circa 17 metri cubi; la portata di piena, sotto le dette confluenze, è da ritenersi 
di 219 metri cubi. 

n bacino del Brenta in provincia di Vicenza è costituito dal Brenta, che nasce dai 
laghetti di Galdonazzo e di Levico nel Trentino per entrare nello Stato italiano 
presso Primolano; dal confine di Stato e Bassano (circa 30 chilometri) e per altri 
"ì chilometri a valle di Bassano, il Brenta corre incassato fra alte sponde, con uba 
caduta ragguagliata al 21 per mille. La sua portata ordinaria a Bassano è di 40 metri 
cubi ; poco lungi da Pozzoleone entra nella provincia di Padova,.dopo di avere ricevuto, 
nel territorio vicentino, i torrenti di Valgadena e di Valstagna, scendenti dai Sette 
Ck>muni; dal Osinone, proveniente dal Bellunese e che per breve tratto bagna la 
provincia di Vicenza; e dal fiume della vai. Cozza, che scende dal monte Grappa e 
mette in Brenta presso Gismon. 

Laohi. — Nel territorio vicentino si trovano alcuni piccoli laghi, il maggiore dei 
quali è il Fimon^ raccogliente le acque scendenti dal versante nord-est dei colli 
Berici presso Arcugnano e celebre per le palafitte scoperte nelle sue acque; e il 
Fontega, nella stessa regione. Nella parte alta e prealpina sono da ricordarsi i laghetti 
di Quargnenta, presso Valdagno, e quello di Velo d* Astica, nella valle omonima. 

Importantissima, sotto l'aspetto geologico, è la regione montuosa vicentina, nella 
quale sono copiosamente rappresentate, nei vari tipi di rocce che la compongono, le 
cinque grandi epoche di formazione della crosta terrestre. 

Uepaca azoica è rappresentata nelle montagne vicentine e più specialmente nelle 
alte valli dell'Agno e del Leogra, dal talcoscisto, che forma base alle montagne del 
bacino di Recoaro e dell'intera valle del Leogra. Al ponte Nuovo, sulla strada di Valli 
dei Signori, il talcoscisto lascia posto al più compatto e resistente micascisto. In 
luogo il talcoscisto è chiamato dai mandriani Lardavo, perchè. dà al tatto sensazione 



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206 Parte Prima — Alta Italia 



d'untuosità. È assai friabile e decomponibile, ed appunto ai suoi detriti si debbono i 
terreni fertilissimi, a boschi ed a prati, che rendono si belle e pittoresche le valli 
dell'Agno e del Leogra. Le acque di Recoaro, di Staro, di Torrebelvidno, ferruginose, 
scaturiscono dai filoni di rocce eruttive insinuate nel talcoscisto. 

Vepoca primitiva o paleozoica è scarsamente rappresentata in questa regione. Si 
trovano però in una valletta, sotto il monte Spitz, presso Recoaro, strati di arenarie 
grossolane, serbanti impronte indeterminate di vegetali forse di quell'epoca. 

I terreni deWepoca secondaria o mesozoica sono invece largamente rappresentati 
nella regione e costituiscono in gran parte il materiale delle montagne fra il Brenta 
e l'Adige. E tutti e tre i perìodi nei quali l'epoca secondaria viene dai geologi suddi- 
visa trovano rappresentanza in queste montagne. Il trias si riscontra neUe valli di Posina, 
di Recoaro ed a Valli dei Signori : il trias inferiore, od arenaria variegata, si rinviene 
a Recoaro, a Valli dei Signori, a Trotto ed in altre località. Consta di strati di arenarie 
a vari colori, per lo più rosse, con grani di quarzo minuto, ma talvolta anche grossi 
ed angolosi. Tali arenarie si utilizzano per fame mole da affilare, di qualità appena 
mediocre. Vi si trovano scarsamente fossili e male conservati, brani ed impronte di 
vegetali. Fra gli strati di arenarie si trovano anche abbondanti depositi di gesso. 

II trias medio, muschélkalk, o calcare conchigliare, è abbondantemente rappre- 
sentato in questa zona. Consta di vari banchi calcari e calcari marnosi, taluno dei 
quali assai ricco di fossili ben conservati. Il più comune di questi calcari è la dolomia 
del monte Spitz, di cui, oltre della cima di questo monte, sono costituite le cime di 
Campogrosso, dei monti Civillina, Cengio, Enna, Montanaro e Castello di Pieve. Se ne 
trovano pure strati abbondanti nel Trotto. Sul Montanaro e sul Civillina tale calcare 
contiene dei filoni eruttivi con vene metallifere, nel passato coltivati per estrarvi 
la galena. 

Il trias superiore, o Keuper dei Tedeschi, è nelle montagne del Vicentino ampia- 
mente rappresentato da quelle rocce dolomitiche che fanno così caratteristico l'aspetto 
di queste montagne e di quelle del vicino Cadore e del Trentino. Questa dolomia 
è di struttura saccaroide, di color bianco, o giallognolo, o rossigno, con piccole cavità 
tappezzate da minuti cristalli. È anche detta dolomia principale o Turbo solUaHus^ 
dalla conchiglia fossile che la caratterizza. Si decompone facilmente, ed i suoi detriti 
non danno terreni fertili, ma piuttosto ammassi ghiaiosi, sassosi. Le vette dolomi- 
tiche del Vicentino assumono talvolta delle forme capricciose, come il BaflFelan, i Tre 
Apostoli, il Cornetto, il Priaforà ed altre. 

Nei dintorni di Schio, come attesta il dottor Olinto de Pretto, da uno studio del 
quale riassumiamo questi cenni, si trova in grande abbondanza una roccia eruttiva del 
periodo del trias, della specie porfido pirossenico, dolerite o melafiro. È scura, verdo- 
gnola rossastra, costituita da una pasta omogenea, in cui sono disseminati cristalli 
più chiari. È facilmente decomponibile e dà un detrito terroso grossolano. Ne sono 
costituiti i monti di Trotto, il Zomo ed altri di minor conto. In varie località, ma 
specialmente a Sant'Ulderico di Trotto, trovasi una varietà di questa roccia eruttiva, 
che per il lento assorbimento dell'acqua tende a decomporsi in un'argilla bianca o 
caolino, che da secoli viene utilizzata per fabbricare le stoviglie ed è conosciuta col 
nome di terra di Tretto o di Vicenzaé Ve ne sono parecchie cave e se ne fa largo 
commercio nel Regno pel suddetto uso. 

Gli altri due gruppi di terreni dell'epoca secondaria, il giurese ed il cretaceo, 
sono pure largamente rappresentati nelle montagne del Vicentino. 

Il sito classico per lo studio della formazione giurassica nel Vicentino è l'altipiano 
dei Sette Comuni e le vicine località di Tonezza e di Lavarono; ma si trova anche 
sulla strada di Recoaro, sul monte Scandolara, sulla Rocchetta di Novegno, nella valle 
delle Piane presso Schio, protendendosi dalle Gausse per Costa Alta verso ilTimonchio. 



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Provincia di Vicenza 207 



Sopra la dolomia la serie giurese ò costituita quasi interamente da potenti strati oriz- 
zontali di ealcari grìgi, dei quali alcuni sono ricchi di fossili e con impronte di felci 
e altri Tegetali. Altri calcari di questo periodo che più si rinvengono in questa regione 
sono Tammonitieo rosso e Toolite superiore. Sono quasi tutti fossiliferi e contengono 
tracce di ammoniti ben conservate. 

Il cretaceo, costituito ordinariamente da strati calcari bianchi o rosei assai regolari, 
si trova sullo Scandolara, in Raga, nella parte inferiore dei monti di Magre, nelle colline 
intorno a Y aldagno, a Senegolo, alla Costa Alta presso Schio, nei Sette Comuni ed altrove. 

Nell'epoca terziaria il Vicentino e le vicine regioni della provincia di Verona furono 
teatro di grandi eruzioni vulcaniche, che si protrassero fin quasi all'epoca attuale, e 
se ne veggono le tracce nella roccia nera da tutti conosciuta col nome di basalto. 
Sono pure rocce vulcaniche i tufi, le peperite, le brecciuole ed altre rocce consimili, 
assai friabili, nelle quali talvolta si rinvengono fossili ben conservati. Queste rocce 
non sono che le ceneri eruttate dalle bocche o crateri dì quei vulcani e cadute nei 
mari circostanti, ove poterono assumere una certa regolarità di stratificazione, impi- 
gliando nella loro massa gli animali che si trovavano nel fondo. 

Le formazioni caratteristiche dell'epoca terziaria, cioè Teocene, il miocene ed il 
pliocene, si trovano tutte in questa regione. I calcari grossolani dell'eocene, caratte- 
rizzati dalle nummoliti, fossile particolare dell'epoca, appaiono superiormente alla 
creta, con un passaggio talvolta brusco e bene distinto. Sui monti di Magre, Malo, 
Priabona si trovano spesso dei calcari quasi esclusivamente costituiti da tali num- 
moliti, la cui grandezza varia moltissimo, raggiungendo talvolta quella dì uno scudo, 
l banchi di marne del monte Bolca, noti in tutto il mondo scientifico per la ricchezza 
dei suoi avanzi fossili di flora tropicale e dì pesci pietrificati, appartengono all'eocene. 

Il miocene sta sopra all'eocene, ma non è facile trovare il passaggio fra questi 
due terreni. Sono strati calcari che sì trovano specialmente nel territorio di Schio, 
ricchi dì un fossile denominato Scutella aubrotunda, che è una specie di mollusco 
marino; in questi strati, nella valletta dei Frati (Schio), furono estratti gli avanzi d'un 
grande teschio appartenente ad una razza estinta e dal dott. De Zigno, che lo studiò, fu 
classificato come appartenente allo Squalodon Bariensis, Dello stesso periodo mioce- 
nico sono le magnifiche palme fossili che si conservano nella villa Piovene a Lonedo 
presso Lugo dì Vicenza e rinvenute scavando nella villa stessa. 

Il pliocene è nel Vicentino rappresentato da depositi ghiaiosi, cementati o con- 
glomerati, detti puddinghe. 

l>tVÌL epoca quaternaria o attuale è formata molta parte della provìncia vicentina. Nel 
periodo pliocenico si manifestò nella regione alpina il grandioso fenomeno dell'era 
glaciale, che continuò in graduale diminuzione anche nell'epoca quaternaria. Le valli del 
Leogra, dell'Agno, del Posina, sebbene affatto secondarie e con monti non conside- 
revoli, ebbero i loro ghiacciai. Nella valle dell'Astice e con questa gli altipiani di 
Tonezza, di Lavarone, di Verena, dei Sette Comuni, si formò un ghiacciaio immenso, 
alimentato da una diramazione del grande ghiacciaio dell'Adige, che entrava per la 
grande depressione compresa fra lo Scanupia ed il pizzo di Verena. Ciò potrebbe 
sembrare incredibile, se non fosse rigorosamente provato dagli enormi massi erratici 
disseminati per gli ameni pascoli onde son belli e ricchi gli altipiani dì Tonezza, dì 
Lavarone, di Verena, massi dì materiale cristallino, dì porfido rosso o micascisto, pro- 
venienti indubbiamente dall'alto bacino dell'Adige. La valle dell'Astice servi adunque 
di sfogo ad un importante emissario del ghiacciaio dell' Adige e ne fu interamente 
coperta per uno spessore d'oltre mille metri. Sul versante del Summano verso l'Astice 
il De Pretto potè accertare, a 800 metri d'altezza, la presenza di depositi morenici, 
e stabilire che l'altezza del ghiacciaio fu tale da superare i due colli di Velo, attrae 
verso i quali si scaricò con altra diramazione. Con ogni probabilità devesi al grande 



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208 Parte Prima -^ AlU Italia 



sviluppo dei ghiacciai e air immensa quantità di materiali e detrìti da essi trasportati 
che venne interrato il mare davanti alle prealpi vicentine; interramento continuato 
e si può dire perfezionato nel lungo periodo durante il quale i fiumi ed i torrenti, 
gonfi e carichi del materiale trascinato per il disgelo dei ghiacciai, formarono le 
grandi pianure alluvionali in questa parte della valle del Po. 

Favorita sotto ogni aspetto dalla natura, le condizioni climatologiche della pro- 
vincia di Vicenza sono generalmente eccellenti, e nella regione dei colli ed in certe 
valli prealpine bene esposte, come gran parte della conca scledense, il clima vi è 
dolce, salubre ed in qualunque stagione non si notano mai gli eccessi. Nella parte 
bassa, sotto Lonigo, ove era un tempo estesa la coltivazione delle risaie, si trovano 
anche centri d'infezione malarica, che fortunatamente vanno sempre più restringendosi. 
Venti dominanti sono quelli di settentrione in primavera, nelPautunno e nell'in verno; 
d'estate dominano, quelli d'occidente e di mezzodì. Il massimo caldo lo si riscontra 
nella metà di luglio, come il massimo freddo è a metà gennaio. 

La pioggia è generalmente scarsa nella parte bassa ; piogge e nevi frequenti nella 
parte montuosa. 

III. 
Statistica industriale e commerciale. 

Viabilità. 

Le condizioni della viabilità nella provincia di Vicenza, se non ottime e complete, 
sono indubbiamente buone e sufficienti ai bisogni del traffico locale ed interprovin- 
ciale. Attualmente sono in esercizio nella provincia le seguenti vie di comunicazione: 

Strade ferrate Km. 87 — 

Tramvie a vapore i 54 — 

Ferrovie economiche » 25 — 

Strade Dazionali i 47,614 

• provinciali i 348,266 

I comunali obbligatorie i 1283)913 

Inoltre vi sono 9104 metri di strade comunali obbligatorie in costruzione. Ciò 
senza tener calcolo delle strade comunali non obbligatorie e vicinali, per le quali non 
si hanno dati statistici, ma che però hanno notevole sviluppo anche in questa provincia. 

Le linee ferroviarie che percorrono la provincia di Vicenza sono le seguenti: Vicenza- 
Padova (per Venezia o Bologna); — Vicenza- Verona (per Brescia-Milano), costituente 
una sezione della grande linea adriatica Milano- Venezia ; — Vicenza-Cittadella-Tre- 
viso (quindi Udine-Pontebba) ; — Bassano-Cittadella (per Padova); — Vicenza-Thiene- 
Schio (questa di proprietà della Società Veneta di costruzioni). Ferrovia economica è 
quella Schio-Arsiero, di 23 chilometri e mezzo. Le linee tramviarie a vapore della 
provincia di Vicenza sono le seguenti: Vicenza- Arzignano e Valdagno; — Schio- 
Torrebel vicino; — Schlo-Rocchette; — Lonigo-Cologna Veneta, 

Tutte queste linee ferroviarie e tramviarie fanno di Vicenza un importante centro 
ferroviario, dal quale ha certo preso notevole incremento lo sviluppo industriale, com- 
merciale ed agricolo grandissimo di questa provincia fra le più produttive e laboriose 
del Regno. 

Le strade nazionali della provincia di Vicenza sono ridotte ai due tronchi da Schio 
al pian delle Fugazze, che per Va,llarsa mette a Rovereto; e da Bassano a Primolano 
e al confine austro-ungarico. 



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Provincia di Yiceoia ^Qg 



Strade provinciali sono i tronchi: Vicenza-Motta-Schio; — Motta- Villaverla-Thiene; 

— da Thiene per Carré ad Asiago; — la Oasperona, da Thiene per Marostica a 
Bassano: — la Trevisana, da Vicenza al confine del distretto di Cittadella; - ia 
Castellana od Amedea, da Bassano a Castelfranco; — la Padovana, da Vicenza per 
Torri e Grisignano a Padova; — della Riviera, da Vicenza per Longare e Noventa; 

— di Lonigo, da Lonigo a Vicenza; — di Arzignano, da Tavemelle per Montecchio 
Maggiore ed Arzignano; — la Valdagnese, da Montecchio per Valdagno e Recoaro; 

— di Priabona, dalla Valdagnese a Malo e Schio. 

Forza motrice idraulica. 

Secondo le più recenti pubblicazioni del Ministero di agricoltura e commercio, la 
forza motrice impiegata nelle industrie delia provincia di Vicenza è così ripartita: 

Industrie minerarie CavaUi dinamici 296 

Macinazione dei cereali » b 1431 

Brillatura del riso i » 70 

Industrie tessili e tintorie i i 2093 

Concia delle pelli b b 28 

Industria della carta b b 828 

Segherie e lavorazione del legname b b 452 

Altre concessioni furono fatte negli ultimi anni, la portata e l'uso delle quali non 
furono peranco ufficialmente accertate. 

Caldaie a Vapore. — Le caldaie a vapore denunziate nel 1899 come esistenti e 
funzionanti in 81 Comuni della provincia di Vicenza erano 133 fisse, 20 semifisse adibite 
alle industrie meccaniche, tessili, chimiche, molitorie; e 293 locomobili, adibite per 
la maggior parte alFagricoltura e soprattutto alla trebbiatura dei cereali. La poten- 
zialità in cavalli-vapore di queste caldaie venne calcolata in cavalli 8082. 

Movimento postale e telegrafico, contribuzioni e risparmio. 

Uftiq Postali. — Al 30 giugno 1898 gli uffici postali funzionanti nella provincia 
di Vicenza erano cosi qualificati: uffici postali, 29; uffici telegrafici e postali, 73; col- 
lettorie postali, con o senza ufficio telegrafico, 419. 

Il servizio telegrafico era esercitato da: uffici esclusivamente telegrafici, 8; biffici 
telegrafici ferroviari, 17; uffici postali e telegrafici, 33; collettorie, 4. In totale 62 uffici 
telegrafici. 

Il movimento degli oggetti di corrispondenza impostati nella provincia di Vicenza 
nel periodo dal !<> luglio JÌ897 al 30 giugno 1898 è il seguente: lettere e biglietti 
postali, 1.387.989; cartoline semplici, 685.464; doppie, 63.028; pieghi di manoscritti, 
81.606; campioni, 33.852; stampe spedite con francobolli, 622.044 : in conto corrente, 
907.247 ; corrispondenze ufficiali in franchigia, 466.623. Ammontare delle entrate postali 
nella provincia lire 529.261,32. 

Il numero dei vaglia postali emessi nella provincia di Vicenza è di 142.094, per un 
valore complessivo di lire 6.621.931,53; il numero dei vaglia postali pagati nella pro- 
vincia stessa è di 126.157, per un ammontare di lire 7.171.573,83. 

Il numero dei dispacci spediti dagli uffici telegrafici nella provincia di Vicenza, 
durante il medesimo periodo, è il seguente: telegrammi privati air interno, 64.021; 
all'estero, 4093; governativi, 10.870; di servizio telegrafico, 1573; postali, 429. Totale 
80.986; ricevuti dall'estero, 4422. 

Risparmio. — Il movimento dei capitali dei depositi a risparmio negli 11 Istituti 
(Banche o Società cooperative di credito) funzionanti nella provincia di Vicenza nel- 
Tanno 1898 è il seguente: versamenti, 20.363 : importo lire 19.841.347; rimborsi, 22.257: 
ammontare lire 18.739.884; libretti in corso, 14.895: ammontare lire 14.794.738. 

66 — liA Patria, voL I, parte 2*. 



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210 ^^^ I^ma — Alta Italia 



I 63 uffici postali della provincia abilitati al servizio delle Gasse di risparmio ese- 
guirono, nell'anno 1897, le seguenti operazioni: libretti aperti, 3237; chiusi, 1S91 ; ver- 
samenti, 30.515: ammontare lire 1.558.214; rimborsi, 15.890: ammontare lire 4.566.337; 
libretti in corso, 28.670: ammontare lire 2.457.040. 

La previdenza benefica è pure esercitata nella provincia di Vicenza da 1 17 Società 
di mutuo soccorso con 2Ì.369 soci, delle quali giurìdicamente riconosciute 20 con 4939 
soci ed un patrimonio sociale di lire 334.440,94. 

Imposte. — Versamenti fatti dalla provincia di Vicenza per imposte dirette nel- 
l'esercizio 1« luglio 1898-30 giugno 1899: imposte sui fondi rustici, lire 1.791.299,17; 
sui fabbricati, lire 728.523,25; per ricchezza mobile, lire 1.839.730,34. Per tasse sugli 
aflFari : successioni, lire 456.7:^0,29; manomorta, lire 76.734,59; di registro, lire 560.969,55; 
di bollo, lire 493.912,25; ipotecarie, lire 70.484; porto d'armi, lire 51.902,40; velocipedi, 
lire 17.109, ecc. Tasse di consumo : fabbricazione, lire 2 10.620,33; dogane e diritti marita 
timi, lire 15.089,2i2; dazi interni di consumo, lire 525.946,97; tabacchi, lire 1.989.663,13; 
sale, lire 1.162.353,49; lotto, lire 415.035,34 (vincite, lire 214.006), ecc. 

Agrìcoltnra e prodazione agraria. 

La provincia di Vicenza è, fra le Provincie del Veneto, una delle più accuratamente 
coltivate, sì che la sua produzione, ad onta della larga zona montuosa, è cospicua e 
svariata. I terreni arabili occupano in questa provincia un'estensione di 145.328 ettari, 
circa il 55 % della superficie totale della provincia; i terreni boschivi, d'alto fusto e 
cedui, occupano 43.374 ettari, cioè il 16 % del territorio provinciale, e sono per lo 
più tenuti a castagni, roveri, carpini selvaggi, e nel distretto di Asiago a faggi, ad 
abeti ed a pini. 

Secondo l'ultimo Annuario Statistico del Regno d'Italia^ la media delle principali 
produzioni agricole nella provincia di Vicenza nel triennio (1896-98) fu la seguente: 



Frumento El. 493.482 

Granturco ....... i 786.700 

Riso • 7.400 

Vino • 157.883 

Olio » 293 

Przo • 4.588 

Segala b 4.231 

Avena » 50.215 

Legumi » 10.208 



Fave, vecce, ceci El. 6.910 

Patate Q. 86.301 

Castagne • 29.686 

Canapa • 2 012 

Lino • 688 

Foniggi per erba • 1.938.877 

■ per fieno i 1.346.852 

Prodotti forestali e legna da ar- 
dere • 2.500.000 



Il valore complessivo di questi prodotti si accosta ai 40.000.000 di lire, e questa 
cifra avrebbe certo un sensibile aumento se vi fosse computato il prodotto degli 
ortaggi, delle frutta, del pollame, delle uova, del legname da costruzione, che sono 
oggetto di lucroso commercio, ma che finora sfuggirono agli accertamenti statistici. 

In questi ultimi anni ha preso largo incremento nella provincia di Vicenza l'alle- 
vamento del bestiame ; oltre ad industria sussidiaria delFagrìcoltura, per il caseificio 
e la carne da macello, tale industria venne considerata anche con intendimenti com- 
merciali. Specialmente Tallevamento dei buoi, delle capre, degli asini è in un periodo 
ascendente in questa provincia. Il valore capitale di questo bestiame, nel quale si 
hanno circa 120.000 capi bovini e 68.000 ovini, è di oltre 40 milioni di lire. 

La proprietà fondiaria, salvo che nell'estremità piana e meridionale della provincia 
di Vicenza, è assai frazionata; gran parte della terra è lavorata direttamente dai pro- 
prietari stessi, che vi ritraggono nella maggior parte il loro sostentamento. 

Industrie minerarie. 

L'industria mineraria in provincia di Vicenza è rappresentata (nel 1901) da 
3 miniere e 5 ricerche di lignite e scisto bituminoso e da una miniera di pirite di 



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ProTinda di Vicenza 211 



ferro. Il prodotto di queste miniere fa, nel suddetto anno 1901, di 11.530 tonnellate 
di lignite e scisto bituminoso e 700 tonnellate di pirite di ferro, coll'impiego di 
303 operai. Nella miniera dei Pulii haTvi un motore a vapore della forza di 8 cavalli 
ed un motore elettrico di 64 cavalli per l'estrazione dei minerali, il sollevamento delle 
acque e la ventilazione. Nel Comune di Arcugnano presso Vicenza, antico fondo lacustre, 
hawi un banco torboso di circa 6 metri di spessore, su un'estensione di circa 60 ettari. 
La produzione della torba nel 1901 è stata di tonnellate 1500, coirimpiego di 100 operai. 

Officine mineralurgiche e metallurgiche. 

Nella parte montuosa della provincia, che è la più ricca di cadute d'acqua e di 
forza motrice idraulica, sono numerosi i luoghi per la lavorazione del ferro e del 
rame. Nella provincia di Vicenza il ferro è lavorato in 19 Comuni con 34 opifici, così 
distribuiti: Arsiero 3, Bassano 3, Breganze 1, Caldogno 1, Caltrano 2, Calvenel, Enego 2, 
Forni 1, Lugo di Vicenza 1, Montecchio Precalcino 1, Nove 2, Recoaro 1, Sant'Orso 1, 
Schio 2, San Pietro Mussolino 3, Torrebelvicino 2, Valle 4, Velo d'Astice 2 e Vicenza 1. 
La forza idraulica utilizzata è di 210 cavalli. Gli operai sono 152. I prodotti censi- 
stono specialmente in utensili comuni e rurali, attrezzi da fabbrica e da costruzione, 
chiodi e serramenta, che si esportano anche dalla provincia. 

Il rame è lavorato in 5 Comuni comprendenti 6 opifici, e sono: Arsiero 1, Cal- 
dogno 1, Caltrano 1, Cogollo 1, Sarcedo 2. La forza utilizzata è di 53 cavalli e vi lavora 
pure una cinquantina di operai 

Nel Comune di Posina si trovano 56 piccole ofiScine dedite alla fabbricazione delle 
chioderie, fra cui 17 principali occupano circa 500 operai. Il prodotto annuo medio 
ascende a 200 tonnellate di ferro lavorato in chiodi e bullette di varia grandezza, 
del valore totale di lire 250.000. 

A Trissino si fanno lavori pregevoli in ferro battuto. A Bassano hawi una riputata 
fabbrica di compassi, che esporta nel vicino Trentino gran parte dei suoi prodotti 
A Tavernelle si fabbricano combustibili agglomerati di varie specie. 

Illuminazione. — A Vicenza l'illuminazione pubblica è a gas ed a luce elettrica. 
Nei Comuni di Bassano, Breganze, Lonigo, Marostica, Recoaro, Schio, Thiene, Torri 
di Quartesolo, Valdagno è a luce elettrica; in moltissimi altri ad acetilene. 

Officine Meccaniche. — Nel Comune di Vicenza funzionano 2 importanti stabili- 
menti per le costruzioni meccaniche: uno con 90 operai, l'altro con 50. Nel primo si 
fanno ponti, travate, macchine, grosse fusioni in ghisa, ecc.; nell'altro si costruisce e 
8i ripara il materiale ferroviario della Società Veneta. Havvi pure in Vicenza un'altra 
officina per la costruzione di bilancio e di stadere in ferro di grandi proporzioni. 

A Montecchio Precalcino presso Breganze, ad Arzignano ed in qualche altro 
Comune vi sono officine per riparazione e costruzione di macchine agrarie. 

Cave. — Nei Comuni di Tretto e di Torrebelvicino presso Schio si trovano nume- 
rose cave di argilla bianca o caolino, conosciuta più comunemente col nome di terra 
di Vicenza. Vi lavorano 150 persone circa. In taluna di queste cave si opera non 
solo rescavazione, ma anche la preparazione. La produzione, di circa 4000 tonnellate 
all'anno, alimenta le industrie locali e si esporta in altre Provincie del Regno ed 
all'estero, per la fabbricazione delle terraglie, della carta, dei saponi, dei colori. 

Sopra Recoaro si scavano mole da arrotare e pietre coti. In altri Comuni si tro- 
vano cave di marmi colorati e pietre comuni ad uso edilizio e decorativo. 

Fornaci. — Quest'industria è abbastanza sviluppata nel Vicentino e vi sono fornaci 
per maioliche, terraglie, laterizi e calci. 

Le maioliche e terraglie di Vicenza hanno antica rinomanza, e l'industria anche 
oggidì ha importanza. Esistono in provincia 22 di tali fabbriche, 16 delle quali nei 
soli Comuni di Bassano e di Nove e 6 in quelli di Monticello e di Vicenza, con un 



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2fl2 Parte Prima — Alta Italia 



complessivo numero di circa 600 operai. In taluna s'impiegano, perla triturazione e 
impastazione delie argille, piccoli motori idraulici. La materia prima adoperata da 
queste fabbriche è la terra bianca o caolino di Tretto ed il quarzo del Brenta^ La 
loro produzione maggiore è quella delle stoviglie per uso domestico, delle quali una 
grande quantità si esporta nelle altre Provincie del Regno ed anche air estero, in 
Grecia ed in Turchia, ove sono assai apprezzate, sia per Tel^anza della forma, che 
per la buona qualità delle vernici, la vivezza dei colori ed il buon mercato. Si fabbri- 
cano anche maioliche artistiche ad imitazione del rococò dei secoli XVII e XVIII, che 
ebbero in questi ultimi anni un vero successo. Tali fabbriche sono specialmente quelle 
degli Antonibon e del Viero di Nove. Le argille sono tratte dai colli di Bassano. 

Laterizi. — Esistono in provincia di Vicenza 35 fornaci per la produzione dei late- 
rizi, impieganti circa 400 operai. Notevole fra queste lo stabilimento Trevisan in Vil- 
laverla, con fornaci Hoflfmann a 14 compartimenti ed una macchina Hertel, mossa dal 
vapore, producente 12.000 mattoni al giorno. Impiega 60 operai. Altro opificio impor- 
tante è quello Bossi in Vicenza, con fornace a fuoco continuo sistema Appiani. I pro- 
dotti di queste fornaci si consumano in gran parte in provincia e se ne esporta una 
certa quantità anche nelle Provincie finitime. 

Calce. — Esistono nella provincia di Vicenza 10 fornaci per la cottura della calce, 
delle quali 2 a fuoco continuo, per la produzione della calce idraulica in Comune di 
Albettone. Vi sono impiegati circa 100 operai. 

Prodotti Chimici. — Quest'industria è esercitata nel grandioso stabilimento della 
ditta Magni, sorto da pochi anni in Vicenza, nelle vicinanze della stazione ferroviaria, 
per la fabbricazione di materie fertilizzanti, fosfati, acido solforico, ecc.; ed in altri 
piccoli opifici sparsi nella provincia. Complessivamente nell'anno 1901 erano impie- 
gati in questa industria 373 lavoranti e si faceva uso di 8 motori a vapore per la 
forza di 315 cavalli e 6 motori elettrici per la forza di 150 cavalli. A Bassano havvi 
una fabbrica di candele e d'altri lavori in cera. 

Prodotti Medicinali ed Acque Minerali. — A Lonigo si opera l'estrazione dell'olio 
di ricino in una fabbrica provvista di 12 torchi idraulici, nella quale lavorano 20 operai. 
Fra le acque minerali, di cui si fa largo commercio d'esportazione, sono celebri quelle 
acidulo-salino-ferruginose di Recoaro in valle d'Agno. Servono per bevanda e per bagni 
e danno luogo ad un commercio che si valuta in circa 300.000 lire all'anno. 

Lucido da Scarpe. — Vi sono in provincia alcune fabbriche per la produzione del 

lucido da scarpe, delle quali la piii importante si trova a Thiene. Possiede 2 motori, 

uno idraulico ed uno a vapore. Il prodotto è di circa 25 milioni di scatole, per un 

valore di 500.000 lire; oltre che nel Regno il prodotto si esporta in Austria, in Dalmazia 

ed anche in Svizzera. 

Industrie alimentari. 

Macinazione dei Cereali. — La macinazione dei cereali in questa provincia è ese- 
guita in piccoli molini sparsi in 106 Comuni ed impiega in media 660 operai. La 
forza motrice dei 539 molini censiti nella provincia è data da 1017 motori idraulici 
con 1431 cavalli di forza ed uno a vapore con 16 cavalli di forza. I prodotti medii 
macinati furono, secondo le ultime notizie : frumento, quintali 283.644 e i cereali infe- 
riori,. quintali 86.685. In vari Comuni vi sono piccole fabbriche di paste da minestra, 
delle quali la piii importante è nel capoluogo della provincia. 

Esistono inoltre in provincia di Vicenza 63 distillerie dell'alcool dalle vinacce, che 
nell'esercizio 1898-99 diedero 448 ettolitri di spirito; 4 fabbriche di birra (Vicenza e * 
Piovene), che nello stesso periodo diedero 5668 ettolitri di prodotto, traendo per 
materia prima l'orzo ed il luppolo dalla Baviera e dalla Moravia; 10 fabbriche d'acque 
gassose, con un prodotto di 1547 ettolitri; 2 fabbriche di cicoria preparata, con una 
produzione di 221 quintali. 



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Ptovincia di Yicetaza , 213 



IndoBtrìe tessili. 

Industria della Seta. — Quest'antica e nobile industria italiana è ben rappresene 
tata nella provincia di Vicenza, ove la coltura del gelso ed il conseguente allevamento 
dei bachi da seta dà una produzione media di 1.368.190 chilogrammi di bozzoli. L'in- 
dustria delle varie lavorazioni della seta è rappresentata nella provincia da 95 opifici, 
dei quali 85 destinati alla trattura, 5 alla torcitura, uno alla filatura e cardatura dei 
cascami e 4 alla tessitura. Sono impiegati in questi opifici 3800 operai, tra uomini e 
donne. I prodotti ottenuti sono specialmente organzini dal titolo 16 al 24 e le trame 
reali dal 24 al 28. Nel Comune di Zugliano esiste un importante opificio per la car- 
datura e filatura dei cascami di seta -- il primo che sia sórto in Italia — mosso da 
una turbina, sistema Girard, della forza motrice idraulica di 300 cavalli e con 2 caldaie 
a vapore della forza complessiva di 46 cavalli. Il materiale consiste di 17 macchine 
piane per la cardatura e di 6000 fusi. Vi si impiegano 300 operai, di cui 175 donne 
e 125 maschi. Il prodotto ottenuto dalla strusa, dai rifiuti della trattura, dai bozzoli 
sfarfallati è una seta filugello morbida, lucente e netta, assai ricercata sui grandi mercati, 
specialmente in Francia ed in Germania. 

La tessitura della seta, industria nel Vicentino antica e prosperosa, ove erano in 
attività, nel secolo XVIII, oltre 600 telai, è oggi rappresentata da 4 opifici di modeste 
proporzioni con 67 telai, dei quali 43 semplici a mano e 24 alla Jacquard. Lavorano 
in quest'industria 107 operai, di cui 89 donne adulte e 9 sotto i 14 anni. 

Industria della Lana. — Filatura e tessitura. È questa la più antica fra le industrie 
vicentine, serbandosi memorie che la dicono esercitata su vasta scala prima del 1400. 
Attualmente la provincia di Vicenza è la seconda del Regno per l'importanza della pro- 
duzione laniera, non essendo superata che dalla provincia di Novara (circondario di 
Biella). Alcune fabbriche di questa provìncia hanno raggiunto tale sviluppo e perfe- 
zione di produzione che i loro prodotti, oltre alimentare in gran parte i bisogni dei 
mercati nazionali, trovano largo sfogo sui mercati esteri, ove fanno ardita conconenza 
ai prodotti dei migliori centri manifatturieri. 

Il centro principale dell'industria laniera nella provincia di Vicenza è il distretto 
di Schio, ove sonvi i grandiosi impianti del Lanificio Rossi, vale a dire 5 grandi opifìci 
distribuiti nei Comuni di Schio, Torrebelvicino e Piovene. Gli opifici di Schio e Torre- 
belvicino producono le lane scardassate, altri a Piovene le lane pettinate ed uno a 
Torrebelvicino è adibito esclusivamente alla fabbricazione dei panni militari. Per la 
filatura a pettine sono preferite, grazie alla loro robustezza, le lane nostrane, queste 
però entrano solamente in piccola parte nel consumo fatto dalle fabbriche della pro- 
vincia, che si calcola di oltre 1.500.000 chilogrammi di lana all'anno. La maggiore 
quantità si riceve dall'estero e principalmente dall'America, per la via di Genova; 
dall'Australia, per la via di Londra, e dalla Russia. Riassumendo in cifre diremo che 
l'industria della filatura della lana è esercitata in questa provincia nei Comuni di 
Arzignano, Bassano, Carré, Piovene, Sarcedo, Schio, Thiene, Torrebelvicino, Valdagno, 
Zugliano in 19 opifici, con 26 caldaie a vapore della forza di 1095 cavalli e da 25 
motori idraulici della forza di 1694 cavalli, con 71.690 fusi attivi e 2230 operai, tra 
maschi e femmine. 

La tessitura invece è esercitata nei soli Comuni di Piovene, Sarcedo, Schio, Thiene, 
Torrebelvicino, Valdagno in 19 opifici con 1413 telai meccanici, 207 a mano e 475 alla 
Jacquard, con 2604 operai, tra uomini, donne e fanciulli. La forza motrice di questi 
opifici è comune con quelli per la filatura, dei quali sono altrettante sezioni. 

TESsrruRA del Cotone. — Questa industria, nuova per la provincia di Vicenza, fu 
creata recentemente nella città capoluogo, coli' impianto di un grande opificio con 
300 telai. 



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214 Parte Prima — Alte Iteli» 



Industria del Lino e dblla Canapa. — Ad onta della scarsa produzione di queste 
due piante tessili, quest'industria è rappresentata nella provincia da 2 opifici, Tuno 
nel Comune di Dueville e Taltro in quello di Monticello Conte Otto, impieganti una 
forza complessiva idraulica ed a vapore di 88 cavalli, con 9000 foai, 120 telai meccanici 
e circa 300 operai. 

Tintura, Imbianchimento, AppARECcmo e Stampa dei Tnsuri « Filati. — Questa 
importante e complessa industria è esercitata da 11 opifici nei Comuni di Sarcedo, 
Schio, Thiene, Torrebelvicino, Valdagno, impiegando una forza motrice di 46 cavalli- 
vapore, con 218 vasche di tintoria ed impiegando circa 1100 operai. 

Industria Tessile Casalinga. — A quest'industria si dedicano, nelle intermittenze 
dei lavori campestri, i contadini del Vicentino, e diffusi in 114 Comuni della provincia, 
si ebbero denunziati dai sindaci al Ministero d'agricoltura, industria e commercio 2913 
telai, dei quali 17 per tessuti di lana, 120 per tessuti in cotone, 1641 per lino e canapa, 
1105 per materie miste ed altri pochi per lavori speciali. 

Cordami. ~ Quest'industria è esercitata nei Comuni di Monteochio Maggiore, Bas- 
sano e Vicenza in 5 torcitoi, nei quali è adibito un piccolo numero di lavoranti La 
materia prima, stoppa e cascami di canapa, viene generalmente dal Bolognese e dalla 
Bomagna. I prodotti si vendono in luogo, a Venezia, a Genova. 

Industrie diverse. 

Cappelu in Feltro. — Non esistono nel Vicentino fabbriche speciali destinate a 
quest'industria, soltanto alcuni cappellai nei Comuni di Barbarano, Noventa, Thiene, 
Vicenza associano la fabbricazione dei cappelli di feltro ordinari al commercio dei 
cappelli più fini, importati per lo più dal Piemonte e dalla Lombardia» Le folle a 
mano adibite a tale industria sono 15. 

Congerie delle Pelli. — Questa industria è esercitata nei Comuni di Arzignano, 
Bassano, Gallio, Lonigo, Schio, Thiene in 27 opifici a mano, con motori a vapore ed 
idraulici per la forza di 28 cavalli-vapore, con 335 conche o tini di concia e circa 
220 operai. Le pelli greggio si importano generalmente dall'America e dalle Indie; 
i prodotti si smerciano in luogo ed anche nelle vicine Provincie ed all'estero. 

Cartiere e Fabbriche di Pasta di Legno. — Quest'industria, relativamente nuova, 
ha una importante rappresentanza nella provincia di Vicenza, dove è esercitata nei 
Comuni di Arsiero, Cogollo, Dueville, Lugo di Vicenza, Piovene, Pozzoleone, Rossano 
Veneto e Valstagna. Gli opifici più importanti sono quelli d' Arsiero, Cogollo e Piovene. 
Ormai non si fabbrica che carta a macchina con pasta di legno. La preparazione della 
pasta di legno viene eseguita nelle cartiere stesse di Arsiero e di Lugo Vicentino 
ed in un opificio esclusivamente dedicato a tale specialità di Pozzoleone. Le cartiere 
del Vicentino sono 12, con 5 caldaie^ vapore della forza di 225 cavalli e 11 motori 
idraulici per la forza di 828 cavalli In queste fabbriche sonvi altresì 28 tini perla 
produzione di carte speciali a mano. Fra uomini e donne è impiegato in quest'industria 
circa un migliaio d'operai. 

Industrie Tipografiche. — L'arte della stampa ha buone tradizioni nella provincia 
di Vicenza fino dal tempo della Repubblica di Venezia. Attualmente è esercitata in 
19 tipografie e 2 litografie, ripartite nei Comuni di Arzignano, Asiago, Bassano, Lonigo, 
Schio, Thiene, Vald&gno e Vicenza, con 9 macchine tipografiche, 46 torchi a mano e 
circa 158 operai. 

Fabbricazione delle Trecce e dei Cappelli di Paglu. — Quest'industria è eserci- 
tata in quasi tutti i Comuni del distretto di Marostica e nei Comuni di Calvene, Lugo 
di Vicenza, Valrovina, Enego e Lusìana. Generalmente si tratta di un'industria casa- 
linga alla quale si dedicano tutte le donne ed i fanciulli in numero di circa 8000 e, 
nell'inverno, anche gli uomini di quella regione in numero di circa 4000. U lavoro a 



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tHstretto di Vicenza 215 



domicilio ha però solamente per oggetto la fabbricazione delle trecce, le quali sono 
poi in gran parte esportate e vendute a speciali opifici del Comune di Marostica, ove 
vengono imbiancate e colorato e poscia impiegate nella fabbricazione dei cappelli. 
Tali opifici sono circa una ventina ed impiegano 300 operai. 

Segherie da LsaNAME. — Sono 70 opifici, ripartiti in 37 Comuni, che si applicano a 
quest'industria nella provincia di Vicenza, impiegando all'uopo una forza idraulica 
di 45S cavalli dinamici ed occupando 164 operai. Il legname viene dai boschi della 
provincia, ed in parte anche dal vicino Trentino. 

Lavori d'Intaglio e Fabbricazione di Mobiu in Legno. — In quest'industria Vicenza 
ha acquistata una vera celebrità: i suoi prodotti in mobili artistici, cornici, stipi, sedie, 
tavoli nello stile del Rinascimento e barocco, con intagli artistici di ottima fattura, 
sono ricercati anche all'estero, in Germania, in Austria, in Francia, in Inghilterra, in 
Ispagna ed in Russia. Sono circa 200 operai che lavorano in quest' industria. 

Industrie Alpine. — Oggetti in legno. Nei Comuni alpestri è esercitata con un certo 
vantaggio T industria degli oggetti in legno di uso domestico. Quest'industria, nella 
quale lavorano nella stagione invernale, tra uomini, donne e fanciulli, oltre 500 per- 
sone nelle loro case, è anche esercitata più razionalmento in un apposito opificio sórto 
anni addietro in Asiago e nel quale sono impiegati circa 40 operai. La natura dei 
lavori varia a seconda dei luoghi: in Valdagno prevalgono le carriuole, gli arcolai e 
gli oggetti per uso di cucina; in Asiago i recipienti per latto e per caseificio; in Maro- 
stica sedie, zoccoli ed anche rozzi giocattoli. Il valore complessivo di tali lavori è 
valutoto in lire 200.000 all'anno. Questi prodotti si vendono nel Veneto, nell'Emilia 
ed in Romagna. 

Mobili in Legno ritorto. — A Schio, in questi ultimi anni, è sOrta una fobbrica di 
mobili in legno ricurvo a vapore, i prodotti della quale gareggiano con quelli delle 
migliori fabbriche nazionali ed estere. 

Pianoforti, Organetti e simili. — Esistono in Vicenza 2 fabbriche di pianoforti a 
coda e verticali, nonché di organetti a manubrio: la mag^òredi queste fabbriche, che 
data dal 1864, impiega una cinquantina d'operai e produce in media 175 pianoforti 
e 250 organetti. Tali strumenti si esportano anche all'estero. 

Tessuti impermeabili Loden. -— A Schio, negli ultimi anni, si è impiantato un opi- 
ficio per la fabbricazione e confezione di quei tessuti impermeabili e leggeri, detti 
Loden, l'uso dei quali va sempre più geueralizzandosi. Tali tessuti si smerciano in 
pezze od anche in abiti, mantelli, soprabiti, cappotti, ecc., confezionati nell'opificio stesso. 

Organi da Chiesa. — Esistono in provincia di Vicenza 3 fabbriche di organi da 
chiesa o liturgici, stabilito nei Comuni di Vicenza, Cogollo e Comedo. A Vicenza ed 
a Bassano esistono pure 2 fabbriche di corde armoniche assai apprezzate, i prodotti 
delle quali si esportano anche all'estero. 

Oreficerie. — Nella lavorazione dei metalli preziosi sono impiegati in Vicenza 
150 operai ed in Bassano 75. 



L — Distretto di VIGENZA 

Il distretto di Vicenza occupa la parte mediana della provincia ed è il maggiore, 
coprendo una superficie di 518 chilometri quadrati. Esso ha una popolazione, secondo 
il censimento del 10 febbraio 1901, di 110.888 abitanti. Il distretto confina: a nord, 
eoi mandamenti di Thiene, di Schio e di Marostica; ad est, colla provincia di Padova; 
a sud, col distretto di Barbarano; ad ovest, con quelli diLonigo, di Arzìgnano e di 
Valdagno. 



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216 



Parte Prima ^ Alta Italia 



Per gli effetti amministrativi e giudiziari, dopo la legge del 31 laglìo 1892, questo 
distretto è così costituito: 



MANDAMENTI 


COMUNI 


VICENZA 1, U 


Vicenza, Altavilla Vicentina, Arcugnano, Bolzano Vicentino, 
Brendola, Bressanvido, Caìdogno, Camisano Vicentino, Costa- 
bissara, Creazzo, Dueville, Gambugliano, Grisignano di Zocco, 
Grumolo delle Àbbadesse, Isola di Malo, Longare, Montec- 
chio Maggiore, Monteccliio Precalcino, Monlegalda, Monle- 
galdella, Monticello Conte Olio, Quinto Vicentino, Sovìzzo, 
Torri di Quartesolo. 



Il territorio del distretto di Vicenza, fatta eccezione della sua parte occidentale, 
è in buona parte pianeggiante, ma presso la città è dominato a sud da quel pitto- 
resco gruppo di colline che è detto dei Monti Serici o dei Colli Berta', antica 
formazione isolata, d'origine vulcanica, al pari dei non lontani colli Euganei, e geologi- 
camente a£fatto indipendenti dal sistema delle vicine prealpi vicentine. 



MANDAMENTI E COMUNI DEL DISTRETTO DI VICENZA 

APPARTENENTI AL DISTRETTO MILITARE DI VICENZA 



VIGENZA. — Capoluogo del distretto e della provincia, con sede della Prefettura, 
deirintendenza di finanza, del Comando del distretto militare, di un Tribunale civile e 
penale, di un Circolo di Corte d'assise, dipendente dalla Corte d'appello di Venezia, 
di una Direzione provinciale di poste e telegrafi, ecc. È pure capoluogo della diocesi 
di Vicenza, con sede vescovile. 

Popolazione. — Secondo il nuovo censimento la popolazione dell'intiero Comune, 
accertata presente la notte del 10 febbraio 1901, era di 44.777 persone, di cui 25.027 
entro la città. 

BUiANCio Comunale. — H bilancio preventivo per l'anno 1903 del Comune di Vicenza 
offre le seguenti risultanze: 



Attivo 

Entrate ordinarie L. 1.100.809,08 

» straordinarie . . . . i i 54.444 — 

Movimento di capitali .... » 100 — 

Partite di giro e contabUità speciali » 653.929,36 

Differenza attiva dei residui . . » 61.400,40 

Totale L. 1.970.682,84 



Passivo 

Spese obbligatorie ordinarie . . L. 1.009.747,86 

I B straordinarie i 133.773,43 

I facoltative i 127.107,09 

Movimento di capitali . . . . i 56.125,10 

Partite di giro e contabilità speciali i 653.929,36 

Totale L. 1.970.682,84 



Vicenza è ricca di istituzioni benefiche e scolastiche. Fra le prime vanno ricordate : 
il grande Ospedale, gli Orfanotrofi maschile e femminile, la Pia Casa di ricovero» 
rasilo Salvi e il Monte di pietà, nonché dotazioni e lasciti speciali per scopi uma- 
nitari e simili. Fra le altre, oltre il completo assetto air istruzione primaria dato con 
non lieve spesa dal Comune, si hanno in Vicenza scuole ed istituto tecnico, ginnasio 
e liceo governativo, scuola magistrale femminile, collegio-convitto comunale Cordellina, 
scuola industriale ed un Seminario vescovile con corsi liceali. Vicenza, oltre importanti 
librerie private, possiede una rinomata Biblioteca pubblica municipale detta la Ber^ 
toliana, dal suo fondatore, con oltre 100.000 volumi, tra cui incunabuli e codici preziosL 



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Vicenza 217 

A-, . 



Fig. 60. — Vicenza : Basilica Palladiana (da fotografia Poppi). 

LA CITTÀ 

Vicenza siede sulla destra del Bacchiglìone, in pianura, al piede settentrionale 
dei colli Serici, all'altezza di 40 metri sul mare. Essa, fra le città sorelle del Veneto, 
è tìpica per il numero delle sue nobili costruzioni datanti dal secolo migliore del- 
l'arte nostra, il XVI; per il brio, l'animazione delle sue vie; 
per l'attività commerciale ed industriale dei suoi abitanti; 
per l'amenità dei suoi dintorni. 

Ha in pianta forma assai irregolare, per quanto roton- 
deggiante, e le sue vie si possono dire la negazione del 
rettilineo e della simmetria; nondimeno essa lascia al visi- 
tatore la più gradita delle impressioni, l'impressione cioè 
di quanto esce dal comune, dalla normalità metodica ed 
inquadrata, ma prende invece carattere di varietà artistica 
e pittoresca. 

La via principale della città è il corso Principe Umberto, 
che dalla porta Castello va alla piazza Vittorio Emanuele. 
È una bella via, fiancheggiata in qualche tratto da portici, nei quali si aprono le mag- 
giori botteghe della città, con numerosi palazzi, taluno dei quali veramente maestoso, 
monumentale. 

il cuore di Vicenza è la piazza dei Signori, alla quale si giunge per la maggiore 
arteria della città, il corso Principe Umberto. La piazza dei Signori è per Vicenza ciò 
che è per la sua sorella maggiore, ed un tempo signora, la piazza San Marco. La 
varietà tumultuosa, pittoresca, piena di colorito e di movimento del mercato popo- 
lare spicca nelle ore mattutine e assume, per il scenario monumentale della piazza 
dei Signori, una caratteristica curiosa, cui aggiungono grazie le molli inflessioni del 

67 — 1^ Patria» voi. I, parte 2\ 



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Si18 



Parte Prima — Alta Italia 



dialetto veneto, pieno di eleganze e di arguzie goldoniane, nonché la plastica bellezza, 

tante volte ritratta sulle tele del Veronese e del Tiziano, delle popolane. 

La piazza dei Signori è un grande rettangolo, forse non geometricamente, ma 

airocchio, suflBcientemente regolare. Le due fronti maggiori di questa piazza sono date: 

runa, la piii importante, dalla Basi- 
lica Palladiana, che si collega sabito 
coir antica torre dell'Orologio e col 
palazzo della Magistratura, la cui 
facciata dà verso l'attigua piazzetta 
delle Biade; Taltra, dal Monte di 
pietà, edifizio curiosissimo, e dalla 
Loggia del Capitaniate, opera ele- 
gante quanto originale di Andrea 
Palladio. All'estremità della piazza 
dei Signori, sboccante sulla piazzetta 
(Ielle Biade, sorgono, a somiglianza 
di quelle della Piazzetta a Venezia, 
due colonne, portanti, Tuna, il leone 
alato, simbolo della gloriosa Repub- 
blica; Taltra, la statua del Reden- 
tore. Queste due colonne, che danno 
risalto allo sfondo della piazza ed 
in certo modo ne sono il compi- 
mento, furono erette in epoche di- 
verse: la prima, quella pollante il 
leone, data dal 1464; la seconda 
sorse quasi due secoli dopo, nel 1640. 
Oltre della piazza dei Signori vi 
sono in Vicenza altre belle e spaziose 
piazze, fra le quali vanno ricordate: 

quella Vittorio Emanuele, detta deìV Isola, nella parte orientale della città, presso 

il Bacchigliene; la piazza del Duomo, ed altre minori. 

I dintorni immediati di Vicenza, anche prescindendo dal pittoresco monte Berico, 

come il Campo Marzio, le sponde del Bacchigliene, abbellite da una lussureggiante 

vegetazione, offrono lo svago di piacevoli passeggiate. 



FÌ9(. 61. — Vicenza: Scalinata della Basilica Palladiana 
(da fotografìa deirEmilia). 



MONUMENTI ED EDIFIZI 8AGRI E PROFANI 



La Basilica (fig. 60). — In piazza dei Signori 
sorge questo edifizio, che è il maggiore di Vicenza, e 
le cui logge formano uno dei titoli ^iù grandi della 
gloria di Andrea Palladio. Risulta da un inventario 
dei beni comunali del 1265 che fiell'area ove sorge 
ora la Basilica vi fossero due palazzi: il Palntium 
vetus, nel quale si faceva giustizia, ed il Palntium 
comunis, nel quale si riuniva il Consiglio dei quat- 
trocento. Questi palazzi, danneggiati assai da incendi 
avvenuti nel 1290, 1335, 1370, 1374. 1378, erano 
ridotti in pericoloso stato, quindi i Vicentini nel U43 
pensarono di costrurue uno nuovo che comprendesse 
questi due assieme e fosse degno monumento della 
città. Intatti nel 144i si iniziarono le fondazioni del 
grande attuale salone in stile gotico, il quale venne 
ultimato nel 1477. Nel 1481 si cominciò a rivestirlo 



con due ordini di logge pare in istile gotico, le quali, 
ultimate nel 1494, disgraziatamente in parte crollarono 
il 20 aprile 1496. 

I reggitori della città, giustamente preoccupati della 
cosa e della necessità di conservare quelPedifizio al 
quale tante memorie cittadine si collegavano, e soprat- 
tutto le tradizioni libere e gloriose del Comune, chia- 
marono a consulto i maggiori architetti ilei tempo, 
cioè prima il Biccio e lo Spaventa, architetti della 
Repubblica veneta, poi il Sansovino, il Serlio, il San- 
mìr.heli, ed in fme Giulio Pippi o Romano, che viveva 
alla Corte splendidamente artistica di Mantova. Il 
Romano, nei suggerimenti dati alla Signoria di Vicenza, 
avrebbe progettato, con qualche modificazione, la rico- 
struzione delle antiche logge a sostegno del crollante 
edifizio ; ma il progetto né artisticamente né pratica- 



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Vicenza 



219 



mente parve accettabile ai Vicentini, e fu respinto. Ciò 
diede tempo al vicentino Andrea, giovanissimo ancora e 
reduce da Roma, ove il suo concittadino e mecenate 
Giorgio Trìssino (che gli aveva imposto il cognome di 
Palladio, in omairgio alla Dea della sapienza, 
come augurio di felice riuscita), lo aveva con- 
dotto a studiare dal vero le meraviglie del- 
Tarte antica dei Greci e dei Romani, di 
studiare e concretare un progetto, che pre- 
sentò insieme ad un modello, per la ricostru- 
xione delle logge del minacciante edifìzio. 

Le difficoltà che si presentarono al Pal- 
ladio neirassumere la grandiosa opera erano 
infinite, quasi insormontabili, dappoiché, oltre 
tutto quello che riguardava la statica del- 
Tedifiiio pericolante, l'architetto doveva vin- 
cere la difficoltà di combinare la rivestitura 
estema classica colle arcate inteme a sesto 
acuto, le quali non si potevano in alcun modo 
toccare, senza, o determinare il crollo di tutta 
la parte gotica delPedifizio, o cambiarne ad- 
dirittura la fisonomia storica e tradizionale. 

Palladio superò trionfalmente la grave dif- 
ficoltà, facendo sorgere intorno alPnntico, a 
mo* di rivestimento, un nuovo sontuoso edi- 
fizio tutto a loggiati e colonne in istile clas- 
sico, purissimo del Rinascimento, di singolare 
magnificenza nelF insieme ed in perfetta ri- 
spondenza colle arcate inteme e l'antica 
ossatura del palazzo. 

In tal modo il salone della Basilica, costmìto 
sullo stile archiacuto dal UH al 14%. lungo 
metri 52, largo 21 ed alto dalla sommità del 
coperto al suolo metri 34, non fu tocco. Le 
sue mirabili finestre archiacute restarono 
aperte e presero luce nella superba loggia 
che il Palladio seppe creargli intomo, e fra 
il corpo estemo e T interno è una fusione 
completa, si armonica e perfetta, da sollevare 
al più alto grado di ammirazione chi sa osservarlo, 
studiarlo, comprenderlo. 

I lavori per il cominciamento della Basilica comin- 
ciarono nel 1549 e non furono compiuti se non nel 
1614; però il Palladio, prima di morire, ebbe la sod- 
disfazione di vederne compiuta la parte maggiore e 
scoperta la meravigliosa facciata in piazza dei Signori. 

Come si è detto, la mole della Basilica — che a 
buon diritto ora è chiamati Palladiana — è rettangolo- 
quadrangolare : il corpo di mezzo, più antico, è for- 
mato da una serie di antichissime costrazioni in parte 
sistemate e rivestite, sulle quali si innalza la gran sala, 
il cui coperto è formato da un magnifico soffitto in 
legno arcuato a carena di nave, protetto alPesterno da 
una copertura di piombo. Magnifiche le grandi finestre 
a sesto acuto, del secolo XIII, che s'aprono sul grande 
loggiato superiore del Palladio. 

II rivestimento ideato dal Palladio per rantico edì- 
fizio medioevale consta di due ordini : dorico l'infe- 
riore e jonico il superiore. Il dorico fu saggiamente 
compartito, in guisa che al mezzo dei pilastri interni 



corrisponde il mezzo dei pilastri dei portici che sono 
di uguale mole, donde la eurìtmica fusione delle due 
parli dell'edifizio, che tanto onore fa all'abilità dell'ar- 
chitetto. Lo spazio da un pilastro all'altro resta diviso 



Fig. 62. — Vicenza : Facciata del Duomo 
(da fotografia deirEmilia); 

da tre vani, mentre in distanza alFincirca di due dia- 
metri di colonna da ogni pilastro è collocata una co- 
lonna formante semplice intercolunnio, ufficio della 
quale è di sostenere l'arco del portico, cui per maggior 
robustezza altra simile è allato, ogni colonna avendo 
il suo contropilastro. Dalla fronte poi d'ogni pilastro 
maggiore risale una mezza colonna di diametro mag- 
giore, la cui ricca trabeazione ed attributo dell'ordine 
formano il piano su cui s'erge, con identico sistema, 
ma con tutte le raffinatezze portate dall'ordine jonico, 
il loggiato superiore. Al loggiato sovrasta un attico 
ricchissimo a balaustre e statue, le quali nel maggior 
numero sono dovute al trentino Alessandro Vittoria 
ed altre al Grazioli detto YAlbanese. 

La solidità ed imponenza data dal Palladio a questo 
magnifico edifizio è dovuta anche alla pietra o marmo 
durissimo di Piovene col quale fu costruito e la grande 
cura con cui ne furono collegati i pezzi, si da farlo 
sembrare come tratto da uà blocco solo. 

Notevole all' intemo il grande salone coi venti- 
quattro suoi finestroni oblunghi ed i circolari al fronte 



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g^O P^i'te Prima — Alta Italia 



Fic. fì.S. — Vicenza : Porta principale del Duomo (da folografia deirEmilia). 



Fig. 64. — Vicenza : Veduta generale del Duonno (da fotografìa deirEmilia). 



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Vicenza • 221 



Fìr. 65. — Vicenza : Porta della chiesa di San Lorenzo (da fotognifin deirEmilia). 



Fig. 66. — Vicenza : Chiesa di San Lorenzo (da fotografia dell'Emilia). 



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Par^ Prima — Alta Italia 



Fig. 67. — Vicenza : Qiieaa di Santa Corona (da fotografia deirEmilia). 



superiore^ e la imponente scalinata, ricordante un poco 
quella del Bargello a Firenze (fìg. 61). 

Questo edifizio, già denominato Palano della Ra- 
gione, venne chiamato dal Palladio Basilica in omaggio 
alle idee artistiche del suo tempo. 

Il Duomo (fig. 62-6Ì). — Le tradizioni della Chiesa 
vicentina sono antichissime. 11 Cristianesimo fu intro- 
dotto in questa regione fin dal secondo o terzo secolo, 
traendo alimento da quel centro irradiatore della fede 
noveUa ch'era la non lontana chiesa di Aquileja. Come 
tutti i Cristiani dei primi tempi, i Vicentini ebbero le loro 
chiese fuori delle mura della città, nei tempi in cui il 
Cristianesimo era o perseguitalo o malamente tollerato. 
Solo dopo reditto Costantiniano, che riconosceva e 
permetteva la nuova fede, cominciarono a costrurre 
chiese entro le mura della città. Delle prime fu cer* 
tamente quella mdicata ad essere sede del presule, 
ed il luogo scelto fu la località centrale nella quale ora 
sorge l'attuale cattedrale vicentina, non liAgi dal centro 
virtuale della città, la piazza dei Signori e la Basilica. 
La primitiva fabbrica è scomparsa, chissà per quali e 
quante vicende, dando luogo a successiva ricostruzione. 
Ùedifizio attuale fu cominciato nel principio del se- 
colo XIII e consacrato nel 1235 dal vescovo Pietro, 
dedicandolo airAnnuncinzione di Maria Vergine. Cosi 
almeno aflerma Battista Pagliarini nella sua Cronaca 
di Vicenza. È una fabbrica ampia, massiccia, nello 
stile gotico-lombardo del tempo, ad una sola, ardita 
ed ampia navata, fiancheggiata da cappelle. Il pre- 
sbiterio, rialzato dal piano della navata ed al quale 



si accede mediante un'ampia e maestosa gradinata in 
marmo, è di costruzione più recente, del Rinasci- 
meiito, e gli sovrasta una cupola grandiosa a calotta 
ricoperta in piombo, voltata, dicesi — ma senza che 
se ne abbiano prove convincenti — da Giulio Romano, 
mentre si sa invece che vi lavorava un Giuseppe di 
Lanzo e dei Della Porta di Porlezza. Sotto il presbi- 
terio, santuario, è la cripta alla quale si discende 
per due scale laterali alla maggiore. È sostenuta da 
massicce colonne in pietra e da torri arcate. Forse è 
avanzo della costruzione anteriore. 

Nel Duomo di Vicenza si conservano molti dipinti 
di pregio, dovuti al Montagna (1502), al vicentino 
Maganza, al Pasqualotto, al Loth, al Carboncini, al 
Mafiei, ai Palma, al Liberi e ad altri di minor rino- 
manza che operarono tra il secolo XVI ed il XVIII. Vi 
sono pure scollure del Vittoria, dell'Albanese e d'altri, 
e pietre tombali ricordanti prelati e patrizi insigni. 
Nella fiancata che dà sulla via Garibaldi si osserva 
un'arca dove era il corpo del Beato Giovanni de Sordi 
detto Caccia fronte, vescovo di Vicenza, assassinato 
nel 1181. Di fianco al Duomo, dall'altra parte della 
via, sorge la torre delle campane, costruzione massiccia 
del secolo Xll. 

San Lorenzo (fìg. 66). — Questa chiesa soi^e nella 
via omonima, rimpetto alla sede della Banca d'Italia. 
Fu eretta dai Francescani nel 1280. È una delle più 
belle e ragguardevoli chiese di Vicenza. Ha forma di 
croce latina, a tre navate. La facdata è la parte migliore 
dell'edifizio, veramente bella e caratteristica, coll'ulto 



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Vicenza 



Fig. 68. 

Vicenza (Chiesa di S. Corona): Altare del Rosario 

(da fotografia deirEmilia). 



Fig. 69. 

Vicenza: Porla dell'Oratorio di San Marcello 

(da fotografia deirEmilin). 



suo limpano sormontato nella cimasa «la cinque aper- 
ture ovalarì e nel centro da una finestra a rosone. Nel 
piano inferiore è scompartita in sette arcate acute, rette 
da lunghe colonne ; nel centro si incastra mu^nifìco il 
portale, pure a sesto acuto, ornato da cotonnette, mo- 
danature, cordoni finamente scolpiti (fig. 65), si da 
formare un vero modello del genere, un prezioso saggio 
architettonico e decorativo deirarle nostra nello scorcio 
dei secolo XIII. Impostate nelle arcate laterali sonvi, 
due per parte, delle arche sepolcrali sormontate da 
ombracolo gotico, sorrette da colonnette in marmo. 
Dopo il Duomo, è per ampiezza il m.iggiore fra gli edi- 
fizi sacri della città; per pregi architettonici, se non 
migliore, certo non è superato da altri. 

Neirìnterno vi si notano buoni dipinti del Mngnnza, 
del Maflei, del Loth e d'altri, e scolture dclKAIbunese. 
In San Lorenzo vi sono i monumenti sepolcrali di Vin- 
cenzo Scamozzi col busto deirinsigne architetto, di 
Bartolomeo Montagna pittore, di Giorgio Trissino, di 
Ippolito e Leonardo da Porto, e di Aloisa Valle. 

Santa Corona (fig. 67). — Questo edifìzio sorge 
all'estremità orientale del corso Principe Umberto, e 
fìi eretto intomo al 1^60 per custodirvi una spina della 
corona di Cristo, che Luigi IX re di Francia avrebbe 



regalato al beato Bartolommeo di Breganze vescovo dì 
Vicenza, frate domenicano. Questa chiesa appartenne ai 
Domenicani, che vi avevano unnesso il loro convento. È 
nello stile gotico-lombardo, caratteristico nelle costru- 
zioni italiane di quel perìodo, e così diverso dal gotico- 
tedesco sincrono. Li facciata semplicissima ha però 
tutta la eleganza di linee propria a quello stile. Nel- 
rintemo è a tre navate; nelle laterali si aprono nove 
cappelle, delle quali ricchissima è quella dedicata al 
Rosario (fig. 68), ornata da un glande arco con statue 
e decorazioni in marmo di Carrara finamente lavorate 
dall'Albanese. Il santuario ed il coro sono in istile del 
Rinascimento voltati ad arco romano. Sotto havvi una 
cripta, alla quale si discende per due scale laterali. 

In Santa Corona vi si conservano dipinti pregevoli 
di secentisti veneti, fra i quali spiccamo come perle 
una pala di Leandro Rassnno, cinquecentista valo- 
roso, la meravigliosa Santa Maria Maddalena del 
Montagna, VAdorazione dei Mmji di Paolo Vero- 
nese, il famoso Battesimo del Giambellino, la vecchia 
Madonna della Stella clic si crede di Filippo Loiighi 
di Ravenna, ecc. 

NelPatrio furono murate antiche lapidi sepolcrali che 
erano in chiesa e altrove. 



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Parie Prima — Alta Italia 



Fig. 70. — Vicenza : Antico palazzo 
del Comune e Torre Maggiore 
(da fotografia deirEmilia). 



Fig. 7d. 

Vicenza : Residenza del Municipio o palazzo Prefettizio 

(da fotografia dell'Emilia). 



ul 1176. Fu più volte restaurata e riedificata. L*ar- 
chitettura di questa chiesa risente naturalmente dì 
tutti i difetti del barocco, rigonfio e degenerato, in 
voga nel tempo in cui venne riedificata. Vi sì conser- 
vano buoni dipinti del seicento ed una (ira le migliori 
tele di Palma il Vecchio. 



In questa chiesa fu sepolto Andrea Palladio; ma 
circa do anni or sono la sua tomba fu rimossa e tras- 
portata nel tempietto eh' è al centro del Cimitero, 
opera lodata deirarchitetto Fabris. 

Santo Stefano. — Nella via omonima. É chiesa 
assai antica, le prime memorie della quale risalgono 

Altre chiese di Vicenza, che per ragioni architettoniche od altri ineriti artistici 
debbono ricordarsi, sono: Santa Maria dei Servi, in piazza delle Biade, riedificata nel 
secolo XV; — l'Oratorio detto del Gonfalone, eretto nel 1596 per romonima Confra- 
ternita, con pregevoli scolture del Vittoria, pregevoli dipinti del Maganza, stucchi e 
fregi del Vittoria medesimo, nonché di Andrea Vicentino; — TOratorio di S. Marcello, 
datante dal 1186, ma rifatto nel secolo XVI. Nell'ultimo rifacimento barocco furono, 
intomo alle porte e nella facciata, conservate le scolture del Rinascimento che prima 
Tornavano (fig. 69) ; — Santa Croce, con dipinti di Jacopo Da Ponte e di Carlo figlio 
di Paolo Veronese, imitatore, in quanto possibile, del padre; — San Rocco, con una 
pregevole Madonna del Buon Consiglio ; — San Vincenzo, in istile del Rinascimento, 
guasta da superfetazioni barocche; — la chiesa di Santa Maria Nova; — la chiesa del- 
YAracoeli; — quella della Misericordia, ed altre minori, che nulla d'interessante offrono 
all'artista ed al visitatore. 



Antico palazzo del Comune (fìg. 70). — Questo 
edifizio, congiunto alla Basilica, è Tantico puhizzo del 
Pretorio, nel quale, al tempo della dominazione veneta, 



risiedeva il pode^lù. Fu visibilmente eretto nclsec.XUI, 
poiché tutta la sua ossatura interna rispecchia la 
maniera dell'architettura civile di quel periodo, e le 



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Vicenza 



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Fig. 72. — Vicenza : Teatro Olimpico (da fotof^rafia deirEmilia). 



arcate a sesto acuto non lasciano dubbio. Due sono le 
facciate di questo edifizio : Tuna, più antica, congiunta 
alla Torre deirOrologio sulla piazza dei Signori, ria- 
dattamento non troppo riescito dell'antica facciata; 
Taitra, vòlta ad oriente sulla piazza delle Biade, dovuta 
a Vincenzo Scamozzi, e, nella sua semplice eleganza, 
degna veramente delle seste di questo valentissimo 
architetto. Essa consta di un pianterreno con un por- 
tico ad archi sorretti da massicci pilastri in pietra 
bugnata, lavorati con lodevole simmetria; i piani 
superiori hanno le finestre semplicemente ornate, ma 
di belle proporzioni. 

Torre Maggiore (fig. 70) detta anche deirOrofó^to. 
— Sorge in piazza dei Signori tra la Basilica ed il palazzo 
del Pretorio o Comunale. È antichissima, sottile, 
slanciata. Le finestre del recinto campanario sono 
bifore ed archiacute; sopra questo recinto si alza il 
pinacolo ottagonale terminante in cupolino. L'altezza 
della torre, misurata dalla base alla estremità della 
freccia, è di 82 metri. Di là si gode un bellissimo 
panorama sulla circostante regione. 

Residenza del Municipio o palazzo Prefet- 
tizio (fig. 71). — Cosiddetto perchè al tempo della 
dominazione veneta vi avevano stanza i rettori di 
Venezia, sorge sulla piazza dei Signori di fronte quasi 
alla BasiHca, ed ha due facciate : Tuna sulla piazza me- 

68 — 1^ Patria, voi. I, parte 2*. 



desima e Taltra in angolo sulla contigua via del Monte. 
Sebbene in molte parti deteriorato, questo edifizio è 
architettonicamente uno dei più pregevoli di Vicenza, 
ed è per voce universale degno del Palladio, che lo 
eresse nel 1576, come si legge nella iscrizione posta 
di fianco alla loggia. Il prospetto maggiore, sulla 
piazza, è compartito da tre archi fra pilastri, su cui 
sono appoggiate delle mezze colonne composite innal- 
zate sopra uno zoccolo, le quali giungono fino all'at- 
tico; questo ha i suoi pilastrini corrispondenti alle 
colonne, mentre sopra agli archi corre una cornicp 
architravata che compie il primo piano della fabbrica. 
Corrispondono nel mezzo degli archi tre finestre con 
parapetti. La facciata minore consta di un arco solo, 
frammezzo a colonne composite, binate, aprentisi sulla 
loggetta. 

Notevoli sono le decorazioni di questo edifizio, in 
bassorilievi di buono scalpello, alludenti alla allora 
clamorosa e recente vittoria di Lepanto, per la quale 
a Venezia era ritornato l'antico primato sui mari 4i 
Oriente. 

Sotto l'atrio, recentemente restaurato, i Vicentini 
posero un monumento al compianto senatore Seba- 
stiano Tecchio, già presidente del Senato e, nel pe- 
riodo del risorgimento patrio, operoso ed ardente pro^ 
pugnatore e soldato del patrio riscatto. 



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Parte Prima — Alta Italia 



Fig. 73. — Vicenza : Palazzo Chiericati, ora Museo Civico (da fotografia deirEmilia). 



Monte di Pietà. — Questo edifìzio, che nella 
piiizza dei Signori stadi fronte alla Basilica, è dopo quella 
il monumento più insigne della piazza medesima. Ha 
due facciate : Tuna, verso la piazza ed il palazzo Pre- 
torio; Taltra, di fronte al palazzo Prefettizio. Ne fu 
cominciata la costruzione sul finire del secolo XV e fu 
condotto a termine nel 1620 dalParchitetto Giam- 
battista Albanese. La facciata, verso piazza, di questo 
singolare edifizio risente nei suoi particolari del gusto 
dei vari periodi nei quali fu compiuta. Ma osservata 
nel complesso, per quanto le possa nuocere il con- 
fronto deir insuperabile rivale, Tattica, maestosa Ba- 
silica, questo edifizio ha un aspetto grandioso, impo- 
nente, specie per il traforo, gli ornati, il disegno tutto 
del suo corpo centrale. L'altra facciata è nello stile 
barocco del secolo scorso. 

Palazzo Vescovile. — Questo edifìzio sorge sulla 
piazza di fianco al Duomo, e fu costrutto in varie ri- 
prese ad epoche difierenti, ed occupa una vasta area. 
La parte più antica è quella sulla sinistra della facciata, 
nella quale si sente tutta l'influenza dell'arte gotica 
del secolo XIIL 

Pregevole è il loggiato o porticato intemo del cor- 
tile, fatto costrurre dal fastosissimo cardinale Zeno, 
vescovo di Vicenza nel 1494, insieme ni lato setten- 
trionale del palazzo. Questo loggiato interno, nel quale 
spira ancora in tutta la suo fragranza l'arte giovane e 
pura del Rinascimento, fu attribuito al Formenton, 
1 autore della mirabile loggia di Brescia, con cui ha 
qualche punto di riscontro, e per opera del Formenton 
è ancora dai più ritenuto. Ma un documento pub- 
blicato dall'erudito Magrini sfata la leggenda, ed 
accerta che autore del bell'edifizio fu il maestro Ber- 
nardino da Milano, che in quel torno operava altre 
cose in Vicenza, tra le quali lo scalone di vaga forma 



in stile del Rinascimento, che ancora si vede nel lato 
settentrionale della Basilica verso la piazza, e religio- 
samente conservato con sentimento d'artista dal Pal- 
ladio. Cotesto Bernardino, maestro architetto e lapi- 
cida, si faceva chiamare da Milano, ma efiettivamente 
era di Bissone; ma allora questo paese, come tutto 
il bacino del Iago di Lugano, faceva parte dello Stato 
di Milano. 

Nulla di rilevante, oltre questa loggia e la facciata, 
nel palazzo Vescovile vicentino. 

Teatro Olimpico (fig. 7^). — Il singolarissimo 
edilizio, che ha fama mondiale come modello di archi- 
tettura attica, si trova in una parte remota della città, 
non lungi dnlln piazza Vittorio Emanuele. È l'ultimo 
lavoro del quale il Palladio volle arricchire la sua città 
natale e prediletta, ed è una delle più geniali manife- 
stazioni dell'arte di questo sommo, che molti copiarono, 
alcuni emularono, ma che nessuno forse nel suo tempo 
superò nel gusto, nella eleganza, nel sapore veramente 
classico delle sue creazioni.- 

Se nella ricostruzione della Basilica Palladio si è 
elevato alle concezioni michelangiolesche, nei disegni 
del teatro Olimpico mutò la sesta in un cesello degno 
di Benvenuto Cellini. 

Destinato alle rappresentazioni teatrali dell'Acca- 
demia Olimpica — della quale il Palladio fu anche 
uno dei membri fondatori — l'architetto si inspirò per 
questo suo lavoro alle più belle tradizioni dell'arte 
greco-romana divinante le meraviglie dei sepolti teatri 
di Taormina e di Ercolano. 

La sala o platea è un semicerchio ad alte gradinate 
sulle quali si disponevano gli spettatori. La scena è 
al basso, divisa dall'emiciclo del pubblico da una fossa 
profonda un metro e mezzo, nella quale prendevano 
posto i musici aflìue di non disturbare, coi loro 



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Vicenza 



227 



stnimentì accoro pagnanti Fazione, Inattenzione del 
pubblico e degli attori. 

La scena, che è fissa e tutta in legno, adorna di 
stucchi e scolture, rappresenta un sontuoso palazzo 
di stile classico purissimo a tre arcate, dalle quali si 
aprono in mirabile prospettiva tre vie, queste pure 
colle case in legno scolpito, adorne di statue, per le 
quali vie gli attori hanno agio di venire ed entrare a 
piacimento, secondo le esigenze della rappresenta- 
zione. La prospettiva della maggiore di queste tre 
strade chiudentesi con un arco trionfale — essendo 
nel frattempo morto il Palladio ~ fu disegnata, sulle 
indicazioni dal maestro lasciate, da Vincenzo Scamozzi, 
succeduto nella direzione del lavoro. 

Ma ciò che reca maggior meraviglia in questo pic- 
colo capolavoro, è il prospetto della scena, sia per la 
correttezza delle linee, sia per l'armonia delPinsieme, 
la ricchezza, la varietà, Teleganza squisita degli ornati. 
Novantacinque statue ornano, senza opprimerla, la 
fronte di questo ammirabile lavoro, e raffigurano, ol- 
treché personaggi della commedia e della tragedia 
antica, i fondatori deirAccademia Olimpica. Molte di 
queste statue furono modellate dal Vittoria. L'atrio e 
le sale attigue furono disegnale dallo Scamozzi; gli 
affreschi, alquanto deperiti, sono del Caneva. Il velario, 
in legno, è opera moderna. 

In questo teatro si tengono conferenze e concerti 
diurni. Con grande precauzione, essendo tutto in legno 
ed assai vecchio, lo si può anche illuminare. Chi potè 
vederlo di sera illuminalo, assevera che l'illusione delle 
prospettive e del palazzo facente da scena è meravigliosa. 

In questo teatro furono rappresentate le antiche 
tragedie e commedie greche e romane, le tragedie del 
Trissino, le commedie di Macchiavelli, di Aretino, del 
Bibbiena e di altri cinquecentisti Nel 1847 Gustavo 
Modena rappresentò su queste scene Y Edipo re, tra- 
gedia nella quale Ernesto Rossi, quasi debuttante, 
faceva Fumile parte di Nunzio. 

Palazzo Chiericati, ora Museo Civico (fig. 73). 
— Questo edifizio, formante il decoro della piazza Vit- 
torio Emanuele, è opera stupenda e grandiosa di Andrea 
Palladio, un modello di perfezione architettonica e di 
gusto artistico. Fu cominciato sotto la vigilanza diretta 
del grande artista nel 1550; ma per la lentezza colla 
quale allora procedevano sidatte opere, egli non potè 
vederne il compimento, e chi ebbe incarico di condurlo 
a termine non si peritò di introdurre nei disegni va- 
rianti che, per quanto di poca entità, pure nuociono 
alla perfezione dell'opera palladiana, considerala com'è 
questa fra le massime del grande artista. Nobilissima 
è la fronte dciredifizio, constante di due piani, a due 
intercolunni o logge, dorico l'inferiore e jonico il su- 
periore — gli ordnii specialmente diletti al Palladio. 
La porta centrale, con bellissimo motivo architettonico, 
sopravvanza dalle due laterali, e si presenta nelle 
finestre e nelle decorazioni più fastosa delle altre. 
Nulla di più annonico ed imponente, nella sua semplice 
eleganza, di questo edifizio, che sarà mai sempre am- 
mirato nel genere, anche per la lodevole e comoda 
concezione della sua pianta e distribuzione dei locali 



interni. Gli antichi proprìetari, conti Chiericati, aven- 
dolo lasciato in deplorevole incuria, il Comune di Vi- 
cenza, a preservarlo da maggiori danni, con provvido 
consiglio lo comperò nel 1838, e nel 1854 diede mano, 
con non lieve dispendio, ad un accurato restauro, 



Fig. 74. 

Vicenza : Monumento ad Andrea Palladio 

(da fotografia). 

rispettando in esso tutte le ragioni dell'arte, per allo- 
garvi poscia la suppellettile di antichità ed artistica 
di sua proprietà, colla quale creò il Museo cittadino. 
È questa una raccolta abbastanza interessante e con- 
tiene pezzi di vero pregio, fra cui ricordiamo : le rac- 
colte scientifiche della fauna e della flora regionale, 
delle epoche preistoriche della pietra, del bronzo e del 
ferro ; le antichità romane della provincia, cogli avanzi 
del teatro romano di Berga ; poi terrecotte, monete, 
armi, oggetti svariati d'ogni epoca, dalla romana alla 
bisantina, dalla medioevale al Rinascimento. Interes- 
sante è eziandio la Pinacoteca, con quadri pregevoli di 
Jacopo da Ponte Bassanese, di Girolamo del Toso, di 
Luca Giordano, del Tintoretto, di Vincenzo Catena, 
di Van Dyck, di Paolo Veronese, di Cima da Cone- 
gliano, del Francia, di Bernardino Luino, di Giovanni 
Bellini, di Bernardino da Murano, di Battista da Vi- 
cenza, del Carpaccio, di Gentile Bellini, del Buoncon- 
siglio, del Fogolino, dello Speranza, del Palmezzano e 
d'altri fra i buoni maestri della scuola veneta. Note- 
voli sono pure le raccolte di fossili rinvenuti nella 
regione vicentina e nelle marne del monte Bolca. 



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Parte Prima — Alta Italia 



Fig. 75. — Vicenza: Porla del palazzo già Thieno, 
ora della Banca Popolare (da fot. deirEmilla). 



Fip. 76. — Vicenza: Porta del palazzo Da Porto 
(da fotografìa deirEmilia). 



Teatri. — Oltre aWOlimpico, considerato come 
un monumento nazionale, Vicenza possiede due teatri: 
YErelenio ed il Polileama. Il primo, che è conside- 
rato come il teatro aristocratico della città, fu costruito 
nel 1784, ed è, se non molto vasto, elegante ed assai 
armonico. Vi si danno di preferenza spettacoli d'opera, 
ed è aperto generalmente alPinverno e talvolta anche 
nella stagione detta di fiera. 

Più moderno, alla mano ed economico, ma non 
privo di comodità, è il Politeama, sorgente in Campo 
Marzio, non lungi dalla Stazione, e quasi sempre 
aperto a spettacoli di commedia, d'operette, equestri 
e talvolta anche d'opera. 

Il Campo Marzio è poi il ritrovo cittadino predi- 
letto nella buona stagione; quivi, oltre del Politeama, 
del Ca/fé Turco, di birrarie, non mancano mai tratte- 
nimenti popolari, bande musicali, ed in date stagioni 



anche corse di cavalli, concorsi ippici, velocipedistici, 
ginnastici e consimili trattenimenti sportivi. 

Monumenti. — Vicenza ha onorato coti monu- 
menti speciali Andrea Palladio, Vittorio Emanuele e 
Giuseppe Garibaldi. Al primo fu eretta nel 1856, di 
fianco alla Basilica, a spese di Francesco Bressan, una 
statua bellissima, dovuta allo scultore Vincenzo Gajassi 
di Boma (fìg. 74) ; al secondo, nel 1880, si eresse un 
monument'/iiella piazza che ne porta il nome, opera dello 
scultore Benvenuti. Il monumento a Garibaldi, inau- 
gurato negli ultimi anni presso porta Castello, è opera 
lodatissima di Ettore Ferrari, romano. 

Cimitero. — Il Camposanto di Vicenza fu comin- 
ciato nel 1818 sui dise^rni dell'architetto Malacarne. 
Vi si notano pregevoli monumenti, fra i quali il tem- 
pietto palladiano, disegnato dal Fabris, nel quale furono 
collocate le spoglie mortali del grande artista. 



EDIFIZI PRIVATI 

Vicenza, dove nacquero, vissero a lungo ed operarono artisti insigni, quali il Pal- 
ladio e lo Scamozzi o il Vittoria e TAlbanese, è ricca di edifizi privati di grande valore 
artistico, tanto che taluno potè dirla con diritto la scuola pratica del buon gusto 
architettonico. 



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vicenda 229 



Fig. 77. — Vicenza : Palazzo Valmarana (da fotografia dell'Emilia). 



Fig. 78 — Vicenza : Palazzo Porto-Barbara n (da fotograHa dell'Emilia). 



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230 P2iVie Prima — Alta Italia 



Fig. 79. — Vicenza : Cortile del palazzo Porto, ora Colleoni (da fotografia delPEmilia). 

Fra gli edifizi privati lasciati dal Palladio in Vicenza ricordiamo: il palazzo Thiene, 
rimasto disgraziatamente incompiuto, ma che per eleganza e grandiosità di stile, nella 

parte finita, può competere col già de- 
scritto palazzo Chiericati, ora Museo 
Civico; fu cominciato nel 1557, ed è 
notevole il portone in ferro, stile del 
Rinascimento (fig. 75); — il palazzo Da 
' Porto, eretto nel 1572, sovraccarico di 

decorazioni, forse dai continuatori del 
Palladio, ma tuttavia grandioso, impo- 
nente, principesco, tanto che fu sempre 
prescelto ad alloggio di personaggi im- 
periali, reali e ducali nel loro passaggio 
per Vicenza, pur esso dotato di una ma- 
gnifica porta (fig. 76) ; — il palazzo Val- 
<- marana, disegnato dal Palladio nel 1566, 
annoverato fra le opere classiche del 
grande artista, del quale è pure notevole 
l'elegante loggia nel giardino (fig. 77); 
— il palazzo Porto-Barbaran, rimasto 
incompiuto nell'ala sinistra di chi os- 
serva, ma nella parte compiuta in tutto 
degno dell'autore (fig. 78). 

Dello Scamozzi si addita principal- 

Fig. 80 - Vicenza : Battente della porta del palazzo , ^^^^j^ g^, ^ 

Loschi, ora Zilen Dal Verme (da fot. dell Emilia). ,." . ^ ,^ • • i j i 

' ^ edifizio per molte ragioni lodevole, 

ma assai ben lontano dall'avere quella classica e geniale eleganza che pare impronU 
caratteristica delle opere palladiane. 



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Vicenza 231 



Pìg. 81. — Vicenza : Palazzo Bonin, già Thiene (da fotografia dell'Emilia). 

Altri edifizi pregevoli per molti aspetti, perchè sentono T influenza grandissima 
esercitata in Vicenza dall'arte del Palladio e dello Scamozzi, ma gli autori dei quali 
non furono accertati, sono il palazzo Trissino dal Vello d'Oro; il palazzo Franceschini, 
ora Folco; il palazzo Thiene a Santo Stefano; quello dei Thiene. sul Corso, coi dipinti 
di Gio. Battista del Moro Veronese, di soggetto mitologico; e quel singolare edifizio 
incompiuto che si vede entrando in Vicenza dalla stazione ferroviaria, poco lungi da 
piazza Castello, detto della Posta Vecchia. 

. Air infuori dell'arte palladiana, della quale lo Scamozzi, l'Albanese ed altri che edi- 
ficarono in Vicenza tra il secolo XVI ed il XVIII non furono che continuatori ed 
imitatori, vi sono in Vicenza altri ragguardevoli edifizi, meritevoli d'essere ricordati. 
Citiamo, ad esempio, il palazzo Porto, che dalle meravigliose finestre a sesto acuto 
traforate, che si direbbe portato qui dal Canal Grande di Venezia; — il palazzo Col- 
leoni, con l'impronta severa dell'architettura neo-gotico-lombarda del secolo XIV ed 
un grandioso, pittoresco cortile (fig. 79) ; — il palazzo Fiorasi, con un balcone d'ottimo 
stile gotico; — il palazzo Negri, in istile lombardo del secolo XV, ristaurato con 
diligenza nella metà del secolo scorso; — il palazzo dei Conti da Schio, pur esso 
arieggiante le belle costruzioni neo-gotiche del Canal Grande a Venezia, adomo di 
un magnifico portone (fig. 82 e 83); — la vecchia, severa casa gotica Perecini, venutaci 
pressoché intatta dalla seconda metà del secolo XIV (fig. 85), ecc. 

IL MONTE BEBICO 

A sud di Vicenza si alza il blocco principale di quella serie di piccoli colli che è 
conosciuta col nome di Colli Serici, ì quali altro non erano un tempo se non un 
vulcano isolato nel gran golfo o fiord Adriatico, che nessun legame, nessun rapporto 



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232 Pa^te VrìrtìA — Alta Italia 



Fig. 82. — Vicenza : La Cà d*Oro, ora palazzo Da Schio (da fotografia deirEmìlia). 

geologico aveva colle non lontane prealpi. Oggi il monte Borico, com'è detto dai 
Vicentini, è una delle più amene regioni che si possano immaginare, coltivata a 
vigneti, a frutteti, a orti, a giardini ubertosissimi ; tempestata di ville e di palazzine, 
e dominata dal santuario della Madonna del Monte (123 m. sul mare), al quale si 
accede per un lungo porticato a rampe ed a cappelletto, più breve ma non dissimile 
da quello che da una porta di Bologna sale al monte della Guardia. 

Nel 1405, infierendo in Vicenza e nel Veneto tutto una terribile pestilenza, si diffuse 
la voce che la Vergine era apparsa sul monte Borico ad una buona donna di nome 
Vicenza, annunziandole prossima la fine del contagio purché in quel luogo fosse eretto 
un tempio. I rettori o deputati della città non esitarono a dar fede alla leggenda ed 
il tempio fu votato e si diede subito mano alla costruzione, che riesci peraltro di 
modeste proporzioni ed in istile gotico. Ma la fama del miracolo e di altri prodigi 
compiuti dalla Madonna del Monte essendosi diffusa, oltre che nel Veneto, in altre 
parti d'Italia ed all'estero, cominciarono i pellegrinaggi di popolo e di personaggi 
cospicui, le offerte ed i ricchi doni, del che trassero profitto i Padri Serviti che offi^ 
davano il tempio per meditarne la costruzione di uno più grandioso, sontuoso. E cosi 
fu. Nel 1578 fu dato incarico al Palladio di studiare il disegno e cominciare i lavori 
La nuova fabbrica fu da lui ideata in forma di croce greca — in modo però da incor- 
porarvi anche la parte maggiore o santuario* del primitivo tempio gotico — con una 
grande ed ardita cupola (fig. 86). Nel 1668 fu, ad opera del Borella, inflitto a questo 
tempio un rifacimento di gusto barocco, che gli tolse relegante semplicità dei particolari 
colla quale il Palladio lo aveva immaginato, e lo appesanti col sovraccarico di una 
fastosa quanto inutile ornamentazione, e di statue dovute in gran parte ad Orazio 



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Vicenza ^33 



Fig. 83. — Vicenza : Porta del palazzo Da Schio Fig. 84. — Vicenza : Palazzo Porto, poi Biblioteca 

(da fotografia deirEmilia). del Seminario (da fotografìa dell'Emilia). 

Marinali, artista di molta fantasia, di grande perizia, ma di gusto corrotto dal baroc- 
chismo dell'epoca. Dell'antico edifizio sono notevoli il portale ed il santuario (fig. 87). 
L'interno della chiesa è bello, spazioso; caratteristica, per ricchezza di doni e d'ornati, 
la cappella ove è conservata l'immagine della Madonna a cui il tempio è dedicato. 

Dei dipinti conservati in questa chiesa pregevole è V Addolorata, del Montagna, 
e celebre la gran tela che conservasi nel refettorio, di Paolo Veronese, rappresentante 
la Cena di S. Gregorio, quadro che, nel 1796, emigrò a Parigi, d'onde ritornò nel 1816, 
ma che, nel 1848, fu rovinato a colpi di baionetta dai soldati austriaci, ripristinato 
poscia con molta cura dal Salvadori di Venezia. Del grandioso edifizio del convento 
attiguo alla chiesa è di buonissimo disegno il chiostro (fig. 88). 

Dal tempio fino alla base del monte corre il bel porticato anzidetto, la costruzione 
del quale cominciò nel 1740 ad opera di Antonio Muttoni. Consta di 180 archi, per una 
lunghezza di 650 metri, ed ogni arco fu costruito a spese di corporazioni, confraternite 
e di privati cittadini, e porta i nomi, gli emblemi e stemmi dei fondatori. All'estremità 
superiore del porticato è un arco trionfale. In un piccolo recinto ombreggiato da cipressi 
vicino alla chiesa sorgono i due monumenti eretti alla memoria dei soldati italiani ed 
austriaci caduti nell'assedio di Vicenza del 1848. Il monumento dedicato agli Italiani 
ha una bella statua del Tantardini rappresentante il Genio della indipendenza. 

Dalla sontuosa vicina villa Garcano, ora Roily, ultimamente ristaurata dall'archi- 
tetto Negrin, si ha una stupenda vista su Vicenza ed il paese circostante, che va dalla 
parte più bassa dell'estuario veneto alle cime dolomitiche del Trentino. 

69 — l«a Pai ria, voi. I, parte 2*. 



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234 Parte Prima — Alta Italia 



Fìg. 85. — Vicenza : Casa Perecini, ora Dormitorii economici (da Totografìa deirEmilia). 

Sul vicino colle di San Sebastiano, appendice al monte Berico, si notano alcune 
celebri ville, frale quali primeggia la Rotonda palladiana (fig. 89), costruita nel 1570 
da Andrea Palladio per la famiglia Capra e ultimata dallo Scamozzi. L'edifizio, 
quadrangolare, airesterno, con eleganti peristilii, offre airinterno una grande rotonda, 
dalla quale è dato, per grandi aperture, spaziare rocchio sul panorama circostante. 
Altre ville notevoli sono quelle dei Valmarana (con stupendi affreschi del Tiepolo), 
Camerini, Clementi, Guiccioli, Calvi, Querini, Pasini, ecc. 



CENNO STORICO 

Antichissima è Vicenza, le cui origini, al pari di quelle di Padova, si fanno risalire 
al periodo dell' immigrazione etrusca nelle valli del Po, periodo anteriore alla fonda- 
zione di Roma e che va dal X airVIII secolo av. C. Non bisogna dimenticare però, 
che prima degli Etruschi erano passate per questa regione le immigrazioni dei Liguri, 
dei Veneti — di questo popolo antichissimo e misterioso nelle origini sue — ed anche 
dei Celti o Galli primitivi, le quali immigrazioni, o tanto o poco, certamente influirono 
nella preparazione dell'ambiente etnografico nel quale gli Etruschi poi operarono. 

Al tempo di Roma, la cui conquista del Veneto avvenne tra Tanno 177 ed il 178 
avanti Cr., Vicenza fu chiamata Vicetia o Veicetia; una parte, quella verso il Retrone 
e i colli Berici, fu detta anche Berga. Dopo la Guerra Sociale Vicetia fu dichiarata 
Municipio e più tardi, da Augusto, compresa nelPItalia civile. Adriano Cesare ebbe 



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Vicenra 23b 



Pig. 86. — Vicenza : Santuario di Monte Berìco Fig. 87. — Vicenza : Porta della chiesa antica 

(da fotografia deirEmilia). di Monte Berico (da fotogr. deirEmilia). 

singolare predilezione per questa città, che dotò di privilegi, di monumenti, di statue 
e del teatro, di cui si veggono ancora al posto e al Museo Civico gli avanzi. 

Presso Vicenza passavano le vie romane Postwnia e Gallica, e la città ebbe il 
fòro, acquedotti e terme al pari di ogni altro cospicuo municipio romano, tanto 
che nel declinare delllmpero fu per alcun tempo dimora dell'imperatore Teodosio. 
In quel periodo, che certo per la regione veneta fu dei più fortunati, le città 6 
municipi della Venezia guardavano, come astri minori al sole, ad Aquileja, la più 
grande e potente città romana che fosse suirAdriatico, la più ricca e florida colonia 
che Roma avesse creata in quelle regioni, antimurale alle minaccianti orde barbariche, 
che di tanto in tanto si affacciavano ai troppo aperti valichi delle Alpi Giulie, del 
Friuli e della Gamia. Finché Aquileja fu forte e sicura, la sorte delle città che si sten- 
devano ai piedi delle prealpi fu sicura e prospera; ma da quando Aquileja non bastò 
più a contenere l'onda irrompente delle alluvioni barbariche, né Roma trovò in sé 
forze bastanti per soccorrere e difendere la sua gemma adriatica, la sorte della Venezia 
fu decisa ed i floridi suoi Municipi romani, abbandonati alla mercé degli invasori, di 
continuo, senza tregua, come se una gran voce li avesse chiamati dalle piane immense 
della Pannonia, dalle selve della Scizia e della Licia, dalle brume del Nord, succedentisi 
gli uni agli altri. 

I Goti di Alarico prima (401), gli Ostrogoti diRadagasio poscia (104), piombano dalle 
Alpi Giulie su Vicenza e le altre città venete e le mettono a ferro e a fuoco ; e quando, 
nel 452, Attila, rex Unnorum, distrutta — con un eccidio fra i più memorandi dei quali 



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236 T^arle Prima — Alta Italia 



Fig. 88. — Vicenza : Chiostro del Santuario di Monte Berico (da fotografìa deirEmilia). 

la storia abbia esempio — Àquileja, continua la sua marcia sanguinosa per la valle 
del Po, a minaccia di Roma, passò come una bufera su Vicenza, abbandonandola agli 
eccessi delle sue orde, che V incendiarono e pressoché distrussero, sebbene gran parte 
della popolazione, caduta Àquileja, all'appressarsi del barbaro, si fosse posta in salvo 
riparando nelle isole della non lontana — ed allora ancor più vicina — laguna. 

Pochi anni appresso Flmpero Romano cade; sorge una nuova forma di governo coi 
regni militari dei condottieri barbari : Odoacre prima, Teodorico coi Goti — con mag- 
giore fondamento politico e militare — poi. Teodorico divide le cure ed il soggiorno 
del nuovo regno tra Verona e Ravenna, e di questo stato di cose Vicenza ne avvan- 
taggia per rifarsi delle passate sventure, rafforzarsi di mura, di torri e di altri mezzi 
di difesa. A questo periodo ed al soggiorno che talvolta il fondatore della monarchia 
gota ebbe a fare in Vicenza, gli storici locali fanno risalire le origini della Basilica. 

Durante la dominazione longobardica, Vicenza, che già si era rifatta delle passate 
sciagure, fu sede di uno dei trentasei ducati nei quali quella monarchia era divisa; 
e, col succedersi della dominazione franca alla longobarda, Vicenza perde il duca, che 
serbava nella propria giurisdizione una larga autonomia, per prendere il conte, pro- 
totipo deirorganizzazione feudale da Carlo Magno data ai suoi Stati. Con siffatto nuovo 
ordinamento Vicenza perde ogni autonomia. La sua storia si spegne e si confonde 
nelle vicende delle grandi guerre feudali contro l'impero dei Franchi ed il regno degli 
effimeri re italiani, dai Berengari ad Arduino, che fanno triste, arruffata e quasi inaf- 
ferrabile la storia nostra tra il secolo IX e TXI. Posta fra due potentissimi Stati 
feudali, la Marca veronese e la Marca trivigiana, Vicenza subisce la sorte dei deboli, 
trascinata or da una parte or dall'altra, e soggetta alle conseguenze della fortuna di 
questa o di quella, causa talvolta delle loro guerre. 

La fortuna di Vicenza si risolleva nel periodo cosiddetto vescovile, preludente Téra 
rinnovatrice dei Comuni, allorché i suoi vescovi, appoggiandosi sulla parte popolare. 



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Vicenza 237 



Pìg. 89. — Vicenza : La Rotonda del Palladio (da fotografìa deirEmilia). 

sagli uomini liberi della città, lavorano di scaltrezza diplomatica e di abilità politica 
per scalzare, distruggere entro la città Tautorità feudale dei conti, o quanto di essa 
rimaneva ancora viva, ed a ricostituire alla città un territorio, allontanando sempre 
più la cerchia che le facevano intorno le famiglie feudali dei signori di San Bonifacio, 
di Campo San Piero, di Bassano, di Marostica, o tenendo testa ai tentativi d'usurpa- 
zione dei potenti dominatori di Verona, di Treviso, di Padova. 

Questo lavoro compiuto dai vescovi in Vicenza, come in altre città dell'Italia supe- 
riore, prepara animi e cose air evoluzione comunale ; e quando il Comune sorge in 
Vicenza — contemporaneo a quasi tutte le altre città dell'Italia superiore e centrale 
— trova gli animi maturi a riceverlo ed a farlo validamente vivere e prosperare. 

Il Comune subentra all'autorità vescovile e col Comune ritorna l'autonomia della 
città, r emancipazione dalle servitù feudali, la sovranità di questo sul territorio cir- 
costante, per quella maggiore estensione che al Comune riesce sottrarre ai feudatari 
della regione. Nello stesso tempo la città si fa ricca, industriosa, migliora la propria 
edilizia, rafforza le sue difese, si abbellisce di chiese monumentali, diventa potente e 
gelosa custode delle proprie libertà. 

Allorché Barbarossa credette lesi i diritti dell'Impero dall'espansione crescente ed 
attiva della vita comunale in Italia, cominciò la memorabile sua lotta contro i Comuni 
lombardi. I Comuni lombardi e veneti, dopo la distruzione di Milano, che accresceva 
a dismisura la potenza dell'imperatore, e li rendeva pavidi della loro libeità: i Comuni 
lombardi e veneti, diciamo, si strinsero nella formidabile Lega che forma la pagina più 
gloriosa della storia italiana nel medioevo. Secondo il prezioso diploma conservatoci 
dal Muratori nelle sue Antichità Italiane, fu stretta il l"" dicembre 1167 e sottoscrissero 
l'atto della Concordia i delegati di Venezia, Verona, Vicenza, Padova, Treviso, Fer- 
rara, Brescia, Bergamo, Cremona, Milano, Lodi, Piacenza, Parma, Modena e Bologna, 
< (][uindici città i cui nomi resteranno, checché succeda, santi sempre all'Italia >. 

E in tutte le lotte della Lega contro Barbarossa, Vicenza prese sempre parte 
attiva, mandando i suoi armati a Milano, ad Alessandria, nell'Emilia, dovunque più 



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238 P*rte Prima - Alto Itolia 



il bisogno li richiedeva e Barbarossa minacciava. — Ma prima ancora della Lega i 
liberi cittadini del Comune di Vicenza erano rotti al mestiere deUe armi ed avevano 
guerreggiato, e sovente con prospera fortuna, colle città vicine e coi signori feudali 
del territorio circostante. 

Dal secolo XI al XIV non sonò poche le guerre nelle quali Vicenza si trovò impi- 
gliata, per ragioni di confini o di acque, o commerciali, ò per alleanze, o per prò- 
vocazioni, od offese ricevute od anche date, perchè nella febbre belligera dalla quale 
sembrarono presi per due secoli i Comuni italiani, torti e ragioni si dividono in giusta 
parte a metà e metà. 

Se volessimo toccare una per una le molte guerre alle quali fu tratto il Comune di 
Vicenza in quel singolare periodo di grande vitalità popolare, usciremmo di troppo dai 
confini rìserbati a questi sintetici cenni, tanto più che quelle guerre, comuni anche 
alle città vicine, ebbero le stesse cause di reciproche rivalità e nulla di speciale si 
potrebbe aggiungere per Vicenza al già detto. Ci limiteremo a segnarle in ordine cro- 
nologico, per mostrare al lettore da quale spirito di combattimento fossero animati 
i Vicentini del Comune medioevale, si dichiarassero essi di parte guelfa, come talvolta 
avvenne, o ghibellina, come taPaltra fecero. 

Il maggior numero delle sue guerre Vicenza lo ebbe naturalmente colle città vicine 
confinanti, cioè : con Padova e con Verona. Con Padova fu in armi non meno di dodici 
volte, cioè: nel 1101, 1137, 114547-88-98; nel 1200, 1290, 1311 e 1313. Con Verona 
combattè otto volte, cioè: nel 1001, 1127, 1207, 1-236-40-76 e nel 1317. 

Inoltre Vicenza ha combattuto contro Brescia nel 1217-52-58; contro il patriarca 
di Aquileja nel 1166; contro Bassano nel 1197-98; contro Ceneda e Conegliano nel 1141 
e 1166; contro Cremona e Mantova nel 1210; contro Este nel 1198 e 1252; contro 
Milano, Modena, Parma, Piacenza e Treviso nel 1252. Di più ebbe a combattere contro 
i signori feudali del circondario; numerose volte e singolarmente contro i signori da 
Romano — la famiglia degli Ezzelino — di cui Ezzelino III, padre al feroce^ insidiava 
alle sue libertà. 

Nel 119i, e nel 1197 particolarmente, il Comune di Vicenza dovette tener testa 
alle prepotenze di questo signore, il quale, avuta dai Vicentini una buona lezione, si 
riconciliò secoloro e non li molestò più oltre. 

In una terra cosi belligera nacque quel Giovanni da Vicenza, frate domenicano, 
che, intorno al 1230, si fece predicatore di pace fra le città dilaniate da fazioni e da 
guerre reciproche e d'estinzione degli odi fra famiglie e famiglie. Fra Giovanni, col- 
l'attiva sua propaganda, trovò grande seguito ed indisse la memorabile riunione dei 
prati di Paquara presso Verona, ove quasi tutte le città del Veneto, della Lombardia 
e dell'Emilia mandarono le loro rappresentanze a giurare la pace solenne (18 agosto 
del 1233), che non durò se non pochi giorni. 

Nel 1236, alla discesa di Federico II io Italia, Padova e Vicenza si unirono in lega 
contro l'imperatore, col proposito d'irrompere sul territorio di Verona mentre Ezze- 
lino IV da Romano era a Cremona coli' imperatore, cacciarne i seguaci e fautori, libe- 
rando la Marca trivigiana ed il Veneto dalla tirannia sempre più gravosa e minacciosa 
di costui, a cui dava maggior forza ed autorità la carica di vicario imperiale. Podestà 
di Padova era il bolognese Ramberto de' Ghislieri e podestà di Vicenza il marchese 
d'Este. I due capitani si posero all'impresa; mentre osteggiavano nel Veronese, Fede- 
rico II da Mantova, ove si trovava, con numerose forze tedesche ed italiane, mosse 
con tanta rapidità e segretezza «o^ra Vicenza che arrivò imprevisto quasi alle porte 
della città prima che il marchese d'Este ed i Padovani arrivassero a portarle soc- 
corso. I Vicentini, sorpresi, privi dei migliori loro soldati, ch'erano a guerreggiare nel 
Veronese, non poterono opporre all'imperatore grande resistenza. Le porte della 
città vennero sfondate, la città fu data preda alla soldatesca, che saccheggiò le case 



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Vicenza 239 



commettendo ogni sorta dì eccessi. Senza distinzione di partito i cittadini vennero 
incatenati e molti passati per le armi. Lo stesso storico vicentino Gerardo Maurisio, 
quantunque ghibellino ed anzi venduto ad Ezzelino, fu incatenato e dai soldati tedeschi, 
che avevano saccheggiata la sua casa, trascinato pressoché nudo a pubblico dileggio 
per le vie. Perdette allora tutti i suoi beni e perfino i suoi libri, che non potè riavere 
se non per l'intromissione di Ezzelino e di altri potenti suoi amici. 

Vicenza eccitò più volte la cupidigia del truculento vicario imperiale, che ora da 
Bassano, ora da Padova — ove sanguinosamente si era impiantato — ora da Treviso 
e da Verona portava ripetutamente le armi su di essa, e per parecchio tempo, quando 
fu signore incontrastato di Padova, di Treviso, di Bassano, di Verona e d'una quantità 
delle terre minori del Veneto, potè tenerla nel suo dominio. 

La efferatezza di Ezzelino gli suscitò contro la lega delle principali città guelfe 
della Lombardia e del Veneto: gli fu bandita una crociata e quasi santa contro, che 
finì colla sua sconfitta al ponte di Cassano suU'Adda e colla morte nel castello di 
Soncino, ove dai collegati era stato condotto gravemente ferito. Colla morte di Ezze- 
lino, Vicenza e le altre città che gli erano soggette ripresero la loro indipendenza. 
Ma non cessarono per questo dall'essere dilaniate dalle inteme fazioni ed insidiate 
dagli altri signorotti che colla scomparsa di Ezzelino avevano messo Tali. Così Vicenza, 
tra lo scorcio del secolo XIII ed il principio del XIV, diventò oggetto di contrasto 
fra i Carraresi, signori di Padova e gli Scaligeri, signori di Verona. 

I Carrara avevano tolta Vicenza ed altre terre ai da Romano; ma Can Francesco 
della Scala a sua volta, capo dei Ghibellini italiani e vicario imperiale, pretestando il 
diritto che questo titolo gli dava alla successione di Ezzelino, il 17 settembre 1314 
assalì Vicenza e se ne impossessò, introducendovi una forte guardia di Tedeschi, che 
ne cacciò i Carraresi dopo una sanguinosa zuffa. La signoria dello Scaligero, la per- 
fluta libertà e Toltracotanza dei soldati mercenari tedeschi — spadroneggianti nella 
città e nel territorio, ove nulla per essi era sacro e rispettato — indispone l'animo dei 
Vicentini contro lo Scaligero. Guglielmo Novello di Camposampiero, capo dei Guelfi 
vicentini, organizza congiure e rivolte, che finiscono in sanguinose battaglie per le strade 
e sulle sponde del Bacchigliene, senza che per questo la vittoria arrida ai Vicentini. 

I Padovani però non avevano rinunziato all'idea di riacquistare Vicenza e, nel set- 
tembre del 1314, raccolto un forte nerbo di truppe, sotto gli ordini immediati di Vanni 
Scomezano, cogliendo il momento in cui Can Francesco della Scala si era allontanato 
da Vicenza per andare in soccorso del Visconti di Milano, guidati dal loro podestà 
Ponzino Ponzoni, tentarono un improvviso assalto a Vicenza, sull'albeggiare del 2 set- 
tembre. Ma i soldati tedeschi ch'erano di guardia alle porte diedero l'allarme al pre- 
sidio, al quale si unirono pure tutti i cittadini validi di parte ghibellina e la battaglia 
diventò generale. Sulle prime la fortuna fu favorevole ai Padovani; ma i loro mercenari, 
padroni del sobborgo della città, abbandonarono il combattimento percorrere a saccheg- 
giare le case, rubare nelle chiese e violare le donne ovunque le trovavano, non rispet- 
tando neppure i monasteri. Da ciò nacque sì gran disordine che i difensori della città, 
fra i quali era giunto di gran corsa da Verona lo stesso Scaligero, poterono sgominare 
il nemico e fame strage. Questa è la battaglia auspicata da Dante colla pretesa 
profezia di Cunizza nel canto ix del Paradiso: 

Ma tosto fia che Padova al palude 
Cangerà Tacqaa che Vicenza bagna, 
Per esser al dover le genti crude. 

Così Vicenza rimase agli Scaligeri. Ma mentre Carraresi, Trevigiani, Scaligeri ed 
Aquilejesi, con bandiere da Guelfi e Ghibellini, si dilaniavano abbandonandosi sempre 
più alla mercè delle soldatesche prezzolate e dei capitani di ventura, cresceva in 
mezzo alle vicine lagune dell'Adriatico la forza che, né guelfa, né ghibellina, doveva 



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S40 Parte Prìmt — Alte Itelia 



tutti schiacciarli, distruggerli, impadronirsi dei loro domini e dominare per oltre tre 
secoli sovrana in questa regione. Ed era Venezia, che già sicura del predominio suo sui 
mari d'Oriente, dei suoi traffici transmarini, della sua egemonia suirAdriatico, ricca 
a dovìzia, potente ed indipendente, pensava già a spalleggiarsi in terraferma. Il lavoro 
d'espansione cominciato dalla Repubblica Serenissima, nella seconda metà del secolo XIV, 
fu da noi già descritto nella parte di questo lavoro che riguarda Venezia. In poco più 
d'un secolo Venezia riesci a spingere la sua conquista, in gran parte pacifica, fino 
quasi alle porte di Milano, assicurandosi in modo assoluto tutta la regione ch'è tra 
FAdige ed il mare, senza dire dell'Istria e della Dalmazia. 

Riescita trionfatrice dalla guerra diChioggia, per il valore e la virtù dei suoi figli, la 
Repubblica di Venezia si assicurò il possesso della precedente conquista col trattato di 
Torino, cosicché dal 1404, Vicenza, Verona, Bassano, Feltre, Padova, Belluno, Treviso, 
che già avevano fatta dedizione alla Repubblica, rimasero incorporate negli Stati di 
questa, formandone il dominio di terraferma, che, salvo brevi eccezioni, ne seguì sempre 
le sorti, seguendola all'apogeo della sua fortuna nel meraviglioso secolo XVI ed accom- 
pagnandola nella lunga e dolce parabola discendente fino ai tristi giorni del 1796 ed 
alla catastrofe di Gampoformio. 

Il governo di Venezia fu per Vicenza, come per tutte le altre città del Veneto, 
temperato, onesto e attivo, promotore delle arti, dei commerci e delle industrie locali. 

* 

Vicenza nel secolo XIX. — Il territorio della provincia di Vicenza fu, nel periodo 
dell'invasione francese o prima campagna d'Italia condotta daBonaparte, battuto in 
ogni senso dalle truppe repubblicane. Le giornate d'Arcole e di Caldiero segnalarono 
nella storia i fasti napoleonici in queste contrade ed aprirono ai Francesi le porte di 
Vicenza e la strada alla loro conquista fino al Tagliamento. 

Durante il Regno Italico Vicenza fu sede di una prefettura e capoluogo del dipar- 
timento del Bacchigliene e diede il titolo di duca al generale Caulaincourt 

Dopo il 1815 segui le sorti della Venezia, incorporata insieme alla Lombardia, per 
i trattati di Parigi e di Vienna, nell'Impero Austro-Ungarico col titolo di Regno LÒm- 
bardo- Veneto. Furono questi tcent'auni. più che di pace, di compressione profonda, 
nei quali la storia d'Italia quasi non esiste, od è circoscrìtta alla cronaca di fatti 
comuni ed ai tentativi, dolorosi e gloriosi ad un tempo, di coloro che, sfidando patiboli, 
galera, esilio, cooperavano per dare alla patria un nome, colla libertà e l'indipendenza. 

Nel 1848, al primo annunziarsi dei movimenti popolari, Vicenza, aspettante con 
ansia le notizie di Vienna, di Venezia e di Milano, era in grande agitazione. La gio- 
ventù, impaziente, scendeva nelle piazze e per le vie invocando riforme, guardia civica 
e libertà. Quindi da Verona e da Padova cominciarono a venir truppe in Vicenza, che 
il 24 marzo è occupata dalle truppe del generale D'Aspre, feld-marescìallo,^ insieuìe 
a quelle del maggior generale Wimpfen, che nella mattina avevano abbandonata Padova, 
dopo avere prelevati dalle casse pubbliche 170.000 fiorini. 

Primo atto degli Austrìaci in Vicenza fu di mettere drappelli alle casse pubbliche 
della finanza e del Comune e chiedere danaro per il vettovagliamento delle truppe. 
Il D'Aspre pretendeva 80.000 fiorìni all'istante, l'uno sull'altro, dalla Municipalità. Ma 
i magistrati-cittadini, giuocando d'abilità e d'astuzia, col pretesto che quel giorno era 
festivo e non era possibile trovare tanto valsente, trattarono a lungo col D'Aspre e 
coi suoi luogotenenti, i generali Thurn-Taxis e Wimpfen, fino a che gli 80.000 fiorìni 
non furono ridotti a 14.000, col patto che le truppe avrebbero sgombrata la città nel 
giorno stesso, dirigendosi su Verona. La guardia nazionale avrebbe rilevati i posti 
tenuti dalla truppa. All'ultimo momento, nel punto di partire, D'Aspre domandò ancora 
che < una scorta di guardie nazionali chiudesse la marcia dei suoi 9000 uomini > fra 



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Vicenza ^1 



cui era rartiglierìa e la cavalleria: domandò inoltre che la città prendesse cura di 
90 soldati ammalati, non trasportabili. Pur di togliersi quell'ospite incomodo ed affret- 
tarne la partenza i municipali di Vicenza accordarono tutto e poco dopo il mezzo- 
giorno la retroguardia usciva dalla città. Alle 2 del pomeriggio, quando le truppe di 
D'Aspre non erano peranco a 2 miglia dalla città, la guardia civica prendeva pos- 
sesso dei posti militari della città e della Gran Guardia, e dalla loggia municipale, 
fra l'entusiasmo del popolo, venne proclamata < l'indipendenza d'Italia >. Il giorno 
susseguente vennero le liete notizie della vittoria di Milano e della cacciata di Radetzky 
dalla capitale lombarda, e si intavolarono le trattative di accordi e di fusione col 
Governo provvisorio di Venezia. 

Passano i giorni di quella primavera italica, sì feconda di speranze e di eroismi; 
vengono i giorni della trepidazione, delle ansie, delle delusioni. 

Intorno a Vicenza le nuove truppe di Radetzky, agognanti la rivincita dei disastri 
di Milano, si accaniscono in modo singolare. Già il 29 maggio le truppe austriache, 
vegnenti dal Cadore, tentano l'assalto di Vicenza, la cui guardia civica, coi legionari 
veneti ed italiani presidianti la città, respinge vigorosamente l'attacco. 

Il giorno susseguente, il generale Durando, colle truppe pontificie, nelle quali 
erano pure aggregati volontari delle altre provincie italiane sottrattesi all'Austria 
— tra cui la Lombardia e l'Emilia — occupa la città e vi è visitato da Daniele Manin, 
presidente della risorta Repubblica di Venezia, e da Nicolò Tommaseo, ministro del- 
l'interno, che portano a Vicenza il soccorso d'un migliaio di legionari italiani sotto gli 
ordini del generale Antonini, il valorosissimo patriota e cospiratore, che al primo scop- 
piare della rivoluzione, da Parigi, ove si trovava esule, organizzata una legione di 
Italiani, era accorso in patria ed aveva offerto il suo aiuto alla Repubblica veneta. 

In quello stesso giorno l'Antonini volle coi suoi affrontare gli Austriaci nei dintorni 
di Vicenza: li costrinse a battere in ritirata sulla strada di Verona, riportando peraltro 
una grave ferita all'omero, per la quale dovette essere amputato del braccio destro. 

Nella notte dal 23 al 21 maggio, da Verona, gli Austriaci tentarono un nuovo colpo 
di mano su Vicenza. L'attacco avvenne di notte e dalle alture vicine, sulle quali ave- 
vano potuto collocarsi, mandarono sulla città una quantità di razzi incendiari e di 
bombe, delle quali ne furono contate circa 2000. Il danno agli edifizi ed ai cittadini, 
per l'incertezza dei tiri, non fu molto. Il generale Durando, che aveva assunto il 
comando in capo della difesa, ordinò una sortita, che rapidamente eseguita e vigo- 
rosamente sostenuta, snidò il nemico dalle sue posizioni e lo incalzò ad oltre 3 miglia 
dalla città. Le perdite degli Austriaci, fra morti, feriti, prigionieri, ascesero a circa 
' 3000 uomini. Esso era fof te di 16.000 combattenti con 42 cannoni. 

Ma questo brillante successo dei suoi difensori non liberò la città dalle insidie del 
nemico. Essa era punto troppo importante a prendersi per il dominio del Veneto, 
perchè Radetzky, già meditante l'impresa di Venezia, potesse rinunziarvi, non guaren- 
tendosi alle spalle. Così il 1^ giugno 1848 l'impresa fu da luì personalmente ritentata 
e con mezzi più poderosi delle altre volte. Narra il Contarini^ nel raro e curioso suo 
diario contemporaneo, con singolare rapidità di stile: 

< L'esercito austriaco, condotto da Radetzky, attacca tutto all'intorno Vicenza. I 
nostri resistono valorosamente, ma giunge un gran rinforzo al nemico. Diventa più 
fiero l'attacco. I Tedeschi vogliono prendere la posizione del Monte; formati inqua- 
drato, vorrebbero ascendere. I nostri cannonieri li mitragliano: cadono i Croati a cen- 
tinaia, ma vengono tosto rimessi; di nuovo mitragliati, di nuovo rimessi: e così via 
via, finché giungono a farsi le barricate a forza di cadaveri, e possono così guada- 
gnare il Monte colla perdita di 4000 uomini. Caduta la posizione del Monte non rima- 
neva più la speranza di tenere la città; dopo dodici ore di vivissimo fuoco il generale 
Durando sostituiva la bandiera di tregua a quella di guerra ; ma il popolo la cribrava 

70 — Mm Patria» voi. I, parte 2*. 



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^2 Parte Prima — Alta Italia 



di moschettate; quindi altre sei ore dorò la strage. Allorquando poi Tinimico rivoltò 
i cannoni verso la città, s'inalberò bandiera bianca e si capitolò, Radetzky disse: Non 
potersi negare una onorifica capitolazione a chi si era difeso cosi eroicamente. La 
capitolazione fu onorevolissima per le nostre truppe, che dovevano sortire dalla città 
con armi, bagagli e con tutti gli onori militari, impegnandosi il generale Durando per 
sé e per loro di non servire per tre mesi ai danni dell' Austria; Radetzky, d'altra 
parte, impegnavasi di trattare i sudditi benevolmente. Circa 6000 morti si calcolano 
da parte del nemico, SOOO dalla nostra. La resistenza dei nostri fece meravigliare 
gli Austriaci quando intesero che soli 10.000 uomini con 40 cannoni seppero resistere 
per diciotto ore continue contro un formidabile esercito di 40.000 uomini, 300 cavalli 
e circa 118 cannoni >. 

Va ricordato che fra gli Italiani feriti in questa giornata vi furono Massimo 
D'Azeglio, pittore e romanziere illustre, che presto doveva diventare anche statista; 
ed Enrico Cialdini, cui l'avvenire riserbava i maggiori gradi militari e le maggiori 
cariche politiche nella futura Italia redenta. 

Dopo le truppe piemontesi uscirono da Vicenza le milizie romane o pontificie, 
dipendenti dal colonnello Belluzzi, con armi e bagagli e tre pezzi di cannoni; e subito 
dopo la partenza dei difensori emigrarono dalla città verso Venezia e verso la Lom- 
bardia, ancora libere ed in armi, oltre 1500 cittadini. 

Malgrado la promessa di Radetzky ed i patti della capitolazione, che assicuravano 
ai cittadini il rispetto nella vita, nelle persone, negli averi, le rappresaglie, le bru- 
talità, le prepotenze alle quali si abbandonarono le soldatesche vittoriose, a danno 
dei cittadini, delle proprietà, furono enormi. Molte case di privati furono invase dai 
soldati, che vi fecero scempio. Le preziose suppellettili, radunate in tanti secoli dalla 
pietà dei fedeli nel Santuario del Monte Borico, andarono preda dei rapaci invasori. I 
paramenti di stoffe magnifiche e gli arazzi superbi furono barbaramente tagliati per 
fame gualdrappe ai cavalli. Il grande e meraviglioso quadro della Cena di San Gre- 
gorio Magno, uno dei capolavori di Paolo Veronese, che si conserva nella grande sala 
del Refettorio, fu ridotto in trentadue pezzi. 

Come abbiamo già detto, su al sommo del monte Serico sonvi gli Ossari ricordati 
da due monumenti diversi, l'uno di fianco all'altro, dove giacciono gli avanzi dei caduti 
in questa memorabile giornata, che fu certo una delle più gloriose per le armi italiane 
e delle più sanguinose di tutta l'infelice campagna del 1848. 

Gli Austriaci non abbandonarono Vicenza che nel 13 luglio 1866, dopo che la scon- 
fitta di Sadowa costrinse il Governo di Vienna a richiamare le truppe quivi addensate 
contro l'Italia. 

Il lungo servaggio non impedì ai Vicentini di palpitare all'unissono della nazione nei 
momenti più fortunosi del patrio riscatto. Nel 1859 e nel 1860 la gioventù vicentina 
valida alle armi era pre^ochè tutta emigrata in Piemonte, in Lombardia; ed anche 
nell'eroico manipolo dei Mille, Vicenza ebbe la sua degna e valorosa rappresentanza. 

Per i fatti del 1848 la bandiera del Comune di Vicenza fu dal re Vittorio Ema- 
nuele II, nel 1866, fregiata della medaglia d'oro al valor militare e, nel 1898, dal re 
Umberto I, fu pure decorata della medaglia d'oro commemorativa di quella campagna, 
che fu preludio sicuro al riscatto nazionale. 



UOMINI ILLUSTRI 

Vicenza ed il suo territorio hanno in ogni tempo avuto dovizia di uomini che, per 
ingegno, sapere e civili virtù, onorarono non solo la terra nativa, ma la patria comune. 

Dei Vicentini illustri nel peribdo romano è ricordato Quinto Remnio Palemone, 
oratore, grammatico e scrittore forbito, che visse nel bel secolo, sotto Tiberio. 



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Vicenza 242 



Dorante le lotte sanguinose del secolo XIII, fra Guelfi e Ghibellini, si acquistò 
immensa popolarità frate Giovanni da Vicenza, dell'Ordine dei Domenicani, predica- 
tore di pace, che seppe organizzare la grandiosa manifestazione pacifica nei prati di 
Paquara presso Verona, alla quale intervennero cittadini e rappresentanti di tutte le 
città e terre del Veneto, della Lombardia, delFEmilia, della Romagna, nonché molti 
signori e feudatari. Di frate Giovanni da Vicenza, morto poscia a Bologna, dopo il 
tramonto della sua gloria e T insuccesso della sua politica, trattarono a lungo il Cantù 
in una speciale monografia, il Sismondi e quanti altri sviscerarono la storia fortunosa 
e le rivoluzioni nostre nel periodo dei Comuni. 

Nel secolo XIV ebbero fama in Vicenza: Antonio Loschi, letterato e scienziato 
come il tempo comportava; e Ferreto de' Ferreti, erudito e paziente storico racco- 
glitore delle patrie memorie. 

Nel secolo XV brilla fira i maggiori letterati italiani il vicentino Gian Giorgio Tris- 
sino (1478-1550), rinnovatore della tragedia italiana, a cui diede la So/bnwòa ; poeta 
e scrittore elegante sì in latino che in volgare, di cui, oltre la Sofonisba, sono pre- 
gevoli molti scritti letterari, il poema V Italia liberata dai Gotiy in ventisette canti; 
la commedia / Sitnillimi e l'elegante traduzione De vulgare eloquio di Dante. Visse 
in Venezia ed in Roma all'aurea Corte di Leone X, il quale lo incaricò d'importanti 
missioni presso le Corti italiane d'allora ed all'estero, specialmente in Germania, 
quando la Corte pontificia tentò, con un'azione diplomatica sui principi tedeschi, porre 
un argine al primo dilagare della Riforma luterana. Anche in questi negoziati politici 
il Trìssino si acquistò grande credito ed autorità. 

Altro illustre vicentino, vissuto tra il secolo XV ed il XVI, è Antonio Pigafetta 
(1491-1534-), che accompagnò Magellano nell'arditissimo suo viaggio, di cui fece la nar- 
razione. Morto Magellano, accompagnò il nuovo comandante della spedizione Juan 
Sebastian Del Cane alle Molucche, superò il Capo di Buona Speranza; con sedici 
compagni sbarcò a San Lucar, avendo così compiuto il giro del mondo. Al servizio di 
Venezia navigò e combattè contro i Turchi ; indi, ritiratosi rovinato di salute in patria 
vi morì, non senza avere lasciato interessantissime memorie e notizie geografiche sugli 
ardimentosi viaggi compiuti e sui lontani ed allora sconosciuti paesi da lui e dai suoi 
compagni visitati. 

Nello stesso secolo si resero celebri nell'arte dei colori Bartolomeo e Benedetto 
Montagna, pittori degli ottimi fra i vecchi della scuola veneta; i fratelli Albanese, 
valentissimi scultori; e Valerio Belli, lapicida dei più famosi, i cammei ed i medaglioni 
del quale oggi hanno valore grandissimo. 

Gloria vicentina del secolo XVI, alla quale tutti s'inchinano, è Andrea Palladio, 
che a buon titolo può dirsi l'ultimo dei grandi architetti del Rinascimento (1518-80). 
Studiò su Vitruvio e su Leon Battista Alberti, né poteva scegliere maestri migliori; 
s'inspirò sui monumenti di Roma antica e concepì opere degne di questi modelli. A 
Roma, a Venezia soprattutto ed in patria ove coronò l'opera sua gloriosa col ristauro 
meglio rivestimento estemo del palazzo della Ragione o Basilica — ancora oggidì 
il monumento incomparabile del quale Vicenza va superba — lasciò prove del suo 
gusto d'artista eletto e raffinato, di architetto ed ingegnere costruttore di ordine 
primissimo. 

Degno allievo e continuatore della sua gloria, quantunque negli ultimi suoi lavori 
trascinato dal gusto del tempo baroccheggiante, è Vincenzo Scamozzi (1552-1616), pure 
nato a Vicenza. Lo Scamozzi studiò sulle opere del Palladio e del Sansovino, dal quale 
specialmente ritrasse la gentilezza e la varietà dei motivi decorativi. Le maggiori 
opere dello Scamozzi sono in patria ed a Venezia, ove specialmente è testimone del 
suo valore il grandioso edifizio delle Procuratie Nuove in piazza San Marco, nella sua 
parte migliore o più antica. 



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244 Parte Prima — Alto Itolia 



Nello stesso secolo XVI furono pure figli illustri di Vicenza: Nicolò Vicentino, 
musicista preclaro, inventore di quello strumento che allora fu detto Varchicembulo; 
Silvestro Castellini, fisico e letterato; Guido e Cesare Pio vene, Ippolito da Porto e 
Valerio Chiericati, condottieri valorosi di truppe della Serenissima, nelle sue guerre 
di terraferma e col Turco. 

Il secolo XVII, secolo di decadenza generale delle cose italiane, dà a Vicenza 
Gualdo Galeazzo Priorato, letterato, filosofo e scienziato sperimentalista ; Tidraulico 
celebre, al soldo della Serenissima, Ortensio Zago; ed il pittore Francesco Maffei. 

Nel secolo XVIII si segnalarono fra gli altri i Vicentini: Carlo Borgo, matematico 
insigne; Giuseppe Marzari-Pencati, geologo; Ambrogio Fusinieri, fisico illustre; Barto- 
lomeo Panizza, celebre docente di anatomia nelF Ateneo pavese, uno dei precursori 
in questa scienza; gli architetti Enea Arnaldi e Ottone Calderari; ed il musicista 
Domenico Freschi. 

Nel secolo XIX Vicenza diede una numerosa pleiade di cittadini, che per sapere, 
ingegno, virtii civili e patriottiche ne onorarono il nome e furono di decoro alla patria 
comune, ma dei quali ora eccederebbe il nostro compito il parlare partitamente. 
Coli, elett. e Dioc. Vicenza — PS T., Str. ferr. e Tr. 

Altavilla Vicentina (2407 ab.). — Questo Comune si stende in pittoresca posizione, 
alle falde nord-ovest dei monti Borici ed è lambito dalla strada provinciale Vicenza- 
Verona. Il suo territorio è ubertoso, ben coltivato ed ha vigneti stupendi. Consta di 
varie frazioni, di cui è capoluogo Altavilla, bella borgata con 1200 abitanti circa, in 
collina, a 109 m. sul mare e 7 chilometri a sud-ovest da Vicenza. Possiede una chiesa 
parrocchiale di buona architettura e vari edifizi di moderna costruzione. Nel territorio 
abbondano le villette e le casino di campagna delle famiglie benestanti di Vicenza. 

Prodotti del suolo, coltivato con molta cura, cereali, legumi, frutta, ortaglie in abbon- 
danza. Notevole è pure in luogo la coltura del gelso e Tallevamento dei bachi da seta. 
Industrie: la tessitura casalinga e meccanica della canapa e della lana. 

Coli, elett. e Dioc. Vicenza — P' locale, T., Str. ferr. e Tr. nella fraz. Tavemelle. 

Arcugnano (4403 ab.). — Questo grosso Comune si stende nell'incantevole resone 
dei colli Borici ed è costituito da numerose frazioni, delle quali la principale, Arcu- 
gnano (160 m. sul mare e 6 chilometri a sud da Vicenza), è una cospicua borgata 
con circa 1400 abitanti, dotata di notevoli edifizi pubblici e privati, di una bella chiesa 
parrocchiale, di buone scuole e d'istituti di beneficenza. Il territorio è cosparso di 
numerose ville, taluna delle quali assai ricca e pittoresca. 

L'agricoltura è la principale industria del luogo, ove, per il suolo fertile ed adatto, 
prosperano i vigneti, le frutta, le ortaglie. Importante è pure la produzione dei cereali, 
dei foraggi, dei gelsi. Notevole l'allevamento del bestiame da cortile e dei bachi da seta, 
che costituiscono una delle maggiori fonti di guadagno pei contadini e proprietari. 

Cenno storico. — Arcugnano è luogo antico, ricordato nelle storie vicentine del 
medioevo, al tempo delle lotte comunali. Nelle sanguinose giornate del maggio e del 
giugno 1848 fu occupato dalle soldatesche austriache, subendo gravi danni. 
Coli, elett. e Dioc. Vicenza — P* locale, T. e Str. ferr. a Vicenza. 

Bolzano Vicentino (2450 ab.). — Si stende il territorio di questo Comune nella 
bella ed aperta pianura al nord-est di Vicenza, da cui il capoluogo dista 9 chilometri. Il 
fiume Tesina lo attraversa in tutta la sua lunghezza. È Comune alquanto frazionato: il 
suo capoluogo Bolzano (44 m. sul mare), è un discreto paesetto godente d'aria saluberrima. 

Il terreno ubertosissimo di questo Comune si presta a tutte le coltivazioni ; prin- 
cipali prodotti del luogo: cereali, foraggi, legumi, ortaggi, gelsi, viti. Vi si alleva 
bestiame da stalla e da cortile in notevole quantità. 



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Mandamenti e Comuni del Distretto di Vicenza ^5 

Cenno storico. — Bolzano è luogo antico: oggetto di contese, nel perìodo dei 
Comuni, cogli Ezzelini. Nel 1848 subì a più riprese gli insulti e le depredazioni delle 
truppe di D*A8pre e di Radetzky. 

GoU. elett. Marostica — Dioc. Vicenza — P* locale, T. e Str. ferr. a San Pietro in 6ù. 

Brendola (3990 ab.). — Questo cospicuo Comune si stende a sud-ovest di Vicenza, 
dominando la strada che da questa città conduce a Lonigo. Il suo territorio è in 
parte collinoso, poggiando sulle pendici occidentali dei Borici, ed in qualche località 
si rivela l'antica natura vulcanica di questi colli. Il paesaggio, anche pel prospetto 
delle vicine prealpi vicentine, è dei più ridenti. — Brendola, capoluogo del Comune 
(in collina, a 156 m. sul mare e chilometri 12 da Vicenza), è una grossa borgata, 
con begli edifizi di carattere affatto moderno, una notevole chiesa parrocchiale e 
avanzi di un antico castello. Numerose le frazioni e le case di villeggiatura sparse 
per tutto il territorio del Comune. 

L'agricoltura è l'industria essenziale del luogo: vi si producono cereali, foraggio, 
legumi, ortaglie in grande quantità. Belli i vigneti ed ottimo il vino che se ne trae, 
consumato per la maggior parte in luogo ed a Vicenza. Industrie sussidiarie all'agri- 
coltura: l'allevamento del bestiame da cortile e dei bachi da seta. Vi sono pure in 
Comune molini e segherie da legname. 

Curiosità geologiche. — Scavando in certe località del territorio di Brendola, si 
rinvengono formazioni basaltiche e straterelli di argilla, ricchi di molluschi marini; 
evidente prova che, prima della emersione vulcanica, quivi era un fondo marino. 
Coli, elett. e Dioc. Vicenza — P" e T. locali, Str. ferr. a Tavernelle (fraz. di Altavilla). 

Bressanvido (1993 ab.). — Questo piccolo Comune si trova a nord-est da Vicenza, 
in aperta pianura sulla sinistra del torrente Tesina. È Comune di carattere essenzial- 
mente rurale, frazionato. — Il capoluogo (65 m. sul mare e chilometri 14 da Vicenza) 
è un discreto paese di circa 900 abitanti, in salubre posizione. 

Il territorio, fertilissimo, produce cereali d'ogni specie, foraggi, legumi, ortaglie, 
viti, frutta e gelsi. Vi si alleva bestiame da stalla e da cortile. 

GolL elett. e Dioc. Vicenza — P' locale, T. e Str. ferr. a San Pietro in 6ù. 

Caldogno (3355 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende a settentrione di 
Vicenza, da cui il capoluogo dista circa 8 chilometri. È in pianura, attraversata dal 
Timonchio e dall'Orolo. È Comune frazionato, ed il capoluogo, Caldogno (54 m. sul 
mare), è un grosso borgo di aspetto moderno, pulito, nel quale non mancano edifizi 
signorili, dei quali uno in istile palladiano con affreschi di Paolo Veronese. Notevole 
la chiesa parrocchiale, di buona architettura, di antiche origini, ma rimodernata. 

Il territorio di Caldogno è fertilissimo, dà cereali, foraggi, gelsi, viti, ortaglie e 
frutta in quantità. Importante è in luogo l'allevamento del bestiame da stalla e da 
cortile. Industrie del luogo: la lavorazione del rame e del ferro mediante piccoli 
magli, la fabbricazione dei laterizi, la macinazione dei cereali, la segheria per legnami 
ed infine il caseificio e la latteria, esercitati da una società cooperativa. 

Cenno storico. — Caldogno è luogo assai antico, ricordato nelle cronache del 
Comune di Vicenza, dal quale sempre dipese, e da documenti della Curia vescovile. 
Durante la campagna francese del 1796 e quella del 1848, subì occupazioni e deva- 
stazioni non lievi per parte delle truppe belligeranti. 

Ck)ll. elett. Marostica — Dioc. Vicenza — P' locale, T. e Str. ferr. a Daeville. 

Camisano Vicentino (4469 ab.). — Questo Comune, già capoluogo dell'omonimo 
mandamento giudiziario, soppresso per effetto della legge 80 marzo 1890 ed aggre- 
gato al mandamento di Vicenza II, comprendente tutto l'antico distretto amministra- 
tivo, si stende nella parte bassa della provincia, a oriente del capoluogo, in bella. 



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SJWi Parte Prima — Alto Itolia 



verdeggiante ed irrigua pianura, fra il Bacchigliene e il Brenta. — Camisano, capoluogo 
del Comune (24 m. sul mare e chilometri 14 a sud-est da Vicenza), è una grossa e 
bella borgata, di carattere in gran parte moderno, con una chiesa parrocchiale di 
buona architettura, buoni edifizi scolastici ed istituzioni di beneficenza. 

Il territorio, fertilissimo, di Camisano dà cereali di ogni specie, foraggi, gelsi, viti, 
ortaglie e frutta. Importante è quivi l'allevamento del bestiame da cortile, fonte di 
utile traffico, ed è pure considerevole la produzione dei bachi da seta. Altre industrie 
del luogo sono la fabbricazione dei laterizi, la macinazione dei cereali, la pilatura 
del riso e la fabbricazione delle cosiddette ocarine, strumento musicale da fiato assai 
noto ed usato in queste regioni per il suo suono, dolce e flautato, e fatto di argilla 
speciale, cotta alla fornace. Le ocarine di Camisano Vicentino fanno concorrenza a 
quelle celebri di Budrio, in provincia di Bologna, e se ne fa una discreta esportazione 
nelle vicine regioni del Cadore, della Pusteria e del Trentino. 

Cenno storico. — Camisano fu nel medioevo uno dei più forti castelli del terri- 
torio vicentino, avanguardia della difesa: di Vicenza contro la nemica Padova. Nella 
storia dei due Comuni rivali, tra il secolo XIII e il XIV, sono continui gli accenni ad 
assalti, prese e riprese del castello di Camisano, da parte or degli uni or degli altri. 
Né gli mancò, in quei tempi fortunosi, al castello di Camisano, di essere arso e saccheg- 
giato. Subì pure i rigori di Ezzelino IV da Romano, che su di esso sfogò le sue ragioni 
di rancore contro Vicenza. Solo dopo che Venezia ebbe steso il civile e, pel tempo, 
liberale suo dominio sul Vicentino, Camisano potè passare giorni tranquilli e prosperosi. 
Coli, elelt. Marostìca — Dioc. Vicenza — P* e T. locali, Str ferr. a Pojana. 

Gostabissara (1695 ab.). — Questo Comune si stende parte in piano e parte in 
collina, a nord-ovest dì Vicenza, ed è bagnato dairOrolo, torrentello che scende dai 
soprastanti monti di San Vito, Monte di Malo e Malo. E Comune affatto rurale; il 
capoluogo (90 m. sul mare e chilometri 6 da Vicenza) è un discreto paesello nel quale, 
peraltro, nulla havvi di notevole. 

Il territorio, discretamente fertile, produce cereali, foraggi, viti e gelsi. L'alleva- 
mento del bestiame bovino e da cortile e dei bachi da seta sono le industrie locali di 
maggior sussidio all'agricoltura. 

Coli, elett. Marosiica — Dioc. Vicenza — P' locale, T. e Str. ferr. a Vicenza. 

Creazzo (1957 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende ad ovest di Vicenza, 
parte in piano e parte in collina. E Comune essenzialmente rurale, ma il borgo titolare 
del Comune (42 m. sul mare e chilom. 6 da Vicenza) non manca di begli edifizi modemL 

Dal territorio fertile e ben coltivato si traggono cereali, viti, gelsi, ortaglie, frutta 
in quantità. L'allevamento dei bachi da seta e la esportazione delle uova, del pollame, 
della frutta sono le industrie in luogo di maggior sussidio all'agricoltura. 

Coli, elett e Dioc. Vicenza — P^ a Vicenza, T. e Str. ferr. a Tavemelle (fraz. di Altarilla). 

Dueville (4037 ab.). — Questo popoloso Comune si stende a nord di Vicenza, nella 
bella regione ove ha luogo lo sbocco dell'Astice e del Bacchigliòne nella pianura 
vicentina. Il Comune è costituito da varie frazioni. — Dueville, frazione principale, è 
una grossa, bella borgata di oltre 2000 abitanti (57 metri sul mare e chilometri 9 da 
Vicenza), attraversata dalla strada provinciale che da Vicenza va a Marostica, e dalla 
linea ferroviaria Vicenza-Schio. Ha bellissimi edifizi, in gran parte moderni, ed una 
ricca chiesa parrocchiale. Notevole nelle vicinanze del capoluogo la villa Da Porto. 

Il territorio di Dueville è assai fertile: dà cereali d'ogni specie, foraggi, gelsi, 
frutta, ortaggi in quantità. L'industria manifatturiera vi è rappresentata da un canapi* 
ficio, da una cartiera; vi sono inoltre fabbriche d'olio dai semi oleosi, uno stabilimento 
per la pilatura del riso, una tintoria ed altre industrie di minor conto. 



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Mandamenti e Comuni del Distretto di Vicenza 247 

f ■ ■ ■ 

Cenno storico. — Dueville è luogo assai antico. Nel suo territorio vennero a più 
riprese scayate pietre ed oggetti del periodo romano. Forse, trovandosi su una delle 
vie che conducevano ai passi delle Alpi, fu stazione di sedentari. Nel medioevo fu sog- 
getto alle burrascose vicende del Comune di Vicenza; vi dominarono, come feudatari, 
gli Scaligeri, i Vivaro ed altri. Colla signoria veneta cessarono le infeudazioni. 
Coli, elett. e Dioc. Vicenza — P', T. e Str. ferr. 

Gambugliano (2075 ab.). — Questo Comune, di carattere affatto rurale, si stende 
sui colli a nord-ovest di Vicenza, che dividono la valle dell'Agno da quella del Bac- 
chiglione. È bagnato dal torrentello Valdiezza. Nulla di notevole presentano le sparse 
frazioni di questo Comune, di cui la principale, Gambugliano (133 m. sul mare e 
chilometri 1 1 da Vicenza), conta poco più di 600 abitanti. 

Nelle vicinanze di Gambugliano, in frazione di Monteviale, si riscontrano delle 
stratificazioni di lignite e di scisto bituminoso; esse sono coltivate in quattro profonde 
gallerie. Il prodotto di questa miniera è di circa 1500 tonnellate all'anno di combusti- 
bile che viene utilizzato nelle fabbriche di Vicenza e di Schio. In tale miniera lavora 
una ventina di operai. Le gallerie si intemano assai nel cuore della montagna. Il mate- 
riale estratto è portato all'imboccatura della galleria principale mediante vagoncini 
Decauville, e di là, mediante un apparato funicolare, mandato a valle. 

Il territorio di Gambugliano, assai fertile, dà cereali, foraggi, ortaglie, viti, gelsi. 
Vi si alleva bestiame da cortile, ed è pure importante la produzione dei bozzoli. 

Coli, elett. Schio — Dioc. Vicenia — P' locale, T. e Str. ferr. a Tavernelle (fraz. di Altavilla). 

Grisignano di Zocco (2060 ab.). — Si trova questo Comune, che già appartenne 
al soppresso mandamento giudiziario di Camisano Vicentino, nella parte bassa della 
provincia, al sud-est di Vicenza, ed è attraversato dalla grande strada provinciale 
che da questa città va a Padova. Il Comune è frazionato; il capoluogo (23 m. sul 
mare e chilometri 15 da Vicenza) è un discreto villaggio sul rivo Tesinella, di oltre 
500 abitanti. Notevole nelle sue vicinanze Tantico ponte ad un solo arco dello Zocco. 

Il territorio, fertilissimo e ben coltivato, dà cereali, foraggi, gelsi, viti e frutta. Vi 
si alleva molto bestiame da stalla e da cortile. Altre industrie nel Comune sono una 
fornace per laterizi, una fabbrica d'olio, una pilatura pel riso, una segheria da legnami 
e diversi caseifici. 

Coli, elett. Marostica — Dioc. Padova- Vicenza — P^ a Vicenza, T. e Str. ferr. a Pojana. 

Grumolo delle Abbadesse (2174 ab.). — Questo Comune, già facente parte del sop- 
presso mandamento di Camisano Vicentino, si stende al sud-est di Vicenza, in aperta 
pianura. È Comune essenzialmente rurale, frazionato. — Il capoluogo, Grumolo (m. 30 
sul mare e chilometri 10 da Vicenza), è un discreto villaggio, con edifizi moderni e di 
bella apparenza. Conta circa 1000 abitanti. 

Il territorio, fertile ed irriguo, dà copiosamente cereali, foraggi, gelsi e viti. L'al- 
levamento del bestiame e dei bachi da seta è l'industria principale del luogo in sus^ 
sidio all'agricoltura. Nel Comune trovasi pure una fornace per la fabbricazione dei 
laterizi, una fabbrica di carri e carrozze e varie fabbriche di olio di lino. 
CoU. elett. Marostica — Dioc. Vicenza — P* locale, T. e Str. ferr. a Lerino. 

Isola di Malo (4178 ab.). — Il territorio di questo importante Comune si stende 
a nord-ovest di Vicenza, ed è attraversato dalla grande strada postale che da Vicenza 
per Schio va a Rovereto nel Trentino, sulla destra del Timonchio e attraversato dal 
torrente Orolo. È Comune assai frazionato, ed Isola di Malo, frazione capoluogo (m. 80 
sul mare e chilometri 12 da Vicenza), è un grosso borgo di quasi 2000 abitanti. 

L'agricoltura vi è fiorente, ed il suolo, coltivato con somma cura, razionalmente, 
dà cereali, foraggi, viti, frutta, ortaggi. L'allevamento dei bachi da seta è la maggiore 



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248 Pt^i*'^ Prima — Alta Italia 



delle industrie locali sussidianti Tagrìcoltura, ed importante 7i è pure rallevamento 
del bestiame da stalla e da cortile. 

GoU. elett. Schio — Dioe. Vicenza — P* locale, T. e Str. ferr. a DueTÌlle. 

Longare (3203 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende a sud di Vicenza, 
alle falde orientali dei colli Berici, bagnato dal Bacchiglione e dal Bisatto, canale 
bellissimo derivato dal primo. Nel territorio di Longare il Bisatto è attraversato da 
tre ponti nelle tre frazioni maggiori del Comune: Longare, Costozza e Lumignano. 
— Longare (29 m. sul mare e chilometri 9 a sud-est da Vicenza), capoluogo, è un bel 
borgo di 1269 abitanti, in amena posizione, alle falde dei Berici. Ha una bella chiesa 
parrocchiale, ed i suoi dintorni sono disseminati da graziose villette. Ridente villaggio 
è pure la frazione di Costozza, con 1232 abitanti, nelle cui vicinanze, entro i fianchi 
del monte Berico, si aprono grotte vaste e profonde. Tali grotte servirono a più 
riprese di ricovero all'uomo ; e in replicati scavi, specialmente in quella detta di Covalo, 
Cogolo della Guerra, si rinvennero avanzi umani e suppellettili. 

Il suolo, fertilissimo, dà cereali, foraggi, ma soprattutto viti, gelsi, frutta ed ortaggi. 
Notevole è Pallevamento degli animali da cortile e dei bachi da seta, quest*ultimo 
costituente una delle maggiori industrie agrarie locali. 

Cenno storico. — Il nome di Longare ricorre di frequente nei fasti guerreschi del 
Comune di Vicenza, oggetto di contrasto coi Comuni rivali di Verona e di Padova, coi 
feudatari della regione, gli Ezzelino ed i San Bonifacio in ispecie. Durante la guerra 
contro Venezia, provocata dalla Lega di Cambrai, nel 1511, scorrazzando le truppe del- 
l'imperatore Massimiliano in questa regione, e commettendovi ogni sorta di eccessi 
ed iniquità, molti abitanti di Longare e di altri luoghi vicini, si sottraevano a quel 
flagello nascondendosi nelle grotte di Costozza. 

Coli, elett. Marostica — Dioc. Vicenza — P* locale, T. e Str. ferr. a Lerino. 

Hontecchio Maggiore (6231 ab.). — Si stende questo cospicuo Comune ad ovest 
di Vicenza presso allo sbocco della valle dell'Agno, di fronte al gruppo dei colli 
Berici e sulle prime colline prealpine. La situazione non potrebbe essere più ridente, 
né più pittoresca. Il territorio è attraversato dal torrente 6uà e dalla strada provin- 
ciale da Vicenza a Verona. — Montecchio, capoluogo del Comune (75 m. sul mare e 
chilometri 12 a sud-ovest da Vicenza), è una grossa e nobile borgata, d'oltre 4000 abi- 
tanti, una vera piccola città, nella quale abbondano gli edifizi moderni di buona 
architettura, sia pubblici che privati. Poderosi ancora i due castelli Scaligeri, di 
Bellaguardia e della Valle, dominanti il paesaggio, costrutti nel 1315, e come i 
loro coetanei, in questa e nella vicina provincia di Verona, riconoscibili per la loro 
merlatura ghibellina. Sono ancora abbastanza bene conservati. Da ricordarsi è pure la 
casa Gualdo, su cui una iscrizione ricorda il soggiorno ivi fattovi per qualche giorno 
dall'onnipotente Carlo V. Notevole è la chiesa prepositurale, di antiche tradizioni e 
di buona architettura, sussidiata da oratorii non mancanti di pregio. I dintorni di 
Montecchio sono cosparsi di belle villeggiature. 

Il territorio, fertilissimo e lavorato con ogni cura razionalmente, dà cereali, foraggi, 
legumi, vini eccellenti, gelsi, ortaggi e frutta di ogni specie, di cui si fa abbondante 
esportazione. L'allevamento dei bachi da seta è industria fiorente del luogo: come 
pure è importante l'allevamento del bestiame da cortile. Altre industrie sono: una 
filanda per la seta, una fabbrica di cordami, una fornace per la fabbricazione della 
calce, l'estrazione della lignite da un vicino giacimento e delle pietre da costruzione 
da varie cave, la lavorazione del rame e la macinazione dei cereali. 

Cenno storico. — Montecchio Maggiore è indubbiamente luogo antichissimo, di 
cui si trovano menzioni nei documenti più antichi dei Comuni e delle curie vescovili 
di Vicenza e di Verona. L'architettura delle fondamenta dei castelli, il nome di 



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Mandamenti e Comuni del Distretto di Vicenza ^9 



Mondeo {Mons Dei) del monte che chiude a nord il paese, le monete imperiali e le 
lapidi scoperte con la demolizione della vecchia chiesa, dimostrano validamente la 
origine romana del paese. Esso contende a Montecchio Precalcino la rinomanza di 
essere stato culla di quella potente famiglia feudale dei Montecchi, che tanta parte 
ebbe nelle vicende fortunose dei secoli XII e XIII in Verona e Vicenza e dalla 
quale sarebbe uscito Teroe del gentil dramma d'amore cui il genio di Shakespeare 
rese immortale. Montecchio fu oggetto sovente delle lotte e dei contrasti tra Verona 
e Vicenza; fu dominio degli Scaligeri: quando questi nella prima metà del secolo XIV 
toccarono il massimo della loro potenza, tennero Tegemonia su tutta la regione; 
subì altre infeudazioni, e non trovò pace, sicura e proficua, se non dopo che fece 
parte dello Stato di terraferma della Serenissima. 

Coli, elett. e Dice. Vicenza — P', T. e Str. ferr. a Tavernelle, Tr. locale. 

Montecchio Precalcino (2S684 ab.). — Questo Comune, piccolo ma assai frazionato, 
si trova a nord di Vicenza, allo sbocco della valle delPAstico — dal cui corso è lambito 
a levante — nella pianura vicentina. Il capoluogo del Comune (89 m. sul mare e chilo- 
metri 12 da Vicenza) è un grazioso paese stendentesi ai piedi di pittoresca collina, 
sulla destra dell' Astice. Montecchio Precalcino ha edifizi in gran parte moderni, di 
bella apparenza, con una ricca chiesa parrocchiale. Nei suoi dintorni sonvi numerose 
ville, delle quali, fra tutte, va ricordata la sontuosa villa Bonin-Nievo, rimodernata con 
vero gusto d'arte dall'architetto Cairati di Milano. 

Il territorio di Montecchio Precalcino è fertilissimo: dà cereali, foraggi, viti, gelsi 
e frutta d'ogni specie. L'allevamento dei bachi da seta è l'industria di maggior sus- 
sidio all'agricoltura esercitata in questo Comune. 

Cenno storico. — Montecchio Precalcino, o Minore, come altra volta fu detto, è 
luogo di antica rinomanza. Si vuole che quivi avesse orìgine la famiglia feudale 
dei Montecchi, celebre nei fasti medioevali della regione. Seguì poi le vicende del 
Comune di Vicenza. Durante la campagna francese del 1796 e la guerra del 1848, 
occupato più volte dalle truppe belligeranti, ebbe a subire danni e devastazioni. 
CoU, elett Marostica — Dioc. Vicenza — P', T. e Slr. ferr, a Dueville. 

Hontegalda (2496 ab.). — Questo Comune, già appartenente al soppresso manda- 
mento giudiziario di Camisano Vicentino, si stende nella parte bassa della provincia, 
alla sinistra del Bacchigliene. Il Comune è alquanto frazionato. — Montegalda, capo- 
luogo, è un notevole borgo di oltre 1700 abitanti, a 16 chilometri da Vicenza, addossato 
in parte ad un piccolo colle isolato, sulla cui sommità (75 m. sul mare) spicca l'antica 
rocca di Montegalda (forse Monte Guardia), assai bene conservata e certo fra le più 
caratteristiche della regione. Il paese ha begli edifizi moderni, una chiesa parrocchiale 
vasta e di buona architettura ; ed i suoi dintorni sono disseminati di ridenti ville. 

Il territorio, fertilissimo e bene coltivato, produce cereali, viti, gelsi, frutta e 
ortaglie. L'allevamento dei bachi da seta è quivi industria assai proficua. 

Cenno storico. — Vuoisi che Montegalda sia uno dei luoghi più antichi della regione 
e già prosperoso nel periodo romano. Nel medioevo era soggetto ai Maltraversi, quando 
signoreggiarono Vicenza, e, questi cacciati, passò in potestà del Comune di Vicenza, 
che dovette difenderlo dagli assalti dei Padovani. Nel 1256 Ezzelino da Romano, fattosi 
signore di Padova, continuando nella sua guerra di conquista nel Veneto, se ne impa- 
dronì, ad onta della resistenza dei Vicentini. Morto il tiranno, nel rapido disfacimento 
della male acquistata sua potenza, i Padovani non vollero — malgrado i reclami dei 
Vicentini — restituirlo. Can Grande della Scala troncò la questione, togliendolo ai 
Padovani e tenendolo per sé, come signore di Vicenza. Dopo seguì sempre le sorti 
di Vicenza, colla quale passò nel dominio della Repubblica di Venezia. 

Coli, elett. Marostica — Dioc, Padova-Vicenza — P* locale, T. e Str. ferr. a Pojana. 

71 — litt Patria, voi. I, parte 2*. 



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250 P*rte Prima ~ Alta Italia 



Hontegaldella (1696 ab.). — Anche questo Comune apparteneva al soppresso 
mandamento giudiziario di Gamisano Vicentino. Il suo territorio si stende in pianura, 
ad ovest del precedente, dal quale lo divide il ccrrso del Bacchigliene, sulla coi riva 
destra trovasi il capoluogo (23 metri sul mare e chilometri 17 da Vicenza). È Comune 
essenzialmente rurale e frazionato. 

Il territorio, fertile e coltivato con cura, dà cereali, foraggi, gelsi e viti. Vi si alleva 
bestiame da stalla e da cortile, che in parte si esporta. L'allevamento dei bachi da 
seta è industria praticata in ogni fattoria. 

Coli, eletl. Marostica — Dioc. Padova — P* 6 T. locali, Str. ferr. a Pojana. 

Honticello Conte Otto (1997 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende in 
aperta pianura, al nord di Vicenza, tra il Timonchio e TAstico. Il capoluogo (4i2 m. sul 
mare e chilometri 6 a nord-ovest da Vicenza) è un grazioso ed industre paese di carat- 
tere affatto moderno, con begli edifizi. Nei dintorni, graziose casioe di campagna. 

Il suolo, ben coltivato, irrìguo ed assai fertile dà cereali o foraggi in gran copia, 
viti, gelsi, frutta, ortaggi. Importante vi è Tallevamento del bestiame da stalla e da 
cortile. Altre industrie del luogo sono la fabbricazione delle ceramiche, in un grande 
stabilimento della Società ceramica cooperativa locale, che dà ottimi prodotti, sia in 
maioliche di lusso ed artistiche, che d'uso comune; la lavorazione della canapa e del 
lino nel canapificio Roi, la macinazione dei cereali, ecc. 

CoU. elelt. Marostica — Dioc. Vicenza -— P* e Slr. ferr. locali, T. a Vicenza. 

Quinto Vicentino (2060 ab.). — Il territorio di questo Comune, attraversato dal 
torrente Tesina, si stende ad oriente di Vicenza, a mezzodì della strada che da questa 
città conduce a Treviso. Il capoluogo è un discreto villaggio a 32 metri sul mare e 
cinque miglia precise da Vicenza (chilometri 7,50), donde vuoisi gli sia venuto il nome. 
Notevole, nella frazione Lanzè, il monumento eretto a Giuseppe Capparozzo, poeta 
gentile e sommo nelPapologo e neirepigramma. 

Il Comune di Quinto Vicentino è essenzialmente agricolo, ed il suo territorio, 
coltivato con molta cura, dà cereali, foraggi, viti, gelsi, legumi, frutta. L'allevamento 
del bestiame da stalla e da cortile è Tindustria di maggior sussidio airagricoltura. 
Coli, eletl. Marostica — Dioc. Vicenza — P*, T. e Str. ferr. a Vicenza. 

Sovizzo (2078 ab.). — II territorio di questo Comune si stende in amenissima 
posizione, alle falde dei colli prealpini che sono ad occidente di Vicenza, poco lungi 
dalla strada da questa città per Verona. — Sovizzo, capoluogo del Comune (48 m. sul 
mare e chilometri 8 da Vicenza) è un discreto paese di carattere affatto moderno, 
ma che nulla offre di interessante al visitatore. Al capoluogo va unita la frazione di 
Montemezzo, che conta oltre 500 abitanti. 

Prodotti del suolo fertilissimo e razionalmente coltivato: cereali, foraggi, gelsi, viti, 
ortaggi, frutta. L'allevamento del bestiame da stalla e da cprtile e la produzione dei 
bozzoli sono quivi industrie fiorenti. 

Coli, elett. e Dioc. Vicenza — P*, T. e Str. ferr. a Tavernelle. 

Torri di Quartesolo (2383 ab.). ~ Questo Comune si stende in pianura, a sud-est 
di Vicenza, attraversato dalla strada da questa città a Padova e dal torrente Tesina. 
È Comune essenzialmente rurale e frazionato. Il suo capoluogo è un grazioso paese 
sulla strada suddetta, a chilometri 6 da Vicenza, e 31 m. sul mare, con oltre 700 abi- 
tanti. Alcune ville dei signori di Vicenza sono sparse in questo Comune. 

Prodotti del suolo ubertosissimo : cereali, viti e gelsi. Notevole Tallevamento del 
bestiame, sì da stalla che da cortile, e la produzione dei bozzoli. 

Coli, elett. Marostica — Dioc. Vicenza — P* locale, T. e Str. ferr. nella frazione Lerino. 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Arzignano J251 



U. — Distretto e Nandamento di ARZIGNANO 

Questo distretto amministrativo, che è pure mandamento giudiziario nel circolo del 
Tribunale civile e penale di Vicenza, occupa un territorio assai irregolarmente frasta- 
gliato, alla estremità occidentale della provincia, nella valle del Chiampo, confluente 
delFAlpone, e quindi appartenente in gran parte al bacino dell* Adige. Esso confina, 
per una linea assai capricciosa, creata più che da ragioni geografiche da consuetudini 
locali: a nord-est, col distretto di Valdagno; ad est, con quello di Vicenza; a sud, col 
distretto di Lonigo e colla provincia di Verona; ad ovest, ancora colla provincia di Verona. 

Il distretto di Arzignano si stende su territorio in gran parte montuoso, costituito 
dalle ultime diramazioni, verso il piano, dei Lessini e dal gruppo del monte Tre CrocL 
Bagnano questo territorio numerosi rivi e torrentelli, appartenenti al bacino idrografico 
dell'Adige, i maggiori fra i quali sono TAlpone, il Chiampo ed in parte anche TAgno o 
Guà. Percorrono il distretto varie strade comunali e la provinciale Arzignano-Vicenza, 
nella quale corre anche una linea tramviaria a vapore. 

Il distretto di Arzignano, regione essenzialmente agricola, ha una estensione di 
153 chilometri quadrati ed una popolazione di 29.150 abitanti, secondo il censimento 
del 10 febbraio 1901. Dipendono da questo distretto amministrativo, che è anche capo- 
luogo di mandamento, nove Comuni, cioè : Arzignano, Altissimo, Chiampo, Crespadoro, 
Montorso Vicentino, Nogarole Vicentino, San Giovanni Ilarione, San Pietro Mussoline, 
Zermeghedo. 

Arzignano (10.312 ab.). — Il territorio di questo Comune, nella parte meridionale 
del distretto, si stende parte in piano, allo sbocco della bella vallata formante la maggior 
parte del distretto, e parte sulle circostanti colline. Esso consta 
di nove frazioni : una, Arzignano, capoluogo, sulla sinistra del 
Chiampo, a 116 m. sul mare e chilometri 18 a ponente da 
Vicenza, è una grossa borgata di oltre 4600 abitanti, avente 
tutti i vantaggi e le qualità di una piccola città. Vie larghe, 
moderne, fiancheggiate da begli edifizi di buona architettura, 
taluno dei quali di parvenza veramente signorile, tre ampie 
piazze, nei giorni del mercato popolatissime. Il paese si stende 
dal piano al dosso della collina, in modo assai pittoresco. Nella 
parte alta, notevole la chiesa parrocchiale, di bella architettura 
rimodernata e gli avanzi del castello a merlatura ghibellina, quale fu ricostrutto, nel 
secolo XIV, a guisa di tanti altri nel Veneto, dagli Scaligeri. Altra chiesa parroc- 
chiale, pur essa ampia e di bella architettura, trovasi nella parte piana di Arzignano. 
In Arzignano vi sono scuole pubbliche di vario grado, istituti di pubblica beneficenza, 
un ospedale per gli infermi poveri, associazioni educative, ginnastiche, operaie, agri- 
cole, filarmoniche e filodrammatiche, il Comizio agrario, le cucine economiche, il teatro. 
Il territorio di Arzignano, fertilissimo, coltivato con molta cura, produce cereali, 
foraggi, gelsi, viti, legumi, frutta in grande quantità ed ortaggi. L'allevamento del 
bestiame da cortile, in particolar modo destinato allesportazìone nei grandi centri di 
consumo, è industria di grande sussidio all'agricoltura. Importante è pure in questo 
Comune la produzione dei bozzoli. Fra le industrie del luogo tiene il primato la filatura 
della seta esercitata in 20 opifici, dei quali 14 con caldaie a vapore e 4 altri a fuoco 
diretto, impieganti circa 400 operaie ; poi vi sono filande per la lana, concierie di pelli, 
delle quali una importantissima; due segherie per legnami, vari molini per la maci- 
nazione dei cereali ed un importante impianto di energia elettrica. 




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252 Parte Prima - Alta Italia 



Cenno storico. — Arzignano è luogo antico, del quale si trovano notizie fin dal 
periodo feudale. Nel periodo dei Comuni fd contrastato a Vicenza dai Veronesi e dai 
signori di San Bonifacio. Più tardi, quando stesero su tutto il Veneto il loro domìnio, 
se ne impossessarono gli Scaligeri. Al cadere della fortuna di questi, passò con Vicenza 
sotto il dominio tollerante e riparatore della Repubblica di Venezia. Durante le vicende 
del 1848, Arzignano ebbe a subire non poche molestie per le occupazioni e le rappre- 
saglie delle truppe austriache. 

Ck)Il. elett. Valdagno — Dìoc. Vicenza — P*, T. e Tr. locali, Str. ferr. a Montebello. 

Altissimo (2274 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte più 
interna ed elevata del mandamento, fra le valli delFAgno e del Chiampo. Il capoluogo 
del Comune, Altissimo, è un bel paesetto di oltre 500 abitanti, a 672 m. sul livello del 
mare e chilometri 15 da Arzignano, in posizione assai pittoresca, contornata da un 
magnifico semicerchio di alte montagne. Le altre frazioni del Comune sono villaggi 
sparsi per la montagna, di pochissima importanza. 

II territorio di Altissimo dà cereali, viti, gelsi, legumi, foraggi, frutta. Non vi 
mancano boscaglie cedue e di alto fusto, da cui si trae legname da ardere e da lavoro. 
Coli, elett. Valdagno — Dioc. Vicenza — P' locale. T. e Str. ferr. a Valdagno. 

Chiampo (4544 ab.). — Questo Comune si trova nella parte media della vallata 
del Chiampo, dal cui torrente è bagnato e prende nome. — Chiampo, capoluogo del 
Comune (170 m. sul mare e chilometri 5 da Arzignano), è una grossa e bella borgata 
di oltre 1000 abitanti, di aspetto moderno, con edifizi signorili e di buona architettura. 
Da ricordarsi la chiesa parrocchiale, ampia e bene arredata. Le altre frazioni del 
Comune sono piccoli villaggi sparsi per le circostanti colline. 

Il territorio di Chiampo, fertilissimo, si presta ad ogni coltura. Produce cereali, 
foraggi, viti, gelsi, castagne, frutta e ortaglie. Vi si alleva bestiame da cortile per 
Tesportazione, e ricca vi è pure la produzione dei bozzoli. Industrie del luogo : la 
trattura della seta, esercitata in un importante opificio e in due minori ; la escavazione 
della lignite e dei marmi colorati ; la macinazione dei cereali e la lavorazione del rame. 
Con. elett. Valdagno — Dioc. Vicenza — P* locale, T. e Tr. ad Arzignano, 
Str. ferr. a Montebello. 

Crespadoro (2586 ab.). — Questo Comune, nella parte più elevata del distretto, di 
carattere affatto rurale, consta di piccole frazioni sparse per la pittoresca vallata del 
Chiampo. Nulla havvi di notevole nel capoluogo (363 m. sul mare e chilometri 15 da 
Arzignano), nel quale peraltro Tedilìzìa è abbastanza curata e moderna. 

Il territorio di Crespadoro, fertilissimo, produce cereali e foracgi in quantità, viti, 
gelsi, frutta e ortaglie. L'allevamento dei bestiame da stalla e da cortile, la produ- 
zione dei bozzoli e dei latticini sono le sole industrie di sussidio all'agricoltura, base 
dell'economia locale. 

Coli, elett. Valdagno — Dioc. Vicenza — P* locale, T. e Tr. ad Arzignano, 
Str. ferr. a Montebello. 

Hontorso Vicentino (2135 ab.). — Il territorio di questo Comune si trova nella 
parte meridionale del distretto, sulle colline che limitano a destra e a sinistra la valle 
del Chiampo. È Comune assai frazionato e di carattere essenzialmente rurale. — Mon- 
torso, capoluogo del Comune (118 m. sul mare e chilometri 4 a sud-est da Arzignano), è 
un discreto paese di circa 600 abitanti, in pittoresca posizione disseminata da belle 
villeggiature. Nulla havvi degno di speciale nota. 

Il suolo, assai fertile, dà cereali, foraggi, viti, gelsi, legumi, frutta, ortaglie. Vi si 
alleva bestiame da stalla e da cortile, ed importante vi è la produzione dei bozzolL 

Coli, elett. Valdagno — Dioc. Vicenza — P*, T. e Tr. ad Arzignano. Str. ferr. a Montebello. 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Asiago ì253 



Nogarole Vicentino (1267 ab.). — Si stende questo Comune nella parte medfa del 

distretto, sulla sinistra della valle del Chiampo. È Comune essenzialmente rurale, e 

nulla hawi in esso di notevole, per quanto il capoluogo, Nogarole (567 m. sul mare e 

chilometri 6 a nord-ovest da Arzignano), sia un discreto paese in pittoresca posizione. 

n territorio, fertilissimo, dà cereali, foraggi, viti, gelsi, castagne, frutta, ortaglie. 

Nessuna industria in luogo, airinfuori di quelle strettamente attinenti all'agricoltura. 

Coli, elett. Valdagno — Dioc Vicenxa — P* a Chiampo, T. e Tr. ad ArzignaDO, 

Str. ferr. a Montebello. 

San Giovanni Ilarione (4540 ab.). — Si stende il territorio di questo vasto Comune 
nella parte occidentale del distretto, e fa confine alla provincia di Vicenza con quella 
di Verona. È attraversato dal torrente Alpone, tributario dell'Adige e scendente dai 
non lontani monti Lessini. — San Giovanni Ilarione, capoluogo del Comune (175 m. sul 
mare e chilometri 10 a ponente da Arzignano), è un bel paesetto in amenissima posi- 
zione, dotato di edifizi moderni e di una notevolissima chiesa parrocchiale, ove si con- 
serva un pregevole quadro di Bartolomeo Montagna, uno fra i campioni della scuola 
veneta arcaica. Nei dintorni di San Giovanni Ilarione, non lontano dal celebre monte 
Bolca, si rinvengono fossili, ittioliti di bellissime forme, e sulla strada che conduce 
a Vestena Nuova ed a Bolca, è interessante per i geologi un aggregato colonnare 
consistente in prismi basaltici. 

Il territorio è ricco di viti, il cui abbondante raccolto si vende sui mercati di Arzi- 
gnano, Vicenza e Verona; quivi la vendemmia si protrae oltre il 25 novembre, e ciò 
per la posizione topografica del paese, non soffrendo i freddi invernali. 

GoU. elett. Valdagno — Dioc. Vicenza — P^ T. e Tr. ad Arzignano, Str. ferr. a Montebello. 

San Pietro Hnssolino (852 ab.). — Il territorio di questo piccolo Comune stendesi 
nella parte media del distretto, alla destra del Chiampo. È Comune frazionato ed 
esclusivamente rurale. Nulla di notevole nel capoluogo, pittoresco villaggio, a 250 metri 
sul mare e chilometri 10 a nord-ovest da Arzignano. 

Il territorio, assai fertile, dà cereali, viti, gelsi, castagne. Industrie sussidiarie 
alFagricoltura: l'allevamento del bestiame da cortile e dei bachi da seta. 

Coli, elett Valdagno — Dioc. Vicenza —. P*, T. e Tr. ad Arzignano, Str. ferr. a Montebello. 

Zermeghedo (640 ab.). — Il territorio di questo piccolo Comune si trova nella parte 
più bassa del distretto, presso il confine del medesimo con quello di Lonigo. Il villaggio 
capoluogo dista 6 chilometri a sud-est da Arzignano ed è a 84 metri sul mare, poco 
lungi dalla destra del Chiampo. È Comune essenzialmente rurale. 

Il suolo, follile e coltivato con molta cura, dà cereali, foraggi, viti, gelsi, frutta, 
ortaglie. Industrie del luogo: l'allevamento del bestiame da cortile e la produzione 
dei bozzoli. 

GolL elett. Valdagno — Dioc. Vicenza — P' ad Arzignano, T. e Str. ferr. a Montebello. 



III. — Dislretto e Nandamento dì ASIAGO 

Il distretto di Asiago, che è senza dubbio una delle più tipiche regioni delle 
prealpi vicentine, trovasi fra T Astice e il Brenta, e consta di un altipiano, o grande 
vallone quasi circolare, chiuso tutto airintorno da alte cime, alFaltezza media dai 900 
ai 1000 metri, conosciuto anticamente, ed ancora oggi, colPappellativo di altipiano dei 
Sette Comuni. Il distretto di Asiago occupa la parte più settentrionale della provincia 
di Vicenza, e confina: al nord, per una serie di alte cime, col Trentino, appartenente 
all'Impero Austro-Ungarico; ad est, per breve tratto colla provincia di Belluno e 



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254 Parte Prima — Alta Italia 



quindi coi distretti di Bassano e di Marostica; a sud e sud-ovest, coi distretti di 
Marostica e di Thiene; ad ovest, col distretto di Schio. Ha una superficie di 452 chilo- 
metri quadrati, sicché, dopo il distretto del capoluogo della provincia, è quello che si 
estende su maggior estensione di territorio. 

Interessantissimo è dal lato orografico e geologico il distretto di Asiago. Come 
abbiamo detto, esso consta di una grande conca, una specie di avvallamento, fra un 
contorno di alte cime, delle quali nel semicerchio settentrionale, ricorderemo: il Coston 
d'Arsiero (1779 m.), la cima Mandriola (2051 m.), la cima Dodici (2341 m.), la cima 
Undici (2228 m.), la cima della Caldiera (1916 m.), e, nel semicerchio inferiore o meri- 
dionale, il monte Sunio (1276 m.), il monte Bertiaga (1358 m.), il monte Nuovo 
(1329 m.). Neirintemo deiraltipiano dei Sette Comuni si elevano varie cime, contraf- 
forti delle precedenti montagne, tra le quali ricorderemo il monte Verena (2019 m ), 
il Civello (1705 m.), l'Erio (1628 m.), il Moietta di Gallio (1608 m.), ed altre minori. 

Il distretto di Asiago è percorso da una quantità di correnti scendenti, per stretti 
ed aprichi valloncelli, dalle alte circostanti cime, in gran parte dell'anno sempre nevose. 
Raccoglie la maggior parte di queste acque TAssa, scaricatore principale della regione, 
che per un letto ristretto, assai tormentato e tortuoso, con belle cascate e sbalzi, dopo 
una gran pioggia o quando d'improvviso sciolgono le nevi, va ad unirsi all'Astice, il 
rapido fiume della valle d'Arsiero. Corsi minori si dirigono al Brenta verso levante. 

Il distretto di Asiago, nel passato pressoché chiuso nei suoi monti, e quasi inac- 
cessibile, é percorso oggi dalla bella strada provinciale che da Vicenza, per Thiene, 
la valle dell'Astice e poscia quella dell' Assa, sale fra strette gole e dirupi, con infi- 
niti risvolti, ad Asiago. A questa strada si congiungono in parte le comunali dell'al- 
tipiano e la bellissima strada nazionale, che dalla localitjà di Forni (valle deir Astice) 
per Lavarone, e Folgaria, scende fino a Rovereto. Questa strada alpestre, che è delle 
più pittoresche, è frequentatissima nella bella stagione da touristes di ogni paese, ed 
è percorsa anche da corriere postali quadrisettimanali. 

Il territorio di Asiago, data l'altitudine sua, per la sua conformazione orografica, 
per la sua costituzione geologica, non può essere di grande fertilità. Nondimeno vi 
sono parti coltivate a segala, frumento, legumi, patate, oitaglie. Magnifici poi i prati 
naturali, i pascoli e le estese boscaglie di corri, di faggi, di larici e abeti. 

Il distretto di Asiago ha una popolazione di 26.009 abitanti (censimento 10 feb- 
braio 1901) e comprende i sette Comuni seguenti: Asiago, Enego, Foza, Gallio, 
Lusiana, Roana, Rotzo. Questi Comuni formano anche il mandamento giudiziario di 
Asiago, dipendente dal Tribunale di Bassano, nella circoscrizione della Corte d'appello 
di Venezia. 

Asiago (6128 ab.). — È il Comune capoluogo del distretto e del mandamento, ed 
era la minuscola capitale di quella che al tempo della Repubblica Veneta fu detta la 
Reggenza dei Sette Comuni. — Il paese d'Asiago sorge quasi al 
centro di quella vasta conca che è detta l'altipiano di Asiago, a 
999 m. sul livello del mare e 36 chilometri (in linea retta) a nord 
preciso da Vicenza, e oltre 50 per la carrozzabile. Ancora una 
ventina d'anni fa, Asiago era un paese alpestre in tutta l'esten- 
sione della parola, nel quale le case di civile apparenza e di 
architettura moderna si potevano contare sulle dita. Da alcuni 
anni, sia per l'apertura di migliori comunicazioni con Vicenza, 
Bassano ed il Trentino, sia per la costruzione delle strade comu- 
nali nel distretto, e per la sempre crescente afluenza di touristes 
e villeggianti nella stagione propizia, attratti dalla magnificenza dei luoghi, dalla fre- 
scura, dall'aria balsamica che vi si respira, Asiago è entrato in un periodo di vera 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Asiago ^5 



trasformazione, di completo rimodernamento. Sonò andate mano a mano scomparendo 
le case rustiche senza intonaco ed affumicate di dentro e di fuori, le case di legname, 
per dar luogo alle case di aspetto civile, gaiamente dipinte e con tutte le comodità 
della vita moderna. Alle coperture dei tetti in paglia ed in Beandole, cioè assicelle 
di legno, sono succedute le coperture con tegole e laterizi. Alle vecchie, fumose 
osterie si sostituiscono gli eleganti e puliti alberghetti alpini, i caffè e le birrarie. É un 
alito di vita moderna ed italiana penetrato nell'altipiano di Asiago, che ha mutato 
natura e linguaggio anche agli abitatori di quella antica oasi teutonica, rimasta intatta 
fra le prealpi vicentine per parecchi secoli. 

Monumento maggiore di Asiago è la chiesa parrocchiale arcipretale, di architettura 
e proporzioni grandiose, costruita nel 1870. Ha statue e bassorilievi del Marinali, 
una pala di Francesco da Ponte il Vecchio, bassanese, proveniente dairantica chiesa 
ed assai pregevole; dipinti ad affresco del Pasquotti di Schio, riuscitissimi, rappre- 
sentanti gli Evangelisti ed i Profeti^ e due gran quadri dello stesso autore rappre- 
sentanti La rogazione e la traslazione delle ceneri della beata Bonomo. La chiesa 
di Asiago ha antiche origini: dipendeva dalla pieve di Caltrano, ed in orìgine fu 
costruita in legno. Tale costruzione durò fino alla fine del secolo XIV. Alto, slanciato, 
visibile a grande distanza è il campanile di Asiago, dotato d*un armonioso concerto 
di campane, fuse dal Cavadini di Verona, il cui suono si spande sovente, con infinita 
poesia, per Tampio altipiano. 

Interessante per lo studioso è il piccolo Museo preistorico, archeologico e di storia 
naturale della regione, che si trova nella sede del Consorzio dei Sette Comuni. Fu 
raccolto ed ordinato con molta cura dal signor Giuseppe Nalli; e vi si conserva la 
bandiera della Reggenza, colle sette teste rappresentanti i Sette Comuni, donata ad 
Asiago dalla Repubblica di Venezia, per Taiuto che da quei forti e valorosi monta- 
nari ebbe nelle guerre del 1644 e 1669 contro i Turchi; lo stipo antichissimo del- 
l'archivio, ove si conservavano i brevi, i privilegi ed i diplomi dei Sette Comuni; gli 
avanzi di abitazioni preistoriche nella regione, oggetti e ricordi del medioevo. 

Asiago ha buone scuole comunali ed una fiorente società del Tiro a segno, esercizio 
al quale quei montanari sono appassionatissimi. 

Il territorio di Asiago, relativamente fertile, dà cereali, legumi, patate, frutta; 
grandiosi i pascoli e le boscaglie del Comune. L'allevamento del bestiame bovino è 
l'industria di maggiore importanza del luogo, perocché, oltre l'esportazione di ottime 
e ricercate carni da macello, è fiorente nel territorio di Asiago l'industria del casei- 
ficio, i cui prodotti, in burro, formaggi, ricotte, si consumano nelle vicine città del 
Veneto e talvolta anche a Rovereto ed a Trento. Altra industria importante è la 
lavorazione in luogo del legno di faggio e di abete per la fabbricazione di mastelli e 
strumenti vari per l'industria dei caseifici o per uso domestico, di cucina ed agricolo, 
bottoni ed altro; la fabbricazione del carbone di legno, prodotti tutti che in gran 
parte si esportano dalla regione. Esistono pure in Asiago tre piccole tipografie, tre 
tintorie, molini per la macinazione dei cereali e la pilatura dell'orzo, che si produce 
in luogo, mossi dalle acque del territorio. 

Cenno storico. — È ormai sfatata la leggenda che degli abitanti dell'isola od oasi 
teutonica di Asiago, faceva i discendenti dai Cimbri, che, vinti da Mario nella pia- 
nura tra la Sesia ed il Po e ricacciati verso le Alpi, si sarebbero con taluna delle loro 
tribà fermati in questi allora ignorati recessi alpini. Recenti studi etnografici e filo- 
logici hanno messe le cose a posto. Se nei più antichi tempi della nostra storia queste 
plaghe alpine e prealpine furono abitate, lo furono, verosimilmente, da quelle stesse 
razze primitive od autoctone che poi si diffusero al piano. L'invasione dei Cimbri e dei 
Teutoni, avvenuta un secolo prima dell'era cristiana, e respinta, o meglio sterminata 
da Mario ai campi Raudii, presso Vercelli, in località tanto distante da questa dei 



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256 I^rte Prima - Alta lUlia 



Sette Comuni del Vicentino e dai Tredici del Veronese, rende ovvia l'ipotesi che 
quella irruzione di barbari in Italia, abbia — per venire dalla Danimarca o dalla Scan- 
dinavia da cui originava — seguito un itinerario ben diverso da quello che avrebbero 
dovuto, se nell'andata o nel ritomo — e furono ben pochi quelli che sfuggirono allo 
esterminio di Mario ed alla schiavitù romana — fossero passati per questi luoghi. Molto 
verosimilmente risalirono la gran valle del Reno, per ridiscendere le Alpi al Gottardo 
od al Sempione, altrimenti non sarebbero andati a battere contro Mario nel Novarese. 

Assai più fondata è l'ipotesi che fa risalire tra il V ed il VI secolo dell'era nostra 
l'occupazione di questa, come di tante altre località delle nostre Alpi e prealpi, da fami- 
glie e tribù teutoniche. Proprio in quel secolo della caduta di Roma si ebbero le mag- 
giori e più durature invasioni di genti teutoniche in Italia; i Goti, soprattutto, invano 
respinti dalla riscossa bisantina, e i Longobardi, costituirono delle vere irruzioni teu- 
toniche in Italia, per le quali la loro razza si affermò e stabilì fra noi, lasciando 
nell'etnografia del nostro paese non indubbie prove ed eredità del suo passaggio. 

A questi teutoni antichi appartengono gli abitatori dell'altipiano di Asiago, seb- 
bene essi, per una certa fierezza atavica amino proclamarsi Cimbri: Birsaint Cimbarn! 
(noi siamo Cimbri). Infatti, il dialetto che i montanari dei Sette Comuni parlavano 
ancora cinquant'anni or sono quasi esclusivamente, e che è detto dambrot^ non è che 
un dialetto a radicali e parole teutoniche, più o meno sformate e corrotte, che nulla 
ha a che fare colla lingua di quel popolo nordico primitivo che furono i Cimbri ; lingua 
della quale non sono rimasti in altri paesi che scarsi rudimenti, come delle lingue 
parlate dagli antichi Celti, dai Veneti, dai Rezi, e da altri popoli cacciati o soggio- 
gati da Roma. É invece storicamente accertato che dalla invasione longobardica sino 
verso il secolo XI, nelle valli dell'Adige e del Brenta era comune la lingua tedesca, e 
ciò si spiega col fatto che le invasioni tedesche in Italia avevano, pressoché senza 
eccezione, seguita quella via principale di comunicazione tra le valli del Danubio 
e del Po. 

La stabilità del regno longobardico e dell'impero degli Ottoni in Italia contribuì 
assai a mantenere questo elemento tedesco in prevalenza sulla via che percorrevano 
re ed imperatori, coi loro eserciti, per scendere in Italia; ma dopo il mille, per le 
mutate condizioni politiche italiane, per la ripresa dell'elemento nazionale sullo stra- 
niero nel periodo dei Comuni, delle repubbliche, delle Signorie, quell'elemento tedesco, 
che aveva occupato alcune valli nostre al di qua delle Alpi andò man mano restrin- 
gendosi, ricacciato verso nord e suir altro versante delle Alpi, talché non vi rimasero 
che pochi gruppi, quasi isolati, in località alte ed inaccesse, come sono appunto queste 
dei Sette Comuni nel Vicentino, dei Tredici Comuni nel Veronese, e di Alagna nella 
parte più internata della vai Sesia. 

All'incontro, é assodato dal rinvenimento del villaggio preistorico di Bostel, presso 
Castelletto, che questa plaga era già abitata nei tempi preromani, e senza dubbio 
da famiglie di quella gente Rezia che allora teneva le Alpi dall'Ortler fino al Tren- 
tino, e contro la quale tanto ebbero a lottare le legioni romane. In quel villaggio, 
di circa 600 casette costruite a secco e con pietre informi, si nota generalmente un 
foro circolare del diametro di un metro, sotto il pavimento, nei quali loculi si rin- 
vennero ossa, cenere, carboni, spilli, fibule, cocci, idoletti dell'era preromana o, meglio, 
anteriore alla conquista romana nella regione. Altri di simili oggetti se ne rinven- 
nero nei pressi di Asiago, di Foza, di Lusiana; monete romane si rinvennero a Gallio, 
al Bostel, a Lambara presso Enego, il che é prova del passaggio e della permanenza 
di Romani in questi luoghi; e le osservazioni antropologiche fatte su crani antichissimi 
rinvenuti nella regione, li attribuiscono al tipo reto-romano, comune in tutta questa 
zona alpina, e derivato dall'incrocio della razza sopravveniente, la romana, colla razza 
.autoctona o indigena, la retica. 



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Mandamento e Comuni dei Distretto di Asiago ^57 



Le prime notizie che si hanno nell'era nostra intorno ai Sette Comuni di Asiago 
risalgono al secolo IX; dal 917 al 1104 ebbe diretto dominio su queste regioni il 
vescovo di Padova, indi passò nel dominio di Vicenza, dal cui Comune dipese lino 
al 1236, anno in cui tutto il territorio vicentino cadde in potere degli Ezzelini, che lo 
tennero fino al 1259. Nel 1^1 si formò la Lega dei Sette Comuni di Asiago, cioè un 
vero staterello autonomo, retto da statuti proprii e protetto da brevi e privilegi che 
quei semplici montanari sapevano procurarsi dai potenti del momento, in cambio del 
riconoscimento di platoniche sovranità. Il governo di questo Stato era semplicissimo. 
Tutti gli anni, nel maggio, in un giorno di festa, il popolo si riuniva in assemblea 
(Landesgemeinde), discuteva gli affari e nominava i reggitori della reggenza. Nel 13:27 
Can Grande I della Scala concedeva ai Sette Comuni il loro territorio in feudo. Gian 
Galeazzo Visconti, nel 1389, mandò quivi un governatore che confermò alla reggenza 
le acquisite immunità. Nel 1404 i Sette Comuni fecero dedizione alla Repubblica di 
Venezia, come loro protettrice, la quale rispettò tutti i loro diritti e privilegi, ed alla 
quale diedero in più occasioni contributo di forti e valorosi soldati e prove non dubbie 
* di fedeltà, specialmente sul principio del secolo XVI, quando al tempo della Lega 
di Cambrai contro Venezia, il loro territorio fu invaso dalle truppe imperiali, alle 
quali essi opposero viva resistenza, punita da saccheggi e devastazioni. La terribile 
peste del 1630, che percorse tutta T Italia superiore, fece strage anche in questa 
regione. La Reggenza dei Sette Comuni durò fino al 1801, anno in cui fu disciolta 
da un decreto del Regno Italico; restò però il comune patrimonio che è amministrato 
da uno speciale Consorzio. 

La Reggenza dei Sette Comuni inalberava uno stendardo suo proprio, con sette 
teste umane simboleggianti le sette Comunità della piccola federazione. Di queste 
solo quella rappresentante il Comune di Rotzo ha lunga barba. Storici accurati dei 
Sette Comuni furono il sacerdote Agostino Dal Pozzo, nel secolo scorso, e nel nostro 
il sacerdote Modesto Bonato. 

Coli. 6l6tt Thione — Dioc. Padova — P" e T. locali, Slr. ferr. ad Argiero. 

Enego (3737 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nelPangolo nord-est 
del distretto, verso il Brenta, la provincia di Belluno ed il distretto di Bassano. Il 
Comune consta d'una quantità di frazioni e cascinali sparsi per la montagna o nel 
fondo delle circostanti valli. — Enego, frazione principale del Comune (circa 20 chi- 
lometri da Asiago), è un paesello salubre e pittoresco assai per la sua posizione, a 
786 metri sul livello del mare, con le rovine di un castello Scaligero. Il territorio di 
Enego è dominato dal monte Lisser (1636 m.), e dal monte Forcellona (1483 m.), sul 
quale passa la linea di confine tra il Regno d'Italia e l'Impero Austro-Ungarico. È assai 
frequentato nell'estate come luogo di villeggiatura, e più lo sarà quando sia com- 
piuta la strada carrozzabile sino alla valle del Brenta, a sostituire la piovega per la 
quale si scende colle slitte. 

Prodotti del suolo: orzo, segala, patate, tabacco, frutta, legname da ardere e da 
lavoro; foraggi, essendovi in ogni parte del Comune bellissimi pascoli. L'allevamento 
del bestiame, la lavorazione dei latticini e la coltivazione del tabacco sono le industrie 
di maggior sussidio all'agricoltura in questo Comune. 

Cenno storico. — Enego è luogo antichissimo. Nei suoi dintorni si rinvennero 
oggetti deiréfa preistorica e monete romane. Il suo nome è d'origine romana. Segui 
sempre le sorti di Asiago. 

GoU. elett. Thiene — Dioc. Padova — P' e T. locali, Str. ferr. a Bassano e Feltre. 

Foza (1300 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte nord-est del- 
Paltipiano, confinante col distretto di Bassano. È dominato dal monte Meletta(1827 m.) 
ed è bagnato dal torrente Gadena, tributario del Brenta. È Comune assai frazionato 

72 — 1^ Patria, voi. I, parte 2*. 



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258 Parte Prima ~ Alta Italia 



e sparso. — Foza, capoluogo, è un villaggio di 150 abitanti, a 1081 metri sul livello 
del mare e circa 12 chilometri da Asiago. 

Prodotti del suolo: orzo, patate, legumi; ma la maggior parte del territorio è a 
boscaglie cedue e dalto fusto ed a prati naturali bellissimi. Vi si alleva molto bestiame 
ed assai proficua è Y industria dei latticini. 

Coli, elett. Thìene — Dioc. Padova — P* locale, T. a Carpane, Str. ferr. a Bassano. 

Gallio (2225 ab.). — È questo uno dei più elevati fra i Sette Comuni. Il suo ter- 
ritorio si stende ad un'altitudine quasi sempre superiore ai 1000 metri, nella parte 
centrale detraiti piano, ad oriente di Asiago. — Gallio, capoluogo del Comune, è una 
discreta borgata di quasi 800 abitanti, a 1090 metri sul mare e 4 chilometri a nord-est 
da Asiago, in posizione magnifica, per i boschi e le montagne che Io circondano. Note- 
vole, nelle vicinanze di Gallio, la grandiosa villa del comm. Rossi di Schio. Tra Gallio 
ed Asiago corre un'eccellente strada carrozzabile, e un'altra è in costruzione fra Gallio 
e Foza. I dintorni di Gallio, al pari di quelli di Asiago, si prestano a deliziose escursioni 

Le ricchezze maggiori del territorio di Gallio sono i pascoli e le boscaglie. L'alle- 
vamento del bestiame, il caseificio e la concia delle pelli sono industrie fiorenti. Nella 
frazione di Stoccareddo si parla ancora lo slambrot, il dialetto teutonico di cui più 
sopra abbiamo fatto cenno. 

Cenno storico. — Gallio è uno fra i più antichi paesi dei Sette Comuni. Ha nome 
ed origine romana, e nei suoi dintorni si rinvennero medaglie romane ed altri oggetti 
di quel periodo. 

Coli, elett. Thiene — Dioc. Pado?a — P* e T. locali, Str. ferr. a Bassano ed Arsiero. 

Lusiana (5042 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende sulle montagne 
che all'estremità meridionale circondano l'altipiano di Asiago. Il Comune, assai esteso, 
consta di varie frazioni, delle quali il capoluogo, Lusiana, è una bella borgata, in 
posizione assai pittoresca, a 542 metri sul livello del mare e a circa 12 chilometri da 
Asiago. La frazione più importante è San Giacomo, dalla quale nel passato il Comune 
prendeva il nome di San Oiacomo di Lusiana. Le cime più importanti che si riscon- 
trano in questo territorio sono il Bertiaga (1358 m.) ed il Rossignolo (1231 m.). In 
questa regione si trovano cave di bellissimo marmo broccatello rosso e giallo. 

Il territorio di Lusiana, abbastanza fertile, dà cereali, castagne, patate, foraggi, 
essendovi in tutto il territorio magnifici pascoli. Sonvi inoltre belle boscaglie cedue 
e d'alto fusto. L'allevamento del bestiame e la produzione dei latticini sono le industrie 
di maggior rilievo del luogo, ove, fra le industrie casalinghe esercitate durante l'in- 
verno da quei montanari, havvi la confezione delle trecce e dei cappelli di paglia. 
Coli, elett. Thìene — Dioc. Padova — P^ locale, T. a Marostica, Str. ferr. a Thiene. 

Roana (4990 ab.). — Questo alpestre Comune si stende nella vai d'Assa, nella 
parte ovest dell'altipiano, fra le balze del monte Verena, ove raggiunge la bella altezza 
di 2019 metri sul livello del mare. Il Comune è costituito da una quantità di piccole 
frazioni e cascinali sparsi per Tampio, montuoso territorio. — La frazione principale, 
Roana, è una discreta borgata, a 992 metri sul livello del mare, e chilometri 4 da 
Asiago, che va da qualche tempo subendo quella moderna trasformazione che si nota 
in tutto l'altipiano, dacché furono aperte le nuove strade e maggiore vi è l'affluenza 
dei touristes: un gran ponte sulla vai d'Assa unirà tra breve le due parti del Comune 
da essa divise. Frazioni di Roana sono: Canove, sulla strada del Costo; Cesuna, con 
una chiesa a 1052 metri; Camporovere, e Conca, a 1097 metri. 

Il territorio di Roana produce frumento, segala, orzo e patate. In molti luoghi è 
arido e roccioso. Vi sono peraltro grandiose boscaglie ed estesi pascoli, laonde Palle* 
vamento del bestiame e le industrie del caseificio sono proficuamente esercitate. 



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Mandamento e Gomnni del Distretto di Barbarono ^9 

Cenno storico. — Roana è designata fra le più antiche località dei Sette Comuni. 
Anche nel sno territorio si rinvennero oggetti del periodo preromano. Nella frazione 
di Mezzaselva si parla ancora il dialetto di lingua teutonica, detto slambroty ormai 
quasi del tutto abbandonato nelle altre frazioni. 

Coli. eletU Tbiene — Dice. Padova — P* locale, T. ad Asiago, Str. ferr. ad Arsiero. 

Rotzo (2587 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte nord- 
ovest del distretto ed è dominato dai monti che segnano il confine tra il Regno d'Italia 
e r Impero Austro-Ungarico, tra il Verena ed il Coston d' Arsiero (1779 m.). — Il 
Comune consta di tre frazioni pressoché uguali, delle quali Rotzo ha poco meno di 
1000 abitanti e si Jbrova a 938 metri sul livello del mare e 9 chilometri a ponente di 
Asiago: seguono Pedescala e San Pietro giù nella valle, sulla strada da Arsiero al 
confine. Nulla in questi aprichi paeselli di speciale, air infuori della magnifica loro 
positura, al cospetto di alte montagne e valli profonde. II territorio di Rotzo è singo- 
larmente aspro e roccioso ed ofifre, sotto questo aspetto, agli studiosi di geologia 
campo ad interessanti osservazioni. 

Dov'è coltivabile il territorio di Rotzo produce orzo ed in piccola quantità anche 
altri cereali; vi alligna qualche vite. Vi sono belle boscaglie ed estesi pascoli. L'alleva- 
mento del bestiame, il caseificio, la produzione d^el carbone, la lavorazione del legname 
in mastelli ed altri utensili per uso domestico, e la lavorazione del latte sono le 
industrie alle quali si applicano gli abitatori di Rotzo. 

Cenno storico. — Rotzo è, fra i Sette Comuni, antichissimo. Nello stemma della 
Reggenza era simboleggiato da una testa copiosamente barbuta. Anche fra queste 
remote località l'uso del dialetto teutonico è ormai ridotto a pochi fra i vecchi, e a 
qualche donna analfabeta. 

Coli, elett. Tbiene — Dioc. Padova — P* e T. ad Asiago, Slr. ferr. ad Arsiero. 



IV. — Distretto e Mandamento dì BARBAVANO 

Il territorio di questo distretto amministrativo, che è pure un mandamento giu- 
diziario, si trova nella parte meridionale della provincia ed è in gran parte costituito 
da quella pittoresca regione che sono i colli Borici. Esso confina: a nord, col distretto 
di Vicenza; ad est, colla provincia di Padova; a sud e ad ovest, col distretto di Lonigo. 

Il distretto di Barbarano ha una superficie di 161 chilometri quadrati. Esso è per- 
corso da buone strade provinciali e comunali, che legano i Comuni del distretto coi 
distretti limitrofi e col capoluogo della provincia. 

Bagnano il distretto di Barbarano il Bisatto, antico canale navigabile derivato dal 
Bacchigliene, e alcuni torrentelli scendenti dalle piccole valli dei Borici. 

Il distretto di Barbarano è regjpne essenzialmente agricola, favorita dalla singolare 
fertilità del suolo, che si presta alle più svariate e proficue coltivazioni. Esso ha una 
popolazione di 20.440 abitanti (censimento 10 febbraio 1901) e comprende i seguenti 
dieci Comuni: Barbarano, Albettone, Castegnero, Grancona, Mossane, Nanto, San Ger- 
mano de' Berici, Sossano, Villaga, Zovencedo. Questi Comuni dipendono dal Tribunale 
civile e penale di Vicenza. 

Barbarano (S499 ab.). — Questo Comune, capoluogo del distretto e ad un tempo 
del mandamento giudiziario, si trova, si può dire, al centro della propria circoscri- 
zione. È Comune frazionato. — Il capoluogo, Barbarano, è una bella borgata di carat- 
tere moderno, in amenissima posizione, parte in piano (89 m. sul mare) e parte sul 
pendio orientale dei colli Berici, 18 ddlometrì a sud da Vicenza. Non mancano in 



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260 Parte Primi — Alta Italia 



Barbarano edifizi notevoli, fra i quali vanno segnalati: la chiesa parrocchiale (già 
collegiata), di buona architettura e di belle proporzioni ; la canonica arcipretale, in 
_ istile del Rinascimento ; il castello, già sede del vescovo di Vicenza 

con titolo di re di Barbarano; il convento di San Pancrazio 
ed il colossale e maestoso palazzo Pedria, già di nobile famiglia 
veneziana. I dintorni di Barbarano sono popolati di belle ville 
signorili e da cascinali e fattorie. 

Il territorio, fertilissimo, dà cereali d'ogni specie, viti, gelsi, 
frutta, ortaglie. L'industria di principale sussidio all'agricoltura 
in luogo è la produzione dei bozzoli; importante vi è pure 
l'allevamento del bestiame da cortile, del quale si fa largo com- 
mercio di esportazione dalla provincia. Altre industrie del luogo 
sono la filatura della seta e l'estrazione del calcare da cave che si trovano in luogo. 
Cenno storico. — L'antichità di Barbarano, oltreché da leggende e tradizioni popo- 
lari, è accertata da documenti degli archivi vescovili di Vicenza e dalle cronache 
comunali di Vicenza e di Padova.' Da taluno vorrebbesi dare a Barbarano origini 
romane, come terra tenuta dalla famiglia dei Barbi; altri ricercherebbe l'etimologia 
del suo nome da una signoria di Longobardi. Ciò che è positivo si è che, nel medio 
evo fu feudo di assoluta dipendenza della Chiesa vicentina; che più tardi, nelle acca- 
nite guerre tra Vicenza e Padova, fu più volte dai Padovani assalito e saccheggiato, 
perchè terra pertinente al Comune di Vicenza, col quale subì la signoria di Ezzelino 
e degli Scaligeri, prima di seguirlo nella dedizione alla Repubblica di Venezia. Durante 
le scorrerie delle truppe imperiali nel Veneto, nel principio del secolo XVI, nel periodo 
della Lega di Cambrai, Barbarano fu orribilmente saccheggiato e messo a ferro e a 
fuoco. Nel 1848, durante i vari tentativi di Radetzky per occupare Vicenza, Barbarano 
subì danni e molestie non poche dalle truppe austriache, che per quella via, da Mon- 
tagnana scavalcando i Berici, tentavano di piombare su Vicenza. 

Coli, elett. Lonigo — Dioc. Vicenza — P' e T. locali, Str. ferr. a Vicenza e Lonigo. 

Albettone (2156 ab.). — Si trova questo Comune parte in piano e parte in col- 
lina, all'estremità sud-est del distretto, sul confine tra la provincia di Vicenza e 
quella di Padova. 11 capoluogo (19 m. sul mare e chilometri 8 a sud-est da Barbarano), 
è una discreta borgata, nella quale gli edifizi moderni e signorili non mancano. Fra- 
zioni importanti del Comune sono i ridenti paeselli di Lovertino e Lòvolo ed uno dei 
punti alti del Comune è Castellare, che si trova proprio in cima ad un colle calcareo 
e dove nel medioevo sorgeva una rocca ben presidiata. Tutto il territorio di Albettone 
è cosparso di belle ville e fattorie. Fra le prime va ricordata la villa della nobile 
famiglia Salvi, ora Negri, con dipinti di Paolo Veronese. 

Il territorio di Albettone, bene irrigato dal Bisatto e da altri canali minori da 
questo derivati, è fertilissimo. Dà cereali, foraggi viti, gelsi, frutta, ortaglie. Vi si 
alleva bestiame da stalla e da cortile ed importante vi è la produzione dei bozzoli. 
Altra industria del luogo è la fabbricazione dei laterizi. Fra le curiosità naturali del 
Comune havvi in Lòvolo una piccola sorgente d'acqua ferruginosa. 

Cenno storico. — Gli etimologi vorrebbero far derivare il nome di questo Comune 
dalla lingua celtica, nella quale, scomposto, vorrebbe dire colle o poggio della calce. 
Infatti il colle sovrastante al paese è tutto di pietra calcarea, compatta. Si hanno 
notizie di questo luogo nelle cronache medioevali dei Comuni di Vicenza e di Padova. 
Nel 1848 fu occupato ed assai danneggiato dalle truppe di Radetzky moventi allo 
assalto di Vicenza. 

Coli, elell. Lonigo — Dioc. Vicenza — P" locale, T. a Noventa, 
Str. ferr. a Lonigo, Vicenza ed Eale. 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Barbarano ^Ql 



Castegnero (1757 ab,). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte 
nord-eat del distretto, in parte sulle verdeggianti colline Benché, attraversato dal 
Bisatto, canale derivato dal Bacchiglione. È Comune di carattere essenzialmente rurale, 
ma le sue frazioni principali, Castegnero (57 m. sul mare e chilometri 7 da Barbarano) 
e Villaganzerla (23 m.), sono due ridenti paesetti moderni e piacenti. 

Il suolo, fertilissimo e coltivato con molta cura, dà cereali, foraggi in abbondanza, 
viti, gelsi, frutta, ortaglie. La produzione del vino e dei bozzoli sono le maggiori 
industrie del Comune. 

• Coli, elett. Lonigo — P* locale, T. a Barbarano, Str. ferr. a Lerino e Vicenza. 

Grancona (2039 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende sulle falde dei colli 
Borici, e parte in ridente pianura, nella estremità nord-ovest del distretto. È Comune 
affatto rurale e frazionato. — Grancona, frazione capoluogo (188 m. sul mare e chilo- 
metri 9 a ponente da Barbarano), è una bella borgata in via di rinnovamento, nella 
quale non mancano edifizi moderni e di bell'aspetto. In tutto il territorio sonvi 
villeggiature e fattorie di ricchi vicentini. 

Prodotti del suolo, fertilissimo e coltivato con cura estrema, cereali, foraggi, viti, 
gelsi, frutta, ortaglie. Importante è in luogo la produzione dei bozzoli. 
Coli, elett. Lonigo - P' a Brendola, T. e Str. ferr. a Lonigo. 

Mossano (1842 ab.). — Questo Comune, di carattere essenzialmente rurale, si stende 
nella parte nord-est del distretto, sulla strada da Barbarano a Vicenza. Il Comune consta 
di varie piccole frazioni sparse in pianura o nell'amena regione dei Berici, delle quali 
il capoluogo, Mossano (88 m. sul mare e chilometri 2 da Barbarano), è un piccolo paese 
di circa 300 abitanti. 

Il suolo, fertilissimo, dà cereali, foraggi, gelsi, viti, frutta ed ortaglie. L'allevamento 
del bestiame da stalla e da cortile e la produzione dei bozzoli sono in luogo le industrie 
di maggior sussidio all'agricoltura. In questo Comune è pure esercitata l'industria 
della pilatura del riso ed havvi una fornace per laterizi. 

GoU. elett. Lonigo ~ Dioc. Vicenza — P* e T. a Barbarano, Str. ferr. a Vicenza e Lonigo. 

Nanto (1907 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte nord-est 
del distretto, parte sulle colline Boriche in pianura, fra Barbarano ed il confine del 
distretto di Vicenza. È Comune rurale ed assai frazionato. — Nanto, capoluogo del 
Comune (57 m. sul mare e chilometri 5 da Barbarano), è un grazioso paese di circa 
400 abitanti, con edifizi moderni e d'aspetto signorile. 

Il suolo, fertilissimo e coltivato con ogni cura, dà cereali, foraggi, frutta, viti, gelsi. 
L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile, di cui si fa commercio d'esporta- 
zione, e la produzione dei bozzoli sono le industrie di maggior sussidio all'agricoltura. 

Coli, elett. Lonigo — Dioc. Vicenza — P' e T. a Barbarano, Str. ferr. a Vicenza e Lerino. 

San Germano de' Berici (1773 ab.). — Come il suo nome lo denota, questo Comune 
si stende sulle colline Beriche, nella parte occidentale del distretto prospiciente il piano 
verso Lonigo. È Comune frazionato e rurale, di cui la frazione principale, San Ger- 
ntano (90 m. sul mare e chilometri 7 da Barbarano), è un discreto paese di circa 
500 abitanti. 

Fertilissimo è tutto il territorio di San Germano, che dà cereali, foraggi, gelsi, viti, 
frutta ed ortaglie. Importante è in luogo l'allevamento del bestiame da stalla e da 
cortile, di cui si fa commercio anche fuori della provincia, e la produzione dei bozzolL 
Coli, elett. Lonigo — Dioc. Vicenza — P* e T. a Sossano, Str. ferr. a Lonigo. 

Sossano (3156 ab.). — Il territorio di questo Comune si trova all'estremità sud-ovest 
del distretto e si stende in pianura e sul versante meridionale dei colli Berici. È 



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^62 Parte Prima — Alta lulia 



Comune rurale e frazionato. — Sossano, capoluogo del Comune (19 m. sul mare e chi- 
lometri 8 da Barbarano), è un bel paese al piede dei colli suddetti, d'oltre 600 abitanti, 
nel quale non mancano edifizi notevoli e moderni, nonché amene villeggiature. 

Prodotti del suolo, fertilissimo e coltivato razionalmente con ogni cura, cereali, 
viti, gelsi, foraggi, ortaglie. L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile, la pro- 
duzione dei bozzoli sono industrie agricole fiorenti nel Comune, ove sono anche in 
attività alcuni opifici per la fabbricazione dei cordami e cave di pietra calcare. 
Coli, elett. LoDÌgo — Dioc Vicenza ~ P' e T. locali, Str. ferr. a Lonigo. 

Villaga (2454 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte ceiftrale 
del distretto, in pianura e sulle falde meridionali dei colli Berici. È Comune assai fra- 
zionato e di carattere essenzialmente rurale. — Villaga, capoluogo del Comune (48 m. 
sul mare e un chilometro a sud da Barbarano), è un paesello di circa 400 abitanti, di 
bell'aspetto ed in ridente posizione. 

Il suolo, fertilissimo, irrigato e razionalmente coltivato, dà cereali, foraggi, gelsi, 
olivi, viti e ortaglie. Vi si alleva bestiame da stalla e da cortile per i bisogni locali 
e per l'esportazione, ed importante vi è la produzione dei bozzoli. L'industria vi è 
rappresentata da una foraace da calce a fuoco continuo, da un torchio da olio e da una 
distilleria di acquavite. 

Coli, elett. Lonigo — Dioc. Vicenza — P* e T. a Barbarano, Str. ferr. a Vicenza e Lonigo. 

Zovencedo (897 ab.). — Si stende questo Comune nella parte settentrionale del 
distretto, nel cuore dei colli Berici. È Comune esclusivamente rurale, formato da pic- 
cole frazioni, di cui la principale trovasi in posizione elevata (270 m. sul mare e chilo- 
metri 4 a nord-ovest da Barbarano). 

Prodotti del suolo, fertilissimo, cereali, foraggi, frutta, gelsi, viti. L'allevamento 
del bestiame e la produzione dei cereali sono industrie quivi fiorenti. Nel Comune di 
Zovencedo havvi una miniera di lignite, che si estrae dal giacimento mediante una 
galleria di !288 metri armata da un binario Decauville. 

CoU. elett. Lonigo — Dioc. Vicenza — P* a Barbarano, T. e Str. ferr. a TaverneUe. 



V. — Distretto e MaDdamento dì BASSAKO 

n territorio di questo cospicuo distretto, al quale — per effetto della legge del 
30 marzo 1890 — fu unito il mandamento di Valstagna, si stende nella parte nordest 
della provincia di Vicenza. Esso confina: a nord, colla provincia di Belluno; ad est, 
con quella di Treviso; a sud, con quella di Padova; a sud-ovest, col distretto di 
Marostica; ed a nord-ovest, con quelio di Asiago. Esso ha una superficie di 276 chi- 
lometri quadrati ed una popolazione di 54.702 abitanti (censimento 10 febbraio 1901). 
Comprende quindici Comuni, cioè: Bassano, Campolongo sul Brenta, Cartigliano, Cas- 
sola, Cismon, Mussolente, Pove, Romano d'Ezzelino, Rosa, Rossano Veneto, San Nazario, 
Solagna, Tozze, Valrovina, Valstagna. Questi Comuni sono sotto la giurisdizione del 
Tribunale civile e penale di Bassano. 

U territorio del distretto di Bassano si stende per ben due terzi in regione montuosa, 
compresa fra il versante orientale dei monti che chiudono l'altipiano dei Sette Comuni, 
le propaggini meridionali dei monti di Feltre e di Fonzaso in provincia di Belluno 
ed il monte Grappa (1776 m.) e suoi aderenti, che divide in questa parte la valle del 
Brenta da quella del Piave. 

Il Brenta, che è pure uno dei maggiori fiumi della regione veneta, attraversa in 
tutta la sua lunghezza il distretto di Bassano. Prendendo origine dai laghi di Caldo- 
nazzo e di Levico nel Trentino, il Brenta, dopo avere, nella parte mperiore del suo 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Bassano ^63 



corso, attraversato la Valsagana, entra nel territorio italiano sotto la località detta le 
Tezze, toccando, per breve tratto, il territorio dei Sette Comuni al suo limite con la 
provincia di Belluno, prosegue con direzione da nord a sud, per una rapida e stretta 
valle fresca e pittoresca, sbocca poi nella pianura, dirigendosi sopra Bassano e Padova. 
Sul confine tra il distretto di Bassano e la provincia di Belluno il Brenta è arricchito 
dalle copiose acque del Cismon, scendente per le pittoresche valli di Fonzaso e di 
Primiero, dal Cimon della Pala, versante meridionale delle Alpi dolomitiche del 
Trentino. 

Percorrono questo distretto numerose ed importanti strade rotabili, delle quali è 
principale la grande strada interprovinciale, postale e nazionale, che da Padova per 
Cittadella e Bassano, risale il Brenta e bipartendosi a Primolano, entra con un ramo 
nel Bellunese e coU'altro, passato il confine austro-ungarico, per la magnifica Valsugana, 
va per Borgo, Levico e Pergine fino a Trento. 

Un tronco di ferrovia secondaria, da Padova per Camposampiero e Cittadella, fa 
capo a Bassano. Questo tronco potrà senza dubbio diventare linea di traffico impor- 
tante quando — ed è ad augurarsi sia fra breve — avrà ricevuto il suo naturale com- 
pimento sino al confine austro-ungarico, ove arriva ora la linea ferroviaria da Trento 
per la Valsugana, alla quale il tronco italiano dovrebbe necessariamente congiungersi 
a Tozze sopra Primolano. 

Il distretto di Bassano è regione essenzialmente agricola: le magnifiche campagne 
dalla lussureggiante vegetazione sono ricche d'ogni prodotto. Né vi mancano, come 
si vedrà, nei principali centri, buone rappresentanze di quelle industrie manifatturiere 
che fanno della provincia di Vicenza una delle più operose d'Italia. 




Bassano (15.443 ab.). -~ Questo Comune si stende nella parte centrale del distretto, 
in quella splendida regione di colline e di piani fra cui il Brenta esce dall'alta ed 
incassata sua valle, per dirigersi meno rumoroso e più placido 
al mare. 

Centro del Comune è la bella e storica città di Bassano, una 
delle più importanti e notevoli fra le città secondarie del Veneto. 
Sorge 32 chilometri a nord-est da Vicenza, sul piano inclinato che 
forma la sponda sinistra del Brenta, in posizione abbastanza 
elevata (130 m. sul livello del mare) per dominare in un largo 
cerchio d'orizzonte il panorama dei monti che le stanno a setten- 
trione e ad occidente, e la sottostante vallata, che il Brenta si 
apre verso sud. Come tutte le città di origine antica, Bassano 
era città murata. Nell'ultimo quarto di secolo, per l'ampliamento, il risanamento e l'ab- 
bellimento della città, queste mura vennero in gran parte demolite, le loro fosse ricolme, 
e specialmente dal lato orientale della città se ne fece un magnifico viale, che inter- 
secato dal viale conducente alla stazione ferroviaria, ombreggiato da alti e bellissimi 
tigli, forma ora una delle più pittoresche passeggiate che si possano immaginare. 

LA CITTÀ 

L'aspetto della città di Bassano è simpatico ed animato. Generalmente le vie sono 
belle, pulite, ben tenute: l'acqua vi abbonda per l'innaffiamento e la nettezza cittadina. 
Gli edifizi sono nel maggior numero decorosi e ben tenuti. Molti sono di eccellente 
architettura e ricordano il tipo delle costruzioni venete dell'aureo secolo XVI. 

Bellissima, e per le costruzioni e per il grandioso panorama che le prospetta, è la via 
Venti Settembre (fig. 90); belle, popolose sono pure le vie Umberto I, Cairoli, Borghetti, 
del Museo ed altre. Movimentata e pittoresca è la piazza Garibaldi, dominata da un 
lato dalla fiancata severa medioevale della chiesa di San Francesco, e dall'altro dal 



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264 Parte Pi^nia — Alta Italia 



Fig. 90. — Bassano: Via ^Veliti «Settembre (da fotografia Bordigioni). 

torrione di Ezzelino, massiccio e solido stìdatore dei secoli, coi suoi merli alla ghibellina 
e le finestre a sfori archiacuti alla gotica (tig. 92). Nel mezzo di questa piazza destinata 
al mattutino mercato delle verdure prodotte dall'ubertoso agro e delle cibarie, è una 
grandiosa, monumentale fontana in marmo rosso, da cui zampillano abbondanti getti 
dell'acqua eccellente di cui un acquedotto che viene dal Cismon arricchisce la città. 
Nella fronte di un edifizio addossato, con pessimo gusto, alla austera fiancata gotica 
di San Francesco e che serve di sede airuflScio postale, fu collocata la lapide con meda- 
glione in bronzo ricordante il condottiero dei Mille, al quale la piazza si intitola. 

La contigua piazza Vittorio Emanuele II è gaia ed elegante come un anfiteatro. 
Da un lato è fiancheggiata dalla monumentale, ma barocca facciata della chiesa di 
San Giovanni Battista; dall'altro, ai lati minori del rettangolo, da begli edifizi con 
porticati, arieggianti, nello stile, le case veneziane dei secoli XVI e XVII. Notevole 
fra le altre la casa recante il grandioso orologio, colle 2i ore a sistema antico all'ita- 
liana, i segni dello zodiaco, delle fasi lunari ed altre indicazioni astronomiche, sul modello 
del grandioso orologio di piazza San Marco in Venezia e di altre città dove Venezia 
ebbe dominio. Questo complicatissimo congegno è del celebre meccanico ed astronomo 
Bartolomeo Ferracina, nativo di queste montagne e famoso per altre consimili costruzioni 

Nella piazza Vittorio Emanuele notasi una statua, alquanto barocca, di San Bas- 
siano in abito vescovile, ed un pilo portastendardo, a somiglianza di quelli di piazza 
San Marco in Venezia. 

Edifizio notevole è il palazzo del Pretorio, nel quale al tempo dei C!omuni e della 
dominazione patavina abitava il Podestà: sede dei capitani governatori durante il 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Bassano ^55 



Fig. 91. — Bassano: Ponte coperto sul Brenta e Castello (da fotografia Bordigioni). 

primo perìodo della dominazione veneta. Quivi per alcun tempo dimorò Carlo V. Il 
palazzo del Pretorio era ornato da pitture di 
Jacopo da Ponte, le quali, come buona parte del- 
Tedifizio, andarono distrutte da replicati incendi. 

Così pure il vicino palazzo del Comune era 
adomo di afifreschi del grande bassanese, che il 
fuoco, le intemperie e la incuria umana manda- 
rono perduti. Elegante, perchè in pieno Rinasci- 
mento, è il porticato del palazzo Municipale, del 
quale è pure da ammirarsi il grandioso scalone. 

Oltre la torre, eretta nella prima metà del 
secolo XIII da Ezzelino da Romano, parlano 
della Bassano medioevale e della dominazione 
di questa potente famiglia, gli avanzi grandiosi 
del castello — detto degli Ezzelini — sorgenti 
nella parte alta della città che si protende verso 
il fiume (fig. 91). Sono torrioni, mura e bastioni 
con merli alla ghibellina, arcate ed altre rovine 
che attestano della grandiosità dell' edifizio e 
della potenza di quella grande famiglia feudale. 

EDIFIZI SACRI 

Nel passato, specialmente sotto la domina- 
zione veneta ed austriaca, Bassano contava un 
gran numero di edifizi sacri e di conventi. Il 

numero degli uni e degli altri è ora assai ridotto, Fig. 92. - Bassano : Torre Eceliniana 

e fra i più importanti vanno notati : (da fotografia Bordigioni). 

Il Duomo. — Si trova nella parte alta e più an- 1 chissimo, ma che tuttora porta, di Sonia Maria in 
tica della città, e forse da ciò trasse il nome anti- I Colle. Ha origini antichissimp, ed in carte del 998 è 

78 — e.a Patria» voi. I, parte 2*. 



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266 



Parte Prima ~ AlU Italia 



Fig. 93. ~ Bassano : Pronao della chiesa di San Francesco (da fotografia Bordigiom). 



citato col nome di Santa Maria de Plebe. Fu più volte 
ricostruito. In origine era a tre navate, e tale durò 
fino allo scorcio del secolo XV, nella qual epoca venne 
ricostruito, alzandolo e trasformandolo ad una sola 
navata, quale ora si vede. Nell'esterno nulla oflfre di 
interessante ; l'interno invece è armonico e grandioso. 
Vi si notano dipinti di Leandro da Ponte, del Nogari, 
del Volpato. Bellissima per Tespressione e la delicata 
fattura è la statua dì Santa Caterina di Orazio Marinali. 
Nella sagrestia si conservano vasi sacri di molto pregio, 
ricchi paramenti, messali ed antifonari con pregevoli 
miniature. 

Con breve del pontefice Pio TX, nel 1852 questa 
chiesa fu eretta al grado di abbaziale, con insegne ed 
attribuzioni episcopali. 

La massiccia torre campanaria, attigua alla chiesa, 
fa parte degli avanzi del castello degli Ezzelini. 

San Francesco (fìg. 93). ~ Questo, che può dirsi 
il monumento sacro più cospicuo della città, fu innal- 
tato per un voto a Maria da Ezzelino Balbo, signore 
di Bassano, nella seconda metà del secolo XII e con- 



dotto a termine sullo scorcio di quel secolo medesimo. 
Come appare dall'elegantissimo protiro che è dinanzi 
alla porta maggiore, fu cominciato cogli intendimenti 
dell'arte allora più specialmente professata e seguita 
dai Maestri Comacini, e nel proseguimento deiropera, 
come di sovente in quell'epoca avvenne, alle simmetrie 
lombarde si innestarono le gotiche. Nel gran fervore 
che nella metà del secolo XI li inspirarono non solo in 
Italia le opere e le dottrine del poverello di Assisi, 
questo tempio dalla pietà dei Bassanesi fu a lui inti- 
tolato, e tale restò fra i secoli. Il rifacimento che 
questa chiesa subì nel secolo barocco ne deturpò bar- 
baramente l'antica euritmia dell'interno, in modo da 
renderla pressoché irriconoscibile. 

Ad eccezione di un affresco del Guarìento, pittore 
padovano della metà del secolo XIV, rappresentmte la 
Incarnazione secondo l'eresia dei Valentiniani, che si 
osserva alla destra del protiro, non vi sono in questo 
tempio pitture notevoli. Sotto la tribuna dell'organo, 
di fianco alla porta maggiore, havvi il sepolcro di 
Francesco da Ponte, il capostipite di quella gloriosa 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Bassano 



267 



Fig. 94. — Bassano : Chiesa di San Giovanni Battista (da fotografia Bordigioni). 



famìglia di pittori bassanesi, della quale Jacopo fu il 
vanto maggiore. 

La chiesa di San Francesco in Bassano, sebbene 
cosi deturpata dai rifacitorì delFèra barocca, fu classi- 
ficata fra i monumenti nazionali della regione veneta. 

San Giovanni Battista (fig. 94). ~ Sorge questo 
tempio in piazza Vittorio Emanuele, e dalla facciata mo- 
numentale, ad ordine composito e corinzio, cominciata 
nel 1747 e compiuta nel 1782 sui disegni di Gio- 
vanni Miazzi, si dovrebbe arguire della grandiosità del 
tempio. Senonchè, entrando, il visitatore resta sor- 
preso, se non deluso ; poiché s'accorge che la facciata 
grandiosa verso la piazza fu immaginata per nascon- 
dere la fiancata e non la testa del tempio. Le statue 



che adomano la facciata della chiesa di San Giovanni 
Battista sono opera lodata di Antonio Bosa da Po ve. 

L'interno del tempio è in istile completamente ba- 
rocco ; non ha cose granché notevoli, se se ne eccet- 
tuano un antico altorilievo in terracotta rappresentante 
il Battesimo di Gesii^ che conservasi nella sagrestia e 
che alcuni vorrebbero attribuire a Luca della Bobbia, 
ma del quale manca ogni autenticazione (fig. 95) ; il 
mausoleo del medico Alessandro Campesano, attri- 
buito al Sansovino, ed un altro che racchiude gli avanzi 
di Paolo e Gaspare Novello. 

La chiesa di San Giovanni Battista fu eretta sul 
principio del secolo XiV, e vi era annesso un ospizio 
per i pellegrini infeimi. 



Altre chiese di minor importanza, ma meritevoli d'essere ricordate, in Bassano sono: 
la chiesa della Trinità, esistente già nel 1260, più volte rifatta, ed ultimamente in istile 
barocco dal Miazzi, contenente un quadro di Jacopo Da Ponte, assai deteriorato, ed 
un pulpito in legno artisticamente lavorato dal bassanese Minghetti; — la chiesa di 
San Donato, eretta nel 1208 da Ezzelino il Monaco e nella quale è fama egli facesse 
la divisione dei suoi beni ad Ezzelino IV e ad Alberico : vi si conserva una buona tela 
di Francesco Da Ponte il Vecchio. Annesso a questa chiesa eravi un convento, nel quale, 
secondo la leggenda, dimorarono alcun tempo Francesco d'Assisi e Antonio da Padova. 



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268 Parte Prima — Aha Italia 



IL PONTE COPERTO SUL BRENTA 

Una costruzione nel suo genere caratteristica è il ponte in legno coperto sul Brenta 
che unisce la città col suo sobborgo occidentale (fig. 91), detto Via Angarano. In 
questo punto, da tempo immemorabile, il Brenta fu sempre attraversato da ponti, e 
dì un ponte di Bassano sì hanno notizie sin dal principio del secolo XIII. Le cronache 
della città ed altri documenti narrano di ricostruzioni del ponte in varie epoche, 
cioè, nel 1450, nel 14^9, nel 1511, dopo che fu distrutto da un incendio, nel 1522. 
Rifatto in pietra nel 1525 fu da una delle violenti piene del fiume rovinato; e si tornò 
quindi a ricostruirlo in legno ed in modo da dare meno impedimento possibile alla cor- 
rente. Logorato od incendiato e guastato anche dalle vicende di guerre, negli ultimi 
due secoli fu riattato ed anche ricostruito più volte. Il ponte attuale, che soppoi*ta un 
tetto in legno a svelte capriate, fu ingegnosamente e con molta solidità costruito 
sotto la direzione di Angelo Casarotti e venne aperto al pubblico il 4 febbraio 1821. 
Alle due teste è ornato da arcate trionfali con iscrizioni dedicatorie e commemorative. 
Misura 64 metri in lunghezza, 8 in larghezza e le travate del piano stradale si elevano 
11 metri dal letto del fiume. Meraviglioso è il panorama che da questo ponte si ammira 
tanto sopra che sotto corrente. Anche la città, vista dal mezzo del ponte, si presenta 
in bellissimo effetto sul pendìo del colle, dominata dai torrioni e dai neri avanzi del 
castello degli Ezzelini. Sulla fronte delle case prospicienti il fiume si vedono ancora 
le tracce della fucileria francese, nello scontro che al principio del secolo scorso qui 
ebbe luogo fra le truppe imperiali austriache e le francesi guidate dal principe di 
Beauharnais. 

IL MUSEO 

É questo un istituto di grande decoro per la città, e va per molti aspetti annoverato 
fra i più ragguardevoli d'Italia. Il Museo di Bassano trae origine dal testamento di un 
cospicuo e benemerito cittadino, l'illustre naturalista Giambattista Brocchi, che legava 
al nativo Comune la sua ricca biblioteca, le sue collezioni di storia naturale ed una 
somma di danaro da impiegarsi nella creazione- di un museo e relativa biblioteca. 
. Parecchi cittadini illustri, tra cui il Roberti, il Remondinì, lo Stecchini, il Baseggio ed 
altri, imitando l'esempio del Brocchi, con donazioni cooperarono alla formazione del 
Museo, arricchito poi da importanti acquisti e reso interessante ed accessibile agli 
studiosi con un giudizioso ordinamento. 

Il Museo di Bassano comprende tre vastissime sale, le quali si aprono al lati di 
un severo atrio ottangolare, che lancia in alto una superba cupola: la Sala Brocchi^ 
di contro alla porta d'ingresso, la Sala Verci, a destra, e la Sala Canova, a sinistra. 
Tutto intorno alle tre sale sono addossati gli scaffali della biblioteca, nei quali si 
conserva gran parte dei 60.000 volumi che compongono la stessa. 

Ma r occhio del visitatore è attratto subito . dalla colossale statua equestre di 
Carlo III, che si trova nella sala Verci, opera originale di Antonio Canova, fusa poi 
in bronzo dal Righetti ed esistente a Napoli; e mentre egli muove il piede da quella 
parte per meglio considerare le gigantesche proporzioni dell'opera, l'occhio ammirato 
si posa sulle tele che in bell'ordine pendono dalle pareti. Ai quadri severi di Salvator 
Rosa, del Morto da Feltro, del Quercino, del Bonifacio, del Badile, del Domeni- 
chino, ecc., fanno geniale riscontro i moderni paesaggi e le tremule marine del Mari- 
noni, e quelli del Wogdt, del Bassi, del Roberti, del Zuccarelli, del Vervloet, ecc. 

La sala però che di preferenza è visitata con nobile soddisfazione dai Bassanesi 
è quella del Brocchi. In essa, oltre l'erma del Brocchi, scolpita da G. Fabris, vi sono 
cinquantaquattro quadri, dovuti per la maggior parte ai Da Ponte. Ed è appunto 
dinanzi a quelle tele che si intende pienamente l'arte della gloriosa famiglia. Il noto 
critico d'arte Luigi Archinti, dopo aver ammirato con entusiasmo tali splendide 



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Mandaraento e Comuni del Distretto di Bassano ^69 



Fig. 95. — Bassano (Chiesa di S. Giovanni Battista) : Il Batlesimo di Gesù, altorilievo in terracotta 
attribuito a Luca della Robbia (da fotografia Bordioiom). 



Fig. 96. — Bassano (Museo): Sala Canoviana (da fotografia Bordigioki). 

creazioni della Scuola 1:ìassanese, scriveva: < Il Museo merita un viaggio fatta espres- 
samente, se non fosse che per ammirarvi i capolavori di Jacopo Da Ponte, il quale 
solo in Bassano si palesa in tutto il suo splendore, degno di figurare sulla stessa 
linea con Tiziano, Tintoretto e Paolo Veronese, tra i massimi maestri della Scuola 
veneta, tra i più grandi pittori della storia dell'arte >. Tra le molte opere di Jacopo 
le principali sono : la Nascita, il San Valentino, il Nome di Oesti e il Paradiso. Di 



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270 l'a^'le Prima — Alta Italia 



Francesco il Vecchio la pregevole pala rappresentante la Vergine coi santi Pietro e 
Paolo; di Francesco il Giovane la Peste e la parte superiore della grandiosa pala 
del Nome di Gesù; di Leandro la Santa Caterina, il Podestà Lorenzo Cappello, la 
Conversione di San Paolo e la Famiglia Da Ponte. — Pregevoli ed interessantis- 
simi per la storia dell'arte sono: un grande Crocifisso, dipinto a tempera sul legno, 
del Guariento (secolo XIV); una tempera su tela di Diario da Trevigi (secolo XV) 
e un grande affresco del Mantegna. 

La sala Canova (fig. 96), così chiamata in onore del vescovo Sartori-Canova, grande 
mecenate del Museo, è adorna di moltissime opere del divino Possagnese. Si ammi- 
rano di lui quattro statue originali in gesso, tra cui VEbe famosa che è gemma del 
museo di Forlì; cinquantacinque gessi e quindici disegni originali montati su tela. 
Nel mezzo poi giganteggia un secondo cavallo modellato dal Canova per la statua 
equestre di Re Ferdinando, ma che non venne fuso in bronzo. Nella stessa sala 
sono degni di ricordo: un busto rappresentante Francesco Da Ponte il Giovane del 
Campagna, uno del Marchese e uno del Tenerani rappresentanti G. Barbieri e il 
Vescovo Canova. 

Oltre a queste tre sale principali, fanno parte del Museo altri sedici locali: due 
grandi sale, una dell' Ateneo, dove è la preziosa biblioteca dantesca donata dal- 
Tab. Ferrazzi e un saggio delle opere degli incisori bassanesi ; Taltra nella quale si 
conservano 42.900 pezzi di minerali e conchiglie del Parolini, 5720 del Brocchi, un 
erbario con 14.000 specie di piante del Parolini, 8690 del Montini e 430 dell'Erbario 
egiziano del Brocchi, oltre la raccolta numismatica Stecchini che comprende circa 
900 pezzi; due lunghe stanze dove si trovano la preziose raccolte di stampe (9000) 
e di disegni originali, donate la prima dal Remondini, la seconda dal conte 6. Riva, 
vicentino, oltre a una serie di busti in plastica di illustri bassanesi, e uno preziosis- 
simo in bronzo del Cattaneo, rappresentante Lazzaro Bonamico; nove gabinetti nei 
quali si conservano scelti disegni originali, dipinti, rarità bibliografiche, oggetti antichi, 
una raccolta di memorie bassanesi ed una etnografica della Birmania e dell'Australia; 
il più prezioso però di questi gabinetti è quello Canova, nel quale sono 1700 disegni 
originali del grande scultore, tredici volumi di lettere a lui dirette, tre volumi con 
5600 lettere autografe, i documenti della spedizione a Parigi nel 1815, vari progetti 
di monumenti e quattro volumi di commissioni; tre stanze, una per la lettura, Taltra 
per la direzione del Museo e la terza per i cataloghi della biblioteca. 

ISTRUZIONE PUBBUGA E BENEFICENZA 

L'istruzione pubblica è assai curata e difi'usa in Bassano, ove il municipio prov- 
vede largamente alle scuole primarie, al mantenimento di un ginnasio e d'una scuola 
speciale di disegno. Havvi pure, in un bellissimo palazzo in istile del Rinascimento, 
un collegio-convitto maschile ed una società di coltura scientifica intitolata < l'Ateneo >. 

La pubblica beneficenza è esercitata in Bassano dalle seguenti istituzioni: Asilo 
infantile, Congregazione di carità. Ospedale civico. Orfanotrofio maschile e femminile, 
il Monte di pietà e la Casa di ricovero. 

DINTORNI 

I dintorni di Bassano sono assai pittoreschi e cosparsi di ville e palazzi signorili, tra 
i quali vanno ricordati la villa Rezzonico, che fu della famiglia di papa Clemente XIV, 
di proporzioni grandiose, somigliante quasi ad un castello del Rinascimento. Vi si con- 
servano collezioni artistiche e dipinti pregevoli, tra cui un grandioso affresco del Vol- 
pato nella maggiore sala; — la Cà Angarani, che vuoisi disegnata da Andrea Palladio» 
dal quale fu ricordata nel suo libro sulla architettura: secondo il Temanza, del Pal- 
ladio in questo edifizio non sono che i grandiosi porticati del cortile; — la villa Michiel, 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Bassano 271 



Fig. 97. — Bassano: Porta Vecchia e Chiesa degli Angeli (da fotografia Bordigioni). 

già Gradenigo, ottimo saggio dello stile barocco del secolo XVII, attorniata da un 
parco e giuochi d'acqua; — la magnifica villa Negri, con labirinto, sulla vetta di una 
graziosa collina, dalla quale si domina il panorama della pianura fino ai colli Euganei. 
Pregevole assai è pure il Giardino botanico iniziato nel 1805 dal dotto botanico 
bassanese Alberto Parolini. Vi si coltivano a migliaia gli esemplari di piante rare ; e 
fra le curiosità è ricordato il grandioso cedro del Libano, alto più di 26 metri e con 
una circonferenza al tronco di oltre 5 metri. 

ARTI ED INDUSTRIE 

Fin dai tempi più antichi, ed in ispecie nei tempi della dominazione veneta, 
Bassano ebbe fama di città industriosa ed operosissima; vi fiorivano la lavorazione del 
ferro e del rame, gualchiere, la lavorazione della lana, della seta, dei feltri pei cappelli. 
Ma arte ed industria, insieme nobilissima, fu sempre in Bassano la lavorazione delle 
ceramiche. Questa data da circa tre secoli. Nel 1669 i fratelli Manardi, che erano 
riesciti ad impiantare in Bassano una fornace di laterizi, chiesero ed ottennero dal * 
Senato di Venezia un privilegio speciale per la fabbricazione delle maioliche. I buoni 
affari e l'incremento preso da questa industria, invogliarono altri ad applicarvisi ; e 



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272 Parie Prima — Alta Italia 



nel 1694 aprivano una fabbrica dì maioliche i fratelli Moretti; nel 1787 ne fd aperta 
una terza da Giovanni Antonio Caffo, ed una quarta sul principio del secolo XIX. 
Le ceramiche di Bassano, specie quelle prodotte nel secolo XVIII, sono celebrate 
ed assai apprezzate dai conoscitori per la loro eleganza e la novità delle forme nelle 
quali sono sfoggiate le più geniali trovate dell'arte barocca e rococò. 

Ed oggi pure, che tanto in Bassano quanto nella vicina Nove Tindustria ceramica 
segue i processi, i gusti e le tendenze moderne, la fortuna delle fabbriche bassanesi 
è sempre dovuta alla riproduzione dei modelli dei secoli XVII e XVIII, formanti un 
articolo di grande smercio in tutta Italia e di esportazione all'estero, in Francia ed 
Inghilterra specialmente. 

Altra industria nobilissima, che per due secoli consecutivi fiorì in Bassano e lasciò 
vasta traccia nel mondo intellettuale e librario, è quella della tipografia. Fondatore 
della celebre stamperia di Bassano fu Giovanni Antonio Remondini, che venuto da 
Padova con poca suppellettile di caratteri e con un torchio, aprì una modesta bot- 
tega da stampatore. Dotato d'un certo naturale discernimento e di buon gusto, mise 
grande cura nelle sue prime pubblicazioni, che incontrarono tosto il favore di una 
società colta ed intellettuale qual era la società veneziana in quel secolo, per la niti- 
dezza dei tipi e la correzione dei testi. Autori e letterati fecero ben presto capo a lui, 
e gli affari prosperando, il Remondini potè ingrandire la sua tipografia con nuovi e 
più perfezionati torchi e con maggiore corredo di tipi. Alla tipografia aggiunse una 
calcografìa, cominciando in quel tempo a trovare grande favore quest'arte. Giovanni 
Antonio Remondini morì ricchissimo; suo figlio Giuseppe ne continuò con grande 
amore la bella tradizione e la fortuna, ed aggiunse alla tipografia un'ofiìcina di incisori 
in legno. Nella metà del secolo XVIII, la tipografia bassanese, guidata da Giovanni 
Battista Remondini, pronipote del fondatore, ha raggiunto il massimo della sua rino- 
manza; può dirsi una delle maggiori stamperie, nonché d'Italia, d'Europa, ed è certo 
fra le più famose. Alla sua oflScina d'incisione è legato il nome di un grande maestro 
in quest'arte, Giovanni Volpato. Nel passato secolo, per le mutate condizioni dell'arte 
tipografica, accentratasi di preferenza nelle grandi città, e diventata più che altro 
una industria speciale, e del commercio librario, ora assai complicato, la tipografia 
bassanese cominciò a decadere. Nel 1861, dopo due secoli di vita veramente gloriosa 
per Tarte tipografica e benemerita per la coltura nazionale, la stamperia bassanese 
dei Remondini si chiudeva per sempre. 

Attualmente, oltre la lavorazione delle maioliche che in parecchi stabilimenti 
occupa oltre 100 operai, e dei laterizi che in cinque fomaci occupano 60 operai, 
fioriscono in Bassano la trattura e filatura della seta in tre opifici, con 250 operai: la 
concia delle pelli, con 98 operai in IS piccoli opifici; la lavorazione del ferro, della lana, 
dei cappelli di feltro, ecc. Notevole l'industria aurìficiaria, un tempo salita a tanto 
splendore da obbligare il Consiglio a provvedere perchè negli ornamenti e nelle vestì 
non si facesse dell'oro vano spreco, ora, mutati i tempi, si sorregge abbastanza bene, 
molti essendo i laboratorii ed intelligenti gli artefici. 

CENNO STORICO 

Nessun dubbio che questo territorio sia stato abitato dai primi popoli, autoctoni, 
che vissero in questa regione anteriormente alla venuta degli stessi Veneti, come è 
dimostrato ancora dai vetustissimi sepolcreti rinvenuti recentemente in Este ed in 
altre località della regione patavina. Né è fuor di luogo l'arguire che le popolazioni 
palafittiche della parte più bassa della regione veneta si siano qui ritirate, pel nato* 
rale processo della loro evoluzione, ad un nuovo tenore di vita. Prima, assai tempo 
prima che la Bassano attuale esistesse, nel perìodo preromano ed in quello romano, 



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Mandamento e Gomnni del Distretto di Baasano 273 



Fig. 98. — fìassano: Via Principe Amedeo e Porta Dieda (da fotografia Bordigioni). 

sul vicino colle di San Giorgio era stabilita una gente della quale rimangono avanzi 
di ceramiche, spille, fibule ed altri oggetti. La località abitata da quella gente nel 
periodo romano ebbe il nome di Ancharianus; e vi era esercitata l'industria dei 
laterizi e delle ceramiche, di cui arrivarono fino ai nostri tempi importanti esemplari. 

Di Bassano non si hanno notizie se non intorno al 1000, epoca nella quale il 
vescovo di Vicenza, avente giurisdizione su questa parte delle acque del Brenta, fece 
erigere un castello sulla sponda del fiume in questa località. Intorno al castello si 
formò il borgo, e nella propizia epoca dei Comuni il borgo andò tramutandosi in piccola 
e prosperosa città. Già nel 1092 Bassano era luogo d'importanza e fu visitato da 
Arrigo II di Bamberga, quando venne chiamato dalla coalizione dei vescovi e baroni 
italiani a combattere, e debellare anzi, l'effimero re italiano, Arduino d'Ivrea. Con 
Corrado il Salico scese in Italia e si stabilì in questa regione, nella quale ebbe feudi 
dall'imperatore, un Ezilone tedesco, che fu il capostipite di quella famiglia degli 
Ezzelini che tanta potenza in meno d'un secolo doveva acquistare in questa regione e 
tanto posto avere nella storia del secolo XIII. Questo Ezilone, oltre le terre avute dal- 
l'imperatore, che erano Onara e Romano, ottenne dai vescovi di Vicenza l'infeudazione 
delle terre di Angarano, Bassano e Cartigliano. 

Dei successori di Ezilone, il più celebre fu Ezzelino II, il Balbo, che prese parte 
alle Crociate e fece erigere in Bassano la chiesa ora detta di San Francesco. Ma, ad 
onta di questi meriti, i Vicentini, già costituiti in Comune, gli tolsero Bassano, riven- 
dicandolo alla loro potestà. Nel 1 197, Ezzelino III detto il Monaco, figlio del Balbo, 
ritolse Bassano ai Vicentini che, nonpertanto, continuarono là guerra, la quale cessò 
solo per la mediazione dell'imperatore Ottone IV. 

Dopo questa guerra Ezzelino III si ritirò nel monastero di Oliere dividendo i suoi 
feudi tra i suoi figli, Alberico ed Ezzelino IV, l'immanissimo tiranno che un solco 

74 — IjA Patria, yoI. I, parte 2\. 



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274 ^^i*^ Prima — Alta Italia 



sinistro e sanguinoso lasciò nella storia italiana del secolo XIII, ed Alberico, presso il 
quale viveva la sorella Cunizza. moglie a Sordello mantovano, così poeticamente cantata 
da Dante. 

I Padovani tentarono più volte di togliere Bassano ad Alberico; ma l'intervento 
di Ezzelino IV, che nel 1240 si fece signore di gran parte del Veneto, Padova com- 
presa, mandò a vuoto i loro tentativi. Poi ritornò in potestà di Alberico; ma alla 
morte del tiranno, avvenuta a Soncino dopo la rotta di Cassano d'Adda, inflittagli dai 
Guelfi confederati sotto il comando del marchese Azze d'Este, Bassano si rese indi- 
pendente sotto la protezione del Comune di Padova. Questa specie di protettorato o 
dominio dei Padovani sopra Bassano, spiacque ai Vicentini, che accamparono antichi 
diritti di giurisdizione su Bassano e sulla regione circostante; si disputò, si litigò e si 
combattè un po' ; poi la quistione fu rimessa all'arbitrato del veneziano Marco Quirino 
podestà di Padova. Questi, esaminate le ragioni dei contendenti, decise che il diritto 
stava per Vicenza, e che questa città dovesse esercitare la sua protezione e potestà su 
Bassano. Ciò non piacque troppo ai Bassanesi che avrebbero preferita la loro indi- 
pendenza, e vi furono contese, ribellioni, guerre, fino a che, nel 1268, Padova interve- 
nendo, riprese Bassano sotto la sua potestà. Viii tardi Can Grande della Scala, in guerra 
con Padova, assediò Bassano e le arrecò grave danno. Come gran parte del Veneto, 
passò sotto il dominio scaligero; poi, tramontata la potenza di questo, fu dei Carrara 
signori di Padova, sopportando più volte i danni delle guerre sòrte tra Veneziani e 
Carraresi, ed infine, quando il biscione visconteo, nei suoi momenti di singolare fortuna, 
stese le sue spire fino al Piave ed al Tagliamento, Bassano fu sotto la signoria di 
Gian Galeazzo, che apprezzandone la posizione sulla riva di un gran fiume ed allo 
sbocco di una importante vallata, ch'era allora una delle vie maggiormente battute tra 
la Germania e l'Italia, la cinse di nuove mura e di grandi fortificazioni. Sul principio 
del secolo XV Bassano si diede spontaneamente a Venezia, che vi mandò a governarla 
il provveditore Francesco Bembo. Nella guerra scoppiata nel 1411 tra l'imperatore 
Sigismondo e Venezia, il territorio bassanese fu orribilmente devastato; e lo Spano, 
generale delle truppe imperiali, tentò di prendere la città per improvviso assalto colla 
foga degli Ungari che aveva numerosi sotto di sé. L'intera cittadinanza corsa alle armi, 
respinse l'assalto con grande valore al grido di < viva San Marco > e lo Spano, malconcio, 
dovette abbandonare l'impresa e il territorio. Un secolo di pace benefica e riparatrice, 
sotto l'illuminato governo di Venezia, fu così assicurato a Bassano, ove cominciarono 
a svilupparsi quelle industrie manifatturiere per le quali, durante il governo veneto, si 
rese famosa. 

Quando la Lega di Cambrai tentò di schiacciare la Repubblica serenissima, Bassano 
fu occupata dalle truppe imperiali, alle quali Venezia la ritolse ; vi passarono i Francesi 
di Francesco I, e poi ancora gli imperiali. Ma Venezia, che colla resistenza armata e 
le arti della diplomazia aveva saputo trionfare della coalizione europea, rientrò nel 1518 
incontrastata nel possesso di Bassano: e quasi tre secoli di pace assoluta e di operosa 
tranquillità passarono per la piccola città, che in questo periodo fortunato vide fiorire 
le sue industrie e specialmente quelle celebri della sua stamperia e delle ceramiche. 

Durante la campagna d'Italia del 1796 Bassano fu occupata daBonaparte scendente 
da Trento, e costringente alla ritirata l'esercito austriaco che da qualche tempo, vio- 
lando la impotente neutralità nella quale si era chiusa da moribonda la Repubblica 
Serenissima, aveva occupato questa regione. 

Nell'anno seguente, scoppiate le ostilità tra la Francia e Venezia, il 28 d'aprile 
furono abbassate le insegne di Venezia e Tultimo podestà veneto, Giovanni Contarini, 
obbligato a partire. Si formò sotto il protettorato, o meglio, sotto l'influenza francese, 
un Governo provvisorio che durò tre mesi ; finché un decreto di Napoleone aggregò 
Bassano a Vicenza. 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Bassano 275 



Fig. 99. — Bassano : Casa Lazzaro Bonamico (da fotografia Bordigioni). 

Caduta Venezia pel trattato di Carapoformio, il Veneto fu occupato dagli imperiali, 
che il 12 gennaio 1798 entrarono anche in Bassano. Ma dopo tre anni il Veneto era loro 
ritolto da Napoleone, che dopo un anno, per il trattato di Luneville, lo riconsegnava 
all'Austria; ma nel 1808 Bassano era di nuovo ripreso da Napoleone, e con tutto il 
Veneto incorporato nel Regno d'Italia. Fra i fatti d'arme, avvenuti nei pressi di Bassano 
durante questo periodo, ebbe speciale importanza quello del 9 settembre 1796, nel 
quale si distinse il generale Ugo Benedetto Maret, da Napoleone imperatore creato poi 
maresciallo di Francia, duca di Bassano e suo segretario di Stato. I discendenti di 
Maret portano ancora il titolo di duchi di Bassano. 

Allo sfasciarsi dell'impero napoleonico, gli Austriaci riconquistarono col Veneto 
anche Bassano, ove entrarono alla fine del 1813, restandovi sino al marzo del 1848. 

In quell'anno memorando della riscossa italica, abbandonata dagli Austriaci, Bassano 
costituì coi migliori suoi cittadini un Governo provvisorio, che aderì subito alla risorta 
Repubblica veneta. La gioventù bassanese prese le armi e, costituito un battaglione, 
combatteva a Fastro contro gli Austriaci e molti anche nella difesa di Venezia. 

Nel 1859, 1860 e 1866 molti Bassanesi presero parte alle guerre per l'indipendenza 
della patria. Gli Austriaci lasciarono Bassano il 14 luglio 1866, e quattro giorni dopo vi 
entrava un plotone di cavalleria italiana, avanguardia della divisione Medici, che da 
Bassano si diresse a Primolano, avendo per obbiettivo Trento: ove certo sarebbe arrivata 
se a due t^rzi di strada non l'avesse trattenuta, poi richiamata, l'intervenuto armistizio. 
Nel plebiscito del 24 ottobre, col quale le Provincie venete dichiararono di annettersi 
al Regno d'Italia, Bassano diede 3508 voti favorevoli e nessuno contrario. 



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S76 Parte Prima — AlU Italia 



UOMINI ILLUSTM 

Numerosa è la schiera dei cittadini bassanesi, che per le virtù dell' ingegno si 
resero famosi, ed il nome dei quali sconfinando di gran lunga dalle patrie muta, 
contribuì a formare il patrimonio nazionale. 

Innanzi tutto vanno ricordati i Da Ponte, celebri pittori bassanesi, dei quali 
Jacopo ha il vanto di essere uno fra i grandi maestri della scuola veneta. I Da Ponte 
furono sei: Francesco Da Ponte // Vecchio, vissuto tra il 1450 ed il 1530, buon dipintore 
d'affreschi e soggetti sacri; ottimo maestro al figlio Jacopo, nato nel 1510. I dipinti 
di Jacopo sono ornamento delle maggiori gallerìe del mondo: a Venezia, a Madrid, 
a Londra, a Dresda, a Firenze, a Roma; ottimi sono i suoi capolavori. Visse 86 anni, 
e la sua città natale gli tributò, nel 1893, Tenore ben meritato d'un monumento in 
marmo, sulla piazzetta di Santa Chiara, opera dello scultore Giovanni Fusaro di 
Venezia. I figli di Jacopo da Ponte furono: Francesco, il Oiovane, di grande fan- 
tasia ma di poco corretto disegno; Giambattista, buon riproduttore delle opere altrui; 
Leandro, eccellente ritrattista; Gerolamo, dedicatosi esclusivamente al genere sacro 
e riproduttore delle opere paterne. Questi artisti vissero ed operarono dalla metà 
del secolo XVI al principio del XVII, risentendo nella loro maniera della decadenza 
alla quale l'arte sì avviava. 

Nelle lettere e nelle scienze vanno ricordati i bassanesi: Giambattista Brocchi, 
naturalista celebre, uno dei precursori nel rinnovamento positivista delle scienze 
naturali, nacque nel 1772 e morì a Eartum nell'alto Egitto nel 1826. Erasi colà recato, 
chiamato dal viceré, per studiarvi le rìcchezze minerarìe dell'alta valle del Nilo. Fu 
il fondatore, col munifico suo lascito, del Museo e della biblioteca di Bassano; — 
Alberto Parolini, pur esso naturalista valente, educato a questa scienza dal Brocchi 
stesso, col quale compì viaggi importanti. Coli' inglese Barkes- Welle visitò a scopo 
scientifico la Grecia e l'Asia Minore, riportando in patria preziose collezioni. Fu 
l'iniziatore del bellissimo giardino botanico del quale Bassano si onora. Nacque nel 
1788 e morì alla metà del secolo XIX ; — Giusto Bellavitis, matematico insigne, nato 
nel 1803 da umili genitori, fu professore all'Università di Padova dove nel 1832 
pubblicò il classico suo Metodo delle equipollenze, È morto senatore del Regno d'Italia 
nel 1880; — Giambattista Baseggio, nato nel 1798, dottissimo, un vero enciclopedico. 
Pubblicò studi di numismatica, di storia, dì filosofia, di arte, di scienze naturali, di 
ceramica, di chimica, di pittura e di meccanica. Colle sue donazioni diede grande 
increménto al Museo, del quale curò anche il razionale ordinamento; — Lazzaro 
Bonamico, nato nel 1479, letterato insigne nelle lingue greca, latina ed italiana; 
insegnò nelle Università di Padova e di Bologna; — Baldassarre Remondini, oratore 
sacro, nato nel 1698, fu vescovo di Cefalonia e Zante di cui pubblicò una storia; fu 
pure dotto orientalista ed amico di papa Benedetto XIV; — Giambattista Verci, 
storiografo insigne, uno dei precursori del metodo analitico e critico nella storia; 
nacque nel 1739. Lasciò numerose opere, delle quali sono specialmente celebri la 
Storia degli Ezzelini e la Storia della Marca Trivigiona; — Giuseppe Barbieri, nato 
nel 1774, oratore e scrittore sacro salito a grandissima rinomanza; — Bartolomeo 
Ferracina, della vicina Solagna, nacque da poverissima famiglia nel 169^, fu mecca- 
nico, matematico, astronomo, ingegnere della Repubblica veneta. Nel 1748 rifece il 
ponte sul Brenta e nel 1756 ricostrusse il tetto al gran Salone di Padova: rifece 
anche l'orologio della piazza di Venezia; — Jacopo Vittorelli, nato nel 1749, fu 
poeta dolce ed elegante, tanto che lo si disse l'Ànacreonte italiano. 
Coli, elett. Bassano — Dioc. Vicenza — P", T. e Slr. ferr. 

Campolongo sul Brenta (970 ab.). — Questo Comune, già appartenente al soppresso 
mandamento di Valstagna, si trova sulla destra del Brenta, in paese montuoso ed assai 



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Mandamento e Gonnmi del DiBtretto di Bassano 277 



pittoresco, toccato dalla magnifica strada postale che a Primolano si biforca per Feltro 
e per Trento. È Comune essenzialmente rurale, e nulla havvi in esso meritevole di 
nota speciale. Il capoluogo trovasi presso il fiume, 7 chilometri a nord da Bassano. 

Il territorio di Campolongo, assai fertile, dà tabacco — prodotto per conto dello 
Stato — cereali, foraggi, essendovi nelle parti alte del Comune bellissimi pascoli. 
Industria del luogo Tallevamento del bestiame, la produzione dei formaggi e la 
fabbricazione della calce, generi tutti che si esportano dal Comune. 

€k>ll. eleit. Bassano — Dioc. Padova — P", T. e Str. ferr. a Bassano. 

Cartigliano (1892 ab.). — Il territorio si stende in pianura, sulla sponda sinistra 
del Brenta a sud-ovest di Bassano. Il capoluogo (88 m. sul mare e chilometri 6 da Bas- 
sano) è paese in gran parte moderno e di bell'aspetto. Notevole la chiesa parrocchiale. 

Il territorio di Cartigliano, assai fertile, produce cereali di ógni specie, foraggi, viti, 
gelsi, frutta, ortaglie. Importante vi è Tallevamento del bestiame e la produzione dei 
bozzoli. Industrie locali: la filatura della seta e la fabbricazione dei cesti di vimini. 

Cenno storico. — Cartigliano è luogo antico assai: se ne hanno notizie in carte del 
secolo XI e fu lungamente soggetto alla curia vescovile di Vicenza. 

Coli, elett. Bassano — Dioc. Vicenza — P' locale, T. e Str. ferr. a Rosa. 

Cassola (2221 ab.). — Si stende il territorio di questo Comune nella verdeg- 
giante pianura che è a sud-est di Bassano. È Comune rurale e frazionato. Il capoluogo 
(92 m. sul mare e chilometri 8 da Bassano) è un discreto paese di circa 300 abitanti. 

Il territorio fertilissimo, lavorato con molta cura, produce cereali, viti, gelsi, foraggi, 
frutta. L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile e la produzione dei bozzoli 
sono le industrie di maggior sussidio all'agricoltura. 

Ck)ll. elett. Bassano — Dioc. Vicenza-Padova — P", T. e Str. ferr. a Rosa. 

Cismon (2691 ab.). — Si stende questo Comune nelFangolo nord-est del distretto, 
alla conQuenza del Cismon nel Brenta, fra alte e belle montagne. Faceva parte del 
soppresso mandamento giudiziario di Yalstagna, ora aggregato a quello di Bassano. 
— Cismon, capoluogo del Comune (205 m. sul mare e chilometri 22 da Bassano), è un 
grosso borgo sulla sinistra del Brenta, di circa 1600 abitanti. Primolano, punto di con- 
fine tra il Regno d'Italia e l'Impero Austro-Ungarico, è frazione di questo Comune, 
interessante e frequentata dai viaggiatori che per quelle strade si recano nella vai 
Sugana ed a Trento, o nel Cadore. 

Il territorio di questo Comune, fertilissimo, produce tabacco per conto del Governo 
italiano, cereali, viti, castagne; nella parte alta vi sono pascoli estesi e ricchi. L'alle- 
vamento del bestiame, la produzione dei latticini, sono le industrie del luogo di 
maggior sussidio all'agricoltura. 

Cenno storico. — Nelle vicinanze di Cismon si mostra la storica grotta del Covolo, 
la quale diede più volte serio pensiero agli imperatori tedeschi nelle loro frequenti 
discese medioevali e che poi servì di rifugio ai perseguitati da Ezzelino. Nelle vicinanze 
di Cismon il 7 settembre 1796 cominciò quella battaglia tra i Francesi capitanati da 
Bonaparte e gli Austriaci condotti dal feld-maresciallo Wurmser, che finì coU'entrata 
trionfale del primo in Bassano e colla precipitosa ritirata dell'altro oltre il Piave. 
Coli, elett. Bassano — Dioc. Padova — P* e T. locali, Str. ferr. a Bassano. 

Hussolente (2803 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte 
più orientale del distretto e sul suo confine colla provincia di Treviso, in pianura e 
sulle falde di pittoresche colline. È Comune essenzialmente rurale e frazionato. — 
Mussolente, frazione maggiore del Comune (127 m. sul mare e chilometri 5 ad est di 
Bassano), è una borgata sparsa di oltre 1200 abitanti, con costruzioni in gran parte 
moderne. Nulla però havvi che meriti speciale menzione. 



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278 Parte Prima - Alta Italia 



n territorio di questo Comune, fertilissimo, bene irrigato, dà cereali, foraggi, viti, 
gelsi, frutta e ortaglie. L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile e la produ- 
zione dei bozzoli contribuiscono fortemente alla ricchezza agrìcola del luogo. Altre 
industrie prevalenti sono la lavorazione del ferro, la segatura del legname, la torcitura 
e tessitura del cotone e la macinazione dei cereali, mediante forza motrice idraulica, 
abbondante per molti corsi d'acqua che attraversano il Comune. 

Cenno storico. — Mussolente è luogo antico, del quale si hanno notizie, specialmente 
nell'epoca fortunosa per questa regione del dominio degli Ezzelini, dei quali fu feudo. 
Coli, elett. Bassano — Dioc. Treviso — P* locale, T. e Str. ferr. a Bassano. 

Pove (1671 ab.). — Si stende il territorio di questo Comune in ridente posizione 
sulla sinistra del Brenta a settentrione di Bassano, fra colli e montagne. È Comune 
esclusivamente rurale e frazionato. — Pove, borgata principale (16.3 m. sul mare e 
chilometri 4 da Bassano), è un discreto paese, d'aspetto moderno, ma che nulla di 
speciale offre al visitatore. 

Prodotti del suolo, fertile e ben coltivato: cereali, ortaggi, frutta, viti; nella parte 
alta vi sono pascoli estesi. L'allevamento del bestiame è la principale industria locale. 
Coli, eleti. Bassano — Dioc. Padova — P', T. e Str. ferr. a Bassano. 

Romano d'Ezzelino (3173 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende su di 
una striscia di terreno parte in colle e parte in piano, al nord-est di Bassano e presso 
il confine della provincia di Vicenza con ^quella di Treviso. È Comune frazionato. — 
Romano, frazione principale (132 m. sul mare e chilometri 3 da Bassano), è una bella 
borgata nella quale, oltre la chiesa parrocchiale, non mancano edifizi notevoli, signorili. 

Il territorio di Romano, fertilissimo e coltivato con molta cura, dà al piano cereali 
d'ogni specie, viti, gelsi, frutta, ortaglie. Nella parte' alta ha estesi pascoli, boschi di 
castagne, cedui. L'allevamento del bestiame e dei bachi da seta, la produzione del car- 
bone e del legname da ardere sono le industrie agricole di maggior vanto del Comune, 
ove si trovano pure cave di pietre litografiche e di argilla per la fabbricazione delle 
ceramiche. 

Cenno storico. — Sebbene non rimangano più tracce del castello ove s'annidarono 
i discendenti del tedesco Ezilone d'Arpone, che l'ebbe in feudo da Corrado il Salico, 
per farsi potente e stendere la mano sulla Marca di Treviso, su Padova e Vicenza, 
Romano d'Ezzelino richiama alla memoria una infinità di nomi e di ricordi. Il castello 
degli Ezzelini fu distrutto dal furore dei Padovani, alla morte del tiranno. 1 Vene- 
ziani più tardi in parte lo ricostrussero ; ma poi, inutile e cadente, dovette dar 
luogo ad altre costruzioni. Quivi, mentre Ezzelino IV meditava le truci sue imprese, 
s'intesseva l'idillio di Cunizza con Bordello il trovatore, che seppe trovare la via 
del cuore della sorella degli Ezzelini colla dolce e sonante lingua di Provenza. Quivi fa 
Dante, che con quella sua, meravigliosa per precisione, sintesi descrittiva, ritrae per 
bocca di Cunizza la località nelle terzine del Purgatorio^ e. x : 

Si leva un coUe, e non surge molt'alto, 
Là ove scese già una facella 
Che fece alla contrada grande assalto. 



In quella parte della terra prava 
Italica che siede entro Rialto 
E la fontana di Brenta e di Piava 



Coli, elett. Bassano — Dioc. Padova — P*. T. e Str. ferr. a Bassano. 

Rosa (5715 ab.). — Si stende il territorio di questo cospicuo Comune nella ridente 
pianura che è al sud di Bassano, attraversata dalla strada postale da Padova per il 
Trentino e per Feltro, e dalla linea ferroviaria Padova-Bassano, che a Rosa fa sta- 
zione. Il Comune consta di varie frazioni, delle quali Rosa, capoluogo (100 m. sul mare 
e chilometri 5 da Bassano), è un grosso paese sparso di circa 1300 abitanti, con una 
chiesa parrocchiale di buona architettura e fiancheggiata da un alto campanile. 



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Mandamento e Comuni del Distrclto di Bassnno ^79 



n territorio di Rosa, fertilissimo ed irrigato, coltivato com'è con molta cura, dà 
ottimi prodotti in cereali, in viti, foraggi, gelsi, ortaglie e frutta. L'allevamento del 
bestiame e la produzione dei bozzoli sono industrie in luogo fiorentissime. Vi sono 
inoltre molini per la macinazione dei cereali e filande per la trattura della seta. 
Ck>U. eleit. Bassano — Dice. Vicenza — P', T. e Sir. ferr. 

Rossano Veneto (3608 ab.). — Questo Comune trovasi in pianura, nell'angolo 
sud-est del distretto e sul confine della provincia di Vicenza con quella di Treviso. — 
Rossano (81 m. sul mare e chilometri 9 da Bassano) è una borgata sotto ogni rap- 
porto ragguardevole. Ha edifizi moderni e nella piazza e nella via principale aspetto 
di piccola città. 

11 territorio, ubertoso, irriguo e ben coltivato, dà ottimi prodotti in cereali, fieni, 
gelsi, viti, frutta, ortaglie. L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile e la pro- 
duzione dei bozzoli sono potenti coefficienti alla ricchezza agricola del Comune. Altre 
industrie del luogo sono la filatura della seta, esercitata in vari piccoli opifici, e la 
fabbricazione della carta, in un opificio che impiega una quarantina d'operai. 

Cenno storico. — Rossano è luogo antico e fu soggetto a varie infeudazioni. Il suo 
nome si riscontra sovente nelle cagioni dei contrasti tra Padova, Vicenza e Treviso, 
durante il periodo comunale e specialmente al tempo delle imprese di Ezzelino IV 
da Romano. coll. elelt. Bassano — Dioc. Padova — P«, T. e Str. ferr. 

San Nazario (2772 ab.). — Questo Comune, già facente parte del soppresso man- 
damento di Valstagna, si trova nella parte alta o settentrionale del distretto, sulla 
strada postale che da Padova per t^rimolano va nel Trentino. Esso si stende in un tratto 
assai ristretto della valle, nel cui fondo corre il Brenta, e sul pendìo, ben soleggiato, dei 
monti circonvicini. È Comune frazionato e le due maggiori frazioni sono San Nazario 
e Carpane (rispettivamente a 9 e 12 chilometri da Bassano), due discrete borgate, ma 
nelle quali nulla havvi di rimarchevole. 

In tutto il territorio di San Nazario si coltiva, sotto la vigilanza dello Stato, il 
tabacco, che quivi cresce rigogliosamente, ed è questa Tunica coltivazione del luogo. 
Ove non si coltiva tabacco sonvi pascoli e boscaglie cedue e di castagni. La coltiva- 
zione del tabacco, in questo e nei limitrofi Comuni della Valstagna, fu introdotta nel- 
l'anno 1560 e vi fu protetta da privilegi della Repubblica di Venezia e successivamente 
consentita dal Governo austriaco e dal Governo nazionale, previo, nei coltivatori, l'as- 
soggettamento a certe pratiche ed a certe norme di carattere fiscale. L'allevamento 
del bestiame è pure industria importante del luogo, ove si fa anche commercio di 
legname da ardere e da lavoro. 

Coli, elett. Bassano — Dioc. Padova — P' e T. nella fraz. Carpano, Str. ferr. a Bassano. 

Solagna (2022 ab.). — Anche questo Comune faceva parte del soppresso manda- 
mento di Valstagna, aggregato — per la legge 30 marzo 1890 — al mandamento giu- 
diziario di Bassano. Esso si trova in regione montuosa, al nord di Bassano, nella 
stretta valle per cui il Brenta scende al piano. — Il capoluogo del Comune, Solagna, 
è un discreto paese in ridente posizione, sulla sinistra del fiume (131 m. sul mare e 
6 chilometri da Bassano), che nulla oifre di speciale interesse artistico e storico, per 
quanto sia luogo antico e ricordato nei documenti del medioevo, nel periodo delle 
lotte comunali e della dominazione degli Ezzelini. 

Il territorio, fertile e ben coltivato, produce soprattutto tabacco, viti, gelsi e cereali. 
Coll. elett. Bassano — Dioc. Padova — P^ T. e Str. ferr. a Bassano. 

Tazze (4234 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte sud del 
distretto, in pianura, sulla sinistra del Brenta e fa confine colla provincia di Vicenza 
e con quella di Padova. È Comune rurale e molto frazionato. — Il capoluogo, Tezze, 



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280 Parte Prima - Alta Italia 



è un villaggio di oltre 700 abitanti, a 71 metri sul mare e a chilometri IO da Bassano. 
Due parrocchie e fattorie sparse per la campagna costituiscono il nucleo comunale. 
Prodotti del suolo, fertilissimo, bene irrigato e coltivato con ogni cura, sono i 
cereali, la vite, i gelsi, i foraggi, le ortaglie. L'allevamento del bestiame da stalla e 
da cortile e la produzione dei bozzoli sono le industrie di maggior sussidio alPagrì- 
coltura. Altre industrie esercitate nel Comune: la filatura e torcitura della seta, la 
macinazione dei cereali e l'estrazione dal suolo delle radici di trebbia o galvano per 
la fabbricazione delle spazzole. 

Coli, elelt. Bassano — Dioc. Vicenza — P", T. e Str. ferr. a Rossano Veneto. 

Valrovina (1278 ab.). — Si trova questo Comune nella parte occidentale del distretto, 
alla destra del Brenta ed in regione montuosa. È Comune frazionato ed esclusivamente 
rurale. La frazione capoluogo (265 m/sul mare é 4 chilometri a nord-ovest da Bassano) 
è un villaggio di 350 abitanti, nel quale non mancano edilizi moderni e di bell'aspetto. 

Il suolo, fertile, ricco d'acque e soleggiato, dà cereali, tabacco, viti, gelsi e fìrutta. 
Nella parte più alta del Comune sonvi estesi pascoli e boschi di castagni e cedui. 
L'allevamento del bestiame e la produzione del legname da ardere, da lavoro e del 
carbone sono le industrie del luogo. 

CSoll. elelt. Bassano — Dioc. Vicenza — P^ T. e Str. ferr. a Bassano. 

Valstagna (4209 ab.). — Questo Comune fu capoluogo dell'omonimo mandamento 
giudiziario, soppresso per effetto della legge 30 marzo 1890 ed aggregato al manda- 
mento di Bassano. È anche capoluogo della cosiddetta Valstagna, che comprende il 
tratto della vallata del Brenta, dalla confluenza del Cismon fin quasi allo sbocco nella 
piana presso Bassano. È regione montuosa ed eminentemente pittoresca nella parte 
nord-ovest del distretto. — Valstagna, capoluogo del Comune (148 metri sul mare e 
chilometri 13 da Bassano), è una bella e grossa borgata d'oltre 1000 abitanti, sulla 
destra del Brenta, congiunta alla gran strada postale per la Valsugana e Feltro, che 
è sull'altra riva del fiume, mediante un magnifico ponte in pietra a tre arcate. Presso 
Valstagna il Brenta scorre rapido ed incassato fra alte rive. Quivi si formano le zat- 
tere di legname da ardere e da lavoro che la corrente del fiume trasporta a Bassano 
e a Padova, per procedere verso Venezia. Notevoli, nelle vicinanze di Valstagna, le 
profonde grotte che s*aprono nel seno delle montagne. Da una di queste, nel cui fondo 
è un laghetto, trae le sue origini l'Oliero, piccolo confluente del Brenta, dalle acque 
limpide e freschissime. 

Prodotti del suolo, non troppo fertile, ma, dove è possibile, coltivato con grande 
cura, sono il tabacco, i cereali e in parte viti. Estesi e ricchi vi sono i pascoli e così i 
boschi cedui e qualche castagneto. Il commercio del legname da ardere e da lavoro 
e del carbone è una delle maggiori attività del Comune. 

Cenno storico. — Valstagna è luogo antichissimo, ricordato nelle carte della Curia 
patavina, da cui sempre dipese, e nelle cronache del periodo comunale. 
GoU. elett. Bassano — Dioc. Padova — P* e T. locali, Str. ferr. a Bassano. 



VI. — Distretto e Mandamento di LONIGO 

n distretto di Lonigo occupa l'estremità sud-occidentale della provincia di Vicenza 
ed è confinante: a nord, coi distretti di Arzignano e di Vicenza; ad est, col distretto 
di Barbarano; a sud-est e sud, colla provincia di Padova; ad ovest, con quella di 
Verona. Ha una superficie di 2S2 chilometri quadrati ed è, si può dire, pressoché 
tutto in piano, poggiandosi solo per breve tratto sul fianco occidentale dei colli Berici. 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Lonigo ^\ 



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75 » lA Pai ria» voi. I, parte 2i. 



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Parte Prima — Alta Italia 



Bagnano il distretto di Lonigo il fiume Guà, il cosiddetto Fiume Nuovo^ ed una 
quantità di corsi minori e torrentelli scendenti dalle vicine colline Beriche e da quelle 
del soprastante distretto di Arzignano. Il territorio è percorso da una completa rete 
di strade comunali e provinciali, che mettono in comunicazione i vari Comuni fra di 
loro e coi capoluoghi del distretto e della provincia. 

In linea amministrativa e giudiziaria appartengono al distretto di Lonigo i Comuni 
di Agugliaro, Alonte, Campij?lia de' Berici, Gambellara, Montebello Vicentino, Noventa 
Vicentina, Orgiano, Pojana Maggiore, Sarego. 

II distretto di Lonigo, regione essenzialmente agricola e serico-commerciale, ha 
una popolazione di 38.616 abitanti, secondo il censimento del 10 febbraio 1901. 



Lonigo (10.403 ab.). — Il Comune di Lonigo si stende, con un vasto territorio, 
nella parte occidentale del distretto, dalle falde occidentali dei monti Berici verso il 
piano. Esso consta di varie frazioni. — Lonigo, frazione princi- 
pale, è una graziosa cittadina di oltre 4000 abitanti, in posizione 
quanto mai pittoresca, alle falde verdeggianti dei monti Berici 
da un lato e sulla sponda sinistra del Guà dall'altro, a 31 metri 
sul mare e chilometri 22 a sud-ovest da Vicenza. Ha stazione 
ferroviaria sulla linea Milano-Venezia, da cui dista circa 5 chilo- 
metri, ed è unita con tramvia a vapore, alla stazione stessa, a 
Cologna Veneta e Verona. Lonigo ha belle vie, larghe, spaziose, 
ben tenute, fiancheggiate da edifizi in gran parte moderni o 
rimodernati, non molto alti, illuminati di sera a luce elettrica. 
Fra gli edifizi notevoli in Lonigo vanno innanzi tutto, per ragioni d'antichità, 
ricordate le due torri, in parte rovinate, avanzi del famoso castello di Lonigo, le ori- 
gini del quale si fanno risalire al periodo romano. Sorgeva nel centro della città, 
nella parte più elevata di questa, ove ora trovasi il nuovo maestoso tempio. Questo 
edifizio, davvero ragguardevole, fu costruito nello scorcio del secolo XIX, su disegno 
dell'architetto Giacomo Franco da Verona. È in istile lombardo del Rinascimento, a 
liste policrome. Ha la fronte maestosa sulla piazza dei Cavalli; nelP intemo è a tre 
navate e misura in lunghezza 72 metri, con larghezza al pie di croce di 29 metri; 
la navata trasversale è di 52 metri, comprese le due absidi. Alla crociera centrale 
s'innalza una bellissima cupola, o meglio tiburio, esagonale. La prima pietra di questo 
tempio fu collocata il 24 giugno 1877; ma esso, nella parte decorativa specialmente, 
non è ancora ultimato (fig. 100). 

Altre chiese notevoli di Lonigo sono: quella dei Santi Fermo e Rustico, di antica 
costruzione, ma ricostruita a spese del principe Andrea Giovanelli, su disegno dell'archi- 
tetto Zanella: è di stile lombardo e fra le opere d'arte che vi si conservano notasi 
la statua della Vergine del Bono, un Sant'Andrea di Luca Giordano, un quadro del 
Moretto ed il Martirio dei Santi Fermo e Rustico, opera assai lodata del veronese 
Montemezzano ; — la chiesa dei Santi Cristoforo e Quirico, antica, eretta tra il 
secolo XIII ed il XIV, con un buon campanile del veneziano Diedo, eretto nel 1573, 
con quadri del Montagna, del De Angeli e del Cignaroli; — la chiesa della Madonna 
dei Miracoli, ecc. — Elegante e moderno è il teatro cittadino, che si apre a buoni 
spettacoli durante la stagione delle celebri fiere, di cui diremo più innanzi. 

Lonigo possiede ottime istituzioni scolastiche: Ginnasio, Scuola tecnica. Collegio- 
convitto, Scuola agraria e Scuola di disegno professionale per gli operai. La pubblica 
beneficenza è esercitata dalla Congregazione di carità, dotata di cospicuo patrimonio; 
dall'Ospedale, di recente trasformazione, costruito a padiglioni, secondo le moderne 
esigenze igienico-edilizie, con annessa Casa di ricovero pei vecchi ed i cronici; ed un 
Asilo d'infanzia. Fiorenti Istituti di credito sono la Banca popolare e la Banca cattolica. 



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Mandamento e Comuni del Distretto dì Lonigo 283 

I dintorni di Lonigo, specie nella parte toccante i monti Berici, assai pittoreschi, 
sono popolati da bellissime ville, fra le quali vanno ricordate: la grandiosa villa dei 
principi Giovanelli, dair ingresso maestoso, disegnato dal Bagnara, dal palazzo, opera 
deirarchitetto Balzaretti di Milano, dal magnifico parco; — la villa Pisani, nella località 
di Bagnolo, opera incompiuta del Palladio ; -— le ville Milana-Massari, Soranzo e la 
Rocca, dovuta quest'ultima allo Scamozzi. 

II territorio di Lonigo, irriguo e ben coltivato, produce cereali d'ogni specie, viti, 
foraggi, riso, gelsi. Hanno grande importanza in questa regione l'allevamento del 
bestiame e la produzione ed il commercio dei bozzoli. Industrie del luogo sono: la 
filatura della seta, esercitata in 3 opifici con 214 operai; la brillatura del riso, la 
concia delle pelli, le tipografie, la fabbricazione di oli medicinali, Tesportazione delle 
uova e del pollame, ecc. 

Le Fiere di Lonigo, — Non solo in tutta Tltalia, ma all'estero, nella vicina Austria- 
Ungheria, in Francia ed in Germania è celebre la fiera, di cavalli specialmente e 
d'altro bestiame poscia, che ogni anno nel mese di marzo si tiene in Lonigo. Dura 
circa una settimana, dal 22 al 28. Vi sono condotti, anno per anno, da 7 ad 8000 
cavalli, dei quali 2000 di lusso trovano riparo in comode scuderie, gli altri sono alli- 
neati nella gran piazza detta dei Cavalli e nelle vie adiacenti. Questa fiera fu isti- 
tuita nel 1806 ed è delle poche che ancora resistano vittoriose alle mutate esigenze 
dei tempi e dei commerci. Va pure annoverata fra le migliori del Veneto la fiera 
che dura dal 24 al 26 luglio, detta di San Giacomo. 

Cenno storico. — Dagli eruditi locali, come il Padre Barbarano, il Solmon, il Paglia- 
rino ed altri, si attribuiscono a Lonigo origini molto antiche, ma senza precisare l'epoca 
della fondazione od il fondatore. L'opinione più diffusa è che Lonigo tragga le sue 
origini dalla dominazione di Roma, cominciata in questa regione intomo all'anno 600 
ab u. e. 11 Castellini fa derivare il nome di Lonigo dalla famiglia romana patrizia 
Leonica Flavia, che qui avrebbe avuto stanza e possedimenti. Ma sono congetture che 
nessun monumento positivo avvalora. Nel periodo della decadenza romana Lonigo 
esisteva. Quivi, dopo la distruzione di Aquileja e la conquista di Vicenza, passò Attila 
dirigendosi su Verona e, pare, fosse osteggiato da legioni romane. Nei pressi di 
Lonigo furono trovati ruderi di case romane con pavimenti a mosaico e molte tegole 
e mattoni romani. Nel museo di Verona si conserva il cippo marmoreo qui posto dal 
console Savano a segnare i confini tra gli Atestini e i Vicentini. Da poco fu scoperta 
la lapide sepolcrale che il Quatuorviro giusdicente Publio Cetronio pose a sé e alla 
sua famiglia, nel secondo o terzo secolo dell'era volgare. 

Nel 697, durante il regno longobardo, presso Lonigo, avvenne la battaglia fra 
Ausidio duca ribelle ed il re Cuniberto. Ausidio fu sconfitto e, come allora usavasi, 
venne accecato e chiuso in un convento. 

Intorno al 1000 Lonigo fu causa delle prime contese fra Padovani e Vicentini e 
soggetto alle occupazioni ed ai saccheggi dell'una e dell'altra parte, a seconda del- 
l'alterna fortuna. Diventato feudo dei Malacapella, intomo al 1112, Lonigo subì le 
vicende della torbida politica dei feudatari del tempo, che dovevano appoggiarsi ora 
all'uno ora all'altro dei potenti dominanti la situazione per non perdere ciò che ave- 
vano. Così, posto tra le contese dei conti di San Bonifacio coi signori da Romano, Lonigo 
dovette subire le conseguenze ed i danni di guerre sanguinose ed interminabili. 

Nel 1209 Lonigo fu espugnato e posto a sacco da Bartolomeo di Palazzo, podestà 
di Verona; tre anni dopo Azzo VI d'Este toglieva Lonigo ai Veronesi; ed Ezzelino III, 
sopravvenuto, lo toglieva al marchese. Nel 1239, Enrico Malacapella consegnava le 
chiavi di Lonigo all'imperatore Federico II per ingraziarselo; ma inutilmente, perchè 
questi dava quella terra a Gabriele da Lonigo, che poco appresso la cedeva ad Albe- 
rico da Romano. Nel 1240, essendosene impossessato il guelfo conte di San Bonifacio, 



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2Si Inatte Prima — Alta Italia 



Ezzelino IV da Romano, il Tiranno, assalì Lonìgo, difeso da Pietro Maltraversi e da 
Uguccione Pillo, e lo espugnò, traendone, come era suo costume, vendetta. Per tutto 
quel secolo disgraziato e per il successivo Lenito fu dilaniato dalle lotte delle fazioni 
e dei signorotti che se ne contendevano il dominio, passando poi sotto il dominio 
dello Scaligero, indi sotto quello dei Carraresi di Padova; infine, nel 1404, passò sotto 
il dominio della Repubblica di Venezia, per spontanea dedizione. Nel 1436, nei pressi 
di Lonigo, si combatterono Nicolò Piccinino, generale di Filippo Maria Visconti duca 
di Milano, e Francesco Sforza, generalissimo delle truppe veneziane. 

Nelle guerre che segnalarono il triste principio del secolo XVI Lonigo fu messo 
a sacco dalle truppe di Don Prospero Colonna, generale dell' imperatore, nemico 
allora dei Veneziani. Ritornato poscia, al dissolversi della Lega di Cambrai, sotto il 
pacifico dominio di Venezia, Lonigo ebbe anni lieti e prosperosi fino al 1797, in cui, 
per il trattato di Campoformio, passò sotto il dominio dell'Austria. Da allora Lonigo 
seguì le sorti di tutta la regione veneta. 

Uomini illustri. — Fra i cittadini illustri dei quali Lonigo ha vanto sono da ricor- 
darsi qui: Ognibene de'Bonisoli, nato intomo al 1410, discepolo di Vittorino da Feltre, 
oratore, filosofo e dottissimo scrittore nelle lingue latina e greca, commentatore e 
traduttore dei classici maggiori; Nicolò Leoniceno, nato nel 1428, discepolo del pre- 
cedente, letterato, medico, filosofo e matematico. Insegnò nelle Università di Padova, 
Ferrara, Bolo^ma. Fu a Firenze ed a Roma, onorato da Leone X. Ebbe molti celebri 
allievi, tra cui Lodovico Ariosto e Pietro Bembo. L'onorarono d'intima amicizia Pico 
della Mirandola ed il cardinale Farnese. Morì a Ferrara nel 1524. 
Coli, elett. Lonigo — Dioc. Vicenza — P*, T., Str. ferr. e Tr. 

Agugliaro (1365 ab.). — Si stende questo Comune nella parte sud-est del distretto, 
sul confine della provincia di Vicenza con quella di Padova; il suo territorio è piano 
ed è attraversato dalla fossa Liona. È Comune esclusivamente rurale e frazionato ed 
Agugliaro, frazione principale (14 m. sul mare e chilometri 20 circa da Lonigo), è un 
villaggio sparso, nel quale nulla havvi di notevole. 

Prodotti del suolo, fertile e ben coltivato, sono cereali d'ogni specie, foraggi, viti, 
gelsi e cocomeri (angurie). L'allevamento del bestiame dà stalla e da cortile e la 
produzione dei bozzoli sono le sole industrie del luogo in sussidio all'agricoltura. 
Coli, elett. Lonigo — Dioc. Vicenza — P* locale, T. a Norenta, Str. ferr. ad Este. 

Alonte (1028 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte sud-est 
del distretto. È Comune esclusivamente rurale, e il capoluogo è un piccolo villaggio, 
al piede dei Berici, a 4 chilometri da Lonigo. 

Prodotti del suolo, fertile, irriguo e ben coltivato: cereali, foraggi, viti e gelsL 
Industrie agricole: l'allevamento del bestiame e la produzione dei bozzoli. 
Ck>ll. elett. Lonigo — Dioc. Vicenza — P" locale, T. e Str. ferr. a Lonigo. 

Gampiglia de' Berici (1682 ab.). — Si stende il territorio di questo^ Comune in 
piano, alle falde meridionali dei monti Berici e di fronte ai colli Euganei. È pur questo 
Comune esclusivamente rurale e frazionato, e il suo capoluogo, 16 metri sul mare e 
chilometri 15 da Lonigo, è un villaggio di circa 300 abitanti 

Il territorio, piano, ben irrigato e coltivato con cura, produce cereali d'ogni specie, 
foraggi, gelsi, viti, ortaglie. Industrie agricole del luogo : l'allevamento del bestiame 
da stalla e da cortile, la produzione cospicua dei bozzoli. 

€k>ll. elett. Lonigo — Dioc. Vicenza — P* locale, T. a Noventa, Str. ferr. a Montagnana. 

Gambellara (3245 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte 
nord-ovest del distretto e sul confine della provincia di Vicenza con quella di Verona. 
— Gambellara, capoluogo del Comune, al piede dei colli prealpini, e chilometri 9 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Lonigo 285 



da Lonigo, è una cospicua borgata di quasi 2000 abitanti, nella quale sonvi notevoli 
edifizi di buona architettura ed una bella chiesa parrocchiale. Il territorio è parte 
in piano e parte sul pendìo di amene colline. 

Prodotti del suolo: cereali, foraggi, viti, gelsi, frutta e ortaglie. Rinomatissimi sono 
nella regione i vini bianchi di Gambellara. L'allevamento del bestiame, la produzione 
del vino e dei bozzoli sono le industrie di maggior sussidio alPagricoltura. 
Ck>ll. elett Lonigo — Dioc. Vicenza — P* e T. locali, Str. ferr. a Montobello Vicentino. 

Montebello Vicentino (4563 ab.). — Questo cospicuo Comune si stende nella parte 
nord del distretto, in piano e sulle ridenti colline che stanno alla destra del Guà, 
prima che sbocchi nella rasa pianura, sopra Lonigo. — U capoluogo del Comune (m. 50 
sul mare e chilometri 8 da Lonigo), è una grossa e bella borgata d'oltre 2000 abi- 
tanti, d'aspetto in gran parte moderno. Ha vie spaziose e ben tenute, fiancheggiate 
da edifizi di buona architettura, taluno dei quali signorili. Notevoli gli avanzi del 
castello del periodo Scaligero e la chiesa parrocchiale. È fornito di due acquedotti, 
uno pel capoluogo e l'altro per la trazione ed illuminazione elettrica. I dintorni, assai 
pittoreschi, sono disseminati di ville ridenti, taluna delle quali grandiosa e ricca. 

U suolo, lavorato con cura, dà cereali, viti, gelsi, foraggi e frutta. L'allevamento 
dei bachi da seta e la produzione dei vini sono le industrie di maggior rilievo. 

Cenno storico. — Montebello è luogo antico, del quale si hanno frequenti notizie 
nelle cronache vicentine e veronesi dei secoli XU e XIIL Fu oggetto di contrasti fra 
le due città ed anche i vicini conti di San Bonifacio non mancarono, quando se ne 
porgeva loro il destro, di stendervi sopra l'ugne. Sui colli che dividono il Comune da 
quello di Gambellara sorge un obelisco a ricordo del glorioso fatto d'armi deir8 aprile 
1848 per la patria indiyendenza, fatto che viene commemorato ogni cinque anni. 
Coli, elevt, Lonigo — Dioc. Vicenza — P". T. e Slr. ferr. 

Noventa Vicentina (5828 ab.). — Il territorio di questo grosso Comune si trova 
nell'angolo sud-est del distretto, sul confine colla provincia di Padova ed è bagnato 
dal fiume Guà. — Noventa, capoluogo del Comune (16 m. sul mare e chilometri 18 da 
Rovigo), è un grosso borgo ben fabbricato, con edifizi in gran parte moderni, belle ville 
e un grandioso palazzo. Nella chiesa arcipretale havvi una scala d'altare del Tiepolo, 
giudicata una delle migliori sue opere. 

Il territorio, abbastanza fertile, produce cereali d'ogni specie, viti, gelsi, ottimi 
foraggi, frutta e ortaglie. L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile e la pro- 
duzione dei bozzoli sono le industrie di maggior sussidio all'agricoltura locale. Il 
bestiame in gran parte si esporta ed importante è pure in questa regione il commercio 
per l'esportazione delle uova. 

Coli, elett. Lonigo — Dioc. Vicenza — P* e T. locali, Str. ferr. ad Este e Montagnana. 

Orgiano (3857 ab.). — Si stende il territorio di questo Comune in piano e sulle 
ultime pendici sud-ovest dei colli Berici, in località quant'altra mai pittoresca ed uber- 
tosa. È Comune frazionato ed esclusivamente agricolo. — Orgiano, frazione principale 
(43 m. sul mare e chilometri 8 a sud-est da Lonigo), è un grosso paese sparso a pie dei 
colli, dotato di edifizi moderni e di belle vie. Completano il nucleo comunale parrocchie 
e ville sparse nel territorio. 

Prodotti del suolo: cereali, viti, gelsi, foraggi e frutta. L'allevamento del bestiame 
da stalla e da cortile, la produzione dei vini e dei bozzoli danno efficace contributo 
alla ricchezza agricola del luogo. 

Coli, elett. Lonigo — Dioc. Vicenza — P" locale, T. e Str. ferr. a Lonigo. 

Pojana Maggiore (3517 ab.). — Questo Comune si stende nella parte meridio- 
nale del distretto e sul confine della provincia con quelle di Verona e di Padova. È 



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^6 l'arte Prima — Alta Italia 



Comime essenzialmente rarale e frazionato. — Pojana, frazione titolare del Comune 
(14 m. sul mare e chilometri 17 a sud-est da Lonigo), è un grosso villaggio di quasi 
1000 abitanti, sulla riva di un piccolo torrente afSuente del Guà. 

Il territorio di Pojana, ubertoso, irriguo e ben coltivato, produce cereali, foraggi, 
viti, gelsi, canapa. Vi si alleva bestiame da stalla e da cortile per l'esportazione, ed 
importante vi è pure il traffico delle biade e dei foraggi. 

Coli, elett. Lonigo — Dioc. Vicenza — P*, T. e Str. ferr. a Montagnana. 

Sarego (3128 ab.). — H territorio dì questo Comune occupa in parte Pestremità 
nord-ovest delle colline Boriche ed è attraversato dal Guà e dal Brendola. È Comune 
agricolo e frazionato. — Sarego, frazione principale, conta quasi 500 abitanti e si 
trova in ridente posizione, alle falde dei colli Borici, 71 metri dal mare e 2 chilometri 
da Lonigo. Nulla peraltro di notevole in linea d^arte o di storia allMnfuori del palazzo 
Porto nella frazione di Meledo. 

Prodotti del suolo, fertilissimo, irrìguo e ben coltivato, cereali, gelsi, viti, frutta e 
ortaglie. Importante è in luogo la produzione dei bozzoli. Nella parte montuosa si 
scava pietra da costruzione. 

Coli, elelt Lonigo — Dioc. Vicenza — ?*, T. e Str. ferr. a Lonigo. 



VII. — Distretto e Mandamento di MAROSTICA 

Il distretto di Marostica occupa una regione intema, pressoché centrale, nella parte 
nordest della provincia di Vicenza. Ha forma irregolare, ob^lunga e confipa: a nord, 
col distretto di Asiago o dei Sette Comuni; ad est, col distretto di Bassano; a sud, 
per breve tratto, colla provincia di Padova e poi col distretto di Vicenza; ad ovest 
ancora con quest'ultimo e col distretto di Thiene. Copre una superficie di 190 chilo- 
metri quadrati ed è nella sua parte settentrionale, montuoso, raggiungendo il versante 
meridionale dei monti d'Asiago; e nella parte inferiore collinoso e pianeggiante, ma 
sempre pittoresco e ridente per la lussureggiante vegetazione. 

Il distretto di Marostica è bagnato dal Brenta, uscente dalla bella vallata che si 
apre sotto Bassano; dal Tesina e da altri piccoli corsi che scendono dalle vicine prealpi 
dei Sette Comuni. 

Una completa rete di ottime strade provinciali e comunali percorre in ogni senso 
questo distretto, unendone fra di loro i vari centri e così quelli dei distretti limitrofi 
e del capoluogo della provincia. Ricordiamo fra queste strade la Vicenza-Thiene-^ 
Marostica-Bassano e la diretta Vicenza-Marostica. 

Il distretto di Marostica ha una popolazione di 39.413 abitanti (censimento 10 feb- 
braio 1901) ed è regione essenzialmente agricola: non mancano nel capoluogo ed in 
altri centri importanti manifestazioni di attività industriale. Dipendono dal distretto 
e mandamento di Marostica i Comuni di Breganze, Conce, Crosara, Fara Vicentino^ 
Mason Vicentino, Molvena, Nove, Pianezze, Pozzoleone, Salcedo, Sandrigo, Schiavon 
e Vallonara. Per gli effetti giudiziari dipende dal Tribunale civile e penale di Bassano. 



Marostica (4581 ab.). — Marostica, capoluogo dell' omonimo distretto e manda- 
mento giudiziario, è una piccola ma graziosa città, alle falde di pittoresche colline, 
a lOG metri sul mare e chilometri 25 a nord-est da Vicenza. Ha belle vie ed una vasta 
piazza, nella quale, fiancheggiato da un antico e massiccio torrione, sorge il maestoso 
palazzo che fu sede del podestà durante il periodo, per questi paesi davvero fortunato, 
della dominazione veneta (tìg.lOl). Sul colle soprastante al paese sorgono ancora gran- 
diosi gli avanzi del castello medioevale, al quale si attribuiscono origini romane, 



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Mandamento e Ck>muni del Distretto di Marostica ^7 



Fig. 101. — Marostica : Piazza e Palazzo Municipale (da fotografia). 

rifabbricato, come tanti altri della regione, durante il perìodo della dominazione Scali- 
gera. Altri notevoli edifizi sono la chiesa arcipretale e vari palazzotti signorili. 

I dintorni di Marostica, assai pittoreschi, sono cosparsi di 
ville, fattorie e parrocchie che completano come frazioni il 
nucleo comunale. 

II territorio di Marostica, fertilissimo, irrigato e coltivato 
con grande cura, dà cereali d'ogni specie, foraggi, gelsi, viti, 
frutta, ortaglie. Vi si alleva bestiame da stalla e da cortile 
ed importante vi è la produzione dei bozzoli. Industria speciale 
del luogo è la fabbricazione dei cappelli di paglia. In vari 
Comuni del distretto, nella stagione invernale, dalle donne in 
numero di circa 8000 e dagli uomini in numero di circa 4000 
si preparano le trecce, le quali in parte vengono esportate in 
altre regioni d'Italia ed anche all'estero, ed in parte utilizzate 

nelle fabbriche di cappelli propriamente dette esistenti in Marostica, in numero di 20, 
impieganti oltre 3000 operai. La paglia che serve a questa lavorazione è quella del 
grano detto marzuolo. La produzione è di circa 3.000.000 di trecce e 1.200.000 cap- 
pelli, che si esportano in tutte le parti d'Italia. Dall'estero si ritira dì preferenza la 
treccia. Quest'industria rappresenta, pel distretto di Marostica, un movimento di 
capitali per circa 3.000.000 di lire. 

Cenno storico. — Marostica è terra antica e fu nella regione sempre cospicua. Le 
tradizioni locali danno al suo castello origini romane. Senza approfondire quest'as- 
serzione, molto dubbia, si può però da molti documenti arguire che è fra i più antichi 
della regione. Preesisteva al 1000. Fu soggetto alle vicende feudali e comunali, che tra 
\\ secolo XI ed il XIV sconvolsero ed insanguinarono questi paesi. Can Grande della 
Scala, fattosi signore di quasi tutto il Veneto, ne ordinò la ricostruzione, che fu com- 
piuta sotto Cansignorio. Venuti, sul principio del secolo XV, i Veneziani in possesso 
della regione, tennero il castello di Marostica in gran conto e lo riattarono; sicché, 
nel 1509, durante la sua guerra con Venezia per la Lega di Gambrai, l'imperatore 
Massimiliano d'Austria vi soggiornò parecchio tempo. Durante la campagna del 1796, 
il generale austriaco Alvinzy occupò Marostica e prese posizione colla sua artiglieria^ 
al castello. Sopraggiunto il 5 novembre, Bonaparte riesci, dopo un breve combattimento, 
^sloggiarlo. 



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288 Parte Prima - Alta Italia 



Uomini illustri. — Sono ricordati con onore quali cittadini illustri dì Marostìca: 
Natale delle Laste, scrittore e latinista celebre ; Giuseppe Toaldo, fisico e matematico 
insigne, vissuto nel secolo XVIII; e Sebastiano Melan, filologo dottissimo, che ebbe il 
vanto di essere maestro al Tommaseo. 

Coli, elett. Marostica — Dìoc. Vicenza — P* e T. locali, Str. ferr. a Bastano. 

Breganze (4286 ab.). — Si stende questo Comune alle falde di pittoresche colline 
nella parte ovest del distretto. Il Comune è assai frazionato. — Breganze, capoluogo 
(a 110 m. sul mare e chilometri 8 da Marostica), è una bella e ridente borgata di circa 
1300 abitanti, nella quale abbondano gli edifizi moderni e di buona architettura, tra 
cui è notevole Foratorio Porto. Le altre fi-azioni sono costituite da ville, fattorie e 
parrocchie sparse per l'ubertoso territorio, sì in colle che in piano. 

Prodotti del suolo, irriguo ed assai bene coltivato, cereali, viti, gelsi, frutta d'ogni 
specie e foraggi. Importante in questo e nei territori circonvicini è la produzione del 
vino, eccellente, conosciuto col nome di nino di Breganze, ricercato non solo nel Veneto 
ma anche in Lombardia, nell'Emilia ed in Austria. Notevole è anche la produzione dei 
bozzoli, il commercio d'esportazione delle frutta, delle uova, del pollame e del bestiame 
in genere. Breganze è pure luogo industrioso: vi sono filande per la trattura della 
seta, fabbriche di carrozze, lavorazioni del ferro, del rame, oltre che per i bisogni 
locali, per il territorio circostante. 

Cenno storico. — Breganze è luogo antico, del quale si hanno notizie nelle cro- 
nache vicentine del medioevo durante le vicende comunali. Subì varie infeudazioni 
ed aveva un agguerrito castello. 

Coli, elett Marostica — Dioc. Vicenza — P' e T. locali, Str. ferr. a Thiene. 

Conco (4517 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella estrema parte 
nord e più alta del distretto, in regione assai montuosa, sul versante meridionale 
del monte Bertiaga (1358 m.), uno dei monti che chiudono a sud-est l'altipiano di 
Asiago. È Comune alpestre, essenzialmente rurale e frazionato. — Conco, frazione 
principale, è un mediocre paese, in pittoresca posizione, a 830 m. sul livello del mare 
e chilometri Ila nord-ovest da Marostica. 

Il territorio produce: cereali, patate, legumi e frutta. Vi sono nel Comune estesi 
pascoli e belle boscaglie cedue e di castagni. Importante è l'allevamento del bestiame 
e la produzione dei latticini. Industrie del luogo sono : l'estrazione delle pietre lito- 
grafiche ed ordinarie che si trovano in queste montagne e la lavorazione casalinga 
(durante l'inverno particolarmente) delle trecce per i cappelli di paglia. 
Coli, elett. Marostica — Dioc. Padova — P* e T. locali, Str. ferr. a Bassano. 

Crosara (2878 ab.). — Anche questo Comune si trova nella parte alta del distretto, 
fra belle montagne, contrafforti meridionali dell'altipiano di Asiago. — Crosara, capo- 
luogo, è un discreto paese a 417 metri sul mare e chilometri 7 da Marostica, in posizione 
pittoresca. Le altre frazioni sono paeselli e casolari sparsi per la montagna. 

Prodotti del suolo: cereali, viti e frutta nella parte bassa. Nella parte alta sonvi 
estesi pascoli e boscaglie di castagni e cedue. L'allevamento del bestiame, la produ- 
zione dei latticini, del legname da ardere e del carbone sono le sole industrie dei 
luogo. Fra le industrie casalinghe ha poi un largo sviluppo in questo Comune la 
lavorazione delle trecce di paglia per i cappelli. 

CoU. elett Bassano — Dioc. Padova e Vicenza — P' e T. a Marostica, Str. ferr. a Bassano. 

Fara Vicentino (3622 ab.).— Questo Comune si stende nella parte ovest del distretto, 
sulle ultime propaggini meridionali del Bertiaga, fra i torrenti Astice e Chiavone, sulla 
strada da Thiene a Bassano. È Comune essenzialmente rurale. — Fara, frazione prin- 
cipale, è una borgata sparsa di quasi 2000 abitanti, in posizione pittoresca e salubre, 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Ma postica 289 

a 221 metri sul mare e chilometri 10 da Marostica, nella quale peraltro nulla havvi 
di notevole. Completano il nucleo comunale altre piccole frazioni e parrocchie. 

Prodotti del suolo, feracissimo e ben coltivato, cereali, foraggi, viti, gelsi, ortaglie 
e frutta. Anche in questo Comune esistono estesi pascoli. L'allevamento del bestiame 
da stalla e da cortile e la produzione dei bozzoli sono le sole industrie agiìcole locali. 
Coli, eleti. Tbieoe — Dice Vicenza — P* • T. a Breganze, Str. ferr. a Tbiene. 

Mason Vicentino (2658 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende parte in 
regione montuosa e parte in piano, nel bel centro del distretto. Il capoluogo è una 
bella borgata di oltre 1700 abitanti, a 104 metri sul mare e chilometri 5 a sud-ovest 
da Marostica, in situazione pittoresca e dotato di edifizi in gran parte moderni. 

II suolo, fertilissimo ed assai bene coltivato, dà cereali, viti, gelsi, frutta, ortaglie 
e foraggi. La produzione dei vini (d'ottima qualità, al pari di quelli di Breganze), dei 
bozzoli e Tallevamento del bestiame sono in luogo industrie di grande sussidio alla 
agricoltura. Vi sono inoltre una filanda per la trattura della seta e diversi molini 
per la macinazione dei cereali. 

Coli, elelt. Marostica — Dioc. Vicenza — P' locale, T. a Breganze, Str. ferr. a Tbiene. 

Molvena (2372 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte mon- 
tuosa del distretto, a nord-ovest di Marostica. — Molvena, frazione principale del 
Comune (134 m. sul mare e chilometri 4 da Marostica), è un piccolo paese in ridente, 
soleggiata situazione, nel quale non mancano edifizi moderni e di buona costruzione. 
Altra frazione importante è Mure (a 1(30 m.), già capoluogo del Comune di questo 
nome, soppresso con regio decreto del (giugno 1889, che istituiva il Comune diSalcedo. 

Il territorio, fertilissimo, dà cereali, viti, gelsi, ciliegi, mandorli, pesche, foraggi ed 
ortaglie. L*allevamento del bestiame, la produzione dei bozzoli, dei vini e Tesporta- 
zione delle frutta sono industrie agricole fiorenti in luogo. 

Coli, elelt. Marostica — Dioc. Vicenza — i'* e T. a Marostica, Str. ferr. a Bassano. 

Nove (5231 ab.). — Questo Comune si stende nella parte sud-orientale del distretto, 
presso la sponda destra del Brenta. Consta di varie frazioni, delle quali la principale. 
Nove (84 m. sul mare e chilometri 3 a sud-est di Marostica), è un bel paese di oltre 
900 abitanti, di aspetto piacente e moderno, dotato di ricca e bella chiesa parrocchiale. 

Fertilissimo, ben irrigato e coltivato con ogni cura, è il territorio di questo Comuni», 
che dà cereali, viti, gelsi, canapa, frutta, ortaglie, foraggi e lino. Importante è in luogo 
la produzione dei bozzoli, rallevamento del bestiame ed il commercio d'esportazione 
di questo, delle uova, delle fiutta. A Nove sonvi importanti fabbriche di stoviglie e 
ceramiche d*uso comune, artistiche e di lusso. Quivi, come nella non lontana Bassano, 
si riproducono gli elegantissimi modelli dei secoli XVII e XVIII, formandone una 
vera specialità. Le argille necessarie a questa industria si estraggono generalmente 
dai vicini colli del Bassanese; il caolino viene dal Tretto presso Schio. Grande è Tespor- 
tazione che si fa di questi prodotti, delle stoviglie e maioliche di uso comune, in 
Levante specialmente; delle stoviglie e ceramiche artistiche a Parigi, a Londra e 
negli altri grandi centri. Quest'industria dà lavoro a quasi 300 operai. Sonvi inoltre 
a Nove 2 oflBcine per la lavorazione del ferro, 2 filande per la trattura della seta con 
64 operai, 2 segherie per legnami, 2 molini mossi da forza idraulica e 2 oflBcine elettriche. 
Coli, elett. Bassano — Dioc. Vicenza — E^ e T. a Marostica, Str. ferr. a Bassano. 

Pianezze (932 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte centrale 
del distretto, a ponente di Marostica. È assai frazionato ed esclusivamente rurale: il 
capoluogo è un piccolo villaggio, a 186 metri sul mare e chilometri 3 da Marostica. 

Prodotti del suolo, fertilissimo e lavorato con molta cura, cereali, viti, gelsi, frutta, 
ortaglie, foraggi. Industrie agricole del luogo : Tallevamento del bestiame da stalla e 

76 — liA Palrla, voi. I, parte 2». 



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290 I^arte Prima — Alta Italia 



da cortile, la produzione dei bozzoli, la layorazione delle trecce di paglia per cappelli e 
Testrazione di pietra da lavoro. 

Coli, elett. Marostiea — Dice. Vicenza — P'e T. a Marostica, Slr. ferr. a Bastano. 

Pozzoleone (1700 ab.). — Questo Comune si stende nella parte meridionale e piana 
del distretto, sul confine colla provincia di Padova ed alla destra del Brenta. È Comune 
rurale e frazionato assai, perciò non offre ne luoghi, né cose notevoli sotto il riguardo 
dell'arte e della storia. Il capoluogo è un villaggio di meno che 300 abitanti, a chilo- 
metri 12 al sud di Marostiea. 

Il territorio, bene irrigato e coltivato con cura, dà cereali, foraggi, viti, gelsi, frutta» 
ortaglie. L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile è quivi fatto in grandi pro- 
porzioni e dà luogo ad un importante commercio di latticini e di uova, che pure si 
esportano dal Comune e dallo Stato. Notevole è anche la produzione dei bozzoli. 
Coli, elett Marostiea — Dioe. Vicenza — P* locale, T. e Slr. ferr. a Cannignano. 

Salcedo (1460 ab.). — Questo Comune fu costituito con R. D. del 30 giugno 1889 
in luogo del soppresso Comune di Mure, di cui la frazione Mure andò aggregata al 
Comune di Molvena. Si stende a ponente di Marostiea, da cui il capoluogo (398 m. sul 
mare), dista 10 chilometri circa. E Comune essenzialmente rurale e frazionato. 

Prodotti del suolo, fertile e ben coltivato, cereali, viti, gelsi, foraggi, frutta. Vi si 
alleva bestiame da stalla e da cortile, ed importante è la produzione dei bozzoli. 
In questo Comune è pure esercitata Tindustria casalinga della fabbricazione delle 
trecce di paglia per cappelli. 

Coli, elett. Marostiea — Dioc. Padova - P* e T. a Marostiea, Str. ferr. a Tbiene. 

Sandrigo (4017 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nell'angolo 
sud-ovest del distretto, sulla sinistra dell' Astice, ed è attraversato dal Tesina. Esso 
consta di varie frazioni, ed è di carattere essenzialmente rurale. — Sandrigo, frazione 
principale (68 m. sul mare e chilometri 11 da Marostiea), è una bella borgata di oltre 
2300 abitanti. Altra frazione importante è Lupia. 

Il suolo fertilissimo dà cereali d'ogni specie, foraggi, viti, gelsi e frutta. L'alleva- 
mento del bestiame, la produzione dei latticini e dei bozzoli sono in questo Comune 
industrie fiorenti e di grande aiuto all'agricoltura. Altre industrie casalinghe sono la 
fabbricazione dei cesti di vimini, delle sedie e di altri oggetti in legno, d'uso comune. 
CoU. elett Marostiea — Dioc. Vicenza — P* e T. locali, Str. ferr. a Dueville. 

Schiavon (1649 ab.). — Si stende questo ^Comune in territorio piano al sud di 
Marostiea, sulla sponda destra del Brenta. È Comune frazionato, di cui Schiavon, 
centro principale (74 m. sul mare e chilometri 6 da Marostiea), è un discreto paese di 
oltre 400 abitanti. Altra frazione importante è Longa, posta a 2 chilometri al sud. 

Prodotti del suolo fertile, irriguo, ben coltivato: cereali, viti, gelsi, foraggi, frutta, 
ortaglie. L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile, la produzione dei latticini e 
dei bozzoli sono le sole industrie di sussidio all'agricoltura in questo Comune. 
Coli, elett. Marostiea — Dioc. Vicenza - P* e T. a Marostiea, Str. ferr. a Bassano e Garmignano. 

Vallonara (2510 ab.). — Il territorio di questo Comune si trova al nord di Maro- 
stiea, al piede meridionale delle montagne che circondano l'altipiano di Asiago a 
sud-est. È Comune frazionato e di carattere eselusivamente rurale. Vallonara, frazione 
principale, è un modesto paese di circa .300 abitanti, in amena posizione (120 m. sul 
mare e chilometri 2 da Marostiea). 

Prodotti del suolo: cereali, viti, gelsi nella parte bassa; foraggi nella parte alta. 
L'allevamento del bestiame e la produzione dei bozzoli sono le sole industrie locali. 
GoU. elelt. Bassanò — Dioe. Padova — P« e T. a Marostiea, Str. ferr. a Bassano. 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Schio 291 



VUI. - Distretto e Mandamento di SCHIO 

Il distretto di Schio comprende una vasta zona della parte nord-ovest della pro- 
vincia di Vicenza. Esso confina da questo Iato per lungo tratto, cioè dalla cima Cam- 
pogrosso ad occidente fino quasi alla Cima di Campolongo ad oriente, col Trentino 
(Impero Austro-Ungarico), per una serie di montagne; ad est, coi distretti di Asiago 
e di Thiene; a sud-est col distretto di Vicenza; a sud-ovest, col distretto di Valdagno. 
Il distretto di Schio ha forma assai irregolare, allargata a nord, nella parte più mon- 
tuosa, ed appuntata nella parte meridionale e più bassa. Copre la considerevole 
superficie di 396 chilometri quadrati. 

Importante assai è l'orografia del distretto di Schio, che sotto questo aspetto può 
dirsi una delle più caratteristiche ed interessanti regioni del Veneto. Dominano il 
distretto di Schio, da occidente procedendo verso oriente, una serie di alte cime, 
cioè la cima Campogrosso (1502 m.), il monte Baffelan (1791 m.)» dalle quali, per la 
depressione che è detta Pian delle Fugazze (1157 ra.), si va al Pasubio (2236 m.), blocco 
maestoso, che, contornato da una quantità d'altre cime minori e da contrafiorti e 
propaggini fra le quali si aprono lunghe e profonde valli, può ben dirsi il re di queste 
montagne; il Coston dei La^hi (1874 m.), il monte Maggio (1793 m.). Dal Pasubio si 
stacca una catena montuosa che separa la valle di Posina (Astice) dalla valle del 
Leogra: catena che, dopo la depressione del colle di Posina, risale, dirigendosi a sud-est, 
colle cime della Ronchetta (1656 m.), del Rivon di Novegno (1552 ni.), della cima di 
Priaforà (1653 m.), spingendosi dopo al monte e al colletto di Velo (987 e 886 m.) 
(passo tra la valle del Tiraonchio e quella deir Astice), punto della sua massima depres- 
sione, fino al Summano (1299 m.), di fronte a Schio; monte di bellissimi contorni, che 
pare la sentinella avanzata di queste magnifiche ])realpi verso il piano. 

I corsi d'acqua scendenti da questo complesso sistema di montagne sono numerosi 
ed importanti: essi si possono comprendere in due bacini distinti: il bacino del Leogra e 
del Timonchio ed il bacino delPAstico. Nel primo, oltre il Leogia che scende dal piano 
delle Fugazze, ed il Timonchio, che scende da Novegno e sue adiacenze, e che si 
riuniscono in un sol corso tributario del Bacchigliene, nella pianura alquanto al disotto 
di Schio, si raccolgono tutte le acque delle vallette laterali che non son poche ; nel 
secondo si raccolgono dall' Astice le acque del Posina e dei corsi minori scendenti dal 
Coston d'Arsiero e dal versante orientale del Novegno. 

II distretto di Schio è dotato di una eccellente rete stradale. Fra le maggiori sue 
arterie vanno ricordate: la provinciale Vicenza-Schio; la nazionale Schio-Pian delle 
Fugazze, per la quale si scende a Rovereto nel Trentino; la provinciale Schio-Thienc- 
Asiago; e la Schio-Arsiero, per Lavarono e Levico nel Trentino, pur questa nazio- 
nale, che valica il confine in territorio di San Pietro Val d'Astice a 374 metri. Nume- 
rose ed importanti sono le strade comunali, carrozzabili e mulattiere che percorrono 
questo distretto, ove il traffico ed il passaggio dei viaggiatori sono in continuo pro- 
gresso. Inoltre esistono nel distretto di Schio una linea ferroviaria a scartamento 
normale, tra Vicenza e Schio, una ferrovia economica di oltre 18 chilometri, fra 
Schio, Piovene, Rocchetto ed Arsiero, ed una linea tramviaria a vapore tra Schio e 
Torrebelvicino. ^ 

U distretto di Schio è regione eminentemente agricola, ma è in pari tempo una 
delle plaghe più industriali d'Italia: e nel Veneto è il punto ove è concentrata la 
maggiore potenzialità dell'industria. 

La popolazione del distretto, presente il 10 febbraio 1901, era di 61.495 abitanti. 
Dipendono dal distretto e mandamento di Schio i Comuni di Arsiero, Forni, Laghi, 



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292 



Parte Prima ^ Alta Italia 



Lastebasse, Magre, Malo, Monte di Malo, Piovene, Posina, Santorso, San Vito di 
Leguzzano, Torrebelvicino, Tretto, Vaili dei Signori, Velo d'Astico. Questi Comuni sono 
sotto la giurisdizione del Tribunale civile e penale di Vicenza. 

Schio (13.491 ab.). — Questa bella e popolosa cittadina (ab. 8300), capoluogo del 
distretto e centro del Comune omonimo, sorge a 196 metri sul mare e a chilometri 24 
_ a nord-ovest da Vicenza, sulla sponda sinistra del Leogra, nel 

punto in cui questo, uscito dalla profonda sua valle, entra nella 
pianura per unirsi poco sotto col Timonchio. Domina, quasi incombe 
sopra Schio a nord il Summano, e più indietro di questo, a nord- 
ovest, il Novegno ; mentre ad ovest, fanno corona i minori monti 
Enna (959 m.) e Civillina (951 m.); a sud, il monte Faedo(78i m.) 
e ad est, si apre davanti a Schio la bella e rigogliosa pianura sol- 
cata dal Bacchiglione e dal Brenta — senza dire dei corsi minori 
— che è fra Vicenza e Cittadella. 

La città sorge in terreno pianeggiante, attraversato dal grosso 
e rapido canale (derivato dal Leogra) detto la Saggia, che fu ed 
è una delle forze fattrici del grande sviluppo industriale toccato da questa ammirabile 
e fortunatissima plaga. Solo di fianco alla parte vecchia della città si vede il colle del 
Castello (234 m.), che a tergo della città forma con altro colle una valletta a conca 
rotondeggiante delle piìì amene, disseminata di ricche e graziose ville, coltivata a 
giardini, a vigneti prosperosi. 

Come si è detto, Schio consta di due parti ben distinte : la città vecchia e la città 
nuova. La prima si è andata formando fra i secoli appiedi e intomo al colle del 
Castello, fra questo, anzi, ed il greto del Timonchio, utilizzando, economizzando lo 
spazio in vie strette, tortuose ed irregolari, ora con porticati ora senza. La città nuova 
si è andata formando parallelamente al grande sviluppo industriale preso da Schio, 
sulla bella pianura che è a sud-ovest della città verso il Leogra, negli ultimi trentanni 
del secolo scorso. 

Nella città vecchia non mancano peraltro editìzi ragguardevoli tanto sacri che 
profani, tra i quali innanzi tutto va ricordato: 



Il Duomo (o chiesa arcipretalc dedicata a S. Pietro). 
— E edifìzio sotto ogni aspetto ragguardevole, poiché 
ad esso si lega in gran parte la storia della piccola 
città e del suo continuo progresso. Su un piccolo colle, 
più che altro somigliante ad un gran masso di roccia 
precipitato nei tempi remoti del periodo glaciale dalle 
vette del Novegno o del Summano fin qui, dirimpetto 
al colle del Castello, sorgeva intorno al 1000 una pic- 
cola cappella od oratorio dedicato a San Pietro, che 
serviva al piccolo horgo sorto appiedi del castello, la 
pieve parrocchia essendo distante dal luogo, a Bei- 
vicino. Un secolo e più dopo, la pieve di Belvicino, 
devastala dalle piene del Leogra, si trasferì in Schio, 
a San Pietro, che cominciò a funzionai-e da pairocchia, 
circondata, come allora usavasi, dal suo cimitero nel 
sagrato. Nel 1425 un atto del vescovo I^ietix) Emilian 
di Vicenza conferisce cura d'anime all'arciprete di 
San Pietro in Schio. Naturalmente, >dI crescere di 
importanza del borgo e della giurisdizione, dovette 
crescere o trasformarsi anche la chiesa. Sul piincipio 
del secolo XV la chiesa era costruita a nuovo. Nello 
stesso secolo fu ingrandita la piazza attorno alla chièsa, 
l'embrione dell'attuale pittoresca piazza Alessandro 



Kossi. Nel 1537 fu deliberata la costruzione del cam- 
panile ; nel 1734 fu provveduto alla nuova sagrestia; 
nel 1738 la chiesa venne dotata di un nuovo gran- 
dioso organo, opera di Giuseppe Donato ; l'anno ap- 
presso dai padri della Comunità fu deliberato un nuovo 
ampliamento della piazza sotto la direzione ed i disegni 
di Giovanni .Miazzi, architetto di Bassano. 

Durante il governo dell'arciprete Giuseppe Monfrin 
Provvedi, patrizio veneziano, assunto alla carica nel 
1785, questo tempio subì una completa trasforma- 
zione, un vero rifacimento a nuovo. Sui disegni di 
Antonio Diedo e sotto la direzione del maestro co- 
struttore Barerà da Lugano, fu abbattuto il vecchio 
e tozzo campanile ch*era sul davanti della chiesa e 
costrutto l'elegante pronao a maestose colonne d'or- 
dine composito che ora si vede ; al vecchio campanile 
furono sostituite le due simmetriche torrette laterali : 
lavori che durarono quindici anni, al compimento dei 
quali il Provvedi, fatto vescovo di Chioggia, riconsa- 
crava la chiesa. 

Il suo successore, l'arciprete Piccoli, pensò di dare 
al tempio, posto sopra una rupe piuttosto scoscesa, 
mia scala d'accesso conveniente, iu armouia colla 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Schio 



293 



Fig. 102. - Schio : Chiesa di Sant'Antonio. 



grandiosità del prospetto deiredifizio, sviluppandola 
su uno spazio ristretto ed irregolare per non togliere 
alla piazza, già ristretta, uno spazio troppo necessario 
al movimento pubblico. Si diede mano al lavoro su 
un progetto errato ; ma il successore del Piccoli, Far- 
ciprete Greselin, disrece il malfatto, e su un progetto 
del M ed una fece condurre a termine le due eleganti e 
comode gradinate attuali. Con questi lavori la mole del 
tempio, per quanto migliorata, mostravasi ancora in 
parte manchevole: vecchie casupole deturpavano ed in- 
gombravano le vicinanze del piccolo colle sul quale esso 
sorgeva. Il senatore Alessandro Rossi, a sue spese, 
affidandone l'incarico all'architetto Negrin di Schio, 
fece completare l'edifizio colle due navate laterali; 
demolire le casupole circostanti, ampliare e sistemare 
la piazza, quale ora, veramente bella e pittoresca, si 
presenta. Questo grandioso lavoro durò quattro anni 
e venne compiuto nel 1879. Ricordano il fatto appo- 
site lapidi sullo scalone e sulle porte laterali del 
tempio. 

Dal maestoso pronao, che architettonicamente è la 
parte più bella del tempio, si gode, oltreché della vista 



sulla parte bassa della città, il magnifico panorama del 
paese circostante, dal prospiciente colle del Castello 
alle pendici del Summano, alla cima del Novegno, 
del Pasubio e di tutto l'alto semicerchio di montagne 
che da nord-est ad ovest circonda Schio. 

L'interno del tempio è a tre navate, ed offre un 
complesso elegante ed armonico ; vi si notano dipinti 
di Valentino Pupin, del Pasquotti, del Maganza, del 
Busato. Nella sagrestia si conservano dipinti di Jacopo 
Palma da Conegliano, di Lattanzio Quarena ed altri 
secentisti e settecentisti. 

San Francesco (detta anche dei Frati). — Fu 
eretta intorno al 1432, nello stile gotico allora pri- 
meggiante dovunque, per cura dei seguaci di S. Fran- 
cesco d'Assisi. Originariamente era a tre navate, ma 
oggi è occupata, insieme alKattiguo convento, dal- 
l'Ospedale civico. Vi sono dipinti del iMaganza, del 
Verla, del Pupin e d'altri. Questa chiesa sorge sul 
pittoresco colle del Castello, ed intorno ad essa si 
stendono i cosiddetti Grumi dei Frali, luogo amenis- 
simo, a prati, a folti d'alberi colossali, a rialzi ed 
avvallamenti di terreno, dai quali si prospetta quel- 



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294 



Parte Prima — Alta Italia 



Tanfiteatro erboso ch*è detto la Valletta dei Frati, e 
quello assai più imponente e solenne delle circostanti 
montagne. 

Sant'Antonio (fig. 102). — Questa chiesa sorge nel 
quartiere o città nuova, non lungi dalla stazione ferro- 
viaria, sul luogo stesso dove già dal secolo XV esi- 
steva un oratorio dedicato allo stesso santo, annesso 
ad un convento di Agostiniani. Fu fatta costruire dal 



senatore A. Rossi, per comodità della popolazione 
del quartiere nuovo bel 1879. Ne diede il disegno 
riescitissìmo in stile lombardo del Rinascimento il già 
ricordato Antonio Negrin. NelFintemo è a tre navate, 
a croce latina, con cupola elegante e slanciata, inve- 
triate a colore di bellissimo effetto. Vi sono dipinti 
del Pupin, dello Zanchi, un altare in maimo a statue 
del Marinali. 



Chiese minori, ma non prive di interesse in Schio, sono San Giacomo, San Giorgio, 
San Rocco, delilncoronata, ecc.*— Fra gli edifizi profani, vanno ricordati: 

Il Castello (sul colle già più volte da noi citalo). 
— Esisteva prima del 1000, ed i pochi nideri e la 
torretta che ancora si veggono appartengono all'antica 
ròcca di Schio, distrutta durante le vicende alle quali 
la regione — a causa della guerra per la Lega di 
Cambrai — andò soggetta nel principio del secolo XVI 
(1512). La chiesetta che ancora si vede su quellal- 
tura fu soppressa al culto, ed è ora sede d*una Società 
ginnastica. Maestosi alberi, tra cui un tiglio imponente, 
secolare, circondano il luogo ove il castello di Schio fu, 
e dove la torretta coirorologio segna le ore alla città. 

Il palazzo Monicipale. — Edifizio antico che 
ricorda il tempo della dominazione veneta. Nell'en- 



trata è ornato dei busti : di Nicolò Tron, patrizio ve- 
neto, restauratore dell'arte della lana ed iniziatore 
della fortuna industriale di Schio ; di Giuseppe Gari- 
baldi e delle lapidi dei cittadini di Schio morti nelle 
battaglie per la libertà della patria. Nell'atrio è col- 
locato il ricordo marmoreo del re Vittorio Emanuele II, 
ed infine nell'aulicola del 0>nsiglio fu collocato il 
busto del senatore Alessandro Rossi, opera dello 
scultore Guizzon. 

Teatro Sociale. — Elegante edifizio, fa inau- 
gurato il ti ottobre del 1835 colla Norma di Bellini. 
Fu più volte restaurato e s'apra ogni anno per stagioni 
d'opera in musica e di commedie. 



Degli edifizi privati in Schio vecchia vanno ricordati : i palazzi Fogazzaro, Garbin, 
Rossi, il palazzo dei Conti da Schio nella piazza Maggiore ; il palazzo Pasini, il palazzo 
Fochesato, editìzi tutti ragguardevoli per antichità o per bella architettura moderna. 

Appartiene al novero degli edifizi storici la casa attigua a quella Rossi, ove leg- 
gesi la seguente iscrizione compendiante in gran parte la storia di Schio : < I Maltra- 

< verso dei conti di Vicenza — possedettero questa casa e il castello dal 1000 al 1240 

< — poi Ezzelino da Romano — e di nuovo i Maltraverso fino al 1311 — passò agli 

< Scaligeri, a Gian Galeazzo Visconti — a Giorgio Cavalli nel 1397 — dal 1400 sede 

< del vicario della Repubblica di Venezia — indi della viceprefettura del Regno Italico 

< — tenuta dal Comune fino al 1881 >. Altri edifizi storici sono: la casa Pasini, ove 
nacquero i fratelli Valentino e Lodovico Pasini; la casa ove nacque il poeta e patriota 
Arnaldo Fusinato (21 nov. 1817), ecc. 

Istituti di beneficenza. — Poche sono le città, anche di grande importanza, che 
possano vantare il numero e la modernità degli istituti di beneficenza e di pubblica 
assistenza che Schio possiede. Oltre della ricca Congregazione di carità, che in varie 
maniere provvede al sollievo dei poveri e dei sofferenti, ricordiamo, innanzi tutto, 
rOspedale, TOrfanotrofio ed il Ricovero arricchiti e ampliati colle elargizioni muni- 
fiche del senatore Rossi ; — TAsilo infantile A. Rossi, eretto su disegno dell'architetto 
Negrin, a spese del celebre industriale e filantropo, per accogliervi i figli degli operai 
e degli altri addetti ai suoi stabilimenti (circa 500), ed a complemento del quale il 
comm. Giovanni Rossi, figlio al senatore, istituì una colonia alpina sopra Sant'Ulde- 
rico di Trotto, nella quale per turno vanno durante la state a passare alcune setti- 
mane i bambini dell'asilo ; le scuole comunali e l'Asilo infantile al quartiere nuovo, 
dono dello stesso senatore al Comune; — l'Asilo di maternità, costruito nel 1878 dal 
senatore Rossi e da questo dotato e per vari anni mantenuto, nel quale si custodiscono 
i bambini delle operaie da 15 mesi a tre anni; — l'Ambulatorio medico-chirurgico, 
belFedifizio in istile del Rinascimento, disegno dell'i ng. Mezzara, costruito coll'obolo 
degli operai del lanificio Rossi, in occasione delle nozze d'oro del celebre industriale; — 
il Monte di pietà, ecc., ecc. 



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Mandamento e Ck>muni del Distretto di Schio 295 



Il Quartiere nuovo. — La nuova Schio, o quartiere nuovo, sorge ad occidente della 
città vecchia, fra quella e il torrente Leogra, ove colla stazione ferroviaria fa capo 
la linea Vicenza-Schio. Esso occupa un'astensione di oltre 20 ettari, divisa con belle 
strade ombreggiate da alberi in vari riquadri. Cominciò, a sorgere intomo al 1872, 
per iniziativa del senatore Rossi, sui piani deirarchitetto: Negrìn, coir intendimento 
di fare una piccola città operaia, come se ne veggono in America ed Inghilterra, 
dando all'operaio la possibilità di diventare, coirattivìtà ed il risparmio, poco a poco, 
il proprietario della propria casetta (cottage). Si costrussero oltre 250 casette operaie, 
nel maggior numero isolate, con giardinetto e cortile; eVintrapresa è in parte riuscita. 

Nel quartiere nuovo furono poi costruiti altri edifici, tra cui alcune ville veramente 
grandiose e signorili, come la villa del comm. Giovanni Rossi, e villini elegantis< 
simi. Nel mezzo del quartiere nuovo, è un grande piazzale ottagono ove fan capo, i 
quattro principali viali. Quivi sorge la bella sti^tua di Giulio Monteverde, il Tessitore, 
simbolo del lavoro, inaugurata il 21 settembre 1879, e dal senatore Rossi, che ne fu 
il committente, dedicata ai suoi operai. Nella piazza accanto alla Chiesa di Sant'An- 
tonio sorge la statua al senatore A. Rossi del Monteverde, inaugurata nel 1902. 

Istruzione ed educazione. — Schio possiede scuole elementari complete, organiz- 
zate secondo i sistemi più moderni e perfezionati, un Ginnasio comunale con annessa 
scuola serale e festiva di disegno; una Scuola di ginnastica e scherma; le biblioteciie 
. Pasini, da Schio, civica e circolante, questa istituita presso la Società fra gli artieif. 
Associazioni a scopo educativo, oltre le molte Società e cooperative operaie, si pos- 
sono ricordare la società del Tiro a segno, della Croce Rossa, del Casino di lettura, 
dei docenti del distretto, dei reduci dalle patrie battaglie, la sezione del Club alpino 
— attivissima e benemerita — i cacciatori del Summano, il Comizio agrario, ecc., ecc. 

Servizi pubblici. — Schio possiede fin dal .1871 un acquedotto derivante l'acqua 
dalla sorgente di Vallona, presso Santa Caterina del Trotto. Quest'acquedotto fornisce 
la città di acqua eccellente, freschissima ed abbondante. Fin dal 1889,. Schio gode 
dei vantaggi dell'illuminazione elettrica, utilizzando la caduta della sorgente del- 
l'acqua potabile, al serbatoio del Poleo, che dà una forza di 100 cavalli. Il macello 
pubblico fu costruito negli ultimi anni a spese del senatore Ross], a tutela dell'igiene 
e della salute pubblica, e regalato al Comune. 

Schio industriale. — Antichissima, tradizionale, è in Schio Tindustria laniera. Se 
ne hanno notizie fin dal secolo XIV. Nello statuto del 1393, è contenuto un privilegio 
a favore di Vicenza ed a danno di Schio, ove non era permessa che la fabbricazione 
dei panni bassi, cioè non superiori all'antico braccio, e ciò per non danneggiare 
l'industria di Vicenza che ne fabbricava di maggiore altezza. Soltanto sul principio 
del secolo XVIII quella dannosa clausola a danno di Schio venne da un decreto del 
Senato veneto abrogata. Nello stesso secolo cominciò il movimento ascendente della 
industria laniera in Schio. La spinta fu data da Nicolò Tron, patrizio veneto, che 
viaggiando in Inghilterra aveva potuto esaminare i processi colà seguiti nella lavo- 
razione delle lane e nella tessitura dei panpi. Tentò d'introdurre quelle novità in 
Venezia, ove pure si lavorava la lana; ma non trovò seguito. Allora venne a Schio. 
Costituita una società di capitalisti, nel 1738 aprì una fabbrica — ove ora sorge parte 
del grande lanificio Rossi — chiamando a dirigerla dall'estero certi Habel e Conigh.* 
Nella sua fabbrica il Tron introdusse i metodi che aveva visto praticare in Inghilterra 
ed altrove. L'industria andò rapidamente prosperando, ed il Tron trovò in Schio altri 
imitatori, ch'egli stesso generosamente incoraggiò. Nella metà di quel secolo, la pro- 
duzione di Schio superava quella di Bristol, e per la loro bontà le stoffe di Schio 
battevano vittoriosamente i mercati d'Italia e dell'estero. Al Tron i fabbricanti e 
commercianti scledensi decretarono quel busto che si vede nel palazzo del Comune. 
Sulla fine del secolo passato, erano 40 i fabbricanti di stoffe, inStbio; e rindustria 



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296 Parte Prima - Alta Italia 



della lana vi occupava circa 40,000 persone. I gravi sconvolgimenti politici e sociali 
che sconvolsero TEuropa tra la fine del secolo XVIII ed il principio del secolo XIX 
diedero — per le mutate condizioni dei traffici — un colpo quasi mortale alPindustrìa 
laniera di Schio. Solo nel 1828 si iniziò il nuovo periodo, che raggiunse in questi ultimi 
anni il suo apogeo. Già nel 1812, il signor Francesco Rossi di Vicenza, che fu padre 
di Alessandro, possedeva in Schio quattro telai; ma T industria poco progrediva e 
meno rendeva; nel 1817 pensando alle innovazioni da farsi, Francesco Rossi, in società 
con suo zio, introdusse in Schio la prima macchina per scardassare e filare la lana; 
nel 1819 contrasse società col suo concittadino Eleonoro Pasini (padre a Valentino e 
Lodovico); e da questa data, cioè, col rinnovamento del macchinario e l'introduzione 
dei nuovi processi, cominciò il movimento ascendente delPindustria laniera in Schio. 
Nello stesso anno nasceva Alessandro Rossi, che fin dall'infanzia, si può dire, si 
immedesimò neir industria paterna. Nel 1838 egli era già alla direzione delle fab- 
briche: e nel 1845, alla morte del padre, diventò capo della ditta. Da quel momento 
le innovazioni ed i progressi neirindustria laniera di Schio, introdotti dal Rossi, non 
si contano più. Quasi ogni anno, ogni nuovo perfezionamento, ogni nuova scopetta 
annunziatisi neir industria laniera, sono dal Rossi esperimentati ed adottati in Schio. 
Sugli avanzi dell'antica fabbrica Habel e Conigh, creata dal Tron, sorge il grande 
lanificio, che è poi l'attuale casa centrale. Nel 1872 si costituisce con un capitale di 
lire 19,800,000 la grande Società anonima del lanificio Rossi, dalla quale Schio e l'in- 
dustria traggono novello e grandioso incremento. Attualmente il lanificio Rossi diviso, 
a seconda delle varie lavorazioni, in tre sezioni autonome, comprende gli stabilimenti 
di Schio (casa centrale), Torrebelvicino, Piovene e Rocchetto. L'opificio centrale di 
Schio è il più vasto d'Italia. Occupa una superficie di 35.000 metri quadrati. È ani- 
mato da una forza motrice idraulica di 1600 cavalli ed a vapore di cavalli 1370; 
ultimamente vi si trasporta come forza motrice l'energia elettrica dalle prese d'acqua 
e cascate del lanificio di Ponte delle Capre e del Forno. Gli operai' impiegati sono 
circa 1600. Dirimpetto alla casa centrale è il bellissimo giardino del lanificio Rossi, 
costruito nel 1860 dal senatore Rossi, su disegno dell'architetto Negrin. Vi sono 
magnifiche piante, i busti di illustri scledensi ed i monumenti del padre del Rossi 
e di un prozio di questi, il senatore del Regno italinno Sebastiano Bologna, che fu 
il primo socio del vecchio Rossi. Nel 1899 fu collocato in questo giardino, a spese della 
Società del lanificio, la statua in bronzo del senatore Rossi, morto nel febbraio 1898. 

Se non con pari fortuna, certo con buon successo, altri industriali si dedicarono 
alla lavorazione e tessitura della lana; ed altre fabbriche sorsero accanto a quelle 
del Rossi: cioè le fabbriche G.B. Conti, Cazzola, Dal Brun e Brunello. Parallele allo 
sviluppo dell'industria laniera, sorsero in Schio altre industrie con questa più o meno 
attinenti, cioè : la fabbrica di scardassi ed accessori per filatura e cinghie, della ditta 
Mazzoni e Moroni; le fabbriche di scovette e spole, delle ditte Saccardi e Conip. e 
Folci e Comp. ; ed inoltre si hanno in Schio due importanti stabilimenti per la lavo- 
razione meccanica del legno curvato a vapore, fabbricazione di cassette e lana di 
legno per imbottiture ed imballaggi; una fabbrica di cartonaggi; una fonderia di 
ghisa ed officina meccanica; un molino a cilindri; una fabbrica di paste, alimentari; 
una fabbrica di cordami; un'officina meccanica ed elettrica; una fabbrica di acque 
gassose e minerali; una fabbrica di cioccolato e confetti; uno stabilimento tipo-lito- 
grafico a vapore; cave di caolino, ecc., ecc. Gli operai che in Schio sono adibiti alle 
varie industrie ascendono alla media giornaliera di 3500. 

Il territorio di Schio è inoltre assai fertile. Dà eccellenti prodotti in cereali, viti, 
gelsi, frutta, ortaglie che si consumano in luogo. 

Cenno storico. — - I favolejrgiatori fecero risalire le origini di Schio agli Euganei, 
ma senza specializzare è ceito che in queste regioni, come nelle adiacenti, si stesero 



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Mandamento e Gomani àtì Distretto di Schio ^7 



i primi abitatori della terra veneta. Oggetti molteplici, rinvenuti in una località di 
Schio, come monete consolari ed imperiali, vari idoli, sepolcri, frammenti di lapidi 
attestano della presenza dei Romani in questi luoghi. Tace la storia, per lungo 
periodo, sino verso la fine del secolo X, intorno a Schio. La prima menzione fatta 
di Schio (Scleduni^ secondo il Lampertico derivato o corruzione di escuhtum, luogo 
piantato ad ischi) è in un documento del 975. In quel tempo esisteva già il castello, 
sul colle che ancora ne porta il nome: e sul piccolo di fronte detto Warzone o 
Garronio, era una cappella od oratorio, dedicato a San Pietro. Tra il Castello ed 
il Garronio, un avvallamento ove più tardi andò formandosi l'attuale città. Le acque 
del Leogra, del Gogna, del Boldora, del Timonchio, scorrevano incontenute senza 
regola nella pianura, e gli allagamenti e le piene continue costrinsero i radi abi- 
tatori della regione a raccogliersi in luogo più alto e sicuro; ond'è che alle pendici 
del Castello e del Garronio si formarono i primi nuclei generatori dell'attuale 
città. Le inondazioni del Leogra, nel 1023, causarono il trasloco della Pieve e di 
molti abitanti di Belvicino, nella pìccola chiesa del Garronio, trasporto che fu auto- 
rizzato da papa Calisto IL Da questo fatto ha inizio l'incremento progressivo di 
Schio. È accertato pure che questi primi cittadini di Schio appartenevano a quelle 
colonie tedesche immigrate nei bassi tempi nelle prealpi venete, delle quali ormai 
non rimangono che scarse tracce se non nell'altipiano. di Asiago, e nei più recessi 
paesucoli della vai Sugana. Il dialetto teutonico, cosiddetto cimbro, si parlava allora 
in questa regione, e solo nel secolo XV se ne perdettero le tiacce in Schio e nelle 
valli adiacenti. 

I feudatari più antichi di Schio dei quali si abbia memoria furono i Maltra verso, 
Vicenza, i quali dominavano qui intorno al mille. In seguito furono contrastati da 
Vivaro, dal vescovo di Vicenza e da altri potenti signori. Nel 1240 furono spode- 
stati da Ezzelino IV da Romano, il Tiranno. Solo dopo la disfatta e la morte di 
questi poterono riprendere il dominio, che fu loro tolto dai Padovani. L'ultimo dei 
Maltra verso, Boverio, morto nel 1311, lasciava con testamento i suoi castelli di Schio 
e Sant'Orso ed il monte Summano alla città di Vicenza. Ma gli Scaligeri, che stavano 
allargando il loro dominio nel Veneto, si impossessarono di Schio e territorio, infeu- 
dandolo come vicariato ad una famiglia ghibellina ad essi fidatissima, i Nogarola. 
Subì altre infeudazioni, nel declinare della potenza scaligera, poi, passò sotto il dominio 
di Gian Galeazzo Visconti, che, nel 1377 lo diede in feudo insieme a Torrebelvicino, 
a Giorgio Cavalli per 7800 fiorini. Il C maggio 1406, i Veneziani, già padroni di 
Vicenza, toglievano al figlio del Cavalli, loro nemico, Schio e le altre terre confinan- 
dolo a Candia. Il Cavalli ruppe il bando, e preso da Almerico di Vicenza e da un 
Anguissola, fu consegnato alla Signoria, che lo imprigionò e lo tolse di mezzo. L'Al- 
merico ebbe in compenso di tale servizio dalla Repubblica di Venezia una decima su 
Schio. Il 12 maggio 1406 il Senato di Venezia stabiliva che Schio, sotto l'alto patro- 
nato di Venezia, dovesse dipendere da Vicenza, e ne approvava gli statuti. Varie 
volte Schio domandò a Venezia di essere sollevato da quella specie di dipendenza da 
Vicenza, ma inutilmente. Durante la guerra nel principio del secolo XVI per la lega 
di Cambrai contro Venezia, i castelli di Schio e Pievebelvicino furono distrutti dalle 
truppe imperiali comandate da Leonardo Trissino. Nel 1514, Schio ritornava sotto il 
dominio di Venezia che durò pacifico fino alla caduta della Serenissima, nel triste 
1797. Nel maggio di quell'anno Schio fu occupata dai Francesi che vi proclamarono 
i diritti dell'uomo e vi piantarono l'albero della libertà. Ma nel novembre i conta- 
dini scesi dalla montagna strapparono Talbero, lo fecero a pezzi e lo bruciarono. 
Questo piccolo tentativo di reazione costò a Schio una contribuzione di 1000 zecchini 
e di 300 braccia di panno. Dal trattato di Campoformio in poi Schio segui sempre 
senza differenze le sorti del Veneto, fino al 1866. 

77 — li» Patria» toI. I, parte %\ 



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298 Parte Prima - Alta Italia 



Uomini illustri. — Fra i cittadini che illustrarono Schio vanno ricordati: Fra 
Giovanni da Schio (altri dice da Vicenza), predicatore celebre di pace nei prati di 
Pagnara e agitatore politico a Vicenza ed a Verona, morto a Bologna nel convento 
dei Domenicani intórno al 1266; Gerolamo Bencucci, ecclesiastico, letterato e uomo poli- 
tico, vescovo di Vaison, intermediario di pace fra Carlo V e Clemente VII (1481-1533); 
il geologo Pietro Maraschini (1774-1825); il fisico insigne Ambrogio Fusinieri (m. 1853); 
il latinista Carlo Bologna (m. 1842); Sebastiano Bologna (m. 1843), che fu membro 
del corpo legislativo della Cisalpina e senatore del Regno Italico; Ludovico Pasini 
(1804-1870), scienziato, senatore e ministro dei lavori pubblici del Regno d'Italia; 
Valentino Pasini, giureconsulto, deputato al Parlamento, patriota ed oratore (1806-1864); 
Arnaldo Fusinato, medico, patriota ardente, poeta popolare, genialissimo, organizza- 
tore d'un battaglione di volontari alla difesa di Venezia (1817-1888); ed il senatore 
Alessandro Rossi (1819-1898), la cui gloria maggiore è il grande impulso dato all'in- 
dustria laniera in Schio. Fra gli artisti che ebbero vita in Schio vanno ricordati nel 
secolo XVIII i pittori Giuseppe e Rosa Pozzolo (ra. 1781) e nel secolo XIX Giuseppe 
e Valentino Pupin (m. 1880). 

Coli, elett. Schio — Dioc. Vicenza — P*. T. e Slr. ferr. 

Arsiero (4821 ab.). — Questo Comune trovasi nella parte più alta e settentrionale 
del distretto. Esso fu a capo dell'omonimo mandamento, soppresso per effetto della 
legge 30 marzo 1890, ed aggregato al mandamento giudiziario di Schio, dipendente 
dal Tribunale civile e penale di Vicenza. — Arsiero, capoluogo del Comune, è una 
bella e grossa borgata, a chilometri 19 al nord di Schio per la rotabile e soli 12 in Unea 
retta, con circa 2400 abitanti, posta al ridosso sud del monte Caviojo (1120 m.). Il 
paese, dalla stazione, parte più bassa, è in pendio: e la piazza, parte più alta, rag- 
giunge i m. 356 sul livello del mare. Alla destra di Arsiero corre il Posina ed alla 
sinistra, ma più discosto, l'Astice. I due rapidi fiumi si uniscono in un solo, alquanto 
al disotto di Arsiero. 

Edifizio notevolissimo in Arsiero è la grandiosa chiesa parrocchiale, dominante il 
paese, nella quale si conservano buoni dipinti di scuola veneta. Dal piazzale della 
chiesa si ha un superbo panorama dell'anfiteatro di montagne che circondano il paese. 
Bella e ricca di edifizi di buona architettura è la piazza maggiore, dotata d'una tettoia a 
riparo del mercato, eretto per lascito d'un benemerito cittadino. Nella parte bassa del 
paese, sulla riva del Posina, dal quale trae la potente sua forza motrice, è la grande car- 
tiera Rossi, uno dei maggiori stabilimenti del genere che siano sòrti, nonché in Italia, 
in Europa. Questa cartiera dispone d'una forza idraulica di 1000 cavalli, ed ha motori 
a vapore della forza di 80 cavalli. Vi lavorano oltre 1000 operai e vi si fabbrica carta 
d'ogni specie, ma principalmente per stampa e giornali si a fogli che continua, e la 
pasta di legno che serve a tale fabbricazione. Le altre cartiere minori, che esistevauo 
in Arsiero, furono assorbite da questa massima ed adibite come succursali a lavori 
speciali. Mossi dalla forza idraulica del Posina e dell'Astice, si trovano nel Comune 
di Arsiero magli per la lavorazione del ferro e del rame, ed una filanda per la seta. 

Importanti frazioni di Arsiero sono i paesi di Castana e Riofreddo. Il territorio 
di Arsiero dà buoni prodotti in cereali, orti, gelsi, frutta, ortaglie. Nella parte alta vi 
sono pascoli e boscaglie. 

Arsiero è pure centro di escursioni alpine. Da Arsiero si possono salire il monte 
Caviojo (1120 m.), il monte Cimone (1230 m.), la Cima di Priaforà (1676 m.), al monte 
Tonezza (1696 m.) o all'altipiano omonimo (992 m.), il monte Tormeno (1293 m.); il 
passo della Vena (1546 m.), dal quale si scende a Folgaria nel Trentino. Arsiero è 
collegato a Schio mediante una arditissima ferrovia a scartamento ridotto, di chilo- 
metri 18,910, toccante le stazioni di Santorso, Piovono, Rocchetto e Seghe di Velo. 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Schio 299 

Cenno storico. — Si hanno notizie di Arsiero in un documento del 945 e sembra 
che nella parte più eminente del paese, dove ora è la chiesa, esistesse un castello. 
Nel 1507 Arsiero venne fortificato e saccheggiato nel 1510. Nel 1701 passò per 
Arsiero, venendo dal colle della Bercela, parte dell'esercito imperiale, comandato da 
Eugenio di Savoia e diretto al soccorso di Torino assediata dai Francesi. 

Arsiero diede nel 1818^9 molti volontari alla causa della patria, e nel 1860 un 
valoroso alla schiera dei Mille: Innocente Stella. 

Coli. «leti. Schio — Dice. Vicenza — P*, T. e Slr. ferr. 

Forni (1876 ab.). — Questo Comune, che già fece parte del soppresso manda- 
mento di Arsiero, si trova nell'alta valle delFAstico, a ponente della strada provinciale 
che da Schio ed Arsiero, per Lastebasse, passa a Lavarono nel Trentino, tenendo 
sempre la destra del fiume. Alquanto al disotto di Forni la strada si biforca, e un 
ramo, passando PAstico su un bel ponte in pietra, sale per la ripida costa con moltis- 
simi ghirigori a Rotzo e all'altipiano di Asiago. — Forni, capoluogo del frazionato 
Comune (3i6 m. sul mare e chilometri 25 da Schio), è un paese di circa 200 abitanti, 
in pittoresca posizione, rinserrato com'è fra alte montagne. Ha edifizi in gran parte 
moderni, tra cui la Scuola comunale. Notevole la chiesa parrocchiale, di recente messa 
a nuovo, e fiancheggiata da un alto e bel campanile. Frazioni di Forni sono Barcaroli 
e Tonezza, nella prima delle quali ha sede il Comune. Più la strada sale verso Laste- 
basse, più il paesaggio si fa aspro e selvaggio. 

Prodotti del suolo, scarsamente produttivo : cereali, frutta, ortaglie. Nella parte alta 
si trovano belle boscaglie ed estesi pascoli. L'allevamento del bestiame e la produ- 
zione dei latticini sono le industrie di maggior sussidio all'agricoltura. 

Cenno storico. — Anticamente esistevano in questo luogo dei forni fusori pel 
ferro ed il rame, che si lavoravano su vasta scala in queste valli. Da ciò il nome del 
paese. Nel 1435, in un paese presso Forni, Nicolò da Cera fece prigioniero Marsilio 
Carrara, dei signori di Padova, nemico della Repubblica di Venezia, e lo fece decapitare 
come traditore. Durante le guerre del principio del secolo XVI, l'esercito imperiale, 
spintosi, nel 1508, fino a Forni, dovette retrocedere per la gran neve caduta nella 
valle soprastante. 

Coli, elett. Schio — Dìoc. Vicenza — P^, T. e Str. ferr. ad Arsiero. 

Laghi (796 ab.). — Anche questo Comune apparteneva al soppresso mandamento 
di Ai-siero. Si trova nella parte nord-ovest del distretto, e il capoluogo è a 27 chilo- 
metri da Schio e a 597 m. sul mare, nel mezzo di una stretto valle, formata dal monte 
Majo (1500 m.), dal Como del Coston (1656 m.), dal Coston dei Laghi (1874 m.), e 
dal monte Maggio (1793 m.). Il paese, per se stesso, non ha nulla di notevole, ma è 
indicato, per la frescura perenne e la purezza dell'aria, come ottima stazione clima- 
tica. Prende il suo nome da due laghetti, che sono nelle sue vicinanze, a valle, formati 
dalle acque del torrente Zara, scendenti dai monti Maggio e Toraro. 

Scarsa è la produzione del suolo; nella parte alta si hanno estese boscaglie ed 
eccellenti pascoli. L'allevamento del bestiame e la produzione dei latticini sono industrie 
fiorenti del luogo. 

Coli, elett. Schio — Dioc. Vicenza — P*, T. e Str. ferr. ad Arsiero. 

Lastebasse (642 ab.). — Questo Comune, pur esso già facente parte dell'antico 
mandamento giudiziario di Arsiero, si trova alla estremità settentrionale del distretto, 
nell'alta valle dell'Astice e sul confine di Stato fra il Regno d'Italia ed il Trentino 
(Austria-Ungheria). Il Comune è attraversato dalla strada provinciale che da Arsiero 
passa il confine dirigendosi a Lavarono ed a Levico. —- Lastebasse (chilometri 36 da 
Schio), capoluogo del Comune, costituito di nove frazioni, è un paese in gran parte 



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800 Parte Prima - Alta ItaUa 



moderno, in pittoresca posizione, a 592 m. sul livello del mare. Anticamente trovavasi più 
a monte, di fronte a San Sebastiano, dal quale lo divideva il corso deir Astice. Ma essendo 
continue le contestazioni e le risse per ragioni di termini e di campanilismo tra gli abi- 
tanti di Lastebasse soggetti alla Repubblica di Venezia e quelli di Folgaria nel Tren- 
tino soggetti all'Impero, il Senato di Venezia, che ne aveva reclami continui, ordinò, 
nella metà del secolo XVIII, la demolizione delle ventiquattro case costituenti l'antico 
villaggio e la costruzione del paese, a nuovo, più a valle dove esso>Bi trova. In com- 
penso dei danni subiti, ed anche in aiuto alla insufficiente produzione del suolo, il 
Governo veneto passava agli abitanti di Lastebasse 620 stala di grano turco alFanno. 
Sotto la dominazione austriaca vennero mutati gli antichi confini, con danno della 
popolazione di Lastebasse ed a vantaggio di Folgaria; donde nuove recriminazioni 
e contese, delle quali non si volle tener conto nella delimitazione dei nuovi confini 
di Stato dopo il 1866, e che durano tuttavia, con scapito della popolazione italiana. 

Frazione del Comune di Lastebasse è la Posta, poco più in basso nella valle 
deirAstico. 

Lastebasse è conosciuta dagli alpinisti come centro di piacevoli ed interessanti 
escursioni: tra le quali ricordiamo quella ai Fiorentini (1490 m.); all'Alpe di Fra Ber- 
toldo (1518 m.); a Serrada( 1248 m.); a Pioverna Alta (1716m.);.a Malga Clam (1512 m.); 
a San Sebastiano (1300 m.); a Lavarono (1174 m.). È tutta una regione dì alti e ver- 
deggianti pascoli e di belle boscaglie. A Fra Bertoldo ed alle Malghe di Lastebasse 
è impiantata una ferrovia Decauville per il trasporto dei legnami, che vengono poi 
calati al paese di Lastebasse su lunghe tese di filo di ferro. 

I grandi pascoli del territorio di Lastebasse, favoriscono l'allevamento del bestiame, 
e nelle malghe, durante l'estate, si confezionano in quantità formaggio e burro squisiti. 

Coli, elelt. Schio — Dioc. Padova — ?*, T. • Str. ferr. ad Arsiero. 

Magre (3267 ab.). — Si stende questo importante Comune sulla destra del Leogra, 
al sud-ovest di Schio. Esso è assai frazionato. — Il capoluogo, a un solo chilometro da 
Schio, trovasi in pianura, all'altezza di 213 m. sul mare: è un bel paese di oltre 1500 abi- 
tanti in pittoresca posizione, pei colli ed i monti che gli fanno corona. Notevole la 
chiesa parrocchiale, con un bel soffitto dipinto da A. Bacchetti. Frazioni del Comune 
sono: Monte Magre (415 m.) e Raga. 

II territorio assai fertile, dà cereali, viti, gelsi, frutta, ortaglie. Importante in luogo 
la produzione dei bozzoli. Industrie locali sono: l'estrazione della terra bianca (caolino) 
per maioliche, e delle pietre da lavoro, per le quali vi sono nove cave; la trattura 
della seta, con una filanda, e la macinazione dei cereali. 

Cenno storico. — Magre è luogo antico. Nel suo territorio si rinvennero idoli di 
bronzo e monete consolari romane. Sul colle vicino al paese sorgeva, nel periodo 
medioevale, un castello. 

Coli, elelt. Schio — Dioc. Vicenza — ?*, T. e Str. ferr. a Schio. 

Malo (6057 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte sud del 
distretto, alle falde delle montagne che dividono la vallata di Schio da quella di Val- 
dagno, attraversato dal torrente Livergnon, scendente dalle soprastanti montagne e 
tributario del Bacchigliene. — Malo, capoluogo del Comune (116 m. sul mare e chilo- 
metri 8 da Schio), è una grossa borgata di circa 2300 abitanti, sulla strada provin- 
ciale da Vicenza a Schio. Ha edifizi notevoli ed una grandiosa chiesa parrocchiale. 
Ville e cascinali sparsi per la campagna completano il nucleo di questo Comune. 

Il territorio di Malo, fertilissimo e ben coltivato, dà cereali, viti, gelsi, foraggi, frutta 
e ortaglie. Fioriscono in Malo le industrie della filatura della seta, della fabbricazione 
del sapone, dei laterizi, ecc., ecc. 

Coli, elelt. Schio — Dioc. Vicenza — P" locale, T. e Str. ferr. a Schio. 



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Mandameoto e Comuni del Distretto di Schio 301 



Monte di Malo (3260 ab.)- — Questo Comune si trova a nord-ovest ed in posizione 
più elevata del precedente, sulla destra del Leogra e attraversato dalla strada da Val- 
dagno a Malo. Il capoluogo del Comune (chilometri 9 da Schio), è una borgata sparsa 
di circa 2400 abitanti e di carattere affatto moderno a ^71 m. sul livello del mare. 

Prodotto del suolo, ben coltivato, ma poco fertile e montuoso, cereali, viti, gelsi e 
foraggi. L'allevamento del bestiame, la produzione dei bozzoli e la macinazione dei 
cereali sono le sole industrie del luogo. 

GoU. elett. Schio — Dioc Vicenza — P*, T. e Str. ferr. a Schio. 

Piovane (3763 ab.). — Questo piccolo ma popoloso Comune si trova sulle pendici 
orientali del Summano, alla destra dell'Astico e percorso dalla strada provinciale che 
da Schio conduce ad Arsiero. Piovene è una bellissima borgata a 279 metri sul mare 
e 8 chilometri al nord-est di Schio, di carattere affatto moderno. Notevoli edifizi, la 
chiesa parrocchiale, colla facciata ed il campanile eretti sul disegno di Antonio Diedo; 
la villa dei conti Piovene, con bel giardino; il palazzo del Municipio colle scuole 
pubbliche, ecc., ecc. 

Frazione importantissima del Comune di Piovene è il paese di Rocchetto, a meno di 
un chilometro dal capoluogo, di circa 200 edifizi, sorto intomo al grande stabilimento 
Rossi, che è sezione del lanificio di Schio, nella seconda metà del secolo scorso. Lo sta- 
bilimento di Rocchetto consta di quattro grandi fabbriche, tre per la filatura, lungo il 
corso dell* Astice, ed una per la tessitura, con una sala di 11.000 metri quadrati, una 
delle più vaste del mondo. Questo stabilimento fu il primo in Italia ad applicare la 
energia elettrica trasmessa da notevole distanza come forza motrice. Sono 200 cavalli 
di energia elettrica occorrenti alla vita del grandioso opificio. I telai meccanici mossi 
da questa forza sono 604; negli altri opifici, mossi pure dall'Astice, filano la lana 
20.240 fusi. Fra tutti gli opifici lanieri di Piovene lavorano circa 1500 operai. In Roc- 
chetto vi sono per gli operai e gli altri addetti allo stabilimento Rossi istituzioni di 
beneficenza: principale fra queste è l'asilo infantile, capace di circa 300 fanciulli. Vi 
sono pure a Rocchette e nelle sue vicinanze tre fabbriche di birra, delle quali una 
assai importante, presso la località detta Meda, sulla strada di Arsiero. 

Il suolo di Piovene, quantunque montuoso, è fertile e ben coltivato. Dà cereali, 
viti, gelsi, ortaglie, e nella parte più alta foraggi. Ma l'industria manifatturiera è quivi 
sopra ogni altra preponderante. 

Cenno storico. — Nel territorio di Piovene si rinvennero a più riprese lapidi, fram- 
menti e monete del periodo romano. Notissima ai dotti è la lapide murata in piazza 
Papiria e rinvenuta nel 1817 facendosi le fondamenta del campanile. Fu interpretata 
ed illustrata dal Torneri, dal Furlanetto e dal Mommsen. Dice : Diis Manibus - Papiria 
Maxima, Letitiae - Macrinae Mairi carissimae. — Nel medioevo sorgeva a Piovene 
un castello detto di Manduca. Ezzelino il Monaco, ritiratosi nella solitudine del vicino 
castello di Meda, lo cedette a Cunizza sua figlia, che sposò in quarte nozze Anselmo 
di Breganze. Fu poi di Jenista da Romano, sorella minore di Ezzelino il Tiranno, che, 
condannata come eretica nello scorcio del secolo XIII, ebbe confiscati tutti i suoi beni. 
Sulla dirupata costa di Meda sorgeva un altro antico castello, quello in cui si ritirò 
nel 1223 Ezzelino III il Monaco. 

Coli, elett. Schio — Dioc. Vicenza — P*, T. e Str. ferr. 

Posina (2975 ab.). — Questo Comune, che già fece parte del mandamento giudi- 
ziario di Arsiero, soppresso per effetto della legge 30 marzo lb90, si stende nella parte 
nord-ovest del distretto, nella pittoresca valle nel cui fondo corre rumoroso e spumeg- 
giante il fiume di questo nome. — Posina, capoluogo del Comune (9 chilometri da 
Arsiero e 28 da Schio), sorge a 544 metri sul livello del mare in una ridentissima conca, 
dominata dalle imponenti vicine cime del monte Cogolo ( 1656 m.), dei Forni Alti (2026 m.), 



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302 I^aPle Prima - Alta Italia 



del Pasubio (2236 m.). Appartengono a questo territorio il colle di Posina (1059 m.), 
quello dello Xomo (1056 m.), il passo della Borcola (1200 m.), per il quale si discende 
in vai Terragnolo, nel Trentino; il passo dell'Ometto (1953 m.), ed altri. 

Prodotti del suolo, pochi cereali, frutta, patate. Nella parte alta sono estesi e ver- 
deggianti pascoli cosparsi di malghe, ove nella stagione dell'alpeggio si fabbricano 
burro e formaggio eccellenti. Importanti sono in luogo Tallevamento del bestiame e la 
produzione del carbone e del legname da lavoro e da ardere. Vi sono pure varie 
chioderie, due segherie pei legnami, cave di marmo bianco e rosso nero, e cave di pirite. 

Cenno storico. —Per il passo della Borcola e la valle di Posina passò parte dell'eser- 
cito imperiale, che, nel 1701, Eugenio di Savoia a grandi giornate conduceva al soccorso 
di Torino. 

Coli, elett. Schio — Dioc. Vicenza — P* e T. locali, Str. ferr. ad Arsiero. 

Santorso (3043 ab.). — Questo Comune si adagia mollemente sulle verdeggianti 
pendici sud-orientali del Summano e per la bella pianura fino al Timonchio, al nord-est 
di Schio. Il capoluogo (i chilometri da Schio), al pie dei colli e a 298 m. sul mare, è 
un bel paese di circa 1400 abitanti, nel quale campeggiano la magnifica villa che fu 
dimora prediletta del senatore Alessandro Rossi e fatta da questi erigere sui disegni 
deirarchitetto Negrin ; e la chiesa arcipretale, di grandiose proporzioni, nella quale si 
conservano buoni quadri dell'antica scuola veneziana, e sul soffitto un grandioso dipinto 
del Boschetti. Meritevole di essere veduto a Santorso è il santuario di monte Summano, 
bellissimo tempio ove si conservano in un sarcofago le spoglie del pellegrino Sant'Orso, 
> intorno al quale corre una mistica leggenda che nessun documento positivo conferma. 
Dal santuario si ha un magnifico panorama sul paese circostante. Interessante pei suoi 
affreschi del secolo XV è la chiesetta di San Dionisio dei Calderari. 

Nelle vicinanze di Santorso sono notevoli: la villa Pasini, nella quale, nel 1848, Lodo- 
vico Pasini accoglieva i geologi del IX Congresso degli scienziati italiani; la villa 
Sartori e la villa Bertoncello, all'ingresso della quale è il più alto cipresso che, dicesi, 
esista in Europa. Nella parte inferiore di Santorso, al piano, è il podere modello Rossi, 
vasto quadrilatero di 50 ettari, cintato a muro, coltivato a vigneti, a fhitteti, ad ortaglie, 
coi sistemi più perfezionati portati dalla scienza. In un giandioso fabbricato eretto 
nel podere il senatore Rossi aveva fondata anche una scuola pratica di pomologia. Ma 
questa, non avendo dato quei risultati che dal fondatore si ripromettevano, venne 
trasformata in sanatorio e ricovero per i vecchi operai degli stabilimenti Rossi. 

Il territorio di Santorso, fertilissimo, dà cereali, frutta, viti, gelsi, ortaglie squisite 
in grande abbondanza. Altre importanti industrie del luogo sono la fabbricazione dei 
cartonaggi e Testrazione e lavorazione del caolino. 

Cenno storico. — È fama che nel luogo ove ora sorge Santorso fosse l'antichis- 
sima città romana di Salzena. Ma è assai dubbio che questa leggendaria città sia mai 
esistita. Certo è però, che facendosi degli scavi per lavori ordinati dal senatore Rossi, 
si rinvennero nella località del Bertoncello ed altrove numerosi oggetti del periodo 
romano : vasi fittili, fibule, spille, statuette, aghi crinali, un frammento di statua colos- 
sale in bronzo, tombe e gli avanzi di un mosaico. Nella storia della tipografia è celebre 
Santorso, perchè già vi si stampavano libri da Giovanni del Reno, dal quale apprese 
Tarte Enrico di Santorso che sul principio del secolo XVI stampava libri a Vicenza. 
CoM. elelt. Schio — Dioc. Vicenza - P«, T. e Str. ferr.. 

San Vito di Leguzzano (1802 ab.). — Il territorio di questo piccolo Comune, attra- 
versato dal Leogra, si stende a sud di Schio, tra il piano ed i monti che dividono la 
valle del Leogra da Valdagno. È Comune essenzialmente rurale e frazionato. — Il 
capoluogo San Vito (in piano a 158 m. sul mare e chilometri 4 da Schio), è un discreto 
paese di aspetto moderno con una bella chiesa parrocchiale ricca di quadri del Maganza. 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Schio 303 



n territorio, fertilissimo, dà cereali, viti, gelsi, frutta, ortaglie. L'allevamento dei 
bachi da seta è Tindustria agrìcola dì maggior conto nel Comune, in cui si fa pure alle- 
vamento di pollame ed altro bestiame da cortile. Altre industrie: la costruzione di 
vasi vinari, la macinazione dei cereali e la fabbricazione dei laterizi. 
Con. elett. Schio — Dice. Vicenza — P*, T. e Str. ferr. a Sdiio. 

Torrebel vicino (4421 ab.). — Questo Comune si stende in regione assai montagnosa 
nella vallata del Leogra ad ovest di Schio, da cui il capoluogo dista soli 3 chilometri. 
— Torrebelvicino (:260 m. sul mare) è oggi un grosso paese industriale che deve essen- 
ziahnente la sua fortuna all'impianto delle sezioni per lavorazioni speciali della lana 
e tessuti di lana, quivi cominciato nel 1872, del lanificio Rossi di Schio. Ormai la sezione 
di Torrebelvicino, nella quale si lavorano specialmente i panni per le forniture militari, 
nei suoi vari reparti è diventata un centro di primissimo ordine. La forza motrice è data 
da vari. salti d'acqua del Leogra, e trasportata negli stabilimenti da apparati telodi- 
namici potentissimi, che furono ì primi introdotti in Italia: nonché da macchine a vapore 
ed elettriche delle più perfezionate. 

Il paese di Torrebelvicino è in gran parte moderno ; bella è la chiesa parrocchiale, 
dedicata a San Lorenzo, col nuovo campanile. Antichità importante è il ponte sul Sergio. 

Frazione importante del Comune è Pieve, centro della antichissima circoscri- 
zione ecclesiastica della regione e che fu matrice della chiesa di Schio. Antica è la 
chiesa dì Pieve dedicata a Maria e sdrta, vuoisi, nel luogo ove prima sorgeva (due 
secoli avanti Cristo) un tempietto a Diana. A Pieve è altra grandiosa sezione del lani- 
ficio Rossi per la lavorazione dei panni militari, mosso da una forza motrice idraulica 
di 600 cavalli. Vi lavorano circa 1000 operai. 

Altra frazione del Comune è quella detta delle Acque di Torre, presso il ponte 
nuovo sul Leogra. Quivi venne scoperta nel 1841 una sorgente di acqua acidula, gazosa, 
ferruginosa, efficacissima per le malattie dell'apparato digerente. La prima analisi fu 
fatta dal farmacista Meneghini di Schio, e da quell'epoca la sorgente di Torre acquistò 
sempre maggiore credito. D'estate, le Acque di Torre sono frequentate dagli abitanti 
di Schio e paesi circonvicini, e sono usate moltissimo per il loro sapore gradevole 
anche come acque da tavola. 

Il territorio di Torrebelvicino, abbastanza fertile, produce cereali, viti, gelsi, frutta 
ed ortaglie. Nella parte alta ha belle boscaglie ed estesi pascoli. Vi sono miniere di 
pirite di ferro e di rame, nonché di blenda e galena. Esse sono esercitate con buonis- 
simi risultati dalla Società Magni e C. con sede in Vicenza e dal conte Paolo Camerini 
di Padova. Sono impiegati in queste miniere oltre 100 operai. 

Cenno storico. — Di Pieve e di Torrebelvicino si hanno notizie in documenti ante- 
riori al mille. Che la località fosse abitata anche nel periodo romano, lo provano statue, 
frammenti e monete consolari ed imperiali rinvenute in luogo. A Pieve nel medioevo 
sorgeva un castello che nel secolo XIII era feudo dei Vivaro. Venne occupato nel 1509 
da Leonardo Trissino, capitano imperiale, disceso da Vallarsa. Rovinato nel 1514, fu 
dai Veneziani distrutto nel 1517. Torrebelvicino subì pure varie infeudazioni, tra cui, 
nel 1397, la vendita fattane da Gian Galeazzo Visconti a Giorgio Cavalli. 

Coli, elett. Schio — Dioc. Vicenza — P", T. e Str. ferr. a Schio, Tr. locale. 

Tratto (2937 ab.). — Questo Comune si stende sulle pendici meridionali del gruppo 
Novegno, ed è costituito da tre frazioni, cioè: Tretto di Santa Caterina, di SantOl- 
derico e San Rocco di Tretto, il primo guardante la valle del Leogra, gli altri due 
la valle del Timonchio. I Tretti sono tre paeselli, pochi chilometri al nord di Schio, 
intorno a 720 metri sul livello del mare, di carattere essenzialmente rurale. 

Il territorio di Tretto è in gran parte costituito di belle boscaglie e di ricchi pascoli 
(donde la derivazione teutonica del nome suo), nei quali l'allevamento del bestiame 



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304 Parte Prima — Alta Italia 



e la produzione del burro e degli altri latticini sono industrie fiorenti. Nel territorio 
sono le più famose ed abbondanti cave di caolino o terra bianca di Vicenza, così 
necessaria all'industria ceramica. 

Cenno storico. — Nel territorio di Trotto si rinvennero monete ed altri cimelii del 
periodo romano. Nel medioevo si trova menzione di questa località solo in un docu- 
mento del 1292. Fino al secolo XVI nei Tretti si parlava quel dialetto teutonico che 
fu erroneamente detto cimbro. 

Coli, elett. Schio — Dioc. Vicenza — P', T. e Str. ferr. a Schio. 

Valli dei Signori (5651 ab.). — Il territorio assai vasto di questo Comune com- 
prende tutta Talta valle del Leogra e forma al pian delle Fugazze contine tra il 
Regno d'Italia e Tlmpero Austro-Ungarico. È regione essenzialmente montuosa, e 
fanno corona a questo territorio, per dir solo delle principali, le cime di Posta (2189 m.), 
del BaflFelan (1791 m.), dei Tre Apostoli (1775 m.), del Cornetto (1902 m.) e le cime 
del maestoso, imponente Pasubio, cioè la cima di Forni Alti (202G m.) e quella del 
Pasubio (2236 m.). Fra queste vette si aprono alcuni passi cui da Valli dei Signori 
conducono buone strade mulattiere e sentieri, e fra questi i passi di Campogrosso e 
delle Fugazze. Il territorio di Valli dei Signori è anche attraversato dalla bella strada 
nazionale, che da Vicenza e Schio per il pian delle Fugazze scende a Rovereto nel 
Trentino. Il Comune di Valli dei Signori è grandemente frazionato, comprendendo 
ben 140 contrade, o piccoli villaggi, di cascinali e malghe sparse per l'ampio territorio. 
— Valli, capoluogo (477 m. sul mare e chilometri 9 a ponente da Schio), è una bella 
borgata assai sparsa, con edifizi in gran parte moderni e di belPaspetto. Grandiosa è 
la chiesa parrocchiale consacrata nel 1342, di recente completamente restaurata e 
dotata di un bellissimo coro. 

Nella contrada Riva (presso Staro), in territorio di Valli dei Signori, ai piedi del 
monte Rosario e sulla destra del torrente Bise, si trova una sorgente di ottima acqua 
acidula ferruginosa, gassosa, scoperta nel 1819 ed analizzata nel 1869 dai professori 
Bizio e Pisanello. 

Il territorio di Valli dei Signori è per la maggior parte a pascoli ed a boscaglie. 
L'allevamento del bestiame vi è quindi fatto su vasta scala; importante vi è pure la 
produzione dei latticini, del legname da ardere e da lavoro. 

Cenno storico. — Di Valli si hanno notizie nel medioevo ; nella contrada Scocchi 
esisteva un castello ed un altro nella località detta di San Sebastiano. Questa valle 
fu continuamente battuta dagli eserciti tedeschi che scendevano dalla Germania o vi 
risalivano, e di questi passaggi son rimaste tracce etnografiche e filologiche tuttavia 
sensibili. Valli dei Signori subì varie infeudazioni, tra cui al tempo della dominazione 
viscontea, al celebre condottiero Nicolò Piccinino. 

Coli, elett. Schio — Dioc. Vicenza — P* e T. locali. Str. ferr. a Schio. 

Velo d* Astice (2690 ab.). — Questo Comune che già appartenne al soppresso man- 
damento giudiziario di Arsiero, si stende a nord di Schio, nella parte superiore della 
valle dell'Astico, in regione eminentemente pittoresca e verdeggiante, circondata da 
belle montagne. Il Comune consta di varie frazioni. Velo d'Astico e Seghe di Velo, 
i due centri principali, sono due belle borgate di aspetto afl*atto moderno, la prima 
a 362 m. sul mare e 15 chilometri da Schio. A Seghe di Velo, sulla riva dell'Astice, 
è notevole la villa Valmarana, col grandioso bosco, che servì di scenario al Fogaz- 
zaro per uno dei suoi più plauditi lavori, il Daniele Cortis; a Velo, l'antica chiesa di 
San Giorgio. 

Il territorio di Velo d'Astico dà cereali, viti, gelsi, frutta ; nella parte alta ha estesi 
pascoli e magnifiche boscaglie. L'allevamento del bestiame e la produzione dei latticini 
è la industria maggiore del luogo in sussidio all'agricoltura. 



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Mandamenti e Comuni del Distretto di Schio 305 



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78 — Ea Patria» voi. I, parte 2*. 



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306 Parte Prima - Alto Italia 



Cenno storico. — Di questo luogo si hanno notizie fin dal medioevo: fii per lungo 
tempo feudo dei conti di Velo, che anche oggidì vi posseggono, al luogo dell'antico 
castello, una grandiosa villa con un parco pittoresco per lussureggiante vegetazione. 
Coli, elett. Schio — Dioc. Vicenza — P", T. e Str. ferr. 



IX. — Distretto e Mandamento di THIENE 

Il distretto di Thiene sta nel centro della parte nord della provincia ed ha forma 
allungata ed irregolare. Confina: a nord ed a nord-est, col distretto di Asiago; ad est 
col distretto di Marostica; a sud, con quello di Vicenza; ad ovest ed a nord-ovest, col 
distretto di Schio. Copre una superficie di 182 chilometri quadrati ; solo nella parte 
settentrionale è montuoso ed in colline, nella parte meridionale si stende in bella 
pianura. È bagnato dall'Astice e dal Timonchio, ed oltreché da numerose strade comu- 
nali, è attraversato dalla linea ferroviaria Vicenza-Schio e dalle provinciali Vicenza- 
Thiene-Asiago e Vicenza-Thiene-Bassano. 

Il distretto di Thiene, regione essenzialmente agricola, ha una popolazione di 
33.766 abitanti (censimento 10 febbraio 1901). Fanno parte di questo mandamento 
e distretto i Comuni di Caltrano, Calvene, Carré, Cogollo, Lugo di Vicenza, Marano 
Vicentino, Sarcedo, Villaverla, Zane, Zugliano. Questi Comuni dipendono dal Tribunale 
civile e penale di Vicenza. 

Thiene (7644 ab.). — Questo Comune, capoluogo del distretto e del mandamento, 
consta principalmente di una graziosa cittadina, sorgente in fertilissima pianura, a 
147 m. sul mare ed in posizione geograficamente favorevole a cui 
fanno capo alcune delle principali strade della provincia: dista 
18 chilometri a nord da Vicenza, cui la unisce un tronco di fer- 
rovia. Thiene ha belle vie, ron buon numero di edifizi signorili 
e moderni, ha una grandiosa chiesa parrocchiale rifatta nel secolo 
scorso da Ottone Calderari, con uno slanciato campanile del bolo- 
gnese Serlio. Notevole è pure il santuario della Madonna dell'Olmo, 
con buoni dipinti, tra cui una pregevole tavola del Fogolino. Altro 
edifizio notevoirssimo di Thiene è lo storico castello dei Col- 
leoni: splendido edifizio nel quale é riescito felicemente l'innesto 
del gotico veneziano sul rinascimento del secolo XV. Conserva nelle ali alte merla- 
ture ghibelline, di tempo anteriore al rifacimento dell'edifizio nel secolo XV. Ha sale 
dipinte dal Veronese ed una pregevole collezione di quadri di varie scuole (fig. 103). 
Thiene è dotata di eccellente acqua potabile, derivata dalle sorgenti del Summano, 
mediante un acquedotto, costrutto nel 1814. È centro industriale e commerciale 'di 
certa importanza, contando nel suo territorio: 2 filande per la seta, 6 opifici per la 
lavorazione della lana, 2 fabbriche per il lucido da scarpe, 2 tintorie, 3 fabbriche di 
cappelli di feltro, un maglio, vari molini ed altre industrie minori. 

Il territorio di Thiene, fertilissimo e ben coltivato, dà cereali, viti, gelsi, frutta, 
ortaglie, foraggi. 

Cenni storici. — Molti si sono sbizzarriti sulla etimologia del nome di questo 
paese, volendo attribuire le origini del luogo a dei Romani Athenei, donde la corru- 
zione del nome nell'attuale. Favole senza consistenza. Solo nel 1107 si hanno in 
carte vicentine le prime notizie di Thiene: esso alla metà del secolo XIV era dominio 
degli Ezzelini, indi fu oggetto di contrasto tra Vicenza e Padova, e nel principio del 
secolo XV passò in soggezione di Venezia, seguendo sempre le sorti di Vicenza. 
Coli, elelt. Thiene — Dioc. Padova — P^ T. e Str. ferr. 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Thiene 307 



Caltrano (2442 ab.). — Si stende questo Comune nella parte settentrionale e più 
montuosa del distretto, sul versante meridionale della Cima di Fonte (1519 m.), e 
sulla sinistra dell'Astico. È Comune frazionato e completamente rurale. Il capoluogo, 
Caltrano (260 m. sul mare e 7 chilometri al nord di Thiene), è un bel paese, di moderna 
apparenza, con oltre 1200 abitanti. 

Prodotti del suolo: nella parte bassa cereali, viti, gelsi, frutta; nella parte alta 
boscaglie e pascoli. Vi sono importanti segherie per legnami e una segheria per marmi. 
CoU. elett. Thiene — Dioc. Padova - P" locale, T. e Str. ferr. a Thiene. 

Calvene (1505 ab.). — Anche questo Comune trovasi nella parte nord e montuosa 
del distretto, alle falde meridionali del monte Cavalletto (1230 m.) e nella valle di un 
piccolo torrente, tributario dell'Astico. È Comune frazionato ed esclusivamente rurale. 
Nulla di notevole, nel villaggio capoluogo (201 m. sul mare e 8 chilometri da Thiene). 

Prodotti del suolo: cereali, viti e gelsi; nella parte alta pascoli e boscaglie. L'alle- 
vamento del bestiame è la principale industria locale. 

Coli, eletl. Thiene — Dioc. Padova — P». T. e Str. ferr. a Thiene. 

Carré (3677 ab.). — Questo Comune si trova, parte in piano e parte in collina, 
nella parte alta del distretto, sulla destra dell'Astice. È Comune principalmente rurale 
e nulla havvi di notevole nel capoluogo, alto 219 m. sul mare e distante 5 chilometri 
al nord di Thiene. 

Il territorio, assai fertile, dà cereali, viti, gelsi, frutta. Vi si alleva bestiame da 
stalla (con caseifici cooperativi) e da cortile; notevole evvi la produzione dei bozzoli. 
L'industria vi è rappresentata da un opificio per la tessitura del cotone, con oltre 
600 telai, e da un altro per la tessitura e filatura della lana ed impermeabili. Questi 
opifici sono animati da forza dinamica ed occupano circa 700 operai. 
Coli, elett. Thiene — Dioc Padova — P', T. e Str. ferr. a Thiene. 

Cogollo (2936 ab.).'— Questo Comune occupa la parte nord-ovest e più alta del 
distretto di Thiene, sui contrafforti a sud-ovest del Magnaboschi (1325 m.), alla sinistra 
dell'Astice. È Comune frazionato ed esclusivamente rurale. Il capoluogo trovasi a 
357 metri sul mare e 11 chilometri a nord-ovest da Thiene, poco lungi dall' Astico. 

Prodotti del suolo: cereali, legumi, foràggi. Ottimi pascoli nella parte più alta. 
L'allevamento del bestiame è la industria principale del luogo. 

Coli, elett. Thiene — Dioc. Padova — P*, T. e Str. ferr. a Thiene. 

Lugo di Vicenza (2739 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte 
nord-est del distretto, sulla sinistra dell'Astice. Il Comune consta di varie frazioni, 
delle quali il capoluogo, Lugo (225 m. sul mare e chilometri 7 da Thiene), è una bella 
ed industriosa borgata di aspetto moderno. Notevoli i due grandiosi palazzi del Pal- 
ladio, ora ville sontuose dei conti Piovene e Valmarana, ricchi di musei e di pitture, 
con giardini e grotte deliziosissime, ritrovo estivo della nobiltà vicentina. 

Prodotti del suolo: cereali, viti, frutta e legumi. Nella parte alta ottimi pascoli e 
boscaglie. L'industria in Lugo è rappresentata da una cartiera e da un grandioso 
opificio per la fabbricazione della pasta di legno, proprietà della ditta Bernardino 
Nodari e C. Vi sono inoltre segherie per legnami, molini e stabilimenti per la lavo- 
razione delle trecce di paglia. 

CoU. elett. Thiene — Dioc. Padova — P*, T. e Str. ferr. a Thiene. 

Marano Vicentino (2951 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende ad occi- 
dente di Thiene, nella fertile pianura che è sulla sinistra del Timonchio. È Comune 
essenzialmente agricolo e frazionato. Il capoluogo sta in piano a 136 metri sul mare 
e dista chilometri 4 da Thiene. 



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308 P<»rte Prima - Alta ItalU 



Il suolo, lavorato con cura e ben irrigato, dà cereali di ogni specie, viti, gelsi, 
foraggi, frutta e ortaglie. L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile e la pro- 
duzione dei bozzoli sono le industrie maggiori del luogo, alle quali vanno aggiunte 
alcune fabbriche di biciclette e altre di paste alimentari. 

Coli, elett. Thiene — Dìoc Vicenza — ?*, T. e Str. ferr. a Thiene. 

Sarcedo (2385 ab.). — Si stende il territorio di questo Comune, a levante di Thiene, 
in regione collinosa ed assai pittoresca sulla destra delP Astice. È Comune esclusiva- 
mente agricolo e il centro comunale sta a 156 metri sul mare e 4 chilometri a levante 
da Thiene. È ricco di belle ville, fra cui i palazzi dei Piovene a Lonado. 

Prodotti del suolo assai fertile : cereali, viti, gelsi, frutta, foraggi ed ortaglie. Vi 
si alleva bestiame da stalla e da cortile ed importante è la produzione dei bozzolL 
Vi sono pure molini per cereali e segherie per legname. 

Coli, elett. Thiene — Dioc. Vicenza — ?*, T. e Str. ferr. a Thiene. 

Villaverla (2503 ab.). — Questo Comune si stende in bella pianura nell'estrema 
parte sud del distretto, bagnata dal Timonchio e dalFIgna, afSuenti del vicino Bac- 
chiglione. È Comune quasi esclusivamente rurale. Il capoluogo è un grosso paese di 
circa 1500 abitanti, a 75 metri sul mare e chilometri 5 da Thiene, nel quale nulla 
havvi di interessante airinfuori del bello e vasto palazzo Dalla Negra. 

Il suolo, fertilissimo e coltivato con ogni cura, dà: cereali, viti, gelsi, frutta, ortaglie 
e foraggi. L'allevamento del bestiame, il caseificio e la produzione dei bozzoli sono le 
industrie di maggior sussidio all'agricoltura. In luogo esiste una vasta ed importante 
fabbrica di laterizi che fa anche una notevole esportazione in Austria. 

Ck>ll. elett. Thiene — Dioc Vicenza — ?*, T. e Str. ferr. a Thiene o a Dueville. 

Zane (1729 ab.). — Il territorio di questo Comune si trova al nord-ovest di Thiene, 
sulle ultime propaggini della parte montuosa del distretto. È Comune rurale e il 
capoluogo sta in piano a 183 metri sul mare e 2 chilometri circa da Thiene. 

Il suolo dà cereali, viti, frutta, e nella parte alta, foraggi. Vi si alleva bestiame 
da stalla e da cortile, unica industria di sussidio all'agricoltura. 

Coli, elett. Thiene — Dioc. Padova — P^ T. e Str. ferr. a Thiene. 

Zugliano (3255 ab.). — U territorio di questo popoloso Comune si trova nella parte 
mediana del distretto al nord-est di Thiene, sulla destra dell'Astice. È Comune prin- 
cipalmente agricolo e frazionato. — Zugliano, frazione centro (5 chilometri a nord-est 
da Thiene), è un discreto paese in altura (198 m. sul mare), di oltre 1100 abitante 
dotato di edifizi moderni e di bell'aspetto. 

Prodotti del suolo: cereali, viti, frutta e legumi. Nella parte alta sono pascoli eccel- 
lenti e boscaglie, onde vi è fiorente l'allevamento del bestiame da stalla e da cortile. 
Nel Comune sorgono varie fabbriche ed una importantissima di cascami di seta. 
Coli, elett. Thiene — Dioc Padova — P'. T. e Str. ferr. a Thiene. 



X. — Distretto e Mandamento dì VALDAGNO 

n distretto di Valdagno occupa una lunga striscia di territorio nella parte occi- 
dentale della provincia di Vicenza, confinando, a nord-est, col distretto di Schio; a 
sud-est e a sud, col distretto di Vicenza; a sud-ovest, col distretto di Arzignano; a 
nord-ovest, per breve tratto, col Trentino (Impero Austro-Ungarico). Ha forma oblunga 
in direzione da nord-ovest a sud-est, e copre una superficie di 185 chilometri qua- 
drati. È regione interamente montuosa, costituita dalla lunga e stretta vallata del- 
l'Agno, scendente da quella conca, contornata di alte cime, che dal passo della Lora 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Valdagno 309 



va a quello di Campogrosso e di cui nodo principale a ponente è la bella e imponente 
cima di Posta (3189 m.). È percorso in tutta la sua lunghezza dalPAgno, che raccoglie 
il tributo di una quantità di torrenti scendenti dalle vallate laterali, e dalla strada 
provinciale, con tramvia a vapore fino a Valdagno, che da Vicenza si spinge fino a 
Recoaro. 

La popolazione di questo distretto è di 33.5S0 abitanti, secondo il censimento del 
10 febbraio 1901. Sono compresi nella circoscrizione amministrativa e giudiziaria del 
distretto e mandamento di Valdagno i Comuni di Brogliano, Castelgomberto, Comedo, 
Novale, Recoaro e Trissino, dipendenti dal Tribunale civile e penale di Vicenza. 

U distretto di Valdagno è regione essenzialmente agricola, ma non manca pure qui 
una forte ed utile rappresentanza della industria manifatturiera della lana, che è vanto 
principale della provincia vicentina. 

Valdagno (9744 ab.). — Questo Comune, capoluogo del distretto e del mandamento, 
si stende nel centro del distretto e della bella vallata che gli dà il nome, attraversato 
dalla strada provinciale che da Vicenza, per Tavernelle, va a Recoaro. 

Valdagno è una graziosa piccola città di circa 3500 abitanti, 
attraversata dalla strada provinciale medesima, a 266 metri 
sul mare e chilometri 30 a nord-ovest da Vicenza. Ha una bella 
piazza e notevpli edifizi, in gran parte moderni e di buona 
architettura. Vanno ricordati il palazzo del Comune, l'Ospe- 
dale, TAsilo d'infanzia, fondato dagli industriali signori Mar- 
zotto, ecc. Notevole è la chiesa arcipretale di San Clemente, 
ad una sola navata, consacrata nel 1781; l'antica chiesa di 
San Cristoforo, eretta nel 1212; quelle del Carmine, delle Cap- 
puccine e di San Lorenzo che serve pure all'Ospedale civile. 
Sotto il porticato del palazzo comunale furono, con apposite lapidi, collocati i busti 
di Vittorio Emanuele li e di Garibaldi, 

Valdagno possiede importanti istituzioni di beneficenza, quali: l'Ospedale di 
San Lorenzo, con un riparto medico-chirurgico ed un patrimonio di circa 300 000 lire; 
il Monte di pietà; Tlstituto elemosiniere Trissino; la Congregazione di carità ed il 
Comitato di beneficenza. Valdagno è illuminata a luce elettrica. 

Nei dintorni di Valdagno si trovano bellissime ville signorili, tr^ le quali quelle 
Marzotto, Valle ed altre. 

Gli stabilimenti della ditta Marzotto per la filatura, tintura e tessitura della lana 
dispongono, il primo,.di una forza motrice idraulica diretta di 220 cavalli e di altri 100 
trasmessa mediante l'elettricità da una cascata dell'Agno a Righellati, e di 400 cavalli 
diretti e 100 trasmessi. Vi sono impiegati più di 2000 operai. Vi sono inoltre in Val- 
dagno (presso monte Pulii) una miniera per l'estrazione della lignite e dello schisto 
bituminoso; due filande per la seta e parecchi molini per cereali. 

Cenno storico, — Valdagno è luogo antico ed ebbe sempre importanza nel terri- 
torio vicentino. Le sue prime memorie risalgono a documenti del 1184. Possedeva in 
antico due castelli, dei quali uno, detto di Poninsacco, su una rupe scoscesa, a qualche 
distanza dal borgo. Passò tra varie signorie, fra cui quelle degli Ezzelini e dei Trissino, 
ghibellini i primi, guelfi gli altri. Vicenza se ne impadronì nel 1291. Diventati fautori 
degli Scaligeri, i Trissino ebbero nel 1340 il dominio su Valdagno; più tardi passò, 
come tutto il Vicentino, in soggezione della Repubblica veneta, alla quale, eccitata 
dagli agenti del Visconti, tentò più tardi di ribellarsi. Ma Gian Giorgio Trissino, avo 
del poeta, impedì la ribellione e si ebbe in compenso le decime su Recoaro, Ronci- 
gliano, Valdagno ed altre terre della valle. In seguito subì le vicende che colpirono 
il Veneto durante le guerre per la Lega di Cambrai; tanto da sottrarsi dalle decime 




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310 Parte Prima - Alta Italia 



dovute alla famiglia Trissino; ma una sentenza della Repubblica di Venezia le ricon- 
fermò. In compenso Valdagno fu dalla Repubblica creata sede del vicariato sulla valle. 
Uomini illustri, — Cittadini illustri di Valdagno furono: Francesco e Giampietro 
Foschi, pittori (secolo XV); Agostino Righetto, architetto (secolo XVI); i due medici 
Antonio Mastini, l'uno pronipote dell'altro (secolo XVIII), naturalisti di grande 
riputazione; Giuseppe Festari, che illustrò le acque di Recoaro, ecc. 

Coli, elett. Valdagno — Dioc. Vicenza — P*, T. e Tr. locali, Str. ferr. a Tavernelle. 

Brogliano (1912 ab.). — Si stende il territorio di questo Comune nella parte infe- 
riore delle vallata, sulla destra dell'Agno, e sul pendìo dei monti che dividono il 
bacino dell'Agno da quello del Chiampo. È Comune frazionato; il capoluogo, Bro- 
gliano (172 m. sul mare e chilometri 9 da Valdagno), è un paesello di meno che 
300 abitanti, con una grande chiesa parrocchiale di recente costruita; su una vicina 
collina sorgeva nel passato il castello di Brogliano. 

Il territorio, assai fertile, produce cereali, viti, gelsi, foràggi. L'allevamento del 
bestiame e la produzione dei bozzoli sono la maggior industria del luogo. 

Coli, elett. Valdagno — Dioc: Vicenza — P* e T. a Castelgomberto, Str. ferr. a Tavernelle. 

Castelgomberto (3252 ab.). — II territorio di questo popoloso Comune si stende 
nell'angolo sud-est del distretto, nella parte bassa della vallata dell'Agno, sulla sinistra 
di questo fiume, in posizione ridente. Il capoluogo (a 145 m. sul mare e 10 chilo- 
metri da Valdagno) è un bel paese di oltre 1000 abitanti, quasi di fronte a Brogliano, 
di aspetto moderno. Bellissima è la villa dei conti Da Porto, di Venezia. Sul colle 
dominante il paese rimangono ancora alcuni ruderi dell'antico castello. 

Il territorio, assai fertile, produce cereali, viti, gelsi, frutta, ortaglie, foraggi. L'alle- 
vamento del bestiame e la produzione dei bozzoli sono la sola industria del luogo. 
Coli, elett. Valdagno — Dioc. Vicenza — P' e T. locali, Str. ferr. a Tavernelle. 

Comedo (4806 ab.). — Questo Comune si stende a sud-est di Valdagno, nel mezzo 
della vaile, sulle due sponde del fiume, allo sbocco di un valloncello per il quale passa 
la strada che conduce a Malo. Il Comune di Comedo consta di varie frazioni, la mag- 
giore delle quali. Comedo (200 m. sul mare e chilometri 5 da Valdagno), è una bor- 
gata di oltre 1100 abitanti, raggruppata intomo alla chiesa parrocchiale, non priva di 
edifizi moderni e signorili. Altre frazioni importanti sono Cereda, bel paesello con 
400 abitanti, sul declivio della montagna, cogli avanzi di un antico castello, e Muzzolon. 

Prodotti del suolo, assai fertile: cereali, gelsi, viti, frutta, ortaglie e foraggi. Impor- 
tanti sono nel luogo la produzione dei bozzoli e l'allevamento del bestiame. 

Cenno storico. — Comedo è luogo antichissimo. Se ne hanno notizie per l'agguerrito 
castello che vi sorgeva intorno al 1000, e nel periodo delle guerre comunali tra Vicenza 
e Verona. Fu feudo dei vescovi di Vicenza che lo perdettero sul principio del secolo XIV. 
— Comedo era il soggiorno prediletto di Giorgio Trissino, che aveva disposto anche 
di esservi sepolto nella chiesa di San Sebastiano; cosa che non potè effettuarsi per 
la sua morte avvenuta improvvisamente in Roma. 

Coli, elett. Valdagno — Dioc. Vicenza — P', T. e Tr. locali. Str. ferr. a Tavernelle. 

Novale (3039 ab.). — Si stende questo Comune sulla sinistra dell'Agno di fronte 
a quello di Valdagno, nella valletta percorsa dalla strada che da Valdagno, per monte 
Magre e Magre, mette a Schio. È Comune agricolo e frazionato. Il capoluogo (290 m. 
sul mare e 2 chilometri a nord di Valdagno), si stringe intorno alla chiesa parrocchiale, 
alla casa municipale ed alla scuola. 

Prodotti del suolo, assai fertile e ben lavorato, cereali, viti, foraggi, gelsi, frutta e 
legna da ardere. Industria principale del luogo, l'allevamento del bestiame. 

Coli, elett. Valdagno — Dioc. Vicenza — P', T. e Tr. a Valdagno, Str. ferr. a Tavernelle. 



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Mandamenti e Comuni del Distretto di Valdagno 311 



Fig. 104. — Recoaro: R. Stabilimento balneo-idroterapico. 

Recoaro (6347 ab.). — Questo Comune occupa tutta quella meravigliosa conca 
alpestre, dominata dall'Obante, dalla cima di Posta, dal Baffelan, dal Cornetto, che 
chiude la parte superiore della vallata dell'Agno. Il Comune è assai frazionato; il 
centro di esso, Recoaro (445 m. sul mare e 9 chilometri a nord-ovest da Valdagno), è 
una bellissima borgata resa celebre dalle ricche sorgenti di acque curative pullulanti 
nelle sue vicinanze, che ne hanno fatta una delle stazioni balnearie, e nello stesso tempo 
di cura climatica, di primo ordine, e più frequentata non solo d'Italia, ma di tutta 
Europa. Grandiosi alberghi, stabilimenti di bagni, giardini, ville d'affitto e private, 
palazzi e palazzine costituiscono ormai il nucleo principale di Recoaro e delle sue 



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312 Paiate Prima — Alta Italia 



Fij(. 105. — Recoaro : Facciata del Grande Albergo e R. Bagni. 

immediate vicinanze, contornate da una delle più mirabili conche di verdi prati naturali 
e di annose boscaglie che si possano immaginare. 

Edifizi notevoli in Recoaro sono : la chiesa parrocchiale di Sant'Antonio, eretta nel 
secolo XVI e fiancheggiata da un alto campanile; il Casino, grandioso edifizio, per 
ritrovo dei bagnanti, con caffè-concerto, sale di lettura, museo civico, ecc., eretto dal 
Comune nel 1849 (nel piano superiore vi sono gli uffici comunali), ed i numerosi alberghi 
e stabilimenti di bagnò (fig. 104-105), il teatro, ecc. 

Le Acque di Recoaro. — La prima delle sorgenti di Recoaro ad essere conosciuta ed 
usata in terapeutica fu la sorgente Lelia (fig. 106), dal nome dello scopritore, il conte Lelio 
Piovene, patrizio vicentino, che nel 1689 la rivelava indicandone sommariamente le 
virtù curative. Essa appartiene alla specie delie acidule ferruginose fredde, ha sapore 
gradevole e si usa in grande quantità per bibite. Ha un getto copioso che dà una media 
di 6231 litri d'acqua al giorno. L'edifizio nel quale si raccoglie Tacqua della fonte 
Lelia fu eretto nel 1778 per ordine della Repubblica di Venezia, su disegno del colon- 
nello Lorgna. Sul frontone si vede il leone alato simbolico dell'evangelista. Vi sono le 
lapidi commemorative dello scopritore e dei medici Orazio Maria Pagano di Arzignano 
(secolo XVIII) e Giovanni Maria Graziano, bergamasco, professori a Padova, che furono 
i primi ad analizzare ed a stabilire le facoltà curative della sorgente. 

Dopo la fonte Lelia, viene per rinomanza e ricchezza di sali ferrosi l'acqua Lorgna. 
Altre acque di Recoaro, applicabili a diverse cure di infermità, sono: la fonte Amara ^ 
ricca di sali ferrosi e di potassio; la fonte Giuliana (fig. 107), ricca di bicarbonato ed 
anidride carbonica, eccellente come bibita; l'acqua Capitello^ riccamente gassosa, con 
sali di magnesia e di soda; la fonte Catulliana, ferro*arsenicale, indicatissima per la 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Valdagno 3t3 



Fig. 106. — Recoaro : Fonte Lelia. 



Fig. 107. — Recoaro: Fonte Giuliana. 
79 — Ia Patria, voi. I, parte 2*. 



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314 ^1^ Italia ^ Mandamento e Comuni del Distretto di Yaldagno 



cura deiranemìa, della scrofola e di malattie organiche delle donne. Quest'ultima, di 
proprietà del Municipio, è condotta dal concessionario Pietro Berlendis di Brescia. 

I dintorni di Becoaro. — Costituiscono una delle più interessanti e pittoresche 
regioni alpine che si possano immaginare. Becoaro è perciò centro di una serie d'im- 
portanti e dilettevoli escursioni, che alternate colla cura delle acque giovano assai 
a rinfrancare il fisico ed a ridare le forze e la salute a chi ne abbisogna. Senza dire 
delle minori, citiamo la classica escursione alla cima di Campogrosso (1502 m.) ed 
al Bifugio Schio (costruito da quella solerte e benemerita sezione del Club Alpino) 
inaugurato nel 1898 all'altezza di metri 1487, in posizione aperta, dalla quale si gode 
il panorama di un meraviglioso anfiteatro di vette che dalla cima di Posta (2189 m.), 
airObante (2043 m.), al Plische (1991 m.), al Cornetto (1902 m.), va fino al massiccio 
Pasubio (2S^6 m.). £ tra l'una e l'altra di queste cime, al di là dei passi e degli 
avvallamenti, fanno capolino le cime bizzarre delle dolomiti trentine, della Presanella 
(3564 m.)» della cima Tosa (3176 m.), della Bocca di Brenta Alta (3155 m.), come a 
dire, che ad onta del confine politico non v'ha soluzione di continuità fra questa e 
quella regione alpina. Dall'altipiano di Campogrosso e dal Rifugi^ Schio sono agevoli 
le escursioni alle cime più sopra nominate. 

Cenno storico. — Di Becoaro si hanno le prime notizie in documenti del secolo XUI. 
Ma avanti si scoprissero le sue sorgenti di acque curative, era luogo di poca impor- 
tanza, dipendente dalla chiesa di Rovegliana, contrada alpestre che ora è frazione del 
Comune. In Bovegliana si rinvennero monete romane dell'impero ed urne sepolcrali 
dello stesso periodo. 

Becoaro cominciò a prendere importanza sotto la dominazione veneta. Essendo 
luogo di confine, ebbe dalla Bepubblica di Venezia speciali guarentigie. Colla scoperta 
delle sue acque, Becoaro andò rapidamente acquistando importanza, si da diventare 
il maggior centro della regione. In seguito a contese coi valligiani della Yallarsa, tra 
la Bepubblica di Venezia ed il Governo imperiale si convenne nel 1751 di collocare 
al passo della Lora ed al piano delle Fugazze quei segni di confine che ancora oggi 
si vedono ed hanno valore. 

CoU. elett Yaldagno — Dioc Vicenza — ?• e T. locali, Str. farr. a TaTernelle. 

Trissino (4420 ab.). — Questo Comune si stende nell'angolo sud-ovest del distretto, 
in massima parte sulla destra dell'Agno, in ridente posizione. Il Comune consta di 
varie frazioni. — Trissino, capoluogo (221 m. sul mare e 11 chilometri a sud da Val- 
dagno), è un bel paese in collina, di quasi 1000 abitanti Vi sono notevoli edifizi, tra 
cui la vasta e splendida villa Da Porto, che fu della storica famiglia Trissino. Sul colle, 
dominante il paese, si veggono ancora gli avanzi d'uno dei castelli che i Trissino ebbero 
in questa regione. 

II territorio fertile, e ben lavorato, dà cereali, viti, gelsi e frutta. L'allevamento del 
bestiame, la produzione dei bozzoli e dei vini sono le principali industrie del luogo. 

Coli, elett. Yaldagno — Dioc. Vicenza — ?•, T. e Tr. locali, Str. ferr. a TaverneUe. 



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315 



» « * *•**•« 



{ContintMzione) 



PBOTINOIA DI PADOTiL 



1. 
Confini, popolazione e divisione amministrativa. 

^^S^ELLA regione veneta la provincia di Padova occupa una posizione, se non cen- 
jT^^^ trale, quasi, essendo interamente circondata da cinque delle otto Provincie 
^/^U^ costituenti la regione. Infatti essa confina: a nord, colla provincia di Vicenza; 

^^ a nord-est, con quella di Treviso; ad est e sud-est, con quella di Venezia; 
a sud, con quella di Rovigo; a sud-ovest, con quella di Verona; ad ovest, ancora con 
quella di Vicenza. Questi confini, salvo che quello colla provincia di Rovigo, segnato 
dal corso dell'Adige, non sono determinati da alcuna ragione geografica o topografica, 
bensì da antiche consuetudini, nella maggior parte stabilite dalle giurisdizioni religiose. 
La forma della provincia di Padova è perciò irregolarissima, ristretta e frastagliata 
a nord e ad est, più larga e rigonfia a sud. 

Secondo le notizie accertate dalla Direzione generale del Catasto, la superficie della 
provincia di Padova è di S141 chilometri quadrati; sicché, per estensione territoriale, 
viene settima, Tultima essendo Rovigo e la prima Udine. 

La popolazione della provincia di Padova, secondo il censimento ufficiale del 10 feb- 
braio 1901, era di 443.227 abitanti, cioè di 207 abitanti per chilometro quadrato. 

Amministrativamente la provincia di Padova è costituita da 103 Comuni, ripartiti 
per distretti e mandamenti nel modo seguente : 



DISTRETTI 



PADOVA 

CAMPO SAN PIERO 

aXTADELLA 

CONSELVE 

ESTE 

MONSELICE 

MONTAGNANA 

PIOVE DI SACCO 

Totale . / 



COMUNI 



26 
13 
10 
9 
15 
10 
10 
10 



103 



MANDAMENTI 
riadtziari 



COLLEGI 

elettorali poUtid 



10 



SDPERFICIB 

in 

chilom. quadrati 

(dati ufficiali) 



565 
253 
199 
184 
298 
200 
188 
254 



2141 



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HiQ Parte Prima — Alta Italia 



In questa provincia si svolge, in proporzioni assai sensibili, il fenomeno migratorio 
verso l'America del Sud, Argentina e Brasile, e la Statistica delV emigrazione del- 
l'anno 1901, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell' 11 giugno 1902 per cura del 
Ministero d'agricoltura e commercio, dà, per la provincia di Padova, le seguenti risul- 
tanze : Emigrazione propria, 5535 ; temporanea, J837. Fuori di Europa, 5541 ; in 
Europa, 1831. Totale 737i. Tale emigrazione è pressoché esclusivamente formata di 
contadini e braccianti, lavoratori, tutti, della terra. 

Per gli effetti giudiziari la provincia di Padova ha due Tribunali civili e penali 
(Padova ed Este) ed un Cii-colo di Corte d'assise, dipendenti dalla Corte d'appello di 
Venezia. Essa è compresa nella giurisdizione militare del lY Corpo d'armata, il comando 
del quale siede in Verona. 

n. 

Orografia, geologia, idrografia, viabilità e climatologia. 

La massima parte del territorio della provincia di Padova è in pianura. Ma nella 
sua parte occidentale ed a breve distanza dal capoluogo si erge quel gruppo di colline 
di formazione vulcanica, conosciuto, celebre anzi, nel mondo della scienza ed in quello 
dei poeti col nome di Colli Euganei. Nessun rapporto o coesione geologica esiste fra 
i colli Euganei e le non lontane propaggini delle prealpi vicentine e trevisane, pro- 
tendentisi verso la piana patavina. I colli Euganei, nelle età più antiche del nostro 
paese, quando la vallata del Po non esisteva peranco ed era un grande golfo medi- 
terraneo, sul quale le grandi valli prealpine sboccavano come altrettanti fjords, in 
quell'epoca, diciamo, i colli Euganei non erano che un gruppo di isolotti vulcanici, di 
vulcanelli emergenti dalla superficie delle acque, al pari dei vicini e del pari vulcanici 
colli Borici. 

Attualmente si stendono in uno spazio di forma elittica, a sud-ovest di Padova, 
avente una lunghezza di circa 18 chilometri sull'asse maggiore e di circa 12 nel 
minore. Il nodo principale dei colli Euganei è il monte Venda, che raggiunge al cul- 
mine i 603 metri sul livello del mare ; le altre vette digradano rapidamente intomo 
a questo e al monte Cero, che raggiunge appena i 415 metri sul livello marino. Dal 
primo di questi nodi si staccano le piccole catene costituenti la maggior parte del 
sistema orografico degli Euganei, cioè la catena di Bajamonte-Pendice (320 m.), Teolo, 
monte Grande sopra Teolo e di Rovolon, Frassinelle verso nord; di monte Rua (416 m.), 
Monte valle, monte Trevisan ad est; di monte Donati, monte Castello, San Pietro 
Montagnone a sud-est; il monte Sieva (227 m.) a sud, dividentesi poi in due branche, 
cioè di Montenuovo e di monte delle Croci, per finire, verso il piano, al Cataio. 

Il gruppo minore degli Euganei è costituito da una serie di ondulazioni e di pic- 
cole punte, che da Este si congiungono, per il monte Murale ed il Calaone, al monte 
Cero. Da queste colline maggiori partono poi le propaggini minori che vanno a per- 
dersi nella pianura, a Cà Barbaro, a Nogaredo, sulle sponde del canale Bisatto. 

Altri monticeli, che appartengono pure al gruppo o sistema degli Euganei, ma dal 
quale appaiono staccati, per le deposizioni di terreni alluvionali più o meno recenti 
che stanno fra di loro, sono il Monterino, presso Monselice, il San Daniele, l'Ortone, 
il Montecchio a levante; il Montemerlo ed il Montebello a settentrione; e ad occi- 
dente il monte di Lozzo: ma tutti monti che non raggiungono i 300 metri sul mare. 

Il territorio della provincia di Padova è costituito pressoché esclusivamente da 
terreni alluvionali delle formazioni più recenti e non presenta quindi, dal punto di 
vista degli studi geologici — se ne eccettuiamo le ristrette regioni dei colli Euganei — 
alcun interesse. 



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Provincia di Padova 317 



I colli Euganei invece costituiscono una regione di alto interesse per la scienza 
geologica. Come s'è detto, formano un nucleo vulcanico, emerso dal mare nel perìodo 
terziario, dei piiì tipici. La loro costituzione consta di rocce massicce vulcaniche, porfidi 
e basalti d'una singolare compattezza e durezza, in luogo dette masegne o macigni. 
A queste rocce si sovrappongono i terreni sedimentari piii antichi, cioè i calcari giu- 
rassici, gli schisti, la creta, le marne colorate, le coti, nonché pietre pomici, allume, ecc. 
L'argilla, abbondante, dei colli Euganei si presta magnificamente alla fabbricazione 
delle stoviglie e dei laterìzi. Le rocce vulcaniche massicce si cavano come buon 
materiale da costruzione. 

Interessante assai, sotto l'aspetto idrografico, è la provincia di Padova. È bagnata 
da numerosi corsi d'acqua, fiumi e canali, che hanno grande importanza non solo per 
questa provincia, ma per tutta la regione veneta, cioè : il Brenta, il Bacchigliene, il 
Fratta-Gorzone, l'Agno o Frassino, l'Adige. 

1. Il Brenta (Medoacus major degli antichi) è il maggior corso d'acqua della 
provincia. Nasce dai laghetti di Caldonazzo e di Levico, nell'alta Valsugana (Trentino), 
e, dopo avere attraversato il distretto di Bassano in provincia di Vicenza, entra nella 
provìncia di Padova poco lungi da Gamazzole, frazione del Comune di Carmignano di 
Brenta, in direzione di sud-sud-est. A Limona una grandiosa diga ne deriva in parte 
le acque per dare vita al canale Brentella, scavato dai Padovani nel 1314, e che, dopo 
un corso di circa 11 chilometri, si scarica nel Bacchigliene presso I^ città. Da Limona in 
poi il Brenta procede verso sud-est, bagnando Vigodarzere, Ponte di Brenta e Strà, dove 
riceve a destra il canale PiovegOy che vi immette parte delle acque del Bacchigliene, 
dal quale è derivato e, sostenuto da una nuova diga, dà origine al naviglio Strà-Dolo, 
sul quale la navigazione dei barconi, fino a Mira ed alla laguna di Venezia, si effettua 
col sistema delle conche, come nei navigli della Martesana e di Pavia, in Lombardia. 
Il corso di piena o letto vero del fiume, continuando in sempre più marcata dire- 
zione sud-est per Vigonovo e Codevigo, andava, fino a pochi anni sono, a scaricarsi 
a Conche, nella laguna di Ghioggia. Ma in questi ultimi anni, per il risanamento del- 
l'estuario, per evitare, in quanto possibile, il progressivo interramento della Laguna, 
si compirono i grandiosi lavori da lungo tempo reclamati da quelle popolazioni e da 
Venezia stessa, mediante i quali il Brenta venne condotto da Conche a Brondolo, ove, 
congi^nto al Bacchigliene ed al Gorzone, con un taglio attraverso alle dune marit- 
time, è condotto a mettere foce in Adriatico sotto il cosiddetto Porto di Brondolo. 
Il Brenta è navigabile da Campo San Martino a Limona ed il suo maggiore affluente 
è il Musone de' Sassi, che si scarica in Brenta a Vigodarzere. 

2. Il Bacchiglione^ che comincia in provincia di Vicenza presso Vivaro, entra in 
provincia di Padova sopra Gervarese Santa Croce e, tenendo una direzione sud-est-est, 
si accosta a Padova, che lascia dopo avere ricevuto sulla sinistra il Tesina Pado- 
vano ed il Brentella. Per l'unione di queste acque il Bacchigliene, giunto al Bas- 
sanello (Padova), prende il nome di Tronco Comune. Sotto il Bassanello il Tronco 
Comune si divide ancora in due rami: uno, in direzione sud-sud-ovest, prende il nome 
dì Canale della Battaglia e poi dì Monselice; l'altro, da sud a nord, prendente il 
nome di Tronco Maestro, entra nella città e forma quel sistema di canali interni — 
dei quali a suo tempo sarà detto — che, riunitisi poi alle porte Contarìne, formano il 
canale Piovego, scaricantesi, dopo un corso di 8 chilometri, a Strà nel Brenta. Le varie 
derivazioni del Tronco Comune, o Bacchigliene, dopo aver servito a Padova ed intomo 
a Padova ad usi industriali, sotto la città si riuniscono nuovamente formando il canale 
detto di Roncajette, il quale riceve a Gà Trieste lo scaricatore di piena del Bacchi- 
gliene, derivato al Bassanello. Il canale di Roncajette percorre circa 14 chilometri fino a 
Bovolenta, dove si unisce al canale Gagnola, formando il grosso canale di Pontelongo, 



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318 Parte Prima - Alta Italia 



collettore di tutte le acque provenienti dal Bacchigliene, che, immesse nel nuovo alveo 
del Brenta, si scaricano a Brondolo nelP Adriatico. Il Bacchigliene è navigabile dal suo 
ingresso nella provincia di Padova sino al Bassanello. Il canale Cagnaia si forma con 
Tunione del canale della Battaglia con altri minori della regione. 

3. Il Fratta-Garzone, che ha le sue origini sopra Cologna Veneta, in provincia di 
Verona, entra nella provincia di Padova a Bevilacqua presso Montagnana; mediante 
la botte detta delle Tre Canne passa sotto il canale di Santa Caterina e forma con 
altre acque il fiume Gorzone, il quale, correndo pressoché parallelamente all'Adige, 
in direzione di levante, entra presso Borgoforte in provincia di Venezia, sboccando 
poi di fronte al forte di Brondolo nel nuovo alveo del Brenta-Bacchiglione, che lo 
immette nelF Adriatico. 

4. làAgna, scendente dalla valle omonima in provincia di Vicenza e che, a 
seconda delle località, prende il nome di Guà, di Fiume Nuova, di Fr ossine, col qual 
nome entra in provincia sopra Montagnana, sì unisce al canale Bisatto ad Este, for- 
mando il canale Brancaglia e quello di Santa Caterina, già detto, per andare a finire 
in Adige a Rotta Sabadina. 

5. L'Adige, il classico fiume della regione veneta, il maggior fiume d'Italia dopo 
il Po, che nasce nel cuore delle Alpi Retiche, attraversa il Trentino e la provìncia di 
Verona; sotto Castagnaro determina il confine tra le Provincie di Rovigo e di Padova, 
toccando in questa provincia i distrettì di Montagnana, Este, Monselice e Conselve, 
tenendo, da Badia Polesine fino alla sua foce in Adriatico a Porto Fessone, costante 
direzione di ovest ad est. 

Noi qui, come lo comporta l'indole del nostro lavoro, abbiamo toccato soltanto e 
rapidamente dei principali fiumi, corsi e canali che solcano in rete ammirabile la pro- 
vincia di Padova e ne forma, si può dire, la regolatrice e la distributrice massima 
di tutte le acque scendenti dalle Alpi e prealpi nel basso Veneto. Dei corsi e canali 
minori parleremo partitamente nelle località ove si svolge la loro azione. 

Laghi. — Esistono nella provincia di Padova e precisamente nella regione dei colli 
Euganei due piccoli laghi: il minuscolo lago di Venda, a 321 metri sul livello del mare, 
tra il monte Venda ed il Vendevole, ed il lago un po' maggiore d'Arquà, in una bas- 
sura (5 m. sul mare) al piede orientale del gruppo. 

Acque Mineràu. — É naturale che in una regione dì carattere vulcanico qual è 
quella dei colli Euganei, si trovino copiose sorgenti di acque minerali. Le piiì celebri 
di queste sorgenti sono quelle di Abano e di Battaglia. Ad Abano si hanno le sorgenti 
di Mantironee di Monte Orione, salso-jodiche; e di San Daniele, solforoso-salso-sodica. 
A Battaglia le sorgenti di Casanova, Lastra, Montegrotta, salso-jodiche; di SanV Elena, 
San Pietro Montagnon, saline. Ad Arquà le acque della Costa o Sorgente Baineriana^ 
solforosa. A Baone la sorgente Caldana, salso-jodica. Queste sorgenti assai copiose 
danno acque, come ad Abano ed a Battaglia, a temperature elevatissime (Monti- 
rone 81», Monte Ortone 58<», Montegrotto 75^ Montagnone 71*>, Sant'Elena 68*», ecc.). 
Da alcune sorgenti, insieme alle acque, esce una poltìglia fangosa satura di sali e 
princìpi medicamentosi, utilizzata in Abano e Battaglia per bagni ed impacchi a cura 
delle artriti, delle affezioni reumatiche ed altre consimili malattie. Mediante la con- 
centrazione delle acque salso-jodiche si formano aeque madri, depurate dal cloruro di 
calce e ricchissime di jodio, di grande efficacia terapeutica per molte malattie. Ad 
Abano e Battaglia esistono grandi stabilimenti balneari per la cura di queste acque, 
che erano conosciute e proficuamente usate anche al tempo dei Romani. 

In fatto dì viabilità nulla o ben poco lascia a desiderare la provìncia di Padova, 
coperta com'è da una fitta rete di belle strade che ne attraversano in ogni senso 



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Provincia di Padova 319 



il territorio, mettendo in comunicazione fra di loro non solo i grandi centri della 
provincia, ma i più piccoli Comuni e le loro frazioni. 

Di stnule nazionali la provincia di Padova non ha che il breve tronco Monselice- 
Este-Montagnana, per chilometri 8 Vt- 

Importante è la rete delle strade provinciali, comprendente i tronchi seguenti: 
lo Padova-Monselice e Monselice-Boara, con ponte sulFAdige tra Boara Pisani e Boara 
Polesine; V Padova-Teolo; S* Padova-Conselve-Anguillara; 4° Padova-Piove di Sacco, 
fino al confine della provincia; 5<> Padova-Strà-Dolo e Laguna; 6<* Padova- Vicenza; 
V Padova-Campo San Piero ; 8® Padova-Cittadella-Bassano e Cittadella-Vicenza ; 
^ Padova-Veggiano. In tutto chilometri 274,307. 

Estesa è la rete delle strade comunali, consortili e vicinali, allaccianti fra di loro 
Comuni e Comuni, frazioni e frazioni; ma il dire di queste, oltre il portarci fuori del 
nostro assunto, ci condurrebbe ad inesattezze ed omissioni, non essendo ancora pubblica 
una statistica ufficiale delle strade di queste categorie nel Regno d'Italia. Approssi- 
mativamente si calcolarono a 1467 chilometri di strade comunali in questa provincia. 

La provincia di Padova è attraversata dalle seguenti linee ferroviarie a scarta- 
mento normale: linea Venezia-Padova-Vicenza-Verona-Milano-Torino; linea Padova- 
Bologna, passante perBattaglia,Monselice,Sant'Elena d'Este; linea Monselice-Legnago, 
per Este e Montagnana; linea Padova-Campo San Piero-Montebelluna per Castelfranco; 
linea Vicenza-Treviso e Padova-Bassano, passando per Cittadella. Inoltre la provincia 
è percorsa dalle seguenti linee ferroviarie a scartamento ridotto o tram vìe a vapore: 
1° linea Padova-Bagnoli, per Maserà, Cagnola, Cartura, Conselve e Bagnoli; ^ linea 
Padova-Strà-Fusina, per Ponte di Brenta, Dolo, Mira, Oriago, Fusina; 3° linea Padova- 
Piove di Sacco. ^ 

U clima della provincia di Padova è temperato e non dà grandi oscillazioni tra 
il caldo ed il freddo. Ciò dipende dalPessere la provincia pressoché piana, se se ne 
eccettuano le piccole alture dei colli Euganei, ove sono meno sentite le afose gior- 
nate dell'estate, spirandovi al mattino ed alla sera fresca e vivificatrice la brezza 
della vicina marina. Le migliori stagioni per questa provincia sono la primavera e 
l'autunno. Nell'estate si hanno giornate afose di insopportabile caldura; nell' inverno 
nebbie pesanti e diffuse, elevantisi dalla grande quantità di corsi d'acqua e canali 
che in ogni senso l'attraversano; il che, insieme alle frequenti dirotte piogge, rende 
l'inverno umido ed uggioso. Rade sono le giornate di freddo secco, tagliente e sereno; 
frequenti le nevicate, ma di poca durata, perchè presto disciolte dallo snervante 
scirocco. Nell'estate invece sono frequenti e sovente disastrose le grandinate. 

L'aria vi è in generale salubre e solo nella parte bassa, orientale, verso l'estuario, 
ove la coltivazione del riso è in vigore e dove non mancano plaghe palustri, si ha 
il flagello delle febbri malariche. Dominano in questa provincia, aperta ad ogni lato, 
i venti boreali e specialmente il nord-est ed i sciroccali, che dall'Oriente salgono su 
per l'Adriatico. 

in. 

Istruzione pubblica. 

Buone ed in continuo progresso sono le condizioni dell'istruzione pubblica in 
questa provincia, dove, secondo il censimento del 1881, l'analfabetismo toccava l'alta 
quota del 61,31 % Questa veramente dolorosa rivelazione scosse gli animi. Comuni, 
enti morali. Istituti pubblici e privati andarono a gara per promuovere ed intensificare 
l'istruzione pubblica, specialmente nelle campagne, dalle quali si avevano le maggiori 
e più desolanti quote dell'analfabetismo. Già nel 1886 si notava un sensibile miglio- 
ramento, dappoiché gli sposi che non seppero sottoscrivere l'atto di matrimonio in 



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3^ Parte Prima — Alta Italia 



queirepoca diedero la quota del 45 %; mentre degli inscrìtti alla leva dell'anno 1888, 
sopra 100 arruolati, se ne trovarono 35 sfomiti di ogni elemento d'istruzione. 

Queste cifre sono assai migliorate e V Annuario Statistico del 1902 segna per 
questa provincia ì dati seguenti: sposi che non sottoscrìssero Tatto matrimoniale 2434, 
il 38,83%; inscritti alla leva del 1901 che si mostrarono privi d'ogni elemento 
d'istruzione 1159, o il 34,32%. 

Le cause prìncipali che fomentano la trìste piaga dell'analfabetismo, in questa 
come nelle limitrofe Provincie del Veneto, sono le deplorevoli condizioni nelle quali 
vive la classe degli agricoltorì, dalla quale esce il massimo contingente degli analfa- 
beti. La miseria di queste popolazioni provoca lo sfruttamento dei fanciulli, fin dalla 
più tenera età adibiti ai piccoli lavorì agricoli od alla custodia del bestiame minore, 
talché riesce loro impossibile, ad onta della legge sull'obbligatorìetà dell'istruzione, di 
frequentare la lontana e talvolta insufficiente scuola comunale. Questa è la causa 
prima se non unica del perdurare dell'analfabetismo in questa come nelle altre finitime 
Provincie, ad onta degli sforzi che si fanno per estirpare la mala pianta. 

Secondo gli ultimi dati ufficiali portati dall'annuario Statistico del Regno d'Italia 
per Tanno 1902, si contavano nella provincia di Padova i seguenti istituti di educa- 
zione primaria: Asili infantili 12, allievi inscritti 1451 ; Scuole elementari diurne, aule 630, 
alunni 39.000; Scuole elementari serali, aule 19, alunni 656; Scuole elementari festive, 
aule 84, alunni 1230; Scuole elementari private, aule 114, alunni frequentanti 1623. 

L'istruzione normale è in questa provincia impartita da tre Scuole magistrali, di 
cui una maschile e due femminili. Nei prìncipali centri della provincia vi sono istituti 
di istruzione secondaria, scuole tecniche, ginnasi, licei, istituti tecnici e seminari vesco- 
vili. L'istruzione superiore è impartita nell'Università di Padova, una delle maggiori 
d'Itaha e nel passato fra le più celebri d'Europa. 

Vi sono inoltre istituti d' insegnamenti speciali, come la Scuola pratica d'agricol- 
tura a Valle Brusegana (Padova), scuole di disegno, di modellazione, di ornato e 
plastica a Padova, a Cittadella ed altrove. 

Oltre quelle del capoluogo, non mancano nella provincia di Padova biblioteche 
pubbliche e private, musei — tra cui quello importantissimo, nei riguardi delle col- 
lezioni preistoriche, di Este — ed altre consimili istituzioni per l'incremento e la 
diffusione generale della coltura. 

La stampa è rappresentata nella provincia di Padova da tre giornali quotidiani 
politici, da parecchi periodici di varia indole, più o meno regolari ed intermittenti, e 
da numerose pubblicazioni di carattere scientifico e tecnico, attinenti alle cliniche, ai 
gabinetti, alle varie materie d'insegnamento dell'Università. 

IV. 
Bilancio provinciale, economia, finanze, ecc. 

Il bilancio consuntivo dell'entrata e della spesa dell'Amministrazione provinciale 
di Padova fu, per l'esercizio del 1902, consolidato nelle cifre seguenti : 
Attivo Passivo 



Entrate effettive L. i. 41 2.085,50 

Movimento di capitali . . . . • 1. li 8.000 — 
Partite di giro e contabilità speciali i 100.300,92 



Totale L. 2.630.386,42 



Spese effettive L. 1.454.766,54 

Movimento di capitali . . . . • 1.075.318,96 
Partite dì giro e conUbilità speciali i 100.300,92 

TotcUe L. 2.630.386,42 



Le maggiori spese sostenute dalla provincia sono inscritte ai capitoli seguenti: 
istruzione pubblica, per lire 65.260; beneficenza, per lire 475.800^ opere pubbliche, 
per lire 597.855,04. 



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Provincia di Padova 321 



Sconti ed Anticipazioni. — Neiranno 1899 dalla Banca d'Italia furono operati, nella 
provincia di Padova, sconti per lire 20.334.177 ed anticipazioni per lire 1.15S.008. 

Risparmio. — Il sentimento del risparmio è abbastanza vivo e diffuso nella pro- 
vincia dì Padova. Durante Tannò 1899 funzionavano in questa provincia 71 Casse dì 
risparmio postali e 2 Casse di risparmio ordinarie, nonché 10 Banche popolari e Società 
cooperative di credito con Casse di risparmio. Tali istituti, nel detto anno, ebbero 
il seguente movimento dì capitali e libretti: 

Casse postali. — Libretti aperti 2565, chiusi 1052; versamenti per lire 1.850.510 
e rimborsi per lire 1.731.219. Libretti in corso 28.293 per lire 2.779.341. 

Casse di Risparmio ordinarie. — Patrimonio totale lire 2.724.625; versamenti 
lire 11.222.194,45; rimborsi lire 10.838.492,56; libretti in corso 10.389 per Tiuiporto 
di lire 21.441.982,72. 

Banche e Società Cooperative. — Versamenti per lire 5.454.055 ; rimborsi i)er 
lire 5.012.035; libretti in corso 4931 per lire 4.983.607. 

V. 
Agricoltura. ^ 

La provincia di Padova è plaga essenzialmente agricola. La proprietà terriera è 
in questa provincia rappresentata in tutte le sue espressioni: la grande o latifondo, 
specialmente nella parte bassa ed orientale, la parte cioè che con mirabili opere idrau- 
liche di bonifiche e di canalizzazioni fu conquistata agli acquitrini ed impaludamenti 
sregolati dei fiumi; la media e la piccola, che si trova s[)ecialmente nella parte occi- 
dentale della provìncia e nella regione dei colli Euganei ed adiacenze. 

In generale, nel Padovano, la terra è lavorata con grande amore e, dove è pos- 
sibile, intensivamente. Prodotti principali sono i cereali, frumento e granturco in pri- 
missima linea, poi avena e riso. In minima quantità si coltivano Forzo e la segala. 
Grande importanza ha invece la produzione dei foraggi in prati artificiali e naturali, 
favorita dai facili e copiosi mezzi irrigatori di cui il territorio patavino dispone. A 
questa proficua produzione va parallela T industria non meno ricca dell'allevamento 
del bestiame bovino, che in provincia di Padova rappresenta un valore di oltre 
lire 32.000.000. Ed insieme al copioso bestiame bovino le condizioni agrìcole della 
provincia consentono un importantissimo allevamento di equini e suini, nonché di ani- 
mali da cortile (polli, piccioni, oche, anitre, dindi, faraone, conigli), di cui si fa un esteso 
conmiercio colle altre Provincie d'Italia e coir estero; specialmente del pollame, che, 
per una serie dì accurate selezioni, ha costituita una razza assai celebre in pollicol- 
tura, per la sua robustezza e fecondità e per la squisitezza delle sue carni: conosciuta 
appunto col nome di razzti padovana. 

La vite alligna specialmente nella regione collinosa e la sua coltivazione si va 
estendendo anche nelle regioni più adatte della pianura con ottimi risultati. La canapa 
si coltiva proficuamente nella parte bassa e segnatamente nei distretti di Montagnaua 
e di Este. Le risaie sì trovano nella parte bassa ed orientale della provincia. 

Le terre arabili e coltivate a cereali rappresentano il 61 % della superficie totale 
della provincia, la cui scala di ])roduzione può, in ordine decrescente, stabilirsi così: 
frumento, granturco, fieno, avena, segala, orzo, rìso, fagiuoli, lentìcchie, piselli, fave, 
hipini, veccie, ceci, patate, castagne, canapa, vino ed olive. 

È anche da tener conto che il gelso prospera in molte parti del territorio patavino, 
dando luogo ad una notevole produzione di bozzoli. 

Scarsa è invece la produzione dei latticini, essendo il latte in gran parte consu- 
mato nelPallevamento dei vitelli e quale alimento per le famiglie degli agricoltori e 
smerciato per il consumo di Padova e di Venezia. 

80 — Ijtt ÌPmtrìm, toL 1, parte 2*. 



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322 



Parte Prima — Alta Italia 



VI. 

Statidtica industriale e commerciale. 

La provincia di Padova non è regione industriale. Tuttavia nella città capoluogo, 
intomo ad essa e nei maggiori centri della provincia si hanno manifestazioni indu- 
striali, delle quali non è possibile non tener conto in questo lavoro. Ciò che noi faremo 
quando ne sarà il caso, nella descrizione delle località, desumendo le notizie dalle più 
recenti pubblicazioni fatte in proposito dalla Direzione generale di statistica e dalla 

locale Camera di commercio. 

» 

L — Distretto di PADOVA 

n distretto di Padova occupa, in forma assai frastagliata ed irregolare, la parte 
centrale della provincia, confinando: a nord-ovest, col distretto di Cittadella; a nord-est, 
con quello di Campo San Piero; ad est, colla provincia di Venezia; a sud-est, col 
distretto di Piove di Sacco; a sud, coi distretti di Conselve, Monselice ed Este; ad 
ovest, colla provincia di Vicenza. Esso occupa una superficie di 565 chilometri quadrati 
e con una popolazione, secondo il censimento del 10 febbraio 1901, di 163.563 abitanti 
(289 per chilom. quadr.). Essa è, nella massima parte, in rasa pianura, comprendendo 
solo il lembo nord-est della regione euganea, che muore nel territorio di Abano Bagni. 

Il distretto amministrativo di Padova è costituito da 26 Comuni, raggruppati in 
3 mandamenti giudiziari, dipendenti dal Tribunale civile e penale di Padova. 



MANDAMENTI 


COMUNI 


PADOVA 1, 11, m . . . . 


Padova, Abano Bagni, Albignasego, Cadoneghe, Gampodoro, 
Carrara San Giorgio, Carrara Santo Stefano, Casal Ser Ugo, 
Cervarese Santa Croce, Limena, Maserà di Padova, Mestrino, 
Noventa Padovana, Piaizola sili Brenta, Ponte San Nicolò, 
Rovolon, Rubano, Saccolongo, Saonara, Selvazzano Dentro, 
Teolo, Torreglia, Veggiano, Vigodaraere, Vigonza, Villa- 
franca Padovana. 



Scorrono nel distretto di Padova: il Brenta, che vi penetra derivato dal sopra- 
stante distretto di Cittadella; il Bacchiglione, che vi penetra direttamente dalla pro- 
vincia di Vicenza; e, per un breve tratto di territorio, il Musone, che scende, per il 
distretto di Campo San Piero, dal Trevisano. 

Come fu detto più sopra (vedi pag. 317), questi fiumi, nel territorio immediato di 
Padova, sono regolati da un sistema meraviglioso di canali, che, oltre scongiurare 
i pericoli delle loro frequenti e rapide piene, servono air irrigazione dei campi, al 
movimento degli opifici, alla navigazione. 

La centralità della città capoluogo ha fatto sì che intomo ad essa si svolgesse la 
parte essenziale del sistema stradale di tutta la provincia e così anche nei rapporti 
del movimento ferroviario Padova è centro importante, poiché ad essa fa capo la^ 
linea Firenze-Bologna-Venezia; è toccata dalla grande arteria Torino-Milano-Venezia; 
è punto di partenza della Padova-Bassano (che un giorno sarà Padova-Primolano- 
Trento) e della ferrovia a scartamento ridotto Padova-Fusina per Venezia, nonché 
delle linee tramviarìe a vapore sovraindicate e che seguono le principali vie provinciali 



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Padova 



323 



MANDAMENTI E COMUNI DEL DISTREITO DI PADOVA 

APPARTENENTI AL DISTRETTO MILITARE DI PADOTA 



PADOVA (82.281 abitanti, secondo il censimento del 10 febbraio 1901). — Sede 
di Prefettura, del Tribunale civile e penale, di un Circolo di Corte d'assise, di un 
Comando di Divisione militare e d'un Distretto, d'un Vescovado, di un'Università di 
primo grado, di un'Intendenza di finanza ed uffici relativi, d'un Comizio agrario, di 
una Camera di commercio e d'altri numerosi istituti ed uffici pubblici. 

Bilancio. Comunale. — Il bilancio di previsione del Comune di Padova, per l'eser- 
cizio finanziario 1903, fu consolidato nelle cifre seguenti: 



Attivo 

Avanzo d*Àmininistrazione . . L. 200.681,88 

Entrate ordinarle i 2.286.975,76 

• straordinarie . . . . • 163.516 — 
Movimento di capitali . . . . • 168.000 — 
Partite di giro e contabilità speciali! 2.021.305,27 

Totale L. 4.840.478,91 



Passivo 

Spese obbligatorie ordinarie . . L. 1.800.969,28 
I I straordinarie, i 256.523,79 

I facoltative • 652.409,01 

Movimento di capitali . . . . • 109.271,56 
Partite di giro e contabilità speciali i 2.021.305,27 

Totale L. 4.840.478,91 



LA CITTÀ 

Padova è, sotto ogni aspetto, storico, artistico, monumentale, edilizio, morale, intel- 
lettuale ed economico, una delle più cospicue ed interessanti città, non solo del Veneto, 
ma d'Italia. E, come tutte le nostre maggiori città, Padova ha una caratteristica spe- 
ciale che la distingue fra le altre. Essa non offre l'in- 
canto inarrivabile, fascinatore di Venezia, non il sceno- 
grafico panorama di Verona, non il classicismo palladiano 
di Vicenza. Essa, nel mezzo di una vasta e bassa pianura, 
solcata in ogni senso da acque, dal cui impeto e dalle cui 
devastazioni dovette fra i secoli difendersi con miracoli 
d'arte e d'ingegneria, cupa e solenne nell'aspetto, austera 
nei suoi monumenti, forte e colta nel suo popolo, rispec- 
chia meglio delle altre sette sue sorelle la continuità fra 
i secoli delia tradizione delle genti venete. Venezia sa di 
essere la regina, la perla della regione; Padova sente di 
essere la madre antica, dal cui seno fecondo si sparsero 
i figli per tutta la plaga che dall'Adige e dalla Laguna 
va alle Alpi dolomitiche ed all'Isonzo. C'è nella fisionomia 
di questa bella città, studiata attraverso il suo carattere storico, i suoi monumenti, le 
sue tradizioni, le sue vie, i suoi costumi, qualche cosa di augusto che si imprime e 
non si dimentica. Si sente che in essa è il fremito della vita vissuta, senza soluzioni, 
ai primi posti, sulla scena storica del paese, per trenta secoli e più ancora! 

TOPOGRAFIA 

Padova, all'Osservatorio astronomico e meteorologico dell'Università, sta a 45<>,24',2" 
di latitudine boreale e 0<',33',15" di longitudine occidentale dal meridiano di Roma. 
È su un piano leggermente inclinato da nord-ovest a sud-est, alto in media metri 12,67 
sul livello del mare. La città è contornata da una vasta periferia di solide mura bastio- 
nate, assai maggiore di quello che non sia il nucleo vero della città, sì che vi potreb- 
bero capire, in luogo dei prati, delle ortaglie e dei giardini vastissimi che ivi si trovano, 
fabbricati per una popolazione doppia di quella che attualmente Padova non conti. 




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3^ Parte Prima — Alta Italia 



La pianta di Padova, sia nella periferia murata che nel nucleo denso dell'abitato, 
presenta la forma pressoché regolare di un triangolo isoscele, avente la base ad occi- 
dente, il vertice ad oriente ed i due lati convergenti da nord e da sud ad est. La cinta 
murata misura m. 10.120; la larghezza massima della città da ovest ad est, cioè dal 
bastione di San Prosdocimo a quello del Portello, è di m. 2600; e la lunghezza, cioè 
dal bastione di Secondo Moro a nord al bastione di Alicorno a sud, è di m. 3080. Lo 
sviluppo stradale intemo è di 47 chilometri, con 12 chilometri di vie perticate. 

Arteria principale della città è la via che, entrando dalla porta di Codalunga (sta- 
zione ferroviaria), descrivendo un semicerchio, con nomi diversi, si dirige al Caffè 
Pedrocchi — centro virtuale della città — e di là, proseguendo, coi nomi di Via Otto 
Febbraio, Roma, Umberto 7, Piazza e poi Corso Vittorio Emanuele, conduce all'estre- 
mità meridionale della città, uscendo per la barriera Vittorio Emanuele, al Bassanello. 

Il tracciato delle vie patavine è, malgrado le rettifiche, gli sventramenti ed i lavori 
edilizi compiuti nell'ultima metà del secolo scorso, assai tortuoso ed irregolare ; laonde 
occorre una certa abilità e pratica nelPorientarsi e per evitare talvolta di ritornare 
sui proprii passi. Nelle vie e nelle piazze centrali, specie intomo al Caffè Pedrocchi^ 
la piazza dell'Unità d'Italia, in piazza delle Erbe, in via dell'Università, c'è, in ogni 
ora del giorno, grande animazione, movimento e passaggio continuo di gente e di 
veicoli. Ma più il visitatore si porta nelle località eccentriche, ove sonvi pure edifizi 
e cose notevoli, più il silenzio e la solitudine gli crescono intorno, tanto che in certe 
località si ha quasi l'impressione di essere in una città morta o disabitata. 

Il centro virtuale della città è, come abbiamo detto, il Caffè Pedrocchi (fig. 108), 
edifizio e stabilimento insieme, unico nel suo genere, certo il più meritamente famoso 
in Italia e fuori. È nel Caffè Pedrocchi, o intorno ad esso, che si concentra e pulsa la 
vita cittadina in Padova, a due passi dall'Università, formicolante sempre di studentesca 
vivace e rumorosa; dalla Posta e dal Telegrafo, grandioso edifizio al quale si danno 
convegno gli uomini d*aflfari; vicino alle più belle vie della città, ove si trovano i più 
ricchi e modemi negozi; di fianco al più insigne dei monumenti civili lasciato dal- 
l'antico e glorioso Comune medioevale, il palazzo della Ragione o Salone; vicino alle 
due tipiche e pittoresche piazze del mercato delle Erbe e dei Frutti ed a quella 
moderna dell'Unità d'Italia, ed all'altra intitolata a Cavour, sulla quale prospettano 
i maggiori alberghi della città, il Caffè Pedrocchi è diventato il punto classico di 
ritrovo, tanto per i cittadini che per i forestieri, che di là più volte al giorno si partono 
per le varie direzioni della periferia e là altrettante vi ritornano. 

Chi ideò e seppe creare questo tipico e, nel suo genere, non superato punto di 
ritrovo, fu Antonio Pedrocchi, che avendo, con una vita di lavoro e di risparmio, radu- 
nato un discreto peculio esercitando una bottega da caffè nel luogo stesso ove ora 
sorge il grandioso stabilimento, concepì il pensiero di dotare la sua città d'un ritrovo 
pubblico che in quel tempo non avesse pari e rispondesse a tutte le esigenze della 
vita cittadina d'allora, come luogo di convegno, di svago, di contrattazioni — perchè 
havvi un locale adibito ad uso di borsa d'affari — di coltura, perchè nel piano supe- 
riore havvi un casino di lettura con ricca collezione di giornali, libri e riviste. 

Tradusse il pensiero del Pedrocchi in atto il bravo architetto Giuseppe Jappelli, 
che con grande amore studiò l'insieme ed i particolari della fabbrica, la quale, comin- 
ciata nel 18M fu aperta al pubblico il 9 giugno 1831. L' edifizio è condotto, tanto 
all' intemo che all'esterno, nello stile accademico, classico del tempo, ma combinato, 
nei motivi decorativi, con molt'arte e buon gusto. 

L'architetto trasse anche buon partito dall'area irregolare, trapezoidale — tanto che 
venne assomigliata ad un pianoforte a coda — sulla quale doveva sorgere l'edifizio. 



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Padova 325 



Pig. 108. — Padova: Caffé Pedrocchi (da fotografia ÀLiifÀRi). 

architettonicamente bellissimo, nel lato nord (detto la Tastiera). L'edifizio è a due 
piani. Al pianterreno, rialzato di tre gradini dal piano della piazza e delle strade 
laterali, sonvi il Caffè e la Borsa. Il Caffè consta di tre sale: due quadrate all'estre- 
mità nord e sud delPedifizio ed una grandiosa divisa da colonne joniche in marmo 
giallo di Verona, al lato interno della quale, in una grande nicchia semicircolare, 
impellicciato in bellissimo marmo pavonazzetto, sta il banco per il servizio. La sala 
della borsa ha forma ottagonale: ha comunicazione col Caffè, ma ha pure un accesso 
proprio indipendente da questo. 

La decorazione delle varie sale, sì del Caffè che del casino al piano superiore, 
fu affidata ad artisti valenti, quali il Caffi, il Paoletti, il Dennis, il Cazzotto, che diedero 
a ciascuna sala uno stile diverso, cioè etrusco, egiziano, greco, pompeiano, medioevale, 
rinascimento. Nelle pareti delle sale del Caffè sono tracciate le carte delle cinque parti 
del mondo e delPItalia. 

Una gran parte dei finissimi marmi colorati che servirono alla decorazione interna 
dell' edifizio si rinvennero mentre si scavavano le fondamenta per la fabbrica e la 
grande fossa per la conservazione del ghiaccio. Questi avanzi, colle iscrizioni pure ivi 
rinvenute, segnarono l'ubicazione del Foro patavino, di quello splendido Municipio del 
periodo romano, eretto a nuovo tra il secolo III ed il IV. Il Caffè Pedrocchi y sorto 
sedici secoli dopo su quelle costruzioni, continua, come l'antico Foro, a segnare il 
centro virtuale della città. 

EDIFIZI E MONUMENTI PUBBLICI 

Dieci secoli di storia patavina sono impressi sulle sue mura, sugli edifizi suoi, sulle 
sue chiese. Noi, come è nostra consuetudine, ne faremo una rapida descrizione proce- 
dendo dai più antichi ed importanti, per venire ai più moderni e meno famosi. 



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326 



Parte Prima — Alta Italia 



Salone o Sala della Ragione (6g. 109). — A 
buon diritto questo maestoso edifizio, che non ha ri- 
scontro somigh'ante, tramandato a Padova dal suo hbero 
Comune del medioevo, può aprire la serie dei monu- 
menti patavini. Esso sorge immenso ed imponente, 
isolato, nel centro pressoché geometrico della città fra 
le due piazze, eminentemente tipiche e pittoresche, 
delle Erbe e dei Frutti, nelle quali si svolge ogni mat- 
tina, da secoli, l'episodio consuetudinario del mercato. 
Se non la prima, certo fu degna sede del Comune 
patavino assurto a potenza e libertà sullo scorcio del 
secolo XII. La data precisa della sua erezione non è 
accertata. Documenti deir Archivio comunale dicono 
che già nell'anno 1 1 66 ne esisteva la parte inferiore, 
fornita per sovrappiii di torri. Forse Tedifizio cominciò 
a sorgere nel 1164. In orìgine era costituito di soli 
pilastri, reggenti le mura non troppo alte, con solai a 
travature in capriate e tetto a tegole comuni. Nel- 
l'anno 1219 subì un restauro generale ed un rialzo 
del tetto, che, peraltro, non arrivò allora a superare i 
m. 16. Poco meno di un secolo dopo, nel 1306, il 
palazzo fu di nuovo riattato, le mura furono alzate an- 
cora di venti braccia e vi furono aggiunte le due slan- 
ciate e grandiose logge laterali. Questi lavori — è ben 
certo — vennero condotti sotto la direzione di Frate 
Giovanni degli Eremitani, cui bastò quest'opera sua 
per dimostrarne la valentia come architetto di primo 
ordine. Ma il primitivo architetto, colui che impiantò, 
si può dire, la mole, obbligando i prosecutori a lavorare 
sul suo progetto e sulle linee principali da lui fissate, 
chi fu? .Non è noto. Il Rossetti, nella pili che erudita, 
pretenziosa sua Guida di Padova pubblicata nel 1 765, 
pone, come autore primitivo del palazzo, su leggende 
che nessun documento convalida, un tal Piero Cozzo 
da Limena; nome dei quale non si hanno notizie nò 
in altre opere uè in documenti e sulla cui esistenza 
lo stesso Rossetti, nella successiva edizione della sua 
Guida del 1776, sollevava dubbi. Ciò non impedì alla 
mania epigrafaia di Cario Leoni di consacrarne il 
nome, come documento storico, nella lapide che si 
vede sul tronco occidentale dell'edifìzio. Ben più nel 
vero si appone il Selvatico, padovano, quando, osser- 
vata la severa semplicità dell'edifìzio, le gravi sue ar- 
cate, colle tozze bifore alle finestre, le nude masse 
murali, ne attribuisce l'origine all'arte muratoria lom- 
barda scrivendo : « Lo stile delle sagome, come gli 
« spartimenti a fascio ed archetti, lo dicono palese- 
« mente innalzato secondo le tradizioni dell'arte lora- 
t barda, in uso per tutta Italia nel Xll e nel XIll se- 
c colo 0. Pensando poi, che essendo podestà di Padova 
Giovarmi Rusconi da Como, la mole subì nei 1219 il 
ristauro generale ed il rialzo già detto, non è arri- 
schiato 1 inferire che il podestà, sotto il quale la impor- 
tante opera si compieva, avesse chiamato a lavorare 
gente dei suoi paesi, provetta e maestra nell'arte mu- 
raria, per una serie di cattedrali e di monumenti che 
formano la storia architettonica deiritaiia medioevaie. 

Le logge esteme, aggiunte da Fra Giovanni degli 
Eremitani, hanno sedici arcate per lato, non tutte 
uguali, sostenute da colonne di marmo bianco e 



rosso, e adorne di una balconata a colonnine dello 
stesso marmo, delle quaU se ne contano 580. 

Un grave incendio, nel 1420, fece cadere la parte 
superiore dell'edifizio insieme al tetto. 11 governo della 
Serenissima, al quale Padova era soggetta, votò su* 
bito una ingente somma per la riparazione del monu* 
mento e mandò ad eseguire i lavori i suoi ingegneri 
Bartolomeo Rizzo ed il Piccino. Questi introdussero 
grandi mutamenti nell'interno dell'edifizio, sopratutto 
furono tolti i muri divisori interni, per modo da for- 
mare un immenso salone, poggiante tutto su archi e 
pilastri, il maggiore fra quanti saloni pensili si cono- 
scano, misurando esso : in lunghezza m. -81 ,52 ; in 
larghezza m. 27,16; in altezza totale interna m. 27,08; 
in altezza interna dalla imposta degli archi al vertice 
del coperto m. 14,93. 

L'altezza totale dell'edifizio, dal piano della piazza 
al vertice del tetto, è di m. 35,38. 

Nel 1756 una tromba d'aria o ciclone spiantò, ro- 
vinò il tetto del salone. Sollecito, come sempre. 
Governo veneto ne ordinò la ricostruzione in modo più 
solido, affidando il lavoro a Bartobmeo Ferracina, va- 
lentissimo ingegnere, architetto, meccanico ed astro- 
nomo, del territorio di Bussano, che rifece il tetto ad 
arco acuto, senza sostegni intermedi, quale ora si 
vede, vero miracolo di statica e di ardimento. 

Si entra nel salone per quattro grandi scalinate che 
sono agli angoli dell'edifizio (fìg. 1 10); ma generalmente 
si va dallo scalone che è dal lato del palaào comunale. 
Al fianco della porta dlngresso furono collocate due 
statue in granito egiziano, portate da Tebe da Giam- 
battisUi Delzoni, patrizio padovano ed ardito viaggiatore 
in Africa, e da lui donate alla città natale. All'ardimen- 
toso esploratore Padova decretò il monumento com- 
memorativo che a mo' di medaglione orna l'arcata 
d'ingresso al salone. A destra delle statue o sfingi 
egiziane, si vede l'antica pietra del vituperio (Petrone) 
a forma di vaso con superficie piana, levigata. Vi si 
facevano sedere a titolo di pena e di pubblica gogna i 
Talliti ed i debitori insolventi prima di condurii alla 
vicina prigione delle Debite (ora demolita). L'uso di 
questa triste esposizione di disgraziati durò fino al 
1600; sebbene, ad intercessione di Sant'Antonio, 
nel 1231, le pene gravi od odiose che colpivano i de- 
bitori non solvibili, fossero alquanto mitigate. Nella 
parete di fronte alla porta sono murati i monumenti ad 
alcuni personaggi celebri, cominciando da Tito Livio, 
il poderoso storico dell'aurea romanità, il cui busto in 
bronzo è circondato da chiaroscuri allegorici del Cam- 
pagnola ; Sperone Speroni, letterato vissuto nel se- 
colo XVI e del quale ora nulla sopravvive ; Lucrezia 
degli Obiizi, virtuosissima quanto avvenente gentil- 
donna assassinata dal patrizio Attilio Pavanello, perchè 
resisteva alle sue voglie ; vedesi pure il mausoleo colle 
credute ossa di Tito Livio, trovate mentre si facevano 
i lavori di Santa Giustina nel 1413. Nel fondo del sa- 
lone si ammira il famoso cavallo in legno, costrutto 
da Donatello per Annibale Capodilista, nel 1466» 
riparalo nel 1840 con molta abilità dallo scultore Gra- 
I deuigo, che ne modellò pure la testa mancante, e 



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Padova 



327 



Fig. 109. — Padova: Palazzo della Ragione (da fotografia àlinari). 



quivi collocato. Anticamente intorno alle pareti erano 
i banchi dei pubblici notai, ognuno dei quali prendeva 
il nome dall'animale ch'era dipinto sopra il suo stallo. 
Questi animali si veggono ancora, e ad essi corrispon- 
dono antiche finche deir Archivio notarile. 

Le grandi pareti del salone sono coperte di af- 
freschi; la vòlta, ricostrutta nella seconda metà del 
secolo XVllI, non porta che una scialba imbiancatura. 
Questi affreschi sono divisi in tre zone, ripartite poi in 
tanti quadri formanti un complesso di 319 scomparti. 
È fama che i soggetti di queste pitture fossero ideati 
dal celebre Pietro da Abano e che nel salone abbia 
dipinto anche Giotto. Ma all'opera del grande maestro 
trecentista se ne sovrappose, irreligiosamente, altra di 
altro artista e specialmente di Zuan Mìretti, padovano, 
al quale vennero, nella maggior parte, attribuiti questi 
affreschi, più volte restaurati e ritoccati, ed in parti- 
colar modo nel 1 762 da Francesco Zannon da Cittadella. 

Pietro Selvatico nella sua Guida di Padova, cosi 
riassume il concetto di questa complessa pittura signi- 
ficante la pretesa influenza degli astri sugli uomini, 
concezione tutta medioevale, nella quale non è facile 
ai profani il raccapezzarsi. « Siccome — scrive il dotto 
uomo — dalla zona di mezzo dipende la distribuzione 
e la intelligenza delle altre due, cosi noterò prima di 
questa i principali quadri. Rappresentano essi i Dodici 
segni dello zodiaco ai quali sono frapposti i Sette pia- 
neti. Fra Tuno e l'altro segno si veggono gli esercizi 
proprii a ciascun mese e alle stagioni. Nella fascia poi 
a mezzodì scorgonsi, in tre spartimentì, la Vergine co- 
ronata^ la Maddalena ai piedi del Redentore e 
San Paolo primo eremita, genuflesso. L'ordine sot- 
toposto contiene due dipinti che abbracciano anche 



i due superiori ; quello collocato sulla facciata a le- 
vante mostra la Coronazione della Vergine, l'altro 
a ponente figura l'evangelista San Marco che getta 
danaro ai poverelli. Altri quindici minori sparti- 
menti, che abbracciano pure l'ordine sovrapposto, 
rappresentano i Dodici Apostoli distribuiti fra i segni 
dello zodiaco, secondo il tempo nel quale la Chiesa 
celebra la loro festa. Nel mezzo vi sono tre figure sim- 
boliche, e in altri otto spartimenti ve ne stanno altret- 
tante alate in atto di volare e che alludono agli otto 
venti degli antichi. Nell'ordine superiore si mostrano 
alcune costellazioni, espresse secondo la dottrina di 
Igino, il resto si può dividere in sette classi, sei delle 
quali pollano simboleggiati, in vari riquadri, gli eser- 
cizi di ciascun mese, col pianeta loro dominatore. Questi 
vogliono dimostrare le inclinazioni e i temperamenti 
dell'uomo, e gli impieghi proprii a coloro che, essendo 
nati sotto quel tale pianeta al sole congiunto, sortirono 
un dato temperamento, una data inclinazione, un tal 
grado d'ingegno. La settima ed ultima classe, final- 
mente, è chiusa fra il segno del Toro e quella dei Ge- 
mini, e i due quadri del secondo ordine. Nostra Donna 
e l'eremita San Paolo, e siccome quello intende allu- 
dere al mistero della umana redenzione, perciò vi sono 
espresse le figure del Vecchio Testamento che hanno 
relazione con la morte del Redentore, indi la Croce- 
fissione, il Sacrificio della messa e gli effetti della re- 
denzione prese àd\V Apocalisse di San Giovanni ». 

Singolarità astronomica di questi è la studiata loro 
disposizione, per la quale il sole ogni mese, al suo sor- 
gere, batte sul segnò dello zodiaco dipinto nel salone, 
corrispondente al segno celeste o posizione astronomica 
nella quale il sole si trova. 



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328 



Parte Prima — Alta lulia 



La pianta del salone ha figura romboidale, come 
quella che si credette la più resistente. Sul pavimento 
fu tracciata una grande meridiana, della perfetta esat- 
tezza della quale, quantunque assai decantata, è lecito 
dubitare. 

Le logge aggiunte nel 1306 da Fra Giovanni degli 
Eremitani sono, come il salone, ricoperte da lastre dì 
piombo. Quivi sono vari monumenti ad onore di uomini 
illustri, tra cui ricordiamo, nella loggia di tramontana, 
quello a Pielro Fortunato Calvi, l'eroico difensore del 
Cadore nel 1848. impiccato a Belfiore dall'Austria 
nel 1855, in seguito ai famosi processi di Mantova: è 
dovuto allo scultore Sanavio e fu fatto a spese del 
Comune che ne curò la inaugurazione nel 1867; nella 
loggia di mezzodì il monumento a Pietro Paleocapa, 
del Cecconi. Sulla porta imroittente al salone veggonsi 
le mezze figure in bassorilievo di Tito Livio, Alberto 
Eremitano, Paolo Giureconsulto, Pietro di Abano. 

Il salone della Ragione si apre per grandi riunioni 
popolari, per comizi in periodi di elezioni e per feste 
cittadine. 

Palazzo del Comune. — Sorge tra via San Can- 
ciano e piazza delle Erbe. Fu costiuìto a varie riprese 
dal secolo XV in poi. Ne scrive il già ricordato P. Sel- 
vatico : < Questo vasto edifìzio, le cui facciate non sono 
compiute se non in due lati prospettanti entrambi la 
piazza delle Erbe, presenta nello esterno la seguente 
ordinanza. Inferiormente stanno arcate a bugne, rette 
da robusti piedritti. Una fila di mezzanini si stende 
sulle medesime, che sono poi limitati da un ballatoio 
continuo, dal quale si eleva il piano nobile composto 
di sgarbate finestre ad arco, ed ornato dì pilastri do- 
rici a cui fa corona un altissimo cornicione. Non v'è 
DuUa di peregrino in questa ordinanza e ì dettagli 
danno nel goffo e nel gretto ; ma Tignoto che condusse 
la robusta opera doveva essere architetto di buona 
pratica e costruttore abilissimo, perchè armonia e so- 
lidità ce n'è. Sopra il piedritto posto dinanzi ad una 
delle quattro scale guidanti al salone, è infissa una 
statua della Giustizia seduta su due leoni, scolpita da 
Tiziano Minio nel 1522. Sull'angolo ove le due fac- 
ciate si uniscono v'è lo stemma del podestà di Padova 
Marcantonio Contarìni, fiancheggiato pure da due 
grandi figure alate, condotte con franco e dotto scal- 
pello. Sono anche queste attribuite a Tiziano Minio, 
ma mi sembrano supeiiori di molto a quanto egli 
ci lasciò. In una cartella posta al disotto leggesi: 
M. Antonius Contarenes eques: praetor incredibile 
celeritate a fundamentis excitavil MDXLI. Questa 
iscrizione farebbe credere che nel ricordato anno si 
erigessero le descritte facciate. Entrati nel cortile del 
palazzo, l'occhio si arresta volontieri davanti al pro- 
spetto, a tre piani, decorato di pilastri corintii che ab- 



bracciano i due superiori. È armonico nell'insieme, né 
manca di buone sagome negli scorniciamenti ; ma gran 
peccato che non siano meglio figliate le bugne, e corra 
tozza la forma degli archi inferiori ! Salita la prima 
branca di scala trovasi un cortiletto pensile circuito da 
un portico ad archi fregiati da colonne doriche su cui 
le vecchie Guide prodigano l'incenso. Non può di certo 
negarsi che non ne sia gradevule lo insieme, ma tutte 
quelle riquadrature negli archivolti, nei piedritti e per- 
sino nelle metope, sono licenze incomportabili perchè 
ingofllscono anziché illeggiadrire. Il Fossati avvisò di 
giudicare questo cortile opera del Palladio; il Te- 
manza invece lo stimò del Falconetto, uè saprei dav- 
vero su quale fondamento, perchè nessuna memoria 
storica rafl'erma ciò che lo stile nega recisamente i. 

Sul lato meridionale della facciata vennero, a cura 
del Comune, collocate le lapidi in ricordo dei cittadini 
padovani morti nelle guerre della patria indipendenza; 
la seconda reca la data memorabile della liberazione 
della città dall'occupazione austriaca (12 lugho 1866) 
e dell'ingresso di Vittorio Emanuele II in Padova 
(1» agosto) e del Plebiscito del Veneto (21-22 ottobre). 
La terza reca scolpito il manifesto del A novembre 
1866, nei quale il podestà De Lazara e gli assessori 
del Comune davano alla cittadinanza, con parole fer- 
vide di patriottismo, l'annunzio delle risultanze del 
plebiscito per l'annessione al Regno d'Italia, plebiscito 
al quale Padova concorse con 15.280 voti, tutti per 
il si. 

Palazzo delle Debite (fig. 1 11-1 12). — Sorge ad 
ovest del Salone della Ragione e colla sua fronte prin- 
cipale volta verso la piazza delle Erbe. È cosiddetto 
perchè eretto sull'area stessa delle antiche prigioni ove 
si chiudevano i faUiti ed i debitori insolvibili, demolite 
per ragioni d'igiene e di abbelhmento edilizio nel 1873. 
L'cdifizio attuale è affatto moderno e ne diede i disegni 
e curò la costruzione l'architetto Camillo Boito, pre- 
miato nel concorso dal Comune indetto per quel la- 
voro. È in istile lombardo del medioevo, trattato eoo 
molta larghezza e libertà, sì che non mancarono all'au- 
tore critiche aspre, specie per la poca rispondenza che 
ha questo edifizio colio stile solenne del vicino Palazzo 
della Ragione e cogli altri edifizi della piazza. Non- 
dimeno, per sé stante, è edifizio che si ammira con 
piacere, per la mollezza delle linee, per la eleganza e 
novità dei motivi decorativi. La parte inferiore, a por- 
ticato con colonne, è costruita in marmo bianco delle 
cave di Botticino presso Brescia, il rimanente è in 
cotto ed in pietra bigia dei colli Euganei. I fregi e gli 
ornamenti sono dipinti a fresco. Alla sonunità è un 
terrazzo con balaustra a traforo. Agli angoli quattro 
leoni in marmo bianco dì Carrara reggono l'arma, 
della città. 



Da piazza delle Erbe o da quella dei Frutti è breve il tratto alla piazza della 
Unità d'Italia, ma dal popolo continuata a designare col nome di Piazza dei Signori, 
perchè quivi nel medioevo erano le case dei Carrara. Questa piazza restò celebre 
nella storia della città, perchè più volte fu tramutata in campo di battaglia dalle 
fazioni cittadine, e gli edifizi che la circondavano, dati, dalla rabbia popolare e dalle 



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Padova 



329 



Fig. ilo. — Padova : Palazzo della Ragione (detlaglio di fianco). 



fazioni vincenti, al saccheggio, all'incendio, alla .distruzione. Vi si davano anche nelle 
occasioni solenni spettacoli pubblici, feste e tornei. Bellissima è la colonna di marmo 
bigio a goccia, antica, scoperta nelle fondamenta della chiesa di San Giobbe, ed innal- 
zata quivi nel 1787 per decreto del podestà Catarino Corner, che su apposito capitello 
fece collocare il leone alato di San Marco. Abbassato ed infranto, nel 1797, dai Fran- 
cesi, qual simbolo dell'antica Repubblica veneziana, fu sostituito nel 1866 da un altro, 
scolpito dal Sanavio. Bellissimo, grandioso è l'aspetto di questa piazza che può 
gareggiare colle migliori dltalia. 



Loggia del Gran Consiglio (fìg. 113). — Questo 
singolare edifìzio sorge alfangolo sud-ovest della piazza 
e servì nel tempo del Governo veneto a sede delle ma- 
gistrature cittadine*; e sotto la dominazione austriaca, 
a sede di quel presidio che il comando militare teneva 

Si — 1^ Pai ria, voi. I, parte 2* 



ad ogni evenienza, pronto ifclle località centrali della 
città e detto appunto la Gran Guardia. Fu eretta nel 
1493 sui disegni di Annibale Cassano; ma, causa le 
difficoltà nelle quali la Repubblica si trovò in quel pe- 
riodo per gli efletti della Lega di Cambrai e delle 



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330 



Parte Prima — Alta Italia 



guerre che dovette sostenere, i lavori andarono a ri- 
lento s\ che solo nel 15^3 potè avere termine. Il già 
ricordato Pietro Selvatico così riassume i pregi archi- 
tettonici di questo geniale ediflzio : « Sopra alte stilo- 
bate, a cui si ascende per ampia scalea, si stende una 
loggia formata da gentili colonne corinzie, su cui si 
innalzano archi egualmente gentili, che reggono un 
secondo piano. Questo è spartito in campate da pi- 
la-jtri e porte, sulla centrale una trifora, sulle laterali 
una bifora. Lo stile arieggia, anzi imita, quello dei 
Lombardi, ritraendone la snella leggiadria, in partico- 
lare nei capitelli delle colonne e nei piedistalli circo- 
lari. Se il piano inferiore non risultasse troppo basso 
rispetto al superiore, avrebbe diritto di essere noverato 
fra le più scelte architetture di quell'agilissimo stile ». 
L*edifizio, assai malandato per l'incuria, le vicende e 
i vandalismi della occupazione militare e poliziesca, 
venne completamente ristaurato nel 1882 sotto la vi- 
gilanza deiring. Gabriele Benvenuto, che del restauro 
aveva studiato e compilato il progetto. 11 pavimento è 
in marmo di Verona a quadri alternati bianchi e rossi, 
col contorno di una fascia rossa dello stesso marmo 
rosso. Dalla base delle pareti e per il tratto non occu- 
pato dalle colonnine del parapetto, si eleva uno zoccolo 
dì marmo bianco con modanature sporgenti, alto più 
di un metro; le pareti sono a scagliola imitante il 
cjanno venato bigio. Il soffitto è a travi nude, con pic- 
cole traverse negli spazi, formanti una serie di casset- 
trini quadrati. Le porte sono in stile del Rinascimento, 
adorne di rosoni di bronzo. Sotto la loggia fu collo- 
cala la statua in marmo di Carrara del Re Vitlono 
Emanuele li, opera lodata per la vigoria ed insieme la 
cura dell'esecuzione dello scultore Odoardo Tabacchi. 

Il salone superiore serve per conferenze e pubbliche 
adunanze. 

Palazzo del Capitanio. — Il lato occidentale 
della piazza dell* Unità d'Italia è interamente occupato 
dalla bella mole del palazzo del Capitanio, cosiddetto 
perchè al tempo del Governo veneto — sotto il quale 
fu costruito — era la sede del Capitanio, o il patrizio 
deputato al governo della città. Dove ora sorge il pa- 
lazzo del Capitanio sorgeva il palazzo o reggia dei Car- 
rara, signori di Padova, nel secolo XIV ; della quale 
reggia, a tergo dell'edifìzio presente, rimangono ancora 
avanzi, dei quali discorreremo a suo tempo, e parte 
della torre dell'Orologio nel palazzo del Capitanio. 
Questo cominciò a sorgere nella seconda metà del se- 
colo XV ; ma solo nel secolo successivo ebbe compi- 
mento ad opera principalissima di Gian Maria Falco- 
netto, architetto veronese al soldo della Repubblica 
Serenissima. La fronte è costituita, nella parte infe- 
riore, da un basamento ad arcate, bugnato, assai 
robusto, sopra il quale, per tutta la lunghezza dell'edi- 
fìzio, interrotta soltanto dal grand'arco trionfale del 
portone, corre una balaustrata, alla quale porge il primo 
piano, scompartito da eleganti pilastri conici ; il secondo 
)>iano, nella medesima simmetria, è scompartito da 
pilastri corinzi, reggenti il ricco cornicione. 

Nella parte centrale s'alza la torre dell'Orologio 
— che, come fu detto, fece parte del palazzo dei Car- 



rara — solidamente impostata sulla grande arcata che 
serve di portone alPedifizio e nello stesso tempo di 
passaggio alla vicina piazza (del Capitanio) decorata, a 
guisa di arco trionfale, dal Falconetto, che vi lasciò 
inciso, col suo nome, l'anno del compimento del la- 
voro, 1532. Su questa torre, al tempo dei Carraresi, 
fu collocato il primo orologio astrario del quale si abbia 
notizia nella storia, inventato da Iacopo Dondl, medico, 
astronomo, matematico patavino, il quale, per tale 
invenzione, aggiunse al nome di sua famigha anche 
l'addiettivo « dall'Orologio • . — L'orologio del Dondi 
fu collocato sulla torre dei Carrara nel 13ii; ma un 
secolo dopo, non si sa per quale causa, non funzionava 
più, poiché un discendente del Dondi, Novello dal- 
1 Orologio, nel 1430, costrusse, con l'aggiunta dei 
meccanismi segnanti i corsi dei pianeti Venere, Mer- 
curio, Saturno, Giove e Marte, l'orologio che fu collo- 
cato nella torre Tanno stesso, e compiuto coll'aiuto di 
un maestro Giovanni Caldeo da Milano. Quest'oro- 
logio fu più volte restaurato : Bartolomeo Toffblo, ca- 
dorino, nel secolo scorso vi aggiunse la sfera colle 
indicazioni dello zodiaco; e nel 1878 subì un re- 
stauro generale ad opera dell'ing. Silvelli. L'orologio 
di Novello Dondi, a Padova, è certamente uno dei più 
ragguardevoli monumenti che in fatto d'orologeria si 
conoscano. Nella retrostante piazza del Capitanio sì 
tiene il mercato delle stoffe, dei vestiti, delle scarpe, 
ed altri generi consìmili ad uso specialmente del po- 
polino e della gente di campagna. 

Biblioteca della UniTersità. — AI lato sud di 
quella piazza sorge l'edilizio della Biblioteca universi- 
taria, comprendente una parte dell'antico palazzo dei 
Carrara, e principalmente il grande salone, che dopo 
quello della Ragione è il maggiore dì Padova. Fu detto 
dei Giganti, perchè nel 1540 vi furono dipinti in pro- 
porzioni gigantesche, da Domenico Campagnola e da 
altri, le figure dei grandi capitani romani. Fra gli altri 
antichi affreschi che ornano questo salone si mostra 
un ritratto del Petrarca. I bellissimi scafllali in quercia 
di Norvegia intagliata da Michele Bertens, fiammingo, 
appartenevano al convento di Santa Giustina. Questa 
biblioteca venne istituita su proposta di Felice Osio, 
milanese, professore di lettere neirUniversità, con de- 
creto del Senato Veneto, nel 1631 ; e vi cooperò pure 
la intelligente premura del patrizio Alvise Vallaresso. 
È ricca di codici preziosi e soprattutto di preziosi incu- 
nabuli, interessanti specialmente la storia della tipo- 
grafia veneta. 

Scuole Elementari. — Su questa piazza del 
Capitanio sorge il grandioso edifìzio scolastico modello, 
pel quale il Comune di Padova meritò le maggiori di- 
stinzioni nelle esposizioni didattiche d'Italia (fig. Ili). 
Fu costruito sull'area dell'antica reggia dei Carrara e ne 
fornì il disegno l'architetto Camillo Boito, che ne curò 
pure la costruzione nel 1873-80. È a tre piani e com- 
pletamente isolato su fondazioni e sotterranei a vòlta 
che lo difendono dalla umidità del sottosuolo ; occupa 
una superficie di 1000 mq. Il basamento è fatto in 
trachite dei colli Euganei ; i portali in marmo di Bot- 
ticino ed il resto in pietra da taglio di Valdisole ; gli 



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Padova 



331 



archi delle logge, quelli del secondo piano e gli ar- 
chetti delle finestre sono in mattoni a vista. Contiene 
sedici grandi aule, spaziosi locali e corridoi per ricrea- 
zione e ginnastica; nonché una palestra sul doppio 
loggiato che ancora si conserva della reggia dei Car- 
rara. È fornito in grande abbondanza di acqua pota- 
bile, di caloriferi e di tutti quei perfezionamenti che 
valgono a tutelare l'igiene ed a preservare la salute 
dei fanciulli. 

Altra Scuola Elementare mista, costiuita secondo 
tutte le prescrizioni deirigiene e della didattica, è 
quella che sorge nelPampia via Santa Maria Iconia e 
intitolata a Lucrezia degli Obizzi (fig. 115). Essa è 
annessa alla Scuola normale maschile Aristide Gabelli 
e fu costruita nel 1898-99 sui disegni delFing. Daniele 
Donghi, allora ingegnere capo del Comune di Padova. 
Contiene dodici aule, di cui cinque per la senone ma- 
schile che è al pianterreno, mentre la femminile è al 
primo piano. 

Reggia dei Carrara. — Il doppio loggiato che 
sorge a tergo del palazzo delle scuole è quanto an- 
cora rimane di questa grandiosa costruzione, rimasta 
famosa nelle cronache del secolo XIV. Consta di due 
ordini di colonne lunghe e smilze, sovrapposte le une 
alle altre, formanti un doppio portico che girava in- 
torno alla gran corte a mo' di peristilio. Sulle colonne 
poggiano grosse mensole di legno, scanellate ad incavi 
digradanti, sui quali poggia l'architrave pure di Jegno. 
Il porticato superiore ha il tetto a capriata ed una cor- 
nice in legno ad aggetto ^molto sporgente, come le 
costruzioni toscane del tempo. Da ciò forse il Selvatico 
ha tratto ragione per esprimere la ipotesi che archi- 
tetto del grandioso edifìzio fosse uu Domenico da Fi- 
renze, ingegnere al soldo di Ubertino Carrara. Sul 
fabbricato sta l'epigrafe : Reggia Catrarese: Uber- 
tino eresse 13i3. 

UniTersità degli Studi. — Questo istituto che 
da oltre sei secoli forma il vanto di Padova sorge, nella 
via omonima, non lungi dal punto centrale fissato dal 
Calle Pedrocchi. È un edifizio grandioso, severo, che 
risente delle varie epoche nelle quali venne costruito, 
restaurato, rimodernato. Fu cominciato nel 1493, su 
un teiTeno ed un fabbricato preso in enfiteusi dai ma- 
gistrati universitari su proposta di Bernardino Gilo, 
rettore dei legisti, davanti alla distrutta chiesa di 
S. Michele. Il fabbricato era un albergo all'insegna del 
Bue, e questo nome fu dall'Università conservalo per 
molto tempo. I lavori di ampliamento e rifacimento 
dell'edifizio universitarìo durarono molto tempo. Nel 
1501 cominciarono ad insediarvisi le scuole. Durante 
il triste periodo della Lega di Cambrai e guerre rela- 
tive, dal 1509 al 1517, l'Università patavina restò 
chiusa, ed i lavori del nuovo edifizio non poterono 
dirsi compiuti che nel 1552. L'attuale facciata venne 
compiuta nel 1757 sotto il dogado di Francesco Lore- 
dano. Il miglior motivo architettonico della fronte è il 
grande portone arcuato, fiancheggiato da mezze co- 
lonne doriche binate su piedestalli e reggenti una ricca 
trabeazione. Nell'atrio, pure a colonne doriche binate, 
adorno di molti stemmi, lapidi ed iscrizioni, fu collo- 



cata la lapide ricordante gli studenti dell'Università di 
Padova morti nelle campagne dell'indipendenza patria. 

Bellissimo il cortile, in istile classico del Rinasci- 
mento, il miglior pezzo architettonico di questo genere 
che abbia Padova. È circondato da un bel porticato a 
colonne doriche al quale sovrasta un loggiato con pe- 
ristilio jonico. Le pareti sono adorne degli stemmi di- 
pinti scolpiti dei rettori che presiedettero al buon 
andamento dell'istituto dal 1542 al 1700. Da alcuni 
si attribuisce il disegno del maestoso cortile al San- 
sovino. 

Dall'atrio si sale alla loggia ed ai locali superiori 
mediante un grande scalone. Sul primo ripiano dello 
scalone di destra vedesi la statua di Elena Lucrezia 
Cornaro Piscopia, laureatasi nel 1684 in filosofia. 

Magnifica è l'aula magna riservata alle solennità 
universitarie: fu restaurata a nuovo nel 1854 ed abbel- 
lita di ornati da Contardo Tomaselli di Bologna, sotto 
la direzione di Calisto Zanotti, veneziano. Nello scom- 
partimento centrale della vòlta, Giulio Carlini, su car- 
toni del Manin, rappresentò la Scienza circondata dalle 
cinque Facoltà che allora si insegnavano nella Univer- 
sità, ed alle quali ora fu tolta la Teologica. Un'alta 
torre, a fianco del cortile, porta la campana speciale 
della Università. Le orìgini dello Studio di Padova 
risalgono al 1222. In quell'anno il vescovo di Padova, 
Giordano, che per incuneo della Cuna romana erasi 
recato a Bologna a comporvi discordie insorte fra quelle 
Comunità religiose, nel rì torno indusse Guglielmo 
Guascone, professore delle decretali, di recarsi con lui 
a Padova ed aprirvi uno Studio di giurisprudenza. Al 
Guascone, allettato dalle proflerte del vescovo, si unì 
anche Pietro Spagnuolo, lettore in diritto. I due dot- 
tori cominciarono a dare lezioni in angusti locali presso 
San Biagio. La prova fu buona. Gli studenti accorsero 
da Venezia e dalle vicine città del Veneto, dal Tirolo e 
dall'Austria. Il Comune fioriva, i Carraresi poi, chia- 
marono nuovi professori, e la lama dello Studio di Pa- 
dova cominciò a diffondersi dovnnque. Quando Padova 
passò sotto il dominio di Venezia, questa che aveva 
compresa tutta l'importanza, l'utile ed il lustro che le 
veniva dall'avere un grande centro di studi nei suoi 
Stati, accordò all'Università patavina i maggiori pri- 
vilegi, e non risparmiò né cure, uè spese, né provve- 
dimenti per attrani i docenti di maggior fama e gran 
numero di studenti. Il periodo del Governo veneto e 
specialmente i secoli XVI, XVII e XVIII furono l'età 
dell'oro per la Università di Padova, fiorente e celebre 
quando in tutta Itaiid gli studi erano in grande deca- 
denza e le Univei*silà — quella di Bologna compresa — 
perduta gran parte delle loro libertà e delle loro antiche 
autonomie, dei loro privilegi, languivano per le pastoie 
messe agli studi, ai progressi delle scienze, dai go- 
verni teocratici, o tirannici, o militareschi, o stranieri 
dai quali dipendevano. Nel secolo XVII e nel XVIII spe- 
cialmente la Università di Padova fu una gran face di 
luce mantenuta viva ad incremento della scienza e dei 
pensiero umano. Fra gli uomini illustri che insegna- 
rono nello Studio padovano, molti vennero da famiglie 
patrizie o non della città stessa, nuali i Cortusi, i Dotto» 



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Parte Prima — Alta Italia 




Fig. ili. — Padova: Palazzo delle Debite. 



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PadoTa 333 



Fig. 112. — Padova: Portico del Palazzo delle Debile. 



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Parte Prima -^ Alta Italia 



gli Sperone, i Musato, gli Oddo, i Zabarella, Capodi- 
lista, Polcastro, Campolongo, Gamposampiero, Orsato, 
Selvatico. Fu pur professore di umanità e di latino in 
Padova, Pietro Bembo, lo stilista impeccabile del suo 
tempo. Fra gli illustri venuti di fuori basterebbe a dar 
lustro airAteneo padovano il nome di Galileo Ga- 
lilei, cbe quivi, onoratissimo come fu dal Senato ve- 
neto, passò certo gli anni migliori della tribolata sua 
vita, e col telescopio da lui inventato rivelò nuove ve- 
rità alla scienza. Poi insegnarono qui Fabrizio d'Ac- 
quapendente, il Pellegrino, Weslinzio, Liceto, Argolo, 
Pomponazzi, Potino ed altri. Gol Pomponazzi si fece 
adito nello Studio di Padova la scuola aristotelica che 
per molto tempo servi di buona etichetta ad una 
maggior libertà di pensiero e di esame di quella che 
non fosse consentita dalla legge e dalle ragioni poli- 
tiche e religiose dei tempi. Studenti illustri che si in- 
scrissero e frequentarono la Università di Padova 
furono: Torquato Tasso, JobLudolf d*Er(urt, Gustavo 
Banner gloria di Svezia, Alessandro Vili papa, il 
duca Augusto di Brunswich, Gustavo Wasa III il 
Grande re di Svezia, Giovanni Sobiesky re di Polonia 
eroico difensore della cristianità minacciata dai Turchi 
e della libertà del suo paese. Stanislao Orichovich si 
congratulava che l'Università di Padova per mezzo 
degli studenti del Nord mandasse il sapere e la civiltà 
fra le steppe e le nevi della Bussia. Aonio Paleari af- 
fermava che la sapienza era raccolta a Padova come in 
unica casa e Stefano Butori proponeva premi e sti- 
pendi lautissimi a quei professori di Padova che voles- 
sero recarsi a Cracovia. 

Attualmente, soppressa coi nuovi ordinamenti la 
Facoltà teologica, costituiscono la Università di Padova 
quattro Facoltà : Giurisprudenza ; Medico-chirurgica ; 
Scienze fisiche e matematiche ; Filosofia e Lettere. Il 
numero degli studenti oscilla tra 1300 e 1500. I pro- 
fessori tra ordinari e straordinari sono più di 50 ; i 
liberi docenti, in tutte e quattro le Facoltà, una sessan- 
tina ; gli assistenti alle cliniche ed ai vari gabinetti e 
laboratori 35. 

Dipendono dalP Università, oltre le cliniche annesse 
all'Ospedale civile, l'osservatorio astronomico, l'isti- 
tuto di fisica, l'istituto di chimica, il gabinetto dì geo- 
logia, il gabinetto di mineralogia, il gabinetto di zoo- 
logia ed anatomia comparata, l'orto botanico, l'orto 
agrario, il gabinetto di geometria descrittiva, il gabi- 
netto di disegno, il gabinetto di archeologia, quello di 
geografia, la biblioteca. 

Importantissimo è il gabinetto di fisica fondato nel 
1738, nel quale sono più di 1200 tra strumenti e mac- 
òhine d'ogni specie, taluna delle quali di grande va- 
lore storico scientifico. Nel gabinetto di archeologia 
sono raccolti importanti monumenti della Padova an- 
tichissima, romana, tra cui una statua di Minerva , una 
statua di donna in marmo greco, molti busti, tra cui 
quello di Bruto juniore, un torso, lampade ed oggetti 
(Cinerari, iscrizioni e cimelii delle epoche preistoriche. 

Palazzo della Posta. — È di fi*onte al Caffè 
Pedrocchi, e fu eretto ad utilità e decoro cittadino sul 
luogo di vecchie case. Venne inaugurato nei 1882. 



È in istile classico del Rinascimento e ne diedero i 
disegni gli ingegneri Danieli e Pasmani. Consta di un 
pianterreno solidamente bugnato e ben compartito 
nelle aperture. I due piani superiori sono ornati da 
un elegante dorico. Ben disposta la porta centrale 
ornata d'attico, con quattro pilastri fiancheggia n ti i 
poggiuoli sporgenti con eleganti balaustre in marmo. 
Dal vestibolo si passa nel grande cortile coperto a 
vetri, quadrato a m. 1 2,30 per lato, intomo al quale 
sono disposti gli sportelli dei vari uffici per il servizio 
postale e telegrafico. Al piano primo di questo pa- 
lazzo, con ingresso da piazza Cavour, ha sede il 
Gabinetto di Lettura della Società d'Incoraggiamento, 
considerato, per la ricchezza della biblioteca e della 
collezione di giornali e riviste che vi si conservano, 
come il primo del Veneto. 

Li benemerita Società d'Incoraggiamento, creatrice 
di questa istituzione utile ed educativa, sorse nel 1844 
col proposito di dare incremento alle scienze, alle let- 
tere, alle arti, all'agricoltura nella provincia di Padova. 
P malgrado le difficoltà dei tempi per le vicende po- 
litiche, ed i sospetti dei quali la circondavano le au- 
torità e la polizia dell'Austria, tenne sempre fede al 
suo programma, giovando assai all'incremento degli 
studi ed al progresso civile ed economico della regione 
patavina. Fondò premi in danaro ed in medaglie per 
gli studiosi ed i benemeriti in qualche modo delle 
scienze e dell'agricoltura; si fece editrice di pubblica- 
zioni varie* di monografie, memorie e di opere im- 
portanti. Dal 1852 al 1871 pubblicò il periodico // 
Raccoglitore; dal 1875 al 1878 il Giornale degli 
Economisti; fra i molti concorsi a premi a benefic/o 
dell'agricoltura, indetti dalla Società d' Incorag^ria- 
mento, importante è quello per premi ai coloni che 
avessero trovato i modi di combattere efficacemente 
la peronospora ; cooperò alla fondazione dell'Istituto 
musicale ; sussidiò la Scuola di disegno e plastica per 
gli artigiani ; promosse esposizioni regionali, e fondò 
un sindacato agricolo per favorire l'acquisto di stru- 
menti campestri, di sementi, ecc. Il patrimonio della 
benemerita Società, formato colle contribuzioni dei 
soci, è di circa 150.000 lire. 

Arco Vallaresso. — Questo edifizio, sorgente fi-a 
il Duomo e il Monte di pietà sulla piazza del Duomo, 
venne innalzato nel 1632 dai Padovani in onore del 
patrizio veneto Alvise Vallaresso, che, governando la 
città in qualità di capitanio, aveva saputo con energia 
e saggi provvedimenti fronteggiare ed alleviare i danni 
della grave pestilenza che nell'anno prima aveva de- 
solato, insieme a tutta l'Italia superiore, anche il 
Veneto, e perchè aveva promosso opere di grande 
utilità pubblica. 

Si ritiene autore di quest'arco, fiancheggiato da 
due ali con pilastri dorici, ma nel quale si sente il 
gusto rigonfio e barocco del tempo, G. B. dalla Scala. 
Non si hanno però documénti sufficienti per affermarlo 
con sicurezza, tanto che il Fossati lo attribuisce al 
Palladio, morto nel 1580 ! 

Monte di Pietà. — Sorge tra la piazza dell'Unità 
d'Italia e quella del Duomo. È im notevole edifizio 



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Padova 



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Fig. H3. — Padova: Loggia del Gran Consiglio, ora Gran Guardia (da fotografia Alinari). 



che si presenta con due facciate: l'una, a mezzodì 
verso il Duomo, con ampio porticato, risale al prin- 
cipio del secolo XVI ; Taltra, ad oriente, fu eretta sui 
disegni di Vincenzo Dotto, patrizio patavino, nel 1618; 
è di efletto, ma risente di tutta l'influenza del perver- 
timento barocco. Il pio Istituto che entro vi funziona 
venne fondato nel 1469 in seguito alle predicazioni di 
Fra Michele da Milano e di Fra Bernardino da Feltre 
combattenti Tusura, flagello allora del popolo. Colle 
somme raccolte durante quelle predicazioni e le obla- 
zioni di generosi cittadini, si costituì il primo nucleo 
patrimoniale necessario al funzionamento deiristituto, 
che ebbe la sua prima sede in via Maggiore. 

Maseo e Biblioteca Comanale. — Questo 
cospicuo Istituto, che raccoglie le memorie preisto- 
riche, storiche ed artistiche della vecchia Padova, ha 
sede in una parte delKantico convento di Sanf Antonio, 
la parte occidentale, che ridotta a caserma prima, poi 
a casa d'industria pei ricoverali indigenti, fu dal Co- 
mune riscattata e fatta riordinare coll'aggìunta di un 
nuovo edifizio, guardante vei-so la piazza del Santo, 
comprendente il vestibolo o grande atrio, il magnifico 
scalone, il vestibolo del piano superiore ed altri locali. 
Chi condusse i lavori di restauro, di adattamento e la 
fabbrica del nuovo edifizio fu Tarcliitetto Camillo Boito, 
il quale, nella parte nuova specialmente, avendo piena 
facoltà d'azione, sfoggiò di fantasia e di decorazioni 
quanto più potè, creando un insieme sfarzoso, impo- 
nente. Lo stile prescelto dal Boi lo per qucsla costru- 



zione fu quello da lui sempre prediletto, il lombardo 
del Binascimento svolto con molta larghezza e libertà. 
Per la facciata, i sostegni e le decorazioni dell'interno 
fu impiegato il marmo bianco di Botticino su quel di 
Brescia ; le decorazioni a colori delle vòlte e del sof- 
fitto furono eseguite da Giacomo Salvadori. Il lavoro 
fu compiuto nel 1885. 

Le origini del Museo patavino datano dal 1855, nel 
qual anno il podestà cav. De Zigno destinò alcuni 
locali del palazzo del Comune, per conservarvi tutto 
ciò che in fatto di quadri, di scolture, di medaglie, di 
antichità era già in possesso del Comune, e quanto a 
questo poteva essere donato dai cittadini. Il professore 
Andrea Gloria, direttore allora degli archivi, ordinò e 
classificò la nuova istituzione, che veniva formata dai 
documenti e libri dell'antico Archivio comunale ; ar- 
chivi delle soppresse corporazioni religiose; quadri ed 
altri dipinti antichi posseduti dal Municipio; oltre due- 
cento dipinti tolti dai soppressi monasteri e concessi 
nel 1857 alla città da un rescritto dell'imperatore 
Francesco Giuseppe; quadri lasciati per testamento nel 
1865 dal conte Emo-Capodilista ; le biblioteche Poi- 
castro e Piazza ; la raccolta numismatica del cav. Ni- 
colò Bottacin ; molli dipinti venuti dai monasteri sop- 
pressi dopo il i 866 ; tutti i libri doppi della Biblioteca 
Universitaria; nel 1870 le biblioteche Ferri e Caletti 
donate al Comune ; nuovi doni del cav. Bottacin, cioè 
quadri, dipinti ed oggetti che già appartennero a Mas- 
similiano d'Austria, imperatore del Messico, ed altri 



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336 



Parte Prima — Alta Italia 



lasciti, doni ed acquisti di minor importanza. I locali 
del palazzo Comunale essendo insufficienti a conte- 
nere, a disporre ed ordinare tutto quel materiale, 
rendendolo accessibile ed utile agli studiosi, fu allora 
che si pensò ad un nuovo locale più ampio ed adatto, 
che si riscattò ed adattò il locale attuale nel soppresso 
' convento dei Minori Osservanti di Sant'Antonio. Dopo 
d'allora la collezione si arricchì di altri doni e lasciti, 
tra cui la raccolta dei testi di lingua del prof. Robeito 
de Viscarri ; le raccolte dantesca, petrarchesca e co- 
miniana del prof. Agostino Palego, ecc.. ecc. Lunga 
sarebbe la enumerazione degli oggetti, dipinti e delle 
scolture di pregio conservati in questo Museo. Ci limi- 
tiamo ad accennare ai più importanti, come la statua 
di Esculapio del Canova, che si vede nel vestibolo ; 
nella sala Emo-Capodilista: unai Madonna del Boni- 
fazio, un'altra del Basaiti, un'altra del Morone; il 
ritratto del doge Massimiliano Memmo, di Leandro 
da Bassano ; una Figura di donna, di Palma il Gio- 
vane; una Madonna, bellissima, del Palmezzani; 
Cristo, di Jacopo Bellini ; Santi diversi, di Vincenzo 
Catena ; la Vergine con Santi, del Padovanino ; un 
Soldato, di Salvator Rosa ; un Ritratto, del Tiziano; 
poi quadri della scuola dello Squarcione, del Giambel- 
iino, del Pordenone, dei Bassanesi, di Cima da Cone- 
gliano, di Tiepolo, del Tintoretto e d'altri. Nel mezzo 
della sala sono i busti del conte Leonardo Emo^Capo» 
dilista, del Sanavio, e di Leone Trieste, del Rizzo. 

Nella sala Bottacin si conservano la raccolta numi- 
smatica e molti ottimi quadri, antichi e moderni, rega- 
lati da questo munifico cittadino, e la magniOca rac- 
colta di gemme e pietre preziose regalata alla città 
dal cav. Leone Trieste. Nella slessa sala si conservano 
i busti del doge Paolo Renier e di papa Pio VII, del 
Canova; la Leggitrice e la Flora, statue al naturale, 
assai lodate, del ticinese Vincenzo Vela. 

Nei loggiati del chiostro a pianterreno si conservano 
pezzi archeologici preistorici, euganei, romani, me- 
dioevali, moderni. All'altra estremità dello stesso 
chiostro — del quale particolarmente parleremo più 
avanti — si trova il Museo della benemerita Società 
di Solferino e San Mattino, la quale provvide al dis- 
seppellimento ed alla miglior sepoltura nei rispettivi 
ossari, appositamente costruiti, dei morti nella memo- 
randa battaglia del 24 giugno 1859, ascendenti ad 
oltre 12.000. Furono promotori di questa tomba il 
senatore Luigi Torelli ed il deputato Ippolito Can- 
ciaiii, che, coadiuvati dal comm. Vincenzo Breda e 
dal signor Enrico Nestore Legnazzi, provvidero alla 
operazione del disseppellimento, compiuta dal no- 
vembre 1869 al gennaio 1870. Vennero estratti e 
ricomposti negli ossari di Solferino e di San Martino 
8177 scheletri, senza contare quelli dissepolti nei 
cimiteri dei due paesi. Poi la Società si costituì rego- 
larmente in ente morale : provvide alla manutenzione 
e custodia degli ossari, alla trasformazione della vecchia 
torre di Solferino, detta la Spia d'Italia, in un museo 
d'armi raccolte sul luogo della battaglia ; al sorteggio 
di premi di lire 100 da conferirsi ogni anno ai super- 
stiti od ai feriti nella battaglia e loro famiglie, ed alla 



erezione della torre monumentale di San Martino a 
ricordo di re Vittorio Emanuele II in unione ad un 
Comitato all'uopo costituitosi in Brescia. In Padova 
poi, dove la Società per statuto ha sede, fondò il Museo 
di Solferino e San Martino, interessantissimo, sotto 
l'aspetto storico militare, per lo studio di quel de- 
cisivo momento della campagna del 1859; nel quale, 
oltre armi, cimelii, oggetti diversi trovati sul campo 
di battaglia, conservansi : la grande carta topografica 
della battaglia, disegnata e donata dall'Istituto topo- 
grafico militare; 'due cannoni; i busti di Vittorio 
Emanuele, dell'imperatore Napoleone III, nonché del 
generali Augier, Dieu ed Arnaldi, morti in seguito 
a ferite riportate nella battaglia ; i ritratti dei cinque 
generali italiani : La Marmora, Durando, Mollare, 
Cucchian, Fanti e dei sei marescialli francesi che 
ebbero parte attiva nella battaglia, cioè : Canrobert, 
Buraguay d'Hilliers, Mac-Mahon, Vaillant, Niel e 
Regnaud d'Angely ; più la completa bibliografia, ita- 
liana e straniera, intomo alla memoranda battaglia, 
con corredo di carte, disegni, schizzi, relazioni, note 
e documenti. 

Ospedale Civile. — Sorge questo grandioso edi- 
fizio, vero monumento della carità cittadina, cemen- 
tatasi ed attizzatasi fra i secoli, nella parte sud-orien- 
tale della città, tra il bastione di Ponte Corvo ed il 
bastione Comaro. Antica è in Padova la tradizione 
ospitaliera e del soccorso agli egrotanti e infermi di 
ogni specie. Documenti dei secoli XI, XII e XIII, per 
dire dei più antichi, accennano ad ospìzi per pellegrini 
infermi e per lebbrosi esistenti alle porte della città, 
or dentro or fuori delle mura, esercitati da comunità 
religiose, aiutati e provveduti di mezzi dalla carità 
cittadina. Ma solo al principio del secolo XV, o, per 
essere più esatti, fra il 1410 ed il 1413, Baldo de 
Bonafazi da Piombino, celebre giureconsulto, lettore 
di diritto nello Studio, oratore e già consigliere di 
Francesco Novello Carrara, signore di Padova, insieme 
alla propria moglie Sibilla, figlia di Gualperto da Getto, 
nel pensiero di dare ricovero ai malati poveri, eressero 
a loro spese la chiesa ed il convento di San Francesco 
— nella località ove tuttora esistono — dotandoli a 
questo scopo di tutti i loro beni mobili ed immobili. 
Il doge Michele Steno, con decreto del 1413, approvò 
l'opera accordando privilegi ed esenzioni ; il pontefice 
accordò indulgenze. Baldo de Bonafazi mori nel 1 il 7; 
ma la vedova Sibilla con maggiore alacrità ne con - 
tinuò l'opera. Essa morì nel 1421. Questo piccolo 
ospedale di San Francesco fu il nucleo generatore 
dell'attuale grandioso Ospedale civile di Padova. Esso 
andò man mano ingrandendosi ed assorbendo le fun- 
zioni ed i redditi degli altri ospedali speciali per pel- 
legrini, lebbrosi, appestati, che sorgevano alle porte 
della città e che le mutate condizioni dei tempi, degli 
usi ed anche delle malattie avevano pressoché inuti- 
lizzati. Nel secolo XVI II, cresciuti i bisogni dell'isti- 
tuto, cresciute le esigenze scientifiche, si riconobbe 
esser impossibile il poter mantenere più a lungo lo 
spedate negli antichi, angusti ed ormai inadatti locali 
di San Francesco. Il provveditore Andrea Memmo fece 



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Padova 



337 



Fig. ii4. — Padova: Scuole Elementari (arch. C. Bono). 



istanza presso il Senato perchè al Collegio dei Leggisti di 
Padova, amministratore dell'Ospedale, fosse concesso 
a tenue prezzo il soppresso convento dei Gesuiti per eri- 
gervi un nuovo ospedale. Il vescovo di Padova d'allora, 
Nicolò Antonio Giustiniani, con nobile fervore si pose 
a capo dell'impresa, e disponendo per essa di tutto il 
suo avere e raccogliendo oblazioni da ogni classe di cit- 
tadini, riunì il capitale cospicuo di 1.200.000 lire 
venete per la costruzione del nuovo edifizio. I disegni 
furono eseguiti da Domenico Cerato ed in parte rifor- 
mati dai conte Andrea Zom. La prima pietra fu collo- 
cata il 20 dicembre 1778 e Tedifizio finito ed aperto 
al servizio ospitaliero il 29 mai'zo 1798, poco meno 
di due anni dopo la morte del buon vescovo Giusti- 
niani che tanta parte aveva avuta alla realizzazione 
dell'opera. 

L'edifizio ha forma quadrilatera, misurando in lun- 
ghezza m. 143 ed in larghezza m. 65. Occupa perciò 
un'area di mq. 8100. La maestosa fronte principale, 
nello stile freddamente accademico, volgesi a nord. 
Tre grandi cortili all'interno dividono l'Ospedale in 

82 — lift Patria» voi. T, parte 2*. 



tre sezioni. Il cortile centrale, o maggiore, è circon- 
dato da un poiticato a colonne binate, sul quale gira 
un loggiato chiuso che serve alle comunicazioni ne- 
cessarie per il servìzio delle varie infermerie. Sulla 
loggia è una terrazza scoperta, alla quale immettono 
i locali del piano superiore. Il lato meridionale del- 
l'edifìzio, presso il quale corre il canale Alicorno, è 
occupato dalle cliniche universitarie, ed al piano su- 
periore a queste da grandi sale d'infermeria. Maestoso 
è lo scalone che dal cortile centrale adduce alla loggia 
del primo piano. Quivi si aprono le due maggiori sale 
per infermeria, lunghe m. 84,50 e larghe m. 13,10, 
alte metri 8,58, presentanti quindi una cubatura di 
metri cubi 7804,53 e capaci ognuna di 160 letti. Le 
quattro sale del secondo piano presentano una capacità 
complessiva di 2400 metri cubi. 

Vi sono poi nell'Ospedale reparti speciali per ma- 
lattie contagiose, pei sifilitici, i dementi, ecc. Nella 
chiesetta amiessa all'Ospedale havvi il monumento se- 
polcrale del vescovo Giustiniani dovuto al Canova, 
e la pietra in marmo rosso che in San Francesco 



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338 



Parte Prima — Alta Italia 



copriva la tomba di Sibilla Bonafazi, con Tepitaffio in 
latino che porta i ritratti di questa e del marito Baldo. 

Secondo lo statuto, approvato con regio decreto 
S aprile 1874, TOspedale « accoglie a cura gratuita, 
nei limiti delle proprie rendile patrimoniali, i poveri 
del Comune di Padova infermi di malattie curabili, non 
croniche né contagiose; ricovero e cura, Ibediante 
indennizzo e compatibilmente colla capacità degli spe^ 
ciali comparti, ogni altro infermo di qualsiasi paese; 
ed accoglie incondizionatamente qualunque ammalato 
che abbia urgente l)isogno di cura p. 

Come fu accennato, annesse airO^^pedale sono le 
cliniche mediche e chirurgiche ad uso delPUniversità. 
L'insegnamento pratico della medicina neirUniversità 
di Padova rìsale al 1543, nel qual anno Giambattista 
Montano, per il prìmo in Europa, aprì la sua clinica 
medica a profitto degli studenti. Ma solo nel 1764; 
per decreto ducale di Alvise Mocenigo, la clinica 
medica delP Università patavina cominciò a funzionare 
regolarmente, restando poi, colla costiuzione del nuovo 
edifizio, annessa all'Ospedale medesimo. Ne fu il prìmo 
direttore Giovanni della Bona, al quale seguirono i 
nomi illustrì del Comparelti, del Bondioli, del Brera, 
del Lippich, del Comeliani, del Pinali, del Concato 
ed infine del vivente De Giovanni. 

Più tarda fu la istituzione della clinica chirurgica, 
anche per la difficoltà della materia, prìma che Fanti- 
sepsi giungesse ai risultati merarìgliosi dei nostrì 
giorni. Nondimeno, nelle memorìe del secolo XVI, si 
ha notizia di un dottore di chirurgia, che aveva inca- 
rico di medicar (Tonguenti li poveri impiagati, ed 
aveva per aiuto un barbitonsore per salassar tanto 
homini che donne. La cattedra di chirurgia nell'Uni- 
versità di Padova venne istituita nel 1730 e fu affi- 
data al valente operatore modenese Gerolamo Vandelli, 
il quale ottenne anche Tincarìco (nel 1737) di fare in 
giornate straordinarìe lezioni di chirurgia in lingua 
volgare nell'Ospedale di San Francesco, con facoltà 
di fare esperìmenti di operazioni chirurgiche su cada- 
verì. Soltanto nel 1764 sorse in Padova una scuola 
clinica di chirurgia, annessa, come la clinica medica, 
airOspedale di San Francesco e poscia al nuovo Ospe- 
dale civile. Ne fu prìmo direttore Giovanni Sograffi, 
al quale succedettero Buggeri, Signoroni, Cozza, 
Vanzetti, il vivente Bassini, tutli celebrì operatori. 
Nel 1767, ad iniziativa dei prof. Antonio Calza, venne 
istituita una scuola di ostetricia, con obbligo agli 
studenti di medicina e chirurgia di frequentarla ; più 
tardi tale obbligo fu fatto anche alle donne che si 
dedicavano all'assistenza delle partorienti, le quali non 
potevano più esercitare la loro professione senza la 
regolare patente dell'Università. Nel 1821 fu istituita 
la cattedra di oculistica. Il Governo austriaco, specie 
nei primi tempi della sua dominazione, si mostrò sol- 
lecito dell'incremento di questi studi nell'Ateneo pa- 
tavino, e nel 1840 ampliò con grave spesa i locali 
delle cliniche, fece costrurre il nuovo teatro per le 
operazioni chirurgiche e le sezioni anatomiche, creò e 
dotò i necessari gabinetti e migliorò anche le condi- 
noni dell'Ospedale. 



Il Governo nazionale, dopo il 1866, seguendo anche 
il moderno impulso delle scienze mediche che vanno 
sempre più specializzandosi, creò presso l'Ospedale la 
nuova Scuola di medicina, nella quale sono le seguenti 
cliniche : medica, propedeutica, chirurgica, ocuhstica, 
dermopatica e sifìlopatìca, psichiatrica, ostetrica, coi re- 
lativi istituti: fisiologico, di anatomia patologica, di chi- 
rurgia, di materia medica, dì medicina legale, d'igiene 
e di farmacopea. Inoltre alla Scuola di medicina è 
unito il gabinetto e museo anatomico, ricco di più che 
3000 pezzi e preparati anatomici ; il gabinetto di storia 
naturale (fondato nel 1784) con ricche collezioni di 
mammiferi, uccelli, rettili, insetti, pesci e fossili. . 

Loggia Amalea (fig. 116). — Questo singolare 
edifizio sorge ad occidente del Prato della Valle o piazza 
Vittorìo Emanuele. Dove ora si trova la Loggia esisteva 
un grandioso palazzo, nel quale il cardinale Da Mula, 
veneziano, istituiva un collegio per giovani poveri che, 
sotto date condizioni, volessero frequentare la Uni- 
versità. Dal nome del fondatore il palazzo ed il col- 
legio — che non ebbe lunga vita — si chiamarono 
Amuleo. Nel 1821 un incendio distrusse l'edifizio, ed 
il Comune acquistò l'area per costrurvi una loggia dalla 
quale i magistrati, le autorità, i personaggi e gli ospiti 
ragguardevoli della città potessero comodamente assi- 
stere agli spettacoli che in occasione della celebre fiera 
del Santo ed in altre solenni circostanze si davano nel- 
l'immenso piazzale o Prato della Valle. Il disegno di 
questo edifizio fu affidato all'ing. Eugenio Maestri, che 
ebbe ordine di fare un solo loggiato senza altri locali 
adiacenti. L'ingegnere si attenne al tema e, sebbene 
il popoUno motteggiando lo chiamasse sipario di 
pietra, creò un edifizio che si presenta all'occhio con 
bellissimo efietto. 

Ha una fronte di 40 metri di lunghezza per 20 di 
altezza, e consta di dieci piedritti ottagoni dai quali 
sorgono gli archi acuti, che ne reggono altrettanti più 
eleganti e slanciati costituenti la loggia. I pilastri 
del portico, della loggia e dei fianchi sono in brocca- 
tello rosso e giallo di Verona. La cornice merìata è in 
pietra di Costozza, le altre decorazioni in terracotta. 
II tutto forma un complesso di colorì e di linee pia- 
cevoli all'occhio. I lavori di decorazione in marmo 
sono opera dello scultore Gradenigo. Sotto la loggia 
vennero collocate in occasione del VI Centenario della 
nascita di Dante (14 maggio 1865), mentre in Fi- 
renze l'Italia, appena risorta e non peranco tutta libera 
dallo straniero, conveniva a feste solenni indimenti- 
cabili, le due belle statue del divino Poeta e di Gto//o, 
opere di Vincenzo Vela, con queste epigrafi nel pie- 
destallo: A I Dcmte \ Poeta massimo | di patria con- 
cordia propugnatore \ festeggiando Italia \ il sesto 
centenario del suo natale | Padova \ gloriosa di sua 
dimora \ P. | 1865. — A \ Giotto \ per lo studio 
del vero \ rinnovatore della pittura \ amico di 
Dante \ lodato nel sacro poema \ Padova \ dai suoi 
affreschi illustrata \ P. | 1865. 

Sotto il porticato si leggono tre lapidi: l'una, con 
medaglia e ritratto, in onore di Alfonso La Marmora ; 
l'altra, dettata da Giuseppe Guerzoni, in onore dei 



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Padova 



339 



Fig. 115. — Padova : Nuove Scuole Comunali (arch. D. Donghi). 



soldati italiani che tanto benemerìtarono del Veneto 
durante le terrìbili inondazioni del 1882; la terza, in 
rìcordo delle vittime dell* 8 febbraio 1848, di Giuseppe 
Ferrarì, trilustre, fucilalo dagli Austrìaci il 9 dicembre 
1851, e dì Francesco Fortunato Calvi, Teroe del Ca- 
dore impiccato a Belfiore di Mantova il 4 luglio 1855. 
Questa lapide fu inaugurata nella prìma ricorrenza 
della festa nazionale per Padova libera il 2 giugno 1 867. 

Comando Milit^are (già palazzo Zacco). — Sorge 
esso pure non lungi dalla Loggia Amulea, ed è un 
grandioso edifìzio forte e massiccio, rìcordante il fare 
delle costruzioni di cui il Sanmichelì dotò la sua Ve- 
rona. Il cornicione è sovraccarìco di pesanti guglie. 

Il Prato della Valle e l'Isola Memmia. — 
Questa immensa spianata, che fu intitolata al nome 
di Vittorio Emanuele II, ma che la consuetudine po- 
polare continua a designare per il Prato della Valle, è 
una delle cose più caratteristiche che si osservino in 
Padova. Consta 'di un grande spazio inegolare al- 
quanto avvallato verso il centro, donde il suo nome 
primitivo. Nei tempi di Roma esisteva quivi un teatro 
del quale si scoprirono le fondamenta — di cui qualche 
pezzo si vede ancora affìorare sul fondo del canale 
girante intorno alPisola Memmia — sullo scorcio del 
secolo XVIII, quando, colla creazione delPisola stessa 



e colla canalizzazione delle acque impaludanti, si si- 
stemò, dandole rassetto presente, la intera piazza. 
Su questo teatro, novella prova della magnificenza a 
cui era asceso il .Municipio di Padova romana, pubbli- 
carono studi ed erudite memorie lo Stratico ed il 
Noale. Nel medioevo questa immensa spianata, chiusa 
fra le mura della città, servi a grandi e solenni riu- 
nioni popolari. Apostolo Zeno ricorda che nel 1208 
si rappresentarono in questa piazza alcuni di quei 
misteri a soggetto sacro che furono la prima manife- 
stazione dell'arte drammatica e teatrale nel medioevo, 
e queste rappresentazioni date a Padova sono le piii 
antiche delle quali si abbia notizia nel periodo cri- 
stiano. Vennero ripetute nel 1238 e nel 1243. In 
questa piazza Fra Giovanni di Vicenza, nel 1233, tenne 
una delle sue celebri prediche propugnanti la cessa- 
zione degli odi fraterni, delle discordie cittadine, delle 
sanguinose lotte delle fazioni, delle guerre fra le città 

sorelle e quivi, per la commozione destata dalle 

eloquenti parole del pio oratore, fu giurata una di 
quelle paci che, per mo' di dire, duravano fino all'in- 
domani. Quivi, nel 1239, il Comune di Padova diede 
grandi feste in onore di Federigo II imperatore. A 
festeggiare la ricorrenza della liberazione di Padova 
dalla feroce siporia di Ezzelino, il Comune, nel 1275, 



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840 



Parte Prima — Alta Italia 



stabilì che ogni anno il IS giupo si tenesse la corsa 
dei cavalli puledri sciolti, detti barberi, col premio di 
una pezza di panno rosso di dodici braccia, dalla quale 
deriva il nome di pallio, essendo detto pallium il man- 
tello rosso di porpora che i Romani portavano sulla 
spalla. Più tardi, per festeggiare Tunione di Padova allo 
Stato Veneto (1405), si facevano ogni anno nel Prato 
della Valle corse di barberi, di fantini, di asini, nel 
sacco e delle donne di mal affare, e quella, piìi di tutte 
caratteristica, che ha resistito fino ai nostri tempi e 
resiste ancora con grande soddisfazione del popolino, 
delle bighe, o corse alla romana, trainate per lo più 
da famosi ronzini. 

Nel 1596 fu, con decreto ducale, trasportata quivi 
la fiera del Santo, che prima sì faceva nella piazza 
prospiciente la grande basilica, diventata ristretta per 
I*enorme accorrervi di mercatanti e di popolo da ogni 
parte del Veneto e anche dltalia e delPestero. Questa 
fiera durava quasi un mese, dalli 13 di giugno fino ai 
primi di luglio, ed era contrassegnata da feste e trat* 
lenimenti pubblici d'ogni specie, ma soprattutto dalle 
corse dei barberi, dei fantini, delle bighe, delle me- 
retrici, degli asini. In tempi più prossimi ai nostri, 
visti gli inconvenienti che certe corse presentavano, 
furono soppresse, e già nel secolo XVIII non si davano 
nel Prato della Valle che corse di fantini, sedioli e 
bighe. Attualmente la fiera del Santo è in grande 
decadenza ed ha un interesse ristretto, puramente 
locale, e le corse dei cavalli a Padova si fanno coi 
moderni sistemi nell'ampio ippodromo che è fuori 
della città, io aperta campagna, sulla strada per 
Venezia. 

Ad onta delle fiere, delle corse e delle feste che vi 
si tenevano, il Prato della Valle, per la sua giacitura 
e per la grande abbondanza delle acque che colano 
intorno a Padova e nel suo sottosuolo, era di fre- 
quente impaludato, e nella sua parte mediana princi- 
palmente. Più volte il Comune escogitò i mezzi per 
ovviare a questo inconveniente, e fin dal 1310 il po- 
destà Gentile de'Filippesi diede incarico a Fra Giovanni 
degli Eremitani di sistemarlo ed assodarlo, facendo in 
qualche modo scolare le acque infeste. Fra Giovanni 
si trasse dalla bisogna con grandi movimenti di ter- 
reno e cohnate neiravvallamento. Ma Tinconveniente, 
ovviato per alcun tempo, si riprodusse in seguito senza 
che vi si potesse riparare in modo definitivo. Solo nel 
secolo XVIII si cominciò a dare al Prato della Valle 
una più razionale sistemazione. Ad opera di Albertino 
di Giacomo Papafava si fecero movimenti di terreno 
e si stabilirono nel prato ampi marciapiedi in pietra. 
Ma rincon veniente degli acquitrini restava sempre. 
Il vanto di aver prosciugata la palude e ridotto il 
prato al gradevole aspetto presente toccò ad Antonio 
Memmo, provveditore di San Marco, che oltre aver 
prosciugato il prato con opportune canalizzazioni, volle 
ridurlo in modo che potesse servire da piazza, da mer- 
cato, da circo, da palestra, da ritrovo piacevole in 
ogni momento per la cittadinanza. Con danaro suo, 
con elargizioni del Comune e di cospicui cittadini, fece 
hduire la parte centiale del piazzale in una grande 



elissi, circondata da un bel canale d'acqua corrente, 
per impedire il successivo impaludamento del luogo. 
Quattro ponti, collocati sugli assi della elissi, servono 
pel passaggio fra questa, messa ad ameno boschetto 
con magnifici alberi, ed il rimanente della piazza. Il 
canale è fiancheggiato da due murìcciuoli che, oltre 
contenere l'acqua e renderlo stabile, servono di co- 
modo sedile all'ombra per il pubblico. Tali murìc- 
ciuoli formano un doppio recinto, diviso dal corso del- 
l'acqua, che venne ripartito in otto parti uguali; 
ciascuna parte venne adomata di undici piedistalli sui 
quali si vennero man mane collocando le statue di 
Padovani illustri e di altri personaggi saliti a gran 
fama ed onore per avere insegnato e studiato nella 
Università di Padova. Il disegno di questa geniale 
trasformazione dell'antico Prato della Valle è delKar- 
chitetto Domenico Cerato da Vicenza, il quale ne 
sorvegliò anche i lavori. 

Le statue che ornano il doppio recinto della elissi 
sono 78 : molte di poco pregio, parecchie deteriorate 
ed altre assai pregevoli. Raffigurano, a partire dalla 
destra del ponte a nord, detto anche dei Dogi, i per- 
sonaggi seguenti: Antonio Diedo, provveditore di 
San Marco, benemerito della rinnovazione del Prato 
(1795); Antenore, personaggio favoloso creduto fon» 
datore della città; Aizone II di Brunswick, conte- 
stabile degli Estensi, cittadino padovano; Trasea 
Peto, filosofo patavino e senatore romano (a. 66 d. C); 
Torquato Tasso; Pietro d'Abano, grecista,' filosofo 
ed astrologo (1250-1311); Gian Francesco Mussato, 
filosofo, teologo, oratore (4533-1613); Pagano della 
Torre, milanese, podestà di Padova nel 1195, iniziò 
il rifacimento delle miu*a ; L. Arunzio Stella, poeta, 
decemviro e console; Abaricella, trojano favoloso, 
compagno di Antenore: Bernardo Narci, senatore 
veneto, riformatore dello Studio di Padova (t 1761) ; 
Vettor Pisani; Lodovico di San Bonifazio, guelfo, 
imperterrito nemico di Ezzelino; Antonio Micheli, 
ambasciatore di Venezia in Ispagna; Antonio Bar- 
barigo, procuratore di San Marco; Domenico Laz^ 
zarini, nato in quel di Macerata, professore di lettere 
a Padova (f 1734) ; Taddeo Pepoli, signore di Bo- 
logna, addottoratosi a Padova nel 13^; Marco An- 
tonio Benavides, giureconsulto, lettore nello Studio 
paUvino (U89-1582); Andrea Mantegna (U31- 
1506); papa Paolo 11 (Barbo, di Venezia), studiò a 
Padova (1464-1471); papa Eugenio /V(Condulmer), 
(-|- 1447); Bernardo de Rio, padovano, capitano delle 
milizie della Chiesa; Andrea Recinatese, medico ce- 
lebre intomo al 1400; Lodovico Ariosto; Albertino 
Mussato, guerriero, storico e diplomatico (-|- 1330); 
Giuseppe Tartini, musicista, violinista celelierrimo 
(+ a Padova nel 1770); Giovanni Maria Memmo, 
veneziano, leggista (+ 1579) ; Michele Morosini, ve- 
neziano (+ 1670), cavaliere, riformatore òfiììo Stiuiio; 
Melchiorre Cesarotti (f 1808), letterato e poeta; 
Francesco Petrarca; Galileo Galilei; Alessandro 
Orsato, padovano, colonnello della Repubblica di Ve- 
nezia (+ 1729); Critenerio degli Azzoni, oratore, 
magistrato, difese Padova dagli Scaligeri (f 1327); 



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Padova 



341 



Fìg. 116. — Padova: Loggia Àmulea o Municipale (da fotografia àlinari). 



Sicco Polentone, da Lctìco, poeta, oratore, storio- 
grafo, consigliere di Francesco II Carrara (-j- 1463); 
Antonio Zacco, padovano, capitano della Serenissima 
nelle guerre contro i Turchi nel secolo XVII ; Cesare 
Piovene, morto nella guerra contro i Turchi alla bat- 
taglia di Cipro (1570); Maffeo Memmo, patrìzio e 
pretore a Padova (f 1394) ; Andrea Navagero, let- 
terato ed oratore {f 1529); Andrea Memmo, prov- 
veditore di San Marco e rinnovatore di Prato della 
Valle (-|- 1792); Zambon Dotto, giureconsulto pata- 
vino, morto nel 1355 di veleno in prigione; Sperone 
Speroni, letterato (f 1588); Tito Livio (n. 59 a. C, 
m. 18 d. C); Gerolamo Savorgnan, capitano di Ve- 
nezia in Cadore, cui difese durante la Lega di Cambra!; 
Fortunio Liceto, da Rapallo, filosofo e medico, pro- 
fessore a Padova {f 1456); Lodovico Buztaccarini, 
guerriero, decapitato in Venezia perchè congiurò con 
Marsilio Carrara per ritorre Padova alla Repubblica ; 
Giovanni Poleni, astronomo e professore di mate- 
matica (t 1764); Guglielmo Malaspina, lucchese, 
podestà di Padova nel 1285; Giovanni Dondi dal- 
l'Orologio, filosofo, astronomo, matematico e mecca- 
nico (t 1389); Antonio Conti, padovano, poeta 
tragico (t 1749); Gustavo Adolfo Banner, svedese, 
scrittore e uomo politico, studiò in Padova ; Gustavo 
Adolfo il Grande, re di Svezia, studiò a Padova 
(t 1632); Job Ludovico, di Erfurt, giurista e poli- 
glotta, studiò a Padova; Stefano Gattini, fisiologo; 
Filippo Salviati, amico e protettore di Galileo (f 1 630); 
Uberto Pelavicino, capo ghibellino del Cremonese, 



prima amico, poi nemico di Ezzelino, fu tra quelli che 
lo combatterono e vinsero a Cassano d'Adda (f 1269); 
Alessandro Vili, papa (Ottoboni), studiò a Padova 
(t 1691); Clemente XII! (Rezzonico), papa, studiò 
a Padova (t 1769); Antonio Carrara (1757-1822); 
Francesco Fonzago; Francesco Pisoni, cardinale e 
vescovo di Padova (f 1579) ; Giulio Pontedera, di- 
scepolo del Morgagni, filosofo e botanico airUniversità 
(t 1757); Nicolò Tron, patrizio, pretore a Padova; 
Francesco Guicciardini ; Jacopo Menocchio, pavese, 
giureconsulto, professore a Padova (t 1607); Stefano 
Battori, transigano, diventato re di Polonia, studiò a 
Padova; Giovanni Sobjesky, re di Polonia, liberò 
Vienna dai Turchi, studiò a Padova (f 1699); Pietro 
Danieletti, scultore padovano (t 1779); Reniero 
Guasco, capitano della Veneta Repubblica (f 1 372) ; 
Francesco Morosini il Peloponnesiaco, doge di Ve- 
nezia; Gerolamo Liursi, rettore dello Studio (f 1538); 
Antonio Savonarola, guerriero; Marino Cavalli, 
pretore benemerito di Padova nel 1562; Andrea 
Briosce, detto il Riccio, celebre scultore (t1532); 
Albertino Papafava, benemerito per il riattamento 
del Prato della Valle (f 1 773), e Antonio Savonarola, 
medico e professore celebrato (f 1462). 

Orto Agrario. — Questa istituzione, annessa al- 
rUniversitù, ha sede in un vasto campo che si apre 
presso il Prato della Valle, a tergo degli edifizi for- 
manti il lato occidentale del corso Vittorio Emanuele, 
larga e bella via che si spinge sino alPestremità me- 
ridionale della città, alla barriera omonima, presso il 



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342 



Parte Prima — Alta Italia 



bastione Alicorno. Venne istituito nel 1761; copre 
una superfìcie di quasi tre ettari ; serve agli esperi- 
menti di molte piante interessanti Tagrìcoltura, allo 
esperimento pratico di nuovi metodi, di macchine e 
di concimi ; vi si notano la bigattiera ed il semenzaio 
modelli, nonché una bella collezione di strumenti rurali 
e di piante esotiche. 

Ossenratorio Astronomico (dipende dalla Uni- 
versità) (6g. 117). — È una delle due torri che muni- 
vano il castello fatto erigere da Ezzelino IV il tiranno, 
nel luogo ov*erano le distrutte case dei suoi nemici, 
i Vado. Fu architetto di questo edifizio, nel 1242, un 
Egidio Zidio da Milano : ed il popolo corrompendo 
la voce, chiamò Zilie le due torri, nome che il Leoni 
conservò per quella rigonfia sua epigrafe della quale 
volle illustrare la torre, e cosi concepita: Ezzelino 
— a difesa e sterminio — questa torre ordinò a 
Zilio milanese — 1242 — e perchè mistero fosse — 
la studiata inumanità dei tormenti — qui entro lo 
spense — Or movi a misurare gli astri, — Con 
questa epigrafe è consacrata la leggenda, che Ezzelino 
facesse chiudere nelle prigioni da lui immaginate nel 
pie di torre, Tarchitetto che della sua opera gloriavasi. 
L'antico castello, in parte minato ed in parte trasfor- 
mato nel 1807, venne ridotto a casa di pena. Delle 
due torri quella che era vicina alla porta ed al ponte 
levatoio, essendo assai deteriorata, venne, a scanso di 
pericoli, abbassata al livello dei tetti dei circostanti 
edifizi. Questa delPosservatorio, piiì alta, più robusta, 
e meglio conservata, che trovavasi all'angolo sud-ovest 
del castello, venne per decreto del Senato veneto ed 
a maggior decoro della Università, col dispendio non 
lieve di 12.000 zecchini, ridotta ad osservatorio astro- 
nomico sui piani deirarchitelto Domenico Cerato da 
Vicenza. Fin dalla sua creazione Tislituto patavino fu 
dal Governo veneto dotato di un bellissimo Quadrante 
murale di Ramsden e di parecchi istrumenti minori, 
per il tempo di grande importanza e precisione. Col 
processo del tempo si aggiunsero un buon circolo me- 
ridiano, un equatoriale di quattro pollici, ed il magni- 
fico equatoriale di sette pollici fu provveduto dal 
valente astronomo italiano barone Dembowsky. Ha 
poi un completo corredo di cronometri e cronografi, 
di strumenti di meteorologia e misurazione e di una 
ricca biblioteca. Annessa havvi un'officina per la ma- 
nutenzione e costruzione degli stioimenli astronomici 
e geodetici. Importante è la stazione meteorologica 



fissata in questo osservatorio, le cui osservazioni in 
materia sono fra le serie piiì lunghe e continuate, es- 
sendo cominciate dal Poleni nel 1725. Ressero questo 
istituto il Toaldi, il Chiminello, ed il Santini, celebre 
pei suoi trattati di astronomia e per i suoi cataloghi 
stellari. Soi^e nella parte occidentale della città, 
presso il ponte di ferro, sul Tronco Comune, e di 
fronte al borgo della Saracinesca. 

Torre di Galileo (fig. 118).— Sovrasta alFarchi- 
volto pel quale da via Àlaggiore si passa al ponte Mo- 
lino sul Bacchiglione, e di là poi, per piazza del Car- 
mine, alla stazione ferroviaria. Questo vetusto edifizio 
faceva parte delKantica cinta di mura, di cui si rinven- 
gono avanzi in vari punti della città. Una leggenda, 
non si sa come nata, da nessun documento consacrata 
all'infuori della nota epigi'afe del Leoni e Da questa 
torre — Galileo — molta via dei deli svelò », vor- 
rebbe che quivi il grande Pisano avesse stabilito il suo 
osservatorio. Invece non è vero. Il Gloria ed il Favaro, 
dottissimo Tuno nelle memorie patavine e Taltro nelle 
cose galileiane, oppugnano con solidità di argomenti 
la leggenda. « Né documenti — scriveva il Favaro iu 
una sua dotta monografia (inserita nella Rassegna 
Padovana del maggio 1881) — né tradizioni, né affer- 
mazioni dirette od indirotte di Galileo, dei suoi con- 
temporanei e dei suoi biografi, concorrono ad appog- 
giare il fatto afiermato dalla iscrizione apposta alla 
torre di ponte Molino. E perché la falsa tradizione 
non finisca per fermarsi, sarebbe senza dubbio desi- 
derabile che quella epìgrafe, la quale accenna a cir- 
costanze del tutto fantastiche, venisse lavata ». Ma 
mentre i dotti rimettono le cose a posto, il popolino 
continua a chiamare il torrione di porta Molino ToiTe 
di Galileo, e la epigrafe del Leoni continua a misti- 
ficare i forestieri e gli indotti. 

Diamo pure il disegno della casa abitata da Galileo 
in Padova, ovVgli teneva scolari a dozzina (fig. 119). 

Torre di Ezzelino. — Sorge a breve distanza 
dalla precedente al di là del ponte Molino : fu costrutta 
per oi-dine del tiranno nel 1250, col materiale tolto 
alle case demolite dei suoi nemici. Ma liberata la città 
dalla cupa signoria del vicario imperiale, il furore po- 
polare la scapitozzò. Saldissimo é il mozzicone oggi 
esistente sul quale il Leoni fece murare questa epi- 
grafe : < Mesto (?) avamo di nefanda tirannide — 
Ezzelino eresse — 1250 ». 



EDIFIZI PRIVATI E STORICI 

Padova conta gran numero di edifizi privati, meritevoli di essere ricordati per i 
pregi architettonici ed artistici, per le memorie storiche che ad essi si connetionu. 
Non potendo per le ragioni di quest'opera farne partitamente la descrizione, ci limi- 
teremo ad enumerarli, con un brevissimo cenno della loro caratteristica principale. 



Casa degli Ezzelini. — Avanzo delt'edifizio eretto 
per sé ed i suoi da Ezzelino il Balbo, intorno al 1160. 
Oggi non restano cbe le muraglie esterne, con fine- 
stre bifore ecfore (quest'ultime del secolo succes- 
sivo), ed un archivolto dell'edifizio, ove ebbe sede 



fino agli ultimi anni il Teatro filodrammatico di Santa 
Lucia, fondato nel 1790 e chiuso nel 1873. 

Ghetto e Sinagoghe. — Formato da alcune an- 
tiche e ristrette vie della parte più antica e centrale 
della città, é speciahnente tipica la via deirArco, 



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Padova 



3fó 



Fìg. 117. — Padova: Osservatorio astronomico deirUniversità (da fotografia). 



stretta, senza portico, con case altissime, a quattro e 
cinque piani e pogginoli a ringhiera di ferro. Da an- 
tichissimo tempo gli Israeliti hanno dimora in Padova, 
ove fin dal 1384, possedevano un cimitero proprio. 
Dapprima vivevano sparsi nei quartieri eccentrici della 
città. Furono confinati in un solo luogo, cioè nel 
Ghetto nel 1602 : e quivi, in via delle Piazze nel 1863, 
eressero il loro tempio maggiore, o Sinagoga, con 
annesse scuole, di bellissimo disegno, ricco di marmi 
e di mosaici e di bella decorazione: nello stesso 
Ghetto (via Urbana) si trovano due altre Sinagoghe, 
l*una per gli Ebrei di rito spagnuolo, eretta nel 1617 
— e Taltra per gli Ebrei di rito italiano, eretta nel 1548, 
dal dotto rabbino Jonathan Treves, e più volte am- 
pliata ed abbellita di decorazioni. Gli Israeliti resi- 
denti in Padova sono oltre 1100. 

Palazzo Papafava. — Grandioso edifizio del se- 
colo barocco, sorgente dietro il soppresso teatro dei 
Concordi : vi si conserva il famoso gruppo in marmo 
di sessanta figure, rappresentante la Caduta degli 
angeli, eseguito nel 17()0 da Agostino Fasolato. 



Casa degli Specchi. —Beiredifizio del secolo XV, 
che il Selvatico ritiene eretto con disegni del Bassano, 
ristaurato nel secolo scorso. 

Palazzo dei Monti vecchi. — Ha una bella fac- 
ciata del 1590. 

Palazzo da Rio. — A questo palazzo si innesta 
una delle tre antiche torri esistenti in Padova. 

Palazzo Cittadella- Vigodarzere. — Splendido 
edifizio moderno. 

Casa Jacoor. ~ È del secolo XV e conserva, 
sebbene ristaurtta nel secolo scorso, le caratteristiche 
delle architetture veneziane del tempo e principal- 
mente le grandi finestrate a colonne centrali, con 
archi acuti trilobati. 

Palazzo della Prefettura. — È un grande edi- 
fizio completamente restaurato in questi ultimi anni. 
L'aula del Consiglio provinciale fu egregiamente di- 
pìnta da Giulio Carlini. 

Palazzo della Banca d'Italia, già dei Dottori. 
— Fu eretto nel secolo XVIII in stile palladiano, da 
Andrea Zorzi da Treviso. 



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344 



Parte Prima — Alta Italia 



Fig. 118. — Padova : Torre detta di Galileo. 



Casa Giacomini. — È costrutta su disegni del 
Jappelli: quivi, nel i5i3, Giambattista Montano aprì 
la sua clinica medica, la prima che si sia avuta in 
Europa. 

Palazzo Giastinian (fìg. 120). — Eretto da Luigi 
Gornaro, l'autore del celebre Trattato della vUasobrìa, 
coi disegni di Gian Maria Falconetto veronese, in gran 
parte rovinato e trasformato. 

Palazzo Capodilista, unito ad una delle tre 
grandi antiche torri di Padova. 

Palazzo Valmarana, con fìneslre del secolo XVI. 



Palazzo Corinaldi. — Già detto del Bonavides 
che lo fece coslrurre, secondo il Selvatico, sui disegni 
del fiorentino Ammaonato, colla statua colossale d'Er- 
cole, opera dell' Ammannato medesimo. 

Seminario Vescovile. — Fondato nel 1517 dal 
vescovo Armonetlo e dal cardinale Corner: il fabbri- 
cato fu ampliato e ridotto qual è al presente dal ve- 
scovo Rezzonico, che fu poi papa Clemente XIII, nella 
seconda metà del secolo XVlil. Ha una ricca biblio- 
teca, con circa 800 esemplari tra codici ed incuna- 
boli, un medagliere ed una ricca raccolta di stampe. 



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Padova 



345 



Fig. 119. — Padova: Casa abitata da Galileo. 

CHIESE ED EDIFJZI SAGRI ' 

Grande è in Padova il numero delle chiese ed edifizi sacri — taluna come la 
Basilica del Santo e Santa Giustina, di grandiosissima fama — meritevoli di accurato 
esame, di ampia descrizione per i loro pregi architettonici, per il loro valore storico, 
per i tesori d'arte che vi sono conservati. Non potendo eccedere i confini segnati dal- 
l'indole popolare di quest'opera, mentre rimandiamo gli studiosi alle speciali, diffuse 
e facilmente reperibili pubblicazioni di Pietro Selvatico e di A. Gloria, i più dotti e 
competenti scrittori di cose patavine, faremo una rapida corsa nei maggiori templi 
della bella città, annotando ed additando al lettore, succintamente, tutto quanto vi 
ha di meritevole di rilievo in linea d'arte e di ricordi storici. 



La Cattedrale o Dncmo. — Sorge sulla piazza 
omonima, a sera della piazza dei Signori e deli^Uuità 
d*ltalia. 

La tradizione cristiana risale anche in Padova, come 
in tutte le nostre grandi città di origine romana, ai 
tempi della predicazione evangelica ; ma notizie intorno 
alla Chiesa non se ne hanno, com'è pressoché per do- 
vunque, se non a secolo IV inoltrato, cioè dopo che la 
promulgazione ed applicazione dell'Editto Costanti- 
niano, ebbe, colla tolleranza del culti, facilitata Tespan- 
sione e la propaganda del movimento cristiano. La 
prìma chiesa cattedrale o sede vescovile in Padova 

83 » 1^ Patria, voi. I, parte 2*. 



semhra risalga oltre il secolo VII e sorgeva nel luogo 
dove sorge il tempio presente, il quale fu preceduto, 
oltre che dalla primissima matrice, da due altre cat- 
tedrali, distrutte dal fuoco, o rifatte per vetustà e 
per insufiicienza di fronte al progredire della città. 

L'edilìzio attuale cominciò ad essere costruito tra 
il 1552 ed il 1570, sui disegni, dicesi, di Michelan- 
gelo Buonarroti, ma effettivamente sotto la direzione 
dei maestri o frati di fabbrica Andrea della Valle ed 
Agostino Righetti, i quali, ad arbitrio, di loro testa 
avrebbero modificato o raffazzonato il disegno primi- 
tivo del grande maestro. Di questi si vorrebbero il 



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346 



Parte Prìma - Alta Italia 



coro e la sagrestìa ; ma è per Io meno assai dubbio. Il 
marchese Francesco Dondi deirOroIogio, nelle sue 
Lettere sulla fabbrica della Cattedrale di Padova 
(1794), afferma addirittura Tintervento di Michelan- 
gelo in questo lavoro ; ma il Selvatico lo confutò colla 
dottrina e senso d*arte che gli furono proprii : e Sgra- 
ziatamente — scrive — Tesarne artistico nega fede a 
codesta indicazione, perchè, anche guardando al solo 
coro, non è possibile ravvisarvi somiglianza alcuna 
colle forme e coi profili, licenziosi si, ma sempre ma- 
gistrali, del grand*uomo. Ogni parte manifesta una 
pesantezza sgraziata di sagome e di proporzioni, che 
non è mai nel suo stile ». Tutto Tinterno delFedifizio 
è condotto sullo stesso stile ; che più sciatto, freddo 
ed inarmonico non potrebbe essere ; e vi operarono 
architetti di oscura fama, i nomi dei quali non fu gran 
danno per la storia delParte se rimasero ignoti. Nel 
1730 il conte Giovanni Frigimelica, architetto vene- 
ziano, disegnò per il Duomo di Padova una grandiosa 
facciata, sovraccarica di tutti i baroccumi proprii di 
quel tempo. Il lavoro fu anche iniziato col colloca- 
mento delle basi dei pilastroni ; ma per mancanza di 
danaro, ed anche perchè quella baroccherìa cominciava 
a spiacere, non ebbe seguito, e non fu pur questo 
grave danno. Cosi Tedifizio rimase nella sua fronte 
scialbo ed incompiuto quale ora si vede. Ciò non toglie 
che non vi siano neirintemo cose pregevoli e degne 
di menzione, specialmente in fatto di mausolei e scol- 
ture. Ricordiamo i monumenti di Sperone Speroni e 
di sua figlia Giulia^ di Girolamo Campagna e del Pa- 
liari; il monumento del cardinale Zabarella, buon 
pezzo del Rinascimento ; del vescovo Pietro Borazzi, 
attribuito al Tulio Lombardo (1560) ; il cenotafio del 
Petrarca, col busto del poeta, fatto erigere dal cano- 
nico Antonio Barbò-Socin ad opera di Rinaldo Ri- 
naldi, ecc. II pulpito è in legno intagliato, opera di 
Filippo Parodi. Fra i dipinti se ne notano del Pado- 
vanino, di Francesco da Ponte, del Carpaccio, del 
Faraboschi, del Brusasorci ed altri di buona scuola 
veneta. 

Bellissimo è il Battistero, costruito di fianco al 
Duomo nel 1260 e fatto dipingere da Fina, moglie di 
Francesco I Carrara. 

Di fianco alla chiesa è il palazzo vescovile, eretto 
nel 1300 da Pagano delle Torri, e rinnovato nel 1474 
dal vescovo Iacopo Zeno. Notevoli, sulla porta che 
immette al cortile, le due antichissime figure in alto- 
rilievo deirimperatore Arrigo II e dì sua moglie Berto. 
Nelle sale superiori si conservano buoni dipinti, tra 
cui la serie dei vescovi di Padova sino al 1494, dipinti 
a fresco dal Montagnana ed un ritratto del Petrarca 
attribuito al Guariento, ritenuto come il più genuino 
fra quanti ritratti antichi del cantore di Laura si conó- 
scano. Nel palazzo vescovile si conserva la Biblioteca 
del Capitolo, ricca di codici preziosi, antichissimi, tra 
cui qualcuno lasciato in testamento dal Petrarca, ed 
altri dai vescovi Iacopo Zeno e Pietro Foscari. Fra 
questi codici membranacei ve ne sono del secolo IX, 
del XII, del XIII e del XIV; vi sono inoltre vari co- 
dici cartacei; un prezioso Evangelislario scritto e 



miniato da certo Isidoro nel 1170; un Breviario del 
secolo XV; un Epistolario del 1259 e 450 edizioni 
aldine e di altri celebri stampatori del 1500. NelFatr^o 
del pianterreno si conservano sei tavole dipinte da 
Nicolò Semitecolo nel 1367 ed una statua della regina 
Berta. 

Basilica di Sant'Antonio (sulla piazza e del 
Santo B nella parte sud-est della città) (fig. 121). — 
Questo tempio che può, senza forse, per tante ragioni 
essere annoverato fra i più celebri della cristianità, è 
il palladio della fede in Padova. Francesco d'Assisi ed 
Antonio da Padova (quantunque nativo di Lisbona) 
sono certamente le due più emergenti figure di asceti 
che la storia religiosa ricordi nel secolo XI li ; e se fra 
i due, il fraticello di Assisi viene, per le caratteristiche 
speciali della sua personalità, primo, Antonio da Pa- 
dova, come profondità di dottrina e facondia oratoria, 
supera Taltro. Certo questi due contemporanei, quasi 
coetanei ed amici, furono le due più forti individualità 
del loro secolo ; laonde si spiega la profonda impres- 
sione lasciata nel loro tempo e nei secoli che seguirono 
fino ad oggi, ed il fascino che pei credenti ancora si 
sprigiona dai loro nomi, e la venerazione e l'orgoglio 
che pel loro Santo serbarono fra i secoli i Padovani, 
fra le mura della cui città egli passò la parte più bella, 
efficace ed operosa della sua vita. 

Antonio morì, com'è noto, il 13 giugno 1231 ; e 
nell'impressione e nel dolore da cui fu colpita la citta- 
dinanza all'avvenimento, venne deliberato di innab^are, 
come monumento alia sua memoria, un tempio gran- 
dioso che potesse gareggiare coi maggiori in Italia. La 
santificazione di Antonio, proclamata, il 30 maggio 
del 1232, da Gregorio IX papa, accrebbe l'entusiasmo 
dei Padovani, che, mediante elargizioni pubbliche e 
private, raccolsero la grossa somma necessaria al- 
l'inizio dei lavori. Fu abbattuta una chiesetta dedicata 
a Santa Maria, antichissima, esistente in luogo e su 
altre aree acquistate all'uopo si cominciò ad erigere il 
nuovo tempio. I lavori procedettero con grande alacrità 
sul principio, ma durante il cupo periodo della tirannide 
di Ezzelino, che ogni attività della cittadinanza aveva 
paralizzato, andarono a rilento. Ma colla cacciata e la 
morte del tiranno, essendo spezzato l'incubo penoso 
che gravava sulla città, i lavori vennero ripresi colla 
maggiore alacrità ; nuovi danari affluirono alla cassa 
dell'Opera; il Comune votò un tributo annuo di 
4000 lire fino al compimento del lavoro, e nel 1263 la 
maestosa mole in parte compiuta e tutta coperta, potè 
essere in grado di ricevere il corpo del santo frati- 
cello, che vi fu portato con immenso concorso di popolo 
e di clero, dalla chiesetta ov'era stato sepolto, da quel 
Bonaventura scrittore ed oratore sacro, che fu pure 
canonizzato. Da allora si lavorò al compimento, ai par- 
ticolari, agli abbellimenti, e nel 1307, la grandiosa 
opera poteva dirsi pressoché compiuta. 

Chi ne fu Tarchitetto ? È questo il problema che fu 
a lungo dibattuto fra storici, eruditi e scrittori d'arte ; 
ma che ormai è risolto in modo indiscutibile. Chi in- 
torbidò, per così dire, le acque della storia architetto- 
nica di Sant'Antonio da Padova, fu Giorgio Vasari, U 



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Padova 



347 



Fig. 120. — Padova: Palazzo Giustinian. 



quale, in quelle sovente fantastiche e raffazzonate sue 
note di artisti, attribuì a Nicolò Pisano, il rinnovatore 
della architettura e delia scoltura in Toscana, il merito 
del disegno di questa basilica. Ora di questa afferma- 
zione del Vasari, che non ha riscontro se non negli 
autori che da lui ciecamente copiarono, non esiste 
alcuna prova anteriore documentata. Donde l'abbia 



tolta non si sa; fu certo un parto di fantasia e d'igno- 
ranza, poiché un semplice sguardo alle fabbriche rico- 
nosciute opera di Nicolò Pisano ed a quella del Santo, 
basta, nella grande differenza dello stile, dei metodi, 
dei concetto artistico, a far comprendere come non vi 
possa essere alcuna comunanza di persona, di intel- 
letto, di scuoia fra il creatore delle une ed i creatori 



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348 



Parte Pnma — Alta Italia 



deiraltra. Soprattutto Taso dell'arco acuto, dominante 
nella basilica patavina e che non si riscontra in nessuna 
delle fabbriche riconosciute di Nicolò, basterebbe per 
escludere ogni più lontano sospetto di paternità di 
questo grande artefice sulisk basilica patavina. Di più, 
come fu osservato anche dal Selvatico, tutti i cronisti 
patavini del secolo XIII ed anche del susseguente, non 
tralasciano occasione per accennare a più minuti parti- 
colari relativi al tempio di Sant'Antonio, e TArchivìo del 
Santo abbonda di documenti riguardanti la costruzione 
della chiesa, documenti nei quali si noverano parecchi 
murari, nome che allora davasi anche agli architetti. 
È egli mai possibile che se Nicolò Pisano (già tanto fa- 
moso fin dalla giovinezza) ne avesse dato il disegno, 
non se ne trovasse il ricordo o nelle cronache o nei 
documenti? Infine c*è anche la cronologia accondan- 
nare la avventata affermazione del Vasari, poiché lo 
stesso Selvatico prova, cronologicamente, che negli 
anni nei quali il Pisano avrebbe dovuto disegnare la 
basilica di Padova ed attendere alla esecuzione del suo 
disegno, egli se ne stava lontanissimo da questa città 
ed attendeva alla scoltura dei pergami di Siena e di 
Pisa. Il Selvatico dopo avere così dimostrato il gros- 
solano errore del Vasari, e che nessuna ingerenza ebbe 
Nicolò Pisano nella Basilica di Sant'Antonio, fa le 
seguenti considerazioni : « Alcuni brani di testamento 
riportatici dalla diligenza del padre Gonzati, ci provano 
che nel 1263, nelPI 1 maggio, lavoravano nella chiesa 
come murari: un Egidio quondam magistri Gradi; 
un Ubertino quondam Lanfranco ; un Nicola quondam 
Giovanni ; un Pergando quondam Ugone di Mantova. 
E nelFanno susseguente erano pure occupati nella 
costruzione del tempio un Benedetto da Verona ed uno 
Zambono da Como, i quali avevano a compagni di la- 
voro alcuni fra i monaci del convento i. Enunciati 
questi nomi, che sono quasi tutti di maestri lombardi, 
il Selvatico viene a questa inevitabile logica conclu- 
sione: e Dagli argomenti premessi, e meglio, dal- 
l'esame della magnifica mole, mi pare si possa con- 
getturare ch'essa sia stata immaginata da qualcuno di 
quei monaci sulle norme adottate allora per le fab- 
briche sacre' dei Minori Conventuali, e che a costrut- 
tori della medesima fossero chiamati capimastri affigliati 
alla celebre maestranza dei Maestri Comacini, i quali, 
se non erano tutti di Como, appartenevano però alle 
città lombarde >. 

Altra circostanza, della quale è pure da tener conto 
perchè ha il suo valore, è questa : che quando nel 1232 
venne collocata la prima pietra della basilica, era po- 
destà di Padova Goffredo da Lucino, presso Como. 

Né dovendo passare alla descrizione sintetica dello 
stile del singolare edifìzio, non possiamo esimerci dal 
riprodurre quello che succintamente — come meglio 
non si potrebbe — ne dice il Selvatico prelodato: 
e Rispetto allo stile della nostra grandiosa fabbrica 
— egli scrive — parmi si possa affermario un misto 
di lombardo, di toscano, di archiacuto e di bizantino, 
quasi chi dicesse uno stile di transizione, quale vera- 
mente prendeva piede nell'Alta Italia verso la metà del 
secolo XIII. In efletto sentono del lombardo e le fascie 



longitudinali e gli archetti emisferici che costituiscono 
le esteme comici, e le grandi masse laterizie di muro, 
e le bifore arcate in semicerchio, e le gallerie pratica- 
bili sulla facciata e all'intemo dell'abside, che ram- 
mentano quelle di San Flaviano a Montefiascone e 
delle cattedrali di Ferrara, di Piacenza, di Modena, di 
Orbetello, ecc., tutte erette secondo lo stile dei Maestri 
Comacini, che appunto si suole chiamare lombardo... 
Riguardo alla scuola architettonica seguita in questo 
mescolamento di stili, io oserei dire la fosse quella in 
sì gran fiore allora sul Reno e specialmente in Colonia 
adottata con preferenza dai monaci. In fatto, le gal- 
lerie giranti nell'esterno dell'abside, i frontoni ad an- 
golo ottuso, e più che tutto i campanili posti in fondo 
della chiesa, anziché sul dinanzi, mi ricordano le co- 
struzioni del Duomo di Worms, di quello di Bonn, 
dell'altro di Spira, e soprattutto delle chiese di San Ge- 
reone e dei Ss. Apostoli in Colonia: opere tutte che, 
pur originate dal sistema lombardo colà introdotto, 
vennero modificate a seconda dei bisogni locali >. E 
per concludere togliamo questo giudizio riassuntivo : 
e V*ha in tutto il complesso del vasto edifizio, tale 
un'armonica varietà nei gruppi e nelle linee delie 
masse, un eoa ingegnoso alternarsi di curve e di rette, 
tanta gentilezza di proporzioni nei frontoni e negli 
agili campanili, e, nel tempo stesso, una cosi severa 
quanto ardita robustezza di costruzione, da far si che 
esso sia da tenersi come una delle più belle creazioni 
della sesta nel secolo XIII ». ' 

Vista, tanto di fronte che nelle fiancate o dagli 
absidi, la basilica di Sant'Antonio si presenta impo- 
nente e solenne, e soprattutto caratteristica, colle sue 
sette cupole, delle quali sei a calotta emisferica al- 
l'orientale, come quelle di San Marco in Venezia, e la 
centrale conica a lanterna, superiore a tutte le altre, 
sormontata da un angelo colla tuba imboccata, quasi 
volesse chiamare la gente da ogni parte al tempio ; i 
due campanili a tergo ed il pinacolo a torretta nell'acro- 
terio della fronte, agili, sottili, slanciati come i mi- 
nareti d*una moschea. Qualche cosa di originale, di 
fantastico che non può a meno di impressionare, col- 
pire Tosservatore. 

Le principali misure e proporzioni del tempio sono le 
seguenti: periferia m. 306; lunghezza m. 125. Dalla 
porta maggiore ai gradini del presbiterio m. 51,10; 
larghezza della crociera m. 55; larghezza maggiore 
del corpo della chiesa m. 35,20 ; della nave di mezzo 
m. 14,50; di destra m. 7,80; di sinistra m. 6,89; 
altezza della facciata m. 28 ; larghezza della facciata 
m. 37; lunghezza del presbiterio m. 15,78; lar- 
ghezza del presbiterio m. 16,60; lunghezza del coro 
m. 19; maggiore altezza interna m. 38,50; mag- 
giore altezza esterna coll'angelo m. 67; dei cam- 
panili m. 68. 

La facciata, con motivo nuovo nel tempo in cui fu 
costruita, consta di quattro grandi arcate a sesto 
acuto, più ampie le laterali, che si reggono ai gran 
pilastri di fianco, minori quelle di mezzo, fra le quali 
sijipre la porta maggiore, ad arco romano, mentre 
nelle due arcate maggiori si aprono le porte minori e 



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Padova 349 



Fig. 121. — Padova: Abside e cupole della Basilica di Sant'Antonio. 



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350 



Parte Prima — Alta Italia 



dne lunghe finestre archiacute per ciascuna. Nelle due 
arcate minori, invece, sono aperte due lunghissime 
finestre, pure ad arco acuto. Tutte queste arcate, 
come pure la porta maggiore hanno strombato, con 
belle cordonate che dai piedritti seguono anche il giro 
degli archi ; motivo di decorazione pur questo usita- 
tissìmo dagli artefici comacini. Sopra le grandi arcate 
a sesto acuto della parte superiore della facciata corre, 
per tutta la larghezza delFedifizio, la loggetta pratica- 
bile a colonnine ed archetti in pieno centro, e balaustra 
in marmo. Notevole opera di scalpello sono i capitelli 
di questa loggia, lavorati sul fare bisantino con in- 
trecci, simboli, fogliami, frutta ed animali. Sulla loggia 
corre, per tutta la sua lunghezza, una balaustra in 
marmo, pur praticabile, dalla quale partono le lìnee 
convergenti del timpano a cuspide ; nel quale la mo- 
notonia dell'angolo ottuso è rotta da una specie di 
rastremazione della cornice, ad archetti ed a belle 
sagome, nella parte superiore. Nel mezzo del timpano 
si apre una grandiosa finestra circolare o rosa, quale 
si vede in tutte le chiese di sesta lombarda; negli 
scompartì laterali, subito dappresso alla rosa, si aprono 
due finestronì ad arco romano, tagliati a bifore, con 
archetti gotici, neirìnterno. Sul vertice spicca Tardità 
torricella a tre ordini dì colonne con archetti acuti e 
pinacolo conico, nella quale è la scaletta per salire alla 
vicina cupola. Sopra la porta maggiore, fra le due ar- 
cate gotiche, è una nicchia, nella quale per lungo 
tempo stette una statua di Sant'Antonio d'ignoto au- 
tore del secolo XIV ; tolta nel secolo scorso, per lasciar 
vedere raffresco dipintovi dallo Zannoni. Sull'arcata 
della porta maggiore, Andrea Mautegna, nel 1452, 
dipinse a fresco Sant'Antonio e San Bernardino in 
adorazione davanti al monoyramma di Cristo, La 
facciata è tutta in marmo bianco, con intarsi e cas- 
settoni di marmo a colorì; è inquadrata da liste dì 
marmo nero. L'efietto policromico è vivo ed immediato. 

L'interno è a tre navate, quella di destra alquanto 
più ristretta di quella di sinistra. Le due navate late- 
rali sì uniscono a semicerchio nella grande abside; 
lasciando il presbiterio perfettamente isolato, come un 
altro tempio nel tempio. Le navate sono divìse da sei 
grandi pilastri, reggenti le grandi arcate, a sesto acuto, 
delle vòlte e le cupole ; fra i grandi pilastri, scantonati, 
quattro pilastri rettangolari minori reggono gli archi 
acuti che dividono le arcate maggiori, a metà. Su 
quelle è la loggia praticabile, con balaustra marmorea, 
altro degli elementi, che, come canoni fondamentali, si 
riscontrano nelle costruzioni dei maestri comacini. In 
origine e per tutto il secolo XIV e XV le paicti della 
chiesa erano coperte dì adrcschì ; ma gli incendi, le 
riparazioni ed altre cause, fecero sostituire, ai dipinti, 
chissà di quanto interesse per la storia dell'aile dei 
maestri trecentisti, la imbiancatura a calce, anti- 
patica e stonante colla solenne maestà dell'edifizio, e 
coi tesori dell'arte che vi si conservano. Di questi fa- 
remo una rapida enumerazione, procedendo dalla na- 
vata dì destra in avanti. 

lo Pilastro a destra : Affresco attribuito a Filippo da 
Verona; monumento di Si///o;ie .4; i/eo, prulcssure in 



teologia (t 1537); tavola di Antonio Boselli, rappre- 
sentante Maria e il Santo. — 2. Altare: San Carlo 
Borromeo, ed altri santi, dipinti dal settecentista Zan- 
noni. — 3. Altare: San Francesco d'Assisi del Pon- 
zone ; statue della Fede e della Carità dì Matteo e 
Tonmiaso AKo (1664); monumento sepolcrale di Gùzn- 
domenica Sala, medico e professore nello Studio 
(t 1646) colle statue del Tempo e della Fama; e di 
Giovanni Vesling da Mindenif 1649), professore di 
anatomia e botanica. — 4. Grande cappella del Sa- 
cramento, costruita nel 1456, a spese di Giacoma 
Leonessa per collocarvi le tombe del marito, il celebre 
condottiero Erasmo da Nami detto fi Gattamelata e 
del figlio Gian Antonio., le quali tombe sì veggono 
sotto un*arcata infissa nel muro ed avente le statue dei 
due personaggi stessi sul coperchio, il Gattamelata 
(t 1443) a destra, Gian Antonio da Narni (f 1656) 
a sinistra. Le porte in bronzo che chiudono la cap- 
pella furono fuse da Michelangìolo Venier, e risen- 
tono del barocchismo dell'epoca; invece lavoro di 
grande pregio sono le scolture a bassorilievo del dos- 
sale dell'altare, disegnato da Donatello, ed in gran 
parte eseguito sotto la sua direzione dai suoi allievi, 
fra i quali Bartolommeo da Bellano, suo prediletto. 11 
tabernacolo, omatissimo, baroccheggiante, in marmi 
colorati e preziosi, a quattro facciate a tre ordini, fu 
ese^^uìto nel 1579 da Gerolamo Campagna per la parte 
architettonica e da Cesare Franco per la scollura rap- 
presentante apostoli, patriarchi, profeti. — 5. Pic- 
cola cappella, dipinti : Cristo in croce con Matteo e 
Giovanni evangelisti, di Pietro Domini ; San Bona- 
ventura comunicato dall'angelo, di G.Rissoni; San 
Francesco d'Assisi, di Pietro Liberi. Dietro l'altare, 
grandioso quanto barocchissimo monumento sepolcrale 
di Ottavio Ferrari (professore nello Studio, filologo, 
archeologo, scrittore), morto nel 1G82, sovraccarico 
di marmi a colori e di statue allegoriche, come la Sa- 
ziteli sa che tiene sotto i piedi l'Ignoranza, la Virtù 
che strozza l'Invidia, ecc., ecc. — 6. Grande cap- 
pella dì San Felice, uno dei gioielli artistici della basì- 
lica. Fu costruita tra il 1372 ed il 1377 a spese del 
parmense Bonifazio de* Lupi, marchese di Soragna, 
capitano dei Carraresi, e fu dedicata a San Giacomo 
suo protettore. 11 nuovo nome le fu dato quando venne 
qui traslato il corpo dì San Felice papa. Il disegno, e 
sembra anche certo la esecuzione di questa meraviglia 
artistica, fu dì Andriolo da Venezia. La fronte verso la 
navata del tempio, rialzata di alcuni gradmi, consta di 
sei slanciate colonne di broccatello di Verona, con 
capitelli a fogliami, reggenti cinque arcate a sesto 
acuto trilobate. Sopra la trabeazione, in rispondenza 
alle punte degli atthi, sono distnbuitesei nicchie con 
ombracolo cuspidale, a dischetti acuti trilobati, coi 
Santi Giacomo, Pietro, Paolo e dei protettori dì Bo- 
nifazio de' Lupi e dì Caterina sua moglie ; presso alle 
due nicchie esterne. Tarma del de' Lupi, scudo d'oro 
con lupatti rampanti. Il muro è a squame di pesce dì 
beirefietto. La trabeazione superiore, a chiaroscuro, fu 
aggiunta nel secolo XV, come pure le quattro statue 
di sunti d'ignoto autore. L'altaie, sorgente nel mezzo 



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Padova 



351 



della cappella, è tutto ad intagli, fu lavorato dal 1508 
al 1504 da Giovanni Minello e da Francesco de Quola. 
Le statue sono attribuite ad un maestro Rinaldino, 
tranne San Felice, che è del Minello. Nella parete di 
fondo sono due grandi archi sepolcrali lavorati dallo 
stesso maestro Andriolo ; in una, a destra, è sepolto 
il fondatore della cappella e nell'altra Pietro de Rossi 
di Parma, con altri di sua famiglia, che combattendo 
per gli Scaligeri, i Carraresi ed i Veneziani, mori sotto 
Monselire (1337). Dietro l'altare è la pietra sepol- 
crale di Bartolomea Scrovegna, moglie di Marsilio II 
Carrara, con altorilievo del 1333. Intorno alla cap- 
pella sono gli stalli in legno per gli officianti, inta- 
gliati maestrevolmente, con ombracoli ad archetti 
gotici trilobati. Importantissimi e per il loro valore in- 
trìnseco e per la stona delKarte, gli affreschi che ador- 
nano la cappella, condotti con grande maestrìa da 
Jacopo Avanzi e da Altichierì da Zevio ; rappresentano 
la Croce fissione ed altre scene della Passione; poi 
gli apostoli, i dottorì, gli evangelisti ed altri santi; 
presso la finestra Bonifazio De Lupi e la moglie Ca- 
terina presentata alia Vergine, opera dell'Avanzi. 
Nel 1773 questi dipinti furono con sufficiente cura rì- 
puliti e restaurati da Francesco Zannoni. — A destra 
della cappella, il busto di Melchiorre Cesarotti, qui 
sepolto, opera del genovese Sante Vami ; e di fronte 
il monumento, in stile barocco, di Pio Capodilista 
(t 1667); sulla pila dell'acqua benedetta, presso la 
porta del chiostro, Santa Caterina, in bronzo fuso da 
Francesco Segala nel 1564; più oltre presso la porta 
della sagrestia, un affresco ottimo di Filippo da Ve- 
rona, 1509 ; in alto, sulla parete, l'urna, in marmo 
rosso, di Marino Zaharella, colla figura dell'estinto 
stesa sul sarcofago (1427). Serie della piccola «ap- 
pella dell'Abside: 7. Altare: Santa Caterina, di- 
pinto di Antonio Pellegrìni; sepolcro della famiglia 
Zaharella. — 8. Martirio di Sant'Agata, dipinto di 
G. B. Tiepolo ; sarcofago, con la statua dell'estinto 
adagiatovi sopra, di Angelo Buizaccarini, professore 
nell'Università (t U67). — 9. San Prosdocimo, di- 
pinto di Jacopo Ceruti, e sepolcri della famiglia Ca- 
podilista di varìe epoche. — 10. San Lodovico di 
Tolosa, dipinto di Pietro Rotarì; e busto di Giam- 
battista de Lido, rìnnovatore della cappella (1678). — 
11. Cappella delle reliquie e del tesoro: circolare, nel 
mezzo dell'abside. Ne diede il disegno e ne curò la 
erezione nel 1689 Filippo Parodi, genovese, artista di 
buona fama e di vero talento, ma saturo di quel gusto 
barocco che fu caratterìstica deplorevole dell'arte nel 
secolo XVII. Del Parodi sono le statue sulla balau- 
strata, gli angeli in marmo di Carrara, adibiti a can- 
delabrì, gli angeli ed i putti a stinco che girano intomo 
al fastoso cornicione. Le altre figure e gli stucchi che 
completano la pesante decorazione di questa cappella 
sono opera di Pietro Roncajolo, aiuto e discepolo 
del Parodi stesso. Le reliquie sono custodite in tre 
.grandi nicchie, rìccamente adorne, dalle imposte fode- 
rate da lastre di rame dorato, con rìparto d'argento 
cesellato. La nicchia centrale fu eseguita da Adolfo 
Gab nell716; quella di destra da Andrea Darci nel 



1744 e quella di sinistra da Angelo Scarabella nel 1744. 
— I reUquiarì che si custodiscono in questo sacrano 
sono 102, e tra le reliquie si mostrano la lingua, il 
mento, i capelli del Santo. Alcuni dei reliquiari in 
argento, oro, pietre preziose, sono dei verì capolavori 
di oreficerìa del secolo XV, dovuti ad Alessandro da 
Parma, Bartolomeo da Bologna, Corrado de' (bagnoli, 
Francesco di maestro Comin, Antonio di Giovanni da 
Milano, Baldassarre da Prato ed altrì valentissimi orafi 
e cesellatori di quel secolo e dei successivi. 

Fra le cose rare si mostra un grande incensiere 
bisantino, una navicella d'argento con stupendi favorì 
a niello, il bastone di comando del Gattamelata, pa- 
tere, calici ed altrì oggetti di valore storico ed arti- 
stico. Di fronte a questa cappella, sulla porla che 
mette al coro, vedesi la famosa terracotta del Dona- 
tello: Gesù deposto dalla croce. — 12. Martirio di 
San Bartolomeo, dipinto del Pittoni; mausoleo di 
Erasmo Krethkow, diplomatico polacco, morto nel 
1558, con busto in bronzo di buona fattura. — 13. De- 
collazione di San Giovanni Battista, buon dipinto 
del Piazzetta ; monumento sepolcrale dei giureconsulti 
e lettori nello Studio Aicardino ed Alvarotto degli 
Alvarotti (f 1389). — 14. Santa Chiara morente, 
di Antonio Balestra ; mausoleo di Cassandra Mussato 
(f 1506), buon saggio del Rinascimento atlrìbuito a 
Giovanni Minello od anche al Riccio. — 15. San Giu- 
seppe, dipinto di Ferdinando Suman. Nel fianco del 
pilastro attiguo a questa cappella è lo strano monu- 
mento di Pietro e Domenico Morellotti, padre e figlio, 
medici e professorì nell'Università, singolare opera di 
Giovanni Cornino (1690) ; nel mezzo il piccolo monu« 
mento al polacco Adamo Lalgusky (f 1603) ; presso 
il confessionale, Ecce Homo, affresco del Calzetta. — 
16. Cappella di Santa Maria Mater Domini, o della 
Madonna Mora, vecchia chiesa eretta nel 1100 ed in 
gran parte abbattuta per far posto alla Basilica. Questa 
cappella venne restaurata net 1852. L'altare col ta- 
bernacolo in stile gotico è del secolo XIV. Il dossale 
è moderno. La statua di Mana è del 1396. Sul pa- 
vimento mostrasi la pietra tombale che chiude il se- 
polcro della famiglia Obizzi : sotto giacciono Pio Enea 
Obizzi, la moglie sua Lucrezia dall'Orologio, la virtuosis- 
sima donna, martire della virtù e della fede coniugale, 
ed il loro figlio Ferdinando, vendicatore della madre 
e del padre. Altri mausolei : Raffaele Fulgosio, ce- 
lebre leggista all'Università (f 1427), e della famiglia 
iVe^rt (1422). — 17. Cappella del Beato Luca Bel- 
ludi, eretta nel 1392 a spese della famiglia de' Conti, 
adoma di affreschi^ attrìbuiti a Giusto dei Menabuoni, 
ma forse di Giovanni ed Antonio da Padova, rìfatti, 
si può dire, dal Sandrì nel 1786. Notevoli i confes- 
sionali con magnifiche tarsie di Cenesio da Lendinara; 
sono quanto rìmane del famoso coro lavorato dal 1462 
al 1469 da Cenosio e distrutto dal disastroso incendio 
del 1749. Sui pilastri e murì adiacenti: monumento 
sepolcrale a Gian Tommaso Costanzo, figlio di Muzio 
Costanzo, viceré di Napoli pel re di Spagna, morto in 
Fiandra nel 1581, con busto attrìbuito al Campagna; 
altro monumento funerarìo ad un guerriero, con busto 



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352 



Parte Prima — Alta Italia 



in bronzo ben modellato, ma del quale ignorasi il 
nome. — 18. Cappella di Sant* Antonio, o, come dicesi 
comunemente in Padova, del Santo, È il pezzo più 
importante, pei tesori d'arte che racchiude, della Ba- 
silica. Venne eretta nel 1500 sui disegni di Andrea 
Riccio, sorvegliando i lavori Giovanni Minello de* Bardi 
e Giovanni Maria Falconetto. La fronte, con doppio 
attico, consta di cinque arcate, rette da quattro colonne 
in marmo e da due pilastri laterali. Il Minello cesellò, 
si può dire, i marmi dei pilastri, del fregio, dei capi- 
telli, degli archivolti, in quel leggiadrìssimo stile del 
Rinascimento che fu detto raflaellesco, perchè il Sanzio 
dal marmo lo tradusse a colori nelle loggia e stanze 
Vaticane, tutto a chimere, a fogliami, delfini, sirene, 
caproni, cavalli marini, elmi, trofei, arpie, salamandre 
e quanto altro la più sbrigliata fantasia decorativa 
degli artisti poteva immaginare ed innestare colle più 
singolari combinazioni. Coadiuvarono il Minello in 
questo squisitissimo lavoro, oltreché il figlio Antonio, 
i lapicidi Alessandro da Saronno, Galeazzo da Lugano, 
Martino di Giovanni da Bergamo, Francesco da Por- 
lezza, Martino della Cima, Francesco da Quola, Pietro 
Tedesco. 1 tre lati esterni del pilastro a destra furono 
scolpiti nel 1652 da Matteo Gauro Allio e da suo fra- 
tello Tommaso, e quelli del pilastro a sinistra da Vin- 
cenzo de* Grondi e Girolamo Peroni nel 1547. Nel 
mezzo delPattico inferiore leggesi la dedicatoria : Divo 
Antonio Confessori sacmm — Respublica Patavina 
posuit, Neirattico superiore sono collocate cinque 
statue, cioè : Santa Giustina^ di Giovanni Minello; 
San Giovanni Battista, dì Severo da Ravenna ; San- 
f Antonio, di Giacomo Colonna ; San Prosdocimo, di 
Sebastiano da Lugano; San Daniele, del ricordato 
Giacomo Colonna. 

Le pareti della cappella sono scompartite ad arcate 
sostenute da colonne in marmo. Gh archi, come tutta 
la trabeazione, sono Osamente decorati. Le pareti 
degli intercolunni sono rivestite da grandi altorilievi 
in marmo, nei quali sono rappresentati i principali 
fasti e miracoli della vita del taumaturgo. Sono nove, 
e furono lavorati da Antonio di Pietro Lombardo, da 
Tulio Lombardo, da Gian Maria da Padova detto 
Mosca, da Paolo Stella, da Antonio Minello, dal San- 
sovino, da Gerolamo Campagna e da Giovanni da 
Padova detto il Dentone. I più apprezzati, per la gran- 
diosità della composizione, per il numero delle figure, 
per Taccuratezza, la perfezione delPesecuzione, sono 
quelli del Fanciullo lattante che parla per attestare 
tinnocenza della madre (Antonio Lombardo) ; // 
cuore dell'avaro nello scrigno (Tulio Lombardo); 
La risurrezione della fanciulla annegata (Giovanni 
Minello), ecc. 

La vòlta, scompartita a decorazioni di stucco do- 
rato, fu disegnata nel 1533 da Giovanni Maria Fal- 
conetto, ed ebbe per esecutori i figli suoi, Ottavio e 
Procolo, Minio da Padova, Silvio Fiorentino e il Da- 
nese. Le dorature vennero ripristinate nel 1859; 
l'altare, nel mezzo della cappella, poggia sull'arca o 
tomba del Santo in verde antico. Entro questo sar- 
colugo è la cassa d'argento, costiiitla sui disegni di 



Tiziano Aspetti nel 1593, nella quale conservasi il 
corpo del Santo. L'altare è ornato di cornice a gigli 
di metallo dorato, ed è rialzato dal suolo di alquanti 
gradini fiancheggiati da balaustra di marmo. Le statue 
dei Santi Antonio, Bonaventura e Lodovico, gli An- 
geli che portano i ceri e le portello dell'altare sono 
di Tiziano Aspetti ; di Filippo Parodi è uno dei gruppi 
d'angeli in marmo di (Carrara reggente il grande can- 
delabro d'argento; l'altro è di Orazio Marinali da 
Bassano, che lo lavorò per legato di Elena (aterina 
Cornaro Piscopia nel 1712. Fuori della cappella del 
Santo sono: il monumento sepolcrale di Caterino 
Cornaro, capitano veneto morto nella guerra di Candia 
(16G9), opera di Giusto Le Court, fiammingo; quello 
di Antonio Rosselli, detto il Monarca della sapienza 
(f 1446), leggista nella Università, lavoro pregcvo- 
hssimo di Bartolomeo da Belluno, discepolo di Dona- 
tello. Dipinti, sul pilastro vicino e sul muro: San 
Rocco, del Pelizzari, e VAdorazione dei Magi, di 
Pietro Paolo di Santa Ooce (1581). La pila dell'acqua 
santa fu scolpita da Giovanni Minello e da Francesco 
da Quola; la statua di Santa Giustina che vi sta 
sopra è di Giovanni Zorzi, detto il Pirgotele. — 
19. Altare, con dipinti: Cristo deposto, di Luca da 
Reggio ; aflresco della Madonna del Parto, del 1494; 
nel pilastro sotto l'arco di fronte, il barocco monu- 
mento sepolcrale di Pompeo ed Eusebio Caimi, eretto 
nel 1683 da Bartolomeo Muzini. Nell'altro lato dello 
stesso pilastro: cenotafio in onore del padovano Orazio 
Secco, morto nella difesa dì Vienna contro i Turchi 
nel 1G83; fra i due altari il monumento funerario 
della principessa Jablotiowska. — 20. Altare, con 
dipinti di Pietro Malombra. — 21 . Sul pilastro, di- 
pinti: Mai-ia col Bambino, di Stefano da Ferrara; 
Angelo, di Fra Filippo Lippi; di fronte: monumento 
sepolcrale del padre Antonio Trombetta, conventuale, 
celebre metafisico (t 1518), opera dì Andrea Brìosco, 
detto il Riccio. 

Nella navata maggiore sono degni di nota il ceno- 
tafio, con busto, del prof. Girolamo Girelli (t 1573) ; 
- il monumento dei fratelli Sala (un capitano e due 
professori), e di fronte quello di Pietro Sala (ucciso 
da una bomba nella guerra di Candia, 1688); - le pile 
dell'acqua santa : l'una, colla statua del Battista, di 
Tulio Lombardo; l'altra, colla statua dì Gesti, di Ti- 
ziano Aspetti ; - monumento onorario del cardinale 
Pietro Bembo, eretto nel 1549 su disegno in stile 
corinzio del Sanmichcli, e con un busto vigorosa- 
mente modellato da Danese Cattaneo; la iscrizione 
è dello storico e latinista Paolo Giovio ; - magnìfico 
è il monumento del valoroso capitano veneto Ales- 
sandro Conlarini; fu disegnato dal Sanmicheli e vi 
lavorarono nelle statue e nelle decorazioni : Alessandro 
Vittoria (statua della Fama), Pietro da Salò (Schiavi 
e nereidi). Agostino Zoppo (Schiavi), Danese Cat- 
taneo (il bellissimo busto del Contarini) : è questo 
uno dei migliori monumenti funerari della Basilica ; - 
busto di Elena Caterina Cornaro Piscopia (f 1684), 
dottissima donna ; - Maria in trono, aflresco rite^ 
nuto del Guariento ; - il pulpito in istile bisantiuo ; - 



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Padova 



353 



Fig. 129. — Padova (Basilica di S. Antonio) : Candelabro in bronzo cesellato 
di Andrea Briosco, detto il Riccio, 



mausoleo di Gerolamo Michel (f 1557), con bel busto 
in bromo. — Nella crociera sono da osservarsi: il 
monumento funerario di Giovanni e Nicolò Laizara, 

84 — E* Patrim, voi. I, parU 1». 



o|»era del Bedogni (1651), coi busti di Matteo Aglio; 
- i dipinti di Stefano delPArzere, di Jacopo Monta- 
gnana del secolo XY e di Gerolamo del Santo (1516). 



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354 ^^^^ Prima — Alta Italia 



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Padova 355 



Fig. 123. — Padova: Interno della chiesa di Santa Giustina. 



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356 



Parte Prima — Alta Italia 



Usciti dalKandito, il primo chiostro che sMncontra 
è quello detto del Capitolo. È il più antico ; fìi eretto 
insieme alla Basilica nel 1240, ed è attorniato da uno 
svelto porticato ad archi acuti, retti da colonnine in 
marmo, con capitelli, per il tempo, abbastanza bene 
lavorati. In questo chiostro sono parecchi monumenti 
sepolcrali di pregio artistico: citiamo, fra gli altri, 
quello di Marco Donati, amico del Petrarca, che ne 
dettò riscrizione latina, morto nel 1370, buonissimo 
pezzo di scoltura del secolo XIV, nel quale Testinto, 
vestito delle sue armi, è rappresentato disteso nel 
sarcofago sotto una elejrante ogiva, nelParcala della 
quale è raffigurata la Risurrezione di Cristo; quello 
di Rainero degli Orsendi da Forlì, lettore di giuris- 
prudenza neirUniversità di Padova, dopo aver inse- 
gnato in quella di Bologna, morto nel 1358; quello 
di Luigi Visconti, milanese, morto nel 1563, erro- 
neamente attribuito al Sanmicheli ; quello della fa- 
miglia Bolparo, eretto nel 1382, ed altri di minor 
conto appartenenti all'arte dei secoli XIV e XV. Da 
questo chiostro si presenta imponente il fianco della 
Basilica, colle cupole, le torri e l'abside (fig. 121). 

Un andito, coperto pur questo di monumenti se- 
polcrali, conduce dal chiostro del Capitolo a quello 
del Noviziato. Fu eretto nel 1 >i80 per ordine del papa 
Sisto V. Ha un bel porticato a svelte arcate ed è più 
ampio del precedente. Vi si conservano parecchi mo- 
numenti sepolcrali, tra cui notevoli, e per il pregio 
del disegno e della scoltura e por i personaggi che 
ricordano, quelli di Aulouio Rossi, di Giovanni Cai- 
pumiOf ài Andrea Briosco detto il Rizzo, l'acclamato 
artefice del candelabro e di tante altre opere di scal- 
pello che ornano la Basilica, di Lazzaro Bonamico, 
del conte Antonio Malmiynati e d'altri. 

Altri due chiostri, o meglio avanzi di chiostro, non 
accessibili al pubblico, sono : quello detto il Para- 
diso ed il chiostro del Generale ; il primo non è che 
un frammento di maggior fabbrica, cioè dell'originario 
cenobio: consta di nove arcate ogivali, dì slanciata 
architettura, e di tre finestre ugualmente ogivali, di 
puro disegno della prima metà del secolo XIII. Le 
buone linee di questo frammento d'edificio fanno de- 
plorare che se ne sia perduta la parte maggiore. Il 
campo di questo chiostro serviva da cimitero per i 
conventuali, e da ciò, forse, il nome che gli fu dato 
di Paradiso. Il chiostro del Generale fu costruito 
nel 1434 dal maestro murario Cristoforo Bolzano: 
era ornato dei dipinti di un maestro Luca, di cui non 
rimangono che incerte tiaccc, oltre gli stemmi dei 
cinque pontefici usciti dall'Ordine dei Minori Osservanti. 

Dal chiostro drl Goncrale si sale alla Libreria del 
Santo, costituita da nove bellissimi locali dipinti da 
Antonio Pellegrini. Vi si conservano oltre 12.000 vo- 
lumi, in massima patte d'indole teologica ed ascetica, 
160 preziosi incunabuli e 600 codici, dei quaH 17 
rarissimi, anteriori al secolo X. 

Uscendo dai chiostri, si dà sulla piazza del Santo 
dal lato di mezzodì. Presso la porta del convento, in 
\m cortiletto chiuso da cancellata in ferro, mostrasi, 
sotto una specie di portichetto od ombracolo ad archi 



acuti retti da colonne, il monumento sepolcrale di 
Rolando da Piaxzola e dei suoi, capoparte padovano, 
che, nel primo quarto del secolo XIY, ebbe influenza 
grande nei rivolgimenti della città, nemico degli Sca- 
ligeri e fautore della signoria dei Carraresi, morto 
nel 1323. — Di fianco hawi l'Oratorio di San Giorgio, 
che fu cappella gentilizia dei Lupi, marchesi di So- 
ragna. Venne cominciato nel 1377 da Raimondino 
Lupi e compiuto nel 1384 da Bonifacio. Era impor- 
tantissimo documento dell'arte medioevale per le statue 
che adornavano il mausoleo e pei dipinti che copri- 
vano le pareti dovuti ad Altichieri da Zevio e Jacopo 
Avanzi. Nei rivolgimenti della fine del secolo XVIÒ, 
diventato il convento del Santo una caserma delle 
truppe francesi, quest'Oratorio fu tramutato in car- 
cere; immaginarsi Io scempio che ne fìi fatto dai 
reclusi : delle statue del mausoleo non ne rimase che 
una, le pittiu*e subirono ogni vituperio. Tuttavia quello 
che si potè salvare dalla profanazione umana e dalle 
ingiurie del tempo, e della umidità in ispecie, dà una 
idea del valore dei due pittori e del pregio di questa 
cappella, assai lodata dal Selvatico e dal tedesco dot- 
tore Ernesto Forster (1838) dichiarata e i no dei più 
insigni monumenti della pittura in Italia \ I dipinti 
sono tutti di carattere religioso e rappresentano fatti 
attinenti alla Vita di Uaria, di San Giorgio, di 
Santa Caterina e di Santa Lucia, Notevole fra gii 
altri è lo scompartimento nel quale è dipinta Santa 
Lucia morta stesa nel feretro. 

Scuola del Santo. — Attigua al convento è la 
cosiddetta scuola del Santo, congregazione religiosa ed 
ed uditiva suìV instar di quelle che nel secolo XVIII 
si resero celebri in Venezia. Consta di una chiesetta, 
che è detta delle Stimmate, a due piani, eretta nel 
1430, ma alzata e completata cogli annessi locali e 
dipinta nel secolo dopo. NcIKoratorìo al piano infe- 
riore mostrasi una buona pala di altare del Pado- 
vanino; nel piano superiore vi è tutti una raccolta 
di pregevoli dipinti portanti i nomi di Tiziano Yecellio 
{Miracolo dell'infante che testimonia deWinnoctnxa 
materna), di Domenico Campagnola, Bartolomeo 
Montagna, Marcello Fogolino, Gerolamo Dal Santo, 
Antonio Buttafuoco ed altri. Dal balcone di questo 
edifizio, come è ricordato da due lapidi, due pontefici, 
Pio VI nel 1784 e Pio VII nel 1800, benedissero il 
popolo. 

SanU Giustina (fig. 123). — Sorge alPangolo 
sud-est del Prato della Valle, ed è, dopo la Basilica 
del Santo, la più bella e maestosa chiesa di Padova 
ed una delle più ampie d'Italia. È rimasta incompiuta 
nella facciata: ma il suo corpo, la fiancata colle cu- 
pole e le absidi presentano un insieme architettonico 
imponente, nella larghezza armonica delle sue linee. 

Intorno a questo tempio aleggia una delle più an? 
tìche e popolari leggende di Padova, la quale Aiiole 
che quivi, nei tempi primitivi, Antenore, l'eroe trojano 
presunto fondatore della città, erigesse un'ara alla 
Concordia. Nel primo secolo di Cristo, San Prosdo- 
cinio, predicatore e confessore della nuova fede in 
Padova, avrebbe tramutato il tempio antenoreu in 



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PadoTa 



357 



Fig. 124. — Padova: Chiesa degli Eremilani (da fotografia àuna.ri). 



chiesa cristiana, seppellendovi il corpo della martire 
Giustina, da lui battezzata e convertita alla fede. Ma 
la leggenda è in questa parte assai debole, poiché 
non è possibile, mentre che solo dopo l'Editto Costan- 
tiniano fu dato ai Cristiani di esercitare gii atti della 
loro fede liberamente, che nel primo secolo, quando 
infuriavano le persecuzioni ed era ancor vivo il ricordo 
della feroce persecuzione neroniana, San Prosdocimo 
potesse impossessarsi dì un tempio consacrato alle 
divinità pagane per seppellirvi i martiri della fede ed 
esercitarvi il culto cristiano. Ma se questa leggenda 
offre fianco troppo debole alla critica, è accertato però 
che in questo luogo, fin dal VI secolo, esisteva una 
chiesa cristiana, forse delle prime che sorsero per gli 
effetti deirEditto Costantiniano; perocché Venanzio 
Fortunato, morto nel 600, che lasciò una Vita di 
San Martino, parla di una chiesa quivi sorgente dal 
secolo precedente per opera di Opilone, prefetto del 
Pretorio, il quale Tavrebbe fatta costrurre su altra 
più antica già rovinata. A questo antichissimo edi- 
fizio é opinione degli eruditi che appartengano la 
cripta ed i sotterranei che ancora esistono nel tempio 
attuale. Fu rifatta nel secolo XV a spese del canonico 
Lodovico Barbo, ed a questa terza ricostruzione vuoisi 
appartengano i due grifi accovacciati sulla scala esterna 
ed il vecchio coro. La chiesa eretta dal Barbo venne 



demolita nel 1502, per dar luogo alla immediata 
costruzione di altro tempio di più vaste proporzioni, 
su disegno dato dal conventuale fra Girolamo da 
Brescia. Ma questo disegno fu abbandonato non ap- 
pena poste le fondamenta, nelle quali si dice sia stato 
fatto enorme spreco di materiale. Presentarono nuovi 
disegni Sebastiano da Lugano, ma fu scartato perchè 
troppo grandioso e dispendioso, e Andrea Briosce 
detto il Riccio, disegno che venne adottato, ma che 
fu in seguito modificato da Alessandro Leopardo, il 
coadiutore del Verrocchìo nella diffìcile opera del 
monumento Colleoni in Venezia, preposto alla dire- 
zione dei lavori, e più tardi da Andrea Morene, che 
al Leopardo successe a proto della fabbrica, e sotto 
il quale la grande costruzione, meno la facciata e 
parte delle cupole, ebbe compimento nel 1532. L*ef- 
fetto maggiore che questo edifizio desta nelKosser- 
vatore, é quello che deriva, sia alFestemo che airin- 
temo, dalla grandiosità delle linee nella quale fu 
concepita, dall* insieme creato daHe otto sue cupole 
emisferiche, alPorientale — nelle quali lavorò, dicesì» 
anche lo Scamozzi — più che dai suoi particolari 
architettonici. 11 Taine ne scrìveva entusiasta : e Ec- 
cola, la bella chiesa colle sue otto cupole! Quantunque 
costruita nel sedicesimo secolo, la forma bisantina vi 
spiega la sua eleganza. Palloni circolarì fanno cerchio 



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358 



Parte Prima — Alta Italia 



alle cupole ; airintemo fra le rotonde arcate si scor- 
gono i tetti scavati» per cosi dire, in enormi scudi 
concavi, e Tampia vòlta si spiega pomposamente come 
in un cielo irradiato di luce. La potenza espressiva 
delle linee ci colpisce immediatamente e il sentimento 
generale muta al mutare della forma predominante. 
L'angolo acuto, lo slancio delFogivale eccitano la mi- 
stica emozione ; Tangolo retto, la solida impiantatura 
quadrata della costruzione greca suggeriscono Y idea 
della sana serenità; la curvatura bisantina, impe- 
riale moderna delle vòlte arrotondate completa Ta- 
spetto decorativo. Tale è T impressione che lascia 
questa chiesa col suo pavimento a marmi bianchi, 
neri e rossastri, coi suoi pilastri quadrati, i suoi 
capitelli romani, le sue grandi proporzioni, la sua 
bella luce, e immensa senza bizzarrie, senza enfasi. 
In fondo al coro, dipinto dal Veronese, un nugolo di 
Angioletti, fra vivaci contrasti di ombre e di luce, 
sale verso la Santa vestita di splendida seta gialla, 
che si abbandona al carnefice che deve strozzarla. 
Tutto il resto è colmo di scolture teatrali, martiri che 
gestiscono, drappi spiegazzati, carni attorcigliate; la 
grandiosità del sedicesimo secolo che si confonde 
coirafiettazione del secolo decimottavo ». 

Il Selvatico, più freddo, ma più esatto ed accurato 
osservatore del grande critico ed esteui francese, cosi 
riassume nelle sue doti e nei suoi difetti la struttura 
ed il carattere artistico della Basilica di Santa Giu- 
stina : e La pianta è una croce latina a tre navi- co- 
perte da vòlte a botte e da otto cupole che si slanciano 
sopra di queste. Due ordini di pilastri, di differente 
dimensione, si elevano su piedestalli comuni a reg- 
gere le arcate. I pilastri maggiori sostengono la 
grande navata, i minori le laterali. Il capitello li fa- 
rebbe denominare jonici se non apparissero scomposti 
a grado, da non meritare neppur Tonore di un nome. 
La nave maggiore ha quattro arcate per lato, a tre 
delle quali corrispondono due cappelle ; alPultima una 
sola; di modo che al di qua della crociera stanno 
sette cappelle per ciascun lato. Questa non può dirsi 
per certo bella ed organica disposizione ; ma pure nel 
complesso c'è molta armonia e buoni rapporti fra le 
masse murali ed i vuoti. Laonde ebbe ragione "il 
Chevalier di scrivere, che e quegli il quale, nell'aggi- 
rarsi per cosi spaziose navate, non rimane scosso dal 
loro maestoso carattere e non si sente spàndere 
nell'animo un senso di stupore e di ammirazione, 
suo danno ». 

La lunghezza della navata maggiore, dalla soglia al 
fondo dell'abside, è di 120 metri : si contano sulle dita 
le chiese d'Italia che superano questa misura. 

Cose notevoli, e non poche, in linea d'arte, tanto 
di pittiva che in scoltura ed in intaglio, si ammirano 
in Santa Giustina. Le numereremo rapidamente, proce- 
dendo dalla navata e cappella di destra: i* cappella, 
scuola del Veronese, Conversioìie di San Paolo, — 
2«, Pietro Liberi, Santa Gertrude, — 3*, Cario Loth, 
Martirio di San Gherardo Sagredo. — 4», Luca 
Giordano, Morie di Santa Scolastica. — 5», Palma 
il Giovane, San BenedeUo, reputato ù-a i migliori 



dipinti di questo eccellente artista; G. Magonza e 
Cario Ridolfi, altri episodii della Vita di San Bene- 
detto, al quale la cappella è dedicata. — 8> cappella, 
gran branca della crociera, vari dipinti di G. B. Bis- 
8oni e Andrea Balestra, Pietro Domini ed altri. Dietro 
Taltare, antico sepolcro ove si conservano i creduti 
avanzi del corpo di San Mattia. Nell'atrio che è dietro 
questo, il pozzo degli Innocenti, ove furono gettati i 
corpi di fanciulli cristiani martirizzati. — Piccola cap- 
pella con un'antica Madonna in stile bisantino ; nel- 
l'altare, sotto la mensa, un sarcofago coi credati 
avanzi mortali di San Prosdocimo. Quivi si apre la 
botola che mette ai vastissimi sotterranei, parte di 
antichiisime costruzioni. — Nella cappella 10*, il 
grandioso gruppo in marmo bianco di Carrara, di 
Filippo Parodi, la Deposizione dalla Croce. — Nella 
cappella maggiore dell'abside è, fra un'ancona di legno 
dorato, la grandiosa tavola del Martirio di Santa 
Giustina, dipinta nel 1575 da Paolo Veronese. Di 
questo lavoro del grande colorista scrive con molta 
cautela il Selvatico : e Sebbene attesti la potenza di 
quel sommo pennello, non è però fra le sue opere 
migliori, né per composizione, nò per colorito. Forse 
nocciono alla vivezza e buona intonazione di questo 
le tinte dell'aria che, alterate o, come dicono gli ar- 
tisti, cresciute, posero in disaccordo tutte le altre del 
quadro. Quali che siano i difetti di questo dipinto, 
vanno tutti dimenticati dinanzi alla (e^ta della Santa, 
ch'è una meraviglia di leggiadria e di espressione ». 
La caratteristica di questo quadro, oltre la veste in 
giallo sgargiante della martire, è l'eccessivo, straor- 
dinario numero di angeli che scendono dal cielo, 
presentali in tutti i mudi ed in tutte le pose. Vuoisi 
che l'ai-tista li abbia aflastellati là per rispondere al- 
l'invito dell'abate committente, che gli avrebbe detto : 
« Tante figure e tanti bei zecchini ». La pala venne 
restaurata nel 184G dal Fabris. Magnifico è il coro, 
tutto ad intaglio in legno, ad altorilievi rappresen- 
tanti i fatti del Vecchio e del Nuovo Testamento, 
allegorie sacre e simboli. I disegni furono dati da 
Andrea Campagnola e vennero eseguiti da Riccardo 
Taurin, francese, sotto la direzione del padi-e Eutichio 
Cordes da Anversa, dal 1556 al 1560. — Nella 
12» cappella, affreschi di Sebastiano Ricci; arca 
nella quale si ritengono custodite le ossa dell'evan- 
gelista Luca (ossa della cui autenticità, date le origini 
bisantine di quelle reliquie, è permesso dubitare). 
L'arca è un eccellente pezzo della scultura rinascente 
nel secolo XIV. È sostenuta nel centro da un gruppo 
di angeli ed agli angoli da colonnette a spirale. Nelle 
formelle incavate dei lati sono effigiati L'Evangelista 
ed il Bue che lo simboleggia. L'iscrizione del 1316 
fu dettata dal leggista Albertino Mussato, il cui fra- 
tello Guilpertino, priore del convento, fece costrurre 
questo mausoleo. Seguono nelle altre cappelle dipinti 
di mediocre pregio di Valentino Lefèvre, di Luca 
Giordano, di Antonio Zanchi, di Sebastiano Ricci. 

Durante le guerre del 1859 e del 1866 la Basilici 
venne dall'autorità militare austriaca trasformata in 
ospedale pei feriti. Attiguo alla Basilica avevano un 



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Padova 



359 



grandioso cenobio i monaci Gassinesi. Nel perìodo del 
Regno Italico fu trasformato in caserma; TAustrìa 
nel 1816 ne iece un ospizio per gli invalidi ; il Regno 
d'Italia ne fece prima un ospedale militare e quindi 



una caserma per la fonterìa. I dipinti di cui era ornato 
il convento parte andarono al Comune e parte anda- 
rono, nella confusione dei tempi, dei governi e delle 
vicende, sperduti chissà dove. 



Detto delle tre massime chiese patavine, riassumeremo rapidamente le memorie 
storiche ed i pregi artistici degli altri edifizi sacri, che la città possiede, e che costi- 
tuiscono di per sé soli un importante patrimonio artistico. 



Sant'Andrea (nella via omonima, presso il centro 
della città e a piazza Cavour). — È a tre navate, più 
larga che lunga; con dipinti di Gerolamo, Santa Croce, 
di G. Possenti, di Natale Plaque. 

San Clemente (piazza deirUnità d'Italia). — Con 
dipìnti di Pietro Damini e Luca da Reggio. 

San Benedetto (riviera omonima sui Bacchi- 
glione). — A tre grandi navate; rifatta cosi nel se- 
colo XYI, da una sola ed antica navata qual era prima. 
Ha tracce di aCfreschi attribuiti all'Avanzi; nell'at- 
tiguo soppresso monastero abitò, nel 1566, Torquato 



San Nicolò (Selciato di San Nicolò, non lungi 
dalla piazza Unità d'Italia). — Antichissima, dacché 
trae le sue origini dalla chiesa quivi edificata nel 1090 
dal vescovo Milone, e della quale sono forse i fram- 
menti di scolture infissi nella facciata. L'interno, a tre 
navate rette da colonne, ha aspetto severo ; fra i di- 
pinti, notevoli quelli rappresentanti San Rocco, la 
Vergine e San Leonardo, dal Novelli attribuiti a Cima 
da Conegliano ; dal Selvatico, giudicati come appar- 
tenenti alla scuola dei Vivarini e del Belh'ni. 

Santa Margherita (in via San Francesco). — 
(^n facciata d^ordìne dorico, disegnata nel 1748 dal 
Temanza. 

San Francesco (nella via omonima). ^ Eretta 
nel 1420 e poscia istaurata e rifatta. Conserva dipinti 
ottimi di Gerolamo Del Santo, di Palma il Giovane, 
di Paolo Veronese, del Varotari detto il Padovanino, 
del Campagnola e d^altri buoni artisti dei secoli XVI 
e XVII. Fra le scolture notevoli, il monumento di Bar^ 
tolomeo Cavalcanti, professore di lettere, morto nel 
1552 ; una tavola in bronzo lavorato prima da Barto- 
lomeo Bellano, poscia dal Riccio ; nel chiostro attiguo, 
affreschi dello Squarcione, deteriorati dagli imbian- 
chimenti. 

San Massimo. — Piccola chiesa presso lo Spe- 
dale civile, con tre ottime tele di G. B. Tiepolo, ed 
una bella statua di Giuseppe Pino, morto nel 1560, 
a 19 anni, e già celebre nelle lettere greche e latine. 

Chiesa degli Eremitani (nella piazza omonima). 
— Importantissimo edifìzio per Tantichità ed i pregi 
architettonici, specialmente all'esterno, ove conserva 
intatta, senza ritocchi e superfetazioni, la purezza delle 
linee primitive (fig. 124). Il coro venne costruito 
nel 1264 ed il rimanente nel 1276. Il tetto fu rifatto 
nel 1306 da Fra Giovanni degli Eremitani, coi le- 
gnami tolti dal vecchio tetto del salone da lui rinno- 
vato. La facciata è del 1360, con finestroue circolare 
rosa, sotto il quale corre una terrazza ; nella facciata 
sono incastrati dei monumenti funerari dì varie epoche. 



Airintemo sono cose pregevolissime : un crocefisso 
su tavolo, del Guariento, forse ; — un fondale d'al- 
tare, del Rinascimento, con bellissime figure ed ornati 
in terracotta ; — affreschi rappresentanti Angeli suo- 
nanti il liuto, del 1511, forse di Filippo da Verona; 
— i due monumenti funerari di Ubertino da Carrara, 
terzo signore di Padova, morto nel 1345, con grandi 
arcate, la statua del morto stesa sul sarcofago, con 
statue di Jacobello e Pietro Paolo delle Malegne ; e 
di Jacopo II Carrara, quinto signore di Padova, 
morto assassinato nel 1350, con epigrafe laudativa 
del Petrarca, più riccamente decorato del precedente, 
ma degli stessi artefici ; — la cappella di Andrea 
Mantegna, cosiddetta perchè tutta coperta di af- 
freschi di questo grande ed originalissimo maestro: 
affreschi deteriorati dal tempo, dalKumidore, dalla 
incuria umana, nei quali il maestro lasciò il suo ritratto 
e quello dello Squarcione che gli fu maestro ; — altri 
affreschi di Buono ed Ansuino da Forii, ed altri di Nicola 
Pizzolo; — un bassorilievo in terracotta di Giovanni 
da Pisa, scolaro di Donatello ; — nella cappella Dotto, 
il magnifico sepolcro di Francesco Dotto, uno dei mi- 
gliori saggi della scoltura decorativa del secolo XIV 
che si abbiano in Padova, e cogli affreschi di Jacopo 
Avanzi; nell'arcata di ingresso della cappella mag- 
giore sono dipinti a fresco, da Stefano delPAzzare, 
vari santi, e nella parte superiore altri freschi attri- 
buiti al Guariento ; dietro l'altare una grande tavola 
di Lodovico Fiumicelli con Maria in trono, vari santi 
ed il doge Andrea Gritti ; il mausoleo di Ilario San- 
guinacci, valoroso padovano, morto nel 1384; — nella 
sacrestia la pietra sepolcrale del filosofo Pietro Paolo 
da Venezia, degli Eremitani ; un San Giovanni Bat- 
tista di Guido Reni ; il monumento al principe Gu- 
glielmo di Grange, morto nel 1799, con bassorilievo 
del Cassone. Altre scolture degne di ricordo in questa 
chiesa sono quelle del mausoleo che il celebre lette- 
rato e professore di leggi Marco Mantova Bonavides 
fece erigere a se stesso, affidando Topera airAmman- 
nato, il quale certo, com'era suo costume, non fece 
risparmio qui né di fantasia né di marmo. 

Annunziata nell'Arena (presso la chiesa degli 
Eremitani). — Questa piccola cappella è uno dei piiì 
pregiati documenti delFarte pittorica del secolo XiV, 
non solo di Padova, ma di tutta Italia (fig. 125). Basta 
dire che è pressoché interamente coperta di affreschi 
di Giotto. Sorge di fianco ad un vasto cortile dittico, 
detto TArena, ritenuto dai più avanzo dell'Arena pub- 
blica, nel periodo romano. L'asse maggiore dell'elissi 
è di m. 310,36, il minore di m. 65,10. È attor- 
niata dagli avanzi dei muro mediano. Fu rovinata 



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Parie Prima — Alta Italia 



in una delle invasioni barbariche più recenti, forse 
dagli Ungfaeri sul principio del secolo X. Ciò che ne 
rimaneva fu dalFimperatore Arrigo IV, nel 1090, do- 
nato a Milone, vescovo patavino, che ne fece demo- 
lire i muri per venderne le pietre e pagare, col ricavo, 
i suoi debiti; lo ebbero più tardi 1 Dalesmaninì, che 
ne fecero un baluardo della loro fazione, cingendolo di 



Fig. 135. — Padova: Cappella delPAnoanziata nelPArena 
(da fotografia). 



merli, poi passò agli Scrovegno, che vi costnissero, 
nel 1303, la cappella dell'Annunziata; indi i Foscarì 
di Venezia, che riattarono il vecchio palazzo dei Dales- 
manini, e poscia dei Gradenigo, dai quali pervenne, 
per lungo tramite di successioni, alla famiglia dei conti 
Gradenigo-Baglioni, dalla quale il Comune di Padova 
riscattò tutto, Arena e cappella, per la somma di 
lire 54.921. 

Quanto rimane dell'antica Arena romana sono alcune 
solide arcate in pietra ancora ritte a sfidare i secoli. 
In questi ultimi anni nell'Arena furono innalzati, su 
colonne di pietra, busti a Pietro Selvatico (f 1880), 
il dotto ed accurato illustratore delle antichità e dei 
tesori artìstici di Padova, e ad Antonio Tolomei — lo- 
dati lavori del Ramazzotti — con questa iscrizione: 
« Ad — Antonio Tolomei — letterato, poeta, filo- 
$ofo — di Lucrezio interprete satjace — delle antiche 
fortne di questa Arena — scopritore sapiente — 
sindaco amatissimo — il Comune — p, — 1891 >. 



L'Oratorio dell'Annunziata fu eretto da Enrico 
Scrovegno, che comperò dai Dalesmanini TAreoa ed il 
terreno adiacente, nel 1300. Costui era figlio di quel 
Reginaldo Scrovegno che Dante pone nella bolgia degli 
usurai, e del quale dice (/n/*., e. xvii, 6i) : 

. . . cbe d'una scrob asnm e groMi 
Segnato area lo no tacchetto bianco . . . 

Enrico Scrovegno eresse l'Oratorio nel 1303 
e chiamò a dipingerio Giotto, il quale lo ter- 
minò nel 1306, onorato in quel turno da una 
visita del sommo poeta ed amico suo. Su ciò 
scrisse benissimo il Tolomei : e Così mentre 
Dante eternava nel poema divino la infamia 
del padre, Giotto gareggiava ad immortalare 
le gloriose ammende del figlio. Enrico si scher- 
miva da una terzina dell'Alighieri con una chiesa 
di Giotto ». L'architettura di quella piccola 
chiesa è quanto di più semplice e puro pre- 
sentava l'architettura sul principio del XIV se- 
colo nella rinascente Toscana : le finestre sono 
allungate e ad arco tondo; l'abside è lineo- 
spezzata, poligonale ; con stalli ad ombracoli 
gotici, per gli officianti — ch'erano i frati 
Gaudenti. Davanti all'edifizio era un nartece, 
che fu demolito nel 1825, per venderne il 
materiale. 

1 dipinti dei quali sono coperte le pareti 
della chiesetta sono tutti opera di Giotto, ad 
eccezione di quelli della tribuna, attribuiti a 
Taddeo Caddi, buon discepolo del Giotto me- 
desimo. Il Lanzi, nella Storia della pittura, 
giudica questi aflreschl « opera che sorprende, 
e perchè sopra ogni altro suo fresco conserva- 
tissima, e perchè piena di quella grazia nativa 
e di quel grande che Giotto egregiamente seppe 
congiungere ». Di questi àflreschi il Selvatico 
dice : e Giotto li dipinse negli anni più fervidi 
dell'operosa sua vita, e vi dispiegava per la 
prima volta quella grande potenza d'invenzione 
e di espressione, che fu scintilla di luce vivis- 
sima alla pittura monumentale d'Italia, nel XV 
e nei due secoli susseguenti ». Gli affreschi sono di- 
visi in tanti scomparti sulle pareti, e rappresentano 
dall'I airS, i Fatti di San Gioachino fino alla Pre- 
sentazione di Maria al Tempio; dal 9 al 16, i Fatti 
della Vergine fino alla Nascita di Gesù; dal 17 
(Adorazione dei Magi) al 38, i Fatti di Gesù secondo 
il Nuovo Testamento fino alla Pentecoste (Discesa dello 
Spirito Santo sugli apostoli) (fig. 126-127). Singola- 
rissimo è il basamento sul quale Giotto volle rappre- 
sentare con quattordici figure allegoriche le virtù ed 
i vizi ; le prime raffigurate in sette donne magre e 
slanciate, simboleggianti la preponderanza dello spi- 
rito, del sentimento sulla materia; gli altri, signifi- 
cando il concetto opposto, la sovrapposizione, cioè, 
della materia sullo spirito, sono rappresentati da figure 
di donne e uomini di grassezza obesa e floscia da in- 
spirare un sentimento di ripugnanza. Le prime sono: 
la Speranza, la Carità, la Fe<ìe, la Giustizia, la 
Tentperanza, la Forza, la Prudenza; di contro 



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PadoTa 



361 



stanno: la Disperazione, Y Invidia, 
{Infedeltà, V Ingiiutixia , Vira, 
Vlncostanta, la Stoltezza. 

Nella parete sopra la porta Giotto 
dipinse il Giudizio universale, e 
nel vano sopra la porta, Enrico 
Scrovegno, al quale tre santi pre- 
sentano il modello della chiesetta, 
sorretto da un frate Gaudente in 
ginocchio. 

Gli affreschi della tribuna, at- 
tribuiti a Taddeo Gaddi, sono assai 
deteriorati dal tempo e dalla umi- 
dità; e da essi sfugge quella arcaica 
semplicità, quel giusto sentimento 
del vero che sono la maggior ca- 
ratteristica dei dipinti di Giotto. 
Rappresentano fatti della vita di 
Maria fino alla morte, ai funerali, 
air ascensione in cielo. Sulla pa- 
rete in fondo alla tribuna è il mo- 
numento sepolcrale di Enrico Scro- 
vegno (t 1328), consistente in 
un^arca sulla quale è stesa la figura 
di Enrico ; due angioletti sollevano 
la cortina; sopra, la statua di Maria 
e due angeli. È opinione del Sel- 
vatico che questo mausoleo, dav- 
vero pregevole, sia lavoro di Gio- 
vanni figlio di Nicolò Pisano ; cosa 
non inverosìmile, oltre che per lo 
stile per il fatto che. a questa chiesa 
non lavorarono che artisti toscani. 
Nella sacrìstia, in una nicchia di 
pietra, è la statua ritta, a mani 
giunte, di Enrico Scrovegno, 

Santa Sofia (via omonima). — 
È ritenuta fra le pii!i antiche chiese 
di Padova. L*Ongarello la vorrebbe 
addirittura far risalire ai tempi pri- 
mitivi di San Prosdocimo. e sdrta 
su un tempio ad Apollo, fondato 
dal mitologico Antenore ; ma a 
questa leggenda si ponno opporre 
le stesse oppugnanti la leggenda di 
Santa Giustina. Giò non toglie che 
non sia molto antica, e le sue ori- 
gini non risalgano al secolo IV ed 
al V, essendo accertato che in quel 
tempo abitavano — durante la do- 
minazione degli esarchi — in quei 
paraggi di preferenza i greci o bi- 
santini, i quali lasciarono altre due 
chiese a santi più specialmente da 
essi venerati, come Santa Eufemia, 
Santa Maria Iconia. Venne rifab- 
bricata nel 1123, ma l'abside è di 
più antico edifizio, risalente forse 
al secolo Vni; ed è questa, sotto il riguardo architet- 
tonico, la parte più importante del tempio. 

86 — Ija Patria, voL I, parte 2*. 



Fig. 126. — Padova: La Fuga in Egitto^ affresco di Giotto 
nella cappella dell'Annunziata (da fotografìa). 



Fig. 127. — Padova: Cristo morto, affresco di Giotto 
nella cappella deirAnnunziata (da fotografìa). 



San Gaetano (via omonima). — Eretta fra il 1581 
ed il 4586, nello stile classico, tendente al barocco. 



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362 



Parte Prima — AlU Italia 



del tempo, su disegno di Vincenzo Scamozzi ; Tinterno 
è ricco di marmi a colore, e vi si conservano buoni 
quadri di Palma il Vecchio e di Palma il Giovane, di 
Alessandro Maganza, del Vernansal, di Pietro Daminì 
ed altri secentisti. L*attiguo convento già dei Teatini, 
dopo essere stato fino al 1571 degli Umiliati, è ora 
sede del Tribunale civile e penale e della Corte d'assise. 

I Servi (nella via omonima, che è una delle prin- 
cipali arterie della città). — È cosiddetta perchè la 
officiavano i Padri Serviti, stabilitisi in Padova nel 
1393. Venne eretta nel secolo XIV a spese di Fina 
fiuzzaccherina, moglie di Francesco Carrara il Vecchio, 
sul luogo ov*erano le antiche case di Nicolò Carrara, 
fatte demolire dal Comune. Il bel portico del Rinasci- 
mento che la fiancheggia lungo la via, fu eretto a cura 
di Bartolomeo Campolongo che vi utilizzò le antiche 
colonne formanti la fronte della primitiva cappella di 
Sant'Antonio nella basilica. Deiredifizio di Fina Buz- 
zaccherìna non rimane oggi che la fiancata contro il 
portico del Campolongo col bel portale scolpito del 
secolo XIV. Internamente ha buoni dipinti di G. B. Bis- 
soni, Lodovico di Vernansal, di Lodovico Dorìgny, di 
Luca da Reggio, di Alessandro Maganza e di Stefano 
deirAzzare; nonché un affresco antichissimo e prege- 
vole del secolo XIV, guardato da una custodia dì cri- 
stallo. Fra le opere di scoltura vanno ricordati i mo- 
numenti sepolcrali di Paolo ed Angelo da Cashv, 
professori in leggi, eretti nel li92 da Bartolomeo da 
Bellano ; di Gerolamo AUignano, dottore in diritto e 
diplomatico, morto nel 1592 ; e Taltare, nel peggiore 
barocco, dovuto a Giovanni Bonazza, artista di qualche 
fantasia, ma di pessimo gusto. 

San Tommaso di Cantorbery (nella via di San 
Tommaso minore). — Ad una navata, con dipinti di 
Pietro Liberi e di Luca da Reggio. 

San Michele. — Eretta nel secolo XIV e tutta 
dipinta a fresco da Jacopo da Verona o, secondo il 
Selvatico, da Jacopo Avanzi, non ne rimane che una 
cappella con affreschi assai malandati, nei quali si ri- 
levano alcune figure, che secondo la tradizione sareb- 
bero i ritratti dei signori Carraresi, i quali dal vicino 



castello sembra avessero comunicazioni sotterranee 
con questa chiesa. La cappella esistente fu fondata 
nel 1398 da Pietro Bovi, e neilMscrìzioDe dedicatoria 
è fatto il nome del pittore Jacobus Verona. 

San Matteo (in via della Stufa). — Con Pedata 
in stile lombardo moderno, con dipinti del Padovanino. 

Il Carmine (nella piazza omonima). — Questo 
^ndioso e bellissimo edifizio fu eretto nel 1212 con 
rattiguo convento di monache ; venne rìcostrutta nel 
1300 e data ad officiare ai Padri del monte Carmelo; 
pressoché crollata per il terremoto del 1490, fu riedi- 
ficata tra il 1503 ed il 1523; danneggiata da un 
secondo terremoto, fu ricostrutta nel 1695. Per tanti 
rimaneggiamenti la facciata restò incompleta, e solo 
adoma dì un bellissimo portale disegnato da Giovanni 
Gloria, con statue di Tommaso Bonazza. L'interno 
consta di un'ampia, maestosa navata. Vi sono dipinti 
del Padovanino, un affresco di Stefano delle Azzare 
(la Madonna delPaltare maggiore, che prima era in 
un sottoportico dietro la corte del Capitaniato, e fu 
quivi trasportata nel 1576, in seguito a visione del 
priore dei Carmelitani, Fra Felice Zuccoli, nel proposito 
di far cessare la peste che allora infieriva nella città), 
di Giovanni Specchietti e G. B. Peliizzari ; fra le scol- 
ture vanno notate un altare di buon disegno, dal Sel- 
vatico attribuito airAnunannati ; la statua del fio- 
narra, il grandioso mausoleo di Tiberio Dasiario, 
professore di legge nella Università, morto nel 1581, 
che potrebbe essere di Alessandro Vittoria; l'altare 
maggiore, ricco di marmi e di scolture del Salucci e 
del Rinaldi ; il monumento sepolcrale di Naldo, capi- 
tano della Repubblica veneta, morto nel 15i4. 

ScLOLA DEL CARMINE (attigua alla chiesa). — 
Oratorio ove aveva sede la Congregazione o Scuola 
del Carmine ; buoni dipinti di diversi autori, fra cui 
vanno ricordati : San Gioacchino, Sant'Anna, di Ti- 
ziano ; V Adorazione dei pastori, ed altri scomparti a 
soggetti sacri, di Domenico Campagnola ; Fatti della 
vita di Mana, di Giulio Campagnola ; la pala dell'al- 
tare, secondo alcuni di Palma il Vecchio, e, secondo 
il Selvatico, di Francesco Torbido detto il Moro. 



Vi sono inoltre in Padova altre chiese, come quelle di Santa Maria Iconia, di 
San Marco del Torresino, di Santa Lucia, di San Daniele, delle Grazie ed altre minori, 
sulle quali nulla o ben poco havvi che possa interessare i cultori dell'arte. 

Cimitero (fig. 128-129). — È un'opera grandiosa, 
ancora incompleta, della quale diede il disegno l'archi- 
tetto Enrico Holzner di Trieste, che fu premiato in 
apposito concorso. È in istile lombardo ed inspirato 
aìraltro pur grandioso cimitero di Milano. DeirHolzner 
però non rimarrà che la facciata, perchè e per il gran 
costo e per inconvenienti verificatisi nella disposizione 
primitiva delle tombe, gli altri tre lati del perimetro si 
costruiscono secondo il nuovo progetto deiringegnere 



D. Donghi, ma pei quali si è adottato lo stesso stile 
della fronte principale. La sola fronte, non ancora 
completa, e la prima sistemazione del cimitero, hanno 
già costato più di 1.400.000 lire. La chiesa, posta 
nel mezzo della fronte, è elegante e internamente tutta 
dipinta: il marmo Botticino, le coma d*Anfo e il 
paramento di mattoni sono i materiali decorativi e 
insieme costruttivi della grandiosa opera, quale poche 
città possono vantare di simile. 



MONUMENTI YARII 



La Tomba di Antenore. — - Questo singolare 
monumento, che corrisponde ad una ingenua mistifi- 
cazione medioevale, sorge in via San Lorenzo, presso 



la casa Jacone. Consta di un quadriporto, ad archi 
romani retti da colonne di marmo a fronte cuspidale, 
completato nel centro da un cupolino conico in cotto. 



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Padova 



363 



Fig. 128. — Padova : Facciata del Cimitero (arch. Holzner). — Da fotografia. 



Sotto il portichetto, retto pure da quattro colonnine, 
hawi un grande sarcofago in pietra nello stile sem- 
plice e duro del secolo XIII. Diede origine a questo 
edifizio il fatto seguente. 

Nel 1274, scavandosi presso lo spedale della Casa 
di Dio in via San Biagio, presso due vasi pieni di 
antichissime monete d'oro — delle quali la sorte, che 
avrebbe potuto chiarire il mistero, rimase ignota — si 
trovò una cassa di cipresso ben conservati, entro la 
quale in altra, chi dice di bronzo chi di piombo, fu rin- 
venuto lo scheletro di un uomo di forme maggiori del 
normale, e certamente di un guerriero, perchè aveva 
al fianco la sua spada, pur essa di grandi dimensioni. 
La scoperta mise in moto la cittadinanza, ed i dotti 
si diedero ad almanaccare a chi mai potesse appar- 
tenere quel corpo sepolto, vicino a quél tesoro, con 
tanta cura di feretro e di casse. La via più ovvia per 
venire a capo della cosa sarebbe stato Taccurato esame 
della foggia delle armi e delle monete rinvenute presso 
il morto. Ma dò, forse, sembrò troppo semplice al 
Lovato, dottore in legge e professore di grammatica 
airUniversità e tenuto in conto d'un oracolo di scienza, 
il quale, interrogato dai magistrati in proposito, sen- 
tenziò che quelle ossa non potevano essere se non 
quelle del trojano Antenore, il fondatore della città. 
Per quali serie di singolari ragionamenti il Lovato 
possa esser venuto alla strabiliante sua conclusione, 
è un mistero per noi, come lo fu molto probabilmente dei 
suoi contemporanei. Comunque, egli credette (perchè 
non vogliamo ammettere che un tanto uomo si com- 
piacesse a mistificare di proposito i suoi concittadini), 
e colla sua autorità fece credere alla verità della cosa. 
Subito gli anziani, il Consiglio della città e T intera 
popolazione si commossero ed entusiasmarono della 
grande scoperta, ed eccitati dal Lovato decretarono 
la erezione di questo grazioso monumento, appoggiato 
ad un lato della soppressa chiesa di San Lorenzo, 
presso la tomba che il Lovato si era già fatta prepa- 
rare- di fronte a casa sua — scrive il cronista Onga- 
rello — < che Antenor fosse tra la casa del dillo 
tnisser Lovato et la sua sepoltura ». L'opera venne 
compiuta nel 1283, e lo stesso Lovato ne dettò la 
epigrafe in distici, che il Petrarca volle lodare ed il 



Tiraboschi invece, nella sua Storia della Letteratura 
italiana, criticò vivamente. La epigrafe principale è 
così concepita : 

Inclittu Anttnor patriam vox niaa quielam 
Trantlulit huc Euctum Dardanidumque fuga» 
Expulit Euganeas, Patavinam, coiìdidit urbem 
Quem tenel hic, humili marinore cotra domtu. 

Sul coperchio leggesi la scritta : 

Potestate nobili viro 

D. Frontone de Rubeis de Florentia 

Perfectum fuit hoc opus. 

La spada del preteso Antenore fu, in segno di de- 
vozione, dal Comune donata ad Albeito Scaligero nel 
1354. A chi potessero appartenere quelle ossa, è con- 
gettura degli eruditi, che ne studiarono di poi il caso, 
che si tratti di un capo di quegli Ungheri che nel 
secolo IX invasero l'Italia superiore, donde il sacco 
a Padova, come a tutte le altre città per le quali 
passarono. 

Monumento del Gattamelata (fìg. 130). - Sorge 
sulla piazza del Santo, in direzione dell'angolo setten- 
trionale della facciata. È uno dei più antichi e pregevoli 
monumenti equestri che si conoscano dati dall'arte del 
Rinascimento e degno di stare a riscontro dei monu- 
menti romani del genere, ti-a cui il classico Marco 
Aurelio. Erasmo da Narni, detto per la prudente sua 
furberia il Gattamelata^ fu uno dei più valorosi e 
fidati capitani generali al soldo di Venezia nel se- 
colo XV, cui servì specie nelle lunghe ed ostinate 
gueire contro Filippo Maria Visconti, duca di Milano. 
Venuto a morte in Padova, il figlio e la moglie lo 
vollero onorare con un monumento degno delle sue 
imprese e dell'accumulata ricchezza, all'esecuzione del 
quale venne chiamato il fiorentino Donato di Detto 
dei Bardi, più conosciuto col nome glorioso di Dona- 
tello. E l'opera, che fu il primo grande bronzo fuso 
in Italia dall'arte del Risorgimento, riuscì magistrale. 
Cavallo e cavaliere hanno impronta solenne, imperiosa. 
Il cavallo, nella esecuzione del quale si appuntavano 
per l'artefice le maggiori difficoltà, è riuscito un capo- 
lavoro. Non è un cavallo decorativo o di maniera, come 
se ne sono visti tanti poscia ; ma un vero cavallo di 
guerra, tranquillo, sicuro, vigoroso quale deve essere 
il cavallo di chi ha il supremo comando della battaglia. 



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364 



Parte Prima -^ Alta Italia 



Fig. 129. — Padova : Interno del Cimitero (arch. D. DOMOHi). — Da fotografia. 



Il Vasari dice che esso « nulla ha da invidiare, per 
movenza, disegno, arte, proporzione e diligenza, a 
qualsiasi altro suo simile antico o moderno >. Erasmo 
è rappresentato armato e vestito di corazza, senza elmo 
in testa. Tiene nella destra il bastone del comando, 
additante sopra la testa delKanimale, ed il grande 
spadone gli pende inguainato dal fianco. I critici tro- 
vano alquanto piccola la statua delPuomo in confronto 
del corpo del cavallo ; ma si potrebbe obbiettare che 
Donatello, il quale trasse sempre gli elementi della 
sua arte dallo studio della natura, dalla fedele ripro- 
duzione del vero, più che la statua, nel senso che ha 
la parola, abbia inteso darci il ritratto del suo eroe. 
Ed il Taine, forse di questo avviso, nelle famose sue 
Impressioni d'Italia scrisse che questa statua del 
Donatello « sembra un frammento deirumanità vi- 
vente, che, strappato vivo dal suo secolo, colla sua 
originalità ed energia ne prolunga la vita fino a noi ». 
La vedova di Erasmo, Giacoma leonessa, ed il figlio 
Giovanni Antonio pagarono questo lavoro a Donatello 
1650 ducati d*oro. Semplice, elegante e di linee cor- 
rette è il piedestallo, che contribuisce a dar maggior 
risalto alla statua, che si incornicia magnificamente 
nel severo e tranquillo ambiente della piazza del Santo 
t sul magnifico prospetto della grande Basilica. 



Monumento a Petrarca. — - Sorge sulla piazza 
dei Carmini, davanti alla chiesa, nel mezzo di un bel 
giardinetto. La statua del poeta è in attitudine grave, 
solenne ; il piedestallo è in stile romano ; nei riguardi 
porta i medaglioni di Madonna Laura, di Cola da 
Rienzo e di Giacomo II Carrara, che al poeta diede 
larga ospitalità ed amicizia. È opera lodata delle scul- 
tore Cecconi e venne inaugurato il 18 giugno 1874, 
ricorrendo il quinto centenario dalla morte di messer 
Francesco. 

Monumento Gayonr. — Sorge sulla piazza 
omonima, presso il centro della città. Appena Uberata 
la città dalla dominazione austrìaca, im voto della 
rappresentanza comunale deliberava la erezione dì un 
monumento alla memoria di Camillo Cavour, come ad 
uno dei principali fattori delFindipendenza nazionale. 
Ma la cosa non potè aver effetto, per diflTicoltà finan- 
ziarie, se non molti anni dopo. Il monumento fu affi- 
dato allo scultore Enrico Chiaradia, che modellò con 
molta naturalezza e vigorìa la figura deil^illustre sta- 
tista e la gettò in bronzo. 11 piedestallo, a linee clas- 
siche, è in pietra scura di Viggiù in quel di Varese, 
e spintona bene colla statua. 

Il monumento venne con grande solennità inaugu- 
rato il 20 settembre 18^. 



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Padova 



365 



Fig. 130. — Padova : Monumento del Gattamelata (da fotografia). 



Monumento Garibaldi (fìg. 131). — Sorge sulla 
àDtìca piazza dei Noli, dopo il 1866 ribattezzata col 
nome dell'eroe popolare. E opera dello scultore Am- 
brogio Borghi da Milano. La figura del generale è 
egi'egiamente modellata : a capo scoperto, col tradizio- 
nale ;?07icAo sulle spalle e colle mani incrociate sull'elsa 
della spada, in attitudine di calma pensosa. Il basa- 
àìento è in granito rosso di Baveno, a linee semplici, 
severe ; porta la scritta : A — Giuseppe Garibaldi — 
Padova — 1886. Esso prospetta Tedifizio dell'albergo 
Stella d'Oro, dal quale il generale parlò al popolo nel 
i867, evocandolo al riscatto di Roma. 



Monumento a G. Mazzini. — Inaugurato con 
grande concorso di popolo, il 15 marzo 1903, è sorto 
in Padova un bellissimo monumento a Giuseppe Maz- 
zini, opera dello scultore Rizzo, per lascito di Antonio 
Capellato-Pedrocchi (benemerito cittadino) e con 
largo concorso del Comune. Il monumento consta di 
una bella statua in bronzo, su un piedestallo di gra- 
nito, fiancheggiato da bellissime figure allegoriche pure 
in bronzo. È il più bello fra quanti siano stati eretti 
alla memoria del grande patriota, e sorge presso la 
barriera di C^dalunga, ora intitolata a Giuseppe 
Mazzini. 



Del monumento che Padova eresse al re Vittorio Emanuele abbiamo fatto cenno 
toccando della Loggia del Gran Consiglio, ove venne collocato ; di quelli eretti alle 
glorie di Dante e di Giotto parìammo pure descrivendo la Loggia Amulea, ove ven- 
nero messi in occasione del VI centenario dantesco; di quello allo scienziato e patriota 
Pietro Paleocapa, fu detto nella descrizione del Salone della Ragione ove trovasi. 

Altri monumenti a cittadini illustri, decretati da Padova, sono quelli al Padre 
Barbieri, celebre oratore sacro, sorgente in forma di modesta colonna commemora- 
tiva davanti alla chiesa di San Rocco, eretta nel 1839; a Francesco Piccoli, operoso 
sindaco e deputato, morto nel 1883 in Roma, consistente in una colonna in marmo di 
Carrara sulla quale poggia il busto in marmo del Piccoli ; allo storiografo ed esteta 
Pietro Selvatico, e del sindaco dotto, benemerito Antonio Tolomei, all'Arena; — 
senza dire di quelli già accennati, del Bolzoni, del Calvi, del Cornaro, di Lucrezia 



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Parte Prima — Alta Italia 



degli Ohizzi, dello Speroni e di Tito Livio nel Salone della Ragione e loggie adia- 
centi, e degli altri dedicati ad una serie di insigni personaggi che contornano Pisola 
Memmia al Prato della Valle. 

TEATRI E eiAROINI 

Abbiamo già detto essere antichissima in Padova la tradizione delle rappresen- 
tazioni drammatiche, dappoiché è fama che appunto nel Prato della Valle, nella prima 
metà del secolo XIII, si rappresentassero — per la prima volta di cui si abbia notizia 
in Italia — i misteri a soggetto religioso. Nel processo dei tempi, non mancarono a 
Padova» ove tanta gioventù studiosa accorreva ogni anno, e dove pure in varie cir- 
costanze deiranno si riversava la nobiltà e la ricca borghesia mercantile, di Venezia, 
luoghi in varie guise, secondo le usanze dei tempi, dati alle pubbliche rappresenta- 
zioni di tragedie, commedie dell'arte o a soggetto, e melodrammi. 

Uno dei più antichi teatri di Padova è il 



Teatro Concordi (nella via omonima presso la 
parte centrale della città). — È uno dei più antichi 
teatri di Padova, Fu eretto intomo al 1663 dal mar- 
chese Roberto degli Obizzi e fino al principio del secolo 
scorso fu detto Teatro degli Obizzi, perchè comuni- 
cava, mediante via sotterranea, col palazzo a quella 
patrizia famiglia, ora estinta, appartenente. L*uilimo 
degli Obizzi lasciava, con testamento del 3 giugno 1803, 
ogni suo avere, e questo teatro compreso, ad Ercole III 
d'Ette, duca di Modena, dal quale passò, per sostitu- 
zione, al nipote Francesco IV d'Este e d'Austria. 
Questi nel 18^ Io fece restaurare chiamandolo Nuo- 
vinimo; ma essendo il teatro un condominio coi 
proprietari dei palchi. Il duca dr Modena, non volendo 
altri grattacapi, lo vendette ai palchettisti costituitisi 
in una Società detta dei Concordi, e con questo nome 
funzionò fino al 1885, nel quale anno venne chiuso 
per ragioni di sicurezza. 

Teatro Verdi (già Nnovo). ~ È il maggior 
teatro di Padova e sorge jn via San Nicolò, presso il 
centro, deUa città. Fu eretto dal 1748 al 1751 a cura 
dì una Società di facoltosi e nobili cittadini, che si 
erano riservata la proprietà dei palchi. Ne diede il 
disegno Antonio Cugini di Reggio Emilia, ma ne di- 
resse i lavori Tarchitetto padovano Giovanni Gloria. 
Fu aperto nel 1772. Venne poscia ampliato, e coH'at- 
terramento di vicine casupole si formò la piazza che 
gli sta davanti. Nel 1810 venne restaurato e ridipinto 
dal Bagnara, e dalla Società proprietaria, riformatasi 
coirintroduzione di soci non nobili» ma dellaricca bor- 
ghesia, fu tolto al teatro Taggiuntivo della Nobiltà, 
fin'allora serbato, e fu chiamato semplicemente Teatro 
Nuovo. Nel 1845, crescendo le esigenze degli spet- 
tacoli e del pubblico, ne fti deliberato un generale 
rifacimento, la cura del quale fu affidata airarchitetto 
Jappelli, che non riuscì a soddisfare troppo i commit- 
tenti od il pubblico. Le decorazioni vennero con molto 
buon gusto eseguite dal Paoletti, Essendo sòrti dubbi 
sulla stabilità deiredifizio, il teatro venne chiuso nel 
1877, e dopo molti dibattiti e difficoltà, risolto di 
compiervi un generale grandioso restauro, più ancora 
una trasformazione, la Società proprietaria ne affidò la 
esecuzione all^ardiitetto lombardo Achille Sfondrini, 



Tacdamato autore del Costanzi di Roma e d'altri riu- 
sciti consonili edifizi in Italia ed alFestero. Il lavoro 
dello Sfondrini fu, si può dire, una creazione a nuovo 
e riuscì stupendamente. Oggi il Teatro Verdi di Pa- 
dova è uno fra i più belli ed ampi d'Italia. Stupenda 
è la sala degli spettatori, con una grandiosa vòlta a 
cupola, con vivacità di colorito e leggiadria d'inven- 
zione, dipinta da Giacomo Casa da Bassano, con sog- 
getti tolti dalle opere più acclamate del grande maestro 
al quale il nuovo teatro si volle intitolare. Comodi, di 
buon disegno i palchi ; ricche le decorazioni a stucchi 
ed a marmi; di grande effetto rìlluminazione, che 
non toglie in alcun modo la vista del palcoscenico ; 
ben studiati e comodissimi tutti gli accessori. Anche 
il palcoscenico fu ampliato e trasformato in modo da 
rispondere a tutte le esigenze dei più complicati spet- 
tacoli. A sipario venne rimesso in onore il magnifico 
dipinto dal Cazzotto di Cittadella nel 1847, nel quale 
è rappresentata la festa floreale che si teneva in Pa- 
dova nel secolo XI. Rappresenta un carroccio o ca- 
stello d'amore, nel quale le più belle donne della città, 
con getti di fiori, di dolci, di melarancio, di acque 
odorose, si difendevano dall'assalto dei cavalieri che 
con simili proiettili tentavano di dare la scalata a 
quella facile fortezza. Nelle donne sono ritratte alcune 
fra le più belle signore del tempo, e fra i gentiluomini 
parecdii cittadini illustri ed i poeti Aleardi, Fusinato 
e Prati, che allora, con diversità di temperamento, di 
coltura e di mezzi, costituivano hi triade poetica po- 
polare ed acclamata del Veneto. Il rifacimento dello 
Sfondrini costò alla Società proprietaria la bella sonuna 
di oltre 400.000 lire; ma il risultato fu completo. 
Il Teatro Verdi venne soleniiemente riaperto agli 
spettacoH per la stagione di fiera del Santo nel giugno 
del 1884 coU'opera Aida di Verdi ed il ballo Exeeltior 
di Manzotti. 

Teatro Garibaldi. — È il più popolare e fre- 
quentato dei teatri patavini. Sorge presso il Caffè 
Pedrocchi, in una piazzetta, allato del palazzo delle 
Poste. Ebbe vari nomi e sub! varie trasfonnazioni. 
In origine, dal proprietario fu detto Teatro Duse, poi 
Teatro Sociale e dopo il 1866 prese il nome aUuale. 
Pericolante, fu nel 1882 chmso per decreto prcfetr 



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Padova 



367 



tìzio, ed allora i proprietari pensarono di trasfornoarlo 
in più ampio, elegante, comodo e moderno ambiente. 
La direzione dei lavori fu affidata alPing. Maestri, che 
rifece la sala ed il lucernario, si può dire, in una 
grande armatura di ferro. Le decorazioni sono opera 
del pittore Giacomo Salvador! e d*altri artisti della 
città. La sala può contenere 1800 persone, ha vasto 
palcoscenico, doppio sottoscena, sotterranei con calo- 
riferi, accessi ed uscite facilissimi e può essere adibito 
ad ogni sorta di spettacoli. 



Fig. 131. — Padova : Monuraento a G. Garibaldi 
(da fotografia). 

• Giardini. — Oltre l'Isola Memmia nel Prato della 
Valle, che può considerarsi come il massimo giardino 
pubblico della città, Padova possiede altri giardini, 
dei quali non possiamo esimerci dal tenerne menzione. 
Ricordiamo innanzi tutto il giardino Piazza (via in 
Vanzo), creato dal benemerito cittadino avv. Antonio 
Piazza, raccoglitore appassionato di rarità artistiche, 
iibri, quadri, statue, cimelii, monete, da lui poi in 
gran parte donati al Museo ed alla fiiblioteca del 
Comune. Si entra in questo giardino per un lungo 
viale di alti ed ombrosi platani, nel quale si alternano 
statue simboliche e di personaggi illustri, che conduce 
per un ponte in pietra ad una collinetta artificiale, 
dalla quale si ha un grazioso panorama sulle vicine 
campagne e sui non lontani colli Euganei e sul Bac- 
chiglione, che entra in città per la porta Saracinesca. 
Sulla collinetta havvi un chiosco o padiglione di ri- 
trovo con bassorilievi e fregi del Danieletti. Altri 
viali, ornati dì statue o non, s'intrecciano e scompar- 
tiscono il vasto recinto, nel quale è pure un folto, 
ombroso boschetto di piante esotiche, ove furono col- 
locate artisticamente varie urne cinerarie rinvenute 



in quei pressi, mentre si facevano gli scavi ed i lavori 
necessari alla formazione del bel giardino ; havvi pure 
un meandro ben combinato, e dovunque sono disse- 
minate statue, colonnette con epigrafi e sentenze. 
Punto dominante del giardino è la bella torre che 
Francesco I Carrara fece costrurre a spese del Co« 
mune a presidio della città da quel lato e che era in 
comunicazione coperta col castello. 11 Piazza nel 181 7 
la fece restaurare e vi creò in tomo un piccolo museo 
lapidario, con bassorilievi e frammenti di statue e di 
iscrizioni del periodo romano e medioevale, adoman- 
dola degli stemmi degli Ezzelini, degli Scaligeri, dei 
C^iTaresi, di Venezia e di Napoleone, le signorie che 
dal secolo XI in poi erano passate su Padova. Notevole 
è pure il tempietto ottagonale dedicato ad Apollo, con 
statue di soggetto mitologico in scagliola. 

Altro giardino, dovuto ad iniziatix'a di un bene- 
merito cittadino, è il Giardino Treves. Fu fatto a 
spese dei baroni Isacco e Jacopo Treves de Bonfili, e 
ne studiò il piano e ne ideò il disegno l'architetto 
Giuseppe Jappelli, vincendo non lievi difilcoltà che 
erano date dal terreno relativamente ristretto e dalle 
acque che lo attraversavano, alle quali non era pos- 
sibile mutare il corso. Egli trasse abilmente profitto 
da ogni cosa, e, specialmente per lo sfondo dalle 
cupole delle vicine basiliche di Santa Giustina e del 
Santo, formò, con vallette, monticoli, viali ombrosi, 
macchie d'alberi e radure erbose, un insieme assai 
pittoresco che appaga l'occhio. 

11 Giardino od Orto botanico si stende in un vasto 
spazio fra la Basilica del Santo e quella di Santa 
Giustina. È uno dei più belli e completi d'Italia ed è 
il più antico d'Europa. Venne creato ad uso degl'in- 
segnamenti universitari col titolo di Orto medicinale 
od Orto dei Semplici, con decreto del Senato veneto 
del 31 luglio 1545, ad istanza di Francesco Bonafede, 
il quale sin dal 1533 professava nella Università la 
e lettura dei semplici », corrispondente oggi alla cat- 
tedra di Materia medica e Farmacologia. Allora si 
dava grande importanza alle piante medicinali (dette 
semplici, donde semplicisti coloro che ne studiavano 
le proprietà e le applicavano alla cura delle malattie), 
essendo pressoché canone scientifico del tempo, che 
per ogni sorta di malattia corrispondesse in natura la 
pianta con principii efficaci per curaria e guariria. 
Il Bonafede, dimostrando la necessità di unire all'in- 
segnamento teorico il pratico e lo sperimentale, per- 
suase i Riformatori dello Studio patavino a sollecitare 
dal Senato l'autorizzazione ed i mezzi necessari alla 
fondazione dell'Orto medicinale; e superate le difil- 
coltà ed i pregiudizi dei tempi, la guerra che mai non 
manca degli invidiosi e dei misoneisti contro gli in- 
novatori, l'Orto potè essere un fatto compiuto ilei 1545. 
La cosa fece rumore nel mondo scientifico, e Pisa, 
Bologna, Firenze, Leida ed altre città imitarono tosto 
l'esempio di Padova. L'esecuzione dei lavori necessari 
venne affidata ad Andrea Morone da Bergamo, sotto 
la vigilanza del professore Pietro da Noale e del pa- 
trizio Daniele Barbaro, uno dei riformatori dello Studio. 
L'area dell'Orto occupa oltre 20.000 metri quadrati, 



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868 



Parte Prima — Alta Italia 



ed è bagnata dal canale Alicorno, uno dei derivati dal 
Bacchjglione. Nel mezzo ba un vasto recinto circolare 
con balaustre, muri e pilastri di trachite, comprovanti, 
coUa grandiosità dell'opera, come Venezia fosse larga 
e generosa sempre nelle spese ritenute di utilità e 
di decoro pubblico. Il recinto è tutto diviso da scom- 
partimenti limitati da contomi di trachite e da can- 
cellate in ferro. I compartimenti contengono le piante 
disposte per famiglie naturali. Negli spazi che cir- 
condano il recinto si trovano le serre con e senza 
stufe, le aule per Tinsegnamento, i laboratorii con 
gabinetto per le osservazioni microscopiche, Farbo- 
reto, ecc. ecc. Le serre riscaldate, tutte vetrate, oc- 
cupano una fronte di 140 metri, ed m esse sono 
conservate le più singolari piante tropicali. Abbondanti 
fontane e vasche servono per l'innaffiamento; altre 
vasche sono adibite alla coltura delle piante acqua- 
tiche. Nell'Orto botanico di Padova si conservano 
piante ragguardevoli per età, per mole, per impor- 
tanza scientifica e per i ricordi storici che ad esse si 
legano. Citiamo, ad esempio, l'agno casto {Urtex 
Agnu9 costui), piantato nel 1550, la più antica pianta 
del giardino ed una delle più vecchie d'Europa; il 
grandioso platano, piantato nel 1680, che ha rag- 
giunta una circonferenza di oltre sei metri ed ha nel 
suo tronco una cavità capace di più persone ; la palma 
di Goethe, già illustrata dal Pontedera al principio del 
secolo XVIII e descritta nel 1787 da Wolfgango Goethe 
in quelle impressioni del suo viaggio in Italia che 



sono un vero documento d'onore per il nostro paese g 
la Bignonia grandiflora, pure annoverata e ricordata 
dall'autore di Faust; la secolare Araucaria excelsa, 
venuta dall'Australia e conservata in un'alta tor-^ 
retta; il noce d'America (Caryla olivaeformis), i 
più bello ed alto albero del giardino, che s'accosta ai 
AO metri d'altezza, piantato dal Marsili nel 1760; le 
due prime magnolie che siano state piantate in Italia 
(1750), ed altre molte d'interesse essenzialmente 
scientifico, che qui sarebbe superfluo l'enumerare. 
Ressero o studiarono in questo Giardino botanico 
scienziati illustri, quali Luigi Anguillara, Melchiorre 
Guilandino, Prospero Olfnno, Veislingio, Pontedera, 
De Visiani, Saccardo, ecc. ecc. 

Annesso al giardino è l'istituto botanico per io 
studio, le osservazioni microscopiche e la patologia 
delle piante. Ha un bell'anfiteatro per le lezioni, ima 
ricchissima biblioteca botanica, ritenuta la più ricca 
d'Italia, fornita d'un erbario fanerogamico di 300 fusti, 
di raccolte crittogamiche d'ogni specie, d'una colle- 
zione di piante fossili su esemplari stupendi e rari, 
tra cui la celebre Latanites MaximUiani, considerata 
per il più bello e completo esemplare di pianta fossile 
che si conosca; oltre lettere, studi manoscritti dei 
più celebri botanici di tutto il mondo: Cesalpino, 
Malpighi, Anguillara, Linneo, De Candolle, ecc. ecc. 
Giardino ed Istituto formano una istituzione unica, 
dipendente dalla Università, che non solo onora Pa- 
dova, ma tutta Italia. 



PADOVA BENEFICA 

Già parlando degli edifizi civili più importanti, dei quali Padova si onora, abbiamo 
con larghezza toccato del massimo fra gli istituti di pubblica beneficenza esistenti in 
questa nobile città : dell'Ospedale civile (vedi pag. 336), e non ritorneremo sull'argo- 
mento. Ma resterebbe una lacuna nel nostro lavoro se dovessimo tacere di tutte le altre 
istituzioni mediante le quali in Padova si esplica il sentimento della pietà e dell'assi- 
stenza pubblica per i sofferenti, od in altra guisa abbisognanti di soccorsi e provvidenze. 

Antichissime e radicate sono in questa città le tradizioni benefiche; ed antichi 
documenti degli archivi parlano per lo più di lasciti, di donazioni fatte, a scopi bene- 
fici, ad ospizi per gli infermi, i pellegrini, i lebbrosi; per la custodia e la salvaguardia 
dei fanciulli abbandonati, per il ritiro ed il sostentamento dei vecchi, cui venne a 
mancare ogni possibilità di lavoro e ogni appoggio di parenti e di amici. Di tali istitu- 
zioni si hanno tracce fin dal secolo X; sebbene si abbia argomento di credere che, 
al pari di altre città, Padova ne possedesse anche in tempi assai anteriori a quel 
secolo, in quei tristissimi secoli che furono per la storia non solo del nostro paese» 
ma di tutta Europa, quelli che dal crollo dell'impero romano seguirono fino all'XL 

Ma solo dopo questo l'assistenza pubblica prese in Padova, come nel rimanente 
d'Italia, carattere di vera funzione sociale, permanente, continuativa, per quanto la si 
sia voluta, fin verso lo scorcio del secolo XVII, monopolio pressoché esclusivo del 
clero e delle corporazioni religiose. Da allora in poi le istituzioni benefiche in Padova 
andarono prendendo continuo incremento, moltiplicandosi e perfezionandosi, fino a 
costituire, come al presente, un importante nucleo, dotato di cospicuo patrimonio. 

Oltre dell'Ospedale civile e del Monte di pietà, istituzioni delle quali abbiamo 
già diffusamente parlato, la pubblica beneficenza è esercitata in Padova dai seguenti 
istituti: 1. Congregazione di carità, istituita secondo la legge pel riordinamento delle 



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Padova 86^ 



■^^UtS^^^^M^ 



Opere pie, dopo il 1869, conglobando i patrimòni e le attribuzioni di altre quarantatre' 
fondazioni preesistenti. — 2. Ospedale dei Fate Bene Fratelli^ fondato nel 1821, per 
il rìcoyero e la cura degli infermi. — 3. Istituto centrale degli Esposti: ha origini anti-* 
chissime. Provvede al ricovero ed al mantenimento di esposti illegittimi o reietti dai 
genitori del Comune di Padova; mediante refusione delle spese da parte dei Comuni 
interessati, raccoglie anche gli esposti e i figli legittimi di madri impotenti ad allattare. 

— 4. Istituto Landò Correr Marco, fondato nel 1513, per l'alloggio gratuito, cura 
medico-chirurgica, sussidi in denaro, medicinali ed alimenti a dodici capi di famigliai 
poveri, onorati, non bastevoli al mantenimento della propria famiglia. — 5. Casa di 
ricovero, per vecchi d'ambo i sessi, inabili al lavoro, fondata nel 1821. — 6. Istituto 
dei ciechi, fondato nel 1838 dall'abate Configliacchi; ricovero, mantenimento ed istru- 
zione per fanciulli ciechi delle provinde di Padova, Venezia, Verona, Vicenza, Tre- 
viso, Udine. — 7. Casa di Industria, fondata nel 1821 : mantenimento e sussidio in 
denaro ai poveri incapaci di guadagnarsi per intero il vitto: non dà alloggio. Per essa 
si è costruita una parte nuova nel 1899 su disegno dell'arch. Donghi, in seguito al 
lascito Luzzato-Dina. — 8. Asili infantili, fondati nel 1845. — 9. Orfanotrofio fem^ 
minile di Santa Maria delle Grazie: ricovero, mantenimento, educazione ad orfane 
d'ambo i genitori o d'uno solo. — 10. Istituto Oasparini, convitto per giovani poveri 
di famiglie oneste. — 11. Istituto Vittorio Emanuele II, orfanotrofio maschile, fon- 
dato nel 1878, con istruzione nelle varie arti e mestieri a fanciulli orfani o derelitti. 

— 12. Istituto di Santa Croce, per fanciulle povere, fondato nel 1824. — 13. Istituti 
pii di Santa Rosa, per fanciulle abbandonate dai 6 ai 12 anni, fondato nel 1813. — 
14. Conservatorio di Santa Caterina e del Soccorso, per giovani povere pericolanti, 
fondato nel 1862. — 15. Istituto Camerini Rossi: accoglie, mantiene, educa* fanciulli 
poveri, vagabondi, oziosi; fondato nel 1869. — 16. Collegio Pratense, fondato nel 1394 
dal cardinale De Prata, per alloggio gratuito a studenti poveri, ora trasformato 
in dodici borse di studio a studenti universitari poveri delle Provincie ài Padova, 
Venezia, Treviso ed Udine. — 17. Dodici istituzioni a beneficio di israeliti poveri, per 
ricovero, mantenimento, istruzione, doti, cura medica, ecc. — 18. Opera pia Anna 
Zanandrea, fondata nel 1863, per doti a fanciulle nubendo. — 19. Opera pia Barho^ 
collo stesso scopo della precedente, fondata nel 15% ed amministrata dal Capitolo della 
cattedrale. — 20. Opera pia Cremonese, fondata nel 1846, identica alle due precedenti, 
per la parrocchia di Santa Giustina. — 21. Cucine economiche, con sede in vescovado: 
distribuzione di minestra, carne, pane, gratuita o con buoni di 10 centesimi. — 22. Dor'^ 
mitori pubblici, istituiti nel 1 889. — 23. Istituto dei rachitici. — 24. Patronato pei liberati 
dal carcere. — 25. Scuola per gli infermieri. — 26. Associazione contro Vaccattonc^ggio^ 
con cassa di risparmio a premio per piccoli fitti; ed altre di minore importanza. 

IDROeRAFIA PATAVINA 

(Pinmi/ Ponti, Oanali, Aoaiiedotti). 

La località nella quale sorge Padova, su una pianura, avvallata a sud e con leg- 
gerissimo declivio verso il mare, mentre su di essa convergono corsi d'acqua, come 
il Bacchigliene ed il Brenta, precipitanti da alte e non lontane montagne, e quindi 
facili a gonfiare rapidamente ed agli straripamenti, indusse, fin dai tempi più remoti, 
gli abitatori a difendersi da questo periodico flagello con una ben studiata sistema- 
zioàe delle acque; la quale, pur traendo dalle acque stesse tutti gli utili che sene 
potevano trarre, e per l'agricoltura e per le industrie locali della macinazione, dei 
trasporti colla navigazione, della conceria, della lavanderia; della tintoria ed altri, 
difendesse la città ed il territorio circostante dai pericoli e dai danni del periodico 
rìnnovar» delle piene in seguito alle piogge autunnali. Così fu che in Padova e ael 

86 — L» Patri», toL I, parte 2*. 



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870 ^^'^® ^'i°^^ — ^^^ ^^^^ 



suo agro immediato, fin dai bassi tempi, fin dal medioevo (non sussistendo memorie 
in proposito del perìodo romano) si andarono intrecciando canali, d'ogni portata, e si 
fecero opere idrauliche di grande importanza per inalveare, dividere, esportare le 
acque a seconda della necessità, e regolarle in modo che, salvo casi di piogge e di 
piene eccezionali, città ed agro fossero sempre preservati. 

Il Bacchigliene, come fu già detto, è il principale corso d'acqua che bagni Padova; 
ma poiché nel perìodo comunale i Vicentini, in frequenti guerre con Padova, devia- 
rono il corso del fiume, prìvando la città nemica di quell'acqua, allora indispensabile 
agli usi della vita ed alle opere pubbliche, nel 1314 scavarono il grandioso canale 
della Brentella, che derìvando le sue acque dal Brenta, nei pressi di Limena, ne 
immetteva un grosso fiotto nel Bacchigliene, presso la località di Brusegana, al sud- 
ovest della città. Il Bacchigliene, arrìcchito di queste acque al Bassanello, sotto le 
mura, alla punta merìdionale della città, si divide in due rami: il Tronco Comune^ 
che dopo avere lambito le mura sud-ovest della città, elitra in questa, per la via della 
Saracinesca; e l'altro è formato dal canale della Battaglia (perchè si dirìge a quella 
borgata), scavato nel 1189 dai Padovani, a scarìco dell'eccesso delle acque. 

Entrato in città, dopo averne lambito le mura, dal bastione Alicorno (presso il quale 
si stacca il canale secondario, che da questo bastione prende nome) a quello deUa 
Catena, il Tronco Comune percoiTe dalla barriera Saracinesca al ponte di legno (ora 
in ferro) presso l'Osservatorio astronomico, circa 3S0 m., si suddivide ancora in due 
rami, coi quali circonda il nucleo centrale e più antico della città, formandone un'isola, 
congiunta alle altre parti da una serie di pontL Di questi due rami, il maggiore 
è detto Tronco Maestro, ha un corso di oltre 1800 m. ed è attraversato dai ponti 
seguenti: Ponte Sant'Agostino, presso San Tommaso, ad una sola arcata, molto sol- 
levata sul livello della strada; prima era in legno e fii rifatto in pietra nel 1522; — 
Ponte San Giovanni, presso la porta omonima, detto anche Ponte delle navi, è largo, 
ad un arco; — Ponte dei Tadi, eretto nel 1306, in capo alla via omonima; — Ponte di 
ferro, passerella per soli pedoni, costruito nel 1828, su disegno del colonnello del 
Genio militare austriaco Galateo: fu collocato in questo luogo il primo ponte sospeso 
con funi a filo di ferro; venne sostituito nel 1880 dall'attuale; — Ponte San Leonardo, 
costruito nel 1281, rifatto dal 1464 al 1468; — il Ponte Molino, che è il maggiore di 
tutti. Quivi il Bacchigliene, o Tronco Maestro che si voglia dire, si allarga assai, a 
mo' di Darsena; ed il ponte è lungo oltre 50 metri e largo più di 9. Ha cinque archi 
ed il maggiore ha una corda di m. 4,50 ed una freccia di m. 3,40. Lo si vuole di origine 
romana, e su di esso passava la via Aurelia per Vigodarzere ( Vicus Azzeris e non ad 
novum miliarum) che andava ad Asolo, Feltre, Belluno. Fu restaurato pressoché a 
nuovo nella metà del secolo scorso dall'ing. Sacchetti. Trae il suo nome dai molini 
galleggianti di legno, che erano nelle sue vicinanze, e nei quali, al dire di Sertorio 
Orsato, si macinava < la maggior parte del grano della città, e però particolare resi- 
denza degli asini >. — Ponte dei Carmini, in vicinanza di quella chiesa; dopo il quale, 
per un sottopassaggio alle mura, si unisce col ramo destro al canale Naviglio. 

Questo ha un corso di lunghezza eguale al precedente (circa 1800 m.) e circonda la 
parte vecchia della città dal lato orientale, passando sotto i ponti seguenti: Ponte 
deW Osservatorio astronomico, largo arco in muratura; — Ponte Santa Maria in 
Vanzo, eretto da Francesco Garzonio nel 1717; — - Ponte delle TorriceUe, presso 
la porta omonima, eretto dalla repubblica patavina nel 1210; — Ponte» Passaggio 
San Giorgio; — Ponte San Lorenzo, presso la distrutta chiesa di questo nome: è, 
dopo il Ponte Molino, il maggiore dei ponti patavini, misurando in lunghezza m. 45,22 
ed in larghezza m. 8,80; è antichissimo. Su di esso passava la via Adriana, che con- 
tinuava poi per il Ponte Corbo. Le arcate sono di pietra di Costozza, tagliata a cuneo, 
con inclinazioni convergenti al centro dell'arco; nei restauri praticati nel 1773, si 



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Padova 371 



scopri un'iscrizione del tempo d'Augusto, della quale fu tratto il gesso per il museo, 
recante i nomi delle persone incaricate del collaudo del lavoro; — Fonte Beccherie 
vecchie; — Ponte del Portelletto, di nessuna importanza storica; — Ponte AUinate^ 
antichissimo, a tre archi, lungo m. 38,94 e largo m. 7,77. È il terzo dei ponti creduti 
storici, posseduti da Padova; vuoisi che di là passasse la via Emilia Altinate, che 
conduceva all'illustre città di Aitino distrutta dagli Unni di Attila; ma il Gloria 
asserisce che il nome suo lo ebbe dalla famiglia degli Aitino, che intomo al 1300 
aveva le sue case in quei paraggi; — Ponte della Stufa e Ponte della Punta, senza 
importanza storica. 

I due canali si uniscono fuori della città, dopo le Porte Contarine^ in altro largo 
bacino, sul quale, essendo podestà un Gontarini, furono costruiti i grandiosi sostegni 
che servivano ad alzare ed abbassare le barche, che dal canale Piovego venivano da 
Venezia, o che da Padova per quel canale dirigevansi alla Laguna. U Canale Piovego, 
che lambe per tutta la sua lunghezza le mura settentrionali deUa città, dalle Porte 
Contarine al bastione del Portello, fii scavato nel 1204 dal Comune di Padova, per 
avere una sicura e diretta comunicazione per acqua con Venezia. 

I canali secondari, derivati dal Bacchigliene o Tronco Comune, sono: il Canale 
Alicorno, che dopo essere passato sotto il ponte della porta Santa Croce e sotto Tomo- 
nimo bastione, entra in città, dirigendosi lungo la via Venturina, dopo la quale resta 
per lungo tratto coperto, finché sbocca al ponte dei Papi in Prato della Valle, da dove 
forma il canale antico che gira mtomo all'isola Memmia; compiuto il qual giro, passa 
di nuovo in coperto, per riapparire presso l'Orto botanico; al ponte Corbe, presso 
la porta omonima, si unisce col canale di Santa Chiara. Altri canali minori, derivati 
in varia guisa dai rami principali del Bacchigliene e scorrenti nell'interno della città, 
sono : il Canaletto delle Dimesse, detto anche delle Acquette, che si stacca alla chia- 
vica dell'Olmo, a nord del bastione della Catena; attraversa gU orti Piazza, passa 
sotto il ponte in Vanzo, e proseguendo verso est, unitosi al canale staccatosi dal Navi- 
glio al ponte delle Torricelle, forma il canale di Santa Chiara, che presso il ponte 
Corbe si unisce air Alicorno ; — il Canale delle Torricelle, staccantesi dal ponte omo- 
nimo, entrando per cinque chiaviche a dar moto ad opifici ; passa sotto il Ponte della 
Morte, si unisce al Canale delle Dimesse ed all' Alicorno, formando il canale di Santa 
Chiara, che con tal nome bagna l'Orto botanico, il giardino Treves; passa a tergo 
dell'Ospedale col nome di Canale dei Gesuiti e quindi di San Massimo. — Sottopas- 
sando alle mura, per un bel ponte a tre arcate, presso il bastione di Castelvecchio, 
le acque riunite di questo canale formano il Canale delle Roncajette, che si dirige in 
aperta campagna verso sud, fino a sboccare nel grande canale di Pontelongo. 

Acquedotti. — Ma ad onta di tutte queste acque e della quantità colla quale, sca- 
vando pozzi, si trovano nel sottosuolo di Padova sorgenti, il bisogno di buona acqua 
potabile per gli usi domestici essendosi fatta una necessità igienica, imperiosa, di 
primo ordine per Padova, nel 1886, essendo sindaco il già ricordato avv. Antonio 
Tolomei, su relazione dell'assessore dott. Michelangelo Romanin-Jacour, venne dal 
Consiglio comunale deliberata la costruzione di un acquedotto. I lavori furono con- 
dotti in due anni a compimento dalla Società veneta di costruzione, e l'utile opera 
venne inaugurata il 13 giugno 1888. L'acqua è fornita da fontanili o sorgenti abbon- 
danti ed ottime che si trovano sopra il paese di Dueville, a nord di Vicenza; acque 
che per meati intemi scendono dalle non lontane giogaie prealpine, per affiorare 
improvvisamente in quella verde pianura. Da Dueville, ov' è la presa, per un con- 
dotto libero, coperto, dopo un percorso di chilometri 42,680, l'acqua arriva a Padova 
presso i Carmini, dove dal serbatoio viene innalzata dalle pompe alle vasche di distri- 
buzione sulla torre cosiddetta di Galileo. Di lì passa per le .condutture in tutta la 
città. Le tubazioni hanno uno sviluppo di circa 30 chilometri. Havvi un serbatoio 



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S72 P&rte Prima - Alta Italia 



,di 1000 metri cubi» aumentabile, ove occorresse, fino a 5000. L'acqna arriva in città 
alla pressione di m. 16 alla soglia del palazzo comunale. La convenzione tra il Gomnne 
.e la società costruttrice, alla quale questi paga un canone annuo di lire 25.000, pel 
consumo di 500 metri cubi d'acqua al giorno ad uso pubblico, ha la durata di 60 anni 
dall'apertura dell'esercizio; dopo quel termine l'acquedotto diventerà di proprietà 
del Comune. Quest'opera fu certamente una delle più utili che siansi compiute in 
Padova nello scorso secolo, e toma di grande onore all'amministrazione presieduta dal 
Tolomei, che se ne. fece iniziatrice. 

MURA, PORTE E BASTIONI 

Monumento dell'antica potenza della Repubblica patavina, e poscia della grandezza, 
della munificenza colla quale il Governo della Serenissima intendeva di eBegaiie ì 
lavori ritenuti di pubblica utilità, sicurezza o decoro, è la cinta murata che circonda 
di un grande triangolo a bastioni e cortine la vecchia città romana^ dalla quale si 
partirono gli antichi abitatori di Malamocco, che furono fra i primi creatori della città 
delle lagune. Questa cinta, detta delle Mura nuove, misura 10.120 m., poche centinaia 
di meno del perimetro di Venezia; e, come abbiamo detto, consentirebbero lo sviluppo 
di una popolazione urbana doppia di quella che attualmente non viva in città. 

L'assalto dato a Padova dagli imperiali nel 1509 — quantunque valorosamente 
respinto dalle truppe del presidio e dalla cittadinanza — ridusse a mal partito le 
vecchie mura della città, erette in gran parte nel perìodo comunale, e contro le quali 
si erano appuntate le numerose e nuove artiglierìe tedesdie di Massimiliano d'Austria 
imperatore. Perciò, appena tornata la calma, Venezia, sapendo quanto preziosa ed 
utile fosse per la stessa sua sicurezza l'avere Padova forte, ben guarnita ed in grado 
di resistere ad ogni eventualità, deliberò di riattarne e rifame, ove il bisogno lo 
richiedeva, non guardando a spesa né a difficoltà, le mura, portandole all'altezza dei 
progressi fatti dall'arte della guerra, col crescente numero e col perfezionarsi delle 
artiglierie, in forza e precisione di tiro. Fu quindi dal Senato veneto mandato a 
Padova il provveditore Cristoforo Moro, uomo in queste cose competentissimo, e che 
già aveva lavorato alla fortificazione di Bergamo, di Candia, della Dalmazia, perchè 
studiasse e vedesse il da farsi. Questi si diede subito all'opera; dove le vecchie mura 
.erano smantellate per ì danni subiti nella passata guerra, o cadenti per vecchiaia o 
•per altre ragioni non più rispondenti agli scopi della difesa, quali allora si intende- 
vano, vennero del tutto atterrate. Le lunghe cortine settentrionali ed occidentali 
vennero rettificate in linee pressoché rette, spezzate soltanto dai bastioni a sprone, 
a poligono, vòlti verso quei punti che più potevano essere minacciati dai nemici. Molte 
delle torri antiche, che si alternavano lungo le cortine ai torrioni, furono abbassate 
« demolite, non rispondendo più agli scopi della difesa, secondo quei nuovi precetti 
di guerra, e furono, dalle mura vecchie che ancora erano conservate, tolte le merlature 
che non avevano più ragione di essere. All'interno la muraglia venne sostenuta da 
un largo e forte terrapieno, nel quale poi si nascondevano le polveriere, le casematte 
^ gli altri ripari per le munizioni e gli uomini. Airesterno il muro venne circondato 
da un largo fossato, con acqua corrente tratta dai numerosi canali che solcano la città* 

Il lavoro colossale durò molti anni, e non potè dirsi interamente compiuto collo 
scavo completo delle fosse se non quasi un secolo dopo, nel 1607. 
^ Interessante per le memorie cittadine che si connettono ad esse ed alle varie 
porte è il giro delle mura di Padova, il quale generalmente si fa cominciando dalla 
storica porta del Portello procedendo verso occidente. 

La porta Portello ricorda la liberazione di Padova, il 17 luglio 1509, dagli imperiali 
che l'occupavano. Per questa porta entrarono, condotti da Nicolò Pasqualigo, 300 sol- 
;dati, 300 arsenalotti e 2000 contadini armati in soccorso ài Padova ed a favore di 



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Padova 373 



Venezia, mentre il doge Andrea Gritti, col forte delle truppe veneziane, vigorosamente 
assaliva la città presso porta Godalnnga. L'attuale arco monumentale venne eretto, 
governando la città per Venezia Antonio Loredano, nel 1519. È di bellissime propor- 
zioni e nelle eleganti linee dell'arte del Rinascimento. H Temanza ne attribuisce il 
disegno a Bartolomeo Bergamasco. Sotto, Parco è ornato da due monumenti barocchi, 
e nella fronte estema da stemmi e bassorilievi allegòrici. Il ponte attraversante il 
.canale Piovego, snbito fuori della porta, fu per molti anni levatoio ; Fattuale fu costruito 
nel 1784 sotto il capitaniate di Caterino Gomaro. Da una scaletta presso questo ponte 
scendevano ad imbarcarsi coloro che si recavano in barca a Venezia. La partenza era 
ogni mattina all'alba, ed i via^atori, prima di imbarcarsi, ascoltavano la messa detta 
ad un altarino eretto presso la porta, ora scomparso. Perciò questa era anche detta 
Porta Venezia. 

Procedendo verso nord-est, nelle mura di Padova si trovano il Bastione Piccolo, 
presso il grandioso edificio del Macello pubblico, eretto nel 1821 su disegno assai 
lodato del Jappelli, ed il ponte in ferro sul Piovego, che serve al passaggio della 
^ferrovia a scartamento ridotto Padova-Fusina per Venezia ; il Bastione dell'Arena, 
compiuto nel 1526 e cosiddetto perchè in vicinanza del già ricordato edifizio dell'Arena. 
Questo bastione è ora pressoché spianato e ridotto a ortaglie; nelle vicinanze veggonsi 
le porte Contarine, dove i due rami del Bacchiglione che attraversano la città si uniscono 
per immettersi, mediante quel grandioso sistema di conche e di chiaviche, nel Piovego. 

Al di là di questo bastione si trova la Porta di Codalunga; fu eretta nel 1521, 
costruendosi la grande cortina che è al suo fianco orientale. Anticamente era detta 
Porta della Trinità e sorgeva, alquanto più ad oriente, nella località ove è ora il 
.ponte detto della Bovetta. 

Da questa porta il doge Andrea Gritti, che era alla testa di SOOOfantf, 2000 cavalli, 
400 uomini d'armi e numerosa schiera di cittadini, potè rientrare nella città, riconqui- 
standola a Venezia e sloggiandone gli imperiali, dai quali a nome dell'imperatore Mas- 
similiano era stata occupata il 6 giugno coUe truppe tedesche comandate da Leonardo 
Trlssino. Nel 1549 fu munita di ponte levatoio. Il nome singolare le venne da quella 
lunga sequela di case che dal ponte Molino giunge fino ad essa. Nel 1860, durando 
lancerà la dominazione austrìaca, fu ridotta a barriera coU'attuale disegno dell'archi- 
tetto Cecchini, e ribattezzata col nome di porta Elisabetta, in omaggio all'imperatrice; 
ma il nome non attaccò nel popolo, e dopo il 1866 essa riprese, anche ufiicialmente, 
l'antico storico e popolare suo nome. SuU attico del corpo centrale sorgono due belle 
statue di proporzioni colossali, simboleggianti V Industria e V Agricoltura^ scolpite da 
Xuigi Ferrari. Dal 15 marzo 1903 fu intitolata a Giuseppe Mazzini. 

Poco lungi da questa porta, a nord, è il grande e storico bastione della Qatta^ 
eretto nel 1523, alquanto più a nord di quello rimasto celebre per l'assalto degli 
imperiali nel 1509. Presso l'antico baluardo era un gran terrapieno, la difesa del 
quale, insieme al bastione, fu commessa a Gitolo da Perugia. Questi, dopo lunga 
resistenza, quando vide gl'imperiali, soverchianti per numero, salire sul bastione, colle 
mine che aveva fatto approntare lo mandò in aria e coi suoi radunati, profittando 
del grande sgomento e della confusione sopravvenuta all'inattesa catastrofe fra gli 
assalitori, piombò- su di essi costringendoli a ritirarsi in piena rotta. H nome di 
Bastione della Gatta, secondo il Portinari, lo ebbe dal fatto che durante l'assedio 
postovi dagli imperiali, i difensori, a scherno, avevano legata una gatta sull'asta di 
una lancia piantandola sul terrapieno, e sfidavano gli imperiali all'assalto cantando 
la canzonetta: Su su chi vuoi la gatta 

Venga innaoti al bastione, 
r Dove in cima d*un lanzone 

La vedrete legata... 



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374 I^rte Prima — ÀlU Italia 



Sulla Strada di circonyallazione prospiciente al bastione, su una colonnetta, avanzo 
di una villa già appartenente ai Capodilista e demolita durante quei turbinosi eventi, 
una lapide di Carlo Leoni dice: < Qui fu il baluardo ove i nostri — con tanto libero 
sangue — sconfitto Massimiliano — punirono Vinfamia di Cambre — e Vaggressione 
straniera — 1509 — 29 settembre memorabile. Intorno al basamento della colonna si 
legge: Abbattuta dal vandalismo austriaco la notte 12 gennaio 1859, trionfalmente 
risorse nel 1866. Sul bastione ora sorge una grande birraria con annesso teatro popolare. 

Sul lato occidentale delle mura seguono i bastioni di Primo Moro, detti anche del 
Bersaglio perchè vicino al luogo ove, secondo il Portinari, < li bombardieri padovani 
in certi determinati giorni sì esercitavano nel tirare di artiglieria >. È pressoché 
rovinato; — Bastione Secondo Moro, detto anche dei Crociferi, perchè vicino alla 
chiesa di questo nome; tanto il primo che questo vennero eretti sotto la direzione 
di Giovanni Moro, capitano delle armi venete; — Bastione delV Impossibile, costruito 
pur esso dal Moro suddetto. Si chiamò àeìV Impossibile stante le gravi difficoltà incon- 
trate nelle sue fondazioni a cagione della natura molle, paludosa del terreno, che 
quasi fece disperare dell'opera. Fu smanteUato con mine dai Francesi, nel 1801, 
insieme a quelli Savonarola, San Prosdocimo e San Giovanni, che lo seguono procedendo 
verso sud. 

Nella linea deUe mura vòlta ad occidente, si apre prima la porta Savonarola, per 
la quale si va al Camposanto cattolico, aperto nel 1812, ma rinnovato negli ultimi anni 
del secolo scorso in istile gotico-lombardo su disegno deiring. Donghi. Questa porta 
venne eretta sul disegno di Giovanni Morra Falconetto, nel 1530, essendo podestà di 
Padova Piramo da Lezzo. Prese il nome del palazzo che in queste vicinanze aveva 
la famiglia Savonarola, dalla quale venne il ramo ferrarese da cui uscì Fra Gerolamo. 
È d'ordine Composito, ma piuttosto pesante. Sul frontone si vede il luogo ove era 
impostato Taltorilievo del leone di San Marco, stupidamente scalpellato nei furori 
ultragiacobini del 1797. Il ponte in pietra davanti alla porta, fu eretto in luogo di 
quello in legno nel 1787, essendo capitarne e vice-podestà Caterino Comare; — Bastioni 
della Savonarola e di San Prosdocimo, eretti nel 1528, ma rifatti ad angolo nel 1562 
per volontà del colonnello elusone, comandante la piazza. 

A metà, si può dire, del lato occidentale delle mura patavine si apre la porta di 
San Giovanni, detta anche dei Monti, perchè da questa esce la strada che si dirige 
ai colli Euganei. Da questa porta fuggirono Anseudisio e gli altri fautori di Ezzelino, 
quando i Crociati guelfi vittoriosi entrarono in città per la porta Altinate. Fu eretta 
nel 1628, essendo capitanio Sante Contarini, su disegno di Giovanni Maria Falconetto, 
che, salvo l'ordine, la fece di proporzione e di linee simile a quella precedente dei 
Savonarola. Il nome dell'architetto è scolpito sulle alette dell'arco. Un'altra iscrizione 
sull'attico ricorda che la porta fu eretta ducando Andrea Gritti. Per questa porta 
si va al Cimitero israelitico, costruito nel 1862 coi disegni dell'ingegnere Gabriele 
Benvenuti. 

Seguono il Bastione di San Giovanni e quello della Saracinesca, circolare, presso 
il quale si apre la barriera della Saracinesca. Quivi sorgeva una porta, aperta nelle 
mura, eretta nel 1258 dal Comune di Padova, compita e munita di torri nel 1337 da 
Marsilio Carrara, la quale si chiudeva mediante una pesante inferriata che veniva 
calata dal vòlto della soprastante torre. Da ciò il nome rimasto al bastione vicino 
ed alla barriera, aperta, sul luogo della porta, nel 1888. Questa è larga, con tre 
ampie balaustrate per ì carri ed i pedoni. Vicino ad essa il Bacchigliene, col nome 
di Tronco Maestro, entra in città; — Bastione Catena, cosiddetto perchè alla sua 
altezza veniva tesa la catena che impediva alle barche od agli altri galleggianti del 
Bacchigliene di entrare in città, ingombrando i canali intemi; — Bastione Ghirlanda^ 
prospettante i colli Euganei. 



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Padova 375 



La punta meridionale delle mura di Padova è formata dal rotondeggiante Bastione 
Alicorno^ sorgente presso la chiusa porta di Santa Croce. Prende il nome dal canale 
Alicorno, derivato dal Bacchigliene nelle sue vicinanze. Fu eretto, o per meglio dire, 
rifatto nel 1563, poiché quivi, prima ancora del 1441, esisteva una torre, come altre 
ne esistevano lungo l'antica cinta, nei luoghi per lo più segnati dagli attuali bastioni, 
press'a poco. 

Vicino al bastione Alicorno è la barriera Vittorio Emanuele, aperta nel 1885, in 
sostituzione della vecchia porta di Santa Croce. Per la barriera Vittorio Emanuele si 
va al popoloso ed industre sobborgo del Bassanello, ove fa capo la linea del tramvai 
a cavalli, attraversante Finterà città dalla stazione ferroviaria dell'Adriatica, e dovè, 
dal Bacchigliene, si stacca il canale della Battaglia. 

La porta Santa Croce è ricordata fra le più antiche di Padova. Nel 1359 Fran- 
cesco I Carrara la fortificò con una altissima torre esagona, dalla quale, dominando 
per vasto spazio sulla bassa sottostante pianura, le scolte che vi- stavano giorno e 
notte davano segnali ai presidii della città, prevenendo le sorprese dei nemici. L'at- 
tuale edifizio fu costruito essendo provveditore Bartolomeo Alviano, e, morto questi, 
ultimato nel 1517 dal suo successore Giuliano Gradenigo, capitano delle armi venete. 
Per questa porta gli imperiali, guidati dal Lang, vescovo di Gurk, tentarono nel 1513 
di impadronirsi, con un'ultima sorpresa, della città; ma il colpo non riuscì. Da porta 
Santa Croce entrarono in veste di liberatori, il S8 aprile 1797, i Francesi di Bonaparte, 
e per questa porta entrò in Padova, il l^' agosto 1866, il re Vittorio Emanuele IL Una 
lapide ricorda il fatto. 

A dominare e proteggere la porta Santa Croce dal lato di oriente, sorge il gran- 
dioso bastione (detto appunto di Santa Croce), fatto erigere, tra il 1550 ed il 1554, 
dal senatore Malpiero, dal celebre architetto militare, o ingegnere delle fortificazioni 
della Repubblica Serenissima, Michele Sanmicheli. 

Seguono i bastioni, senza importanza storica, di Santa Giustina e di Ponte Corbo: 
vicino al quale è la omonima porta di Ponte Corbo. Questa ha pure ricordo fra le più 
antiche di Padova; Fedifizio attuale è pure antico e mostra ancora nei suoi fianchi 
le feritoie e le scanalature per le catene e le stanghe del ponte levatoio. 

Ad oriente di questa porta, e sotto la servitù militare, sorge il Bastione Cornavo^ 
eretto sui disegni di Michele Sanmicheli, il quale ne diresse le fondazioni e, per 
buon tratto, anche la costruzione. Il lavoro venne compiuto nel 1556 dall'architetto 
Paolo da Castello, il quale ne curò anche il riempimento e l'erezione dei terrapieni 
necessari al funzionamento delle artiglierie. Reggeva allora la città il patrizio veneto 
Gerolamo Comare, dal quale il bastione prese il nome. È ancora solidissimo, e dai 
competenti è citato come un modello del genere, col quale Sanmicheli avrebbe preceduto 
di quasi due secoli il tanto acclamato architetto. militare francese Vauban. Il Vasari, 
che nella vita del Sanmicheli fa una minuta descrizione delle sue opere, toccando 
di questo bastione dice: < Imperocché il modo di fare ì bastioni a cantoni fu invenzione 

di Micheli, perciocché prima si facevan tondi fu anche sua invenzione il modo di 

fare i bastioni con le tre piazze ; il qual modo di fare è poi stato imitato da ognuno >. 
Sul bastione Cornaro sonò oggi edifizi di uso militare. 

Più oltre, proseguendo sempre ad oriente, si trovano il Bastione di Castelvecchio, 
indi, verso nord, il Bastione di Castelnuovo, e più oltre quello del Portello, costruiti 
insieme all'afta cortina che li unisce, nel 1519, durante il capitaniate di Marcantonio 
Loredano. Sono tutti e tre a forma circolare e la cortina che li unisce è rettifila. 
Questi bastioni, come la cortina, hanno la fronte vòlta verso oriente. 

Intorno alla cinta murata della città, seguendo quasi sempre la linea delle mura, 
salvo le deviazioni imposte dalle accidentalità del terreno e dai corsi d'acqua che 
s'intersecano intorno a Padova, corre una bella ed alberata strada di circonvallazione» 



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376 Parte Prima — Alta Italia 



dalla quale è pure agevole farsi un'idea esatta, malgrado il deterìol^amento del loro 
stato attuale, afrettato in parte anche dalla ormai riconosciuta inutilità, quali difese 
della città, con quanta larghezza di concetti e di mezzi il Governo veneto provvide 
alla sicurezza di 'Padova, quando tali opere, costosissime, avevano, o si credeva die 
avessero, grande efficacia difensiva. 

CENNO STORICO 

Grandi discussioni e disquisizioni scientifiche nel passato furono fatte sulle origini 
di Padova; e ad accrescere ed afifastellare il cumulo delle ipotesi, delle induzioni con- 
traddittorie, delle leggende inverosimili ed incontrollabili create intomo alle origini 
della antica città veneta, contribuì certamente il fatto della numerosa schiera di uomini 
dotti, vissuta sempre tra le sue mura intomo alla celebre sua Università. 

Relegata subito tra le favole più assurde ed inverosimili, la leggenda eh' ebbe sì 
gran credito nel medioevo, delle origini trojànè di Padova, fondata dal profugo Ante- 
nore e dai suoi compagni: leggenda sulla quale riposa omai tutta la fama scientifica 
e letteraria di messer Levato, il dichiaratore delle ossa ed il costruttore della tomba 
di Antenore, è ragionevole, per rintracciare fin dove è possibile il filo delle origini 
patavine, risalire, colla scorta della indagine critica ed etnografica, ben più in su dei 
tempi delineati dalla antica rapsodia omerica, per giungere alla ricerca delle prime 
popolazioni immigrate, nella regione man mano che le, alluvioni, sollevandone il livello 
e cacciandone il mare, la rendevano abitabile agli esseri umani delle età primitive: agli 
uomini delle caveme e delle palafitte. Ci accostiamo quindi ai primi periodi dell'epoca 
quaternaria del nostro globo, che si lasciano di molto addietro gli eroi favolosi di una 
civiltà già evoluta, quale appare quella cantata da Omero, del mondo trojano, già recente 
per noi al confronto delle più antiche civiltà, di cui si sono ora trovate nuove tracce 
in quella gran culla della umanità che fu l'Asia. Che queste prime razze umane abita- 
trici dei colli Euganei, dei Berici, delle prealpi vicine, delle sottostantì pianure sino al 
mare (assai più in dentro di quello che ora verso terra non sia) non siano venute dal- 
l'Asia, per quel processo migratorio, durato tanti secoli, della umanità asiatica da oriente 
verso occidente, non è possibile ora dubitare. Tutte le tradizioni più serie ed antiche, 
tutte le indagini paletnologiche, antropologiche, etnografiche che si poterono fare in. 
proposito tendono a raffermare con sicurezza scientifico-positiva il fatto. Le ragioni di 
quell'immenso secolare riflusso umano dall'oriente all'occidente, dal quale il nostro 
paese, per la singolare sua posizione geografica, e per la sua speciale conformazione 
topografica, potè più vdte facihnente essere investito, restano ancora alla scienza 
moderna. Ma il fatto non è men vero per questo : ed al fatto assodato delle origini 
asiatiche dei primi abitatori, sì al monte che al piano della regione veneta, si riattac- 
cano con filo tenuissimo le origini di Padova, che fu senza forse la prima città, il primo 
centro popoloso, il clan, costituito da quelle genti antiche e primitive nella regione 
veneta. La posizione di Padova sulle rive di un fiume, abbastanza navigabile ancora 
oggi, e forse assai più nel passato, non lungo dai colli Euganei e dalle propaggini più 
avanzate delle prealpi, e ben più vicina al mare — od alla laguna — di quello che ora 
non siano, spiega, per la radono degli scambi, sia pur mdimentali, ma sempre esistiti 
nei consorzi umani, la necessità e la formazione di questo centro. Non indagheremo se 
la creazione di questo primo centro mercantile sia dovuta agli asiatici Euganei od agli 
asiatici Veneti che li seguirono e forse derivanti da un medesimo ceppo : mancano gli 
elementi per farlo. Fors'anco fu l'incontro, la combinazione delle due famiglie che creò 
il centro nuovo. Dal senso, rimasto nel succedersi delle generazioni fra i secoli, della 
grande antichità della città, ne scaturì, nel periodo della civiltà greco-romana — 
poiché si credeva allora che tutto avesse avuto un principio definito (e non per gradi 



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Padova 377 



ed evoluzioni) e poiché quella civiltà riconosceva per uno dei suoi punti di partenza 
Péra degli eroi omerici — la leggenda delle origini troiane, per mezzo di Antenore e 
seguaci suoi, data alla città. Più oltre non si poteva risalire : dopo Fepoca di Troia, 
per la civiltà di allora, c'era il salto del buio, nell'ignoto che nessuno voleva afrontare. 
Più antica di Troia, Padova non poteva essere: mentre è per noi assai verosimile che 
quando il < superbo niione fu combusto ed arso > Padova, quel centro di famiglia 
umana che con quel nome si è venuto fra i secoli designando, esistesse già da diecine 
di secoli. 

Chi cercasse, fuori da queste induzioni da noi rapidamente esposte, le tracce 
delle origini di Padova nelle fantasticaggini etimologiche fatte nel passato intomo 
a questo nome ne verrebbe ancora meno a capo. Noi, senza andare a cercare le 
derivazioni asiatiche, paflagoniche, greche, sulle quali si accapigliarono gli scienziati, 
gli eruditi del passato, nutriamo la modesta opinione che la città tragga il suo nome 
dalla antichissima voce indìgeta Padu$, colla quale fu chiamato sempre il nostro 
gran fiume Po, il creatore della più gran valle italiana, il quale, anticamente, è pro- 
vato, scorreva assai più a nord di quello che oggi non sia, e quindi assai più vicino 
alla città: che pure dal nome del gran fiume, per affinità, si indicassero anche gli 
altri corsi d'acqua che, come l'Adige, il Bacchigliene, il Brenta, scorrono nel terri- 
torio immediato della città. 

Allontanata la leggenda di Antenore, le prime notizie storiche che si abbiano 
intomo a Padova ed al suo popolo vengono raccolte dagli autori romani, da Plinio 
e da Tito Livio, e risalgono all'anno 390 av. C, nel quale i Patavini, unitisi ad altri 
Veneti, che avevano sempre fronteggiata la invasione gallica, penetrati nella Gallia, 
mentre Brenne marciava trionfalmente su Roma, lo costrinsero a fare in fretta e furia 
la pace coi Romani, ed a ritornarsene sui suoi passi. 

Tito Livio, del quale non si deve peraltro obliare la < patavinità >, racconta che 
nell'anno 302 di Roma i Patavini < i quali a cagione delle inimicizie continue coi vicini 
confinanti Galli stavano sempre in armi, sconfissero a Porto Edrone — l'attuale 
Chioggia — l'armata di Cleonimo re di Sparta, il quale, dopo avere coi suoi Greci 
pirateggiato sulle coste dell' Apulia saccheggiandone le città, era colle sue navi risa- 
lito fino alle coste venete. La disfatta di Cleonimo, secondo il grande storico, fu 
completa: con poche navi potè ritomare in patria. I rostri di quelle rimaste preda 
dei Padovani furono da questi portati in città e deposti ad omamento del tempio 
di Giunone. Questo fatto lascia adito alla induzione di una maggiore vicinanza al 
mare, di quello che attualmente Padova non abbia: e della conseguente possibilità 
che in quel tempo i Patavini avevano di armare navi da battaglia. A ricordo di questo 
fatto vuoisi fossero istituite le feste navali sul Bacchigliene, che durarono sino al 
secolo XIL 

Rimarchevole è la storia di Padova nel periodo romano. Il passaggio di Venezia sotto 
il dominio di Roma avvenne quasi dovunque pacificamente, dopo che Roma (a. 222 a. C.) 
ebbe compiuta la conquista della Gallia Cisalpina. Ormai abituati a considerare i 
Romani quali amici ed alleati nelle loro lunghe contese coi Galli cisalpini, i Veneti 
si assoggettarono volentieri a quella dominazione, che per essi, rispettando molti 
diritti e consuetudini loro, ebbe essenzialmente carattere di amichevole protettorato. 
Infatti, pochi anni dopo a Canne (218) combattevano valorosamente per Roma, al dire 
di Silio Italico (Guerra Punica, lib. Vili), molti Patavini, fra i quali per valore si distinse 
Ascanio Pediceno. Più tardi, nel 174 a. C, essendo s6rti fra i Veneti delle varie città 
gravi dissidii che minacciavano di ti*ascendere in guerra civile, il Senato romano 
mandò quale arbitro e pacificatore il proconsole Marco Emilio Lepido: e la voce 
pacificatrice di Roma fu ascoltata. Nel Museo d'Este, così ricco di cimelii dell'era pre- 
romana e della romana, in questa regione, si mostra, fra le più belle memorie di 

87 — Ia Pairlay voi. I, parte 2*. 



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378 Parte Prima — Alta Italia 



quest'ultimo perìodo, la pietra confinale tra i Patavini e gli Atestini, posta sulla più 
alta vetta dei colli Euganei — il monte Venda — nel 141 a. C. dal proconsole Lucio 
Cecilie, per decreto del Senato e del popolo di Roma. Neiranno 89 a. C, per la legge 
promulgata da Gneo Pompeo Strabene, Padova fu dichiarata colonia romana; nel 45 a. C.» 
per la legge Giulia, municipio, ascritto alla tribù Fabia — delle più illustri fra le 
famiglie romane — e numerose lapidi, che tuttodì si conservano, attestano il fatto. 
Padova parteggiò per Cesare nella guerra civile accesasi fra lui e Pompeo ; ma, morto 
il dittatore, Padova come gran parte del Veneto parteggiò per la repubblica, oppo- 
nendosi a Caio Asinio Pollione che, quale luogotenente di Marc' Antonio, era entrato 
nella Venezia in armi, col proposito di ridurla all'obbedienza di quel nuovo aspirante 
alla successione nella dittatura cesarea. I ricchi, pavidi fra quei torbidi, abbandonarono 
la città stimando inutile la resistenza; Pollione impose larghe taglie incrudelendo 
vanamente con tormenti sugli schiavi per sapere ove fossero nascosti i tesori dei 
padroni. Il rapido tramontare della fortuna di Marc' Antonio, di fronte al sorgere del 
nuovo astro, Ottaviano, liberò Padova da quella tirannide soldatesca: ed un decreto 
di Ottaviano, non peranco Cesare ed Augusto, ma sulla via di diventarlo, dichiarò 
Padova per l'avvenire libera da qualsiasi magistrato, proconsole o preside romano, 
padrone il suo municipio di darsi leggi proprie. 

Durante l'Impero, Padova fu certamente una delle città più illustri del mondo 
romano: e molti personaggi, che in quel periodo ebbero parte eminente nelle varie 
vicende, furono di Padova, od in Padova ebbero uffici e coprirono grandi cariche. 
Sotto l'impero di Augusto, Padova fu illustrata dal suo concittadino Tito Livio, il cui 
nome solo basta a formare la gloria di una città e di un'epoca, morto nell'anno 18 
di Cristo, a Teolo sui colli Euganei, settantacinquenne, dopo avere lasciato nelle sue 
Deche uno dei più grandi monumenti storici e letterari che la civiltà latina possegga. 
Fu seppellito con pompa solenne nel Campo di Marzio (Prato della Valle) di Padova. 
La città era magnifica, il suo territorio opulento. Vi si potevano levare al bisogno 
120 mila combattenti e le necessarie vettovaglie. Più di 500 cittadini erano ascritti 
all'ordine equestre, e molti i patrizi insigni e gli uomini consolari. La città aveva 
templi magnifici ed archi di marmo, teatro, anfiteatro, terme e portici, doviziose 
magioni ed un Foro sontuoso per marmi, colonne, statue, del quale si rinvennero gli 
avanzi — illustrati dal Selvatico — allorché si scavarono le fondamenta per l'erezione 
del caffè Pedrocchi, destinato a continuare, per singolare coincidenza, la tradizione 
della virtuale centralità della città, dell'antico Foro, nel tempo nostro. In quel fio- 
rente periodo facevano capo a Padova le grandi strade romane : Postumia, Gallica^ 
Claudia Augusta, Emilia Altinate, aperte nell'ultimo secolo della repubblica; e i 
quattro ponti già da noi ricordati davano accesso alla città. Non di rado gl'imperatori 

— specie nel periodo della decadenza, quando troppo di frequente erano costretti a 
muoversi da Roma per combattere i competitori ed i facili pretendenti alla porpora 

— soggiornarono in Padova. Costante vi fu più volte: da Padova, Graziano, Valenti- 
niano ed Onorio datarono taluni dei loro decreti e leggi comprese nel Corpus juria. 

Cittadini illustri di Padova, nel periodo imperiale, oltre il grandissimo Tito Livio, 
sono : Cecino Peto, che, accusato e condannato per delitto di lesa maestà sotto Claudio 
imperatore, esitando a togliersi la vita prima del supplizio, fu vinto dall'esempio della 
moglie, Arria, che, trafittasi sotto i suoi occhi, gli porse il pugnale sanguinante dicendo: 
Pete, non dolet ; Trasea Peto, proconsole in Asia, filosofo e storico, fatto per sospetto 
uccidere da Nerone, ed immortalato da un passo di Tacito, che disse avere Nerone 
spenta in lui la stessa virtù. Sua figlia Fannia, moglie ad Elvidio Prisco, fu donna 
virtuosissima, e da Plinio, in quel tempo di irrompente corruzione, preposta quale 
modello di sposa e di madre. Dello stesso tempo fu pure, lodata da Plinio, la pado- 
vana poetessa Serrana Procula, ed i poeti Valerio Fiacco, e Lucio Arrunzio Stella, 



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Padova 879 



console e decemviro a Roma, imperando Traiano. Gli ultimi tre secoli della grande 
decadenza romana passarono in Padova senza che avvenimenti di importante rilievo 
politico e sociale quivi si compissero: od almeno, senza che di essi, se ve ne furono, 
restasse memoria. 

Ma precorsero alla catastrofe di Roma le invasioni barbariche, che cominciarono 
a rovinare e distruggere le più belle città, che come gemme rendevano più prezioso 
il serto imperiale della città etema. Attila, dopo avere assediata e messa a ferro e 
fuoco la grande e bella e possente Àquileja, dirigendosi nella sua corsa di distruzione 
e di morte su Roma, assaltò, saccheggiò ed incendiò Padova: che, non ancora rifatta da 
tanta iattura, nuovi danni ebbe dalle bande di barbari raccogliticci di Odoacre, mar- 
cianti su Ravenna, a mettervi fine, con una breve tragedia, all'ultima parvenza dell'auto- 
rità imperiale, nell'imbelle, semibarbaro figlio di barbari, imperatore fanciullo, Romolo 
Augustolo. Alla fugace signorìa di Odoacre, rex gtntium, succedette quella più forte, 
illuminata e militarmente organizzata di Teodorìco e dei suoi Goti; alla quale tutta 
Italia, impotente a ribellarsi, dovette piegare il capo. Fu il momento di fulgore per 
Ravenna, eretta a capitale di fronte a Roma detronizzata, nella quale il re goto, 
romanizzante, vinto o temente della maestà dei confronti e dei rìcordi, non osò mai 
insediarsi, alternando la sua dimora tra la città adriatica e Verona. Fu questo il 
periodo tristissimo delle città venete : di Padova, di Adria, di Oderzo, che, sulle strade 
più battute dai barbari incursori, furono in gran parte disertate dai loro abitanti, i 
quali cercarono sulle isole della vicina laguna, da Malamocco a Dorsoduro, a Oli- 
volo, a Grado, più sicuro rifugio; dando origine a quella gloriosa e forte repubblica, 
che qualche secolo dopo doveva essere il più gran baluardo della cristianità d*occi- 
dente contro la barbarie musulmana e la dominatrice amata e generosa di tutta la 
regione veneta. 

Già sotto Teodorico, negli ultimi anni del suo regno, diventato sospettoso degli 
Italiani e di tutto ciò che contro la dominazione gotica si riattaccava ai ricordi della 
indipendenza, delle leggi, delle glorie di Roma, si manifesta il movimento di reazione 
politico-religiosa degli Italiani contro la dominazione militare gotica. Le città che più 
erano per il lustro ed i privilegi passati attaccate alla tradizione romana, diventa- 
rono altrettanti centri di opposizione alia signoria straniera, altrettanti focolari di 
aspirazioni non bene determinate di indipendenza, che si concretavano nelFideale di 
una restaurazione delllmpero per fatto degli imperatori bisantini, che ancora sulla 
grande bilancia politica di allora rappresentavano ed integravano come derivazione 
primigenia la continuità della tradizione romana. Padova, ch'era stata municipio 
romano dei più illustri e che male poteva adattarsi alla servitù militare dei Goti, fu fra 
le prime a manifestarsi in questo movimento nazionale: e quando Belisario, mandato 
da Giustiniano, per invito degli Italiani — o Romani come dicevansi ancora — a com- 
battere in nome dell'Impero i Goti, Padova si dichiarò pei Greci, e festeggiò la 
vittoria del capitano bisantino su Vitige re dei Goti, sottraendosi al dominio di questi. 
Ma Totila, il vittorioso re di quella forte gente ariana, nel breve sopravvento che 
potè avere al richiamo di Belisario sui Bisantini, fu sollecito a punire Padova della 
sua disobbedienza, assediandola e saccheggiandola, e costringendola alla sottomis- 
sione. Morto Totila in battaglia, le cose dei Goti in Italia — ov'era generale il movi- 
mento contro di loro — precipitarono. Fu allora facile all'eunuco Narsete, poco 
appresso, il concludere trionfalmente la campagna, costringendo la gran massa dei 
Goti all'esodo dall'Italia. Nel 553 Padova era libera dai Goti, sotto la signoria del- 
l'imperatore d'Oriente, rappresentato in Italia dall'esarca sedente in Ravenna e da 
numerosi ufficiali e funzionari, che, contro il pensiero e la volontà del celebre racco- 
glitore dejla legge romana, dell'autore delle Pandette, furono la peste ed il flagello, 
che agli Italiani fecero rimpiangere il governo, per quanto duro e barbaro, dei Goti. 



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380 P^i^ Prima — Alta Italia 



Nondimeno, per quanto disillusi sul conto dei Bisantini, gli Italiani, e quelli delle 
maggiori città in ispecie, più devoti alla tradizione romana, resistettero a lungo contro 
rinvasione e la dominazione longobarda provocata dalla vendetta del vecchio Narsete 
che gli intrighi della Corte imperiale avevano richiamato nel gineceo. Così Padova, 
fino al 600, restò soggetta ai Bisantinì; nel qual anno, Agilulfo, il nuovo re elettosi 
dal popolo longobardo, avendo rotta la pace colPimperatore Maurizio, e guerreggiando 
contro Tesarca di Ravenna Callinico, pose assedio a Padova, fedele ai Greci, cui investì 
con un gran numero di botticelle di bitume acceso, che cadendo sopra le case di 
legno e coi tetti di paglia, com'erano in gran parte le città dei bassi tempi, vi appiccò 
il fuoco. Gli abitanti dovettero in gran parte fuggire cercando scampo nella non lon- 
tana isola di Malamocco, ove al tempo delle incursioni unniche e gotiche altri Pado- 
vani eransi ritirati e s'erano stabiliti. Fu agevole quindi ad AgUulfo, rimasto nella 
tradizione longobardica colFappelIativo di Pio, il prendere la città e completarne la 
rovina abbandonandola al saccheggio deUe sue truppe, e facendone trucidare quanti 
cittadini si fossero trovati colle armi alla mano in difesa delle loro case, dei loro averi, 
delle loro donne (600). Da quel disastro la città parve annientata, e quei cittadini 
che non s'erano rifugiati nelle lagune, abbandonando quelle rovine, si trasferirono a 
Monselice, a cui fu pure aggregato il territorio patavino. L'amore del natio loco, come 
quasi sempre avviene, richiamò in momento più calmo i profughi patavini all'antica 
città, di cui si diedero a risarcire le mura, rialzare le torri, le case e restaurare le 
chiese ; ond'è che regnando Rotari nel 636, la città era di nuovo popolata e fiorente, 
ed i suoi abitanti seguivano parte la legge longobarda e parte la romana; pei primi, 
governava le cose del culto un vescovo ariano, per gli altri, un vescovo cattolico. Il 
dualismo religioso scomparve afiatto quando, sull'esempio dei loro re, i Longobardi 
abbandonarono l'arianesimo abbracciando il cattolicismo. ' 

L'ultimo secolo della dominazione longobarda fu per Padova un'era di fecondo 
raccoglimento non interrotto da alcun triste avvenimento saliente, se dobbiamo cre- 
dere al silenzio che intorno alla città serbano i radi storiografi del tempo. Solo è noto 
che regnando il piissimo Luitprando (712) Padova trasse giovamento dagli accordi 
commerciali che quel re aveva saputo stringere colla nascente Repubblica di Venezia, 
che quasi sola in quel periodo di grande depressione economica e morale cominciava 
a battere coi traffici, in cerca di ricchezza, la via dei mari. Fu un periodo di silenzioso 
raccoglimento, nel quale la città, riavendosi dalle passate disgrazie, potè rafforzarsi e 
prepararsi a ben maggiori vicende per il periodo successivo, di generale risveglio per 
l'Italia settentrionale e media. 

Sullo scorcio del secolo Vili la dominazione longobarda crolla sotto i colpi di un 
nuovo invasore potente e di genio, favorito dai voti e dal desiderio — non lo si può 
negare — di quella grande maggioranza degli Italiani che, fedeli alla tradizione ed 
alle leggi romane, non cessavano dal vedere nei Longobardi, nemici della Corte romana, 
nemici dell'impero bisantino, che degli stranieri, duramente oppressori, nemici loro e 
della loro fede. In meno di due anni (774-76) Carlomagno, re dei Franchi, aveva atter- 
rata la monarchia militare dei Longobardi: costretto il re Desiderio a chiudersi e 
morire in un convento, Adelchi, figlio e socio di Desiderio, a ramingare nel mondo, 
tentando invano una riscossa di sua gente; e debellati i duchi, o i più potenti capi 
militari longobardi, tra cui Rotgando duca del Friuli, dal quale tdlora dipendeva 
Padova ed il suo territorio. A spezzare la compagine militare e politica delle trentasei 
duchee longobardiche, Carlomagno introdusse in Italia il sistema più sminuzzato 
delle marche e delle contee feudali, già da lui applicato in Francia e negli altri Stati 
d'oltralpe del suo grande impero. Padova ebbe perciò il suo conte dì nomina impe- 
riale, soggetto all'obbedienza del marchese del Friuli. Essendo fra le città che avevano 
favorito il mutamento, ed accolto, per odio ai Longobardi, con entusiasmo il nuovo 



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Padova 381 



conquistatore, Padova ebbe dairimperatore e re, Carlomagno, privilegi per la sua 
cattedrale, pei suoi traffici, per le sue acque. I successori di Carlomagno conserva- 
rono ed accrebbero questi vantaggi per la fedele città di Padova : e quando Ludovico 
il Pio, nella dieta di Aquisgrana, tolse a Boldrico, infido per viltà, la marca del Friuli, 
la scompose in quattro contee indipendenti: Padova, Treviso, Vicenza e Cividale. Da 
questo principio di autonomia Padova n^ebbe nuovo vantaggio, sebbene fosse ancora 
assai lontana dallo splendore che aveva raggiunto nel periodo romano; gran parte 
delPantico suo territorio le era tolto, essendo da un lato soggetto a Monselice, dal- 
Taltro a Treviso, e la maggior parte dei colli Euganei obbediente a Vicenza. Di più, 
un decreto deirimperatore Lotario I (823) consacrava ancora questa inferiorità obbli- 
gando i giovani patavini al pari di quelli di Ceneda, Feltro, Treviso, Asolo a fre- 
quentare la scuola istituita a Vicenza — città da quell'imperatore assai favorita. In 
complesso il regime dei Carolìngi fu assai favorevole alPincremento delle città italiane, 
che nell'ambito relativamente ristretto delle contee poterono far sorgere e dare sviluppo 
a tutte quelle energie locali dalle quali, in poco più di due secoli, dovevano radicarsi 
i potenti virgulti della vita comunale. Ma un triste periodo di transizione si svolge 
tra la dominazione carolingia e Péra dei Comuni ; ed è queUo cosidetto dei re nazio- 
nali e della feudalità: segnante il momento della massima depressione nella storia 
d'Italia. Sotto il lungo e tempestoso regno di Berengario del Friuli, contrastato dai 
duchi di Spoleto, da Arnolfo di Carinzia e da Ludovico e Rodolfo di Borgogna, chia- 
mati ed istigati da feudatari ambiziosi, intriganti e ribelli, Padova, come quasi tutte 
le altre città del Veneto, tenne fede a Berengario, che al vescovo di Padova, suo 
arcicancelliere, diede la contea di Pieve, numerosi privilegi e giurisdizioni su molti 
territori, che allargarono cosi l'ambiente territoriale della diocesi e quindi del futuro 
Comune. 

Nell'anno 900 piombò sull'Italia settentrionale la terribile incursione degli Ungheri, 
che venuti dal cuore dell'Asia, dopo avere occupate le vaste pianure della Pannonìa 
sulla destra del Danubio, facevano, a scopo di saccheggio, incursioni nei paesi limitrofi. 
Berengario sul Brenta tentò di opporsi alla marcia di quei barbari — che più tardi 
doveva richiamare in Italia a sostegno del vacillante suo regno — ma invano. Fu scon- 
fitto e gli Ungheri vittoriosi entrarono in Padova ove commisero ogni sorta di stragi 
e saccheggi, incendiarono le case, atterrarono la cattedrale e demolirono l'antico 
monastero di Santa Giustina. Fu poi per prevenire queste troppo facili e frequenti 
escursioni di orde di barbari predoni che le città andarono rapidamente cingendosi 
di alte mura; che le porte si munirono di torri e di baluardi; che presso le borgate, 
sulle alture, sorsero numerosi ed agguerriti castelli; che infine il popolo e gli artieri 
presero ad addestrarsi nelle armi, da lungo tempo disusate. E fu pure da questo 
periodo che attenuandosi, nelle città soprattutto, l'autorità feudale del conte, pog- 
giata su un principio di lontana sovranità, della quale il popolo non sentiva più né 
il prestigio né la forza, che cominciò a sorgere e consolidarsi, circondata com'era 
dal favore popolare e dall'entusiasmo della fede, l'autorità vescovile, dalla quale per 
una singolare evoluzione di cose generò il Comune. 

Così pure in Padova, dopo che gli Ottoni ed i loro successori, atterrando negli 
effimeri re nazionali Berengario d'Ivrea ed Arduino la velleità di un regno indigeno, 
avevano anche fiaccati i grandi e turbolenti feudatari, si iniziava l'èra del predominio 
vescovile, a detrimento del feudalismo ereditario e militare. Non passa circostanza 
senza che i vescovi non abbiano ad approfittarne a vantaggio della loro città e diocesi; 
e di concessioni in concessioni cavate ai troppo frettolosi re ed imperatori di Germania, 
riescono quasi a spogliarne la sovranità di ogni prerogativa: come ad esempio, Ber- 
nardo di Goslar, vescovo di Padova, che nel 1049 ottiene dall'imperatore Arrigo III 
la facoltà di battere moneta. Nello stesso tempo si costituisce la propria milizia armando 



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382 Pfl^rte Primi - Alta Italii 



i cittadini. In quel periodo rautorìtà regìa ed imperiale non è che nominale: una specie 
di finzione, utile solo per sancire i privilegi, le esenzioni, le concessioni cui i yescoYi 
aspirano. E ben se ne accorse, nello scorcio dello stesso secolo, Arrigo IV, quando 
cercando di metter freno alla cosa* b tentando colla quistione delle investiture di 
rialzare la potestà civile delFImpero, si trovò contro, in armi, potentissimo, pressoché 
tutto Tepiscopato italiano; e così abbandonato, e con ben pochi seguaci, fra i quali 
però, in quella lunga e fiera contesa, Padova coi suoi vescovi — e segnatamente con 
Milone, grande fautore dell'imperatore Arrigo IV e dell'antipapa Clemente III — 
stettero sempre. 

Anzi in Padova quell'imperatore, colla fida consorte Berta, tenne lunga dimora, 
come in luogo provatamente amico, e sopra la porta occidentale del palazzo vescovile, 
in rozza scoltura del secolo XJ, si mostrano ancora le due mezze figure in altorilievo 
rappresentanti quell'imperatore e la moglie, alla quale si innestò la popolarissima 
leggenda < del tempo che Berta filava >. — U vescovo Milone, in premio della sua 
devozione alla causa dell'imperatore, ottenne da questi una quantità di benefizi e di 
privilegi, nuove giurisdizioni di chiese alla sua diocesi, nonché la importante conferma 
dei diritti sulle acque del Bacchigliene e del Brenta, sia per la pesca, i pedaggi, 
l'irrigazione e la navigazione, dai quali trassero poi ragione nel secolo seguente le 
replicate guerre con Vicenza e Treviso. 

La lotta fra la Chiesa e l'Impero per le investiture durò anche dopo la morte di 
Arrigo IV, che fu certo una delle maggiori figure del suo secolo. Ravvivatasi sotto 
Arrigo V, suo figlio e successore, ebbe sanguinose conseguenze in Padova per la lotta 
scoppiata fra i cittadini parteggiane per Pietro, vescovo scismatico, amico dell'impe- 
ratore e i sostenitori di Sinibaldo, eletto dal popolo e contrapposto a Pietro. Questi, 
fortificatosi nella rocca di Sacco, aiutato dagli imperiali, riuscì a cacciare da Padova 
Sinibaldo, che dovette rifugiarsi e chiedere protezione ai signori d'Este: i quali, impa- 
rentati com'erano colla celebre contessa Matilde, dalla quale avevano anche ereditato 
dei dominii, parteggiavano ardentemente per la Chiesa. Queste contese durarono a 
lungo con alterna fortuna delie parti, che finirono per scapitarne in ogni senso, mentre 
fra i due contendenti, disinteressandosi da una questione che non lo riguardava, il 
popolo andava acquistando la coscienza della propria forza e dei propri! diritti, acca- 
parrandosi esenzioni e privilegi, andava trovando il modo di governarsi da sé, senza 
altro bisogno né del conte né del vescovo; sì che anche in Padova, come nelle principali 
città di Lombardia e dell'Emilia, tra la fine del secolo XI ed il principio del XII si 
hanno i primi albori della vita comunale e del governo popolare. Albori, è vero, in 
breve tempo rosseggianti di sàngue fraterno, poiché già nel 1110 i Padovani, alleati a 
Treviso, Vicenza e Ravenna, per quistione del corso del Brenta e della costa adriatica, 
mossero guerra a Venezia, riportandone però la peggio a Sant'Ilario (4 ottobre 1110) 
ove lasciarono sul terreno 000 morti, il Canoccio e le salmerie. La pace fu conchiusa 
per intromissione dell'imperatore Arrigo V, sempre buon amico dei Padovani. Il 
Comune tra queste vicende andava sempre più sviluppandosi, mentre l'autorità comitale 
era aifatto scomparsa ed andava obliterandosi anche quella vescovile. 

Memoranda fra le sventure cittadine e per Padova fu il terremoto del 1117, che 
atterrò gran numero di edifizi, compresa la cattedrale e la basilica di Santa Giustina, 
facendo molte vittime umane. 

Per le acque del' Bacchigliene, deviate dai Vicentini a loro profitto con grave 
disagio e danno per Padova, scoppiò nel 1140 la prima guerra tra Padova e Vicenza, 
seguita poi da molte altre. Padova si era per quella circostanza assicurata l'alleanza 
di Treviso, Feltro e Conegliano. A Longare, ove i Vicentini avevano operato il taglio 
pel nuovo letto del fiume, privando così dell'acqua necessaria i Padovani, si combattè 
con grande accanimento da ambo le parti, senza che la vittoria si decidesse per alcuno* 



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Padova 383 



Papa Innocenzo II intervenne, e dopo molte trattative e dibattiti, per deferenza al 
pontefice, la pace fu conchiusa colPobbligo ai Vicentini di rimettere il corso del Bac- 
chigliene al pristino stato; il che fecero lealmente. Era appena sistemata questa bega 
che i Veneziani, a' tutela della loro laguna, operarono alcuni tagli sul Brenta, ritenuti 
dai Padovani lesivi ai loro diritti o di danno al loro territorio. Nuova guerra, ed anche 
questa con esito sfortunato pei Padovani, che a Tomba (1143) sono gravemente scon- 
fitti. Venezia minacciando ancora, Padova è costretta a mandarvi ambasciatori per 
trattarvi della pace, che fu conchiusa, restando le cose del Brenta come i Veneziani 
le avevano poste. Fu allora che i Padovani cominciarono a dare alle acque dei loro 
fiumi una sistemazione migliore, che li assicurasse dalle eventualità delle pretese dei 
potenti e belligeri vicini. 

In quel periodo il Comune erasi completamente costituito in Padova e funzionava 
per statuti proprii e sulVinstar delle maggiori città delPItalia settentrionale. 

Nel 1 147 un tragico avvenimento turbò la città. Un prepotente patrizio, Tommaso 
Capodivacca, detto Caponero, condannato dal magistrato cittadino a pagare certo 
tributo da lui dovuto al vescovo Bellino, lo fece trucidare da una accolta di sicari. 

Già da tempo ferveva in Lombardia la lotta tra i Comuni, capitanata da Milano, 
e l'imperatore Federico di Svevia, detto Barbarossa, per rifiuto d'obbedienza a questi 
ed ai vicari suoi che pretendevano imporsi ai Comuni stessi, a manomissione delle con- 
quistate libertà, a controllo dei magistrati e delle leggi cittadine. Più di una città aveva 
respinto i vicari e gli ufficiali tedeschi che l'imperatore vi aveva mandati; ed egli, or su 
runa, or su l'altra s'era dato a trarne vendetta e ad entrare terzo nelle contese fra città 
e città, preponderando negli aiuti per quelle città che gli si mostravano devote, contro 
l'altre che non volevano subire la sua imposizione. £ frattanto guatava il momento 
di piombare su Milano che capitanava il movimento comunale, forte del responso dei 
dottori di Bologna che alla Dieta di Roncaglia gli avevano dato ragione, riconoscendo 
il diritto supremo dell'Impero. Anche nel Veneto Barbarossa tentò la stessa politica 
che usava in Lombardia, e volle imporre a Padova un suo vicario nella persona d'un 
conte Pagano della Torre, a favore del quale aveva anche tolto al vescovo di Padova 
molti benefizi, tra cui la contea di Pieve e la rocca di Pendici. Nello stesso tempo 
toglieva Monselice ai signori d'Este. Questi fatti non ebbero allora altro risultato che 
di alienare l'animo dei Patavini alla causa imperiale. Costretti per alcun tempo a 
mordere il freno per le forze preponderanti dello Svevo e ad obbedirlo per il giura- 
mento di fedeltà da cui si erano vincolati, dovettero mandare una schiera dei loro 
^lUa triste impresa di Milano. Ma la reazione fu rapida. Nel 1164 i Padovani si ribel- 
larono al vicario imperiale Pagano della Torre e lo cacciarono insieme agli altri uffi- 
ciali dalla città; indi, accordatisi con Verona, Vicenza, Treviso, fondarono quella 
lega contro l'imperatore che fu detta Veronesey e servì d'esempio a quella delle 
città lombarde, colle quali poco stante si fuse, formando la Lega Lombarda; il che fu 
il più glorioso fatto della storia nostra nel medioevo, perchè fu la prima solenne 
afifermazione, davanti all'Europa feudale, del diritto italico, del diritto nostro nazionale. 

Cacciato» da Padova, il vicario imperiale corse a rinforzarsi nella rocca di Pendici, 
ma dalle armi della Lega Veronese fu presto costretto a sloggiare. I novellieri del 
tempo ed i romantici della prima metà del secolo scorso vollero innestare al fatto 
della cacciata di Pagano da Padova tutto un contomo passionale e romantico, del 
quale l'eroina sarebbe Speronilla Dalesmarini, che il conte avrebbe strappata dalla 
famiglia e rinchiusa nella rocca di Pendici per ridurla alle sue voglie. Alcuni giovani 
gentiluomini, eccitati da un fratello di lei, per vendicare un tanto oltraggio fatto alla 
Joro casta e togliere la città da quel crudele e scostumato governatore, cogliendo 
l'occasione della festa dei fiori e dell'assalto al castello d'Amore, avrebbero assalito 
proditoriamente gli ufficiali tedeschi e costretto il Pagano a fuggire. Sta il fatto della 



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384 ^arte Prima — Alta Italia 



rivolta scoppiata in quel giorno di festa, e che fu per gli imperiali una specie di Vespro 
siciliano; ma le cause di essa furono le odiose imposizioni dei tributi che Pagano aveva 
decretati sulla città per pagare sé e le truppe imperiali. La Speronìlla, che nella leg- 
genda popolare ed attraverso le narrazioni dei romantici appare la vergine sacrificata 
in olocausto alla libertà della patria, alFesame critico dei documenti, da cui scintilla 
la verità storica, non fu altro che una impudica donna, la quale, attraverso a parecchi 
talami, passò pure per quello del vicario imperiale, e che nulla ebbe a fare colle 
ragioni politiche per le quali da Padova e dalle altre città del Veneto furono quasi 
contemporaneamente cacciati i vicari di Barbarossa. 

I Padovani stettero nella Lega fino al trionfo di questa a Legnano, e dopo, man- 
dando i loro delegati a Venezia quando tra Alessandro III, Barbarossa ed i Comuni 
italiani si stabilì la tregua che doveva condurre alla pace di Costanza, alla cui solenne 
conclusione intervennero anche i rappresentanti di Padova* 

Consolidata la libertà intema, stabiliti i decreti del Comune di fronte alla potestà 
imperiale, assicurata la pace coi vicini, i Padovani, in quel periodo di vera fioritura 
popolare e di vita nuova fra quel tenebrore medioevale che ancora incombeva su gran 
parte d'Europa, pensarono ai miglioramenti, agli abbellimenti della loro città, a creare 
quel monumento che doveva essere, di fronte agli amici, ed ai nemici la prova parlante 
della grandezza e della potenza del Comune. Ed eressero il Salone, nel quale si 
adunavano, lasciando Tuso di raccogliersi nelle chiese, le assemblee popolari e quelle 
elettive dei magistrati cittadini per deliberare sugli affari e su quistioni di interesse 
pubblico. Un terribile incendio, nel marzo del 1174 (come è rammentato ancora da 
una vecchia lapide presso la chiesa di San Canziano), distrusse oltre 2600 case della 
città, ch'erano nel maggior numero in legno e paglia, e dann^giò gli edifizi pubblici 
e le chiese in muratura; da questo disastro i Padovani presero consiglio per rinnovare 
la città in muratura. 

La forma di governo datasi da Padova era press'a poco foggiata su quella degli 
altri Comuni dell'Italia superiore; così gli statuti, che nelle massime generali del 
diritto pubblico di poco diversificavano. Anche in Padova cominciò nel 1175 Fuso di 
chiamare i podestà dal di fuori, perchè avessero a governare ed eseguire e far eseguire 
leggi senza riguardi di parentela ed aderenze locali. Il primo podestà padovano venuto 
di fuori fu il milanese Alberto degli Osii. 

Brevi furono, in questo periodo del reggimento comunale, i periodi di pace. Per 
ragioni di confini, di territori, di acque, di gabelle, Padova fu per molti anni pressoché 
continuamente in armi contro i vicini. Memorabile fra queste guerre è quella di Tre- 
viso (1180), nella quale Padova ebbe alleati Conegliano, Feltro, i signori di Canino. 
Le vicende di questa guerra furono parecchie, ed in essa i Padovani cominciarono a 
guastarsi cogli Ezzelini, che tenevano per Treviso, e dei quali avevano devastate 
parecchie terre. La pace fu conclusa nel 1181, ma Conegliano e Ceneda, che avevano 
bisogno di appoggiarsi a qualcuno pili forte e potente, rinnovarono la loro lega difen- 
siva ed ofiensiva con Padova. Altra guerra sanguinosa e non fortunata pei Padovani, 
fu quella con Vicenza del 1188. Essendosi il Comune di Padova impossessato del 
castello di Montegaldo sul quale i Vicentini vantavano diritti di sovranità loro ceduti 
appunto da Ottone di Montegaldo, per servirsi di quel castello come di baluardo 
contro Padova, la guerra fu dichiarata fra le due città. I Vicentini, per rappresaglia, 
ricorsero al solito loro espediente di togliere l'acqua a Padova, tagliando il Bacchi- 
glione alle Longare e deviandone il corso. I Padovani con molta gente da lavoro ed 
armati coi*sero alle Longare per chiudere l'argine e rimettere il fiume nel Suo alveo 
naturale. Ma mentre questo operavano, una grossa schiera dei loro, sorpresa dai 
Vicentini dall'altra parte del fiume, venne fatta prigioniera e condotta in ostaggio a 
Vicenza, e non potè essere liberata se non a pace conclusa e mediante il pagamento 



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Padova 385 



di una grossa somma di danaro. Dopo quella guerra, il Comune di Padova cominciò 
il rifacimento generale delle mura ed a cintare completamente la città che prima era 
aperta ed indifesa dal lato di occidente, e solo salvaguardata, in quanto possibile, 
dal corso del Bacchiglione che ne lambiva le case ed i pochi terrapieni. Delle vecchie 
mura, erette dal Comune tra Io scorcio del secolo XI ed il principio del XII, esistono 
ancora oggidì alcuni avanzi, segnatamente le torri presso i ponti Molino, Altini e delle 
Torricelle, 

Nuova contesa nel 1196 scoppiò tra Padova e Vicenza a cagione diBassano. Questa 
borgata era stata tolta ai Vicentini da Ezzelino II da Romano, e per danaro poscia 
ceduta e data in pegno ai Padovani. Vicenza ne reclamava la restituzione, negata da 
Padova. Si fa appello ai rettori della Lega, i quali sanciscono che tutto doveva ritornare 
come prima, e quindi Bassano ai Vicentini. Istigati da Ezzelino II, che non aveva il 
danaro da restituire ai Padovani, quelli opposero un rifiuto alla sentenza dei rettori. 
Indi la dichiarazione di guerra tra Padova e Vicenza, guerra nella quale fu tratto 
anche Ezzelino II, che per avere aiuti cedeva a Padova anche Onara. Il podestà di 
Padova, Jacopo Seretto, da Piacenza, tentò vie conciliative; invano. Da ambo le parti 
si voleva venire alle mani; perciò, chiamati i cittadini alle armi, col Carroccio in testa, 
unitosi ad Ezzelino II e ad Azzo d'Este, assediò il castello di Carmignano guardato 
dai Vicentini. Questi accorsero in gran numero in soccorso dei loro concittadini; ma 
dopo una viva lotta dovettero ritirarsi abbandonando il castello ai Padovani, nelle 
mani dei quali rimase anche il loro Carroccio, condotto a Padova quale trofeo di 
vittoria e per spregio verso Vicenza sconciamente insozzato. Altri combattimenti 
seguirono a questo, ma IMntromissione dei Veronesi ricondusse la pace fra le due città 
ed i Vicentini riebbero il loro Carroccio ed i prigionieri. A questa guerra, imitando 
Alessandro Tassoni per quella tra Modena e Bologna, che si volle cagionata dalla 
Secchia rapita, si inspirò Carlo Dottori, nobile padovano, in Arcadia Isolde Crotta, 
per il suo poemetto L'Asino, di carattere eroicomico e satirico, nel quale, in perso- 
naggi veri immaginari di quella guerra, ritrasse e satirizzò uomini ed usi del suo 
tempo (1618-86). 

La pace conclusa tra Padova e Vicenza, senza il suo consenso, suscitò grande ira 
in Ezzelino II che non volle accettarla, ed incaricati i Veronesi — ai quali, pegno 
dell'osservanza dei patti, diede in ostaggio un suo figlio — di giudicare della sua 
quistione con Vicenza, mosse in armi contro i Padovani, che per rappresaglia distrus- 
sero il suo castello di Onara. I buoni uffici dei Veronesi riescirono a togliere anche 
questa differenza. 

Nuova guerra, per ragione di territorio, scoppiò nel 1201 tra Padova e Vicenza, 
ed anche in questa circostanza i Vicentini deviarono alle Longare il Bacchiglione 
presso il castello di Cartiere; eressero la rocca di Canfredula, ed aiutati dai loro 
alleati invasero il territorio padovano. Non è noto quanto la guerra durasse e come 
la pace fosse conclusa. 

Sul principio del secolo XIII, sotto la benefica ed illuminata influenza di Giordano 
Forzati, patrizio patavino, che dalla Chiesa venne poi beatificato, varie riforme vennero 
adottate negli ordinamenti interni del Comune e negli usi e nelle consuetudini pub- 
bliche; e ciò per togliere cause a contese e dissidi civili, che già cominciavano a far 
capolino. Furono anche soppressi i consoli (1204), specie di vicari imperiali, la inge- 
renza dei quali nelle cose del Comune era causa di pericolosi dualismi e dispiaceva alla 
cittadinanza. Per impulso di questo benemerito cittadino, ebbero maggiore sviluppo 
le istituzioni di pubblica carità in soccorso degli infermi, degli infanti abbandonati, 
dei vecchi derelitti senza sostegno. All'annunziarsi di pubbliche e private contese, di 
rivalità fra popolani e patrizi, fra famiglie e famiglie, la parola e l'autorità morale 
di Giordano Forzati intervenivano pacificatrici, sì che per lui molti guai furono evitati. 

88 — Ijs Patria» voi. I, parte 2*. 



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386 Parte Prima — Alta Italia 



Frattanto andavano sempre più primeggiando sulla città ed esercitando influenza 
sulle sue cose politiche alcune famiglie patavine, tra le quali quella dei signori da 
Romano, che certo, con abile lontana mira, avevano assunta la cittadinanza patavina. 
I marchesi d'Este, non solo si erano tenuti lontani da ogni impresa, ma, sebbene 
guelfi come si professavano d'essere, non volevano prendere la cittadinanza di Padova, 
né dimorarvi: ta qual cosa molto spiaceva ai Padovani, che avrebbero voluto eserci- 
tare una specie di patronato, di egemonia anche sui signori feudali del territorio 
vicino. Aiutati da Ezzelino III, detto il Monaco, che nella famiglia degli Estensi vedeva 
il naturale nemico della propria, i Padovani, nel 1213, costrinsero Aldobrandino d'Este 
a domandare la cittadinanza patavina, obbligandolo a soggiornare un dato tempo 
deiranno in città. Per sottrarsi a siffatta imposizione, i signori d'Este trasmigrarono 
a Ferrara, ove li attendeva più splendido avvenire. 

Nuova guerra ebbe Padova con Venezia, nel 1214, a causa di una sanguinosa rissa 
scoppiata in una festa a Treviso tra giovani Veneziani e Padovani; guerra sfortuna- 
tamente condotta dal podestà Alarico Focose da Ferrara, e terminata colla sconfitta 
dei Padovani, costretti a chieder pace ed a piegare alle condizioni imposte dai vinci- 
tori (1214). — Nel 1220, a causa di una guerra del patriarca di Aquileja, loro concitta- 
dino ed alleato, contro Treviso, i Padovani si impigliarono in una guerra coi Trevisani, 
durante la quale costrussero la rocca di Cittadella per opporla alPagguerrito Castel- 
franco dei Trevisani. Nel 1226, essendo scoppiata la guerra tra l'imperatore Federico II 
e molti Comuni lombardi, proclamandosi una nuova lega contro lo Svevo, colpito da 
interdetto e scomunica papale, Padova mandò i suoi legati alla riunione dei rappre- 
sentanti delle città guelfe, tenuta a San Zenone sul Mantovano, nella quale venne 
giurata, fra grintervenuti, una alleanza di difesa ed offesa contro l'imperatore, della 
durata di venticinque anni. Fu in quel periodo che cominciò a funzionare lo Studio 
patavino, con insegnanti venuti da Bologna e da altri luoghi: fra i primi frequen- 
tatori del nuovo Studio è rammentato quell'Alberto Magno, che fu uno dei luminari 
del suo tempo e maestro all'Aquinate. Ma sebbene lo Studio fiorisse, e la città, nel 
governo liberale del Comune, avesse trovato grande incremento morale e materiale, 
i tempi volgevano calamitosi. Le lotte tra l'imperatore e la Chiesa, tra questi e le 
città lombarde, avevano acuite le passioni delle fazioni. Essere o guelfi o ghibellini, 
voleva dire essere nemici irreconciliabili, gente reciprocamente consacrata all'odio 
inestinguibile ed alla morte. Padova, per le antiche sue tradizioni democratiche, 
popolari, era nella grande sua maggioranza guelfa; ma molti patrizi, per ambizione e 
vanità, professavansi ghibellini e parteggiavano per l'imperatore. Alla pace di Padova, 
quasi, era cresciuta a dismisura la potenza degli Ezzelini, famiglia che per le sue 
origini tedesche e pei suoi interessi feudali, aveva in quel momento tutta la conve- 
nienza a mostrarsi rabbiosamente ghibellina e devota all'imperatore. Ezzelino IV da 
Romano, che fu poi detto il Tiranno, accentuò questo ghibellinismo di famiglia, otte- 
nendo dall'imperatore — pel quale scarseggiavano gli amici nell'Alta Italia — favorì 
e privilegi, investiture di feudi e la nomina ambita di vicario imperiale. In tale 
qualità Ezzelino mirava a farsi signore di tutto il Veneto, e specialmente di Padova 
che allora -— fuor di Venezia, che circondata dalle sue lagune era al sicuro e faceva 
cammino verso la grandezza da sé — ne era la città più antica ed illustre. La cagione 
di reciproci sospetti e di piati fra Padova ed il signore da Romano, confinante di 
territorio, e già avversari di fazione politica, crescevano ogni giorno. Finché Padova, 
rispondendo alle provocazioni di Ezzelino, che proditoriamente aveva occupato il 
castello di Fonte sul territorio padovano, dovette assediarlo a Bassano e costringerlo 
a venhre a patti, rendendo il maltolto castello. Questo scacco, nell'animo superbo 
e cupido di Ezzelino, non doveva restare senza sanguinose vendette. Non una parte, 
ma Finterà città egli dannò alla non lontana sicura sua vendetta. Intanto fattosi 



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Padova 387 



cittadino di Treviso e governando quella città come vicario imperiale, ne seppe ecci- 
tare talmente gli animi contro Padova, che ne scoppiò fra le due città una lunga 
e sanguinosa inimicizia, nella quale s'andarono esaurendo a benefizio del felino tiranno 
che guatava il momento di piombar loro addosso per spegnervi ogni residuo di vita 
e di libertà. 

Fra questo alternarsi di guerre e di brevi paci, visse e predicò in Padova, eserci- 
tandovi una nobile influenza, il portoghese Antonio, seguace della regola di San Fran- 
cesco, al quale, morto (13 giugno 1231), la Chiesa rizzò altari e Padova il suo maggior 
monumento: e predicò pure la parola di pace il domenicano Fra Giovanni da Schio, 
le cui opere politiche dovevano poi essere in così grande contraddizione colle sue 
predicazioni. Nel 1233 i delegati di Padova, con gran numero di cittadini, convennero 
alla grande riunione nei prati di Paquara, convocata dal frate Giovanni, dove fu 
giurata la pace generale, la remissione di ogni ofifesa e la fine degli odii fraterni. 
I giuramenti furono sacri, le promesse solenni, la commozione generale ; ma poco più 
di un mese appresso, le guerre fratricide, le fazioni, le passioni, gli odii scoppiarono 
dovunque più feroci che mai. 

Il turbine che da lungo s'addensava sul Comune di Padova finalmente (1237) 
scoppiò. Forte dell'amicizia, dei favori dell'imperatore, che prima di risalire in Ger- 
~^mania gli aveva lasciato a disposizione un corpo di cavalieri e lancie tedesche sotto 
il comando del conte Gaboardo di Arnestein, Ezzelino potè finalmente compiere il 
meditato disegno di rendersi signore assoluto di Padova. Improvvisamente, nel feb- 
braio del 1237, Ezzelino, con tutte le sue forze e coi Tedeschi del conte d' Arnestein, 
mosse su Padova, cogliendola alla sprovvista di ogni difesa. Uno stuolo di volonterosi 
cittadini, eccitati da un Capodilista, tentarono di opporre resistenza alla porta delle 
Torricelle, dalla quale il nemico accennava d'entrare. Ma l'imparità del numero ren- 
dendo vano il tentativo, furono dagli stessi loro concittadini obbligati a desistere, 
perchè, con quel simulacro di resistenza, non si accrescessero per Ezzelino le ragioni 
di rappresaglia sulla città. 

Il 25 febbraio 1237, Ezzelino, alla testa delle sue truppe, entrava in città per la 
-porta delle Torricelle; ma, prima di varcare la soglia, era tanta in lui la gioia ed 
insieme la commozione pel fatto lungamente desiderato, che sollevatasi la visiera 
dell'elmo, e chinatosi sul palafreno, baciò il battente della porta. Il fatto è raccon- 
tato da Rolandino cronista, che insieme ad altri molti ne fu testimone oculare, e lo 
consegnò nella sua cronaca (lib. Ili, cap. XVI). Gaboardo di Arnestein prese possesso 
della città in nome dell'imperatore ; ma partito subito appresso la lasciò in potere di 
Ezzelino, che ne diventò il signore assoluto. I Padovani credendo di placarlo gli offer- 
sero la carica di podestà: ma egli, rifiutando per sé, volle che eleggessero un suo fidato, 
il conte Simone Teatico pugliese. A garanzia propria, dei suoi uflSciali, delle sue truppe, 
chiese ostaggi alla città, che mandò poi a Bassano ed in altri castelli, nelle città ghi- 
belline di Lombardia ed anche — cosa enorme per quei tempi — in Puglia, ove era 
forte il partito imperiale, sostenuto specialmente dai Saraceni di Lucerà e d'altre terre. 
Poi, come ogni tiranno sospettoso di congiure e di tradimenti, iniziò la serie delle per- 
secuzioni, delle rappresaglie, delle vendette. Le prigioni antiche non bastando più alla 
bisogna, ne fece rapidamente erigere altre più capaci ed insieme più spaventose. Chi 
per sua mala sorte veniva rinchiuso là dentro per sospetto del tiranno, era sicuro di 
non rivedere più le stelle. Boia e manigoldi torturatori erano in continue faccende: 
non passava giorno che in Prato della Valle e nella maggiore piazza della città non si 
facessero esecuzioni sommarie. Nessun cittadino era più sicuro di sé, nessuna casa 
poteva essere chiusa agli sgherri ed alle spie di Ezzelino. Una breve tregua a questa 
ferocia Ezzelino l'ebbe quando, sceso nel 1239 in Italia Federico II, fu per due mesi, 
dal gennaio al marzo, ospite suo in Padova, nel convento di Santa Giustina. Per 



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388 Paiate Prima — Alta Italia 



timore che le lagnanze dei cittadini contro la efferata tirannide giungessero fino 
air imperatore, che aveva animo generoso e cavalleresco, Ezzelino raddolcì i suoi modi, 
e per quel breve periodo Padova respirò. Fu in questa città che Federico II rice- 
vette la formidabile scomunica lanciatagli da Giovanni IX, prosciogliente tutti i suoi 
sudditi, baroni, vassalli e seguaci, dal giuramento di fedeltà. Scettico ed abile. Fede- 
rico II convocò nel Salone i cittadini ai quali, lui presente, fece leggere la bolla di sco- 
munica, contro cui levossi a tenere una lunga orazione in difesa dell'imperatore il suo 
cancelliere Pier delle Vigne. Partito l'imperatore per il mezzodì, Ezzelino fu sollecito 
nel rincrudelire ed una nuova serie di persecuzioni e di supplizi ricominciò per Padova. 
In pari tempo, mosso dal desiderio di farsi signore delle altre città del Veneto, e pos- 
sibilmente anche di Lombardia, cominciò la serie interminabile delle guerre contro 
Treviso, Vicenza, Mantova, i marchesi d'Este, Verona e Brescia, nelle quali doveva 
poi, insieme alla vita, lasciare anche lo Stato — che per un momento fu il più vasto 
deiritalia settentrionale. 

Alla morte di Federico II (1250) sentendosi a mancare il più forte dei suoi sostegni 
credette ripararvi rendendosi più temuto nel raddoppiare in crudeltà; sì che non vi 
fu per lui più ritegno e si abbandonò ad ogni eccesso. Si calcolano ad oltre dieci mila 
i cittadini padovani che, a causa delle sue vendette e persecuzioni, nelle prigioni, sotto 
le torture, nei supplizi perdettero la vita. L'eccesso produsse la reazione. Il partito 
ghibellino, morto l'imperatore, era scompigliato e depresso: Ezzelino, che nell'Alta 
Italia era il più fiero, il più forte e feroce dei Ghibellini, si trovò ad essere solo, isolato 
in cerchio di città e di signori guelfi, che in lui vedevano il maggior pericolo per la 
loro libertà, per i loro Stati. Bisognava abbatterlo a qualunque costo. Già scomunicato 
nel 1248, venne fatto segno d'una crociata da papa Innocenzo IV, sollecitato dai Guelfi 
dell'Alta Italia. Tale crociata fu bandita da Anagni il 20 luglio 1254, deputando il car- 
dinale Filippo Fontana, arcivescovo di Ravenna, a dirigerla quale legato pontificio. 
Tutte le città guelfe di Lombardia ed anche qualche ghibellina, che vedevano in Ezze- 
lino un nemico ed un pericolo comune, diedero uomini ed armi alla nuova crociata, della 
quale prese il comandoli marchese Azze d'Este. Questo movimento generale contro 
il loro oppressore rincuorò, i Padovani, che con congiure si prepararono alla riscossa, 
d'intesa col marchese d'Este ed i Crociati. Il 20 giugno 1256, essendo podestà di Padova, 
da tre anni, Anseudisio dei Guidetti, nipote di Ezzelino e non meno feroce interprete 
dei suoi pensieri ed esecutore dei suoi ordini, mentre il tiranno era intento all'assedio 
di Mantova, i Crociati, favoriti anche dai cittadini, assaltarono la città ed entrarono 
vittoriosi dalla porta Altinate, mentre Anseudisio, colla scorta di pochi Tedeschi e dei 
suoi famigliari, fuggiva vilmente dalla porta San Giovanni verso Vicenza^ Ezzelino, 
furibondo, lasciata l'impresa di Mantova, tentò di riprendere Padova, stringendola 
d'assedio dal 27 agosto al 4 settembre dello stesso anno; ma dovette rinunziare, e 
ritirarsi sul suo territorio. Colla perdita di Padova, ch'era il perno della sua potenza, 
e ch'egli considerava come la capitale del suo Stato, fu rapidissimo il declinare della 
fortuna del tiranno, che tre anni dopo moriva prigioniero di guerra dei Crociati, nel 
castello di Soncino, in seguito alle ferite riportate alla battaglia di Cassano d'Adda, 
ov'egli fu disfatto (27 settembre 1259). Strani liberatori i Crociati, al dire dello stesso 
cronista Rolandino, guelfo, e testimone ai fatti, per più giorni fecero strazio della 
città, ponendola a sacco, come terra di conquista. 

Colla fuga di Anseudisio e l'allontanamento di Ezzelino, Padova ricostituì il suo 
reggimento comunale eleggendo a podestà il patrizio veneziano Marco Querini, che 
ripristinò tutte le consuetudini e gli statuti del precedente Comune. A ricordare 
la liberazione della città dalla tirannide di Ezzelino fu istituita la fiera del Santo 
col coronamento di una serie di feste da tenersi ogni anno nelle piazze della città 
e nel Prato della Valle. — Vicentini e Padovani, profittando del precipitare della 



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Padova 389 



fortuna del comune nemico e tiranno, si unirono per devastarne lo Stato e togliergli 
le terre che erangli ancora sottomesse: così fecero per Lonigo e Costozza; mentre 
Bas3ano, alla morte di Ezzelino, scosso il giogo, si poneva dapprima sotto la prote- 
zione di Padova, poi ritornò con Vicenza. Nell'anno appresso, coi Vicentini, Trevisani 
ed altri collegati, i Padovani presero parte alla strage di San Zenone, nella quale 
venne sterminata la famiglia degli Ezzelini, confondendo senza pietà, nell'ira di parte, 
nell'ansia della vendetta, anche le donne ed i fanciulli che non avevano alcuna respon- 
sabilità negli eccessi dei loro maggiori, e dell'inumanissimo tiranno in ispecie. Ma 
prevalse in quegli spietati vendicatori il concetto di non lasciare crescere un'altra 
nidiata di lupatti. 

Dopo queste vicende la repubblica padovana apparve in una fase di ascendente 
fortuna. La sua amicizia ed il suo aiuto sono richiesti dalle città vicine: Treviso, 
Vicenza, Rovigo; dai vescovi di Belluno e di Feltro, dal principe vescovo di Trento, 
Mancardo II che, in guerra col conte del Tirolo, si mise sotto la protezione dei Pado- 
vani, e, mentre andava a Roma ad impetrare aiuto, affidò a questi la difesa di Trento 
e del suo Stato. I Padovani vi mandarono il loro podestà Marsilio Partenopeo, il 
quale trattò il paese duramente come terra di conquista, alienando nei Trentini le 
primitive simpatie per Padova. I Veronesi profittarono della cosa per accordarsi coi 
Trentini, donde ire e guerre tra Padova e Verona (1279), che in quel tempo aveva 
podestà e capitano Alberto della Scala. A difesa dei loro confini verso Verona i 
Padovani eressero la rocca di Castelbaldo. 

Nel 1288 Padova venne colpita da interdetto, ed il podestà ed i suoi magistrati 
fulminati da papa Nicola IV di scomunica maggiore, per una strana legge emanata 
qualche tempo prima, dalla quale era stabilito che chiunque si fosse reso colpevole 
della uccisione di un prete riscattavasi pagando la irrisoria ammenda di un grosso. 
Tutti i privilegi emananti dalla Santa Sede vennero tolti a Padova e dichiarata 
chiusa l'Università. Interdetto, scomunica furono tolti e l'Università riaperta nel 1290, 
in seguito ad un componimento avvenuto tra il Comune, che modificò la stolta legge, 
e la Santa Sede. 

Nel 1293 Padova, collegata ad Alberto della Scala, capitano del popolo di Verona, 
muove guerra nel Patavino ai marchesi d'Este, togliendo loro Badia, Lendinara ed 
altre cospicue terre di quella pingue regione. 

Sul principio del secolo XIV, la Repubblica o Comune di Padova poteva dirsi 
all'apogeo della prosperità e della potenza. La città si abbelliva ogni giorno più di 
monumenti e di opere pubbliche di grande valore. Già il grande Salone della Ragione 
era per opera di Fra Giovanni degli Eremitani compiuto press'a poco quale ora si 
vede: la basilica di Sant'Antonio era in via di compimento; cosi la fabbrica del duomo. 
E Giotto, il rinnovatore della pittura italiana, che si svincolò, coU'osservazione del vero 
e della natura, dalle formule arcaiche, dogmatiche dell'arte bisantina, dipingeva in 
Padova per la cappella dell'Annunziata all'Arena e per Sant'Antonio, visitatovi da 
Dante Alighieri, amico e concittadino suo; l'Università era fiorente e vi convenivano 
professori e studiosi dai più lontani paesi. Nel 1308, Rovigo, con Lendinara, Badia, 
ed il vasto territorio circostante obbedivano in sudditanza a Padova, che mandava, 
alla incoronazione dell'auspicato Arrigo VII di Lussemburgo in Milano, sette ambascia- 
tori sotto la guida del celebre Albertino Mussato, professore in legge ed in lettere 
nello Studio. 

La piccola mente e l'avidità di quel monarca nel quale i Ghibellini italiani, da 
Dante cominciando, avevano riposte tutte le loro speranze, rovinarono quel movimento 
che, arrestando la reazione guelfa, avrebbe potuto dare pace e grandezza novella 
all'Italia rinascente. Le enormi taglie ed imposizioni di tributi da Arrigo VII decre- 
tate per le spese del suo viaggio, il mantenimento della sua Corte, dei numerosi suoi 



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390 Parte Prima - Alta Italia 



ufficiali e delle sue truppe tedesche indisposero contro di luì la gran massa degli 
Italiani, e molti dei più fervidi fra i suoi amici efl ammiratori. Così Pentusiasmo dei 
Padovani per il nuovo sire svanì, quando impose loro di accettare un suo vicario, 
di pagargli subito 60.000 fiorini d'oro, più un canone annuo di altri 15.000 fiorini 
d'oro per l'infeudazione che ad essi avrebbe conferita su Vicenza; e 12.000 fiorini 
d'oro per il vicario e la sua guardia tedesca. I Padovani si risentirono a questi 
oneri inaspettati e mandarono il Mussato con altri ambasciatori per trattare. Mentre 
duravano i negoziati, Can della Scala, signore di Verona, occupava Vicenza, alla quale 
i Padovani pretendevano. — Succede una breve guerra nella quale i Padovani, che 
erano accorsi disordinati al combattimento, ebbero la peggio, e furono inseguiti dallo 
Scaligero e dai Vicentini fin sotto le mura della città loro. — Albertino Mussato fu 
subito staccato in ambasceria presso Arrigo VII, che campeggiava sotto Brescia, per 
migliorare le condizioni del trattato. Ma la sconfitta di Vicenza aveva nuociuto ai 
Padovani, ed Arrigo VII impose a Padova di pagare al vicario imperiale 100.000 fiorini 
di multa e 20.000 di tributo annuo. A scanso di peggio, le condizioni così approvate 
vennero da Padova accettate ; ed il vescovo Aimone fu dall'imperatore mandato ai 
Padovani per riceverne il giuramento di fedeltà. Quanto al vicario, sui quattro da 
essi proposti, Arrigo nominò il parmense Gherardo da Enzola. 

Per qualche tempo i Padovani si rassegnarono a cotesto immeritato trattamento; 
ma nel 1312 essendo avvenuta la nomina a vicario imperiale in Verona e Vicenza 
di Can della Scala, e temendosi che questi, col consenso dell'imperatore, fosse per 
stendere Pugne anche su Padova, Rinaldo Piazzola, tenne nell'Assemblea del Comune 
un vibrato discorso dimostrando che Padova non doveva sottostare a tanta umilia- 
zione ed attaccando con gravi accuse l'imperatore, al quale consigliava i suoi concit- 
tadini di non pagare più oltre i tributi né prestare obbedienza. Albertino Mussato, 
più prudente, opponendosi agli incitamenti del Piazzola, consigliava la calma e la 
pazienza, ma non fu ascoltato. I cittadini, stanchi di quella soggezione, plaudirono 
alle parole del Piazzola e lo seguirono nelle vie gridando: < armi e libertà! >. La città 
è presto in moto: si cacciano il vicario ed i suoi ufficiali, si atterrano le insegne 
imperiali, e si proclama la indipendenza del Comune, preparando la guerra contro 
Can della Scala fattosi nel Veneto il sostenitore massimo della autorità imperiale* 
I Padovani chiamano a loro capitano il veronese Riccardo Vinciguerra, acerrimo 
nemico dello Scaligero, e messisi subito in campagna battono i Vicentini sotto le mura 
della loro città: occupano Cologna, Montagnana, Marostica, terre dello Scaligero 
e dei Vicentini. — Can della Scala toglie a Padova il castello di Motta, ma Vinci- 
guerra glielo riprende confinandolo di nuovo tra Vicenza e Verona. A mal partito, 
Can della Scala chiama in soccorso Gualtieri di Hamburg, vicario imperiale per la 
Lombardia, che accorre e mette a fuoco Rovolon, Zovon ed altre terre dei Padovani. 
Durano le piccole battaglie senza risultati decisivi tra Padovani e Vicentini, i quali, 
per esasperare ancora più il nemico, si appigliarono al solito espediente di deviare 
il corso del Bacchigliene alle Longare, mentre i Padovani rimanevano tra Lonigo e 
Poiana. Can della Scala, dal cauto suo, si rifa prendendo Curtarolo. Il tradimento 
di Carlo da Lozza, pone il castello di costui nelle mani di Cane, che assaltato dai 
Padovani, non potendo reggere nella difesa, lo incendia ed atterra. L'imperatore, ad 
istigazione di Cane, con un decreto famoso mette i Padovani al bando dell'Impero, 
minacciandoli di gravissime punizioni se non desistessero tosto da quella guerra, 
sottomettendosi completamente al suo vicario. Ciò non fece che eccitare maggior- 
mente i Padovani; ed i Padri del Consiglio, dai quali dapprima erano venute voci di 
prudenza, votarono jinanimi la continuazione della guerra fino all'estremo. La fortuna 
secondò la loro costanza, sì che di successo in successo poterono giungere a minac- 
ciare fin sotto le mura di Verona. In quello stesso anno 1313 alli 24 di agosto, moriva 



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Padova 39^ 



in Pisa con sospetto di veleno l'imperatore Arrigo VII, la cui missione storica in 
Italia, vagheggiata da Dante e dai migliori Ghibellini, per la pochezza sua, era com- 
pletamente fallita. I Padovani non appena appresero la notizia la festeggiarono con 
luminarie, corse al pallio, ed altri consimili manifestazioni della pubblica gioia, senza 
smettere per questo la guerra con Cane, la cui fortuna per quella morte subì un 
ribasso. Le vicende furono varie, le rovine molte: ed a queste si aggiunsero anche 
le discordie create, motivate da una legge che stabiliva essere il Comune col partito 
una sol cosa. Ciò non intesero molti patrizi, che si professavano ghibellini: ne 
nacquero rimostranze, contese, sommosse. 

Neiraprile del 1314 i capi di potenti famiglie guelfe, Ronco degli Agolanti e Pietro 
degli Allochini, fecero nel Consiglio dei Padri del Comune la proposta che venissero 
mandati a confine dodici cospicui cittadini che si erano fatti sostenitori della famiglia 
dei Carrara, famiglia ghibellina, potentissima e ricchissima, di origine tedesca, che i 
due proponenti non avevano osato affrontare apertamente e denunziare come peri- 
colosa alla libertà della patria. La proposta messa a partito venne approvata, nono- 
stante che vi si opponessero, dimostrandone l'ingiustizia, vari cittadini, tra cui anche 
Obizzo figlio di Marsilio Pappafava da Carrara, e Nicolò fratello di Ubertino da Car- 
rara. Costoro, dipoi, vista la impossibilità di far trionfare la loro proposta, nonché di 
far revocare quel decreto dettato da odio partigiano si appigliarono ai mezzi vio- 
lenti. Fecero introdurre nella città un gran numero di loro coloni, li armarono ed al 
grido suggestivo, che trova sempre seguito, di < Viva il popolo > promossero la rivolta. 
In segno di comando il gonfalone del Comune venne dai rivoltosi — fra i quali era 
corso anche molto danaro dai Carraresi e loro aderenti — portato ad Obizzo. Ronco 
degli Agolanti, sorpreso col proprio fratello, venne dalla turba eccitata, inferocita, 
posto a ferro ; né valse a Pietro degli Allochini Tessersi rifugiato insieme ai suoi tìgli, 
come in luogo sacro e godente immunità, presso il vescovo Pagano della Torre; 
preso, fu insieme ai suoi figli trucidato. Il podestà Dino De Rossi fu destituito, ed 
in suo luogo venne nominato Ponzino de' Ponzini, favorevole alla fazione trionfante. 
Questi però, per troncare le discordie interne della città, credette savio consiglio 
ingaggiare una guerra al di fuori: ed ecco nel luglio 1314 chiamare le armi cittadine 
contro Vicenza, e spingersi fin quasi sotto le mura di quella città. Ma Can della Scala 
fu pronto a respingerlo ed a portarsi co' suoi minaccioso fino alle mura di Padova, che 
però non osò assaltare. Nel successivo settembre. Ponzino volendo la rivincita, ricon- 
dusse le truppe di Padova sotto Vicenza; lo Scaligero, accorso con gran numero di lance 
e di cavalli da Verona, lo mise in rotta, facendo molti prigionieri e predando tutti i 
carri delle vettovaglie, oltre 700, secondo i cronisti del tempo. Fra i prigionieri di 
Can della Scala erano cittadini cospicui quali Albertino Mussato, Marsilio da Carrara, 
Vanni Scornazzano, Jacopo Carrara, i quali ottennero di ritornare in patria per trattare 
la pace, la quale venne conclusa alli 7 di ottobre di quello stesso anno. 

Prevedendo nello Scaligero il maggiore pericolo per la loro pace e libertà, i Pado- 
vani fecero lega con Treviso, Bologna, Ferrara, città nelle quali aveva prevalenza il 
partito guelfo, dello Scaligero nemicissimo, preparandosi ad assalirlo, quando ne fosse 
venuta l'occasione proficua. Questa si offrì nel 1317 mentre Can della Scala era 
intento a guerreggiare contro Brescia. I Padovani, rinforzati dai loro alleati, tenta- 
rono di riprendere Vicenza; ma anche quella volta il tentativo fallì, essendo Can della 
Scala, da Verona ove si trovava, accorso sollecito in aiuto della minacciata città, 
resistente con ostinazione per dar tempo al suo esercito, condotto dal capitano ghi- 
bellino toscano Uguccione della Faggiuola, di arrivare. Non appena questo potente 
rinforzo fu giunto, i Padovani, pure combattendo ad ogni giornata, dovettero ripie- 
gare. Uguccione era loro alle reni, tormentandoli, finché li battè a Montegalda. Quivi 
Vinciguerra di San Bonifacio, condottiero dei Padovani, ferito e fatto prigioniero, 



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392 Parte Prima - Alta Italia 



moli il giorno appresso. Lo Scaligero, intanto, con grande seguito d'armati al comando 
del conte di Gorizia, lasciò Vicenza per ricongiungersi ad Uguccione, ed invaso il 
territorio padovano, per tradimento ebbe Monselice, indi Este e Montagnana, restando 
così, in pochi giorni, padrone di tutto il territorio occidentale di Padova, cioè, oltre 
trenta castelli, fortezze e borghi. Nel gennaio del 1318, lo Scaligero con tutte le sue 
forze da Monselice si diresse sopra Padova, accampando a Terradura, luogo a poche 
miglia dalla città. Non sgominati per tanti rovesci, ai primi assalti dello Scaligero, 
i Padovani opposero valida resistenza, ma poi, vista la difficoltà del momento, comin- 
ciarono a piegare ai consigli di pace, dati da Jacopo Carrara, in sospetto di man- 
tenere intelligenze collo Scaligero. Furono mandati ambasciatori, che ritornarono con 
proposte umilianti, fra cui la cessione di Monselice ed altre terre. II popolo, eccitato da 
un tale Monaruffo, non volle sapere di quelle condizioni, ed assali e saccheggiò le 
case dei malcapitati ambasciatori. Allora Gan della Scala, volendo porre un termine 
alla guerra, si appressò alle mura della città, dando le disposizioni per Tassalto. Com- 
prendendo di non poter resistere, i Padovani si acquietarono alle condizioni imposte 
e la pace fu giurata il 12 febbraio successivo. Restarono a Can della Scala Vicenza, 
Monselice, Gastelbaldo, Montagnana ed una torre presso Este. 

Fra i patti della pace, il ghibeflino Scaligero aveva stipulato il ritomo in patria 
di tutti i fuorusciti ghibellini, cacciati col bando che era stato origine prima della 
guerra; e come questi, forti dell'appoggio di un tanto signore, furono rientrati in 
patria e reintegrati nei loro beni e diritti, non ebbero miglior pensiero di quello di 
trarre aspra vendetta sui loro antichi persecutori dei danni e dell'esilio patiti. La 
città fu di nuovo sossopra, in tumulti, lotte, sanguinosi combattimenti per le strade. 
I capi di parte guelfa furono costretti ad esulare, e tra questi Albertino Mussato, 
che pochi mesi prima, con solenne cerimonia, al cospetto dell'intera cittadinanza era 
stato coronato poeta, per la sua tragedia Eccerinus. A ritornare la pace nella città, si 
venne nel pensiero di affidarne il governo ad un uomo di grande autorità e valore, 
che sapesse imporsi ai partiti e tenere a freno i riottosi. Su proposta di Rolando 
Piazzola, il 25 luglio 1318, il Consiglio, a pieni voti, nominò Jacopo Carrara < pretore, 
governatore, capitano e signore generale di Padova e del popolo padovano, con mero 
e misto impero >. 

Jacopo Carrara, capo della cospicua famiglia di questo nome, cittadino autorevole, 
ricchissimo, valoroso nelle armi, abile nei pubblici negozi, amicissimo dei Veneziani, 
amato dal popolo per le sue liberalità, assunse il comando; e cercando subito di 
ridare la pace allo Stato, tentò di amicarsi con Can della Scala, abboccandosi con 
questi a Montegalda. Ma lo Scaligero che ambiva alla signoria di Padova, né poteva 
soffrire che altri occupasse il posto da lui vagheggiato, fu ostinato nelle sue pretese 
e duro nei modi verso il Carrara, laonde non fu possibile l'intendersi, non solo, ma si 
presentì prossima, inevitabile la guerra. Di ciò anzi Io Scaligero se ne vantava dicendo 
forte che voleva cacciare da Padova i Carrara per ritornare la città al libero reggimento 
comunale. Fermo in questo proposito, con un pretesto futile dichiarò la guerra a 
Padova, ne invase il territorio e il 5 agosto 1319 venne a porre il campo al Bassa- 
nello, presso le mura della città. Jacopo Carrara non s'era però lasciato cogliere alla 
sprovvista. Aveva ben munita la città, rinforzate nei punti difettosi le mura e chiesto 
soccorsi alle città amiche, tra cui Ferrara, Bologna, Treviso. Durante questo assedio, 
morì Uguccione della Faggiuola. Ciò non impedì allo Scaligero di proseguire con 
ostinazione nell'impresa: prendeva Cittadella, mentre Bassano si dava al conte di 
Gorizia. Jacopo, vedendo inutile la resistenza, alli 14 d! novembre dello stesso anno, 
cedette Padova al conte di Gorizia, che l'accettò in nome di Federico III duca d'Au- 
stria, re dei Romani ed imperatore dei Tedeschi, con gran dispetto di Can della Scala, 
che già si riteneva sicuro della ricca preda. Il conte di Gorizia promise inoltre ai 



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Padova 393 



Padovani di muovere contro Can della Scala e ritogliergli Este, Monselice e Monta- 
gnana; ma non tenne la promessa. Nel gennaio del 1320 veniva a prendere possesso 
della città a home di Federico, Ulrico conte di Waldsee, di fronte al quale lo Sca- 
ligero dovette ritrarsi e conchiudere una tregua. Nel giugno, ruppe di nuovo gli 
accordi tentando di sorprendere Padova; ma fu respinto; allora ripose l'assedio, ritor- 
nandosene poscia a Verona. Colto il momento propizio il podestà Altinerio degli Azzoni, 
con una vigorosa sortita assalì gli assedianti, li pose in rotta, prendendo loro 14 ban- 
diere, le vettovaglie e gran numero di prigionieri (12 luglio 1320). Sopravvennero il 
conte di Grorizia ed il Waldsee con un esercito di Tedeschi mentre da Verona, con 
tutte le sue forze, arrivava lo Scaligero. La battaglia fu sanguinosa, e finì colla peggio 
per Can della Scala, che, ferito, dovette ritirarsi a Monselice e trattare per la pace, 
conclusa poi nell'ottobre. ' 

Padova dairimperatore fu reintegrata nei diritti e privilegi di cui l'aveva privata 
Arrigo di Lussemburgo: e, a titolo di onore, fu nominato vicario imperiale a Padova 
il fratello di Federico, duca di Garinzia, che mandò a governarla in sua vece il conte 
Corrado di Owenstein. 

Di questo grande insuccesso non poteva darsi pace lo Scaligero, il quale, da 
Verona, meditando novelle insidie contro Padova, vi eccitava le discordie civili, met- 
tendole contro anche i fuorusciti, cui aiutò a prendere, ai danni della patria comune, 
Este. Solo nel 1323, conclusa la pace, i fuorusciti furono riammessi e lo Scaligero 
dovette acquietarsi. 

Nel 1324, per l'ingresso del duca di Carinzia e di Ottone d^ Austria, con un esercito 
di Tedeschi, Padova ebbe a soffrire i danni di un'invasione nemica: poiché nulla 
potè frenare quella soldataglia dal commettere saccheggi, rapine, uccisioni, rovine 
di ogni genere trattando la città non da amici, ma da conquistatori. Il duca di 
Carinzia lasciò a Padova quale suo rappresentante il conte FSlemberg con un grosso 
nerbo di Tedeschi. 

Jacopo Carrara morì il 22 novembre 1324, lasciando erede delle cariche che i suoi 
concittadini gli riconoscevano sempre, il nipote Marsilio. Durante il suo reggimento 
fu completata la cerchia delle mura nuove, includendo nella città anche il Prato della 
Valle, Santa Giustina e Sant'Antonio: Marsilio fece di tutto per appianare le gravi 
difficoltà in cui lo Stato versava, sia per le fazioni cittadine, più inferocite che mai 
dai fuorusciti, sia per la permanenza non desiderata dei Tedeschi, che pretendevano 
gravosi tributi e commettevano ogni sorta di prepotenze e di sevizie sui cittadini; 
e sia, infine, per la nuova guerra scoppiata collo Scaligero, che devastando il territorio 
aveva ridotta la città alla carestia. 

Col ritomo dell' Owenstein ih Padova furono bandite molte persone di parte 
guelfa, tra le quali Albertino Mussato, esiliato a Chioggia. L'odio dei Padovani 
contro i Tedeschi si accrebbe anche per il fatto che Engelmaro di Villandres, luogo- 
tenente deirOwenstein, innamoratosi di Pierina Scrovegno, di famiglia patrizia, tentò 
rapirla per ridurla a sue voglie: sì che essa, per sottrarsi a quell'obbrobrio, dovette 
riparare a Venezia. 

Impotente a fronteggiare da solo tante e disparate difficoltà, Marsilio Carrara, 
aperte trattative con Can della Scala, fattosi confermare a pieni voti dal Consiglio 
signore di Padova, mandò vìa il presidio tedesco (1328) e tre giorni appresso, intro- 
dusse in Padova Martino della Scala con 100 lancio e molti cavalieri. Allora, procla- 
mandosi impotente a comporre le discordie cittadine, dichiarò di cedere la sovranità 
a Can della Scala. Questi già pronto, il 10 settembre fece il suo solenne ingresso 
nella tanto agognata città, avendo ai suoi lati Marsilio ed Ubertino Carrara, ed al 
suo seguito tutti gli aderenti dei Carraresi e molte altre notabilità padovane. Cane 
nominò suo vicario in Padova lo stesso Marsilio, al quale fece donazione di tutti i 

89 — 141 P»trl^» ToL I, parte 2^. 



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39Ì Parte Prima — Alta lUlia 



beni dei fdornsciti a lui contrari. Ma il godimento di qnesta sovranità non fu lungo 
per gli Scaligeri. Cane morì il 22 luglio 1329, lasciando lo Stato ai nipoti Martino 
ed Alberto. Il primo sedeva a Verona, questi a Padova. Ma, avido, brutale e vizioso, 
riesci presto a farsi odiare dai Padovani. Allora Marsilio credette venuto il momento 
di riprendere per sé e per i suoi la perduta signoria. Accordatosi coi Veneziani, che 
non avevano visto di buon occhio Tingrandimento eccessivo dello Scaligero ai confini 
del loro dominio, sull'orlo del loro mare, e coi Fiorentini, guelfi, che negli Scaligeri 
odiavano i capi del partito ghibellino, con atto proditorio fece imprigionare Alberto, e 
dal popolo, acclamante per questo fatto, venne gridato signore perpetuo di Padova 
(3 agosto 1337). Fu breve la nuova signoria di Marsilio: che nel marzo del 1338, 
moriva, dopo aver designato e fatto eleggere come suo erede e successore il cugino 
Ubertino. Marsilio fu abile ed avveduto signore; ed al suo governo Padova deve 
specialmente un gran tratto della nuova cinta delle mura, dalla porta al Prato a 
quella di Codalunga. 

Ubertino, che nelle sue precedenti azioni si era mostrato d'animo duro e vendi- 
cativo ed aveva avuta grande parte nelle sanguinose discordie cittadine, nelle quali 
più di uno dei suoi nemici era perito di sua mano, assunto al governo della città, si 
mostrò equo, valoroso e prudente e seppe meritarsi l'affetto e la gratitudine dei suoi 
concittadini. Continuando la guerra cogli Scaligeri, tolse loro Monselice, reintegran- 
done il possesso a Padova; e nei negoziati della pace seppe condursi con tanta avve- 
dutezza che a Padova ritornarono altre terre credute per sempre perdute, sì che 
potè governare sii tutto Tantico territorio patavino, al quale aggiunse Bassano. 

Nelle opere di pace lasciò buon ricordo di sé colle migliorìe introdotte nella città: 
colla costruzione della reggia di sua famiglia, nel tempo ricordata fra le più famose 
esistenti in Italia e fuori; col compimento della cerchia delle mura, ed il selciato 
nelle vie; colla sistemazione delle acque nella città e nel contado, per modo che sce- 
marono i pericoli delle alluvioni e vennero prevenuti i danni della siccità; coirinco- 
raggiamento dato alle arti ed ai commerci cui accordò privilegi ed esenzioni. A dare 
maggior lustro allo Studio patavino, chiamò ad insegnarvi coU'esca di stipendi, di 
assegni e di speciali privilegi, professori celebri di altre università, e facilitò pure 
Taccorrervi degli studenti. Ammalatosi di cuore, due giorni prima della sua morte 
fece eleggere suo erede e successore Marsilietto Pappafava da Carrara, suo nipote 
(1345, 27 marzo). Brevissimo fu il regno di questo prìncipe, poiché, quaranta giorni 
dopo, venne assassinato da Jacopo II Carrara (figlio di Nicolò e suo cugino) di notte 
nella sua stanza. Jacopo, usando dei sigilli e contrassegni dell'ucciso prìncipe, si fece 
consegnare i castelli, le torrì, le porte della città: imprìgionò i nipoti di Marsilio, 
chiamò i fuorusciti, aprì le carceri e si fece gridare signore. Per assicurarsi nel 
dominio, fu nei primi tempi durissimo con tutti : amici e nemici, poi, credendo di non 
avere altro a temere, raddolcì e assicurò alla città la pace e la prosperità. Fu grande 
protettore dei dotti e dei letterati, e per suo merito Francesco Petrarca, che tanto 
aveva pellegrinato tra Fltalia ed Avignone, venne a stabilirsi a Padova, ed ebbe un 
pingue canonicato nella cattedrale (1350). Chiamò nell'Uni versità uomini insigni per 
sapere, e nelle guerre e nei negoziati politici fu fortunato riescendo ad aggiungere 
allo Stato suo i territori di Porgine, Roccabruna, Selva e Levico, nel Trentino. Fu 
grande amico dei Veneziani cui aiutò nella guerra di Zara. Per vendetta traente da 
cause ìntime, Jacopo II Carrara fu assassinato la notte del 19 dicembre 1350, da Jacopo 
Carrara suo nipote (bastardo di Jacopo I), che coi suoi compagni di congiura fece del 
cadavere dell'ucciso orribile strazio. Suoi successori furono il fratello Jacopino ed il 
figlio Francesco: il primo per i negozi civili, l'altro per gli affari di guerra. Jacopino, 
serbando l'amicizia dei suoi maggiori per Venezia, aiutò la repubblica di San Marco 
nella guerra di Chioggìa contro i Genovesi (1352) e contro i Visconti. Nella sua rapida 



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Padova 395 



discesa in Italia, Carlo IV fu ospite di Jacopino in Padova e trattato con incredibile 
magnificenza. In quella circostanza, Carlo, solennemente nella cattedrale, conferì a 
Jacopino il titolo di vicario imperiale e gli diede il cingolo militare: distinzione che 
si usava solo pei più grandi cavalieri e signori delP Impero. Per gelosia di donne 
tentò di far uccidere il nipote e socio nel governo, Francesco: il quale, perchè il 
tentativo fallito una volta non avesse a ripetersi con più sicuro esito la seconda, 
entrato nella stanza dello zio (17 dicembre 1355), lo fece prigioniero e lo relegò 
prima nel castello di Trombache, indi in quello di Monselice, ove morì nel 1372. 
Fattosi proclamare signore unico di Padova, Francesco I Carrara (detto dagli storici 
il Vecchio) si cacciò in un ginepraio di guerre con tutti i vicini, ed incautamente — 
rompendo la tradizione di famiglia -— anche con Venezia. Sulle prime la fortuna 
gli arrise e parve destinato a salire a grande potenza; ma poi seguirono gli insuc- 
cessi, e specialmente con Venezia, dopo una grave disfatta, dovette piegarsi ad una 
pace umiliante, e mandare, a quella repubblica, accompagnato da Francesco Petrarca, 
il figlio Francesco Novello, ad impetrarne il perdono. In tal modo perdette credito 
e territorio, fra cui gli acquisti che in Val Sugana aveva fatto Jacopo n. Ma la pace 
così duramente subita, fu da lui presto rotta non appena vide Venezia pericolare, 
stretta da poderosi nemici quali i Genovesi in mare, spintisi fino nelle acque di 
Chioggia, ed il re d'Ungheria in Schiavonia e nel Quamero. 

Nella pace che seguì quella guerra memoranda, della quale fu mediatore il Conte 
Verde in Torino (1381), Francesco I Carrara potè ottenere di fronte a Venezia patti 
migliori; ma fu vantaggio effimero, perchè il governo della repubblica, avendo da 
quelle vicende compreso quale pericolo fosse per Venezia la vicinanza d'uno Stato 
potente e guerriero a poche miglia dal suo mare, meditava già la rovina dei Carraresi. 
Nel 138i, Francesco I Carrara condusse una vigorosa e fortunata guerra contro Leo- 
poldo arciduca d'Austria, conquistando per sé Treviso, Serravalle, Ceneda, Conegliano, 
Feltro e Belluno. Fu pure fortunato nella guerra mossa l'anno 1386 ad Antonio della 
Scala, facendovi ottomila prigionieri, fra i quali i capitani, celebri allora, Ostasio da 
Polenta ravennate e Cortesie Serego veronese. 

Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano, alleato del Carrara nella guerra contro 
lo Scaligero, del quale aveva pressoché occupato tutto lo Stato, resosi padrone di 
Vicenza, aiutato dai Veneziani, si voltò contro Francesco I Carrara, col proposito 
di togliergli Padova. Impotente a fronteggiare un tanto nemico, al quale si erano 
aggiunti anche i Veneziani, Francesco I, per salvare il dominio alla sua famiglia, abdicò 
in favore del figlio, Francesco Novello; e andò esule a Treviso; poi, per non cadere 
nelle mani dei Veneziani — autori principali della sua rovina — si consegnò allo stesso 
Gian Galeazzo, che lo mandò a morire prigioniero nel castello di Monza. Francesco II 
Novello affrontò coraggiosamente la difficile situazione, guerreggiando strenuamente 
contro Venezia ed i Visconti; ma poco amato dal popolo, che di quelle guerre non 
vedeva le ragioni e subiva invece i gravi danni, dovette cedere la città a Jacopo 
Dal Verme, capitano delle truppe viscontee, e Gian Galeazzo fu gridato signore di 
Padova (novembre 1388). Il principe spodestato fu costretto a recarsi a Milano a fare 
la solenne rinuncia al duca del dominio dei suoi, ed in compenso ne ebbe in feudo 
la terra di Cortazzone nell'Astigiano, che non era se non una larvata relegazione. 

Mal rassegnato a quell'esilio, Francesco Novello aprì pratiche con Venezia, la 
quale non vedeva con lieto occhio lo stabilirsi di un potentissimo signore, quale 
il Visconti, a sì breve distanza dalla laguna e dal suo estuario, e con quanti gli erano 
rimasti devoti in Padova, fuggito da Cortazzone, dopo le più pericolose peripezie, 
Francesco Novello, nella notte del 19 giugno 1390, assalito con un piccolo stuolo di 
fidati, a tutto pronti, il ponte di San Giacomo presso la porta di Codelunga entrò 
nella prima cinta delle mura; e dopo la mezzanotte coU'aiuto dei cittadini sollevati 



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396 Parte ^ì°ia — ^ite itei<<i 



in suo favore, penetrò nel cuore della città cacciandone il presidio e gli uflSciali del 
Visconti. Il popolo che della dominazione viscontea, per la gravezza dei tributi ed il 
perduto lustro della città non aveva a lodarsi, accolse con grandi manifestazioni Pan- 
tico signore, che si trovò peraltro portato sulle braccia ad una nuova guerra col dnca 
di Milano. La lotta durò con varia fortuna due anni, ed infine Francesco Novello potè 
conchiudere una pace abbastanza vantaggiosa, nel gennaio 1392. 

Per alcuni anni Padova respirò; e Francesco Novello potè dedicarsi ad opere dì 
pace, con larghezza e magnificenza, riordinando la legge e l'economia dello Stato, 
favorendo gli studi e le arti, e migliorando le condizioni edilizie della città. Spirito 
avventuriero, cavalleresco, temerario anzi, di mente larga e di cuore generoso, 
Francesco Novello Carrara fu uno dei migliori prìncipi del suo tempo. L'ambizione 
che lo animava, facendolo urtare con Venezia, fu causa della rovina sua e dei suoL 
Caterina Visconti avendo ceduto Vicenza ai Veneziani e Francesco Novello accam- 
pando gli antichi diritti di Padova su quella città, proditoriamente Toccupò. Nuova 
guerra con Venezia, sfortunata pel Carrara, che vinto in campo aperto, si rinchiuse 
in Padova, cui i Veneziani si affrettarono di stringere d'assedio. Ai danni delia 
guerra si aggiunse anche il flagello della pestilenza, che dentro e fuori della città 
faceva strage. I Veneziani, per finirla, offersero in cambio della cessione della città 
al Carrara la facoltà di partire coi suoi, un premio di 50,000 ducati e trenta carri per 
il trasporto di quanto gli sarebbe piaciuto portare seco. Francesco Novello che fidava 
in promesse di aiuti dai Fiorentini, rifiutò, nella disperata situazione in cui trovavasi, 
quella via di salvezza. La città, che di guerre e di assedio non voleva più saperne, gli 
era tutta contro. Fu quindi facile ai Veneziani intendersi coi cittadini, ed a Bel- 
tramme da Vicenza, uno dei loro capitani, d'accordo colle guardie, d' introdursi nella 
torre di porta Santa Croce, e saccheggiare quella parte della città. Francesco Novello 
non volendo peranco cedere, preparò la difesa nella cinta intema, al ponte delle 
Torricelle, ma il Comune, dichiarando di separare la sua dalla causa del principe, 
mandò, per evitare danni e sciagure maggiori, ambasciatori al doge ed al Senato di 
Venezia, offrendo la dedizione della città (novembre 1405). Francesco Novello fu 
costretto ad arrendersi a discrezione, e condotto a Venezia coi figli Francesco e Jacopo 
vennero rinchiusi nelle prigioni del palazzo ducale, ove tutti e tre, per sentenza del 
Consiglio dei Dieci, furono segretamente strozzati (16 gennaio 1406). Questo eccidio, 
forse superfluo, per quanto gli storici veneti l'abbiano giustificato colla inesorabile 
ragione di Stato, fu una delle maggiori macchie che offuschino la storia gloriosa 
della repubblica di San Marco. Delegato dal Comune di Padova, il cardinale Fran- 
cesco Zabarella, professore di diritto canonico e già direttore del Concilio di Costanza, 
fu capo dell'ambascieria che portò il gonfalone di Padova al doge di Venezia (Fran- 
cesco Foscari) ed a stipulare Tatto di dedizione. 

Com'era sua consuetudine, Venezia, accettando la dedizione di Padova, ne rispettò 
gli statuti, i privilegi e le consuetudini, in quanto erano consone ai tempi ed alla 
nuova condizione di cose. Il Comune fu dato a reggere ad un Consiglio di patrizi, e 
la repubblica fu rappresentata nel governo della città da due patrizi senatori, l'uno 
eoi titolo e l'ufiBcio di podestà, per l'amministrazione interna del Comune, l'altro col 
titolo di capitano, per la parte politica e militare. Il primo podestà venuto a Padova 
fu il senatore Tommaso Mocenigo. Nello stesso tempo Venezia si diede provvidamente 
a riparare ai danni che Padova aveva subito nelle ultime dolorose vicende, allegge- 
rendo i tributi, riattando le mura e le fortificazioni, migliorando l'edilizia cittadina. 

Un tentativo di restaurazione Carrarese fu fatto da Marsilio Carrara, figlio super- 
stite di Francesco Novello, che allettato da alcuni partigiani e dal desiderio di ven- 
dicare i suoi, ritogliendo a Venezia, Padova preparò, con una congiura, una piccola 
spedizione di armati, che segretamente doveva introdursi in città e chiamare il popolo 



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Padova 397 



a rivolta. Ma il governo veneto ebbe sentore della cosa; Marsilio, sorpreso coirarmi 
alla mano alla testa dei suoi partigiani, fd condotto a Venezia, e, quale nemico della 
repubblica e traditore, decapitato fra le colonne della piazzetta il 25 marzo 16S6. 
Due senatori spediti in Padova ad inquisire sulla congiura fecero giustizia degli altri 
complici di Marsilio, che colla fuga fuori di Stato non avevano potuto salvarsi. 

Dopo questo fatto, che fu anche un tremendo esempio per chi avesse voluto ten- 
tare novità, quasi un secolo di pace feconda e prosperosa, auspice il governo veneto^ 
passò sopra Padova, ove le industrie, i traffici, le arti e gli studi specialmente ebbero 
grandissimo incremento. Venezia, compresa della importanza somma della Università 
patavina, non tralasciò provvidenze, per mantenerne alto ed accresciuto il decoro; ne 
affidò la sorveglianza a tre patrizi, procuratori di San Marco, ch'ebbero il titolo di 
Riformatori dello Studio di Padova, ai quali si doveva deferire tutto quello che aveva 
attinenza alFUniversità. Chiamò, con splendidi emolumenti ad insegnarvi i pro- 
fessori più insigni del tempo, dltalia e dell'estero; e fece obbligo a quanti giovani 
suoi sudditi volessero dedicarsi agli studi e seguire le carriere delle leggi, delle 
lettere, delle scienze, di frequentare l'Università patavina e non altre. Il Salone della 
Ragione, la Basilica di Sant'Antonio, quella di Santa Giustina, la cattedrale ebbero, in 
questo periodo, restauri, abbellimenti, compimento. Anche alle acque interne ed 
esterne furono date migliori sistemazioni. Fu quello si può dire, un secolo d'oro per 
Padova, che nei tanti e reali benefizi trovò ragioni di affetto e fedeltà grandissima 
per Venezia, da cui era considerata come la città maggiore, più nobile ed importante 
dello Stato. 

Nel tristissimo principio del secolo XVI, quando tanti nembi minacciosi si adden- 
sarono sull'Italia, e su Venezia particolarmente, fatta bersaglio della coalizione 
europea stretta contro di lei a Cambrai, vennero anche per Padova giorni di dolore. 

Dopo la grave sconfitta subita dai Veneziani a Ghiaradadda, in Lombardia, ed il 
loro Stato quasi perduto ed invaso da truppe straniere, i nobili del Consiglio, pavidi 
di danni maggiori e ritenendo impossibile la difesa, deliberarono di dare la città 
all'imperatore Massimiliano, ed aprirono le porte ad un suo capitano Leonardo Tris- 
sino, che vi entrò a nome dell'imperatore con piccola scorta di truppe tedesche* 
Ma l'atto vile dei nobili padovani, che si vollero anche spinti dalla gelosia verso la 
nobiltà veneziana, non trovò il consenso della gran massa del popolo, tutto per 
Venezia. Conscio di questi sentimenti, Andrea Gritti (che fu poi doge) s'impossessò 
della porta Codalunga, mentre Cristoforo Moro, altro capitano veneto, s'imposses- 
sava di quella del Portello, introducendovi le sue truppe e gran numero di contadini 
armati parteggianti per la Repubblica. Il popolo assecondò il movimento ed il Trissino, 
dovette coi suoi Tedeschi asserragliarsi nel castello, che fu stretto di assedio e bom^ 
bardato. Dopo due giorni di inutile resistenza, il Trìssino dovette arrendersi a discre- 
zione; e questo patrizio vicentino che, per ambizione e malanimo, aveva portato le 
armi straniere ai danni della patria comune, fu condotto prigione a Venezia, dove 
oscuramente morì. Minacciando l'imperatore, subito il Gritti ed il Moro provvidero 
alla difesa della città, riattando le mura, rinforzando ed armando le cortine ed i 
bastioni, allargando le fosse, accumulando munizioni e vettovaglie. Il conte di Piti- 
gliano, capitano generale della Repubblica Serenissima, assunse di poi il comando della 
città, nella quale vennero a rinchiudersi per combattere sotto i suoi ordini i figli del 
doge Leonardo Loredano e molti giovani del patriziato veneziano. Arrivando dalla 
parte d'occidente, dopo di essersi impadronito di Monselice e di Este, l'imperatore 
Massimiliano si trovò davanti alla città col forte del suo esercito di Tedeschi e Spa* 
gnuoli e con 106 pezzi d'artiglieria; numero ritenuto allora formidabile. L'assedio fu 
9ubito posto, ed il S7 settembre 1509 cominciò il bombardamento allo scopo di sman- 
tellare le mura ed aprire brecce; cosa che infatti gli riuscì in vari punti delle mura^ 



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898 I^«>*te Prima — Alta Italia 



mentre non gli riuscì mai penetrare nella città, per quanto non appena aperta una 
breccia le 8ue truppe si lanciassero all'assalto. Ma i difensori, coadiuvati dai cittadini, 
erano pronti a ricacciarli indietro. In questa circostanza si avverò il celebre epi- 
sodio del bastione della Gatta, del quale parlammo nella descrizione della mura 
(vedi pag. 373). Le perdite subite dagli Imperiali in quei replicati assalti, e per il 
fuoco che su di essi veniva dalla città, furono sì gravi, che l'imperatore, allarmato, 
credette meglio di levare il campo, e rinunciando all'impresa allontanarsi. Il pericolo 
era scongiurato; Padova, per la bravura dei comandanti veneziani e per il valore dei 
suoi cittadini, era libera e salva. 

Allora il Gritti, pensò a punire quei nobili che colla affrettata e .bassa dedizione 
fatta all'imperatore avevano mancato di fede alla repubblica e fatto passare alla città 
un sì triste momento. Alcuni furono suppliziati, altri imprigionati o mandati in esilio 
ed i beni di tutti i colpevoli furono confiscati. La lezione giovò : e nessun'altra defe- 
zione ai danni di Venezia fu in Padova tentata. 

Continuando la guerra per la Lega di Gambrai, il vescovo di Gurk, Matteo Lang, 
che guerreggiava pur esso per l'imperatore, tentò nel 1513 prendere di sorpresa la 
città dal lato della porta di Santa Croce: ma il colpo, per il sollecito accorrere dei cit- 
tadini alla difesa, fallì, ed il vescovo dovette allora tentare il regolare assedio. Ma nep- 
pure questo approdò al fine da lui desiderato, che ben presto, vista la inutilità dei 
suoi conati, dovette levare il campo ed allontanarsi. Durante questa fazione avvenne 
il combattimento tra lo spagnuolo Gerolamo di Valenza, che aveva lanciata una 
sfida a quanti difendevano la città, ed il calafatto dell'arsenale di Venezia, Domenico 
Gallina, che accettata aveva la sfida, vinse l'arrogante provocatore: episodio non nuovo 
in quel tempo, fra Italiani e stranieri. 

Un po' colle armi, ed un po' colle arti della più raffinata diplomazia, Venezia seppe 
dissolvere la coalizione ordita a Gambrai ai suoi danni, e lanciarne gli autori princi- 
pali, il re di Francia, l'imperatore, il papa, i Ferraresi, gli uni contro gli altri, in 
aperta guerra. 

Ritornarono, col mutarsi della situazione di Venezia, gli anni di pace e di prospe- 
rità per Padova. L'Università, che durante i tristi otto anni della Lega era rimasta 
chiusa, fu riaperta; ed il Senato non risparmiò né spese, né privilegi e concessioni 
per ricondurla all'antico splendore (1517). Nella grande depressione morale e degli 
studi che seguì in Italia la caduta della Repubblica fiorentina ed il consolidarsi della 
egemonia spagnuola e dei piccoli principati, l'Università di Padova fu il centro di col- 
tura intellettuale e morale più alto e libero (in rapporto all'indole dei tempi) della 
penisola. Il rigorismo dogmatico con che i Padri del Goncilto di Trento credettero di 
opporsi alla marcia trionfale della Riforma luterana, del libero esame, quasi si spuntò 
inefficace nello Studio di Padova, ove l'insegnamento, il culto della filosofia aristo- 
telica lasciavano aperti i valichi ad altre e più ardite speculazioni del pensiero. 

Nel triste secolo XVI, nel tristissimo secolo XVII, mentre a Bologna, a Pisa, 
e altrove gli studi illanguidivano, o si circoscrivevano nelle distrette del più arido e 
sterile formalismo, a Padova fiorivano e precorrevano i tempi; talché lo sperimenta- 
lismo scientifico trovò qui il suo primo profeta ed apostolo nel nome grandissimo di 
Galileo. E questo non fu piccolo merito del governo illuminato e tollerante di Venezia. 

Dopo le guerre per la Lega di Gambrai, ed i rivolgimenti che contristarono ed 
asservirono l'Italia, nel principio del secolo XVI, la storia particolare di Padova non 
registra fatti di grande importanza politica o militare; e va sempre confondendosi con 
quella di Venezia. 

Passano sull'antica città lunghi anni di pace serena ed operosa, cui non giungono 
a turbare le vicende delle guerre sostenute da Venezia al di là dei mari in Oriente, 
per la difesa della fede, del suo dominio, dei suoi traffici. A quelle guerre Padova 



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Padova 399 



dava sovente capitani valorosi e fidi soldati. Nella città prosperavano le indastrìe; 
in campagna Tagricoltura era curata, e colFinalveazione dei fiumi, lo scavo e la siste- 
mazione dei canali sempre nuove terre venivano conquistate alla coltivazione, e 
quelle già in valore preservate dalle periodiche inondazioni. I lavori idraulici com- 
piuti nell'Agro padovano durante la dominazione veneta sono un altro titolo d'onore 
per quel governo, dai propositi tenaci ed illuminati; ed una prova della considera- 
zione nella quale teneva Padova, considerata come un'appendice pressoché indispen- 
sabile di Venezia. 

Uno dei fatti più memorabili avvenuti in Padova, durante la dominazione veneta, 
fu la terribile zuffa avvenuta tra studenti e sbirri nelle vicinanze della chiesa di 
San Clemente Tanno 1723, e della quale resta ancora memoria in una lapide murata 
sulla casa in una delle Debite che fu teatro del triste avvenimento. Era consuetudine 
degli studenti, derivante da antichi privilegi, non si sa bene se reali o fittizi, di portare 
armi, spade, archibugi, pistole e stocchi; il che, nella gioventù facilmente accensibile 
per quistioni di donne, di giuoco, dava origine a risse sovente sanguinose e mortali. 

A togliere il deplorevole uso, la Repubblica aveva più volte decretato, con severe 
comminatorie, le proibizioni per gli studenti di portare armi. Ma questi non vole- 
vano obbedire, rinunziando ad un diritto o privilegio, che a torto od a ragione essi 
credevano, intangibile, e tale volevano fosse serbato. Avvenne che nella notte del 
15 febbràio dell'anno anzidetto, una pattuglia di birri, incontratasi nelle vicinanze 
di San Clemente con una comitiva di quattro studenti, armati di archibugio, 
togliessero loro le armi. Gli studenti, non volendo sottostare a quello eh' essi cre- 
devano un sopruso, una menomazione dei loro diritti, unitisi al loro capo, cioè al 
vice-sindaco dei legisti, dichiararono di voler ricorrere in protesta al capitano e 
vice-podestà, Leonardo Dolfin. I birri, irritati da quella minaccia, entrarono nell'osteria 
vicina, detta delle Tre Spade, in piazza dei Signori, ov'erano alcuni loro compagni e 
con quelli uscirono per affrontare gli studenti. I birri erano diciotto e tutti armati, e 
gli studenti, insieme al capo dei legisti sei o sette; e, vista la mala parata, si rifu- 
giarono in una bottega attigua alla chiesa di San Clemente. Con parole vituperose 
i birri li sfidavano ad uscire nella strada; ma siccome quelli non rispondevano alla 
provocazione, presi da singolare furore, entrarono nella casa, e ne inseguirono gli 
abitatori fin nelle più remote stanze, uccidendo il vice-sindaco dei legisti, di nazio- 
nalità tedesca, lo studente conte Cogoli di Vicenza, il figlio dell'oste delle Tre Spade, 
accorso per curiosità, ferendo e malmenando altri due studenti, che erano rimasti 
nelle loro mani, non essendo, come due dei loro compagni, stati lesti abbastanza per 
saltare dalla finestra. 

Il fatto destò grande sdegno e risentimento non solo fra la studentesca ed i pro- 
fessori, ma nell'intera cittadinanza. L'Università, in segno di lutto, si chiuse, ed il 
sommo Morgagni, reclamando provvedimenti, in una lettera ai Riformatori dello 
Studio, diceva fra l'altro : < Gli scolari non si credono più sicuri in Padova, e già 
alcuni di essi partono o sono partiti per le loro patrie. La nazione poi alemanna, 
così altamente offesa nel suo capo, è inconsolabile, e la città tutta reclama vendetta 
e giustizia >. Il Senato fu sollecitt) a provvedere ; fu mandato a Padova l'avogador 
Angelo Foscarini ad istruire il processo contro i birri. E solo quando questi vennero 
carcerati gli animi si tranquillarono, ed il Morgagni ed il Papadopoli il SO febbraio 
poterono avvisare i Riformatori, essersi < riaperto lo Studio e disposto che col suono 
ordinario della campana si ripiglino incessantemente tutti i letterari esercizi >. 

Alcuni giorni appresso il doge Alvise Mocenigo scriveva al capitano e vice-sindaco, 
deplorando l'accaduto ed affermando l'intendimento del Governo di dare un memo- 
rabile esempio, procedendo con tutto rigore contro gli autori del grave misfatto. 
£ così fu. Il 24 settembre dello stesso anno, i birri, ritenuti colpevoli in vari gradi, 



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400 P^rte Prima - AIU lUlia 



furono condannati rispettivamente — come dice la lapide pia sopra ricordata — al 
patibolo della forca^ alla galera^ e àlVoscuro carcere a tempo et in viia^ onde restasse 
memoria perpetua^ e della pubblica giustizia et della pubblica costante prot^one verso 
la prediletta insigne Università dello studio di Padova. 

Salvo questo triste avvenimento, la pace e la tranquillità durarono inalterate in 
Padova sino alla fine del secolo XYIII, quando, nel precipitare di quegli avvenimenti 
vertiginosi, fu travolta e cadde per sempre la vecchia e gloriosa Repubblica di 
San Marco. L'occupazione francese pose fine, nel 1797, al dominio veneto in Padova; 
e Tultimo podestà veneziano, il nobile Gian Francesco Labia abbandonò la città il 
28 aprile 1797 nelle mani del generale Le Hoz, entratovi nello stesso giorno. Primo 
atto di quei nuovi vandali in veste di liberatori fu di atterrare dovunque sorgessero 
i leoni e le altre insegne del Governo veneto; di requisire quanto di meglio e di 
buono, oltre del danaro, in vettovaglie, stoffe, seterie, scarpe, cavalli e foraggi era in 
Padova, e mettere a dura contribuzione la municipalità. Indi, con grandi feste e 
parate militari, fu innalzato il tradizionale albero della libertà, e proclamata la repub- 
blica democratica e Tabolizione dei titoli nobiliari. Ma fu effimera la vita di questa 
repubblica patavina, poiché, il 18 ottobre 1797, a Gampoformio, Napoleone Bonaparte 
nccideva la Repubblica di San Marco, e ne cedeva tutti gli Stati airAustria; la quale, 
entrandone subito in possesso, mandava il generale conte Wallis ad occupare Padova 
ed a costituirvi un governo provvisorio. I Francesi rioccuparono la città il 9 gen- 
naio 1801, commettendovi veri atti di saccheggio, e ne uscirono, per riconsegnarla 
air Austria il 4 aprile dello stesso anno. Dopo la pace di Presburgo, rAustiria, costretta 
a cedere il Veneto alla Francia, Padova fu nuovamente occupata dai Francesi 
(26 dicembre 1801) ed unita in seguito col rimanente del Veneto all'allora costituito 
Regno Italico, quale capoluogo del dipartimento del Brenta. Ma più tardi Napoleone, 
con decreto del 30 marzo 1806, eresse Padova in Ducato Crran feudo a benefizio del 
generale Arrighi, colFobbligo di passare a questi una rendita di 60.000 franchi— cosa, 
che, unita ad altre angherie e vessazioni ed alla crescente enormità dei tributi 
imposti per sopperire alle spese delle continue guerre napoleoniche ed alle frequenti 
leve di uomini, esasperò la cittadinanza contro T imperatore. Laonde si spiega che 
durante la guerra del 1809, allorché gli Austriaci per un breve periodo (dal 25 aprile 
al 3 maggio) occuparono la città vi fossero da molti accolti con grandi feste come 
liberatori. Il che fu causa, ritornati i Francesi, dell'incarceramento di molti cittadini 
e della spartizione del territorio padovano, in gran parte aggregato al dipartimento 
delPAdriatico (Venezia). 

Dopo le infelici campagne di Spagna e di Russia la fortuna napoleonica precipitò 
rapidamente; la campagna di Germania, colla battaglia di Lipsia per coronamento, 
segnò il principio delPirreparabile disastro. Il 7 novembre 1813, T impero di Napo- 
leone essendo in isfacelo, gli Austriaci rientrarono in Padova, e vi si stanziarono da 
legittimi dominatori. La città venne eretta a capoluogo di una delle sedici Provincie 
del Regno Lombardo- Veneto,, del quale i Congressi di Parigi e di Vienna riconosce- 
vano la sovranità alla Gasa imperiale d'Austria. Alli 20 di dicembre del 1815 l'impe- 
ratore d'Austria, il novello signore, coli' imperatrice Maria Lodovica visitò la città, 
accolto da solenne dimostrazione. Fra i festeggiamenti dati in quella circostanza, è 
rimasta memoranda la trasformazione del Salone della Ragione, convertito, su disegno 
del Jappelli, per urna festa notturna, in giardino e teatro. Dopo il gran tumulto delle 
vicende napoleoniche, quei primi anni di profondo quietismo, di addormentamento 
degli spiriti, che distinsero la dominazione austrìaca in Italia, parvero e furono 
anche sotto certi aspetti economici riparatori. I campi pressoché abbandonati, diser- 
tati dai lavoratori, strappati in massa dalle guerre del Consolato e dell'Impero, 
tornano a rifiorire ed a produrre: così le industrie interne della città, che in quel 



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Padova 401 



periodo andò anche abbellendosi di varie importanti opere edilizie (il caffè Pedroccbi, 
allora nel suo genere unico ili Italia ad esempio) e del restauro dei monumenti già 
esistenti. Più severa e dura si fece sentire la dominazione straniera dopo che i pro- 
cessi del 1821 e i movimenti del 1831 le ebbero aperto gli occhi sulle segrete aspi- 
razioni dei popoli italiani. L'Università, come centro di raccoglimento della gioventù, 
di sviluppo d*intellettualità e semenzaio di idee nuove, fu tenuta in grande sospetto 
dal governo di Metternich, il quale, se non ebbe il pensiero e Tardire di sopprimerla, 
non cessò mai di angariarla con disposizioni vessatorie e di inceppare Tandamento, 
il progresso degli studi con odiose limitazioni e censure poliziesche. 

Ma la forza delle idee, la legge del progresso poterono più degli aulici rescrìtti 
imperiali e delle miserabili arti di polizia. L'Università di Padova, malgrado tutto, 
restò il grande focolare delle idee patriottiche e nuove nel Veneto ; quivi studiavano 
i Prati, i Fusinato, i Pasini, gli Aleardi, i Cavalletto, i Manin, i Vare, i Tecchio, i 
Calvi, i Nievo, i Paleocapa, e tanti e tanti altri ancora che lasciarono il loro nome 
scritto a lettere d'oro o di sangue glorioso, nella storia del riscatto e del martirologio 
patrio. Da questo centro intellettuale, come da un cervello sempre in azione, la luce 
delle umane idee irradiava lentamente in tutto il rimanente della regione, fin nei luoghi 
più umili ed alpestri, a prepararvi animi e cuori ai futuri eventi, alle agognate riscosse. 

Questo vedeva e sentiva il dominatore straniero, senza peraltro poterlo impedire; 
e fu in quel tempo di laboriosa preparazione della nuova coscienza nazionale vanto 
di Padova e della sua Università di ospitare, nel settembre 1842, uno di quei Con- 
gressi degli scienziati italiani, che, affratellando nel nome della scienza, delle lettere, 
della coltura nazionale le varie regioni d'Italia, furono lievito potente d'affiatamento 
nel precipitare degli eventi tra il 1846 ed il 1848.^ 

Anche Padova stampò in quell'anno memorando, col sangue dei suoi figli, collo 
slancio del suo popolo, una pagina gloriosa nel libro aureo della storia del patrio 
riscatto. 

Dall'esaltazione di Pio IX al pontificato, un gran fermento era entrato negli animi 
della cittadinanza, e soprattutto della gioventù universitaria, che specialmente era 
vigilata dalla polizia e cimentata dalla soldatesca croata. Ciò per altro non impe- 
diva agli studenti di manifestare i loro sentimenti patriottici in quei modi che allora 
erano possibili, cioè col portare cappelli e cravatte airitaliana, col non fumare, col- 
l'evitare tutti i ritrovi frequentati dall'ufficialità austriaca, coll'esaltare e glorificare 
•— anche se non credenti — il nome del nuovo pontefice. Ciò esasperava, umiliandolo, 
l'elemento militare, contro i capi del quale circolavano sovente clandestine, sangui- 
nose caricature, e durante il carnevale mascherate ingiuriosamente allusive. I militari 
vollero perciò dare un esempio e prendersi una rivincita: e r8 febbraio 1848, sul far 
della sera, mentre, terminati i corsi, gli studenti uscivano in folla dall'Università, 
alcuni drappelli di soldati austriaci, col pretesto dell'ordine, mandati a pattugliare, 
si lanciarono sugli studenti inermi, ed a colpi di baionetta e di fucile ne uccisero 
uno e ne ferirono più o meno gravemente parecchi. Poscia entrarono nel caffè 
Pedrocchi, che in qualche sala porta ancora i segni della brutale aggressione, scia- 
boleggiando e percotendo quanti vi si trovavano. La reazione degli studenti e del 
popolo fu rapida: cinque soldati rimasero uccisi e molti altri feriti. Degli studenti 
era rimasto morto sul colpo, trapassato da una baionetta, Giovanni Anghieroni di 
Bozzolo: altri morirono nei giorni seguenti per le riportate ferite. L'Università per 
decreto del governatore fu chiusa, e gli studenti, il giorno dopo, obbligati a partire 
da Padova, per rientrare in seno alle rispettive famiglie. Un gran numero di cit- 
tadini autorevoli venne fatto segno alle investigazioni e alle persecuzioni della 
polizia. Molti furono anche arrestati : fra questi Giovanni Prati. Dal febbraio al marzo 
furono giorni penosi per la nobile città, nella quale ogni pubblico trattenimento restò 

90 — 141 Patria» voi. I, parte 2». 



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402 Parte Prima — Alta Italia 



sospeso, riservato ai soli militari, impiegati ed austriacanti per interesse o per paura, 
che ostentavano grande allegria. 

Il fuoco, però, covava sotto cenere. La mattina del 17 marzo giunse notizia del 
movimento di Vienna e della concessa costituzione. Dimostrazioni di giubilo generale. 

Il giorno seguente la città era imbandierata, come per incanto, del tricolore italico, 
ed ogni cittadino portava o sul cappello o sul petto la coccarda patriottica e la 
medaglia coireffigie di Pio IX. Venne istituita la guardia nazionale, alla quale fecero 
a gara ad inscriversi tutti gli uomini validi. Intanto, ad accrescere esca al fiioco, 
venivano le notizie del movimento ribelle di Milano, della Lombardia in combustione, 
dei ducati sottosopra, abbandonati a loro stessi dai duchini in fuga; e più ancora la 
notizia della trionfante rivoluzione di Venezia del 22 marzo, e T instaurazione del 
governo provvisorio sotto la presidenza di Daniele Manin, della città evacuata dagli 
Austriaci. Il 24 marzo, al giungere della notizia della gloriosa riscossa di Milano, 
dopo cinque giorni di battaglia nelle vie, la guarnigione austriaca, sotto il comando 
del feld-maresciallo D'Aspre, per l'ordine di concentrazione a Verona dato da Radetzky, 
abbandonò indisturbata Padova. La città restò sotto la salvaguardia del Municipio e 
della guardia civica. Per primo fatto furono abbassate le aquile e le altre insegne 
del governo straniero. Al Municipio fu aggregata una commissione dei cittadini più 
autorevoli e allora conosciuti per la loro devozione alla causa della patria, la quale 
deliberò di far adesione al governo provvisorio di Venezia. Una commissione presie- 
duta dal cittadino Andrea Meneghini, fervente patriota, fii mandata a Venezia a por- 
tare questo voto. Frattanto il podestà Zigno, esitante e pavido, volle eleggere una 
consulta di cittadini che non affidavano troppo pel loro patriottismo. Il popolo, tumul- 
tuava sotto il palazzo, acclamando ad Andrea Meneghini, Carlo Leoni ed altri. — Lo 
Zigno e gli altri assessori in sospetto di tenerezze austriache si ritirano; ed al governo 
della città restò il letterato epigrafista Carlo Leoni. Da Venezia arrivava il Meneghini 
con l'ordine di quel Governo d'eleggere un Comitato di sette persone per il governo della 
città in via provvisoria. Ma il popolo vuole avocare a sé il diritto di questa nomina. 
I cittadini, convocati all'uopo al Prato della Valle, dopo molte discussioni e fra un 
numero grandissimo di candidati, elessero : Andrea Meneghini, Barnaba Zambelli, Carlo 
Leoni, Carlo Cotta, Alessandro Gritti, Giambattista Gradenigo, Ferdinando Cavalli: gli 
eletti, radunatisi la sera medesima, si costituirono in Comitato provvisorio dipartimen' 
tale, eleggendo a presidente Andrea Meneghini. Alla meglio che si potè si organizzò la 
guardia civica. Ma come i fucili mancavano pel numero grande degli accorsi, i più ven- 
nero armati di alabarde tolte dall'armeria antica della villa del Cataio di proprietà degli 
Estensi, duchi di Modena. Bandita nelle città italiane, in quel grande fervore patriot^ 
tico, la crociata contro l'Austria, il 29 marzo i giovani disposti a parteciparvi furono 
convocati nel Salone; ed il giorno appresso, capitanati da Sanfermo, partirono. Pochi 
giorni dopo, a Serio, avevano il battesimo del fuoco, in uno scontro cogli Austriaci; 
ed in quel breve combattimento ne restarono morti 25 e molti feriti (8 aprile). Nei 
giorni susseguenti cominciarono ad arrivare a Padova le truppe pontificie mandate 
alla crociata; poi le napoletane, che, condotte da Guglielmo Pepe, non avevano obbe- 
dito all'improvviso richiamo del Borbone ; indi le truppe piemontesi, miste ai volontari 
lombardi agli ordini del generale Durando, e fra le quali, nello stato maggiore, era 
Massimo D'Azeglio, che al combattimento del mont^ Borico presso Vicenza, doveva 
restare ferito. Seguirono altri Lombardi con 4000 Svizzeri, per lo più Ticinesi; poi nel 
maggio, il generale Ferrari, con altri 4000 volontari, e poscia la legione Antonini, 
formata a Parigi cogli antichi profughi in Francia. Queste truppe andavano e veni- 
vano senza ordini fissi, senza disposizioni logiche ed organiche, fra grandi clamori e 
manifestazioni di gioia della folla, generando pia confusione che utilità per l'even- 
tualità che annunciavasi imminente d'una resistenza od offesa al nemico, che andava 



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Padova 403 



rapidamente riorganizzandosi e svolgendo un ben determinato piano di rivincita. — A 
far perdere del tempo prezioso ed aggiungere un superfluo eccitamento negli animi, 
che poi doveva svaporare nel nulla di amare delusioni, venne il celebre padre Gavazzi, 
colle sue predicazioni in Duomo e nella piazza dei Signori — ch'egli volle battezzare 
col nome di Pio IX. La colletta da lui proposta per le spese di guerra fruttò oltre 
5000 lire austriache, più un gran numero di oggetti d'oro donati per batterli in moneta. 
E fu questo il miglior risultato dato dalla predicazione del Gavazzi in Padova. 

Poco stante cominciarono i guai. U generale Ferrari a Comuda Pll maggio subiva 
una grave sconfitta, che apriva agli Austriaci la strada su Padova. Furono mandati 
messi al generale Durando, che aveva il suo quartiere generale a Cittadella, perchè 
provvedesse alla difesa di Padova. Il Durando, per ragioni strategiche, si disse obbli- 
gato a continuare la sua ritirata su Vicenza: tuttavia, per rassicurare gli animi, mandò 
Massimo D'Azeglio ad assicurare che avrebbe pensato pure alla difesa di Padova. Due 
giorni dopo venne a porre il suo quartiere generale all'Arcella: il 28 maggio rientrava 
in città con 2000 pontifici e 2000 svizzeri ; ma fisso di fare di Vicenza il centro delle 
sue operazioni, il giorno stesso ripartiva per quella città. La sconfitta dolorosa del 
Durando a Vicenza, dopo il lungo, glorioso combattimento di Monte Berico, ebbe una 
immediata disastrosa ripercussione sulle cose di Padova, che precipitarono al peggio. 
U Comitato provvisorio e la cittadinanza deliberarono la resistenza a tutta oltranza. 
Fu nominato comandante di piazza il colonnello del genio ed artiglieria Bartolucci: 
vennero formate le barricate, minati i ponti pei quali i nemici avrebbero potuto entrare 
in città. Le forze di cui il Bartolucci poteva disporre erano le seguenti: legione 
padovana, 1000 uomini; legione bolognese, sotto gli ordini del colonnello Bignami, 
800 uomini; volontari romani, comandati dal colonnello Masi, 2000; legione lombarda, 
900 uomini; artiglieri, 2i0; cannoni da campagna 10, da fortezza 14; cavalli 35. La 
sera del 12 luglio, in una seduta del Consiglio in Comune, il Bartolucci, il Sanfermo, il 
Paolucci, il Masi ed il conte Andrea Cittadella, comandante della guardia civica, dimo- 
strarono in quelle condizioni impossibile un'utile resistenza, che si sarebbe rivolta in 
inutili stragi ed in danni maggiori per la città. Di più avendo il Governo provvisorio 
di Venezia richiamate colà tutte le truppe, il Bartolucci e gli altri, seguiti da molti 
cittadini, malgrado le proteste del Comitato dipartimentale, abbandonarono Padova 
dirigendosi su Venezia. Il popolo tumultuava nelle vie gridando alla viltà della capi- 
tolazione: invase la sede del Comitato, ed alcuni membri col presidente Meneghini 
furono ingiuriati e maltrattati. Col pretesto di correre alle mura per la difesa, alcune 
centinaia di persone invasero il Salone, ov' erano radunate le armi e le munizioni 
disponibili, e spazzarono via ogni cosa, facendone bottino. Il Meneghini, il Cavalli, Cotta 
e Gritti rinunziarono alle loro cariche trasferendo ogni autorità al comandante della 
Guardia Civica, che non ne volle sapere. Allora Carlo Leoni, solo rimasto in carica, 
fece la consegna della cassa del Comitato al vicedelegato austriaco conte di Campo- 
sampiero, e partì egli pure per Venezia. La mattina del 14 giugno da Vicenza giunse 
il maresciallo D'Aspre con 6000 uomini ed occupò senza colpo ferire Padova, deserta, 
silenziosa, cupa nel suo dolore. Da quel triste giorno fino al 12 giugno 1866 Padova 
rimase sotto la pressura del soldato straniero: assistendo, fremente di dolore ed impo- 
tente ad aiutarla, alla lunga disperata agonia della libertà di Venezia, durante il 
memorando assedio del 1849, e sanguinante per le troncate speranze del 1859. 

Durante questo periodo, tanti dei suoi figli migliori emigrarono in Piemonte ed 
a Genova, ove spiravano più sicure aure di libertà e si preparavano i nuovi destini 
della patria, cui affrettarono col contributo del loro valore sui campi di battaglia del 
1859, del 1860, del 1866. 

Gli Austriaci lasciarono Padova nei primi del luglio 1866, ed il 12 di quello stesso 
mese entrava in città il corpo d'armata che il generale Cialdini voleva spingere fino 



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404 Parte Prima - Alta Itolia 



alla linea del Tagliamento, accolto dalllrrefrenabile entusiasmo della popolazione. 
Poscia iìì^ d'agosto dello stesso anno il re Vittorio Emanuele U entrava in Padova 
per porta Santa Croce e vi si tratteneva alquanti giorni. L'armistizio e la pace nego- 
ziata a Parigi colla intromissione di Napoleone III, assicurarono Fabbandono del 
Veneto da parte deirAustria. Il plebiscito delle Provincie venete del 21-22 ottobre, 
nel quale Padova diede voto unanime per Tannessione al regno dltalia, chiuse irre- 
vocabilmente nella storia della nobile città la triste èra della dominazione austrìaca. 



CITTADINI ILLUSTRI 

Lunga è la schiera degli uomini illustri padovani che in ogni tempo, anche nei più 
lontani dal nostro, hanno colle virtù civili ed il sapere onorata la loro città natale. 

Già toccando del periodo romano abbiamo primissimo ricordato il grande Tito 
Livio, onore non solo di Padova, ma di Roma, d'Italia, della letteratura e della civiltà 
latina; — ricordiamo ancora il virtuosissimo Trasea Peto, vittima degli odi neroniani; 

— Cecino Peto ed Arria sua moglie, illustri cittadini vittime dei sospetti di Claudio; 

— Valerio Fiacco, Lucio Arunzio Stella, poeti e uomini consolari. 

Nel medioevo il fiore della cittadinanza patavina si raggruppò intomo alla Univer- 
sità, della quale tra il secolo XIII ed il XIV furono gloria Pietro di Abano, medico, 
filosofo ed astrologo; — Albertino Mussato, poeta tragico e lirico latino, storico, giu- 
reconsulto, diplomatico e guerriero; — Francesco Zabarella, detto il cardinale di 
Firenze, oratore e teologo profondo; — Gian Michele Savonarola, celebre medico. 

Nel fiorente periodo della dominazione veneta si resero celebri fra i molti i Pado- 
vani: Lodovico Scarampi Mezzarota, medico e guerriero (f 1465); — Marco Montano 
Benavides, giureconsulto, archeologo e dottore alla Università (1489-1582); — Bernar- 
dino Scardeone (1478-1574), storico ed archeologo; — Angelo Beolco, detto il Ruzzante 
(1502-42), poeta originale del genere rustico; — Speron Speroni (1500-88), letterato, 
poeta, uomo dottissimo in ogni materia; — Gaspara Stampa (1523-54), poetessa; — 
Albertino Bottoni (t 1506), medico e professore nella Università; — Emilio Campo- 
longo (1550-1604), medico distintissimo e docente; — Sertorio Arsato (1600), illustra- 
tore delle memorie patrie; — Giovanni Chiericato, teologo insigne (f 1633); — il conte 
Carlo Dottori, facile e brioso poeta, autore del poema eroicomico satirico V Asino, pre- 
zioso ancora oggi per le memorie che vi si serbano dell'antica città e delle sue tradi- 
zioni (1615-1686); — G. A. Volpi, filologo di gran nome (f 1766); — Stefano Benedetto 
Pallavicini, poeta (f 1742) ; — Antonio Conti, filosofo ed autore di tragedie, precursore 
del Maffei e dell'Alfieri (f 1749); — Alberto Fortis, naturalista sommo, archeologo, 
fisico e poeta (1741-1803). 

Anche nel secolo XIX Padova presenta una numerosa schiera di cittadini illustri, 
la fama dei quali oltrepassò di gran lunga T ambito ristretto delle mura cittadine. 
Ricordiamo fra tutti: Giovanni Bolzoni, viaggiatore arditissimo in America, Asia ed 
Africa, che compì in tempi nei quali le difficoltà per tali viaggi erano di gran lunga 
superiori alle presenti, importanti esplorazioni a scopo scientifico, storico, archeologico 
(1778-1823); — Melchiorre Cesarotti, poeta, letterato, erudito e stilista purissimo 
(1730-1804); — il conte Andrea Cittadella Vigodarzere (1804-1890), poeta, letterato, 
filantropo, morto senatore del Regno; — Pietro Selvatico, il più completo ed amoroso 
illustratore delle glorie artistiche della sua città ed uno dei più apprezzati scrittori di 
cose d'arte nel nostro secolo (f 1880); — Antonio Tolomei, giurista, letterato, poeta, 
professore nella Università, sindaco rinnovatore della città; -— Carlo Leoni (1812-1874), 
letterato, artista, patriota, resosi celebre specialmente come epigrafista, dell'opera del 
quale, pur rilevandone i difetti, ha tessuto un meritato elogio Giuseppe Guerzoni nella 
prefazione alle Epigrafi e prose del Leoni, edite dal Barbera di Firenze, eoa queste 



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Padova 405 



parole: < Quella incisiya breviloquenza; quel magistero di scolpire in due parole una 
intera età o una intera vita; quelPardimento lirico; quella solennità epica, congiunta 
alla scrupolosa verità storica; quella castità di ornamenti; quella nudità quasi scul- 
toria; quell' < arcana melodia pittrice > dell'epigrafe, che non è poesia, né eloquenza, 
né pittura, né scoltura, ma di tutto partecipa; nessuno la possedette prima del Leoni, 
e non la insegnò che lui >• 

Qu Artistl 

A quella degli uomini illustri nelle lettere, nelle scienze, negli uffici civili e nella 
magistratura, fa degno riscontro la schiera dei Padovani resisi famosi in patria e 
fuori nel culto delle arti belle. 

Nella pittura i Padovani del secolo XIV sentirono Tinfluenza grandissima e rìnno- 
vatrice di Giotto, che attendendo agli affreschi nella Basilica del Santo, e nella cap- 
pella degli Scrovegno, delPÀnnunziata all'Arena, vi dimorò più di quattro anni. Con 
tutta probabilità gli fu aiuto e discepolo in quel tempo il padovano Guariento, che 
dal maestro molto ritrasse, sì che egli può annoverarsi fra i migliori giotteschi della 
prima metà del secolo XIV, nella quale visse ed operò. I suoi dipinti, al Santo, al 
Museo Civico, agli Eremitani ed in altre chiese, ne fanno fede, sì che da taluno furono 
nel passato attribuiti allo stesso Giotto. 

Nella seconda metà dello stesso secolo, quando era sempre più forte e sentita Tin- 
fluenza di Giotto, modellandosi in parte sul grande fiorentino, e cercando collo studio 
del vero nuove espressioni, vissero ed operarono lungamente in Padova due pittori che 
ci appaiono indivisibili nella vita e negli intendimenti dell'arte : Altichiero od Aldi- 
ghiero da Zevio, e Jacopo Avanzi, che dipinsero assieme la cappella di San Felice nella 
basilica del Santo, uno dei più preziosi gioielli dell'arte nostrana nel secolo XIV, e dis- 
seminarono altri dipinti nelle varie chiese della città in cui vissero tra il 1350 ed il 1390. 

Fu padovano Francesco Squarcione (1394-1474), ritenuto uno dei quattro primi 
padri della grande scuola veneta : artista singolarissimo e versatile come lo furono molti 
in quella meravigliosa fioritura intellettuale del Rinascimento, viaggiò V Italia e la 
Grecia riproducendone col disegno i capolavori dell'arte antica, e raccogliendo, come 
gli era concesso dalle circostanze e dai suoi mezzi, statue, busti, frammenti, cippi, urne 
cinerarie, rarità di cui ritornato in patria formò una specie di museo, visitato da quanti 
personaggi insigni ebbero in quel tempo occasione di passare o soggiornare in Padova. 
Le opere che dello Squarcione rimangono sono poche, rarissime, improntate con grande 
vigoria al sentimento della natura e del vero. Numerosa fu l'accolta dei suoi allievi, 
che furono contati oltre a 130, e fra questi figurano i nomi di due sommi, quali il Gior- 
gione (da Castelfranco) e Andrea Mantegna (1431-1506). Fra tutti i suoi allievi il Man- 
tegna fu dello Squarcione il prediletto, e nelle opere della prima maniera del grande 
artista é sensibile la influenza del maestro. Guastatosi con questi, a causa dell'avere 
condotta in moglie la figlia di Jacopo Bellini, nemico ed emulo dello Squarcione, il 
Mantegna, per non avere contrasti, emigrò altrove, fermando poi la sua dimora a 
Mantova, ove alla Corte del Gonzaga lasciò le prove del suo grande ingegno, della 
sua arte potente, squisita, eletta. Del Mantegna in Padova le opere rimaste sono poche 
ed inferiori. Ma ciò non toglie che ei non sia gloria di primissimo ordine nonché di 
Padova, d'Italia tutta. Da lui l'arte italiana ebbe grande spinta verso le altezze inarri- 
vabili che sacrò con Correggio, Leonardo e Raffaello, con Tiziano e Micbelangiolo e per 
dire dei soli sommi. Altri pittori patavini d'ottima fama e che lasciarono opere di certo 
valore furono Gerolamo del Santo, detto anche Gerolamo da Padova (1480-1570), buon 
freschista ed eccellente miniatore ; -— Giulio Campagnola, pittore, incisore ed anche 
letterato e filologo, padre di Domenico Campagnola, eccellente pittore ed intagliatore, 
le opere del quale sono numerose e pregevoli in Padova (1484-1550). Con Domenico 



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406 Pai^e Prima - Alte IteUn 



Campagnola, del quale era parente, lavorò il Gaaltieri (vìvente circa nel 1540), che 
pure ha lasciato buoni saggi del suo valore: — Buonissimo ed operoso artista fu pure 
Stefano dell' Arzere (vissuto intomo al 1560), i lavori del quale hanno una impronta di 
gentilezza tutta speciale; — Allievo di Tiziano ed emulo del Campagnola minore fa 
Damiano Mazza, morto in giovane età. 

Fra i secentisti, dominati dalla influenza della grande arte veneta di Tiziano, del 
Veronese, del Tintoretto, emerge Alessandro Varotari, detto il Padovanino, uno dei 
migliori Ara gli artisti di secondo ordine del suo tempo: operosissimo, lasciò gran 
numero di dipinti in patria, a Venezia e nelle altre città della regione. Seguono, nella 
seconda metà del secolo XVII e nel peggiore periodo dell'arte, Antonio Pellegrini, 
efficace colorista, ma disegnatore manierato; — Pietro Liberi, cavaliere di Malta, disce- 
polo del Padovanino, Che trattò specialmente con efficacia e fantasia soggetti storici. 
E in Padova studiò e dipinse (Giacomo Da Ponte bassanese, che nella sua prima 
maniera rilevò molto dai dipinti giotteschi dell'Annunziata. 

Come Giotto aveva lasciata in Padova coU'arte sua una determinante influenza, 
alla quale dopo il Guariento si abbeverarono TAltichieri e lo stesso Squarcione ed il 
Mantegna, così la presenza in Padova di Donato di Bette de Bardi, detto Donatello^ 
per la erezione del monumento al Gattamelata, e per gli altri lavori nella basilica del 
Santo, ebbe la virtù di far sorgere in Padova una scuola di scultori che fu certo fra le 
più famose d'Italia. Alla scuola del Donatello si formò specialmente Bartolomeo Bellano, 
nato a Bollano, sul lago di Como, intomo al 1420, che il Vasari erroneamente chiama 
il Vellano ■— che assunse, come scrive il Frìzzoni, il nome del luogo ove ebbe i natali, 
e con questo titolo fu nominato cittadino padovano. Fu scolaro del Donatello, che la 
tenne presso di sé quando venne a Padova a comporre in bronzo la statua equestre 
del Gattamelata < e sì gli prese a voler bene — dice il Vasari — che, partendosi di là, 
gli lasciò tutte le sue masserizie, i disegni e i modelli che si avevano da fare di bronza 
intorno al coro del Santo di quella città >. Vera o meno l'affermazione del Vasari, fatto 
positivo è che di mano del Bollano sono 10 delle 12 tavole in bronzo, rappresentanti 
soggetti biblici, infitte nelle pareti del presbiterio, sotto le cantorie. Il Vasari afferma, 
ed in ciò ne convengono tutti gli scrittori d'arte, < che quei lavori furono condotti con 
molto ordine e che le attitudini e le passioni delle varie figure furono meravigliosa- 
mente espresse >. L'atto di cauzione per questo lavoro è nei registri della fabbrica della 
Basilica dove si trova la nota seguente: < 1485. Mistro Bartolomeo Belan de' aver per 
aver tolto a far tutti li quadri che sono n. 9 et pagarli secondo che sarà indicato il merito 
per persona intelligente di simil cosa... Termine a compirli a do' anni... >. U Selvatico 
dice di lui: < Lo stile ebbe alquanto serio, tiene il mezzo fra quello che usavano i Lom- 
bardi a Venezia e l'altro eh' era trattato in Firenze dal Donatello e da Desiderio da 
Settignano >. — Il Bollano morì di circa 92 anni, e suo maggior discepolo fu Andrea 
Riccio, Rizzo, da Briosce, detto anche semplicemente il Briosce: artista eccellentis- 
simo, tanto nel trattare dello scalpello il marmo, quanto nel modellare in creta e cera 
per le fusioni in bronzo. Di lui sono molti lavori in Sant'Antonio, ed il meraviglioso 
candelabro in bronzo che non ha pari nel mondo. Egli, secondo la memoria pubblicata 
dal padre Gonzati, il paziente illustratore della Basilica, sarebbe autore del modello a 
disegno della cappella del Santo, dai più erroneamente attribuita al Sanso vino; ed alla 
cui esecuzione attesero poi Minello de Bardi ed il Falconetto. Del Briosce scrive il 
Merzarìo : < Per certo il Rizzo superò nella fusione e cesellatura dei bronzi il Ghi- 
berti, il Donatello, il Cellini e i migliori che lo precedettero : e a ragione il Cicognara 
lo chiama il Lisippo dei bronzi veneziani >. — Sebbene non nati precisamente a 
Padova, questi due grandi passarono quivi la maggior parte della loro vita, vi lavo- 
rarono le loro opere migliori, colle quali i nomi loro furono raccomandati alla poste- 
rità, ed ebbero dalla Repubblica patavina conferiti gli onori di quella cittadinanza. 



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Mandamenti e Comuni del Distretto di Padova 407 



A buon diritto, sebbene derivanti dalle corporazioni comasche, sì debbono riguardare 
per Padovani. 

Nella seconda metà del secolo XVI, quando erano già scesi nella tomba il Bellano 
ed il Briosce, si resero celebri per personali opere di scoltura i padovani Francesco 
Segala ed Antonio Minello : indi Tiziano Minio o Tiziano da Padova — che fu disce- 
polo del Sansovino — e riesci eccellente nell'arte degli stucchi. Poi vennero in seguito 
Antonio Surdio, del quale è raccomandabile il bel busto del senatore Sperone Spe- 
roni: e nel secolo XYII, il Dentone, Gerolamo Campagna, Danese Cattaneo ed altri 
di minor fama, dei quali sono specialmente i monumenti funerari in stile barocco, che 
si vedono tanto nella basilica del Santo che in quella di Santa Oiustina. Dell'epoca 
barocca sono fra gli altri ricordabili Agostino Fasolato, Antonio Corradini, Pietro 
Danieletti, e sulla fine del secolo XVIII, il fecondo, ma mediocre Felice Chiereghin. 

Padova non produsse architetti di gran nome. I suoi monumenti maggiori, il Salone, 
la Basilica del Santo, Santa Giustina, la Cattedrale, son dovuti ad artisti venuti dal 
di fuori. Di quel tal Cozzo da Limena, al quale il Leoni, su afifermazioni di poco accu- 
rati scrittori del settecento, attribuisce la paternità del Salone, è assai dubbia l'esi- 
stenza. La reggia dei Carrara fu eretta sotto la vigilanza di un Domenico da Firenze; 
le torri ed il castello di Ezzelino da un Egidio milanese. Di che paese fosse quel Fra 
Giovanni degli Eremitani, che lavorò al primo rifacimento del Salone ed alla sua 
chiesa, non è noto; gli scrittori locali concordano nel ritenerlo di Padova. Il Roano, 
come architetto, diede i primi disegni della basilica di Santa Giustina; — Andrea della 
Valle, quale architetto, lavorò nella fabbrica della Cattedrale, ma non se ne conosce 
il paese di origine; — Annibale da Bassano fu l'architetto della loggia in piazza dei 
Signori; — i veronesi Falconetto e San Michele furono architetti di vari edifizi e 
porte l'uno, dei bastioni l'altro; — all'abate Domenico Cerato, vicentino, professore 
di architettura civile all'Università di Padova, si devono la specola, l'ospedale ed altri 
notevoli edifizi; — e suo allievo fu Daniele Danieletti, padovano, autore di un prege- 
vole trattato sugli Elementi cP architettura civile; — Giuseppe Jappelli, che molto 
lavorò in Padova ed al quale si debbono fra gli altri edifizi il Caffè Pedrocchi, il 
Teatro Nuovo e il Giardino Treves, era veneziano (1). 

Coli. eletL e Dice. Padova — P*, T., Str. ferr. e Tr. 

Abano Bagni (4556 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende a sud-ovest 
da Padova, in posizione pittoresca, alle falde orientali dei colli Euganei. È attraversato 
dalla linea ferroviaria Bologna-Padova- Venezia ed è anche 
congiunto a Padova ed ai Comuni vicini da buone strade car- 
rozzabili, n Comune è essenzialmente agricolo ed il capoluogo 
(14 m. sul mare e chilometri 8 da Padova) è un bel paese di 
oltre 700 abitanti, con stazione ferroviaria sulla linea suddetta, 
ove si fermano anche i treni diretti durante la stagione bal- 
neare giugno-settembre. Nel paese di Abano non mancano 
notevoli edifizi, tra i quali va innanzi tutto ricordata la chiesa 
parrocchiale, dedicata a San Lorenzo, ad una sola navata; inte- 
ressante per la sua antichità è l'attiguo campanile. Esistono 
inoltre molte ville bellissime, fra le quali sono da ricordare 
/quella Rigoni, con bella facciata di stile palladiano; la villa Astori, di stile gotico; 
la villa Sette, di stile svizzero moderno, e parecchie altre. Grandiosi e muniti di tutto 




(1) Per cenni sulla città di Padova, oltre delle informazioni ed impressioni che potemmo personal- 
mente assumere in luogo, ci giovammo delle opere del Selvàtico, dell'ÀMÀTi e del prof. 0. Brenta.RU 

(N. d. A.). 



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408 Psrte Prima - Alta Italia 



il comfort moderno e quanto occoite per eflBcace cura delle acque sono gli stabili- 
menti dei bagni di Abano, fra i quali i più importanti per vastità e perfezione sono: lo 
stabilimento termale Orologio^ il Todeschini e quello di Monteortone. 

Le frazioni principali del Comune sono Abano Centro e Abano Terme. Le acque 
di Abano sono celebri per antica rinomanza. Le sorgenti copiosissime che alimentano 
gli stabilimenti di Abano sono quelle di Montirone colla temperatura di S?® C, e quella 
di Monteortone colla temperatura di 63<>C. Vengono impiegate per bagni, fanghi, per 
bibita e per inalazioni. Appartengono alle salso-iodo-bromo-litiose. I bagni ed i fanghi di 
Abano, i quali ultimi sono costituiti dal sedimento delle acque misto alle alghe termali, 
sono efficacissimi contro le artriti in genere, i reumatismi, le sciatiche ed altre molte 
malattie del sistema di locomozione e nervoso. Ottimi i bagni contro le malattie della 
.pelle e parecchie malattie viscerali. L'acqua termo-minerale del Montirone, ricca di 
iodio, bromo e litio, si usa da tempo remotissimo per bibita sul sito e fuori, quale effi- 
cacissimo rimedio coadiuvante la cura del fango e del bagno e da sola contro le diatesi 
uriche, i reumatismi articolari, le artrosinoviti di qualsiasi specie. £ ricca anche di 
solfati e di alcalini ed è impiegata perciò con successo nei catarri delle vie digerenti 
;e delle mucose in genere, nelle stasi epatiche, contro Tabituale stitichezza, ecc. Si 
prende a bicchieri, tiepida. V'è anche Vacqua madre salso-iodo-bromo-litiosa, la quale 
si usa nelle stesse malattie, ma più specialmente trova indicazione nelle manifestazioni 
linfatiche e scrofolose. È di facile impiego nei bambini, poiché riesce attivissima sotto 
piccolo volume e si prende a cucchiai allungata con latte, brodo od acqua. Vi sono poi 
in Abano le sorgenti solforose fredde di San Daniele e di Santa Maria di Monteortone 
e quella salino-calcarea della Vergine, che si usano solamente per bibita. 

I dintorni di Abano, specie dal lato dei colli Euganei, sono assai interessanti e 
si prestano a belle escursioni: come a Montegrotto, ove sorgevano gli stabilimenti 
termali al tempo dei Romani, e vi si trovarono vestigio di grandiosi edifizi dei quali 
^ino si ritiene il palazzo imperiale della celebre piscina neroniana, delle pubbliche 
terme; a San Daniele, piccolo colle alle cui falde scaturisce la sorgente solforosa 
fredda, che serve per bibita. Interessantissime poi sono le gite ad Arquà, ove s'ammi- 
rano la casa e la tomba del cantore di Laura; alla grandiosa villa di Valle Sant'Eusebio, 
celebre per un famoso labirinto e giuochi d'acqua in un vasto e ben tenuto giardino, al 
monastero di Rua, sulla vetta del monte omonimo; al monumentale monastero di 
fraglia, ove si conservano preziosi oggetti d'arte. 

II territorio di Abano è fertilissimo e ben coltivato: produce in copia cereali d'ogni 
specie: gelsi, viti, foraggi, frutta e ortaglie. L'allevamento del bestiame da stalla e 
da cortile e la produzione dei bozzoli sono in luo^o industrie fiorentissime. Altre pic- 
cole industrie fioriscono nel Comune e traggono il loro maggiore alimento dal consuma 
e dal concorso dei forastieri nella stagione della bagnatura — dal maggio all'ottobre. 

Cenno storico. — Abano (lat. Aponus, dal greco dlTuovo; = senza dolore, cioè luogo 
•ove si curano i dolori) fu colonia greca, poi romana, ed è senza dubbio uno dei luoghi 
più antichi e rinomati del Padovano. Alle falde degli Euganei, fu certamente sede 
dei primissimi abitatori della regione; ed i cimelii preistorici rinvenuti nel suo terri- 
-torio lo provano. Le sue acque termali caldissime e copiosissime furono utilizzate 
a scopo di cura fin dal periodo romano; e negli scavi fatti a più riprese in Abano 
e nel territorio circostante si rinvennero avanzi di acquedotti in muratura ed in piombo» 
nonché di colonne, frammenti di lapidi, di statue, di vasche, di piscine, mosaici, monete» 
medaglie, suppellettile archeologica preziosissima che andò divisa fra i musei di 
Venezia, di Padova e di Verona. 

Anche nel medioevo i bagni di Abano furono ^ sebbene con assai minor voga 
che dai Romani — frequentati da personaggi insigni tra cui il re Teodorico, gli esarchi 
di Ravenna, l'imperatore Arrigo IV ed altri. Sul prolungato soggiorno di questo 



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Mandamenti e Comuni del Distretto di Padova 409 

imperatore e di sua moglie Berta in Padova, al tempo della lotta per le investiture colla 
Corte di Boma, venne la ricordata leggenda della Berta di Montagnone. Era questa 
una contadina di San Pietro, la quale avendo saputo che F imperatrice Berta passava 
volentieri il tempo, neirozio di Padova, filando alla conocchia, essa che era filatrice 
esperta, avendo accumulato una grande quantità di filo, credendo, nella sua inge- 
nuità, che rimperatrice ne abbisognasse, caricò il suo asinelio e si recò alla città per 
offrirlo alla sovrana. Le guardie non volendo lasciarla entrare nel palazzo in quel- 
Tarnese e con quella bestia, ne nacque un diverbio del quale Timperatrice ebbe sentore. 
Essa fece chiamare la povera donna, che portava lo stesso suo nome, e gradì il dono. 
Per compensarla, accordò alla Berta tanto territorio nella regione euganea quanto ne 
poteva cingere il filo da lei portato. La contadina ed i suoi divennero cosi ricchissimi 
e nobili. La voce del fatto dififusasi, tutte le donnicciuole del contado corsero a portare 
filo all'imperatrice, ma questa bellamente le rimandava col detto: < Care mie, è passato 
il tempo che Berta filava >. — Da ciò il proverbio ancora vive sulle labbra del popolo 
veneto: da ciò la leggenda più o meno abbellita e sfruttata dal folklorismo locale. Per 
la esattezza storica è d'uopo aggiungere che la nobile famiglia Montagnone d'Abano era 
già ricca e potente assai tempo prima che Arrigo IV scendesse in Italia ed avvenisse 
il fatto raccolto dalla leggenda. A peno che non si tratti di una trasposizione di nomi 
e di data e che in luogo di Arrigo IV non si tratti di Arrigo II di Bamberga — poiché 
dei signori di Montagnone si hanno notizie fin dal 1017, nel tempo appunto in cui questo 
principe viveva. — Durante il periodo delle guerre comunali, Abano era munito di 
castello e fu valido propugnacolo dei Padovani contro Vicenza, più volte contrastato. 
Uomini illustri. — Fu nativo di questo luogo Pietro di Abano, uno dei più originali 
e dotti ingegni del secolo XIII (1250-1316), professore di leggi, di astrologia, di medi- 
cina, di filosofia all'Università, dal popolo per la vastità e varietà del suo sapere tenuto 
in conto di mago; dai dotti e dagli ecclesiastici, per la finezza del suo spirito critico e 
per la profondità della sua dialettica, che non s'arrestava a scrutare oltre quelle 
colonne d'Ercole che erano allora i dogmi, guardato con sospetto di eretico. Certo è 
che fu uomo di gran lunga superiore al comune e che della sua potente individualità 
è rimasta in Padova profonda traccia per molto tempo. — È fama inoltre che in Abano 
abbiano avuto i natali il console Arrunzio Stella; Valerio Fiacco, autore dell'^r^onau- 
tica ed il sommo storico romano Tito Livio. 

Coli, elett. Abano Bagni — Dioc. Padova — P", T. e Str. ferr. 

Albignasego (4349 ab.). — Si stende questo Comune al sud di Padova, sulla strada 
che da questa città va a Conselve. Il Comune consta di varie frazioni, per lo più 
parrocchie, fattorie e cascinali sparsi nella bella e vasta pianura, ad oriente dei colli 
Euganei. — La frazione centro, Albignasego (12 m. sul mare e chilometri 5 da Padova), 
è un grosso borgo sparso di circa 1400 abitanti, di aspetto moderno. Notevole è la chiesa 
parrocchiale, di buona architettura, nella quale si conservano dipinti attribuiti al Cam- 
pagnola. Sulla facciata esterna è murata una lapide romana, rinvenuta in luogo, che 
per l'accurata incisione dei caratteri mostra di essere del miglior tempo. • 

Il territorio di Albignasego, irrigato e coltivato con grande cura, è fertilissimo. Dà 
cereali di ogni specie, foraggi, viti, frutta, gelsi. Importante è in questo Comune l'alle* 
yamento del bestiame, tanto da stalla che da cortile, del quale si fa larga esportazione. 

Cenno storico. — Albignasego è luogo antico, e forse, al tempo di Roma, fu stazione 
di sedentari, sulla via che da Ferrara conduce a Padova. Nel medioevo appartenne 
alla Chiesa, poi al Comune di Padova, e durante le frequenti guerre coi Vicentini, cogli 
Scaligeri ed anche cogli Estensi ebbe a subire rovine e saccheggi, essendo guarnito 
da una torre tenuta dai Padovani. 

Coli, elett. e Dioc. Padova — P* e T. ad Abano, Str. ferr. e Tr. locali. 
91 — lift Patria, ycL I, parte 2\ 



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410 Parte Primt -> Alta Italia 



Cadoneghe (3050 ab.). — U territorio di questo Comune si stende al nord-est di 
Padova, sulla riva sinistra del Brenta. È C!omune di carattere essenzialmente rurale, 
formato davano Arazioni o parrocchie sparse nella bella pianura. —La frazione centro, 
Cadoneghe (13 m. sul mare e chilometri 5 da Padova), è un discreto villaggio d'aspetto 
moderno, con una chiesa parrocchiale di buona architettura, senz'altro di notevole. 

II territorio, fertilissimo e riccamente irrigato, dà cereali, gelsi, viti, foraggi, frutta 
e ortaglie. L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile e la produzione dei bozzoli 
sono le industrie sussidiarie all'agricoltura in questo Comune, ove hawi pure una 
tessitura di telerie in lino e canape. 

Cenno storico. — Cadoneghe è luogo antico, ricordato nelle vicende guerresche 
del Comune e del priacipato patavino tra il secolo XII ed il XV. 

GoU. elett e Dioc Padoya — P^ a Padova, T. • Str. ferr. a Vigodarz«re. 

Campodoro (1967 ab.). — Si stende il territorio di questo Comune al nord-ovest della 
città capoluogo, presso il confine della provincia di Padova con quella di Vicenza. — 
Campodoro è Comune esclusivamente rurale costituito dalle frazioni di Campodoro 
(23 m. sul mare e chilometri 15 da Padova) e Bevadoro. Nulla peraltro di notevole, 
sebbene non manchino, tanto nell'uno che nell'altro dei due paesi, edifizi moderni e di 
bell'aspetto. 

n territorio, bagnato da vari corsi d'acqua, bene irrigato e coltivato con cura, pro- 
duce cereali in gran copia, foraggi, viti, gelsi, frutta. L'allevamento del bestiame da 
stalla e da cortile e la produzione dei bozzoli sono le sole industrie locali. 

Cenno storico. — Campodoro è luogo antico ed il suo nome è ricordato specialmente 
nelle lunghe contese e guen*e tra Vicenza e Padova durante l'èra comunale. Vicenza 
vantò sempre diritti su questa terra, dipendente un tempo dalla sua chiesa vescovile. 
ColL elett. Vigonza — Dioc. Padova — P*, T. • Str. ferr. a Pojana. 

Carrara San Giorgio (2604 ab.). — Questo Comune si stende nella bassa pianura 
al sud di Padova, ed è toccato dalla strada provinciale da Padova a Monselice. È 
Comune rurale, costituito da varie frazioni sparse per la campagna, con qualifica di 
parrocchie e di casali. — Il capoluogo (9 m. sul mare e chilometri 14 da Padova) è un 
paese di oltre 600 abitanti, nel quale è da osservarsi la bella e grandiosa chiesa 
parrocchiale con buoni dipinti, e qualche palazzo signorile. 

Il territorio, bene hrigato e coltivato razionalmente, dà cereali di ogni specie, 
foraggi, viti, gelsi e frutta. L'allevamento del bestiame è l'industria principale del 
luogo, che trova utile sfogo nella esportazione per le Provincie vicine ed all'estero. 
Vi sono pure su luogo: molini per la macinazione dei cereali e piccoli opifici per la 
lavorazione del ferro. 

Cenno storico. — Questo paese trae il suo nome dall'essere stato anticamente 
dominio della famiglia che, per un secolo circa, signoreggiò su Padova. 

Coli, elett. Abéno Bagni — Dioc. Padova — P*, T. e Str. ferr. a BatUglia. 

Carrara Santo Stefano (1526 ab.). — Questo Comune si stende a mezzodì del prece- 
dente, fra il canale della Battaglia e quello di Sotto Battaglia, del quale forma la sponda 
destra. Il Comune è costituito da due frazioni rurali. —La frazione Abbazia, capoluogo 
del Comune (8 m. sul mare e chilometri 15 da Padova) è borgata sparsa di oltre 700 abi- 
tanti, notevole per la celebre antica Abbazia che fu benefizio della famiglia da Carrara, 
tanto celebre per le sue vicende, le sue ricchezze e i suoi privilegi nel medioevo. Fa 
fondata nel 1027 da un Litolfo da Carrara e subito favorita da benefizi e privilegi da 
re, imperatori e papi. Ezzelino da Romano, nel suo odio contro i Carraresi, quando fu 
signore di Padova, la distrusse. Ma i da Carrara furono solleciti nel rialzarla e dotarla 
— durante il tempo nel quale tennero la signoria di Padova — d'ogni sorta di benefizi 



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Mandamenti e Comuni del Distretto di Padova 411 

e priyilegì. Dopo le vicende disgraziate del secolo XVI e le devastazioni portate in 
questa parte del territorio patavino dalle armate imperiali francesi e spagnuole, TAb* 
bazia di Santo Stefano dei da Carrara decadde. Attualmente degli antichi edifizi non 
rimangono che la chiesa ed il campanile. La chiesa, su disegno delParchitetto Boito, 
fu restaurata nel 1894-95; vi si conservano ancora alcuni monumenti sepolcrali appar- 
tenenti all'antica Abbazia: come il monumento di Marsilio da Carrara, secondo signore 
di Padova; un bel mosaico in marmo; un medaglione in marmo, raflSgurante Stefano 
da Carrara; uno stupendo gruppo in plastica; una Madonna in pietra, ed alcuni buoni 
dipinti dell'antica scuola veneta. 

Il territorio di Carrara Santo Stefano, bene irrigato e fertilissimo, dà cereali, 
foraggi, viti, gelsi, frutta. L'allevamento del 1)estiame da stalla e da cortile è industria 
quivi fìorentissima, per la grande esportazione che di tali prodotti si fa. 
Ck>ll. elett. Abane Bagni — Dioe. Padova ~ P*, T. e Str. ferr. a Battaglia. 

Casal Ser Ugo (2269 ab.). — Si stende questo Comune nella parte più bassa del 
distretto, alquanto a sud-est di Padova, sulla destra del canale delle Roncajette. — 
Consta questo Comune di varie frazioni: il capoluogo (8 m. sul mare e chilometri 9 da 
Padova), è un grosso borgo sparso di oltre 1500 abitanti, dotato di una bella e grande 
chiesa parrocchiale, a fianco della quale sorge un assai più antico campanile. Vi sono 
inoltre edifizi moderni e case di villeggiatura di buona architettura. Le altre cinque 
piccole frazioni sono villaggi senza importanza. 

Il territorio, bagnato dal canale anzidetto, è fertilissimo. Produce cereali, foraggi, 
viti, gelsi e frutta. Grande è Tallevamento del bestiame da stalla e da cortile, assai 
ricercato per la esportazione, ed importante vi è pure la produzione dei bozzoli. 

Cenno storico. — Il luogo è antico. Negli scavi praticati in varie località del Comune 
si rinvennero lapidi romane dei primi secoli, tombe, monete ed altri oggetti del periodo 
romano. Nel medioevo fu presidiato da una rocca ed ebbe a soffrire nei contrasti di 
Padova colle città vicine. 

Coli, elett. Abano Bagni — Dioe. PadoTa — P^ a Padova, T. • Str. ferr. a Battaglia. 

Cervarese Santa Croce (2901 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende ad 
ovest di Padova, sulla destra del Bacchiglione e a nord dei colli Euganei. H Comune, 
di carattere essenzialmente rurale, consta di varie frazioni, delle quali il capoluogo 
(22 m. sul mare e chilometri 14 da Padova) è un bel villaggio sparso, con pittoresco 
panorama, di oltre 1000 abitanti. Vi sono edifizi notevoli, moderni, d'aspetto civile ed 
una chiesa parrocchiale di buona architettura. Nelle sue vicinanze, sulla strada che 
per Creola mette a Padova, sorge il castello di San Martino, celebre nelle vicende 
comunali del secolo XIV. Altra frazione importante è quella di Frassenella, nella quale 
sorge il magnifico palazzo dei Pappafava, che fu già dei Carraresi. Sul Bacchiglione 
si addita, nel territorio di questo Comune, un molino esistente fin dal 1267. 

Il territorio di Cervarese, bene coltivato e fertilissimo, produce in copia cereali, 
foraggi, viti, gelsi e frutta. L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile e la 
produzione dei bozzoli sono quivi industrie agricole fiorentissime. Vi sono inoltre nel 
Comune tre importantissime cave di pietra da costruzione e da calce sulle ultime 
pendici degli Euganei. 

Cenno storico. — Cervarese è l'antica Silvarisium del periodo romano, cosiddetta 
per le foreste che da ogni parte la circondavano. Ebbe a subire le conseguenze tri* 
Btissime delle guerre comunali tra Vicenza e Padova, poiché nel 1198 fu incendiata dai 
Vicentini, nel 1312 ebbe il suo castello distrutto da Can della Scala, e nel 1372 i 
Veneziani furono battuti nei suoi paraggi da Francesco I Carrara. Fece sempre 
parte del dominio di Padova. 

Ck>ll. elett. Abano Bagni — Dioe. Padova — P* locale, T. e Str. ferr. a Pojana. 



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412 Parte Prima — Alta Italia 



Limena (2363 ab.). — D territorio di questo Comune si trova al nord dì Padova, 
sulla sponda destra del Brenta, attraversato dal canale Brentella e dalla strada pro- 
vinciale che conduce a Cittadella. È Comune rurale assai frazionato. — Limena, capo- 
luogo, è un villaggio (19 m. sul mare e chilometri 8 da Padova) di meno che 600 abitanti, 
di bell'aspetto, senza per altro presentare cose degne di speciale rimarco. Le altre 
frazioni sono parrocchie, casali, fattorìe sparse per la vasta e piana campagna. 

Il territorio, bene irrigato e fertile, produce cereali, viti» gelsi, foraggi, frutta. 
L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile, la produzione dei bozzoli e la 
fabbricazione dei laterizi sono industrie fiorenti nel luogo. * 

Cenno storico. — Antichissime si ritengono le origini di Limena: nel suo territorio 
si rinvennero a più riprese frammenti di lapidi, avanzi di costruzioni e monete del 
periodo romano. Come pure la chiesa parrocchiale di Limena fu costruita in parte 
con mattoni romani, riconoscibili per la loro forma, grandezza e per l'accurata fattura. 
Di questi mattoni se ne veggono pure nel campanile. Molto probabilmente, data anche 
la distanza da Padova, quivi fu una stazione di sedentari, vigilanti alla sicurezza della 
via per Feltro ed il Cadore. Nelle vicinanze di Limena v'è il ponte e la diga che ser- 
vono alla presa d'acqua del canale Brentella, opera costruita dai Padovani nel 1372, 
sotto il principato di Francesco I Carrara. 

Si volle nativo di Limena quel Pietro Cozzo, al quale scrittori poco accurati di 
cose patavine nel secolo XVIII attribuirono la costruzione del salone della Ragione. 
Ma ormai sembra assodato che questo personaggio non sia mai esistito. 

CoU. elett. VigODxa — Dioc. Padova — P*, T. e Str. ferr. a Vigodarzere. 

Haserà di Padova (3038 ab.). — Si stende il territorio di questo Comune a sud 
da Padova, sulla strada provinciale di Conselve, fra il canale della Battaglia e quello 
di Bovolenta. È Comune esclusivamente rurale, formato da due frazioni, parrocchie, 
casali, fattorie, ville signorili. — Il capoluogo (9 m. sul mare e chilometri 8 da Padova), 
è un discreto borgo sparso di circa 1200 abitanti, con edifizi moderni e una chiesa 
parrocchiale di buona architettura. 

Prodotti del suolo, fertilissimo e lavorato con cura: cereali, foraggi, viti, gelsi, 
fhitta. L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile, di cui si fa largo commercio, 
e la produzione dei bozzoli sono le maggiori industrie del luogo. 

GoU. elett. Abano Bagni — Dioc. Padova - P*, T. e Tr. locali, Str. ferr. ad Abano. 

Hestrino (3280 ab.). — Si trova il Comune di Mostrino al nord-ovest dì Padova, 
sull'antica e bella strada postale che unisce questa città con Vicenza. È Comune rurale, 
formato da parecchie frazioni, disseminate per la vasta campagna. — Mostrino, capo- 
luogo (20 m. sul mare e chilometri 10 da Padova), è una bella borgata sparsa di circa 
1600 abitanti, non lungi dal canale Brentella e da altri corsi d'acqua, con edifizi note- 
voli, tra cui la grande tettoia su colonnato costruita da Francesco e Domenico Beggio, 
a riparo e comodo dei viaggiatori che prima della costruzione della ferrovia si recavano 
da Padova a Vicenza. Nel paese si mostrano ancora le fondamenta del castello che vi 
avevano eretto i Padovani a loro difesa contro Vicenza, distrutto da Ezzelino nel 1256. 

Prodotti del suolo, irriguo, ben coltivato e fertilissimo: cereali d'ogni specie, viti, 
gelsi, frutta e foraggi. Vi si alleva in gran copia bestiame da stalla e da cortile, ed 
importante vi è la produzione dei bozzoli. Altre industrie del luogo sono: la fabbri- 
cazione dei laterizi e la macinazione dei cereali. 

Cenno storico, — Mostrino è luogo antichissimo, e forse esisteva anche nel perìodo 
romano. Nel medioevo fu più volte teatro dei sanguinosi conflitti fra Vicentini e 
Padovani. Il suo castello eretto dal podestà Schinella di Conti, fu, come già si disse, 
smantellato da Ezzelino il tiranno. 

Coli, elett. Abano Bagni — P*, T. e Str. ferr. 



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Mandamenti e Comuni del Distretto di Padova 413 



Noventa Padovana (1982 ab.). — Il territorio di questo Comune si trova a breve 
distanza da Padova, ad oriente di questa città, sulFantica strada postale che va a 
Venezia. Il Comune è assai frazionato; ed il capoluogo, la borgata di Noventa, sorge 
tra il Brenta ed il canale Piovego, a chilometri 4 da Padova e 14 m. sul mare, in posi- 
zione, per quanto piana, pittoresca. Grandiosa ne è la chiesa parrocchiale, con alto ed 
elegante campanile, opera dell'architetto Callinardi ; ed ammirabile è pure il palazzo 
Palladiano dei Marina. Nei dintorni sono disseminate bellissime ville signorili di 
Veneziani e Padovani. 

Il territorio, bene irrigato e fertilissimo, produce cereali, foraggi, viti, gelsi, friitta 
in grande copia. Vi si alleva bestiame da stalla e da cortile, assai apprezzato anche 
all'estero, ed importante vi è pure la produzione dei bozzoli. Altre industrie del 
luogo sono le fabbricazioni dei mobili in legno di noce e di quercia, delle botti, la 
concia delle pelli ed altre di minor conto. 

Cenno storico, — Di questo paese si hanno notizie fin dai bassi tempi, come feudo 
della mensa vescovile di Padova. Ebbe a soffrire danni dalle guerre con Venezia e 
Treviso durante il periodo comunale. 

Ck>lL elett. Vigenza — Dioc. Padova ~ ?*, T. e Tr. locali, Str. ferr. a Ponte di Brenta. 

Piazzola sul Brenta (7038 ab.). — Questo Comune si trova all'estremo nord-ovest 
del distretto, con territorio piano ma elevato, sulla sponda destra del Brenta. Esso ò 
formato da varie frazioni, delle quali la maggiore, Piazzola (30 m. sul mare e chilo- 
metri 16 da Padova) è grosso borgo di oltre 1200 abitanti, di carattere in gran parte 
moderno e civile, con belle vie, fiancheggiate da edifizi di buona costruzione e moderni. 
Notevole la chiesa parrocchiale, di antiche origini, ma più volte ricostruita e rimodernata. 

Il territorio, sovente danneggiato dalle alluvioni del Brenta, è in alcune località 
sassoso e sterile; ma dove non lo danneggiarono le alluvioni, è fertilissimo e dà cereali, 
foraggi, gelsi, viti, ortaglie. Vi si alleva bestiame da stalla e da cortile; ed importante 
vi è la produzione dei bozzoli. Nel paese hanno vita varie industrie, quali la filatura, 
torcitura ed incannatura della seta, officine per la lavorazione del ferro e meccaniche, 
prodotti chimici, gualchiere, tintorie, fabbriche di cordami, di carri, segherie, concerie. 

Cenno storico. — Le notìzie di Piazzola rimontano al medioevo. Fu terra sempre 
soggetta ai Padovani e da essa ebbe origine la famiglia patrizia dei Piazzola, che 
molta parte ebbe nei rivolgimenti politici di Padova nel secolo XIV. 

Cioll. elett. Vigonza — Dioc. Vicenza — P* e T. locali, Str. ferr. a Pojana. 

Ponte San Nicolò (2687 ab.). -— Questo Comune si trova al sud-est di Padova, 
attraversato dalla strada provinciale di Piove di Sacco. È Comune essenzialmente 
rurale e consta di molte frazioni o parrocchie, casali e fattorie, disseminate nella vasta 
ed umida pianura stendentesi verso Testuario. — II capoluogo (1:2 m. sul mare e 
chilometri 5 da Padova) è un villaggio sparso di quasi 800 abitanti, di mediocre aspetto, 
nel quale nulla hawi degno di nota. 

Prodotti del suolo, copiosamente irrigabile, lavorato con cura e razionalmente: 
cereali d'ogni specie, foraggi, viti, gelsi, legumi. Vi si alleva bestiame da stalla e 
da cortile, del quale si fa pure largo commercio di esportazione. Vi sono pure molini 
per la macinazione dei cereali. 

CoU. elett Abano Bagni — Dioc. Padora — PS T. e Str. ferr. a Padora, Tr. locale. 

Rovolon (3387 ab.). — Si stende il Comune di Rovolon all'ovest di Padova, in 
rìdente pianura e sulle falde settentrionali dei colli Euganei, non lungi dal confine 
della provincia con quella di Vicenza. É dominato dal colle o monte della Madonna, 
che si alza a 527 m., ed è, dopo il Venda, la vetta più alta della regione euganea. 
Il Comune ha carattere rurale ; è costituito da varie frazioni. — D capoluogo, Rovolon 



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414 ^^rie Prima — Alta Italia 



(in colle a 15i ui. sul mare e a chilometri 17 da Padova), è un bel paeae, di carattere 
affatto moderno, con begli edifizi ed una chiesa parrocchiale di buona architettura. 

Prodotti del suolo, fertilissimo e ben lavorato: cereali, viti, gelsi, frutta, ortaglie. 
L'allevamento del bestiame da cortile, il commercio delle uova, delle frutta, la produ- 
zione dei bozzoli sono le industrie delle quali molto si avvantaggia Tagricoltura. Nel 
Comune esistono cave di pietra da costruzione e da calce; vi sono inoltre fornaci per 
laterizi e piccole officine per la lavorazione del ferro. 

Cenno storico. — Di questo luogo, del quale si hanno notizie fin dal periodo comu- 
nale, i Padovani tennero sempre molto conto nelle loro guerre con Vicenza e Verona, 
munendolo di fortificazioni. Nel 1513 fu devastato da Matteo Lang, vescovo di Gurk, 
che, con esercito tedesco, tentò d'assalire e riprendere Padova in nome delPimperatore. 
GoU. elelL Abano Bagni — Dioc. PadoTa — P* locale, T. • Slr. ferr. ad Abano. 

Rubano (2389 ab.). — H territorio di questo C!omune si trova a nord-ovest da 
Padova, sulla destra del canale Brentella, ed è attraversato dall'antica strada postale 
da Vicenza a Padova. È pure bagnato dal derisone, piccolo affluente del Bacchiglìone. 

— D Comune consta di varie frazioni, di carattere esclusivamente rurale, fra le quali 
il capoluogo (18 m. sul mare e chilometri 7 da Padova), è discreto villaggio di aspetto 
moderno. Nel territorio vi sono pure case di villeggiatura. 

Prodotti del suolo, fertilissimo e ben lavorato : cereali, viti, gelsi, foraggi L'alleva- 
mento del bestiame da stalla e da cortile e la produzione dei bozzoli sono le industrie 
di maggior sussidio all'agricoltura. 

Coli elett. Abano Bagni — Dioc. Padora — P* locale, T. e Str. ferr. a Mestrino. 

Saccolongo (2359 ab.). — U territorio di questo Comune si stende nella parte 
occidentale del distretto, attraversato dal Bacchigliene e non lungi dal confine colla 
provincia di Vicenza. È Comune essenzialmente rurale, costituito da più frazioni 

— Saccolongo, frazione centro (17 m. sul mare e chilometri 10 da Padova), è una 
discreta borgata sparsa di oltre 1100 abitanti, nella quale hawi una notevole chiesa 
parrocchiale, ed altri edifizi moderni di buona architettura. Le altre frazioni sono 
cascinali raggruppati nella vasta pianura. 

Prodotti del suolo, fertilissimo, irriguo e ben coltivato, sono i cereali d'ogni specie, 

foraggi, gelsi, viti, frutta. L'allevamento del bestiame e la produzione dei bozzoli 

sono le industrie di maggior sussidio airagricoltura. Grande è l'esportazione del 

bestiame da stalla e da cortile, di pollame specialmente, che si fa da questo Comune. 

CSoll. elett. Abano Bagni — Dioc. Padova — PS T. e Str. ferr. a Mostrino. 

Saonara (3231 ab.). — Si trova questo Comune ad oriente di Padova, sulla sponda 
destra del Brenta e presso il confine della provincia di Padova con quella di Venezia. 
Esso è costituito da varie frazioni, per lo più villaggi di poca importanza e casci- 
nali sparsi per la campagna. — La frazione centro, Saonara (10 m. sul mare e chilo- 
metri 9 da Padova), è un bel paese di circa 2000 abitanti, in posizione pittoresca per 
quanto in pianura, per la lussureggiante vegetazione che lo circonda. Vi sono notevoli 
edifizi, fra cui la chiesa parrocchiale, di buon disegno. Ma ciò che forma la celebrità 
di Saonara è la magnifica villa dei conti Cittadella Vigodarzere, una delle più belle 
e celebri d'Italia, certo la più bella, per il parco che l'attornia, della provincia. Venne 
costruita sul principio del secolo XIX coi disegni e sotto la direzione del Jappelli, 
che fu specialmente felice nella creazione del magnifico giardino all'inglese, con viali, 
chioschi, laghetti, ponti, labirinti, giuochi d'acqua, statue, sorprese, e tutto dò che può 
rendere ameni e divertenti simili giardini. 

. Il territorio, copiosamente irriguo, è ferace d'ogni sorta di prodotti, soprattutto 
in cereali, foraggi, gelsi, viti, frutta. Grande vi è l'allevamento del bestiame da stalla 



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Mandamenti e Comuni del Distrétto di Padova 415 

e da cortile — quest'ultimo in particolar modo — del quale si fa rilevante espor- 
tazione, e che dà anche un importante commercio di uova. Altre piccole industrie 
hanno vita in questo paese» considerato fra i più prosperosi della provincia. 

Cenno storico. — Di Saonara, luogo antico, si hanno notizie risalienti al periodo 
del Comune, durante la lotta del quale con Venezia, presidiato da un castello, ebbe 
a subire devastazioni e danni per opera dei Veneziani — ai quali si deve anche 
lo smantellamento delPantico castello. 

Coli, elett. Vigonza — Dioc. Padova — P* locale, T. e Str. ferr. a Padova. 

Selvassano Dentro (3065 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella 
parte occidentale del distretto di Padova, attraversato dal Bacchigliene, in amena 
posizione, di fronte alle pendici settentrionali dei colli Euganei. Il Comune consta di 
varie frazioni, delle quali la principale è Selvazzano (17 m. sul mare e chilometri 7 
da Padova), bel paese sparso di oltre 1800 abitanti, in amena posizione, circondato 
da belle case di villeggiatura. 

Grande è la fertilità di questo territorio, largamente irrigabile; produce special- 
mente cereali, viti, gelsi, frutta, foraggi. Vi si alleva bestiame da stalla e da cortile, 
dì cui si fa importante commercio e notevole è la produzione dei bozzoli. Altra industria 
locale è la macinazione dei cereali. 

Cenno storico, — Il nome di questo paese ricorre sovente nelle cronache pata- 
vine durante le guerre del Comune con Vicenza ed i' signori di Este. Era presidiato 
da una rocca, alla quale i Vicentini più volte recarono danno. 

In Selvazzano veniva ogni anno a passare la stagione estiva, ed a trovarvi riposo 
e conforto negli studi, Melchiorre Cesarotti, insigne scrittore ed educatore. 
Coli, elett. Abano Bagni — Dloc. PHdova — P' locale, T. • Str. ferr. a Abano. 

Teolo (4807 ab.). — Il territorio di questo cospicuo Comune si stende nella parte 
nord-est della regione Euganea e nella sottostante pianura, ed è fra i più pittoreschi 
della provincia. Esso consta di varie frazioni, delle quali le più importanti sono Teolo 
e Villa (ove ha anche sede TufiBcio municipale). — Teolo (165 m. sul mare e chilo- 
lometri 17 da Padova), è situato negli Euganei fra il monte della Madonna (527 m.) ed 
il monte Pendice (320 m.); è un bel paese di oltre 1200 abitanti, con edifizi notevoli 
e una bella chiesa parrocchiale più volte rimodernata, dedicata a Santa Giustina. I 
suoi dintorni sono disseminati di bellissime case di villeggiatura; ritrovo nell'estate 
e nei deliziosi autunni della miglior società di Padova. Il territorio di Teolo è estre- 
mamente interessante dal punto di vista geologico, prestandosi meglio di qualunque 
altro allo studio di quella singolare formazione vulcanica che costituisce la maggior 
parte dei colli Euganei. 

Prodigiosa è la fertilità di questo territorio, che dà cereali, uva, gelsi, frutta d'ogni 
specie, per cui vi sono vivai apprezzati di piante da frutta, delle quali si fa esporta- 
zione in provincia e fuori. L'allevamento del bestiame da cortile, del pollame in ispecie, 
e la produzione dei bozzoli sono industrie locali fiorentìssime. Sonvi in luogo piccole 
sorgenti di acque e varie cave di buon materiale da costruzione e da calce. 

Cenno storico. — Teolo è luogo assai antico; stanza, come altre località della 
regione euganea, delle popolazioni preistoriche, che furono le prime abitatrici della 
regione. Durante il periodo romano, quando nella regione euganea spesseggiavano 
le ville dei ricchi patavini, fu uno dei luoghi di delizie di maggior rinomanza. Anche 
nel periodo comunale Teolo fu luogo celebre, del quale i Padovani difesero sempre 
gelosamente il possesso. Vi tenevano in castello un forte presidio. Teolo fu molto 
danneggiato durante le guerre del principio del secolo XVI per opera delle truppe 
imperiali tedesche condotte da Leonardo Trissino e dal turbolento Matteo Lang, 
vescovo di Gurk. 



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416 • Parte Prima — Alta Italia 



Uomini illustri. — A Teolo nacque, e negli ultimi suoi anni venne a studiarvi e scri- 
vere delle vicende antiche del4)opolo romano, Tito Livio, che quivi mori È tradizione 
che la casa o la villa del grande storico sorgesse ove è ora la villa Nodari. 

Ck>ll. elett. Abano Bagni — Dioc. PadoTa — P* locale, T. e Slr. ferr. a Abano. 

Terraglia (2573 ab.). — Il territorio di questo Comune si trova pur esso, come il 
precedente, in parte nella pittoresca regione dei colli Euganei, dominata dalla vetta 
principale di questo gruppo il monte Venda (603 m.). Il paese di Torreglia siede in 
amenissima posizione a chilometri 16 a sud-ovest da Padova e a 117 metri sul livello 
del mare, il che gli dà il panorama magnifico di tutta la sottostante regione fino alla 
laguna e al mare, nel tempo stesso che gli apre davanti il semicerchio delle prealpi 
vicentine e cadorine. Per queste ragioni e per la brezza viva e salutare che vi si 
respira, il territorio di Torreglia si andò popolando di sontuose ville, come quella detta 
di Mirabella, dimora preferita nello scorso secolo dall' Algarotti, che fu uno degli 
uomini più dotti e degli scrittori più geniali della decadente Venezia in quel secolo, 
nel quale fiorivano per altro i Ooldoni e i Gozzi. Altra villa bellissima, che fu pure 
dimora d'un altro scrittore e poeta, Giuseppe Barbieri, è quella del prof. Enrico Verson. 

Anche nel territorio di Torreglia le accidentalità e la natura dei terreni si prestano 
agli studi geologici sull'interessante formazione degli Euganei. 

Il suolo, fertilissimo, dà in gran copia cereali, viti, gelsi, frutta e foraggi. Impor- 
tante vi è l'allevamento del bestiame da cortile e la produzione dei bozzoli. Altre 
industrie : la macinazione dei cereali e la lavorazione delle pietre. Nel territorio si 
trovano cave di eccellente materiale da costruzione e da calce. 

Cenno storico. — Anche Torreglia ha origini antichissime, collegantisi al periodo 
della prosperità di questi luoghi nell'era romana. Durante le lotte del Comune ebbe 
a sofifrire più volte assalti e devastazioni per opera dei Vicentini, ad onta che i Pado- 
vani l'avessero presidiata di una torre. 

GoU. elett. Abano Bagni — Dioc. Padova — P*, T. e Str. ferr. ad Abano. 

Veggiano (2185 ab.). — Si stende questo Comune in rasa pianura, nella parte 
occidentale del distretto, sulla destra del Bacchigliene e attraversata dal suo confluente 
Tesina. È Comune essenzialmente rurale e frazionato. — D capoluogo, Veggiano (21 m. 
sul mare e chilometri 13 a nord-ovest da Padova), è un discreto villaggio di circa 300 abi- 
tanti, con edifizi in gran parte moderni, ma nel quale nulla havvi di notevole. 

Il territorio, ben coltivato e ben irrigato, è fertilissimo. Dà cereali, foraggi, viti, 
gelsi, frutta ed ortaglie. Grande è in luogo l'allevamento del bestiame da stalla e da 
cortile, di cui si fa rilevante esportazione; nonché la produzione dei bozzoli Altra 
industria è la macinazione dei cereali, favorita dalle acque del Bacchigliene, che danno 
moto a parecchi molini. 

Coli, elett. Abano Bagni — Dioc. Padova — P*, T. e Str. ferr. a Mestrino. 

Vigodarzere (3912 ab.). — Il territorio di questo cospicuo Comune si trova nella 
parte alta e settentrionale del distretto, sulla sponda sinistra del Brenta. È Comune 
rurale, costituito da tre frazioni: Vigodarzere, Saletto e Tavo. — U capoluogo, Vigo- 
darzere (16 m. sul mare e chilometri 5 a nord da Padova), è una borgata sparsa di oltre 
2000 abitanti, toccata dalla ferrovia Padova-Cittadella-Bassano. A Vigodarzere, presso 
il quale il Brenta è passato da un ponte in ferro per la ferrovia, sonvi edifizi moderni 
di bellissimo aspetto. Notevole è pure la chiesa parrocchiale, di grandi proporzioni e 
fiancheggiata da un alto e slandato campanile. Importante la frazione Saletto, sede 
dell'amministrazione comunale. 

Il territorio, fertilissimo e bene irrigato, produce in gran copia cereali, foraggi, 
viti e gelsi. La principale industria del luogo è l'allevamento del bestiame da stalU 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Campo San Piero 417 

e da cortile, di cui si fa larga esportazione in Lombardia ed all'estero. Notevole è 
pure la produzione dei bozzoli. Altre industrie sono la fabbricazione dei laterizi e 
piccole officine per la lavorazione del ferro e del rame. 

Cenno storico. — Vigodarzere è Tantico Ficus AggeriSy prima stazione dei sedentari 
a custodia della via Aurelia, che da Padova per Asolo entrava fra le montagne del 
Cadore andando a Feltro e Belluno. Nel medioevo era munito d'un castello dei Pado- 
vani, che fu dei più battuti e famosi durante il periodo delle guerre comunali. Da 
questo luogo ha tratto origine la storica famiglia dei Vigodarzere, che molta parte 
ebbe nei rivolgimenti politici di Padova nel periodo del Comune e che diede alla 
patria cittadini illustri. 

Coli, elett. Vigenza — Dioc. Padova — P", T. e Str. ferr. 

Vigenza (6457 ab.). — Il territorio di questo popoloso Comune si estende nella 
parte più orientale del distretto, sul contine con la provincia di Venezia. Esso ha ter- 
ritorio assai esteso e consta di parecchie frazioni. — Vigenza, frazione capoluogo 
(11 m. sul mare e chilometri 10 ad est da Padova), è una grossa borgata di oltre 
1500 abitanti, con editizi moderni e di buon aspetto, strade larghe e ben tenute. Da 
ricordarsi è la chiesa parrocchiale, d'antiche origini, ma più volte rifatta e rimoder- 
nata. Nei dintorni di Vigenza sonvi molte case di villeggiatura, attorniate da una ricca 
vegetazione e da alberi magnifici. 

Il territorio, irrigato dalle acque del Tergola, che lo attraversa, dà copiosamente 
cereali, foraggi, viti, gelsi, frutta, ortaglie. Industria principale del luogo è l'alleva- 
mento del bestiame bovino, che in gran parte si esporta dalla provincia e dallo Stato 
per la macellazione. Importante è pure l'allevamento dei suini, del pollame, il com- 
mercio delle uova, delle frutta e delle ortaglie, che trovano i loro maggiori centri di 
consumo in Padova ed in Venezia. Altre industrie del luogo sono : la macinazione dei 
cereali e la lavorazione degli olii medicinali. 

Cenno storico. — Vigenza è luogo antico del Padovano, già fortificato contro i Vene- 
ziani ed i Trevisani nel periodo delle guerre comunali. Subì danni dai nemici di Padova 
ed anche per opera di Ezzelino da Romano. 

CoU. elett. Vigonza — Dioc. Padova — P*, T. e Str. ferr. a Ponte di Brenta. 

Villafranca Padovana (3307 ab.). — il territorio di questo Comune si stende nella 
parte nord-ovest del distretto, sul confine colla provincia di Vicenza. È bagnato da 
piccoli corsi d'acqua e da canali che finiscono in Bacchigliene od in Brenta. Il Comune 
consta di varie frazioni ed è di carattere essenzialmente rurale. — Villafranca Pado- 
vana, frazione principale (23 m. sul mare e chilometri 11 da Padova), è una grossa 
borgata sparsa di circa 1400 abitanti, con edifizi in gran parte moderni, vie larghe 
e ben tenute. Notevole presso Villafranca il santuario di Santa Maria delle Grazie, di 
buona architettura con dipinti della scuola veneta del secolo XVI. 

Prodotti del suolo, irriguo e ben coltivato, cereali e foraggi in gran copia, gelsi, 
viti e frutta. Vi si alleva bestiame bovino ed equino, che poi si esporta in gran parte 
dalla provincia; nonché suini e pollame, che danno origine ad un proficuo commercio. 
Coli, elett. Vigonza — Dioc. Padova — P* locale, T. e Str. ferr. a Pojana. 



IL — Distretto e Mandamento di CAHPO m PIERO 

Questo distretto e mandamento occupa la parte nord-est della provincia a levante 
del Brenta, confinando: a nord e nord-est colla provincia di Treviso; ad est, con quella 
di Venezia; a sud e sud-ovest, col distretto di Padova; a nord-ovest, con quello di Citta- 
della. È regione essenzialmente piana, attraversata dal torrente Musone dei Sassi, 

92 — 1a Patria, voi. I, parte 2\ 



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418 Parte Prima — Alta Italia 



scendente dalle montagne soprastanti ad Asolo in provincia di Treviso, e che, dopo 
aver seguito quasi costantemente la direzione di nord-sud bagnando il territorio di 
Castelfranco nella stessa provincia ed attraversato il distretto di Campo San Piero colla 
stessa direttiva, si getta in Brenta presso Strà in provincia di Venezia. 

Percorrono il mandamento e distretto di Campo San Piero le linee ferroviarie 
Padova-Campo San Piero-Castelfranco-Montebelluna e la Campo San Piero-Cittadella- 
Bassano, esercite dalla Società veneta di costruzione ; la strada provinciale Padova- 
Campo San Piero-Castelfranco e numerose strade comunali, essendo in questo distretto 
completa e pienamente rispondente ai bisogni locali la rete stradale. 

Il distretto di Campo San Piero è regione essenzialmente agricola. La sua superficie 
è di 253 chilometri quadrati, con una popolazione, secondo il censimento ultimo del 
10 febbraio 1901, di 48.084 abitanti (190 per chilometro quadrato). 

Dipendono dal distretto di Campo San Piero 13 Comuni, cioè: Campo San Piero, 
Borgoricco, Campo d'Arsego, Campo San Martino, Curtarolo, Loreggia, Massanzago, 
Piombino Dese, San Giorgio delle Pertiche, Santa Giustina in Colle, Trebaseleghe, Villa 
del Conte, Villanova di Campo San Piero. Questi Comuni sono sotto la giurisdizione 
del Tribunale civile e penale di Padova. 

Campo San Piero (4385 ab.). — Il territorio di questo cospicuo Comune, capo- 
luogo del distretto e del mandamento, si stende in bella e verdeggiante pianura, 
attraversata dal Musone dei Sassi, bagnata pure dal Tergola e 
dalla Vandura, che si uniscono poi al Musone. Il Comune è 
alquanto frazionato. — Campo San Piero, frazione principale 
(24 m. sul mare e chilometri 18 a nord da Padova), è una grossa 
e bella borgata, non lungi dalla sponda destra del Musone. Ha vie 
spaziose, pulite, fiancheggiate da edifizi, in gran parte moderni, 
di bello aspetto; ha una grande piazza contornata da notevoli 
edifizi. Di buona architettura e di belle proporzioni è la chiesa 
arcipretale dedicata a San Pietro, adorna di dipinti di scuola 
veneta e ricca di scolture e di preziose oreficerie. Altre chiese 
interessanti del luogo sono quella di San Giovanni Battista, già officiata dai Minori 
Conventuali e adorna di 'antichi affreschi, alquanto danneggiati da mal pratici restau- 
ratori, e quella detta del Noce datante dal 400, nella quale si ammira la pala del celebre 
Bonifacio Veronese rappresentante SanV Antonio da Padova che da un noce predica 
ad un numeroso uditorio. Il paese ha pure un bel teatrino. 

Il suolo fertilissimo e ben lavorato e, potrebbe esserlo ancora meglio, irrigato, dà 
cereali in abbondanza, foraggi, viti, gelsi, frutta, ortaglie. L'allevamento del bestiame 
da stalla e da cortile è Tindustria di maggior sussidio all'agricoltura; e rilevante è 
Tesportazione che anche per Testerò si fa di questo prodotto. Del pari considerevole è 
la produzione dei bozzoli, nella maggior parte accaparrati dai filatori della Lombardia. 
Campo San Piero è luogo assai industrioso; vi sono opifici per la fabbricazione dei cor- 
dami, filande di seta, segherie per legname, tipografie e tintorie. Ma Tagricoltura ò 
la base economica locale. 

Cenno storico. — Campo San Piero è luogo antichissimo e, data la sua ubicazione, 
in un punto ove fanno capo varie strade, di molta importanza anche nel passato. 
Forse fu importante stazione di un presidio romano, dappoiché varie cose di quella 
epoca si rinvennero scavando nel suo territorio. Nel medioevo era circondato da alte 
mura e munito di un castello, del quale non rimangono se non due torri alte e mas- 
sicce. Negli scavi operati verso la metà del secolo XIX, nella: località ove il castello 
sorgeva, si rinvennero avanzi di un'altra massiccia costruzione circondata da ammassi 
di cenere e di carbone, residui evidenti di un grande incendio» sui quali sorsero poi lo 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Campo San Piero 419 



mura e le torri del castello medioevale. Fra quei ruderi venne trovato un vaso di creta, 
con entro una medaglia romana del tempo di Commodo imperatore. La qual cosa 
avvalora sempre più la convinzione che le prime mura fortificanti Campo San Piero 
fossero del periodo romano. 

Nel medioevo ebbe origine e dominio qui la famiglia dei conti di Campo San Piero, 
una delle più antiche e famose del Veneto, ch'ebbe a sostenere guerre coi conti di 
San Bonifacio, cogli Ezzelini, con gli Scaligeri, coi Vicentini ed anche coi Padovani, 
guidati da Nicolò Carrara nel 1327, che del paese e castella loro fecero scempio. 
Can della Scala, che nel 1320 aveva per proprio conto saccheggiato Campo San Piero, 
in odio al Carrara ed ai Padovani, ai quali Taveva tolto, lo ridonò a Tiso II di 
Campo San Piero. I Veneziani, entrati in possesso della Marca trevisana e di Padova, 
smantellarono le fortificazioni di Campo San Piero, per essi inutili, e che in caso di 
guerra potevano diventare comodo rifugio ai nemici. 

Coli, eleli. GilUdeUa — Dioc. TreTÌso — P*, T. e Str. ferr. 

Borgoricco (3999 ab.). — Si stende il territorio di questo Comune nella parte, 
orientale del distretto, a sud-est dal capoluogo, in rasa e verdeggiante pianura, per- 
corsa dal Musone dei Sassi e dal Lusore. Il Comune, nel passato, era chiamato di 
Sant'Eufemia, da una delle frazioni principali; l'altra si intitola a San Leonardo. Sono 
due grossi paesi, dei quali l'ultimo, residenza del Comune (18 m. sul mare e chilometri 7 
da Campo), ha oltre 1200 abitanti, edifizi di carattere moderno e di buona apparenza. 

Il territorio, ben irrigato, ben lavorato, dà cereali, ed in ispecie granturco, viti, 
gelsi, frutta, foraggio in grande copia. L'allevamento del bestiame da stalla e da 
cortile e la produzione dei bozzoli, fatta su larga scala, sono coefficienti massimi nella 
economia locale. Tanto il bestiame grosso che il pollame ed i bozzoli, si esportano 
dalla provincia, per la maggior parte in Lombardia. 

Cenno storico. — Sant' Eufemia o Borgoricco è luogo antico. Le cronache del 
Comune di Padova ne parlano di sovente. Il castello che quivi sorgeva, secondo il 
Salomonio, posseduto da Rizzardello Ponti, nel 1179, venne tolto dai Padovani ai 
Vicentini, che poco tempo prima se ne erano impossessati cacciandone Rizzardello, che 
andò a Padova a piatire contro i Vicentini. Il territorio di questo Comune, durante 
le guerre dei secoli XIII e XIV, fu più volte devastato e messo a sacco dai Vicentini 
e dai Trevisani in guerra con Padova. 

GoH. elett. Vigenza — Dice. Padova - P', T. e Str. ferr. a San Giorgio delle Pertiche. 

Campo d'Arsego (4931 ab.). — Si stende il territorio di questo Comune nella parte 
meridionale del distretto, attraversato dai torrenti Musone e Tergola, non che dalla 
linea ferroviaria Padova-Bassano. Il Comune è esclusivamente rurale, formato da 
parecchie frazioni sparse per la vasta pianura. — Campo d'Arsego, frazione principale, 
è un grosso borgo (15 m. sul mare e chilometri 8 da Campo San Piero), sulla riva 
sinistra del Musone, fiancheggiante pure la strada provinciale di Padova per Campo 
San Piero ed oltre. Ha una bella chiesa con alto campanile ed edifizi in gran parte 
moderni e, nel complesso, abbastanza piacenti. 

L'agricoltura è la gran risorsa del luogo, ove il suolo fertilissimo dà cereali, viti, gelsi, 
frutta e foraggio. L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile e la produzione 
dei bozzoli sono le industrie di maggior sussidio all'economia locale. Altre piccole 
industrie sono la lavorazione del rame e del ferro, per utensili ed oggetti di uso dome- 
stico ed agricolo, la fabbricazione delle carrozze e carri, e la macinazione dei cereali. 
Coli, elett. VigODza — Dioc. PadoFa — P*, T. e Str. ferr. 

Campo San Martino (3172 ab.). — Questo Comune si trova nella parte più occi* 
dentale del distretto, sulla sinistra del Brenta e attraversato dalla strada provinciale 



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420 Parte Prìmt — Alta lUlk 



per Cittadella. È Comune di carattere essenzialmente rurale, costituito da varie fra- 
zioni e cascinali sparsi per la campagna. ~ La frazione principale, Campo San Mar- 
tino (27 m. sul mare e chilometri 10 da Campo San Piero), è una grossa borgata di 
oltre 1200 abitanti, con edifizi in gran parte moderni, ed una chiesa parrocchiale di 
buona architettura, di antica orìgine, ma più volte rifatta e rimodernata. 

Prodotti del suolo irriguo, ben coltivato e fertile assai : cereali, granturco in ispecie, 
foraggi, frutta, viti, gelsi, ortaglie. L'allevamento del bestiame da stalla e da cor- 
tile, la produzione rilevantissima dei bozzoli, sono industrie fiorenti del luogo. Altre 
industrie locali sono la fabbricazione delle scope e la trattura della seta. Nel Comune 
hawi anche una cassa cooperativa di prestiti. 

Coli, elett. Vigenza — Dioc. PadoTa — P* locale, T. e Str. ferr. a San Giorgio delle Pertiche. 

Cnrtarolo (3033 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende sulla sinistra del 
Brenta, a sud-ovest di Campo San Piero. È Comune essenzialmente rurale e costituito 
da varie frazioni. — Curtarolo, capoluogo del Comune (19 m. sul mare e chilometri 12 
da Campo San Piero), è una borgata sparsa di circa 1600 abitanti, di carattere affatto 
moderno, che nulla offre di notevole sotto l'aspetto dell'arte. Nelle vicinanze di Cur- 
tarolo fu costruito il nuovo ponte sul Brenta per la strada provinciale di Cittadella. 

Prodotti del suolo, bene irrigato, lavorato con cura e fertilissimo: cereali, foraggi, 
viti, gelsi, frutta, ortaglie. L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile e la pro- 
duzione dei bozzoli sono le sole industrie del luogo. 

Cenno storico, — Da scavi operati in Curtarolo e nei quali si rinvennero fram- 
menti di lapidi, monili ed altri cimelii del periodo romano, si arguisce che qui vi fosse 
una delle stazioni di sedentari sulla strada che conduceva alle prealpi cadorine. Il 
dotto archeologo Furlanetto interpretò una delle lapidi quivi rinvenute come dedicata 
a Caracalla o ad Eliogabalo. 

GoU. elett. Vigonza — Dioc. Padova — P' a Piazzola, T. e Str. ferr. a Campo d^Ànego. 

Loreggia (3292 ab.). — Questo Comune si trova nella parte alta del distretto, al 
nord di Campo San Piero e sul confine della provincia di Padova con quella di Treviso, 
in aperta pianura attraversata dal Musone e da altri piccoli corsi d'acqua. £ Comune 
rurale, costituito da varie Arazioni di cui la più importante è Loreggia (26 m. sul mare, 
e chilometri 3 da Campo San Piero), discreta borgata, nella quale è da ammirarsi la 
magnifica villa dell'on. Wollemborg, costruita nella prima metà del secolo scorso su 
disegni dell'operoso Jappelli. Anche questa villa è abbellita da un grandioso parco 
all'inglese, nel quale fa sfoggio, coi maestosi alberi, la più lussureggiante vegetazione. 

Prodotti del suolo, ben coltivato e fertilissimo: cereali, granturco soprattutto, 
foraggi, viti, gelsi, friitta, ortaglie. L'allevamento del bestiame bovino e suino e della 
polleria è quivi industria fiorente. Considerevole è pure la produzione dei bozzoli. 
Coli, elett. CìtUdella — Dioc. Padova — P* locale, T. e Str. ferr. a Campo San Piero. 

Hassanzago (2127 ab.). ~ Il territorio di questo Comune si stende a levante di 
Campo San Piero, in rasa e bassa pianura, bagnata dal Musone vecchio e da altri pic- 
coli corsi d'acqua, che insieme al primo finiscono poi in Brenta. Il Comune, esclu- 
sivamente rurale, è costituito da varie frazioni, delle quali la maggiore, che dà il nome 
alla Comunità (21 m. sul mare e chilometri 5 da Campo San Piero) è un villaggio sparso 
di circa 900 abitanti, nulla offrente di interessante sotto il riguardo artistico e storico. 

Il territorio, ben irrigato, lavorato con cura, dà cereali, granturco specialmente, 
foraggi, gelsi e viti. Grande è l'allevamento del bestiame da stalla e da cortile, in 
maggior parte esportato dalla provincia. La rilevante produzione dei bozzoli è quivi 
quasi sempre accaparrata dai filandieri di Lombardia. Piccole industrie locali: la 
macinazione dei cereali e la fabbricazione delle scope. 

Coli, elett. CittadeUa ~ Dioc. Vicenza — P* locale, T. e Str. ferr. a Campo San Piero. 



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Mandamento e Coro ani del Distretto di Campo San Piero 421 



Piombino Dose (4920 ab.). — Questo cospicuo Comune occupa Testremità nord-est 
del distretto, ed è sul confine della provincia di Padova con quella di Treviso. Il 
Comune, di carattere esclusivamente agricolo, consta di varie frazioni, delle quali 
Piombino Dese, capoluogo (24 m. sul mare e chilometri 8 da Campo San Piero) è una 
grossa borgata sparsa di circa 2000 abitanti, con edifizi moderni di buona architet- 
tura, vie larghe, ben tenute e una notevole chiesa parrocchiale, non priva di pregi 
architettonici e di buoni dipinti. 

Il suolo fertilissimo dà cereali, granturco, foraggi in gran copia, viti, gelsi e frutta. 
Vi si alleva molto bestiame da stalla e da cortile, del quale si fa commercio esteso e 
proficuo. Anche la produzione dei bozzoli in questa plaga ha grande importanza. Altre 
industrie del luogo sono: la trattura e filatura della seta, la macinazione dei cereali, 
la fabbricazione delle botti, degli spiriti, delle scope, di cui si fa anche esportazione. 
CoU. elett. CittadeUa — Dice. Padova — P* locale, T. e Str. ferr. a Campo San Piero. 

San Giorgio delle Pertiche (4168 ab.). — Questo grosso Comune si stende nella 
parte meridionale del distretto, in rasa pianura attraversata dal Musone, bagnata anche 
dai due torrentelli Tergola e Piovego, tributari del Musone e del Brenta. 11 Comune è 
formato da due frazioni e da piccoli villaggi o cascinali sparsi per la campagna. — La 
frazione centro, San Giorgio (20 m. sul mare e chilometri 4 da Campo San Piero), è un 
bel paese sparso di circa 1900 abitanti, nel quale non mancano edifizi signorili e di 
bell'aspetto e una chiesa parrocchiale, di buona architettura, fiancheggiata da uno 
slanciato campanile. 

Prodotti del suolo ben coltivato, irriguo e fertilissimo: cereali, foraggi, viti, gelsi, 
frutta, ortaglie. Grande è l'allevamento del bestiame da stalla e da cortile ed impor- 
tante la produzione dei bozzoli, incettata dagli industriali di Lombardia. Industrie del 
luogo sono la fabbricazione dei laterizi e della calce, che si ottiene dai ciottoli calcarei 
tolti dai letti dei torrenti anzidetti e del Brenta; la macinazione dei cereali, le segherie 
per legname. 

Cenno storico. — San Giorgio è luogo antico, ricordato nelle cronache dei bassi 
tempi di Padova. Dipese quasi sempre dalla Chiesa di Padova ed ebbe a subire la 
dominazione degli Ezzelini, nonché le conseguenze delle guerre tra Padova e Treviso. 
CoU. elett. Cittadella — Dioc. Padova — P", T. e Str. ferr. 

Santa Giustina in Colle (3538 ab.). — Questo Comune si trova a breve distanza 
da Campo San Piero, ad ovest, attraversato dalla Tergola, in posizione resa amena 
dalla lussureggiante vegetazione arborea e dal verde intenso dei campi e delle pra- 
terie. Il Comune, per quanto popoloso, consta di due frazioni, della quale la titolare, 
Santa Giustina (24 m. sul mare e chilometri 2 da Campo San Piero), è un grazioso 
paese, di aspetto moderno, che nulla ofifre di rilevante, in linea d*arte. 

Prodotti del suolo, fertilissimo e coltivato con grande cura razionalmente : cereali, 
granturco, viti, gelsi, frutta, ortaglie. Importante è Tallevamento del bestiame da stalla 
e da cortile e la produzione dei bozzoli. Altre industrie del luogo: la fabbricazione dei 
laterizi, la macinazione dei cereali e piccole officine per la lavorazione del ferro. 
Coli, elett. Cittadella — Dioc. Padova — P', T. e Str. ferr. a Campo San Piero. 

Trebaseleghe (5071 ab.). — Il territorio assai vasto di questo grosso Comune si 
trova nella regione nord-est del distretto, sul confine della provincia di Padova con 
quelle di Treviso e di Venezia, attraversato dalla strada che da Castelfranco fa capo a 
Mestre. Il Comune ha carattere esclusivamente rurale e consta di varie frazioni, delle 
quali il capoluogo (22 m. sul mare e chilometri 10 da Campo San Piero), è una grossa 
borgata sparsa di oltre 2000 abitanti, con vie larghe, fiancheggiate da edifizi in gran 
parte moderni, di buona architettura. Notevole per Tantichità è la chiesa parrocchiale, 



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422 I^i^ Vtimm — Alta lulùt 



fra le più cospicue della regione, nella quale ammirasi una pala d*altare rappresen- 
tante San Sebastiano^ opera pregevolissima di Andrea da Murano. Le altre frazioni 
sono villaggi sparsi per la vasta pianura, senza importanza artistica o storica. 

Il suolo fertilissimo e lavorato con somma cura, dà cereali, foraggi, viti, gelsi, frutta, 
ortaglie. Vi si alleva bestiame da stalla e da cortile ed importante vi è pure la produ- 
zione dei bozzoli. Industrie del luogo sono la fabbricazione dei laterizi, la nuicinazione 
dei cereali, esercitata in parecchi molini, una segherìa idraulica, ecc. 

Cenno storico. — Di questo luogo si hanno notizie in documenti antichissimi della 
Curia vescovile di Treviso che v'ebbe sopra giurisdizione, e nelle cronache del Comune, 
dei secoli di mezzo, quando, nelle guerre con Venezia e con Treviso, ebbe a soffrire 
assalti, devastazioni ed altri danni. 

Coli, elelt. Cittadella — Dioc. Treviso — P* locale, T. e Str. ferr. a Campo San Piero. 

Villa del Conte (2892 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende neirangolo 
nord-ovest del distretto, bagnato dal torrentello Tergola, in bella e verdeggiante 
pianura. È Comune essenzialmente rurale, costituito da varie frazioni o cascinali 
sparsi per la campagna. — Villa del Conte, frazione principale e titolare del Comune 
(28 m. sul mare e chilometri 7 da Campo San Piero), è un grosso villaggio sparso di 
quasi 1700 abitanti, non privo di begli edifizi ed in via di progresso e dì rimoderna- 
mento, senza che per altro vi siano cose meritevoli di speciale designazione. 

Fertilissimo vi è il territorio irriguo e ben coltivato, che dà cereali, e soprattutto 
granturco, viti, gelsi, frutta e foraggi. Vi si alleva bestiame da stalla e da cortile, di 
cui si fa larga esportazione, ed importante vi è pure la produzione dei bozzoli. Altre 
industrie del luogo sono la macinazione dei cereali, e la segheria dei legnamL 
Coli, elelt. CitUdella — Dioc. Padova — P*, T. e Str. ferr. 

Villanova di Campo San Piero (2556 ab.). — Questo Comune si stende nell'angolo 
sud-est del distretto, sul confine della provincia di Padova con quella di Venezia, in 
perfetta pianura, abbellita da ricca vegetazione. Esso consta di varie frazioni, piccoli 
villaggi cascinali disseminati per la campagna. — Il capoluogo (14 m. sul mare e 
chilometri 12 da Campo San Piero), è un discreto paese di quasi un migliaio di abi- 
tanti, del quale è celebre Taltissimo campanile, ch'è allato alla chiesa parrocchiale, 
pur essa non priva di pregi architettonici. Nei dintorni vi sono case di villeggiatura, 
taluna delle quali assai signorili. Nel Camposanto del luogo si mostra la cappella 
sepolcrale del conte Girolamo Ruzzini,già ambasciatore a Costantinopoli per la Repub- 
blica di Venezia, nella quale, sopra una pietra, che il pio ambasciatore in un viaggio 
in Terrasanta, portò dal Golgota, v'è questa scritta: Pietra sopra la quale comparvero 
gli Angeli alle Marie. Si comprende che nessuna autenticazione appoggia la leggenda. 

Il territorio fertilissimo, irriguo, ben coltivato, dà cereali, foraggi, viti, gelsi, frutta, 
ortaglie. Grande è in luogo P allevamento del bestiame da stalla e da cortile e la 
produzione dei bozzoli, fonte di proficuo commercio. Non vi sono altre industrie. 
CoU. elett Vigonza — Dioc. Padova — P*. T. e Str. ferr. a Campo d^Araego. 



m. — Distretto e Mandamento dì GIHADELU 

n distretto di Cittadella, comprendente pure un mandamento giudiziario, occupa 
Testremità nord-ovest della provincia di Padova e confina: a nord, colla provincia di 
Vicenza (distretto di Bassano); ad est, colla provincia di Treviso (distretto di Castel- 
franco); a sud-est e sud, coi distretti di Campo San Piero e di Padova; a sud-ovest ed 
ovest, ancora colla provincia di Vicenza (distretti di Vicenza e di Marostica). Ha forma 



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Mandamento e Cornimi del Distretto di Cittadella 423 



pressoché arrotondata e copre una superficie di 199 chilometri quadrati, essendo il 
penultimo, in ordine di superficie, degli otto distretti della provincia di Padova. 

E in perfetta pianura, ed è attraversato nella sua lunghezza dal Brenta, che vi 
penetra dal soprastante distretto di Bassano in provincia di Vicenza, e n' esce per 
segnare il confine fra il distretto di Campo San Piero e quello di Padova, seguendo 
costante la direzione nord-sud con leggiera inclinazione ad est. 

Il distretto di Vicenza è percorso dalla grande strada postale che da Padova per 
Bassano, diramandosi a Primolano, entra con un braccio in Cadore e colPaltro, pene- 
trando nella Valsugana, od alta valle del Brenta, giunge fino a Trento. È pure percorso 
dalla linea ferroviaria Padova-Bassano, che attende il suo naturale compimento fino a 
Primolano per congiungersi alla linea austriaca della Valsugana, la quale abbrevierebbe 
di molto il percorso fra Trento e Venezia e Trieste. 

Dipendono dal distretto amministrativo e mandamento giudiziario di Cittadella 
10 Comuni, con una popolazione complessiva, secondo il censimento del 10 febbraio 
1901, di 41.009 abitanti (206 per chilometro quadrato), cioè: Cittadella, Carmignano 
di Brenta, Fontaniva, Galliera Veneta, Gazzo, Grantorto, San Giorgio in Bosco, San Mar- 
tino di Lupari, San Pietro in Gù, Tombolo. Questi Comuni sono sotto la giurisdizione 
del Tribunale civile e penale di Padova. 

Cittadella (9686 ab.). — Il territorio di questo esteso e popoloso Comune si stende 
nella parte superiore del distretto, presso il confine colla provincia di Vicenza, a 
sinistra del Brenta. -- Cittadella (49 m. sul mare e chilometri 27 
da Padova), capoluogo del Comune, del distretto e del manda- 
mento, è veramente una piccola città, poiché delle città ha tutto 
l'aspetto, la conformazione e gli agi. Sòrta in tempi di guerre 
continue ed accanite, a scopo di difesa e d'ofifesa, ebbe, e serba 
ancora, nella sua pianta, nella cinta delle sue mura, l'impronta 
d'una fortezza. Infatti la cerchia delle mura gira intomo all'abi- 
tato, in linea spezzata poligonale, ad angoli ottusi e rientranti, 
alternati da torri, delle quali se ne contavano trentadue, alte e 
merlate: taluna di queste ora ha perduto il suo fastigio di merli, 
altre furono abbassate e demolite. Intorno alle mura gira una larga fossa d'acqua 
provvista di apposito emissario. Nelle mura sono aperte quattro porte, guardate da 
torri corrispondenti alle quattro vie che incrociano e diramano da Cittadella: cioè 
per e da Padova, Bassano, Vicenza e Treviso. Ogni porta aveva un triplice ordine di 
archi, ad eccezione di quella di Bassano che ne contava cinque. Anticamente si acce- 
deva alla piccola città mediante ponti levatoi, che, durante il governo veneziano, furono 
sostituiti da quattro ponti in pietra. 

Nell'interno la città consta di quattro quartieri, formati dall'incrociarsi delle due 
strade principali nella piazza maggiore: le strade provinciali, cioè, da Padova a 
Bassano, e da Vicenza a Treviso per Castelfranco. Le vie principali sono larghe, sel- 
ciate, ben tenute, fiancheggiate da edifizi, ora con porticati, ora senza, e su di esse e 
nella bella e vasta piazza si aprono i migliori negozi della città. 

Notevole edifizio per la grandiosità delle tinte é la chiesa arcipretale, nella quale 
si conservano buoni dipinti di scuola veneziana, tra cui un pregevolissimo Cenacolo 
di Jacopo da Ponte, bassanese; ha pure un ricco corredo di vasi e paramenti pre- 
ziosi. Vi sono inoltre altre chiese ed oratorìi, non privi di pregi architettonici. Altri 
e4ifizi importanti della pìccola città sono il palazzo del Comune, il teatro, le scuole» 
l'ospedale-ricovero per i poveri, la caserma del presidio. Contribuiscono poi a dare 
aspetto moderno a Cittadella le case signorili e i palazzotti privati che fiancheggiano 
le vie principali. Anche le altre case sono in gran parte moderne o rimodernate. 




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MA Ptrte Prima - Alta ItalU 



La stazione ferroviaria di Cittadella, punto d'incrocio delle linee Padova-Bassano 
e Vicenza-Treviso per Castelfranco, è fra le più importanti della Società Veneta di 
Costruzioni esercente quelle linee, e v'ha in essa un continuo scambio e movimento di 
viaggiatori. Cittadella conta 3627 abitanti entro le mura e 5120 nei sobborghi e terri- 
torio circostante (il rimanente è nella frazione Santa Croce Bigolina, distante chilo- 
metri 6): è perciò un centro agricolo importante, al quale fa capo quasi tutto il 
territorio distrettuale. 

Fertilissime, ben coltivate e copiosamente irrigate le campagne intomo a Citta- 
della: danno larghi prodotti in frumento, granturco, foraggi, gelsi, viti, legumi, 
ortaglie d'ogni specie. Ma V industria più importante di questa plaga strettamente 
attinente alle sue condizioni agricole è quella delFallevamento del bestiame bovino 
per ingrasso. Di questo ricco ed assai apprezzato prodotto, Cittadella è centro di 
un importante commercio colle finitime provincie, e soprattutto col Trentino e la 
Lombardia. Anche Tallevamento dei suini, del pollame, pure fatto su larga scala, è 
fonte di buoni guadagni per gli agricoltori di Cittadella, che esportano poi uova, 
legumi, frutta, ortaglie nei vicini mercati di consumo e d' incetta, di Padova, Vicenza 
e Venezia. Altro ricco prodotto del luogo è dato dalFallevamento dei bachi da seta, 
al quale si applica, si può dire, in primavera tutta la popolazione agricola del Comune. 
Il prodotto viene in massima parte incettato dai grandi filandieri lombardi. Industrie 
minori, rispondenti alle esigenze del consumo e dei bisogni locali, sono la filatura 
delle lane, le tintorie di filati e tessuti, la lavorazione del rame e del ferro in piccole 
ofScine, la fabbricazione dello spirito, dei carri e carrozze, la macinazione dei cereali, 
la fabbricazione delle paste da minestra, dei dolci, la estrazione deirolio dai semi oleosi 
di lino, di arachide, di ravizzone, ecc. 

Cenno storico. — Cittadella (Cì^t^a^tiZa) qual è ora, è sOrta, come abbiamo già detto, 
per effetto delle guerre comunali, nel secolo XIII. Ciò non esclude peraltro che nel 
punto ove ora sorge, sulPincrocio di due fra le piiì antiche ed importanti vie della 
regione veneta, riattaccantesi al periodo romano, non sorgesse prima del castello medio- 
evale un oppido antichissimo, molto probabilmente abbattuto e smantellato nelle incur- 
sioni barbariche che seguirono la caduta di Roma e da quella degli Ungheri, che tra 
.il finire del secolo IX ed il principio del X fecero sì grande scempio di questa parte 
dltalia. Neir infierire delle guerre tra Padova, Venezia, Treviso ed il patriarca di 
Aquileia, nella prima metà del secolo XIII, fu trovato necessario dai Padovani a difesa 
della loro città e territorio ed a sostegno delle loro truppe avanzate, di creare un forte 
propugnacolo, in opposizione al Castelfranco che i Trevisani, con pari intento, sin dal 
1218, avevano eretto ed andavano di continuo rafforzando. Così, essendo intomo al 1220 
scoppiata una nuova guerra tra Padova e Treviso, i Padovani si diedero con grande 
alacrità a erìgere le mura e la torre del nuovo castello, che per l'ampiezza del suo 
circuito fu assomigliato ad una piccola città : donde il nome di CivHaiula^ rimastogli 
nelle cronache del Comune, e di Cittadella rimastogli nella consuetudine popolare ira 
i secoli. Vista Futilità e la sicurezza che per essi il nuovo castello presentava, i Pado- 
vani ne curarono in ogni modo Fincremento, colmandolo di privilegi e facilitazioni per 
richiamarvi gente e renderlo proficuo e prosperoso anche in tempo di pace. Così da 
essi fu trasportata a Cittadella la celebre fiera che con grande concorso di mercatanti 
da ogni parte si teneva ad Onara, castello degli Ezzelini, che i Padovani avevano nel 
principio del secolo assediato e distrutto. Durante la tirannia di Ezzelino IV su Padova 
il podestà Anseudisio de' Guidetti, nipote di Ezzelino e di lui, se possibile, più rafilna- 
tamente feroce, fece rinchiudere nella torre di porta Padovana a Cittadella un gran 
numero di cittadini dì Padova, in sospetto di poca devoluzione per il tiranno, facendoli 
quivi morire fra i tormenti dei manigoldi, o lentamente di fame, di patimenti, di 
malattie, per l'umidità e l'insalubrità del luogo. Allorché Padova potè liberarsi del 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Cittadella 425 



tiranno, furono a furia di popolo atterrate le porte di questa prigione e liberati più di 
trecento cittadini che dentro vi gemevano. 

I Padovani furono sempre gelosissimi del possesso di Cittadella, alla cui custodia, 
con un decreto del 1S75, vennero preposti due podestà ed un capitano. Diedero pure 
al borgo statuti propri, e sotto quella mite dominazione, ch'era più che altro un paterno 
protettorato, Cittadella potè prosperare e diventare uno dei centri più importanti dello 
Stato padovano. 

Anche i Carrara, diventati signori di Padova, tennero in gran conto Cittadella. 
Jacopo I Carrara ospitò nel castello di Cittadella, nel 1347, Lodovico re d'Ungheria, 
e diede in onore di quel sovrano, tornei, corti bandite, caccie grandiose. Francesco 
Carrara, il Vecchio^ vi accolse con sfarzo principesco l'imperatore Carlo, e più tardi i 
delegati di Venezia, di Genova, durante la guerra di Chioggia, per iniziare le prime 
trattative di pace. Superfluo il dire che questi ricevimenti erano accompagnati da 
grandi feste pubbliche, da giostre, da caccie e da sontuosissimi banchetti. Ciò è prova 
dell'importanza che Cittadella aveva in quel periodo e del conto che ne tenevano i 
munifici signori di Padova. 

Colla fine della signoria carrarese, dopo essere stata per alcun tempo dello Sca- 
ligero ed anche dei Visconti di Milano, Cittadella passò, insieme a Padova, sotto il 
dominio della Repubblica di Venezia, e fu questa l'epoca più pacifica e prosperosa per 
la piccola città, alla quale Venezia fece larghe concessioni ed assicurò il rispetto agli 
antichi statuti (1405). Più tardi, nel 1484, trovandosi di nuovo Venezia in armi contro 
l'imperatore. Cittadella passò, come donazione fatta dalla Repubblica, a premio dei 
servizi prestati, in feudo a Roberto da Sanseverino, capitano generale della Repub- 
blica Serenissima, morto poi alla battaglia di Calliano fra Trento e Rovereto. Il San- 
severino la vendette a Rodolfo Malatesta ; ma a Venezia non piacque questa nuova 
infeudazione, cosicché ben presto la riprese e la tenne fino alla sua caduta. Come indice 
della importanza del luogo basta dire che Cittadella col suo territorio, alla fine del 
secolo XIV e nel XV, poteva mettere in armi più di 5000 uomini. 

Durante le guerre del principio del secolo XVI per la Lega di Cambrai, contro 
Venezia e per l'antagonismo tra Francesco I di Francia e Carlo V di Spagna poscia, 
Cittadella fu più volte occupata dai vari belligeranti, dagli imperiali soprattutto che 
ne fecero scempio. 

Ritornarono, col dominio di Venezia, gli anni della pace, e Cittadella che per le mutate 
condizioni dell'arte della guerra non poteva più essere un'efficace fortezza, spogliata 
di ogni attributo militare, diventò un centro di utile e calma operosità agraria ; poiché 
Venezia vi seppe eccitare specialmente l'industria dell'allevamento dei bachi da seta. 

Nel 17% e 1797 Cittadella fu alternativamente occupata da Austriaci, Francesi ed 
Austro-Russi, indi ancora dai Francesi, ed in quel continuo tramestio di cose ed avvicen- 
darsi delle più disparate forme di governi. Cittadella seguì in tutto le sorti di Padova. 

Durante la campagna del 1848, per l'indipendenza nazionale. Cittadella fu per qualche 
tempo quartiere generale del generale Durando che in quella fatidica primavera cam- 
peggiò fra Padova, Treviso e Vicenza. Ai primi di giugno, il Durando ritraendosi di 
fronte all'ingrossare minaccioso degli Austriaci riorganizzatisi, dopo le prime sconfitte, 
lasciò Cittadella per dirigersi a Vicenza, dove gli pareva più agevole il difendersi e 
fare diga all'avanzarsi del nemico. 

Dopo il 1859, Cittadella fu una delle località date in stanza alle truppe del duca di 
Modena, che alleato dell'Austria, abbandonando il ducato e passando il Po, aveva 
condotto con sé il piccolo suo esercito. In queste piccole guarnigioni di Cittadella, 
Bassano ed Asolo, gli Estensi stettero circa due anni, poi vennero disciolti. 

Uomini illustri. — Alcuni uomini, che per la virtù del sapere ed il magistero del- 
l'arte onorarono la patria comune, ebbero i natali in Cittadella; fra questi ricordiamo 

93 — Ia P»tri»» Tol. I, parte 2*. 



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,426 Parte Prima -^ Alta Italia 



Gaspare dagli Uccelli, disegnatore emerito e peritissimo nell'arte dell'incidere in rame; 
Giuseppe Comino, che in (Cittadella, tra la fine del secolo XV ed il principio del XVI, 
tenne in Cittadella una stamperia, che per Taccuratezza delle edizioni e la eleganza 
dei caratteri, gareggiava colle migliori del Veneto e sì che allora imperava il sommo 
Aldo: le edizioni cominiane sono ricercatissime ed apprezzate fra gli incunaboli della 
stampa italiana. Celebre filologo, orientalista, professore ed autore di opere pregevoli, 
fu Michelangiolo Carmeli, nativo di Cittadella; né vanno obliati Francesco Zannoni, 
pittore di buona fama, e Tincisore Fanoli. 

GolL elett. GitUdella — Dioc. Padova- Vicenza — P*, T. e Str. ferr. 

Carmignano di Brenta (2237 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende 
nella parte nord-ovest del distretto, sulla sponda destra del Brenta, ed è attraversato 
dalla strada provinciale Vicenza-Castelfranco-Treviso e dalla linea ferroviaria colla 
stessa direttiva. Il Comune consta di varie frazioni ed ha carattere essenzialmente 
rurale. — Carmignano di Brenta, capoluogo del Comune (43 m. sul mare e chilometri 7 
a ponente da Cittadella), è un grosso borgo di circa 1200 abitanti, sull'anzidetta strada 
provinciale e non lungi dalla ferrovia che quivi fa stazione. Ha edifizi moderni, taluni 
signorili di bell'aspetto, ed una chiesa parrocchiale di buona architettura, di antica 
origine, ma rifatta più volte e rimodernata anche nel secolo XIX. 

Il territorio fertilissimo, bene irrigato, coltivato razionalmente, dà cereali, granturco, 
foraggi, viti e gelsi. L'allevamento del bestiame bovino da ingrasso è la maggiore 
industria del luogo sussidiaria all'agricoltura. Importante ewi pure la produzione dei 
bozzoli, generalmente esportati in Lombardia. Mossa dalle acque derivate dal Brenta, 
funziona in Carmignano una importante cartiera. 

Cenno storico. — Carmignano è luogo antico, ricordato sovente nelle cronache del 
Comune di Padova. Nel medioevo era dotato di una rocca, che ebbe a soffrire più volte 
l'urto dei Vicentini in guerra con Padova, che mal poteva soffiire l'intromissione della 
Curia vescovile di Vicenza in questa parte del suo dominio. 

Coli, elett. CitUdella — Dioc. Padova- Vicenza — P*, T. e Str. ferr. 

Fontaniva (3890 ab.). — Questo esteso Comune si trova a sud-ovest da Cittadella, 
nel bel centro del distretto, attraversato in un senso dal Brenta e nell'altro dalla strada 
provinciale e dalla ferrovia Vicenza-Treviso. Costituiscono questo Comune, di carattere 
essenzialmente rurale, varie frazioni o cascinali. — Fontaniva, frazione centro (44 m. 
sul mare e chilometri 3 a ponente da Cittadella) è un grosso paese di oltre 2700 abi- 
tanti, di bell'aspetto, con edifizi moderni di buona architettura, vie larghe ed una 
grande piazza. Grandioso edifizio in stile barroccheggiante, ma di un certo effetto e 
non disarmonico, è la chiesa parrocchiale, eretta nel 1648 e dedicata al beato Ber- 
trando, piissimo uomo del luogo, di cui mostrasi ancora la casa ove vuoisi sia morto. 
Fra i dipinti ben conservati in questa chiesa havvi una Madonna attribuita al Sasso- 
ferrato, tenuta in grandissimo pregio. Ammirevoli i due ponti allacciati sul Brenta, 
l'uno in ferro per la ferrovia, l'altro in legno, provinciale, lunghi 300 metri. 

I dintorni di Fontaniva, sebbene in aperta pianura, abbelliti dalla vicinanza del 
Brenta e da una rigogliosa vegetazione arborea, sono assai pittoreschi, epperciò cosparsi 
di ville signorili, tra le quali va meritamente ricordata quella dei conti Cittadella 
Vigodarzere, in cui mostrasi un'elegante cappella costniita sui disegni del ben noto 
artista marchese Pietro Selvatico. 

II territorio di Fontaniva, per quanto in talune località di frequente danneggiato 
dalle alluvioni del Brenta che vi trascinano sabbia e sassi, è generalmente assai pro- 
duttivo in cereali, foraggi, viti, gelsi, frutta, ortaglie. Anche quivi l'industria principale, 
fra le agricole, è quella dell'allevamento del bestiame da ingrasso, e poi dei suini e del 
pollame; importante vi è pure la produzione dei bozzoli. Altre industrie locali sono: 



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Mandamento e Comuni del Distretto di CittadeUa 427 

Testrazione della ghiaia dall'alveo del fiume Brenta, segherìe da legnami e molini 
per la macinazione dei cereali. 

Coli, elett. Cittadella — Dioc. Vicenza — P*, T. e Str. ferr. 

Galliera Veneta (3507 ab.). — Il territorio di questo cospicuo Comune si stende a 
oriente dal capoluogo del distretto, sulla strada che da questo conduce a Treviso. 
Molte parrocchie e cascinali sparsi per la campagna costituiscono questo Comune 
essenzialmente rurale, il cui centro è dato dalla frazione di Galliera (50 m. sul mare 
e chilometri 4 da Cittadella), un paesello di circa 600 abitanti, con una discreta chiesa 
parrocchiale ed edifizi in gran parte moderni. Nelle immediate vicinanze di Galliera 
trovasi la sontuosa villa Dolce o di Galliera, eretta nel secolo XVIII, e nel XIX acqui- 
stata dall' imperatrice Maria Anna d'Austria, moglie dell'imperatore Ferdinando I, che 
vi dimorava a lungo, volentieri, lontana da ogni rumore della Corte di Vienna, e l'abbellì 
con grandi lavori di ristauro e di rifacimento, e l'arricchì di un arredamento e di un 
mobiglie veramente regale. Morta la vecchia imperatrice, che fu anche donna assai 
benefica, la villa di Galliera rimase lungamente chiusa, e rade volte solo visitata di 
sfuggita da qualche membro della famiglia imperiale d'Austria. Messa in vendita, fu 
acquistata da un ricco industriale ligure. Intorno alla villa v'è un grandioso parco nel 
quale è specialmente ammirabile e pittoresco il rigoglio della vegetazione arborea. 

Il territorio di Galliera Veneta, irriguo e coltivato con ogni cura, dà cereali, gran-* 
turco, viti, gelsi, frutta, foraggi, ortaglie. L'allevamento del bestiame da stalla e da 
cortile è l'industria principale del luogo: che dà origine anche alla produzione del 
burro e dei formaggi, in un caseificio o latteria sociale. Altre industrie sono la fabbri- 
cazione della carta, la macinazione dei cereali, la tintoria, la lavorazione del ferro, 
esercitate in piccole oflScine, nonché un'importante filatura, sórta recentemente, ove 
sono impiegate circa 200 operaie. 

Cenno storico. — Si ritengono antichissime le origini di Galliera, che forse fu sta- 
zione di legionari romani, poiché é opinione che quivi passasse il confine tra il territorio 
dei Patavini e quello dei Pedemontani: gli abitatori, cioè, delle vicine colline prealpine. 
CoU. elett. Cittadella — Dioc. Treviso — P* e T. locaU, Str. ferr. a Cittadella. 

Cazzo (2499 ab.). — Si stende il territorio di questo Comune nella estremità sud-ovest 
del distretto, presso il confine colla provincia di Vicenza, attraversato dal Ceresone, 
fiumiciattolo scendente dal soprastante distretto di Marostica e confluente del Bacchi- 
gliene. È Comune costituito da numerose frazioni o cascinali e parrocchie sparse per 
la campagna e di carattere esclusivamente rurale. — Gazze, frazione principale (37 m. 
sul mare e chilometri 11 da Cittadella), é un discreto villaggio di circa 600 abitanti, 
nel quale nulla potrebbesi additare di interessante. 

Il territorio, bene irrigato, lavorato con cura, dà cereali, ma soprattutto foraggi 
essendo in massima parte messo a praterie. L'allevamento del bestiame da stalla e da 
cortile é la sola industria che in questo Comune venga in sussidio della produzione 
agricola. Questa industria dà luogo ad un attivo commercio di esportazione. Esistono 
in luogo vari molini per la macinazione dei cereali, animati da forza idraulica. 

Coli, elett. Cittadella — Dioc. Vicenza — P' a Cittadella, T. e Str. ferr. a San Pietro in Gù. 

Grantorto (2197 ab.). — Questo Comune, uno dei meno popolati della provincia, 
si stende a sud-ovest da Cittadella e sulla destra del Brenta. È Comune esclusiva- 
mente rurale, costituito da alcune piccole frazioni sparse per la bassa e fertile pianura. 
Di queste la maggiore é Grantorto, sede del Comune (36 m. sul mare e chilometri 8 
da Cittadella, con oltre 700 abitanti: villaggio nel quale nulla havvi di notevole. 

Prodotti del suolo, irriguo e ben coltivato : cereali, viti, gelsi, frutta, ortaglie, foraggi. 
L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile e la produzione dei bozzoli sono le 



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428 Parte Prima — AIU Italia 



industrie di maggior importanza nel Comune, ove esistono pure una fornace j)er laterìzi 
e molini per cereali. 

Cenno storico. — Si fanno risalire le origini di questo paese al perìodo romano, 
ritenendosi che quivi, non altrove sorgesse il Vicun Grognotortum di quell'epoca, 
custodito da sedentari, e ricordato pure in documenti medioevali. Durante le guerre 
tra Padova e Vicenza questo territorìo ebbe a subire continue devastazioni. 

GoU. eleit. CìtUdella — Dioc. Vicenza — P*, T. e Sir. ferr. a Garmignano di Brenta. 

San Giorgio in Bosco (4433 ab.). — Questo grosso e popoloso Comune si stende alla 
estremità meridionale del distretto, sulla sinistra del Brenta e al confine del distretto 
con quelli di Campo San Piero e di Padova; è attraversato dalla strada postale che 
da Padova per Cittadella va a Bassano e Prìmolano. Il Comune è costituito da vane 
frazioni o cascinali sparsi per la verdeggiante pianura. — Il capoluogo, San Giorgio 
in Bosco, — cosiddetto per le estese boscaglie che anticamente esistevano in questa 
plaga e delle quali rimangono ancora qua e là alcune tracce ~ è un discreto villaggio 
(29 m. sul mare e chilometri 6 da Cittadella) di circa 800 abitanti, di aspetto moderno, 
che nulla per sé stesso presenta di notevole. 

Prodotti del suolo, irriguo, ben coltivato e fertilissimo: frumento, granturco, sag- 
gina, viti, gelsi, foraggi. L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile e la produ- 
zione dei bozzoli sono industrie fiorenti e fonti di proficui traffici. Vi sono inoltre 
molini per la macinazione dei cereali e fornaci per la fabbricazione dei laterizi. 
Coli, eleit. GìtUdella <- Dioc. Vicenza — ?*, T. e Str. ferr. a GitUdella. 

San Martino di Lupari (6598 ab.).— U territorio di questo cospicuo Comune abbraccia 
l'estremità orientale del distretto, confinando colla provincia di Treviso. È bagnato da 
piccoli corsi d'acqua tributarì del Musone ed è attraversato al nord dalla strada pro- 
vinciale da Vicenza a Treviso, alla quale corre quasi sempre parallela la linea ferroviaria 
colla stessa direttiva. È Comune essenzialmente rurale, costituito da varie frazioni o 
cascinali sparse nel vasto territorio. — Il capoluogo, San Martino di Lupari (40 m. sul 
mare e chilometri 6 da Cittadella), è una grossa e bella borgata in pieno progresso, di 
circa 3000 abitanti. Edifizi moderni, palazzotti signorili, vie larghe, selciate, ben tenute, 
danno a San Martino di Lupari l'aspetto di una piccola città. Ricca è la chiesa par- 
rocchiale, di buona architettura, nella quale è specialmente notevole la facciata ornata 
con profusione di statue e bassorilievi. Nella sagrestia si mostra una succosa ed inte- 
ressante collezione dei ritratti ad olio — e taluno di buon pennello — dei parroci che 
ressero la chiesa dalla pubblicazione delle decisioni del Concilio di Trento ai giorni nostri. 

San Martino di Lupari è paese assai industrioso : vi si notano fabbriche di olio dai 
semi di lino, d'arachide, di ravizzone; segherie per legnami; molini per la macinazione 
dei cereali; officine per la lavorazione del rame e del ferro ed altre piccole industrie 
rispondenti ai bisogni ed ai consumi locali. Ma le fonti della sua prosperità San Mar- 
tino di Lupari le trae dall'agricoltura, dal territorio fertilissimo, ben irrigato e coltivato 
razionalmente, che dà cereali, granturco, viti, gelsi, foraggi, frutta e ortaglie in gran 
copia. L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile e la produzione dei bozzoli 
sono le industrie che completano l'attività agricola di questa plaga. 

Cenno storico. — San Martino è luogo di antiche origini : è il Vicus Luparium dei 
Romani, e tal nome conservò anche nel medioevo, in cui fu soggetto a frequenti sac- 
cheggi ed a devastazioni del territorio per opera degli Ezzelini e dei Trevisani nelle 
loro guerre con Padova. 

Coli, elett. Cittadella — Dioc. Treviso — ?■, T. e Str. ferr. 

San Pietro in 6ù (^502 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte 
occidentale del distretto, sul confine di questo colla provincia di Vicenza, ed è attra- 



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Mandamento e Comani del Distretto di Ck>nselve 429 

versato dalla strada provinciale Vicenza-Treviso e dalla quasi parallela ferrovia. È 
Comune esclusivamente rurale, formato da varie borgate sparse per la campagna, delle 
quali la principale è San Pietro in 6ù (45 m. sul mare ecbilometrì 9 da Cittadella), bel 
paese d'aspetto moderno, con stazione ferroviaria sulla Vicenza-Cittadella, e circa 
850 abitanti. Qualche pregio architettonico ha la chiesa parrocchiale di San Pietro e il 
campanile. Nei dintorni del paese sorgono belle case di villeggiatura. 

Il territorio, irriguo, ben coltivato, molto fertile, dà cereali ed in ispecie granturco, 
riso, gelsi, uva e foraggi. Vi si alleva bestiame da stalla e da cortile, che in massima 
parte viene esportato, e rilevante è pure la produzione dei bozzoli. Altre industrie 
del luogo sono la fabbricazione dei laterizi con due fornaci, la lavorazione del rame 
con due officine, la fabbricazione dei pettini, la brillatura del riso, la macinazione dei 
cereali con vari opifici e la segatura dei legnami con due segherie. 

Coli, elett. GitUdella — Dioc. Vicenza — P' a GitUdella, T. e Str. ferr. locali. 

Tombolo (3460 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende al sud-est di Citta- 
della, nella bassa pianura bagnata dalla Tergola, verso il confine del distretto con quello 
di Campo San Piero. È Comune essenzialmente rurale, costituito da varie frazioni o 
cascinali sparsi per la pianura. — Tombolo, frazione principale (45 m. sul mare e chi- 
lometri 4 a levante da Cittadella), è un grosso villaggio di circa 1800 abitanti, nel quale 
non mancano notevoli edifizi pubblici e privati di belPapparenza. Fra questi spicca la 
chiesa parrocchiale per la grandiosa facciata, alla quale non corrisponde il corpo del 
tempio rastremato ad una sola navata, evidentemente per mancanza dei mezzi neces- 
sari a condurlo alla fine colla grandiosità colla quale all'inizio fu concepito e di cui 
saggio rimase il prospetto. 

Il territorio di Tombolo, copiosamente irrìguo e ben coltivato, dà cereali, gelsi, 
foraggi, legumi ed ortaglie. L'allevamento del bestiame da ingrasso, qui favorito da 
belle praterie, è praticato su vasta scala. Importante è pure l'allevamento dei suini, 
del pollame e la produzione dei bozzoli: fonti tutte di lucroso commercio. 

Coli, elett. Cittadella — Diocesi Treviso — ?', T. e Str. ferr. a San Martino di LnparL 



IV. — Distretto e Mandamento di CONSELVE 

Il distretto amministrativo di Conselve, che comprende nella sua giurisdizione 
anche il mandamento giudiziario omonimo, si trova nella parte inferiore o meridionale 
della provincia di Padova. Esso confina: a nord, col distretto di Padova; a nord-est, 
con quello di Piove di Sacco ; a sud-est, colla provincia di Venezia; a sud, è diviso dalla 
provincia di Rovigo dal corso delFÀdige; ad ovest, confina col distretto di Monselice. 

Ha forma di quadrilatero irregolare e copre una superficie di 184 chilometri qua- 
drati, restando, sotto questo rapporto, Tnltimo della provincia. Il distretto di Conselve» 
secondo T ultimo censimento, ha una popolazione di 29.425 abitanti (160 per chilo- 
metro quadrato). Esso è bagnato, alla sua estremità meridionale, dall'Adige e dal Gor- 
zone, formato dalPunione del Fratta e del Frassino, che scendendo con vari nomi dalla 
Valdagno in provincia di Vicenza, dopo aver preso parte delle acque che scendono dai 
colli Borici, entra in provincia di Padova nel distretto di Montagnana, ricevendovi le 
acque del Bisatto e di altri canali minori. Nel distretto di Conselve corre a poca distanza 
e parallelo all'Adige ed esce dalla provincia di Padova per poi entrare in territorio 
della provincia di Venezia (Cavarzere). 

Attraversa il distretto di Conselve la strada provinciale con tramvia a vapore 
Padova-Conselve, che si prolunga fino a Bagnoli di Sopra, alPestremità della provincia, 
e di là si dirige ad Anguillara Veneta, confine con la provincia di Rovigo. Altra strada 



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430 PA>*te Prima — Alta Italia 



importante è quella Padova-Bovolenta-Conselve. Le strade comunali completano la rete 
stradale del distretto, rispondendo sufficientemente alle esigenze di una buona viabilità. 
Il distretto di Conselve si stende in pianura, bassa, uniforme ed in qualche località 
anche acquitrinosa, ed è regione esclusivamente agricola. Nella sua giurisdizione 
amministrativa e giudiziaria sono compresi 9 Comuni, cioè: Conselve, Agna, Anguil- 
lara Veneta, Arre, Bagnoli di Sopra, Candiana, Cartura, Terrassa Padovana, Tribano, 
dipendenti dal Tribunale civile e penale di Padova. 



Conselve (5380 ab.)* — Questo Comune, capoluogo del distretto e del mandamento 
giudiziario, ha il suo territorio nella parte ovest del distretto medesimo, a 20 chilometri 
da Padova e pressoché al sud perfetto di questa città. H 
Comune di Conselve ha un esteso territorio rurale, nel quale 
vive la maggior parte della sua popolazione, sparsa in vari 
villaggi piccole frazioni del Comune stesso. — La borgata 
capoluogo di Conselve (8 m. sul mare) ha una popolazione di 
circa 1000 abitanti ed ha l'aspetto, gli agi di una piccola città. 
Le sue vie sono larghe, selciate, ben tenute, fiancheggiate da 
case ed edifizi ben costruiti, moderni o rimodernati, e da palaz- 
zotti signorili. Bella, regolare, spaziosa è la piazza di Conselve, 
centro ogni mercoledì di animatissimo mercato di derrate e 
prodotti agrari e di fiere frequentatissime ogni primo mercoledì del mese e negli 
ultimi giorni di agosto. La chiesa arcipretale di San Lorenzo è una delle più cospicue 
della regione, per antichità, per pregi architettonici e per la celebrità goduta in pas- 
sato. È fregiata di eccellenti affreschi e possiede un bellissimo battistero in marmo. 
Anticamente Conselve possedeva anche un castello, sorgente su quella piccola promi- 
nenza di terreno ancora oggi detta Castellavo. 

Nei dintorni immediati di Conselve sonvi parecchie ville signorili di buonissima 
architettura, che coi loro giardini e parchi alberati aggiungono vaghezza al paesaggio, 
rompendo la monotonia e la malinconia di quella bassa ed umida pianura. 

Il territorio di Conselve, copiosamente irrigato, si presta alle più svariate colti- 
vazioni: dà cereali, riso, foraggi, viti, gelsi, frutta, ortaglie; è pure, per la vicinanza 
delle paludi, della laguna di Chioggia e del mare, luogo di buona caccia, sì che in 
Conselve si fa anche un discreto commercio di esportazione di selvaggina. Industrie 
locali sono: la fabbricazione dei laterizi, con una fornace; la lavorazione del ferro e 
del rame in piccole officine per i bisogni locali ; delle calzature, ecc. Ma le industrie 
agricole deirallevamento ed ingrasso del bestiame bovino, suino e del pollame e della 
produzione dei bozzoli hanno un'importanza capitale nelF economia locale, per il 
prosperoso commercio d'esportazione al quale danno luogo. 

Cenno storico. — Di Conselve si cominciano ad avere notizie in documenti del 927 
e del 1013, nei quali questo luogo viene designato col nome di Caput Silvae, perocché 
sorgeva sul limitare di una grande selva che si stendeva allora fino al mare. Dipen- 
deva, in quei tempi oscuri, dalla Chiesa patavina, sì che, nel 1026, Orso, vescovo di 
Padova, dava a certe monache il benefizio delle decime di San Lorenzo in Caput 
Silvae. Da altro documento del 1205 si rileva che nel territorio di Conselve, e più 
precisamente nella regione di Rivola e Cadolga, esisteva un lago, o meglio una gran 
palude, certo formata dal dilagare senza regola delle molte acque che attraverso a 
questa regione scendono alla laguna di Chioggia ed al mare. Colle grandi opere di 
incanalamento, di arginatura, di sistemazione delle acque compiute nei secoli succes- 
sivi dai Padovani, e più ancora dai Veneziani, cui stava a cuore più di ogni altra cosa 
la difesa della laguna dagli interramenti per la navigazione e dagli impaludamenti 
per la salute pubblica, il lago o padule di Conselve scomparve. Alberto, castellano di 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Conselye 431 



Baone, morto nel 1114, aveva giurisdizione — come risulta da un documento dell'epoca 
— sulla Corte di Conselve e sulla sua isola: il che prova come fin da quel tempo 
Conselve fosse luogo cospicuo, dove si tenevano giudizi e si pubblicavano le leggi e 
i decreti dei sovrani. Tali giudizi o bandi si tenevano dal conte o dal vescovo in 
persona, o per mezzo dei suoi rappresentanti, assistiti da scabini e notai, nel Campo 
di Marte, presso il paese; ed un documento del 1309 accenna al Campus Mariius 
Communis Consilvis, nel quale si tenevano placiti e giudizi. 

Per quanto soggetta alla sovranità del Comune di Padova, sostituitasi ai diritti 
feudali dei conti ed anche un po' a quelli temporali della Curia, Conselve era retta 
a mo' di minuscola repubblica da magistrati proprii : e quando Ezzelino IV da Romano 
si rese signore e tiranno di Padova fece, nel 1242, decapitare Raineri da Bonello, 
giudice e signore di Conselve, che non si era mostrato troppo devoto alla causa del 
nuovo signore ed in sospetto di tenere relazioni coi fuorusciti guelfi ed i marchesi 
d'Este, nimicissimi del feroce vicario imperiale. 

Conselve seguì sempre le vicende del Comune di Padova: fu con questo dei Car- 
raresi, che ne riconobbero gli statuti e ne beneficarono di privilegi la ragguardevole 
chiesa. Col governo di Venezia godette un'era di grande calma e prosperità. Era retta 
a vicaria con giurisdizione e supremazia sui vicini Comuni, e tale ufiìcio era tenuto 
da un ufficiale della Repubblica. Inoltre Conselve aveva facoltà di eleggersi fra i 
nobili senatori veneti un protettore, per il tramite del quale il popolo faceva giungere 
al Governo della Repubblica i suoi reclami, i suoi desiderii. Ultimo dei protettori di 
Conselve fu il senatore Nicolò Morosini, eletto con grandi feste e pubblicazioni in 
versi ed in prosa nel 1788. 

Uomini illustri. — Furono nativi di Conselve: Giuseppe Menegazzi, poeta e medico, 
autore di pregevoli pubblicazioni; e Gregorio Trentin, che fu uno dei più riputati 
costruttori d'organi da chiesa del secolo XVIII. 

Coli, eleti. Piove di Sacco — Dioc. Padova — P*, T. e Tr. locali, Slr. ferr. a Monselice. 

Agna (3377 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte inferiore 
sud-est del distretto, sul confine della provincia padovana con quella di Venezia. Il 
Comune consta di due frazioni ed ha carattere essenzialmente rurale. — Agna, fra- 
zione principale (5 m. sul mare e chilometri 1 1 da Conselve), è una grossa e discreta 
borgata di quasi 1500 abitanti, nella quale è notevole la chiesa parrocchiale di antiche 
origini, sebbene più volte rimodernata. 

Il territorio di Agna, basso, piano, acquitrinoso, era nel passato una serie di paludi: 
fu in gran parte bonificato ed ora è fertilissimo in cereali e foraggi. Le estese pra- 
terie del luogo favoriscono l'allevamento del bestiame bovino, quivi praticato su vasta 
scala, tanto per riproduzione che per ingrasso. È questo un notevole coefficiente di atti- 
vità nell'economia rurale del luogo, alla quale peraltro portano buon contributo anche 
l'allevamento dei suini e del bestiame. Piccole industrie agricole casalinghe sono pure la 
fabbricazione delle stuoie o dei graticci, per i quali s'impiegano paglie, canne, giunchiglie 
ed altre piante vallive che abbondano nelle vicine paludi. Sonvi poi anche piccole 
officine meccaniche per la costruzione e riparazione di utensili e macchine agricole. 

Cenno storico. — Scavi fatti in Agna e nei suoi dintorni' misero in luce statuette, 
idoli in terracotta e monete del periodo romano: il che è indizio della ragguardevole 
antichità del luogo, per il quale passava una delle strade romane che dall'Adriese 
conducevano a Padova. Nei bassi tempi Agna era munito di un castello tenuto da 
gente longobarda, della quale è rimasto il ricordo di una Ingelinda. Quando Ezze- 
lino IV da Romano si rese padrone di Padova, nel castello d'Agna, allora posseduto dai 
Carraresi, si rifugiarono colle loro donne alcuni della famiglia dei Carrara, guelfe^- 
gianti, per sfuggire alle sicure vendette del tiranno, del quale si erano mostrati mai 



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432 Parte Prima — Alta Italia 



sempre nemici. Ezzelino, che non voleva lasciarsi sfuggire la preda, assaltò, nel 1239, 
il castello d'Agna. Le donne dei Carrara si vollero mandare per salvezza a Chioggia: 
messe in una barca, per T inesperienza di chi la guidava, questa si capovolse ed affondò 
nel non lontano canale dei Cuori, per modo che quanti vi erano sopra annegarono. 
Agna fu sempre soggetta alla giudicatura di Conselve ed a Padova. 

Ck)ll. elett. Piove di Sacco <— Dioc. Padova — P* a Gonseive, T. e Str. ferr. a StaDgheUa. 

Angnillara Veneta (4137 ab.). — Questo esteso e cospicuo Comune si stende nel- 
Testremità meridionale del distretto e lungo la sponda sinistra dell'Adige, che fa da 
confine tra le Provincie di Padova e di Rovigo. È tutto in territorio basso, acquitri- 
noso, attraversato da acque e canali, dei quali il maggiore è il Gorzone, continua- 
zione del Frassino, del Fratta e d'altri corsi minori raccolti in un solo alveo. Varie 
località del territorio di Angnillara — sebbene le bonifiche pubbliche e private vi 
abbiano molto operato — sono ancora paludi ed a breve distanza dal capoluogo hawi 
un laghetto detto deìVAnguillara, Il Comune è frazionato in cascinali sparsi per la vasta 
campagna, ove impera il latifondo. — Il paese di Angnillara Veneta, centro del Comune 
(5m. sul mare e chilometri 11 a sud di Conselve), conta circa 2000 abitanti e, pur 
serbando carattere di centro rurale, non manca di edifizi di buona costruzione e 
moderni. Spaziosa è la chiesa parrocchiale, testé ricostruita a spese del Comune. 

Il suolo, messo a campi ed a prati artificiali, produce granaglie e foraggi. Grande 
è quivi Tallevamento del bestiame bovino da lavoro e da ingrasso. Si ottengono, tanto 
nell'una che nell'altra specie, prodotti ottimi, apprezzati e che trovano facile espor- 
tazione nelle altre Provincie ed all'estero. Importante è pure l'allevamento dei suini, 
del pollame, degli acquatici, dei quali si fa pure largo commercio. Altre industrie del 
luogo: la macinazione dei cereali, la tessitura, la lavorazione delle stuoie e consimili 
piccole industrie casalinghe, rispondenti appena ai bisogni del consumo locale. In vari 
punti del territorio di Angnillara fu constatata l'esistenza di depositi di torba, prova 
dell'antica natura lacustre o paludosa di queste località. 

Coli, elett. Piove di Sacco — Dioc. Padova — P* e T. locali, Str. ferr. a Stanghella. 

Arre (1902 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende a sud-est di Conselve, 
a non molta distanza da questo paese (4 chilometri), in pianura bassa (5 m. sul mare) 
ma asciutta. È Comune esclusivamente rurale, formato da varie frazioni o cascinali 
sparsi per la campagna, nei quali nulla hawi di notevole. 

Il territorio, ben coltivato a campi ed a prati, produce anche viti, gelsi, ortaglie. 
L'allevamento del grosso bestiame è la principale industria del luogo a sussidio del- 
l'agricoltura. I prodotti in gran parte si esportano. Vi si allevano pure suini e pollame 
ed una certa importanza ha anche la produzione dei bozzoli. 

Coli, elett. Piove di Sacco — Dioc. Padova — P' e T. a Conselve, Str. ferr. a Monselice. 

Bagnoli di Sopra (3669 ab.). — Questo Comune si trova al sud di Conselve e nel 
suo capoluogo (6 m. sul mare e chilometri 5 da Conselve), ch'è pure attraversato dalla 
strada che da Monselice per Agna e Cona si spinge fino alla laguna di Chioggia, fa capo 
la linea tramviaria che segue la strada provinciale Padova-Conselve-Rovigo. È Comune 
essenzialmente rurale, costituito da varie frazioni, delle quali Bagnoli, la titolare, è un 
modesto paesetto di 500 abitanti. Nulla di notevole in esso e nelle circostanti frazioni. 

Il territorio, messo a campi e prati, razionalmente coltivato, dà cereali e foraggi 
in grande quantità, viti e frutta. Industria principale del luogo, attinente alle condi- 
zioni agricole, l'allevamento del bestiame da stalla e da cortile, del quale si fa larga 
esportazione dalla provincia. Assai apprezzati sono pure i vini che si traggono dai 
vigneti di Bagnoli, secondo taluni i migliori che si facciano nel Padovano. 

Coli, elett. Piove di Sacco — Dioc. Padova — P" e T. locali, Str. ferr. e Tr. a Monselice. 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Conselve 433 



Candiana (2479 ab.). — Si stende il territorio di questo Comune all'estremità orien- 
tale del distretto di Conselve, sul confine di questo con quello di Piove di Sacco. È 
Comune frazionato, di carattere essenzialmente rurale. -— Candiana, frazione principale 
del Comune (4 m. sul mare e chilometri 10 da Conselve), è un grosso paese d'oltre 
1000 abitanti, con edifizi in gran parte moderni e di buona costruzione. Notevole edi- 
lizio è la chiesa parrocchiale, la più vasta del distretto, con grandiosi altari, dei quali 
uno assai pregevole, con belle statue in legno scolpito. Il campanile attiguo alla chiesa 
è uno dei più alti e di miglior disegno della regione. Altro edifizìo degno di nota in 
Candiana è l'antico monastero, fondato nei bassi tempi da un Cono di Calaone, il quale 
vi fu sepolto colla propria moglie Berta. Nei dintorni di Candiana, abbastanza ridenti 
e pittoreschi, sonvi villeggiature signorili. 

Il territorio di questo Comune, nel quale domina la grande proprietà, è coltivato 
con molta cura ed intensivamente. Dà cereali e foraggi soprattutto; indi vi è l'alle- 
vamento cospicuo di bestiame da stalla e da cortile per lavoro ed ingrasso. 

Cenno storico. — Di Candiana si hanno notizie sin dai bassi tempi. Fu benefìzio 
della Curia vescovile di Padova e di questa città seguì sempre le sorti, subendo deva- 
stazioni per parte dei Veneziani nel periodo delle guerre comunali e dagli Imperiali 
durante le guerre per la Lega di Cambrai, nel principio del secolo XVI. 
Coli, eletl. Piove di Sacco — Dioc. Padova — P* e T. a Gonselve, Tr. a Bagnoli, Str, ferr. a Monselice. 

Cartura (2820 ab.). — H territorio di questo Comune si stende nella parte alta 
od estremità settentrionale del distretto, in posizione abbastanza buona, per quanto 
in bassa e rasa pianura ed è bonificato dal canale di Pontelongo, che raccoglie molte 
acque al disotto di Padova. Il Comune è frazionato ed è di carattere esclusivamente 
rurale. —Il capoluogo, Cartura (6 m. sul mare e chilometri 4 da Conselve) è un mediocre 
paese sparso di oltre 1700 abitanti, dotato di una bella chiesa parrocchiale e di edifizi 
moderni di buona architettura. Sparse per questo Comune sonvi varie case di villeggia- 
tura, taluna delle quali, come la villa Meschini in Motta di Cartura, veramente signorili. 
Il terreno, duro, argilloso, dà ottimi prodotti in granaglie ; vi sono inoltre estese 
praterìe artificiali, dalle quali è favorito l'allevamento del bestiame bovino, che si fa 
in tutto il Comune su vasta scala e con grande profitto per l'economia locale. Altre 
coltivazioni sono quelle della vite, dei gelsi, delle frutta, dei legumi, i cui prodotti 
servono per il consumo locale ed anche per essere venduti nei vicini mercati. 
CoU. elett. Piove di Sacco — Dioc. Padova — P* e Tr. locali, T. a Conselve, Str. ferr. a Battaglia. 

Terrassa Padovana (1702 ab.). — Si stende questo Comune, che è il minore del 
distretto, al nord-est di Conselve ed è attraversato dalla strada che da questo luogo 
per Bovolenta va a Padova. È Comune esclusivamente rurale, costituito da piccole 
frazioni, parrocchie e cascinali sparsi per la campagna. — La frazione capoluogo (6 m. 
sul mare e chilometri 3 da Conselve) è un piccolo villaggio di circa 300 abitanti, nel 
quale nulla havvi di notevole. 

Il territorio, irriguo, ben coltivato a campi e praterie, dà granaglie e foraggi soprat- 
tutto ; indi viti, gelsi, frutta, ortaglie. Vi si alleva molto bestiame da stalla e da cortile 
ed importante vi è pure la produzione dei bozzoli. AH' infuori di queste attinenti alla 
agricoltura ron vi sono in luogo altre industrie. 

Coli, elett. Piove di Sacco — Dioc. Padova — P* e T. a Conselve, Str. ferr. a Monselice. 

Tribano (3959 ab.). — Il territorio di questo esteso e popoloso Comune occupa 
Testremità occidentale del distretto, confinando con quello di Monselice. Lo attraversa 
la strada che da Monselice per Bagnoli di Sopra ed Agna si spinge fino alla laguna 
di Chioggia. È Comune di carattere essenzialmente rurale, costituito da varie fi*azioni 
cascinali sparsi per il vasto territorio. ~ Tribano, capoluogo del Comune (6 m. sul 

9i — E<a P»lria« voi I, parte 2*. 



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434 Parie Prima — Alta Italia 



mare e chilometri 5 a sud-ovest da Conselve) è un grosso paese sparso di oltre 1500 abi- 
tanti, di aspetto in gran parte moderno, con belle vie, una vasta piazza ed edifici 
di buona architettura. Ricca ed ampia ne è la chiesa parrocchiale, rimarchevole spe- 
cialmente per la bella facciata. Vi si conservano buone pitture ed ha sette altari in 
marmi policromi assai pregiati. 

Il territorio, irrigato da un affluente del Gorzone, è coltivato con molta cura e dà 
ottimi prodotti in cereali, foraggi, lino, canapa, viti, gelsi e frutta. L'allevamento del 
bestiame da stalla e da cortile, la produzione dei bozzoli sono le più proficue industrie 
del luogo, ove sonvi purè due fornaci per la fabbricazione dei laterizi. 

Coli, elett. Piove di Sacco — Dioc. Padova — P* e T. locali, Str. ferr. a Monselice. 



V. — Distretto e Mandamento dì ESTE 

Il distretto amministrativo di Este, dopo quello di Padova, è per piiì ragioni il pìii 
importante della provincia. Esso occupa buona parte della regione euganea, stenden- 
dosi nella parte sud-ovest della provincia di Padova. Confina: a nord, col distretto di 
Padova; ad est, con quello di Monselice; a sud è diviso dal corso delP Adige dalla pro- 
vincia di Rovigo; a sud-ovest, col distretto di Montagnana; a nord-ovest, colla provincia 
di Vicenza. Oltre dell'Adige, il gran fiume del Veneto, da cui il capoluogo del distretto 
trasse il suo nome antico Atheste, bagnano il territorio di Este il Frassino, il canale 
Blsatto, il Fratta-Gorzone ed altri piccoli corsi scendenti dalle vallette euganee. Attra- 
versano questo territorio numerose ed importanti strade, tra cui la interprovinciale 
Padova-Monselice-Este-Legnago, la Vicenza- Este e le linee ferroviarie Padova-Bologna 
e Mantova-Legnago-Monselice. 

Il distretto di Este è territorio ubertosissimo, laonde Fattività agricola vi ha preva- 
lenza su ogni altra. Il distretto copre una superficie di 298 chilometri quadrati, ed 
anche sotto questo riguardo viene secondo a quello del capoluogo della provincia. La 
popolazione del territorio estense, che secondo un antico documento del secolo XIII 
contava 13.115 anime, e che col censimento del 31 dicembre 1881 ne contava 46.737, 
col censimento ultimo del 10 febbraio 1901 conta 47.896 abitanti (161 per chilometro 
quadrato). I Comuni compresi nella circoscrizione amministrativa e giudiziaria del 
distretto e mandamento di Este sono 15, cioè: Este, Baone, Barbona, Carceri, Cinto 
Euganeo, Lezzo Atestìno, Ospedaletto Euganeo, Piacenza d'Adige, Ponsò, Sant'Elena, 
Sant'Urbano, Vescovana, Vighizzolo di Este, Villa Estense, Vò. Este è anche capoluogo 
di circondario che è costituito dai tre distretti di Este, Monselice e Montagnana. Questi 
dipendono dal Tribunale civile e penale di Este. Come capoluogo di circondario Este è 
pure sede di Ispettorato scolastico, di R. Subeconomato dei benefici vacanti, di ufficio 
ipotecario, ecc. ed ha un importantissimo ufficio del Genio civile. 



Este (11.138 ab.). — Questa piccola, ma bella e storica città 
di oltre COOO abitanti, sorge a 14 m. sul mare e a chilometri 28 a 
sud-ovest da Padova, alle falde meridionali dei colli Euganei, su 
cui si stendono le mura e le torri del castello, che fu uno dei piiì 
nobili e celebri del Veneto nel medioevo. La città attualmente 
è aperta, ma anticamente era dal lato di tramontana difésa da 
un muro merlato con torri; negli altri lati era protetta da terra- 
pieni, alla loro volta circondati da fossati, che traevano Tacqua 
dal Restara e da altri corsi vicini. Ubertino da Carrara, a meglio preservare la città, 
fece erigere la lunga muraglia, che correva parallela alla fossa da lui fatta scavare, e 
per questo detta Carrarese^ congiungendo la torre che difendeva il ponte sul cajude 



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Mandametito è Cornimi del Distretto di Este 



435 



Brancaglìa con quella detta di San Pietro. Quéste mura, con grande vantaggio della 
salute e del movimento cittadino, sono ora quasi del tutto scomparse, e solo gli eruditi, 
dai pochi avanzi che ne rimangono, possono ricostruire il giro delFantica cinta cittadina» 
dalla quale la Este moderna ha in varie parti sconfinato. 

Este, come città moderna, si presenta di aspetto quanto mai simpatico e civile. 
Bellissima via è quella attraversante ai due capi la città, intitolata a Vittorio Ema- 
nuele Il e porgente sulla omonima piazza che è come il centro, il cuore della città. 
Questa, come le altre vie e piazze della città, sono fiancheggiate da edifizi moderni, 
molti dei quali veramente signorili, che non disdirebbero certo ad una città di 
maggiore importanza. 

Edifizi pubblici. — Fra i più importanti citeremo i seguenti : 



Palazzi del Comune e dei Tribunali. — Questi 
due palazzi sono l'ornamento principale della piazza 
Maggiore o Vittorio Emanuele. Eretti nel secolo XV a 
sede del podestà e capitanio della Veneta Repubblica, 
furono riedificati Tanno 1601, e sul finire del se- 
colo XVllI ridotti allo stato attuale. L'avancorpo, retto 
da un porticato a tre arcate di prospetto a colonne 
binate di buonissimo disegno, è sede del Tribunale 
civile e penale, istituito in Este con legge del 28 set- 
tembre 1871. L'ala sinistra, che è di più aulica co- 
struzione (secolo XVII), è sede del Municipio. 

Ospedale Civico. — - Sorse nel convento che era 
attiguo alla chiesa delle Consolazioni, dal Comune di 
Este acquistato a questo intento dalla Repubblica di 
Venezia, nel 1770. Fu piii volte rimodernato e ristau- 
rato, secondo i crescenti bisogni e le esigenze della 
scienza richiedevano. Ha bellissimo quadriporticato, 
sale spaziose e ben tenute, capaci di oltre 100 letti, 
riparto per malattie infettive, per maniaci e cure spe- 
ciali. Assistono gli infermi le suore della Misericordia 
introdottevi dall'arciprete mons. Zanderigo ad istanza 
del direttore dott. Antonio Zannini. * 

Teatro Sociale. — Fin dal 1724 Este, ad inizia^ 
tiva di facoltosi e nobili cittadini, possedeva un teatro, 
che nel 1765 diventava di proprietà comunale. In- 
cendiatosi nel 1824, durante la rappresentazione, fu 
ricostruito a nuovo nella stessa località, secondo le 
più moderne regole dell'arte, da una società di citta- 
dini e riaperto nel 1835. Nel 1868-69, ad opera del- 
l'arch. Riccoboni di Este, subì un generale ristauro, 
un vero rifacimento, e fu con molto gusto decorato 
dai pittori Paoletti e Battaglia di Venezia. 

Torre dell'Orologio o Porta Vecchia. — È 
questa, insieme a quella di San Francesco, la sola 
superstite delle cinque antiche porte della città. Ca- 
duta improvvisamente la notte 11 gennaio 1690 fu, a 
spese della Repubblica e del Comune, rifatta sull'at- 
tuale robusto disegno e vi fu collocato il grande oro- 
logio e la campana del Comune. 

Pia Gasa di Ricovero. — Sòrta nel 1840 con 
mezzi limitati a cura dell'arciprete monsignor Angelo 
Fontanarosa, ebbe grande impulso' dall'inesaurìbile 
carità del suo successore mons. Agostino Zanderigo. 
Le elargizioni ed i lasciti di benemeriti cittadini consen- 
tirono all'istituzione di prosperare e di crearsi l'attuale 
decoroso edifizio. 



Monte di Pietà. — Fu istituito l'anno 1541 in 
apposito locale concesso dalla magnifica comunitài 
Atestina. In origine era amministrato da dodici citta- 
dini, sei presi dall'ordine della nobiltà e sei dall'ordine 
dei mercanti. Fu riformato nel 1614 e nel 1785. Ora 
si regge col piano definitivo attivato nel 1835. 

Monumenti. — Al re Vittorio Emanuele II venne 
inaugurato, nel giugno 1880, un elegante monumento, 
posto sotto la loggia del palazzo dei Tribunali. Consta 
di un'edicola arcuata in istile del Rinascimento, sotto 
hi quale, su un piedestallo di pietra d'Istria, attor- 
niato da una Cancellata in feiTo, è il busto in bronzo 
del re, egregiamente modellato e fuso in bronzo da) 
Dal Zotto di Venezia. 

A Giuseppe Garibaldi si dedicò un monumento in 
marmo del monte Baldo, sulla piazza dei Frutti, con 
un mejdaglione recante l'eflìgie del generale, modellato 
e fuso in bronzo dal Besarel di Venezia. 

Il Castello. — Sull'altura che sorge immediata- 
mente a tergo della città dal Iato di settentrione (36 m. 
sul mare) e dalla quale era un tempo divisa dal corso 
del Sirone, sorgono ancora imponenti ed alte, merìate 
alla guelfa, le mura e le torri che cingevano l'antico ca- 
stello degli Estensi. li vetusto palazzo è scomparso, non 
rimase in suo luogo che una vasta spianata irregolare, 
sacra agli sterpi ed ai ruderi, ed ora, dopo alcune impor- 
tanti opere di miglioramento compiutevi dal Comune, 
è ridotto a Foro boario, imo dei più belli del Veneto. 

li castello d'Este fu eretto verso la metà del se- 
colo XI da Alberto-Azzo II ed ebbe subito parte im- 
portante nella storia locale, durante le prime guerre 
dei Comuni. Ezzelino III da Romano, detto il monaco , 
a capo dei Padovani assaltò il castello d'Este, tenuto 
dal marchese Aldobrandmo, e se ne impadroni. Ria- 
vutolo, gli Estensi lo riattarono ancora; ma, nel 1318« 
Can della Scala, che voleva essere signore solo ed 
ultrapotente nel Veneto, lo rovinava di nuovo. Ubertino 
da Carrara, diventato signore di Padova, mentre i signori 
d'Este eransi trasferiti a Ferrara, lo restaurò e fortificò 
di nuove mura, e tale si mantenne durante la signoria 
carrarese e nel primo periodo della dominazione veneta. 
Dopo le tumultuose vicende delle guerre per la Lega di 
Cambrai, sul principio del secolo XVI, la fortuna del 
castello di Este tramontò rapidamente, fino a tradursi 
in un campo di rovine e poi, più utilmente, come ai 
giorni nostri, in un Foro boario. 



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436 



Parte Prima — Alta Italia 



Edifìzi saeri. — Este ebbe il cristianesimo da San Prosdocimo e poi fino alla 
metà del secolo quinto fu sede vescovile ; attualmente è sede dì un abbate mitrato. 
Fra gli edifìzi sacri della città il più importante è il Duomo, o Basilica abbaziale 
matrice di Santa Tecla; ma vi sono anche altre chiese che per il loro merito artistico 
meritano attenta considerazione. 



Il Duomo. — Eretto nel secolo III, distrutto dai 
barbari nel secolo V, riedificato con grande magnifi- 
cenza nel secolo Vili, consacrato nel 1052 da papa 
Leone IX, ampliato nel XIII e nel XVI, cadeva per 
forte scossa di terremoto Tanno 1688. 

Il 14 maggio 1690 il vescovo cardinale B. Gregorio 
Barbarigo deponeva solennemente la prima pietra della 
Duova Basilica, che fu compiuta Tanno 1720 e consa- 
crata dal cardinale Rezzonico (papa Clemente XIII) 
nel 1748. II disegno fu dato dall'architetto vene- 
ziano Antonio Gasparì. Il tempio ha forma elittica ed 
è rimasto incompleto nella copertura della cupola sopra 
il grande abside e nella facciata. Ha nove magnifici 
altari di marmo racchiudenti pregevoli dipinti. Però 
il più prezioso di questi è hi grandiosa tela di i^iam- 
battista Tiepolo (rìstaurata dal Zennaro) rappresen- 
tante Santa Tecla, protettrice di Este, impetrante la 
cessazione della terrìbile pestilenza che, nel 1630, de- 
solò la città. Nella gran volta del tempio è reputatissima 
la tela di Jacopo Amigoni rappresentante il Martirio 
di Santa Tecla, L'altare del Sacramento è tutto 
in marmo di Carrara* con statue, bassorilievi, ornati, 
egregiamente lavorati dalCorradini, estense, e mirabile 
sopra ogni altra cosa è la statua velata della Fede, Nella 
magnifica sagrestia vi sono pure pregevoli dipinti, tra 
cui una Madonna, di Andrea del Sarto ; Cristo fla- 
gellato, del DQrer; altri del Zelotti, dello Zanchi, di 
Luca da Reggio e del Tiepolo. A metà dello scalone 
che dal vestibolo delle sagrestie conduce al Torà torio 
di San Valentino, vi è, racchiusa in elegante nicchia 
gotica, una grandiosa statua di pietra della Beala 
Vergine, opera pregiatissima del secolo XIV, già ve- 
nerata nell'antico Duomo. Il solido campanile, nella 
parte inferiore risale al secolo Vili, portato alTattuale 
altezza nel 1724 dalTarchitetto Rossi. La Basilica 
d*Este è fra le più antiche e cospicue chiese della dio- 
cesi padovana, ed è collegiata canonicale e dal suo 
insigne Capitolo usci uno stuolo di uomini illustri, fra 
i quali gran numero di vescovi, arcivescovi, cardinali 
e un pontefice, Paolo II. 

Santa Maria delle Grazie. — Eretta Tanno 1 478 
in esecuzione del testamento del principe Taddeo 
d*Este, fu riedificata, a cura dei Padri Domenicani 
che Tavevano in custodia. Tanno 1717. È ad una sola 
navata, ma ampia, simmetrica e di belle proporzioni. 
In grandi nicchioni, incavati negli intercolumnii, si veg- 
gono statue di Santi e Profeti, in pietra, dodici delle 



quali sono di Pietro Zandomeneghi e le altre di Va- 
lentino Panciera, detto Belare/. Fra i dipinti pregevoli 
è la pala del Martirio di San Sebastiano, del Calvettì; 
e sulTaltare maggiore una tavola bisantina rappre- 
sentante la Vergine, antichissima, che fu donata dal 
doge di Venezia al sa ricordato marchese Taddeo 
^d*Este. La cupola, vigorosamente impostata sulTot- 
tagono della crociera, fìi elevata dalTarchitetto estense 
Giuseppe Riccoboni e compiuta nel 1889. 

San Martino. — Antichissima, di stile lombardo, 
deturpata nel secolo scorso da pitture decorative, 
appena degne di un teatro campestre, fu già cenobio 
e poi parrocchiale. Notevole il suo campanile pen- 
dente, collo strapiombo dalia vetta alla base di circa 
metri 1,50. 

Chiesa della Salate. — Fu eretta nel 1639, in 
seguito a voto pubblico per la cessazione della peste, 
in onore di una antichissima Madonna scoperta nella 
città ed in quella triste congiuntura specialmente ve- 
nerata. Ha forma ottagonale, fiancheggiata da due alti 
ed eleganti campanili a cupolino di piombo. Vi si con- 
servano buoni dipinti dello Zanchi, del cav. Liberi, del 
Cervelli e d'altri. 

Santa Maria delle Consolasioni. — Sul luogo 
di un'antica chiesetta, dedicata a Sant'Antonio di Vienna, 
venne eretta. Tanno 1504, Tattuale chiesa di S. Maria 
delle Consolazioni, ofiìciata dai Minori Osservanti, che 
vi avevano attiguo il cenobio, nel quale poi, soppresso 
TOrdine, venne, cooie si disse più sopra, stabilito 
TOspedale civico. Vi si conservano buoni dipinti dello 
Zanchi, del Minorello da Este ed una pregevole tavola 
di Cima da Conegliano rappresentante la Vergine col 
Bambino. 

La soppressa chiesa di San Michele si distingue per 
la elegante facciata, disegnata dallo Scamozzi. — 
Mirabile è la crociera della chiesa di San Francesco, 
in puro stile gotico. In questa erano i sepolcri dei 
principi estensi. — Di bella architettura è la chiosa 
di San Rocco, ed elegante facciata e bel campanile ha 
quella del Carmine. — La chiesa dell'Annunziata 
possiede un pregevole dipinto del Piazzetta ed altri 
dello Zanchi. Questi lavorò aiolto anche nella chiesa 
di San Girolamo. — La vetusta chiesa di San Stefuuo 
ha una Beala Vergine del Liberi, il Martirio di 
Santo Stefano del De Lorenzi, e conserva uno stupendo 
ambone gotico che appartiene all'antico duomo. 



Istituti educativi e scuole. — Este è bene corredata di istituzioni scolastiche ed edu* 
cative, che hanno per la maggior parte sede nel grandioso edifizio del monastero di 
San Francesco, in parte adibito anche a collegio-convitto comunale. Bellissimo è il gran 
cortile di questo edifizio, condotto con quadriportico sul miglior stile palladiano, sulla 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Este 



437 



metà del secolo XVI. La scuola tecnica pareggiata Antonio Zanchi, il ginnasio pareg- 
giato intitolato al valente latinista estense Giambattista Ferrari e nel quale insegnò 
lettere anche Francesco Dall'Ongaro, ed un liceo, hanno sede in questo locale. Le scuole 
elementari furono recentemente trasferite in un'ala del grandioso palazzo del Castello. 
Il locale Municipio ebbe, per la pubblica istruzione, dal Governo la medaglia d'oro. 

Vi sono poi scuole rurali nelle varie frazioni di campagna del Comune: un asilo 
d'infanzia intitolato ad Isidoro Alessi ; un collegio-convitto Manfredini, residente nella 
antica villa o palazzo Pesaro; l'Istituto musicale; il Casino, con gabinetto di lettura ed 
una biblioteca di oltre 20.000 volumi, con una collezione preziosa di tutte le opere e 
documenti riguardanti la storia di Este e suo territorio; la Biblioteca popolare circo- 
lante con 2500 volumi; il gabinetto delle associazioni cattoliche con sede in palazzo 
proprio, con biblioteca di circa 10.000 volumi; la Società di ginnastica e scherma; 
ristituto- convitto Maganza ed il collegio delle Figlie del Sacro Cuore. 

Ma la perla che rende oggidì famoso il nome di Este fra la gente dotta, fra i cultori 
dell'archeologia, deirantropologia, della storia, della numismatica, delle arti belle è il 
suo Museo, ampliato ed ordinato di recente ed inaugurato con grande solennità e col- 
rintervento del ministro della pubblica istruzione on. Nasi, il 6 luglio 1902. 



Museo Nasionale. — Questo istituto, che nel 
suo genere va annoverato fra i primi d'Italia ed a buon 
diritto merita Tappellativo di NazionaUy venne collo- 
cato nel cosiddetto Palazzo del Castello. È un edifizio 
antico che fu parte di ben maggiore fabbrica sòrta nel 
secolo XVI a spese della famiglia Mocenigo, che dalla 
Repubblica di Venezia aveva acquistati i diritti di pos- 
sesso sul castello d*Este e sue pertinenze. E fu appunto 
per dare luogo a quella nuova costruzione che allora 
si atterrarono, senza riguardo alcuno, delle parti migliori 
ancora resistenti dell'antico castello degli Estensi. La 
nuova fabbrica, una delle più grandi d'Italia, al dire 
dei contemporanei, fu splendida, regale, meravigliosa. 
Ma passò anche la fortuna e la ricchezza dei Moce- 
nigo. Il grande edifizio cominciò ad essere disertato, 
abbandonato. Passò di una in altra proprietà, finché, 
deformato e sminuito da un incendio, pervenne al 
Comune, che pensò di riunirvi la copiosa suppellettile 
preistorica, preromana e romana, che si andava mano a 
mano esumando dal territorio d'Elste e da altre località 
della regione euganea. Ciò che ora rimane del pa- 
lazzo del Castello o dei Mocenigo non è che la terza 
parte di ciò che era il primitivo edifizio : le due ali 
di destra rovinarono nell incendio avvenuto sulla fine 
del secolo XVIII. Il corpo di mezzo, rovinato per vec- 
chiaia, fu atterrato per dar luogo alla grande ter- 
razza, dalla quale si ha il panorama del castello e 
della città ; quanto ora rimane fu, dalFoperoso archi- 
tetto Giuseppe Riccoboni, ristaurato ed adattato alPuso 
di Museo. Consta di varie sale inferiori e di altre al 
piano superiore, di cui tre magnifiche con soffitto vol- 
tato e adorne di buoni freschi del secolo XVII, attribuiti 
a Giulio Carpioni, che fu fra i migliori discepoli del 
Padovanino. 

La suppellettile archeologica che arricchisce questo 
Museo e ne forma la fama altissima nel mondo della 
scienza, cominciò ad essere raccolta nella prima metà 
del secolo XIX, nel 1834, ad opera del podestii conte 
Vincenzo Fracanzani, che, unitosi ad alcuni cittadini 



ed acquistata la raccolta di lapidi che già appartenne 
al grande archeologo Isidoro Alessi, raccolta formata 
con lapidi e franunenti rinvenuti nella regione eu- 
ganea, ne fece dono al Comune, che converti in 
museo Toratorio della soppressa Confraternita dei 
Battuti. Il Fracanzani trovò imitatori e continuatori 
zelanti, tra cui il conservatore Eugenio Gasparini. 

Sotto la direzione delPattuale conservatore prof. Ales- 
sandro Prosdocimi, nel 1874, coll'aiuto del Municipio, 
della provincia ed il volonteroso concorso dei privati, co- 
minciarono, con criteri scientifici e positivi, le ricerche 
e gli scavi della necropoli preromana, dalla quale fu 
tratta la preziosa suppellettile che oggi forma la gloria 
del Museo Atestino e che ha valore di primissimo or- 
dine, per lo studio dei primitivi abitatori delfltalia in 
generale e del Veneto in particolare. Molto tempo, 
multo dispendio, infinite cure e non poco studio ha 
costato la formazione, l'ordinamento e la classificazione 
del Museo Atestino ; ma oggi la piccola città degli Eu- 
ganei ha visto il compimento del voto di piiì genera- 
zioni e possiede un istituto di prim'ordine e, nel ge- 
nere, a pochi secondo, al quale accorrono ogni giorno 
uomini di scienza italiani e stranieri a scrutarvi i se- 
greti delle morte civiltà. 

Il Museo d'Este si divide in tre grandi sezioni 
generali: io Monumenti arcaici dell'Agro atestino; 
^o Monumenti della civiltà euganeo-veneta ; 3» A/o- 
numenti dell'epoca atestino-romana. 

Nella prima sezione si trovano raccolti i numerosi 
cimelii fittili litici ed i prodotti deirindustria primi- 
tiva, rudimentale, dei primissimi abitatori della regione 
euganea, venuti non si sa donde e che si stabilirono 
principalmente nella parte pili alta, montuosa della 
regione. Freccie, coltelli, scuri di selci, fibule, stocchi, 
aghi, punteruoli ed altri lavori in osso, avanzi di com- 
bustione, cocci di ceramiche costituiscono specialmente 
gli oggetti di questa raccolta, alla quale diedero ab- 
bondante messe di esemplari rarissimi ed interessanti 
le stazioni litiche di Arquà Petrarca, di Marendole, di 



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438 



Parte Prima — Alla Italia 



monte Lozzo, esplorate con cura e pazienza grandissima 
dai signori Federico Cordenons e Alfonsi Alfonso, vera- 
mente benemeriti della scienza e del Museo atestìno. 

Importantissima è la seconda sezione, riguardante 
1 monumenti della civiltà euganeo-veneta. Questa, 
sotto i rapporti della storia dell'arte e delParcheologia, 
è la parte più interessante del Museo. Quivi sonvi le 
ricchissime collezioni tolte dalle necropoli euganee — 
di cui è celebre quella presso la chiesa di Santo Stefano, 
illustrata da F. Francesclietti, e quella della vicina 
villa Benvenuti che fornì il maggior numero e i più 
preziosi fra gli oggetti che ora si ammirano nel Museo, 
illustrati da Leo Benvenuti, Giacomo Pietrogrande e 
da altri. 

Questa suppellettile, piuttosto unica che rara, è ri- 
partita in mudo da presentare, con grande evidenza, 
quattro diversi momenti o perìodi, nei quali, per vane 
ragioni, va divisa la civiltà atestinanelPéra preromana. 
In questa collezione hanno parte prìncipale e pregio 
inestimabile le sitale, o vasi cinernrìi in lamine di 
bronzo, nei quali raccoglievansi gli avanzi della com- 
bustione delle salme. Su questi incidevansi a punzone, 
figurandoli, con arte prìmitiva, ma non priva d'inge- 
gnosità di suggestione, gli attributi e le qualità più 
speciali deirestinto e della sua famiglia, le guerre e le 
imprese a cui aveva partecipato, le dignità da lui co- 
pelle. Fra le varie situle, preziosissime per la natura, 
il carattere, Tespressione di tali disegni è quella detta 
dei Benvenuti, perchè tolta da una tomba scoperta 
nella villa Benvenuti nell'anno 1880. A questa se- 
zione appartengono numerosissimi vasi fittili di ogni 
genere, dai più semplici e sino a quelli oniati delle 
più complicate decorazioni; a (H'aflìti, lineari, geome- 
trici, circolari, rilevati, ecc. Vi sono inoltre vasi di- 
pinti in rosso e nero, per zone alternate, precursori 
dei famosi vasi greci ed etruschi. Infiniti poi gli og- 
getti di uso, come armi, fermagli in bronzo, aghi cri- 
nali, armille, collane in ambra, in bronzo, in vetro, 
fibule, anelli, lancio in bronzo, in ferro. Nelle due 
prime sezioni del Museo atestino si passa senza brusche 
transizioni, senza troppo lunghe ed incolmabili solu- 
zioni di continuità dalPéra della pietra a quella del 
bronzo, a quella del ferro, come ben di rado avviene in 
simili raccolte. 

La terza sezione del Museo atestino, come dice il 
suo titolo, raccoglie quanto è venuto in luce, reso dalla 
terra, della civiltà euganea nel periodo romano. Sono 
lapidi sacre, storiche, sepolcrali trovate in varie località, 
raccolte in varie epoche dalPAlessi, dal Fracanzani, dal 
Casparini, dal Prosdocimi, molte delle quali vennero 



in luce negli strati superiori alle necropoli preromane. 
Importanti pezzi di questo perìodo, oltre le lapidi, dalle 
quali si possono trarre utili chiarìmenti per la storia 
locale, sono la statuetta in bronzo greco-romano raffi- 
gurante Ercole dormente, di squisita fattura, tanto da 
essere attribuita alla scuola di Lisippo; monete e me- 
daglie in bronzo ed in argento: fra tutte è interessante 
e raro un asse librale romano-campano, battuto fra 
il 342 ed il 21 1 a. C. ; armi ed oggetti d'uso, vasi ci- 
nerari! elegantissimi, fiale lacrimatorie, lampade. 

Fra le lapidi storiche che si conservano nel Museo 
atestino, molte tramandano nomi di personaggi e ma» 
gistrati illustri che governarono nella regione, di le- 
gionari, di matrone, di artefici. Notevole il frammento 
della tavola in bronzo, recante una buona parte d'una 
legge di Giulio Cesare — credesi — sulle giurisdi- 
zioni comunali, illustrata dal Mommsen e dall'Alibrandi; 
nonché la pietra terminale fra il dominio degli Atestini 
e quello dei Padovani, posta sulla vetta del Venda,, il 
più alto dei colli Euganei. Consiste in un rozzo masso 
di trachite, sul quale è la scrìtta latina : Lucio CecUio, 
figlio di Quinto proconsole, per ordine del Senato^ 
pose questo confine tra gli Atestini ed i Padovani^ 
Dati, credesi, dall'anno 613 ab u. e. 

Per il valore intrinseco e scientifico delle sue rac- 
colte e per il lustro che ne viene, non solo alla città 
d'Este, ma a tutta Italia, questo Istituto, con legge 
approvata dal Parìamento, venne dichiarato Nazionale. 

ArchiTio storico. — L'Archivio storico della ma- 
gnifica Comunità atestina si conserva in tre grandi 
armadii a scadali in una sala del palazzo comunale. Fu 
riordinato e catalogato dai benemeriti paleografi Leo 
Benvenuti e Giacomo Pietrogrande. Sebbene i suoi 
documenti non risalgano oltre il secolo XI V, ha quaderni 
riassuntivi di leggi, statuti, documenti di epoche ante- 
riori, tra cui il Vibro De aquis et aquarum provisionibus, 
dovuto a Bartolomeo Lonigo, che reca la storia documen- 
tata della sapientissima sistemazione dei fiumi di questo 
territorio per opera del Governo veneto; WCalastico della 
Magnifica Comunità di Esle, compilato da Giambat- 
tista Trisoli ; gli Annali della Magnifica Comunità di 
Esle, del Padre Vincenzo Maria Relucenti dell'Ordine dei 
Predicatori, ecc. Sono inoltre interessantì,per le notizie 
locali, due codici membranacei in-folio, intitolati Ca- 
tasto Albo e Catasto I^igro, e V Extravagante, del se- 
colo XVI, nel quale trovansi raccolti molti documenti 
interessantissimi per la storia d'Este ; l'epistolario di 
Francesco Novello Carrara e quello dei dogi di Venezia 
colla città. Ma l'Archivio antichissimo del Comune andò 
in parte distrutto da un incendio nel secolo XV. 



Dintorni e Ville. — I dintorni amenissimi d*Este sono disseminati di ville, parecchie 
delle quali veramente monumentali e celebri. È noto che sulla fine del secolo XVIII, 
durante la bella stagione e soprattutto nella primavera e nell'autunno, su questi colli 
deliziosi accorrevano a villeggiare più di ottanta famiglie patrizie veneziane, taluna 
di gran nome, che avevano quivi palazzi e ville e vi conducevano vita di sfarzo e di 
divertimento. Fra queste ville ricorderemo : la villa o palazzo del Principe, cosiddetta 
perchè appartenente a Luigi Contarinì, doge di Venezia e principe del territorio, eletto 



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Mandaménto e Comuni dei Distretto di Està 439 

■ ■■III 1 - T - - I • ■ 

nel 1676 mentre quivi passava Testate; — la villa Widmann-Rezzonico, eretta nel prin- 
cipio del secolo XVIII dal padre del cardinale Rezzonico, che fu poi papa Clemente XIII ; 
— la villa che fu già della famiglia Manin; — la villa De Kukler, nella quale, nel 1818, 
albergarono Giorgio Byron e Shelley; — la villa Borini, ora Datteri, al Migliaro, sulla 
strada di Baone, bella costruzione del secolo XVIII; — la villa Benvenuti, già dei 
veneziani Farsetti, poggiante su un'intera necropoli romana e preromana, ampliata 
ed abbellita nella prima metà del secolo XIX dalJappelli; — la villa Pesaro, gran- 
diosa costruzione del secolo XVII, ora sede del Collegio-convitto Manfredini, ed altre 
di minor conto. 

Torri e Castelli. — I marchesi d'Este, oltreché del loro castello, avevano dissemi- 
nato il loro territorio di rocche e di torri nei punti più facili ad essere attraversati 
od invasi dai nemici, o che meglio potevano difendere il centro del loro dominio. Così, 
sino dal secolo XII, si avevano nel territorio immediato d'Este le rocche di Ponte 
di Torre, di San Pietro, di Migliaro, formanti un triangolo ritenuto inespugnabile ; il 
torrione della Motta ed altre torri con baluardi ^ battifredi a Pra, al Pilastro, a Vigo 
di Torre, sulla vetta del monte Murale, e altrove. Nelle vicende fortunose del periodo 
comunale e delle ambiziose signorie, che a questo susseguirono, tali rocche e torri, 
dopo avere sostenuto assalti, assedi e lotte, andarono in gran parte distrutte. Le super- 
stiti, inutilizzate dopo Tuso delle artiglierie dai nuovi metodi di guerra, caddero in 
rovina. Sulla fine del secolo XVIII venne atterrato quanto di esse ancora rimaneva. 

Sola superstite a rammentare quella irrevocabile età rimase la rocca di Ponte di Torre, 
. solitaria, presso il ponte sul canale Brancaglia, a poco più di un chilometro dall'abitato. 
Questa rocca era importantissima, poiché guardava uno dei punti più strategici del 
territorio atestino, sulla riva sinistra del canale anzidetto. La tennero in gran conto 
i Padovani, e lo Scaligero, nel 1317, dopo averla assai danneggiata per impadronirsene, 
non appena fu sua, provvide a rìstaurarla ed a fortificarla meglio che non fosse prima; 
così Umbertino da Carrara, nel tempo che fu signore di Padova. Venezia, diventata 
padrona dello Stato dei Carraresi, pose un presidio a questa torre — considerata come 
chiave del territorio — comandato da un patrizio veneziano col titolo di castellano 
e capitano: ne alzò il torrione di un piano, sostituendo alla vecchia merlatura tre fine- 
stroni a tutto sesto, per lato e facendovi lavori di rinforzo. Ma un secolo dopo la rocca 
non serviva più agli scopi militari della Repubblica, che la vendette alla Comunità di 
Este per 804 ducati. ' 

Così cominciò la decadenza e la rovina di questo monumento medioevale, che per 
molti anni fu lasciato nel più sconsolante abbandono. Nel 1892, minacciando essa 
rovina, venne, per deliberazione comunale, riparata, consolidata e ristaurata, sotto la 
direzione delPingegnere Serafini. Dall'alto della torre, alla quale si accede per una 
comoda e sicura scala, si gode di uno stupendo panorama della regione euganea, delle 
prealpi vicentine e veronesi, e verso la pianura, oltre Rovigo, si veggono sovente spiò- 
care sulla caligine della bassa valle padana le torri della vecchia Ferrara. Una lapide 
murata nella torre ne ricorda i fasti ed il ristauro compiuto dal Municipio estense. 
Altra rocca del territorio estense é quella di Valbona, eretta per fronteggiare i Vicen- 
tini, ristaurata dai Carraresi, dei quali porta ancora lo scudo scolpito in pietra sulla 
porta principale. 

Cenno storico. — Che Este sia una delle terre più anticamente abitate non solo 
della Venezia, ma della bassa valle del Po, non vi può essere dubbio. É anzi accer- 
tato che Este era la capitale di tutta la veneta regione (1). Una breve corsa all'in- 
signe Museo basta per darci le prove che quivi si viveva intensamente la vita delle 
prime società umane nella più remota antichità, al cospetto della quale le età greca 



(1) Cfr. G. GiiiRARDiNi, / Veneti ptnma della storia. Padova 1901. 



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yO Parto Prima - Alta Italia 



e romana appaiono recentissime e a noi vicine ed affini. Sembra pure indubbio che 
il suo nome antico Aiheste^ trovato e lasciato dai Romani quando giunsero , dopo 
tanti altri occupatori, ad impadronirsi di questa regione, derivi dal gran fiume 
veneto T Adige (Athes o Athesis), che in quelle epoche remote scorreva assai più 
a monte che non ora, lambendo le falde meridionali dei colli Euganei, sul quale 
quel centro era sorto. La deviazione dell'Adige, a circa 15 chilometri a mezzodì 
da £ste, ove ora si trova, la si ritiene cagionata dalla inondazione avvenuta nel* 
Tanno 589 e della quale è rimasta memoria, tanto fu grave, spaventosa. Ciò senza 
scordare che il territorio atestino, anche prima di quella metamorfosi alluvionale, era 
disseminato di paludi e laghi, su cui erano impiantati i villaggi palafittici, dei quali 
si vanno dissotterrando e portando al Museo i cimelii e di cui rimane un'ultima traccia 
nel laghetto e nella stazione litica di Arquà. 

Gli storici e scrittori romani che ricordano Ateste, sono Marziale, Plinio, Tacito e 
Vltinerario Antoniniano. Essa era considerata fra le più antiche e cospicue città dei 
Veneti, con Padova, Verona, Aitino, Adria, Oderzo, Aquileja. 

La conquista romana raggiunse Ateste, come la maggior parte del Veneto, tra il 
222 ed il 218 av. Cr. e l'aggregò alla Gallia Cisalpina. Sotto Augusto fu creata colonia 
militare, a guardia della grande via Emilia-Altinate. I numerosi monumenti che si 
conservano nel Museo sono documento parlante della grandezza ed importanza di 
Este nel periodo romano e nell'imperiale particolarmente. 

Le invasioni unniche e gotiche non risparmiarono Este ed il suo territorio, por- 
tando e l'una e l'altro a tale depressione che per dei secoli, in quell'era tristissima, 
se ne perde la traccia. 

Este non rifiorisce coi Longobardi, che la fanno dipendente dagli Sculdasci di Mon- 
selice, ufficiali del duca del Friuli, il dominatore di questa regione. Coi Franchi rimane 
nella circoscrizione del contado feudale di Monselice. Ma verso il 1000 le sorti d'Este 
migliorano. Una famiglia di nobili guerrieri ebbe questo territorio in dominio. 

Nella prima metà del secolo X un discendente di questa famiglia, non è ben certo 
se venuta dalla Germania o dalla Toscana, che già s'era imparentata con altri cospicui 
signori della penisola, venne a stabilire la sua dimora in Este e cominciò a rafforzarvisi, 
costruendovi nella parte alta un castello. La dominazione degli Estensi non fu, in rap- 
porto ai tempi, delle peggiori. Anche facendo la tara ai cronisti e panegiristi del tempo, 
che ebbero a parlarne colle lodi più alte, è certo che non fu vessatrice per le popola- 
zioni e migliore di tante altre grosse signorìe feudali che dominavano nelle campagne 
italiane e che si apprestavano a far l'ali per spiccare il volo a più larghi e rapaci 
destini. Coi loro marchesi gli Estensi ebbero statuti, libertà e privilegi, e, sulla fine 
del secolo XI, il loro modo di reggersi non differiva di molto da quello delle grandi 
città, ove già andavano sviluppandosi le forme del reggimento comunale. E se fra i 
Comuni popolari delle città e le signorie feudali del contado non vi poteva essere 
buon sangue, gli uni invidiando o temendo degli altri, in Este invece e il Principe 
e il Comune agivano sempre di pieno accordo, come lo dimostrano molti documenti. 
Per ragioni di confini e di acque Padovani ed Estensi furono presto in lotta. Nel 1201 
i Padovani, più forti, s'impossessarono d'Este e vi imposero obblighi e tributi verso 
la loro città. Dopo che Ezzelino IV si fu reso, ma per poco, padrone d'Este, Padova, 
volendo allargare il dominio, assaltò Este e la prese; ma nell'anno seguente Azze VII, 
venuto con molte forze dal Ferrarese, ove già gli Estensi cominciavano ad allargare 
il dominio, gliela ritolse. Daccapo Ezzelino a guerreggiare contro Este ed imposses- 
sarsene, ma per poco ancora che il valoroso principe Azze VII d'Este la ricuperava 
ed a lui era riserbato di fiaccare per sempre l'alterigia dell'inumanissimo tiranno, che 
sui campi lombardi perdeva i domìnii e la vita. Sulla fine del secolo XIII gli Estensi, 
essendosi definitivamente stabiliti in Ferrara, lontani da signori ambiziosi e potenti 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Este 441 



quali erano gli Scaligeri e da Ticini ambiziosi e turbolenti quali erano i Padovani, 
Este col suo territorio diventò cosa del Comune di Padova, che ne riconobbe peraltro 
i privilegi e gli statuti. 

Le ambiziose mire di dominio di Gan Grande della Scala, portando le armi contro 
Padova, si ripercossero anche in Este, che, nel 1317, fu espugnata e saccheggiata dallo 
Scaligero ; ripresa poi dai Carraresi a nome di Padova ; poi contrastata ancora dagli 
Scaligeri e dai Visconti; finché i Carraresi, consolidatisi nel loro dominio a Padova, 
la lasciarono quietare. Il dominio dei Carraresi fu benefico per Este. Essi vi lascia- 
rono statuti larghi, liberali; vi riedificarono il castello, rovinato nelle precedenti 
guerre dì Ezzelino, degli Scaligeri, del Comune e dei Visconti; vi cominciarono la siste- 
mazione delle acque, con grande vantaggio per la salute e la prosperità del terri- 
torio. Nel 1405, caduta la signoria dei Carraresi, Este, per dedizione spontanea, si 
diede alla Repubblica di Venezia, la quale — com'era suo costume — non solo rispettò 
gli statuti vigenti ad Este, ma in compenso della spontanea dedizione volle accrescerne 
i privilegi e le facoltà e la dichiarò indipendente da qualunque città dello Stato che 
non fosse Venezia. Da ciò contrasti e invasioni frequenti da parte di Padova, ma 
interveniva sempre il veneto Senato sanzionando, con nuovi decreti, la indipendenza 
di Este. U Governo veneto mandò ad Este un podestà, il quale, nel 1588, ebbe anche 
il titolo e le prerogative di capitano. Questi era scelto sempre fra il miglior patri- 
ziato di Venezia, come scelti sempre fra i nobili estensi erano i quarantotto membri 
del Consiglio cittadino che sopraintendeva agli affari del Comune. 

Salvo il periodo delle guerre per la Lega di Cambrai, sul principio del secolo XVI, 
durante il quale Este ritornava per poco agli antichi suoi principi d'Este, il dominio 
di Venezia su Este rappresenta quasi quattro secoli di pace prosperosa, conturbata 
dalla pestilenza del 1630, che in meno di due mesi fece ad Este più di 2000 vittime. 
In questo periodo, nel quale Pagro estense, nella parte bassa specialmente, fu boni- 
ficato colla sistemazione dell'alveo delPAdige e degli altri corsi minori, prese grande 
sviluppo r agricoltura, donde un diflfuso benessere in tutta la popolazione. Sorsero 
allora nel maggior numero le istituzioni di beneficenza, delle quali anche oggi Este 
si vanta; e fu dato impulso anche alPistruzione pubblica, contribuendovi due Accademie 
letterarie: Puna degli Eccitati, sorta nel 1550, e Taltra degli Inesperti, che fecero fra 
di loro grandi battaglie in prosa ed in rima. 

Dalla caduta della Repubblica di Venezia in poi Este seguì sempre le sorti del 
Veneto e nessun fatto avvenne in essa che assurgesse a valore di fatto storico. Durante 
il Regno Italico fu sede di una vice-prefettura nel dipartimento dèi Brenta (Padova). 
Nel 18S9, con rescritto imperiale, venne accordato ad Este il titolo di città. 

Uomini UlustrL — Numerosa è la schiera dei cittadini d'Este, che per il loro 
ingegno, la loro vita, le loro opere si resero illustri e benemeriti della patria comune, 
alla cui grandezza portarono il loro contributo. Ricordiamo per brevità fra i più 
famosi: Antonio Zanchi, pittore, seguace del Tintoretto e dei Canicci, lavorò moltis- 
simo in patria, a Venezia, a Padova, a Bergamo, a Loreto, a Milano ed altrove (1639- 
1725). — Biagio Schiavo, letterato, umanista celebre, insegnò a Padova ed a Venezia 
e sostenne memorabili dispute letterarie (m. 1750). — Isidoro Alessi (1713-99), storico 
ed archeologo insigne, autore della pregevole opera Ricerche istorieo-criticke delle anti* 
chità (PEste, lodata dal Furlanetto, dal Mommsen, ed indispensabile a guanti vogliono 
approfondire la importante materia. — Antonio Corradini, vissuto sulla fine del 
secolo XVII, valente scultore, che lavorò in patria, a Venezia, a Dresda e a Napoli; 
ricostrusse, per ordine del Governo veneto, Tultimo Bucintoro che abbia servito alle 
feste della Repubblica. — Giuseppe Fineo-Farinelli, musicista ed anche musico celebrò 
(1769-1829), studiò nel Conservatorio di Napoli, scrisse opere teatrali in gran numero, 
sinfonie, cantate, messe ed. altri pezzi per cUese, quartetti, in cui lasciò prove di grande 

95 — Vm Patria» voi. I, parte 2<i 



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44S Parte Prima — Alta Italia 



vena melodica, di fantasia e gusto raffinato ; lo si volle imitatore di Cimarosa, ma fu 
piuttosto uno di quei maestri che formarono l'anello di congiunzione tra Tarte ancora 
incipriata di Paisiello e di Cimarosa e quella potente ed umana di Rossini. — Gae- 
tano Nuvolate (1818-67), storiografo accuratissimo d'Este; completò, col sussidio delle 
nuove scoperte, Topera delFÀlessi; fu anche, come fervido patriota, perseguitato ed 
incarcerato dalPAustria. 

Degli altri Estensi illustri, dei quali vive ancora la memoria, ricorderemo solo 
Geronimo Atestino, storico e poeta laureato; Isaia Lonigo, canonico lateranense; 
Michele Lonigo, vice-bibliotecario di papa Paolo V; Giambattista Maganza, pittore 
operosissimo, discepolo di Tiziano superò lo stesso maestro; Bianca Aurora da Este, 
poetessa, ricordata dall'Ariosto al principio del canto xx dell'Orando/ Gaspare Lonigo, 
giureconsulto e letterato, consultore della Repubblica; Giambattista Ferrari, profes- 
sore di lettere, oratore, poeta, prefetto accademico agli Studi; Giovanni Maria Zec- 
chinelli, medico valentissimo ed autore di opere pregiate nella sua scienza. In questi 
ultimi anni si immortalarono Francesco Panella, letterato, vescovo di Concordia; Vin- 
cenzo Scarpa, oratore, vescovo di Belluno e Feltro; Nicolò Scarabello, poeta e storico; 
Domenico Roverini, poeta; Giacomo Pietrogrande, letterato ed archeologo val^tis- 
simo, e Pietro Balan, sotto-archivista della Santa Sede, storico insigne che ha lasciato 
gran numero di opere, e fra tutte va celebrata la sua Storia cT Italia^ in otto vqlumi, 
che recentemente ebbe l'onore di una ristampa. 

Coli, elelt. Este — Dioc. Padova — P*, T. e Str. ferr. 

Baone (3233 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende per ridentissima 
regione, alle falde meridionali delle colline euganee, al nord-est di Este, da cui dista 
3 chilometri. — Baone, centro principale del Comune (15 metri sul mare), è un discreto 
paese sparso di circa 1200 abitanti, in pittoresca posizione, fra collinette e poggi, da cui 
si ha un magnifico panorama della regione euganea e della sottostante pianura, bagnata 
dall'Adige. Sonvi edifizi moderni e di bell'aspetto, e notevolissima è la chiesa par- 
rocchiale dedicata a San Lorenzo, con buoni dipinti di scuola veneta del secolo XVI, 
cioè del miglior momento. 

Frazioni interessanti di Baone sono: Calaone, ove trovansi sorgenti d'acque minerali 
(salso-sodiche a 58"^) ed ove, al dire di Marziale, abitava la poetessa Sabina d'Ateste; — 
Valle San Giorgio, paese rìdentissimo per la lussureggiante vegetazione che lo circonda^, 
abitato pure nel periodo romano, del quale qui si rinvenne il monumento sepolcrale che 
Mario Petronio Primulo, seviro Augustale^ vivente eresse a sé, alla moglie Petronia ed 
ai liberti e liberto sue: ora nel Museo d'Este; — Gemmola, luogo pur esso amenissimo. 
designato dagli scrittori come la gemma dei colli Euganei, celebre per l'antichissimo 
monastero di San GiovanniBattista, esistente già nel secolo XI, minante nel secolo XIII, 
in cui fu rifabbricato a spese di Beatrice d'Este, figlia di Azzo VI e d'Eleonora Sabaurla, 
che vi si ritrasse a vita monacale, morendovi nel 1266 ip fama di santità ed ivi sepolta, 
indi traslata con grande pompa nel 1578, per decreto del vescovo di Padova Federico 
Cornare, nella chiesa di Santa Sofia, ove fu venerata come beata. 

Il territorio di Baone, fertilissimo, dà cereaU, viti, gelsi, frutta di ogni specie, tra 
cui soprattutto noci e pesche, olive ed ortaglie. Vi si alleva bestiame da stalla e da 
cortile ed impprtante evvi la produzione dei bozzoli. Nel Comune havvi anche qna 
cava di trachito i^er costruzione, e le ricordate acque termali, alle quali è annesso uno 
stabilimento di bagni di proprietà comunale. 

Cenno storico. — Dell'antichità remota di questo paese non si può aver dubbio: 
i documenti si veggono nel Museo Nazionale Atestino. Le lapidi di Baone attestano 
che era luogo considerevole. Quivi si rinvennero sepolcreti romani interessanti, fra 
cui quello di Tito Attilio, atestino, milite nella legione XVIII; si rinvennero pure 



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Mandamento e Ck^mnni del Distretto di Este 443 

avanzi di frammenti di costruzioni, di pavimenti in musaico, frammenti di scolture e 
statue in bronzo, monete, lampade, vasi fittili, ecc. 

Nel medioevo Baone — il cui nome vuoisi derivato da Bacco, che certo fu questo 
luogo ricco di vigneti e di uve squisite, tra cui la celebre marsemine ebbe culto fer- 
vido — era munito di un grandioso castello, con tre giri di mura e torri, sul colle 
che domina l'attuale paese. Dipendeva dalla Curia vescovile di Padova, che lo infeudò 
ad Azzo I marchese d'Este, il quale, alla sua volta, nel 1077, ne investì Ugo da Baone, 
della famiglia patrizia dei Maltraversi di Padova. Un Alberto di Baone, nel 1192, col- 
tivò per il primo il monte, piantandovi viti fatte venire dalla Schiavonia, specie di 
vite ancor oggi diffusa nella regione euganea. Di questa famiglia fu quella Cecilia da 
Baone, bellissima fanciulla, figlia a Manfredo di Baone — ultima di questa potente 
famiglia della marca trìvigiana — vissuta sullo scorcio del secolo XII, che fu oggetto 
di avventure romanzesche e di guerre tra Gherardo di Campo San Piero, che n'aveva 
chiesto ed ottenuto la mano di sposa dal tutore Spinabello, ed Ezzelino il Balbo, 
padre di Ezzelino il Monaco, che la volle per il proprio figlio, riuscendo ad indurre 
Spinabello, per danaro, a mancare alla promessa fatta al Campo San Piero. Questi, per 
vendicarsi delFoltraggìo, tese un agguato e rapì la bella fanciulla mentre recavasi a 
Bassano ad incontrarvi lo sposo, trattenendola alcun tempo presso di sé; poi la mandò 
ad Ezzelino, che la ripudiò. Da ciò guerre e trambusti in tutta la regione per oltre 
sessantanni, con eccidio e danno di chi meno ne aveva colpa. La bella e contrastata 
Cecilia rifugiossi a Venezia, ove, prosciolta dal pontefice dai precedenti vincoli, si con- 
solò sposando Pietro Ziani, ambasciatore veneto presso i Padovani. Su questa Cecilia 
sorsero leggende e ballate, e nella caldura della letteratura romantica della metà del 
secolo XIX, il vicentino Zorzi v'intrecciò sopra un romanzo, nel quale non mancano 
pagine sentimentali ed episodi ad effetto dei costumi medioevali. 

Altra donna celebre di Baone è Daria, che osò opporsi ai voleri di Ezzelmo il 
Tiranno, dando sepoltura pietosa alla salma del nipote Gherardo di Campo San Piero, 
decapitato in Padova per ordine di Ezzelino IV, il quale aveva anche disposto che il 
corpo del giustiziato fosse dato in pasto alla muda dei suoi cani. 

Rolandino, il minuzioso cronista delle cose patavine in quel triste periodo, narra 
che il castello di Baone fu distrutto nel 1242 da Ezzelino, il quale, oltre delle mura, 
devastò tutto il territorio circostante, strappando gli alberi dalle radici, mettendo a 
ferro e fuoco ogni cosa. 

CoU. elett. Egle — Dìoc. Padova — P*, T. e Str. ferr. ad Esle. 

Barbona (1431 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nelP estremità 
meridionale del distretto e mandamento, sulla riva sinistra dell'Adige, che fa da con- 
fine alle due Provincie di Padova e di Rovigo. È Comune essenzialmente rurale, del 
quale Barbona, frazione centro (6 m. sul mare e chilometri 16 da Este), è un paesetto 
di circa 300 abitanti, di aspetto moderno, ove vedesi ancora un bel palazzo del 
secolo XVII, che fu villa della famiglia patrìzia veneziana dei Morosini. 

Prodotti del suolo, irriguo, ben coltivato, fertilissimo: cereali, foraggi dati da vaste 
praterie, fhitta, viti, gelsi, ortaglie. L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile 
e la produzione dei bozzoli sono le industrie fiorenti del luogo, che, fuori delPagri- 
coltura, non ha altre fonti d'attività, se se ne tolgono i vari molini, mossi dalle rapide 
acque dell'Adige. 

Coli, elett. Este — Dioc. Padova — P* a Sant'Urbano, T. e Str. ferr. a StangheUa. 

Carceri (1952 ab.). — H territorio di questo Comune si trova al sud-ovest d'Este, 
a ponente del canale Brancaglia. È Comune essenzialmente rurale. Nella frazione 
principale (10 m. sul mare e chilometri 4 da Este) sorgeva un tempo la magnifica 
abbazia di Santa Maria delle Carceri, fondata nel 1097 da Azzo Alberto II d'Este, 



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444 I^arte Prima — Alta lUlia 



tenuta dapprima dagli Agostiniani, indi dai Camaldolesi, ai quali si debbono utili inizia- 
tive di bonifiche nel circostante territorio. Godette di larghi privilegi e benefizi, con* 
cessi dai marchesi d'Este, dai signori di Baone, dai vescovi di Padova. Fu soppressa 
con decreto di papa Alessandro Vin nel 1690 e passò, con tutti i suoi beni, in propiietà 
della famiglia veneta patrizia dei Carminati. Attualmente dell'antica abbazia si conser- 
vano una parte della chiesa, un lato del chiostrino con porticato a bellissime colonne 
binate, un pozzo in marmo nero, lavori del secolo XV, una sala delPantica biblioteca, 
con affreschi pregevoli. Nella chiesa havvi un bel dipinto di Luca da Reggio, discepolo 
di Guido Reni. Il palazzo dell'abate fu trasformato e ridotto a casa di villeggiatura. 
Il territorio di Carceri, irriguo, ben coltivato e fertilissimo, dà cereali, foraggi, viti, 
gelsi, frutta, ortaglie. L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile e la produzione 
dei bozzoli sono le sole industrie del luogo. 

Ck>ll. elett. Este ~ Dice. Padova — P*, T. e Str. ferr. ad Este. 

Cinto Euganeo (2516 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte 
collinosa del distretto, al nord di Este. È Comune rurale, costituito di varie frazioni 
parrocchie, cioè Cinto, Comoleda, Faedo, Fontanafredda, Valnogaredo. — Cinto, 
capoluogo del Comune (15 m. sul mare e chilometri 6 da Este), è un bel paesetto di 
circa 500 abitanti, in amenissima posizione, a pie del monte Cinto (283 m.) con edifizi 
moderni, circondato da belle case di villeggiatura. Nella frazione di Valnogaredo sorge 
la magnifica villa che fu dei Contarini (eretta sul principio del secolo XVII), attual- 
mente dei Rorà, nella quale villeggiava il patrizio Domenico Contarini, quando, nel 
1658, venne eletto alla suprema dignità del dogado. Gli recarono la fausta notizia 
dodici membri del Gran Consiglio, il capo dei X, il gran cancelliere della Repubblica, 
con numeroso seguito. Una lapide sulla porta d'ingresso del palazzo ricorda il fatto. 

Il territorio di Cinto è fertilissimo: dà cereali, foraggi, viti, gelsi, frutta, ortaglie. 
Vi si alleva molto bestiame ed importante vi è la produzione dei bozzoli. 

Cenno storico, — Vuoisi che questo luogo tragga il suo nome da un tempio a 
Diana o Cinzia, che quivi sarebbe esistito nel periodo romano. Certo che in quel 
tempo fu luogo molto abitato o frequentato, dato il gran numero di oggetti e memorie 
romane che nei suoi paraggi si dissotterrarono e che ora figurano fra i pezzi più 
importanti del Museo Atestino, cioè: il cippo terminale di Fontanafredda, su cui leg- 
gesi essere < il diritto di passaggio per quella via riservato al solo Critonte, figlio di 
Quinto, ed a nessun altro >; la pietra di confine tra Padovani ed Atestini; Tara votiva 
al dio Silvano, innalzata dalFatestino Tito Calvenzio ; nonché una quantità di suppel- 
lettili sepolcrali dell'età della pietra e del periodo veneto-romano, come vasi cinerari 
in creta ed in vetro, lampade, orciuoli, balsamari, monete, fibule, ecc. Hawi pure 
Pavanzo d'un acquedotto romano nella località detta Buso della Casaro, che s'addentra 
nel fianco meridionale del monte Venda. 

Nel medioevo Cinto ebbe qualifica di Corte, e dominava l'odierno paese, dalla vetta 
del colle soprastante, un castello, già esistente nel secolo XI, ma del quale non riman* 
gono che informi ruderi, assaltato e distrutto come fu più volte nelle guerre tra gli 
Ezzelini e gli Estensi: riedificato dal Comune di Padova e dato in custòdia alle genti 
di Cinto, Valle, Rusta e Calaone; smantellato definitivamente nel 1313, durante le 
guerre tra gli Scaligeri ed il Comune di Padova, dal condottiero tedesco Guamerio di 
Ottemburgo, che ne passò a fil di spada gli abitanti. Anche durante la guerra per la 
lega di Cambrai, sul principio del secolo XVI, Cinto fu saccheggiato e danneggiato 
ad opera degli Imperiali, or guidati dal Trissino, or dal vescovo di Gurk, Matteo Lang. 
Ck)ll. elett. Este — Dioc Padova — ?*, T. e Str. ferr. ad Este. 

Lezzo Atestino (3268 ab.). — Il territorio di questo popoloso Comune si stende 
parte in piano e parte in collina, alquanto a nord-ovest di Este e sulla sinistra del 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Este 445 

Bisatto. Consta di varie frazioni, delle quali la principale è Lezzo (19 m. sul mare e 
chilometri 7 da Este), bel paese di oltre 1300 abitanti, in posizione ridente e solatìa, 
a pie del monte omonimo (327 m.), con edifizi moderni e nei dintorni belle villeggia- 
ture. Notevole n'è la chiesa arcipretale dedicata ai Ss. Leonzio e Carpoforo, fiancheg- 
giata da un bellissimo campanile e ricostruita negli ultimi anni pressoché a nuovo in 
più vaste proporzioni, coi disegni delllng. Riccoboni d'Este: vi si mostra una buona 
tela coi santi titolari, attribuita al Lazzarini. Altra frazione importante del Comune 
è quella di Valbona, al piede occidentale di monte Lezzo, ove sorge la bella rocca di 
cui fu fatto cenno più sopra. 

il territorio, assai fertile, dà cereali, viti, gelsi, foraggi, frutta, ortaglie. Vi si alleva 
molto bestiame ed importante vi è la produzione dei bozzoli. Vi sono pure in luogo 
cave di buona pietra da costruzione. 

Cenno storico. — È luogo antichissimo. Lungo le falde meridionali del monte di 
Lezzo si osservano le tracce di abitazioni preeuganee e nel suo territorio — mentre 
mancano quasi affatto le memorie del periodo romano — si trovarono numerosi avanzi 
dell'età preistorica: vasi fittili, selci lavorate, ossa, ecc., che ora figurano nel Museo 
Atestino. 

Ottone II, imperatore, sul declinare del secolo X, infeudò Lozzo alla famiglia Mal- 
traverso di Padova. Nel 1239 Ezzelino da Romano, che mai quietava né dava quiete, 
assaltò il castello dei conti di Lozzo e, presolo, ne fece scempio. Scomparso il tiranno, 
i Lozzo rifecero il castello. Nel 1312, Nicolò de Lozzo, cospirando per ambizione contro 
la patria, diede il castello di Lozzo allo Scaligero, in guerra con Padova ; questi", vedendo 
poi di non poterlo difender contro i Padovani corsi alla riscossa, lo incendiò. Jacopo 
Carrara, primo signore di Padova, fece imprigionare e spegnere con tutti i suoi Nicolò 
de Lozzo, che, al dire di Albertino Mussato, fu uomo di mirabile eloquenza, di vasto 
ingegno, ma rovinato dalla smodata ambizione. 

CoU. elelt Este — Dioc. Padova — P", T. e Sir. ferr. ad Este. 

Ospedaletto Euganeo (38i2 ab.). — Il territorio di questo cospicuo Comune si 
stende nella parte occidentale del distretto, verso il confine di questo col distretto 
di Montagnana. — È Comune esclusivamente rurale, costituito da varie frazioni, delle 
quali Ospedaletto (12 m. sul mare e chilometri 3 da Este), la principale e titolare del 
Comune, é un bel paese di moderno aspetto, non privo di edifizi notevoli. Altra fra- 
zione del Comune, per i riguardi storici ed artistici assai importante, é quella di Santa 
Maria del Tresto. Quivi sorge il santuario del Tresto, notissimo per tutto il territorio 
circostante e delle finitime Provincie per le solenni funzioni che ogni anno, con altre 
feste pubbliche e fiere, vi si celebrano, in memoria di una pretesa appaiizione della 
Vergine, avvenuta nella seconda metà del secolo XV a certo Giovanni Zilo de Ponsò. 
n tempio, con gran fervore, fu cominciato nel 1468, in istile lombardo, e la facciata, 
sebbene deturpata da posteriori manomissioni, serba ancora in gran parte le buone 
linee dì quello stile. Annesso al santuario sorge un piccolo cenobio, nel quale furono 
chiamati gli Eremitani di S. Giovanni da Fiesole, che lo tennero fino all'epoca della 
sua soppressione, al tempo delle guerre dì Candia e di Morea. La Repubblica di Venezia, 
in bisogno di danaro, vendette santuario e cenobio a Gregorio Barbarigo, vescovo di 
Padova, il quale lo ampliò e ne formò una specie di seminario per la gioventù del 
territorio estense. Questo istituto durò fino al 1775, anno in cui fu soppresso dal vescovo 
Cornare. Nel santuario del Tresto si ammirano buone pitture, attribuite a Jacopo da 
Montagnana. 

Il territorio di Ospedaletto é fertilissimo : dà cereali, viti, gelsi, foraggi e frutta. 
L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile é T industria maggiore del luogo. 
Coli, elelt. Este — Dioc. Padova — ?', T. e Str. ferr. 



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446 Parte Prima - Alte Itelli 



Piacenza d'Adige (2620 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella bassa 
pianura, all'angolo sud-ovest del distretto, che forma la sponda sinistra dell' Adige: 
pianura piuttosto malinconica ed umida, ma assai ubertosa. ~ Piacenza d'Adige (10 m. 
sul mare e chilometri 16 da Este), nella quale si raggruppa pressoché l'intiera popo- 
lazione del Comune, è una grossa borgata di oltre 2000 abitanti, di aspetto moderno, 
con edifizi di buona architettura, ma nella quale nulla havyi che meriti speciale rilievo. 

Prodotti del suolo, bene irrigato e fertilissimo, cereali e foraggi su vasta scala, 
canapa, lino, gelsi e viti. L'allevamento del bestiame bovino è industria fiorente del 
luogo, che all' infuori della produzione agricola non ha altre fonti di attività. 
GoU. elett. Este — Dioc. Padova ^ P*, T. e Str. ferr. a Badìa Polesine. 

Ponsò (2087 ab.). — Si stende questo Comune in bassa pianura a sud-ovest da 
Este, sul confine del distretto con quello di Montagnana. È anche questo Comune 
essenzialmente rurale e frazionato, di cui Ponsò, capoluogo (10 m. sul mare e chilo- 
metri 6 da Este), con circa 1300 abitanti, è una borgata di aspetto moderno e pro- 
speroso, ma che nulla offre di notevole in linea d'arte e di storia. 

Prodotti del suolo, fertilissimo, cereali, foraggi, viti, gelsi, fhitta. L'allevamento del 
bestiame e la produzione dei bozzoli sono le sole industrie che, attinenti all'agricoltura, 
fioriscono in luogo. 

Coli, elett. Eite — Dioc. Padova — P*, T. e Str. ferr. a Ospedaletto. 

SantTlena (1500 ab.). — Questo Comune si trova nella parte sud-est del distretto, 
presso il confine di questo col distretto di Monselice ed è attraversato dalla linea fer- 
roviaria Bologna-Padova- Venezia. È Comune esclusivamente rurale. — Sant' Elena, 
capoluogo del Comune (8 m. sul mare e chilometri 6 da Este), è un modesto paese di 
circa400 abitanti, nel quale non mancano edifizi d'aspetto moderno e di buona costruzione. 

Il territorio, piuttosto alto, discretamente fertile e bene lavorato, produce soprat- 
tutto cereali, sviluppa molto bene la vite e si presta con buona rimunerazione alla bar- 
babietola, la cui coltura va estendendosi continuamente. Havvi in luogo uno stabilimento 
per la fabbricazione dei laterizi con fornaci a fuoco continuo sistema Hoffmann. 
Coli, elett. Este — Dioc. Padova — P«, T. e Str. ferr. 

Sant'Urbano (34S4 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte 
meridionale del distretto, lungo la riva sinistra dell'Adige, in pianura bassa ed umida. 
— E Comune esclusivamente rurale, di cui il capoluogo, Sant'Urbano (8 m. sul mare 
e chilometri 12 da Este), è un paese non privo di edifizi moderni, ma nel quale nulla 
havvi di notevole artisticamente o d'interessante per la storia. 

Prodotti del suolo, fertilissimo, bene irrigato e coltivato razionalmente: cereali e 

foraggi dati da estese praterie artificiali, viti, gelsi, frutta, legumi, ortaglie. Importante 

è l'allevamento del bestiame da stalla e da cortile, del quale si fa attivo commercio 

nei settimanali mercati del luogo. Havvi uh gran numero di molini mossi dall'Adige. 

Coli, elett. Montagoana — Dioc. Padova — P* locale. T. e Str. ferr. a Lendinara. 

Yescovana (3782 ab.). — Questo che è uno dei più importanti Comuni del distretto, 
si stende alla estremità sud-est di questo, al confine col distretto di Monselice e con 
la provincia di Rovigo. È attraversato da numerose acque, fra cui la più importante 
è il Gorzone. Il Comune è esclusivamente rurale, e Vescovana è anzi uno dei centri 
agricoli maggiori della provincia. ~ La borgata capoluogo, Vescovana (8 m. sul mare 
e chilometri 13 da Este), è un grosso e bel paese di oltre 1500 abitanti, con vie larghe, 
ben tenute, fiancheggiate da edifizi di buona costruzione, in gran parte moderni Vasta 
e di bell'aspetto è la piazza di Vescovana, sulla quale campeggiano il palazzo della 
famiglia Pisani, che fu feudataria del luogo, e la chiesa parrocchiale eretta nel 1583 
a spese della famiglia stessa, edifizio grandioso di eccellenti linee architettoniche, nelle 



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Mandaménto e Comnni del Distretto di Este 447 



quali è però evidente la tendenza decadente al barocco del tempo. Fra i dipinti vi si 
ammira una prej^evole decollazione di San Giovanni Battista del Camoletto. 

Il territorio di Vescovana, riccamente irrigato e coltivato con cura, produce cereali 
e foraggi in grande quantità, indi gelsi, viti, canapa, fi*utta e ortaglie. L'allevamento 
del bestiame è Tindùstria massima del luogo, fonte di profìcuo commercio. 

Cenno storico. — Di questo luogo non si hanno memorie né del periodo preistorico, 
né dell'epoca romana. E si comprende, per trovarsi in quei tempi questo territorio com- 
pletamente abbandonato alle paludi formate dair-Adige dilagante ad o^ì periodo di 
pioggie. Se ne hanno le prime notizie intorno al secoloX allorché faceva parte della Corte 
Eleusina, comprendendo le terre di Solesino, Sant'Elena, Stanghella, Granze, Boara, 
Barbona, Lusia, vasto territorio che Guniza, figlia di Guelfo II conte di Altorf, si portò 
in dote allorché venne sposa ad Azzo Alberto II, marchese d'Este. Diventato loro 
possesso, gli Estensi vi eressero una rocca ben difesa da torri e da fossati che nella 
Serissima lotta combattutasi tra Ezzelino IV ed il marchese Azzo Vili d'Este, con> 
dottiero della crociata guelfa contro il tiranno patavino, rimase distrutta; e nessuno 
pensò più a riedificarla. Passato il dominio padovano nel 1405 in soggezione di Venezia, 
Vescovana restò feudo di un ramo cadetto della famiglia estense^ sotto Talta sovranità 
di Venezia. L'ultimo dfi questo ramo, Bertoldo d'Este, capitano delle armi venete, 
essendo morto senza eredi, la Repubblica incamerò il feudo, che poi vendette con tutti i 
diritti e benefizi, goduti nel 146S, alpatrizio Ermolao Pisani. I Pisani, più che signori, 
furono per Vescovana dei benefattori; ne bonificarono con canali e spurghi il terri- 
torio, attivandovi utili coltivazioni, riedificarono la chiesa parrocchiale, costruirono la 
loro splendida villa e stabilirono un mercato settimanale. 

In loro nome il paese era governato da un vicario, che, colle leggi e sotto Taltò 
patrocinio della Repubblica di Venezia, amministrava la giustizia. La famiglia Pisani 
si é estinta nel secolo XIX col conte Almoro III Pisani, il quale, per sé e per il proprio 
padre Almoro II, Francesco Pisani, ultima ambasciatore della Repubblica veneta alla 
Corte di Spagna, fece nella stessa sua villa costruire un tempietto' o sacello in ìstile 
gotico elegantissimo, su disegno di Pietro Selvatico, èfseguitò dallo scultore Gradenigo. 
Coli, eletf . Montagnana -r Dioc. Padova — P* locale, T. e Slr. ferr. a Stanghella. ' 

Vighizzolo d'Este (1451 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende in bassa 
pianura al sud<»ovest di Este, sulla sponda destra del Frassino. — lì capoluogo, Vighiz- 
zolo (11 m. sul mare e chilometri 6 da Este), è un discreto paese di oltre 900 abitanti, 
di aspetto modeimo. Notevole la chiesa parrocchiale dedicata al Battista: ha antichis- 
sima origine, avendosene memoria in un documento del 1077. Fu ricostruita sul disegno 
attuale, di buon barocco, nel 1757. Vi si mostrano buone pitture di Sebastiano Laz- 
zari. Del castello, che ancora esisteva alla fine del secolo XV, rimangono poche vestigia 
negli edifizi della piazza che sono di fronte alla chiesa parrocchiale. 

Prodotti del suolo, bene irrigato ed ubertosissimo: cereali, foraggi dati da estése 
praterie artificiali, viti, gelsi, frutta, legumi, ortaglie. L'allevamento del bestiame è 
quivi industria fiorente. 

Cenno storico. — Vighizzolo è luogo antichissimo, e legato alla storia del territorio 
atestino nel periodo romano. II dottissimo Filiasi ne scrìve : < Poche miglia sotto Mon- 
tagnana trovasi Vighizzolo, dove moltissime lapidi romane, in vari tempi, vennero 
dissotterrate. Pare che molte famiglie atestine vi avessero i loro fondi, perché memorie 
di augustali, di se viri, di legionari e liberti contengono quei marmi >. Fra i monumenti 
sepolcrali rinvenuti nel territorio di Vighizzolo, ora conservati nel Museo nazionale di 
Este, va ricordato quello che Lucio Vedio eresse a sé ed alla moglie Sàtria Seconda. 
Nel tempo di mezzo, durante la dominazione longobarda, Vighizzolo era ascrìtto aHa 
sculdascia d'Este. In quel tempo, nel territorio di Vighizzolo oravi un lago del quale 



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-«.fT^T? 



44S Parte Prima — Alta Italia 



parlano documenti delPepoca per diritti e gabelle di pesca. Le successive bonifiche 
compiute dagli Estensi, dai Padovani, dai Veneziani, hanno fatto scomparire quel lago 
palude, del quale non si rinvengono più tracce che in alcuni terreni bassi ed acqui- 
trinosi. Gli Estensi vi eressero il già ricordato castello, che subì tra il secolo XII ed 
il XIV tutte le più disastrose vicende delle guerre cogli Ezzelini, del Comune, degli 
Scaligeri. Colla dominazione veneta giunse anche per Vighizzolo, nel 1405, un'epoca di 
pace riparatrice. 

Coli. «leti. MonttgDtna ^ Dice. Pado?a — P*, T. • Str. ferr. ad Està. 

Villa Estense (2503 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella fertile 
pianura sotto Este, alquanto a sud-est da questa città. È Comune essenzialmente rurale, 
ed alquanto frazionato. — Il capoluogo, Villa Estense (10 m. sul mare e chilometri 6 
a sud da Este), già detto Villa di Villa, è un paese di oltre 1000 abitanti, con note- 
voli edifizi, tra cui la chiesa parrocchiale, nelPantico campanile della quale sono murati 
frammenti di scolture del periodo romano. Nei dintorni di Villa Estense sonovi belle 
villeggiature, ed alla frazione di Mottarelle è celebre la villa, con sontuoso palazzo» 
dei Di Rovero. 

Il territorio, bene irrigato, ubertosissimo, dà cereali, foraggi, viti, gelsi, frutta». 
L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile e la produzione dei bozzoli sono le 
industrie massime del luogo. 

Coli, elett. Montai^Qana — Dice. Padova — P*, T. • Str. ferr. a SanfEIena. 

Vò (3326 ab.). — Si stende questo Comune nella estrema parte settentrionale del 
distretto, in piano e sul versante occidentale delle colline Euganee, al confine della pro- 
vincia di Padova con quella di Vicenza. £ Comune esclusivamente rurale, costituito da 
piccole frazioni e parrocchie, delle quali Vò è capoluogo (12 m. sul mare e chilometri 13 
da Este) che nulla offrono — alPinfuori del pittoresco e rìdente paesaggio — di interes- 
sante per Tarte e la storia. 

Prodotti del suolo, fertilissimo e ben coltivato: cereali, viti, gelsi, frutta, foraggi. 
Vi si alleva bestiame da stalla e da cortile; vi sono cave di pietre e vi si tengono 
mercati settimanali. 

Coli, elett. Este — Dioc. Padova — P' e T. locali, Str. ferr. ad Este. 



VI. — Distretto e Mandamento di MONSELIGE 

n distretto amministrativo di Monselice, comprendente nella sua circoscrizione 
anche l'omonimo mandamento giudiziario, occupa parte deirestremità sud della pro- 
vincia di Padova. Ha forma irregolare quadrilatera allungata da nord a sud e confina : 
a nord, col distretto di Padova; ad est, ancora con Padova e con quello di Conselve; 
a sud, è diviso dall'Adige dalla provincia di Rovigo; ad ovest, confina col distretto di 
Este. Esso si stende in regione in parte collinosa, ma per la maggior parte piana, 
coprendo una superficie di 200 chilometri quadrati, e restando cosi, sotto questo rap- 
porto, il quartultimo della provincia. 

Nella parte superiore è attraversato dal canale della Battaglia, derivato dal Bac- 
chiglione sotto Padova; nella parte inferiore o meridionale è attraversato dal Gorzone, 
senza dire dei canali minori che, a scopo di bonifica ed irrigazione, solcano in vario senso 
questo territorio. Molte e belle strade percorrono in vario senso il territorio di Mon- 
selice, ma fra tutte porta il vanto la strada provinciale detta la Pisana — dalla famiglia 
patrizia Pisani, proprietaria in origine dei fondi di essa e dei possedimenti che da un 
lato e dall'altro la fiancheggiano — fra Monselice e Rovigo. Fu costruita durante il 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Monselicc 



449 



Regno Italico ed ultimata nel 1812, più che per benefizio della popolazione, per comodo 
degli eserciti che più sollecitamente per essa potevano portarsi sulla linea di opera- 
zione dell'Adige, allora considerata della massima importanza. Comunque, è una delle 
più belle, larghe e ben costruite del Veneto, e tra Monselice e Stanghella si presenta 
con un magnifico rettifilo di 11 chilometri e mezzo. 

Il territorio di Monselice è pure attraversato dalla linea ferroviaria Bologna-Padova- 
Venezia e da quella Mantova-Legnago-Monselice. Questo distretto è plaga essenzial- 
mente agricola. 

Il distretto amministrativo e mandamento giudiziario di Monselice è costituito da 
dieci Comuni, con una popolazione, secondo il censimento del 10 febbraio 1901 di 
36.848 abitanti (184 per chilometro quadrato), cioè: Monselice, Arquà Petrarca, Bat- 
taglia, Boara Pisani, Galzignano, Pemumia, Pozzonovo, San Pietro Viminario, Solesino, 
Stanghella. Questi Comuni sono sotto la giurisdizione del Tri- 
bunale civile e penale di Este. 




Monselice (11.509 ab.). — Il territorio di questo Comune, 
capoluogo del distretto e del mandamento, si trova quasi al 
centro di esso. Esso consta di varie frazioni e della piccola città 
di Monselice, con 3559 abitanti, che n'è la frazione centrale o 
capoluogo. — Monselice (quasi chilometri 20 a sud-ovest da 
Padova) sorge parte in piano (9 m. sul mare), parte al ridosso 
di un piccolo colle che le sta a tergo (152 m.), sul quale sorge 
ancora per lunghi tratti la cinta dell'antica fortezza, turrita e 
merlata, che un tempo comprendeva tutto il fortissimo luogo. Nella parte addossata 
al monte è rinchiusa dalle mura che ancora rimangono in piedi. Monselice ha vie 
piuttosto strette, tortuose; mentre nella parte più moderna, che verso il piano sconfina 
dalPautica cerchia, ha vie e piazze regolari e di bellissimo aspetto. 



La Fortezza. — Il monumento civile più impor- 
tante di Monselice è la cinta delle sue mura antiche, 
fortezza, o quanto, per essere pili esatti, delPantica 
fortezza rimane. Anticamente, prìma delia maggiore 
devastazione subita da Monselice per opera delle truppe 
imperiali di Massimiliano d'Austria, sul principio del 
secolo XVI, la fortificazione era stesa intorno alla col- 
lina detta della Rocca, appunto perchè sulla parte più 
alta le mura si annodavano ad angolo in una rocca 
turrita. Dalla parte di nordest, essendo la collina roc- 
ciosa, scoscesa ed in qualche tratto anche tagliata 
pressoché a picco, non v*era difesa di sorta, bastando 
le naturali accidenta^lità del luogo. 

Alle falde più dolci della collina ed al piede di essa, 
Tabitato del borgo era difeso da un'alta muraglia mer- 
lata, attraversata da sei porte, alle quali più tardi fu 
aggiunta quella detta di Carpenedo. Il muro era raf- 
forzato da torri per il presidio e le scolte. Di queste, 
la torre di porta Monti fìi atterrata quando si aprì la 
strada di comunicazione tra la città e la stazione fer- 
roviaria; la porta di Arquà fu adomata dell'orologio e 
della campana del Comune; la porta di Vallesella era 
fiancheggiata da due torri pentagone, delle quali una 
è anco.ra ritta. 

Appiedi delle mura di ponente correva il canale Bi- 
gatto, il quale alimentava gli altri fossati che circon- 
davano la fortezza. La cinta, dal lato del piano, finiva 



alle porte di Padova e di San Martino, da cui poi ri- 
saliva il colle a scaglioni congiungendosi alla sommità. 
Dal centro del piazzale della rocca si elevava la grossa 
torre castellana, costruita con grossi blocchi di tra- 
chite, ben lavorati e commessi con grande cura, si da 
formarne un masso unico, sfidatore dei tempi. La torre 
è a doppio fusto e vi si sale per una scala a lastroni 
di pietra, taluno dei quali in marmo di Verona ed altri 
in pietra d'Istria, avanzi certo di più antiche e ricche 
costruzioni. 

Un doppio ridotto (come appare anche dal corroso 
graffito del secolo XVI, rappresentante la Fortezza di 
Monselice al tempo dell'assedio di Massimiliano 
d'Austria, che si vede nell'interno d'una casa in con- 
trada San Martino) rendeva più forte la rocca. Pari- 
mente, speciali opere di fortificazione proteggevano il 
vecchio Duomo, il cui piazzale era recinto da un muro 
a doppia cortina. Di queste fortificazioni rimase, fino 
a pochi anni or sono, un vecchio torrione detto della 
Regina, miracolo pel lungo tempo di statica, perché 
si reggeva solo per un lato ed un angolo, essendo il ri- 
manente stato asportato senza riguardo, operandosi 
scavi e demolizioni nella muraglia; fu demolito poi nel 
1894 per decreto prefettizio, a scanso di pubbliche 
disgrazie. 

La meriatura che coronava le mura e le torri della 
fortezza di Monselice è alla ghibellina, solo in qualche 



96 - 



ftiri», voi. I, parte 2*. 



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450 



Parte Prima ^ Alla Ilaha 



parte vedonsi tracce di merli alla gnnlfn. Sulla torre 
castellana si veggono incise queste lettere romane 
DONI, delle quali si diedero molte spiegazioni, ma 
nessuna veramente persuasiva. 

La < Gà Marcello >. — Dopo le mura, Tedifizio 
in Monselice più rimarchevole e, sotto l'aspetto arti- 
stico ed archeologico anche più interessante, è senza 
dubbio la Cà Marcello (ora Giroldi), dalla nobile fa- 
miglia veneziana che per vari secoli ne fu proprietaria. 
Sorge a mezza costa del monte. L'edifizio è anteriore 
al dominio veneto in Monselice, forse del principio del 
secolo XIII e rimodernato poscia del XIV e nei suc- 
cessivi . Fu dimora dei Carraresi quando venivano in 
Monselice, e fra le cose più notevoli che presenta — 
oltre la sua architettura, che è buon saggio delle abi- 
tazioni signorili nel Veneto tra il secolo XIII ed il XV 
— è il colossale camino che vedesi in una delle mag- 
giori stanze, fatto costrurre da un Carrara da artefici 
venuti da Ruma. Consta di una gran torre semielittica 
che da terra va fino al sofiìtto, con fascio ad archetti 



pd altri dipinti e rrolìlrmi guerreschi ed araldici ed a 
nodi d'amore. Questu camino è un rarissimo saggio del 
genere (fìg. 132). 

Il Municipio. — Ha sede sulla piazza Vittorio 
Emanuele II, il maggior centro della piccola città, ia 
un severo ed appropriato edifizio, davanti al quale, 
sopra un piedestallo in pietra scolpita, sorge Tantenoa 
pilo portastendardo, tanto usato nelle città del Ve- 
neto durante il dominio della Repubblica. Su tre fascie 
del piedestallo del pilo vennero incise le seguenti epi- 
grafi, dettate dal Leoni e riassumenti le vicende della 
dttiì : !• Monselice - Surta romana - Ampia di 
ricche terre - 1857 decretata città. — 2* Rocca di 
libertà - Sei Iwttri a' Longobardi inaccessa - Accolse 
Padova sgominata dalli Ungheri - Fu campo d'ire 
fraterne - Covile a tirannide - Con sangue repubblù 
cano - Spense Ezzelino. — 3* Guelfa, Scaligera, 
Viscontea - Baluardo Carrarese - Seggio a veneti 
podestà - Da Massimiliano oppressa ^^ da doppio 
straniero giogo - In fede concorde riàrse - i866. 



Nella stessa piazza Vittorio Emanuele II sorge la vetusta Torre comunale, sotto 
la quale sta una bella loggia in marmo, air uso veneto, nella quale fu collocato il 
busto del re Vittorio Emanuele IL Nella stessa piazza spicca per Tartistica leggiadria 
della sua loggia del Rinascimento, quasi di prospetto al palazzo del Comune, il palazzo 
del Monte di pietà. Altri edilizi pubblici di Monselice, meritevoli di ricordo, sono 
il liuovo e grandioso palazzo delle Scuole; Tedifìzio sede dei pubblici uffici distret- 
tuali; il nuovo Mercato del pesce; l'Ospedale civile; e, nel' suo genere, anche il ponte 
girevole sul Bìsatto, per la nuova strada di comunicazione colla stazione ferroviaria. 

Edifizi sacri. — Non mancano in Monselice edifizi sacri di speciale importanza, 
e fra questi notiamo: 



. Il Duomo. — Nei bassi tempi il Duomo o chiesa 
matrice di Monselice sorgeva nella parte alta del colle, 
presso la rocca, ricinto di un doppio giro di mura. 
Rovinata quella vecchia chiesa, gli attributi e le pre- 
rogative di chiesa madre vennero trasferiti nelPabbazia 
di Santa Giustina. Questo tempio sorge in bella situa- 
zione, a mezza costa del colle, e vi si accede per una 
comoda via a rampa, che è fra le più larghe e belle 
della città. Fu eretta nel secolo XIII ed ha tutta Pim- 
pronta (ebbene alquanto deteriorata dai successivi 
ristauri)deirarchitettura gotico-lombarda, o neo-lom- 
barda di quel tempo. I ristauratoh tolsero dalle fi- 
nestre le caratteristiche arcate a sesto acuto che ori- 
ginariamente vi dovevano essere aperte, dando allo 
edifizio un aspetto uniforme, monotono, freddo. Pezzo 
caratteristico è il portichetto o nartece, davanti alla 
porta maggiore, ad archi acuti su svelte colonnine in 
marmo, le quali, come altri pezzi di questo porti- 
chetto, appartenevano evidentemente ad im più antico 
edifizio. 

Llntemo è ad una sola navata, deturpata dalla raf- 
fazzonatura e dalla decorazione barocca, che le si volle 
infliggere. Vi sono dipinti di Palma il Vecchio, del 
Piazzetta e d'altri buoni maestri dell'arte veneta ; note- 
vole Tàntica ancona a sette scompartimenti dell'altare 
di Santa Giustina, nello stile gotico puro del secolo XIV. 



La chiesa è officiata da un collegio di canonici, alla 
cui testa è un arciprete, abate mitrato. Possedeva un 
ricchissimo archivio, che venne messo a soqquadro ed 
esportato nel periodo napoleonico. Quanto si potè ri- 
cuperare fu dato al Comune di Padova ed ora fa prte 
dell'Archi vio storico, annesso al Museo di quella città. 

Nella sagrestia si conserva una copiosa collezione di 
vasi sacri di gran pregio, per i saggi di antica orefi- 
ceria che rappresentano ; nonché antifonari e me$.^ali 
in pergamena, ricchi di mfhiature del miglior tempo. 
Di buonissimo disegno è il campanile. 

San Paolo. — È, dopo il Duomo, la chiesa più 
importante di Monselice : è parrocchiale ed ha giijris- 
dizione nella parte inferiore della piccola città. È di 
mediocre disegno, e nel luogo ove sorge vuoisi esi- 
stesse, nel periodo di Roma, un tempio a Giove. Presso 
alla chiesa si mostra ancora una gran tavola di marmo 
rosso di Verona, sulla quale è tradizione s'immolassero 
le vittime nei sacrifizi. 

Questa chiesa è antica, costrutta in parte con fram- 
menti di altri edifizi, ma sovente rislaurata e male 
raffazzonata poi, secondo il gusto barocco, nel se- 
colo XVIII. 

Sette Chiese. — Questo singolare santuario si 
trova sul colle della Rocca e fa parte di un complesso 
di costruzioni che costituivano l'antica villa delia 



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Mandamento è C!omnni del Distretto di Monselice 



451 



famiglia veneziana Duodo (ora Balbo-Valier). Pietro 
Duodo, ambasciatore della Repubblica presso la Corte 
pontifìcia, sul principio del secolo XVII, avendo molto 
contribuito a rendere cordiali le relazioni della Re- 
pubblica colla Santa Sede, assai tese per le quistioni 
di diritto insorte al tempo di Paolo Sarpi, si ebbe in 
dono dal papa molte reliquie di santi e di martiri tolte 
dalle chiese e dalle catacombe di Roma. Portò tutto 
ciò in patria, ed a Monselice, ove possedeva questo 
terreno, pensò di erigere un ^ntuario per raccogliervi 
le reliquie avute dal pontefice, che ricordasse in 
qualche modo le sette basiliche della città etema. Il 
disegno fu ideato dallo Scamozzi, ma Tesecuzione fu 
assai liberamente affidata alTrìvelli. La villa-santuario 



consta di larghi terrazzi sorretti da vòlte poderose, 
incavate nel monte, gradinate, balaustre, fontane, obe- 
lischi, alberi maestosi formano un insieme curioso e 
pittoresco ad un tempo. Ad ogni ripiano o rampa si 
trovano le cappelle, tutte in istile classico, nelle quali 
sono custodite le varie preziose reliquie. Gli altari 
portano buoni dipinti di Palma il Giovane, del Lotti, 
e la cappella maggiore, dedicata a San Giorgio, ha 
Taltare sotto un'arcata, rivestito di prezioso musaico 
alla veneziana, colla balaustra in marmi preziosi e 
pietre dure, di eccellente fattura. 

DalPalto della villa-santuario, nella quale è pregevole 
il palazzo Duodo, in buon disegno del Rinascimento, si 
ha un magnifico panorama sulla sottostante pianura. 



Case private e villeggiature. — In Monselice sono poi notevoli, per la loro anti- 
chità, per la loro architettura, o per le memorie che vi si collegano, varie case di 
privati, tra cui ricordiamo : la casa Malipiero, ove veniva a ripararsi dalle fatiche e 
dalle privazioni dei suoi viaggi Giambattista Bolzoni, il celebre viaggiatore ed egittologo 
patavino. Una lapide, con parole dettate dal Leoni, ricorda che il Bolzoni Aperte Le 
piramidi di Cefronide — Trasportato il busto colossale di Meninone — Lustrata Tebe 

— Rinvenuta la città di Berenice Qui riparava. — Altre case antiche quelle 

Merlin, con buoni affreschi del secolo XVII; la casa Bertana, di stile gotico, del 
secolo XIV; la casa Grizzi, o di Man di ferro. 

Nei dintorni di Monselice sonvi pure bellissime villeggiature; ricordiamo quella 
di Balbo-Valier e Nani-Mocenigo, col maestoso viale d'ingresso in salita, con statue, gra- 
dinate, balaustre nel più perfetto barocco del secolo XVIII; le ville Venier ed altre 
di minor conto. 

Beneficenza. — Fin dal 1190 Monselice possedeva un Ospedale per i pellegrini, 
lebbrosi e malati, detto Casa di Dio ; attualmente ha un Ospedale civile, ben dotato 
e rispondente ai bisogni del luogo ed alle esigenze della scienza curante; un Monte 
di pietà, istituito nel secolo XVI; una Casa di ricovero; una Congregazione di carità. 
Fondazioni varie a scopi benefici sono gli altri istituti coi quali, in Monselice, si esplica 
l'assistenza benefica verso i derelitti e gli avversati dalla sorte. 

Industrie. — La principale industria in Monselice è T escavazione e lavorazione 
della trachite, roccia durissima che si toglie da cave aperte sul colle, là dove una 
volta sorgevano la Rocca ed il Duomo vecchio. È ottimo materiale da costruzione ed 
eccellente per la pavimentazione delle strade e piazze. La piazza di San Marco in 
Venezia fu per due volte, nel secolo XIX, lastricata colla pietra di Monselice. Lavo- 
rano in questa industria, giornalmente, oltre 300 operai. A Monselice si fabbricano 
quelle sottilissime catenelle d'oro {manine) alla spagnupla, molto in uso ai tempi 
della Repubblica veneta; vi lavorano generalmente donne, in numero di circa 200. 
Havvi inoltre uno stabilimento per la trattura della seta, nel quale trovano lavoro 
180 operaie f fabbriche di paste alimentari, di liquori, laboratorii per il rame, per il 
ferro, molini, due piccole tipografie ed una piccola fabbrica di busti da donna. 

Il territorio di Monselice è fertilissimo ed oltre cereali e foraggi in grande quan- 
tità, che consentono un importante allevamento del bestiame da stalla e da cortile, 
produce gelsi, frutta, viti, ortaglie, di cui si fa un attivissimo commercio d'esportazione<» 

Cenno storico. ^ È fra i luoghi più anticamente abitati della regione veneta. Nel 
suo territorio si trovarono memorie dell'età preistorica ed importantissime quelle dell'era 
romana. Il nome {Mons sUicis) venne al luogo dalla pietra durissima che si scava dal 
suo colle. Di sovente, scavando e rovistando nei terreni di Monselice, vennero in luce 
vasi, lapidi, tombe, urne cinerarie, monete. Uno dei più importanti pezzi del Museo 



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452 I^arte Prima — Alta Italia 



Fig. 132. — Monselice : Camino nella i Cà Marcello i , ora Giroldi (da folografìa). 

civico di Padova, la tomba della famiglia Volumnia, venne scavato a Monselice. Plinio 
e Marziale celebrano questo luogo, il quale conserva ancora, in taluna delle sue vie, 
nomi romani (via Velta, via delle Tombe). 

La conformazione particolare del suo colle fece di Monselice un luogo di naturale 
difesa nel medioevo contro le incursioni unniche e gotiche, o barbariche in genere. 
Quivi rifugiaronsi, a scampo di quei flagelli, Padovani ed Atestini; ed anche nel 
secolo IX, quando gli Ungheri fecero scempio della loro città, i Padovani trovarono 
salvezza in Monselice. 

Fedele agli esarchi di Ravenna, i Longobardi, prima di rendersi padroni di Mon- 
selice, dovettero tentare più volte l'impresa e non vi riescirono che dopo trentanni 
del loro stanziamento in Italia. Quivi stabilirono una Sculdasda del ducato militare 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Monselice 453 



di Cividale del Friuli. Cario Magno ne fa sede di un contado; ma, dopo il 1000, col 
crescere della fortuna di Padova e di Este, il luogo perde della sua importanza nella 
regione, di cui rimane pur sempre uno dei maggiori centri fortificati e governato con 
statuti e leggi proprie, come risulta da un diploma di Ottone n al doge di Venezia, 
Tribuno Memmo, pubblicato dal Muratori. 

Nel 1013 Monselice è infeudato ai marchesi d*Este, sotto i quali rimase fino al 1140, 
nel quale anno ritornò in dominio dell' imperatore. 

Dopo le guerre della Lega, Monselice appare retta a libero Comune, eleggendosi 
i proprii consoli e podestà; ma, dopo la pace di Costanza, passò alla dipendenza del 
Comune di Padova. Ma nelle guerre tra gli Ezzelini — che rappresentavano Tautorità 
imperiale — e Padova, Monselice perdette ogni autonomia e diventò feudo imperiale; 
a nome dell'imperatore fu occupato da Ezzelino, che ne tenne la signoria insieme alle 
altre terre del Padovano. Nel 1239, Federico II di Svevia risiedette alcun tempo in 
Monselice e vi fece costruire nuove opere di fortificazioni, in seguito alj^ quali il 
vecchio Duomo, già rovinato, fu demolito e la pieve trasportata nell'abbazia di Santa 
Giustina, alla quale tale dignità è rimasta fino ai giorni nostri. 

La tirannide di Ezzelino stancò gli uomini di Monselice. Una congiura fu ordita 
per sottrarre quella terra al tiranno e corsero intelligenze coi nemici ch'egli si andava 
facendo in tutta Italia. Ma, avutone sentore, Ezzelino ne fece imprigionare i capi, e 
Monti ed Avaldo da Monselice perdettero la vita sul palco infame. Bandita la crociata 
contro il tiranno e cacciato questo da Padova, Monselice fu rivendicato dal marchese 
d'Este, capo dei crociati; ma per breve tempo, poiché, nel 1260, od in quel tomo, lo 
stesso marchese lo cedette per danaro a Padova. 

Durante le successive guerre fra Padova, lo Scaligero e Venezia, Monselice ha grande 
parte come piazza nel giuoco politico-militare di quelle vicende. Lo Scaligero, nel 1317, 
riesce ad ottenerlo a tradimento ; lo difende con grande energia contro le forze unite 
dei Carraresi e del conte di Gorizia. Né quando i Carraresi, col l'aiuto di Venezia, ripre- 
sero la signoria di Padova poterono, colla forza, togliere agli Scaligeri il fortissimo 
luogo. Solo un anno dopo, mediante trattative e danaro, Ubertino Carrara potè ria- 
verlo e legarlo al dominio dei suoi. I Carraresi vennero ed abitarono sovente a Mon- 
selice, in quell'antico edifizio ch'é detto Cà Marcello, ove in varie opere d'ampliamento 
ed abbellimento lasciarono tracce del loro passaggio. Francesco I Carrara vi mandò 
a morire prigioniero Jacopino Carrara, suo socio nella signoria, che per gelosia di 
donne aveva tentato di farlo assassinare. Col precipitare della fortuna dei Carraresi, 
in guerra col Visconti, con Venezia e con altri, Monselice ebbe a subire altre non lievi 
vicende; finché, nel 1388, non fu preso da Gian Galeazzo Visconti, il quale, a nome 
dell'imperatore, di cui era vicario, lo infeudò per danaro al marchese d'Este. Ma Fran- 
cesco Novello Carrara lo riprese; e con tutto il dominio carrarese, nel 1405, Monselice 
passò in potere della Repubblica di Venezia, che lo tenne per quattro secoli, quasi inin- 
terrotti. Nel periodo delle guerre per la lega di Cambrai fu assediato e bombardato 
dalle artiglierie degli Imperiali, che incendiarono il borgo, distruggendovi quanto di 
meglio si trovava. Dopo quella bufera Monselice perdette ogni importanza e diventò, 
sotto il governo tutelare di Venezia, pacifico ed industre luogo d'agricoltori e di artefici. 

Uomini illustri. — Non pochi sono i cittadini di Monselice che per le opere del 
loro ingegno e per civili virtù si resero famosi e benemeriti della patria comune. 
Ricordiamo fra i principali : Simeone Paltonieri, canonico di Santa Faustina in Padova, 
oratore facondo, negoziatore abilissimo in cose politiche ed anche condottiero di truppe: 
visse nel secolo XIII ; — Jacopo da Monselice, buon pittore del secolo XIV; — Pietro 
Carrerio, medico, latinista, filosofo, professore nell'Università di Genova; — Alberto 
Santini, diplomatico, creato conte palatino del Reno; — Antonio Ferrari, capitano delle 
armi venete, creato governatore militare durante la guerra di Candia e Morea, morto 



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454 Parte PHma — Alta Italia 



nel 1700; — Girolamo Ferrari, letterato distinto del secolo X VIE ; — Giovanni Bm- 
nacci, teologo, oratore, storiografo, autore della Sioria ecclesiastica della diocesi di 
Padova e di altre numerose pubblicazioni. Visse nel secolo XVIIL 
Coli. «leti. Esle — Dioc. Padova — P", T. e Str. ferr. 

Arquà Petrarca (1573 ab.)* — Il territorio di questo Comune si stende alquanto 
a nord-ovest dal capoluogo del distretto, sulle pendici sud-est dei colli Euganei, in 
posizione quant'altra mai pittoresca. — Il paese capoluogo del Comune (80 m. sul mare 
e chilometri 5 da Monselice), ba più di 500 abitanti ed è fra i più belli e caratteri- 
stici della regione, in mezzo, si può dire, di una conca di lussureggiante vegetazione. 
Ha edilizi moderni ed un'antica chiesa parrocchiale, l^a il monumento che attira ad 
Arquà visitatori da ogni parte del mondo è la casa ove ^isse gli ultimi suoi anni, medi- 
tando e studiando, e mori nel 1374, Francesco Petrarca. Questa casa fu fatta costruire 
dallo stesso Petrarca, che in Padova, alla Corte di Ubertino Carrara e dei suoi suc- 
cessori, aveva trovato onori ed emolumenti. Si mostra ancora la stanza preferita del 
poeta, da. cui si gode un'incantevole vista sul paesaggio circostante. Nella stanza si 
mostrano la vecchia sedia a bracciuoli, la gatta imbalsamata ed altri piccoli oggetti 
che appartennero al cantore di Laura. Davanti alla chiesa parrocchiale, su uno zoc^ 
colo formato da massi di trachite e sorretto da quattro colonnette, basse e tozze, è 
la grande arca marmorea nella quale riposano le ossa del poeta. Fu innalzata da Fran- 
cesco da Brossano, suo genero. Il piccolo busto in bronzo che vi è sulla fronte fn 
collocato, nel 1567, a spese di Pietro Paolo Valderano, padovano. Carlo Leoni, che per 
ragioni di ristauro fece aprire, nel 1843, Tarca, chiusa da un pesantissimo coperchio, 
constatò che lo scheletro del poeta era pressoché intatto: mancava il braccio e la 
scapola destra, asportati nel 1630, epoca nella quale quel sepolcro venne, non si sa 
da. chi, vandalicamente manomesso* 

In Àrquà, ove non mancano gli edifizi antichi, si mostra, presso la parrocchiale, 
nn'altra antica casa, nella quale, secondo la leggenda, il Petrarca avrebbe combinato 
il matrimonio di Maria, figlia di Nicolò Carrara, con Pietro Contarini, patrizio vene- 
ziano. Altre case in Arquà hanno apparenza antica e mostrano buoni ornamenti in 
terracotta dei secoli XIV e XV. Appartennero a nobili famiglie di Padova e di Venezia, 
che, attratte dalla bellezza e dalla rinomanza del luogo, vennero ad abitarvi. 

Non molto lungi da Arquà si trova il piccolo lago più sopra indicato. Ha una 
superficie di quasi 3 ettari. Presso il lago è la sorgente delle Acque Baineriane 
(cosiddette perchè usate dal viceré Raineri d'Austria nel 1837, che ne provò la cura), 
solforose ed alla temperatura costante di 19^*. Si usano per bevanda. 

Il territorio di Arquà é singolarmente fertile. Dà cereali, ma soprattutto viti, gelsi, 
frutta, olivi, ortaglie, dei cui prodotti si fa largo commercio d'esportazione. 

Cenno storico. — Arquà é uno dei luoghi più anticamente abitati della regione 
euganea. Nel suo territorio venne trovata gran parte della suppellettile preistorica, 
dell'età litica e palafittica, che ora è tesoro del Museo Nazionale Atestino. Nel periodo 
romano dovette essere centro di ben maggiore importanza di quello che ora non sia, 
se si tien conto del grandissimo numero di oggetti, lapidi, frammenti, medaglie, vasi, 
monete, ruderi di quel periodo dissotterrati negli ultimi tempi e di quelli che anda- 
rono perduti e dispersi nel medioevo, o che vennero impiegati come materiale nelle 
costruzioni dell'attuale paese. Anche nel medioevo Arquà fu ritenuto luogo di impor- 
tanza. Un documento dell'anno 985 assicura che il borgo era governato da un magistrato 
dipendente da Padova. Possedeva un castello, che nel 1322 fu assaltato e distrutto da 
Corrado di Vigenza, capitano dello Scaligero. Indi passò, con tutto il dominio padovano, 
sotto la Repubblica di Venezia, che vi creò una vicaria militare. 

GolL eleit. Este — Dioc. Padova -* P' locale, T. e Str. ferr. a Monselice. 



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Mandamento é Comuni del Distretto di Monsclice 455 



Battaglia (4456 ab.). — Quésto Comune si stende nella parte nord del distretto, 
lungo la bella strada provinciale da Padova a Monselice, fiancheggiata dal canale detto 
della Battaglia, derivato dal Bacchigliene, sotto le mura di Padova. — Il capoluogo 
del Comune (11 m. sul mare e chilometri 6 a nord-est da Monselice) è una grossa e bella 
borgata d'oltre 1500 abitanti, divisa in due dal canale suddetto, suUe cui rive, assai 
pittorescamente, si stendono le fabbriche del paese. Tre ponti congiungono Tuna 
all'altra parte del paese. Il canale di Battaglia venne scavato nel 1 189 dai Padovani 
a scarico delle eccessive acque del Bacchigliene, minacciante sempre la loro città; e 
subito, traendo alimento dalla sua forza, vi si stabilirono molini, gualchiere ed altri 
opifici, tra cui una cartiera, che è fra le prime delle quali si abbia notizia in questa 
industria nel secolo XIV. I diritti su questo canale spettano alla famiglia De Wimpfen, 
che ne fece concessione temporanea ad una Società industriale per la produzione 
dell'energia elettrica, da applicarsi a scopi industriali. 

La celebrità di Battaglia è data soprattutto, fin dai tempi più antichi, dalle copiose 
sorgenti termali che pullulano alla base di una collina detta di SanV Elena, od anche 
Monte della Stufa. Le^orgenti di San t' Elena sono le più importanti della regione 
euganea: ve ne sono di salso-jodiche per bagni e saline per bagni e bevanda; la Joro tem- 
peratura varia dai 71<> ai 66*». Le acque di Battaglia erano usate anche nel medioevo e ne 
parlano documenti del secolo XI e del XII. Furono visitate da principi ed imperatori : da 
Federico II, dai Carrara, dai Carmagnola e da altri uomini celebri. Nel 1600, venuto il 
luogo di Sant'Elena proprietà dei marchesi Selvatico-Estense, uno di questi, Benedetto, 
che fu anche celebre medico, vi fece erigere il magnifico palazzo in istile palladiano che 
ora vi si vede, con terrazze, gradinate, giardini e magnifiche sale. E più sotto costrusse 
il grandioso Stabilimento balneario conducendovi le acque dalla collina, con non lieve 
dispendio. Tutto ciò, nel secolo scorso, passò in proprietà dei conti Wimpfen, i quali, 
negli ultimi tempi, con nuovi lavori, colPampliamento della famosa grotta o stufa per 
bagni a vapore, all'uso romano, collo scavo di un pozzo artesiano e coli' introduzione 
di apparati per cure speciali, fecero dello Stabilimento di Battaglia-Sant'Elena una 
stazione terapeutico-termale di prim'ordine. 

Il Catajo. — A un chilometro da Battaglia, sulla via di Padova, al ridosso di un con- 
trafforte dei colli Euganei, sorge questo singolare ed iifimenso castello, fatto erigere 
nel secolo XVI da un marchese Pio Enea della famiglia degli Obizzi, attenendosi, ]ìer 
quanto è possibile, ai disegni ed alle descrizioni che del Catajo — residenza della 
Corte cinese ai suoi tempi — lasciò Marco Polo. Ha perciò aspetto singolare, disforme 
dallo stile comune nel tempo in cui vi fu costruito e consta di un imponente corpo 
di fabbrica con grandiosi cortili, porticati, gradinate e di un magnifico parco cintato 
per l'allevamento dei daini e dei cervi. Le sale vennero dipifite dal Toletti, vero-» 
nese; e nella cappella gotica havvi un quadro di Paolo Veronese. In questo castello, 
ove havvi un salone di 100 metri di lunghezza, si conservano preziose collezioni di 
armi e di antichità di ogni genere. Il marchese Tommaso degli Obizzi, ultimo della 
famiglia, lasciò, morendo, questa e tutte le altre sue proprietà agli Estensi di Modena, 
dei quali si teneva congiunto. Attualmente è proprietà di un arciduca d'Austria, che 
ne trasportò il buono ed il meglio a Vienna, tra cui il famoso medagliere di 14.600 pezzi, 
illustrato dal celebre numismatico modenese don Celestino Cavedoni. 

Frazione importante del Comune di Battaglia è San Pietro di Montagnone, luogo 
eminentemente pittoresco, al quale si collega l'antica e popolare leggenda della Berta 
che filava (vedi pag. 409). 

Il territorio, fertilissimo ed accuratamente lavorato, produce in copia cereali, viti, 
gelsi, foraggi e frutta d'ogni specie. Battaglia è Comune industre: vi sono fabbriche 
di stoviglie, officine meccaniche, cave e lavorazione di pietre, molini, fabbriche di 
paste alimentari, ecc. 



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456 P^rte Prima — Alta Italu 



Cenno storico. — Questo luogo, già noto nel medioevo per le sue acque, venne, 
nel 1327, saccheggiato orribilmente da una banda di soldati di ventura tedeschi al 
soldo degli Scaligeri', e, nel 1513, durante le guerre della lega di Cambrai, fu inutil- 
mente assediato dal Gardena, condottiero degli Ispano-TedeschL 

CoU. eleit. Abano Bagni — Dioc Padova — ?*, T. e Str. ferr. 

Boara Pisani (S372 ab.)- — II territorio di questo Comune si stende sul lembo 
estremo meridionale del distretto, sulla riva sinistra dell'Adige che è attraversato in 
questo Comune da due ponti: l'uno in legno, per la strada provinciale Padova-Rovigo; 
l'altro in ferro, per la ferrovia Bologna-Padova-Venezia. — Boara Pisani, capoluogo 
del Comune (7 m. sul mare e chilometri 16 da Monselice), è una grossa borgata di 
oltre 1500 abitanti, con edifizi in gran parte moderni ed una chiesa parrocchiale, della 
quale è specialmente notevole il buon disegno di prospetto. Di pregevole stile è pure 
un fabbricato sostenuto da venti colonne, un tempo residenza estiva dei patrìzi veneti 
conti Pisani, poscia destinato a fattoria. 

Il territorio, fertilissimo e copiosamente irrigato, dà cereali, foraggi, gelsi e frutta. 
Importante è quivi l'allevamento del bestiame. Numerosi molini sull'Adige. 

Ck>lì. elett. Este — Dioc Padova — P' e T. locali, Str. ferr. a StangbeUa e Rovif^. 

Galzignano (2932 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nell'estremo 
nord-ovest del distretto, alle falde orientali dei colli Euganei, di fronte a Battaglia, in 
posizione amenissima. — Il capoluogo del Comune (16 m. sul mare e chilometri 9 da 
Monselice), è un grosso borgo di circa 1700 abitanti, di bellissimo aspetto ed è centro 
alle più belle escursioni che si possano fare nella regione euganea. Nelle sue vici- 
nanze è il monte Rua (416 m.), sul quale torreggia la chiesa con cenobio dei Camal- 
dolesi. La chiesa è bella e vasta ed i frati. Trappisti, vivono separati in casette, 
ognuna delle quali conta due stanze. Dal Rua è breve l'escursione al Venda, il più 
alto degli Euganei (603 m.), dal quale si gode un magnifico panorama, che dalle Alpi 
dolomitiche del Trentino e del Cadore va alla linea apenninica del Modenese. Sul Venda 
è una larga spianata, sulla quale si veggono gli avanzi di un'antica chiesa. 

Frazione di Galzignano è Valsanzibrio, in cui trovasi la sontuosa villa Dona Dalle 
Rose, abbellita da un magnifico giardino di oltre 6 ettari e meta ad escursioni estive 
ed autunnali. 

Prodotti del suolo, fertilissimo: cereali, fhitta, viti, dei quali si fa attivo com- 
mercio. Nel territorio di Galzignano si rinvengono facilmente conchiglie ed altri fossili 
marini, prova del fondo marino, nelle epoche antiche, costituito da questa regione. 

Cenno storico. — Di questo luogo si hanno memorie in documenti dei bassi tempi 
Era munito di due castelli e, prima del secolo XIV, fu feudo della famiglia Delas- 
manini di Padova. I suoi castelli furono assaltati e distrutti nelle guerre che funestarono 
la fine del secolo XIV e seguì sempre le sorti di Padova, da cui dipese. 
Coli, elelt. Este — Dioc. Padova — P», T. e Str. ferr. a Battaglia. 

Pernumia (2919 ab.). — Il territorio di questo Comune si trova nella parte cen- 
trale del distretto, a nord -est di Monselice. — Il capoluogo, Pernumia (9 m. sul mare 
e chilometri 3 da Monselice), è una grossa e bella borgata, di carattere affatto moderno, 
sull'antica Via Armia, che da Ateste per Conselve conduceva al territorio Fociense ed 
al mare. Vi si nota una bella chiesa parrocchiale e nel centro del paese la ricca villa 
della famiglia Maldura, e la grandiosa chiesa parrocchiale dedicata a Santa Giustina. 

Il territorio, fertilissimo, ben irrigato e coltivato con cura, tutto in piano, dà cereali, 
foraggi, viti, gelsi, frutta. Vi si alleva bestiame da stalla e da cortile ed importante 
è la produzione dei bozzoli. 

Coli, elett. Este — Dioc. Padoya — P' locale, T. e Str. ferr. a Monselice. 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Montagnana 457 



PozzonoYO (2769 ab.). — Si stende questo Comune nella pianura, a sud-est da 
Monselìce. È Comune essenzialmente rurale ed il capoluogo, Pozzonovo (6 m. sul mare 
e chilometri 6 da Monselice) è una grossa borgata di carattere affatto moderno, nella 
quale nulla havvi di speciale interesse. 

U territorio, fertilissimo e bene irrigato, dà cereali, foraggi, viti — dalle quali si 
hanno uve squisite — frutta, ortaglie. L^allevamento del bestiame da stalla e da cortile 
è r industria unica del luogo. 

Cenno storico. — Questo Comune fii possesso di Monselice, venduto da Venezia 
per fare le spese della guerra di Candia. 

Coli, elett. Este — Dioc. Padova — P', T. e Str. ferr. a Monselice. 

San Pietro Viminario (1916 ab.). — D territorio di questo Comune si ^stende ad 
oriente di Monselice, presso il confine del distretto con quello di Conselve. È Comune 
esclusivamente rurale e nulla offre di speciale nei riguardi dell'arte e della storia. Il 
villaggio capoluogo trovasi a 7 metri sul mare e a chilometri 5 da Monselice. 

Prodotti del suolo, fertilissimo e ben coltivato : cereali, foraggi, viti, gelsi, ortaglie, 
frutta. Grande è Tallevamento del bestiame da stalla e da cortile. Industria del luogo, 
neirinverno, è la fabbricazione delle stuoie e dei cesti di vimini. 

Coli, elett. Piove di Sacco — Dioc. Padova — P*, T. e Str. ferr. a Monselice. 

Solesino (2970 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella pianura al 
mezzodì di Monselice ed è attraversato dalla strada provinciale Monselice-Rovigo. — 
Solesmo, capoluogo del Comune (10 m. sul mare e chilometri 8 da Monselice), che ha 
carattere essenzialmente rurale, è un discreto paese sparso di apparenza moderna. 
Notevole la chiesa parrocchiale: è vasta, ad una sola navata ed ha un pulpito di legno 
dorato finamente scolpito. Sorge su un piccolo rialzo di terreno ove un tempo era il 
castello di Solesino, ed il torrione delle campane è quanto ne rimane. 

Prodotti del suolo: cereali, foraggi, viti, gelsi, frutta, ortaglie, ^allevamento del 
bestiame è industria fiorente del luogo, i cui abitanti neirinverno si applicano anche 
alla fabbricazione delle reti da pesca. 

Cenno storico, — Di questo paese è fatta menzione in una lettera di papa Martino 

al vescovo di Adria (944). Fu sempre soggetto a Padova, che, nel 1276, ne presidiava 

il CRStello 

Con. elett. Este — Dioc. Padova - P« locale, T. e Str. ferr. a Sant'Elena. 

Stanghella (3432 ab.). — Il territorio di questo grosso Comune si trova nella parte 
sud-ovest del distretto, attraversato dal Gorzone. È Comune essenzialmente agricolo. 
— Il capoluogo, Stanghella (7 m. sul mare e chilometri 11 da Monselice), con circa 
1000 abitanti, è una bella borgata di carattere moderno, nella quale non mancano i 
begli edifizi ed una notevole chiesa parrocchiale. 

Il territorio, abbastanza fertile, dà cereali, foraggi, frutta. Vi si alleva molto bestiame, 
del quale si fa largo commercio nei mercati domenicali. Havvi pure una fabbrica di 
macchine agrarie ed altre piccole industrie. 

Coli, elett. Este — Dioc. Padova — P*, T. e Str. ferr. 



VII. — Distretto e Mandamento di HONTAGMM 

n distretto amministrativo e mandamento giudiziario di Montagnana occupa la 
estremità sud-ovest della provincia di Padova, ha forma di quadrilatero irregolare 
e confina: a nord, colle Provincie di Vicenza e di* Verona; ad est, col distretto di 
Este; a sud, è diviso dall'Adige dalla provincia di Rovigo; e ad ovest, confina ancora 
colla provincia di Verona. 

97 — li» Patria» voi. I, parte 2*. 



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458 Parte Prima — Alta Italia 



Il territorio del distretto di Montagnana è completamente piano; bagnato, nella 
sua parte superiore e media, dal Fratta e nelPinferiore dall'Adige. Principali arterie 
stradali sono : la provinciale Legnago-Este-Monselice, alla quale corre parallela la 
linea ferroviaria; e la Vicenza-Lonigo-Montagnana. 

Il distretto di Montagnana è regione essenzialmente agricola. Esso copre una 
superficie di 188 chilometri quadrati, restando così il penultimo della provincia. 
Ha, secondo il censimento del 10 febbraio 1901, una popolazione di 36.020 abitanti 
(192 per chilometro quadrato) ripartita nei seguenti 10 Comuni: Montagnana, Gasale 
di Scodosia, Castelbaldo, Masi, Megliadino San Fidenzio, Megliadino San Vitale, 
Merlara, Salotto, Santa Margherita d'Adige, Urbana. Questi Comuni dipendono dal 
Tribunale civile e penale d'Este. 

Montagnana (10.364 ab.). — Il territorio di questo Comune, capoluogo del distretto 
amministrativo e mandamento giudiziario, si stende nella parte nord-ovest del distretto, 
coniinando colle Provincie di Vicenza e di Verona. — Monta- 
gnana, capoluogo del Comune (16 m. sul mare e chilometri 44 
a sud-ovest da Padova), è una piccola città di circa 3500 abi- 
tanti, interamente cintata da mura, formanti intòmo ad essa 
un solido pentagono irregolare, con mura ottagonali di epoca 
diversa ed un fossato tutto air intomo. Nelle mura si aprono 
quattro porte, rispondenti alle vie principali della piccola città, 
cioè Padova, Vicenza, Nuova (o della Stazione) e Legnago. A 
porta Legnago, con due alti torrioni e grosse mura, sorge il 
castello che fu il maggior presidio del luogo, cominciato nel 
secolo XIII da Ezzelino e compiuto verso la fine del secolo successivo dai Padovani, 
con due ponti levatoi ed otto porte, delle quali esistono ancora le arcate. 

Le vie di Montagnana sono fiancheggiate da edifizi moderai, in gran parte di buona 
architettura e taluno dei quali veramente signorili, come i palazzi Forati, Foschini, 
Balbo e Trotti. Bella la piazza principale, circondata dai palazzi Bragadino, Santini e 
Valeri, e da quello del Comune, costruito, vuoisi, sui disegni del Sanmicheli, nel quale 
si vede una grande sala con ornamenti in legno scolpito e buone pitture. Notevoli 
poi la chiesa piovana, o Duomo, di antiche origini, ma rifatta nel secolo XV, con un 
portale scolpito dal Sansovino e buone pitture, di cui alcune di Paolo Veronese ; il 
Sacello, nel quale conservansi le ossa del valorosissimo Vettor Pisani; ed altre chiese 
di minore importanza. 

La città possiede una pubblica passeggiata, o giardino, foggiato sul genere del 

Prato della Valle in Padova, ed ha un bel Camposanto con porticati d'ordine toscano. 

Montagnana conta inoltre buone scuole, un R. Istituto femminile, molte istituzioni 

di beneficenza, un Casino di lettura e riunioni; Società ginnastiche, di Tiro a segno 

ed un piccolo ma elegante Teatro Sociale. 

Il territorio, fertilissimo, lavorato razionalmente e bene irrigato, dà cereali, foraggi 
in belle ed estese praterie, gelsi, viti, frutta e canapa. L'allevamento del bestiame da 
stalla e da cortile e la produzione dei bozzoli sono industrie fiorenti nel Comune, 
ove si tengono mercati settimanali ed un'animatissima fiera in agosto. Industrie del 
luogo: la filatura della seta e della canapa; la fabbricazione dei cordami, dei laterizi 
con 4 fornaci, delle paste alimentari ed altre di minore importanza per i bisogni ed 
i consumi locali. 

Cenno storico. — Questo territorio fu abitato fin dai tempi più remoti. Vi si rinven- 
nero lapidi, tegole, mattoni ed altri laterizi del periodo romano, monete e ruderi di 
q^uel periodo; nonché oggetti, monete ed armi del medioevo. Si crede fosse il vico 
Pons Tunianus degli antichi. Nei bassi tempi se ne perdono le memorie, fino al 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Montagnnna |.59 

periodo longobardo, in cui era indicato col nome di Scodosia, forse corruzione di ScuU 
dasda. Diventò feudo di Ugo di Toscana, indi dei marchesi di Este, che di questo 
dominio ebbero la conferma da Arrigo IV, con un diploma del 1077, ricordato dal 
Muratori {Antichità estensi). 

Nel 1237, quando Ezzelino IV con fieri propositi di vendetta occupò Padova, quanti 
fra i cittadini di questa avevano osteggiato il signor da Romano, si rifugiarono in Mon- 
tagnana, alla quale il tiranno fu sollecito a porre assedio. La resistenza fu lunga ed 
il tiranno dovette ritentare più volte l'impresa, finché l'ebbe nel 1242 e ne fece 
scempio. Colla morte di Ezzelino, Montagnana passò nel dominio di Padova, che con- 
dusse a termine le fortificazioni ed il castello, cominciato da Ezzelino. Più tardi l'eb- 
bero lo Scaligero, al quale la ritolse Marcello Carrara; indi Gian Galeazzo Visconti di 
Milano; ed infine, con tutto il territorio padovano, passò, nel 1405, sotto il governo 
della Repubblica di Venezia, colla quale pacificamente e prosperosamente stette sino 
alla fine del secolo XVIU. 

CoU. elelt. Montagnana — Dioc. Padova — P", T. e Str. ferr. 

Casale di Scodosia (3989 ab.). — Il territorio esteso di questo Comune sì trova 
nella parte centrale del distretto e consta di pianure piuttosto acquitrinose e malin- 
coniche. È Comune esclusivamente rurale. — Gasale di Scodosia, capoluogo (12 metri 
sul mare e chilometri 5 a sud da Montagnana), è un borgo di carattere moderno, con 
una discreta chiesa parrocchiale, fiancheggiata da un campanile curiosamente pendente, 
a causa, dicesi, di un fulmine che nel secolo XVIII lo colpì alla base. 

Il suolo, messo a campi ed a prati, dà cereali e foraggi in quantità, laonde vi è 
fiorente l'allevamento del bestiame bovino da lavoro e da ingrasso, del quale si fa 
proficuo commercio d'esportazione. Importante è pure la produzione delle barbabietole. 
Coli, elelt. Montagnana — Dioc. Padova — P" e T. locali, Str. ferr. a Montagnana. 

Castelbaldo (2627 ab.). — Questo Comune si stende nell'estremità sud-ovest del 
distretto, sul confine della provincia di Padova con quelle di Verona e di Rovigo, in 
regione bassa ed umida, fra il Fratta e l'Adige, di cui forma per un tratto la sponda 
sinistra. È Comune esclusivamente rurale. — Castelbaldo (12 metri sul mare e chilo- 
metri 13 da Montagnana) è un bel paese di oltre 1400 abitanti, con edifizi moderni 
e una discreta chiesa parrocchiale. Curioso avanzo del medioevo è la casa detta della 
Torre, costruzione del secolo XIII, nella quale havvi un sotterraneo a grosse mura, 
ove la leggenda vuole sia morto prigione Bonifacio Carrara, abate di Puglia, che aveva 
cospirato per impadronirsi del dominio del congiunto Francesco I Carrara. 

Il territorio, basso, umido, acquitrinoso, dà cereali e foraggi, canapa, uva e barba- 
bietole da zucchero. 

Cenno storico. — Castelbaldo è luogo antico e famoso nel medioevo. Aveva un 
agguerrito castello, che, durante le guerre comunali, sostenne varie fazioni. Quivi 
Francesco I Carrara sconfisse irreparabilmente Antonio della Scala, che per tale 
rovescio dovette pure abbandonare lo Stato di Verona. Passato con Padova nel dominio 
di Venezia, il castello di Castelbaldo fu dai Veneziani ritenuto inutile e smantellato. 
Una gran parte del materiale servì alla costruzione delle fortificazioni di Legnago. 
Coli, elett. Montagnana — Dioc. Padova — P' e T. locali, Str. ferr. a Badia Polesine e Castagnaro. 

Masi (2380 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte sud-est e 
piti bassa del distretto, sulla riva sinistra dell'Adige e presso il confine della provincia 
di Rovigo. È Comune esclusivamente rurale, di cui Masi, capoluogo (10 m. sul mare 
e chilometri 16 da Montagnana), è un modesto paese di 1000 abitanti. 

Il territorio, basso, umido ed in qualche luogo anche paludoso, è coltivato a cereali, 
a foraggi, a riso. Vi si alleva molto bestiame da stalla e da cortile, del quale si fa 



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460 I^arte Prima — Alta Italia 



utile commercio d*esportazione. Notevole è pare in questo Comune la produzione e 
lavorazione della canapa in cordami. 

CSolI. elett. Montagnana — Dioc. Padova — P* a Gastelbaldo, T. e Str. ferr. a Badia Polesine. 

Hegliadino San Fidenzio (S978 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende 
ad oriente del capoluogo, attraversato dalla strada provinciale e dalla ferrovia da 
Montagnana ad Este. È Comune essenzialmente rurale. — Megliadino San Fidenzio, 
capoluogo (12 m. sul mare e chilometri 4 da Montagnana), è un discreto villaggio di 
aspetto in gran parte moderno. Bella la parrocchiale a tre navate colla cappella del 
martire S. Fidenzio, assai venerato in luogo. 

Prodotti del suolo, irriguo, ben coltivato e fertilissimo: cereali, foraggi, gelsi, viti, 
frutta. L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile è Tindustria fiorente nel luogo, 
ove sonvi pure lavorazioni di stuoie, graticci e cordami. 

Cenno storico. — È luogo di antiche origini, abitato fin dal periodo romano. Nel 
1860, in questo Comune, vennero scoperte due tombe romane con anelli, armi, urne 
cinerarie ed altri oggetti dell'epoca romana. 

CoU. elett. MontagDana — Dioc Padova — P*, T. e Str. ferr. a Saletto. 

Hegliadino San Vitale (2724 ab.). — Si stende questo Comune nella stessa plaga 
del precedente, ma alquanto più a mezzodì È Comune esclusivamente rurale, formato 
da varie frazioni sparse per la vasta e bassa pianura, ove non mancano tratti palu- 
dosi, al cui prosciugamento sono impiegate potenti macchine idrivore. — Megliadino 
San Vitale — cosiddetta dal martire titolare della chiesa parrocchiale -— è un modesto 
villaggio (12 m. sul mare e chilometri 7 a sud-est da Montagnana) di circa 700 abitanti, 
d'aspetto moderno, nel quale però non vi sono cose meritevoli di speciale rilievo. 

Il suolo, piuttosto umido e bene coltivato, produce cereali, foraggi in grandi pra- 
terie artificiali, canapa e ortaglie. L'allevamento del bestiame e la lavorazione dei 
cordami di canapa, delle stuoie e dei cestelli di vimini sono le sole industrie del luogo. 

Cenno storico. — Anche questa località fu abitata in tempi remoti. A più riprese 
nel suo territorio si rinvennero tombe, vasi, laflfpade e monete dell'epoca romana. 
Nel periodo medioevale, durante le "guerre dello Scaligero con Padova, fu più volte 
devastato, ^jj ^j^^ Montagnana - Dioc. Padova — P», T. e Str. ferr. a Saletto. 

Herlara (3070 ab.). — Si stende questo Comune in bassa pianura, al sud-ovest 
di Montagnana, presso il confine della provincia col distretto di Legnago in provincia 
di Verona. È bagnato dal Fratta ed il paesaggio è umido e malinconico. — Merlara 
(12 metri sul mare e chilometri 8 da Montagnana) è una bella borgata di aspetto 
moderno, con edifizi di buona costruzione ed una chiesa parrocchiale non priva di 
qualche pregio architettonico. 

Prodotti del suolo, irriguo, ben coltivato e fertile: cereali, foraggi, viti e frutta. Vi 

si alleva molto bestiame bovino e da cortile, del quale, in un cogli altri prodotti agricoli 

della regione, si fa attivo commercio nei mercati settimanali. 

GoH. elett. Montagnana — Dioc. Padova — P' locale, T. a Gastelbaldo, 
Str. ferr. a Montagnana. 

Saletto (3208 ab.). — Il territorio di questo Comune si trova nella parte nord-est 
del distretto ed è attraversato^ dalla strada provinciale e dalla linea ferroviaria da 
Legnago ad Este e Monselice. È Comune esclusivamente rurale e costituito da varie 
frazioni. — Saletto (15 m. sul mare e chilometri 5 ad est da Montagnana), centro del 
Comune, è un discreto paese di carattere moderno, con stazione ferroviaria (sulla linea 
Legnago-Monselice) e circa 680 abitanti. 

Il territorio, assai fertile, irriguo e bene coltivato, dà cereali, foraggi, canapa, viti, 
ortaglie. Vi si alleva molto bestiame da stalla e da cortile ed importante vi è pure 



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Mandamento e Comuni del Distretto di Piove di Sacco 461 



la produzione della canapa. Vi sono inoltre fornaci per laterizi, un molino a vapore 
ed un opificio per la filatura della seta «on annesso essiccatoio per i bozzoli. 

Cenno storico. ~ Salotto è luogo antico. Prima della memorabile inondazione, che 
ne trasportò assai più a valle il letto nel VI secolo di Roma, TÀdige, in questa loca- 
lità, si divideva in due bracci, dei quali uno correva diritto al mare, Taltro, tenendosi 
più a monte, andava ad unirsi col Brenta, raccoglitore di molte altre acque dilaganti 
nella bassa pianura patavina. 

GoU. elett. Montagnana — Dice. Padova — P^ T. e Str. ferr. 

Santa Margherita d'Adige (2589 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende 
nella parte più orientale del distretto, sul confine di questo con quello d'Este. È Comune 
esclusivamente rurale, costituito da piccole frazioni, la maggiore delle quali. Santa 
Margherita (12 m. sul mare e chilometri 7 da Montagnana), è una borgata d'aspetto 
moderno, in località ridente e verdeggiante. 

Il suolo, abbastanza asciutto per natura, ma irrigabile, ben lavorato e fertilissimo, 
dà cereali, foraggi, gelsi, viti, frutta ed ortaglie. Industrie del luogo : Tallevamento del 
bestiame e la produzione dei bozzoli, quivi notevolissima. 

Coli, elett. Montagnana — Dioc. Padova — P*, T. e Str. ferr. a Saletto. 

Urbana (2091 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende al sud-ovest di 
Montagnana, nella pianura bagnata dal Fratta. È Comune esclusivamente rurale, 
costituito da varie frazioni sparse per la campagna. — Urbana, frazione principale 
(13 m. sul mare e chilometri 5 da Montagnana), è un grosso villaggio sparso, con belle 
case di villeggiatura negli immediati dintorni. Antica è la chiesa parrocchiale di 
Urbana, già collegiata, di buona architettura, dedicata a San Gallo. Il campanile 
attiguo ad essa è assai più antico. 

Prodotti del suolo, irriguo, fertile e bene coltivato: cereali, foraggi, gelsi, viti e 

frutta. L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile, la produzione dei bozzoli e la 

viticoltura sono le industrie fiorenti del luogo. 

CSoU. elett. Montagnana — Dioc. Padova — P' locale, T. a Gasale di Scodosia, 
Str. ferr. a Montagnana. 



\m. — Distretto e Mandamento di PIOVE DI SACCO 

Il distretto amministrativo e mandamento giudiziario di Piove di Sacco occupa la 
estremità sud-orientale della provincia di Padova. Esso confina: a nord, col distretto 
di Padova; a nord-est, est e sud, colla provincia di Venezia, arrivando a toccare ed 
abbracciare un piccolo tratto della lagena di Chioggia; ad ovest, coi distretti di 
Conselve e di Padova. 

Il distretto di Piove di Sacco è regione essenzialmente piana e bassa, attraversata 
da due importanti corsi d'acqua, quali il Brenta ed il Bacchiglione (quest'ultimo col 
nome di canale di Roncajette prima, di Pontelongo poscia), i quali corrono al mare per 
riunirsi col Taglio Novissimo, in un sol letto, col Gorzone ed altre acque minori, sboc- 
cando con una sola foce nelP Adriatico sotto il porto di Brondolo, a breve distanza dalla 
foce dell'Adige. Varie strade percorrono il distretto di Piove di Sacco, del quale è 
arteria principale la provinciale Padova-Piove di Sacco-Chioggia, percorsa fino a Piove 
da una linea di tramvia a vapore. Tutti i Comuni del distretto e le rispettive frazioni 
sono uniti tra di loro da una completa rete di ottime strade comunali. 

Il distretto di Piove di Sacco ha forma irregolare, data anche dalla capricciosa 
linea del confine orientale colla provincia di Venezia, assai prolungata nel senso da 
sud a nord, e copre una superficie di 254 chilometri quadrati, restando sotto questo 



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462 Parte Prima — Alta Italia 



rapporto il terzo della provincia. — Il distretto di Piove di Sacco è plaga essenzial- 
mente agricola, sotto il regime della grande proprietà, creata principalmente dai 
lavori di bonifica ed idraulici che conquistarono alla produzione ed alla civiltà terreni 
paludosi, malarici, abbandonati o pressoché. 

Secondo il censimento del febbraio 1901, il distretto di Piove di Sacco ha una 
popolazione di 40.382 abitanti (159 per chilometro quadrato), raggruppata in dieci 
Comuni, cioè : Piove di Sacco, Arzer Grande, Bovolenta, Brugine, Codevigo, Con-ez- 
zola, Legnaro, Polverara, Pontelongo, Sant'Angelo di Piove di Sacco, formanti anche 
l'omonimo mandamento giudiziario nella giurisdizione del Tribunale civile e penale 
di Padova. 

Piove di Sacco (9887 ab.). — Il territorio di questo Comune, capoluogo del distretto 

e del mandamento, si stende nella parte nord-orientale del distretto medesimo, ed è 

assai esteso. — Piove di Sacco, frazione principale del Comune 

(5 metri sul mare e chilometri 17 a sud-est da Padova), è una 

cospicua borgata di oltre 3000 abitanti, che ha tutti i vantaggi 

e le apparenze d'una piccola città di provincia. Quivi fa capo 

la linea tramviaria a vapore che, seguendo la strada provinciale, 

la mette in rapida comunicazione col capoluogo della provincia; 

e quivi anche si raggruppano le principali vie di comunicazione 

cogli altri Comuni del distretto e colla finitima provincia di 

Venezia. La qual cosa fa di Piove di Sacco un piccolo centro 

commerciale e movimentato. Anticamente la borgata, o cittadina 

che voglia dirsi, era cintata da mura e terrapieni, con torri, a difesa dei Veneziani, che 

da questa parte sovente entravano nel territorio padovano. Di tali torri, una sulla 

strada di Padova, fu per ragioni di sicurezza abbattuta nel secolo scorso, ed un'altra 

fu trasformata in torre campanaria per la chiesa maggiore. 

Piove di Sacco è attraversato dal cosiddetto Fiumicello, corso d'acqua che, derivato 
dal canale Roncajette, sottopassa il Brenta ed il Novissimo e finisce in laguna. Ha vie 
spaziose, abbastanza ben selciate, di aspetto moderno e abbellite da palazzi signorili, 
alcuni dei quali, come i palazzi Gradenigo, Gasparini, Priuli, veramente rimarchevoli. 
Spaziosa e pittoresca è la piazza maggiore, dominata dal magnifico palazzo del Comune, 
ricostruito nella prima metà del secolo scorso sui disegni del Jappelli. 

Piove di Sacco possiede inoltre belle chiese, fra le quali ha il primato quella di 
San Martino, sia per pregi architettonici che per i dipinti e le scolture che vi si con- 
servano. Altra chiesa non priva di pregi è quella di Santa Giustina, presso la quale si 
veggono gli avanzi delle antiche fosse dalle quali in altri tempi il borgo era difeso. 
Nei tempi della dominazione veneta, pafticolarmente. Piove di Sacco era luogo 
rinomato per l'industria della tessitura del lino e del cotone, quivi fiorente. Ma l'accen- 
tramento delle grandi industrie, prodottosi nel nostro secolo, colle meraviglie dei per- 
fezionamenti dei mezzi meccanici e colla straordinaria potenzialità dei grandi impianti, 
ha ucciso, pressoché, questa piccola industria individuale e casalinga. Attualmente 
vivono in Piove di Sacco alcune piccole industrie, quali la fabbricazione di stuoie, 
graticci e sporte, con canne, giunchi ed altre piante vallive; delle paste alimentari; 
dei laterizi, con due fornaci; degli olii dai semi di lino e di ravizzone; dei pettini; dei 
pesi e misure: dei salumi; più una tipografia e piccole officine di fabbri, ramai, ottonai, 
rispondenti ai bisogni locali. 

Le altre frazioni del Comune di Piove di Sacco sono villaggi di poca importanza 
e cascinali sparsi per la vasta e malinconica campagna. 

Il territorio, fertile ed assai ben coltivato, dà granaglie d'ogni qualità, foraggi con 
vaste praterie, gelso, lino, canapa, viti, frutta ed ortaglie. L'allevamento del bestiame 



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Mendamento e Comuni del Distretto di Piove di Sacco 463 



grosso bovino, per lavoro e per macellazione, è la grande industria del luogo, il cui 
sviluppo è parallelo al sempre maggiore sviluppo agricolo. I mercati che si tengono 
a Piove di Sacco ogni mercoledì ed ogni sabato, e le fiere bimensili, sono annoverate, 
per le contrattazioni sul bestiame, fra le più importanti della provincia. Notevole è 
pure la produzione dei bozzoli ed il commercio della frutta, delle ortaglie, del pol- 
lame, delle uova, che si esportano e consumano in gran parte a Venezia ed a Padova. 

Cenno storico. — Piove di Sacco è luogo antichissimo e forse trae il nome e la 
derivazione sua da una delle più antiche chiese plebane o pievi sòrte nella regione. 
I documenti più antichi che trattano di questo luogo risalgono al secolo IX, e nel 
rozzo latino dell'epoca vi era designato col nome di Plebs Sacci. Nell'anno di C. 887, 
Berengario, già duca del Friuli e re d'Italia, donava questa Plebs Sacci a Pietro, 
vescovo patavino, suo arcicancelliere e suo grande fautore. Antichi documenti accertano 
che i Saccensi in quei bassi secoli esercitavano un attivo commercio delle loro derrate 
coi Veneziani, i quali li avevano perciò beneficati di privilegi e benefizi e soprattutto 
di esenzioni doganali. Questo commercio dei Saccensi con Venezia, fatto direttamente 
con barche, prova che allora il mare o la laguna si addentravano assai più verso Piove 
di quello che ora non sia. Avendo coll'andar del tempo i Veneziani voluto restringere 
i diritti che pei loro traffici i Saccensi godevano, questi se ne appellarono al doge 
Pietro Orseolo, che rese loro giustizia facendo rispettare gli antichi patti. 

Tiranneggiati dai vescovi di Padova, i Saccensi reclamarono presso l'imperatore 
Arrigo II, il quale, con un placito rimasto memorabile, dichiarò gli uomini di Plebs 
Sacci liberi da qualunque soggezione. Nel periodo dei Comuni fu soggetto a Padova, 
che vi teneva un giudice ed un capitano d'armi, nonché un forte presidio per fron- 
teggiare Veneziani e Padovani in caso di guerra. Appunto nella guerra di Padova 
con Venezia, Piove di Sacco ebbe a soflFrire gravi danni e devastazioni, per parte dei 
Veneziani, che trovavano più facile penetrare nel territorio padovano da questa parte. 
Per riparare a tale inconveniente, Francesco I Carrara munì Piove delle torri e dei 
terrapieni di cui ancora oggi si vedono gli avanzi. 

' Nel 1405, insieme a tutto il dominio di Francesco Novello Carrara, Piove di Sacco 
passò con Padova nel dominio di Venezia, sotto cui, godendo pace prosperosa — salvo 
le tristi vicende del principio del secolo XVI — stette fino alla fine del secolo XVIII, 
quandp la vecchia e gloriosa Repubblica cadde per il trattato di Campoformio. Piove 
di Sacco era governata da un patrizio che Venezia vi mandava in residenza rinno- 
vandolo ad ogni dato periodo. 

Uomini illustri. — Fra gli illustri cittadini di Piove vanno ricordati lo storico e 
guerriero Enrico Caterino Davila e l'insigne musicista Zaccaria Tevo. 

Con. elett. Piove di Sacco — Dioc. Padof a — P*, T. e Tr. locali, Slr. ferr. a Padova e Dolo. 

Arzer Grande (2880 ab.). — Il territorio di^ questo Comune si stende nella parte 
centrale del distretto, a sud del precedente. È bagnato dal canale di Pontelongo e 
da altri corsi d'acqua della provincia che quivi vanno accostandosi per riunirsi in un 
solo dveo al Taglio Novissimo di Brenta. Il Comune, essenzialmente agricolo, è for- 
mato da due frazioni, delle quali Arzer Grande (6 m. sul mare e chilometri 3 da Piove) 
è il capoluogo con drca 1800 abitanti. È paese di bell'aspetto con edifizi moderni. 
Notevole la chiesa parrocchiale; nella via ad essa adiacente si veggono avanzi di 
eolonne in marmo scanalato e di capitelli a fogliami finamente scolpiti del periodo 
romano, scavati nella località detta di Vallonga, frazione del Comune, ove pure si 
rinvennero le testate di una palafitta in rovere. Nel giardino del presbiterio si mostrano 
due frammenti di lapide romana, che sono prova dell'antichità del luogo. 

II territorio di Arzer Grande è coltivato con profitto a granaglie, a prati artificiali, 
a viti ed a gelsi. Prosperoso è in questo Comune l'allevamento del bestiame da stalla 



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464 P^te Primi — Alta Italia 



e da cortile. Industrie di una certa importanza è la fabbricazione delle stuoie. La 
materia prima, cioè le foglie di canna palustre, si trae dalle paludi che si trovano 
nelle Provincie di Venezia, Rovigo e Treviso. 
Coli, elett. Piove di Sacco — Dioc. Padova — P*, T. e Tr. a Piove di Sacco, Str. ferr. a Padova. 

BoYOlenta (3118 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella estremità 
occidentale del distretto, sul confine di questo con quelli di Padova e di Conselve. 
Il paese di Bovolenta (7 m. sul mare e chilometri 9 a sud-ovest da Piove), frazione 
principale del Comune, con circa 1200 abitanti, sorge nel punto d'incontro del canale 
di Roncajette con quello di Pontelongo, canali che vengono quivi attravei-sati da due 
bei ponti. In Bovolenta si notano alcuni edifizi signorili di bella architettura, la chiesa 
parrocchiale, adorna di pregevoli dipinti e di scolture. In una casa antica in testa al 
borgo vedesi una grande arcata, opera muraria del medioevo. Si ritiene sia quacto 
avanza del castello, ricordato sovente nei fasti guerreschi del Comune di Padova. 
È tradizione che dal castello una via sotterranea conducesse nella piazza del borgo. 

Il territorio di Bovolenta, bene irrigato e coltivato con cura, dà granaglie d'ogni 
genere, foraggi, viti, gelsi. L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile e la pro- 
duzione dei bozzoli sono le industrie di maggior sussidio airagricoltura del luogo. 
Vi sono poi due fornaci per laterizi, una per la cottura della calce, piccole officine per 
la lavorazione del ferro e del rame a norma dei bisogni locali. 

Coli elett. Abano Bagni — Dioc. Padova — P* e T. locali, Str. ferr. a Battaglia. 

Brugine (3935 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte superiore 
del distretto, a ponente del capoluogo. È Comune esclusivamente rurale, costituito da 
varie frazioni, delle quali il capoluogo, Brugine (7 m. sul mare e chilometri 3 da Piove), 
è un discreto paese di quasi SOOO abitanti. Cosa notevole nelle vicinanze di Brugine è 
un palazzo di villeggiatura signorile del secolo XVI, nella elegante architettura del 
tempo e nel quale si conservano ancora dipinti di Paolo Veronese e della sua scuola. 

Il territorio irriguo, ben coltivato, fertilissimo, dà cereali d'ogni genere, viti, gelsi, 
foraggi in gran copia, legumi ed ortaglie. L'allevamento del bestiame da stalla e da 
cortile, la produzione dei bozzoli sono le industrie fiorenti in luogo, ove poi la popo- 
lazione si dedica anche airindustria invernale della fabbricazione delle stuoie. 

CoU. elett. Piove di Sacco — Dioc. Padova — P* e T. a Piove di Sacco, Str. ferr. a Padova. 

Codevigo (3698 ab.). — H territorio di questo Comune si stende sulla estrema 
punta orientale del distretto guardante la laguna di Chioggia di cui occupa una parte, 
le valli Morosina e di Millecampi. È bagnato dal Brenta e dagli altri corsi d'acqua che 
a questo si uniscono, per finire nell'Adriatico, -al porto di Brondolo. — Codevigo è 
Comune esclusivamente rurale, costituito da varie frazioni sparse per la umida e 
malinconica campagna, delle quali la frazione centro, Codevigo (3 metri sul mare e 
chilometri 5 da Piove), è un discreto paese di circa 1300 abitanti, dotato di una bella 
chiesa parrocchiale, rimodernata nello scorso secolo, e di un grandioso palazzo che 
già appartenne alla patrizia famiglia Comare. Nelle vicinanze del paese si rinvennero 
molte urne funerarie romane. 

Il territorio di Codevigo non è, a cagione delle sue condizioni topografiche e delle 
continue alluvioni che per secoli lo devastarono, molto fertile; di più è qua e là 
paludoso e disseminato di acquitrini. Tuttavia, dove giunse la tenace opera dell'uomo 
ed il lavoro di bonifica, si rese fertile e produce cereali, foraggi in grande quantità. 
L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile è la sola industria agricola consentita 
in questa plaga. 

CoU. elett. Piove di Sacco — Dioc. Padova — P* locale. T. e Tr. a Piove di Sacco, 

Str. ferr. a Padova. 



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Mandamento e Gomuni del Distretto di Piove di Sacco 465 



Correzzola (5011 ab.)* — Q territorio di questo popoloso Comune occupa tutta la 
parte meridionale del distretto, sulla destra del canale di Pontelongo. £ Comune 
essenzialmente rurale, costituito da varie frazioni, delle quali la titolare, Correzzola 
(2 m. sul mare e chilometri 9 da Piove), è un discreto paese di oltre 1000 abitanti. 
La cosa più notevole del luogo è la villa dei conti Tacchini di Bologna, latifondisti, 
alla cui iniziativa si debbono molte opere di bonifica compiute in questo territorio 
allo scopo di ridurlo a coltura asciutta. I Benedettini, che nel medioevo e fino a tempi 
prossimi ai nostri vi ebbero un'abbazia, furono i primi bonificatori, colle canalizza- 
zioni e le colmate, di questa plaga, che altro non era se non una serie non interrotta 
di mefitiche paludi. 

Il territorio di Correzzola, coltivato ormai razionalmente, dà granaglie di ogni 
specie, foraggi, uva, legumi. L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile è industria 
fiorente praticata in tutto il Comune. 

CoH. elett Piove di Sacco — Dioc. Padova — P*, T. e Tr. a Piove di Sacco, 
Str. ferr. a Padova e Battaglia. 

Legnaro (4287 ab.). — Questo Comune si trova nella parte nord-ovest o^ superiore 
del distretto, attraversato dalla strada che da Padova conduce a Piove. È Comune 
costituito da varie frazioni o cascinali sparsi per la campagna e di carattere essenzial- 
mente rurale. — Legnaro, capoluogo del Comune (10 m. sul mare e chilometri 7 da 
Piove), è un discreto paesetto di circa 800 abitanti, di apparenza moderna, ma senza 
cose notevoli da offrire al visitatore. Fu però anticamente abitato, essendosi rinvenuti, 
in scavi fatti nei suoi dintorni, oggetti del periodo romano. 

Prodotti del suolo fertilissimo, irrigato e ben coltivato : cereali, foraggi, viti, gelsi, 
frutta, ortaglie. L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile e la produzione dei 
bozzoli sono le industrie agricole più importanti del luogo. 

Coli, elett. Abano Bagni — Dioc. Padova — P* e Tr. locali, T. e Str. ferr. a Padova. 

Polyerara (1876 ab.). — Il territorio di questo Comune si stende nella parte occi- 
dentale del distretto, fra il canale Roncajette e il Fiumicino. È Comune esclusivamente 
rurale, costituito, nella maggior parte, dal paese di Polverara (5 m. sul mare e chilo- 
metri 7 da Piove), con una popolazione di 1400 abitanti circa, non privo di edifizi di 
bell'aspetto e di buona architettura. Notevole la parrocchiale dedicata a S. Fidenzio, 
nella quale sonvi dipinti del miglior tempo della scuola veneta e ricchi altari, dei quali 
il maggiore si dice collocato sul luogo ove venne sepolto S. Fidenzio martire. 

Il territorio, bene coltivato, dà cereali, foraggi, uva, frutta, gelsi. L'allevamento 
del bestiame da stalla e da cortile è industria fiorente in luogo. Specialmente curata 
è la pollicoltura e quivi si hanno quei superbi campioni di gallinacei conosciuti ed 
apprezzati dovunque colla qualifica di razza padovana, e di cui si fa grandissimo 
commercio di esportazione anche per lontane regioni. 

Coli, elett. Abano Bagni — Dioc. Padova — P' e T. a Piove di Sacco, Str. ferr. a Padova. 

Pontelongo (2189 ab.). — Si stende il territorio di questo Comune al sud di Piove di 
Sacco, ed è attraversato dal canale omonimo che raccoglie le varie acque derivate dal 
Bacchigliene per condurle, col Taglio Novìssimo, ad unirsi al Brenta ed a finire nel- 
l'Adriatico. — Pontelongo, centro principale del Comune (5 m. sul mare e chilometri 5 
da Piove), è un discreto paese di oltre 1000 abitanti, diviso in due parti dal canale, dal 
quale trae un certo utile anche per la navigazione con barche di grande portata. Vi 
sono edifizi moderni: rimarchevoli la chiesa parrocchiale intitolata a S. Andrea apostolo 
ed il palazzo Municipale, in istìle del Rinascimento. 

Prodotti del suolo, assai fertile e bene irrigato : cereali e foraggi, essendovi in questo 
territorio estese praterie. L'allevamento del bestiame bovino da lavoro e da ingrasso 

98 — liB Patria, voi. I, parte 2i. 



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4G6 ^1*^ I^^lÌA ~~ Mandamento e Comuni del Distretto di Piove di Sacco 



è rindustria principale del luogo, che trova sfogo nei mercati settimanali e nella fiera 
annuale del novembre, floridissima. Ha un molino e una segheria a vapore. 

Cenno storico. — Pontelongo è luogo antico ed assai considerato dai Padovani che 
vi tenevano un forte castello, ben presidiato, resosi celebre per gli assalti sopportati 
ai tempi delle guerre di Padova con Venezia e cogli Scaligeri. Nell'attuale Municipio 
vìsse vario tempo Gaspare Gozzi. 

Coli, elell. Abano Bagni — Dioc. Padora — P* e T. locali, Tr. a Piore di Sacco, 
Str. ferr. a Padova o MooMlica. 

Sant'Angelo dì Piove di Sacco (3501 ab.). — Il territorio di questo Comune si trova 
airestremità nord-est del distretto, presso il confine della provincia di Padova con quella 
di Venezia. È Comune esclusivamente rurale, di cui il centro principale, Sant'Angelo 
(8 m. sul mare e chilometri 6 da Piove), è un grosso borgo sparso di oltre 2500 abi- 
tanti, nel quale trovansi edifizi moderni e di bella apparenza. Nulla peraltro che 
meriti nota speciale. 

Il territorio, coltivato con cura e razionalmente, dà prodotti abbondanti in cereali, 
foraggi, viti, gelsi, frutta, ortaglie. L'allevamento del bestiame da stalla e da cortile 
è industria fiorente del luogo, ma vi sono pure fabbriche di acquavite, di sedie e 
lavorazione del ferro e del rame in piccole oflScine. 
Coli, elett. Piove di Sacco — Dioc. Padova — P* e T. locali, Tr. a Legnaro, Str. ferr. a Padova. 




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467 



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INDICE 



PROYIIf€IA DI TERONA 



I. Confini, popolazione e divisione ammini- 
strativa pag. 1 

II. Oro^afia, idrografia, climatol. e viabilità » 2 

III. Istruzione pubblica • . . i 7 

IV. Finanze, bilanci provine, e comunali, ecc. u i 

V. Agricoltura, produz. agraria e forestale i 8 



VI. Statistica industriale e commerciale pag. 9 

Industrie minerarie e meccaniche . » » 

I chimiche u 11 

I alimentari ..... n 12 

» tessili N 13 

» diverse u 14 



I. ^ Distretto di Terona 



Mand, di Verona 1 eìl p. 15 

Verona » » 

La città . ...» 16 

Verona monumentale i 17 

Monum. romani b 18 

I medioev. i 22 

del Rinasc. 43 

» moderni » 54 

Cenno storico . . b 61 

Uomini illustri. . b 85 

Avesa b 87 

Bussolengo . . . . b 88 



pag. 



Buttapietra . 
Cà di David 
Castel d'Azzano 
Lavagno . . 
Marceli ise . 
Mizzole . . 
Montorio Veronese 
Parona all'Adige 
Pastrengo . . 

Battaglia di Pastrengo 
Quinzano Veronese . b 
San Giovanni Lupatoto b 



pag. 15 



88 

B 
B 

89 

B 
B 
B 

90 

B 
B 

92 

B 



Bardolino .... pag. 98 
Castelletto di Brenzone b 100 
Castelnuovo di Verona . b 101 



! Garda pag. 102 

I Lazise b 104 

I Malcesine » 105 



S. Martino Buonalbergo 
San Massimo all'Adige 
San Michele Extra 
Sona .... 
Zevio .... 
Mand. di Grezzana 
Grezzana . . 
Bosco Chiesanuova 
Cerro Veronese 
Erbezzo . . . 
Quinto di Valpantena 
Santa Maria in Stelle 



II. — Distretto e Mandamento di Bardolino 



pag. 



93 



94 
» 
95 

B 

96 

B 
B 

97 

B 

97 



Peschiera sul Lago di 

Garda .... pag. 107 
Torri del Benaco . . » 108 



III. — Distretto e Mandamento di Caprino Veronese 

pag. 112 



Caprino Veronese . pag. 110 

Affi » 111 

Belluno Veronese . . » b 
Brentino b 112 



Caslione Veronese 
Cavajon Veronese . . 
Costermano .... 
Ferrara di Monte Baldo 



B B 

B 113 



Rivoli Veronese . . 

Battaglie di Rivoli 
San Zeno di Montagna . 



pag. 109 
pag. 113 



116 



IT. — Distretto e mandamento di Colos:na Veneta . 



Cologna Veneta . 
Albaredo d'Adige 



pag. 117 
. B 118 



Pressana . . . 
Roveredo di Guà 



pag. 118 

. B B 



Veronella 
Zimella . 



pag. 117 
pag. 119 

B B 



T. ~~ Distretto e Mandamento di Isola della locala 



Isola della Scala . . pag. 120 

Bovolone b 121 

Erbe » i 

Isola Rizza b b 



Nogara pag. 122 

Oppeano » n 

Palù » B 

Ronco all'Adige ...» » 



Salizzole . . 
Sorga . . . 
Trevenzuoio . 
i Vigasio B 



pag. 119 
pag. 123 

. » B 
. B B 



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468 



Indice delle materie 



TI. — Distretto e Mandamento di Iiegumt^ pag. 124 



Legnago .... pag. 124 

ÀDgiari I 126 

Bevilacqua i i 

Bonavigo i i 



Boschi Sant'Anna . pag. 126 

Caatagnaro i > 

Minerbe > 127 

Roverchiira . . . . i i 



Terrazzo . . . 
Villa Bartolommea 



pag. 127 
I ■ 



TII. — Distretto e Mandamento di 8an Bonifacio pag. 128 



San Bonifacio. . . pag. 128 

Soave I 129 

Arcole i i 

Battaglia di Arcole . i i 



Belfiore pag. 131 

Caldiero i 132 

Cazzano di Tramìgna . i 133 
Golognola ai Colli . . i i 



Montecchia di Crosara pag. 133 
2Ionteforte d'Alpone . i 134 
Ronca I I 



TIII. — Distretto e Mandamento di San^^ninetto pag. 135 

San Pietro di Morabio pag. 137 



Sanguinetto . . . pag. 135 

Casaleone i 136 

Cerea i i 



Conca marise . . . pag. 136 

Correzzo » i 

Gazzo Veronese . . . i 137 



IX. ~~ Distretto e Mandamento di 8an Pietro in Cariano . pag. 137 



San Pietro in Cariano pag. 138 

Breonio i i 

Dolco I 139 

Famane i » 



Marano di Valpolicella pag. 139 

Negarine • » 

Negrar i 140 

Pescantina • i 



Pmn pag. 140 

Sant* Ambrogio di Valpoli- 
cella I I 



X. — Distretto e Mandamento di Trei^nafl^o 

Tregnago .... po^. 141 Mezzane di Sotto . . pag. 142 
Badia Calavena . . . • 142 Roverò di Velo . . . i i 
Diasi » » San Mauro di Saline . i 143 



Selva di Progno . 
Velo Veronese 
Vestena Nuova . 



XI. — Distretto e Mandamento di Yillaftranea di T^rona 

Valeggio sul Mincio , 



Villa franca di Verona pag. 144 

Battaglie di Villafranca 149 

Mozzecane i 161 



Nogarole di Rocca . pag. 161 

Po vegliano Veronese i • 

Somraacampagna. . . i i 



pag. 141 

pag. 143 
I I 
I I 

pag. 144 
pag. 162 



AliTA TAIiLE DEIil^'ADIOE 



II. 



L'Alto Adige pag. 

I. Zona dell'Altissimo Adige o Val Venosta i 

La Valle media deirAdige: da Bolzano 

a Calliano i 

1. L'Adige da Bolzano a Trento . i 

2. La parte media dell'Alta Valle del- 
l'Adige (circondario di Trento) i 

Distretto di Mezolom bardo . . » 
I di Cembra . . . . i 
I di Lavis I 



163 



165 



171 
172 



Distretto di Civezzano 
I di Trento 
I di Pergine 
I di Vezzano 
III. Da Trento a Rovereto 
La Valle Lagarina . . 
Distretto di Rovereto 
I di Mori . 

I di Nogaredo 
• • di Ala . . 



pag. 173 

1 174 

I 187 

I 189 

• I 
I 191 
I 194 

• 198 

• 200 
I I 



PROTINOIA DI TICENZA 

I. Confini, popolazione e divisione ammini- 
strativa pag. 203 

II. Olografìa, idrografìa, geologia e clima- 
tologia • 204 

III. Statistica industriale e commerciale . » 208 

Viabilità • » 

Forza motrice idraulica . . . . i 209 



Movimento postale e telegrafico, ecc. pag. 209 

Agricoltura e produzione agraria . . i 210 

Industrie minerarie i • 

Officine mineralurgiche e metallurgiche • 211 

Industrie alimentari • 212 

I tessili I 213 

I diverse i 214 



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Indice delle materie 



469 



1. — Distretta di Tieensa pag. 215 



Vicenza pag, 216 

La città » 217 

Monumenti ededifizi sacri 

e profani. . . . i 218 
Edifizi privati ... i 228 
Il Monte Berico . . i 231 
Cenno storico . . . i 234 
Uomini illustri . . • 242 
Altavilla Vicentina . . i 244 

Arcugnano i i 

Bolzano Vicentino . . » » 



Brendola .... pag. 245 
Bressanvido . . 
Galdoguo . . . 
Camieano Vicentino 
Costabissara . . 
Creazzo .... 
Daeville. . . . 
Garabugliano . . 
Grisignano di Zecco 
Grumolo delle Abbadesse 
Isola di Malo .... 



I 

246 



247 



Longare .... 
Montecchio Maggiore 
Montecchio Precalcino 
Montegalda. . . . 
Montegaldella . . . 
Monticello Conte Otto 
Quinto Vicentino 

Sovizzo 

Torri di Quartesolo . 



pag 



248 
I 

249 

» 
250 



H. — Distretto e Mandamento di Arsi^nano. 



Arzignano .... pag. 251 

Altissimo B 252 

Chiampo » i 



Crcspadoro . . . 
Montorso Vicentino 
Nogarole Vicentino 



pag. 252 

I B 

. B 253 



pag. 251 



San Giovanni Ilarione pag. 253 
San Pietro Mussolino . b b 
Zermeghedo . . . . b b 



HI. ^ Distretto e Mandamento di Aslafl^o pag. 253 

Rotzo pag. 259 



Asiago pag. 254 

Enego B 257 

Foza B » 



Gallio pag. 258 

Lusiana b b 

Roana b b 



IT. — Distretto e Mandamento di Barbarano pag. 259 



Barbarano .... pag. 259 
Albettone ...'.. b 260 

Castegnero b 261 

Grancona b b 



Mossano pag. 261 

Nanto B B 

San Germano de' Berici h » 
Sossano b b 



Villaga pag. 262 

Zovencedo b b 



¥• ~~ Distretto e Mandamento di Bassano 



pag. 262 



Bassano pag. 

La città B 

Edifizi sacri . . . b 
n ponte coperto sul 
Brenta . . . . b 
n Museo . . . . B 
Istruzione pubblica e be- 
neficenza . . . . B 



263 

B 

265 
268 



270 



Arti ed industrie . pag. 

Cenno storico . . . b 

Uomini illustri . . b 

Campolongo sul Brenta » 

Cartigliano b 

Cassola b 

Cismon B 

Mussolentc b 



271 
272 
276 

B 

277 



Dintorni b b Pove b 278 



Romàno d'Ezzelino 

Rosa 

Rossano Veneto . 
San Nazarìo . . 
Solagna .... 
Tezze .... 
Valrovina . . . 
Valstagnu . . . 



pag. 



278 

B 

279 



B 

280 



TI. » Distretto e Mandamento di lionig^o 



Lonigo pag. 282 

Agugliaro b 284 

Aloute B B 

Campiglia de* Berici b b 



Gambellara . . . pag. 284 
Montebello Vicentino . b 285 
Noventa Vicentina . . b b 
Orgiano b b 



Pojana Maggiore . 
Sarego . . . . 



pag. 280 

pag. 285 
. B 286 



TII. ^ Distretto e Mandamento di Marostica pag. 280 



Marostica .... pag. 286 

Breganze b 288 

Conco B B 

Crosara b b 

Fara Vicentino . . . b b 



Mason Vicentino . . pag. 289 

Molvena b b 

Nove B B 

Pianezze b b 

Pozzoìeone b 290 



Salcedo pag. 290 

Sandrigo » b 

Schiavon » a 

Vallonara b b 



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470 



Indice delle malerie 



TIH. - Distretto e Handamento di Schio 

.... pag, 



Schio 
Arsiero . 
Forni 
Laghi . 
Lastebasse 
Magre . 









1 


392 
298 
299 










1 


» 










1 


300 



Malo pag. 300 

Monte di Malo ... m 301 

Piovene » » 

Posina » I 

Santorso » 302 

San Vito di Leguzzano . i > 



IX. — Distretto e Mandamento di Tliiene 



Thiene pag. 306 

Caltrano i 307 

Calvene v i 

Carré »» » 



Cogollo pag. 307 

Lugo di Vicenza . . . i » 
Marano Vicentino . . i i 
Sarcedo » 308 



X. — Distretto e Mandamento di Taldai^o 



Valdagno . . 
Brogliano . . 
Castelgomberto 



pag. 309 
. » 310 



Comedo pag. 310 i 

Novale » » 

Recoaro » 311 I 



Torrebelvicino 
Tretto . . . 
Valli dei Signori 
Velo d'Astice . 



Villaverla 
Zane . . 
Zugliano 



pag. 291 

pag. 303 
. » I 
. I 304 

V I 



pag. 306 
pag. 308 



pag. 308 

Trissino pag. 314 



PBOTIIfCIA DI PADOTA 



I. Confini, popolazione e divisione ammini- 
strativa pag. 315 

II. Orografia, geologia, idrografia, viabilità e 

climatologia i 316 



III. Istruzione pubblica pag. 319 

IV. Bilancio provinciale, economia, finanze a 320 
V. .\gricollpra i 321 

Vi. Statistica industriale e commerciale . » 322 



I. ^ Distretto di Padova pag. 322 



Padova pag. 323 

La città » 

Topografia . . . . i 
Edifizi monumentali e 
pubblici .... I 
Edifizi privati e storici » 
Chiese ed edifizi sacri i 
Monumenti varii . . • 
Teatri e giardini . . b 
Padova benefica . . i 
Idrografia patavina (fiumi, 
ponti , canali , acque- 
dotti) I 

Mura, porte e bastioni b 



» 
I 

325 
342 
345 
362 
366 
368 



369 
372 



Cenno storico . . 

Cittadini illustri . 
Gli artisti . . 
Abano Bagni . . . 
Albignasega . . . 
Cadoneghe .... 
Campodoro. . . . 
Carrara San Giorgio 
Carrara Santo Stefano 
Casal Ser Ugo . . . 
Cer Varese Santa Croce 
Limona . . . . . 
Maserà di Padova 
Mestrino .... 



pag. 



376 
404 
405 
407 
409 
410 

I 

I 

I 
411 

» 
412 

B 
I 



Noventa Padovana . pag. 

Piazzola sul Brenta . . « 

Ponte San Nicolò . . t 

Rovolon » 

Rubano i 

Saccolongo tt 

Saonara » 

Selvazzano Dentro . . b 

Teolo B 

Tor reglia » 

Veggiano » 

Vigodarzcre . . . . b 

Vigenza B 

Villafranca Padovana . b 



413 

B 

k 

> 

4!i 



415 

B 

416 

B 

417 

B 



II. — Distretto e Handamento di Campo San Piero 

. . . pag. 420 



pag. MI 



Campo San Piero 
Borgoricco . . . 
Campo d'Arsego . 
Campo San Martino 
Curtarolo . . . 



pag. 418 
. B 419 



B 

420 



Loreggia . . . 
Massanzago .... » 
Piombino Dese ...» 
San Giorgio delle Pertiche m 
Santa Giustina in Colle, b 



B 

42! 



Trebaseleghe . . . pag. 421 
Villa del Conte ... « 422 
Villanova di Campo San 
Piero » • 



III. » Distretto e mandamento di Cittadella pag. 422 



Cittadella .... pag. 423 

Carmignano di Brenta . b 426 

Fontaniva » b 

Galliera Veneta ... « 427 



Cazzo pag. 427 ' San Pietro in Gù. 

Gran torto b b Tombolo . . . 

San Giorgio in Bosco . b 428 ^ 

San Martino di Lupari . b b 



pag. 428 
. i 429 



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Indice delle figuro 



471 



IT. — Distretto e Mandainento di ConselTe 



Conselve . . . 

Agna 

Ànguillara Veneta 



pag, 430 1 Arre pag, 432 

B 434 I Bagnoli di Sopra . . . i i 
. a 432 : Candiana i 433 



Carlura .... 
Terrassa Padovana 
Tribano. . . . 



pag. 429 

pag. 433 

V • 

n I 



¥• -* Distretto e mandamento di Este 



Este pag. 434 

Baone • 442 

Barbona i 443 

Carceri » i 

Cinto Euganeo ...» 444 



Lozzo Atestino . . pag. 444 

Ospedaletto Euganeo » 445 

Piacenza d'Adige . . . u 446 

Ponsò »j » 

Sant'EIena » » 



Sant'Urbano . . 
Vescovana . . . 
Vighizzolo d'Este . 
Villa Estense . . 
Vò 



pag. 434 
pag. 446 



447 

448 

k 



TI. — Distretto e Mandamento di Monselice 



Monselice . . 
Arquà Petrarca 
Battaglia . . 
Boara Pisani . 



pag. 



449 
454 
455 
456 



Galzignano .... pag. 456 j Solesino. 

Pernumia ni \ Stanjrhella 

Pozzonovo •• 457 | 

San Pietro Vi minano . « » i 



pag. 448 
pag. 457 



TU. ^ Distretto e Mandamento di 9Iantas:nana 



pag. 457 



Montagnana . . 
Casale di Scodosia 
Castelbaldo . . . 
Masi 



pag. 458 
. » 459 



Megliadino San Fidenzio p. 460 

Megliadino San Vitale . n i 

Merlara h i 

Saletto i. I 



S.» Margherita d'Adige p. 461 
Urbana » i 



TIII. — Distretto e Mandamento di Piove di Sacco 



pag. 461 



Piove di Sacco . . pag. 462 
Arzer Grande. . . . ■ 463 

Bovolenta n 464 

Brugine m i 



Codevigo .... pag. 464 

Correzzola » 465 

Legnaro » ■ 

Polverara » » 



PonteJongo. . . . pag. 465 
Sant'Angelo di Piove di 
Sacco » 466 



■ »«< ^ooo»»>» ^ * 



FIGURE 



Verona. 

1. Ponte della Pietra pag. 

2. Arena od Anfiteatro i 

3. -- Interno » 

4. — Esterno » 

5. Porta dei Borsari » 

6. » dei Leoni u 

7. B maggiore della basii, dì S. Zenone n 

8. Basilica di San Zenone e Torre detta di 

Pipino » 

9. Chiostro di San Zenone i 

10. Duomo: Facciata i 

41. — Porta principale » 

12. — Abside » 

13. — Porta laterale all'abside ...» 

14. Porta del Palazzo Vescovile ...» 
15^ Scalinata esterna del cortile del palazzo 
16) della Ragione n 

17. Cortile del palazzo della Ragione » 

18. Piazza Erbe d 

19. Tomba degli Scaligeri: Mastino II della 

Scala » 

àO. — Giovanni della Scala .... » 

21. — Cansignorio della Scala ...» 

22. Chiesa di Sant'Anastasia o 





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17 


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B 


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40. 


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41. 




42. 


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43. 


35 


44. 


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45. 


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46. 



Porta della chiesa di S. Pietro Martire p. 

Chiesa di San Pietro Martire ...» 

» di San Fermo Maggiore . . 

— Dettaglio della facciata . . . 
Chiesa di S. M. in Organo : Candelabro 

in legno di noce scolpito . . 

— Stalli della Sagrestia .... 

— Dettaglio del Coro 

Loggia o palazzo del Consiglio . . 
Palazzo Canossa 

» Bevilacqua 

Chiesa di San Giorgio Maggiore . . 
Porla Xuo\ a 

» del Palio 

Palazzo Portalupi 

» della Gran Guardia Vecchia . 
Porla del palazzo Barba ran . . . 

» • Da Lisca . . 

Palaz/o del Comune 

Monuiiicnlo a Dante 

» a Paolo Caliari il Veì*onese 
Ponte di Castel Vecchio 

» delle Navi 

» Umberto I 

Tomba di Giulietta 



38 
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» 

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Indice delle figure 



San Xiefaela Extra. 

47. Santuario della Madonna di Campagna p. 94 

Sonunaoainpagiuu 

48. Ossario di Custoza pag. 156 

Yillaftanoa di Verona. 

49. llonamento del Quadrato del 34 giugno 

1866 pag, 157 

FerroTle del Brennero. 

50. Panorama del Rittnerhom . . . pag. 168 

51. Santuario delle Tre Fonti presso Trafoii 169 

Trento. 

52. Angolo del Duomo . : . . . pag, 175 

53. Fontana in piazza del Duomo. . . i 177 

54. Torre Vanga » 179 

55. Il Tribunale • 181 

50. Palazzo Tabarelli ... . . i 183 

57. n Cimitero i 185 

Bovereto. 

58. Palazzo Rosmini pag, 195 

59. Monumento ad Antonio Rosmini . . i 197 

Vioensa. 

60. Basilica Palladiana pag. 217 

61. Scalinata della Basilica Palladiana . • 218 

62. Duomo: Facciata i 219 

63. — Porta principale • 220 

64. — Veduta generale i i 

65. Porta della chiesa di San Lorenzo . i 221 

66. Chiesa di San Lorenzo i » 

67. Chiesa di SanU Corona . . . . i 222 

68. — AlUre del Rosario i 223 

69. Porta delFOratorio di San Marcello . i i 

70. Antico palazzo del Comune e Torre Mag- 

giore I 224 

71. Residenza del Municipio o palazzo Pre- 

fettizio I I 

72. Teatro Olimpico i 225 

73. Palazzo Chiericati, ora Museo Civico > 226 

74. Monumento ad Andrea Palladio . . i 227 

75. Porta del palazzo già Thiene, ora della 

Banca Popolare • 228 

76. Porta del palazzo Da Porto . . . i i 

77. Palazzo Valmarana i 229 

78. I Porto-Barbara n i i 

79. Cortile del palazzo Porto, ora Colleoni i 230 

80. Battente della porta del palazzo Loschi, 

ora ZWefi Dal Verme . . . i i 

81. Palazzo Bonin, già Thiene .... i 231 

82. La Cà d'Oro, ora palazzo Da Schio . » 232 
S?. Porta del palazzo Da Schio ... i 233 

84. Palazzo Porto, poi Biblioteca del Semi- 

nario I » 

85. Casa Perecini, ora Dormitorii economici i 234 

86. Santuario di Monte Berico . . . . i 235 

87. Porta della chiesa antica di Monte Berico i i 

88. Chiostro del Santuario di Monte Berico i 236 

89. La Rotonda del Palladio .... i 237 

Baseano. 

90. Via Venti Settembre pag. 264 

91. Ponte coperto sul Brenta e Castello . i 265 



92. 
93. 
94. 
95. 



Torre Eceliniana pag. 

Pronao della chiesa di San Franceeco i 

Chiesa di San GioTanni Battista i 

— Il Baltewimo di Gesù^ altorilieTo in 

terracotta attribuito a Luca della 

Robbia I 

Museo: Sala Canovìana . . . . i 
Porta Vecchia e chiesa degli Angeli i 

98. Via Principe Amedeo e Porta Dieda > 

99. Casa Lazzaro Bonamico .... » 



96. 
97. 



265 
266 

267 



269 

I 
271 
273 

275 



I«oniffo. 



100. Nuovo Tempio .... 

Karoetica. 

101. Piazza e palazzo Municipale 

Schio. 

102. Chiesa di Sant* Antonio . . 

Thiene. 

103. CasteUo dei Colleonl . . 



. pag. 281 

. pag. 287 

. pag. 293 

. pag, 305 



104. R. Stabilimento balneo-idroterapico p, 311 

105. FacciaU del Grande Albergo e R. Bagni i 312 

106. Fonte Lelia i 313 

107. Fonte Giuliana i • 



108. 
109. 
110. 
111. 
112. 
113. 

114. 
115. 
116. 
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119. 
120. 
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123. 
124. 
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126. 
127. 
128. 
129. 
130. 
131. 



132. 



PadoTa. 

Caffé Pedrocchi fiog 

Palazzo della Ragione 

~ Dettaglio di fianco. . . . 

Palazzo delle Debite 

Portico del Palazzo delle Debite . . 
Loggia del Gran Consiglio, ora Gran 

Guardia . 

Scuole elementari 

Nuove Scuole Comunali .... 
Loggia Amulra o Municipale. . . 
Osservatorio astronom. deirUniversità 

Torre detta di Galileo 

Casa abitata da Galileo 

Palazzo Giuslinian 

Basilica di S. Antonio: Abside e cupole 

~ Candelabro in bronzo cesellato di 
Andrea Briosco, detto il Riccio 
Interno della chiesa di Santa Giustina 

Chiesa degli Eremitani 

Cappella dell'Annunziala neirArena 

— Fuga in Egitto^ aff^resco di Giotto 

— Cristo tnorlo^ affresco di Giotto 

Facciata del Cimitero 

Interno del Cimitero 

Monumento del Gattamelata . ■ . 

I a G. Garibaldi . . . 



325 
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360 
361 

I 
363 
364 
365 
367 



Camino nella 
roldi 



Konselloe. 

• Cà Marcello i , ora Gi- 
pag, 452 



Tavole separate. 

Pianta della Città di Verona . . 



pc^f, 16 



13 



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