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S(b£>^G»i?
BENEDETTO SOLDATI
LA POESIA ASTROLOGICA
NEL QUATTROCENTO
RICERCHE E STUDI
IN FIRENZE
G. C. SANSONI, EDITORE
1901)
PKOritlETA I ETTKKA1J1A
Firenze, Stali. Q. CT»m— chi e figli - Piazza Mentii na
A MIA MADRE
INDICE
Pkkkazione Yag. vii
Introduzione 1
Capitolo I. — Basinio da Parma 74
» II. — Lorenzo Bonincontri da San Miniato 105
III. — I due poemi del Bonincontri lr>4
IV. — Giovanni Pontano e la confutazione del Pico . . .199
» V. — I poemetti astrologici del Pontano 254
Indici dei nomi e delle cose notevoli 315
PREFAZIONE
Parecchi anni fa, mettendomi a studiare la figura
poetica del Pontano, alla quale mi attirava una sin-
golare ammirazione, mi proposi tre ordini di ricerche:
la ricostruzione critica del testo di tutti i Carmi, il
commento letterario e storico delle liriche, l'illustra-
zione estetica e scientifica dei poemetti astrologici. Al
primo proposito diedi già compimento con l'edizione,
condotta sulle stampe originali e sugli autografi, ed
uscita per i tipi del Barbèra nel 1902; a soddisfare al
secondo, che per sua natura richiede maggior varietà
e difficoltà pratica d'indagini, continuo ad attendere,
quando le comodità della residenza e dei libri me lo
permettono, senza fretta e con fiducia di vederne forse
presto la fine ; il terzo, in origine assai più modesto,
mi s'è venuto a poco a poco allargando, approfondendo,
si che n1 è sorta in ultimo la presente monografia.
Alla quale sono arrivato quasi senza volerlo, lascian-
domi guidare dalla forza oggettiva dei fatti e dei do-
cumenti, che la curiosità critica e lo scrupolo di veder
chiaro in ogni questione nuova, venivano accumulando
nelle mie carte. Accadde cosi che la ricerca degli ante-
cedenti di quel genere poetico, che possiam chiamare
astrologico, cioè dei primi anelli di quella catena, della
quale il Pontano rappresenta l'estremità a noi più vi-
Vili PREFAZIONE
cina, mi rivelasse, tratte dalla penombra, le figure
del Basini e del Bonincontri ; onde la necessità di stu-
diare, uno per uno, questi scrittori, mettendoli nel
rilievo corrispondente al merito delle loro opere, rites-
sendone, ov'era troppo oscura, la biografia, come av-
venne per l'astrologo miniatese, e ricercandone i reci-
proci nessi e le differenze. Né questo soltanto; ma l'in-
terpretazione dottrinale dei due poemetti pontaniani.
e degli altri ad essi contemporanei, mi rese indispen-
sabile la conoscenza diretta ed estesa del problema
astrologico, non solo ne' suoi rapporti con la lettera-
tura, ma in sé, cioè dal punto di vista filosofico e re-
ligioso; onde anche qui il bisogno di addentrarmi nello
studio di apologie, confutazioni e controversie, prima
per importanza quella suscitata da Giovanni Pico della
Mirandola. Inoltre la rigogliosa fioritura dell'astrologia
e della poesia didascalica nel secolo dei miei autori,
voleva pure, in una introduzione un pò1 larga, la sua
giustificazione storica ed ideale: storica, con Tesarne
dell'ambiente; ideale, con la rievocazione della scienza
e della poesia del cielo classica e del Medio evo, delle
quali queste dei nostri umanisti furono, ad ora ad ora,
continuazione, copia o svolgimento. Orbene, da tutte
codeste necessità mi fu, senza sforzo, suggerito il nuovo
assetto del libro, dove ciascuna questione, ciascuna
faccia del tema, ciascun gruppo di notizie trovasse lo
spazio a sé conveniente, e conferisse, senza aduggiarla.
all'economia generale dell'opera, di cui Y Urania e le
Meteore non fosser più il centro, ma una parte soltanto.
La concezione, come si vede, fu dunque spontanea,
e per questo ho voluto ricordarla, intendendo cosi di
esporre anche il metodo che ne diresse l'esecuzione: me-
todo analitico solo in alcuni particolari, ma nel coordi-
namento e nel fine essenzialmente sintetico. Il quale
PREFAZIONE IX
perciò presupporrà un'analisi esauriente ed una com-
piutezza di ricerche, a cui nessuna deficienza possa rim-
proverarsi? Presumer tanto, soprattutto in un campo,
come il nostro, prima in gran parte inesplorato, sa-
rebbe superbia e forse stoltezza, né io pretendo chiuder
l'adito a nuovi studi sul medesimo tema. Anzi voglio
io stesso additare una omissione, doverosa e volontaria,
e richiamar su di essa l'attenzione dei competenti, cioè
degli scienziati. Giacché si tratta appunto del valore
matematico ed astronomico dei poemi da me veduti,
che io non seppi, e perciò non volli, toccare, ma che
con tutta probabilità darebbe materia d'un bel saggio
a chi, servendosi delle mie fatiche bibliografiche, con
piccolo incomodo volesse tentarne la prova. Raccogliendo
l'invito, egli porterebbe un contributo notevole alla sto-
ria del nostro Rinascimento, illustrandone la coltura
scientifica, non ancor tutta nota o bene apprezzata.
Un contributo intanto a codesta storia, sotto altro
punto di vista, è pur questo mio scritto, il quale perciò
ebbe cortese accoglienza nella Biblioteca che il prof. F.
P. Luiso dirige con tanto amore, e la Casa Sansoni pub-
blica con tanto vantaggio degli studi. All' una e all' al-
tro vadano i miei ringraziamenti sinceri.
Messina, luglio 1905.
B. S.
INTRODUZIONE
I. Importanza del tema e limiti del presente lavoro. — II. In grazia di quali
elementi suoi costitutivi il genere didascalico-astrologico possa avere un valore
estetico. — III. Breve storia della poesia del cielo nell' antichità classica e nel
Medio evo: il primo periodo o periodo astronomico arateo. — IV.-I1 secondo pe-
riodo astrologico maniliano. — V. Il terzo periodo cristiano medioevale.
Leggansi il Burckhardt, il Voigt, il Rossi, il Monnier, o
qualsiasi altro libro che abbracci in un solo sguardo, con le
molteplici espressioni della civiltà della Rinascita, i prodotti
letterari del Quattrocento, e si vedrà di leggieri quanto nume-
rosi siano in quel secolo, e specialmente verso la fine di esso, i
poemi didattici, e soprattutto quelli che sogliamo chiamare di-
dattico-scientifici ; poemi, dei quali si ebbe una bella fioritura,
in continuazione diretta di questa accennata, anche nella prima
metà del Cinquecento. Si vedrà pure che ad essi non fa difetto
la varietà del contenuto, ora assai comprensivo, ora ristretto a
questa o a quella scienza, a questa o a quell'arte. Apparten-
gono quasi tutti a poeti umanisti e sono scritti in latino: circo-
stanza essenziale, vincolo che li unisce meglio in un sol genere
e ne rende la presenza storicamente notevole. Questa infatti ci
prova che al grande rinnovamento del secolo decimoquinto prese
parte diretta quella poesia umanistica, che a torto riteniamo
superficiale, per quanto sovraccarica d' ornamenti rettorici, fa-
cendosi divulgatrice del sapere, fosse questo realmente scien-
tifico, oppur tale allora venisse créduto. Il gran numero e il
valore dei poemi didattici, a scrivere i quali l'umanista fon-
deva insieme, non sempre, è vero, ma piò di una volta fe-
licemente, la sua doppia qualità di. filosofo e di artista della
Soldati 1
2 INTRODUZIONE
parola, ci rivelano vie meglio la reale natura degli studi e
degli sforzi di quella età, che fu nello stesso tempo di tran-
sizione e di fiore. Attraverso a quegli esametri lucreziani scor-
giamo spesso due tendenze dello spirito, proprie l'ima e l'ul-
tra del Rinascimento: la ricerca del vero e quella del bello.
del vero nel contenuto dottrinale, del bello nella forma poe-
tica. Allo stesso modo, nel campo dell'arte, Leonardo da Vinci
non sapeva concepire la pittura e la scultura se non come
l'espressione bella e sensibile d'un vero, ch'egli andava stu-
diosamente ricercando per via d'esperienze e di meditazioni. '
Ora è strano in verità il constatare che la critica sembra
essersi dimenticata di studiare con quell'adeguata larghezza,
che l'importanza del tema richiede, codesta poesia didattica
del Rinascimento. Pare che quest' angolo del grande campo
umanistico sia rimasto inavvertitamente incolto, onde pre-
senta a chi lo osservi passando un aspetto non molto dissimile
dal manzoniano orticello di Renzo. Perciò io mi son provato,
con queste indagini, a trarne quei frutti, che da molti indizi,
anche ad un primo assaggio, prometteva: non affrontando tut-
tavia il lavoro intero, mi sono assunto di esso la parte princi-
pale. Nel genere didascalico ho segnato dei limiti interni, sce-
verando dal rimanente una porzione, che ho intitolata della
poesia astrologica ; ed in questa porzione ho approfondito, per
quanto le forze ed il tempo me l'hanno concesso, le ricerche
e gli studi comparativi. Sotto il nome unico di poesia astro-
logica ho compreso tutta la poesia, in parte edita, in molta
parte inedita che nacque dall'astrologia giudiziaria non solo,
ma anche dall'astronomia e dalla meteorologia, e ciò non per
un arbitrio, ma perché effettivamente, al tempo cui mi riferi-
sco, anche l' astronomia e la meteorologia orano considerate e
trattate come immediatamente dipendenti dal principio astro-
logico, e la poesia che di esse si nutriva ben meritava quindi
1 B. Croce, Estetica, Milano, Palermo, Napoli, 1902, p. 1-7, riportando
un giudizio del Bohinski, Poet. d. Renaiss., p, 86, intorno ali»' teoriche
tiche e letterarie del Rinascimento, che può giovare alle nostre atìVrmazioni.
«lice che e il Hi nascimento a ragione non distingueva tra i generi «li p
la poesia didascalica, giacche, per esso, ogni poesia era sempre didascalici ft.
INTRODUZIONE 3
questo nome. Perché poi io abbia scelto questa porzione della
poesia didattica a preferenza di qualunque altra, ecco ciò che
dimostrerà il mio lavoro, e che in poche parole si può fin d'ora
preannunziare.
La storia delle scienze e' insegna che prima della chimica
e della fisica, prima delle altre discipline naturali, si è ma-
turata la scienza del cielo ; e non a caso, cioè per una fortuita
grande scoperta, ma per l'intensità, con la quale il problema
astronomico venne indagato in tutti i suoi punti dagli studiosi.
Il lavorio delle menti intorno ai misteri dell' universo e della
sfera celeste, a non tener conto dell'età classica, data dal pe-
riodo arabico, e va crescendo di estensione e di alacrità nel-
l'Occidente durante il secolo decimoterzo e il decimoquarto;
nel decimoquinto e decimosesto raggiunge la sua massima po-
tenza e nello stesso tempo conquista, perseverando, quella ipo-
tesi fondamentale, che da sola crea la scienza del periodo mo-
derno. La scoperta copernicana costituisce il frutto del Rina-
scimento nel campo astronomico; fatto che non bisogna dimen-
ticare, perché è per noi una riprova del favore che gli studi
astronomici ebbero in quel tempo, quando il dedicarsi ad essi
rappresentava al cospetto delle persone colte un titolo emi-
nente di gloria: e per il concetto elevato che delle difficoltà
della scienza, allora, al pari di oggi, si aveva; e per effetto
della tradizione classica, consacrata in un celebre giudizio
virgiliano, che ricantava felice lo scrutatore degli arcani della
Natura; infine per il mistero che circondava ogni astronomo,
in cui si riconoscessero la dottrina e la pratica dell' astrologia
giudiziaria. L'importanza morale dell'astrologia non credo in-
fatti sia mai stata cosi grande, neanche in pieno Medio evo,
come nel secolo decimoquinto, specialmente in Italia, dove il
risveglio degli studi sopra accennati fu pure più intenso. Niuna
meraviglia quindi che una poesia, la quale facesse tema della
propria ispirazione una dottrina cosi universalmente coltivata
estimata, assumesse capitale importanza; importanza che gli
stessi fatti letterari, che ne derivarono, valgono, come la più
bella prova, a dimostrare. Invero il numero dei poemi astro-
logici, messo in confronto con quello delle opere poetiche dida-
4 INTRODUZIONE
scaliche d'altra contenenza, si mostra non di poco sui>eriore:
son cinque poemetti, due dei quali, come esporrò a suo luogo,
di non piccola mole. Ma di tutto ciò dirò con la dovuta lar-
ghezza nel corso del lavoro, pago perora d'aver indicato, in
due parole, il grado d'opportunità ed il valore dell'argomento,
a cui mi sono rivolto.
Però avanti di entrare, come si suol dire, nel cuore della
trattazione, mi conviene insistere ancora per poche pagine sopra
due questioni d'ordine generale, onde rendere più spedito il
nostro cammino. E prima la questione estetica: quali rapporti,
nei poemi scientifici in genere, negli astrologici in ispecie, in-
tercedono fra la scienza e l' arte, fra il contenuto scientifico e
la forma poetica? In secondo luogo sarà indispensabile uno
sguardo rapido alla storia della poesia del cielo nei secoli che
precedettero il decimoquinto, sia nell'intento di giovare alla
compiutezza del quadro, che mi accingo a tratteggiare, sia per
evitare la noia di troppo estese citazioni quando mi toccherà
di stabilire le fonti dei poemi o dei brani di poemi studiati.
II.
Il poema astrologico, cioè quel componimento letterario che
l'antichità e il Rinascimento ci tramandarono con questo nome,
nella sua più semplice espressione, a parte i versi, somiglia
assai ad un trattato d'astrologia. Un trattato d* astrologia, il
quale naturalmente presuppone nell'autore la cognizione, per
una parte, della sua scienza, sia che di essa egli taccia pro-
fessione, come accadde a parecchi degli scrittori di cui ter
remo discorso, sia che ne abbia preso notizia in una data oc-
casione; per l'altra parte poi presuppone l'intento di non
arrestarsi all'esposizione nudamente scientifica, la quale, del
resto, se condotta in forma « perfetta, ordinata, perspicua, so-
bria », * già a rigor di termini si potrebbe dire artistica, ma
1 B. Crock, Antiestetica e antifiìosofia, in La Critica, Napoli. 190:1, I,
i\, j>. 318. Vedi pure dello stesso autore Estetica, cit., i». 88, <• K. Bruta**
INTRODUZIONE 5
di spingersi ad una esposizione ampliata, a cui s'aggiunga
alcunché di estraneo al puro necessario. In questo alcunché
sta appunto, in vario grado, la poesia.
Giacché la poesia è nell' anima umana, ed in nessun luogo
all' infuori di essa ; la poesia è la vita artistica che assume,
attraverso al sentimento nostro che le cede una parte di sé,
la natura interiore ed esteriore, la quale nella sua realtà og-
gettiva ha assoluta mancanza di quel calore, di quella umanità,
che per l'appunto noi siamo abituati a chiamare elemento poe-
tico. La poesia insomma è un' aggiunta nostra, è un colorito
che noi diamo alla natura, ed è quindi di un grado più avan-
zata della semplice espressione artistica. Nel caso speciale
del poema astrologico, mentre la nuda sobrietà di un trattato
può esser bella, e soddisfare perciò al nostro gusto estetico,
avremo vera poesia solo quando l'autore-poeta avrà aggiunto
alla trattazione oggettiva qualche elemento soggettivo forte-
mente sentito. Quell' alcunché, quel di più che costituisce
l'aggiunta poetica, nascerà dunque dal contatto dell'anima
umana col fenomeno fisico osservato o pensato, 1 il quale
verrà cosi sottoposto ad un processo, che potremo chiamar
umanizzatore.
Ora un primo modo di umanizzare un fenomeno naturale
è quello di personificarlo: cioè, descrivendo o narrando, sosti-
tuire in esso all'azione fisica inconscia un'azione conscia e
morale. È questo un procedimento assai frequente, che possiamo
notare e di cui è facile distinguere diversi gradi di sviluppo.
Non sempre infatti la trasformazione è completa, ma a volte
è appena accennata e quasi un principio di essa; come si può
osservare, per via d'esempio, nei seguenti versi di Dante:
Di una nuova estetica, Nota dell' Accademia reale delle scienze di Torino,
Torino, 1903, p. 14.
1 Non credo sia necessario insistere sul fatto che il fenomeno naturale
può diventar poesia anche se non è percepito direttamente dal poeta, ma
a lui perviene attraverso l'ammaestramento della scienza. Perciò ho detto
che il contatto può avvenire sia con l'osservazione, sia con la meditazione.
Di certi fenomeni astronomici infatti noi non possiamo aver conoscenza
se non per mezzo dei calcoli; né essi sono per questo meno adatti ad ispirar
poesia.
6 INTRODUZIONE
Quando colui che tutto il mondo alluma
Dell' emisperio nostro si discende,
Che il giorno d'ogni parte si consuma,
Lo ciel che sol di lui prima s'accende,
Subitamente si rifa parvente
Per molte luci, in che una risplende. l
In questa descrizione la figura umana del Sole, del cielo, delle
stelle la s'intravede singolarmente nell'uso dei verbi riflessivi,
i quali sembrano presupporre una certa coscienza dell* agire
proprio; ma ancora è senza contorni e sbiadita. Non è più tale,
bensì piena, esuberante di vita, nell'altra mirabile similitudine :
Quale nei plenilunii sereni
Trivia ride tra le ninfe eterne,
Che dipingono il ciel per tutti i seni. 8
Oh, qui la poesia trionfa! qui un corpo celeste, per effetto
della sua apparenza suggestiva nelle notti sgombre di nubi,
è concepito e descritto dal poeta come persona, come dea, nel-
l'atto essenzialmente umano del riso, e gli astri come ninfe
nell'atto di dipingere, di adornare dei loro fuochi in ogni seno,
in ogni plaga il firmamento.
Però si può andare più avanti, e scoprire un processo di
umanizzazione più profondo ancora, per la prevalenza esclu-
siva dell'elemento morale. Si può, ad esempio, osservare in clic
modo un poeta abbia saputo dar aspetto sentimentale alla le
fisica dell'attrazione e repulsione magnetica, legge che scien-
tificamente si suol rappresentare per mezzo di formule nume-
riche. Questo poeta — ci sia permesso un salto alquanto ardito
dopo le citazioni dantesche — è lo Chénier, al quale appar-
tiene il verso :
Les èlèments divers, leur haine, leur amour. 3
Non dunque rapporti fisici fra i corpi, ma odio e amore, sen-
timenti dell' anima nostra.
1 Paradiso, xx, 1.
* Paradiso, xxm, 26.
1 Nei frammenti ih'.W Hermes, in Oiuvres poétiqiies rf'A. Ch., Paris, 18T8,
tome 2».
INTRODUZIONE 7
Giunti a questo grado, non è più arduo il passo dalla uma-
nizzazione parziale e frammentaria alla umanizzazione com-
pleta, dalla mistura d'umano e di fisico alla metamorfosi del
fisico in umano, allo svolgersi insomma del mito su dal feno-
meno naturale.
I miti si formano presso i popoli primitivi, e segnano
nella coscienza di essi l'abbandono della vita selvaggia per
un principio di civiltà: ciò avviene quando l'uomo sorpassa
lo stato di adorazione delle forze brute della natura per una
religione naturalistica bensì, ma più gentile e più evoluta, nella
quale gli dèi si individuano e fissano nelle creazioni antropo-
morfe. I miti nascono dal contatto della natura con l'anima
vergine dei popoli giovani, sono il prodotto d'un inconscio pro-
cesso poetico, cioè creatore, e ritraggono perciò fin dall'ori-
gine un profondo significato morale.
Ho detto che i miti germogliano dai fenomeni fisici : pa-
recchi di essi hanno il loro fondamento nei fenomeni del cielo,
e questi cadono perciò nel dominio della poesia astronomica.
Tali, molti degli dèi della mitologia greca e romana, se non
nella loro forma più svolta e corrotta, certo nelle linee primi-
tive : lo Zeus greco, Apolline, Artemide, e tra i romani l' antico
Marte Lucerio. l Appartengono ancora alla mitologia celeste
alcune favole, che si mantennero nella poesia classica fino a
tempi assai tardi, riprodotte anche quando il loro vero signi-
ficato non era più compreso a dovere: ricordo, per citare un
esempio, quello che comunemente si chiama il mito della Ver-
gine, nella sua fase più antica, che troviamo in Esiodo, e che
più avanti io avrò occasione di citare per disteso, traducendolo
dal greco di Arato. Alla vergine Giustizia gli uomini dell'età
dell'oro prestavano un culto devoto, in ringraziamento dei be-
nefizi che da lei continuamente riceveano. Ma quando soprag-
giunse l'età dell'argento, e l'umanità cominciò a scordarsi
della semplice legge di natura per correr dietro ai primi vizi,
forieri della civiltà e del dolore, la Diche severa si andò da
1 Importanti osservazioni intorno a quest' argomento, con richiami agli
studi più recenti, v. in Cablo Pascal, Dèi e Diavoli, Firenze, 1904, p. 61 sgg.
8 INTRODUZIONE
essi allontanando; finché con gli nomini dell'età bronzea la
semplice Dea non ebbe più contatto e rimase dove la corru-
zione non era creduta possibile, in cielo, fatta una sola cosa
con la costellazione della Vergine. È questa — chi non la
riconosce ? — la concezione idealistica della felicità ottenuta
per mezzo della vita di natura, l'idea che in tempi molto più
recenti fece tanto rumore nei libri del Rousseau: mito comune
a tutte le genti primitive, che nasconde una verità, o almeno
una radicata credenza del popolo; i cui legami con la scienza
del cielo, per quanto lenti o anche mascherati, non son meno
visibili, specialmente nella chiusa del racconto.1
Appartiene finalmente alla mitologia del cielo, sia nella
forma teologica, sia in quella propriamente astrologica, buona
parte della demonologia ebraico-cristiana, le cui cica/ioni tro-
viamo nel Genesi da prima, poscia nei Padri, ed essenzialmente
nella fantasia popolare dei secoli di mezzo. Nella Bibbia, al
creatore, per usare una frase dantesca, vengono attribuiti « e
piedi e mani »: a lui si affida « il sesto » ch'egli « volge al-
l'estremo del mondo »; nei Padri la sfera tolemaica è popolata
di gerarchie di spiriti motori, di creature celesti, la cui natura
sovrumana arieggia assai le divinità planetarie del pagane-
simo. 2
Ecco dunque come avviene il massimo e più perfetto grado
di umanizzazione del fenomeno fisico reale, o come tale per-
cepito dagli uomini ; ecco come lo scienziato-poeta — in que-
sto caso scienziato è anche il popolo, come altre volte è sto-
rico, senza saperlo — può esprimere poeticamente la scienza.
Ed ecco come si venne formando quello, che io oso chiama ri-
ciclo epico del cielo, il ciclo cioè delle favole ricollegantisi
con le diverse parti della sfera, cioè coi pianeti, con le costel-
lazioni e coi segni dello Zodiaco.
A questo proposito tuttavia non mi è lecito omettere un' os-
servazione di capitale importanza. Me ne porge il destro un
giudizio, al solito, acuto, del Fraccaroli, il quale in un suo re*
1 L. Preller, Qriechischc My litologie, Berlin, 1872, I, p. 67-68.
* L. F. Alfred Maurt, La magie et l'astrologie Hans V antiqui tr et au
moyen àge, Paris, 1877, hitroduction, j».
INTRODUZIONE 9
cente volume scrive, fra le altre, queste giuste parole: « I
miti delle antiche religioni non sono già favole assurde
combinate insieme da fantasie pazze e sbrigliate, ma hanno
spesso significato profondo ; comecché per altro molte sotti-
gliezze che la critica vi volle scoprire sieno invece esse dei
parti di 'menti inferme. Né certo cotesti miti sono invenzioni
di filosofi e di pensatori, i quali anzi, quando vi posero mano
per emendarli, li guastarono; ne del significato loro fu consa-
pevole il popolo che li creò e li tramandò ; né senza di questo
contenuto, ignoto alla coscienza, ma consentaneo alla natura,
avrebbero ottenuto credibilità o diffusione».1 Inconscia dun-
que e perciò appunto naturale e profondamente umana è l'ori-
gine della mitologia primitiva, da cui vanno distinte le ag-
giunte dei mitografi di età progredite, ai quali la riflessione
bendò gli occhi per modo, che dal soverchio ragionare furono
condotti all'assurdo. E purtroppo la maggior parte delle nar-
razioni che infiorano o sovraccaricano i poemi astrologici,
opera di scrittori eruditi, si ribellano a qualsiasi spiegazione
naturale, né sono altro se non dei racconti romanzeschi più o
men dilettevoli ; nulla in esse che ci riveli un substrato fisico,
nulla che ci riconduca a una fonte veramente astrologica.
Ricordo, come saggio, la redazione meno antica del mito della
Vergine, quale si legge negli scrittori della decadenza greca
e dell'età romana, in Igino per esempio. — Icario, errando per
la Grecia a fine di ammaestrare gli uomini nell'agricoltura,
fu dall' ingratitudine loro ucciso barbaramente. Allora la figlia
sua, la vergine Erigone, guidata dal cane fedele, si mise alla
ricerca del padre, ne scoperse il cadavere e, sopraffatta dal
dolore, si appiccò ai rami d' un albero, sulla sepoltura paterna :
Giove impietosito la trasportò nel firmamento e fece di lei il
sesto segno dello Zodiaco. — Quando la mitologia del cielo è
ridotta a questo, diventa una superfetazione dannosa, i cui
pregi artistici, che pur molte volte non mancano nei poemi
astronomici, sono affatto estranei a quella, che potremo dire
natura intima dell'opera.
1 G. Fkaccaeoli, L'irrazionale nella letteratura, Torino, 1903, p. 62.
10 INTRODUZIONE
Ma busti del primo modo di mutare in poesia l'oggetto della
scienza. Accanto ad esso, che ho chiamato forma epica, un altro
ne esiste a cui conviene il nome di lirica, ed ha carattere assai
diverso dal primo. Giacché mentre per questo il fenomeno fisico
si umanizza e campeggia, per il secondo il fenomeno non ha
importanza diretta, e l'attenzione tutta converge sulla descri-
zione dei moti psicologici, che dal fenomeno furono suscitati
nel nostro interno. In questo secondo caso, che è assai meno
primitivo e presuppone una coscienza filosofica, il poeta eser-
cita sullo spirito proprio, o su quello collettivo del popolo io
mezzo a cui vive, un' analisi, che poi espone nella concitazione
della sua poesia. Del qual processo abbiamo un'aperta con-
fessione dello Zanella, autore, come tutti sappiamo, di belle
liriche scientifiche, nei termini seguenti: « .... non è già 1
getto della scienza, che mi paresse capace di poesia; bensi i
sentimenti, che dalle scoperte della scienza nascono in noi. Per
questo io non ho mai posto mano ad uno di questi sog^
che prima non avessi trovato modo di farvi campeggiare V nonni
e le sue passioni, senza cui la poesia, per ricca che sia d'im-
magini, e senza vita ».•
Abbondare in citazioni allo scopo di provar con esempì una
simile verità, mi sembra inutile; basterà solo ricordare che a
seconda della concezione filosofica, che il poeta s' è fatta del
mondo e dell' uomo, varia non già il grado, ma la qualità dei
sentimenti espressi. Cosi a Manilio il pensiero stoico, nel quale
il fato, e quindi l' immutabilità delle cose eterne e degli dèi,
han tanta parte, suggerisce l'amara riflessione della fugacità e
pochezza delle cose terrene :
Iam tam, cam Graiae verterunt Pergama gentes,
Arctos et Orion adversis froutibus ibant;
Haec contenta suos in vertice flectere gyros,
Ille ex diverso vertentem surgere coutra
Obvius, et toto semper decurrere mando;
Temporaque obscurae noctis deprendere signis
1 Nell.i prefazione dei Versi, Firenze, 1868. Il pauso ò citato e co min «mi -
tato da K. Stampini, a p. l'i del suo studio su Isti lirica scientifica <!■
licgaldi, Torino, 1880.
INTRODUZIONE 11
Iam poteraut, caelumque suas distinxerat horas.
Quot post excidium Troiae sunt eruta regna?
Quot capti populi ? quotiens Fortuna per orbem
Servìtium imperiumque tulit varieque revertit ? l
A Dante un pensiero non molto dissimile 2 deriva da quella
vena di pessimismo che, in rapporto alle cose terrene, serpeg-
gia anche nel cristianesimo; al Leopardi la sconsolata filoso-
fia detta le terribili conclusioni della Ginestra. 3 Mentre in
altri poeti una corrente di pensiero diversa suscita sentimenti
opposti; come, ad esempio, nello Chénier, già ricordato, l'età
entusiastica degli Enciclopedisti, il secolo dei lumi, desta una
strana esaltazione dello spirito umano, vincitore dei misteri del-
l'universo:
Feconde immensité, les esprits magnanimes
Aiment à se plonger dans tes vivants abìmes,
Abìmes de clartés, où, libre de ses fers,
L'nomme siége au conseil qui créa l' univers ;
Où l'àme remontant à sa grande origine,
Sent qu'elle est une part de l'essence divine. *
Un pensiero simile è nella chiusa dell' ode del Monti al Mont-
golfier.
Bimane da esaminare un ultimo punto inesplorato: quale
parte nella creazione degli elementi poetici abbia avuto l'astro-
logia giudiziaria in quanto essa era scienza dei giudizi e delle
predizioni. Darò meglio in seguito un' idea particolareggiata
intorno alla dottrina e alla pratica astrologica, spiegando il
significato di alcuni vocaboli, che furono d' uso comune, come
pronostico, genitura, oroscopo e simili ; qui basti ricordare una
delle capitali teorie, la quale insegnava come all'atto della
nascita — secondo alcuni, anzi, della concezione — di ogni
uomo, la figurazione del cielo, cioè i rapporti delle posizioni
dei pianeti rispetto alle grandi linee del quadrante ed alle
costellazioni, segnatamente a quelle dello Zodiaco — figurazione
che prendeva appunto il nome di genitura — imprimesse nella
1 M. Minili Astronotnicon recensuit F. Jacob. Berolini, 1846, I, 601 sgg.
4 Paradiso, xxn, 133 sgg.
3 Nota della Ginestra specialmente i yv. 157-202.
* In un frammento del poema VAtnerique, in op. cit., tome 2°, p. 128.
12 INTRODUZIONE
costituzione fisica del nascituro o del nascente un detenni nato
temperamento dei famosi quattro umori ippocratei. Ora è noto
come col variare dei temperamenti si ritenessero variabili, e
non a torto, gli stati morali — ora si direbbero i quadri pai
chici — delle persone; ma tutti sappiamo che dall'accosta-
mento o dall'urto di quelli, che comunemente si chiamano ca-
ratteri individuali, nasce la vita collettiva della società, e quindi
la storia. Aggiungasi l'osservazione che a modificare le geni-
ture venivano spesso i pronostici, cioè le interpretazioni di
fenomeni celesti sopraggiunti contro le previsioni iniziali: onde
nuovo arruffio di vicende, di correnti, di ambienti morali. Af-
fidiamo al poeta questa enorme quantità di materia umana,
con la piena libertà di percorrerla in lungo e in largo, sol che di
tanto in tanto ci richiami alla fonte celeste, ed avremo un nuovo
estesissimo campo di poesia ; il tono della quale più che al-
l'epica, più che alla lirica, si avvicina e confonde colla dram-
matica. Ci rappresenterà egli scene lugubri, vite protratte nel
delitto e nel dolore sotto la mano ferrea del fato? avremo la
tragedia. Amerà di preferenza trascorrere in mezzo alla infi-
nita varietà dei gusti, delle arti, degli umori degli uomini I
avremo la commedia. Chi ha letto Manilio non ha bisogno d'es-
sere avvertito ch'io penso in questo momento al delizioso libro
quinto degli Astronomici, e ricordo con insistenza quei \
io cui il poeta, conscio della felicità dell'arte propria, inneg-
gia alla grandezza del suo modello, a Menandro, per entro
alle opere del quale s' intrecciano, di rado dolenti, spesso col
riso sulle labbra, giovani e fanciulle, vecchi padroni e schiavi
ingannatori :
Ardentis iuvenes, raptasque in amore puellas,
Elusosque senes, agilesqae per omnia servos,
Quis in cancta suam produxit saecula vitam
Doctior urbe sua linguae sub flore Menander,
Qui vitae ostendit vitam chartisque sacravit. '
1 M. Manili Astron., V. 473 sgg. Non capisco per «piali ragioni I
Bona in certi suoi appunti su La poesia del cielo da Guittone al Petrarca,
Messina, 1904, pp. 3 e 6, neghi quasi assolutamente all'astrologia giudi-
ziaria la capacita di generar poesia.
INTRODUZIONE 13
La questione estetica è cosi esaurita; gli elementi scientifici
e poetici, dalla combinazione dei quali risulta il poema astro-
logico, sono determinati e studiati nelle loro forme principali
In qual misura, in qual ordine essi si raggruppino, non è
qui possibile registrare, variando assai da un'opera all'altra
il loro rapporto, nel quale appunto consiste il diverso grado
di valore di ciascun poema. Passiamo dunque alla questione
storica.
III.
Nella storia della nostra poesia abbiamo tre periodi di-
stinti : il periodo greco puramente astronomico, nel quale tut-
tavia si gettano le basi di tutto lo svolgimento posteriore; il
periodo classico astrologico, il quale raggiunge il suo massimo
sviluppo nella letteratura romana dell'età imperiale; il periodo
medioevale, che ha come suo carattere precipuo il contatto, ora
in forma di fusione ora di contrasto, fra l'elemento scientifico
d'origine arabo-classica e l'elemento morale cristiano. Mo-
viamo dal primo.
Qualche traccia di poesia astronomica si trova già in Omero :
nel libro deciniottavo dell' Iliade, la cosidetta Oplopoia, son
ricordati abbastanza esattamente il Sole e la Luna, le Iadi e le
Pleiadi, l'Orsa maggiore e il Cane d'Orione. Nel primo libro,
Teti si riferisce ad un principio, incerto ancora, d'influsso ce-
leste, quando rivolge al figlio sconsolato queste parole :
Ora i tuoi giorni
Brevi sono ad un tempo ed infelici,
Che iniqua stella il di eh' io ti produssi
I talami paterni illuminava. l
In più luoghi dell'Odissea è detto che Ulisse conosceva le
principali posizioni degli astri, secondo le quali e' governava la
fortunosa navigazione.
1 Iliade, i, v. 548-551 della trad. del Monti.
14 INTRODUZIONE
Ma una poesia astronomica davvero cosciente s'inizia ora
Esiodo. L'intento del quale, com'è noto, è rivolto alla pratica
misurazione del tempo, in servizio dei lavori campestri ; onde
da lui troviamo descritte poche costellazioni, <|ii»'lle che c«>l
loro apparire sull'orizzonte segnano i limiti delle stagioni. Le
sue descrizioni sono semplici, ed hanno, appunto perché pri-
mitive e di sapor popolare, una fresca vena di poesia: la mi-
tologia celeste vi è naturale e come congenita, gli dèi plane-
tari son rappresentati privi di faccia umana, ma non (rumano
sentire, ora soccorrevoli agli uomini, come il buon Giove pos-
sente,
quando al primo autunno
gran piova riversa,
E si rifa più celere e più snello
Il mortai corpo;
ora invece funesti, come Sirio ardente, che
Degli umani che crescono alla morte
Sovra il capo cammina. l
Dopo Esiodo, nella poesia astronomica e' è un lungo silen-
zio, che non valgono a rompere i poemi di Empedocle e di Par-
menide, nel cui ambito assai più largo le fantasie filosofiche
predominavano, ed alla scienza del cielo, forse per lo scarso
progresso in essa avvenuto, o per il carattere suo ancor troppo
empirico e degno d'essere lasciato ai contadini cai marinai,
era assegnato un posto non principale. 8 Invece al termine di
questo intervallo nasce l'indagine scientifica, e si prolangl
nella tradizione di certe scuole filosofiche greche e greco-ita-
liche fino ai più bei tempi della civiltà ellenica.
Si pone da principio nella scuola pitagorica il problema
delle cosidette retrogradazioni dei pianeti inferiori, il pro-
1 Dalla traduzione clic (J. Canna diede Bel no Saggio di studi sopra il
carine Esiodeo ecc., la Bh, fiìot cianica, Torino, is7i. p. 4M »xg. cfr.
puro S. (ìunthkr, GeschichU der antiken Naturi i .'.'. Ndrdlii
1880, p. 92 sgg.
' A. Cocat, La poesie alexandrine som Ics troia premure Ptoìéme'es, Pa-
ri.s, 188t| p< li...- <• \. Bracai L'AttroìogH gnequt, rari», 1899,
p. il e 76.
INTRODUZIONE 15
blema cioè che tendeva ad una spiegazione razionale delle
anomalie, che si osservavano nel corso zodiacale di Mercurio
e di Venere, dato che il centro delle loro orbite si avesse a
trovare, come credevasi comunemente, nella Terra. Non oc-
corre ricordare che la soluzione pitagorica di tal problema
venne a rimutare profondamente le idee predominanti, ed ebbe
un potente influsso anche sul pensiero di Platone. Giacché Pla-
tone nei primi scritti conservava l'opinione antica, assai più
religiosa e poetica che filosofica, d'un sistema geocentrico, nel
quale la Terra immobile era creduta trapassata da una spola
di diamante, intorno alla quale, col fuso della Necessità, si
avvolgevano le otto spole deferenti, che conducevano in giro i
corpi celesti. Da questo concetto, che si legge nel Fedone, il
grande filosofo era però già passato a concetti meno fantastici
e mitologici, esposti specialmente nel decimo libro della Re-
pubblica e nel Timeo, quantunque sempre rimanesse nell'er-
rore di credere il nostro pianeta centro dell' universo. l « Ma
dopo eh' ebbe presa cognizione delle dottrine pitagoriche, si
senti attratto da quelle, e nelle sue idee cominciò a predomi-
nare il moto diurno della Terra, sia rotatorio, come vuole Ari-
stotele, sia rivolutivo, come appare da Teofrasto. E tanto giunse
a convincersi della verità di questo movimento, che dichiarò
T opinione contraria essere ingrata agi' Iddii, e appena perdo-
nabile alla debolezza di quegli uomini, che non partecipano
alquanto dell'intelligenza divina ».2 Il nuovo indirizzo trion-
fava cosi nella scuola del maestro, dove anzi un discepolo lo
raccoglieva e perfezionava: era questi Eraclide Pontico, al
quale si deve l'aver concepito l'ipotesi che il centro delle or-
bite di Venere e Mercurio sia il Sole, che il Sole sia pure il
centro delle orbite di Marte, Giove e Saturno, che la Terra
abbia un movimento di rotazione intorno al proprio asse, e
finalmente che la Terra abbia pure un movimento annuo di
rivoluzione intorno al Sole. Non mancava che la dimostrazione,
1 E. Zk.i.ler, Die Philosophie der Griechen in ihrer geschichtlichen
Enttoicklung, Leipzig, 1880, II, p. 664 sgg.
2 0. V. Schiapareu.1, I precursori di Copernico neW antichità, in Pub-
bli ras. del R. Osservatorio di Brera, Milano, 1873, p. 22.
16 INTRODUZIONE
o l' affermazione recisa della verità di questa ipotesi ; e que-
sta s' ebbe nei libri di Aristarco di Suino, discepolo di Era-
clide, vissuto sul principio del terzo secolo a. C, il cui sistema.
chi l'osservi nelle sue linee fondamentali, non è altro che il
sistema planetario eliocentrico o copernicano. ì
Disgraziatamente però la teoria eraclidoa rimase in una
stretta cerchia di eruditi, mentre si diffondeva largamente, so-
prattutto per il favore onde più tardi Aristotele l'accolse e la
rese nota in tutto il mondo ellenizzato, per mezzo dell' autorità
dei suoi trattati, una teoria assai diversa, detta delle sfere omo-
centriche, opera di Eudosso da Cnido. Discepolo anch' egli di
Platone, visse nella prima metà del quarto secolo a. 0., apprese
dai sacerdoti di Eliopoli in Egitto i rudimenti della scienza
astronomica, quindi si diede agli studi matematici, fondando
a Cizieo una celebre scuola, ove ebbe a scolaro Polema
E scolaro di Polemarco fu Callippo, pur egli seguace e pro-
pagatore delle dottrine del maestro. Le quali dottrine, esp
nei due principali trattati di Eudosso, intitolati uno YEnopiro
e l'altro i Fenomeni, movevano dallo stesso problema delle
retrogradazioni dei pianeti inferiori, intorno a cui s" era ado-
perato, come abbiam visto, già Eraclide, ma lo risolvevano im-
maginando per il Sole e per la Luna tre sfere, per gli altri
pianeti quattri) ciascuno, concentriche, con vario moto intorno
alla immobile Terra.2 La spiegazione, a cui mancava la base
d'una ipotesi sufficientemente larga, piacque tuttavia perché
ingegnosa dal punto di vista matematico, e i due trattati an-
darono per le mani dei dotti anche in grazia della parte de
scrittiva che contenevano. Infatti, se nella questione dei pia-
neti c'erano delle vere difficoltà, nell'esposizione della si
annessa a quella, le cose si presentavano facilmente ao
bili, soprattutto nell'enumerazione dei catasterismi. cioè delle
ligure immaginarie, animali o mitologiche, tracciate nel cielo
allo scopo di raggruppare in modo convenzionale le stelle t.
1 O. ScHiAPARKLi.i, Origin" del sistema planetario eliocentrico presso i
Greci, in Memorie del K. Istituto lombardo, XVIII, p. (il spjr.
v. BoHUttutu, Le sfere omocentriche di Eudosso, di Callip)>o e
di Aristotele, in Pubblicai, del K. Osservatorio di Brera, Milano, 1876, p. 8.
INTRODUZIONE 17
secondo l'uso già da lungo tempo invalso presso i Greci, e per
la prima volta creato dai Caldei, inventori del più antico Zo-
diaco conosciuto. * Si dice poi che ad agevolare l'apprendi-
mento e la diffusione dei principi eudossiani, fin da quel tempo
si costruissero sfere artificiali simili, anzi del tutto eguali a
quelle, che gli scrittori attribuiscono ad Archimede.2
Tali erano le condizioni della scienza, quando la poesia
riprese di proposito il tema celeste e produsse il più notevole
poema astronomico della letteratura greca, per opera di Arato
da Soli.
Arato, come poeta, è un alessandrino, il che significa un
virtuoso della forma. Cominciò infatti la sua carriera artistica
con epigrammi ed elegie erotiche, gareggiando in eleganza
con Teocrito, che gli fu amico, e con Callimaco, che pure co-
nobbe; fu anche erudito, e legò il suo nome a un'edizione
dell' Odissea. Ospite di re Antigono Gonata, visse lungamente
a Pella, in Macedonia, poeta di corte, in mezzo agli onori, e
quivi scrisse la sua opera principale. La quale, a quanto ci
racconta l'antica Vita di lui, gli fu suggerita dallo stesso re,
mosso a ciò dal grande favore che ancora circondava le dot-
trine di Eudosso, sebbene già un secolo fosse trascorso dalla
loro pubblicazione. 3 Del resto non mai suggerimento trovò
accoglienza più sincera, giacché in tal guisa venivano ad es-
sere soddisfatte due delle maggiori aspirazioni del poeta e in
generale dell'età sua: la ricerca dell'arcaico, a cui in questo
modo si offriva il vecchio e sacro modello esiodeo, e la ricerca
del nuovo, non certo scarso in un tema arduo e divenuto ormai
insolito. Che poi Arato fosse uomo di lettere e non di scienza,
ch'egli non fosse in grado d'informarsi delle più autorevoli
teorie astronomiche conosciute e discuterle ed attenersi alla
migliore, ciò non faceva ostacolo in pieno alessandrinismo : non
1 A. Bouché-Leclercq, op. cit., p. 60.
* G. V. Schiaparelm, Le sfere ecc., p. 51, e Couat, op. cit., p. 4.r»9. Intorno
alle ligure zodiacali ed in generale alla tradizione artistica delle immagini
Mlestl v. il libro di lì. Tuiele, Antike Himmelsbilder, Berlin, 1898, corredato
di sette tavole e molte illustrazioni intercalate nel testo.
3 W. Christ, Geschichte der griechischen Litteratur, Miinchen, 1890, p.4">"».
Soldati 2
18 INTRODUZIONE
v'erano forse li pronti ad esser tradotti in versi i due trattati
eudossiani, la perfezione ed autorità dei quali nessuno si pen-
sava di mettere in dubbio ? l
Il poema d'Arato consta di poco più che un migliaio di
esametri; come la sua fonte principale.8 s'intitola i Feno-
meni, con un nome che, a rigore, conviene solamente alla
prima delle tre parti, in cui si divide, cioè alla descrizione
degli asterismi; alla seconda parte, come si vedrà nell'ana-
lisi, non è assegnato alcun titolo; all'ultima si dà comune
mente quello di Pronostici per il suo contenuto. A capo di
tutta l'opera sta una invocazione a Zeus, in tono di antica
preghiera rusticale, in questi termini : « Sia il principio da
Zeus, che a noi uomini non è lecito passare sotto silenzio:
giacché piene di Zeus sono le campagne e tutte le società
umane, pieni il mare ed i porti; noi abbiamo in ogni luogo
bisogno di Zeus. Di lui noi siamo la schiatta; ed egli nella sua
bontà dà segni fausti agli uomini, invita le genti al lavoro am-
monendo della necessità di trarre il vitto da esso; egli inse-
gna quand' è pronta la terra all'opera de' buoi e degli aratri,
quando è propizia la stagione a dispor le piante nei solchi od
a nascondervi i semi. Perché egli stesso fissò in cielo i segnali,
raggruppando le stelle. Dispose le costellazioni nell'anno. le
quali agli uomini esattamente insegnassero il succedersi delle
stagioni, affinché ogni germe si svolgesse a suo tempo. Per-
ciò lui sempre in principio e in fine dei lavori placano gli no-
mini. Salve, o padre, gran meraviglia, gran bene delle genti,
antico generatore degli dèi E voi salvete, o Muse, ca rissi me
a tutti; a me, per trattar delle stelle, concedete, vi prego, ogni
grazia nel canto ».3 In questa invocazione Zeus rappresenta il
cielo, ed è quindi un mito eminentemente poetico; egli ha l'ini-
1 A. Coimt, op. cit.. p. LM : •• 8. SoBUPAftiui, Le sfere ecc., p. l-\ n. 61.
* Chiamo gli scritti di Eu dosso fonte principale, e non nniea, del poema
aratro riferendomi alla prefazione dell'opera: Arati Phaenometin i
suit etc. H. Maass, Berolini, 1893, dove si addita come seconda fonte un
testo ionico, smarrito e quasi ignoto, detto per Donreniiom
aneli1 esso scientificamente ili scuola ci/.icma.
3 Phaenom., v. 1-1-.
INTRODUZIONE 19
pero su tutte le opere degli uomini, e l'esercita con un influsso
che però non è astrologico,1 ma georgico, onde sorge subito
l'idea della sua derivazione da Esiodo. Seguono poi circa quat-
trocento versi, nei quali vengono descritte le costellazioni, per
ordine, a cominciare dal polo e scendendo in giro verso l'equa-
tore, con indicazioni precise, di solito aride, e tali che ci provano
come il poeta non si sia scostato mai dalla sua fonte: il suo cielo,
come fu già osservato per Eudosso, è una calotta sferica artifi-
ciale coi circoli e le figure scolpite. Anche la forma, cioè il fra-
seggiare, specialmente nei nessi fra un capoverso e l'altro, ha
una parsimonia tutta scientifica, e solo per eccezione s' atteggia
a maggior libertà ed eleganza. Vogliamo leggere un esempio
tipico, per farci un' idea concreta dell'opera? Eccone uno : « Il
non grande Delfino vien dappresso, oscuro nel mezzo : ma a lui
stanno intorno quattro lucide stelle, e due ancora presso le due
pinne ». 2 A volte tuttavia nell' arido campo spunta qualche
fiore, qualcuna delle invenzioni dei mitografi, come nella chiusa
di Cassiopea : « Ella dai brevi omeri tende le braccia ; diresti
eh' ella piange la sorte della figlia ». 3 Però, meglio che altrove,
la poesia fiorisce nell'unico brano esteticamente notevole, intorno
al quale già ebbi occasione d'indugiarmi alquanto, quando par-
lai della natura dei miti celesti: dico nella descrizione della
Vergine, il segno che segue Boote, a cui — dice il poeta —
da certi astronomi vien dato il nome di Astrea, ma vien con-
servato dal popolo l' antico nome di Diche :
Diversa fama tuttavia fra gli uomini
Corre, che un di quaggiù fosse terrena
E discendesse in vista de' mortali,
Né ricusasse i lor convegni, o quelli
Delle femmine antiche ; anzi sedesse,
Benché fosse immortai, tra lor confusa.
Ed essi Diche la diceano; ed ella
Radunando i vegliardi in sulle piazze *
O in aperta campagna, i giusti riti
1 A. Rovi hk-Leclebcq, op. cit, p. 62.
2 Phaenom., v. 816-819.
3 Phaenom., v. 19Ó-196.
20 INTRODUZIONE
Cittadini sollecita cantava.
Non sapevano ancor la rovinosa
Lite, né 1' aspra lotta ed il tumulto,
Ma semplici vivean gli uomini: il mare
Giacea lontan co' suoi perigli, e il vitto
Ancor da lungi non traean le navi ;
Ma i buoi, gli aratri copia d' ogni frutto,
Sotto la guida della Dispensiera
D' ogni diritto, riforniano. E tanto
Ella stette quaggiù, per quanto tempo
Aurea progenie alimentò la Terra.
Con l'argentea di rado ed a quel modo
Di pria non più s' accompagnò, desire
Sentendo in cor de' prischi usi mortali ;
Ma tuttavia presente era : scendeva
Dai monti nel crepuscolo sonanti
Tutta sola, a nessun blande parole
Rivolgendo. Ma quando i grandi colli
Gremian le turbe, le rimproverava
Allora, e combattea l' iniquità,
E dicea che non più sarebbe scesa
Un* altra volta a' supplicanti : — Ahi ! come
I padri aurei lasciarono la schiatta
Più trista ! Ma peggior la tìglierete
Voi. Le guerre avran gli uomini, e versato
Allor sarà nelle discordie il sangue,
E penderà sovra gì' iniqui il duolo. —
Detto cosi, tornava ai monti, e i popoli,
Che tutti ancor si rivolgeano a lei,
Abbandonava. Ma quando ancor essi
Sparvero, e questi vennero, progenie
Di bronzo, de' lor padri assai peggiori,
Che pei primi temprar lo scellerato
Pugnai di strada e degli aranti buoi
Banchettarono primi ; allor, per odio
Di queste genti, a voi, fatta celeste,
Diche levossi, ed occupò la plaga
Ove di notte ancora appare agli uomini
La Vergin presso al rutilo Boote. '
1 Phaenom., v. 96-186. A voltare in poesia, anziché in prosa Iettante,
quest'episodio mi spinse il valore inoralo del medesimo; anohe altre \
per altri autori, mi accadrà lo st ■•>--.« latto, onde colgo qui l'oeeaefOM «li
affermare il mio convincimento che alle buone traduzioni prosastiche, .-.•ni-
INTRODUZIONE 21
La seconda parte comincia con la descrizione degli aspetti e
dei movimenti dei pianeti, il cosidetto canone eudossiano, il
punto arduo del sistema, nel quale il poeta si trova cosi a disa-
gio, che esce in questa confessione : « Per nulla sicuro quando
tratto degli erranti, deh! potessi almeno determinare i circoli
della sfera e le costellazioni del cielo! »J Infatti di tutta questa
materia egli si sbriga in poco meno che trecento versi, senza le-
varsi mai dal solito schematismo astronomico; finché passa alla
terza parte, dove le promesse della protasi di ammaestrare gli
uomini intorno ai segnali celesti vengono mantenute. Vi si di-
scorre dei principali pronostici — e dai Pronostici, come ho
detto, prende il titolo questa sezione del poema — del Sole e
della Luna, in senso puramente meteorologico ; si tocca di
certi indizi meno conosciuti, quali le comete dal triste presa-
gio;2 e l'operasi chiude con accento lirico, in questo modo:
« Cosi miseri ed instabili noi mortali viviamo qua e là, sem-
pre attenti ai segnali, che in nostro vantaggio appaiono con
tanta evidenza ». 3
Per quanto pedestre nella maggior parte, per quanto scarso
di valore scientifico, il poema di Arato ebbe nell'antichità e
nel Rinascimento, quando venne tratto dal lungo oblio medio-
evale, una fama grandissima, e fu considerato come il primo
e miglior modello di poesia astronomica ; mentre gli altri pro-
dotti del medesimo tempo caddero presto in dimenticanza.
Pochi imitatori nel periodo pili splendido della poesia latina
pre opportune nei casi comuni, sian preferibili le poetiche solo quando nel
traduttore si rinnovi, anche parziale o secondaria, l' ispirazione estetica ed
etica che produsse l'originale.
1 Phaenom., v. 460-461. Non entro nella discussione intorno alle divi-
sioni del poema aratco, e rimando ad A. Couat, op. cit., p. 457, dove si
espongono le principali opinioni in proposito ; solo osservo che la mancanza
di sviluppo nella sezione centrale non può essere invocata come un argo-
mento valido a provare un;i lacuna, quando si tengan presenti e le parole
del poeta stesso, punto strane, e quanto sappiamo da altre fonti — per es.
da Cicerone, che chiama Arato « hominem ignarum astrologiae » (De ora-
tore, I, 16) — intorno alla sua scarsa preparazione scientifica.
* Come le comete rientrassero per Aristotele, e quindi anche per Arato,
nell' ordine dei fenomeni meteorologici, v. A. Bouché-Leclercv, op. cit. p. 74.
3 Phaenom., v. 1101-1108.
22 INTRODUZIONE
ebbe invero l'opera di Eratostene alessandrino, intitolata Er-
mete, nella quale, ricollegandosi il mito di questo dio greco
colla corrispondente favola di Thoth, il dio inventore dell'astro-
nomia presso gli Egizi, s' immaginava un viaggio del nome
alato attraverso la volta del cielo, e si coglieva cosi l'occa-
sione per una descrizione della sfera. Del poema di Bratostene
non si conservano che pochi frammenti, fra i quali uno im-
portante sulle zone terrestri e i climi corrispondenti ; ' ma da
esso ed insieme dal poema di Arato ebbe origine, sotto forma
di commento, un elenco delle costellazioni e dei miti ad esse
pertinenti, detto i Catasterismi, 2 preziosa fonte di notizie per
i poeti posteriori, cioè per i poeti dell'età romana; alla quale
ci convien ora di passare.
Infatti nell'età romana dobbiamo ricercare i continuatori
della poesia astronomica greca, la cui conoscenza cominciò a
destare uno straordinario entusiasmo presso i latini reno il
principio dell'ultimo secolo della repubblica. Allora troviamo
le dottrine celesti accolte, discusse, messe in rapporto colle
proprie teorie epicuree da Lucrezio, che ad esse dedicò nel
suo poema parecchie centinaia di versi.3 Poco più tardi viene
Virgilio, autore dei noti passi astronomici e meteorologici delle
Georgiche, il quale ci dà pure un prezioso indizio di quanto
il tema celeste fosse di moda, introducendo nel primo del-
l' Eneide, alla mensa di Didone, Jopa a cantare
errantem Lunam Solisque labores,
Unde hominura genus et pecudes, unde imber et ignes,
Arcturum pluviasque Hyadas geminosque Triones,
Quid tantum Oceano properent se tinguere soles
Hiberni, vel quae tardis mora noctibus obstet. *
1 A. Couat, op. cit., p. 465 igg.; e A. BouohI LwukOQ, op. Bit., p
La descrizione (Ielle zone fu imitata, OOm'd noto, da Ovidio | Metani., I,
v. 46 61) e «la Virgilio (<ii;,r<i., I, v. 888 J:t9).
! Sulla falsa estrlbuiOM dei Catasterismi a<l Bratostene e sui medesimi
considerati quii tonti di Igine voli A. Olitimi, / dtt. di Brat., in Studi
it. di filol. classica, Roma. l^'aT. p. 1-86; v.-di pare 1' t'd. dei Cai
curata dall'Olivieri, presso il Teulmer di Upel
s C. GiussAiu, T. lAicreti Cari de rerum natura libri sex, Torino, 1898,
IV, p. 45 Btut.
* Aen., I, v. 742-746.
INTRODUZIONE 23
Quasi nello stesso tempo Ovidio attinge più d' uno degli epi-
sodi delle Metamorfosi al ciclo epico del cielo greco, concede
nei Fasti parte notevole al calendario, ed inoltre volta in
versi latini, ora perduti, i Fenomeni. l
Ma il documento che ancor ci rimane della scuola aratea
in Roma noi l'abbiamo nelle traduzioni di Cicerone, di Germa-
nico e di Avieno. La versione ciceroniana fu un esercizio ret-
torico della giovinezza del grande oratore, e come tale, se da
una parte ci dimostra il favore che presso i Romani ebbe il
poemetto greco, dall' altra ci spiega la grande fedeltà del
traduttore verso l'originale e lo scarso valore poetico del-
l'opera sua.8 La versione di Cesare Germanico, l'infelice figlio
di Druso, è assai meno pedissequa, anzi appare in certi punti
quasi un vero rifacimento, come nella protasi, che è nello
stesso tempo una dedica all'imperatore Tiberio:
Ab Jove principium magno deduxit Aratus,
Carminis at nobis, genitor, tu maximus auctor ;
Te veneror, tibi sacra fero doctique laboris
Primitias : probat ipse deùm rectorque satorque. 3
Similmente nelle descrizioni, dove reminiscenze mitologiche od
esperienza geografica personale potevano fornire materia, si no-
tano delle aggiunte al testo cosi parco, cosi arido quasi, e degli
ampliamenti sempre abilmente eseguiti; come quando, per citare
un esempio, trattando del segno del Capricorno annunziatore
di burrasche, al semplice contorno arateo il poeta romano so-
stituisce un quadro pieno di vita e di passione, ricordo forse
delle scene osservate durante la sua fortunosa spedizione in
Oriente. 4 E necessario tuttavia non tacere che tali aggiunte
lasciano intatta la sostanza scientifica dell' opera, che resta
eguale a quella eudossiana di Arato, anche nelle sue deficienze.5
1 0. Ribbeck, Geschichte der ròmischen Dichtung, Stuttgart, 1892, III, p. 8.
* W. S. Teuffel, Geschiehte der ròmischen Litteratur, Leipzig, 1890,
n. 177, p. 315.
3 Germanici Phaenomena, in Poètae bucolici et didactici, Paris, 1860,
v. 1-4.
* Germanici Phaenom., v. 288-305.
5 II lettore ricorda senza dubbio l'assenza, in Arato, di adeguata trat-
tazione del canone planetario o teoria delle sfere omocentriche, e la rela-
24 INTRODUZIONE
Per giungere da Germanico ad Avieno, vissuto nel quarto se-
colo dopo Cristo,1 il tratto da percorrere è lungo; però non biso-
gna in questo caso badare alla distanza cronologica, essendoci
un nesso ininterrotto quanto al contenuto scientifico e poetico.
Infatti, sebbene la traduzione di Rufo Festo Avieno venga dopo
lo svolgimento della poesia astrologica di Manilio, della quale
avremo presto ad occuparci trattando del secondo periodo della
nostra storia, tuttavia essa non dimostra alcuna contaminazione
colle dottrine divinatorie, ma riproduce il testo di Arato so-
stanzialmente eguale, 2 se non forse ampliato nella sola parte
mitologica e rettorica. Per la quale veniva in aiuto al nuovo
traduttore un manuale in prosa, che è bene ricordar qui come
strettamente collegato con lo sviluppo della corrente aratta :
accenno ai quattro libri De sideribus, detti più comunemente
Poetica astronomica, attribuiti ad un Igino del primo secolo
di Cr.,3 compilati su fonti greche, più o meno direttamente im-
parentate con i poemi stessi di Arato e di Eratostene. 4 L'opera
dunque di Avieno ha valore essenzialmente storico-letterario.
rispecchiando i principali caratteri d'una poesia ormai esau-
sta, che in mancanza d'ispirazione si compiace del losco della
forma e dell' immagine : al qual proposito basti notare che il
migliaio di esametri del testo greco nella nuova veste latina
è quasi raddoppiato. Vogliamo stabilire qualche raffronto ? Era
cosi poetica la Vergine, che nell'episodio arateo « veniva
tiva scusa del poeta rta me riportata; la stana maneaoaa è in Oermaaioo,
con questa sola differenza elio alla scusa è sostituita una promessa (v.
444):
Hoc opus, arcanis si credam postmodo Mtisis,
Tempus et ipse labor, patiautur Tata, docebit.
1 W. S. Teufpel, op. cit., n. 420, p. 1019.
* Mi riferisco, per una riprova, anche qui al noto passo del canone pla-
netario, il quale in Avieno non ha maggior svolgimento ohe in Arato e in
Germanico :
non ìiias aaioiia audaoibcu ergo
Carmine non caeco temptabimus !
R. F. Avieni Avalea, ed. a. Brayalg, Upataa, 1882, r. •
3 C. (ìiussawi, Letteratura romana, Milano, 1899, p. 818.
< W. S. Trutpil, op. cit., p. 614 e 616 ; S. GuiantR, op. cit., p. 78 ; A. Oli-
vieri, op. eit. p. 26.
INTRODUZIONE 25
litarìa dai monti risonanti sotto il crepuscolo », mentre nel tra-
duttore essa scende,
Cum cedente die Phoebus sub nocte propinqua
Occiduus pronos urgeret in aequora currus. '
Ed ecco, sul bel principio, come Avieno sforza la voce per co-
lorire la semplice invocazione di Arato alle Muse « carissime a
tutti » :
O mihi nota adyti iain numina Parnasei !
0 per multa operura mea semper cura Camenae !
Iam placet in superum visus sustollere caelum
Adque oculis reserare vias per sidera. Maior,
Maior agit mentem solito deus, ampia patescit
Cirra mihi et totis se Helicon inspirat ab antris. 2
Con queste osservazioni si compie la nostra rapida rasse-
gna, per quanto riguarda l'antichità classica, del periodo ara-
teo, al quale ci potremo dunque richiamare come a cosa ben
nota quando discorreremo del poema umanistico di Basinio Ba-
sini, che in pieno Kinascimento ne rappresenta un' ultima re-
surrezione. Riepilogandone pertanto i principali momenti, ri-
cordiamo com' esso cominci con un poemetto greco originale,
seguito da quattro traduzioni latine diverse per età, estensione,
valore ; quindi come il suo contenuto sia di natura esclusiva-
mente astronomica, desunto dalle dottrine della scuola eudos-
siana di Cizico, con adornamenti poetici alquanto scarsi, at-
tinti in gran parte alla mitologia alessandrina. Assai diverso
è il secondo periodo antico della poesia astrologica, astrologico
davvero, cioè profondamente informato alle teorie della divina-
zione celeste.
IV.
L'astrologia giudiziaria finora non ha trovato chi l'abbia
studiata con giusto criterio storico nelle sue manifestazioni uma-
nistiche, specialmente in Italia, dimodoché ancora dobbiamo
1 Avieri Aratea, v. 321-322.
1 Aviini Aratea, v. 71-76.
26 INTRODUZIONE
vederla, nella maggior parte degli accenni sparsi qua e là nei
libri di letteratura, confusa con altri generi di divinazione e
special mente con la magia. Invece per l'età antica greco-ro-
mana essa ha avuto coscienziosi ricercatori e studiosi fra gli
storici della scienza e della filosofia. Benemerito sopra tutti è
per questo riguardo il Bouché-Leclercq, il quale, pubblicata
fin dal 1879 una lodata Storia della divinazione nelV antichità.
non si accontentò delle indagini fatte allora nel campo più
vasto, e volle di proposito esaurire gli studi sull'astrologia
greca, mettendo insieme un grosso volume, uscito recente-
mente, in cui il problema è largamente trattato sia dal punto
di vista interno o teorico, che da quello esterno o storico. A
questo volume, che ha il solo difetto, di cui tuttavia non è re-
sponsabile l'autore, di essere stato scritto avanti la pubblica-
zione sistematica appena da qualche anno iniziata di tutti i
principali testi astronomici greco-romani, deve ricorrere chiun-
que affronti una parte del tema nostro ; ed io, che vi ho ri-
corso più d'una volta in questo quadro introduttivo, singolar-
mente per informazioni tecniche sull'argomento, volentieri
riconosco i miei debiti verso l'illustre scrittore.1
L'astrologia da principio fu una religione orientale, e più
esattamente caldea, la quale insegnava per mezzo dei suoi
dogmi e dell'autorità d'una esperienza di più centinaia di mi-
gliaia d'anni, come il destino degli uomini, e quindi la storia
dei popoli del nostro globo, dipendessero dalla posizione, dal
movimento, dai rapporti reciproci dei pianeti e delle costella-
zioni. In che modo un tale influsso procedesse, appunto perché
religione e non scienza, non rivelava; non rifuggiva tuttavia
dallo studio descrittivo del cielo, nel quale anzi avea fatto dei
notevoli progressi, che poi aveva, fin da tempo assai remoto,
comunicato ai sacerdoti dell' Egitto, famosi indovini ancor essi.
1 L'opera del Bouché-I^elercq fu già citata parecchie volte e lo sarà
anche <li pia nel seguito del presente lavoro; tralascio Invece <ii rip
•ini quel pio larghi ceni bibliografici sia intorno ai t«sti antichi Ira i
anali notevole il Catalogus astrol. graecorum in corso di pabhileaaionc I
Bruxelles, il cui primo fascicolo sui codici fiorentini e dovuto .il nostro A.
Olivieri sia intorno ;ii lavori critici, clic il suddetto autore ricorda nella
sua BibliograpkU, a p. xviu del citato volume.
INTRODUZIONE 27
I ira quando, in seguito alla conquista di Alessandro Magno, i
Greci, giunti ad elevatissimo grado di coltura, vennero a con-
tatto immediato colle popolazioni dell'Asia e dell'Africa, al-
lora tutto il cumulo superstizioso della divinazione celeste, ma-
scherato abilmente dall'apparenza sperimentale, si trasmise
dai vinti ai vincitori; ma l'astrologia, benché forse più con
l'attrattiva del meraviglioso che colla persuasione avesse gua-
dagnato i nuovi cultori, stanchi dal lungo lavorio intellettuale
e bisognosi di fede, cessò di essere religione per assumere de-
finitivamente l'aspetto e l'ufficio di scienza. Questo accadde
sul principio del terzo secolo a. C, quando nell'Egitto il sa-
cerdote Manetone feee la sua propaganda ad Alessandria; e
nella Grecia stessa, a Coo, il prete caldeo Beroso fondò una
scuola, la quale in poco tempo raggiunse il primato e divenne,
nel suo genere, l'assoluta dominatrice. *
Ora si chiede : ad accogliere le dottrine della scuola di Coo
si mostrarono pronti gli astronomi della scuola d'Aristarco o
quelli della scuola cizicena, questi, come abbiamo veduto, cosi
rigorosi nella esattezza dei loro calcoli, quelli tanto fedeli alle
ipotesi suggerite dall'osservazione? No certo; ma il terreno
adatto allo sviluppo dell'astrologia si trovò nelle scuole dei
filosofi, dove la speculazione, assuefatta alle astrazioni e non
di rado alle fantasie della metafisica, di buon grado si rivolse
al nuovo vasto territorio inesplorato. Della filosofia infatti fu
per lungo tempo amica l'astrologia, e fu in grado strettis-
simo, come vedremo, anche nel nostro ftinascimento ; mentre
ebbe in ogni tempo un certo timore dell'astronomia propria
mente detta, la quale, per verità, lavorando tacitamente, un
bel giorno, senza il chiasso di alcuna polemica, le diede il
colpo mortale. Ma non corriamo troppo avanti, e fermiamoci
un momento sulle principali correnti filosofiche greche, in quanto
esse ci rivelano una predisposizione a mescolarsi col nuovo
contributo orientale; su quelle grandi correnti, che attraverso
i secoli resistettero per rinascere più fiorenti agi' inizi del-
l'età moderna, specialmente in Italia, nelle accademie di Na-
poli e di Firenze.
1 A.. Bouciié LECLKKcq, op. cit., cap. II.
28 INTRODUZIONE
Non tocco delle concezioni dei filosofi presocratici, ohe DÌ
porterebbero troppo fuor di strada, e vengo subito alla cosmo-
gonia platonica, come a quella che senza dubbio è la pia carat-
teristica ed ha maggiore importanza per la >ua storia poste-
riore; ma non mi rivolgo, come quando ho discorso dei sistemi
planetari, all'ultima e meno nota maniera di Platone, dalla
quale si svolse l'ipotesi di Eraclide Pontico, bensì mi arresto
allo stadio rappresentato dal Timeo, che costituisce l'opinione
più genuina e meglio connessa colle rimanenti teorie del tìlo-
sofo, e fu nell'età romana e nel Einascimento, quasi sola, co-
nosciuta. 11 Timeo adunque, come sanno tutti, ci parla d'un
sistema geocentrico, nel quale la sfera estrema o peri ter;
mossa da sinistra a destra da una forza spirituale che è anima
del mondo, e le altre sfere hanno movimento inverso, a spirale,
causato da una forza fisica: il primo ù il moto diurno del cielo,
il secondo il planetario. Però — e qui è il punto essenziale
— tanto la Terra, quanto i pianeti, sono divinità viventi, che
hanno ricevuta dal Demiurgo un'anima intellettiva, ed hanno
l'ufficio di plasmare le creature inferiori. Dimodoché quando
l'anima nostra è liberata dalle mani del Creatore, prima di
scendere nella dimora terrena, passa nelle diverse sfere, e ri
ceve da ciascuna di esse il sigillo d'una proprietà eorpoi
finché giunta al termine del viaggio, quando nasce, è rive-
stita di forma umana perfetta. Cosi il sistema dell' uni\
viene ad essere intimamente collegato colla costituzione fisica
e morale degli uomini ; tra il cielo e la Terra, tra Dio e le e
ture, anche a non tener conto della teoria delle idee, è un rap-
porto continuo, che fa le cose inferiori necessariamente simili
alle superiori, anzi materiate di esse.1 Non ci voleva un grande
sforzo per conciliare una concezione come questa e la credenza
che la vita nostra fosse improntata e regolata dagli astri: il
platonismo era perciò meravigliosamente adatto a fare da I
filosofica ai dogmi dell'astrologia di Beroso.
Per contro l'aristotelismo, cioè la seconda grande conce-
zione greca che abbia avuto una importanza straordinaria nei
1 A. Boucai-LECtERC*, op. cit., p. 20-26; E. Zeller, op. cit., II, p. 664-689.
INTRODUZIONE 29
secoli <li mezzo e nell'Umanesimo, nel suo complesso fu poco
adatto ad una interpretazione astrologica: quel carattere spe-
rimentale che indusse Aristotele ad abbandonare l'idea di
una vera e propria cosmogonia, e accogliere invece i risultati
matematici di Eudosso e di Callippo, mal si conciliava con la
fantastica indeterminatezza della divinazione celeste. Però,
come ci è provato dalla larga applicazione fattane pili tardi
da Tolomeo, un punto utile per gli astrologi c'era anche nella
filosofia peripatetica. * L'unità della materia e la miscela dei
quattro elementi costitutivi, cioè del caldo, del freddo, del-
l'umido e del secco, favorendo la spiegazione dei rapporti
fisici fra corpo e corpo, si prestavano a una interpretazione
scientifica degl' influssi : quanto alla teoria della quinta es-
senza che avrebbe creato un grave intoppo, segregando, come
insociabile, la materia astrale dalla sublunare, si trovarono
dei mezzi o, meglio, dei pretesti per liberarsene, ora col non
tenerne conto, ed ora coll'affermare che la maggior nobiltà e
forza dei corpi celesti bene si addice all' ufficio che questi
hanno di dominatori dei corpi terreni.
Paragonando adunque il modo di comportarsi dei due lu-
minari della filosofia greca di fronte al problema astrologico,
dobbiamo riconoscere che, se differenze sostanziali fra di essi
non mancano, queste nei libri degli astrologi si trovano cosi
attenuate, che ci permettono di parlare, senza cadere in errore,
di astrologia platonica e di astrologia aristotelica : valga per-
tanto questa conclusione ad illuminare le controversie che stu-
dieremo nell'età della Rinascenza.
Parlare di astrologia epicurea invece non è possibile. Basti
a questo riguardo richiamare l'attenzione sopra l'assenza di
necessità nei rapporti degli esseri fisici e la dottrina del li-
bero arbitrio nel campo morale, insegnate da Epicuro, per ac-
cennare a quanto vi possa essere di più contrario agi' influssi
ed al fatalismo astrologico. i
1 A. Bouchk-Leclercq, op. cit., p. 27.
*- A. Boi'cnK-I.Ect.KRCQ, op. cit., p. 28 ; e T. Lucreti Cari De rerum na-
tura, ed. uius.s:uii, Torino, 1898, IV, p. 91, note.
30 INTRODUZIONE
Ma di astrologia stoica è lecito, anzi opportuno discorrere,
poiché essa è fondamento della concezione morale, e quindi
dell'ispirazione poetica, dell'opera di Manilio. Nell'universo,
secondo s' insegnava nello Stoa, non ci sono lacinie, tutto è le-
gato, ed i legami sono di natura risica; una simpatia generale
fa in modo che qualsiasi moto si propaga da una nelle altre
parti. Sull'uomo quindi tutto ha un'azione, e reciprocamente
l'uomo può aver conoscenza d'ogni cosa, avendo in sé, come
microcosmo, radunate tutte le qualità dell'universo, (ili dèi,
per questo cerchio di ferro che serra il mondo dei corpi e de-
gli spiriti, esercitano fatalmente il loro impero sulla morale,
e gli uomini, per mezzo della loro facoltà intellettiva precor-
rendo il destino, uniformano il proprio volere al giusto volere
celeste, onde raggiungono la pietà religiosa e la tranquilla
coscienza del saggio. La dottrina stoica, che è fatalismo nobile
e attivo, conduce perciò direttamente all'astrologia, come al
mezzo migliore per il conseguimento della saggezza; e poiché
ha carattere religioso, favorisce il culto, onde nacquero i primi
tentativi di interpretazione astronomica dei miti. l
Ecco pertanto in che modo le credenze dei Caldei, penetrate
nel mondo classico, invasero dapprima le scuole dei filosofi
platonici, aristotelici e stoici e vi si mutarono in scienza,
trovandovi le opportune spiegazioni razionali ; ed essenzial-
mente vi guadagnarono degli apostoli, soprattutto fra gli Stoici.
per la tradizione e la propaganda. In seguito, sostenute dalla
speculazione filosofica e ad un tempo sostenitrici della mede-
sima, presero a diffondersi nelle coscienze, diventando patri
monio degli spiriti colti, e finirono per dar materia anche al-
l'arte. Abbiamo accennato or ora all'opera di Manilio, il mi-
gliore dei prodotti poetici astrologici dell'antichità, al quale è
tempo, dopo queste notizie preparatorie, che ci accostiamo; non
senza tuttavia aver prima fermate le nostre idee sopra un ul-
timo punto bisognevole di schiarimenti, specialmente in un li-
bro, come questo, scritto in servizio della letteratura e rivolto
a letterati: dico la questione teorica, che cercherò di esporre
1 A. BoucHé-LECLERcq, op. cit, p. 28-84; e E. Zellkr, op. <it.. IV, pa-
gina 340-41.
INTRODUZIONE 31
succintamente, enumerando i più notevoli concetti e precetti
dell'antica astrologia.
Il principio fondamentale, che per gli astrologi assumeva
l'evidenza d'un assioma, era il seguente: dagli astri, siano
essi considerati quali dèi animati, come voleva Platone, o quali
corpi celesti, come sosteneva Aristotele, partono degli effluvi
rettilinei di natura fisica, esercitanti un'azione, detta influsso,
sul centro d'ogni movimento, cioè sulla Terra e le sue crea-
ture, e singolarmente sugli uomini. La qualità di tale influsso,
naturalmente, è variabile, come la quantità, ed in rapporto
diretto colla qualità e posizione degli agenti. Cosi, per la qua-
lità, i più forti dominatori celesti, detti perciò luminari, sono
il Sole e la Luna ; quindi vengono gli altri pianeti, con tutte
le loro gradazioni, e per ultimo i segni dello Zodiaco, essi
pure distinti in parecchie categorie, a seconda della loro forma
umana o ferina, della loro natura sterile o feconda, ecc. Per
la posizione, varia l' influsso col variare, in primo luogo, dei
rapporti dei pianeti fra di loro : onde gli aspetti planetari
di opposizione, quando due di quelli si trovino ai due estremi
di un diametro del circolo zodiacale, di triangolo, di qua-
drato, di esagono, quando il segmento che li unisce sia un lato
di poligono inscritto nel medesimo circolo. Varia, in secondo
luogo, l' influsso col variare degli aspetti zodiacali, simili ai
planetari; varia infine a seconda dei rapporti dei pianeti coi
segni. Nel qual caso gli astrologi immaginarono delle curiose
teorie. Alcuni infatti sostennero che ogni pianeta, meno due
che ne hanno una sola, possiede due case o domicili in due
rispettivi segni, nei quali quando viene a trovarsi ha il mas-
simo di forza influente ; altri parlarono di esaltazioni e de-
pressioni dei pianeti nei diversi segni, cioè di segni atti ad
accrescere o a scemare la potenza di ciascun pianeta; altri
di confini o porzioni del circolo zodiacale indipendenti dalle
figure, ora mantenendoli in numero di dodici, ed ora accre-
scendoli a trentasei, di dieci gradi ciascuno, detti perciò de-
cani. Aggiungasi che in uno stesso segno potevano venire a
trovarsi due pianeti in congiunzione, onde producevasi una
somma od una sottrazione d'influsso, a seconda dell'amicizia
32 INTRODUZIONE
o nimicizia dei pianeti stessi; poteva un pianeta colla <
zione dei raggi suoi modificare l'azione di un altro anche fuori
d'uno dei tipici aspetti ; potevano in terzo luogo i pianeti, con
relative variazioni di forza influente, restar bloccati in un se-
gno, avere altri pianeti a corteo, ecc.
Ma non si accontentarono i nostri scienziati di dividere e
suddividere lo Zodiaco e moltiplicare le combinazioni plane-
tarie; tracciarono pure nel cielo dei circoli immaginari, con
limiti ed archi non meno fantastici. Il più noto — che qual-
che volta venne identificato collo Zodiaco — è un circolo mas-
simo detto della genitura, da est ad ovest, con quattro punti
fissi, detti centri, uno sull'orizzonte orientale (oroscopo), un
altro allo zenit (culmi nazione superiore), un terzo sull'oriz-
zonte occidentale (occaso), e finalmente un quarto opposto al
secondo (culmina: ione inferiore) Corde tracciate a partire dai
centri spartivano poi la volta celeste in dodici luoghi, a cia-
scuno dei quali, nella vita umana, corrispondeva un influsso de-
terminato, detto sorte. Fra le sorti notevolissime erano quelle
generate dal passaggio dei luminari, dette l'ima, quella ilei
Sole, la sorte del Genio, e l'altra la sorte della Fortumi.
V'è in ultimo una teoria, secondo la qnale ciascuna por
zione del tempo, ciascuna regione della Terra, ciascun genere
di animali e di piante, e specialmente ciascun membro del
corpo amano ha in cielo per rispettivo patrono un pianeta <>
una costellazione zodiacale; teoria, che fu soprattutto il fon-
damento della medicina astrologica, la cui diffusione nel mondo
antico, medioevale e moderno, fino a pochi secoli addietro, e
stata straordinaria. ì
Questo basti a spiegare le posizioni degli agenti', accen-
niamo ora ai metodi adoperati dagli astrologi nel dare i loro
responsi. I metodi erano tre: il primo detto apoti .il
secondo delle elezioni, il terzo delle interrogazioni. Il primo
consisteva nell'osservare l'oroscopo, o aspetto del cielo orien-
1 Diremo più avanti come nel BlnMclmentO, « Uno al M ti, non
si ritenne buon medico clii non fosse nello stono tempo buon astrologo.
Sulle varie teorie iatromatematiche, e specialmente sui famosi anni, fiorai,
ecc. climaterici, v. A. Boi kkcv, op. cit., cap. \\.
introduzione 33
tale, .il momento della nascita — secondo altri, della conce-
zione — del bambino, e nel dedurne le previsioni in riguardo
al sesso di lui ed alla sua costituzione fisica non solo, ma alla
durata della vita, al gmere di morte, alle qualità psichiche,
alla professione, al matrimonio, alle amicizie, ai viaggi, ecc. ;
tale determinazione prendeva il nome di tema di genitura. ■
II secondo, detto anche delle iniziatile o delle opportunità,
era l'osservazione della volta celeste e la relativa interpreta-
zione dell'influsso in singole occasioni, specialmente se fossero
occorsi fenomeni straordinari, come ecclissi, comete, fulmini,
terremoti, o se una persona si fosse trovata in circostanze spe-
ciali, come guerre, amori e soprattutto malattie. L'ultimo si
fondava sulla teoria degli astri patroni delle suddivisioni del
tempo, cioè degli anni, dei mesi, delle settimane, ecc. ed era
la base dei calendari astrologici.
Come è facile notare, di questi tre sistemi i due ultimi ve-
nivano di necessità ad infirmare le conclusioni del primo; onde
si pervenne ad una conciliazione in questo senso, che il tema
di genitura dovesse sempre lasciare un margine per le varia-
zioni accidentali, ed i responsi delle elezioni e delle interro-
gaeioni fossero considerati come modificazioni, correzioni, ag-
giunte all'oroscopo genetliaco.2
Torniamo a Manilio, agli Stoici ed all'età romana.
Dopoché Posidonio, il commentatore astrologo del Timeo.
venne in Italia a diffondervi la divinazione in sul principio
dell'ultimo secolo della repubblica, Roma in tutte le sue classi
sociali, ma specialmente nella classe colta, s' infiammò delle
pratiche e degli studi astrologici; sorsero gli oppositori, rari,
come Lucrezio e Cicerone, ma più furono i fautori, come Var-
rone e Nigidio Figlilo. Contribuirono meravigliosamente al-
l'incremento di tali studi gli anni torbidi delle guerre civili;
1 Kra detto volgarmente anche oroscopo ; veniva composto in base al
circolo della genitura, e poteva riferini non solo alla vita I adir ideale, ma
anche alla collettiva delle città e dei popoli. Singolari erano poi i temi dei
re <• degli imperatoli, nella compilazione del quali vigevano delle regole
a parte: v. A. Bouché-Leci.ekco, op. cit., p. 4:51).
* A. Bouché-Leclkrcq,, op. cit., cap. III-X1V.
34 INTRODUZIONE
spettacolo di ambizioni, di fortune e di caduto incredibili. 31
costituì con l'impero un nuovo genere di vita splendida in ap-
parenza, corrotta, molle e superstiziosa in sostanza, nella qnale
le interrogazioni celesti si moltiplicarono; lo stoicismo, elio aveva
con Catone combattuto le ultime battaglie della libertà, rese
ancora dei grandi servigi alla morale dei primi secoli del*
l'èra cristiana, ma li rese d'accordo con l'astrologia. In am-
biente acconcio adunque, fra il declinare del regno di Cesare
Augusto e i primi anni di quello di Tiberio, negli stessi anni
in cui Germanico attendeva alla traduzione di Arato, il poeta
Manilio compose i cinque libri degli Astronomici. l
I quali, perché risultano necessariamente di due elementi
costitutivi, lo scientifico e il poetico, sarà opportuno studiare
da due punti di vista, esaminandone in primo luogo il conte-
nuto dottrinale per mezzo di un riassunto fedele, fatto diret-
tamente sul testo,2 ed in secondo luogo rilevandone i pi
e i caratteri artistici per mezzo di adatte citazioni. Cominciamo
dal sunto.
Libro primo. — Tutto il primo libro, se ne togli quattro
digressioni liriche, intorno alle quali avremo occasione di in-
trattenerci, ed alcuni tratti della chiusa, è riservato alla de-
scrizione puramente astronomica della sfera; esso adunque si
può ritenere come plasmato sul modello arateo, quantunque
si avvantaggi sul greco per una maggiore padronanza della
1 Siccome alla società e alla letteratura classica io ricorro soltanto por
trarne luce alla evoluzione interna della scienza e della poesia .istmi
greco-romana, cosi non mi curo di riferire notizie ed aneddoti sulla diffusione
dell'astrologia in Roma, che il lettore può vedere in A. Boocai
op. cit., cap. XVI, in Q. Libri, Histoire des sciences wtathéma&iqtm en
Italie, Paris 1838-41, I, p. 64, ed in L. F. Ai.kkkd Maiky, op. cit.. p. 70 -
né mi è lecito formarmi sulle questioni cronologiche roani liane, per le quali
rimando a F. Ramorino, tyw annorum spatio Mcmilius Aslronomicon li-
bro8 composurrit, in Stiaii H. di filai, class., vi. 1898, p
* Un buon sunto degli Astronomici non si trova nelle storio letterarie,
neppure in o. Ribbeck, op. cit., in, p, io sgg., ove del poema pur si dianone
con discreta ampiezza; in A. Bouché-Leclkrcv, op. cit.. si trovano
teorie peculiari a Manilio, sparse qua e là dove V economia dell'opera lo
richiede. L'edizione di cui mi servo è la seguente : M. Manili Astronomi-
con libri quinque, recensuit I. Jacob, lìerolini, 1846.
INTRODUZIONE 35
materia trattata. Infatti, dopo un non breve proemio, nel quale
l'intento astrologico dell'intera opera è delineato con certa
ostentazione di mistero, esposte rapidamente le principali co-
smogonie antiche, il poeta getta le basi del suo sistema geo-
centrico, ove, secondo l'opinione degli Stoici, l'anima divina
è causa motrice di ogni cosa. Enumerate poi le dodici costel-
lazioni zodiacali, egli determina l'asse dell'universo, intorno
al quale si muovono in largo giro le costellazioni indipendenti
dalla via del Sole, divise in tre categorie, le settentrionali,
le australi e le invisibili al nostro orizzonte. Toccate al-
cune proporzioni numeriche del mondo, viene a parlare dei
circoli celesti, cioè, fra i paralleli, dei polari, dei tropici e
dell'equatore, fra i massimi, dei coluri, del meridiano e del-
l'orizzonte, dello Zodiaco considerato come circolo, e della
Via lattea; nella quale, con poetica digressione e attenendosi
ad un noto mito platonico, colloca la sede delle anime degli
eroi. Tratta infine, quasi di sfuggita, dei corpi erranti, cioè dei
pianeti, e, terminando il libro, delle comete.
Libro secondo. — La nuova materia, cioè l'astrologia, è
annunziata nel secondo libro fin dal proemio : anche questo
esteso, con parole chiare ed inspirate da una certa superbia.
I poemi di Arato e degli altri astronomi greci, nella loro parte
artistica, dice Manilio con trasparente allusione, non conten-
gono se non favole, cioè vane aggiunte mitologiche alla dot-
trina dei cieli :
Quorum carminibus nihil est nisi fabula caelura,
Terrave composuit caelum, quae pendet ab ilio ; l
io invece, facendo seguire alla descrizione della sfera la trat-
tazione dell'influsso, comporrò un'opera profondamente vera
e poetica, e nuova nel mondo letterario :
Nostra loquar; nulli vatum debebimus ora,
Nec furtum, sed opus veuiet, soloque volamus
In caelum curru, propria rate pellimus undas. 2
1 Manili Aslron., II, v. 37-88.
8 Astron., II, v. 67-69.
:'.i; tNTROi)r/.m\i
Comincia pertanto col principi"» della trasmissione del de-
stino, che cerca di dimostrare sperimentalmente con l'analogia
degl'influssi meteorici, generalmente ammessi:
Quis dubitet post haec hominem coniuugere caelo?1
Veramente il passo dall'uno all'altro termine del paragone è
un po' troppo lungo, ma di ciò non ha colpa il solo nos
poeta. 11 quale, una volta in carreggiata, viene subito ad
raparsi della classificazione delle costellazioni zodiacali, che
possono essere maschili o femminili, umane o ferine, doppie,
biformi, diurne o notturne, acquatiche o terrestri, feconde <>
sterili, ecc. ecc.; tutte qualità che determinano una varia-
zione d'influsso. Le combinazioni dei segni, dette aspetti^
per lui si riducono a tre principali, cioè al trigono, al tetra-
gono ed all' esagono, a cui si possono aggiungere le posizioni
di solitudine^ di impossibilità a congiungersi, come avviene
nei segni immediatamente successivi, e di opposizione. Alenili
segni fra di loro si vedono, altri si ascoltano, alcuni si amano,
altri si odiano;2 e come dei segni, cosi accade degli aspetti.
Qui siamo oramai in piena astrologia: ma c'inoltriamo ancor
pili addentro quando il poeta passa alla complicata teoria del
dodecatemorio, la quale consiste nel dividere ciascun segno del
circolo zodiacale in trenta parti, collocando poi in esse tutti i
dodici segni in modo che ogni segno occupi due parti e mi
del segno contenente. Questo procedimento si può applicare an-
che alle orbite dei pianeti, per es. della Luna, onde si ottiene
\l dodecatemorio della Luna\ di più, è lecito applicare il pro-
cesso a ciascun arco zodiacale già frazionato nel suddette
modo, e si ha il dodecatemorio nel dodecatemorio. 3 Curiose
i Astron., II, v. 105.
i in clic lesto si abbiano da prendere qaeetl verbi dice a. Bouchb-Le-
CL1 l< v- 0©. cit., p. 1'
1 Intorno agli strani odi flit costrutti 0 copiati da .Manilio, ed ali
imn tempre sicura e eoerente competente Metrologica, r. a. Bouori
ep, cit.. j». Jiti. n. :{, dove >i espone il dodecatemorio zodiacale, ed ■ i
dove si tratta di <|iicllo planetario: v. pure a p. \ ii, dove tono gindieate
potè .sicure le tavole annesse alla cit. edizione inaniliana del Jacob. Poiché
mi si presenta l'OOOttlone, aggiungerò elle anclie |n r il testo BOB sempre
INTRODUZIONE 37
costruzioni, alle quali gli astrologi, non a torto, annettevano
grande importanza, giacché per esse era dimostrato che cia-
scuna costellazione dello Zodiaco non agisce mai da sola sul
destino umano, ma riceve sempre in varia misura la coopera-
zione delle sue sorelle; onde l'indovino poteva in ogni giorno
o parte di giorno dare un responso diverso. l Non occorre in-
fatti far osservare che ogni porzione zodiacale cosf ottenuta
possiede un influsso peculiare ad essa; come un influsso suo
speciale ha un'altra figura, di cui Manilio si occupa subito
dopo: l' octotopo. Questo appartiene alla teoria genetliaca ed
è indipendente dallo Zodiaco. Per ottenerlo si costruisce il cir-
colo della genitura, coi suoi quattro centri, che il poeta chiama
cardini o punti: fra un punto e l'altro l'intervallo si divide
in due parti, onde risultano otto archi o luoghi; su ciascuno
dei punti, perché si abbia influsso efficace, viene a collocarsi
un pianeta. Il primo degli intervalli, composto di due archi,
che va dall'oroscopo alla culminazione superiore, rappresenta,
per mezzo degli astri che vengono a passare sopra di lui, nel
tema della genitura, l'età infantile; il secondo, la giovanile;
il terzo, la matura; l'ultimo, fra la culminazione inferiore e
di nuovo Yoroscopo, la declinante. 2
Libro terzo. — Dopo un breve proemio di scarsa importanza,
si riprende la trattazione del circolo dt-lla genitura, non più
secondo la divisione in otto parti, ma secondo quella più co-
mune in dodici sorti; esponendo la quale Manilio corre il ri-
schio di mostrarsi poco coerente con se stesso, o almeno molto,
forse troppo, eclettico rispetto ai sistemi astrologici. Traccia
l'i il. beroliniana è citabile, come ho dimostrato per un passo speciale in
certi mici Appunti di critica umanistica, in Riv. di filol. e d'istr. clas-
sica, XVIII, 2.
1 Manilio stesso non manca a questo punto di richiamare l'attenzione
del lettore sull'importanza del tema (li, v. 608):
Perspice nunc tenuem visu rem, pondera magnami
* A. Bouché-Leclebcq, op. cit., p. 276, dove si trova, oltre alla nomen-
clatura mitologica dei punti, degl' intervalli e degli archi, anche la rap-
presentazione grafica dell' octotopo. Quanto all' octotopo stesso, è superfluo
osservare che esso non è se non una variazione del tipo, da noi già ricor
dato e più universale, del circolo della genitura coi dodici luoghi.
38 INTRODUZIONE
egli adunque nuovamente il suo circolo e lo divide nei quattro
intervalli per mezzo dei punti, con questa sola novità ohe al
posto dell' oroscopo, o punto orientale, segna la aorte della For-
tuna; conduce quindi le sue corde per tutto il cielo in modo
da ottenere i dodici luoghi, a ciascuno dei quali assegna una
sorte, cioè l'influsso — giacché si tratta del tema genetliaco
— sopra uno dei casi normali della vita umana. Le dodici
sorti, a partire dall' oroscopo, sono le seguenti : l* fortuna, nel
senso materiale di patrimonio; 2a milizia, cioè armi <■ viaggi :
3a milizia togata, cioè opere civili, clientele, amicizie, cariche
pubbliche; 4a milizia forense, cioè tribunali ed ogni genere di
oratoria giudiziale; 5a vincoli, cioè nozze, alleanze, ospitalità
e parentele; 6a ricchezze, nel senso di guadagni commerciali e
industriali; 7a pericoli; 8a nobiltà, sia essa di nascita, sia ac-
quisita per merito; 9a famiglia, cioè allevamento ed educa-
zione dei figli ; 10a autorità, cioè i doveri di capo e padrone
di casa; lla salute e mancanza della medesima, cioè infer-
mità; 12a voti, in quanto si sono felicemente avverati, o ven-
nero a mancare di esito buono. L'osservazione pratica di qm
sorti non offre che una sola difficoltà : la determinazione esatta
dell'oroscopo o sorte della Fortuna; onde su questo punto e sui
vari metodi di ricerca il poeta si ferma alquanto, tacendo an-
che notare la possibilità, per mezzo dei calcoli, di riconos
l' oroscopo tanto di notte, quand' è sereno, quanto sui libri e
di giorno. Passa quindi ad un tema affine, cioè alla dottrina
degli astri patroni del tempo, donde ricava una teoria riguar-
dante la longevità e la morte prematura. Per ultimo >i occupa
dell'influsso dei segni tropici ed equinoMiali.
Libro quarto. — Il quarto libro a buon diritto s'apn
un notevolissimo proemio lirico intorno alla fatalità, giacché
in esso si discorre di proposito non più della figurazione del
cielo, ma degl'influssi delle costellazioni zodiacali. Ciascuna
delle quali anzitutto ha un influsso suo proprio, che spesso, per
non dir sempre, è analogo alla figura convenzionale di lei;
onde all'Ariete, simbolo di ricchezza per lo lane abbondanti,
son dati in tutela i ricchi, al Toro gli aratori «• i contadini,
ai l'esci i pescatori e i marinai In secondo luogo gl'influssi
INTRODUZIONE 39
si possono intrecciare per l'azione reciproca d'una costella-
zione sulle altre, onde nascono quei raggruppamenti, che io
già ebbi occasione di ricordare come di uso comune fra gli
astrologi, detti i decani. In terzo luogo, in ogni segno zodia-
cale si contano più stelle, cioè più parti, le quali possono
avere fra di loro diversità d'influenza; onde, anche per questo
riguardo, c'è da distinguere e da sottilizzare non poco. Fi-
nalmente ogni costellazione nel suo corso ora sale verso lo
zenit, cioè si trova in posizione ascendente, ed ora è discen-
dente : si capisce che per ciascuna di queste due tappe celesti
c'è differenza d'influsso. Ma come negli agenti la varietà di
condizioni produce varietà di azioni, cosi disuguaglianze na-
scono pure dalla diversa natura dei pazienti, dimodoché al-
tro sarà l'influsso che da uno stesso aspetto cade sopra gli uo-
mini, ed altro quello che agisce sulle regioni della Terra. L'oc-
casione d'una corsa geografico-astrologica attraverso al mondo
conosciuto qui si presenta opportuna, ed il poeta ne approfitta
per risollevare alquanto l'interesse poetico, che davvero in
certe astruserie precedenti s' era affievolito, anzi spento. Il
libro termina con un accenno all'influsso delle costellazioni
dette ecclitiche.
Libro quinto. — Dice bene Manilio, aprendo il quinto libro:
« hic alius finisset iter >, giacché, dal punto di vista della sua
scienza, il tema sarebbe svolto, se ne togli forse la necessità d'un
più largo sviluppo intorno ai pianeti, i quali sembrano, nella
poesia antica, fatalmente destinati a rimanere nella penna de-
gli autori ! Ma non già sui pianeti egli intende scrivere le nuove
pagine, bensi intorno ad un altro tema scarsamente trattato da-
gli astrologi; dico, delle costellazioni extra-zodiacali. Infatti
nella pratica astrologica era raro il caso che si tenesse conto
di altre costellazioni, che non fossero quelle zodiacali, anche per
non accrescer confusione. Invece il nostro poeta vuol fare opera
nuova, ed in tutto il presente libro discorre dell'influsso combi-
nato di quegli asterismi che, collocati fuori dello Zodiaco, hanno
con qualcuno dei segni di esso comune il levare. Gli accenni
astronomici sono in tale esposizione naturalmente sobri e fa-
cili, cosicché lasciano vasto campo all'interpretazione morale;
40 INTRODUZIONE
onde per più centinaia di versi si descrivono temperamenti,
accidenti, usi e costumi umani, dove la vena poetica dello scrit-
tore sgorga viva e brillante. Aggiungasi che le figure della
sfera troppo bene venivano a richiamare alla memoria del poeta
le favole del cielo greco, ed a suggerirgli degli episodi mito-
logici ora appena sbozzati, ed ora meravigliosamente dipinti,
come la celebre storia di Andromeda liberata. Il libro e l'opera
termina con un frammento intorno alla grandezza ed allo splen-
dore delle stelle.
Al poema di Manilio — si licei parva componere n>
— si può dire che « han posto mano e cielo e terra», come a
quello di Dante; in esso troviamo disegnata la compagine ma-
teriale e morale dell' universo intero, a cominciare dalla mente
divina, la quale, come abbiamo veduto, regge e pervade ogni
cosa, fino alle più modeste abitudini e passioni degli uomini.
Di questa vastità di comprensione è cosciente il poeta, e se ne
vanta in quei brani di indole lirica, che abbiamo solo sfiorati
nell'analisi, e specialmente nei proemi e nelle digressioni, a cui
bisogna adesso rivolgere l'attenzione.
Kicordiamo che la concezione morale, dal poeta lanciata col
suo canto nella società romana del primo secolo, è la conce
zione stoica, che noi conosciamo.1 La forza creatrice d'ogni
cosa è Dio, il cui regno è nella parte incorruttibile dell'universo,
nel cielo:
Idem scraper erit, quoniam semper fuit idem ,
Non alium videro patres aliumve nepotes
Aspicient : Deus est, qui non mutatur in aevo. ■
1 Lo stoicismo di Manilio, ehe io dò per certo, secondo che ;i ine pare
evidente dopo maturo esame dei passi più notevoli del poema, fu oggetto
di discussione fra i critici. Acute osservazioni, ma che non credo tutte gin-
stc, si trovano a questo proposito nel Saggio di 0. Lakson, I >r Mnnilin
poeta eittsque infjenio, Paris, 1887, cap. 1°, dove si sega lo itoi< i>m<> ma-
ttinano pel solo fatto che certe frasi del poeta sembrano non aoeordaittl per-
fettamente eoa alcuni punti seeondan delle dottrine di Zenone, [/autore, a
mio modo di giudicare, ha il torto di non tener conto dei compromessi av-
venuti in età meno antica Ira lo stoicismo e l'astrologia, specialmente per
quanto riguarda la teoria fatalistica.
* Astron., I, v. -i
INTRODUZIONE 41
Mosse dal Creatore girano le sfere celesti, e sotto le sfere, sulla
crosta della Terra immobile al centro, si agitano per impulso
di quelle le creature mortali; l'influsso, che muove da Dio, passa
negli astri e discende quaggiù. E l'uomo, che è la più perfetta
delle creature, che leva in alto la fronte a cercare in ciò che
gli sta intorno e sul capo la ragione della propria esistenza,
è non meno degli animali, delle piante e degli elementi insen-
sibili compreso nel cerchio della simpatia universale, sotto il
governo del fato. Dal fato son largite a noi le fortune, la gloria,
i piaceri; dal fato, ahimé! discendono in terra con tanta fre-
quenza il dolore e il peccato. Certo, anche il peccato e il de-
litto, lo spergiuro e il pugnale son nei decreti divini, e non è
colpa dell'uomo se
In populo scelus est, et abundant cuncta furoris,
Et fas atque nefas mixtum. legesque per ipsas
Saevit nequities, poenas iam noxia vincit. l
Tuttavia un terribile destino aggiunge all'impulsola non de-
bita espiazione, condannando il reo non responsabile all'odio
e alla vendetta dei suoi simili :
nocentis
Oderimus niagis in culpam poenasque creatos;
Nec refert scelus linde cadit, scelus esse fatendum.2
Convien riconoscere che in codesta Nemesi e' è un profondo
senso di verità e di poesia, al quale non possiamo rimanere
indifferenti noi moderni soprattutto, avvezzi a considerare ben
altrimenti che come vendetta l'esecuzione della legge penale,
ed a scorgere in molti deplorevoli errori e reati una necessità
patologica. Portate a si estreme conseguenze le premesse, nello
sgomento che esse naturalmente suscitano nelle coscienze, un
mezzo solo resta, per un pagano, di redenzione : la sommissione
del saggio alle leggi del fato.
Solvite, mortales, animos, curasque levate
Totque supervacuis vitam denere querelis :
1 Astron., II, v. 600 603.
* Astrun., IV, v. 116-117.
42 INTRODUZIONE
Fata regunt orbem, certa stant omnia lege,
Longaque per certos signantur tempora casus :
Nascentes roorimur, finisque ab origine pendet. '
Sommissione adunque, ma non supina, non, diremmo noi, mu-
sulmana. Non è forse detto che, come agiscono, cosi gli astri
rivelano, per quanto oscuramente, i decreti divini? Il saggio
sarà dunque l'astrologo, il quale prevede il volere dogli dèi e
vi si acconcia senza ribellione, ma anche senza viltà.
Né meno interessante è l'esemplificazione di questi principi
la quale forma, accanto alle costruzioni astrologiche, il più
ampio contenuto del poema, specialmente nei due ultimi libri.
Com'essa sia distribuita già abbiamo veduto, e come in essa
risieda un motivo vero e drammatico di poesia pure abbiamo
a suo luogo messo in evidenza. È la grande commedia umana
dei popoli e degli individui ohe ci passa davanti, come sopra
una scena. Dapprima è, con tragica dignità di trionfo, l'avvi-
cendarsi delle civiltà orientali, fino al dominio della Persia sui
popoli asiatici; quindi la storia degli Elleni dalla guerra di
Troia alla peste d'Atene, alla caduta della libertà; infine
l'epopea di Roma dalla fatale venuta d'Enea alla conquista
d'Italia, alle guerre esterne e civili, nelle quali campeggiano
le grandi ed infelici figure di Mario e di Pompeo. Ancora re-
cente, per l'età del poeta, è il ricordo degl' Idi di Marzo, quando
Cesare, per quanto potente,
totiens praedicta cavere
Vulnera non potuit toto spoetante senatu,
Indicium dextra retinens, nomenque cruore
Delevit proprio, possent ut vincere fata ; *
son storia ancor viva le battaglie di Filippi e di Alio,
Femineum sortita iugum cum Roma pependit
Atque ipsa Isiaco certarunt fulmina sistro ; 3
» Astron., IV, v. 12 1">. In quest'ultimo reno, untisi, è formulati l.i
legge dell' oroeeojM <> del tema di genitura.
* Astron., IV, v. 69-62.
» Astron., I, v. 917-918.
INTRODUZIONE 43
e fra il popolo della città si piange tuttora la fatale giornata,
Cuni fera ductorem rapuit Germania Varum
Infecitque trium legionum sanguine carapos. '
Accanto ai grandi fatti pubblici e collettivi non meno at-
traenti si disegnano i tipi individuali, nei quali, io credo, ana-
logamente a quanto accade talvolta anche a noi quando leg-
giamo libri di psicologia, i lettori antichi dovevano spiare con
curiosità ciascuno un riflesso del proprio temperamento e l'av-
venire che l'oroscopo loro prometteva. Tutta infatti la scala so-
ciale di quella turba che affollava, sotto il regno di Tiberio,
la capitale del mondo, da Manilio è ritratta con felicissime
pennellate, dalle quali io ricevo quella stessa piacevole e viva
impressione che mi accade di provare quando rileggo, nel
Meriggio, i bei tipi dei convitati pariniani. Qua si fanno in-
nanzi, della classe colta, i gravi filosofi, i quali
Pascentur curis, veterum exempla revolvent,
Semper et antiqui laudabunt verba Catonis ; 2
della classe media i commercianti, i navigatori, i meccanici
abili a costrurre laghi e canali,
Et peregriuantes domibus suspendere rivos. J
Fra i piccoli negozianti e fra il volgo, ecco i fabbri, gli ore-
fici, gl'intagliatori di cammei, i pittori d'affreschi, i fornai e i
beccai, i quali
pecudum membris media grassentur in urbe,
Et laceros artus suspendant fronte tabernae. 4
Ma la categoria sociale meglio colta dal vero è quella che si
aggirava intorno ai luoghi di ritrovo e di divertimento, cosi
cari alla plebe dell'era imperiale, nei teatri e nel circo. Ecco,
per primi, i poeti tragici, a cui e una gioia estetica il guaz-
zare negl'incesti e nei delitti e il descrivere, per esempio, la
cena d'Atreo,
* Axtron., 1, v. 899-900.
* Astron., V, v. 4M 464.
3 Aatron., IV, v. B66.
* Astron., IV, v. 184 18 .
44 INTRODUZIONE
Kuctanteraque patrem natos, Solemque reversum,
Et caecum sine Sole diera ; '
quindi i poeti comici, gii attori scenici e gli attrezzisti, per la
cui opera meraviglipstl pare al popolo radunato nella cavea di
vedere
praesentera Troiam Priamumque ante ora cadentem, '
e, sempre fra la gente di teatro, i gentili flautisti, per i quali
« labor est etiam ipsa voloptas ». s Poi, scendendo più in
basso, l'auriga del circo, nato per
subiungere currus,
Ardentis et equos ad mollia ducere frena; '
i gladiatori dell'anfiteatro, i quali
caput in mortem vendunt et funus arenae
Atque hostem sibi quisque parat, cum bella quiescunt ;r>
il domatore di belve, cbe sa
Exorare tigris, rabiemque auferre leoni,
Cumque elephante loqui, tantamque aptare loqueudo
Artibus humanis varia ad spectacula molem ; 6
e ancora l'equilibrista, il cavallerizzo, il ballerino. Vediamo
inoltre aggirarsi fra gli spettatori il venditore di fiori e di pro-
fumi, e nelle piazze la gente adunarsi davanti al palco im-
provvisato del saltimbanco o dell'incantatore di serpi.7
Mi si passino, in grazia del loro valore dimostrativo, que-
ste citazioni, le quali servano pure di saggio al lettore per un
giudizio sulla forma di Manilio: giudizio che quanto all'efficacia
della frase, alla purezza della lingua, alla perfezione metrica
del verso deve essere evidentemente favorevole. E concludo :
l'opera di Manilio è un poema di forte concezione, per quanto non
del tutto originale, di sufficiente arte nell'orditura, arido e pr<>
» Astron., V, v. 468-464.
* Astron., V, v. 486.
3 Astron., IV, v. Itt.
* Astron., iv. v. ì>31 232.
» Astro»., IV, v. 22n-226.
* Astron., IV, v. 236-237.
7 0. KlBBECK, (»)>. lit., U. 18 Sgtf.
INTRODUZIONE 45
saico nella prima metà, ma ricco di motivi e di colori poetici
nella seconda; per ogni riguardo storicamente notevole, e degno
del favore, specialmente letterario, che più tardi, nell'età del
Rinascimento, ebbe la fortuna d'incontrare.1
Torniamo alla storia dell'astrologia. Tralascio, come sopra,
di accumulare aneddoti curiosi intorno all'espandersi della
superstizione sotto gl'imperatori posteriori a Tiberio;8 ac-
cenno di volo alle molte polemiche, confutazioni e difese dei
principi astrologici, segnatamente del fatalismo e della ne-
cessità del volere, alle quali presero parte le scuole filoso-
fiche pagane non solo, ma, alquanto più tarli, i Padri della
Chiesa cristiana. 3 E vengo all' età di Marc' Aurelio, quando
Tolomeo ingegnosamente forzò l'aristotelismo, come abbiamo
già detto, a conciliarsi colla teoria degl' influssi, e cosi con-
taminato lo trasmise, con meravigliosa fortuna, per mezzo
del suo sistema geocentrico, a tredici secoli dopo di lui. 4 Sorge
più tardi Plotino, restauratore della filosofia accademica, il
quale pur togliendo importanza all'astrologia col dare alle stelle
il solo valore di segni del volere divino, non la negò del tutto,
1 Con questo giudizio benevolo si accorda 0. Ribbeck, op. cit., p. 21 ; ma
da esso si scosta, forse perché troppo familiare con le altezze lucreziane,
«(1 a mio modo di veliere non del tutto giustiricatamente, C. Giussam, Let-
teratura romana, Milano, 1899, p. 326-327; vi si oppone pure G. Lanson, op.
cit., p. 82, dove è curioso il leggere come tutta la parte umana dell'ispi-
razione poetica, cioè circa metà del poema, sia da ritenersi opera retto-
rica, vuota di concetto, puro esercizio letterario. Temo assai che su questo
genere di apprezzamenti prema alquanto il disprezzo, poco critico, in che
è tenuta comunemente l'astrologia. La quale — il lettore già se n' è ac-
corto — deve essere da ogni serio studioso considerata come un fenomeno
importante nella storia delle religioni e della filosofia, e guardata quindi
con occhio sereno e con animo spassionato.
* A. BoUCHÉ-LECLERCq, Op. CÌt. , p. .ri")."> Sgg.
3 A. Hovché-Leclekcq, op. cit., p. f>70 sgg.
* È noto come l'opera maggiore di Tolomeo, la Meyàfa] Ovi>Ta£ig rf)g
àOTQOvo/Liiag, che, tradotta in arabo, tornò in Occidente col nome di Al-
mar/ento, come è un perfezionamento delle teorie planetarie eudossiantj e
aristoteliche, cosi non è estranea all'astrologia; ma più astrologico è il
TeTQàf}ifìXo£, detto alla latina Quadripartito, piccolo manuale composto
di Inani tolemaici da un compilatore più recente. Non occorre avvertire che
una terza operetta, il Centiloquio, creduta del grande astronomo per molto
tempo, e contentata diffusamente nel Quattrocento dal l'ontano, è ora rico-
nosciuta apocrifa. Vedi S. (ìììnther, op. cit., p. 80; W. Christ, op. cit., p. 571.
46 INTRODUZIONE
anzi fini col darle incremento indirettamente per mezzo del
misticismo delle sue concezioni.1 Porfirio, un altro neo-piato-
nico, pensò di conciliare l'influsso col libero arbitrio, conce-
dendo all'anima non ancora incarnata la libera scelta del pro-
prio tema di genitura, e favori cosi, assai più che non supponesse,
l'astrologia;2 Iamblico e Proclo popolarono lo spazio sublunare
di un'infinità di demoni, ottimi trasmissori delle azioni stel-
lari.3 Da tutte codeste fantastiche costruzioni, con qualche ele-
mento tolto altresì al giudaismo e al cristianesimo orientali',
sorsero, intorno all'età di Costantino, quei curiosi zibaldoni che
una tradizione artificiale attribuì per lungo tempo alla remota
sapienza egiziana, e vanno sotto il nome di Ermete Trismegi-
sto, nei quali l'astrologia più superstiziosa ed inverosimile ha
larghissima parte. A Della medesima epoca, nati dallo stesso
miscuglio, sono gli otto libri di Giulio Finnico Materno, la mag-
giore e più sfacciata e arruffata trattazione astrologica in prosa
dell'antichità,5 ad interpretar la quale — come volle un biz-
zarro destino — si affaticarono con tanto zelo gli umanisti del
nostro Quattrocento, scambiandola per non so qual preziosis-
simo testo.
Attingendo la sua materia alle idee ora ricordate, ed ispi-
randosi evidentemente all'esempio mauiliano, un versificatore
greco dell'età di Alessandro Severo aveva intanto prodotto uno
degli ultimi saggi antichi di poesia celeste. Il suo nome ci è
ignoto, celandosi egli sotto il ieratico appellativo di Manetone
egiziano; il suo poema si compone di tre libri, intitolati degli
Apotelesmati, nei quali l'esposizione è quanto inai arida e pe-
destre, la trama regolare, ma senza novità, e l'elemento poetico
manca del tutto. Rinuncerò pertanto a darne un sunto metodico,
pago di accennare ad alcuni punti in esso degni di nota. E in
1 E. Zei.ler, op. cit., V. p. 665 Bgff* ! A. Boocbè-Lk Bit p. 600.
- K. StUtt, op. cit., V, |». C.74 ; A. Bovno LtCLUO), op. cit., p. I
3 A. Bouché-Lec LKRcq, op. cit., p. 602.
* Hermes Trisme'giste, trad. complète préeédée d'una òtnde, eto. par L
Mknard, Paris, 1866, p. e e ex. Si vedrà a suo luogo V importanza del liliri
ermetici nel Rinascimento, quando, specialmente dal Filino, faro* erodati
veri monumenti di un'antichissima filosofia religiosa orientali'.
• VY. S. TEUFrKL, op. cit., p. 102"-.
INTRODUZIONE 47
primo luogo osserverò che questo poemetto viene — se per corn-
ili unzione o di proposito, non saprei determinare — a compiere
l'opera di Manilio nella sua parte deficiente, cioè per ciò che ri-
guarda l'influsso dei pianeti. Nel primo libro infatti, date varie
notizie astronomiche generali, si espone la teoria delle case zo
diacali, e subito dopo la dottrina degli aspetti planetari, special-
mente dei luminari, detti in quest'opera stelle regie; nel secondo
si tratta del passaggio dei pianeti, compresi il Sole e la Luna,
nei cardini del circolo della genitura; nel terzo ed ultimo viene
una specie di repertorio di parecchi temi genetliaci planetari.
Caratteristico storicamente vi è l'ostentato silenzio intorno al-
l'oroscopo imperiale, e notevole poeticamente il breve accenno
dell'autore alla propria genitura. l
Vano sforzo sarebbe il tener dietro, nella nostra rapida ras-
segna, ad altri nomi di plagiari e compendiatori degli scritti
fin qui enumerati, i quali trova nsi nell'età costantiniana tanto
numerosi, quanto destituiti di qualsiasi importanza: 2 affrettia-
moci piuttosto a chiudere il periodo astrologico maniliano, cosi
diverso dal precedente o arateo, tanto diverso altresì dal se-
guente o medioevale.
1 Intorno allo Pseudo Manetone ed ai tre libri autentici degli Apotele-
smati seguo, senza aver agio di seriamente discuterle, le conclusioni di
A. Koechly, Portele bucolici et didactici, Paris, 1850, p. vi della prefazione
all'opera di cui discorriamo.
2 Qualche notizia di scarso interesse intorno a Doroteo ed a Massimo, scrit-
tori greci di brevi precetti astrologici, ed agl'ignoti autori dei tre libri apo-
crifi degli Apotelesmati, v. in A. Koechly, op. cit. Assai pili importante per
contro è la voce die questa poesia mandò a distanza nel tempo, ridestando
l'eco di certi poeti bizantini dei secoli xn e xm. Tu questa età, come ve-
dremo a suo luogo, in Occidente mancava affatto il ricordo dei modelli
classici, mentre alla corte degli imperatori d'Oriente Andronico e Manuele
Comneno si scrissero i due poemetti astrologici cristianeggianti di Teodoro
Prodromo e di Giovanni Camatero, sul valore e sui caratteri dei quali v.
M. K. Killer, Ponnes Astronomiques de T. Prodrome et de I. Camatère,
etc, in Notices et extraits dea manuscrits de la bibl. nationale etc, voi.
XXIII, par. 2e, p. 49.
48 INTRODUZIONE
Tutto ciò che fino a questo punto ho ricordato della storia
della poesia astrologica, mentre serve a illaminare il teina
principale del presente lavoro dal punto di vista scientifico
ed estetico, ha il valore di studio sulle fonti classiche sia
deila sostanza sia della forma dei poemi astrologici del
Quattrocento: importanza affatto secondaria ha come introdu-
zione storica o preparazione di ambiente letterarie Invece
quanto sto per dire della poesia astrologica medioevale tende
ad uno scopo interamente inverso, giacché uell'età di mezzo
veniamo ad avere la lenta formazione del contenuto e dell' as-
setto esteriore della poesia didattica del secolo xiv. di quel
colo cioè che, trovandosi proprio sullo scorcio del Medio evo,
costituisce la linea di passaggio, anzi di confine, fra quesl
il Rinascimento, del quale e perciò il precedente storico; pie-
cedente di pura cronologia e non di colleganza intrinseca se
non in parte minima, secondaria ed esterna, in quanto serve
a dimostrare che l'ardore per la divulgazione artistica della
scienza già prima dell'Umanesimo in Italia era vivo ed operoso,
sebbene si servisse di mezzi molto diversi esteticamente. Per-
ciò in questo sunto toccherò di volo le precipue questioni me-
diocvali intorno all'astrologia, e nella esposizione «lei mate-
riale letterario mi limiterò ai più noti prodotti della poesia
enciclopedica trecentistica.
Si legge in Sfent' Isidoro una partizione della dottrina 06-
leste, utilissima a noi per due rispetti : e per conoscere fin da
principio quali fossero le correnti del pensiero mcdioevale nel
campo astronomico, e per raggruppare i poemi da studiarsi,
a seconda del loro carattere interno. Comincerò pertanto col
riferire alla lettera il passo dell' Ispalense :
De differenti a astronomiae et astrologiae. Inter astronomi;» m
autem et astrologiam aliquid diflert. Nani astronomia converaionem
coeli, ortus, obitus motusque siderum continet, vel qua •» ita
voceDtur. Astrologia vero partim naturalis, partim superstitiosa est.
INTRODUZIONE 49
Naturalis, dum exequitur Solis et Luuae cursus, vel stellarum, cer-
tasque temporuin stationes. Superstitiosa vero est illa, quam mathe-
matici sequuntur, qui in stellis augurantur, quique etiam duodecim
signa per singula animae vel corporis membra disponuut, siderum-
que cursu nativitates hominum et mores praedicere conantur. '
In queste parole vediamo accennata in primo luogo l'astro-
nomia propriamente detta, cioè quella scienza delle posizioni
e dei movimenti celesti che, sopravvissuta al decadimento di
ogni arte e di ogni sapere durante i secoli delle più gravi in-
vasioni barbariche, ancora all'inizio del Medio evo veniva in-
segnata nelle scuole : essa era dunque un pallido ricordo delle
teorie greche aristoteliche, secondo il caratteristico cielo tole-
maico, che si studiava sopra certi magri testi, quali erano, per
esempio, il noto libro di Marziano Capella e l'opera sopra ricor-
data del vescovo di Siviglia. 2 Una debole tradizione mitolo-
gica, soprattutto ad illustrazione dello Zodiaco, accompagnava
pure codesto insegnamento, resistendo alle ingiurie del tempo
ed alla guerra mossa loro dal cristianesimo taluni rifacimenti
o sunti dell'opera iginiana. 3 Venne poi, fra il nono e il de-
1 S. Isidori Hispalensis episcopi Opera omnia, Romae, a. MDCCXCVIII,t. Ili,
p. 144. Non occorre spiegare che mathematici vengono in questo passo chia-
mati, con espressione classica, gli astrologi ; piuttosto gioverà avvertire che
la classificazione di Isidoro ebbe davvero un consenso quasi universale nel-
l'età di mezzo, quando la si trova ripetuta dai più reputati scrittori, come
Giovanni di Sassonia, Rabano Mauro, ecc., per i quali v. A. Ebert, Allge-
meine Geschichte der Literatur des Mittelalters im Abendlande, Leipzig,
1874-87, t. II, p. 133, n. 4. Giova inoltre osservare che nel Medio evo, anzi fin
dall'antichità, alla distinzione dei concetti non sempre corrispose presso
gli autori la distinzione dei vocaboli, fra i quali si riscontra una specie di
sinonimia. Ad ovviare alla quale, come osserva A. Bouchk-Leclekc^, op. cit.,
p. 3, n. 3, 8' introdusse, per indicare quella che esattamente dovrebbe chia-
marsi astromanzia, il nome di astrologia giudiziaria ; mentre il termine
astronomia, a dispetto del significato etimologico, rimase alla scienza ce-
leste intesa in senso moderno.
2 A. Ebekt, op. cit., t. I, p. 459 e 662.
3 Esempi di frammenti mitologici ne vedremo parecchi nei poemi, che
stiamo per esaminare; qui è piuttosto il luogo di richiamare certe figura-
zioni pittoriche medioevali, nelle quali il motivo astronomico ancora si può
scoprire, e che costituiscono un utile raffronto colle descrizioni poetiche.
Importanti, p. es., sono a questo riguardo le notizie date da P. Toesca, Gli
affreschi della cattedrale di Anagni, Roma, 1902, p. 9-10, e, per la tradi-
SOLPATI 4
60 introduzione
cimo secolo, il risveglio scientifico arabo, dapprima in Oriente
quindi nella Spagna; Albategni ed Alfagrano tradussero e co-
mentarono il vero Tolomeo, il quale per il loro tramite ricon-
dusse il sapere classico nel territorio dell'antico dominio ro-
mano. l A diffondere questo sapere in modo facile ed elementare
il monaco inglese Giovanni Alifax, detto il Sacrobosco, scrisse
poco appresso, cioè sul principio del secolo xiii, una sua Sfera,
che divenne, quantunque fosse un mediocre ed imperfetto com-
pendio dell' A Imagesto, famosa e ricercata in tutto l'Occidente,
e trovò opportune aggiunte nelle annotazioni di astronomi po-
steriori. 2 È dessa, almeno per la parte scientifica, la nota co-
struzione geocentrica degli Scolastici, che tanta importanza ebbe
nel pensiero e nell'arte degli ultimi due secoli del Medio evo.
Alla seconda categoria d'Isidoro appartiene quella cono-
scenza dei movimenti del Sole e della Luna in rapporto alle
altre parti del cielo stellato, che serve a contraddistinguere le
suddivisioni del tempo : in altri termini, la scienza del calen-
dario. Essa che, pochi anni prima dell'era volgare, aveva pro-
dotto la celebre riforma di Giulio Cesare ed ispirato il poe-
metto ovidiano dei Fasti, durante l'impero e per tutto il .Medio
evo rimase pressoché stazionaria, e solo nel Rinasci monto ebbe
un nuovo periodo di risveglio, quando attese alla seconda ri-
zìone grafica dei manoscritti, da (i. Thielb, Antike Himmeìsbilder, Berlin,
1898, già citato. Una curiosa tradizione letteraria e plastica à pure quella,
che ci dà la personificazione dell'astronomia, in figura di donna coronata
di stelle, press'a poco quale si legge in questi due distici d'ignoto:
Mira mini facies animusque volubili* instai,
Tot gero quippe oculos, quot capit astra polus,
Mammas quinque teueus, unam tamen igne perustam.
Et Ihikis placidas, atque duas gelidas;
distici editi in Monum. Germ. historica, Poetano) latinorum nodi) ieri,
t. I, pars posterior, p. 629; su quest'argomento v. altresì A. Ebert, op. cit.,
t. II, p. 78; e, per la parte pittorica, P. D'Ancora, Le rapprcsr>itu:io>i) alle-
goriche delle arti liberali nel Medio evo e nel Rinascimento, Roma, 1903.
1 M. Delambre, Histoire de l'astronomie du Moyen dge, Paris, 1819, p. LO
e 68.
* Ioakhis de Sacro Bosco Sphaera, Lugduni, 1578. Si divide in quattro
piccoli libri o capitoli, nei quali manca qualsiasi mistione di dottrina astro-
logiche; v. anche M. Delambre, op. cit, p. 241, dove si parla della 5
e dei suoi commentatori.
INTRODUZIONE 51
forma dell'anno, più volte tentata, detta dal pontefice che la
consecrò, gregoriana. 1 Ma non esercitandosi attivamente in
osservazioni od in calcoli, diede pur materia nel Medio evo
a certi trattatelli, detti Computi, ora in prosa ed ora in poesia:
compilazioni generalmente di monaci, ai qnali era caro tener
nota dei mesi, delle settimane, dei giorni, in servigio delle
pratiche del culto, segnando le cerimonie sacre, i periodi di
festa o di penitenza. Uno di tali libri porta il nome del Sacro-
bosco ; 2 un altro, anteriore, cioè del secolo xn, è opera di Fi-
lippo di Thaon, ed è in versi francesi. Ricordo questo a pre-
ferenza d'ogni altro, giacché ha per noi un qualche interesse
non solo per il saggio, che ci offre, di descrizione dei pianeti,
delle costellazioni, dei circoli della sfera; ma singolarmente
perché alla parte espositiva scientifica viene sovrapponendo la
sua brava allegoria, di carattere, ben s' intende, religioso. 3
La terza categoria comprende l'astrologia giudiziaria, la
quale nell'età di mezzo non fu meno fiorente che nell'antica,
sebbene in essa presenti dei caratteri alquanto diversi. Du-
rante questo periodo infatti, come abbiamo già accennato
in principio della nostra esposizione storica, l' astrologia fu
in parte trasformata dalla lotta assai viva sostenuta contro
il cristianesimo, che vedeva nelle dottrine di quella una con-
tinua minaccia alle proprie credenze fondamentali ; lotta che,
1 D. Marzi, La questione della riforma del calendario nel quinto con-
cilio lateranense, Firenze, 1896 ; dove, a p. 7-8, si dà qualche notizia in-
torno agli studi del computo nel Medio evo, specialmente coltivati dagli
Àrabi, e si accenna all'opinione seguita da Dante sull'errore annuo del
calendario giuliano.
* M. Delambre, op. cit., p. 242.
3 Li Cutnpoz Philipe de Thaiin, ed. E. Mail, Strassburg, 1873; v. pure
ciò che ne dice G. Paris, La littérature francaise au Moyendge, Paris, 1890,
p. 144. Alcune delle allegorie ricordate consistono in un semplice accenno,
come queste :
Li multuns signefie
Le fil sainte Marie....
E li tors siguelie
Le fll sainte Marie....;
ma altre, per l'influsso di leggende animali, sono ben più stiracchiate, come
quella del Leone, che nasce morto e soltanto dopo tre giorni è richiamato
in vita dal pianto dei genitori, onde è immagine della risurrezione di Cristo.
52 INTRODUZIONE
a dire il vero, non terminò con la vittoria della Chiesa. Giac-
ché i sacri Dottori, fin dal tempo di sant' Agostino, cioè fin
dagli ultimi secoli dell'impero romano, s'erano messi, nella
battaglia, in una posizione sbagliata, di guisa che con la
loro inadeguata confutazione finirono per cader nella rete de-
gli astrologi e preparare quel curioso miscuglio di supcrsti
zione e di ortodossia, che per tutto il Rinascimento, fino al
processo di Galileo, non venne mai mono.
Sant'Agostino adunque, preoccupato del colpo che il fata-
lismo astrologico avrebbe portato alla dottrina della provvi-
denza e della grazia divina, combatté quella scienza, che aveva
coltivata in gioventù, e cominciò con attaccarla in alcuni punti
interni, cercando di cogliere in contraddizione i suoi opposi-
tori; visto però che le sue armi in questo campo si potevano
ritorcere contro di lui, venne ad un argomento capitale, ma
pericoloso, e sentenziò che gli astri sono bensi segni del fu-
turo, cioè del libero volere di Dio, ma riescono indecifrabili
per i più e chiari soltanto per coloro che ricorrono all'in-
terpretazione dei demoni.1 Era questo un riconoscere la teoria,
condannando, dal punto di vista religioso e morale, la pratica;
era un sancire l'esattezza delle predizioni pronunciate dai pa-
gani, le cui anime eran credute in potere del diavolo. E ben
se ne accorsero gli stessi fedeli, tra i quali sorsero alcuni, i
quali sinceramente s'argomentarono, giacché l'astrologia esi-
steva, di cristianizzarla, o, meglio, di esorcizzarla, immaginando,
al posto degli spiriti del male, degli spiriti celesti, degli an-
geli. La setta dei Priscillianisti, per esempio, sostituì ai demoni
planetari gli arcangeli, e nei dodici segni zodiacali pose le
1 A. Bouché-Leclercq, op. cit., p. 619. L'idea di attribuire all'azione de-
moniaca l'interpretazione dei segni celesti venne probabilmente a s. po-
stino dal grande abuso che di tali spiriti sublunari si taci va nelle scuole
astrologiche neo-platoniclie, allora in fiore. Anche nel Medio evo tale giu-
dizio si perpetuò, come ci attesta una leggenda, secondo la quale l'astro-
logia avrebbe avuto a padre Cam figlio di Noè. ammaestrato in essa dagli
angeli ribelli ; v. Il libro di Sidrach, ed. A. Bartoli, liologna, 1868, p. xi ; A.
Graf, Miti, leggende e superstizioni elei Medio evo, Torino. 1 »'>_•. vol.i, p. j74,
e II diavolo, Milano, 1890, p. 249; e, per la parte più antica, C. Pascal,
Dèi e Diavoli, Firenze, 1904, p. 87.
INTRODUZIONE 53
case delle anime dei dodici patriarchi d'Israele.1 L'interpre-
tazione era logica, onde non rimase senza seguito nelle nienti
medioevali, avide di costruzioni fantastiche ; una corrente in
questo senso si produsse, rinascente qua e là nelle leggende,
come in quello strano questionario d'origine provenzale, del
secolo xin, che s' intitola il Libro di Sidrac. 2
Considerata l'astrologia come dottrina diabolica, è da os-
servare che un importante rincalzo essa ebbe al tempo del
risveglio scientifico arabico, in doppio senso : crebbe il timore
presso i cristiani, e quindi la riprovazione, d'un sapere colti-
vato con tanto successo dai nemici della Fede ; il carattere
d'altra parte che l'astrologia assunse in taluni dei libri ara-
bici, imbevuti di neo-platonismo, parve davvero dovesse farla
confondere con la magia, nella quale l'intervento demoniaco
era normale. Passando infatti rapidamente sopra Albumasar
ed Alfagrano, i due restauratori orientali della divinazione
greca secondo Tolomeo, 3 e venendo ad Averroé, cioè al più
notevole dei pensatori saraceni d'Occidente o spagnuoli, di età
1 A. Bouché Leclerco, op. cit., p. 623 e 320, n. 1.
8 11 libro di Sidrach, ed. Bartoli, dove il testo è presentato in una
redazione italiana del sec. xiv. Dalla quale non è qui fuor di luogo,
come saggio delle prime modificazioni subite dalla superstizione celeste,
stralciare il racconto della rivelazione di Giafet (ed. cit., p. 418 sgg.).
Dice adunque Sidrac al re Botozo come Giafet, figlio di Noè, essendosi
con la famiglia stabilito in un paese, che chiamò « Persia la grande », re-
candosi a pascolare il gregge in montagna, smarri nel cammino il suo ul-
timo e prediletto figlio Alinemos. Disperato egli piangeva, quando a lui
scese un angelo del paradiso. — « L'angelo disse a Giafet: non piangere lo
tuo figliuolo, ma fa com' io t'insegnerò, e tu saprai del tuo figliuolo s'egli
è morto o vivo ; e ti sia ricordo, per te e per tutti gli altri che dopo te
deono venire ; e per tutti i tempi sapere ti conviene l'opere delle pianete e
de1 segni, com' elle governano la terra, e tutte le criature, e tutte l'altre
cose che sono avenire, e quelle che sono istate e sono di presente. Sia lo
cominciamento dell'arte del fermamento, e sarà chiamata questa, istrolo-
mia. Quando l'angelo ebbe detto questo, e insegnato, e egli si parti. Giafet
fece quello che l'angelo gli avea insegnato, e si trovóe che il figliuolo era
sano e salvo, che alla fine de' VII giorni e XII ore egli lo dovea trovare.
Gli sette giorni significano le VII pianete, e le XII ore significano gli XII
segni ; che le sette pianete e gli XII segni anno vertude di governare tutte
le cose passate e le presenti e quelle che deono venire ».
3 Per notizie sulle opere loro v. P. Toynbee, Ricerche e note dantesche,
Bologna, 1899, IH e IV.
54 INTRODUZIONE
meno antica, vediamo farsi strada una concezione dell'uni-
verso, che è fortemente in antitesi col cristianesimo, come si
può osservare da un semplice cenno espositivo. L'averroismo
pone a fondamento del proprio sistema due principi: quello
della materia eterna ed incorruttibile, che costituisce i cieli
e la Terra, dotata di una intelligenza congenita in lei, che le
serve di forma necessaria e le dà il moto;1 quello dell'intel-
letto unico, ossia della perfetta « universalità dei principi
della ragion pura e dell'unità della costituzione psicologica
in tutto il genere umano ». 2 Ma siccome riconosce ancora in
ciascun essere la dipendenza quanto al moto, e quindi alla
vita, dall' essere gerarchicamente superiore ad esso, e perciò
il collegamento del tutto, l'umanità compresa, col cielo più
alto, detto perciò primo mobile, ne consegne che in quest' ul-
timo risiede ogni iniziativa. 3 Se adunque esiste un libero
arbitrio nella divinità o nell'uomo, lo si troverà nel primo mo-
bile; ma questo riceve il moto dalla propria intelligenza ne-
cessaria, onde cade in rovina ogni concetto di libertà e di
provvidenza.4 Si aggiunga poi, come corollario, che le intel-
ligenze naturali averroistiche, che non sono gli angeli, si pre-
stano ad essere ascritte alla categoria dei diavoli; onde veniva
a stabilirsi una catena di spiriti collegati, necessari gli uni
agli altri, pervadenti, anzi informanti, tutto l'universo.
Sopra una simile base non è dunque meraviglia se l'astro-
logia fece dei progressi e giunse a delle illazioni assai com-
promettenti per l'integrità della fede cristiana, come, per citare
un esempio, alla costruzione d'un tema di genitura anche per
Gesù Cristo: Yoroscopo infatti lo si vedeva chiaramente nella
famosa stella dei Magi, e la predicazione e la morte in altri
segni prossimi e remoti, secondo i (piali gli antichi patriarchi.
da veri astrologi, avrebbero formulate le loro profezie sul
Messia. 5 Portate a questo punto le cose, l'eresia appariva evi-
1 E. Renan, Averroes et Vaverroisme, Paris, 1862, p. 86-86.
* E. Renan, op. cit., p. 106.
3 E. Renan, op. cit., p. 93.
* E. Renan, op. cit, p. 87.
■"' Questa interpretazione della stella dei Mairi Ria s> trova al tempo del
basso impero (A. Buucue-Lf.ci.ekcv, op. cit., p. 611), naturalmente combat-
INTRODUZIONE 55
dente, e come tale, dopo sant'Agostino, la bollava anche san
Tommaso, la cui autorità restò norma alla Chiesa nelle sue
cruente battaglie contro gli astrologi. l
Non dunque nelle dottrine arabiche era possibile trovare
un punto di comune accordo fra l' astrologia e l' ortodossia,
e nemmeno nei tentativi grossolani dei Priscillianisti, i quali
per ricondurre gl'influssi ad una causa divina, seguivano un
metodo affatto esteriore ed arbitrario. L'accordo parve invece
raggiunto in un terzo modo di concepire i massimi rapporti
dell'universo, che sta in mezzo e partecipa degli altri due,
mantenendo salve nello stesso tempo le ragioni del dogma,
cioè nel sistema tolemaico-scolastico ; secondo il quale a partir
dall'Empireo, sede di Dio libero e provvidente, si propagali
moto attraverso le sfere celesti, dotate ciascuna d'una intel-
ligenza angelica, per gradi, e scende fino alla Terra, portan-
dovi le varie impressioni delle differenti nature planetarie.
Ora, siccome queste impressioni non sono di semplice moto
fisico, ma invadono altresì l'elemento morale, cosi il loro ca-
rattere risulta innegabilmente astrologico, od astroteologico,
come fu da qualcuno felicemente battezzato per il Paradiso
dantesco. 2 In un modo o nell' altro, cioè per vie alquanto co-
perte, l'astrologia era cosi riuscita vittoriosa della Chiesa; la
quale però si sarebbe trovata in serio imbarazzo quando avesse
voluto scendere a determinazioni più concrete in questo campo,
proponendosi, per esempio, di conciliare la libera volontà di Dio,
sia pure essa prestabilita ab eterno, con i moti periodici, regolati
da leggi immutabili, degli astri. Probabilmente la Chiesa in
questo caso avrebbe fatto uso della teoria dei miracoli, tron-
cando, ma non sciogliendo, il nodo, cioè il contrasto vero,
tuta dai sacri Dottori, e ricompare, insieme con l'intero tema di genitura
di Gesù, non solo in Averroé, ma nei più noti averroisti ed astrologi me-
dioevali, come Pietro d'Abano e Cecco d'Ascoli, accusati perciò di eresia. Cfr.
Sante Ferrari, I tempi, la vita, le dottrine di Pietro d'Abano, Genova, 1900,
p. 377 ; G. Bornio, Perete fu condannato al fuoco l'astrologo Cecco d'Ascoli?
Roma, 1900, p. 26.
1 G. Bofkito, op. cit., p. 17, n. 2.
8 P. P. T.uiso, Struttura morale e poetica del Paradiso dantesco, estr.
dalla Rassegna Nazionale, 102, p. 18.
56 INTRODUZIONE
larvato, e non perciò distrutto, dall'ingegnoso sistema del-
l'Aquinate.
Mentre adunque i Dottori, per le loro stesse imprudenti con-
cessioni, spiegabili soltanto con l'azione dell'ambiente scienti-
fico del tempo, cadevano senza ragione nella rete degli astro-
logi, costoro solo per eccezione si occupavano dei problemi
fondamentali; e se per un caso, che accadeva di frequente,
avevano l'intenzione di varcare i limiti dell'ortodossia, cor-
revano al riparo con una dichiarazione pregiudiziale di osse-
quio alla Fede ed alla dottrina del libero arbitrio. ! Però la
loro occupazione prediletta era la pratica, che essi esercitavano
soprattutto nelle corti, dove certi scrupoli religiosi non arriva-
vano : celebri per averne ospitati in gran numero sono quella
di Federico II, dove visse Michele Scotto, famoso traduttore
d'Averroé, 2 e quella di Ezzelino da Komano, presso la quale.
— curioso ravvicinamento — si trovarono nello stesso ufficio un
arabo ed un canonico ! 3 Conoscendo pertanto quasi unicamente
la pratica loro, nella quale frequenti erano le intrusioni della
magia e dell'alchimia, il popolo, che non va tanto pel sottile,
nella sua fantasia li trasformò presto in stregoni, creando in-
torno ad essi le più strane leggende. * D'altro canto, per le
stesse ragioni, essi ebbero il disprezzo degli uomini di più alto
intelletto e sapere. Dante, che pure credette, come s' è detto
or ora, nei principi dell'astrologia, dannò Michele Scotto, Guido
Bonatti, Asdente, come volgari indovini, insieme con le ma-
liarde e le streghe ; 5 il Petrarca, che pur non osò mettere in
dubbio la verità del sistema planetario scolastico, scrisse la
nota lettera in biasimo dei medici e dei divinatori;6 Giovanni
1 A. Bouché-Leclercq, op. cit., p. 624, n. 2.
* E. Renan, op. cit., p. 162; A. Graf, Miti, leggende, ecc., II, p. 248.
3 0. Libri, op. cit., II, p. 52.
* Tali leggende, molto note del resto, son ricordate da A. Graf, op. cit..
specialmente nei capitoli : La leggenda di un pontefice (Silvestro IH e La
leggenda d'un filosofo (Michele Scotto). Celebre fra tutte è poi quella §»!■■
affli «lei dottor Fausto, nella quale l'intervento diabolico è parte essenziale.
•'< Inferno, xx, v. 116 sgg.
6 G. Frac-assetti, Lettere senili di F. Petrarca, Firenze, 1869, III, ep. l»
a Q. Boccaccio, leggendo la quale con un po' di attenzione ci flflflOlftffl
che lo scrittore non si propose già di confutare i principi astrologici, ma
INTRODUZIONE 57
Boccaccio, che andò anche più oltre de' suoi due maestri man-
tenendo relazioni d'amicizia e riverenza con Andalone di
Negro e Paolo de' Dagomari, confessò in più d'un luogo la sua
fede astrologica, ma fece nello stesso tempo le più ampie ri-
serve intorno a tutto ciò che potesse offendere la sua fede re-
ligiosa. '
Basti intanto dell'astrologia, anzi bastino questi rapidi cenni
sui caratteri interni delle tre categorie della scienza celeste che
il Medio evo riconobbe e trattò, giacché ora ci conviene pas-
sare a quei prodotti letterari italiani, che di tale scienza del
tutto o in parte si compongono : prodotti letterari poetici, che
ebbero per iscopo la divulgazione del sapere, e gareggiarono
con quelle altre grandi opere, da loro dissimili solo nella mole
e nella forma esteriore, il cui complesso è noto sotto il nome
di enciclopedismo medioevale.2 Accenniamo dunque solo di sfug-
gita, costretti dall'opportunità a ridurre al puro necessario i
limiti di questa introduzione, a quanto riguarda i capitoli astro-
nomici delle maggiori raccolte prosastiche, quali il monumen-
tale Speculum del Bellovacense, il De naturis rerum di Ales-
sandro Neckam, 3 il De rerum proprietatibus di Bartolomeo
Anglico, 4 la Summa de exemplis et rerum similitudinibus di
fra Giovanni Goro da San Gemignano;5 ricordiamo di volo
perché scritti in volgare, e perciò importanti, il Trc'sor di Bru-
di confondere tutti i negromanti nelle loro pratiche grossolane, come riusci,
egli dice, a smascherarne un giorno uno dei più reputati: « Imperocché tor-
nando io soventi volte, per l'amore che veramente ho di lui e della sua
fama, a fargli gli stessi rimproveri, sebbene e per età e dottrina io mi ri*
conosca assai da meno di lui, mi ricordo che un giorno, come se all' im-
provviso si destasse, mandò fuori dal petto un profondo sospiro e : — amico,
disse, quel che tu pensi lo penso anch' io, ina è pur mestieri che io viva — ;
e intesi allora come la dorata catena del bisogno lo costringesse; perché,
mosso a compassione di lui, non dissi più verbo >.
1 A. Graf, op. cit., II, p. 173 ; e A. Hortis, Accenni alle scienze natu-
rali nelle opere di G. Boccacci, Trieste, 1877, p. 7, 8, 14. ,
2 V. Cun, Vivaldo BelcaUer e l'enciclopedismo italiano delle origini,
in (ìior. storico d. lett. italiana, Supplemento n.° 5, Torino, 1902, p. 34 sgg.
3 Alexandhi Neckam, De naturis rerum libri duo, età, ed. T. Wright,
London, 1863, p. 37 sgg.
* V. Cian, op. cit., p. 44.
& V. Cui», op. cit., p. 65.
58 INTRODUZIONE
netto Latini, l la Composizione del mondo di Ristoro d'Arezzo, 2
la riduzione in dialetto mantovano dell' opera citata di Barto-
lomeo Anglico dovuta alla penna di Vivaldo Belcalzer; 8 pas-
siam sotto silenzio molti altri scritti dello stesso genere, tutte
notevolissime trattazioni, che, insieme con quei libri speciali
di astronomia e di computo che già abbiamo avuto occasione
di rammentare, formano la grande biblioteca astronomica del
Medio evo. Tralasciamo altresì, per non indugiarci troppo,
certi prodotti poetici non italiani e non volgari, come il poe-
metto di Alcuino sull'astronomia4 e il De Laudibus divinae
sapientiae, d'argomento assai vasto e parzialmente dedicato
alla scienza degli astri e del loro influsso, opera del Neckam
citato. 5 Questi volumi sarà sufficiente additarli come fonti, in
varia misura, dei nostri poemetti volgari del . Trecento, nei
quali ci preme osservare direttamente in che modo la scienza
del cielo sia diventata poesia didascalica, prima che l'influenza
della ridestata antichità si facesse sentire in Italia.
Direi da principio delle parti astronomiche del Tesurrfto
del già ricordato notaio fiorentino, come della più antica fra
le enciclopedie e di poco anteriore al sec. xiv, se in esso, in-
terrotto al cap. 23°, non mancasse per l'appunto la trattazione
della sfera; la quale, secondo certi accenni d'un passo pre-
cedente, 6 avrebbe dovuto essere esposta allo smarrito poeta
in prosa, e dalla bocca dello stesso Tolomeo. Dirò invece,
1 T. Sundbt, Della vita e delle opere di Brunetto Latini, trad. Renier,
Firenze, 1884, p. 96 99.
2 Della composizione del mondo di Ristoro d' Arezzo, Milano, 1864. Per
ciò che in esso v'e di astronomico e di astrologico vedi pure A. Bjlrtuli,
Storia della letteratura italiana, Firenze, 1880, voi. Ili, p. 163 sgg., e 825 sgg.
3 V. Cian, op. cit., p. 70 sgg.
4 A. Ebert, op. cit., II, p. 29; e Monum. Germ. historica, t. I, pars prior,
lxxiv, p. 295.
5 A. Neckam, op. cit., p. 357 sgg.
6 L'accenno e in fine al capo X, dove e detto :
Ma non sarà per rima,
Come scritt1 ho di prima,
Ma per piano volgare.
Nel medesimo capitolo troviamo tuttavia qualche notizia generale, in anti-
cipazione di quanto si promette per dopo, e fra l'altro questa notevole ed
INTRODUZIONE 69
molto sommariamente, qualche cosa intorno alla Divina Com-
media, considerata quale opera didascalica, cioè guardata con
occhio non molto diverso da quello dei suoi primi più antichi
lettori, che appunto alla dottrina in essa contenuta affissavano,
meravigliando, gli sguardi. E prima richiamerò l' attenzione
sulle notizie di scienza astronomica ed astrologica del Convi-
vio, l'opera che nel pensiero di Dante doveva, più direttamente
che il poema, indicare la profondità e la sicurezza del suo sa-
pere; l'opera, per mezzo della quale veniamo a scoprire le due
fonti principali dell'Alighieri nel campo delle discipline ce-
lesti : san Tommaso ed Alfagrano. 1 Da questi due scrittori
Dante apprese la parte matematica o propriamente astronomica
dei moti dei cieli e quella concezione speciale dell'influsso, a
cui abbiamo già di sfuggita accennato ; e ciò apprese con
mirabile sicurezza, di ciò si rese siffattamente padrone, da
sorprendere, fra i moderni, quegli scienziati, che col rigore
dei nostri metodi recenti indagarono i cosi detti passi astro-
nomici e gli accenni al tempo nel viaggio ultra-terreno. 2
esplicita dichiarazione, che in seguito a quanto s' è detto non abbisogna di
commento, a proposito degl'influssi morali dei pianeti:
E s' altra provvedenza Che tu dei pur pensare
Fu messa in lor potenza, Che le cose future
Non ne farò menzione, E V aperte e le scure
Che picciola cagione La somma maestate
Ti poria far errare; Ritenne in potestate.
Il Tesoretto e il Favoletto di ser Brunetto Latini, Firenze, 1824 ; e T. Sdndby,
op. cit., p. 32.
1 F. Anqelitti, in una recensione ad un articolo (del Moore) su The
Astronomi/ of Dante, in Bullett. della S. D., N. S., VII, p. 180.
2 Son noti agli studiosi i risultati a cui giunsero intorno a questo teina
il Boffito, il Marzi e specialmente l'Angelitti. Mi piace tuttavia ricordare
espressamente la bella difesa della perfezione dell'astronomia dantesca fatta
dal dotto direttore dell'Osservatorio palermitano contro l' afférmazione del
Moore, che gli accenni astronomici di Dante siano approssimativi e rivolti
alle persone di mezzana coltura scientifica (Bullett, N. S., Vili, pp. 209-
224); e riportar le parole, con le quali il citato scrittore riepiloga il suo
giudizio sulla preparazione scientifica dell' Alighieri : « La coltura di Dante,
comunque sondata, trovasi tanto profonda, quanto varia ed estesa; in teo-
logia, in filosofia scolastica, in metafisica, in morale, nelle scienze fisiche
e nella letteratura classica egli non la cede neanche al più provetto spe-
cialista contemporaneo in nessuna materia. Dante è spesso difficile a ca-
pirsi, perché la difficoltà risiede nel soggetto, ma non è quasi mai oscuro;
r
60 INTRODUZIONE
Cosi preparato intorno alla costituzione della sfera, si capisce
come il divino poeta sia riuscito a disegnare, quale scena della
sua grande visione, l'universo con assoluta perfezione di toc-
chi, con acuta esattezza di riflessioni, e non abbia in più luoghi
nascosto il suo proposito di voler, anche nei principi scienti-
fici non pertinenti alla massima concezione morale, ammae-
strare i lettori. Lo scopo didattico, l'insegnamento, è innega-
bile nella Commedia, ed è provato non solo dall'esistenza in
essa di lunghi passi espositivi, ma, come ben ricorda ogni
studioso di Dante, dalla diretta confessione del poeta. l
Nei passi espositivi, che durante tutta la peregrinazione
dantesca nei regni dell'oltretomba, ma specialmente nel Pa-
radiso, accompagnano, commentano, spiegano i fatti fisici e
morali immaginati, sta dunque, come in un trattato sminuzzato
in molti capitoletti che a vicenda si compiono, la doppia dot-
trina dei moti e degl'influssi degli astri.2 I moti, come i rap-
porti e la natura materiale delle stelle, risalgono alla conce-
zione tolemaico-scolastica; gl'influssi hanno carattere essen-
zialmente teologico.3 Dall'Empireo, cioè da Dio — ripeto idee
e cose note e già prima, in questa stessa introduzione, toccate
— scende una immensa scala di creature perfette, i cieli con
le intelligenze motrici, ciascuna delle quali ha una sua propria
clit'' anzi nessuno scrittore ebbe idee più chiare sulle cose da trattare : le
idee dantesche, precise nei contorni,- come se fossero scolpito su di una
pietra col bulino, sono esposte in una forma luminosa, poco meno che ec-
cezionale > (Bullett., N. 8., VII, p. 140).
1 Volentieri anche in questo caso mi richiamo all'autorità dell' Angelini
(Hullett., N. S., VII, p. 129, in nota), che scrive testualmente : « Io ho notati
non meno di nove luoghi, che sono, nella sostanza e nella forma, vere le
■ioni di astronomia. Tra questi segnalo il passo del Purg., ìv, 58-120, che
si chiude con la graziosa celia di Belacqua,
Hai ben veduto come il sole
Dall'omero sinistro il carro mena?
e quello del Par., x, 7-27, che termina col severo avvertimento,
Or ti rimali, lettor, sopra il tuo banco
Dietro pensando a ciò che si preliba ».
' (i. Antonelli, Accenni alle dottrine astronomiche nella Divina Com-
media, nel volume Dante e il suo secolo, Firenze, 1866, p. 611.
3 F. I\ Luiso, op. loc. cit.
INTRODUZIONE 61
virtù, della quale informa la natura mortale dei bruti. ' E que-
sta scala si abbassa fino alla Terra, sulla quale, con bellissimo
mito, immagina Dante una intelligenza, simile alle sue sorelle
celesti, che regola l'affluire dei beni fra gli uomini, la Fortuna. 2
Però l'anima umana, creata e informata direttamente da Dio, 3
dovrebbe teoricamente, con l'aiuto del libero arbitrio, sottrarsi
alla virtù informatrice stellare od influsso;
Ma cosi salda voglia è troppo rada,4
soggiunge, nel cielo di Venere, lo stesso poeta. Per una strada
obliqua e nascosta, cioè per mezzo dell'ambiente, in cui l'uomo
si trova a vivere, la potenza celeste devia molti, molti legger-
mente sospinge verso un suo proprio ordine di pensieri e di
azioni, cosicché in Terra, anche nella società umana, l'influsso,
per quanto non necessario, si manifesta buono e cattivo. Onde
le anime dei beati, quasi a conferma d'uno stato reale di cose
esistente nella vita mortale, sono nel paradiso disposte secondo
le stelle dal cui « lume » ciascuna fu « vinta ». L'astrologia,
in quanto è scienza diabolica e pagana condannata in persona
degl'indovini nella quarta bolgia infernale, in questo modo
diventa, perché
forse
In alcun vero suo arco percuote, 5
come la dottrina platonica delle anime, una delle basi teolo-
giche, uno dei temi d'insegnamento più frequenti nel divino
poema.
Già si è detto che queste teorie, le quali costituiscono il
contenuto scientifìco-astronomico della Commedia, vengono
esposte in lunghi brani, secondo le norme della dialettica me-
dioevale ; brani che rappresentano perciò la forma speciale ret-
1 Paradiso, vii, 121-148.
' N. Zinoarelm, Dante, nella Storia letteraria d' Italia, Milano, Val-
lardi, p. 549. Contro la Fortuna dantesca si scagliò, com'è noto, Cecco
d'Ascoli, intorno al quale v. qui appresso ciò che si dice a proposito del-
l'Acerba.
3 Paradiso, vii, 70-78.
* Paradiso, iv, 87.
6 Paradiso, iv, 69-60.
62 INTRODUZIONE
torica della didascalica dantesca Ma è necessario soggiungere
che in aiuto ad essi viene la ricca e bella schiera delle simi-
litudini, le quali indirettamente ci porgono mirabili esempi di
descrizioni celesti. Le similitudini sono infatti i mezzi, de' quali
Dante, con arte altissima, si vale a rappresentare, accanto al
mondo morale delle anime, il mondo fisico, intorno alla tra-
gedia e alla commedia umana, lo sfondo, il paesaggio della
natura. Ora esse, a cominciare dal Purgatorio, vanno attin-
gendo ai fenomeni dell'aria e del firmamento il loro contenuto,
sempre più frequentemente diventano meteorologiche ed astro-
nomiche nei primi canti del Paradiso, finché, con un crescendo
meraviglioso, si moltiplicano e raggiungono perfetta evidenza
di visioni dirette nei canti 23° e 24°, dove miracolosa è la scena
non meno che l'espressione. Ivi gli astri chiamati a rettorico
paragone sfolgorano di luce e si animano di miti, nello sforzo
supremo e vittorioso dell'arte del più grande dei poeti del
cielo.
Dopo la Divina Commedia, allo stesso secolo xiv appar-
tengono il Dottrinale e il Dittamondo, che con quella hanno
stretti legami di dipendenza; appartiene pure Y Acerba, che
vorrebbe a quella contrapporsi, e più direttamente si compiace
della discussione scientifica ed astrologica.
Nel poema del figlio di Dante la descrizione del cielo oc-
cupa un posto notevole, dal libro XII al XXVII, dove inco-
mincia la meteorologia, che si estende fino al XXXVII. Grande
vi è l'insufficienza dell'esposizione, si che vien naturale di
dar ragione davvero al poeta, quando confessa di procedere
come i ciechi fauno
Che lor casa non sanno,
Et la sua magione
Kitruovano a tentone,
Dando spesso di cozo
Per lo veder eh' è mozo. l
Però, osservata più attentamente, quest'operetta appara non
solo abbastanza ordinata e compiuta, ma dimostra ancora
1 G. Crocioni, II Dottrinale di Iacopo Alighieri, Città di Castello, 1895,
I, 49.
INTRODUZIONE 63
la solidità della coltura astronomica del suo autore. Il quale
attinse largamente alla scienza medioevale, aiutato da quel
Paolo de' Dagomari, che abbiamo visto pure in relazione ami-
chevole col Boccaccio. In un punto tuttavia per noi interes-
sante Iacopo tentenna: dico nell' enunciare il suo giudizio in-
torno ai problema astrologico. Mentre infatti s' è dato attorno
ad enumerare gli aspetti e gì' influssi dei pianeti, accennando
alle teorie delle case e dei confini, alle esaltazioni e depres-
sioni, egli esce poi sul conto degl'indovini in queste frasi:
Con buffa e con froda
Uno et altro l'annoda,
Componendo malie
Con nuove fantasie
Sotto producimenti
Di stelle e d'ascendenti;
E talvolta vien fatto
Come il parlar del matto. i
Probabilmente, come molti altri suoi contemporanei, anche
Iacopo Alighieri ammetteva come veri i principi ed escludeva
la pratica; cosi almeno lasciano credere i passi ricordati, i
quali vorrei che servissero pure a dare un saggio della po-
vertà artistica di questo poema, estremamente monotono.
Ben migliore è per contro l' opera di Fazio degli Uberti,
nella quale finge il poeta, dopo lungo errare, di trovarsi sopra
una nave salpata dalla Provenza e diretta a Tripoli, avendo
a compagno, con Solino, anche Plinio, e udendo da costui
la descrizione dei fenomeni celesti. Tale esposizione occupa
i primi quattro capitoli del libro V: piccola mole invero, se
considerata come parte della vasta enciclopedia, ma di note-
vole ampiezza se osservata in sé e nel suo contenuto. Il quale
comprende in primo luogo i pianeti, studiati nei loro movi-
menti ; quindi i segni dello Zodiaco, descritti nelle loro figure
e classificati secondo certe loro proprietà astrologiche, cioè
1 G. Cbocioni, op. cit., p. 39, dove si parla della severità di Iacopo verso
gli astrologi con ammirazione esagerata e forse inopportuna. V. pure, dello
stesso, La materia del Dottrinale, estr. dalla Rivista di fìsica, ecc., del
Mirri, Pavia, Novembre 1902, p. 28-65.
64 INTRODUZIONE
divisi in maschili e femminili, mobili e stabili, ecc.; in terzo
luogo i rapporti fra i pianeti e i segni, e specialmente la teo-
ria delle case o domicili', infine le costellazioni non zodiacali
del nostro emisfero e le zone celesti. Come si vede, Fazio ha
il proposito di presentare un perfetto compendio di scienza
astronomica, anzi astrologica, giacché non esita a dichiarare
la sua fede negl'influssi;1 ma dal modo onde si comporta dà
facilmente a scorgere la sua poco profonda preparazione. Fano
nel suo poema si rivela soprattutto poeta e letterato: egli si
compiace di mettere in mostra la propria erudizione mitolo-
gica e le conoscenze ch'egli ha. sian pure di seconda mano,
degli antichi scrittori, come nelle seguenti non brutte terzine
sulla Vergine:
Di questa Virgo Esiodo fa fede
Che figlia fu di Giove e di Diana,
Ma in altro modo Aratus poi procede :
Ogni vergine cosa, santa e sana,
Pura e netta significa costei;
In vista, mostra angelica ed umana.2
Altrove, per meglio avvicinarsi al suo grande modello, tenta,
e non infelicemente, la difficile arte delle similitudini, spesso
tratte da fatti ed oggetti della vita reale, e più spesso attinte
alle stesse sue fonti erudite. Si leggano, per esempio, questi
versi sul mosaicista :
1 Anche nella teoria degl'influssi Fazio è dantesco, come si può giudi-
care dal seguente passo (l)ittamondo, Milano, 1S26, V, 1°, v. 4:1 45):
Or ciascun cielo ha la sua intelligenza.
Diversi moti e diversa natura,
B sopra noi «pia giù nuova influenza;
però, come s'è visto dalla rapida analisi del suo poema, egli concede assai
pili, che l'Alighieri non faccia, a certe figure astrologiche nella descrizione
della sfera, forse seguendo troppo alla lettera la sua fonte principale, che
non è precisamente Alfagrano, come mostrò di credere R. Rknier, Liriche
edite ed ined. di Fazio degli liberti, Firenze, 1883, p. ccli sgg.. ma Ri-
storo d'Arezzo.
ttam., V, 1°, v. 109-114; a cui corrispondono, in Ristoro, seoml..
la lezione del codice Riccardiami n.° 2164, parzialmente edito da A. Hartoi.i,
op. cit., voi. IH,]). IS1, quest'altre espressioni: t La virgine sifilitica la vir-
ginità et le cose necte et pure curi tutte le sue similitudini ».
INTRODUZIONE 65
E pensa, s'hai veduto e posto cura,
Quando il mosaico con vetri dipinti
Adorna e compon ben la sua pittura,
Che quei che son più riccamente tinti
Nelle più nobil parti li pon sempre,
Ed e converso nel men li più estinti.
Cosi quel Sommo, che lassù contempre,
Conoscer puoi, che d'una e d'altra stella
Figurò il cielo con diverse tempre,
E ch'egli pose ciascuna più bella
Proprio in quel loco che vide più degno,
Con l'ordine seguendo questa e quella. '
Nel Bittamondo quel che c'è di notevole è dunque dovuto
all'arte dello scrittore, arte discreta, che si sente lontanamente
formata sulla Divina Commedia.
Ma il poema, che più d'ogni altro merita il nome di astro-
logico in questo tempo, è V Acerba. La fama della quale sia
nello stesso secolo xiv, sia nel xv, ed anche ai nostri giorni
in grazia di certa simpatia, che attira i critici verso l'opera
della misera vittima della intransigenza sacerdotale, suona tut-
t' altro che debole, e vince il biasimo, che presso alcuni sto-
rici della letteratura e della scienza pareva riassumere tutto
il giudizio sull'Ascolano, inflittogli in causa della nota invet-
tiva contro il poema dantesco.2
1 Dittam., V, 3°, v. 4-15; ed il relativo originale in Ristoro: « Pare ke
le figure del cielo fossaro desegnate et composte destelle almodo deli savi
artifici ke fano lanobilissima operatione musaica adadornare et astoriare
lepareti et lipavimenti deli palagi deligrandi enperadori et deli ree et de
li grandi tenpli. Et averanno pezzoli devetro endeorati et bianki et neri et
ogne altro colore et conponono deqnesti vetri lafigura dclaquale laminale
kelli vole fare et selli vole fare lafigura delomo lipezzoli delvetro ke se
confanno ali capelli et quelli del viso ponono alviso.... Adoinqua pare ke
ogne pezzolo devetro sia alogato alsuo luoco la o olii sa fere et se stesse
altro sarea inconveniente. Et lo cielo pare ke sia ordinato et storiato defi-
gure danimali conposte destelle quasi elio modo musaico et empercio e
molto delectevole avedere >. A. Bartoli, op. loc. cit., p. 836.
* Il miglior studio generale sullo Stabili, per quanto non recentissimo,
è quello di F. Bariola, Cecco d'Ascoli e l'Acerba, Firenze, 1879; meno vec-
chia, e nello stesso tempo meno serena, è l'opera di (ì. Castelli, La vita
e le opere di C. d'A., Bologna, 1892; a mio giudizio, di scarso valore cri-
tico è il recente saggio di C. Lozzi, Cecco d'A., in La Bibliofilia, IV, 9-10,
66 INTRODUZIONE
Neil' Acerba adunque, che, come è noto, è composta di
quattro libri interi e di un quinto incompiuto, la trattazione
astrologica dell'universo occupa tutto il primo, parte del se-
condo, parte del quarto e quel poco che possediamo dell'ul-
timo libro: in complesso, una metà circa dell'opera; se pure
i capitoli, che abbiamo cosi esclusi dal computo, non meritano
di esservi inclusi per la loro natura speciale. ' Giacché, men-
tre nel primo libro si espongono distesamente il sistema pla-
netario e la sfera delle stelle fisse, i fenomeni atmosferici e
meteorici, cioè la scienza del cielo intesa in senso largo, nel
secondo, dopo discussa e risolta favorevolmente la questione
degl'influssi, si discorre dell'uomo fisico e morale, come d'una
creatura degli astri informatori ; nel terzo si trattano certi
problemi di psicologia e di scienza naturale, e nel quarto si
parla nuovamente di fenomeni meteorologici e tellurici, ma
non in sé, bensi in quanto dipendono tutti dal pili vasto do-
minio del cielo astrologico.
L'astrologia di Cecco non lascia dubbiezze in chi spassio-
natamente la studii, e spiega perfettamente la condanna per
eresia dal punto di vista, ben s'intende, dottrinale. Infatti,
quantunque il suo sistema generale sia quello deirAquinate
e di Dante, tuttavia le influenze celesti sono per l'Ascolano
più forti della stessa grazia divina : il che non pensarono, anzi
combatterono quei due grandi sostenitori dell'ortodossia. Per
lui le sfere del cielo sono dotate d'influsso necessario, quan-
tunque in apparenza egli in qualche punto si esprima in modo
diverso. Che vale infatti ch'egli si induca a dichiarare che
dei cieli « non fa necessità ciascun movendo >, 2 se poi sog-
giunge, in tono di assoluta verità:
Firenze, 1903. Soverchia ini portanza alla polemica dantesca dà (J. Votn, //
Trecento, Milano, Vallardi, p. 178-179. Ottimi studi parziali, dove l'eoa**
nimità <> sempre osservata, sono i tre articoli del padre <;. Borrito, La me-
teorologia dell'Acerba, in Annuario stor. meteor. it., anno 1", Torino.
Perché fu condannato al fuoco l'astrologo Cecco d'A.? già citato ; o I7« De
principiis astrologiae* di C. d'A. nuovamente scoperto e illustrato, in
Giornale storico della lett. it., tappi. 6°, Torino, 1903, p. 1. Per la Ubilo-
grafia ultimissima di Cecco cfr. il cit. Giornale, XM. p. 149.
1 F. Bariola, op. cit., parte 2".
* L'Acerba, llb. II, e. 1, in F. Bariou, op. loc cit.
INTRODUZIONE 67
Contro fortuna onn'om pò valere
Seguendo la raxon nel so vedere,1
dove la invocata ragione non è altro che il ragionamento astro-
logico, la scienza che prevede, e quindi, in certa misura e con
inadeguata resistenza, corre al riparo contro l'influsso male-
fico ? 2 Quando Cecco, con immagine comune nel linguaggio
divinatorio,3 paragona l'azione stellare all'attrazione del ferro
per opera del magnete, ed avverte che, come il magnete unto
d'olio diminuisce d'intensità, cosi l'influsso preveduto scende
men dannoso sull'uomo, viene a trovarsi nella stessa opinione
degli antichi Stoici, la cui dottrina della virtù e della saggezza
abbiamo a suo luogo studiata. Orbene, una tal posizione nella
battaglia, un tal prender partito insistentemente contro il cri-
stianesimo dominante4 — le condanne religiose subite da Cecco
furono due — ci è prova d'una tenace persuasione, e quindi
d'una concezione potente. Onde credo sia saggio giudizio il
ritenere che non le pretese nuove scoperte scientifiche, povera
cosa invero e non provata, 5 ma il libero tono e il fiero at-
teggiamento faccian del Nostro uno scrittore notevole. Per
tutta l' Acerba, attraverso alle aride e spesso oscure, strane
e puerili notizie che vi si leggono, corre uno spirito di ribel-
lione che aspira ad un ideale di verità, uno spirito di inda-
gine e di discussione, che rivela la forte individualità del
poeta. Il quale, se più arte avesse avuta, forse avrebbe meri-
tato un tal nome in senso alto, e verrebbe ora additato come
il Lucrezio o il Manilio del Medio evo. Ma, ahimè ! troppo arida
1 L'Acerba, lib. II, e. 1, ultimi due versi.
2 G. Boffito, Perché fu condannato, ecc., p. 22 sgg.
3 L'immagine del magnete si trova in molti scritti astrologici di assai
dubbia ortodossia, come nel De ratione circuii dell'arabo Maschallah, nelle
opere del famoso medico Arnaldo da Villanova (v. (ì. Boffito, Intorno alla
e Quaestio de aqua et terra » attribuita a Dante, Mem. I, in Memorie del-
l'Accad. d. scienze di Torino, Torino, 1902, p. 18 e 38) e nei libri dell'aver-,
roista Pietro d'Abano (v. S. Fbrrari, op. cit., p. 376).
4 Si avverta che lo Stabili sostenne l'esistenza e l'attendibilità del tema
di genitura di Gesù Cristo, espressamente riprovato dalla Chiesa ; v. G. Bof-
fito, Perché fu condannato, ecc., p. 26.
•'• •;. Boffito, La meteorologia, ecc., in fine; e del medesimo, Il « De
principi is astrologiae » cit., p. M> sgg., in nota.
68 INTRODUZIONE
è la sua forma, aspro il verso, bandita affatto la poesia degli
affetti umani, sbiadite le immagini soffocate nella farraggine
delle argomentazioni filosofiche. l
Termina cosi con V Acerba, che ne è senza dubbio il mi-
glior saggio, la breve serie delle enciclopedie del secolo xiv.
non termina però il nostro esame dei prodotti poetico-astrolo-
gici del Medio evo, giacché un piccolo e popolarissimo scritto
degli ultimi anni di quel secolo, o dei primissimi del seguente,
merita e per il contenuto e per la forma un'attenta disamina.
La sua data — che, come ho detto, oscilla tra la fine del Tre-
cento e il principio del Quattrocento — non è intanto un mo-
tivo di esclusione, conservando esso nei suoi caratteri essen-
ziali legami evidenti colla tradizione enciclopedica anteriore,
dalla quale si stacca soltanto per qualche elemento secondario,
per quanto notevole, come la minore ampiezza dei limiti, onde
meglio si afferma il tema astronomico, e la maggior popolarità
dell'intento. Tale scritto è la notissima Sfera di Goro di Stagio
Dati.
La Sfera — si badi a questo vocabolo, non nuovo nella no-
stra storia — è un poemetto in quattro libri, ciascuno dei
quali consta di 36 ottave, e tratta dell'universo fisico in senso
generale, cioè dei cieli non solo e degli elementi, ma anche
delle principali regioni del globo terrestre, esclusa l'Europa.
In capo a tutta l'opera sta un' invocazione religiosa di sapore
dantesco :
Al Padre, al Figlio, allo Spirito Santo
Per ogni secol sia gloria ed onore; *
invocazione, che serve pure ad entrare in argomento, discor-
rendosi in primo luogo del cielo più ampio, cioè dell'Empireo,
dove Iddio ha la sua sede. Detto del primo mobile, si parla
1 Sull'impressione che riceviamo dalle pagine ili Cecco mi piace ripor-
tare testini»' il seguente t'elice giudizio di F. Bariola, op. cit., capo \ :
« l'Acerba è, piuttosto che un paesaggio, DO museo, nel quale tutto è im-
mobile, ischeletrito, mummificato, e solo di vivo vi passeggia Frani
Stabili ».
* La <S/iwa, libri quattro in ottava rima scritti nel sec. xn da :
nardo Dati, ecc., ora con due libri prima aggiustivi da f. Sto, M. Toi.osani
da CoLUt,- ecc., dati nuovamente in luce dall' aw. <;. Balletti, Bona, I
INTRODUZIONE 69
del cielo stellato, nel quale si raggruppano le costellazioni,
tanto quelle comprese nello Zodiaco, quanto quelle esterne ad
esso; quindi partitamente si dice di tutti e sette i pianeti e
del loro influsso. Come si vede, il sistema dell'universo, sene
togli certe conclusioni astrologiche, di cui avremo ad occu-
parci, è fondamentalmente quello scolastico; come scolastiche
sono la descrizione degli elementi e le notizie intorno al ca-
lendario, che compongono, nella sua parte essenziale, il libro
secondo. I due libri rimanenti, d'argomento geografico, per
quanto intimamente legati col resto dell'opera, non hanno in-
teresse per noi.
Importante è invece il ricercare come l'autore, — che fu
dedito alla religione e fratello di Leonardo, generale dei Pre-
dicatori, ' ma non per questo rifuggi, come pare, dal servirsi
di fonti arabiche, 2 — si sia comportato nella questione astro-
logica, la più delicata di tutte anche presso gli scrittori enci-
clopedici da noi finora esaminati. L'influsso, adunque, per il
Dati, se gli diamo ascolto quando discorre dell'ottavo cielo, è
una proprietà indiscutibile delle stelle fisse e dei pianeti, per
quanto sia difficile agli uomini il saperlo in molti casi inter-
pretare :
Dentro a si grande e tal circumferenza
Di stelle sono un numero infinito,
E ciascuna produce sua influenza
Ne' corpi umani e nel terrestre sito,
Benché di poche se n'abbia scienza,
Perché sovente rimane smarrito
Chi dà giudicio di cose future,
Perchè di tutte non sa lor nature.3
Però questa incertezza, dovuta unicamente all'ignoranza umana,
non impedisce logicamente allo scrittore di determinare l'azione
1 V. Rossi, Il Quattrocento, cit., p. 167; e, dello stesso, Iacopo d'Albiz-
zotto Guidi e il suo inedito poema su Venezia, in N. Archivio veneto,
V, 1898, p. 444.
2 K. Nordenskiòld, Dei disegni marginali negli antichi manoscritti
della « Sfera» del Dati, in La Bibliofilia, III, 2-3, Firenze, 1901, p. 49,
in nota.
* La Sfera, lib. I, st. 9.
70 INTRODUZIONE
fisica e, in certo senso, morale di ciascun pianeta sulle cose
terrene; onde leggiamo di Saturno:
Questo pianeta ci fa contemplanti
E pensativi e casti e bene astuti;
Sottigliezza d'ingegno han tutti quanti,
Sono al ben far, siccome al male, acuti ;
Chi è de' suoi si vede per sembianti,
Che sopra gli altri son molto avveduti;
Il nome fu di uom che nacque in Creta
Ed ebbe la natura del pianeta. l
Fin qui le cose procederebbero dunque assai chiare, se non
si sollevasse un intoppo improvviso, dove il pio scrittore, forse
pentito d'essersi lasciato traviare dai suoi maestri saraceni,
esce in questa dichiarazione, che tende a salvare il libero
arbitrio :
Di tutte queste pass'ion sicura
È l'anima, che segue sua natura;2
con i quali versi si cerca di scindere il principio intellettivo
dell'uomo dal 'principio corporeo, in cui si comprendono an-
che i sensi e le attitudini, diremmo noi, naturali del suo spi-
rito, 8 in modo che quello sia ritenuto libero dall' influsso, e
questo ad esso soggetto. In altri termini, mentre il tein peri-
mento nostro, dal quale ripetiamo soltanto l'impulso a questa
o a quella azione buona o cattiva, sarebbe, per il Dati, opera
di stelle, cioè di natura planetaria, la nostra ragione, di na-
tura divina, sarebbe libera ne' suoi giudizi, dominatrice delle
passioni, come Dio è dominatore delle sfere, e quindi respon-
sabile dei propri atti davanti a lui. La soluzione è senza dub-
bio ortodossa, per quanto sottile, e ci richiama assai da vi
1 La Sfera, lib. I, st. Il
« La Sfera, lib. I, st.
3 Non a caso, dunque, fin da principio il Dati aveva tritio che pli astri
influiscono € ne' corpi umani e nel terrestre sito ». Quanto poi alle tendenze
naturali dello spirito considerate come intimamente connesse col corpo
umano, giova ricordare che il poeta espressamente .si richiama alla dottrina
ippucratea dei quattro principali temperamenti, un riflesso dei <juali e
visiliile negli stati psichici nostri: v. La Sfera, lil>. II.
INTRODUZIONE 71
ci no, gettando anzi luce sn di esso, il concetto astrologico
di Dante.
Keligiosa del pari, se non nuova, come abbiamo veduto, e
un'altra teoria, secondo la quale il poeta viene interpretando
allegoricamente i principali corpi celesti come significazioni
degli attributi di Dio, in modo che, per esempio, nella unione
di tre elementi distinti, corpo, calore e luce, generati nel me-
desimo istante, ma procedenti il secondo dal primo, ed il terzo
dal primo e dal secondo, cioè nel Sole, che è la più bella
delle creature e la più degna, vede significato il mistero della
divina Trinità:
Chiaro splendore e fiamma rilucente,
Sopra tutt' altra creatura bella,
Di te considerar manca ogni mente,
Di te a parlar vien meno ogni favella ;
O luce, che allumini la gente,
Nobile pili che alcun' altra stella,
Tu rendi al mondo figura di Dio
Più eh' alcun' altra cosa, al parer mio. l
Parrebbe pertanto, dato il carattere teologico di queste dot-
trine, che la Sfera non sia stata un'opera di divulgazione se-
mi-popolare, indirizzata soprattutto, come fu osservato da un
illustre geografo moderno,2 agli uomini di mare. Bisogna però
avvertire che la parte teorico-religiosa, importante per noi in
grazia del punto di vista da cui ci siam messi ad osservarla ,
nell'economia dell'opera occupa un posto non grande: quanto al-
l'astrologia, per esempio, ciò che più è messo in mostra è l'elenco
degl'influssi, non la natura dei medesimi. L'assetto generale
espositivo è inoltre semplice, senza alcuna di quelle visioni,
di cui si compiacquero i primi imitatori di Dante, e la forma
è veramente popolare, nel metro più dolce e nello stesso tempo
più adatto a spezzare come in tanti capitoletti simmetrici l'or-
dinata materia. Non mancano poi, accortamente disseminate
nella fluidità tutta toscana delle ottave, immagini esteticamente
» La Sfera, lib. I, st. 16.
1 E. NOKDENSKIULD, Op. lOC. CÌt.
72 INTRODUZIONE
pregevoli, frasi incisive, miste a certi ricordi di versi dante-
schi, che rivelano il culto del grande fiorentino mantenuto vivo
in mezzo ai suoi concittadini. Si direbbe, tenuto conto della
diversità del tempo, della preparazione e dell'arte, ohe 009
quest'operetta si ritorni all'antichissimo spirito didascalico
esiodeo, nel quale, accanto ai dettami della scienza, la poesia,
qua e là intercalata, andava nutrendosi del vivo sentimento
della natura. Si sente nei versi del Dati, senza poter ben pre-
cisare i punti onde emana, un alito di freschezza e di disin-
voltura, ignoto al Medio evo, che preannunzia il fare agile,
largo, cosciente dell'Umanesimo.
Del resto la più bella prova del favore incontrato fra il
popolo colto dal nostro poemetto è il numero stragrande dei
codici, alcuni dei quali accuratamente illustrati, che se ne fe-
cero per tutto il secolo xv, onde è raro il catalogo di antica
biblioteca che non ne elenchi più d'uno;1 ed il numero pure
notevole di edizioni, a cominciare da quella principe, che ri-
sale al 1482. 2 Altra prova che anche a distanza di più d'un
secolo esso ancora correva per le mani della gente, sono i
libri quinto e sesto, 0 complemento della trattazione geo-
grafica, che abbiam visto manchevole, dovuti, sul principio
del secolo xvi, alla penna di frate Gio. Maria Tolosani do-
menicano. 3
Ma già mi accorgo che col nostro discorso ci troviamo sulla
soglia del Rinascimento, oltrepassando la quale condurrei il
lettore fuori dei confini di questa mia, ormai troppo lunga,
introduzione. Nella quale, concludendo, vorrei esser riuscito,
senza pretesa d'originalità di ricerche e di giudizi, a rappre-
sentare come in un quadro i principali periodi della poesia
del cielo antica e medioevale, a determinare le diverse cor-
1 E. N0RDBN8K1ÒLD, op. loc. cit. Tre manoscritti son registrati solo nel-
l' inventario dejrli Asliburnham posseduti dalla l.aurenziana «li Firenze; cioè
i n.i 487, .r).').r), sr»4, nuova sepn.; e nella Vaticana «e ne trovami, nei diversi
fondi, anche in maggior copia, e fra gli altri uno ce n" è di notevole valore
in quello Capponiano, segnato col n.° fi6, sotto il titolo Biro— 0 di Atlante
in ottava rima, attribuito falsamente a Lorenzo Bonincontri.
* G. Libri, op. cit., II, p. JJ1.
' La Sfera, ed. cit., nella seconda parte; e D. Marxi, op. cit, p. 134 sgg.
INTRODUZIONE 73
renti del pensiero scientifico ed astrologico, che a quella forni
la materia, a mettere infine in rilievo quei pregi d'arte, che
anche in un genere cosi astruso non vennero molte volte a
mancare. E vorrei aver raggiunto il mio scopo, eh' era di pre-
parare quei lettori, che non fossero versati espressamente nella
filologia classica, nella letteratura medioevale e nella storia
della filosofia e della scienza, alla lettura dei poeti astrologici
del Quattrocento, dimostrando loro per sommi capi a quali
tradizioni codesti nuovi scrittori si debban ricollegare.
CAPITOLO PRIMO
Basinio da Parma.
I. La scoperta dei classici dell'astronomia nel Rinascimento. Per quali ra-
gioni Arato ebbe per il primo un imitatore nel poeta Basidio Basini da Parma.
— II. Analisi dei due libri Astronomici di Basinio. — III. Fonti dei medesimi.
— IV. Loro valore scieutitico, letterario e storico. — V. Loro fortuna.
I.
Quando si rafforzò in Italia la Rinascenza, in fatto di poesia
astrologica perdurava fra il popolo colto la tradizione medioe-
vale, rappresentata specialmente, come abbiamo veduto, dalla
Sfera del Dati ; ma già nella classe erudita, presso la quale
s'erano iniziati lo studio e la ricerca delle opere antiche, ac-
quistavano favore i risorti monumenti dell'epoca classica, o
almeno taluni dei principali fra di essi. La corrente volgare
era, naturalmente, meglio intesa e più larga; ma quella dotta
aveva il sapore del nuovo e il pregio d'essere antica, onde,
comeché non sempre intesa a dovere, ebbe per tempo non solo
studiosi, ma imitatori, e forse prima imitatori che seri stu
dio8Ì. Né si ritenga quest' ultima osservazione come sfuggitami
a caso. È un fatto che i poemi astrologici greci e romani prima
ispirarono, nel Quattrocento, i poeti, e poi ebbero commenta-
toli : vicenda che non ò, del resto, contraria al logico svolgi-
mento di codesto genere di fatti estetici, e che si riscontra
analoga nella storia, per esempio, dell'epica e della linea,
le quali, prima di raggiungere la perfetta fusione degli de-
menti classici coi medioevali, passarono, in questo periodo,
per uno stadio di servile imitazione. Quanto all'astronomia,
non era invero un'impresa agevole, singolarmente nella prima
BA8INI0 DA PARMA 75
metà del secolo dell' Umanesimo, che ebbe un' impronta tntta
artistica e letteraria, penetrare con l'analisi scientifica nelle
teorie matematiche eudossiane su cui poggiano i poemi di
Arato e di Manilio : per arrivare a indagini tanto profonde
occorrevano più anni e maggior maturità, non la fretta, non
la febbre di quei primi ricercatori e banditori della bellezza
pagana. Quanto poi all'astrologia, che usciva appena dalla
lotta medioevale contro la Chiesa, non bene affermata e meno
purificata dalle volgari misture di magia e d'altre pratiche
occulte, essa contava una schiera infinita di cultori, o meglio
di gente che ne facea professione ed esercitava il mestiere ; ma
non ancora aveva raggiunto il grado di elevazione necessario
per comprendere a fondo le dottrine maniliane, nelle quali,
come abbiamo dichiarato a suo luogo, ha non piccola parte la
filosofia greca, specialmente la stoica. Verrà tempo che gli
astrologi nuovi s'atteggeranno a filosofi, intrecciando i loro
problemi con quelli delle risorte concezioni del platonismo e
dell'aristotelismo non scolastico; allora essi ci daranno i com-
menti e le polemiche sugli Astronomici ; ma già avremo var-
cata la metà del secolo xv.
Ho detto adunque che alcuni dei pili notevoli monumenti
dell'antica poesia del cielo, finito il Medio evo, rividero la luce:
vediamo quali, in che ordine e in che misura. E prima di tutto
ricordiamo che qualcuno dei libri astronomici classici s' era
conservato anche durante il periodo di mezzo; come l'opera,
in prosa, è vero, ma d'argomento e d'origine poetica, di Igino,
la materia della quale anche dalle enciclopedie, qua e là, in-
negabilmente trapela. Però le imitazioni di essa sono in co-
desta età spesso secondarie, sempre timide e scolorite, onde
non si può a tale riguardo parlare di vera azione efficace ; ed
è lecito perciò, quando la vediamo usufruita largamente come
fonte mitologica di prim' ordine all'inizio del Rinascimento,
proclamare la sua risurrezione letteraria, se non proprio dal
sonno, dal torpore in cui era sepolta. ' In secondo luogo, il
1 Un indizio di notevole diffusione è, per l'opera iginiana, il buon nu-
mi io di manoscritti umanistici nei quali è ricopiata, spesso con numerose
illustrazioni a penna ed a colori ; anche le edizioni più antiche son fornite
76 CAPITOLO PRIMO
poema di Manilio, di cui nel Medio evo 8' era perduta ogni
notizia, venne ritrovato per la prima volta da Poggio Braccio-
lini in un vecchio codice del monastero di San Gallo, fin dal-
l'anno 1416. ] È doveroso tuttavia subito soggiungere, secondo
le osservazioni testé fatte sullo studio dei testi antichi, che
codesta scoperta fu pressoché infruttuosa fin verso la metà del
secolo, né ebbe influenza vera e profonda sul pensiero e sul-
l'arte umanistica che al tempo del ritrovamento del secondo
codice, avvenuto a Monte Cassino per opera del Panormita,
come più innanzi si vedrà.
In terzo luogo viene Arato, la cui conoscenza in Italia ri-
monta almeno al 1438, quando il più notevole codice del poema
di lui ci venne dall'Oriente colla libreria del Bessarione; men-
tre con grande probabilità già dovevano essere noti i suoi tra-
duttori. 2 Ora ad Arato, a differenza di quanto accadde a Ma-
nilio, toccò in sorte d'ispirare la prima opera astronomica del
Rinascimento; d'ispirare, dico, non il primo scritto scientifico,
ma il primo poemetto. Sorte, per chi ben l'osservi, non strana
né immeritata. Infatti i Fenomeni, più che ogni altro poema
antico d' astronomia, si presentavano semplici, facili ad essere
imitati anche dal solo punto di vista letterario; inoltre cran
brevi, e per la loro origine greca forniti d'una più rara attrat-
tiva agli occhi d'un umanista. Ma non precorriamo, con in-
di disegni astronomici, ora stampati, ed ora tracciati a mano sii mezze pa-
gine lasciate appositamente in bianco dai compositori.
1 e. Voiot, Il risorgimento dell'antichità classica, traci. valbasa, f\
rcn/.e, 1888, I, p. 241 : la scoperta del Manilio è ricordata da Yi.m-asuno
da Bisticci, Vite, Firenze. 1860, p. 421: « Trovò Marco Manilio astronomie*»,
in versi, opera degnissima ».
2 Dalla prefazione di E. Maass, Arati Phaenom. cit., si apprende che
il codice, già del Bessarione, è ora il Marciano 476; quanti» ai traduttori.
cioè a quel gruppo che, come abbiamo veduto a suo luogo, va sotto il nome
di Aratea, se notizie esatte Boa abbiamo della loro prima diffusione -
o a me non tu dato trovarne . «erto è che (in dagli inizi dall'arto tipo-
grafia! essi vennero pubblicati. Germanico infatti compare in on'edlaldae
del 1474 « Uononiae impressimi per me Dgonen Kugeriuin et dominimi Ker-
tiinriiiiiii anno domini mooolzziui, die vigeeima marti] ►; a eoa CloatoM ed
Avieno è due volte ristampato nel Quattrocento: l* € Venetiis arte <t Ioga*
nìo Antonii de Strata Creinonensis, anno saluti* ■ooooLZZZVni, oetave ealendas
uoveinbres»; 2B « Venetiis, cura et diligentia Aldi Ho. mense octobr. mio».
BASINIO DA PARMA 77
tempestive osservazioni, l'ordine della presente storia critica,
e rifacciamoci un poco da certe sommarie ed utili notizie in-
torno all' autore di cotesta imitazione, ai suoi studi, all' am-
biente in cui visse e per cui scrisse il suo lavoro astronomico.
Il poeta è Basinio Basini, nato presso Parma nel 1425. Co-
m'egli dapprima abbia frequentata la scuola di Vittorino a
Mantova, come più tardi sia passato a Ferrara a seguirvi le
lezioni del Guarino e ad apprendervi il greco dal Gaza ; come,
protetto da Leonello d'Este e servendo il suo signore non solo
colla penna, ma anche in faccende politiche ed amministrative,
a dir vero, con poca fortuna, sia stato nel 1449. dopo la scon-
fitta toccata a Guardasone contro le armi di Alessandro Sforza,
costretto a lasciare il ducato e la cattedra d'eloquenza; come
infine si sia rifugiato, fra gli onori tributati al suo merito let-
terario, presso Sigismondo Pandolfo Malatesta signore di Ri-
mini, e come in questa città, immaturamente, quando le agia-
tezze della vita più lo favorivano, sia morto nel 1457: come
insomma Basinio sia vissuto, e dove, e in che tempo, son no-
tizie risapute e sulle quali non importa fermarci. 1 Ma come
il carattere speciale degli studi di lui e l'opportunità di com-
piacere all'ultimo suo protettore l'abbiano condotto, direi quasi,
in modo tutto naturale a comporre un poemetto intorno alla
scienza del cielo, ecco ciò che, noto soltanto in parte, è op-
portuno ripetere ed indagare.
A chi dunque osservi con uno sguardo comprensivo la pre-
parazione erudita ed artistica del nostro poeta, subito parrà
evidente la distinzione dell'operosità di lui in due periodi,
uno, il primo, di minore estensione ed importanza, l'altro più
1 Basti citare, come principal fonte di notizie, Basini Parmensis poetar
Opera praestantiora nunc primum edita, ere., Ariinini, 1794, ed i due im-
portanti saggi storici uniti a questa pubblicazione : Notizie intorno ìa vita
e le opere di B. lì. del P. Ikeneo Affò, e Della corte letteraria di Sigi-
smondo Pandolfo Malatesta signor di Rimino, commentario del co. A. Bat-
taglimi. Per il soggiorno del B. a Ferrara v. pure (1. Bertoni, La biblioteca
estense e la coltura ferrarese ai tempi del duca Ercole I, Torino, 1903,
p. 109 e 236; per il soggiorno a Rimini, 6. Voiot, Il risorgimento cit., I,
^ sgg'i C. Tonini, La coltura letteraria e scientifica in liimini, ecc.,
Rimini, 1884, I, p. 73 sgg. ; Cu. Yriartb, Un « condottiere > au XV siede,
etc, Paris, 1882, p. 302 sgg.
78 CAPITOLO PRIMO
durevole, profondo e produttivo. Il primo periodo, che diremo
dell'imitazione latina, è costituito dagli studi giovanili con-
dotti sui poeti romani a Mantova ed a Ferrara, prima del 14 1!» :
periodo poco caratteristico, come quello che rappresenta l'av-
viamento letterario d'ogni umanista in quegli anni. Ad esso
rimontano parecchi componimenti poetici, come ecloghe e sa-
tire, e specialmente elegie, in cui l'ingegno del giovane cor-
tigiano versò le prime espansioni d'amore, facendo ad un tempo
esercizio di lingua e di versificazione:1 ad esso, quasi propag-
gine di più maturo valore artistico, appartiene anche Ylsotteo,
o tutto, se tutto è da credersi del Nostro, o certo in massima
parte ; opera di derivazione ovidiana, composta, com' è noto,
dopo il 1450, cioè durante il soggiorno del Basini alla corte
dei Malatesta. 2 Neil' Isotteo soprattutto, e nei precedenti la-
vori, nulla adunque che direttamente ci faccia presagire il
futuro imitatore di Arato ; bensì, unico elemento notevole per
il nostro scopo, una larga e sicura pratica nel maneggiare il
verso latino, onde giustamente il Parmense è dalla critica
moderna ritenuto uno dei più felici ed eleganti verseggiatori
dell'età sua.
Ma il secondo periodo è di gran lunga più importante, conio
quello che occupa la parte migliore della vita del poeta, e
ne determina perciò il carattere peculiare. Esso comprende
quanto di più duraturo scrisse il Basini, dal tempo dell'appren-
dimento dalla lingua ellenica fino alla morte, e ripete la sua
formazione dalla scuola del Gaza : si può quindi intitolare della
imitazione greca.
La scuola di Teodoro tessalonicese, come spesso il Gaia
veniva chiamato, oltre ad essere una delle più serie ed eru-
dite, era anche delle più feconde e capaci d'ispirare nell'animo
dei giovani la poesia. Il vecchio ellenista, esule, travagliato,
coltissimo, professore non pur sapiente, ma simpatico in mas-
simo grado, sapeva rendere suggestiva la divina letteratura
della Grecia e rivelarla agli avidi spiriti italiani eome un
paese nuovo di straordinaria bellezza. Più d'un nostro urna-
1 I. Affò, op. cit., p. H.
* V. Rossi. // Quattrocento cit., p. 161
BASINIO DA PARMA 79
nista deve perciò a Ini il proprio indirizzo poetico ; a lui lo
deve, per esplicita confessione, anche il maggiore dei poeti
latini del Rinascimento, il Pontano, il quale gli dedicò come
ad amico e maestro, alcuni affettuosissimi distici giovanili.1
Ma a che prò ricordare altri, quando Basinio stesso nei versi
e meglio ancora coi fatti ci dimostra di quanto vada debi-
tore alla scuola di Ferrara ? Entrato in essa con ottima pre-
parazione filologica, acquistata già, come abbiam detto, sotto
la disciplina di Vittorino, con grande entusiasmo egli si diede
ai nuovi studi, donde ricavò quel culto per l'ellenismo, e spe-
cialmente per Omero, che non abbandonò più per tutta la
vita. Con quale ammirazione ricorda egli più tardi il « soave
Teodoro »,
Quem Latium ac lati miratili' regia mundi
Orantem et celsae stupefacta pallatia Romae ;
e con quanta riconoscenza soggiunge, parlando di lui :
Qui mihi prae cunctis divùm immortalia dona,
Pieridum quondam caelestia dona dedisti ;
Sub quo tot Graios vates doctore revolvi,
Iliada atque vias multum durantis Ulixis
Atque alios, quorum longum meminisse, poetas ! 2
Intanto essendo ancora a quella scuola, dava un saggio, per
l'età appena ventenne, meraviglioso, di imitazione omerica nel
breve poemetto la Meleagride; in fondo al quale, alcuni anni
.dopo, ebbe a scrivere:
Haec super Oenida cecini, quum prima iuventae
Tempora tollebat studiis Ferrarla nostris:
Ilio nam iuvenis primoque Basinius aevo
Tempore, dutn dederat magni mihi Carmen Homeri
Ocia, purpureo referebam digna cothurno. 3
• I. 1. Pontini Carmina, Firenze, 1902, II, p. 98.
* In una epistola, che è essa stessa un documento della devozione dello
scolaro verso il maestro, indirizzata al Gaza, v. 8-4 e 5-9, dal titolo : Ba-
sinius Parmensis clarissimo philosopho Tfieodoro Tfiessalonicemi 8. p. d.,
contenuta nel codice Ambrosiano I, 66, Sup. a e. 11»; ricordata pure dal-
l'Ago, op. cit., p. 8.
3 Meìeagridos III, v. 928-982, in Opera cit., I, p. 447.
80 CAPITOLO PRIMO
E da parte del papa, in quegli anni Niccolò V, riceveva, come
uno dei migliori poeti latini e conoscitori del greco, l'invito
a tradurre l' Iliade; invito assai lusinghiero, che però non ac-
colse, sia che trepidasse davanti ad un'impresa tanto difficile,
sia che aspirasse a più originali composizioni, cosicché il vanto
del tentativo fu riserbato all'omerico giovinetto di Montepul-
ciano.
Nò quando, per le ragioni accennate, il Basini lasciò con
Ferrara la disciplina e l'amicizia del Gaza, smise la lettura
dei greci, dei quali anzi si mantenne zelante imitatore, spe-
cialmente nella maggiore opera sua, il lungo poema l* Espè-
ride, nel quale in tredici libri egli narra le vicende della guerra
fra il Malatesta, suo nuovo protettore, ed Alfonso d'Aragona,
trasformando le scaramuccie in battaglie degne dell' assedio
di Troia, e i condottieri di ventura in tanti Ettori ed Achilli.
Ma soprattutto, in quest' ultimo periodo della breve sua vita
alla corte di Rimini, si fece non solo con l'esempio, ma col
discorso, difensore ad oltranza degli studi ellenici, allorché
gli accadde di sostenerne l'efficacia, anzi la necessità, contro
le accuse del Porcellio e del Seneca. La loro polemica è nota.
né io tornerò sn di essa; soltanto non tralascierò di citare
dalla satira di Basinio contro gli avversari, alcuni versi, nei
quali il poeta si mostra cosciente del proprio indirizzo e rivela
cosi la serietà de' suoi propositi :
Ipse ego, Maeonii vatis qui carmina nuper
Inspexi, atque libens iterumque iterumque relegi,
Invenio nostrum quantum iuvat ille Maronem.
Quod si laudis habeut aliquid mea carmina, ab ilio
Fonte mihi et fluviis magni defluxit Homeri. '
1 II passo è attinto ad un fascicolo cartaceo, del »ec. xt, eontrmito a
e. 105a sgg. del codice miscellaneo Marciano XIV, 252; fascicolo che com-
prende, in primo luogo: Basititi Parmensis poè'tae satira in qua castinut
eos qui Uttera8 graecas non discenda.* censent; quindi le risposte del Por-
cellio, a e. 107a, e del Smetti a «'. Illa. Lt satira di Battalo, col titolo
di Basinii epistola ad magnanimum invictumque regem Sigismundum
Pandulphum Malateslam, in qua ostendit poiitas latinos sine litteris grae-
cis nihil omnino posse, fu stoni pata in Anecdota litteraria ex tnss. cod.
eruta, Roma, 1773. Vedi, sulla polemica, A. Bernardi, Pro e contro il </>
nel sec. XV, in Atene e Poma, V, 43 44.
BASINIO DA PARMA 81
Sennonché l'imitazione prolungata d'un medesimo autore
presto sarebbe divenuta maniera, alla quale il nostro poeta
cercò di sottrarsi, pur non uscendo dal cerchio solito dei suoi
modelli greci. Terminata infatti, nel suo assetto sostanziale,
l'Esperide, e chetato il tumulto della polemica, mentre più
tranquilla egli conduceva la vita, mise mano ad un tempo a
due nuovi poemetti : uno, gli Astronomici, l'altro, intitolato
gli Argonautici, derivazione diretta dall'opera omonima di
Apollonio da Rodi.1 In questo modo l'indirizzo, fino allora
seguito, non veniva ad interrompersi, solo faceva un passo
innanzi, forse con qualche vantaggio. Giacché, come ci atte-
stano col loro esempio le non poche grandi imitazioni ome-
riche, l'Esperide compresa, quasi tutte esteticamente fallite
nel secolo xv, la Musa epica di lunga lena mal si adattava
all'arte riflessa, formale degli umanisti; il ricalcare invece le
orme degli eleganti, ristretti alessandrini, quali per l'appunto
erano i nuovi ispiratori di Basinio, riusciva ad essa impresa più
agevole e fortunata. Da Omero, il gran padre, era bene passare
ai minori, e fra i minori a coloro che mostravano di meglio
concordare negl'ideali e nei mezzi con gl'imitatori.
Questo dell'imitazione alessandrina è dunque l'estremo li-
mite — gli Argonautici infatti non ebbero, per la morte del-
l'autore, il loro compimento — a cui giunse il Basini nella
sua via, e rappresenta perciò il grado di maggior perfezione
nella produzione di lui ; rappresenta cioè, notiamolo bene, non
un fiore sporadico, ma il frutto maturo d'una pianta giunta
1 Quantunque qualche raffronto riveli indubbiamente una parziale de-
rivazione di questo poemetto da quello di Valerio Fiacco, tuttavia la fonte
principale resta l'operetta greca, che Basinio certamente conobbe. A provar
ciò sta infatti il testamento di lui, edito in Opera cit, I, p. xiv, dove si
legge: « Item reliquit prefato D.no D.no Sigismundo pandulfo librum Ho-
merij et Appolonij in litteris grecis ». Un Apollonio in greco si ritrova pure
fra i libri lasciati dal Basini alla moglie col resto dell'eredità e catalogati
dalla vedova stessa in un Inventario, redatto dal notaio riminese Fagnani,
con la data del 80 Maggio 1457, dove si trova «uno libro greco chiamato
appollonio coverto di negro pontegrado ». Debbo la trascrizione di que-
st'ultimo documento alla cortesia del dott. G. Savioli, notaio archivista di
Rimini.
Soldati «
82 CAPITOLO PRIMO
al suo naturale sviluppo, per quanto stata soggetta a coltura
artificiale. l
Bastino pertanto questi cenni sui caratteri generali della
poesia basiniana, i quali ci spiegano più che a sufficienza, nel-
l'ordine puramente letterario, come l'occhio del poeta siasi ri-
volto ad Arato. Rimane, nell'ordine scientifico, la ricerca meno
agevole e meno feconda, dei motivi che spinsero il nostro
umanista sulla traccia d'un tema astronomico.
A questo proposito convien subito scartare un' opinione
messa innanzi dall'Affò, pur tanto cauto, di solito, ne' suoi
giudizi, che cioè il Basini, fin dal tempo del soggiorno a Fer-
rara, siasi dato «a ornar l'animo delle cognizioni filosofiche,
avanzandosi ancora nelle speculazioni matematiche ed astro-
nomiche, delle quali diede poi saggio nel suo poema sopra
l'astronomia ». 2 Nessuna notizia positiva, per quanto io sap-
pia, viene infatti a suffragare l'affermazione del benemerito
erudito, il quale questa volta fonda evidentemente il suo as-
serto su d'un presupposto gratuito. Pare a lui che il poemetto
non si spieghi, senza ammettere nell'autore un'antecedente
preparazione scientifica. Ora se noi dimostreremo, e sarà facile
impresa, che il poemetto stesso non richiese cognizioni tecni-
che speciali, ecco che la preparazione non avrà più ragion
d'essere; o si ridurrà all'apprendimento di scarse nozioni eie
mentari, messe insieme non già molto prima, ma per l'oc-
casione, e dopo avvenuta la scelta del tema.
La causa scientifica determinante s' ha da trovare invece,
a mio avviso, in un ordine di fatti tutto esterno allo spirito
di Basinio, cioè nell'ambiente nel quale visse il poeta alla
1 Sull'ellenismo del Basini qualche altra notizia si può vedere in Voiqt,
op. cit., I, p. 580, dove si accenna a certi epigrammi in greco scambiati
fra il nostro poeta e il Pilelfo; in B\ttaoi.ini, op. cit., p. 168, dcw si m*
serva che le lettere del Basini, e specialmente quella diretta al Guarino.
che fa da prefazione ali* esperide nel codice autografo della (Umhalunghiaiia
di Kimini, sono seminate di grecismi e di parole greche. Cosi su di un'altra
opera di lui, il Dioaimposcos, l'influsso greco e evidente. Su quest'ultimo
scritto, che si conserva manoscritto in parecchi codici, e. fra trli altri, nel
Kiccardiano 904, e sulla sua data, vedi Voiqt, op. cit., I, p. 682, n. 1, e
Affò, op. cit., p. 14.
* I. Affò, op. cit., p. 9.
BASINIO DA PARMA 83
corte del Malatesta, Sigismondo Pandolfo, come tatti i suoi
emuli nella milizia di ventura, credeva nell'astrologia ; la fa-
miglia di lui tutta vi prestava fede; né certo in Rimini s'era
perduto il ricordo di quell'Iacopo degli Allegretti, famoso astro-
logo e matematico, ch'era stato maestro di Carlo, zio di Pan-
dolfo e del Novello. l Non sarebbe quindi fuor di luogo il
supporre che allo stesso signore sia venuto in mente di sug-
gerire al poeta un argomento che rispondesse alle proprie
convinzioni.2 Oppure, ove ciò non si ammetta, sarebbe poi tanto
strano il credere che il Basini, incerto nella scelta d'un mo-
dello greco da imitare, siasi rivolto proprio là, dove sapeva di
poter fare opera adulatoria, soddisfacendo alla curiosità super-
stiziosa del principe? Il motivo, in quest' ultimo caso, sarebbe
veramente assai tenue, ma non perciò da respingersi da chi
consideri che il reale incitamento, la più forte, per non dire
l' unica seduzione dev' essere stata senza dubbio quella estetica
e letteraria. Né a questa supposizione contrasterebbe il fatto,
che non astrologico, ma puramente astronomico risultò il lavoro
compiuto. Una spinta invero di natura cosi esteriore, dove
agire come leggerissimo impulso, senza determinare quei ca-
ratteri interni dell'opera, che invece trassero origine esclusiva-
mente dal modello che il poeta ebbe sott' occhio, cioè da Arato.
Non dimentichiamo, del resto, ciò che abbiam ricordato in
principio di questo capitolo: che il tempo degli studi astro-
nomici ed astrologici, nel movimento umanistico, non era pe-
ranco maturo, e che pretendere di ravvisare in questo primo
tentativo un intento seriamente scientifico, varrebbe discono-
scere la prevalenza dell'elemento formale, artistico e letterario,
cosi evidente nella corrente dotta a mezzo il secolo xv.
1 A. Battaglimi, op. cit., p. 46.
1 Si leggano i seguenti versi della dedica, o protasi, del poemetto, nei
quali evidentemente lo scrittore afferma — sia poi egli veritiero, od esa-
geri, ciò non e' interessa, cioè non infirma la nostra supposizione — la comr
petenza scientifica del signore di Kimini :
Nec cuiquam potui Ubi quam felicius astra
Dicere, qui rerum causas, qui sidera primus
Cunctorum et vasti scrutaris semina mundi.
Basini Astron., I, v. 11-18.
84 CAPITOLO PRIMO
IL
Or prima di esaminare criticamente come il Basini abbia
raggiunta la meta, diamo qui una breve analisi 'dell'opera
sua; analisi tanto più opportuna, in quanto che l'unica edi-
zione che se ne possiede, non essendo recentissima, è per con-
seguenza anche poco accessibile.1 È bene inoltre che un'oc-
chiata alla materia del poemetto la si dia insieme, fra me e
il lettore, affinché certi brani più importanti, nei quali trove-
remo gì' indizi delle fonti e gli elementi per il giudizio este-
tico e scientifico, non isfuggano alla nostra attenzione.
S'apre il primo dei due libri Astronomici con la proposi-
zione, dalla quale, come dall'enunciato di tutto il poema, appare
essere argomento dell'opera la sfera celeste, senza preoccupa-
zione georgica o marineresca, senza superstizione astrologica,
infine senza meteorologia :
Aetherios orbes, subiectaque tempia deorum,
Musa, cane, atque vias semper volveutis Olympi;
Curribus aurati* quae signa secutus iniquos
Sol vebat ipse dies, quae tempora noctibus addat,
Quae rapiat rursum tardis adiuncta diebus. 8
Segue alla protasi, che, come si vede, ò rapida e poco estesa,
una dedica, alquanto più lunga, in cui il poeta ricorda al be-
1 II testo degli Astronomici è stato pubblicato in Opera eit., I. |
sgg., dal riminese Lorenzo Drudi, il quale si servi d'un manoscritto car-
taceo, di cui non diede la descrizione, e ricorretto sopra il codice Maru-
celliano C. CCLI, membranaceo con figure. Secondo l'Affò, due altri coiliei
di esso, uno con disegni, e l'altro meno elegante, ma entrambi del sec. xv,
si trovano nella biblioteca Palatina di Parma; uno se ne conserva mila
Classense di Ravenna, ed uno infine nell'Oratoriana di Napoli, pervenutovi
con l'acquisto della libreria Valotta. Ora sono in grado di assicurare die
nel detto fondo Valetta, che tuttora appartiene alla bili], del padri liirola-
mini, il codice basiniano non esiste. Per contro d'un settimo manoscritto.
del sec. xv, ci dà notizia K. Carducci, Catalogo dei mss. ora posseduti da
l>. lìaldassarre Boncompagni, Roma, 1SD2, al n.° 808. Finalmente un ot-
tavo è il codice Marciano XII. 194, cartaceo, del see. \> , mutilo verso la
fine, dimodoché viene in esso a mancare parte del libro 2", adorno di sem-
plici, ma assai ben fatte figure a penna con leggera colorazione.
* A8tron. I, v. 1 .
BASINIO DA PARMA 86
nefattore i carmi già composti in sua lode, specialmente l' Espe-
ride, ed esprime il proposito di accingersi ad opera più vasta,
narrando quella Crociata che allora pareva imminente e di
cui credevasi sarebbe stato il Malatesta uno dei capi:
Mox quoque Troianas cupiara qui dicere clades,
Magnanimosque duces Graiorum, actamque sub arma
Europam, atque Asiae Sigaeo in littore gentem. l
La dedica termina con una curiosa apoteosi del Signore di
Kimini, che a noi, se non fossimo abituati alle rettoriche esa-
gerazioni adulatorie dei poeti romani, non escluso Orazio, po-
trebbe parere per lo meno inopportuna. Dice infatti il poeta
a Sigismondo: — mentre io canto e descrivo il cielo, seguimi
con attenzione, affinché tu possa, il giorno della tua morte (che
sia ben lontano!) sceglierti fra le stelle un posto, degno di te :
Interea, tardus quamvis, ad sidera coeli
Accedes quondam serisque vocabere votis;
Cum tamen in numerum divorum veneris, opta
Qua tibi parte poli, qua sit regione manendum ! z
Dopo la protasi abbiamo il principio vero dell'opera, o, me-
glio, i principi generali, che abbracciano tutto il contenuto del
poema. Dapprima si definisce l' universo come il complesso
dei corpi celesti, dotati di vario moto intorno alla immobile
Terra, e confinanti col vuoto. Dei movimenti siderali si accenna
la causa, cioè si discorre d'un* anima del mondo, d'un prin-
cipio di vita universale, il quale, sebbene venga collegato col
nome di Dio creatore, ci fa sovvenire, più che dell'universo
scolastico, di certi sistemi astronomici greci, da noi già veduti ;
e si enumerano le diverse direzioni dei moti. Si tratta pure
fuggevolmente delle sfere degli elementi sublunari ; e poi del-
1 Astron. I, v. 21-23; cfr. F. Fiorentino, Di un poema ms. attribuito
al Fontano, in Giorn. nap. di fìlos. e lettere, II, 1875, p. 299.
* Astron. I, v. 24-27. Vedasi intorno a questo genere d'apoteosi A. Bou-
ohé-Lecxbbcq, op. cit., p. 661, n. 1, dove è ricordato il passo in cui Lucano
offre a Nerone nientemeno che un posto nel Sole, e sono citati i versi delle
Georgiche, nei quali Virgilio indica ad Augusto una sede celeste nello Zo-
diaco, fra la Vergine e la Libra.
86 CAPITOLO PRIMO
l'asse della Terra, e dei poli : tutte notizie rapide, in poche
decine di versi. Né molto spazio richiedono le descrizioni dei
grandi circoli, quali la Via lattea, lo Zodiaco in quanto co-
stituisce la via annuale del Sole, i paralleli, cioè l'equatore,
i tropici e i circoli polari, i Coluri e le zone. Non occorrono
per tutto ciò al poeta più di centocinquanta esametri, com-
presa la parte iniziale; come allo scienziato non occorse molta
acutezza a riprodurre il noto schema di Tolomeo.
Ma venuto il Basini a trattare prima dei segni dello Zo-
diaco, quindi delle costellazioni extra-zodiacali, sente il bisogno
di allargare le proporzioni del suo discorso, compiacendosi di
quegli elementi plastici e favolosi, che la mitologia della sfera
gli suggeriva. Onde in pili di cinquecento e cinquanta versi,
che vengono a costituire la sostanza fondamentale del primo
libro, ritrae le figure degli asterismi, secondo l'ordine arateo,
come vedremo a suo luogo.
11 secondo libro incomincia con la promessa di trattare dei
cinque pianeti e dei due massimi luminari, il Sole e la Luna :
Quinque vagas etiam, necnon pulcherrima mundi
Lumina bina canam, rapido contraria coelo
Quae faciunt cursus, variasque feruntur in oras,
Sed non tam celeri, quam caetera sidera, motu ; l
e subito dopo qnesta proposizione, quasi la materia gli si pre-
senti con insolita abbondanza, il poeta si chiede da qual parte
gli convenga prender le mosse:
Ordiar unde igitur? mirer quae sidera prima?
Quae postrema sequar ? Tene, o pulcherrima rerum
Phoebe, prius, te, Luna, prius, Latonia, monstrem ?
Incurvimmo Senem curva cum falce minantem?
An superflua regem, coeli cui magna potestas ?
Mercuriumne dolis insignem atque arte loquendi ?
Tene etiam, Cyterea, tuo cum Marte silebo?8
Ora tutta codesta incertezza non è se non finzione, artifizio ret-
torico, per conchiudere subito dopo:
i A8tron. II, v. 1-4.
• Aatron. Il, v. 6-11.
BASINIO DA PARMA 87
Pauca equidem cunctis super ignibus orsa movebo
Ipse aliis; de te, Sol auree, multa canenda,
Multa mihi referenda modis insignia miris. '
Perché dunque questa povertà di trattazione e questa prefe-
renza per i fenomeni solari ? Ecco ciò che vedremo, quando
parlerem delle fonti ; per ora andiamo avanti. Accennate fug-
gevolmente le differenze di durata nel corso di ciascun pianeta,
lo scrittore tratta delle fasi della Luna; dice come i pianeti,
altri più veloci ed altri più tardi, vadano errando nei segni
dello Zodiaco, mobili anche questi ultimi, ma dotati di moto
uniforme, in guisa che non cambiano mai la loro figura ed
i rapporti di distanza e di posizione l'un verso l'altro. Fra
questi segni ciascun pianeta ne ha certi, in cui si dice, secondo
una teoria che in origine appartenne alla scienza astrologica,
abbia la sua casa. In questa circostanza, cioè quando il pia-
neta è in casa propria, avviene, secondo alcuni, l' influsso ;
il quale pure si manifesta quando il Sole e la Luna offrono
il fenomeno dell'eclissi. Se il poeta sia del parere di coloro
che credono in codesta azione, oppure se ne discosti, è questione
che discuteremo a parte; basti anche qui, come sopra, l'averne
fatto cenno, tanto più che neanche il Basini vi s' indugia.
Come pure appena si sofferma sui segnali atmosferici dipen-
denti dai due pianeti maggiori, dai quali gli agricoltori e i
naviganti prendono norma alle loro operazioni : segnali atmo-
sferici di cui non si fa cenno nella protasi.
Per qual motivo, dopo i segni del tempo, Basinio venga
al problema dell' abitabilità della Terra, non è ben chiaro : forse
il legame interno fra i due argomenti non esiste. Certo è che
egli espone la teoria cosidetta degli Antipodi, con sfoggio di
dottrina geografica, e ne tenta anche la dimostrazione. Dalla
quale, sempre senza apparente nesso scientifico, trascorre ai
diversi movimenti del Sole rispetto alla Terra, cioè ad una
specie di trattazione delle leggi fondamentali del calendario;
e finisce, con evidente compiacenza letteraria, con l'elogio del
maggior pianeta. Di quest'elogio che ha tanta importanza
» A8tron. II, v. 12-14.
88 CAPITOLO PRIMO
nell' economia del poema, mi si conceda di riferire qualche
brano in cui il lettore possa scorgere, come in un saggio, il ca-
rattere dell'opera intera. Comincia :
O decus aethereum, lux o clarissima coeli,
Sol hominum divumque parons, quo carmino laudos,
Quae mihi Musa tuas memoret? Tu causa creandi
Omnia, cura magna rerum tu semina Luna
Accipis, et valido nutriris cuncta vigore.
Aetherei princeps tu luminis almus, et auctor
Lucis, et immensi moderator magnus Olympi,
Salve, hominum sator, ac miseris accommoda terris
Lux aeterna deùm : tua vis, tua, Phoebe, potestas
Abducit morbos, coelumque salubre serenat. '
Vien poi la glorificazione mitologica del nume, con sfoggio
di nomi antichi di origine greca ed egizia, quali Titauo ed
Osiri; e cosi, passando dagli attributi fisici ai divini, ecco
Febo considerato come un dio protettore, anzi come il dio
pacificator dell' Italia. Non è forse il Sole che regola il tempo,
ed apporta i buoni ed i tristi periodi agli uomini ? Ora esso
rischiara un' èra di tranquillità, nella quale la nostra patria
riposa dalle diuturne guerre di parte : tutto merito, ben s' in-
tende, di Sigismondo Pandolfo Malatesta !
Laeta Sigismundi nunc tempora ducis, honorem
Cui summum Omnipotens patriis coucessit in armis,
Qui nunc Italiani pacis sub legibus omnem
Iusticia atque fide magna ditione tuetur.
Ut qui caeca legit rapidis contrarius undis
Marmora ventisoni revoluta per aequora ponti
Nauta mari in magno, voces atque irrita surdis
Littoribus dat verba, sonosque effundit inanes ;
Verum ubi ad optatos subduxit carbasa portus,
Rupe ligat vasta munitam forte carinam. *
In questo modo, dall'elogio del Sole, con accorto trapano
il poeta s'è messo sulla china dell'adulazione, per la quale
giungerà agevolmente al termine del suo poemetto. Dopo il
signore di Rimini, ecco il signor di Cesena:
' Astron. II, v. 406-415.
* Astron. II, v. 486-446.
BASINIO DA PARMA 89
Nec minus insigni sese germanus honore
Extulit ante alios Malatesta Novellus, et armis
Hic quoque depositis, tua numera, pulcher Apollo,
Castaliis Musas primus deduxit ab antrìs.
Ille fide, ille animo constanti ac denique saDcta
Iusticia invictura potis est superare Catonem. •
Poi tutti e due i fratelli, congiunti in una sola esaltazione di
gloria e di potenza, suggeriscono allo scrittore un pensiero che
pare nasca, oltre che dal proposito elogiativo, anche da una
feale condizione degli animi negli anni in cui egli dettava i
noi versi eleganti. Quanti non guardavano allora con sincera
vergogna il contrasto fra lo splendore e l'ostentate armi del-
l'Occidente, e l'abbandono, l'obbrobrio di Costantinopoli, ca-
duta in mano di Maometto II !
Hos saltem Italiae custodes, maxime divùm
Phoebe, love, longosque piis da fratribus annos.
Ille inter Musas longum se oblectet; avitum
Dum regit imperium bello fremat ille superbo.
Nuper et Ausoniam saevis ut vindicat armis
Alphonsi, Hetrusca cogit queni cedere terra,
Ac libertatem populis dat habere Latinis,
Mox quoque in audaces vertat sua praelia Turcos,
Infidasque manus inimicaque pectora Graiis,
Heu miseris ! quos clade nova tot millia campis'
Perdita Threiciis, Byzantia moenia iuxta,
Abstulit una dies, saevit dum barbarus hostis
In Graios omnes, Troiam dum iactat avitam
Dardaniosque patres, Ida quod natus aquosa est. 8
E si ascolti con qual felice mossa virgiliana il Basini ci sa rap-
presentare l'antica, opulenta capitale dell'impero bizantino,
quale fu nei secoli migliori, quale è ridotta, qual dovrebbe
risorgere rivendicata :
Urbs augusta, potens, regum domus alta potentum,
Romanis opibus, Romanis civibus aucta,
Imperio quae sola suo Garamantas et Afros,
Auroram et Zephyrum, uecnon Boreamque Notumque
» Aatron. II, v. 451-466.
* Astron. II, v. 467-470.
90 CAPITOLO PRIMO
Subdiderat pedibus, domitumque subegerat orbem,
Capta dolis pueri ; quin et Phryx seinivir illa
Nane potitur Victor, Romanaque despicit arma
Discordesque animos Italum sine fine furentum.
Nec satis indignum fuerat quod tempia, quod aedes
Diruit: antiqua sub relligione, nefandum !
Stare vetat populos. At nos toleramus iniquas
Gentibus imponi leges ? Ne, Christe, furorem
Ne patiare, precor, per saecula surgere talem :
Da, pater, Ausoniis mentem da gentibus unam
Ire Asiam contra; cupiant illum omnibus unum,
Illum ipsum studiis, qui barbara saepe fugavit
Agmina et Italia duros eiecit Iberos. '
Negli ultimi versi dell'opera il Basini ritorna sul proposito
di cantar le future vittorie che il Malatesta, accogliendo l'in-
vito generoso del papa, avrebbe riportate sugl'infedeli; e s'au-
gura d'aver come gradito rivale in questa gara di lodi l'amico
Pier Parlione, cui la conoscenza dei luoghi, acquistata durante
il soggiorno in Oriente, dovea certo mettere in condizioni arti-
stiche singolarmente favorevoli. Peccato che Sigismondo abbia
presa la croce troppo tardi, in quel modo e con quell'esito
che sappiamo!2
III.
Al lettore, nel rapido sunto dell'opera basiniana, non de-
v'essere sfuggito un fatto caratteristico, la mancanza cioè d'un
intimo legame, che allacci tutte le parti in un ordine logico.
Al contrario si sarà egli avveduto di parecchie giunture arti-
ficiose fra gruppo e gruppo di notizie, la spiegazione delle
quali non può essere dubbia : solo una genesi irregolare, un
accostamento di elementi diversi, non ben digesti, può aver
prodotto quegli accozzi, dove per giunta la fretta e la scarsa
preparazione scientifica si palesano innegabilmente. Se adun-
que vogliamo pronunciare un giudizio sugli Astronomici, non
potremo dichiararci ancora interamente sicuri di non errare,
» Afttron. Il, v. 471-487.
* C. Cipoll», Storia delle Signorie, Milano, par. 1», p. 684.
BASINIO DA PARMA 91
gè prima non ne avremo additate, almeno per sommi capi, le
fonti.
La somiglianza del titolo può trarre facilmente in inganno
e suggerir l'opinione che gli Astronomici di Basinio siano imi-
tazione degli Astronomici di Manilio. Ma il confronto della
sostanza delle due opere esclude assolutamente tale afferma-
zione ; la esclude luminosamente, per non accennare ad altro,
la differenza di contegno dei due poeti di fronte al problema
astrologico. Mentre infatti presso il romano la divinazione, e
la relativa concezione morale dell'universo e dell'umanità, co-
stituiscono il maggior pregio e la più viva preoccupazione, nel
poeta parmense si nota l'assenza di qualsiasi dottrina ben chiara
intorno al fato, anzi l'assenza di qualsiasi profondo concetto in-
torno alla provvidenza divina. I rispettivi sunti dei due poemi
bastano a provar quanto dico: tuttavia e perché la derivazione
maniliana è stata asserita da un critico molto autorevole * e
perché non è inutile indugiarci un poco sopra un argomento,
che deve contribuire a darci la misura del merito dell'opera
1 II giudizio è di V. Rossi, II Quattrocento cit., p. 348; ed è ripetuto
da G. Bertoni, La bibl. estense cit., p. 109. Alle ragioni interne, secondo
il mio modo di vedere, tali da non lasciar dubbio sull' assoluta indipen-
denza dei due poemi, se ne può aggiunger una esterna, meno forte, la quale
prova a silentio, come dicono i logici, che il Basini non ebbe fra mano
l'opera maniliana. Neil' Invent ario cit. non si parla infatti di alcun codice
degli Astronomici del poeta romano; ed il manoscritto della Malatestiana
di Cesena, copiato per ordine del Novello, ha una nota importantissima per
noi, che io trascrivo, insieme con la descrizione del codice stesso, dal ca-
talogo di R. Zazzeri, Sui codici e libri a stampa della bibl. Malatestiana
di Cesena, Cesena, 1887 : « Cod. 5, pluteo 25 sinistro — Manilius Marcus
et Sammonicus Q. Serenus, Opera, seu: 1° Astronomicon libri V ad Octa-
vianum Augustum ; 2° De morbis e capite usque ad pedes. Cod. membra-
naceo del sec. xv, ecc. Nel margine inferiore della la carta v' è l'emblema
della famiglia Malatesta, con le sigle M. N. Vi sono nei cinque libri di Ma-
nilio moltissime varianti importanti in confronto specialmente con la edi-
zione di Strasburgo del 1767. In fine al 5° libro si legge : Finit liber quin-
tus et ultimus, Pro illmo ac magnifico Principe Domino Malatesta Novello
de Malatestis scriptus per manus religiosi viri fratris Francisci de Fi-
ghino anno gratiae MCCCCLVII ». Come si vede, questo codice è una
copia del Manilio del Poggio, differente in molti punti dalle edizioni con-
dotte -ui cod. di Monte Cassino scoperto dopo, e fu trascritto per uso dei
Malatesta l'anno stesso della morte del Basini, cioè alcuni anni dopo la
composizioni- degli Astronomici di quest'ultimo.
92 CAPITOLO PRIMO
basiniana, mi giova ricordare come il solo passo, che in essa
sembra accennare a credenza astrologica, e il seguente :
Haec sunt illa eadem, quae corpora nostra tuentur,
Lumina magna; venit sensusque vigorque, ministris
His, hominum vitis. Agimus tamen emine, quod ipsi
Non minus errantes ad quinque referre soleinus. '
In questi versi, che si ricollegano — notiamolo bene — ad
una precedente esposi/Jone della teoria delle case zodiacali dei
pianeti (teoria che, sebbene d' origine astrologica, era stata
ammessa anche nella scienza puramente astronomica), che cosa
si afferma? Che dalla fonte d'ogni moviineutu. per messo dei
moti sottoposti delle sfere planetarie, scende la causa vitale
nei corpi umani, e dai corpi, naturalmente, si ritiette nelle varie
funzioni della vita; nello stesso modo che gli elementi sublu-
nari, come si soggiungerà poco dopo, sono informati dai cel
nel mondo fisico:
Haec quoque mutantur superis et semina formis. *
Però si prosegue, non senza una punta di satira, avvertendo
che nel campo morale non c'è influsso stellare, e che quelle
azioni, alle quali si vuol dagli uomini addurre un movente ce-
leste, quasi a scarico di coscienza e di responsabilità, son ben
nostre e dipendenti dal libero arbitrio.
In altri due luoghi del poema e' era l'occasione d'introdurre
il concetto astrologico: nel principio, quando l'autore accenna
alla mente divina ordinatrice del cosmo; nella fine, quando
dall'elogio del Sole egli passa a quelle considerazioni politiche,
che abbiamo vedute. Ora in codesti due luoghi di astrologia
non v'è segno.
Se non da Manilio, il titolo sarà dunque suggerito da qual-
che altro autore antico, che non è difficile rintracciare: da
Igino, i cui Astronomici poetici abbiam ricordati a suo tempo;
«la Igino, che serve al Basini di fonte diretta anche in molta
altra parte del suo lavoro, il quale per questa via viene a ool-
legarsi intimamente colla tradizione aratea. Ed eccomi là onde
i Axtron. II, v. 107-110.
s .islron. II, v. 312.
BASINIO DA PARMA 93
ho preso le mosse in principio di questo capitolo, eccomi ri-
tornato alla tradizione aratea, per discorrerne con la debita
larghezza.
Il fatto che più ci si presenta, anche a prima vista, evi-
dente, è la conformità dello schema del poemetto di Arato
e degli Astronomici di Basinio. L'operetta greca è divisa in
due grandi sezioni, i Fenomeni e i Pronostici; ed il lavoro
dell' umanista comprende due libri. Nei Fenomeni si tratta delle
nozioni fondamentali dell'universo, e subito dopo si passa ad
un'ampia rassegna delle costellazioni; nel primo libro basi-
niano, salva la dedica che è elemento estraneo ed indifferente,
si discorre delle medesime cose, nel medesimo ordine. Nei
Pronostici, dopo d'avere, come il lettore rammenta, fatto grandi
promesse intorno alla teoria planetaria eudossiana, il poeta
sì accontenta di esporre alcuni precetti sui segni meteorolo-
gici della Luna e specialmente del Sole: alla stessa guisa
Basinio, nel secondo libro, dopo le rettoriche vanterie, che ab-
biamo notate nel sunto, si limita in conclusione a pochi cenni
sui pianeti e poi divaga nell'elogio, in gran parte letterario,
del Sole. E appunto a proposito di codesti segni meteorolo-
gici è bene osservare che la fonte aratea appar chiara, direi
quasi, trapela di sotto la più ricca espressione del poeta di
Parma. Infatti mentre questi nella protasi, che ha carattere
severamente dottrinale, aveva taciuto dei pronostici agricoli e
nautici, che veramente appaiono alquanto fuor di luogo, ecco
che a metà del secondo libro, lasciandosi guidar dalla fonte,
senza apparente motivo logico, li introduce. Arato, riferendosi
al Sole, aveva scritto : « Ma se interamente limpido lo acco-
glie l'ora della sera, e scevro di nubi esso si corica nel mite
lume del crepuscolo, certo sarà pure sereno l'indomani all'au-
rora ». ' E Basinio, ampliando, ripete:
Signa iuvat varii si te quoque discere Solis,
Scire licet, facileraque viam praeberaus. Ibero
Cum cadit oceano, si lucidus extat, Eois
Clarus et exit aquis, Borea tardante, videbis
1 Arati Prognostica, v. 825-827.
94 CAPITOLO PRIMO
Tranquillosque dies et motas vertice sylvas;
Nec metus insano tibi tum te credere ponto. l
Ecco spiegata la mancanza di intimo legame, notata Del-
l' anali si !
Nelle linee generali, e in qualche particolare, la fonte ba-
siniana è dunque Arato. 2 Ma, come abbiamo affermato poc' anzi,
non il solo Arato ha servito al Parmense, il quale si valse anche
di altre fonti, scegliendole tuttavia sempre nel ciclo arateo.
Queste altre fonti gli vengono in aiuto nella trattazione spe-
ciale dei diversi argomenti, e variano quindi a seconda della
materia, di guisa che il sustrato del poema viene a presentare
una disposizione, che potremo chiamare a mosaico. Una fonte,
per esempio, che già abbiamo avuto occasione di ricordare a
proposito del titolo, e che abbiamo additata come principalis-
sima, è Igino. 3 Ad essa ricorre il poeta con tale larghezza e
con una cosi pedissequa servilità, che ben si potrebbero chia-
mare iginiani, più che basiniani, i due terzi del primo libro
degli Astronomici. Né ciò che io affermo sembri esagerato al
lettore, al quale sottopongo, prima di passare a qualche os-
servazione critica, un paio di esempi, messi a confronto.
Costellazione del Cigno.
Hvgini Astronomicon III: * Olor — Huius una ala est ad circum-
ductionem huius circuii, qui arcticus vocatur, contingens extremum
pedem sinistrum eius, qui Engonasin vocatur. Sinistram autem habet
alatn paululum extra circulum aestivum pene coniungens pedibus
:
1 A8tron. II, v. 148-148.
2 Sperai di trovare alle ragioni interne, per le quali credo alla cono-
M6an diretta di Arato da parte del Basini, una riconferma nv\V Inventa-
rio cit. ; ina in esso non è registrato palesemente alcun manoscritto del
poemetto greco. Non se ne può tuttavia escludere la presenza quando leg-
giamo delle indicazioni generiche, sotto le quali esso si può nascondere,
come le seguenti : « Uno libro greco coverto di raso brettino; uno Mino
greco coverto di raso con broche grosse; uno libro di -astronomia ctim una
opera greca coperta di raso rosso ».
3 II primo a parlar d'Igino a questo proposito è stato il Prudi, editare
degli Astronomici, in Basini Opera cit., I, p. 291, Introd. IV; lo segui <>.
Voiot, op. cit., I, p. 682.
* Cito dall' ed. del 1486: Clarissimi viri Htoirii poéticon astronomicon I
opus utilissitnum etc. impressimi per Erhardum Kadtolt de Angusta, Venerila.
BASINIO DA PARMA 95
Pegasi ; aestivus autem circulus rostrum eius a reliquo corpore di-
viditi. Cauda iungitur extrema cum capite Cephei. Hic cum Virgine
et Chaelis occidens, prius capite quam reliquis membris devenit ad
Terram ; exoritur autera cum Capricorno. Hic habet in capite stellanti
dare lucentein unam, in collo alterata pari fulgore, in utrisque pen-
nis quinas, supra caudam unam: omnino babet stellas xm.
Basinii Astronomicon I, v. 246-252 :
Qualis olorisoni viridantia ad arva Caystri
Accolit berbosas piscoso flumine ripas,
Talis in aethereis Olor est pulcherrimus oris.
Ala tenet cuius magnam sublimiter Arcton,
Tenditur aestiferum sed et altera pene sub orbem,
Flexigeni tangit pede sed vestigia summo ;
Aestifer ipse secat reliquo de corpore rostrum,
Cauda caput regis contingit denique Cepbei.
Virgine cum pulsa Chelisque cadentibus, ipse
Labitur atque caput terris immergit opacis ;
Exoritur magni surgunt cum bracbia Cancri.
Colla tenent unam, longae unam tenuia caudae,
Quinque sinistra tenet spatiis ingentibus ala,
Altera quinque, caput solam tenet.
Costellazione del Leone
Hygini Astron. Ili: Leo — Hic habet in capite stellas tres, in
cervicibus duas, in pectore unam, inter capillos tres, in media cauda
unam, in extrema alteram magnam, sub pectore duas, in pede priore
unam claram, in ventre claram unam, et infra alteram magnam unam,
in lumbis unam, in posteriore genu unam, in pede posteriore claram
unam; et ita est omnino numerus stellarum decem et novem.
Basinii Astron. I, v. 602-609:
Ternae stant vertice stellae,
At cervice duae, sola est in pectore, cauda
Una ima, mediaque alia est, in ventre sed una est.
Ventre sub una iacet, geminae snb pectore stellae,
Una priore pede est laevo, stat poplite laevo
Una, duaeque humero, nate stella infigitur una ;
Una pede extremo in dextro, stat et una sinistro,
Una genu extremo. Magnique haec forma Leonis.
Le due costellazioni prese ad esempio non sono eccezioni,
in cui il raffronto appaia mirabilmente dimostrativo, ma saggi
96 CAPITOLO PRIMO
scelti a caso in mezzo alla serie completa degli asterismi. Esse
oltre a provarci la derivazione iginiana, ci avvertono pure
d'un altro fatto, che cioè lo schema arateo, per il sovrapporsi
di questi nuovi elementi, non viene, nel primo libro, a subir»*
modificazioni essenziali. Si direbbe che il poeta, a sfuggire la
taccia di semplice traduttore, e per non rifar l'opera ìrià
tentata da Cicerone, Germanico ed Avieno, ma volendo con-
servare i contorni del modello, abbia attinto ad un materiale
simile, anzi, mutata veste, identico nella sostanza; ad un ma-
teriale che certo non poteva presentarglisi, dal punto di vista
scientifico, più arduo e più astruso di quello dell'antico poe-
metto alessandrino.
Sennonché ci sarebbe da dubitare che nella parte più pro-
priamente poetica annessa a ciascuna costellazione, cioè nei
miti, Basinio abbandoni Igino per far ritorno ad Arato. Ma
cosi non è. Anche nel famoso episodio della Vergine — il let-
tore se ne ricorderà — l'umanista si attiene alla favola di
Erigone, trascurando quella di Astrea; come si può vedere
dal confronto, che volentieri qui aggiungo a riprova delle mie
affermazioni precedenti.
Costellazione e mito della Vergine.
Hygini Astron. Ili : Virgo — Virgo infra pedes Bootis collocata,
capite posteriorem partem Leonis, dextra marni circulum aestivalem
tangit, ac inferioretn partem corporis supra Corvura et Hydrae cau-
dam habere perspicitur, occidens capite priusquam reliquia membris.
lluius in capite est stella una obscura, in utrisque humeris singu-
lti-, in utrisque pennis binae, quarum una stella quae est in dextra
penna ad humerum dofixa Protrigot vocatur. Praeterea habet in utris-
que manibus singulas stellas, quarum una quae est in dextra manu
iunior et clarior conspicitur. In veste autem habet passim dispositas
stellas septem, in utrisque pedibus singulas. Omnino stellarum nu-
li ii-rus XVI.
Hygini Astron. Ili: Arctophilax — At canis vestem eius tenens
dentibus perducit ad cadaver. Quod filia simul ac vidit, desperata spe,
solitudine ac pauperie oppressa, multis miserata lachrymis, in eodem
arbore, sub qua parens sepultus videbatur, suspendio mortem sibì
conscivit .... Alii hos a Libero patre figuratos inter sidera dicunt.
Interim cimi in finibus Atbeniensium multae virgines sine causa
BASINIO DA PARMA 97
suspendio sibi mortem consiscerent, quod Erigone moriens erat pre-
cata ut eodera leto fìliae Atheniensiuin afficerentur, quo ipsa foret
obitura, nisi Icari mortem persecuti et eum forent ulti ; itaque cum
id evenisset, ut ante diximus, petentibus eis Apollo dedit responsum :
si vellent eventu liberari, Erigonae satisfacerent. Qui qua ea se sus-
penderat instituerunt uti tabula interposta pendentem funibus se
iactarent, ut qui pendens vento moveretur .... Deus iubet multis ho-
stiis expiari Icari mortem et ab love potere ut, quo tempore Cani-
cula exoriretur, dies quadraginta ventum daret, qui aestum Cani-
culae mederetur. Quod iustum Aristeus confecit et a love impetravit
ut Ethesiae flarent.
Basinii Astron. I, v. 610-632:
Protimis Erigone sequitur pulcherrima "Virgo.
Ipsa, pedes infra magni portenta Bootae,
Vertice postremam partem ferit alta Leonis,
Aestiferum dextra contingit denique circum.
Corporis inferior pars imae desuper Hydrae
Imminet, atque caput terris immergit opacis,
Caetera membra cadunt quam funditus. Huic caput ingens
Stella tegit parva, atque humero super altera laevo,
Una alio, geminis binae stant Virginis alis,
Singula utraque manu, sex veste micantia, plantis
Sidera bina cavis. Talis est Astrea figura.
Hanc canis ad patrium perduxit fida cadaver,
Quod Rhyphaea manus terra occultarat opaca ;
TJnde Canem Icarium quidam dixere, putantes,
Hunc ipsum caelo patrem statuisse Lyaeum.
Quae simul ac dira conspexit caede parentem
Confectum, fuerat quae desuper arbore ab alta,
Multa precata Deos, curas testatur inanes
Illorum, ac turpi defregit guttura nodo.
Virginibus magni dehinc Cecropis urbe creatus
Mos erat aetherias corpus librare sub auras,
Virginis ut magnum tenuarent sacra dolorem,
Annuaque aestivi portarent frigora venti.
La fonte principale del secondo libro è la seconda parte
del poema di Arato, cioè i Pronostici. Tuttavia, come abbiamo
avvertito nel sunto, in quel libro c'è, a un certo punto, una
digressione, inserita a forza nello schema arateo, della quale
difficilmente ci potremmo render conto, se non sapessimo donde
venne allo scrittore l'impulso ad introdurla. Parlo della trat-
Sol.DATI 7
98 CAPITOLO PRIMO
tazione dell'abitabilità della Terra o della teoria degli Anti-
podi, cacciata nel bel mezzo del sistema planetario, quasi a
colmar la lacuna fra i pochi cenni sui cinque pianeti e l'esteso
elogio del Sole. Orbene l'occasione a tale aggiunta venne al
Basini da un passo del libro, cosi noto nel Medio evo e Del
KinasGimento, di Marziano Capella, Venuptiià l'hiìologiae et
Mercurii, il cui capitolo sesto, intitolato De geometria, cioè
delle proporzioni e della forma della Terra, contiene fra l'altre
cose anche la descrizione delle cinque zone terrestri. A propo-
sito delle quali è ricordata la figura sferica del nostro globo,
abitabile in tutti i punti della sua superficie, e viene esposta
la nomenclatura dei diversi abitatori in rapporto alla posizione
loro reciproca. Cosi, dopo d'aver parlato della zona temperata,
nella quale noi abbiamo dimora, si passa a quelle che si tro-
vano nell'emisfero australe:
« Altera, quae e contrario ad meridioni atque austram fert, quain
habitare illi aestimantur, qui vocantur àvvoÌKOi. Similiter ex infer-
natibus duae. Sed hi, qui nobis obversi, antipodes memorantur; qui
contra illos, quos àvroÌKOvs dicimus, anticthones appellantur. Sed nos
cuna illis diversitas temporum velut quadam contrarietate discrirai-
nat ; nam cum aestate torremur, illi frigore contrahuntur ». l
Ed ora si stia a sentire Basinio:
Aequipedes alios patrio sermone vocamus,
Antoecos Grai, nostro qui Sole fruuntur
Parte sub adversa, superi sub corpore coeli,
Verticis austrini prope sidera condita nobis.
At qui circum habitant Graio sermone Peroeci
Dicuntur populi ; sua qui vestigia contra
Nostra tenent, Graia Antipodes quoque voce feruntur.
1 Martiani Minei Capellae ctc. De nuptiis Philologiae et Mcrcuru, Llf-
■liini, 1619, p. 226. (Jiova avvertire che per quelle parti, nel le quii il ri-
scontro fra la fonte indicata e i versi di Basinio non è perfetto, occorre
pensare ad uno di quei numerosi manoscritti di Marziano, che correvano a
quei tempi forniti di commento e di aggiunte, sui quali v. la memoria di
E. Narducci, Intorno a vari commenti fin qui inediti o sconosciuti al « Sa-
tyricon » di Marziano Capella, seguiti dal Commento di Remigio d'Au-
xerre al libro VII de Arithmetica, della stessa opera; estr. dal Jiullcttino
di bibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche, tomo \ v
(1882).
BASINIO DA PARMA 99
Nana cuna nox exit ad illos,
Incipit ipse dies nostris se reddere terris,
Atque ubi venit hyems nobis, bis vertitur aestas. l
Perché poi Basinio abbia voluto introdurre il problema degli
Antipodi, non è ben chiaro. Probabilmente l'incitamento gli
venne da ciò, che verso la metà del secolo quella era que-
stione viva e discussa, 2 ed era quindi pervenuta con una certa
insistenza al suo orecchio di astronomo e geografo improvvi-
sato. Fatto sta — ed è questo l'importante — che egli, intro-
ducendola nell'opera sua, non v' aggiunse nulla che non avesse
appreso da Marziano Capella.
Ancora qualche altra fonte minore, sempre a proposito del
secondo libro, potrei indicare, come certi versi di Lucrezio, a
cui fanno riscontro altri del Basini, come certe espressioni
delle Georgiche di Virgilio, a cui, specialmente verso la fine
del poema, il nostro autore si accosta. Sarebbero tuttavia pic-
coli raffronti, non necessari dopo che tutti i principali ele-
menti degli Astronomici trovarono, nell' analisi nostra, il loro
antico modello. E tempo piuttosto che ci affrettiamo verso la
conclusione.
IV.
Il giudizio più equo sul poema di Basinio Basini va indotto
in gran parte dalla natura delle fonti usate dall'autore, e dal
modo ond* egli combinò fra di loro le fonti medesime. Esso
dipende inoltre dal valore letterario e morale di quel poco di
nuovo e di suo, che, come abbiamo veduto, il poeta introdusse
nell' opera propria.
Dalla natura delle fonti, in prevalenza prosastiche, nasce
nel nostro poemetto l'aridità, la pesantezza, che grava sopra
le descrizioni del primo libro, sopra le esposizioni teoriche del
secondo. Come mai avrebbe potuto il Basini, con quel suo
tradurre in versi il terzo libro di Igino o il capitoletto De geo-
» Astron. II, v. 195-201 e 210-212.
* S. Bornio, La leggenda degli Antipodi, in Miscellanea di studi cri-
tici, ed. in onore di A. Graf, Bergamo, 1908, p. 601.
100 CAPITOLO PRIMO
metria di Marziano Capella, quasi parola per parola, elevarsi
ad espressioni, se non poetiche nel senso alto, almeno ele-
ganti ? Con quel suo penoso lavorio di riduzione metrica, nel
quale segni troppo bene il metodo antico di Arato, che abbiano
veduto affaticarsi stilla prosa eudossiana, egli si predale la
via all'arte, abbassandosi fino a stendere quegli elenchi di
stelle che ho trascritti nei saggi citati, e ad accozzar cataloghi
del genere del seguente, che pare un' ingegnosa trovata mne-
monica da servire in iscuola ai ragazzi:
Primum Aries signum, sequitur quem Taurus acutis
Cornibus; hinc Gemini Laedeia sidera fratres :
At Cancrum Herculei sequitur quoque forma Leonia;
Hunc Virgo, hanc iustae pendentia pondera Librae.
Scorpi us hanc sequitur, post quem sua spicula Chiron
Tendit; at Aegoceros premit hunc quoque cornibus alte
Auratis, curva cui surgit Aquarius urna;
Ultima quem Pisces caelestia signa secuti. '
Se dunque la natura delle fonti, e il metodo troppo pedis-
sequo nel valersi delle medesime, furono causa d'uno dei mag-
giori difetti degli Astronomici, non minor danno venne ad essi
dal modo onde le fonti stesse furon poste a contatto. I le-
gami — come non ho trascurato di mettere in rilievo nei luoghi
opportuni — o non esistono fra le diverse parti, o sono del
tutto artificiali : l'opera intera non un organismo, ma un muc-
chio di materiali, non è un quadro, ma un cattivo mosaico.
Dove, per di più, e' è il grave inconveniente della sproporzione,
sia nella misura, sia nella qualità. Nella misura, in quanto
che certi argomenti anche notevoli, sono appena accennati, per
non dir taciuti, mancando per essi una fonte copiosa di noti-
zie; mentre ad altri o meno importanti, o degni bensi di svi-
luppo, non però esagerato, presentandosi la materia con abbon-
danza, si dà un'estensione soverchia. Nella qualità, in quanto
che per l'uso promiscuo di modelli ora prosastici ora poetici,
si passa dal tono rettorico e solenne al pedestre ed amile, Bensa
la giustificazione di ragioni estetiche o morali. Solo una forte
concezione di tutto l'argomento, un punto di vista soggettivo.
• Astron. I, v. 168-165.
BASINIO DA PARMA 101
nuovo e ben chiaro avrebbe potuto fondere tanti frammenti
distinti e divisi : ma è ciò appunto che più manca al Basini.
Manca invero al nostro scrittore un concetto etico, il quale,
quasi senza farsi scorgere, pervada in tutte le sue parti l'opera
didattica, e faccia scaturire, anche là dove la materia scien-
tifica meno parrebbe favorirla, la scintilla della poesia. Que-
sto difetto, per esempio, non abbiam visto in Arato, nei cui
Fenomeni vive e qua e là si fa sentir con violenza la forza
del fato, sia che il poeta invochi Zeus regolatore dei lavori
degli uomini e quindi della loro felicità, sia ch'egli attinga
la sostanza delle sue narrazioni alla mitologia celeste, come
nel noto episodio di Diche, sia infine che nella viva descrizione
d'una burrasca, d'una meteora, d' un presagio, faccia risaltare
con amara riflessione la piccolezza del genere umano. Questo
difetto non abbiam scorto in Manilio, a cui la convinzione
astrologica fu potente mezzo di rappresentazione estetica. Ma
in Basinio non agisce né il fato né l'influsso; e nemmeno agi-
sce il concetto cristiano della provvidenza divina, che sarebbe
pur riuscito, ove fosse stato fortemente compreso, a reggere e
vivificare V inerte poema. Forse una profonda concezione scien-
tifica ne avrebbe salvato le sorti ; ma neanche la competenza
dottrinale o tecnica, per dirla alla moderna, può essere in-
vocata. 1
Nulla adunque dovremo scoprir di notevole, di bello nel
poemetto, che abbiam preso a studiare ì Qualcosa, certo. Bella
e notevole è gran parte di tutto ciò che è esteriore alla so-
stanza dell'opera, vale a dire la dedica e la chiusa, ed in ge-
nerale la forma letteraria. "I brani numerosi e della protasi e
dell'elogio del Sole, che ho riportati a suo luogo, mi esimono
dallo spendere molte parole per dimostrare che l'ispirazione
1 Non distrugge il mio giudizio il passo seguente, nel quale Basinio
parla con una certa superbia del proprio valore (Astron. II, v. 881-333) :
Cleomedeas romani s versibus artes
Exsequar, ingenti patriae perculsus amore.
Che cosa ci stia a fare il nome di Cleomede — uno dei fautori del sistema
eliocentrico, vissuto nel secondo secolo d. C. — veramente non si sa : o,
meglio, lo si indovina benissimo, ove il vanto del Parmense sia inteso nel
suo vero significato, cioè come una frase puramente rettorica.
102 CAPITOLO PRIMO
sincera del Basini si restringe e condensa nelle lodi dei due
signori di Rimini e di Cesena; lodi meritate per ciò che ri-
guarda le opere della pace, cioè lo splendore delle loro corti,
degli edifizì da essi innalzati, della coltura intorno ad essi fio-
rente. Lo spirito raffinato dell'autore, al toccar di certi argo-
menti, sembra che si risvegli e si riscaldi; si leva allora sulla
sua dotta, fredda fatica di umanista ed innalza un inno alla
bellezza e alla gloria dell' ambiente in cui vive. Pare quest'inno
una digressione, e tale è senza dubbio rispetto alla materia; ma
vibra in esso un certo che di cosi vivo e vero, ma spira da
esso con tanta evidenza l'anima del Quattrocento, che natural-
mente ci sentiamo portati all'ammirazione. L'autore si avanza
col suo modo di vivere e di sentire, coprendo della sua om-
bra il proprio scritto : non importa ; finché egli ci è presente,
noi ammiriamo lui e il suo secolo. In questo modo soltanto si
spiega quel senso di soddisfazione serena, per quanto tenue ed
indeterminata, che rimane inconsciamente nell'animo di olii.
senza preconcetti buoni o cattivi, sia giunto alla fine della let-
tura degli Astronomici.
Al qual sentimento contribuisce senza dubbio, ed efficace-
mente, la classica rappresentazione, da noi pure citata, dei
mali di Costantinopoli disertata dai Turchi. Per quanto un
po' oziosa rispetto al tema principale, per quanto un poco ret-
torica, la descrizione dell'antica, gloriosa città caduta non può
non commuovere il lettore, non dimentico che la catastrofe la-
mentata era per il poeta un'impressione reale e recente. Dopo.
per molto tempo, le querimonie letterarie sulla profanazione
del sepolcro di Cristo diventeranno il tema obbligato della li-
rica e dell'epica d'Occidente, e specialmente d'Italia: nel
Basini è ancora ispirazione sentita.
Bella, abbiamo detto, è la forma. La lingua è pura; pregio
non mediocre, chi pensi che il Basini scriveva quando appena
appena si era toccata la metà del secolo decimoquinto, ed i
criteri intorno all'imitazione dei migliori classici ancora oscil-
lavano. La frase, propria ed efficace; il verso, corretto, non
di rado sonoro e scorrevole. Non mancano inoltre delle ri-
cercatezze specialmente nell'abuso di eleganze sintattiche e
BASINIO DA PARMA 103
metriche, e nell'insistenza sopra certe frasi peregrine. Non
a caso, per esempio, il secondo verso della protasi è, con leg-
geri ritocchi, ripetuto nelle chiuse rispettive dei due libri :
Musa, cane, atque vias semper volventis Olympi. —
Nexa tenet cursu semper volventis Olympi. —
Tempia cano atque vias semper volventis Olympi.
Conchiudendo, qual sarà il giudizio complessivo intorno al-
l' opera del Basini ? Questo : — che essa, scritta con l' intento
d'imitare i Fenomeni aratei, non riusci un libro scientifica-
mente notevole, per mancanza di preparazione; non riusci un
poemetto esteticamente armonico, per mancanza di proporzioni
e di vivacità nelle rappresentazioni mitologiche; non riusci
un'opera di pensiero filosofico o morale, per assenza d'un con-
cetto animatore ; ma riusci un grazioso tentativo dal punto di
vista storico e letterario, sia per l'eleganza umanistica del det-
tato, sia per gli accenni sinceri e vivi all'ambiente ove nacque.
A guisa di appendice, posso aggiungere per ultimo qual-
cosa intorno alla fortuna degli Astronomici basiniani ; fortuna
purtroppo . . . sfortunata, giacché si protende nel tempo per
pochi anni, e per estensione non esce da una stretta cerchia
di ammiratori eruditi.
Appena composto il poemetto, l'autore lo mandò agli amici,
e riscosse lodi e congratulazioni. l Ma, come per tutte le altre
opere sue, anche per questa non acquistò gloria che nell' am-
bito della corte malatestiana, o poco più in là. Poi egli, po-
1 II poema fu mandato a un Paolo da Sassoferrato e quindi al riminese
Roberto Orsi amicissimo del Basini, come si ricava dalla lettera che il no-
stro poeta scrisse all'Orsi medesimo, il 27 ottobre 1456 (?), intorno alla que-
stione della lingua greca ed alle sue polemiche col Seneca e col Porcellio;
lettera, che finisce cosi : < Vale et Astronomica mea a me nuper edita, quae
noster l'aulus Saxoferratensis habet, perlege; a te enim quid de eo opere
videatur scire percupio »; in Anecdota litteraria, Roinae, 1778, II, p. 800.
104 CAPITOLO PRIMO
chi anni dopo, mori; ed il suo nome e la fama del poemetto
astronomico rimasero, si può dire, soltanto nell'epitaffio in
San Francesco di Rimini :
Parma mihi patria est, sunt sidera Carmen et arma. l
Il Bonincontri e il Pontano, che dopo il Basini tennero il
campo nella poesia astronomica, o non conobbero o finsero
d'ignorare il loro predecessore; e tanto meno badarono a lui
i profani dell' astronomia. Solo nel 1507 Luca Gaurico, salendo
la cattedra di astrologia in Ferrara e pronunciando un discorso
introduttivo sugl'inventori dell'arte di cui egli era maestro
famoso, fece menzione, fra coloro « qui de rebus coelestibus
heroico Carmine plerosque edidere libellos >, di Basinio da
Parma.2 Ma l'accenno del Gaurico è troppo erudito e troppo
singolarmente studiato per lasciarci credere che a quei tempi
la fama del Nostro non si fosse già spenta da un pezzo e
per sempre.
1 I. Affò, op. cit., p. 22.
2 De astronomiae seu astrologiae inventoribus, utilitate, fructu et lau-
dibus oratio etc. in L. (Jaurici Opera, Baaileae, 1">75, I, 1. Vedi pure F. Ga-
botto, Alcuni appunti per la cronologia della vita dell'astrologo L. Gau-
rico, in Archivio stor. napoletano, XVII, 2; e E. Pékcopo, L'umanista Pon-
ponio Gaurico e L. Gaurico ultimo degli astrologi, Napoli, !S9r», p. Iti.
CAPITOLO SECONDO
Lorenzo lionincontri da San Miniato.
I. Manilio presso gli astrologi della seconda metà del Quattrocento : condizioni
dell' astrologia nella società di questo tempo. — II. Notizie intorno alla vita del-
l'astrologo Lorenzo Bonincontri. — III. Le opere minori del Boniucoutri. — IV. Il
suo commento al poema maniliano.
I.
L'opera del Basini, non astrologica, poco scientifica, ret-
torica imitazione aratea, rimase a mezzo il Quattrocento un
esempio isolato: nessun legame la univa alle enciclopedie
dell'ultimo Medio evo, che immediatamente la precedettero,
nessun seguito essa potè avere nella poesia celeste successiva.
Kestò come una voce inascoltata, fuori della vita varia ed in-
tensa, per quanto tumultuaria e senza indirizzo preciso, che le
ferveva dintorno per opera dei cultori della scienza astrologica
e del popolo basso ed alto, che a costoro dava favore e da co-
storo chiedeva responsi. La vita e lo svolgimento di cotesta
scienza non poteva infatti soffrire una interruzione repentina,
quale sarebbe stata ove il poema di Basinio avesse avuto imi-
tatori, determinando un nuovo indirizzo. L'età media, anche
quando i primi frutti dell'Umanesimo cominciavano a matu-
rare nel campo dell'arte, sopravviveva nell'insegnamento dot-
trinale, e solo lentamente e per gradi si veniva rinnovando.
I residui della scienza enciclopedica avevano forte vitalità,
anche perché erano, iu fondo, d'origine anteriore all'enciclo-
pedismo, cioè di fonte classica; ed il tipo del dotto medio-
evale, con quella cert' aria di mistero che lo avvolgeva, con-
106 CAPITOLO SECONDO
tinuava a sussistere, pur imparando nuovi fatti e nuove idee
sui libri antichi ridati alla luce.
Ora presso codesto ceto di eruditi, presso codesti continua-
tori delle scuole di Pietro d'Abano e di Cecco d'Ascoli, entra-
tovi da principio come un vecchio testo degno di studio, il
poema di Manilio diventò in breve volger di tempo il libro
per eccellenza, il manuale insuperato d'astrologia. Scoperto,
come ho detto altrove, sul principio del secolo decimoquinto,
Manilio stentò dapprima ad essere compreso a dovere: i nostri
astrologi, si vede, ancor scarsamente sapevano approfittare
delle indagini degli umanisti; e gli umanisti non riuscivano,
per certe opere, ad entrare abbastanza profondamente nello
spirito e nella dottrina degli autori dissepolti. Ma una cin-
quantina d'anni dopo, quando già avea trovato editori ed un
degno studioso, mostrandosi in una nuova redazione più com-
pleta e corretta, ebbe l'onore d'essere letto da una cattedra
universitaria, e d'uscire nuovamente per le stampe con un
largo commento : di più, ispirò due poemi, le due migliori
produzioni umanistiche della poesia del cielo. Quando questo
fatto avveniva, gli astrologi, gli eredi della scienza medio-
evale, ecco, si erano trasformati, a grado a grado, in umanisti,
ed il Rinascimento aveva trionfato non con la sostituzione
violenta di criteri, di dottrine, ma con la fusione, con l'infil-
trazione progressiva. 0, per meglio esprimerci, fra gli astro-
logi, perché un rinnovamento potesse effettuarsi, s' era pre-
parata una scelta, s'era operata un'elevazione: alcuni, i
migliori, eran riusciti — come ricordo d'aver già lasciato in-
tendere in altro luogo —ad intrecciare i problemi della loro
dottrina con le questioni più larghe del pensiero filosofico
dominante. Alla pratica grossolana dell'arte, al fanatismo ere-
ticale di certe teorie, secondo lo spirito dei nuovi tempi, era
sottentrata la speculazione serena, alquanto paganeggiante,
intorno all'universo ed alla morale.
Chi erano adunque codesti astrologi, che davano in tal modo
una mano al vecchio mondo dell'età di mezzo, e l'altra pro-
tendevano verso i tempi moderni l In quale ambiente scienti
LORENZO BONINCONTRI 107
fico crebbe e si temprò il lettore, commentatore ed imitator di
Manilio, Lorenzo Bonincontri da San Miniato ?
L'infinita varietà che il tipo dell'astrologo ci presenta in
questo tempo, cioè nella seconda metà del secolo, comprende
figure tanto diverse, da richiedere, per offrirne una immagine
chiara, una mano assai delicata. Ed il Bonincontri, per quanto
nel periodo maturo abbia cercato di sollevarsi al disopra de'
suoi colleghi nel gruppo più eletto per profondità di studi e
di pensiero, durante il periodo preparatorio appartenne anche
a categorie meno nobili ed alte. Sarà quindi opportuno, per
abbozzare un quadro dell'ambiente astrologico del Rinasci-
mento, tracciare diversi ritratti, in ordine ascendente, dalla
più bassa figura intellettuale e morale fino alla più elevata,
dal volgare astrologo gabbatore al filosofo dell' astrologia.
Quanto e' è di vecchio e di medioevale, solo in questo modo
più evidente risalterà paragonato con gli elementi nuovi uma-
nistici, e la verità storica, che sempre ha più facce da rive-
lare, ci guadagnerà in evidenza.
Cominciando, come ho detto, dal basso, ecco in prima linea
il tipo del negromante, riconoscibile a certi suoi caratteri e a
certa sua abitudine d'intromettersi nelle faccende del prossimo,
per ritrarne guadagno. Di esso è bellissimo esempio, anzi mo-
dello, mastro Jachelino, l'imbroglione che dà il nome ad una
delle migliori commedie dell'Ariosto; né importa che i versi,
in cui viene dipinto, siano del principio del Cinquecento; il
tipo non 8' era mutato in cosi breve tempo.
Per certo, questa è pur gran confidenzia
Che mastro Jachelino ha in se medesimo,
Che mal sapendo leggere e mal scrivere,
Faccia professione di filosofo,
D' alchimista, di medico, di astrologo,
Di mago e di scongiurator di spiriti :
E sa di queste e dell'altre scienzie,
Che sa l'asino e '1 bue di sonar gli organi ;
Benché si faccia nominar lo Astrologo
Per eccellenza, si come Virgilio
Il Poeta e Aristotile il Filosofo.
108 CAPITOLO SECONDO
Ma con uà viso più che marmo immobile,
Ciance, menzogne, e non con altra industria,
Aggira ed avviluppa il capo agli uomini. l
Quanto a condizione sociale, mastro Jachelino, che con tanta
disinvoltura si appropria tutti i mestieri e tutte le divise,
Ed è, per dire il ver, giudeo d' origine,
Di quei che fur cacciati di Castilia, "-'
è pure il tipo più adatto. Il negromante può presentarsi infatti
con un' infarinatura di scienza matematica, ed anche avere
qualche buona conoscenza di meccanica, come avvenne a Bar-
tolomeo Manfredi, l'astrologo favorito del marchese Lodovico
Gonzaga, che costrusse l'orologio della torre nella piazza prin-
cipale di Mantova.3 Il numero degli astrologi medici è pure
infinito, si da potersi affermare che la professione di medico por-
tava con sé di necessità quella di astrologo ; e vediamo che
in loro favore la Chiesa, nelle sue condanne contro la scienza
divinatoria, fece fino a tempi abbastanza recenti una speciale
eccezione.4 Alcuni negromanti si compiacevano di dare alla
propria vita ed alle proprie parole una vernice di pietà reli-
giosa, quasi ad accrescere la meraviglia ed il mistero delle
loro soperchierie ; come quel Giovanni di Catany da Mantova,
il quale ne' suoi responsi al Gonzaga tirava in ballo le alle-
gorie cristiane di Virgilio e si sforzava di confondere le opere
di Enoch da Ascoli con dei presunti libri di Enoch, il patriarca
1 L. Akiosto, Il Negromante, atto 2°, scena 1», ed. Polidori, Firenze,
1857, II, p. 370. Cfr. pure le osservazioni ili <». Marfillero, II € Negromante»
di L. Ariosto, in Giorn. stor. della lett. it., xxxm, p. 307.
2 L. Ariosto, op. loc. cit.
3 F. Oabotto, Bartolomeo Manfredi e l'astrologia alla corte di Man-
tova, in La letteratura, Torino, 1891, p. 4 dell'estratto.
4 Scriveva Vittore Pisano in calce ad un' edizione di Arato e Sereno,
usciti a Venezia nel 1488. come giustificazione dell'avvicinamento dei due
autori, l'uno astronomo e l'altro medico, queste parole: «quantum un ili
cinac opituletur astrologia non Imperita! quilibet astrologus evidentissimi*,
sine controversia ostendciit rationibus >. Assai più tardi, in una India del
1686 contro i cultori dell'astrologia, Sisto V escludeva dalla penoeutOM
i medici elie usassero pratiche astrologiche; v. P. Kajna, Intorno al cosi-
detto « Dialogus Creaturarum », in Giornale storico, II, p. 1)6, nota. Vedi
pure notevoli osservazioni su questo punto in <;. Bornio, Il « De principiis
astrologiae » di Cecco d'Ascoli ecc., in Giornale storico, Suppl. 6°, p. 40.
LORENZO BONINCONTRI 109
dell'antico Testamento. x Altri poi, spingendosi anche più avanti,
non si vergognavano di accoppiare la professione dell'indo-
vino con l'abito religioso; onde vediamo fra i giudizi astrolo-
gici, che nel 1470 furono raccolti da Galeazzo Maria Sforza a
Milano, una predizione d' un Marco Paolo veneto servita, e nel
1473 un pronostico di Giovanni Nanni da Viterbo domenicano.
Nella stessa collezione e dello stesso anno, e' è pure un giu-
dizio di Orio da Villanova di Modena, giureconsulto, dal quale
si apprende come anche Papiniano potesse non sdegnare la
compagnia di Firmico Materno.2
Senza una condizione civile, il negromante, quando era tale
nel senso basso della parola, era anche privo di qualsiasi seria
coltura. Onde non dobbiamo stupirci se non lo vediamo mu-
tarsi attraverso i secoli : quale egli si mostrava ai tempi del-
l'impero romano, tale fu nel Medio evo, e continuò ad essere
nel Rinascimento, per un' assoluta mancanza di perfettibilità.
Perfettibile infatti è solo colui, che è cosciente delle proprie
deficienze ed ha fede operosa nel proprio ideale e nei mezzi
prescelti : il che sarebbe assurdo attribuire al negromante. Al
quale la sua stessa ignoranza bene spesso non concedeva
della scienza astronomica, cioè di quel sapere che più gli
sarebbe stato necessario, un use sufficientemente sicuro. Al-
l' osservazione diretta egli preferisce le tavole e i manuali,
generalmente tradotti dall'arabo, composti appositamente in
antico, oppur di recente, da astrologi ben più sapienti di lui.
E ad altri repertori e formulari ricorre financo per la parte
astrologica, ricavandone le ricette beli' e pronte, quando non
si permetta di rimutarle o deformarle a capriccio. Figuria-
moci poi se egli si cura di mettere la sua pratica in rela-
zione con un principio morale ! Della provvidenza divina, del
fato, della natura degl'influssi, discorre a sproposito e con-
1 F. Gabotto, Bart. Manfredi cit, p. 21 e 28. Intorno a quell'altra rac-
colta astrologica, de' primi tempi dell'era cristiana, che s'intitola II libro
di Enoch, e che potrebbe aver suggerita al Catany l'attribuzione voluta-
limate erronea, v. A. Bouchk Leclercq, L'astrologie grecque cit., p. 606, n. 1.
* F. Gabotto, Nuove ricerche e documenti siili' astrologia alla corte de-
gli Estensi e degli Sforza, in La letteratura, Torino, 1891, p. 19 dell'estratto.
HO CAPITOLO SECONDO
traddicendo8Ì. , L' arte sua è un mestiere : egli ne possiede,
come si suol dire, i ferri, e s'ingegna d'usarli senza darsene
ragione.
Ecco perché il negromante contamina l'astrologia con pra-
tiche magiche e con esperienze da alchimista, superando in-
consciamente quei limiti, che secondo gli astrologi colti e
teorici dovevano separare la scienza dalla superstizione. L'abi-
lità, attribuita già a Pietro d'Abano, di riuscire sotto oppor-
tune congiunzioni planetarie a chiudere in un' ampolla uno o
più diavoli, ad evocare anime di morti o spiriti folletti, è una
delle più comuni prerogative di lui.2 Cosi è suo costume, nei
casi specialmente di malattie, d'aspettare il punto astrologi-
camente adatto alla preparazione di certi intrugli farmaceu-
tici necessari alla cura. Bartolomeo Manfredi, l'astrologo già
ricordato della corte di Mantova, indicava, secondo il giudizio
delle stelle, l'ora acconcia al marchese Ludovico per indossare
un certo amuleto in forma di « lionzino e grana d'oro », e in-
dicava alla moglie del Gonzaga, Barbara di Brandeburgo, il
punto buono da preparare l'olio di scorpione « contra venni
et contra dolore de membri ». 3
1 Difficilmente un astrologo coerente e conoscitore della sua scienza
avrebbe scritto le parole seguenti, nelle quali la volontà eterna di Pio, tra-
smessa e manifestata dalla figura celeste, e ritenuta passibili di mutazioni'
per un ulteriore ed arbitrario cenno della divinità : « EI juditio è, assai ter-
ribile, come vedrà V. S. ; atamen sununus rex, cuius hahcnis tota mundi
machina <ruhcrnatur, haec omnia mutare, variare et ut suae volntitati pla-
cet disponere potest, qui in omnibus laudatus sit et henedictus ». Lettera
di Pietro Bono Avogario al duca di Ferrara, febbr. 1479, presso F. Gabotto,
Nuove ricerche, p. 25.
2 A. Grak, Il Diavolo cit., p. 259.
3 F. Gabotto, Bart. Manfredi cit., p. 4 e 16. Un pò1 di commento ■ que-
sti accenni forse non ò inutile. Astrologie-unente il segno zodiacali del |
presiede, fra le membra del corpo umano, ai lianelii e al dorso, onde dico
Manilio, II, 460: « laterum regnimi scapulacque Leonis ». Si vede dunque
che il marchese Lodovico Gonzaga, a cui si faceva indossare un' immagine
d'oro in t'orina di leoncino, soffriva di dolori alla vita; come la moglie di
lui avea bisogno, per il mal di ventre, d'olio di scorpione, perché la co-
stellazione dello Scorpione, secondo che dice Manilio, II, 4G2, < inguine j:aii-
det ». Tanto l'amuleto, quanto il medicamento, avean poi bisogno d'essere
adulterati in buon punto astrologi co, perché l'azione loro benefica non
venisse frustrata da interferenze maligne di pianeti o d'altre costellazioni !
LORENZO BONINCONTRI 111
Se tali adunque erano le basi, sulle quali edificava l'astro-
logo, non ci sarebbe da far le meraviglie che il primo a du-
bitare della verità dei responsi fosse l' autore stesso. Egli do-
veva infatti esser più d'ogni altro persuaso della distanza
enorme, che separava la sua manchevole e volgare dottrina
da quella scienza, in cui egli fermamente credeva. Tuttavia
i fatti ci inducono a ritenere, da un altro punto di vista, che
pur fra gli astrologi ve ne fossero, e non pochi, di convinti e
fiduciosi. È cosa nota invero, che col ripetere abitualmente
una bugia si finisce per credervi come a una verità. Cosi e
per l'abitudine e per la tradizione, cioè per l'autorità dei fa-
mosi astrologi dei tempi anteriori, il povero e indotto negro-
mante credeva d' essere, se non per sapienza, certo per ispi-
razione diretta del cielo, veridico indovino. 0 non si ripeteva
allora che la facoltà di leggere nei decreti celesti era essa
pure dovuta a un influsso speciale ? Aveva detto Manilio :
Hoc quoque fatorum est, legem perdiscere fati ; '
e ben pochi doveano essere logicamente gli astrologi, che non
si ritenessero nati per l'appunto con un simile oroscopo.2 Onde
figuriamoci quanta era la loro superbia ! A smorzare la quale
il popolo, sempre dotato di arguto buon senso, aveva inven-
tato, forse da secoli, e andava ripetendo, una sua novellina,
d' un astrologo che volea suggerire a un villano il pronostico
atmosferico per il giorno seguente. L' astrologo aveva annun-
ziato non so se pioggia o sereno, quand' ecco il villano rivol-
gersi attentamente all' asino suo, il quale, con certi segni al
padrone ben noti, annunziava tutto l'opposto. L'esito, dice la
novella, dimostrò che l'astrologo, per quanto ispirato e veg-
gente, era stato vinto dal paziente rivale ! 3
1 Astron. n, v. 149.
2 Scriveva Filippo Beroaldo in una sua orazione tenuta a Milano, e pub-
blicata a Bologna nel 1491, a proposito della scienza astrologica: « haec
efficit ut homines parum a diis distare videantur ».
3 Benvenuto da Imola, Comentum, II, p. 90, attribuisce lo smacco a Guido
Bonatti; ma la novella, e prima e dopo questo tempo, fu raccontata da molti
altri indovini. A proposito della satira dell'astrologo da strapazzo, richia-
merò alla memoria del lettore il passo, già citato neìVlntrod., d'una lettera
del Petrarca al Boccaccio; ed aggiungerò che presso i dotti dell'astrologia,
112 CAPITOLO SECONDO
Illuso o gabbatore il negromante, una volta datosi al me-
stiere mirava, a trarne i guadagni più lauti possibili,1 e accor-
reva perciò là dove maggiore era la probabilità di ottenerli.
Le corti furono il suo campo preferito : meno i governi repub-
blicani, presso i quali l'ufficio suo, benché retribuito con rego-
lare stipendio, era tuttavia ristretto agli usi più esterni del
cerimoniale — come, per ricordarne uno, presso la Repubblica
fiorentina, la consegna del bastone al capitano assoldato in
tempo di guerra.2 Ma presso i principi la sua importanza di-
ventava grandissima, prima di tutto perché l'autorità della
persona del principe era maggiore, e più duraturo il governo;
in secondo luogo perebé tutta una schiera di parenti, di corti-
giani, di parassiti, forniva mille occasioni a un più largo eser-
cizio dell' arte.
Vincere le diffidenze del capo, rendergli necessari i propri
servigi: ecco il primo intento dell'astrologo. Al raggiungi-
mento del quale si capisce come la sola scienza divinatoria
non bastasse, ma occorressero cento altri mezzi ; primo fra tutti
la facoltà naturale in certi temperamenti di soggiogare colla
potenza della volontà le volontà più deboli, una specie di fasci
nazione, d'ipnotismo, non raro anche in altri tempi e sotto altre
forme. Ora presso alcuni signori il guadagnarne la fiducia, il
farsi desiderare, pregare a volte con insistenza, non era cosa
molto ardua: i documenti ci mostrano quanto superstiziosi siano
come vedremo bene a suo tempo, il volpare sfruttatore godeva ti' un'assai
cattiva fama, come quegli che grandemente screditava, con l'abuso dell'aro •.
la scienza.
1 I guadagni erano molto variabili, talora meschini, talora molto co-
spicui, come si apprende da una lettera dell'astrologo Antonio da Tamara,
diretta, nel 1452, al duca Francesco Sforza, ove si legge: e et de qui
el mio dovere acquistare lionorata possessione, eh' io me possa riposare »,
in F. Gauotto, Nuore ri cerctie ci t., § :i. Men lauto premio invece prometti -va
al Manfredi Lodovico Gonzaga: « nude nu.i te advisiamo che se tu te dimen-
tichi di astrologia, nuj se diinenticliaremo el mandarle de le quaglie ». b '-
tera del 5 ottobre 1462, in F. Qabotto, Bartolomeo Manfredi cit., p. 9. Al-
tri documenti su queste ricompense v. in <;. Bertoni, La bibl. estense cit.,
p. 192.
' K. Casanova, L'Astrologia e la consegna del bastone al capitano
generale della repubbl. fiorentina, in Arch. storico italiano, S. V, ni,
p. Ili
LORENZO BONINOONTRI 113
stati Filippo Maria Visconti, Ludovico Gonzaga, e più d'ogni
altro Ludovico il Moro.1 Altri invece, pure nutrendo nell'animo
la fede nella dottrina astrologica, difficilmente ^8i inducevano a
credere alle singolari predizioni di questo o quell'indovino. Ga-
leazzo Maria Sforza non s' accontentava dei giudizi de' suoi due
astrologi Francesco da Buti e Raffaele da Vimercato, ma sullo
stesso avvenimento faceva interrogare Pietro Bono Àvogario
ed altri, fuor di Milano;2 egli stabiliva dei confronti, per mezzo
dei quali credeva di potersi assicurare della maggiore o mi-
nor valentia di ciascuno di essi! Nasceva cosi una gara per
la conquista della fiducia principesca ; gara, nella quale en-
travano in azione tutti gì' intrighi e tutti gli accorgimenti di
cui eran capaci i cortigiani di quel tempo. L' apparizione d'una
cometa, il terrore destato da un terremoto, erano occasioni da
non lasciarsi sfuggire, nelle quali gli astrologi più reputati po-
tevan cadere in disgrazia, i più oscuri trovare la loro fortuna.
Ed una malattia che gettasse il signore nell'abbattimento e su-
scitasse intorno al suo letto l'inquietudine della famiglia e della
corte, era un caso di tanto più propizio, di quanto delle minacce
politiche son più forti il dolore fisico e la paura della morte.
Ma l'impresa più ardua di tutte, nella quale si spuntava
ogni più sottile astuzia, era per il negromante il mantener re-
lazioni amichevoli con quei principi, rari a dir vero, che poco
credevano all'arte degl'indizi, e meno ancora all'abilità di
chi la esercitava;3 oppure, caso assai più frequente, con quei
signori stessi, che, pur credendo nei momenti di pericolo o di
paura, si mostravano indifferenti e sprezzatori nella prospera
fortuna. Con questi principi non e' era altro scampo, se non
quello di scendere a patti, mettendo timidamente da parte ogni
pretesa d' infallibilità e di mistero. 4 E siccome la preoccupa-
1 F. Gai*otto, L'astrologia nel Quattrocento in rapporto colla civiltà,
in Jiivista di filosofìa scientifica, Vili, p. 377 sgg.
* F. Gabotto, Nuove ricerche cit., p. 18.
i u Gio. Maria de Albinis scriveva il 23 nov. 1496 ad Ercole d' Este :
€ et so che la Ex.1'" Vostra non mi crede ; voglio dare alla Signoria Vostra
experientia vera et comparatione, ecc. > in F. Gabotto, Nuove ricerche, § 2.
* In una lettera di Antonio da Cainara, del 15 marzo 1452, indirizzata
a Francesco Sforza, si legge il passo seguente : < molti astrologhi descri-
SoLDATl 8
114 CAPITOLO SECONDO
zione principale del signore era d'essere creduto potente dai
suoi rivali e nemici, cosi il primo patto imposto all'astrologo
nel compilare Yoroscopo o giudizio, che annualmente veniva
pubblicato, era di ripetere ad alta voce l'affermazione della
potenza del principe. Scriveva Ludovico Gonzaga ad Antonio
da Camara : « Heri sera ricevessimo la littera vostra insieme
cum el judicio vostro di questo anno, el quale e' è stato gra-
tissimo, et dicono cussi che vui seti uno valentissimo homo,
perché vui diceti bene di facti nostri. E se per lo havenire
direti bene de nuj, similiter nuj diremo bene di facti vostri ». l
E 1' obbediente astrologo stendeva il suo giudizio quanto me-
glio sapeva favorevole, e lo sottoponeva, prima di mandarlo
intorno, all' approvazione dell' interessato padrone : « Io al pre-
sente ho compito el juditio de lo anno proximo che vene, et
perché tempo è de publicarlo, corno è usanza, prima lo mando
a V. S.ia azò che quella prima el veda che niuno altro, ut ino-
ris est».2 Alcune volte anzi l'indovino rinnegava l'arte pro-
pria a tal punto, da accettare e far suo un giudizio, scritto
dal principe stesso con intendimenti politici.3 Il difficile però
in questo genere di contratti fra signore e servitore era, che
mentre quest' ultimo accontentava un principe, ne offendeva
un altro: onde minacce e persecuzioni, quando l'oro non ba-
stava a comprare la lode o almeno il silenzio. ' Giunte le cose
veno in publico li fati di Signori, et chi per amore et chi per pagura de' suoi
superiori taseno o dicono cose assay diverse, ecc. » in P. Gabotto, Nuove
ricerche, § 8.
1 F. Gabotto, Bari. Manfredi, § 1.
2 Pietro Bono Avogario al duca di Ferrara, nel febbraio del 1479, in
F. Gabotto, Nuove ricerclie, p. 26.
3 F. Gabotto, Bart. Manfredi, p. 12.
* Ecco in qual modo Pietro Bono Avogario veniva avvertito dello insi-
die mortali che la vendetta del duca di Milano gli tendeva, con l'opera di
alcuni sicari o bravi, il 16 luglio 1474: « Voy astrologati et fati tadtalo
d'altri e non sapeti astrologare né fare iudicio de portovi! vostri immi-
nente, perché il Duca di Milano ha mandato li per farve tagliare a pezi e
tutta via ne manda de li altri per fare questo, che, non potendolo uno,
venghi facto all'altro; e azò credati ve dicha el vero, se fate ponere mente
ad le Bollete et ad le Porte, troveresti che tra li altri ve capi tara uno Zorzo
Albanese di piccola statura et homo scuro in faza, et l'altro Iohanno da
Lucoli, grande, rubicondo, cum li capelli longhi di colore castano, et va
LORENZO BONINCONTRI 116
;i tal punto, ognun vede quanto c'entrasse l'arte astrologica:
ne potevano ben ridere principi e negromanti insieme, come
gli aruspici di ciceroniana memoria.1
Questo dunque era il tipo dell'astrologo volgare. Di gran
lunga più nobile era l'astrologo nutrito di scienza, che avva-
lorava le sue dottrine fallaci di una solida coltura matema-
tica : in altri termini, eran pure astrologi, a que' tempi, quasi
tutti gli astronomi. Tali, Giorgio Purbach e il suo discepolo
Giovanni Muller detto da Monteregio, il Toscanelli, che servi
anche per alcuni anni ufficialmente la Repubblica fiorentina,
e Domenico Novara, professore a Bologna e maestro di Coper-
nico ;2 astrologi Luca Gaurico e Paolo di Middelburg, ai quali
Leon X affidò il compito della riforma del calendario giuliano.3
Da qual punto di vista essi considerassero il loro doppio carat-
tere, e quale stima facessero rispettivamente dell'una e dell'al-
uno poco zoppo. State advertente, che non ve parlo senza casone », in F. Ga-
botto, L'astrologia ecc., p. 407.
1 A questi servizi che l'astrologo di corte prestava al suo signore nel
campo della politica, è forse bene aggiungere il ricordo di altri, più gen-
tili, nel campo dell' arte. Nella decorazione dei palazzi, ad esempio, non
di rado i temi pittorici venivano suggeriti dal negromante, o per semplice
sfoggio di scienza, o per buon augurio rispetto al nuovo edifizio. Son note
le pareti d' una sala del castello di Schifanoia dipinte nel 1469 da Francesco
del Cossa, in onore del duca Borso d' Este. Ivi, come può osservare ogni
visitatore, son le figure dei mesi col passaggio del Sole nei rispettivi segni
zodiacali, fiancheggiati da figure allegoriche rappresentanti l'influsso di cia-
scun passaggio (v. G. Agnelli, Ferrara e Pomposa, Bergamo, 1902, p. 42).
Notissima pure è la decorazione della volta del Cambio nel palazzo comu-
nale di Perugia, dove, nell'anno 1500, Pietro Perugino disegnava i sette
pianeti nelle personificazioni mitologiche, sui loro carri celesti portanti nelle
ruote i segni dello Zodiaco domicili di ciascun pianeta. Né meno celebre
è un soffitto della Farnesina in Roma, opera di Baldassarre Peruzzi, del 1510,
costellato di segni zodiacali. Ma non voglio abusare di questa facile erudi-
zione, e lascio ai lettori il ricordare infiniti altri esempì di affreschi, bas-
sorilievi, miniature di codici (una, assai bella, e a p. 418 del Laurenziano
XI, 58, contenente il poema di Matteo Palmieri), incisioni di stampe, ecc.;
e ricordo qui nuovamente l'opera di (>. Thiele, Antike Ilimmelsbilder, Ber-
lin, 1898, dove a p. 97 sono segnate le linee principali della tradizione clas-
sica delle figure planetarie e zodiacali, per molto tempo, fino ai tempi mo-
derni, perpetuata.
* M. Dblambre, Histoire de l'astronomie du moyen dge, Paris, 1819,
p. 289 ; e G. Libri, op. cit, III, p. 98.
3 D. Marzi, La questione della riforma del calendario, cit., p. 38.
116 CAPITOLO SECONDO
tra parte della loro scienza, la matematica e la giudiziaria, si
apprende da un passo assai esplicito del ricordato vescovo di
Fossombrone : « Est ergo scientia coelestium corporum ceteris,
post theologiam, praeferenda scientiis; quod tamen de parte thco-
ricali et speculativa intelligi volo, quae geometriae subalterna-
tur, quia ipsa habet demonstrationes certissimas. Iudiciaria raro
potius divina quam humana dici debet ; nam qui illam habent
divini vocantur, licet multis labyrinthis, ambagibus et anfracti-
bus sit involuta et intricata ; quia non babet demonstrationes et
opiniones dumtaxat. Difficile namque est de singulis iudicare, et
humanum superat intellectum ». ' In che termini stia la que-
stione delle predizioni singolari, vedremo a suo luogo: notiamo
intanto, in generale, che codesti astrologi rigidi cultori della
scienza astronomica, non ricusavano di ammettere la verità
degl'influssi, ma restringevano la possibilità di interpretarli
ad un numero cosi esiguo di eletti, da rendere quasi assurda
la pretesa di saperli scoprire. Né dal canto loro si stancavano
di sconsigliare i temerari dallo scriver pronostici ; come ci fa
sapere, in una lettera indirizzata al duca di Borgogna, l'astro-
logo Koberto Regiomontano, il quale dichiarava di acconsentire
di mala voglia a comporre un giudizio politico : « però che
da questo me retraeva il cianzamento de li nomini vulgari e
la riverenzia che io porto al mio morto ciano Joanne de Mon-
teregio, il quale spesse fiate me admoniva che io me abstc-
nesse da questo iudicare come da cosa falace e che facilmente
inganasse il indicante ».2 Ben si comprende come uomini cosi
fatti volgessero tutto il loro animo allo studio della prima
parte della loro scienza, vale a dire alla parte matematica ;
onde risultarono i progressi dell'osservazione, la novità delle
ipotesi che condussero al sistema eliocentrico, e l'ardire dello
applicazioni pratiche, che portarono alla scoperta del Nuovo
Mondo. Quanto alla seconda parte, essi dapprima la trascu-
rarono, e dopo un po' di tempo finirono col dimenticarla af-
fatto, senza sforzo di confutazioni inutili, lasciandola ai me-
tafisici. Né di proposito deliberato, cioè per odio contro di essa,
1 Presso D. Marzi, op. cit., p. 60.
- F. Uahotto, Nuore ricerche, § 'j.
LORENZO BONINCONTRI 117
a cui teoricamente non negavano fede, le diedero il colpo mor-
tale colla scoperta copernicana : questo fu un fatto indipen-
dente dalle polemiche prò e contro 1' astrologia.
Non sempre però gli scienziati di cotesto tempo si tennero,
come si suol dire, in carattere : molti derogando alla fede
puramente astratta negl'influssi, scesero, talvolta anche vo-
lentieri, alla pratica. Lo stesso Paolo di Middelburg, astronomo
e sacerdote, dettò un infinito numero di giudizi, l e Luca Gau-
rico meritò il nome di ultimo degli astrologi.2 Nel conflitto tra
la ragione e la tradizione, quest' ultima trionfava, come pur-
troppo accade, spesso, e non di rado dietro alle spalle del ma-
tematico, per invito dei grandi o del popolo, sporgeva il capo
il negromante.
Terzo tipo di astrologo, il solo forse degno di questo nome
nel suo senso più nobile, è quello che noi potremo chiamare
il filosofo dell'astrologia. Per lui la pratica divinatoria è una
semplice applicazione della scienza, alla quale dedica tutto se
stesso, e l'astronomia non è che il sussidio de' calcoli neces-
sari allo scoprimento delle eterne leggi dell'influsso. Primo
suo ufficio è di conservare e tramandare la dottrina, di cui
è sacro depositario ; ond' egli non solo studia il cielo e tien
conto delle osservazioni, ma coordina, corregge, interpreta i
testi antichi, e scrive quei manuali, che poi distribuisce fra
coloro che professano l'arte. Di più, nel campo metafisico e
teologico, medita sul problema morale dell' astrologia, e sente
il dovere di rispondere pubblicamente a quegli attacchi, che
contro di lui muovono il dogma religioso, o la logica delle
scuole filosofiche, o lo scetticismo popolare. Egli è il vero rap-
1 D. Marzi, op. cit., p. 45.
2 K. Pércopo, L'umanista Pomponio Gaurico ecc., cit., p. 127 sgg. Non
è da confondersi con questi esempi l'ufficio di astrologo tenuto a Firenze
dal To8canelli ; come, molti anni dopo, non possiamo tacciare di fede astro -
logica Galileo, perché scriveva gli oroscopi d'obbligo per la corte medicea;
ci'r. A. Favaro, Galileo astrologo, nel periodico Mente e Cuore, Trieste, ISSI.
Esempi celebri di erudizione e talento matematico da una parte, e di fol-
lia astrologica dall'altra, sono i famosi Fazio e Girolamo Cardano, padre e
figlio, intorno ai quali tante storielle, in gran parte vere, si contano : v.
per Fazio E. Solmi, I^eonardo, Firenze, 1900, p. 82; per Girolamo G. Libri,
op. cit., Ili, p. 167.
118 CAPITOLO SECONDO
presentante dell' astrologia, sinceramente convinto della verità
del proprio sapere e della sua scienza, a coi per illusione fa-
tale, ma non volgare, dette la maggior somma d' ingegno, di
dottrina e di tempo; egli è l'unico che dall'ardore della sua
fede potè trarre un'ispirazione artistica, ed essere cosi non
solo il filosofo, ma anche il poeta dell'astrologia.
IL
Lorenzo di Giovanni Bonincontri è rimasto finora nella sto-
ria della scienza e della letteratura un personaggio di sec<»n-
d'ordine, non tanto per colpa della propria mediocrità, quanto
per l'incuria della critica. Ricordato per incidenza or a pro-
posito dell'Accademia ficiniana, a cui appartenne, ora ilei
Pontano, di cui fu amico, o messo in relazione con la corte di
Sisto IV, al quale dedicò un libretto di poesie religiose, nes-
suno fino ad oggi s'è data la briga di trarlo dalla penombra e
metterlo nella sua giusta luce. Eppure io non credo questa
un'opera oziosa, ma compito preciso di chi voglia comprendere
a fondo la vita e il pensiero italiano del Quattrocento. Che il
Bonincontri, benché molto non si levi al disopra del comune,
è una figura interessante e complessa che bisogna guardar di
fronte, per ben riconoscerla, e non per isoorcio. Di scorcio in-
vero non solo si deformerebbe, ma perderebbe in gran parte
quella vigoria dei tratti, specie nell'espressione morale, ohe è
intimamente connessa con l'armonia generale di tutte le lince
Nacque il Bonincontri a San Miniato in Toscana, da antica
famiglia, il 23 febbraio dell' anno 1410. ' Impugnò giovanis-
1 Questa data proposta dal Mazzuchblli, Scrittori d'Italia, II. p, r,
I». BMt, oltre che dalle ragioni addotte da A. Dell* Torbe, Storia dell'Ac-
cademia platonica di Firenze, Firenze, 1902, p. 681, n. B, è riconfermata
da una esplicita dichiarazione del Bonincontri stesso, il (piale, md suoi An-
naics (presso Muratori, Scriptores, xxi, 103 A), trattando dei fatti avvenuti
nel 1410, soggiunge: « Ko anno natus suin in Miniate oppido, patre Boiiin-
contrio et inatre Jacoba, die xxm februarii, sole occidente >. guanto poi alla
nobiltà della famiglia ed alla tradizione militare di essa, notevole è ciò che
LORENZO BONINCONTRI 119
simo le armi in una fazione intesa a rovesciare nella sua pa-
tria il dominio dei Fiorentini. S'era infatti raccolta nel 1432
una lega di cittadini sanminiatesi, sotto il comando d' un tal
Lorenzo di Francesco, e stabilito di togliere colla forza la pic-
cola terra alla signoria di Firenze, per darla al duca di Mi-
lano: la congiura doveva scoppiare nel settembre di detto
anno. Ma scoperta la trama, il 18 d'ottobre il Vicario della valle
inferiore dell'Arno, Giovanni di Lorenzo di Stufa, in nome
del Comune fiorentino, pronunciava la condanna dei ribelli. * Il
Bonincontri, poiché trovavasi in quei giorni nel territorio to-
scano l'imperatore Sigismondo, a cui tanti aiuti accorrevano
da tutte le parti d' Italia, ove passava, fuggi anch' egli al
campo imperiale, cominciando in questo modo la vita erra-
bonda dell' esule. 2 Presto però dovette lasciar l' imperatore,
che senza frutto, giunto sino a Roma nell' anno seguente, fece
tosto ritorno in Germania; e passò al servizio, come soldato
di ventura, di Francesco Sforza. Con lo Sforza percorse guer-
reggiando buona parte d' Italia : assistè alla morte di Tom-
maso Ellica, signore di Fabriano, perito in una congiura ; com-
batto e fu ferito gravemente al capo sotto Montefiascone, 3 e
l' autore stesso dice in altro luogo di suo padre ( Annales, in Scriptores
cit., xxi, 49 E): « Fuit in his Bonincontrius pater meus, praefectus unius
Pisanae triremis ».
1 G. Uzielli, Assoluzione di Lorenzo Bonincontri dalla condanna di
ribellione e sua abitazione in Firenze, in Archivio stor. italiano, 1899,
disp. 3», p. 92.
' Varie sono le attestazioni di questo primo rifugio dell' esule ; ma le
più certe ci sono fornite dal Bonincontri stesso, il quale in un suo notevo-
lissimo Commento ai propri poemi didattici, del quale discorrerò di pro-
posito fra breve, a e. 41 a, cosi si esprime: «domo et patria L ferme
annis propulsus et in exilium datus, Sigismundi Caesaris temporibus, eo
quod patriae raeae libertatem quaesieram, quae ea tempestate gravi Flo-
rentiuorum imperio regebatur »; ed a carte 182 b: « docet sui na-
talis exemplo qui patria libertatis amore, Sigismundi Caesaris temporibus,
extorris factus annis LV exulavit, omnibus bonis amissis ». Dice egli inoltre
nei suoi Annales (Muratori, loc. cit., 139 E): < Et ego in exilium datu sad
Sigisinundum confugi ; a quo adiutus, apud eurn fui ».
3 Sulle imprese militari del Nostro, al tempo del suo servizio nella banda
dello Sforza, ci danno notizie specialmente il Mazzuchelli, op. loc. cit., ed
A. Blessich, La geografia alla Corte aragonese di Napoli, in Napoli nobi-
lissima, a. 1897, p. 74, nota 1 '. Ne parla poi lo stesso Bonincontri nel cit.
120 CAPITOLO SECONDO
curato a Viterbo. Dopo, pare siasi condotto a Pisa, con inten-
zione di perfezionarsi negli studi ; credesi pure che verso il 1 150
accorresse a Roma, in occasione del Giubileo. 1 Certamente in
queir anno egli riparò, quasi in porto sicuro dopo tanto peregri-
nare, a Napoli, presso Alfonso d' Aragona, non spogliandosi
ancora, almeno nei primi tempi, dell'assisa militare. A Napoli
rimase fino al 1475.
In questo lungo periodo, che abbraccia buona parte del
regno del Magnanimo ed il principio di quello di Ferdinando,
e che nella vita del Bonincontri costituisce 1' epoca della mag-
giore importanza, pochi avvenimenti esterni riguardo al No-
stro si possono ricordare; che l'operosità sua parve restringerti
tutta agli studi ed all'arte. L'ambiente, assai men turbato
dalle guerre, cominciò a raddolcire le abitudini militaresche
del Miniatese, e la compagnia di umanisti coltissimi ed edu-
cati alle squisitezze della poesia, come il Panormita e il Pon-
tano, fini col modificarne profondamente lo spirito. Una tra-
sformazione si operò in lui, che rimase soldato, diremo cosi,
ufficialmente, forse con la carica di comandante d' una parte
delle milizie aragonesi,2 ma intimamente, soprattutto nei in<>
Commento, a e. 132 b, in questi termini : « alio in loco, in descriptione MM
vitae, in elegia ad Laurentium Medicem, dicit (sic) :
Vulnera saeva tuli, didici quae frigora possint
Extorrem patria sollicitare virimi.
Tria filini in capite vulnera accepi diversi» temporibus, dum militivi sub
Francisco Sforcia et Alphonso rege ».
1 Notizie date dal Mazzcchelm, op. loc. cit. , e ripetute da 9. Dinui,
Paolo del Pozzo Toscanelli iniziatore della scoperta d' America, Finn/c.
1892, p. 148 sgg., e La vita e i tempi di Paolo del Pozzo Toscanelli. Som,
1894, p. 530, nonché dal Blkssich, op. loc. cit.; ma che io non ebbi r>
sìone di riscontrare in attestazioni dirette.
* La notizia che fra il '50 e il '58, cioè sotto Alfonso I, il Bonineotitri
abbia prestato servizio nelle armi, l'abbiamo veduta in una citazione prece-
dente. Che egli abbia continuato a combattere a fianco di Ferdinando, eloè dopo
il 1458, pure apprendiamo dal seguente passo del Commento cit., e.
« Captat bciievolentiatn et actentionem ab in vietissimo omnium rege Fer-
dinando àragoaio Naapolitaaoram rejre, qnem tot beli is rrxatmn uuiHjuain
animo concidis.se vidit , quod Ideati 01 id facit, quia apud min in i I ita \ «-ri t
et vera esse vidit, quae scribit, uti in sua (ustoria intexuit». Non abitiamo
tuttavia, eli* io sappia, attestazione precisa intorno alla vera eariea militare
da lui sostenuta; come ci mancano, e lo vedremo, i dati certi per after-
LORENZO BONINCONTRI 121
menti di pace, divenne scienziato e filosofo, e si senti poeta,
non degli ultimi dell' età sua.
Il mutamento non poteva però avvenire senza che attitu
(lini, antecedentemente contrastate, non lo favorissero. Bisogna
infatti sapere che anche nel tempo delle imprese guerresche,
anzi fin dagli anni della gioventù, nel Bonincontri vivevano
due persone : il soldato e lo studioso. Il primo, per necessità
di avvenimenti politici, aveva il sopravvento; ma il secondo
andava maturandosi lentamente e prendendo sempre maggiore
importanza. Uscendo di metafora, da molti anni il Bonincontri
si occupava, nei momenti di tregua, d'astrologia, dapprima
forse spinto da curiosità superstiziosa, naturale al suo tem-
peramento irrequieto, ma ben presto guidato da serie inten-
zioni scientifiche. Onde, avanti il 1450, allargato il campo
de' suoi studi, s' era dato a speculazioni filosofiche, e s' era
prefisso di scrivere un poema didattico, sulla traccia del lu-
creziano, che racchiudesse la concezione dell' universo fisico
e morale, quale a lui, credente negl'influssi, s'era affacciata.
E pare che si fosse ad un tempo proposto, per certe parti della
medesima opera, un secondo modello antico da seguire: gli
Astronomici di Manilio, ch'egli recava con sé in un esemplare
tratto dal codice scoperto, come abbiamo veduto, dal Poggio
nel 1416. Con questi precedenti, non fa dunque meraviglia se
il Nostro si trasformò in grazia del benefico commercio lette-
rario con gli accademici napoletani ; né riesce strana la gioia
che lo invase, quando Antonio Beccadelli gli porse una copia
del poema maniliano secondo la lezione pili completa e più
corretta del codice di Monte Cassino. Da quel momento l'oc-
cupazione sua principale diventò il commento dell'antico poeta
dell'astrologia; commento che egli compilò accuratamente,
aiutato dall'astrologo catanese Tolomeo Gallina,1 e che pub-
mare eh' egli sia stato ufficialmente astrologo della corte, o professore nello
Studio napoletano.
1 II Gallina dimorò lungamente a Napoli, e scrisse, come ci è attestato,
un De rebus astrologicis : cfr. 6. Uzielli, Paolo del Pozzo Toscanelli cit.,
p. _'17, e R. Sabhadini, Storia documentata della R. Università di Catania,
Catania, 1898, parte 1\ p. i'.i. guaudo inori ebbe dal l'ontano l'epigramma
sepolcrale: v. J. J. Pohtani Carmina, Firenze, 1902, li, p. 182.
122 CAPITOLO SECONDO
blicò più tardi a Roma, dopo averlo esposto pubblicamente a
Firenze. l Attese pure, sempre nello stesso ordine d' idee, a
condurre a termine la propria opera poetica, distribuita in
tre libri, e concepi il piano d'un nuovo lavoro, in continua-
zione di essa, pure in tre libri, di carattere, come vedremo
ampiamente, del tutto astrologico.
Queste occupazioni scientifico-letterarie ci provano intento
che il Bonincontri, sempre prima del 1450, s'era dato altresi
agli studi della poesia latina, per la quale aveva una discreta
attitudine naturale ; e questi studi poetici ci spiegano a loro
volta le relazioni amichevoli che ben presto lo legarono al Pon-
1 Disse il Mazzuchelli, op. loc. cit., che il Bonincontri commentò pub-
blicamente Manilio anche a Napoli, nello Studio, sostenendo cosi che 1' uf-
ficio da lui tenuto in quella città fu di professore, diremmo noi, universi-
tario. Parve avvalorare quest' asserzione una postilla autografa del Nostro,
scoperta dal Bandini, Cat. cod. Lat. Bibl. Med.-Lau., II, p. 76, sol mar-
gine d'un esemplare dell'edizione maniliana di Bologna 1474, che dice:
«Ego tamen Lau. Bonincontrius dico in esemplari meo, quod transtuli
Neapoli, etc. », quando essa potesse significare, come parve al Bandini :
— ch'io tradussi, e quindi esposi, a Napoli! — G. Uzielli, op. loc. cit, s'ac-
corse dell'errore strano, in cui era incorso il Bandini, e propose questo emen-
damento, peggiore del male : « quod transtuli Neapolim », cioè: — che por-
tai meco a Napoli. Ben3 quindi il Dell* Torre, Storia dell' Acc. platonica
cit., p. 685, n. 5, intese, correggendo, cosi: — ch'io trasportai da Napoli
a Firenze. Sennonché 1' Uzielli, anche senza l'attestazione della postilla, e
quindi senza mantenere l'affermazione del pubblico commento manilianu,
mantiene la notizia del pubblico insegnamento d'astrologia, impartiti) dal
Bonincontri nello Studio di Napoli. Ora, a mio parere, neanche quest' ultima
affermazione è possibile. Infatti il Bonincontri, il quale parla con compia-
cenza più volte dei suoi corsi allo Studio di Firenze e di Roma nel Com-
mento ai sani poemi già ripetutamente citato, non accenna mai ad una cat
Mia napoletana; in secondo luogo, nella lettera proemiale al Manilio
illustrato, di cui vedremo in seguito l'importanza, dice d'avere a Napoli
collazionato il suo testo corrotto con quello migliore del Panormita. in com-
pagnia del Gallina, né accenna a lezioni pubbliche; infine il suo nome non
compare affatto fra i lettori dello Studio di Napoli negli anni 1460-75, né
fra gli ordinari, né fra gli straordinari e neppure fra I concorrenti.
fra coloro, che per dottrina nota universalmente erano invitati dal Cappel-
lano a tenere un pubblico corso senza compenso pecuniario : vedi K. Car-
nevale, Lo Studio di Napoli nel Rinascimento, Napoli, 1895, p. 26 e 86;
iì. li. Origlia, Istoria dello Studio di Napoli, Napoli, 1753, I, p. 247 e
i.anoelo, Storia dei filosofi e dei matematici napolitani, Napoli.
Ili, epoca 4a. Del resto, conchiudendo, la condizione ufficiale del Noti
Napoli aveva, come abbiamo veduto, molto probabilmente carattere mi]
LORENZO BONINCONTRI 123
tano, sebbene quest' ultimo fosse assai più giovane d' anni.
L' amicizia dei due poeti dovette stringersi molto rapidamente,
se già nel 1451, forse un anno dopo il loro incontro, si po-
tea dire vera intimità. E che fosse tale si vede chiaro dalle
poesie giovanili del Pontano, specialmente da quelle che ri-
montano all'anno suddetto, o agli anni immediatamente se-
guenti, tutte piene di accenni alla vita intima dell'autore e
del crocchio degli amici e delle amiche di lui. Ecco, per esem-
pio, due brevi elegie scritte da Venezia, dove il giovane erasi
recato al seguito del Panormita in missione diplomatica, l dalle
quali si apprende che il nostro Lorenzo, rimasto a Napoli con
l' incarico di mandar notizie confidenziali sul conto della fan-
ciulla amata dall'amico, aveva fatto il brutto scherzo di man-
darle cattive: onde una tempesta di rimproveri da parte del
povero innamorato, che non gli vuol prestar fede:
Non ita, Laurenti, credebain te mihi amicano,
Perditum ut ires me deliciasque meas ! 2
Ed ecco altre poesiole, delicatissime, le quali ci permettono di
entrare per un momento nella casa dell'astrologo, ove il Bo-
niucontri si godeva 1' affetto della giovane moglie, una Ceci-
lia di Sorrento, conosciuta forse a Napoli e sposata da poco,
ed il sorriso di tre figlioletti. 3 Era un idillio famigliare, in
1 J. J. Pontini Carmina cit., I, p. xliv.
* Pontani Carmina cit., II, Appendice in, v. 7-8.
3 Lo stato di famiglia del Bonincontri mi pare si possa ricostruire nel
modo seguente. Quanto alla moglie Cecilia, detta dal Pontano poeticamente,
o forse con vezzeggiativo <1" uso famigliare, Cicella, abbiamo attestazioni
molteplici nelle opere del marito ; che ella fosse di Sorrento, Io desumo dal-
l'epigramma funerario composto per lei dal Pontano (De tumulis II, 7),
che vedremo in seguito. Quanto ai figli, abbiamo in primo luogo la notizia
che la Cecilia partorì almeno quattro volte, e la quarta si sgravò di due ge-
melli : dice infatti il Bonincontri nel secondo libro del suo primo poema
— per il quale rimando al capitolo seguente — :
Viscera non dubium geminos quoque reddere natos;
En ego cui geminos peperit Cecilia quar turai
Exemplo potui uaturae mimerà nosse.
Però siccome in altri luoghi il padre parla della morte dei due gemelli, ma
non accenua mai a quella di altri suoi figli, e poi nella supplica, che ve-
dremo, a Lorenzo de' Medici, non discorre che d'un unico figliuolo, cosi si può
supporre — s' inteude, come semplice ipotesi probabile — che i due fau-
124 CAPITOLO SECONDO
mezzo al quale, come in ambiente adatto a gustarle, il Pon-
tano amava leggere le primizie della sua Musa, che poi, rac-
colte in libretto — • il più antico libro del poeta umbro — de-
dicava ai due sposi :
libello felix,
I felix, pete nobilem sodalem
Inter nequitias amoris omnes
Ludentem in gremio snae Cicellae,
Cuius lacteolo sinu tumenti
Surgnnt aureolae duae papillae,
Quas fecit manibus suis Cupido
Maternas iinitatus ipse mammas.
O quid coniuge dulcius venusta,
Aut quid carius optimo marito,
Quales suut Miniatus et Cicella V
Sed ne te nimium morer, libello,
Festina Miniatuin adire nostrum,
Qui te tam facili videbit ore,
Ut post millia basiationum
Dignum te faciat sinu Cicellae.
Hanc tu malueris, libello, sedem,
Quam si scrinia regis ampia dentur ! '
Ahimè! a turbare questa pace perfetta sorse infausto l'anno
1458, l'anno della morte di re Alfonso. Una pestilenza, che il Bo«
nincontri volle poi attribuire al terribile influsso di due comete
rapi ad un tempo la Cecilia e due de' suoi figli, due gemelli :
rimase il padre solo, con un unico fanciullo. * La sventura, che
ciulli, dei quali non si hanno altre notizie, fuorché quella dulia nascita,
sin ii mancati in età affatto infantile, e quindi i viventi prima del 1458 fos-
sero tre soltanto.
1 Pontaxi Parthenopei I, 1, v. 16-88.
2 Ricorda questi fatti il Bonincontri in fine al libro primo del suo primo
poema, dove dice, discorrendo dell'anno della morte di re Alfonso:
Nulla domus luctu caruit : mihi, proli dolor, ipsi
Quos gerainos dederat partu Cecilia natos,
lleu, moriens secum condii miseranda sepulcro.
Che egli sia rimasto con un figlio solo è indicato chiaramente da un passo
del Commento ai propri poemi, die riporto piti avanti, dove il BoaiBOOatrl
rammenta la sua .supplica a Lorenzo il Magnifico. K giacché con queste M«
tizie torno a parlare dello stato di famiglia del mio astrologo, affi»
la citazione d'una postilla, che si trova in margine del codice Maglialie
eliiano strozziano VII, 109(J, contenente il poema, e proprio di fianco ai
LORENZO BONINCONTRI 125
cosi avea percosso il povero esule quando i dauni del lungo
peregrinare parevano rimarginati, ebbe un' eco nei versi del-
l'amico, versi di compianto, che si chiudono con uno sconso-
lato addio alla giovane morta :
Fleta diu nuribus, flenda Cicella viro. l
E davvero parve che Lorenzo si chiudesse da quel giorno nella
mestizia, e che la mestizia gli ridestasse cocente in cuore la
nostalgia della Toscana, non riveduta più da ventisei anni. Non
gli studi, ai quali pur manteneva intento l'ingegno, nò i fa-
vori del nuovo re Ferdinando, verso di lui ospite non meno
cortese del padre, riuscirono a calmare il suo ardente deside-
rio della patria. Di tutto egli fece in quegli anni per ottenere
il condono del bando. Aveva terminato il suo primo poema, e
lo dedicava al Magnifico, di cui ben conosceva il potere nelle
deliberazioni del Comune fiorentino ; anzi, al poema aggiun-
geva un' elegia De descriptione meae vitae, con la dolente
istoria dei propri disagi; e all'elegia accompagnava una let-
tera implorante la grazia, se non per sé, almeno per il figliuolo.
Intanto la condizione dell' animo suo diveniva, per i continui
rifiuti, sempre pili dolorosa ; finché tardi, è vero, ma pur sem-
pre in tempo per riempirlo d'esultanza, ad intercessione del
re aragonese i Fiorentini gli perdonarono l'antica ribellione.2
Questo avveniva nell'aprile del 1475, e già nell'ottobre del-
l'anno stesso il Bonincontri lasciava Napoli e l'Accademia
versi sulla peste ora trascritti, la quale dice: « mortem deplorat fìlioruni
et Ceciliae uxoris primae ». Non so chi sia stato a scrivere queste parole ;
certo, a giudicar dalla mano, un contemporaneo, il quale potrebbe averci
cosi avvertiti d' un secondo matrimonio contratto piti tardi, forse a Firenze,
dal P-onincontri. Bisogna però tener conto di questo, che il Nostro, abba-
stanza largo di notizie sulle proprie vicende, d'una seconda moglie non
<•' informa mai in nessun luogo delle sue opere.
1 Pontahi De tumulis II, 7, v. 10.
! Vedi il Commento cit., alla e. 132 b già ricordata, ove si parla dell'ele-
il Magnifico, ed a e. 41 a, dove si leggono le seguenti parole, che io
trascrivo, senza tentar di emendarle dei guasti introdotti dal copista: « ad
Laurentium Medicem scribitis ut filium smini patriae restitueret hoc opus
(cioè il primo poema) dicavit, is ea fui t animi gratitudine ut non solum
lilium sed etiam me ipsum patriae restituì fecisset, magno omnium civimn
aascii.su, quod nulli unquam exulum contigit ».
126 CAPITOLO SECONDO
pontaniana, per stabilirsi a Firenze, in un quartiere oltr'Arno,
nel Chiasso de' Velluti. l
Ma l'uomo che dopo tanto tempo ritornava in patria, quanto
era diverso dal giovane che n'era fuggito! Colui che s'era
allontanato colle armi in pugno, ora rientrava con la dignità
d'un dotto e d'un poeta, e veniva accolto come compagno
dal fiore dei letterati e degli scienziati toscani. Non era il Lo-
renzo da San Miniato, ma il « Laurentius poèta astronomicus
astronomusque poeticus », come usò chiamarlo il Ficino,2 il
Lorenzo trasformato dal soggiorno napoletano. E subito ot-
teneva, a grandissimo onore, il pubblico insegnamento del-
l'astrologia nello Studio, dove per tre anni consecutivi, dal 1 175
al 1478, esponeva dinanzi a numerosa scolaresca composta di
giovani e d'uomini maturi e famosi, il proprio Commento a Ma-
nilio. 3 Vide forse alla sua scuola, attratti dalla novità delle le-
zioni, dotti come il Toscanelli, poeti e artisti come il Poliziano, '
il Pulci,5 il Della Fonte,6 filosofi come il Ficino, che poi Io volle
1 G. Uzieli.i, Assoluzione cit., dove si trova anche la data prerisa d<
28 aprile per l'assoluzione, e del 14 ottobre per la dimoia I Firenze. Do-
vettero forse scottare al nostro antico ribelle queste dure ed umilianti frasi
della Provvigione: « Et quod dictus Ser Laurentius Bonincontri erat iuve-
nis et inductus a sociis, nescius quid ageret, ob ignorantiam inventutis, con-
sensit tali delieto et non revelavit prout debebat, et ob id fuit sic condem-
natus, et ultra 40 annos in alienis terris exul fuit ».
? L'appellativo è in una lettera del Ficino al Honincontri, in Marsii.ii
Ficini Florentini etc. Opera, Basileae, lf>76, I, p. 760. Intorno a qveai
ad altre lettere del filosofo mediceo al Nostro v. A. Dell* Torre, op. <it..
p. 68& sgg.
a Una nota al v. 114 del libro I degli Astronomici nel Commento stesso,
ed. di Roma, 1484, che vedremo, ci dice: « (Manilium) ego prima Floren-
tiae legi anno salutis Millesimo quadringentesimo septuagesimo quinto et
duobus insequentibus annis». E dice Paolo Cortese, citato da G. Uzn
del Pozzo Toscanelli, p. 166: «.... lume sublimius astronomia satis «u-
stulit; in quo genere ita laboravit et praestitit, ut esset ex tota Italia ad
eum concursus. Atque is primtis ex omnibus Manilium poètam ex adjtll edi-
tami in lucem revocavit ».
* I. Del Lusoo, Florentia, Firenze, 1897, p. 816,
5 G. Uzielli, Paolo del P. Toscanelli, p. 90, mostra di credere che di-
pendano dalle lezioni del Nostro le notizie sugli Antipodi del famoso canto
xxt del Morgante.
6 A. Della Torre, op. cit., p. 686, n. 8.
LORENZO BONINCONTRI 127
nella propria Accademia platonica qual consigliere ed amico. !
Il suo era dunque un trionfo scientifico e letterario raggiunto
in quella terra a lui cara, dove più aveva ambito d'essere
amato e stimato.
Però un destino malvagio pareva perseguitarlo e sorpren-
derlo ogni qualvolta egli si sentiva felice. Vent' anni prima,
dal colmo della fortuna domestica, per la morte della moglie
era caduto nell'afflizione più penosa; ed ora, dopo la funesta
congiura de' Pazzi, sia che si credesse malsicuro in Firenze,
sia che temesse la rovina dei Medici, riprese daccapo la via
dell'esilio. Ed accolse l'invito che Costanzo Sforza, il giovane
signore di Pesaro, in quel tempo, cioè verso il 1479, capitano
dei Fiorentini nella guerra di Ferrara, gli faceva dal campo,
allogandosi presso di lui, insieme con maestro Camillo Lunardi,
in qualità di astrologo. Lasciava adunque la cattedra dello
Studio e le occupazioni scientifiche e letterarie — glorioso epi-
sodio nella travagliata sua vita — per un mestiere, che negli
anni precedenti non sappiamo ufficialmente avesse mai eserci-
tato, ma che forse era stato il primo passo della sua carriera
in gioventù, quando aveva servito nelle bande sforzesche. Anzi,
curioso ritorno alle prime abitudini, riprendeva ora settuage-
nario, e sia pure senza indossar l' armatura, la vita militare,
al séguito del nuovo suo principe. 2 Per il quale si pose a scri-
vere dei presagì celesti non solo, ma un' operetta storica in-
torno alla vita di Muzio Attendolo, contemperando cosi la pra-
tica dell'arte con un piacevole ed utile esercizio letterario.
Sennonché anche il periodo pesarese ebbe nella sua vita
breve durata. Moriva nel luglio 1483, ancor giovane, Costanzo,
e gli succedeva Giovanni, presso il quale forse pochi mesi si
1 L'attestazione sicura trovasi nella famosa lettera di Marsilio a Mar-
tino Uranio, in Ficini Opera cit., p. 936, ove si legge : « In aetate vero niea
iam matnra familiare», non aaditores. . . . Laurentius Bonincontrus etc ».
* Il Tiraboschi, Storia della lett., Milano, 1824, tomo VI, parte la, p. 601,
riporta l' explicit d' un codice di Tabulae astronomicae della Estense, dove
i nomi del Nostro e del Lunardi compaiono insieme, a Pesaro, nel 1480. Il
Della Torre, op. cit. p. 682, ci informa dei saluti dal Bonincontri mandati
al Ficino, nello stesso anno, dal campo.
128 CAPITOLO SECONDO
tratteneva Lorenzo,1 che ben presto volse i passi, come ad ul-
timo rifugio della sua vecchiaia, verso Roma.
La grande città pontificia, negli anni di cui discorriamo,
era un porto sicuro a cui traevano volentieri artisti, letterati,
scienziati d' ogni sorta, italiani e stranieri ; 2 ma per questo
appunto di difficile approdo a chi non avesse, fra le gare de-
gli aspiranti ai benefici papali e cardinalizi, integre le forze
dell' ingegno e la vigoria dello studio. Qualità queste che non
facevano difetto, anche in età cosi avanzata ed in mezzo alle d<>
lorose strettezze del disagio materiale, al nostro poeta, il quale
risolutamente entrò nella folla dei ricercatori di protezioni,
pronto a ricompensare co' suoi lavori il cardinale che per
primo l'avesse soccorso. 3 Fu questi Raffaele Riario, che, sovve-
nendolo con aiuti pecuniari e morali, lo mise in grado di pre-
parar per le stampe il Commento su Manilio, il quale usci ap-
punto in Roma, come vedremo, nell'ottobre dell'anno seguente.
Intanto Lorenzo era riuscito ad avvicinare lo stesso pontefice,
in quel tempo Sisto IV, tutt' altro che nemico degli umanisti,
come una volta si credeva; e ne aveva ottenuto un beneficio
assai grande, cioè la cattedra di astrologia nello Studio ro-
mano. 4 Ond' eccolo ancora tra gli onori già goduti a Firenze, e
1 A Oiovanni Sforza il Bonincontri dedicava più tardi certe sue scrit-
ture astrologiche, che ora ci son conservate nel Marciano Vili, 7C>, come
dirò nel seguente paragrafo.
" Intorno al periodo romano della vita del Nostro, v. specialmente il mio
studio, giàcit., su GV Inni sacri d'un astrologo del Rinasci m., p
3 Leggasi, a conferma ridir notizie qui riferite, la lettera proemiale
alla Vita di Muzio Attendoìo, che più avanti pubblico per <li>t
4 Due attestazioni certissime della cattedra universitaria romana si
hanno nel cod. lat. 7417 della N'azionale di Parigi, contenente un' Op
astrologica senile del Bonincontri. Dice infatti il titolo di essa : « . . . . I.au.
Boniaoontrio professore astrologie Romae celeberrimo authore »; e Vex-
plieit : « . . . . ego Laurentina Bonincontrius. . . . collegi. . . . riunì BOMM ari
lectionem astrologiae conductus eram ». Vedami, per V operetta qui citata.
le notizie opportune nel seg. paragrafo. Per la cattedra universitaria si !
anche la cit. lettera proemiale alla Vita di Muzio Attendoìo. Che di essa
poi non parli A. Bertoi.otti, Professori allo Studio di Roma nel secolo xr,
in Bibliofilo, IV, 89 8gg., non è meraviglia, L'iaerhé quivi, per esplicita di-
chiarazione dell'autore, la serie dei docenti, desunta ria cinque registri rii
stipendi, non ò completa, anzi di essi non si riporta un elenco, ma una sem-
plice scelta.
LORENZO BONINCONTRI 129
qui a Roma accolto, come laggiù tra i platonici, fra gli acca-
demici di Pomponio Leto. * Anzi, il 21 d'Aprile del 1484, ce-
lebrandosi nell'Accademia la festa del Natale di Roma, a lui
era concessa solennemente la laurea o corona poetica « impo-
si t a a collegio poetarum, cui Gaspar Blundus praesidebat,
Pomponio Sulpitio et Petro Marso censoribus ».*
Disgraziatamente in quell'anno medesimo moriva il papa,
a onore del quale il Bonincontri avea cominciato un libretto
d' inni sacri : e per il poeta, cessate le sovvenzioni, ricomincia-
rono le angustie. La cattedra pare rendesse poco, e la laurea
non fruttava ebe gloria; d'altra parte crescevano i bisogni
dell'esistenza con l'aggravarsi della vecchiaia. Di modo che
vediamo il nostro astrologo ritornare, con rinnovato slancio, alla
compilazione della vita di Muzio Attendolo, e dedicar l'opera
compiuta al cardinale Ascanio Sforza, chiedendone tacitamente
un compenso (1485). Finalmente, non essendo lontano l'ottante-
simo anno di età, tribolato forse da acciacchi, egli ricorse al
cardinale di San Pietro in Vincoli, Giuliano della Rovere. Il
superbo nij>otc di Sisto, il futuro papa Giulio, e per la stima
che del Bonincontri aveva, e forse per simpatia verso di lui,
già vigoroso uomo d'armi e di studi, ora cadente ma sempre
operoso, gli accordò la sua diretta protezione, rendendogli tran-
quilli almeno gli ultimi anni di vita. Presso il roveresco ri-
mase infatti il Nostro fino alla morte, avvenuta nel 1491. 3
1 A. Della Torre, op. cit., p. 682.
2 Dice nel cit. Commento ai propri poemi, a e. 127 b, il Bonincontri :
« at postea anno 1484 factum est, cnm Palilibns mihi laurea imposita est
Romae a collegio poetarum, cui Gaspar Blondin praesidebat, Pomponio Sul-
pitìo et Petro Marso censoribus». Per altre attestazioni, v. il cit. mio stu-
dio, Gl'inni sacri, p. 426, ed A. Della Torre, Paolo Marsi da Pescina, con-
tributo aliti storia dell' Accademia Pomponiana, Rocca San Casciano, 190:5,
p. 269; dove, a p. 261, è pubblicata anche nna bratta elegia dell' umanista
Uomini Palladio Sorano, in onore dei nuovi poeti laureati, nella quale al
Bonincontri son (bulicati i seguenti due distici (vv. 7:$-7:">) :
Inter quos vates fllfjllMliWM Astronomorum
86 quoque diga* 'inni. 'in laurea serta capii.
t'unì tamen a lauro nomen Laurentius esset,
Congrua Phoel>ea nomina digna coma.
3 Sulla protezione ottenuta dal cardinal Giuliano, e sui lavori per lui
compiuti, v. il mio studio, GV inni sacri, p. 409. Quanto alla data della
Soldati 9
130 CAPITOLO SECONDO
Teneva tuttavia le sue lezioni allo Studio ; spesso si ritirava
nella sede vescovile del suo protettore, ad Ostia, a studiarvi
gli effetti dei movimenti della Luna sulle maree della foce
tiberina; J attendeva ad un largo commento esplicativo ed au-
tobiografico intorno ai propri due poemi filosofici, e dava l'ul-
tima mano a quel libretto d'inni sacri che vedemmo iniziato
per Sisto, destinato ora a Giuliano.
Cosi affaccendato, certo con un senso di profonda simpatia,
dovette rivederlo un amico degli anni migliori, il Pontano, *
il quale poco dopo, all'annunzio della morte di lui, scriveva
un epigramma funerario — quanto diverso dalle lusinghe poe-
tiche del 1450 ! — pieno del desiderio di quella pace completa,
che solo si immagina al di là della tomba:
Quid numeras, Miniate'? Nihil numerare necesse est,
Sidera sub podibus qui modo cuncta vides,
Cuncta suos agere anfractus, seque ordine summo
Cogero et errores rite subire suos.
Ne numera, Miniate : quies tibi parta ; quiete
TJtere, et bumanis uxue te studiis.
Ipsa quies Deus est, Deus est et vita, bonumque,
Vita bonumque simul : utere utroque simul. 3
Non credo che l'amore, onde ho compiute le ricerche in-
torno alla vita del mio astrologo, e la consuetudine della let-
tura delle opere sue, mi facciano velo e nv impediscano di
scorgere intera la verità, quando dalle notizie ora esposta
deduco un giudizio sintetico. Io ritengo che dai l'atti narrati
morte, unico indizio certo è questo, che le ultime notizie sul Bonincontri
le abbiamo nel luglio del 1491 : poi, più nulla.
1 Nel Commento cit. ai suoi poemi, ;i e. 10!» It. paria Lorenzo delle maree,
e BORginnfje : * ego sum experfns in liostio Tiberis. euni Luna est in Orienti"
aquae incipiiint anneri, similifer in occidente; nini vero est Luna inter Me-
ridiein et Libyctim ventilili oinnino sunt in summo deereseentiae, similiter
lit cimi est inter (.'raeeuni et Septentrionem ».
* Questo la supporre una lettera, riferentesi al soggiorno del I'ontaii<> il
Roma nel 1491, ed alle sue relazioni col cardinal della Koverc : Ardi, di
Stato di Firenze, Medie, avanti il princip., filza LII, lettera di Pietro Ala-
manni a Lorenzo de' Medici, Roma, 9 febbraio 1491 : « . . . . il l'olitami ile-
sino stamani col N'incula ».
NTAim Carmina cit., II, De tumuli.* I, 2.r>, v. 1
LORENZO feONINCONTRt 131
emerga l' importanza di quest' uomo, che visse la vita intel-
lettuale dei tre più notevoli centri di cultura nel Quattro-
cento, Napoli, Firenze e Koma; che mantenne attraverso a
mille ostacoli, a mille vicende gloriose e crudeli, costante-
mente vivo il culto del sapere e della poesia; che mise, Ulisse
novello, a servigio dell'arte propria una larga esperienza
degli uomini e delle cose. Egli è davvero, come ho prean-
nunziato, la migliore incarnazione dell'idea astrologica, quale
abbiamo disegnata nell'Umanesimo, sia nel grado più nobile
di filosofo dell'astrologia, sia come matematico, sia infine,
men lodevolmente, come scrittor di pronostici e di giudizi.
Ma ciò che sopra tutto a noi importa ora che stiamo per
accostarci al suo maggior lavoro, si è il riconoscere che gli
atti della vita di Lorenzo ci confermano l'intera e feconda
fede eh' egli ebbe nella realtà dell' influsso. Nei casi del viver
suo vedeva il Nostro l'adempimento d'un destino prestabi-
lito, come nelle vicende della storia antica e recente ; e da
codesta visione attingeva l'ispirazione ai propri poemi. Con
un passo dei quali voglio chiudere queste note, con un passo
autobiografico, che il poeta indirizzava giunto a maturità a
Ferdinando d'Aragona, ma che noi, senza offesa al vero, ben
possiamo estendere a tutta la vita di lui :
Sin nascens <Mars> ortu primo vicina diei
Palpita, lustrarit, faciem tum vulnero foedat ; l
Nec dubium, coeli calcet si regna secunda,
Exilium natis portendere, perdere censum
Et quicquid longo fuerit iam tempore parctum.
Non et opes quaerent, non illis cura peculi,
Publica sed tractant rebus causisque gerendis,
Praefectique ducum tali sub sidere fiunt.
Expertusque meo natali quanta minetur
Il le loco, quam multa tuli, quantosque labores,
Et quam multiplices dederint mea tempora casus.
Quos memorare vetat res ; et te, maxime regum,
Non fallunt nostri casus et vulnera saeva,
Quos terra et pelago prò libertate tuenda
» La 74» Sentenza del Centiloquio attribuito a Tolomeo dice Infatti :
« Quicumque Martini asccndentem habet, omnino cicatricem in facie habebit ».
132 CAPITOLO SECONDO
Pertulerim, castrisqne tuis nutrì tus et aula.
Quam varie vitam duxi quantisque periclis
Expositns, Marti toturn reddamus et astris. '
III.
I pregi di forza e versatilità intellettuale, che rendono Lo-
renzo Bonincontri singolarmente degno di osservazione fra i
poeti dell'astrologia, come dalle note biografiche, cosi si pa-
lesano dalla rassegna delle opere sue: rassegna non meno ne-
cessaria della biografia per riconoscere la somma operosità «•
le attitudini molteplici di lui, per quanto non tutte egualmente
potenti; ma non meno della biografia lacunosa e in qualche
parte errata.
Si è ricorso finora al Mazzucbelli, 2 il cui elenco comprende
tredici scritti non tutti autentici e ne tralascia parecchi altri
di non piccola importanza: malsicuro fondamento adunque, al
quale troppo s'affidarono i critici più recenti.3 Non saia
1 Laurcnziann XXXIV, {SS, e. 10.r> a.
8 Mazzik-hem.i, Scrittori, II, parte IV", p. S^O:'..
3 L'errore più eurioso in cui cadde il Mazzuchelli è certamente «piello
d'aver scambiata la notissima Sfera di Goro Dati per un poema Intitolata :
Atlante in ottava rima, del Bonincontri! Kgli probabilmente — e in ciò sta
la sua scusa — non aveva avuto fra le mani il cod. Vaticano Capponi M, un
discreto manoscritto membranaceo, di ce. 24, del sec. xv, contenente appunto
l'opera del I>ati, sul foglio anteriore di guardia del «piale si legge la fal-
lace indicazione: di JjOrenza Bonincontri; indicazione che forse, Intervie
tata secondo il vero significato, ci avverte che il fascicolo o at la» te fu pie
prietà di Lorenzo. Ben più strano e il fatto che quest'errore non sia stato
corretto dal Ba&yo Cono nel suo catalogo del Capponi/mi, Roma, vaticana.
1897, p. 47. Scusabile in parte è il IHu.a Tonai, op. cit., p. I
il quale, dichiarando di Odami del dati altrui e delle indicazioni di
logo, rimanda al Corsiniano 7o<;, una miscellanea recente, ove a e. I.1
legge una copia senza valore del Cajiponiano citato; ma troppo imprudente-
mente poi se ne vale BOOM «lì cosa provata per spiegare un accenno d'una
lettera del Ficino al l'.onincontri. Dfl secondo errori- «lei Mazzuchelli è q nello
di elencare fra le opere «lei Nostro un De aagwcMoettii, icritterello «> so-
glio postilla di circa Ululici righe, Che si legge N C. 'a del COd. l.ieeanliano
miscellanei" ^:'.7. stabilendone l'attribuzione sulla semplici Imi / au astro-
LORENZO BONINCONTltl 133
quindi il Mazzuchelli — e sia detto con tutta riverenza verso
il benemerito erudito — che noi prenderemo per guida.
Cominciando pertanto ad esporre le nostre indagini per or-
dine di tempo, l'opera che prima non possediamo, ma cono-
sciamo da attestazioni dirette dell'autore stesso, è una raccolta
di elegie amorose, alle quali daremo per data gli anni che
precedettero il 1450. l Essa infatti era, secondo il Bonincoutri,
un' operetta giovanile, di non grande valore, una serie di eser-
cizi metrici e letterari probabilmente di alquanto libera mo-
ralità, imitazioni forse dell' Ermafrodito del Beccadelli, che a
quei tempi aveva formata, si può dire, una piccola scuola poe-
tica. E ad essa, quasi a costituire un primo gruppo di scritti
tutti della stessa natura, faremo seguire quelle altre elegie
sparse, delle quali non conserviamo che qualche distico su-
perstite nelle citazioni o del poeta stesso, o di qualche ignoto
trascrittore : l' elegia già ricordata, composta per accompagnare
la dedica del primo poema a Lorenzo il Magnifico, in cui il
Bouincontri tesseva la storia dei miseri casi della sua vita ;
ed un' altra elegia semplicemente elogiativa indirizzata, forse
duraute il suo soggiorno a Pesaro, ad un verseggiatore a noi
logus. Ora è bene notare che codesta firma non già al Bonincoutri, che sem-
pre si designò Laurentius Miniatus, quando pur non si firmava per disteso
con tutto il cognome, ma corrisponde all'uso abituale di Lorenzo Lorenzi,
astrologo fiorentino, il quale viveva intorno al 1485 ed era amico intimo di
Ugolino e Michele Verino. Di Michele a lui abbiamo infatti, di quell'anno,
parecchie lettere nei Kiccardiani 915 e 2621, rispettivamente originali e tra-
dotte da Pietro Crinito, a e. 626, 646, 706 del secondo coti., indirizzate ap-
punto con la designazione sopra ricordata (vedi A. Lazzari, Ugolino e Mi-
cìiele Verino, Torino, 1897, p. 25, n. 6 e tutto il cap. VI). Un terzo errore,
e questo non del Mazzuchelli ma del Bandini, e ripetuto dal Della Torke,
op. cit., p. 682, n. 4, riguarda il cod. Laurenziauo XXIX, 5, contenente a
e. 62 a alcune tavole o Stellae fixae verificatile in annis 14SG primue et
xecundae magnitudini» per me Laurentium, ed a e. 54 a una Tabula ho-
mi nm ad latittidinem Florentiae, attribuite al Bouincontri senz' altro, per
il solo indizio di quel nome Laurentium. Ora io vorrei die si badasse al
luogo, cioè Firenze, e alla data, cioè il 1486, anno in cui il Nostro era a
Koma occupato in ben altro, mentre a Firenze e' era il Lorenzi, e si vedesse
se non sia il caso di propendere per l'attribuzione a quest' ultimo.
1 L'attestazione è chiara uel Commento ai poemi, a e. 63b, ove Lorenzo
dice di sé : « iuventutis tempore lèccrit. . . . amorum elegias etc. ».
134 CAPITOLO SECONDO
sconosciuto. ! L'unica importanza di questo gruppo, che senza
grande rincrescimento per 1' arte dobbiam lamentare perduto
quasi del tutto, è di essere la preparazione letteraria al libretto
senile d' inni sacri, nel quale il distico elegiaco è trattato con
piena sicurezza, secondoché vedremo a suo luogo.
Ma di gran lunga più importante è l'opera, che in ordine
di tempo ci si presenta subito dopo, ed occupa il periodo na-
poletano della vita di Lorenzo ; voglio dire la composizione
dei due poemi sulla Natura ed il Commento a Manilio. Di
queste opere si parlerà con la debita ampiezza nel paragrafo
e nel capitolo seguenti ; giacché esse costituiscono quanto di
meglio scientificamente e poeticamente usci dalla penna i <-l
Bonincontri, ed in esse si trovano in modo diretto quei pen-
sieri e quei saggi di poesia astrologica, che noi per l'appunto
andiamo ricercando nella letteratura del Quattrocento.
Sopra un terzo gruppetto di scritti desidero invece tratte-
nermi un poco, cioè sopra alcune operette in prosa, nelle quali
l'astrologia tiene il campo in modo assoluto. Ricorderò per-
tanto che mentre a Napoli, per una certa avversione dei re
aragonesi verso gl'indovini di corte,2 il Nostro alla vera e
propria arte pare non si fosse che molto scarsamente dedicato, 3
1 Questa seconda elegia, che lui per titolo : Lau. Bonincuntrii M
tensis ad Ca. Castellanum, e comincia col seguente distico :
Castellane, decus cytarae resonautis aiuenae,
Orpnea te dico vincere posse lyra,
è conservata nel cod. miscellaneo Barberiniano XXX, 104, degli ultimi anni
del sec. xv, a e. ttft, dove pure si legge una notizia del trascrittore, che
mi fa pensare al soggiorno pesarese del Nostro. Kssa accenna infatti al-
l'anno 1479, cosi: «qui quidem Laurcntius temporibus nostris, vidclicet
■cccoucxvmi, quo tempore vivebat, erat astrologus, pliilosophus, theologus
et porta maximus; plura In praedictis composuitet Komae diem suum obiit >.
2 K. Mandarini, I codici manoscritti della bibl. oratoriana di Napoli,
Napoli -Roma, 1897, p. 87.
3 gualche oroscopo anche a Napoli dovè pur scrivere, se ivi non rifuggi
dal praticare la medicina astrologica. Scrive infatti di lui il l'ontano, nel
suo Commento alle cento sentenze di Tolomeo, I, sent. 9: « Laurentius Mi-
niatila familiaris inetis amico suo doloribus capitis pene c|iiotitlie lavoranti
impressa Arietis ima^ine reincdiuni attulit. quam Melari in auro l'ecit, primo
affetta gradii ascendente, Jove ibi constituto, nullisque infelicium stellarmi!
radiis percusso, iiniuo Luna Venereque amice intuentibus >.
LORENZO BONINCONTRI 135
passato a Firenze ed a Pesaro egli volentieri si applicò alla
compilazione di manualetti pratici. La preparazione se l'era
fatta colla lettura dei numerosi testi classici ed arabici, che
gli avevan fornita la materia per le lezioni maniliane; l'am-
biente nuovo, lungi dall' ostacolarne l'impresa, era fatto in-
vece per favorirla. Ond' ecco il Bonincontri non più sotto le
spoglie del poeta amoroso o filosofico, o dell'erudito, ma in
quelle più umili dell'astrologo di professione, che mette in-
sieme anch' egli la sua brava esplicazione del Centiloquio di
Tolomeo. E dico anch' egli, perché l' opuscolo pseudo-tolemaico
delle cento sentenze divinatorie era stato già assai prima il
favorito di molti studiosi, di Cecco d'Ascoli per esempio, J ed
avea in quegli anni stessi attirata l'attenzione di Giovanni
Pontano. Il Bonincontri adunque ne mise insieme un commento,
intessuto in gran parte di citazioni maniliane ed informato
alle idee del poeta latino, mentre si trovava a Firenze intento
alla esposizione di questo, cioè poco prima del maggio 1477,
anno in cui l'operetta appare copiata nel codice, che ancora
ce la conserva. 2 Neil' anno stesso, od in quello precedente,
egli aveva pure incominciato un altro lavoro di maggiore im-
portanza: s'era proposto lo studio del Quadripartito, vale a
dire d'una delle più caratteristiche raccolte classiche d'astro-
logia, per buona parte veramente tolemaica, ed aveva impreso
a trascegliere in essa i passi più rilevanti e meglio rispondenti
al concetto, eh' egli s' era fatto del pensiero del grande astro-
logo antico. Vedremo, discorrendo delle opere senili, quale
partito traesse più tainli da questi Excerpta raccolti in Firenze. 3
1 F. Bariola, Cecco d'Ascoli e l'Acerba, Firenze, 1879, p. 55.
■' Il codice che contiene questa e 1' operetta seguente è il Laurenziano
XXIX, 8, miscellaneo, cartaceo, del sec. xv. Lo scritto, del quale discorro,
vi si trova al n° 4, ed ha per titolo : Laurentij Bonincontri Miniatensis
super Centiloquio Ptolomei. Dopo Vexplicit vi si legge: Transcriptum per
me Laurentium Silvestri canonicum ecclesiae sancti Laurentii florentiae
die X maij 1477 hora 22 et '/j. È da notare, a conforto dell' opiuione mia
intorno al breve intervallo fra le due date di composizione e di trascri-
zione, die a proposito della Sentenza 88* l'autore rimanda al proprio Com-
mento maniliano, compiuto, come vedremo, non prima del 1475.
3 Si leggono al uu G del cit. Laurenziano XXIX, 3, ed hanno per titolo :
Excerpta per me Laurentium bonincontrum Miniatensem ex quatripartito
136 CAPITOLO SECONDO
Intanto, come abbiam raccontato, alcuni anni dopo la data
teste riferita Lorenzo si trovava alla corte sforzesca di Pesaro
con un ufficio, che naturalmente lo portava agli studi pratici
dell'astrologia, ed aveva a compagno il Lnnardi, il quale lieo
presto gli divenne collaboratore. Non è dunque Btraao M di
chiesto tempo dobbiamo registrare la parte clic il Nostro ebbe
nella compilazione di certe Tabulae astronomicae, compiute
propriamente nell'anno 1480. l
Come si vede, non esigua certamente è la serie dei manna-
letti bonincontriani, alla quale son da aggiungere alcuni altri
scritterelli, non datati, di dimensioni minori. Intendo riferirmi
a due trattatelli contenuti nello stesso codice miscellaneo della
Estense di Modena 2 che ci conserva le Tabulae or ricordate,
il primo dei quali, intitolato Expositio super textum Alcahici,
deve probabilmente, per analogia sostanziale coi libretti dei
quali abbiamo ora discorso, ascriversi al periodo fiorentino q
al pesarese; ed è molto notevole per l'argomento suo. L'Alca*
hizzo era infatti reputato, accanto al Quadripartito e al Cen-
loquio.iuìa, delle opere fondamentali per la coltura astrologica
fin dal Trecento, e come tale veniva esposto pubblicamente
nelle Università: l'espose, per esempio, lo Stabili a Bologn
ptholomei et expositione Itali commentatoris sivc porphirij ex cap. I com-
menti.
1 Del codice che le contiene, per il quale v. la nota seguente, il Tira-
boschi, Stor. della lett., Milano. 1824, VI, parte 1\ p. COI, riporta l'ai'li
cit seguente • Anno Domini 1480 ; prò toto anno per nos Laurent ium
Buonincontrum Miniatensem et Magistrum Camillum Lunardum I'
renscm anno Domini suprascripto, nobis existentibus ad servitia III. Dom.
Constantii Sfortia. In queste « importantissime > tavole, scrivi \. Bua
La geogr. alla corte arag., in Najwli nobilissima, [991, p. 75 — «sono con
tenute minute osservazioni da lui (il Hon.) fatte prima in varii laogM, e
fra le altre quelle relative alla latitudine e- alla longitudine della città di
Napoli ».
* È il codice Kstense lat. n." 40S, segnato «. K. G, 18, miscellaneo, nel
quale il primo dei nostri sentii, cine l'A iip.i le 86.
e il secondo, cioè il l>< 1)i ac potestate de. le OC Sii B6b; mentre I.
bulae sopra ricordate tengono le OC. IOSa-116b. licitilo la notizia di questo
codice ad un ottimo conoscitore dell' Kstense, al dottor QIlHo l'.crtnni, eh.
vivamente ringrazio dell'aiuto cortese.
» S. Borrir», 11 « De principiis astrologiae » di Cecco d'Ascoli, in Giorn.
storico, Sappi <!*', p. 7.
LOKKNZO BON1NCONTUI 137
e non è impossibile che l' esponesse appunto a Firenze allo
Studio, o a Pesaro, il Bonipcontri ; di guisa che il testo estense
può ben ritenersi la bozza di codeste pubbliche lezioni. 11 se-
condo trattatello s' intitola : De vi ac potestate mentis Imma-
nità animaeque motibus et eius substantia, e potrebbe, in chi
non lo conosca, far nascere il sospetto eh' esso sia un vero
trattato di psicologia, probabilmente astrologica. In realtà è
una breve raccolta di definizioni dell' anima e de' suoi attri-
buti, distribuita secondo le principali scuole filosofiche, uno
zibaldone di undici facciate di scarsissimo valore, da riferirsi,
essendo ancor esso senza data, per ragioni interne agli anni
1475-80.
Astrologici e pratici sono in ultimo due pronostici, due soli
rimasti dei molti che senza dubbio scrisse Lorenzo nella sua
lunga carriera, e che io qui, non per ragioni di cronologia, che
di essi ignoro la data, ma per opportunità di trattazione e per
analogia d'argomento, non voglio tralasciar di segnalare.1 E
passo ad un'altra categoria di lavori boniucontriani, di carat-
tere non astrologico, che fruttarono a chi li scrisse il postumo
onore d'esser compreso fra gli Scriptores muratoriani.
Di tali scritti il primo per ordine di tempo è quello inti-
tolato Annales, composto da Lorenzo durante il soggiorno na-
poletano, e ultimato poco dopo la morte di re Alfonso. In esso
l'autore espone la storia d'Italia dal 903 al 1458, a larghi
tratti e servendosi di fonti molto note per la parte piti antica,
mostrando invece maggior sicurezza in ciò ohe riguarda il se-
colo pili vicino.2 La materia ò distribuita in dieci libri, i quali
per il Bonincontri formarono in seguito la base e quasi il ma-
gazzino della sua erudizione storica; infatti ad essi egli at-
tinse poi senza esitanza, quando dalle esigenze cortigianesche
era indotto a nuovi lavori. Tale una storia dei re di Napoli
1 Tabulae codiami inumiseli /dormii etc. m Jiibliotheca palatina Vin-
dobonensi asservatorum, Vindobonae, 1864-78, IV, cod. 5002, 7, e VI, cod. '
10650, 6.
- eli Annales si trovano per intero in una copia tarda, cioè nel codice
Magliabechiano Strozziano XXV, 669. II Muiutori, Scriptores, voi. XXI, p. l
sì_'lt., ritenendo la prima parte una derivazione dal Villani, ne pubblicò, da
un codice di San Miniato, solo i libri che trattauo degli auni 1340-1468.
138 CAPITOLO SECONDO
e di Sicilia dai Normanni agli Aragonesi, composta durante il
regno di Ferdinando, dedicata ad Antonello Petrucci. Essa si
componeva di nove libri ; ai quali iu appresso, sia per i ma-
teriali in parte raccolti, sia per i nuovi fatti accaduti nel Re-
gno durante gli anni che tennero dietro alla prima composi-
zione, lo scrittore ne aggiunse un decimo, a mo' d' appendice. '
Cosi il soggiorno alla corte sforzesca di Pesaro spinse il Bo-
nincontri a ricorrere agli Annali, per ripescarvi la vita di
Muzio Attendolo, sparsa in più capitoli. Volle tuttavia il de-
stino che il lavoro di compilazione venisse violentemente in-
terrotto nel 1483, per le ragioni più sopra ricordate ; dimodo-
ché solo dopo il 1484, essendosi il Nostro imbattuto a lioma
nel cugino di Costanzo, cioè nel cardinale Ascanio, legato pon-
tificio a Bologna, rinacque in lui l'idea dell'operetta. E la
compi, dedicandola al suddetto cardinale, nell'anno seguente,
col titolo di Sforciae vita. 2
1 II Muratori, Scriptores, XXI, p. 5, dà i titoli di ciascuno dei nove libri.
I libri V, VI e VII furono pubblicati dal Lami, Deliciae eruditorum, Floren-
tiae, mdccxxxix, tomi VI e VIII, sotto il titolo di Historturum utriusquc Si-
dìiae libri. Quanto al libro X, che dovrebbe contenere i fatti posteriori al
1486, non fu pubblicato mai, né rintracciato manoscritto. Che esso si do-
vesse comporre, si desumo da una promessa esplicita dell'autore, il quale
scriveva in fine del libro IX: « Ce te rum Àlphonsi acta alio volumiue inf-
ronda cimi ceterorum principum gestis decrevimus »; e che sia stato i
ti va. in ii te composto si appreude da un passo già cit. del Comtncnto ai due
poemi, a e. 63a, dove a proposito di re Ferdinando (del quale non possono
parlare gli Annales, che s'arrestino al 1458) dice di sé l'autore: «vera
esse vidit, quae scribit, uti in sua historia intexuit>.
8 La Vita si conserva nel codice latino 11088 della Nazionale di Parigi,
dal quale trascrivo volentieri la lettera proemiale, perché ad essa si attin-
gono i criteri per la datazione di quest' operetta non solo, ma anche del
passaggio del Nostro da Pesaro a Roma e del suo insegnamento romano. —
Laurentij Bonincontrij Miniatcnsis poiitae Sforciae vita ad Hl.m et It-
iti Christo patrem et <i.„.„„ Ascanium Mariani sanctorum Viti et Modesti
in macello Martirum Diacono Cardinali Sforciae Vicecomitj lìononiae-
que Legttto IKgnissimo. — Statucram paucis autea annis, 111."" et R.»c Ascani,
Sforciae avi tui fortissimi et plagiarissimi virj rcs gesta», Annalibus noti
inserta-, in unum volumeu redigere et ad ipsius et silurimi perpetuai» ui<-
moriain lieteris demandare ; seil verebar ne, rerum ab se gestarum pondero
oppressus, ingeuij mei tenni tatem magis detegerem, quam solereiam (lemmi -
strarein. Nec me latebat, ut de rebus magnis loqui cuique liberimi est, ita
et temerarium, fore complurcs qui mihi arroganciae vicinili Inponorent,
qui tam e.\ili atque conciso oracionis stilo, tam pracclarissimi viri res gè-
LORENZO BONINCONTRI 139
Però la breve monografia storica sullo Sforza non ha grande
importanza, e costituisce quasi un intermezzo cronologico fra le
opere della maturità del Bonincontri e quelle della vecchiaia ;
ò frutto dell' opportunità del momento, né dovette distrarre se-
riamente l'autore dalla composizione dei più notevoli lavori
senili. I quali, in numero di tre, vanno ascritti ai sette anni
del soggiorno romano, cioè al termine estremo della vita del
Nostro ; dalla qual condizione ritraggono naturalmente un' im-
pronta particolare. Hanno essi infatti un carattere comune, in
quanto ciascuno di essi rappresenta l'epilogo non inglorioso
d'una delle tre principali classi di opere anteriori ; quasi che
da vecchio il poeta, l'erudito e l'astrologo abbiano atteso, cia-
scuno per parte sua, a raccogliere le fila della lunga e ricca
trama dell'operosità giovanile e virile.
Della prima di codeste opere basta che qui io ricordi il
titolo e qualche notizia generale, avendone parlato già di pro-
posito e con larghezza in altra occasione.1 È una raccolta di
poesie religiose, parte in distici elegiaci e parte in metri li-
rici, con prevalenza del sistema saffico minore, distribuita in
stas parvo libello deniaudarem ; quanquara ab hac re III. C. Sforciae sobrinj
tuj virj omnium laude dignissimi iussio liberavit. Nani qui iussus aliquid
agit, non tara sua sponte id facere videtur, quam praecipientis parere man-
dato. Quare cum id agere coepissem, eius immatura mors et vix degustata
iuventa omnes ineas cogitationes consiliaque omnia perturbavit. Nam tam
et tanto Ill.mo viro orbatus, rei etiam familiari» necessitate compulsus, non
solimi destiti ab incepto, sed Romani petere sum coactus. dunque, duobus
iam annis elapsis, lectioni Astrologiae mihi publice demandatae vacacio da-
retur, pestilencia etiam increbrescente, non fuit consilium secordia tempus
terere. Senio insuper gravatus, statui sarcinulas meas colligere. Quod cum
ad decus laureae meae, timi ad immortalitatem nominis propagandam, quod
deseruoram peragendum suscepi. Cumque cogitarem cuinain hoc opus de-
8tinarem, tu in primis mihi occurris, quem bonis artibus plurimum delectari
intelligebam, et omnium bonarum arcium studiosos stimma cantate et libe-
ralitate maiori ab te fuisse susceptos atque adiutos. Accipe igitur, IUme et
R.mo pater et domine, Sforciae avj tuj vitam ex Annali bus mela pene totani
excerptam ; parvum profecto uiunus et vix mea aetate dignum. Quod qua-
lt'cumque sit tuo nomini dedicamus et censurae tuae castigaudum vindican-
domque relinquimus. Quod si videbitur Laurencio et amplitudini tuae di-
gnum, cum ceteris tuae bibliothucau libri» poteris collocare. Lege feliciter
et bene vale.
1 Nello studio, Gl'inni sacri d'un astrologo del Rinascimento, cit., dove
ho raccolto tutte le notizie critiche riguardanti i Fasti e il loro valore.
140 CAPITOLO SECONDO
quattro libri. Il titolo, che ne designa ad un tempo anche il
contenuto, suona: Dierum solennium Christianae Religionis
l. un. Fu suggerita da Sisto IV; e poi ripresa e compiuta
alcun tempo dopo la morte del papa, per rendere omaggio
alla benevolenza del cardinale Giuliano della Rovere. La data
— di essa già abbiamo toccato nella biografia — ne e triplice,
secondo che si badi al concepimento, che è del 1484, o alla
ripresa, dopo breve interruzione, che va portata fin verso il
termine di quel decennio, o al compimento e alla pubblica-
zione che sono del 1491. Degno di nota è questo libretto,
chiamato anche dei Fasti, per più ragioni : e per l'arte onde
son tratteggiati poeticamente i racconti sacri della sua fonte,
Iacopo da Varazze, e per la disinvolta sicurezza del distico ele-
giaco e della strofa saffica, e di qualche metro lirico meno
comune ; in secondo luogo per il sentimento religioso, che si
afferma in tutto il libro con la più sincera spontaneità ; final-
mente — ciò che a noi più convien di rilevare — per T ele-
mento astrologico, il quale in più maniere riesce a mani Te-
starsi anche iu quest'operetta. Esso si manifesta in quelle
parti astronomiche che, quasi trama di tutto il quadro, sud-
dividono l'anno religioso in periodi minori, determinando con
le stagioni le feste del culto, e stabiliscono perciò tra le solen-
nità della Chiesa e le varie figurazioni astrali degli stretti
rapporti. Si manifesta ancora in una proposizione pregiudi-
ziale, che l'autore, coerente alla tradizione astrologica da più
secoli cristianizzata, non esita a formulare fin dalla prima
poesia, eh' è un inno a Dio Padre, libero signore del mondo,
e quindi anche degli astri e degl' influssi :
Te duce, uilulgeut Jovis astra coelo,
Reddis et claruin Veneri nitorein,
Atque Fortunaui variare cogis
luiìllKl SUIIIIUÌS. '
Né bisogna tacere che della pregiudiziale teologica il vecchio
poeta si serve assai largamente e forse, per un astrologo, ino
prudentemente, quando scema agi' indussi il loro carattere «li
1 Fusti, I, I, v. 41-44, riportato amlie nel mio «imito ni., p. i
LORENZO BONINCONTRI 141
fatalità assoluta, e li riduce all'ufficio di flabelli divini sopra
le colpe del mondo, espiabili colla penitenza e domabili coi
miracoli dei santi. Curiosa è in ultimo una singolare colora-
zione sacra assunta qui dalla mitologia celeste, onde, per
esempio, l'Angue die s'avvolge intorno alle due Orse, non è
più l'idra di Lerna, bensi
ille malus serpens, qui compulit Evam
In laqueos vitae perfragilesquo vices ; l
e l'Aquila non è più l'uccello che rapi Ganimede ai piaceri
di Giove, ma il sacro simbolo dell' evangelista Giovanni.
11 secondo scritto senile non ci riesce nuovo. Abbiamo,
nel mettere insieme la biografia del Bonincontri, citato più
volte un Commento conservatoci da un codice vaticano, il
quale esattamente porta il duplice titolo: Lau. Bonincontri
commentarla in suos libros rerum divinarum et naturalium
ad Laurentium Medicem ; e Commentaria in tres libros de
rebus celestibu* Laur. Bonincontri ad Ferdinandum regcm. 2
Esso è dunque, come indicano queste parole, una compiuta,
estesa illustrazione dei due poemi, ricca di notizie storiche e
specialmente copiosa nel riferimento delle fonti ; è una esegesi
simile a quella composta dal Nostro intorno all'opera di Ma-
nilio. Non ha pregi di forma, né ostenta minimamente qualità
artistiche, dimodoché ben lo si può definire uno zibaldone,
scritto alla lesta, con semplice intento scientifico : intento che
si può dire raggiunto, con grande vantaggio delle nostre ricer-
che critiche. La sua composizione, come si ricava da più luoghi
del testo, è da porsi fra il 1484 ed il 1487 circa.3
i Fasti, i, io, v. u-12.
* Codice Vaticinio latino 3846, cartaceo, in-folio, di ce. 142. Non è auto-
grafo, ma di mano d' un amanuense evidentemente poco esperto, con fre-
quenti errori di trascrizione. Non riporta il testo poetico, ma i soli richiami
alle parole iniziali di ciascun verso commentato. Dei due titoli, il primo
la, ed il secondo a e. 68a.
3 I dati storici, clic abbiamo ricordati nella biografia come attinti al
Commento, stanno a provare che il principio della compilazione di questo
non può essere riportato oltre la venuta del Bonincontri a Rom.i. Per il ter-
mine ad quetn piova citare il passo seguente, che si trova a e. lllh. cioè
verso la fine dell'opera, ed è presumibilmente dell' ultimo anno di compo-
142 CAPITOLO SECONDO
Viene in ultimo un' opera propriamente scientifica, di-
cendo della quale potrem chiudere la serie degli scritti mi-
nori. Essa è, nella sua composizione definitiva (31 luglio 1491),
lo scritto più recente di Lorenzo, di proporzioni discrete e
molto importante perché rappresenta quasi l'epilogo del pen-
siero astrologico di lui. Ebbe una preparazione laboriosa, della
quale fortunatamente siamo riusciti a ricostruire la storia. Ci
sono infatti nella compilazione di essa tre periodi, il primo
dei quali risale fino all'anno 1477, ed è rappresentato da que-
gli Excerpta ex quatripartito ptholomei, di cui abbiamo fatta
espressa menzione a suo luogo. In questo periodo non tro-
viamo, come s'è notato, se non i materiali dell'opera, accu-
mulati, ordinati, ma nudi. Il secondo periodo ò di molto p
riore, ed è rappresentato da un Tractatus electionum terminato
« duodecima Maij, anno incarnationis 1489 », cioè nel tempo
del soggiorno del Nostro a Koma e del suo ultimo insegna-
mento universitario. ì È preceduto da una lettera di dedica ad
sizione : « Maia, Mercuri i mater, cuius stella est in constellatioae Brada»,
qnae constellatio nostro tempore 1487 est prope xx tauri pattern et non in
fronte ut oliin erat ». Un altro passo, a e. 106a, riporta una strofa della
prima saffica dei Fasti, ma la cita come appartenente ad un unico fatto-
rum libro, cioè secondo la redazione primitiva che è, come abbiamo ve-
duto, del 1484, e non già secondo la definitiva del 1491 ; non si oppone
ninnili alla datazione da noi stabilita, anzi la riconferma.
1 11 manoscritto, che per intero ce lo conserva, è il Vaticano Regina 1 1 1">.
cartaceo, del sec. xvi, miscellaneo. Il Tractatus occupa le ce. 886a
ed ha come explicit la data da noi riferita. Subito dopo il titolo in questo
codice viene, come da noi è avvertito, Dna € Epistola anetoris ad Cardina-
lem quendam », che comincia : « Solent plerumque liomines etc. ». Una parte
dell'operetta si trova pure nel Marciano Vili, 76, della Nazionale di Vene-
zia, a ce. lOOb-lllb. Il marciano è membranaceo, della fine del
dei primissimi del xvi, non autografo, e contiene, oltre la presente, altre
tre opere, o frammenti d'opere, del Honincontri. Importante per l'età a cui
risale, esso ci offre nell' incipit del nostro Tractatit* l'indicazione : « ail ili.
e. s. », che. pai analogia eoa I1 incipit dello scritto immediatamente pro-
cedente, ebe è dedicato* ad ili. e. Slortiam », è di agevole interpreta/ione.
Una raccolta preparatoria di materiali per la composisione del Truck
con derivazioni singolarmente da uno scritto di Qnido l'.onatti, trovasi pure
nidi' Kstense hit. n.° 408, già citato, nel quale a e. la si legge: « Saldi l'o-
liati adliresiacio t|iiaedam utilis de rerolnoioaibu annorum mundi et nati-
vi tatù m ae etiain alioruin sapientuin dieta per me Laa. Ronineontruni Mi-
uiatensem eolecta ».
LORENZO BONINCONTRI 143
on cardinale, che, se dobbiam credere all' affermazione d' un
codice Marciano autorevole, è lo stesso Ascanio Sforza, a cui
Lorenzo avea prima dedicata la Vita di Muzio Attendolo.
È suddiviso in dodici parti, secondo le dodici case zodiacali
del cielo, per ciascuna delle quali si riporta il brano corrispon-
dente del Quadripartito, qui giudicato non interamente tole-
maico, quindi i passi analoghi del Centiloquio, e finalmente la
trattazione originale del Bonincontri. Tutto il manualetto, che
cosi ben può intitolarsi il Tractatus, fa capo ad un quesito,
del quale si tenta, ma non si raggiunge, una soluzione netta
e precisa: il quesito delle predizioni singolari. In altri
termini, il vario e scelto materiale antico, le acute osserva-
zioni nuove dell'autore, tendono a provare che per ogni sin-
gola posizione del cielo determinabile colla teoria delle case,
è possibile l'interpretazione dell'influsso; ciò che da molti
era negato. Ma la risposta incerta, come ho detto, lasciò insod-
disfatto anche Lorenzo, il quale presto pensò a rimaneggiare
l'opera imperfetta, e compose il Tractatus revolutionum anno-
rum, nativitatum et interrogationum, detto pure, per distin-
guerlo dai due precedenti, Integer tractatus de revolutionibus
nativitatum. È questa la terza redazione, quella del 1491,
compiuta l'ultimo giorno di luglio, e, se anche in questo caso
vogliam credere all'autorevole codice Marciano già visto, de-
dicata a Giovanni Sforza signore di Pesaro. l
1 Secondo il Mazzuchelli, Scrittori, II, parte IVa, p. 2393, questo scritto
bonincontriano fu anche impresso, senz' alcuna nota di stampa, in-8° e de-
dicato — dall'editore? — « ad F. Colotium Regium Consiliarium ». A me
venne fatto di leggerlo nel codice latino 7417 della Nazionale di Parigi, una
miscellanea del sec. xvi, dove lo si trova a ce. 176a-221a. In un altro ma-
noscritto lo si conserva a Vienna, come si apprende dalle Tabulae codicum
etc, cit., IV, cod. 5503, 14. Finalmente lo si incontra a ce. la-62a del ri-
cordato Marciano Vili, 76. La designazione di Integer tractatus appartiene
al Parigino, il quale nell' explicit ci conserva pure la data del 1491, però
senza indicazione del mese. Invece il Marciano meglio ci informa del-
l'epoca e del luogo, non solo avvertendo che Lorenzo compi l'opera « Ro-
mae, ultima iulii 1491, annum agens secundum et octogesimuin », ma in una
nota insegnandoci che in un codice migliore, cioè in quello, nientemeno,
di dedica, si leggeva 1' incipit in questi termini : « Opus eximiuin celeber-
rimi astronomi domini Laurent ii Bonincontri miniatensis, ad inciytum Joan-
nein Sfortiam, l'isauri principein, de revolutionibus etc. » K poiché son die-
144 CAPITOLO SECONDO
La trattazione vi si svolge in due parti distinte, che for-
mano appunto due libri. La prima, o parte espositiva, discnte
il quesito, rimasto insoluto o quasi nei periodi precedenti, e
viene ad una conclusione intermedia fra la recisa negazione e
l'affermazione assoluta. Vi si legge infatti il brano seguente,
ispirato alla massima prudenza : « Ego autem dico hanc rem,
quoniam nimis ad particularia descendit, esse cuiiosiuribus re-
liquenda. Iuxta Ptholomei doetrinam non debcmus ad partieu-
laria condescendere, sed ad ea qnae commode sciri possunt.
neque esse ad omnia descendendum ». l Però dopo rione il
temperamento, molto abilmente desunto dalle stesse restrizioni
tolemaiche, le quali, chi ben le osservi, non negano la |>
bilità, ma solo la facilità delle predizioni singolari. Posto adun-
que che queste sian possibili, per quanto ardue, è compito del-
l'astrologo il tentarle; e la via migliore per il tentativo è l'etti
tozza dei calcoli matematici applicati all'astronomia ed alla
scienza del calendario, onde si elimini qualsiasi causa d'er-
rore. Si passa in questo modo alla seconda parte dell'opera,
cioè alla questione astronomica pura, la quale forma il piano
d'una serie di tavole e di numeri, del cui valore scientifico
non sono in grado di sentenziare.
IV.
Chi mi ha seguito in questa lunga, per quanto sommaria,
enumerazione di opere, deve essersi fatta oramai un'idea ade-
guata dell'importanza del Honincontri nella vita filosofica e
tro a parlar di lineato OOdiee, aggiungerò che in esso, oltre ai lini* trattiti
del (piali discorriamo, si trovano dne altre raccolte di scateni I aforismi
riferiti a LOTSAM, a oc. Ma 7'.>:i, ed a ce. 79b l<x>l>. La prima 'li esse, de
dieata a Otovaanl Sforna, è un estratti», che potrebbe anche attribuirsi al*
l'autore, da altro opere note e specialmente dall' Intnirr trartatns; la «e-
c.nnla, dedicata al cardinale kscanlo, un estratto specialmente dal Traci
eieetionum.
1 Cod. latino 7417 della \az. di Pari-i. e. 208a.
LORENZO BONINCONTRI 145
letteraria del Quattrocento, e converrà certo meco nel giudi-
zio che del nostro astrologo ho dato fin dal principio, cioè fin
da quando ho fatto per la prima volta il nome di lui. Invero
fu duplice lo scopo per cui non ho risparmiato a me la fatica,
al lettore il tedio della diligente rassegna: ho voluto, come
avevo promesso, lumeggiar la figura del mio autore da ogni
lato, integralmente; poi ho desiderato che tutto ciò che nella
vita e nel pensiero di lui ebbe dei rapporti col problema astro-
logico, e per conseguenza coi poemi scientifici, venisse toccato
in ordine cronologico, il più evidente degli ordini di studio
quando si tratti di documenti prima ignoti, numerosi e d'un
genere poco comune. Ho preparato in questo modo il terreno
e classificato i materiali per la costruzione, cioè per l'analisi
critica di quelle opere, in grazia delle quali il Miniatese tiene
un posto glorioso fra i poeti dell' astrologia. Ed a codesta
analisi critica vengo senz'altro, e pongo come primo punto
d'osservazione il seguente problema : — conoscendo che pre-
cipua occupazione del Bonincontri fu lo studio del poema di
Manilio, come e fino a qual punto il poema dello stoico è
stato dal Nostro indagato e compreso ? In altri termini,
prendo in esame uno scritto di Lorenzo, che di proposito ho
soltanto nominato nell' elenco suddetto, il Manilio riveduto e
commentato.
L'edizione curata dal Bonincontri non è, come ognun sa,
l'edizione principe degli Astronomici. Un celebre astronomo
tedesco, del quale è occorso anche a noi di fare il nome po-
che pagine addietro, fin dagli anni 1472-73 aveva pensato di
pubblicarli ; dico del Regiomontano e della sua stampa, uscita
in piccolo, nitido, elegante formato a Norimberga, e condotta
sopra una copia di quel codice di San Gallo, che, come ab-
biamo più volte ripetuto, era stato scoperto nel 1416. Natu-
ralmente 1' esemplare manoscritto, che pare fosse stato fornito
all'editore dal Toscanelli, determinò la prima redazione a
stampa, secondo il testo guasto e lacunoso del Poggio ; l testo
1 L' ipotesi del dono fatto al Regiomontano dal Toscanelli è di G. Uziilli,
Paolo del Pozzo Toscanelli iniziatore della scoperta d'America, Firenze,
Soldati 10
146 CAPITOLO SECONDO
che venne integralmente riprodotto a Bologna nel 1474 l ed a
Napoli, credesi, nel 1475. 2 Un'edizione e due ristampe esiste-
vano adunque del poema maniliano, quando il Bonincontri si
propose di farlo uscire nuovamente alla luce non solo fornito
d'un commento scientifico e letterario, ma anche più corretto
nella lezione. La redazione di lui differisce pertanto dalle prece-
denti in primo luogo per il testo, in cui vennero colmate le la-
cune e riveduti i passi dubbi od errati per mezzo d'una diligente
collazione del codice, a noi già noto, di Monte Cassino, e con
1892. L' edizioncina, che non ò diffìcile trovare nelle nostre biblioteche, non
ha note, e porta, unito all' explicit, il seguente epigramma:
« Ridetur merito sciolorum insana caterva
Vulgo qui vatum nomina surripiunt.
Heus, quicumque velis Latia perdiscere musa
Sydereos nutus fallere difflciles,
Manilium sedare gravem, qui tempore divi
Floruit Augusti. Lector amice, vale.
Ex officina Joannis de Regiomonte habitantis in Nuremberga oppido Germa-
niae celebratissimo ».
1 II Manilio non è solo in questa stampa, ma a lui si accompagna la
traduzione aratea di Cesare Germanico. L' explicit comune è il seguente :
€ Bononia inipressum per me Ugonem Rogerium et Dominum Berthochum
anno domini 1474 die vigesima Martii. Laus Deo. Amen ». Sopra un esem-
plala di questa stampa scrisse il Bonincontri le prime postille, che poi, ac-
cresciute, diventarono il Commento. Questo esemplare dicesi esistesse una
volta in Laurenziana (v. Uziki.i.i, op. cit.). Un secondo esemplare, non meno
importante, è conservato in Riccardiana, fra i libri rari, al n.° 4:51. Sull' in-
terno della tavoletta anteriore della legatura porta scritto : « Bartholom.uj
Fontij et amicorum », onde nasce spontanea l' ipotesi eh' esso sia appunto
il testo, sul quale il dotto fiorentino segui allo Studio le lezioni del Mi-
niatese. Ipotesi avvalorata dal fatto, che nei margini di detto libro -
servano numerose annotazioni manoscritte, che trovati riscontro nel I
mento bonincontriano, ed alcune anzi portano il nome del maestro : serva
d'esempio per tutte questa sola citazione della postilla al lib. II, v.
« Quae nunc auctor prosequitur de signis dnplicibus nullibi repperiri dici!
Laurentina] ». Intorno a questo curioso documento v. alcuni miei appasti
critici in divista di filoì. ed istr. classica, XXVIII, 2.
' Tanto questa edizione, che usci dall'officina di .latine. Hoei
senza data d'impressione, quanto la precedente, sono evidenti di
di quella di Norimberga, di cui riproducono anche l'epigramma finali
giungo, a titolo di curiositi bibliografica, che altre due stampe maatliaM
uscirono, dopo quella del Bonincontri, nel sec. xv : I' una senza india
di luogo e d'anno, e l'altra a Milano, in-folio, nel 1489, < per Antonium
/unitimi Parmensem ».
LORENZO BONINCONTRI 147
l'uso prudente della critica congetturale;1 in secondo luogo
per l'esegesi astrologica, filosofica e filologica, fissata per la
prima volta con larghezza e di proposito da Lorenzo negli anni
del suo insegnamento fiorentino, ed abbondantemente ripro-
dotta a pie di pagina e nei margini della stampa. 2 La quale
usci, come abbiam detto già, in Koma, il 26 d'ottobre del 1484,
dedicata al cardinale Raffaele Riario.
Quanto alla contenenza critica, la prima osservazione che
ci cade sott' occhio riguarda le notizie storiche, che il com-
mentatore raccolse intorno al poeta latino ed espose nella Pre-
fazione del libro suo : notizie tutt' altro che trascurabili, giac-
ché sono desunte da quegli stessi accenni cronologici interni,
intorno ai quali si affaticano ancora le interpretazioni degli
studiosi più recenti. È infatti merito del Bonincontri l' aver
sostituito alla forma Mallio delle edizioni anteriori il nome
Manilio, che anche oggi è ritenuto più sicuro, e d'aver per-
ciò esclusa l'attestazione di Plinio, secondo la quale l'antico
poeta sarebbe stato uno schiavo orientale ; è merito suo l'avere
additato come utile indizio cronologico, i noti versi del libro
quarto, nei quali si accenna al soggiorno di Tiberio nell'isola
di Rodi, durante gli ultimi anni dell' impero di Cesare Augu-
sto. Va però alquanto lontano dal vero il nostro astrologo,
quando vuole che quei versi provino che la morte di Manilio
1 Ecco come l'autore stesso nella Prefazione c'informa della fatica com-
piuta da lui e dall' amico suo Tolomeo Gallina intorno ai libri maniliani :
« Accepi ab Antonio Panormita viro doctissimo atque poèta, cum Alphonsi
temporibus Neapoli essem, quosdam quinterniones valde perturbatos vetu-
stissimosque, quos ex bibliotheca Cassinensi se accepisse dicebat, qnosque
ni i li i tradidit dirigendos .... quos ego quinterniones transcripsi una cum
Ballina Siculo, in quibus etiam quosdam versus pluribus locis inveni, quos
in cxemplaribus Poggii aut impressorum deesse cognovi. . . . Quos. . . . cum
Florentiae conductus legerem, ut potui, emendavi », Lau. Bonino, eto. in L.
Monili uni Comentum, e. 3b.
2 Si noti bene che, quantunque fissata nella forma definitiva dopo il 1476,
cioè durante l' insegnamento fiorentino, la materia del Commento venne ra-
dunata a poco a poco negli anni anteriori, a partire probabilmente dalla
collazione del codice cassinese, che risale, come dicono le parole riportate
nella nota precedente, ai tempi di re Alfonso, cioè prima del 1458: tanta
mole di notizie e di citazioni dovette infatti essere il risultato di letture
lunghe e pazienti.
148 CAPITOLO SECONDO
sia da porsi prima di quella d'Angusto: quei versi, come ognun
sa, ammettono benissimo che il poeta sia vissuto e sotto il
primo e sotto il secondo imperatore romano. ' Egli è invece
interamente nel giusto quando mette in rilievo la vasta eru-
dizione e la perizia letteraria del suo autore, contrapponendosi
all'opinion di certuni, che ne volevano fare un fanatico ed un
mediocre verseggiatore. 2
Il commento che, a mo' di cornice al testo, occupa gli ampi
margini del libro, è condotto in forma strettamente esegetica,
fìtto di citazioni erudite, abbondante si da restringere lo spazio
riservato all'opera maniliana a pochi versi per pagina. Non è,
per verità, tutto e sempre d'un medesimo valore, spesso incon-
trandovisi osservazioni di scarsa importanza accanto ad altre
acute e di evidente necessità. Anche i nomi degli autori, ai
quali il Bonincontri ricorre sia come a fonti utili per l' intel-
ligenza del testo, sia per cavarne de' raffronti interessanti con
dottrine posteriori, appartengono a periodi ed a campi «iiffe-
rentissimi. Molto egli si vale, per esempio, delle opere fisiche
d'Aristotele, e non di rado si richiama a Platone, forse per
l'azione esercitata su di lui dall'amicizia del Ficino, come
avrò fra breve da mostrare; né con quel di Platone dimen-
tica i nomi di Porfirio e di Jamblico. D'altra parte con gran
frequenza cita i testi sacri, de' quali mostra una pratica non
comune; ed i Dottori della Chiesa, primo fra tutti aant* Ago-
stino, la sua tavola di salvezza, che vorrebbe sempre lo soste-
nesse là dove il rischio d'una affermazione poco ortodossa lo
fa pili circospetto : ricorda in molti luoghi anche san Girolamo.
Sono autori suoi nelle questioni scientifiche Tolomeo ed Albu-
masar; per la storia naturale fa largo uso di Plinio, per la
1 Astronomicon IV, v. 763-766. Intorno allo stato presenta della Mi-
stione cronologica maniliana v. il già cit. atndio di F. Ramorino. Quo ""-
norum spatio M. Astronomicon libros composuerit, in Studi it. di filai,
class., VI, p. 828-362.
* K interessante notare con quanto minor entusiasmo del Boalaooatrl
discorresse di Manilio, specialmente dal punto di vista letterario, il Borea-
tino Pietro Crinito, memore forse del giudizio del sno grande maestro, il
Poliziano: P. Criniti, DepoHis latini*, cap. XLI, in Opera, flenevae, mdx( \ m,
p. 718.
(LORENZO BONINCONTBI 149
mitologia di Igino, di Ovidio e a volte anche d'Esiodo, per
tacer di Arato co' suoi traduttori latini ; riporta, per combat-
terlo, come vedremo, Lucrezio, e si compiace quasi ad ogni pie'
sospinto di rammentare i fantastici scritti di Ermete Trisme-
gisto e le non meno meravigliose elucubrazioni di Firmico Ma-
terno l'astrologo. Naturale è infatti che in quest'ultimo il Bo-
niucontri trovasse larga materia per utili postille, dal momento
che, come noi sappiamo, passarono in esso tali e quali molte
delle idee di Manilio, salvi i commenti e le aggiunte; ma
degna d'esser notata è la circostanza che dei plagi non de-
nunciati il Nostro qua e là s' accorge e non tace, come in
principio del quarto libro degli Astronomici, dove esclama :
« Julius Firmicus per totum primum librum sui operis ab isto
< Manilii > omnia excerpsit et tamen nullam huius pogtae
mentionem fecit! »
Dalle dissertazioni, in cui si manifesti chiaramente 1' opi-
nione sua personale o si sviluppino importanti teorie astrolo-
giche, il Bonincontri generalmente si astiene; il suo metodo
esegetico lo induce ad esplicare semplicemente le frasi, i vo-
caboli alquanto oscuri del suo autore, qualche volta nel puro
senso filologico letterale. Ed il cumulo delle citazioni erudite
non sempre corrisponde a grande profondità di vedute. Onde
se ci proponessimo di indagare quale atteggiamento egli prenda
di fronte all'opinione etica e fisica di Manilio, temo che non ci
raccapezzeremmo cosi facilmente, non trovandosi in alcun luogo
un' affermazione tanto recisa, da separare il pensiero del com-
»mentatore da quello dello scrittore antico. Lorenzo ama, o,
meglio, ammira il suo poeta, cerca di lumeggiarne le teorie,
spesso pare che ne prenda le difese contro i reali o possibili
assalti degli oppositori; ma ne condivide davvero la respon-
sabilità morale e filosofica ? Ecco ciò che non appare abba-
stanza chiaramente e che potrebbe, con opportuni riscontri,
venire a volta a volta sostenuto e negato.
^Un punto fondamentale, sul quale il Bonincontri non tra-
scura d' insistere ripetutamente, è questo : che egli, per quanto
studioso appassionato d' un autore pagano, intende di non var-
care mai i limiti della pili ossequente ortodossia. Onde ver-
150 CAPITOLO SECONDO
rebbe la conseguenza logica che in parecchi casi, anzi nei
brani di maggior rilievo, il commento suo debba atteggiarsi
o ad esegesi puramente storica ed obbiettiva, o ad opposizione
aperta. Il guaio si è che la famosa dichiarazione, come ben
fu notato per altri astrologi di non dubbia opinione ereticale, '
non ha valore assoluto, né rispecchia sinceramente 1" intima co-
scienza di colui che la scrisse;2 essa è un'insegna menzognera,
un riparo dalle accuse della censura ecclesiastica, la quale,
come sembra, non si compiacque sempre di smascherare, a ri-
schio di destar degli scandali, tutti gli errori. Bisognerà per-
ciò che, lasciando le parole, rivolgiamo lo sguardo alle idee,
dove queste si possono cogliere con sufficiente precisione, e
prendiamo in esame i passi maniliani più caratteristici dal
punto di vista teorico-astrologico.
È ovvio in primo luogo che a metà del primo libro (v. 483
sgg.), dove il poeta stoico vigorosamente attacca la concezione
atomistica dell'universo, il commentatore stia per l'assalitore
Invero lo Stoicismo è assai men lontano dalle idee cristiane
almeno per ciò che si riferisce alla concezione d'un Dio crea
tore e governatore del mondo, che non l'Epicureismo; ed in
tenzionalmente, come pur ora si è detto, il Bonincontri è cri
stiano. Ma nel famoso proemio del libro quarto, dove Manilio
con splendide parole, con intonazione quasi sacerdotale, svi-
luppa e porta alle ultime conseguenze la teoria fatalistica, so-
stenendola con una serie di esempì, per mezzo dei quali trova
1 Anche Cecco d' Ascoli, quando si trovava a mal partito, usciva in frasi
piene di devozione verso la provvidenza divina, in aperto contrasto con al-
tre sue affermazioni condannate dalla Chiesa. Vedi 0. Bormo, Il « J)e prin-
cipii8 astrologiae » di C. d'A., in Giornale storico, Sappi. 6°, p. 86-36.
* Anche nella chiusa del commento honincontriano al Centiloquio di
Tolomeo, contenuto nel cod. Laurenziano XXIX, ft, da noi ricordato a suo
luogo, si legge, a proposito delle comete, una dichiarazione, che è b«M
trascrivere testualmente, come saggio: e Isti cometes . ...an impediant ar-
bitrii libertatem magna quaestio est. Unde cnm fide Catholica .senti'
diramila cometas magis signa esse futurorum accidentium quatu illorum eau-
sas. Unde bene, pie, iuste, sancteque viventes non timent stellarmi! aut e<>-
metarum influxus, quoniam in anima rationali non possunt qiiirquam ope-
ra ri. Unde ergo dictum et scriptum est : A signis caeli nolite metuere. Deo
igitur laus, honor et gloria per infinita saecula saeculorum. Amen ».
LORENZO BONINCONTRI 151
modo di rievocare i più grandi avvenimenti della storia ro-
mana dalla venuta d'Enea alla disfatta di Varo; ma in quel
famoso proemio, ove davvero è il nodo della questione morale
dtir astrologia, c'era per il pensiero del Miniatese la pietra di
paragone. Ebbene, in codesta occasione il suo modo di pensare
non può essere dubbio: egli sta coi filosofi del Cristianesimo.
Egli non si nasconde infatti il rischio a cui si espone trat-
tando di quella necessità dell' influsso, « de qua tam multa
nostri theologi disputant » ; l pare anzi, da certi indizi anche
esteriori, 2 eh' egli si circondi d' ogni cautela per non cadere
nei due estremi, o di venir meno all' ammirazione per Mani-
lio, o di scivolare neir eresia. Esordisce perciò con una dichiara-
zione, che è bene riportare testualmente: « Haec litera est
tota aurea et bene camminenda memoriae et non indiget
multa expositione , sed videamus literam».3 Non si pro-
nuncia dunque intorno al merito della questione, ma si limita
a spiegare oggettivamente il significato letterale del testo,
resistendo ad ogni altra seduzione. Più sotto, annotando con
esempì di parti mostruosi desunti dalla storia o dall'esperienza
sua propria, il verso 105 dello stesso libro :
Astra novant formas, caelumque inteserit oras,
dopo essersi indugiato tanto da far dubitare ch'egli accon-
senta all' opinion del poeta, conchiude freddamente : « denique
conclusio literae est plana ». Ed in fine al passo dove la
fatalità della espiazione è da Manilio posta in rapporto con
1 Commento al v. 1° del libro IV.
* Neil' esemplare da me us;ito, che appartiene alla Nazionale di Firenze
e porta la segnatura B. 3. n.° 11, si leggono nei margini qua e là delle
postille manoscritte, che hanno tutta l'apparenza d' essere autografe. Una,
per esempio, in calce ai vv. 243 sgg. del lib. IV, cosi comincia: « Versus
ni'-i Lau. Bonincontri » e riporta i primi dieci versi dell'ultimo libro del
secondo poema bonincontriano intorno ai pianeti. Ora proprio nel margine
inferiore della pagina, dove principia il libro IV, e su quello superiore della
tegnente, si trovano una definizione del « fato » di Apuleio ed alcune osser-
vazioni di Piatone riguardo alla Fortuna: segno che anche dopo edito il Com-
mento l'autore continuava a raccogliere materiali intorno a codesto punto
essenziale e controverso.
3 Commento al v. 88 del libro IV.
162 CAPITOLO SECONDO
la fatalità della colpa, ristrettosi alla pura parafrasi del testo,
rimanda il lettore ad un certo brano del primo libro, che per
l'importanza sua voglio trascrivere per intero:
« Fatum esse.... divinarci legem per quod inevitabiles, ut Plato
asserit, Dei cogitationes et previsa complentur; et in Gorgia dicit
effeminati esse animi dicere se cogi a Fato, permultaque ab nomine
fieri posse, quae fatali non insunt necessitati subiecta. Unde quic-
quid Providentia Dei agitur, Fato etiam agitur, et quod Fato ter-
minatur, Providentia debet susceptum videri ; nec sane ad vim Fati
omnia esse referenda. Quod sacris literis etiam continetur. Boetius
autem dicit: Fatum est inbaerens rebus mobilibus dispositio, per
quod Dei Providentia suis quaeque nectit ordinibus. Caldei aatom
asserunt astrorum disciplinam esse fatalem. Jamblicus vero ille pia-
tonicus dicit esse in hoinine duas animas, quarum una a primo de-
scendit intelligibili creatorisque sui virtutem representat, quam in-
tellectivam nominat ; alteram quae a diurna coeli revolutione cor-
poribus impartitur accomodata ad membrorum usum, quae sensitiva
est et Fato subiacet; altera vero vim fatalem necessitatis exsupe-
rat. Ea autem appellat fatalia, quae praeter hominum voluntatem
necessitate quadam divini ordinis contingunt, ea fortuita, quae vel
nullas habent causas, vel non aliquo rationabili proveniunt >. l
Qui è chiaro, o io mi sbaglio, che l'opinione dello scrittore
non discorda da quella attribuita in principio a Platone, con
più cura delle altre commentata, e sostenuta col richiamo as-
sai significativo ai testi della sacra scrittura. Ed è chiaro del
pari che — in opposizione alle teorie maniliane — il fato
viene dal Bonincontri identificato colla provvidenza divina, o
ad essa sottoposto, lasciandosi pure una via aperta all'eserci-
zio del libero arbitrio.
Del resto che le idee di Lorenzo fossero proprio di questo
genere ci è confermato da un documento di primissima impor-
tanza, vale a dire da una lettera del Ficino, la quale, poiché
appartiene al libro terzo AeW Epistolario, anche essendo priva
di data, va ascritta al 1476 o 77, * cioè al tempo del sog-
giorno del Nostro a Firenze (il Ficino scriveva forse da Ca-
reggi) e delle lezioni di lui su Manilio. Adunque il Ficino ri-
1 Commento al v. 1° del libro I.
1 A. Della Torri, Storia dell'Accademia platonica, Firenze, 1902, p. 77.
LORENZO BONINCONTBI 153
sponde ad un quesito del Bonincontri e, dopo il solito esordio
rettorico, nel suo latino enfatico, dice : « Defers ad nos iudi-
cium inter numina tria gravissimum, inter Providentiara vide-
licet et Fatum et Libertatem. Audisti ad Paridern quondam
iudicium inter tres deas fuisse delatura. Ego autein discrimine
tanto offendere numina nolim ;
manet alta mente repostum
Iudicium Paridis spretaeque iniuria formae.
Forte vero nihil amplius superest perieli. Videris ipse cau-
tissimam de iis tulisse sententiam. Non enim inepte,
ut nonnulli consueverunt, seiunxisti numina, sed in-
vicem aptissime coniunxisti ».] Le quali ultime parole,
che non richiedono, mi pare, spiegazione, ci danno pure una
preziosa informazione sulla prudenza usata dal Miniatese e sui
rapporti ideali di lui con l'Accademia platonica fiorentina.
Differenti dunque sono le conclusioni a cui giungono Ma-
nilio e il suo commentatore intorno al più grave dei problemi
dell'astrologia; ma non perciò resta escluso che questi sia pe-
netrato nell'esame oggettivo del pensiero del suo poeta, e vi
abbia acquistata una larga dottrina. Della quale è valida te-
stimonianza il commento al libro terzo, dove l'oggetto del-
l'esplicazione è il delicato problema delle predizioni singolari.
Ammessa infatti, come vediamo che fa il Bonincontri, negli
astri la facoltà di indicare, se non di produrre, gli eventi
umani, fino a qual punto di determinatezza si possono spin-
gere le indagini dell' astrologia ? Manilio crede che si riesca
a scoprire anche le cose minute, quando i calcoli siano mate-
maticamente esatti e non si sia trascurato nessun fattore essen-
ziale : della stessa opinione è Lorenzo, il quale spiega in que-
sta interpretazione grande perizia dialettica. Né riguardo ad
essa s'accontenterà più tardi delle cose qui esposte, ma dal
passo maniliano ricaverà l'argomento di quel Tractatus de
revolutionibus che noi conosciamo.
1 Marsilii Ficini Opera, Basileae, 1576, II, p. 750, ZJpistol. III.
CAPITOLO TKRZO
I due poemi del llonincontri.
I. Bibliografia e cronologia. — II. La materia, le fonti e il valore del primo
poema. — III. Il primo libro del secondo poema. — IV. I due ultimi libri. —
V. Pregi e fortuna di tutta l'opera.
I.
C è in Laurenziana un bel manoscritto pergamenaceo, Pluteo
XXXIV, codice 52, di ff. 115, di mm. 210X125, che contiene
sei libri di esametri latini, di bellissima calligrafia quattro-
centina, in inchiostro nero, tolti i primi due versi d'ogni libro
che sono in rosso e lascian lo spazio libero per l'iniziale mi-
niata. Questa manca, salvo nel primo libro, ove si ammira un
bel C d'oro con arabeschi d'oro in campo turchino, e, chiusa
nella curva della lettera, una figura d' umanista, forse 1' au-
tore, con un libro in mano. Mancano pure tutte le testate e
Yexpliciti onde si vede che l'opera dell'amanuense non fu
compiuta; solo si osserva, al piede della prima facciata, a co-
lori, l'impresa medicea. Quantunque non si legga alcun titolo,
anzi ci inganni una erronea indicazione sulla copertina, noi
qui siamo in presenza del miglior esemplare dei due poemi
scientifici di Lorenzo Bonincontri, disposti in ordine naturale,
cioè in modo che quello, che è dedicato a Lorenzo il Magni*
fico, precede quello dedicato a Ferdinando aragonese. Dico
del miglior esemplare non solo dal punto di vista esteriore o
calligrafico, ma anche per la correttezza del testo, il quale do-
vette, senza dubbio, essere esemplato sopra un autografo e sotto
la sorveglianza diretta dell'autore, e forse da quest' ultimo de-
stinalo in dono al suo protettor fiorentino.
I POEMI DEL BONINCONTRI 155
L' opera bonincontriana ci è però conservata, o tutta o in
parte, anche da altri manoscritti, alcuni dei quali sono, per
certe loro caratteristiche, di somma importanza. È notevole,
per esempio, il Vaticano latino 2844, cartaceo, scritto con mano
corrente, senza fregi, il quale comprende per intero i due poemi
nell'ordine naturale, possiede i titoli dei rispettivi libri, meno il
primo del secondo poema, e presenta di fronte al Laurenziano
qualche minima variante nel testo. E poiché nella segnatura
vaticana è seguito immediatamente dal Commento, che l'autore
fece da vecchio all'opera sua poetica, scritto di pugno dello
stesso amanuense, cosi va riportato agli anni 1484-87, ai
quali, come abbiamo veduto, è da riferirsi il Commento. Si-
mile, anzi uguale in tutto ad esso, è la copia contenuta a ce.
I02a-172a dell'Ambrosiano E. 12. Sup., miscellaneo, cartaceo,
di scrittura umanistica corrente. Quarto ed ultimo dei com-
pleti viene il Vaticano-Urbinate 703, che è un elegantissimo
codice membranaceo, ricco di iniziali dorate, ornato da una
bella arme gentilizia feltresca, listata da una fascia rossa col
triregno e le chiavi, che ci fa pensare a Sisto IV, legato di
parentela con l'ultima erede dei Montefeltro, per mezzo di suo
nipote Giovanni della Rovere. Non ha grande valore. I due
poemi vi son disposti in ordine inverso e tenuti del tutto divisi.
Fra i non completi ricorderò primo il Magliabechiano-
Strozziano classe VII, cod. 1099, cartaceo, di scrittura non
elegante, certamente non autografo, il quale contiene solo il
primo poema. Di questo manoscritto ho già avuto occasione
di discorrere quando, nella biografia del Bonincontri, mi son
riferito a certe postille marginali, le quali formano appunto
ciò che in esso c'è di più notevole. Tali postille, scritte in
inchiostro rosso sui margini, non sono molte ed illustrano il
testo negli accenni cronologici, il più recente dei quali, a
e. 12a, si riferisce all' anno 1472. Il che mi farebbe supporre,
tenuto conto altresì del fatto che qui troviamo solo il primo
poema, che il codice sia da assegnare agli anni 1475-76,
e che la mano del testo e delle illustrazioni sia di qualche
fiorentino amico o uditore di Lorenzo allo Studio. Altri due
manoscritti, gli ultimi che io mi conosca, contengono solo il
156 CAPITOLO TERZO
secondo poema. Il loro valore è scarsissimo, essendo l'uno,
cioè il codice latino 8342 della Nazionale di Parigi, una
semplice copia, con qualche postilla marginale dichiarativa
di alcuni difficili passi astronomici ; e l' altro, cioè il Vati-
cano latino 2833, un esemplare scorretto, inserito in una mi-
scellanea del sec. xvi appartenuta al Colocci.
Ma oltre a queste copie manoscritte complete o parziali,
dell' opera poetica di Lorenzo Bonincontri possediamo un'edi-
zione, non intera, cioè contenente il solo secondo poema.
Essa è dovuta alla cura del noto astrologo Luca Gaurieo, il
quale, « prò communi utilitate >, s'era proposto di stampare i
tre libri « de rebus coelestibus » del Nostro presso la tipografia
aldina, nel 1526; poi, mutando parere, condusse a termine
l'edizione presso l'officina veneziana dei « de Sabio » e la de-
dicò, con una pomposa epistola parte in prosa e parte in versi,
nella quale lo scritto bonincontriano è detto nientemeno che
« opusculum poene divinum », a Federigo Gonzaga marchese di
Mantova.1 Ne usci pertanto un libretto elegante, ornato nel
frontespizio d'un bel fregio bianco su fondo nero,, di 44 pa-
gine circa, in caratteri chiari, umanistici, con titoletti e ru-
briche marginali. Da quale manoscritto esso sia ricavato non
saprei dire, né importa sapere; basti notare che la lezione sua è
identica a quella del codice Laurenziano da noi esaminato per
primo. Pochi anni appresso, forse nel 1540, questa edizione fu
riprodotta, con leggiera variante nel titolo, ma restando immu-
tati il testo e la dedica, a Basilea, presso Roberto Winter; e
più tardi ancora, nel 1575, usci per la terza volta, come sem-
plice ristampa, nell'edizione basileese delle Opere del Gaurieo,
al volume secondo.8
Tale è la bibliografia, abbastanza chiara e precisa, dei due
poemi, sulla scorta della quale ci è lecito, in primo luogo, de-
1 LiURKNTii Bonincontri Minutensis De Rebus coelestibus aureum opu-
sculum, ab L Gaurieo Neapolitano Prothonotario recognitum super, Fi
tiis impressimi, M.D.XXVI — ; ed in fine: Venetiis, per Ioannemantonium et
fratres de Sabio, M.D.XXVI. Un esemplare ben conservato esiste nell' Univer-
sitaria di Pisa, Misceli. 421, n.° 2.
' Per le due ristampe, meno rare dell'ediz. principe, v. P. Riccardi,
Biblioteca matematica italiana, Modena, 1870, I, col. 208.
I POEMI DEL BONINCONTRI
157
terminare il testo che meglio potrà servire al nostro studio.
Parecchi dei manoscritti esaminati, a mio parere, potrebbero
riuscirci sufficienti, ed ottima, per il secondo poema, si può
dir l'edizione; però di tutti il migliore, perché non ha scor-
rettezze od oscurità di senso e di scrittura, e verisimilmente
rappresenta la forma quasi definitiva dell' opera, è, come
abbiamo affermato in principio, il codice Laurenziano. Il quale
ha un solo difetto, d' essere cioè privo dei titoli dei singoli
libri. Ma è difetto che non menoma l' importanza del codice,
come la presenza degli incipit non innalza quella del rima-
nente materiale bibliografico.
Infatti dal complesso della bibliografia la questione dei ti-
toli non è abbastanza chiarita e, per essere convenientemente
risolta, ha bisogno del sussidio di ragioni interne. Nella maggior
parte dei codici e nelle due ristampe noi leggiamo un titolo
unico per tutti i sei libri, i quali sono detti Rerum naturalium
et divinarum; in alcuni invece questa soprascritta è riserbata
ai tre primi libri ; nell' edizione principe infine, come ho già
riferito, ai tre ultimi libri si dà quest' altra intitolazione : De
rebus coelestibus. Ora in realtà il titolo Rerum naturalium,
per ragioni di convenienza interna, appartiene soltanto ai primi
tre libri, cioè al primo poema. Il primo libro del secondo poema
merita da solo d'esser detto Rerum divinarum come quello che
tratta esclusivamente di Dio, degli angeli e della creazione. Ai
due ultimi libri, e non agli altri, ben si addice finalmente
l'appellativo De rebus coelestibus. Sarà quindi meglio aste-
nerci dalla scelta, o almeno da una determinazione assoluta
dei titoli, e ricorrere, per le citazioni e per i riferimenti, alle
dediche, sulle quali non cade alcun dubbio. I primi tre libri
infatti sono indirizzati, per concorde testimonianza dei codici,
ad praestantissimum virum Laurentium Medicen florentinum\
i rimanenti ad Ferdinandum Aragonium inclytum Siciliae
regem. Due poemi adunque, secondo l'evidente intenzion del-
l'autore, distinti, uno scientifico e l'altro religioso-astrologico,
dedicato il primo a Lorenzo il Magnifico, il secondo a Ferdi-
nando d'Aragona.
158 CAPITOLO TERZO
Ora, quando furon composti ? Ecco un' altra domanda, a cui
non è diflicile rispondere col sussidio specialmente dei dati
interni, che fortunatamente non mancano, e con l'aiuto di
qualche notizia fornita dall'autore stesso, in altri suoi scritti.
Cominciamo dal primo poema. Esso nella forma definitiva,
come s'è veduto, è dedicato a Lorenzo il Magnifico, e la dedica
è di tal maniera che c'induce a porre il principio della stesura
dell'opera non prima della morte di Piero di Cosimo, cioè
non prima del 1469. Infatti le parole, con le quali l'altere -i
rivolge al mecenate toscano, ci mostrano quest'ultimo bob
già come figlio del maggior cittadino di Firenze, ma come il
primo dei cittadini esso stesso:
Et tu, qui patria cives piotate tueris,
Laurenti Medicea, vir prestantissime...1
Ma se questo termine non può risalire oltre il 1469, potrebbe
invece avanzare anche ad una data più recente, e venir tra-
sportato sino al 1472, quando ci inducessimo a prestar fede
ad una postilla, già rammentata, del codice Mgl.-Strozziano
VII, 1099, che attribuisce a tale anno l'apparizione della
duplice cometa descritta negli ultimi versi del libro primo;8
dico, se e' inducessimo a creder veritiero quel codice, che a
molti indizi esteriori è lecito ritenere scritto a Firenze da per-
sona bene informata, intorno al 1475-76. Però c'è da obbiet-
tare che, pur essendo giusta la notizia della postilla, il passo
della cometa potrebb' essere un' aggiunta a poema compiuto,
tanto più che in quel punto gli esempi storici recati dall'au-
tore a proposito dell'influsso delle stelle cornate son due, indi-
pendenti l'uno dall'altro: si potrebbe ritenere come solo primi-
1 Laurenziano XXXIV. 52,6. la. Per non lasciare alcun dubbio sulla in-
terpretazione di questi versi del primo libro, eiterò questi altri del terso,
nei quali il poeta, dopo d'aver discorso della gloria di Cosini', detto 11
«padre della patria >, si rivolge a Lorenzo (ibid. e. 52b):
Nuuc le fata vocant, Laurenti, ad talia, nosque
Laude parem eanimus, quoniam tu iura senaius
Kt popoli sacrata regi», plebemque tueris
onmimoda virtute potens : modo vita supersit
Haec tua maiorum non cedei gloria faclis.
* Mgl.-Strozziano VII, 1099, e. 12a.
I POEMI DEL BONINCONTRI 159
tivo l'altro esempio, quello della cometa del 1456, la quale
precedette di poco la morte di Alfonso il Magnanimo. ] In tal
caso, la data iniziale della composizione del poema sulla Na-
tura sarebbe da mantenere, come dicevamo, al 1469, con una
ipotesi moralmente assai probabile. Giacché è verisimile il pen-
sare che alla morte dell'inetto Piero de' Medici, al sorgere sulla
scena politica del colto e potente Lorenzo, proprio in quel-
l'anno, quando tante speranze si ridestavano intorno al gio-
vane dominatore del Comune fiorentino, anche l'astrologo esule
attendesse al poema da offrire in pegno del ritorno, e ne af-
frettasse, stimolato dal desiderio della patria, il compimento.
Fissato cosi il termine a quo, passiamo alla ricerca del
termine ad quem, ancor essa non difficile. In molti luoghi in-
1 Per dimostrare quanta attendibilità abbiano le notizie cronologiche
fornite dal cod. Mgl.-Strozziano, è utile riportare un passo del Pontano,
Centum Ptolomaei sententiae etc, ed. Aldina del 1519, p. 91 b, scritto nel
1477, nel quale si parla delle due comete, con riferimenti storici tali da
rendere sicure le due date del 1456 e 1472 : « Nobis adolescentibus insignis
etiam cometes ad orientem in Cancri Leonisque regionibus multis diebus
fulsit, tantae longitudinis ut amplius quam duo coeli signa comae suae tractu
occuparet. Eum secuta est Alphonsi regis mors (1458), quae Aemiliam, Sa-
binain, Campaniam, universumque regnum Neapolitanum et longo et gravi
bello implicavit (1459-1464). Secuta est et pestilentia aliquanto diuturnior.
— Annis bis superioribus, cometes alius tenui primo capite comaque admo-
dnm brevi conspectus est; mox mirae magnitudinis factus ab ortu deflectere
in septentrionem coepit, nunc citato motu, nunc remisso, et, quod Mais
Saturnusque uterque repedabat, aversus ipse praegrediente coma ferebatur,
donec ad ipsam Arctos pervenit. Inde cum primum Satnrnus ac Mars recto
cursu pergere coeperunt, in occasum iter flexit tanta celeritate, nt die uno
ad triginta gradus emensus sit, atque ubi ad Arietem ac Taurum pervenit,
videri desiit. Hic et dies plurimos fulsit et qui initio brevior visus est, adeo
crevit, ut quinquaginta gradus atque etiam amplius occuparet. Non multo
post Ussonus Cassanus Parthiae atque Armeniae rex, ad Euphratem profectus
eo Consilio ut Asiani invaderet, collatis signis cum Mahometo Turcarum rege
(Maometto II f 1481) ita diinicavit, ut qui ingentem inferret et acciperet
cladem. Duo enim potentissimi exercitus, duo maximi duces in paucis diebus
bis conflixere. Eodem tempore Alphonsns Portugalliae rex (Alfonso V, f 1481)
satin magna classe in Africani traiiciens, duas nobilissimas urbes Tingin
et Argillam cepit, oramque Tingitanam armis subactam imperio suo adiecit.
Sensimus iisdem temporibus universam Hispaniam quassari bello, et Erricum
regem diem obiisse (Enrico IV, re di Leon e di Castiglia, t 1474); Carolimi
quoque Burgundiorum ducem (Carlo il Temerario, f 1477) adversus flnitiinos
quosdam populos regulosque eo impetu movisse arma, ut mu Ito rum etiam
annorum bellum excitaverit, quod nuper eius morte vix tini timi est >.
160 CAPITOLO TERZO
fatti del poema l'autore si lagna dell'esilio, in nessuno si
rallegra del condono del bando o ringrazia il protettore me-
diceo d'un favore largito: onde, conoscendo noi la data del
proscioglimento dalla condanna, cioè l'aprile del 1475, questa
potrebb' essere pure il termine estremo della composizione
dell'opera. Tuttavia perché, come vedremo fra poco, tra il
fine del poema sulla Natura e il 1475 deve collocarsi certa-
mente il secondo poema, a fare il quale non può essere oc-
corso meno d'un paio d'anni, cosi la data estrema deve es-
sere trattenuta al 1473 circa, se non forse proprio a quell'anno
1472 poc'anzi ricordato. Sarebbe infatti facile ipotesi il collo-
care nell' anno della cometa il fine e la revisione, con le re-
lative aggiunte, del poema dedicato a Lorenzo. Concludendo
adunque, i due termini estremi della prima opera sono, con
grandissima probabilità, gli anni 1469-1472.
Veniamo al secondo poema. La datazione del quale è assi-
curata da due passi del noto Commento vaticano. L'un d'essi,
che serve d'illustrazione all'esordio del poema, dice invero
che a trattar della nuova materia religiosa — sappiamo che
la seconda opera in principio s'intitola Rerum divinarum —
occorrono versi più solenni: « meliores scilicet quam iuven-
tutis tempore fecerit, cum amorum elegias et de rebus nata-
ralibni prius tres libros fecerit, et hunc quartum ab hoc Car-
mine inceperat, sed a rege ipso rogatus quale videtis exordinm
sumpsit ». l Dice dunque qui il Bonincontri, s'io non m'in-
ganno, che con dignità minore egli aveva in gioventù scritte
delle elegie amorose e messo mano ad un poema didascalico,
del quale anzi già eran composti quattro libri. L'ultimo ap-
pena cominciato; e che in seguito, venuta l' opportunità di
fare omaggio d'un' opera letteraria a re Ferdinando, rip
codesto quarto libro, il quale diventò primo d' un nuovo poema,
ed ebbe un esordio diverso, cioè più conveniente all'occasione
ed all'età dello scrittore. Orbene, quando avvenne questa ri-
presa ? Prima di rispondere, bisogna risolvere un' apparente
difficoltà, la quale nasce dalla contraddizione fra la datazione
1 Vaticano lat. 2845, e. 68 b.
I POEMI DEL BONINCONTRI 161
nostra del primo poema e ciò che qui si dice, eh' esso sarebbe
stato opera giovanile. Giacché giovanile per certo non può
dirsi quella stesura, che io reputai assegnabile al periodo
1469-72. Io credo che con quelle parole Lorenzo si riferisca
al materiale raccolto e solo in parte elaborato sin dal 1450,
quando nella sua mente nacque il desiderio di divenire il Lu-
crezio dei tempi nuovi: tanto è vero che allude ad un quarto
libro, che nella trama definitiva non avrebbe più ragion d'es-
sere. Credo insomma eh' egli ripensi alla lenta preparazione
dell'opera e non alla stesura vera e propria, che non può
aver altra data da quella proposta; che egli si riferisca al
lavoro imperfetto dell'età sua meno grave, esagerando for-
s' anche un poco, per amore di antitesi, e per far risaltare il
carattere sacro del cominciamento del secondo poema. Nessuna
seria opposizione dunque a quanto abbiamo stabilito, e facile
perciò la ricerca dell' anno della ripresa, il quale dev' essere
posteriore non solo al periodo preparatorio, ma anche a quello
dell'assetto definitivo dei primi tre libri: l'anno 1472, termine
finale del primo ed iniziale del secondo poema.
Né meno certa è l'altra data estrema, suggerita dal se-
condo passo del Commento, al terzo libro dell'opera, dove si
legge questa dichiarazione: « Cum poeta hoc opus perficeret,
nondum Caium (sic) Manilium viderat, quem post e a publice
Florentiae conductus legit atque exposuit... ».* Lasciamo per
ora la questione se davvero, quando terminava il poema, l'au-
tore non conoscesse Manilio : di questa vanteria io dubito
molto, anzi non ci credo affatto, come dimostrerò a suo luogo ;
ma fermiamoci sull'affermazione precisa che la lettura fioren-
tina degli Astronomici fu posteriore al termine del poema.
Il poema è quindi tutto anteriore al 1475. Né ciò è contrad-
detto da alcun elemento interiore. Infatti per ben tre volte
l'autore fa un quadro politico del tempo suo e specialmente
del Reame di Napoli, traendo argomento da ragioni astrolo-
giche; quadro che mal si concilierebbe con gli avvenimenti
che si prepararono e si compierono dopo l'anno su accennato.
1 Vaticano lat. 2845, e. 117 a.
Soldati n
162 CAPITOLO TERZO
Secondo il poeta, la sola guerra importante sostenuta da Fer-
dinando era stata quella contro Giovanni d'Angiò (1459-1464);
per alcun tempo i baroni, che durante l'invasione eran pas-
sati al nemico, avean sostenuta la ribellione, ma poi per la
potenza e la generosità del re già eran tornati all'obbedienza;
la pace regnava nell'Italia meridionale:
Jnclyte rex victorque potens, linque arma cruenta,
Cuna non ulla tuo peragantur proelia regno.
Italia Gallos iecisti; tempore ab ilio
Regna tenes tranquilla patris, nec cernitur hostis
Advena nec quisquam qui bella nefanda moveret:
Vicisti indomitos, sat sit vicisse rebelles.
Parta quies, culpaque vacas, tibi palma paratur;
Nec duces fecero tui, nec sidera coeli,
Sed labor et studium pacis virtusque suprema
Ut, bello extincto, peragantur et ocia pacis. l
Questi versi sono lontani, come ben si vede, dalle lotte esterne
ed interne, che, cominciate con l'impresa d'Otranto (1480), in-
funeranno con la guerra di Ferrara (1484) e con la congiura
dei baroni (1486), giù fino alla rovina della casa aragonese!
Concludendo e riepilogando, ad una larga preparazione
scientifica, a parecchi abbozzi, dove alcuni, forse molti, brani
poetici già s'erano concretati in una forma non lontana dalla
definitiva, nell' opera del Bonincontri segui un periodo deci-
sivo, nel quale essa ebbe compimento. Allora — siamo al 1469
— il materiale raccolto si dispose in un primo nucleo di tre
libri, formando il primo poema sulla Natura; a questo primo,
quasi in continuazione sostanziale e formale, tennero dietro
altri tre libri, cioè il secondo poema, nel quale, come meglio
vedremo nell'analisi, il pensiero astrologico e l' ispirazione
maniliana ebbero una parte preponderante. Questo perioda
che abbiam detto decisivo, fu naturalmente assai rapido, e ter-
minò avanti l'aprile del 1475.
1 Laurcnziano XXX1Y, •'■-. <'. 99 b.
I POEMI DEL BONINCONTRI 163
IL
Il primo poema, o poema della Natura, solo indirettamente
tratta di astronomia e d'astrologia, avendo per tema una ma-
teria pili vasta. Perciò, discorrendo di esso, sarà bene che non
m'indugi in discussioni, né che mi proponga di darne un
sunto minuto; e nell'indagine delle fonti basterà che accenni
alle teorie classiche e medioevali più notevoli, a cui il Bonin-
contri ricorse, senza documentar le mie asserzioni con raffronti
speciali. Sarà infatti per noi sufficiente conoscer questa trama,
che ci metterà in grado di valutare meglio, in seguito, il se-
condo poema. Del resto chi volesse, per suoi studi particolari,
avere maggiori informazioni su quest'opera, troverà qui la
via spianata che gli agevolerà la lettura dei codici, e soprat-
tutto sarà messo sulle tracce di quel prezioso Commento va-
ticano, a cui già ebbi ad attingere, e più spesso attingerò,
importanti notizie.
Il poema si compone di tre libri, i quali corrispondono
quasi esattamente ad una triplice partizione della materia
trattata: nel primo infatti, dopo la protasi generale ed una
introduzione, di cui vedremo il tenore, si discorre dell' ori-
gine, o creazione delle cose; nel secondo si parla della crea-
zione e natura dell'uomo; nell'ultimo si fa la storia delle
opinioni dei più celebri filosofi intorno al problema della Na-
tura, del quale si riassumono alcuni punti notevoli. Cominciamo
l'esame del
Libro primo. — Tutta l'opera è bene riassunta in quest'enun-
ciato :
Carmine prima fero nmudi simulacra iacentis,
Ordior et causas rerum formasque vigentes
Et quibus immenso concrescant margine mundi ; l
ai quali versi segue la dedica a Lorenzo il Magnifico, a noi
già nota in parte. Dopo, si riprende l' esposizione analitica del
tema, in questo modo:
1 Laurenziano XXXIV, 62, e. la.
164 CAPITOLO TERZO
Nam iuvat et rerum causas depromere certas:
"Ut pater Oceanus spnmantia littora signet
Telluri mediae, circumque rotetur ad orbem,
Semen et uude suos nascentum surapserit ortus;
Aequora tum, magni montes vallesque profundae
Quo duxere suam sedem, quibus imbribus aucta
Fluinina, ut in viridi luctentur margine ripae,
Quo sua deducant tauri primordia, et unde
Natus homo, mentesque virùm quo semine constent:
Omnia: num pereant animae cum corpora linquunt,
Vel sua suspenso referant primordia coelo,
An fictumque bonos regnum penetrare Tonantis.
Sed secreta Dei primum describere tempia
Expediam ; post haec fuerit si condita mundi
Congeries, paribus quondam distincta coluris. '
Infatti — alludo all'osservazione degli ultimi tre versi — prima
di venire a narrare la creazione, il poeta s'indugia alquanto
a descrivere l'universo cosi come la scienza astronomica l'ha
studiato: parla in primo luogo delle sfere planetarie e del
cielo delle stelle fisse, sopra cui, con un immenso ambito,
s'incurva l'Empireo, il vero e proprio Empireo scolastico, dove
insieme con la divinità risiedono le anime degli eletti:
Illic sublimes animus consistere certum est,
Quas non atra dies, nec nox obscura malorum
Compulit infernas sceleratas labier oras :
Hunc Pater omnipotens divina mente creatum
Concelebrat fulgore suo.*
Della Terra, eh' è al centro di tutte le cose celesti, l'autore
descrive la forma e le zone, quali emersero, secondo l'opinione
dei filosofi antichi, dalla separazione degli elementi e dalla
risoluzione del Caos; anzi, quali ora noi le possiamo conoscere
dopo quell'altro sconvolgimento dell'orbe nostro, che nella
Bibbia è rappresentato come un diluvio universale, od in Pla-
tone, per mezzo dell'interpretazione del mito di Fetonte. MHM
una combustione della superficie del globo.3 Tocca quindi di
1 Laurenziano XXXIV, 52, e. la. b.
* Laurenziano XXXIY, M, o. 111.
3 Naturalmente il Bonincontri delle due teorie intomo al diluvio sepne
quella biblica, come risulta anebe dalle parole del Commento a questi v.
I POEMI DEL BONINCONTRI 166
sfuggita l'aspetto del firmamento, nel quale è possibile leg-
gere gli avvenimenti futuri,1 non però tutta la scienza del-
l'universo, che noi dobbiamo imparare dalla tradizione dei
libri sacri. Dai quali il Bonincontri prende le mosse ad esporre
finalmente la creazione, secondo un'opinione che, pur mante-
nendosi cristiana, accoglie e sviluppa alcuni elementi platonici
ed aristotelici:
quae fama feret nos certa canemus
Principia, et sacro mundum de pectore promptum
Dicimus esse Dei, coelum terrasque patentis
Ipsius inclusos dextra, deque omnibus ipsis
Haud sumpsisse aliquid, quo nascier omnia possent.2
Iddio dunque, prima che sorgessero le cose, teneva nella sua
mente Videa delle cose stesse, ed in quella si specchiava quasi
come in un modello, che convenisse imitare. Sotto di lui, il
€ Plato in Timeo... dixit Phaethontis diluvium fuisae per ignem, unde Ovi-
dius in primo dixit :
Esse quoque in fatis reminiscitur affo re tempus,
Quo mare, quo tellus correptaque regia coeli
Ardeat, et mundi moles operosa laboret;
quod diluvium nostri Christiani dicunt futurum esse, ut poèta asserit » (Vat.
lat. 2845, e. 5a). II diluvio del fuoco dunque, per i cristiani, è di là da
venire, forse alla fine del mondo, e quello avvenuto fu il diluvio delle
acque.
1 Interessante è per noi 1' enunciazione di questa teoria astrologica, ed
è perciò utile riportare testualmente i versi che la contengono :
Quae discreta globis quoniara ratione fugaci
Sunt numeris comprehensa suis, et pondero quanto
Concurrant portentque mali, quid deinde ferat sors
Scire licet, si cuucta bono sint ordine lecta.
(Laurenz. XXXIV, 52, e. 7 a).
Quanto poi al metodo di lettura degli astri, ecco quali schiarimenti ci dà
in proposito l'autore nel Commento: € Aliam vim habent influxus planetae
superiores a Sole et aliam vim inferiores. Per istos cognoscimus aèris alte-
rationes pluviasque, frigora et his similia. Per planetas vero superiores co-
gnoscimus quando ad invicem coniunguntur, maximas huius mundi infe-
rioris mutationes, diluvia, terraemotus, pestilentias, bella, regnum et regno-
rum mutationes, sectas, fidem, et prophetarum adventus, de quibus omnibus
Albumasar copiosissime disseruit » (Vat. lat. 2845, e. 8a).
1 Laurenz. XXXIV, 52, e. 7a. Servon bene di esplicazione a questi versi
le parole dell'autore stesso nel Commento: « Deus prius materiam de qua
faceret preparavit ex eo quod non erat, quia nefas... Deum aliunde aliquid
mutuari, cum in ipso, non ex ipso, sint omnia» (Vat. lat. 2845, e. 13a).
166 CAPITOLO TERZO
Caos tenebroso, prima ed informe creatura, dilagava in mo-
struosi avvolgimenti attraverso lo spazio. Allora Dio, con un
primo atto della sua volontà, distinse i corpi celesti, a cui
diede per sede la parte più alta dell'universo; quindi sceverò
gli elementi, a ciascuno dei quali assegnò un luogo nel mondo
sublunare. Il mondo sublunare rimase perciò la sede delle
cose caduche, materiali, quando se ne eccettuino le anime
umane, le quali per loro natura son divine e quindi immortali :
Ex ilio tamen orbe loci quod fertur ad imum,
Mortale est quodcumque vides, fragile atque caducum,
Et longe superis adversum sedibus extat.
At non aethereo delapsae semine mente»,
Corporibus quanquam gravibus pressisque subintrant,
Intereunt, solae semper post corpora vivunt. '
Affermato cosi un principio che, come quello iniziale dell'idea,
è nello stesso tempo cristiano e platonico, 1' autore riprende
il discorso sulla sede assegnata da Dio ai corpi celesti, ed
allora scivola, quasi senza accorgersene, nell'aristotelismo ; in
un aristotelismo alquanto astrologico, nel quale la teoria della
forma e del fine assumono volentieri il carattere d'influsso e
di fatalità. Seguiamolo adunque. Il Creatore, che è la mente
universale e generatrice, nell' etere, cioè nella parte più pura
e men corruttibile della materia, pone il suo regno, donde
beato attende al compimento della creazione:
Hic primum e cunctis flatum Deus esse coigit,
Seu mentein cunctis praestautem, tempore et ipso
Quae prior, aeterna consistens lege creata,
Omnibus ut rebus formas prò tempore fundat. *
Egli, come dice il poeta, infonde in ciascuna creatura una
virtù informativa, che la regga, anzi la costituisca, per quanto
dura nel mondo la sua missione; dà ad ogni essere la pro-
prietà di generare altri esseri simili, si che le specie si per-
petuino senza deformazioni:
1 Laurenz. XXXIV, 62, e. 8a.
* Laurenz. XXXIV, 62, o. 8b.
I POEMI DEL BONINCONTRI 167
Ne cuncta incassimi ruerent, finiquo propinquent,
Immortale dedit cunctis generantibus aptum,
Et propriam cunctis formam spetiemque creatis...
Esse dedit semen genitis formasque modumque
Fortunamque suam cunctis et temporis usuin.1
Questa virtù però alle creature non vien trasmessa diretta-
mente dalla mano divina, che gode eterna tranquillità su ne'
cieli, ma per mezzo delle sfere planetarie, delle costellazioni
e specialmente dello Zodiaco,
Quo cuncta in coelo, tetris pontoque creantur,
Et quo desistunt vitai lumen habere.2
La grande legge che unisce in Dio, cioè in un'origine comune,
tutti gli esseri e li indirizza per una via prestabilita e fatale,
esercitandosi in questo modo per mezzo del necessario inter-
vento celeste, diventa una giustificazione solenne dell'astro-
logia. Onde il poeta proclama la volta del firmamento e l'or-
dine mirabile del movimento delle sfere il congegno regolatore
del mondo fisico degli elementi, guastato il quale o comunque
turbato da fenomeni improvvisi od inesplicabili, vengono a
turbarsi pure le vicende di quaggiù:
Quis neget haec coelo tantum faciente referri
Non noscit rationis opus mentisque supernae.
Quod si lege data labuntur mensibus anni,
Nec variata suis alternant tempora formis,
Servabit natura modum propriumque recursum ;
Sin secus alternis variaverit omnia signis
Et permutatis assurgat mensibus annus,
Omnia seminibus corruptis nata resurgent
Et mortale genus morbis vexabitur aegris,
Quos non ulla magis generat violentia coeli. 3
Da simili disordini astronomici dipendono, secondo il poeta,
insieme con le perturbazioni delle cose insensibili, anche le
calamità nei corpi animali ed umani, anche le pestilenze, che
1 Laurenz. XXXIV, 52, e. 10 a. b.
• Laurenz. XXXIV, 62, e. 8b.
» Laurenz. XXXIV, 62, e llb-12a.
168 CAPITOLO TERZO
cosi gravi danni sogliono arrecare fra noi. Cosi da segni ce-
lesti fu prodotta e preannunziata la famosa peste d'Atene, che
il Bonincontri non si perita di descrivere sulle orme — ahi !
troppo ingenuamente calcate — di Lucrezio.1 E fra i segni che
dal cielo più comunemente minacciano alla Terra morbi e
guerre e pubbliche sciagure, il primo posto tengono le comete,
Qui, quanquam raro apparent, quot uoxia portant
Tempora et immutali t placidissima saccaia pacis!*
11 tema popolare delle comete, con i relativi esempi storici
da noi ricordati in altra occasione,3 suggerisce pertanto al
poeta l'episodio di chiusa del primo libro e gli porge nello
stesso tempo il destro di adulare alquanto il suo patrono
mediceo.
Libro secondo. — Il libro secondo, come ho detto, parla
dell'uomo, parla cioè espressamente di quello che per gli an-
tichi era l'essere più notevole della creazione; e contiene, con
qualche digressione, un vero trattatello sulla generazione e
funzione dei corpi, o fisiologia, ed una teoria delle anime, o
psicologia; astrologiche l'ima e l'altra. Tanto astrologiche, che
il poeta, dopo un rapido riassunto delle cose dette nel lil>r<»
antecedente, riattacca il discorso interrotto là dove si trattava
dell'influsso informativo degli astri. Come dal disordine dei
cieli, egli dice, provengono le sciagure, cosi la vita regolare
degli esseri di quaggiù prende norma dal mirabile ordine di
quelli, e dalle differenti loro nature si genera la varietà dei
1 Di questo rifacimento del noto episodio lucreziano (De rerum natura,
VI, v. 1139 sgg.), cosi poco felice che in certi punti si potrebbe chiamare
nn plagio, il Bonincontri non fa mistero nel Commento, dove il nome del
grande poeta romano ricorre spessissimo, anche per altre ragioni. Né qui >ta
derivazione dal De rerum natura è la sola che si noti nel nostro scrittore:
parecchie altre, stranamente innestate nello svolgimento fondamentalmente
aristotelico del tema, sono visibilissime e servono di riprova a quanto ebbi
a dire nella biografia, che il Bonincontri scrisse il suo primo i ma tnnll
fisso l'occhio a Lucrezio, cui voleva emulare, pur restando nel rampo della
fede cristiana e dell'astrologia. Si osservi infatti, anche in questo caso spe-
ciale, la discrepanza delle opinioni: giacché la descrizione della peste è
lucreziana, ma non lucreziana la causa celeste della medesima.
* Laurcnziano XXXIV, 52, e. 12a.
3 Cfr. p. 159, n. 1.
I POEMI DEL BONINCONTRI 169
caratteri del mondo inferiore. Onde gli antichi Greci, per
quanto non illuminati da ispirazione divina, in omaggio a
quel principio che nella scolastica ebbe poi tanto favore: no-
mina sunt consequentia rerum, diedero ai sette pianeti ed
agli asterismi nomi mitologici, umani, ferini, corrispondenti
agli effetti terreni di ciascuno di essi:
Graecia nam mendax, post tot miracula rerum,
Haec sibi constituit coelo et fulgentibus astris
Idaeurn commenta Jovem, Martemque rapacem,
Saturnumque gravem, Phoebum Lunamque minorem
Et Veneris stellam celebrem coeloque nitentem.
Tarn varias coeli partes propriasque figuras
Nominibus fecero feris conformia quaedam
Et quaedam fluviis, homini volucrique volanti
Quae cum multa suis generent animalia formis,
Arboris omne genus, flores herbasque virentes,
Et varios ponto pisces, coeloque volantes,
Hoc ideo statuere patres baec nomina....1
Ora anche per la generazione dell'uomo fisico e morale val-
gono queste osservazioni; a formar l'uomo concorrono invero
per una parte, oltre a tutto il cielo in generale, i segni dello
Zodiaco in particolare, che cooperano insieme coi genitori alla
formazione del corpo; per l'altra, in modo speciale, i pianeti,
che dotano in varia misura l'anima, mentre scende dai cieli
superiori dove Dio l'ha creata, delle attitudini a loro peculiari:
diversa figurant
Ornamenta viris : mores et pectora fingunt
Errantes coelo stellàe ; sed corpora signis
Reddimus, effectu vario signata parentum. s
liacché 1' uomo è composto di due parti: una terrena, onde,
lice il poeta, il suo nome dall'humus-, l'altra divina:
hinc et homo vero est de nomine dictus
Quod sit hurao genitus, mortali e semine primus,
Quem postquam finxit rerum Pabricator et orbis,
Vitalem illi concreto in corpore mentem
« Laurenz. XXXIV, 52, e 18b-19a.
« Laurenz. XXXIV, 62, e. 19b.
170 CAPITOLO TERZO
Intulit, oppositis perfectus rebus ut esset,
Instituit superis descendere sedibus illam,
Ut levitate sua nexus dissolvere camis
Et tegere hos artus et sensus vertere posset. l
Cominciando pertanto a discorrere di proposito della parte
terrena dell' nomo, il Bonincontri tratta della funzione dei
sessi, della durata della gestazione, degli effetti delle fasi lu-
nari sull'epoca dei parti, e di altre questioni dello stesso ge-
nere, sulle quali è inutile che ci tratteniamo. Non inutile in-
vece sarà riportare la descrizione, non estesa, della vita ute-
rina del feto nei rapporti col cielo influente, secondo idee co-
muni all'astrologia classica e medioevale, ed alla medicina,
anche in età men remote:
Namque liquor guttae geuitalis seminis expers
Alterius ruit in loca turgida matris, et alvo
Distillat cohitu amborum rnatrisque virique
Sanguinis e puro tractu, qui denique mixtus
Ardoris parili nexu densatur, et inde
Concipitur primo in mense, et concretus in alvo
Saturno faciente manet ; Jovis inde sequenti
Putrescit, factusque viget non cognitus infans.
Tertius at postquam mensis pervenit et inde
Siccatur Martis vi flammea matris in imo,
Solque illi vires vitales porrigit, et post
Distillat Veneris divae clementia viscus
Quod fluidum Cyllenius item restringit et arctat,
Donec ad extremum Lunae sub lumina crescat
Quae totum deducit opus per tempora partus.
Sic tandem facta est hominis generatio, postquam
Errantes tribuere suas in corpore vires
Omnis et ad numerum confluxit turba supremum.'
Dopo il corpo, il poeta prende ad esaminare l'anima e l'ori-
gine, la natura, la sorte di essa, illustrando più largamente
quei principi di psicologia, a cui ha accennato qua e là mi
versi precedenti. Afferma con sicurezza il carattere astrolo.
della creazione delle anime:
• Laurenz. XXXIV, 62, e. 20b-21a.
* Laurenz. XXXIV, 62. e. 28 a. b.
I POEMI DEL BONINCONTRI 171
Ut mores hominum diverso sydere fiunt,
Utque etiam corpus vario fit lamine et astro,
Sic mens sublimis non uno sydere fulget. '
Tuttavia siccome un postulato di questo genere, preso in senso
assoluto, potrebbe far nascere dei dubbi intorno all' orto-
dossia dell'autore, cosi questi subito corre alla parata soste-
nendo, con egual sicurezza, le ragioni del libero arbitrio.
L'anima, creata pura da Dio nell'Empireo, discendendo giù
per le sfere, riceve da esse una speciale e varia colorazione,
s'arriccbisce di particolari attitudini, gusti, inclinazioni, se-
condo la differente natura degli astri ; ma tutte queste predi-
sposizioni, dato lo stato di purezza dell'anima, non rappre-
sentano che la naturale attività di essa, secondo il volere di
Dio. Nulla di colpevole adunque nel suo operare, e nulla che,
per ragioni astrologiche, venga ad infirmare il dogma della
infinita giustizia divina. Però, quando 1' anima s' incarna, in
quel momento riceve l'eredità funesta del peccato d'Adamo;
si macchia ed entra nella lotta del bene e del male, dove
certamente sarebbe ereticale rappresentarla fornita di incli-
nazioni necessarie, volute da Dio. I cattivi astrologi, coloro
che affermano anche le colpe e i delitti non esser soggetti
alla legge provvidenziale del libero arbitrio, ma derivare dagli
astri e perciò da Dio, errano e peccano : il Bonincontri invece
si ferma in tempo, sull'orlo del precipizio! Ed a chi gli ob-
bietta che l'influsso sulle vicende della vita mortale, anche
quando è funesto e colpevole, è pur sempre opera di stelle,
creature perfette di Dio, e quindi opera divina, che grava sugli
uomini, egli risponde che tale influenza non è azione malvagia,
ma punitrice, della Provvidenza, la quale assoggetta i nepoti
del pili antico peccatore non ad un male certo, ma al pericolo
di far del male, dando loro perciò appunto la possibilità di
redimersi col buon uso della ragione e, per mezzo del batte-
simo, della Fede.2
i Laurenz. XXXIV, 62, e. 24b; v. pure, per l'interpretazione di tutta la
teoria del libero arbitrio, il Vaticano lat. 2845, e. 26a, dove si leggono, ra-
dunate non a caso dall' autore, molte sentenze di S. Agostino.
* La discesa dell' anima e la varia dote degl' influssi planetari eh' essa
riceve è una reminiscenza platonica, che avremo occasione di richiamare
172 CAPITOLO TERZO
Si chiede ora: delle tre anime aristoteliche, la vegetativa,
la sensitiva e l'intellettiva, quale è quella che subisce queste
vicende ? La terza soltanto, propria esclusivamente dell'uomo,
è in possesso del libero arbitrio; essa è immortale, e passa
d'uno in un altro corpo, d'una in un'altra incarnazione, fin-
ché la purificazione del peccato ereditario e delle colpe nuo-
vamente commesse non sia avvenuta:
post corpora prima
Hic modus est illis infunai in corpora semper,
Deque novo genitis vita adveniente creari,
Donec longa dies senio confecerit orbem. l
E solo quando questo basso mondo cesserà di esistere nelle
condizioni attuali di abitabilità,
Et, velut aegrotum corpus non suscipit in se
Altricis gustum farris perditque calorem,
Sic tellus lapsata malis ardoribus aegra
Labetur, nullumque dabit collapsa vigorem;8
solo allora tutte le anime sagge, come racconta Platone, ter-
minato il lungo esercizio della ragione purificatrice, torneranno
beate a Dio.
Dato adunque un mondo cosi fatto, sarà possibile agli astro-
logi predire il destino individuale degli uomini? Certo, ri-
sponde il Bonincontri, sarà possibile, per quanto difficilissimo,
leggere nelle stelle i pericoli a cui Dio, per mezzo delle stelle
medesime, manda incontro i miseri mortali, ed anche le morti,
onde le anime mutano residenza nei corpi: non sarà possibile
invece predire l'esito delle lotte morali impegnate dalle anime
contro gli ostacoli al bene ed alla felicità.
Neil' episodio di chiusa — siamo alla fine del libro — il
poeta insiste sulle morti prevedibili, e, trovato il terreno fa-
cile, digredisce intorno alle cause di morte più comuni, sulla
di proposito discorrendo della Città di vita di Matteo Palmieri, in principio
del seguente capitolo. Non si confonda però questa del Bonincontri <
teoria del filosofo fiorentino, dalla quale differisce profondamente per qi
riguarda il concetto, die nel Palmieri è ereticale, dell'origine delle annue.
1 Laurea/.. \X\IY.
* Laurenz. XXXIV, 62, e. 28b.
I POEMI DEL BONINCONTRI 173
gravità delle ferite e le cure migliori, sulle norme igieniche
per conservare a lungo una florida salute, ecc. « Totus hic
locus — dice l'autore nel Commento vaticano — excerptus est
ex Aphorismis Hippocratis et a Cornelio Celso, qui haec signa
in ordinem reduxit et latine conscripsit ».J
Libro terzo. — Il terzo libro, come ho già avvertito, è es-
senzialmente storico e polemico, in quanto, affermato un pro-
prio concetto dell'universo e dell'anima, il poeta ricorda e
combatte le più notevoli opinioni antiche contrarie alla sua.
Egli prende per guida la Fisica di Aristotele, dove trova,
come in un compendio, i principali sistemi cosmogonici greci,
con le critiche rispettive. Dice prima dei tre jonici e dei loro
principi fondamentali dell'acqua, del fuoco e dell'aria; quindi
li combatte enunciando la dottrina aristotelica della unione
dei quattro elementi. In secondo luogo discorre dell'atomismo
specialmente epicureo, ch'egli desume in parte da Lucrezio,
in parte da Cicerone, e naturalmente, da buon astrologo, lo
avversa; lo avversa soprattutto in quella dottrina dell'anima
nativa e mortale, che è diametralmente opposta all' opinione
platonica a lui tanto cara.2 Finalmente, lasciando i classici,
parla della concezione averroistica dell'anima o intelletto uni-
versale, ed anche a questa si dichiara contrario.
L' opera cosi, secondo il disegno fondamentale, è terminata ;
ma perché non paia troppo rapida e disadorna la fine, seguono
alcuni altri versi, i quali riassumono la parte più efficace e
positiva delle idee dell' autore, e costituiscono nello stesso
tempo il tradizionale episodio di chiusa. Il riepilogo verte sin-
golarmente sulla questione dell'anima, la quale, creatura pre-
diletta di Dio, è pellegrina in terra, come in un carcere, sof-
frendo delle continue limitazioni, a cui l'angustia e l' imper-
fezione del corpo la costringono. Povera anima che, come la
Psiche della favola, persegue un suo grande amore, il sapere,
*e non lo può raggiungere per l'estrema brevità della vita!
1 Vaticano lat. 2846, e. 36 b.
* Queste stesse cose, cioè 1' esposizione dei sistemi fisici antichi e spe-
cialmente di quello di Epicuro, con le relative confutazioni, vide l'autore
anche in Manilio, Astron., I, 118-140 e 483 sgg.
174 CAPITOLO TERZO
Die nrihi, quid prodest homines ratione potentes
Non longos vixisse dies, nec laeta videre
Tempora, nec tuto duxisse in saccaia vitam?1
L'episodio finale è un inno alla ragione umana e allo studio,
ispirato dal notissimo proemio del secondo libro di Lucrezio,
bello a sentirsi dalle labbra d'un umanista, d'uno cioè di
quegli ardenti, infaticati lavoratori del Quattrocento, che dav-
vero parvero sentir dolore della brevità della vita, insufficiente
al raggiungimento di cosi alto ideale.
L' inno chiude il poema, il quale, come abbiamo veduto,
nelle tre parti in cui e diviso contiene l'esposizione organica
e compiuta del problema della Natura nelle sue linee gene-
rali. Le idee dominanti al tempo dell'autore, composte di
aristotelismo nel fondo, e di platonismo in quelle parti, ove
il Cristianesimo, sempre dominatore delle menti dei pili, non
avrebbe accolto le dottrine aristoteliche, vi son sostenute con
ordine e chiarezza ; V ortodossia vi è costantemente affermata.
Però a chi bene abbia seguito il mio rapido sunto non sarà.
sfuggita la caratteristica predilezione dell'autore per le que-
stioni astrologiche generali e particolari. In ogni occasione,
nella quale l'astrologia possa far capolino, ecco che il Bonin-
contri si mostra sollecito di chiarire, provare, ripetere le pro-
prie opinioni. Ora queste piccole, ma numerose digressioni,
che nell'opera rimangono necessariamente in ombra, tolta t
quella pregiudiziale del libero arbitrio, costituiscono il germe
fecondo, dal quale si svolgerà la trama del secondo poema,
specialmente ne' suoi due ultimi libri.
III.
Quando il Bonincontri ebbe finito quello, che nella formi
definitiva da noi esaminata è il suo primo poema, non si ar-
restò, ma volle dare ad esso, come abbiamo già detto, una
continuazione. E siccome il mondo delle creature sublunari
1 Laurenz. XXX IV, f,2, e. 08 b.
I POEMI DEL BONINCONTRI 175
era stato da lui interamente descritto, cosi rivolse il pensiero
al Creatore, e cominciò un quarto libro d'argomento teologico;
pensò pure al mondo degli astri, e concepì l'idea, in lui, come
ftbbiam visto, spontanea, di descrivere partitamente la sfera.
Venne in quel*frattempo l'invito di re Ferrante, e per oppor-
tunità cortigianesca il poeta immaginò una nuova opera, in-
dipendente dall'altra solo in apparenza, ove la materia, ch'egli
teneva già pronta, trovasse il suo campo. Conseguenza del
primo poema è adunque il secondo, e complemento del tema
di quello il doppio svolgimento di questo. Doppio invero è lo
svolgimento dell'opera dedicata a Ferdinando d'Aragona, cioè
due sono le parti ond'essa risulta, legate fra di loro da un
tenue filo interno, il quale però basta a giustificarne 1* acco-
stamento poetico. E il filo è questo: che le sfere planetarie, il
cielo delle stelle fisse e l'Empireo, di cui si discorre nei libri
secondo e terzo, son la sede naturale di Dio e degli angeli,
di cui si tratta nel primo. All' infuori di questa unione, nel
carattere delle due parti c'è divergenza: la prima è essenzial-
mente narrativa, direi quasi epica; la seconda didattica. Ecco
la ragione che ci induce a farne separatamente l'esame.
Nella protasi della prima parte molto superbamente l'au-
tore afferma d'intraprendere un canto nuovo, ignoto ai poeti
a lui anteriori, e chiede a tanto lavoro l'assistenza allegorica
della Musa e quella più prosaica, ma non meno necessaria,
del protettore regale:
In nova tentante m deducere carmina Musas
Atque aperire viam verae rationis et artis,
Te, regimi Ferrando, precor, iustissime princeps,
Qui quondam tanto bellorum turbine pressus
Invicta Fortunae ictus virtute tulisti,
Flecte animum, vatemque tuum ne desere. Tuque
Nunc meliore lyra, maiori carmino, Virgo,
Surge, precor. '
Ea il Bonincontri questa volta non dice tutta la verità, per-
le l'argomento sacro di questo libro aveva, anche a quel
1 Laurenz. XXXIV, 52, e. 56a. Questa protasi ricorda molto da vicino
àHiuo, Astron., Ili, 1 : « In nova surgeliteli!. ... ».
176 Capitolo terzo
tempo, una lunga e non oscura tradizione. I poeti della
Chiesa, fin dal secolo quarto, avean preso di mira nelle loro
versificazioni il racconto biblico, le sette giornate della crea-
zione, i primi fatti della storia ebraica, i Vangeli e le leg-
gende intorno alla celeste battaglia fra gli angeli buoni e
i cattivi: né io qui ho il tempo di citarne i nomi. Ricorderò
soltanto, perché il lettore sia messo sulla strada e rammenti
da sé, la serie dei poemetti di S. Avito vescovo di Vienila,
del sesto secolo, nella poesia del quale vogliono i critici, non
a torto, scorgere alcuni de' pregi di fantasia, onde sarà lodato
più tardi il Milton;1 ricorderò pure quell'esteso poema De
hominum deificatale, scritto nel secolo decimoterzo in Italia
dal benedettino abate Gregorio da Monte Sacro al Gargano,
sul quale fu pubblicato uno studio recente.2 Conobbe il Nostro,
nonostante la sua dichiarazione in contrario, questa tradizione
a lui anteriore? Dalle frasi del Commento, ove si dice, in tono
meno reciso, che il poeta vuol cantare i misteri della divinità
« magnifice plus quam ab aliis fuerit antea factum et magis
religioni nostrae conveniens »,3 parrebbe che egli di quella
letteratura non fosse interamente al buio; d'altra parte Don
si riescono a scoprire in lui le tracce materiali e determinate
dell'imitazione. Forse la verità è questa, che il Bonincontri
conobbe bensì qualcuno dei poemi sacri sulla creazione, ma
non li volle a modello, almeno direttamente. Egli nella vasta
loro trama scelse, per svolgerlo con speciale amore, un piccolo
germe, cioè la guerra degli angeli,4 intorno al quale poi la-
vorò con quell'arte veramente ignota agli antecessori, ch'egli
derivava dallo studio assiduo dell' Eneide. Concludendo adnn-
1 Oeuvres complète.* de Saint Amt évéque de Vienne, nonvelle Mitica
par. U. Chevalirr, Lyon, 1890, p. x.
* A. Silvaoni, Un ignoto poema latino del seeolo XIII sulla er—fioWj
in Scritti di filologia, a Ernesto Monaci per Vanno XXV del suo U
gnamento, Roma, 1901, p. 413 sgg.
s Vaticano lat 2845, e. 6:Ja.
* Nella più vast.-i trama dei poemi medioevali la jrmrra fra Mi ■ Lu-
cifero non ha che scarse proporzioni. Nel secondo libro del poema di B.
Avito, per es., è appena accennata (Oeuvre» cit., p. 19), e nell'opera del-
l' abate Gregorio è ristretta a pochissimi versi.
I POEMI DEL BONINCONTRI 177
que su questo punto, l' afférmazione della protasi è esagerata,
però non falsa del tutto : è errore che il presente libro sia in-
dipendente dalla tradizione, ma è vero che si differenzia, per
le ragioni che meglio osserveremo, dai caratteri medioevali
di essa.
Intanto procediamo nell'esame. Il primo mistero, di cui
l'autore viene a parlare, è quello della divina Trinità; quindi
egli tocca dell'immacolata concezione, donde trae argomento
ad un sublime elogio di Maria, madre di Dio. Seguendo i
Vangeli, con vigoria d'immagini che, se non mi allontanassero
troppo dal mio proposito di mettere in rilievo specialmente le
parti astronomiche di quest' opera, vorrei far conoscere al let-
tore, narra. poi i principali fatti della vita di Cristo, dalla na-
scita alla passione, sino alla Pentecoste, ond' ebbe origine la
Chiesa, che è uno dei segni dell'infinita bontà della Provvi-
denza. Per mezzo della predicazione degli apostoli il mondo
guadagnò il regno de' cieli ; il mondo tutto, tolti quegli uomini
eh' ebbero sordo l'orecchio alla buona parola e preferirono ri-
maner nel peccato. Per costoro che, mal servendosi del libero
arbitrio e della ragione, non seppero trarre ammaestramento
dalla caduta di Lucifero, ma come questo perseverarono nella
loro superbia, Iddio
vindex
Improvisus adest, precibus nec flectitur ullis. '
Il poeta ha nominato Lucifero: or ecco sembra arrestarsi ed
assumere una gravità tutta epica, e, quasi cominciando un'opera
nuova, esordire:
Divinum aggredior bellum, quod Lucifer alta
Mente tulit partesque suae fecero rebelles;
Nam memoranda fuit quondam super aethera pugna
Principio, cum cuncta Deus digessit in orbem.8
Lucifero adunque, la più bella di tutte le creature, quella che
il poeta chiama species per antonomasia, osò contrapporsi a
1 Lanrenz. XXXIV, 52, e. 61 b.
* Lanrenz. XXXIV, 62, e. 68b.
Soldati 11
178 CAPITOLO TERZO
Dio; e migliaia di spiriti angelici, affascinati dal suo splen-
dore, s'unirono a lui,
Tantum forma decens potuit suadere malorum ! l
L'esercito dei ribelli si aduna — onde all'autore viene in
mente il classico ricordo dei giganti congiurati contro Giove,
quasi forze elementari della Terra vibranti fiamme e sassi
contro il firmamento. Ma ciascuno dei belligeranti non ha la
goffa persona degli angeli alati, dal volto femmineo, della tra-
dizione pittorica, bensi, pur conservando nell'aspetto e nelle
armi alcunché di simile all'uomo, ritrae la natura siderea
della stella, onde si mosse, di guisa che 1' etere sembra per-
corso da una pioggia incandescente di meteore:
Namque alii flamrais similes, aliique coruscis
Chrysolithis, candent alii volitantque per auras
Et levibus pennis possunt transcendere montes,
Astraeumque genus cunctis. *
L'esercito terribile si avanza: e già nelle sedi dell'Empireo
se n'ode il tumulto, e gli angeli buoni, colti di sorpresa, si
levano, non altrimenti
Quam si pacificam turbasset luctibus urbem
Hostis in adventu, fuerint per rura bovesque
Agricolae et laeti, carpentes bordea campis ;
Exoritur clangor, perculsa et pectore vox est
Reddita, vicinos bostes percurrere campos. s
Or ecco i due eserciti, negli spazi eterni del cielo, si trovan
di fronte. Dall'un campo, in mezzo a Satana, Belial e Marte,
condottieri delle sue schiere, Lucifero alza la voce piena d'ira
e di livore; dice che i suoi scendono armati
Non regni cupidos, sed libertatis amore;4
avverte che in suo soccorsosi leveranno i mostri che abitano
gli spazi infiniti dell'etere, cioè le costellazioni, e che rocche
e ripari al suo esercito saranno i pianeti:
* Laurenz. XXXIV, 52, e. 64 b.
* Laure»/.. \\\I\. 52, e. 64b-66a.
' Laurenz. XXXIV, 52, e. 65 a.
* Laiireiiz. XXXIV, 52, e. 67 b.
I POEMI DEL BONINCONTRI 179
Nana coelum quodcumque micat fulgentibus astris
Auxilio nobis aderit. x
Dall'altra parte sta Iddio, cui circondano gli arcangeli Mi-
chele e Gabriele: anch' egli parla a' suoi fedeli, ma con voce
tranquilla, e manifesta il suo profondo dolore per il peccato
della creatura prediletta, che non vorrebbe ed è costretto a
punire. Si gettino dunque gli angeli contro gli spiriti superbi,
li sconfiggano, né dian lor tregua, inseguendoli nei pili lontani
nascondigli del cielo:
Vos, ubi diffugient per aperta palatia coeli,
Ite, boni, lustrate cboro9 saltusque repostos ;
Sive hos Arctophilax, vel fluminis orbita magni,
Sive Draco squamosus habet, vel candidus ales,
Seu lateant saevi Marti s sub sydere tecti,
Gorgonis ora super, vel plaustra Bootidos alti,
Quaerite: coelesti longe pellantur ab aula.8
La battaglia incomincia, si fa aspra, accanita ; la turba dei
cattivi cede, fugge attraverso lo spazio precipitando, finché
l'abisso iufernale l'accoglie. Laggiù ogni maggior bellezza si
deforma, ogni più pura letizia si muta in acuto tormento, ogni
angelo diventa demonio. Laghi di zolfo, fiumi gelati, tenebre
eterne contristano gli spiriti, il cui pianto è cosi disperato,
che noi dalle gole dei vulcani ancora ne udiamo come un' eco
lontana :
Vidi ego, cum navi Liparas tum forte petebam,
Flammarum volitare globos et labier alto
In pelagus, timidosque metu pallescere nautas,
Et gemitus stridorque virùm (mirabile dictu)
Saepius audiri solitus clamorque gementum. 3
Terminata la lotta, splendido è il trionfo dei cori angelici
vincitori. Ma resta una schiera d'angeli, che rimasero in at-
tesa, incerti fra Dio e Lucifero: a costoro non l'inferno né il
cielo, ma viene assegnato il regno dell' aria, ed è lor pena
1 Laurenz. XXXIV, 52, e. 66a.
* Laurenz. XXXIV, 52, e. 67 b.
» Laurenz. XXXIV, 52, e. 71 a.
180 CAPITOLO TERZO
l'essere soggetti ugualmente alla divinità, all'uomo ed al
diavolo :
Sed quisquis sceleri largas non movit habenas
Et tacitus voluit suspense- incedere passu,
Donec longa Dei patientia sustulit arma,
Errantes fluitare polo, nec sistere in alto
Aspicias, imas Terrae nec ferre tenebras,
Nubiferos gravioris aquae demittere nimbos
Ad Terram et rigido coelum convolvere fumo,
Saepius ad magicos solitos conscendere cantus. '
Cosi finisce, con un accenno esplicito alla magia, il libro teo-
logico, sul quale mi si concedano ora alcune osservazioni.
Nel Commento vaticano il Bonincontri, discorrendo della
guerra celeste, dopo d'aver ripetuto il raffronto fra la tradi-
zione sacra e la gigantomachia greca, riporta un'opinione, che
ha per noi uno speciale interesse. Egli scrive: « Sunt qui hoc
Luciferi bellum contra omnium conditorem Deum adnegent, et
dicant hoc nihil aliud esse quam diversitas naturarnm signo-
rum stellarumque et reliquarum imaginum coeli, et male in-
sertantur et merentur maximam reprehensionem ».* Conosceva
adunque Lorenzo una interpretazione fisico -astrologica del
fatto, ma da buon cristiano la condannava come ereticai»' ;
pur tuttavia, anche senza sottilizzare, si scopre benissimo che
di essa, in modo da non compromettersi, egli si è valso. Che
cos'era mai quel sostituire, che abbiam veduto, l'aspetto amano
degli angeli cattivi con una figura quasi meteorica? Che cos'era
quel chiamare a raccolta, nell'esercito di Lucifero, i mostri.
cioè le costellazioni del cielo; e non tutte, ma solo quelle ili
natura malefica? Che cos'era quel dare il comando d'una parte
delle schiere de' superbi a Marte, non il dio del mito, ma il
dio del pianeta dall'influsso funesto e violento? Tutto ciò, a
parer mio, rappresenta una traccia dell'interpretazione natu-
ralistica della leggenda, ed e elemento prettamente astrologico,
che la critica e in dovere di segnalare; tatto ciò conferma il
vecchio giudizio nostro che sotto la penna del Bonincontri
' taira», \xxiv, Bt, e,
« Vaticano lat ^2b.
I POEMI DEL BONINCONTRI 181
ogni tema poetico si colora d' una tinta astrologica, perché di
cotali dottrine è satura la mente dell'autore. Il che non vuol
dire, evidentemente, che si possa qui od altrove parlar d'eresia.
Sempre nel Commento, in fine di questo primo libro, tro-
viamo intorno agli angeli neutrali queste parole : « Hi sunt,
quos Apuleius in libro De deo Socratis dicit, quaedam mediae
divinae potestates inter summum aethera et infimas terras »; l
e, poco più oltre, quest' altre : « Demones sagacissimi sunt in
responsis dandis, quia habent coelum prò speculo ; nam coelum
est ut pellis extensa, in qua tam praesentia quam futura sculpta
sunt, quae siquis mortalis bene cognosceret, ad divinitatem ac-
cederet in vaticiniis proferendis ».2 E seguono altre annotazioni,
con citazioni dalle opere di Porfirio e di Ermete Trismegisto,
le quali aggiungono strane notizie intorno alle abitudini degli
spiriti dell'aria ed al loro magico intervento nelle cose degli
uomini. Orbene in tutti questi passi, i quali non fanno che il-
lustrare la sentenza del testo, troviamo esposta, con varianti di
minima importanza, la teoria astrologico-demoniaca dei Padri
della Chiesa, quale, per esempio, leggiamo in Lattanzio 3 ed in
I1 Vaticano lat. 2845, e. 81 b.
' Vaticano lat. 2845, e. 95 a.
3 II Bonincontri in alcuni versi, che sarebbe troppo lungo riferire, ag-
unge che gli angeli neutrali s'accostano inavvertiti agli uomini, cui ac-
compagnano come custodi, ma con intento perverso; ed a volte s'insinuano
nei corpi umani, che perciò vengon detti dal popolo indemoniati. Ora si
confrontino queste notizie, e quella della scienza astrologica dei demoni,
con ciò che Lattanzio dice — ed in ciò sta la differenza accennata — dei
tìgli nati dagli angeli che peccaron d' amore con le figlie degli uomini :
«Daemonas autem grammatici dictos aiunt, quasi òarjjuovag, id est peritos
ac rerum scios ; hos enim putant deos esse. Sciunt illi quidem futura
multa, sed non omnia, quippe quibus penitus consilium Dei scire non liceat...
Hi, ut dico, spiritus contaminati ac perditi per omnem terram vagantur,
et solatimi) perditionis suae perdendis hominibus operantur. Itaque omnia
insiiliis, fraudibus, dolis, erroribus complent; adhaerent enim singulis homi-
nibus, et omnes ostiatim domos occupant, ac sibi geniorum nomen assu-
mine : sic enim latino sermone daemonas interpretantur.... Qui quoniam sunt
spiritu- tenues et incomprehensibiles, insinuant se corporibus hominum, et
occulte in visceribus operati, valetudinem vitiant, morbos citant, somniis
animos terrent, nientes furoribus quatiunt, ut homines bis malis cogant ad
eorum auxilia decurrere >. Fikm. La ct a imi Divin. instit. II, cap. XV, col. 881-
882, presso Mionk, Patrol. lat., VI.
182 CAPITOLO TERZO
S. Agostino. 1 Astrologica adunque è anche la chiosa del libro
e tale, che ancora una volta dà ragione ai nostri giudizi e giu-
stifica la cura, che abbiamo impiegata in questo riassunto. -
IV.
L'intonazione dei due ultimi libri è del tutto diversa da
quella del libro, che abbiam finito ora di esaminare, e s' ac-
costa assai di più al carattere didascalico del poema sulla
Natura. Mentre infatti la gravità epica, derivata dall' imita-
zione virgiliana, predomina nel libro teologico, in questi nuovi
libri astrologici la frase, la lingua e lo stesso ritmo si atteg-
giano a semplicità, quasi a schematismo scolastico. La dispo-
sizione generale della materia vi è poi ordinalissima e la pili
elementare possibile: una brevissima introduzione intorno alla
struttura de' cieli, quindi la trattazione di tutti e sette i pia-
neti, cominciando dal più basso, cioè dalla Luna. Manca però
una parte essenzialissima: il discorso siili' ottavo cielo o ci«lo
delle stelle fìsse; e manca per una ragione, che non è possibile
esporre, se prima non abbiamo preso in esame un problema
più grave, di cui per necessità di studio abbiamo in principio
di questo capitolo anticipati i risultati, ma che ora richiede
tutta la nostra attenzione.
1 S. Agostino ha uno scritto dedicato interamente a queste cose, i
De divinatione daemonum, ben noto al Bonincontri ; il quale nelle opere
del santo lesse pure il paragone davidico del cielo ad una pergamena si
a caratteri di stelle : S. Aco. Enarratio in Psalmum XCIII, presso 51
WXVII, 1194.
* Leggendo questo capitolo molti avran pensato certo al sesto canto del
Milton e forse si saranno chiesto se il grande inglese possa aver conosciuti)
il libretto, in questa parte edito, dell' oscuro umanista. Chi Io sa? Certo |
che le somiglianze, in certi punti, e specialmente in certi atteggiamenti,
sono fra le due opere tali da far riflettere i critici. Quanto al valore
rario, io che son grande ammiratore, nel Paradiso perduto, dei pregi idil-
lici e psicologici, ma che non son mai riuscito a trattenere un irriverente
sorriso davanti alla caricatura omerica della battaglia celeste, non saprei
certo — in questo punto speciale — posporre il nostro umile astrologo. Al-
meno in quest'ultimo, nell' inverisimile scena, è conservata una certi mi-
sura, né s' incontrano valli fiorite ed angeli artiglieri !
I POEMI DEL BONINCONTRI 183
Il problema è subito posto: — Tutto il secondo poema del
Bonincontri, e specialmente questi due ultimi libri, furono ispi-
rati dagli Astronomici di Manilio, e composti sotto 1* azione
esercitata dalla lettura di essi?
Se crediamo alle dichiarazioni, molto esplicite, del poeta,
l'imitazione maniliana è da escludersi. Leggiamo la protasi
del libro secondo:
Inclite rex, vatem maiora ad dieta vacantem
Et per inaccessas audentem carmina ad artes,
Dirige, si coeli formas, si consitus ordo
Stellarum iuvat et varios comprehendere cursus
Errantesque polo divos, si fata diesque
Extremos vitae causasque videro latentes.
Huc mentem converte tuam: non bella gigantuin,
Hectora non canimus, Xersis non castra ducesque,
Hannibaleraque ferura, nec praelia Caesaris ulla,
Tritum iter; insoli tos iuvat exercere Camoenas
Ad numeros, nulli vatum debebimus ora.1
Non è qui chiaramente affermata l'originalità della materia
e del genere poetico? Ma c'è di più. Non esclama l'autore
nella protasi del terzo libro:
Nulli illos tetigere globos, loca pervia genti
Quàerimus, erranti needum bene cognita turbae?2
E non commenta egli questi versi nel modo, che noi già co-
nosciamo: « Cum poèta hoc opus perficeret, nondum Caium
Manilium viderat, quem postea publice Florentiae conductus
legit atque exposuit, reverendissimoque cardinali sancti Georgii
donavit ; nec C. Manilius de planetis scripsit, credo morte
iunetns, vel latuisse»?3 Queste dichiarazioni invero paiono
gravi, e gravissima pare quest'ultima dell'assenza nell'opera
maniliana del canone planetario, il quale forma invece il
tema unico dell'opera bonincontriana. Tuttavia la confuta-
zione di ciascuna di queste asserzioni, se ben si considera,
non è difficile.
1 Laurenz. XXXIV, 58, e. 72a.
* Laurenz. XXXIV, 62, e. 90a.
3 Vaticano lat. 2845, e. 117a; v. pure ciò che abbiamo detto noi a p. 161.
184 CAPITOLO TERZO
Per rispondere al primo passo, cioè alla protasi del libro
secondo, basta che trascriviamo qui tre versi di Manilio, la
cui efficacia dimostrativa non ha bisogno di commento:
Omne genus rerum doctae cecinore sorores,
Omnis ad accessus Heliconis semita trita est...
Nostra loquar; nulli vatum debebimus ora.1
Rilegga il lettore i versi di Lorenzo, e poi dica se si può affer-
mare d'esser originali con parole che meglio provino il plagio!
E se ciò non bastasse, ricordi il riscontro, da noi additato, nella
protasi del libro primo;2 e poi, ecco qui un altro raffronto:
Ne mirere novis fingentem carmina verbis
Si fruor, externa et si nomina singula coelo:
Sic opus est, res ipsa monet, ne quaere decorem,
Ornari Musis vetitum.3
Impendas animimi, nec dulcia carmina quaeras:
Ornari res ipsa negat, contenta doceri.
Et si qua externa referentur nomina lingua,
Hoc operis, non vatis erit ; non omnia flecti
Possunt, et propria melius sub voce notantur. *
Non vale continuar nelle citazioni : vengo alle parole del Com-
mento. Nelle quali il poeta, non indotto da altro che da vanità,
cade in una strana contraddizione, sostenendo di non aver
conosciuto Manilio intorno al 1472-75, quel Manilio che già
commentava a Firenze nel 1476, quel Manilio infine che — son
parole del Bonincontri — datogli « ab Antonio Panhormita
viro doctissimo Alphonsi temporibus»,5 cioè prima del
1458, egli aveva studiato a Napoli con l'astrologo catanese
Tolomeo Gallina ! Resta ancora un punto di resistenza in
quella giusta osservazione del Bonincontri, che la materia del
poema antico non è la stessa di quello nuovo; ma anche questo
punto cede quando si metta il problema nei suoi giusti ter-
1 H. Minili Astron. II, 49-60 e 67.
8 Vedi a p. 176, in nota.
» Laurenz. XXXIV, 62, e. 74 a.
I M. Manili Astron. Ili, :ts u.
5 hkv. BoNiNcoimm etc. in L. Manilium commentum, ed. cit., e. 8b.
I POEMI DEL BONINCONTRI 185
mini. Non ho inteso infatti di sostenere la derivazione so-
stanziale di un'opera dall'altra, giacché gl'indici stessi con-
frontati mi darebbero torto, ma mia ispirazione da una parte,
una imitazione in senso largo e nobile dall' altra. Ho inteso
di dire, in altre parole, che il nostro astrologo, visto che Ma-
nilio, cui si proponeva d' imitare, avea da par suo discorsi i
problemi generali dell' arte divinatoria e dato un sufficiente
sviluppo alla trattazione dello Zodiaco e dell'altre costella-
zioni, questa materia non osò ritentare, ma scelse ciò che ri-
maneva libero ancora. Cosi si distrugge ogni fede alla strana
ed erronea asserzione del Commento e si spiega ad un tempo
la curiosa limitazione imposta dall'autore alla sostanza del
suo secondo poema.
Il quale comincia, come abbiamo accennato, con un riepi-
logo, in termini molto generali, della creazione; indi prosegue
con la descrizione del sistema dell' universo tolemaico, per ve-
nire finalmente a trattar della Luna:
Prima deùm terras alieno lumine Luna
Circuit, et varias patitur prò tempore formas. 1
Ma io non ho intenzione di tener dietro all' astrologo in tutte
le minuzie, ch'egli espone accuratamente intorno al pianeta più
vicino alla Terra; non è necessario ch'io ripeta come, dopo le
fasi, vengano, nei facili versi bonincontriani, i rapporti della
Luna con lo Zodiaco e le relative esaltazioni nel Toro e
nel Cancro, e poi le posizioni di congiunzione e d'opposi-
zione, e quella trigona, quadrata, sestile del nostro con
gli altri pianeti, seguite da variazioni d'influsso sulle cose
mortali di quaggiù. Dirò soltanto che l'influsso lunare è dal
poeta studiato specialmente in tre manifestazioni : quella cioè
che, prodotta dalle congiunzioni con Marte e con Saturno, ge-
nera le pestilenze e la pazzia; quella di carattere fisico, umida
per natura, che agisce sull' elemento acqueo, e si manifesta
singolarmente nelle maree;2 finalmente il dominio fisiologico
sul cervello umano e le sue funzioni, onde la Luna è arbitra
1 Laurenz. XXXIV, 62, e. 78a.
* Vedi ciò che s' è detto a p. 180, n. 1 ; e cfr. M. Manili Astron., V, 781.
186 CAPITOLO TERZO
di gran parte delle azioni degli uomini. Mi piace per contro
esser meno avaro di notizie intorno alla parte mitologica di
questo pianeta, cioè intorno alla favola di Endimione, prege-
volissima per alta ed originale poesia.
Il mito greco del pastore di Caria, che, innamorato della
dea delle notti, spesso la supplicava di scendere dal suo carro
celeste; ed ella non scese finché il giovinetto non ebbe, per
molti mesi, pascolate le candide gregge di lei su pel dorso e
le balze del Latmo; questo mito, dico, ben presto nelle scuole
alessandrine era stato sottoposto ad una interpretazione eve-
meristica. Il pastore allegorico era apparso un astrologo, com-
pagno degli antichissimi Atlante, Ermete, Prometeo;1 ed il mo
amore per la Luna non altro che l'oggetto speciale de' fortu-
nati suoi studi, ond'era giunto allo scoprimento delle 1<
delle fasi e degli ecclissi. Già Plinio conosceva questa inter-
pretazione,2 che, estesa durante l'età romana imperiai-', potè,
per il prevalere delle dottrine neoplatoniche, sostituire la favola
primitiva. E tale la raccolse, ne' suoi libri sulla religione pagana,
nel secolo quinto, il vescovo Fulgenzio,3 dall' opera del quale
passò in quel copioso repertorio mitologico, cosi saccheggiato
in tutto il secolo decimoquinto, che sono le Genealogie del
Boccaccio. Scrive adunque messer Giovanni : « Ait idem Ful-
gentius, quod is Endymion primus rationem cursus Lunae in
venerit, et obdormuisse XXX annis dicitur, quia stultorum
iudicio meditationi vacantes dormiunt, idest tempus perdunt,
seu qui meditationibus deditus est profecto non aliter quani
si dormiret immiscetur activis operibus. Quod de Endymione
dictum est, quia nil aliud eo vivente, nisi buie meditationi
operam dare peregit quod ego veruni puto; nec sit qai
longum temporis miretur spacium, cuna circa Lunae cursum
plurima veniant consideranda, ut ostendit venerabilis Andato
in sua Theorica planetarum.* Sed quia albos ante gi<
1 A. Bouché Leci.krcv, op. cit., p. 676, n. 1.
2 Punii Nat. hist. II, 9.
3 F. P. Fulokntii etc. Mythologiarum II, cap. ultimo, Basilea, 16SS, p. 148.
* Intorno a quest'opera del Di Negro, inedita nel cod. Barberiniano IX,
26, t. G. Crociohi, La materia del * Dottrinale » etc. cit., p. 46, n. 4.
I POEMI DEL BONINCONTRI 187
paverit, ideo appositum credo ut loci snae meditationis qua-
litas ostendatur, qni in culmine montis illius fuit quod sibi
elegit, ut posset libere elevationes assumere tanquam expedito
loco, et montium culmina' et potissime celsa utplurimum con-
sueverunt esse nivosa, quas nives quia diu observavit, pastor
nivei pecoris dictus est. Quod autem a Luna deosculatus sit,
ideo fictum reor, quia sicut amantes puellam amoris munus
osculnm arbitrantur, sic et longae meditationis fuisse Lunae
comperisse cursum, et sic sui amoris videtur osculum susce-
pisse ». l La favola, già bella in sé come racconto amoroso,
per la sovrapposizione di quest'allegoria era matura per uno
svolgimento poetico, sol che un vero artista se ne imposses-
sasse. Ora c'era stato bensì un poeta, o un facitor di versi,
cbe se l'era fatta sua intorno al 1460, a Firenze; dico di
Matteo Palmieri, che percorrendo in fantastico viaggio teolo-
gico l'universo, guidato dalla Sibilla Curaana, narra del suo
incontro nella Luna con l' astrologo-pastore. Ma come poveri
e scipiti i versi della Città di vita, dove l'allegoria è ram-
mentata !
Et quando questo già non si sapiva
Et poco altro del corso della Luna,
Nanta anni Endimion co Ile dormiva:
Innamorato tancto di quest' una
Sopra ad tucte altre a Uu più bella stella,
Non pensa in altro aver miglior fortuna,
Et tanto si contenta sol vedella
Che, sendo al suo peculio buon pastore,
Lascia la mandria et segue retro a ella,
Et stando nel dilecto dell'amore
Ogni suo moto et ogni corso intese
Et sua grandezza et sua t'orma et colore.2
1 Genealogica Ioawnis Boccatii etc., Venetiis, MCCCCCI1II, 1. IV, cap. 16.
2 Codice Magliab.-Strozziano II, li, 41, libro I, cap. 27°, v. 186 ggg. Del-
l'opera del Palmieri e de' Buoi clementi astrologici avrò occasione di occu-
parmi più avanti : qui basti citare 1' ultimo buon lavoro sull' argomento,
di G. Bofkito, L' eresia di M. P. cittadin fiorentino, in Giorn. storico d.
leti, it., XXXVII, p. 1 sgg.
188 CAPITOLO TERZO
Toccava invece al Bonincontri che, se assai probabilmente co-
nobbe il racconto del Certaldese, certo non conobbe il poema
del Fiorentino, divulgato sol tardi e presto nascosto, dopo la
morte dell'autore; toccava, dico, a Lorenzo la fortuna di ri-
vestire artisticamente il mito greco, infondendovi un potente
soffio di vita soggettiva:
Haec inter cupidos Endymiona lusit amantes,
Cam dod aequali lustraret lampade terras.
Dum sequiturque deam, per devia rura vagando,
Per loca piena metus, per et ipsa devia montis,
Fervidns insomnis non cepit nocte quietem.
Non illi studium gemmae, non divitis auri
Cura fuit, sed sancta deùm perquirere tempia
Et superùm flammas et fervida sydera coeli;
Multiplices Lunae facies miratus ab imo,
Terdenos coluit revolutis solibus annos.
Ergo non studium tam longo tempore crines
Pectore, cura fuit dulces non carperò soninosi
Sed pluvialis aquae patiens, Aquilonibus orrens,
Saepius herboso potuit requiescere lecto.
Viderat lume ignis iuxta confìnia ferri
Inter convexum flammae levioris et orbem
Stilbontis, varioque globo circumdare terras,
Imparibus spatiis lustrantem et concava coeli,
Interdum minimis segnalitela cornua flammis
Et velut amissam moestum perquirere Olirapum.
Incertumque viae, quo cornua flexerat orbis,
Nunc oculos mentemque simul super astra ferebat.
Omnia sed postquam vicit sollertior usus
Et labor et studium, quod perficit omnia, velie et
Vim dedit ut motus posset comprehendere certos,
Atque aperire vias omnis, quis diva feratur —
Tantum illi studium longaevi temporis acre
Attulit ! — humano liquit comprehendere sensu
Quo ferat orbe rotas. Hic mundi moenia primus
Transiluit, magnumque deae penetravit ad orbem,
Et varias vidit vires variosque meatus
Multiplicesque illi sub eodem sydere formas.
Haec via sublimes animos ad sydera vexit,
Nec non et doctas qui quaesivere per artes
Naturae causas, et frontoni cingere lauro,
Castalii latices ausos contingere fontis ;
I POEMI DEL BONINCONTRI 189
Et plures, quos nulla quies deduxit, ab alto
Miratos coeli speciem, fragilemque videntes
Terreuae faecis tabem, vitamque fiuentem.1
1 Laurenz. XXXIV, 52, e. 75b-76b. Le osservazioni, che si leggono a
p. 20, valgano anche per la versione seguente :
Fra' suoi cupidi amanti Endimi'one
Ella derise, con la lampa or viva
Or spenta per le terre errando. Ond' egli
Che lei su da' sentieri aspri de' campi,
E dalle selve, nido di paure,
E dalle balze impervie de' monti
Seguiva con intento occhio bramoso,
Vigile, mai non die le notti al sonno.
Vaghezza d'oro o cura di monili
Non ebbe in cuor, ma gli aurei pianeti,
Gli astri di fiamma e i palpitanti fuochi
Spiò dell' etra, pazientemente ;
E dall'infima Terra i molti errori
Dell' ardua Luna speculando, vide
Chiudere il giro trenta volte il Sole.
Né per tanta stagione ebbe giammai
Desio d' unger la chioma o dare al dolce
Sonno le membra : tollerò le gravi
Piogge e le buffe d' Aquilone, e spesso
In letto di selvagge erbe posò.
Ma vide egli la Diva, oltre la sfera
Del fuoco, che la fiamma esile incurva,
Di qua dal corso di Stilbonte, tutta
Cinger con variante orbe la Terra:
Or con mezza la faccia errar pe' cieli,
Or con piccole fiamme appena un segno
Lasciar delle sue corna, ed or perduta
Pel mesto Olimpo taciturna audare.
Incerto della via, dove sul mondo
Ella sveli il suo raggio, egli levava
Sulle sfere, con l'occhio, anche il pensiero.
E vinse finalmente il lungo studio,
La fatica, V amor che tutto compie,
E il costante voler, si che palese.
Senza dubbiezze, gli si fé' ogni moto,
E tutte chiare apparvero le vie
Dove scorre la Dea. Tanto a lui valse
La diuturna indagine profonda!
Onde a senso mortai Cinzia diede
Scoprir sue fasi e primamente il breve
Confili del mondo superare e, a lei
Giunto, mirare nuove vie, parvenze
E forze nuove, in lei, che pur non muta.
Molte per tale amor menti sublimi
Si levarono al ciel, molte a' principi
Della Natura attesero, ne' lunghi
studi, e molte di lauro ornar la chioma.
Mentre al castalio umor porgeano il labbro:
Ma più la veglia faticosa addusse
Dall' altezza de' cieli a meditare
La superna beltà, della terrena
Feccia la tempra fragile ed impura,
E il rapido fluir di nostre vite.
190 CAPITOLO TERZO
L'originalità di quest'episodio sta in ciò, che mentre nel rac-
conto del Boccaccio e degli altri mitografi la favola, secondo
il senso letterale, rimane sempre quella del pastore innamo-
rato, a cui solo a guisa di commento segue l'interpretazione
evemerÌ8tica; nel Bonincontri coscientemente scompare ogni
traccia di narrazione mitica e sole rimangono la storia e la
figura dell'antichissimo astronomo, la cui trasformazione rag-
giunge cosi il compimento. Né questo solo avviene ed ha va-
lore di novità, ma una elevazione l'accompagna, ben più no-
tevole, onde il fantastico scrutatore dei cieli si spoglia «li
quella grossolana indeterminatezza, che toglie serietà e con-
sistenza ed altre figure consimili, al Trismegisto, a Manetone,
a Pet08Ìri, a Necepso. Endimione diventa lo scienziato mo-
derno, che non solo s'immerge, come già osservava il Boc-
caccio, negli studi al punto da vivere estraneo alle faccende
quotidiane del prossimo, come un uomo che dorma, ma ope-
rosamente si dà all'osservazione ed alla comparazione. Non
dimentichiamo ciò che dice il poeta, con mirabile osservazione
autopsicologica, dell'aiuto che all'occhio porge il pensiero; e
non trascuriamo il movimento lirico della chiusa, dove ricor-
rono certe idee umanistiche intorno alla brevità della vita ed
all'alta funzione della scienza e dell'arte, da noi già trovate
altrove nell'opera del nostro autore. ' Non parlo poi dei preirì
esteriori di questi versi, e specialmente dell'efficacia pittorica
di certe frasi veramente felici. Solo conchiudo — né paia esa-
gerazione — che basterebbe la profonda poesia di quest'epi-
sodio a sollevare il Bonincontri e il suo poema al disopra di
quella indifferenza nella quale sono giaciuti finora.
Ma andiamo oltre e veniamo a Mercurio, che è il secondo
de' pianeti esaminati dal poeta. Caratteristica fondamentale
di Mercurio è la meravigliosa mutabilità, la quale nel campo
astronomico si manifesta con le rapide retrogradazioni rispetto
al Sole, nel campo mitologico è rispecchiata nelle infinite me-
tamorfosi volontarie del dio, e nel campo astrologico appare
dalla varietà, veramente straordinaria, degl'influssi, or buoni
1 Cfr. ciò che abbiamo detto a p. 174.
I POEMI DEL BONINCONTRI 191
or cattivi. Io non trascriverò i particolari, che nel poema a
questo riguardo sovrabbondano; soltanto toccherò qualcuna
delle cose più notevoli. E prima dirò dell'accenno all'origine
egizia del dio ed alla sua interpretazione evemeristica, onde,
al par di Endimione, egli vien ritenuto l'inventore dell'astro-
nomia:
esse deum mendax patefecerat olim
Aegyptus. Mores illis ritusque sacrorum
Exhibuit, docuitque viros al tari a circum,
Ignibus accensis, sacroque piamine thuris,
Posse horaines penetrare globos sedesque supemas.
Hunc natum Nilo dicunt Memphique parente,
Et celebrant mensem Stilbontis nomine dictam.1
A rigore, le notizie contenute in questi versi, ed attinte dal-
l'autore liberamente a un noto passo di S. Agostino,2 peccano
d'inesattezza; giacché con la parola ZxiXfìcùv, lo scintillante,
i Greci intendevano tradurre non il nome egizio del pianeta,
ma il caldeo.3 Giusta è però nella sostanza l'origine religiosa
della leggenda, diffusissima ne' libri antichi d'astrologia. Un
altro passo notevole a proposito di Mercurio è l'enumerazione
dei vari influssi del dio in congiunzione con gli altri pianeti,
e specialmente l'influsso di lui con Giove, donde nascono i
re, e donde il Bonincontri coglie un' occasione propizia per
glorificare la dinastia aragonese.
Il terzo pianeta, di cui l'autore discorre, è Venere.
Tertia snbsequitur sedes et tertius orbis
Hic, Cytherea, tuus ; vires lumenque globosque
Eloquar, et sparsas fulgenti lampade flammas.
Vos animae quaecumque poluin sedesque beatas
Incolitis, Venerisque deae loca summa tenetìs,
Este duces, nam vostra iuvat praesentia vatem.
Et tu sancta Dei genitrix, quam sydere in isto,
Diva, colo, summique sedes super ardua coeli,
Quamque ego non nunquam Veneris sub nomine fleto
Compellare raeis ausus sum, diva dearum,
1 Laarenz. XXXIV, 52, e. 81 a.
' S. Acr. AuausTim De civitate Dei, XVIII, 8, presso Mians, Patroì.
lat., 41.
3 A. Bocche- Leclbrcq, op. cit., p. 100, n. 6.
192 CAPITOLO TERZO
Da, precor, his animum rebus mentemque quietarci,
Ut valeam tantae describere lumina flammae.1
In questi versi è il riassunto di ciò che segue. Venere, dice
il poeta, è la sede delle anime grandi,2 e specialmente delle
anime della stirpe di Enea e de' principi italiani buoni di
tutti i tempi; onde avviene che la dea, ansiosa di rivedere,
insieme col suo eroico corteo, i luoghi del suo dominio in terra,
ora scorre ad occidente ed ora a levante, fra Koma e Troia,
formando la disperazione degli astronomi (retrogradazioni!.
Ma essa è pure l'allegoria celeste di Maria Vergine in grazia
del suo influsso benigno, il quale ha tanta forza di bontà e
di gioia, da compensare, nella congiunzione, la funesta azione
dei pianeti cattivi. Desiderabile è adunque la sua presenza
in cielo nelle nascite e nella formazione dei regni, special-
mente in tempi, com'eran quelli del poeta, cosi pieni di guerre:
Ergo omnes superùm postquam dea maxima fiamma»
Accipit, et diri frenat Mavortis acerbam
Saturnique senis rabiem luxusque nefandos,
Optandum nobis foelici ut lampade terras
Circuat, et longi perducat tempora amoris,
Optatamque deùm pacem mundique quietem
Afferat, et rabiem crudelis comprimat auri. 3
Con Venere termina il libro secondo, ma non s'interrompe
che apparentemente il filo della trattazione ; la quale prosegue
nel terzo libro, secondo l'ordine tolemaico, e passa al quarto
pianeta, cioè al Sole. Badiamo però che una breve invocazione
sta a capo anche di questo libro, ed è, a differenza delle pre-
cedenti, di carattere interamente religioso;4 e religioso, in ge-
nerale, è il libro stesso, specialmente verso la fine, per ragioni
che indagheremo a suo luogo.
1 Lanrenz. XXXIV, 52, e. 85 b.
* Abbiamo visto il ritorno delle anime ai cieli «secondo la sentenza di
Platone » esposta dall' autore nel secondo libro del primo poema (v. p. 172) ;
quanto alla descrizione del corteo di Venere, essa arieggia la rappresenta-
zione maniliana del trionfo delle anime degli eroi nella Via lattea (Astrati.
I, 768-804).
3 Laurenz. XXXIV, r>2, e. 89b-90a.
4 Laurenz. XXXIV, f>2, e. 90a.
I POEMI DEL BONINCONTRI 193
Dicevo adunque del Sole, a proposito del quale il Bonin-
contri espone la teoria delle stagioni dell'anno, toccando molte
questioni astronomiche, descrivendo l' origine e l' importanza
dello Zodiaco, e discorrendo d'altre cose che possono inte-
ressare, meglio che noi, gli storici della scienza. Dopo, viene
l'influsso, il più potente di tutti gl'influssi, proporzionato alla
massa, al calore ed alla luce del grande astro diurno: influsso
funesto, quando il Sole venga a trovarsi in un segno zodia-
cale di natura violenta o comunque cattiva; felice, in caso
contrario. Ma la peggiore delle azioni si manifesta quando il
pianeta, nell' ecclissi, si oscura ; allora accadono le grandi
sciagure dell' umanità :
Nam si forte, suos Terrae cum porrigit ignes,
Se Luna opponat media inter sydera fratri,
Orrendos tunc ille dies mortalibus offert. *
Mentre, quando libero da perturbazioni maligne, trovandosi
in costellazioni di natura mite e gioconda, può esplicare tutta
la sua forza fecondatrice, oh ! allora è l'astro più caro agli
uomini; onde il poeta a lui si rivolge, esclamando:
Et tu, surame deùm, pestem depelle futuram
Humano generi, meliora et tempora praesta,
Dum pendent miseri labentia sydei-a fati ! 2
Con Marte i bei presagi improvvisamente si oscurano: per
lui ribollono i campi colpiti dalla siccità, i corpi animali dalla
febbre, i popoli dalle guerre e dalle rivoluzioni. Il colore stesso
di Marte, rosso-sangue, denota violenza:
Est rubicunda deo facies similisque pyropo,
Qua mortale genus raortis discrimina sentit;
Hoc irae faciles, rixae, subitique furores ;
Infoelixque deo sydus, mortalibus arma
Suggerii, et placidae deturbat tempora pacis.3
1 Laurenz. XXXIV, 52, e. 98a.
1 Laurenz. XXXIV, 68, e. 99 b.
» Laurenz. XXXIV, 62, e. 100 b.
Soldati
194 CAPITOLO TERZO
Se è vero, dice l'autore, che questo dio è un eroe antichissimo,
Qui, prius excelsas superùm quam scanderet oras,
Ut fama est, priscae gentis certamina sanxit,
Bellaque conflictu docuit peragenda cruento, '
perché meravigliarci del suo influsso? Del resto la più bella
riprova della verità di tutto ciò è data da due esempi storici :
il principio burrascoso del regno di Ferrante d'Aragona, e la
travagliatissima vita militare del poeta. Il passo, importante
anche per ragioni artistiche e morali, che di quest'ultima de-
scrive le vicende, ho già riportato in altro luogo;* qui farò
notare soltanto che l'uso d'inserire il proprio tema di genitura
non era nuovo, bensi comune ai poeti dell' astrologia fin dai
tempi romani, come abbiamo rilevato anche noi.3 In un solo
caso, soggiunge il Bonincontri, l'azione di Marte, per quanto
cruenta, può giovare ai popoli ad esso soggetti : quando Marte
è in congiunzione col Sole, onde produce guerre giuste e for-
tunate. Produca adunque un risveglio nelle coscienze dei prin-
cipi cristiani, e li spinga sul serio alla spedizione contro le
schiere, purtroppo assai «valide»,4 del Turco!
Giove ha influsso benigno e regale. Al pari degli altri dèi
planetari, era antichissimamente un eroe dotato in grado emi-
nente della virtù della giustizia, tanto da divenire il simbolo
del buon governo. Egli diede agli uomini selvaggi e primitivi
del regno di Saturno le prime leggi civili e i riti religiosi:
Hic postquam terras vidit sine lege iacentes,
Ut permixta virìs essent ammalia quaeque,
Orrida discussit Saturni saecula primum.
Inde hoininum sobolem perfectas duxit ad artes :
Et postquam patrios ritus moresque refregit,
Et simul omne forum toto disiecit ab orbe,
Aurea saecla deus multos spoetata per annos
Instituit, sanctumque dedit iustumqne colondum,
Imposuitque pias sacratis aedibus aras. ■
1 [MIMI. XXXIV. :,_'. e. 101 a.
1 Vedi p. 131, ed ivi la n. 1.
3 Vedi p. 47 ; e A. Bouch*-Lkclkrcxj, op. cit., p. 444.
* Laurenz. XXXIV, 62, e 105b. Cfr. pure, benché non c'entrino ragioni
astrologiche, una consimile invocazione del Basini, a p. 88.
* Laurenz. XXXIV, 62, e. 107a.
I POEMI DEL BONINCONTRI 195
Non altro il poeta soggiunge intorno al sesto pianeta; però,
avanti di staccarsene per passare a Saturno, forse preso dal
rimorso d' aver abusato alquanto nella esposizione di cosi
vari influssi astrologici, inserisce un lungo brano teorico in-
torno alla dottrina del fato. Ma non dice cose, che noi già
non conosciamo da altri passi delle sue opere. Basti rilevare
i versi, nei quali, come conclusione, egli afferma dipendere
dalla volontà libera di Dio le vicende morali dell'umanità:
Quas tamen et rerum species non esse reclusas
A ratione Dei vera, manifestius ipsa
Doctiloqui potuit perpendere musa Platonis,
Qui docuit mentes hominum dominarier astris,
Et posse interdum convertere fata futuri
Temporis, et nullis subiectas motibus esse.1
Se il lettore ricorda, pure ad un passo di Platone il Bonin-
contri s'era appoggiato per sostenere la libertà dell'arbitrio,
nel suo Commento a Manilio.2
L'ultimo è Saturno, stella fredda per eccellenza e simbolo
della vecchiaia. Il suo corso, lungo ben trenta anni solari, è
irregolarmente riscaldato dal Sole, onde vari ne sono gì' in-
flussi. Fra i quali tuttavia, nella storia dell'umanità, ha im-
portanza capitale quello, che il rigido pianeta produce in con-
giunzione con Giove: congiunzione rarissima, che fino al tempo
del poeta s'era verificata tre volte soltanto. La prima volta
aveva arrecata la fine della prima grande età del mondo, cioè
il diluvio universale; la seconda avea chiuso l'antico Testa-
mento con la nascita di Cristo;3 la terza avea fatto correre
• Laurenz. XXXIV, 52, e. I09b-110a.
* Vedasi ciò che ne abbiamo scritto a p. 162; e si consulti pure, per
maggior sicurezza, il Commento vaticano, cod. 2846. e. 136b-140a; anzi di
codesto Commento si badi, con le necessarie riserve, alla chiusa, a e. 142a:
« Sed nos liane quaestionem (de fato) relinqnamus nostris theologis termi-
nandam, quorum detertninationi scinper acquiescemus et sanctorum docto-
rum sacrosanctac romanae Ecclesiac, quibus sit honor et gloria per inimici
saecula saeculorum. Amen ».
3 Questa proposizione, che ha odore ereticale, è cosi spiegata e corretta
nel Commento vaticano, e. 141 a: « Loquitnr (poeta) quantum pertinet ad
astrologos de initio sectae Christiauorum, nec intelligerc vult de natali
Christi Jesu, nam omnia in eo fuere miraculosa, nec eius natale est subdi-
tuin astris, cum ipse sit dominus omnium quae in universo mundo sunt ».
196 CAPITOLO TERZO
alla Cristianità un tremendo pericolo, con 1' avvento di Mao-
metto, prodotto specialmente dall'influsso combinato del Cancro,
nel (|uale i due pianeti s'eran congiunti nel primo anno dd
l'Egira (622). Ma già una quarta s'avvicinava, era anzi prof
sima ed invocata :
Ast quoque quae nostrìs iam iam ventura sub annis
Et melior, nostrae legis vix pauca refringet,
Aspera quae nimium sacris et dura ferendis ;
Et genus orane mali tollet pompasque sacroruin.
Ac regem dabit innocuum, qui terminet orbem,
Et regat imperio populos, gentemque rebellem
Imperio subdet, toti et dominabitur orbi. '
Un riformatore era adunque atteso, anzi un riformatore reli-
gioso, come meglio appare dalle parole del Commento : « Haec
(coniunctio), meo iuditio, erit anno salutis 1504, quae indicat
prophetae adventum vel alicuius sanctissimi viri, qui in me-
limi reformabit religiosorum mores et vitam, quae est nostro
tempore omnibus bonis viris contemptui, ne dicam odiosa,
propter ipsorum fastus et turpitudinem ».2 Donde precisamente
il Bonincontri abbia presi questi presagi, non saprei indicare:
forse da qualche pronostico corrente ai tempi suoi, o forse da
accenni imperfetti de' trattati d'astrologia, accomodandoli alle
vicende storiche contemporanee. Non c'è infatti scarsità, nella
tradizione classica e medioevale, da Virgilio a Gioachino da
Fiore, di fantasie intorno ai grandi periodi dell'umanità;3 e
1 Lanrenz. XXXIV, 52, e. 114b.
Vaticano bit. 2845, e 141 b.
3 A. Bouché-Lkci.erc<j, op. cit., p. 499, D. 1. Albumasar sostiene uni
di dieci grandi rivoluzioni saturnine, chiusa ciascuna da un grande avveni-
mento storico (v. J. Pici et. Dièpttt in (utroìogiam, Baaileae, l'.oi, v. eaji
ed il Landino, nel suo commento dantesco, assegna, per ragioni astrologielie,
alla renata del Veltro la data del 25 Novembre 1484 (P. Vili. ahi. La storia
ili (1. Savonarola, Firenze. [887-88, I, p. 04). Quanto poi all' iuiluss..
stata della ooagiusiOM di saturno eoa Giove, ecco ooaae al esprime, nei
barbaro latino del suo traduttore, lo stesso Albumasar. BOtO il Boaloeoutrl :
« Dieainus ergo quomodo eoniunetio duorum siiperiorum, scilicet Saturni et
Jovis, planetaruni fccit aliquid ex rebus necessari. . in pcrmutationibus
tarum et vitium et permutatinuibus Icguni et in adveutu ingcntium rerum
et in permutatone imperii et iu morte rcgum et in adventu proplic-
t a in in et proplietizandi et miraeulorum in scctis et vicibus regnorum » (Al-
bumasar, De maffnis coniunctionibus etc., Venetiis. 1616, Tract. Ili, din". 1).
I POEMI DEL BONINCONTR1 197
proprio lo scorcio del secolo decimoqninto si mostra singolar-
mente fecondo di profezie religiose e politiche. Si noti poi
che nel testo poetico la predizione è molto indeterminata, tanto
che difficilmente vi si può indovinare chi debba essere l'eroe
preveduto; mentre nel Commento, scritto circa vent' anni più
tardi, il Veltro atteso si mostra un religioso, quasi certamente
un pontefice. Il Bonincontri quando cosi postillava l'opera sua
era infatti a Roma, e vedeva da vicino l'ambiente della corte
papale, dove già comparivano i segni forieri d'una riforma;1
la quale invero segui, ma non quale il nostro astrologo l'avrebbe
desiderata, né sulle rive del Tevere, bensì in territorio germa-
nico, a piccola distanza dal tempo predetto.
Dopo codesto grande influsso saturnino, che fa le parti del
rettorico episodio di chiusa, poche altre cose si leggono in-
torno al pianeta, col quale hanno termine il libro insieme e
il poema.
V.
L'esposizione della materia dei due poemi, fatta con di-
screta larghezza e seminata di citazioni dal testo originale,
mi dispensa in gran parte dalle riflessioni intorno all'arte del
Bonincontri. Basterà infatti eh' io accenni ai principali carat-
teri della forma poetica del nostro scrittore, e lasci al lettore
di ritrovar da sé, nelle pagine precedenti, la riprova de' miei
giudizi. Dirò pertanto, in primo luogo, che la perizia stilistica
e metrica di Lorenzo, se non è somma, non è neppur deficiente.
Lungi da me l'innalzarla fino alla perfezione polizianesca o
pontaniana! Ma mi si conceda di proclamarla, per molti ri-
guardi, non indegna del secolo in cui si maturò. Ricordiamo
Da queste affermazioni partirà, circa un secolo dopo il Bonincontri, Keplero,
per sostenere che la famosa congiunzione dei due pianeti altro non è che
la biblica stella dei Magi. Intorno alla quale v. 0. Zanotti Bianco, Astro-
logia e astronomia, Torino, 1905, p. 67 sgg.
1 Nei Fasti, che sono, come sappiamo, dello stesso tempo del Com-
inento, si esprimono intorno alla corruttela dei religiosi, e specialmente dei
cardinali, idee consimili con frasi non meno roventi : v. il mìo studio su
Gì' inni sacri d' un astrologo ecc., cit., p. 422.
198 CAPITOLO TERZO
certi episodi, certi brani anche brevi, nei quali il pensiero
forte, l'immagine evidente e viva trovano nei vocaboli e nel
ritmo il colorito e il rilievo piò conveniente: rileggiamo l'Kn-
dimione o l'influsso di Marte e certe parti della battaglia di-
vina contro Lucifero, e concediamo all'astrologo il nome, me-
ritato, di poeta. Per contro non dissimuliamoci i molti difetti,
primo fra tutti l'ineguaglianza, la quale provoca in chi legge
attentamente il lungo testo bonincontriano un senso, ad ora
ad ora, di stanchezza e di dispetto. Troppo spesso ai brani
migliori seguono passi sciatti, ripetizioni oziose, con danno
della compattezza e singolarmente della continuità artistica
dell'opera. A volte poi, accanto a versi sonanti ed a costrutti
ben sostenuti e congegnati, s'adagiano senza vita lunghe file
di sillabe e di parole, il cui unico merito è una elementare
correttezza metrica e grammaticale. Cosi povere e tediose sono
specialmente le digressioni dottrinali, che tanta parte inva-
dono del primo poema e tutta la fine del secondo.
Non entusiasmo esagerato adunque per l'arte del Bonin-
contri, ma giusta considerazione, ma quella temperata ammi-
razione, che i contemporanei e i posteri meno lontani non
esitarono a tributargli. Infatti come poeta astrologico, oltre a
quelli che già conosciamo, Lorenzo ebbe il postumo elogio di
Luca Gamico, pubblicamente pronunciato dalla cattedra dello
studio ferrarese;1 e come artista in genere ebbe le lodi di
Lilio Gregorio Giraldi, che nel primo de' celebri dialoghi gli
concesse un posto onorevole fra i poeti del tempo suo.*
1 E. Pèrcopo, U umanista Pomponio Gaurico e Luca Gaurico ultimo
degli astrologi, Napoli, 1895, p. 136.
' L. G. Gyealdus, De poétt8 nostrorum temporum, ed. K. Wotke, 1894,
p. 24. Una voce discorde, levatasi che forse il Bonincontri ancora viveva,
non ha valore critico di sorta: è la voce di Giovanni Pico, il quale, con
l'accanimento suo proprio contro i cultori dell'astrologia, dopo d'aver deriso
un passo di Manilio (II, 221-23), alludendo al Miniatese, soggiunge : € Quo
in loco in ini in quantum deli rat triviali* quidam istius poi'tae intcr-
prcsl > J. Pici Disputationes cit., VI, cap. 16.
CAPITOLO QUARTO
Giovanni Pontano e la confutazione del Pico.
I. Come era giudicata l'astrologia a Firenze dagli uomini più colti, quali il
Palmieri, il Ficiuo, il Toscanelli, il Poliziano. — II. Cause che indussero Giovanni
Pico della Mirandola a scrivere le Disputationes, e materia delle medesime-
— III. Sostenitori ed oppositori dell' opera del Pico. — IV. Giovanni Pontano e le
sue idee intorno al problema astrologico.
I.
Dopo Basinio Basini e Lorenzo Bonincontri, terzo in ordine
cronologico, ma primo in ordine di merito, fra i poeti del-
l'astrologia viene Giovanni Pontano, e con l'opera sua, assai
più celebre di quelle de' suoi antecessori, chiude il ciclo della
poesia astrologica. Chiude pure, sotto un certo punto di vista,
la vicenda delle dispute intorno alla scienza divinatrice, in
quanto egli è l'ultimo di coloro, che alla soluzione di codesto
problema abbiano atteso con serietà filosofica. Egli infatti, per
una felice combinazione di casi, venne a trovarsi involto nel-
l'ultima fase della grande controversia fra i sostenitori e gli
oppositori dell'astrologia; in quella, dico, che si svolse in Fi-
renze quasi parallelamente al rinnovamento del platonismo, e
fini, appunto, a Napoli nel seno del rinnovato aristotelismo.
Il suo nome appartiene ad una serie notevolissima e vien dopo
a quelli del Palmieri, del Ficino, del Bonincontri stesso per
certi riguardi, del Toscanelli, del Pico, autore della celebre e
ponderosa confutazione, del Bellanti e d'altri ancora; il suo
pensiero, forse più delle dottrine di costoro, si allontana dalle
concezioni medioevali e teologiche dell'universo e della mo-
rale, assumendo apparenza scientifica e carattere profonda-
mente pagano. Pagana pure, cioè serena, ricca, fiorente, veste
200 CAPITOLO QUARTO
meravigliosa di questo pensiero, è l'arte sua, alla quale perciò
non ci accosteremo, se prima non ne avremo esaminata degna-
mente la preparazione e la materia.
La controversia astrologica, di cui ho fatto cenno, si ac-
cese vivamente verso la fine del secolo, e più propriamente
intorno al 1494, quando Giovanni Pico della Mirandola s'il-
luse d'aver, con un gran colpo, atterrata la secolare avver
saria della vera fede cristiana. Però le radici di essa s' hanno
da ricercare un poco più in alto, in mezzo ai ragionamenti
dei ficiniani ; anzi, se le scarse testimonianze pervenuteci parran
sufficienti, nelle dispute cortesi di scienza e di filosofia che
per alcun tempo, verso il 1430, si tennero nel convento degli
Angeli, intorno ad Ambrogio Traversali. l Quivi, come sap-
piamo, convenivano assidui anche Paolo del Pozzo Toscanelli,
il celebre astronomo, e Matteo Palmieri, lo speziale dotto ed
ardito in materia teologica, che dopo morto ebbe più fama
dall'eresia che in grazia del valore filosofico e letterario delle
opere sue. Il primo, cioè il Toscanelli, attendeva quasi esclu-
sivamente a studi di matematica celeste, onde intomo all'astro-
logia s'era fatta un'opinione piuttosto scettica, come avremo
fra breve occasione di dimostrare. Ma il Palmieri, assai più
proclive alle astrazioni ed agitato dal problema religioso, s';ul
dentro invece nei misteri dell'influsso, dei quali s'accese vìt
maggiormente nelle letture dei Padri greci, che allora il Tra-
versar! andava compiendo fra l'attenzione del piccolo cenacolo.
Concepì egli allora l'idea della Città di vita, che più tardi
portò a maturazione, fra il 1455 ed il 1464, ma che non volle
pubblicar mai, per ragioni delicate di fede.2
Nella Città di vita la vasta, arida trama si rannoda tutta
ad un unico capo: la conciliazione dell'influsso astrale con la
libertà dell'arbitrio; proprio la questione fondamentale del-
l'astrologia, secondo i teologi. La divisione dei libri e dei <•.»-
pitoli, le molteplici discussioni fisiche, metafisiche e psicolo-
giche, tutte convergono a questo scopo: e su tutto domina.
1 A. Dell* Tokkk, Stima dell' Acculi in in platonica, Kirenzr. i
« Vittorio Rossi, // Quattrocento, cit., p. 177; (i. Borito, /
M. P. cittadin fiorentino, in Giornale stor. della lett. it.. wwii. p, i agg.
G. PUNTANO E G. PICO 201
elemento nuovo e veramente umanistico, un mito platonico, il
quale segna il distacco del poema nostro dalle enciclopedie del
Due e Treceuto, che pure per altre affinità gli son collegate. l
Per il Palmieri, come già per San Tommaso e per Dante,
Lo maggior don che Dio per sua larghezza
Fesse creando, ed alla sua hontate
Più conformato, e quel ch'ei più apprezza,
Fu della volontà la libertate,
Di che le creature intelligenti
E tutte e sole furo e son dotate.2
Ma di questa preziosissima dote pochi spiriti, fin dall'inizio
del mondo, seppero valersi degnamente. Ciò si vide quando
Lucifero si ribellò all'Eterno, che molte creature angeliche
non si schierarono da nessuna delle parti belligeranti ; onde
Iddio, che non volle punire eternamente gl'incerti, pensò il
modo di forzarli a ritentar la prova della libera scelta fra il
male ed il bene.3 Stabili allora che questi esseri uscissero dalle
sedi dell'Empireo per una grande porta fatale, la porta del
Cancro, e attraverso alle sette sfere planetarie ed alle quattro
elementari scendessero sulla Terra a diventar uomini : da ogni
sfera ritraessero particolari attitudini morali e fisiche, dalle
quali fossero istintivamente spinti alle buone od alle cattive
azioui, cioè indirizzati verso le diciotto mansioni del vizio
oppure su per il colle della virtù : la libertà del giudizio si
manifestasse nella scelta della strada migliore, di quella che
deve condurre la creatura un' altra volta beata all' Empireo
per la porta del Capricorno.4 Che è dunque, quaggiù, la vita?
Una lotta fra la ragione e l'istinto, fra la libertà e l'influsso.
1 Un' osservazione simile, non però fatta a proposito del mito platonico,
già si trova in E. Frizzi, La * Città di vita », poema inedito di M. P., in
Propugnatore, 1878, parte I, p. 166.
* Paradiso, V, 22.
3 Notisi quanto differisca questa sorte degli angeli neutrali da quella
tremendamente bassa assegnata loro da Dante, in Inferno, III, 37.
4 In queste due porte, che altro non sono se non i due supposti cardini
celesti della Via lattea, e nella via planetaria delle anime, consiste il mito
pur or ricordato, da Platone narrato, o meglio abbozzato nel X° della Re-
pubblica. Come di esso si siano giovati gli astrologi dell'antichità, v. in
A. Bouché-Leclerc^, L' astrologie grecque, cit, p. 23.
202 CAPITOLO QUARTO
Che sono, lassù, i cieli ? Essi son sedi curiosamente immagi-
nate per suggerimento di miti cristiani e pagani, dove le anime
attendono l'ora della incarnazione, ed intanto, nell'ozio or
breve or lungo, si colorano di speciali temperamenti spiri-
tuali e corporei. Prendiamo un esempio, Saturno. La sua è la
più ampia delle sedi, ed ha forma di grande valle circolare,
qua più colma, là più depressa, fino ad accostarsi a quella
immediatamente più bassa, di Giove. In detta valle vagano
gli spiriti in attesa:
Convien ciascun per ongni cerchio freghi
El giro ad tondo di ciascuna rota,
Et dove inclina quivi più si pieghi.
Nella prima mansion si scorge tota
Vicina al seno del magior girante
La legion con soctiglieza nota :
Loro intellecto mostra che ragione
S' aguzi et pensi, et sian di grande ingegno,
Ma varin molto per varia cagione.
Secreti calli initian questo rengno,
Et vanno e' più di lor per un boschecto
Ascosi in mirto o tecti d' altro lengno :
Per dua valli gli mena lor dilecto l
Per diverse strade infatti si procede al vizio od alla virtù.
onde nella prima valle saturnina s'apprende all'anime il buon
influsso del pensiero e della meditazione, si che in Terra esse
producano, ove la retta volontà le sorregga, filosofi e sapienti.
Ma quell'altre che si cacciano nel secondo vallone, più nume-
rose ed incaute, ricevono la malvagia impronta della frigidità,
della frode, della pazzia.2 E come in Saturno, cosi avviene nelle
altre sfere, essendo ciascuna, secondo i dettami tradizionali del-
l'astrologia, fornita d'azione felice e d'azione funesta. Sennonché
può nascere un dubbio: di tanti e si vari influssi, quale sarà il pre-
dominante in ciascun' anima incarnata? Risponde l'autore che
fin da questo grado della sua nuova esistenza l'anima libera-
mente sceglie il pianeta, che meglio le garba, per suo fonda-
1 Città di vita, lib. I, cap. 12°, v. 37 sgg., secondo il codice Mgl. Stroa-
ziano II, II, 41.
* Città di vita, lib. I, cap. 12°, v. 60 sgg.
G. PONTANO E G. PICO 203
mentale informatore, attingendo da tutti gli altri i mezzi onde
raggiungere la pienezza della sorte preferita. Un' anima, ad
esempio, s'invaghisce di Giove, cioè della potenza, ma va pur
fornendosi del valor militare (Marte), dell'astuzia (Mercurio),
della prudenza (Saturno), della bellezza e cortesia (Venere),
tutti ottimi coefficienti di riuscita nell'acquisto di quel primo
ideale. 1 Inoltre in ciascuna sede può trovarsi un eccesso d'in-
flusso tale che il bene degeneri in errore, o una deficienza
che richieda un aiuto; onde gl'influssi dei pianeti limitrofi
vengono in buon punto a temperar la violenza o a rafforzar
la fiacchezza. Si pensi, ad esempio, alla bellicosa influenza di
Marte, cui posson recare grandi vantaggi il sentimento della
giustizia (Giove) e la serenità (Sole); e per contro si consideri
la retta amministrazione (Giove) e la pace lieta (Sole) de' regni,
che senza il puntello delle armi (Marte) non potrebber durare.2
Altre sottigliezze prettamente astrologiche, che si leggono
ancora nel nostro poema, son per noi trascurabili. Giacché
questo soprattutto ci premeva di mettere in evidenza, che la
questione dell'astrologia, non importa se risolta in senso cri-
stiano, quale noi la vediamo rispecchiata nell'opera di Matteo
Palmieri, si affacciò a Firenze, con carattere nuovo, nelle adu-
nanze del 1430; e che la novità del carattere da essa assunto
consiste in certi elementi platonici, sian pur derivati di se-
conda mano ed interpretati troppo letteralmente. Tra poco,
cioè ancor vivo il Palmieri, ripiglierà lo stesso problema un
amico suo,3 che del platonismo si farà banditore; e nell'anno
stesso della morte di lui verrà a Firenze, a ridestare lo studio
dell'astrologia, come abbiamo veduto, Lorenzo da San Miniato.
Come la pensasse il Ficino intorno a queste cose, già avemmo
occasione di lasciar capire quando parlammo di certa corri-
spondenza filosofica, eh' egli ebbe col Bonincontri. Dicevamo
allora che l'astrologo, assai perplesso sulla soluzione del più
1 Città di vita, lib. I, cap. 15°. La scelta della sorte non è teoria imma-
ginata dal Palmieri, ma fu già una trovata di Porfirio, il noto neoplatonico
conciliatore del libero arbitrio e dell' influsso, tanto ammirato dai filosofi
del Rinascimento: v. A. Bouchk-Leclercq, op. cit., p. 601.
2 Città di vita, lib. I, cap. 17°.
8 A. Dilli Tosse, op. cit., p. 492.
204 CAPITOLO QUARTO
grave dei problemi della sua scienza, cioè sulla conciliazione
voluta fra l'influsso, la Provvidenza divina e il libero arbitrio,
aveva sottoposti al giudizio del filosofo i propri risultati; ed
il filosofo aveva risposto approvando con entusiasmo quella
conciliazione forzata, non già perché egli sentisse di trovarsi
d'accordo con l'interrogante sulla realtà dell'influsso o sui
segnali celesti, ma perché le conclusioni del Bonincontri, ap-
parentemente conciliative, non turbavano la sua cosoiensa re-
ligiosa. Abbiamo riprodotta a suo luogo la lettera ficiniana, e
ad essa rimandiamo il lettore affinché vi osservi la prudenza ili
chi la scrisse:1 cosi lo invitiamo a scorrere un'altra epistola
del dotto platonico al Miniatese, nella quale il riserbo non è
meno evidente. Pare infatti che Lorenzo avesse per abitudine di
ricordare uno dei dogmi essenziali dell'astrologia, cioè quello
che diceva non poter essere buon astrologo chi non a\.
onestà e pietà religiosa, essendo condizione indispensabile del
retto astrologare una vocazione specialissima, dipendente dalla
grazia divina. Questo affermava Lorenzo, attenendosi a To-
lomeo ed in generale alla tradizione; ma il Ficino, amiche-
volmente approvando, astutamente se la cavò equivocando sul
vocabolo « astrologo », che, come ben sappiamo, aveva a quei
tempi ancora il doppio significato d'indovino e di matema-
tico, Ecco il passo della lettera, abbastanza chiaro di per
« Soles saepenumero dicere, Laurenti, non posse homines im-
pios unquam astrologos veros evadere. Quod quidem mitri
quoque videtur esse verissimuin. .Nam si coelum Dei ipsius est
templum, consentaneum est prophanos homines procul a cubi
coelestibusque arcanis expelli. Praeterea non solum astrouu-
miam, veruni etiam sapientiam omnem a barbaris descendisse,
Plato noster ceterique Graecorum sapientes procul dubio con-
fitentur. Compertum vero habemus solos apud barbaros sacer-
dotes physicas, mathematicas metaphysicasque scientias t
tavisse, utpote qui sciebant sapientiam praecipuum Dei domini
non nisi mentibus maxime sacris divinisque vel debere, vrl
posse concedi. Hac potissimum, ut arbitror, ratione Constai
1 Vedi qui innanzi a p. 153.
G. PONTANO E G. PICO 206
ritae magister ait sacra misteria (lari quidem vulgo velata,
electis autem discipulis revelari ». 1 Or quale conclusione trar-
remo da queste citazioni? Che Marsilio fosse nemico dell'astro-
logia? p]ppure non narrano di lui i biografi più autorevoli al-
cuni fatti, che ce lo mostrano, per questo riguardo, del tutto
diverso ? Non si racconta, per esempio, della fiducia ch'ei nu-
triva nell'oroscopo formulato a lui bambino da due astrologi
di Firenze, nel quale si diceva ch'egli avrebbe risuscitato il
sapere filosofico degli antichi?2 Non si descrive la sua continua
preoccupazione della salute malferma, ch'egli affermava di-
pendere dal proprio tema di genitura, funestato dalla presenza
di Saturno ascendente in Aquario?3 Non è nota finalmente la
sua credenza, espressa in una lettera ad Amerigo Corsini, che
la vera amicizia si generi, almeno in parte, da identità d'in-
flusso astrale ne' due amici?4 Di più, non si fa menzione d'un
pronostico da lui composto per Giovanni de' Medici, designato
papa molti anni avanti il pontificato;5 o dell'uso ch'egli fa-
ceva, negli anni in cui esercitò la professione di medico, del
punto astrologico nelle cure degl'infermi?6 Ma soprattutto,©
non era egli platonico? E noi sappiamo come il platonismo
avesse una teoria fisica del cielo, che si sarebbe detta creata
appositamente per giustificare l'astrologia.
1 M. Ficini Opera, Basileae, 1576, p. 787.
' A. Dell* Torre, op. cit., p. 588.
8 P. Villari, La storia di Ger. Savonarola e de' suoi tempi, Firenze,
1887, I, p. 64.
4 « Una somiglianza di tal natura gli astrologi dicono che consista nel-
l' identità dell'astro che presiede alla nascita, i platonici nell'identità del
demone, che ispira in vita, i fisici nell'identità del temperamento. Ora
quando qualcuna di tali identità interviene, la benevolenza fra gli amici
è di già grande, ma diventa grandissima, quando quelle identità interven-
gano tutte insieme: in questo ultimo caso sorgono Pizia e Damone, Oreste
e Pilade », in A. Della Torre, op. cit., p. 663-64. Questa teoria dell'amicizia
e dell'amore, come ben si comprende, era comunissima fra gli astrologi;
e chi volesse conoscerla a fondo non ha che da vedere G. Boffito, II « De
pi-incipiis astrologiae » di Cecco d'Ascoli nuovamente scoperto e illustrato,
in Giornale storico, Supplemento n.° 6, p. 21.
5 O. Massktani, La filosofia cabbalistica di G. Pico della Mirandola,
Empoli, 1897, p. 174.
6 G. Massbtani, op. cit., p. 177.
206 CAPITOLO QUARTO
Per cogliere il pensiero del Ficino, il quale, in verità, è
in questo, come in altri ponti, oscillante e mal definito, biso-
gna prima d'ogni altra cosa tener conto della cronologia; biso-
gna cioè riconoscere che quasi tutti i fatti citati in favore della
sua fede nell'influsso, sono anteriori al triennio 1467-69, triennio
di singolare importanza nella vita morale e spirituale di Mar-
silio, perché in esso si compi la crisi religiosa nell'animo di
lui e la sua cosidetta conversione al cristianesimo, anzi al sa-
cerdozio (1473). * La qual cosa significa che quei tali fatti an-
teriori, di carattere astrologico, se corrispondevano al pensiero
del filosofo nella età, per dir cosi, giovanile, non corrisposero
più al suo pensiero maturo, al quale furon conformi invece
le lettere indirizzate al Bonincontri, e sul quale la pregiudi-
ziale religiosa ortodossa prese a dominare. Ma una difficolta
rimane e risiede in alcuni di quei fatti, i quali persistono
anche dopo la data del rinnovamento: la malinconia saturnina,
per esempio, e l'uso della medicina astrologica. E più che
mai resiste, o par resistere, ai nostri sforzi esplicativi di com-
mentatori imparziali, la professione di platonismo, per mezzo
della quale inutilmente, a filo di logica, si tenterebbe d'abbat-
tere l'astrologia. 11 nodo adunque, anche tenuto il debito conto
delle ragioni cronologiche, non si può sciogliere, senza risalire
a quelle opere maggiori, nelle quali, al disopra degli errori
possibili e delle dimenticanze della vita pratica e professionali*.
la mente del Ficino si rivela, o dovrebbe rivelarsi, senza oscu-
rità ed incoerenze. E l'opera più importante, a cui il filosofo
attese fra il 1484 e il 1490, e che per il problema nostro è
direttamente utile, anzi necessaria, è la Traduzione delle En-
neadi di Plotino, con il relativo Commento e con il breve
libro, desunto da Plotino anch'esso, De vita coelitus compa
randa, cui tien dietro, quale nota dichiarativa e difensiva,
V Apologia.
Bisogna anzitutto sapere che il platonismo del Ficino,
uscendo dal periodo della crisi religiosa, si trovò non legge*1
mente mutato negl' intenti e nelle dottrine, per opera di duo
1 A. Della Torri, op. cit., p. 690-594.
G. PONTANO E G. PICO 207
agenti modificatori ; di modo che mal giudicherebbe delle idee
ficiniane chi si ostinasse a cercare in esse una derivazione
pura dalle concezioni del filosofo ateniese. Il primo degli
agenti modificatori fu l' azione efficacissima delle opere di
sant' Agostino, la quale ebbe invero un duplice effetto assai
duraturo sull'animo del traduttor di Platone:1 eresse nella
mente di lui quasi un continuo controllo, una continua sorve-
glianza ortodossa sulle opinioni del filosofo greco, intesa ad
una conciliazione forzata fra la teologia cristiana e quella che
allora fu battezzata teologia platonica, dove quest'ultima ve-
niva sempre in parte sacrificata ; ed assegnò per iscopo al
platonismo cosi santificato la propaganda religiosa fra le menti
più dotte ed elette, cioè fra coloro in cui la semplice fede in
Cristo avea bisogno del sussidio della ragione. Si capisce per-
tanto come tutte quelle parti del sistema platonico, le quali
favorivano la giustificazione dell'astrologia — quelle parti ap-
punto che, accolte e sviluppate dagli Stoici, portarono al fa-
talismo di Manilio, — perché in aperta opposizione al prin-
cipio cristiano del libero arbitrio, venissero ad attenuarsi, a
scomparire nel sistema del filosofo e sacerdote fiorentino. Onde
l' irragionevolezza pregiudiziale d' un platonico nemico del-
l'astrologia è non risolta, bensi evitata molto accortamente, e
secondo i desideri della Chiesa.2 Ma non basta. Accanto al-
l'influenza della religione un'altra influenza, singolarmente
dopo il 1484, si fece sentire sull'indirizzo intellettuale del Fi-
cino: il neo-platonismo di Plotino e di Porfirio, quello del
primo specialmente. E fu influenza dominatrice, quale era na-
turale subisse uno spirito indagatore ed acuto si, ma troppo
entusiasta ed ammiratore, ma troppo poco diffidente ed origi-
nale.3 Da essa, nel modo che ora vedremo, provengono gli
scritti che ho citati testé.
1 A. Della Torre, op. cit., p. 592.
5 Sulle idee anti-astrologiche dell' Ipponense, che servirono di scuola
al Ficino, v. questo nostro lavoro, a p. 52.
8 A provare il culto esageratamente devoto professato da Marsilio verso
Plotino, ricorderò, di volo, la credenza che egli ebbe nelle visioni ultrater-
rene del filosofo antico (v. P. Villaki, La storia di Ger. Savonarola, cit., p.
64), e l'opinione che questi potesse giovare immensamente alla conversione
208 CAPITOLO QUARTO
Il Ficino adnnque, nel 1484, aveva finito di tradurre Pla-
tone; ed allora Giovanni Pico, venuto in quell'anno stesso a
Firenze, gli consigliò di rivolgere la sua attenzione a Plotino,
come allo scrittore che mirabilmente avrebbe cooperato col
grande ateniese alla missione religiosa del platonismo. Annui
di buon grado il Ficino, a cui le parole del Pico parvero
un'eco della voce di Cosimo il vecchio, già morto, ma sempre,
con l'anima, vigile sopra l'infaticabile opera del suo protetti»;
ed incominciò subito la traduzione, che nel 1486 era terminata.
Ma la Traduzione da sola riusciva ostica ed inefficace, onde
Marsilio ideò un largo Commento, composto a intervalli, fra
1"86 e il '90; e negl'intervalli immaginò alcune operette mi-
nori, ispirate al testo plotiniano, sopra argomenti di più viva
importanza.1 Or una delle questioni più scottanti era appunto
quella astrologica, intorno alla quale l'antico filosofo s'era in-
trattenuto non poco, ed in modo tale che poteva grandemente
invogliare il suo commentatore a seguirlo. Onde uno degl'in-
tervalli, nel 1489, fu ad essa consacrato, e ne usci 1' operetta
in tre libri, che ha per titolo De vita coditi** com paranoia,
cioè sulla necessità di tener conto del cielo nel rego-
lare le nostre funzioni vitali. La teoria astrologa di
Plotino è nota. — Nel mirabile ordine dell'universo tutte .
strettameute collegato; un moto, una mutazione, un benché
minimo atto d'una delle parti si ripercuote in tutte le altre,
senza però essere da alcuna di queste prodotto: giacché il
motore comune e solo è il Creatore, il quale governa il mondo
fisico e morale, concedendo a quest'ultimo, cioè alle anime
umane, la tanto cara ai teologi libertà dell'arbitrio. Però la
ripercussione simpatica dei moti è tanto più sensibile, e por-
ciò anche visibile ad occhio esperto, quanto maggiore è l'atìi-
nità sostanziale fra il soggetto operante e quello riflettente
l'azione; ed è pure tanto più chiara e perfetta, (pianto mene
degl'increduli alla vera fede: opinione che il ricino tanto laidamente nu-
triva, che non si peritò di spiegare a^rli amici alcuni passi pia oscuri delle
Enneadi, in luogo sacro, nella Chiesa degli Angeli (v. A. Della Torrf, op.
cit, p. 618, 627).
1 A. Uei.la Torre, op. cit., p. r.-jl.
G. PONTANO E G. PICO 209
corruttibile è il corpo che la riflette. Per la qual cosa i cieli,
tra gli esseri creati i più puri ed armonici, sono come un
limpidissimo specchio, nel quale i fatti fisici di quaggiù, qual
più qual meno, nell'atto o nella preparazione, proiettano la
propria immagine; i cieli quindi sono segni degli avvenimenti
terreni, non cause, e l'astrologo solo allora è nel giusto, quando
si limita a leggere nelle misteriose cifre stellari l'annunzio
del destino, secondo un metodo, che ben fu denominato della
cabbala celeste.* — Ed il medico — dice nel suo libro il Fi-
cino — potrà esercitar bene la sua professione quando nel-
l'esame dei morbi terrà conto del cielo significante. Ma per
saper ben leggere la scrittura del firmamento e non cadere
in errori grossolani, o sprecare inutilmente un tempo prezioso
al capezzale degl'infermi, egli dovrà pur sapere a quali og-
getti di quaggiù, e singolarmente a quali parti del corpo umano
corrispondono, per affinità di natura, le più note parti del
cielo, cioè le costellazioni e i pianeti.2 Ora tale determina-
zione, per quanto si cerchi d'ingarbugliar le cose, era compito
dell'astrologia, la quale cosi, cacciata dalla porta, ritornava
per la finestra! Né Marsilio, mentre scriveva, n'era spiacente:
provava anzi un certo gusto a giustificare credenze già care al
suo cuore, sempre avido di mistero. E benché non si lasciasse
trascinare a quelle estreme conseguenze, a cui le premesse
l'avrebbero logicamente condotto, pure nella stessa prefazione
dell'opera si lasciava sfuggire una confessione pericolosa;3
1 A. Bouchk-Leclercq, op. cit., p. 600-601.
2 Queste affinità il Ficino non solo sa per averle apprese da' trattati
di medicina astrologica, ma conosce per esperienza propria. Legga, chi se
ne vuol persuadere, questo passo significantissimo : «Vidi equidem lapillum
Florentiam advcctum ex India, ibi e capite draconis erutum, rotundum, ad
nummi (ìguram, punctis ordine quamplurimis quasi strili* naturaliter insi-
gnitimi, qui aceto pcrfusus inovebatur parumper in rectum, imo obliquimi,
mox ferebatur in gyrum, douec exhalaret vapor aceti. Rxistimavi equidem
lapillum eiusmodi coelestis Draconis habere naturam atque
quasi flguram, mutimi quoque illius accipere quatenus per aceti seu vini
valentioris spiritimi Draconi illi sive firmamento familiarior redderetur >
in M. Ficiki Opera, ed. cit., p. 551.
3 Ecco la confessione pericolosa, nella quale è da notarsi il contrasto
fra la prudenza e V ardire dello scrittore : « Denique si non probas imagi-
nes astronomicas alioquin prò valetudine mortalium adinventas, quas et
Soldati U
210 CAPITOLO QUARTO
confessione che dovea apportare gravi noie a chi l'avea pub-
blicata.
Non tardarono infatti a sorgere le accuse di magia e d'astro-
logia, e da Koma vennero minacce, contro le quali il filosofo
sacerdote s'affrettò a scrivere una lettera, V Apologia, ed a
contrapporre i potenti appoggi de' suoi amici e dello stesso
Lorenzo de' Medici. , Il pericolo, nel 1490, era scomparso e i
nemici sconfitti, poiché Marsilio era riuscito a provare la sua
fede nella provvidenza divina e nella non mai abbastanza
proclamata libertà del volere. La medicina astrologici. soma.
cosa attinente ai corpi soltanto, gli era stata concessa !
In tutto questo svolgimento d'opinioni e di fatti c'è, come
abbiamo notato, dell'incoerenza, imputabile prima di tutto a
Plotino, e non saputa evitare dal traduttore fedele. Il quale,
forte dell'autorità del suo autore, non si peritava, nello stesso
tempo che scriveva il De vita, di stendere il commento alla
seconda Enneade, che è tutta una battaglia contro gli astro-
logi di mestiere. Nella seconda Enneade infatti il filosofo
alessandrino, in una serie d'argomenti non nuovi, svolgo la
teoria da noi esposta, che gli astri non operano, ma Mgnifi-
cano, e si sforza perciò di distruggere le teorie contrarie, pun-
tando più che contro la scienza, contro la pratica degli av-
versari.2 Ora nel ripetere, nel confortare d'esempi nuovi le
ego non tam probo quam narro, has ntique me concedente, ac etiam,
si vis, consulente, dimittito. Medicinas saltem coelesti quodam adminictilo
confirmatas, nisi forte vitam neglexeris, haud negligito. Ego enini frequenti
iain din experientia compertum habeo tantum interesse medicinas
h ni usui mi i atipie alias absque delieto astrologo factas, quan-
tum inter mcriim et aquain» in M. Pienti Opera, ed. cit., p. 530.
1 A. Della Torre, op. cit., p. 623. Per misurare I' Impressiona provata
dal Ficino di fronte alle minacce della Curia, bisogna ricordare la condanna
allora recente e notissima, riportata per motivi non dissimili dal Pico, e le
persecuzioni che questi aveva subite e continuava in parte a suture.
1 Come sostanzialmente vana era l'astrologia, cosi risibili erano «_r 1 ì
argomenti contrari ad essa, che non miravano alla sostanza; i principali
dei quali datavano dal tempo di Cameade, e vissero, come appunto veniam
dicendo, per tanti secoli, quasi senza alterazione. Fra gli argomenti di Ilo-
tino, e perciò di Marsilio, questi erano i precipui: 1° L'astrologo non co-
nosce tntte le stelle; ora, come può tener conto di tntte le o
efficienti nel l'astrologare? — 2° L'aspetto del cielo, sempre nuovo, noa
permette l'uso dell'esperienza ripetuta; —3° Sono cause perturbatrici
G. PONTANO E G. PICO 211
accuse antiche, godeva il Ficino, scorgendo forse in queste
sue pubbliche dichiarazioni un prudente temperamento della
dubbia ortodossia dell' altro suo scritto. Pare anzi — se l'ipo-
tesi ch'io fondo sur una notizia dataci dal Pico è ammissi-
bile — che di questo capitolo del Commento egli volesse fare
un libretto a parte, intitolandolo Contro gli astrologi, e pre-
sentandolo ai lettori col seguente altisonante proemio:1 « Sur-
gite igitur, philosophi, precor, surgite omnes libertatis tran-
quillitatisque praetiosissimae cupidi, eia agite, iam accingite
vos clypeo Palladis atque basta, bellum in praesentia nobis
imminet contra nefarios gigantulos illos, qui et futurorum
praescientiam Deo prorsus immenso se aequare conantur, et
fati caelestis defensione supercaelestis Deo, qui est summa
libertas, liberum imperium auferre. Sed qui tam superbe ad
superos ascendere moliuntur, miserabiliter praecipitabuntur ad
infcros. Porrige manum nobis ex alto, Deus omnipotens, vires
tuis militibas subministra : tuum istud defendere imperium
nunc aggredimur. Succurrite, numina, quae circulos rotatis
aethereos, succurrite iustitiam vestram excusaturis adversus
impios hostes, qui extremae cuiusdam iniustitiae nos accusant.
Fave tu quoque nobis, o genus hominum, sine invidia, nempe
tuam istam omnium praetiosissimam libertatem tranquillita-
temque tuemur ». Non meravigliamoci di tanta gonfiezza d'e-
spressione, e badiamo piuttosto alla sostanza, cioè alla ripro-
vazione dell'arte astrologica, e leggiamo ancora un passo, in
fine dell'opera, più semplice e non meno significativo: « Quam
l' influsso la posizione geografica, 1' eredità famigliare, 1' educazione, ecc.
dell' oggetto influenzato ; — 4° L' estrema rapidità del moto circolare dei
cicli rende difficile, per non dire impossibile, la determinazione del punto
per I' oroscopo; — 6° Non è possibile stabilire l'attimo del principio della
vita nel bambino. Come a ciascuna di queste proposizioni, le quali intac-
cavano non la scienza, ma la pratica, rispondessero trionfalmente i soste-
nitori dell'astrologia, vedasi in A. Bouché-Leclkrcq, op. cit., p. 670 sgg. ;
come di esse si sia servito anche il Pico, vedremo a suo tempo.
1 La mia ipotesi, fondata su d' un passo del Pico che citerò poche righe
più sotto, riguarda l' identificazione del Commento alla seconda Enneade
con l'opera Contro gli astrologi, la quale altrimenti si dovrebbe ritenere
perduta. 11 proemio è riportato dal Ficino stesso in una lettera a Francesco
Gazolti, in Opera, ed. cit, p. 781.
212 CAPITOLO QUARTO
fallaciam (astrologorum) doctissiini quinque astronomi depre-
hendeDtes, iudicia neglexerunt. Mitto ceteros mihi etiam notos.
Paulus Florentinus astronomus singularis haec ridere solebat,
qui et annos vitae quinque super octoginta implevit, suani
tamen genesim diligentissime contemplatus, nihil ad aetatem
conferens longani potuit invenire ». L Una nuova autorità, il
Toscanelli, avea dato ragione a Plotino, le cui conclusioni
sotto la penna di Marsilio, dimentica ormai del De vita, si
allargavano, diventavano una confutazione generale dell'astro-
logia; lo scrupolo religioso aiutava il compimento della con-
versione, e del Ficino, intorno al 1492, poteva con ragione
scrivere il Mirandolano: « Porro noster Marsilius scripsit ad-
versus eos (astrologos), aperte Plotini vestigia sequutus. In
quo interpretando et enarrando magnopere rem platonica in
iuvit, auxit et illustravit. Quod si valetudini consulens honii-
num aliquando corrogat sibi de coelo quaedam etiam anxilia.
optat ille potius ita fieri posse quam credat. Testa ri hominii
mentem fidelissime possum, quo familiariter utor. nec babai
ad detegendam istam fallaciam qui me saepius et eflfica< ius
adhortaretur ».2 Infatti non solo Marsilio esortò il Pico a com-
batter gli astrologi, ma ne lodò pure il lavoro, quando, nel
1494, lo potè leggere terminato da poco.3 Concludendo adun-
que, per noi il Ficino, nell'ambiente erudito in cui viveva
Giovanni Pico a Firenze, rappresenta, in rapporto al problema
dell'astrologia, la negazione filosofica e teologica, poco coe-
rente, è vero, ma certo molto recisa.
Ho nominato il Toscanelli: ecco un altro fiorentino, l'in-
fluenza del quale sul pensiero del Mirandolano non va tra-
scurata. Egli, in verità, o non ebbe alcun contatto personale
col giovane conte, o l'ebbe brevissimo e di sfuggita dorante
la prima venuta di costui alla città medicea;' ma rapporti
ideali fra i due ci furono, e ciò a noi deve bastare. Ora, ri-
1 M. Ficini, Opera, od. cit,, p. 1628.
* Jo. Pici etc. Opera, Basileae, 1601, p. 281.
3 In una lettera al Poliziano, del 20 agosto 1494, ricordata da A. n»
Torre, op. cit., p. 766.
4 A. Della Torre, op. cit., p. 750.
G. PONTANO E G. PICO 213
guardo al problema astrologico, che rappresenta il Toscanelli ?
La negazione in nome di quello, che noi moderni diremmo
seuso scientifico. Paolo infatti non confutò l'astrologia, perché
in certe quisquilie metafisiche la sua mente severa non voleva
cacciarsi; egli semplicemente negava fede ad una dottrina,
che nei lunghi anni dell'esercizio pubblico, non gli aveva mai
data una prova reale della propria verità. Tutto assorto in
quegli studi veramente seri e proficui, che tanto giovarono
alla sua fama e alla scienza, rispondeva ai curiosi, che vole-
van conoscere il suo parere sulle predizioni dei negromanti,
argutamente, con un esempio, quello della propria genitura,
fallita interamente, come abbiam letto nel passo del Picino,
e come ripeterà anche il Pico.1
Il quale, discorrendo de' suoi amici e compagni noli' odio
contro gli astrologi, non tralascierà di nominare anche il Po-
liziano, « omnium superstitionum mirus exsibilator ».2 Il Poli-
ziano invero, spirito scettico e caustico per eccellenza, poco
incline alla filosofia, e meno quindi a tutto ciò che avesse del
tenebroso o del mistico, rideva senza pietà, in nome del buon
senso, delle fallaci predizioni. E quando il Pico dette fuori il
suo lavorone contro gli astrologi, sapete che cosa, in un epi-
gramma greco, ne disse? Con sapiente convenienza, che da
qualche critico non fu capita e perciò battezzata per legge-
rezza, 3 non si curò neanche di dar lode, ma si rammaricò del
tempo perduto dall'amico in quell'inutile pugna!
IL
Filosofia e teologia adunque, senso scientifico e senso co-
mune nell' Accademia fiorentina formavano un ambiente av-
verso all'astrologia; e ciò proprio quando il Mirandolano, piò
che mai infervorato ne' suoi studi religiosi, abitava Firenze e
1 Jo. Pici Opera, ed. cit, p. 281.
* Jo. Pici, op. loc. cit.
3 A. Ambhooiri Poliziano, Prose volgari e poesie latine e greche, ed. Del
Lohoo, Firenze, 1867, p. 214, in nota.
214 CAPITOLO QUARTO
veniva preparando l'ultima sua opera, che rimase poi incom-
pleta: dico la confutazione di tutte le superstizioni nemiche
della vera Fede.
Giovanni Pico della Mirandola, intorno al 1490, si trovava
in condizioni morali assai difficili. Per aver osato internarsi
in problemi teologici pericolosi era incorso, quattro anni prima,
nella condanna della Curia romana, alle cui persecuzioni solo
allora era riuscito, in parte, a sfuggire. La sua mente, avida
di sapere, intemperante nell'azione, s'era affaticata intorno
ai principali sistemi filosofici, traendone materia per un ciclo
di lavori, che rappresentano come le tappe del suo pensiero,
continuamente in cammino; ma ora, un po' per lo sgomento
del suo stesso ardire, e pili forse per impulso della sua natura
incline al misticismo, s'era acquetata in un desiderio di pietà
religiosa. Di pietà attiva però, la sola pietà ch'ei potesse con-
cepire, a cui lo spingevano inoltre e l'esempio del Ficino, col
suo apostolato platonico-cristiano, e specialmente il Savona-
rola, col prestigio della sua predicazione. L'influenza savona-
roliana fu invero decisiva sull'animo del Pico, e forse, se la
morte del conte non sopravveniva cosi immatura, l'avrebbe
spinto « munito di un crocifisso, coi piedi nudi, ad andar pie
dicando Cristo per le città, le campagne ed i borghi ».' Certi i
fin dall'anno di cui discorriamo, aveva tale attrattiva su di
lui, da renderlo uno dei più assidui frequentatori della biblio-
teca del convento di San Marco, dove una piccola accademia
di devoti discuteva di questioni riguardanti la Fede. E discu-
teva perciò anche di astrologia, essendo, come abbiam ripe-
tuto ormai a sazietà, l'astrologia nemica dichiarata della veri
fede cristiana. Quanto calore, quali argomenti portasse il
vonarola per confonder gli astrologi è facile immaginare, ohi
pensi anche solo a questo, che la potenza del frate presso il
popolo consisteva tutta nella teoria dei miracoli. Per lui la
previsione del futuro era possibile, era anzi reale — n' avea
dati egli stesso tanti esempì dal pergamo! — ma era subor-
dinata alla grazia divina, indipendente da qualsiasi mezzo
1 8on parole di uiovan Francesco Fico, il nipote, citate da A. Della
Torbe, op. cit., p. 766.
G. PONTANO E G. PICO 215
naturale.1 L'astrologia invece, che avea la pretesa di spiegare
i miracoli, e specialmente le profezie, con la teoria degl'in-
flussi, era dunque negazione dell'onnipotenza di Dio!
Mosso pertanto da ragioni di coscienza e spinto dall' irre-
quieto domenicano, il Pico aveva, come abbiamo detto, ideata
una vasta opera negativa, la confutazione di tutte le false
opinioni che nuocessero, direttamente o indirettamente, al Cri-
stianesimo. Ora egli volle, forse per consiglio dello stesso Sa-
vonarola, cominciarla battaglia attaccando l'astrologia, quasi
questa fosse per lui, come per il predicatore, la principale e
più insidiosa delle sette grandi eresie. Né da questo proposito
lo distolsero, come abbiam pure veduto, i suoi amici eruditi,
per ragioni in parte simili, in parte diverse. Che cosa dunque
l'avrebbe dovuto trattenere? Delle ragioni interne assai gravi,
dicono alcuni, avrebbero dovuto impedire al Pico la Confuta-
zione: certe opinioni cioè da lui manifestate negli altri suoi
scritti, e specialmente la nota sua fede nella Cabbala cristia-
nizzata. Si formulò anzi, con questi elementi critici, un vero
e proprio problema, dibattuto più volte con acume e dottrina.
Ma fu questo un problema mal formulato, come ebbe a dimo-
strare un egregio scrittore francese, perché non alle idee pi-
chiane anteriori al 1490, non alle idee del Pico cabbalista o
neoplatonico bisogna risalire per renderci ragione delle idee
del Pico religioso e savonaroliano. 2 Fra l'uno e l'altro pe-
1 P. Villaki, La storia di Ger. Savonarola, cit., I, p. 341.
* Il dott. G. Massetani, La filosofia cabbalistica di Gio. Pico della Mi-
randola, Empoli, 1897, p. 174 sgg., formulò per primo il problema, e venne
nella conclusione (che però non diede come definitiva), che realmente la
contraddizione esiste; ma la volle scusare con ragioni, per vero, insuffi-
cienti. Esse sono cinque principali : la l' incoerenza pichiana è scusabile
con l' esempio di altre incoerenze di autori contemporanei, del Ficino so-
prattutto; 2.a, 3.a e 4.a a venir meno alle sue idee fondamentali indussero
il Pico il desiderio di mostrarsi ortodosso agli occhi della S. Sede, il bi-
sogno di sfogare lo spirito polemico, l'ambizione di far sfoggio d'erudi-
zione astronomica; 5.a l'astrologia combattuta nelle Disputationes è sol-
tanto la falsa astrologia, non- la vera. Di tutte queste proposizioni la
sola, che potrebbe parer consistente, è 1' ultima, s.- anche ad essa non si
potesse rispondere che, secondo la nomenclatura del tempo, per vera
astrologia s'intendeva quella che ora noi chiamiamo astronomia; ed
è chiaro che il Pico, questa, non l' avversava ! — Le basi della questione
216 CAPITOLO QUARTO
riodo varia profondamente il pensiero del conte, e la Gabbala,
prima ancora del 1490, già n'era esclusa qnasi del tutto, come
cosa vana. Né il Pico ha un sistema filosofico e teologico unici»,
coerente, alla stregua del quale si possano giudicare le sue
singole concezioni; le quali mutano con le letture e con l'in-
dirizzo degli studi e della coscienza religiosa. Onde anche
ammettendo teorie, che diano adito a conclusioni astrologiche
— che di vere e proprie professioni d' astrologia sarehbe in-
giusto parlare — nei primi scritti, più tardi tacitamente ri-
pudiati, non per questo s' ha da mettere in evidenza e tentar
di spiegare una contraddizione che la cronologia, se non pro-
prio la logica, esclude. Piuttosto, secondo me, un altro è il que-
sito da porre: — se e fino a qual punto sia lecito ripetere
ciò che fu detto più volte, che la Confutazione fu il colpo
maestro dato all'astrologia,1 e che il Pico in questa batta
glia s'appressò ai limiti della scienza moderna.2 C'è, in al-
tre parole, da tentare l'esame interno dell'opera, finora stata
più citata che letta.
L'opera del Mirandolano fu detta monumentale, e non a
torto, ove si badi solo alla mole, grave di ben dodici tanghi
libri, suddivisi in numerosi capitoletti ; ma ove la si scruti
un po' addentro e si classifichino, secondo il loro valore naie.
gli argomenti, che a caterve addirittura si schierano contro
i dogmi astrologici, essa appare uno sforzo d' erudizione, per
due terzi superfluo. Non tutte infatti le categorie d'argomenti
sono o essenziali o sostenibili, anzi alcune poche soltanto; le
più avrebbero meglio giovato alla riuscita dell'impresa rima-
nendo da parte.
Assai opportuna per la serietà scientifica sarebbe stata, in
primo luogo, la soppressione di tutte le ragioni che, in una
parola, si posson chiamar religiose. Le quali, dettate da
un'ardentissima fede, che era pure stata la causa prima di
furono spostate da Leon Dobrz, nella recensione al libro del Ma.ssetani. in
Giorn. storico delia lett. it.. xwiii, p. U98.
1 K. Pkrcopo, L'umanista Pomponio (Jaurico e Luca Gaurico ultimo
degli astrologi, Napoli, 1896, p. 127.
8 L. Dorkz, Recensione al Ma.ssetani, cit., p. 898.
G. PONTANO E G. PICO 217
tutta l'opera, prestavano troppo facilmente il lato alle offese
del nemico. Se qualche astrologo, leggendo proposizioni come
questa : « Non eget his fabulis somniisque veritas Christiana,
ti putì quam etiam seria philosophorum pene fabulae sunt », '
o come quest' altra: « Coelum et Terra praeteribunt, verba
autem Domini non praeteribunt»,2 nelle quali la rivelazione
è proclamata nel senso più assoluto e più largo, avesse risposto
al Pico che secondo l'antichissima tradizione caldea ed egizia
anche l'astrologia era una dottrina rivelata, ed avesse quindi
a Cristo contrapposto Beroso o il Trismegisto, a queste affer-
mazioni come avrebbe potuto replicare il Pico?
Né meno infide sono le ragioni storiche. Infatti alla storia
dell' astrologia fatta dall' autore a suo modo, sostenendo che
questa nacque per cause speciali geografiche e politiche in
Oriente e in Egitto,3 ma poi, come barbara invenzione, fu re-
spinta dai profeti d'Israele e di Giuda, dai dottori del Cri-
stianesimo, dai giureconsulti del popolo romano,4 trionfalmente
avrebbero potuto risponder gli astrologi tessendo la storia di
tutte le conquiste dell'arte loro presso i principi e i volghi
di quasi tutte le nazioni antiche e medioevali. Ed al Pico che
poco scrupolosamente affermava essere state avverse all'astro-
logia le più grandi scuole filosofiche dell'antichità, compreso
il platonismo — proprio la cosmologia del Timeo\b — e solo
aver ceduto ad essa le scuole men pure, come quella d'Epi-
curo,6 una smentita, dal punto di vista scientifico, non sarebbe
stata difficile.
Che dire poi degli argomenti, i quali assalgono non la
scienza, ma coloro che la professano? Ha un bel sostenere il
Pico che Tolomeo, come astrologo, scrisse più corbellerie che
1 Pico, Disput. V, 14.
* Pico, Disput. V, 1. Altri argomenti religiosi v. in II, 5; IV, 14-16; V,
12-13, 15-17; XII, 1.
3 Pico, Disput. XII, 2-8.
* Pico, Disput. I, 1.
5 Pico, Disput. I, 1; XII, 7; intorno ai rapporti fra l'astrologia e il
platonismo v. questo lavoro a p. 28.
* Pico, Disput. XII, 7 ; v. per l'esclusione dell'astrologia dall'atomismo
e dalla morale d' Epicuro, questo lavoro, a p. 29.
218 CAPITOLO QUARTO
parole, che Manilio è scusabile delle assurdità pronunciate
solo perché è poeta, ed ai poeti tutto si può perdonare, che
Finnico Materno cadde in errori grossolani tutte le volte che
volle parlar d'astronomia,1 che Pietro d'Abano non è che un
compilatore arruffone,2 che Guido Bonatti fu degno dell'elle-
boro,3 e che il Bonincontri era un cervello volgare;1 ha un
bel farsi forte d'una lunga statistica di predizioni fallite, di
contraddizioni fra gli autori greci ed arabi, di ciurmerie sma-
scherate:5 la risposta a tutto ciò è beli' e pronta, ed è questa,
che l'insufficienza dei cultori non dimostra affatto la fallacia
teorica d'una dottrina. Avea detto, fin dai tempi antichi, Fir-
mico stesso: quando si scopre, in astrologia, un errore, « non
mathesim, sed hominis fallax ac temeraria notetur inscientia ».6
Sfrondata pertanto di questi superflui, per non dir dannosi
argomenti esteriori, V opera del Pico lascia scoprire alquanto
più chiaramente la sua trama interna, la quale s'impernia
tutta sulla proposizione seguente: — non esistono influssi o
segni celesti fisici e morali; ma se anche esistessero, trascen-
derebbero la scienza degli uomini; inoltre, se fossero a noi
accessibili, ci riuscirebbero inutili. Son perciò tre i gradi della
confutazione, dei quali il primo, il più diretto, si appoggia a
sua volta sopra due serie di ragioni, le ragioni fondamentali
e le ragioni tradizionali. Vediamo adunque tutte codeste forze
e il loro valore, procedendo dalle ultime alle prime, affinché
queste, che son le più solide, isolate dalle altre e scrutate a
fondo, ci dian modo di concludere intorno al merito vero del
Mirandolano.
Per difendere l'ultimo punto e dimostrare l'inutilità pra-
tica della divinazione stellare, il Pico si vale di tre ragioni :
la prima, che l'astrologia, al dire di Tolomeo, riferendosi solo
ai fatti generali, non può servire a ciò che per l' uomo sa-
rebbe di maggior importanza, cioè alla vita quotidiana, ai
« Pie», DbptU. I, 1.
* Pico, Disput. Ili, 17.
3 Pico, Disput. 1,1.
* Pro, Disput. M, 1...
, Disput. II, 6, 9, 10; III, 19; IV, 13; V, 1, 4; VI, 3.
6 A. Bocche- Liclero), op. cit., p. 591, n. 1.
G. PONTANO E G. PICO 219
casi singolari;1 la seconda, che la predizione degli avveni-
menti, supposti fatali ed inevitabili, è piuttosto di danno che
di vantaggio all'umanità;2 la terza, che ottenendosi, per mezzo
dell'esperienza e della prudenza, in politica, in medicina, in
morale, in tutte insomma le forme dell'attività umana, gli
stessi risultati che per mezzo della consultazione degli astri,
questa diventa per lo meno superflua.3 Il male si è che a tutte
queste belle ragioni gli astrologi rispondevano: in primo luogo,
che F opinione tolemaica dell' impossibilità delle predizioni
singolari non era accettata dagli altri trattatisti;4 in secondo
luogo, che un male inevitabile, se preveduto, coglie l'uomo
preparato, il che non è piccola fortuna quaggiù;5 finalmente,
che l' esperienza e la prudenza umana non possono arrivare,
come l'astrologia, alla previsione del fortuito. Il terzo grado
della proposizione pichiana non era dunque molto sicuro.
Ed il secondo? Il secondo, che contemplava le difficoltà in-
sormontabili che s'oppongono all'applicazione pratica dei prin-
cipi teorici, 8' appoggiava a numerose ragioni, fra le quali
ecco le principali: — non è possibile determinare V oroscopo
individuale, cioè il punto preciso della discesa dell'anima del
soggetto nel corpo destinatole;6 non è possibile stabilire F at-
timo della fondazione d'un regno, d'una città, della forma-
zione d'un popolo, ecc., e perciò formularne F oroscopo;1 non
è possibile tener conto di tutte le stelle influenti, anche di
quelle lontanissime, invisibili;8 non sempre il cielo è sgombro
di nubi, né sempre è notte, che si possan fare le osservazioni;9
1 Pico, Disput. II, 1 ; questo e i due argomenti, che seguono, son tolti
dalle opere di Sesto Empirico, per il quale v. A. Bouché-Leclercq, op. cit.,
p. 596.
* Pico, Disput. II, 2.
» Pico, Disput. II, 8-4 ; III, 27.
4 Cfr., su questo punto, le opinioni del Bonincontri, a p. 143 sgg. di
questo lavoro.
5 È questa la dottrina morale di Manilio, espressa nel proemio del libro
quarto, per la quale vedi le nostre osservazioni, a p. 41.
6 Pico, Disput. VII, 2-8.
7 Pico, Disput. VII, 4-6; IX, 6.
8 Pico, Disput. VII, 8-9 ; Vili, 1-2.
9 Pico, Disput. IX, 2.
220 CAPITOLO QUARTO
non son tanto perfetti gl'istrumenti astronomici da permettere,
con i dati da loro forniti, dei calcoli matematicamente esatti.1
Ora anche per questi argomenti, non certo nuovi nella storia
dell'astrologia,2 avevano i sostenitori di questa le buone ri-
sposte. Essi intanto, invocando il progresso della meccanica e
dei manuali d'astronomia, scartavano i due ultimi, alquanto in-
genui davvero; quanto al terz' ultimo, notato già nel commento
ficiniano a Plotino, rispondevano che le stelle troppo lontane
eran perciò pure di troppo debole influsso per essere neces-
sarie all' oroscopo-, ai due primi s'accontentavano — da per-
sone di buon senso ! — di opporre delle determinazioni ap-
prossimative, non garantendo la riuscita d'ogni genitura. Cosi
anche concedendo un poco agli avversari, non potevan tut-
tavia gli astrologi esser ritenuti dalla parte del torto ; la scon-
fitta questa volta era nuovamente del Pico!
Il quale in vero, disperdendo le sue forze in infiniti pic-
coli attacchi, era caduto in una grande illusione : quella di
abbattere il colosso dell'astrologia proprio in quel campo delle
discussioni minute, dove esso era solito riportare le sue vitto-
rie. L'idra era vulnerabile solo nelle sue teste, cioè ne' prin-
cipi fondamentali; ogni altra ferita non l'avrebbe molestata.
Sennonché il Pico tentò pure il colpo decisivo, e lo tentò, coni.-
abbiam detto, in due modi: con l'uso degli argomenti tradi-
zionali più gravi, e con l'esposizione del proprio concetto fisico
e morale dell'universo.
Codesti argomenti tradizionali, i più forti di tutti, secondo
il Mirandolano, eran due. Il primo era la contraddizione tra
i due sistemi in voga simultaneamente presso gli astrologi,
detto l'uno genetliaco e l'altro delle interrogazioni. Il Pico ra-
gionava cosi : — o Yoroscopo dice il vero, ed allora nessun
nuovo influsso può modificarne lo svolgimento; o dicono il vero
le cosidette elezioni, cioè le predizioni dei nuovi fatti acci-
dentali, non previsti alla nascita, ed allora è infirmato Yoro-
scopo. E concludeva dichiarando fallace una scienza, i cui me-
» Pico, Disput. IX, 2.
1 Si possono veder tutti quanti in A. BoucHB-Lscutacq, op. cit., p. 670 agg.
G. PONT ANO E G. PICO 221
tudi erano inconciliabili. ' Ma anche questa volta si levava la
vecchia protesta degli astrologi, al dir dei quali si sarebbe
potuto, con un po' di sforzo, metter d'accordo i due sistemi,
considerando l'uno come complemento dell'altro.2 — Il se-
condo argomento tradizionale era formulato, a un dipresso,
cosi : — le costellazioni in genere, e specialmente lo Zodiaco,
non sono realtà, ma raggruppamenti arbitrari, immaginati dal-
l'uomo per comodità di studio, non possono quindi influire
nella forma loro attribuita, ma solo per mezzo di ciascuna
stella, separatamente; immaginari del pari sono i circoli celesti
e le orbite stesse dei pianeti, sui punti dei quali gli astrologi
pazzamente costruirono le loro figure: assurde perciò le teorie
degli aspetti, delle esaltazioni e depressioni, delle case, delle
facce, dei gaudi, ecc. ecc.3 — Ora chi crederebbe che anche
a queste osservazioni i sostenitori della divinazione avevano
la loro risposta? La pratica, essi dicevano, ci ha dimostrato
che le figure astrali, create dall'uomo, non sono irreali: l'uomo,
nel battezzare i gruppi stellari ed i circoli, si attenne all'espe-
rienza,
Terrave composuit coelum, quae pendet ab ilio.4
Ma il Pico replicava, con Plotino: — o come è stata possibile
l'esperienza, cioè l'osservazione più volte ripetuta, se la faccia
del firmamento non riappare identica se non ad intervalli di
centinaia di secoli?5 E gli astrologi, impertnrbati : — l'anti-
chità dell'arte nostra è tanta, che in questo tempo più volte
il cielo, rinnovandosi, è ritornato nelle sue vecchie combina-
zioni di stelle.6 — Decisamente neanche le obiezioni più gravi
potevano ridurre al silenzio quei formidabili sofisti ! Bisognava
adunque che il conte venisse alla negazione recisa e sostenesse
1 Pico, Disput. Ili, 20.
* Intorno a questa risposta che gli astrologi del quinto secolo davano
a S. Agostino, il quale aveva formulata l'accusa (Civ. Dei, V, 7), che qui
vediamo ripetuta dal Pico, cfr. A. Bouché-Leclerc^, op. cit., p. 622.
3 Pico, Disput. VI, 2-19 ; X, 8-12.
4 M. Manili Astron., II, 38.
5 Pico, Disput. VI, 1.
8 A. Bouché-Lsclercq, op. cit., p. 674 ggg.
222 CAPITOLO QUARTO
che, nell'ordine naturale, l'influsso astrologico non esiste. A
questo venne infatti, e ne fece materia dell'intero libro terzo
dell'opera sua.
Il sistema dell'universo, su cui si fonda il ragionamento
di questo libro, è quasi interamente aristotelico. Il cielo, co-
stituito di sostanza differente da quella del mondo sublunare,
o quinta essenza, agisce bensi sui corpi terreni, ma solo in
modo conveniente alle qualità della propria natura. La quale
essendo incorruttibile, è dotata della più squisita sensibilità,
che è la luce, e delle più perfette azioni, che sono il moto cir-
colare ed il calore, inteso quest'ultimo in senso scientifico, cioè
riferito tanto al caldo che al freddo. Ora il moto celeste ge-
nera i moti di quaggiù, il che non vuol dire che si trasformi
in ogni singolo moto, rettilineo e perciò finito: genera il com-
plesso dei moti, rimanendo cosi causa universale delle cause
speciali. E le cause speciali, o seconde cause, le quali in tanto
esistono in quanto hanno un proprio fine che ne regge l'azione,
son esse i motivi degli avvenimenti fisici della Terra. Chi per-
tanto volesse scoprire nel cielo la ragione d'un fatto qualun-
que di questo mondo, non lo potrebbe, perché il cielo, causa
universale, gli risponderebbe questo solo: moto. — Nello st
modo si discorre per il calore. Il calore celeste, riversandosi
sulla faccia del nostro globo, viene a contatto con le qualità
fondamentali del secco e dell'umido, onde nascono i quattro
clementi del mondo fisico. Ma in questa generazione i cieli
operano come cause generali : gli elementi a loro volta diven-
tano seconde cause, o sostanze costitutive dei corpi terreni, se-
condo un fine loro assegnato. Perciò in cielo non esistono le
ragioni singole dei nostri temperamenti. « Ita patet in corporeo
mando nihil quidem fieri sine coelo; veruntamen quod hoc aut
illud fiat, id a coelo non esse, sed secundis causis, oum qui-
bus omnibus coelum talia facit, qualia ipsae facere oatae sunt,
sive illae ad speciem, sive ad individuum causac pertineant ».1
1 Pico, Disput. Ili, 4. Fra i molti corollari dedotti dal Pico da questo
suo sistema universale, tre soli, che hanno una qualche importanza, voglio
ricordare. Il primo, inteso a distruggere la teoria di Plotino intorno affli
astri significanti, è formulato cosi: — le stelle non sono cause dell'azione .
G. PONTANO E G. PICO 223
L'astrologia nel mondo fisico pare al Pico da queste ra-
gioni metafisiche abbattuta. Ma e quella da alcuni astrologi
immaginata nel mondo morale? Anche questa deve cedere al
seguente argomento: — nel mondo delle anime, concepito dal-
l'autore come interamente distinto dall'altro mondo, quello dei
corpi, Iddio governa direttamente, creando le anime stesse ;
oppure governa per mezzo della rivelazione e degli spiriti an-
gelici. Il tramite stellare cosi rimane del tutto escluso.1
Ora eccoci finalmente ad aver terminate le Disputationes.
Glie dovremo dunque rispondere al quesito, che in principio
ci siamo proposti? È questo, che abbiamo veduto, il colpo mae-
stro dato all'astrologia? Il linguaggio, che abbiam sentito,
arieggia proprio la serietà della scienza moderna? — Affinché
il sistema dell'universo pichiano, dal quale senza dubbio le
vanità astrologiche sono bandite, potesse gridar vittoria per
davvero, sarebbe necessaria una condizione: bisognerebbe cioè
che l'evidenza sua fosse tale, che ogni altro sistema davanti
ad esso rovinasse. Ma se accanto e contro gli sussistono, senza
confutazione esauriente, e il platonismo, e l'aristotelismo sco-
lastico, e altre concezioni ancora, ahimè! le sue conclusioni
non avranno sufficiente estensione, e l'astrologia ecco sfuggirà
fatalmente, più viva che mai. Il Pico rimarrà con l'illusione
del trionfo, ma l'avversaria sua cadrà solo più tardi, quando
una mente più lucida e temprata a metodi più rigorosi avrà
data al mondo una ipotesi nuova, davanti alla quale tutti,
senza eccezione, i vecchi sistemi dell'universo dovranno ca-
dere. Ed allora soltanto si potrà udire an linguaggio vera-
mente scientifico, sgombro di metafisica e di teologia.2
non sono perciò neppur cause dell' immagine «l'essa (IV, 12). — Il secondo :
— i cieli sono incorruttibili, non possono quindi generar corruzione, dun-
que le azioni terrene, sempre in tutto o in parte miste di corruzione, non
provengon dal cielo (III, 21). — Il terzo: — i cieli hanno moto regolare,
le azioni terrene hanno moti irregolari, non son dunque generate diretta-
mente dai cieli (III, 9).
• Pico, Disput. IV, 4.
2 Questa risposta negativa, estesa anche alla seconda parte del quesito,
non mira a combattere tutta intera l'affermazione di L. Dorez, in Giornale
storico d. Itti. il. XXXIII, p. 398, ma solo a ridurne nei veri termini la por-
224 CAPITOLO QUARTO
III.
La critica, che io ho mossa alle fiisputationes, e special-
mente le considerazioni che ho svolte intorno al terzo libro di
esse, non bisogna credere che balzassero, con egual facilità,
alle menti dei lettori contemporanei al Pico, avvezzi, come lui,
alle pastoie dei vecchi sistemi fisici e filosofici. Di modo ohe,
se agli occhi nostri l'opera monumentale scema di peso e perde
quasi interamente di valore, agli occhi degli uomini del Quat-
trocento essa, non appena fu conosciuta — la notizia, special-
mente fuor di Firenze, la si ebbe insieme con quella della in-
felice morte dell'autore — parve un prodigio di sapienza e
d'erudizione. In folla i nemici dell'astrologia, i più persone
religiose o persone di buon senso, credettero sul serio di pos-
seder finalmente, nei dodici libri del Mirandolano, quella con-
futazione scientifica, logica, inoppugnabile, alla quale le loro
menti, indotte o quasi, si sentivano incapaci di giungere ; onde
levarono un plauso tanto più alto, quanto più inacerbite sa-
pevano la rabbia degli avversari. I quali, i migliori singolar-
mente, intravidero subito il pericolo che l'arte loro correrà
presso il pubblico credulo ed ignorante, e si gettarono eoa
ardore al contrattacco, per la rivincita. Fra questi ultimi >
pure Giovanni Pontano, sul pensiero del quale è tempo che
finalmente e' intratteniamo; però non senza aver detto qual
rapidamente, per amor di chiarezza, dei più noti fra i cam-
pioni minori dell'una parte e dell'altra.
Cominciando dai sostenitori del Pico, diremo in primo luogo
del Savonarola, il quale va considerato sotto due aspetti; come
collaboratore, cioè, ed ispiratore del conte, e come suo conti-
nuatore e divulgatore. Del primo aspetto, ed insieme delle ra-
gioni generali che indussero l'ardente domenicano a farsi pilo-
tata; mira, insomma, a dimostrare che la sostanza dell' opera jiichiana non
è né concludente né moderna, per quanto abbian sapore di modernità al-
cune singole felici intuizioni sparse in essa qua e là, le quali qui non è il
luogo di rilevare.
G. PONTANO E G. PICO 226
blico accusatore degli astrologi, s'è già parlato. Quanto al se-
condo si deve dire che l'opera di lui consiste in un trattatello
volgare in tre libri, brevissimi, cominciato subito dopo la morte
del Pico, cioè nel 1494, e terminato nel 1497.1 Il metodo e i
limiti dell'operetta sono tracciati, con grande semplicità, dal-
l'autore stesso, cosi: « Mi sono acceso di far quello io per gli
huomini volgari, che lui (il Pico) ha fatto per i dotti. Et per-
ché altrimenti bisogna parlare a gli huomini dotti, et altri-
menti a gl'indotti, non intendo di tradurre il libro suo in vol-
gare, né di scrivere tutto quello che lui ha scritto, né di servar
l'ordine suo; perché questo non saria forsi utile a gli huomini
indotti. Ma mi sforzerò di abbassare quello eh' è alto: . . . prima
dichiarando questa vanità astrologica esser dannata da la dot-
trina Christiana; secondo che anchora è reprobata da la filo-
sofia naturale ; tertio dimostrando quanto lei è vana et fallace
in se medesima ».2 Si comprende, senza ch'io mi trattenga a
recarne le prove, che delle tre parti, data la coscienza e lo
scopo dello scrittore, quella che ebbe maggiore e più origi-
nale sviluppo è la prima, d'indole religiosa. A proposito della
quale rileverò, richiamando un concetto già espresso, che fu
cura singolare del frate la dimostrazione della fallacia ed em-
pietà di qualsiasi profezia, che non fosse riannodata alla di-
retta ispirazione divina: «In molti luoghi de la sacra scrit-
tura sono detestati quelli che vogliono predire le cose future
senza la illuminazione divina, i quali sono dimandati falsi pro-
feti e divinatori, perché si usurpano quello che è di Dio pro-
prio ».3 E soggiungerò che tanto si insiste, in questo primo
libro, nel convincere d'eresia gli astrologi, che si finisce per
invocare contro di essi — ahi, frate imprudente ! — una pena
tremenda e purtroppo, a quei tempi, ancora in uso: «Certo
contra de quelli che dicono simili cose non è da disputare al-
1 Opera singolare del rev. padre Jeronimo Savonarola contra l'astrologia
divinatrice, in corroboratione de le refutationi astrologiche del s. conte
Giovanni Pico db la Mirandola, Venezia, 1556. La data iniziale è fornita dal
titolo stesso, dove si parla dello scritto pichiano ; quella finale da un ac-
cenno esplicito nel cap. 4° del terzo libro o trattato.
1 Savonarola, op. cit., proemio.
3 Savonarola, op. cit., tratt. I, cap. 1.
Soldati 15
226 CAPITOLO QUARTO
trimenti che col fuoco».1 Non è perciò da stupire se alcuni
maligni avversari, un anno dopo la pubblicazione dell'Opera
singolare, cioè morto il Savonarola, inventarono una leggenda
che diceva aver egli scritto contro l'astrologia per vendicarsi
d'un pronostico, in cui gli era stato predetto il rogo, come a
falso profeta; « nam multis ante temporibus falsi prophetae
adventnm astrologia denunciavit ».2 I libri secondo e terzo
sono un riassunto, per sommi capi, della trattazione pichiana.
escluse tutte le parti di difficile intelligenza, ed aggiunti, se-
condo l'uso dei predicatori, alcuni di quei racconti della pro-
pria esperienza, che tanta efficacia persuasiva sogliono avi re
sulle menti grosse dei fedeli.3
Un altro sostenitore del Pico, il quale, a dire il vero, non
scrisse intorno a lui se non un breve periodo, è il leccese An
tonio De Ferrariis, medico della corte di Napoli al tempo di
Ferrante I, detto fra i pontaniani il Galateo.4 Ma la sua atte-
stazione, per quanto fuggevole, acquista un significato di ec-
cezionale importanza quando si pensi ch'essa discorda profon-
damente dall'opinione del Pontano, e perciò dimostra che in
seno all'Accademia napoletana non tutti, alla lettura delle Di-
sputationes, furono del parere del maestro.5 Essa ha poi un
valore speciale in quanto ci rivela nel De Ferrariis, aristote-
lico peritissimo, uno spirito scientifico insolito al tempo suo,
tanto che lo si potrebbe paragonare al Toscanelli, in fatto
1 Savonarola, op. cit., tratt. I, cap. 4.
2 Lucn Beixantii Senensis mathematica ac phisici, Astrologiae defensio con-
tra Jo. Picum Mirandulanum, Basileae, a. 1564, Iib. I.
a Ne cito uno, per saggio, dal cap. 5 del lib. Ili, anche per l'analogia
ch'esso ha con la novellina, da noi ricordata a p. Ili, dell'asino astro-
logo: «Il nostro ortolano, quando sentiva il mormorio de l'acqua d'Arno,
diceva che pioveria, et questo è perché il vento che snscita le pioggie |i<>rt:i
quel mormorio verso l'orto nostro; dunque questo loro (degli astrologi iu-
dicio non è da le stelle, ma da certe cause particulari ».
4 In una lettera a Pietro Summonte, ed. in Spicilegium romanum, Ro-
ìii.ic, 1842, voi. Vili, p. 607: «Ficus plura volumina contra apotelesmata
scripsit, et meo iudicio non minus vere, quam docte et copiose. Huiu-
tentiae et sancti viri, et ipsa veritas, et si qui sunt qui vere philoso-
1 1 li i ■ ii t ii r . consentiunt ».
5 Opinioni antiastrologiche troviamo pure in Giaro Ahisio, Satire, lih. I,
sat. !•, ed. a Napoli, 1582, p. 17.
G. PONTANO E G. PICO 227
d'astrologia parco di parole, istintivamente moderno di giu-
dizio. Per inerito suo la corrente del buon senso si manifesta
ancora una volta e fa suo prò dei risultati della complessa, e
non tutta ammirevole, opera del Mirandolano. '
Contro alla quale, intanto, avevan levato, come abbiamo
avvertito, vivissime proteste i convinti delle verità astrolo-
giche, e specialmente gli astrologi officiali, minacciati per gli
effetti suoi nei loro interessi materiali. E fra questi ultimi era
sorto, quasi campione, il senese Lucio Bellanti, per autorità
di dottrina e dignità di nascita non indegno avversario del
conte Pico. 2 Egli aveva presa la penna, trovandosi nella stessa
Firenze, non appena s'eran conosciute le Disputationes, ed
aveva abbozzate due operette: l'una men personale, cioè una
serie di venti capitoli, col titolo: De astrologica veritate lìber
quaestionum-, l'altra direttamente polemica, intitolata: Astro-
logiae defensio contra Jo. Picum Mirandulanum.3 Questa se-
conda fu condotta a termine nel 1498, data della sua prima edi-
zione, e dovette subito avere grande divulgazione e favore, se
qualche anno dopo veniva ristampata, e il Pontano poteva en-
tusiasticamente scrivere che al Bellanti « aetas nostra multum
profecto debet, debituri autem longe amplius posteri, ne ad
eos tanta haec indignitas (la confutazione pichiana) penetra-
rci».4 In che consisteva dunque quest'opera, cosi meritoria?
1 Intorno al Galateo scienziato v. C. M. Tallarigo, Gio. Pontano e i suoi
tempi, voi. I, p. 153 ; e Vittorio Rossi, Il Quattrocento, Milano, p. 355. Per
altri sostenitori dell'opera pichiana, v. Q. Tiraboschi, Storia dellalett.it.,
Milano, Classici, 1824, voi. VI, p. 560.
2 G. Tiraboschi, Storia della lett. it., cit-, voi. VI, p. 594 sgg.
3 Le due operette ebbero una prima edizione nel 1498, una seconda nel
1502, ed una terza, in unione con un dialogo di Gabriele Pirovano, medico
milanese, nel 1654, col titolo: Lucn Beli.antii Senensis mathematici ac phisici
de astrologica veritate liber quaestionum — astrologiae defensio contra Jo.
Picum Mirandulanum — Gabriellis Pirovani philosophi de astronomiae ve-
ritate dialogus absolutissimus, Basileae, anno .M DUI II. — G. Uzielli, Za1
vita e i tempi di Paolo del Posso Toscanelli, Roma, 1894, p. 920, pare
faccia dei due scritti, erroneamente, uno solo.
* Queste parole scriveva il Pontano prima del 1501 (De fortuna, lib. I,
ed. aldina del 1518, voi. I, p. 271 a); e forse non appena ebbe letto, anzi
acquistato (G. Filangeri, Documenti per la storia, le arti e le industrie
nelle pror. napol., Napoli, 1885, voi. Ili, p. 50) il libro del Bellanti.
228 CAPITOLO QUARTO
L'opera a cui noi dovremmo, secondo il poeta d'Urania, tanta
riconoecenza, si compone d'un proemio e di dodici libri, né
più né meno di quella del Pico; ma ne differisce assai nella
mole, essendosi l'autore e nella sostanza e nella forma im-
posta la massima sobrietà: « magna quidem volumina paini*
complecti soliti sumus, unde multiloquium abhorremus ». ' Ad
ogni proposizione avversaria l'astrologo contrappone, per or-
dine e brevissimamente, la propria risposta; di qual tenore,
chi conosca un poco la storia dell'astrologia o ci abbia seguiti
sin qui con attenzione, può facilmente immaginare. Solo in-
torno alle gravi ragioni del libro terzo egli si trattiene più a
lungo, cercando di allontanare l'assurdo, sostenuto dal Miran-
dolano, d'un cielo causa universale generatore di avvenimenti
particolari: « Sed non est contradictio; nam si coelum causa
universalis est, concurrit igitur ad productionem effectuum
particularium; stant igitur ista simul ».2 Si sofferma pure, con
un certo compiacimento, a rilevare i rapporti esistiti fra il
Pico ed il Savonarola, quasi che sul primo cadesse minore la
vergogna per aver scritto « non bene consulti viri suaso, opus
impium ac delendum quidem ».3 Col nobile avversario inlatti
il Bellanti voleva mostrarsi generoso, mentre contro il frate,
forse perché sapeva ancor vivi e potenti nel popolo gli effetti
della predicazione di lui, non risparmiava gli attacchi più \<-
lenosi.4 Concludendo adunque, la Difesa dell'astrologo senese,
circoscritta negli stessi limiti dell'accusa del dotto mirando-
lano, è, come questa, un bello sforzo di dialettica e d'erudi-
zione; ma non offre nulla che importi veramente alla storia
del pensiero filosofico, nulla che faccia dimenticare in parte
la vanità del suo fondamento e si guadagni la nostra ammi-
razione. La quale, nel presente conflitto, ì* riservata all'op
pontaniana.
1 L. BrLLANTii, astroì. defensio, cit., proemio.
* L. Bellantii, op. cit., lib. III.
3 L. Beluntii, op. cit., Ad lectorem.
* L Bei.lantii, op. cit.. lib. I; e <ì. Tir a boschi, op. cit., voi. VI, p. 59"».
G. PONTANO E G. PICO 229
IV.
II testo delle Disputationes dovette giungere a Napoli assai
più rapidamente che non in altri luoghi, se il Pontano potè
averlo prima che a lui pervenisse la notizia, pur tanto vicina,
della morte del Pico. Or come l'ebbe fra mano, il vecchio
ministro, dimenticando per poco i gravi pensieri della minac-
ciata discesa dei francesi nel Bearne, provò uno sdegno cosi
vivo, che non seppe trattenere delle amare parole contro colui,
che prima s'era gloriato di considerar quale amico. E poiché
teneva quasi pronta per la pubblicazione, come meglio ve-
dremo, certa sua grande opera in prosa sull'astrologia, colse
questa occasione per riprendere il lavoro ed inserirvi nello
stesso tempo quelle parole, che formarono appunto l'esordio
del dodicesimo libro di detta opera. Le parole erano d' una
gravità davvero eccezionale. In esse il Pico veniva dipinto
come pazzo assalitore d'ogni dottrina, baldanzoso non per si-
curezza di speculazioni, ma per copia di ricchezze e nobiltà di
casato ; e di lui si ricordavano, con maligno richiamo, le tesi
ereticali e la condanna avuta da Innocenzo Vili. Tutto ciò
si diceva per gettare il discredito, la diffidenza, anche dal
punto di vista dell' ortodossia religiosa, sul conte, con V arte
obliqua della denuncia. Sennonché non tardò a giungere la
notizia che il Pico era morto, immaturamente. Molti ne ebbero
sincero cordoglio, e fra gli altri il Pontano, in cui forse, con
la riflessione, già era sbollita V ira improvvisa. Le parole che
contenevano l'infamia non solo di colui, contro il quale eran
state scritte, ma anche di chi se l'era lasciate sfuggire, ven-
nero allora cancellate e sostituite con altre assai più riverenti
verso l' illustre ed infelice estinto. Però la cancellatura, che
dalle edizioni, naturalmente, non appare, nel quaderno auto-
grafo non coperse il testo primitivo tanto da renderlo illeg-
gibile; questo noi possiamo conoscere e per esso ci è dato
valutare quanto profondamente doveva essere in Qioviano ra-
230 CAPITOLO QUARTO
dicata la fede astrologica, se per difenderla egli era trasceso
ad espressioni si biasimevoli!1
Il libro dodicesimo De rebus coelestibus, che ha un cosi
notevole esordio, contiene adunque la risposta alla Confuta-
zione pichiana, o, meglio, per essere schietti, parrebbe dovesse
contenerla. Ma una vera e propria demolizione dell'opera del
Mirandolano qui non troviamo: qui troviamo semplicemente ri-
battuti alcuni degli argomenti in quella messi innanzi ; e
neanche i più importanti. Il Pontano in questo libro, che è
1 C. Tallarioo, Giovanni Pontano e i suoi tempi, Napoli, 1874, voi. II,
p. 504, ed E. Gothbin, Die Culturentwicklung sùd-italiens in eimeì !
stelìungen, Bresslau, 1886, p. 447, che più diffusamente discorsero della ri-
sposta del Pontano al Pico, cioè del dodicesimo libro De rebus coelestibus,
ignorando affatto la bozza originale, mostrarono di ammirare la temperanza
usata dal primo nel ribattere le affermazioni del secondo. Ma non co
sarebbero espressi, se avessero lette le due diverse redazioni, delle quali
perciò credo utile riportare, mettendoli a riscontro, almeno alcuni periodi.
La prima redazione, che occupa mezza la p. 348 a del cod. Vat. lat. 2889,
autografo, scritto alla lesta e quasi in abbozzo, è cancellata, ma in gru
parte leggibile, e dice : « Joannes Picus vir sumraa nobilitate, ìnaximo etiam
ingenio, dum et nobilitati plurimum et ingenio suo non iniuria trihuit.
praeter imam theologiam, omnes simul sive disciplinas sive scientias ad-
versando, illis ne dieam perverse sentiendo, est persecutus ; ipsam qaoqac
theologiam tandem aliquando persecutus. Cum quibus singulis in diseiplinis
publice esset disputatus, ea in theologiam proposuit, de quibus re dicent,
quae erronea Christiana in religione haberentur. Ab Innocentio octavo post.
max. edicto fuit coèrcitus. Itaque dum divitiae illum, dum ingenii intem-
peratior vis insolentiorem faci un t, etc. >. La seconda redazione, stampata
per la prima volta per cura del Summonte a Napoli dal Mayr, nel 1512, col
testo definitivo, suona cosi: «Joannes Picus vir stimma nobilitate, Mudato
etiam ingenio, Paule Cortesi, dum et nobilitati plurimum et ingenio suo
non iniuria trihuit. in astrologiam est invectus. Veruni euim qui vneutem
illuni ego laudandis extollendisque ingenii eius viribus honestaverim, in-
secter ne increpando mortuum ? Absit ab ingenio institutisque meis et ab
stimma benevolentia in illum, dum vixit, mea. Qnin magis magisqm- in
dies et laudabo inorimi eius suavitatem, et admirabor ingommi. Nec minns
etiam honesto ob id aflìciar desiderio industriae eius indagationisque tem-
perandae >. Alquanto più tardi, cioè intorno al 1601, tornando sullo stesso
argomento, nell' operetta De fortuna, lib. III (nelP ed. aldina del 1618,
p. 300a), il Pontano scrisse alcune altre parole, che è bene il lettore conosca:
« Nec nos deterrebit Joannes Picus magna timi nobilitate tum etiam ingenio
ac doetrina vir, qui nuper diruere prorsus sideralon conatus est discipli-
nain.... Videlicet Picus noster (voco eum nostrum, quia magna mecum be-
nevolentia coniunctus fuit, quodque doctissimum quenque maxime milii fa-
miliarem atque amicum statuo) etc. >.
G. PONTANO E G. PICO 231
piuttosto da definirsi un discorso, tanto è scorrevole, vario e
nella sua brevità abbondante, rivolgendosi a Paolo Cortese,
spiega come il Pico sia stato spinto all' assalto contro l'astro-
logia dallo spettacolo volgare dei negromanti da strapazzo,
che con nausea avea uditi a Roma, a Bologna, a Firenze; onde
s'affretta a distinguer bene, come noi diremmo oggi, le respon-
sabilità dei fatti incriminati. La sua preoccupazione evidente
è di sollevare al disopra della folla dei guastamestieri il vero
astrologo, favorito dalla natura e dal fato, reso pili nobile
dalla scienza e dalla filosofia.1 Questo egli esalta, di questo
egli espone la coscienza nelle osservazioni e nei calcoli, la
prudenza nelle predizioni. Ma in discussioni teoriche di fisica
e metafisica qui il Pontano non entra; tutto il libro terzo del
Pico pare che per lui non esista. Doveva infatti il Pontano
ripetere ancora una volta, con isforzo e in tono polemico,
quella verità che per lui era cosi evidente, ch'egli andava so-
stenendo, commentando, insegnando da tanti anni, ch'egli avea
rivestita di elegantissime forme poetiche? La vita, le opere
erudite, l'arte del Pontano eran esse una risposta al Pico:
non occorrevano perciò degli inutili discorsi. Ma che cos'era
questa vita, che cos'erano queste opere erudite e poetiche, le
quali da sole, col loro carattere astrologico non mai tradito,
potevan contrapporsi vittoriosamente agli argomenti pichiani ?
Ecco ciò che ai contemporanei del poeta era abbastanza noto,
e la cui indagine è per noi interessante, sotto diversi punti
di vista. Cominciamo adunque dalla vita.
La vita del Pontano, com' ebbi occasione un' altra volta di
affermare, 2 nelle sue linee generali è stata studiata assai bene
dal Tallarigo ; sarebbe strano pertanto che io qui mi rifacessi,
anche per sommi capi, a narrarla. Io toccherò solo alcuni
punti di essa, dove l'elemento astrologico ha d'uopo di rice-
ver luce e rilievo. Non già che in mezzo agli altri meriti in-
discutibili del biografo napoletano non ci sia pur questo, d'aver
compresa V importanza della fede nell' astrologia come parte
1 J. J. Fontani De rebus coeìeatibus, lib. XII, ed. aldina del 1619, p. 177 b.
* J. J. Pontani Carmina, Firenze, 1902, voi. I. p. V.
232 CAPITOLO QUARTO
integrante dell' opera e del pensiero del Pontano : * ma nella
monografia di lui la trattazione di tale parte rimase necessa-
riamente un po' in ombra, per i limiti molto vasti del suo la-
voro. Per noi invece ò diverso il punto di vista, e quindi
l'esame dev'essere più accurato e profondo.
Nel 1447, giovanissimo, il Pontano venne a Napoli, ove
ebbe protezione e un impiego nelle pubbliche amministrazioni ;
vi cercò pure, quasi subito, mezzi di studio, che l' amor del
sapere allora più che mai lo stimolava. Ora accadde che il
suo primo insegnante fosse Gregorio Tifernate, che noi sap-
piamo credeva nell'astrologia.2 Gregorio veramente insegnava
il greco; ma basta conoscere un poco gli usi delle scuole uma-
nistiche ed i limiti che allora si assegnavano alla filologia,3 per
ammettere che rapporti di idee anche filosofiche e scientifiche,
fra maestro e discepolo, non mancarono certamente. Passarono
circa tre anni, ed ecco a Napoli Lorenzo Bonincontri. In altro
luogo abbiamo illustrata l'amicizia che legò costui al giovane
umbro: l'intimità famigliare fra i due divenne strettissima,
ben presto seguita da comunanza di studi. E gli studi loro
furono di astrologia, e si protrassero per molti anni, coope-
rando ad essi Tolomeo Gallina, l'astrologo catanese che avemmo
già occasione di ricordare. L'uno e l'altro dei collaboratori
eran più avanti del Pontano negli anni, e gli fecero un po'
da maestri; o, se vero e proprio insegnamento da parte di
costoro non si vuol ammettere, gli furono consiglieri auto-
revoli ed entusiasti, a un dipresso come è da considerarsi
ser Brunetto per Dante. Ed in quel modo che Dante ebbe i
buoni suggerimenti del notaio tanto a grado, che più non li
1 C. M. Tallabioo, G. Pontano e i suoi tempi, Napoli, 1874, voi. II,
p. 482 sgg.
* L. Dei.akuellk, Une vie d' humaniste au xw siede : Gregorius Tif ■■>■-
nas; extrait des Mélanges d'archeologie et d' histoire publiés par l»l
francarne de Rome, Rome, 1899, cita un' elegia che Gregorio scriveva, a mo'
d' epitaffio, a se stesso, dove si legge :
logeniiim mihi non deerat, si sidera rebus
Favissent radio prosperiore mei 8.
s P. Fiorbktiho, FI rittascimento filosofico nel Quattrocento, Napoli, 1885,
p. 189.
G. PONTANO E G. PICO 233
dimenticò mentre visse, cosi dovette il Pontano per tutte il
corso splendido della sna carriera politica e letteraria conser-
vare il suggello delle prime meditazioni e del primo indirizzo.
Egli insomma, nella consuetudine dei due astrologi si affermò
astrologo e cominciò a guardare da questo speciale punto di
vista i casi dell'esistenza propria e de' suoi cari e gli avve-
nimenti della società e della storia. Abbiamo infatti di lui
una confessione, quasi un proprio tema di genitura, composto
in età giovanile, quando cioè tutti i suoi pensieri si affissa-
vano esclusivamente negl'ideali dell'arte e della filosofia, il
quale ci rivela come fermamente egli ripetesse dal cielo pla-
netario influente la propria natura: « Nullus evasit bonus poèta,
cuius in genitura Venus Mercuriusque in signis accomodatis,
in locis idoneis, in appositis configurationibus inventi non fue-
rint Nos qui haec scribimus, nullo a praeceptore aut ad
Carmen componendum, aut ad philosophiam ediscendam, aut
ad coeli significationes intelligendas instituti sumus. Sola enim
natura insitaque animi vis ac veterum scriptorum lectio as-
sidua ad haec ipsa nos traxit, quorum et pater avusque igno-
rantissimi fuere, et mater satis habuit lanificio ac telae in-
tenta esse. Ad coelum igitur stellasque, quando ab illis quidem
manant, iure baec videntur referenda ». l Alquanto più tardi,
quando gì' ideali suoi si allargarono ed i negoziati diploma-
tici gli procacciarono giusta rinomanza e non poche delusioni,
abbiamo di lui un altro tema genetliaco, di carattere zodia-
cale, conseguenza e complemento del primo, cosi espresso nei
seguenti versi dell' Urania:
At mihi nascenti sub eodem sidere (l'Ariete) mater
Non fratres foecunda dedit, nec germino ab uno
Passa est germanos Natura adolescere ramos;
Sed fandi libertatem arbitriumque loquendi
Addidit et dictis vires et pondera rebus.
O quotiens sterilemque h'dem ingratosque labores
1 Pontahi De rebus coelestibus, lib. II, p. 131 a dell'ed. aldina più volto,
cit. Servano queste dichiarazioni anche a determinare i rapporti fra il Pon-
tano • • il Tifernate, il Bonincontri, il Gallina, nel senso da me più sopra
additato.
234 CAPITOLO QUARTO
Conqueror, et quod nulla meis bene gratia factis
Respondet, sine fruge operam ac sine munere finem.1
Chi non ricorda poi il culto del Pontano per la famiglia? Eb-
bene, anche nelle gioie e nei dolori famigliari egli vedeva in
certo modo V effetto di combinazioni stellari. Valga a questo
proposito un solo esempio, la genitura del figlio, di quel Lucio
che il padre salutò alla nascita con una delle sue pili belle
elegie. Or quando egli se lo vedeva crescere giovinetto fra la
dissipazione e l'ozio, pieno d'amarezza interrogava il cielo, e
vi leggeva un triste influsso ed un più lieto presagio: la costel-
lazione della Vergine, che si era trovata al suo oroscopo, era la
causa dei vizi giovanili, ma prometteva gloria nella maturità :
Tu vero, mihi care puer (per sidera testor,
Quae tibi vel magnos non inficiantur honores),
Ulecebris ne dede aniinum, neu deside somno
Ocia corrumpant mentem, procul effuge et artis,
Quos Virgo teneris molles meditatur ab annis :
Post eternai in duros convertet pectora mores,
Et praecepta dabit vitae, et bene consulet annis.*
1 Uraniae lib. II, v. 210-217, in Pontam Carmina, voi. 1°, p. 48. Possono
illustrare questi versi le seguenti parole del De rebus coeì., lib. V, p. 17. ti:
« Igitur cui Aries ascenderit, is erit ore libero, forti Consilio, menta «luta, prò*
posito inconstanti, fortuna varia, iuventute inulta; erit imperiosa*, popmta
carus, reruraque publicarum studiosus, flagitiorum insectator; fratres auteni
aut vix sortietur, aut si sortitus fuerit, fere oinnis efferet, propter Martis per-
niciosam vim ; idem prò susccptis laboribus, prò collatis beneflciis, vix jrra-
tiam ullam, quin potius ingratitudinem prò collata inveniet opera». Ma il
miglior commento ci è fornito da molti passi di quelle lettere politiche del
Pontano a Ferrante I, cosi nobili, libere, assennate, causa forse non ultima
dei dispiaceri del ministro e dell' ingratitudine regia. Una citazione pai
bastare, assiti calzante: ciò non potria mutar natura de reconiare alli
signori mei quello mi pare sia loro bene, cosi come etiam non so mutare
me medesimo da astinerme di dar a quelli impaccio o spese in li miei Iti-
sogni, etiam che sia nel grado mio ben povero: l'uno e l'altro è in me
vitio; ma come io ho patientia in non aflfannarve in le mie necessitate,
cosi voi abbiate patientia, etiam che sia cosa dispare da signore ad mini-
stro, in intendere quel che mi occorre in li fatti vostri, e che è con a
e con fede»; Lettera del P. al re, Napoli. 26 aprile 1492, ed. da K.
zuntb, Alcune lettere di G. P., in Archivio storico napol., voi. XI. i>
Per altre citazioni, v. Tallariqo, op. cit., voi. I, p. 199 sgg.; e F. Trihchera,
Codice aragonese, Napoli, 1866-70.
* Uraniae lib. II, v. 918-919. Il Tallarioo, op. cit., voi. I, p. 93, ae
oscurameute ai vizi del tiglio del Pontano ; più esplicito è Gioviano stesso,
G. PONTANO E G. PICO 235
È noto pur troppo che la seconda parte del tema, quella che
annunziava felicità, non ebbe compimento, o l'ebbe ben di-
verso da quello previsto !
Anche per gli amici il Pontano non rifuggi qualche volta
dall' iuterpretare il celeste giudizio, come quando a Ferdinando
Uavalos in fasce predisse le future glorie militari.1 Però di
oroscopi con tutte le regole, quali si addicevano ad astrologi
di mestiere, egli ne compose pochissimi, e forse quei pochi
senza pretesa che fossero cose seriissime. Questo anzi del Pe-
scara è l'unico documento che se ne conosca: la sua fede,
profonda e sicura, rifuggiva dalle imperfette applicazioni della
pratica. Ma non veniva meno per questo nei più ardui cimenti
della politica, cosi come s'era rivelata nelle più delicate con-
tingenze della famiglia. Citerò a questo proposito, e sarà l'ul-
tima citazione, un brano di una lettera indirizzata dal vecchio
ministro al giovane re Ferrandino, il 9 febbraio 1495, quando
cioè Carlo Vili era alle porte di Napoli e massimo il comune
pericolo: «Le invasioni longinque et senza precedenti iniurie,
quale incurre, soleno intervenire per la vicinità quando uno
prenci pe confina con l'altro, proveneno da movimenti celesti,
come designano per le Comete e per grande coninnctione de
stelle, quale è questa invasione al vostro Padre et ad voi facta,
per ben che vostro Avo prima, e poi vostro Padre, se l'hab-
biano procurate per li avari et violenti loro portamenti ; et
cosi el cielo adopera secondo la materia disposta, et quando
nel De rebus coel., lib. V, p. 186a: « Eorum miteni adolescenza futura est
ìncillis ac delirio..,-!, qnippe qui a lascivia vieti totos se amori dedent, et
(ut inquit Julius Maternus) omnium mulierum concubitus concupiscent ;
post vero superata signi anaphora atque ascensionibus, sedata cupiditate,
modestiam induent, ac intra verecundiae gyrum redibunt ».
1 Pauli Jovii J)e vita et de rebus gestis F. Dovali cognomento Pi-
8carii, Florentiae, 1549, p. 287: « Habuit in genesi circa coeli verticem sydus
Martis directo cursu sua in sede constitutum, et quo felicius victoriae pa-
rarentur, salutaribus Jovis radiis (lelinituin ; unde Pontanus, supra eloquen-
tiac laudem etiam syderalis scientiae peritissimus, inspecto themate, victo-
ria8 et laetissimos triumphos puero sit pollicitus; itidem etiam monens ut
faciein adversus vulnera diligentissime praemuniret, quasi ex ferro Mars
alioqui benignus, honesto ori deformitatem, uti postea evenit, manifeste
minaretur >. Cfr. E. Gothkin, op. cit., p. 446, e questo nostro lavoro, a p. 131,
n. 1.
236 CAPITOLO QUARTO
il cielo non trova resistenza inferiore, tira le cose al curso
suo, come fa di un fiume repentinamente ingrossato di piovia
e d'acqua adventitie, quando non sia provisto alle ripe et ad le
argini. La piovia vi è venuta addosso, et tale, che havete il
maior Ee del mondo addosso, l'impero è grandissimo, e tucta
Italia le ha data via et habilità ». l
Com'è naturale, e come abbiamo lasciato capire fin da
principio, questo modo di giudicare i casi della vita, e il
conseguente contegno morale e politico, erano applicazioni
d'una teoria astrologica ben salda e ragionata, alla cui pre-
parazione il Pontano dedicò molti e molti anni ed il fiore dei
propri studi e del proprio ingegno. Tale teoria costituisce il
nucleo del pensiero filosofico pontaniano, al quale dobbiamo
ora rivolgere l'attenzione. Questa teoria non è, almeno in ge-
nerale, ignota agli studiosi: ne parlò da par suo il Fiorentino,
e poi ne discorse con qualche determinazione maggiore il Go-
thein.2 Essa è del resto chiarissimamente esposta dal Pontano
medesimo per mezzo di una serie di opere, sulla scorta delle
quali cercherò anch'io di riassumerla in modo genuino. Cer-
cherò pure di avvantaggiarmi sopra i due egregi critici, che
mi hanno preceduto, studiando pili esattamente 1' ordine cro-
nologico delle opere, e addentrandomi perciò con maggior si-
curezza nello svolgimento progressivo delle idee dell'autore.
Non tutte infatti le opere astrologiche del Pontano ci pre-
sentano una perfetta identità di opinioni, ma, come fu notaio
1 Fr. Colakoelo, Vita di Giacomo Sannazaro, Napoli, 1819, p. 185. Balli
vicende politiche del febbraio 1495, mese fatale per gli Aragonesi e per
viano, v. Abturo Negri:, Lodovico Sforza detto il Moro e la Repubblica
di Venezia, in Archiv. stor. Lombardo, a. XXX, 1903, fase. XI-, j». 116, in
nota, dove Analmente è, si può dire, risolta, con un documento veneto, la
famosa questione dell'orazione a Carlo Vili, in questo senso ohe il PoatSM
avrebbe parlato e lusingato il nemico trionfatore per un accordo air
dentemente stabilito col fuggitivo Ferrandino, fiducioso di ritornar presto
sul trono paterno.
* F. Fioremtino, H rinasci mento filosofico del Quattrocento, Napoli, 1885,
p. 189 sgg., e Egidio da Viterbo e i Pontaniani di Napoli, in Archivio
stor. nap., voi. IX, p. 480 sgg. ; K. Gothkm, op. cit., p. 422 agg. Il Talla-
riqo, op. cit., voi. II, p. 442 sgg., quantunque abbia intravisto il problema,
si limita quasi rotativamente a riepilogare le opere astrologiche del Pon-
tano, >rii/..i chiarirne adeguatamente il pensiero.
G. PONTANO E G. PICO 237
di sfuggita dall' erudito tedesco ora citato,1 nelle une la con-
cezione è meno svolta e si restringe quasi interamente al campo
fisico; nelle altre, cioè nelle più mature, l'orizzonte si allarga
ed abbraccia anche la metafisica e la teologia. Le prime, che
perciò costituiscono un gruppo inscindibile, sono due: la tra-
duzione e il commento del Centiloquio pseudo- tolemaico, e i
quattordici libri De rebus coelestibus; le altre, cioè il secondo
gruppo, sono l'operetta in tre libri, De fortuna, ed il dialogo
Aegidius. Partecipano all'un gruppo e all'altro, si per la ma-
teria che per la cronologia, i due poemetti, V Urania e le
Meteore.
La traduzione delle Cento sentenze di Tolomeo2 io credo
sia cominciata prestissimo; non sarei anzi lontano dal supporre
ch'essa sia stata pensata dal Pontano al tempo della sua con-
suetudine col Bonincontri, e cioè qualche anno prima del 1475.
Noto infatti la coincidenza, che può non essere fortuita, che in
quegli anni Lorenzo raccolse i materiali per il suo commento
alla stessa opera: commento che, come abbiamo veduto, egli
terminò a Firenze nel 1477. 3 E del 1477 è pure il termine
dello scritto pontaniano, come risulta da sicurissimi dati cro-
nologici interni e à&W cxplicit del codice posseduto già da
Ermolao Barbaro, ora conservato nella Marciana.4 Secondo la
mia ipotesi, col materiale cominciato a radunare insieme, i
due amici, divisi, composero ciascuno il proprio trattatello,
1 E. GoTHEIN, Op. CÌt., p. 439.
2 Centum Ptolemaei sententiae ad Syrum fratrem a Pontano e graeco
in latinum tralatae. atque expositae, in due libri, il primo dedicato a Fe-
derico d' Urbino, il secondo al Compatre, stampate per la prima volta a
Napoli, per cura del Summonte, nel 1512, insieme col De rebus coel. e col
proemio d' un libro perduto De Luna ; ristampate poi dalla tipografia al-
dina nel 1519.
3 Vedi questo nostro lavoro, a p. 176, n. 2.
4 È il codice Marciano lat. Vili, 66, il quale contiene il solo primo libro
delle Sentenze, ed ha nell'explicit la data: M.CCCC.LXXVII. Che sia appar-
tenuto ad un Barbaro è certo per il fatto che a e. 1 a si vede lo stemma di
questa nobile famiglia veneziana; che poi il possessore fosse proprio Er-
molao, è facile ipotesi, date le relazioni fra costui e 1" Accademia napole-
tana (E. Gothein, op. cit., p. 507). Gli argomenti interni o storici che con-
fermano la data fornita dal codice, si trovano in un passo dell'ultima Sen-
tenza del 2° libro, da noi riportato a p. 159, n. 1.
238 CAPITOLO QUARTO
più esteso quello del Pontauo, meno ampio quello del Bonin-
contri, allora occupato in più importante lavoro.
Il De rebus coelestibus, opera fondamentale e di gran mole,
dovè essere impostata o quando il commento al Centiloquio
era a buon punto, cioè intorno al 1475, o più probabilmente
non appena quello fu terminato, cioè nel 1477. Da questo
tempo fu condotta alacremente per qualche anno, forse fino
al libro undicesimo, e poi lasciata in sospeso, essendo l'autore
distratto e dai doveri politici e da altri lavori letterari. Giacevi
come dimenticata, quando si conobbe a Napoli, come abbiamo
veduto, nel fortunoso anno 1494, la Confutazione pichiana. Il
lavoro fu perciò ripreso, alla distanza di circa vent'anni dal
suo cominciamento, ed accresciuto d'un libro, il dodicesimo,
o fors' anche di tre. Certo si è che, passato il turbine dell'in
vasione francese e ridotto il Pontano a tranquilla vita privala.
nel 1495 tutta l'opera fu sottoposta ad un paziente lavoro di
rifacimento ; l lavoro a cui ancora possiamo assistere svolgendo
le pagine del prezioso codice vaticano, che ce ne conserva
l'autografo.2 Nel rifacimento scomparve, come abbiamo ve-
duto, l'invettiva contro il Pico, ma nella sostanza il pensiero
informatore dell'opera non mutò, anzi rimase tale e quale era
in principio. A buon diritto dunque, quanto alle opinioni in
esso manifestate, il De rebus coelestibus può andar d'accordo
con la traduzione del Centiloquio.
Quali sono queste opinioni? Ho già detto che esse consi-
stono nella dimostrazione fisica dell'astrologia; aggiungo ora
che derivano dalla fisica aristotelica, interpretata alquanto li-
1 Nella chiusa del proemio del libro primo (ed. aldina, p. 97 a), scritta
evidentemente dopo il 1495, il Pontano, rivolgendosi all'amico duca d'Atri,
(a questa dichiarazione, che noi ponemmo a base della nostra cronologia:
« Hortatu antan tuo effectum est, Andrea Matthaee, ut rem supra vigiliti
annos intermissam regias ob administrationes rerumque, ut scis, maximaram
curam, senex iam et annis confectus ac curis, prodigata (ìallorum incorsa
bellicisque impressionibus magna e parte re familiari, exutusque ipse
honoribus, quos maximo labore, stimma integritate, ingentibus periculis,
meo tantum unius ingenio propriisque animi vi ri bus compara verain. «ani
nunc ex integro susceperim, potius quam resumpserim ».
* Questo codice, che ho già ricordato qui, e di cui altrove ho data la
descrizione (Pohtani Carmina, p. XXIII, n. 1), è il Vat. lat. 2889.
G. PONTANO E G. PICO 239
beramente ed in modo affatto diverso da quello adottato dal
Pico. Mi spiego. Ripetutamente ho esposto, per sommi capi,
il sistema dell'universo, quale Aristotele lo concepiva, ed ho
anche fatto osservare come l'astrologia potesse venire in quel
sistema compresa o da esso esclusa, a seconda dell' interpre-
tazione data al rapporto, non ben definito, fra i cieli, sostanza
perfetta, e gli elementi, sostanza corruttibile. Ora il Pontano,
nell'interpretazione, non esita a schierarsi fra coloro che af-
fermavano la perfezione dei corpi celesti stare appunto in
ciò ch'essi hanno l'ufficio d'informatori della materia di
quaggiù. Stabilita questa base, sempre mantenendosi nel campo
della scienza naturale, egli viene a dimostrare che anche l'uomo,
in quanto è corpo, è il prodotto della materia sublunare, in-
formato dagli astri ; di più, egli ancora sostiene che nel vario
modo onde il corpo è informato, cioè nel temperamento fisico,
risiedono le cause del temperamento morale, di quella cioè
che usiamo chiamar indole delle persone. Le quali perciò, in
grazia dell'origine, vengono ad esser soggette all'influsso ce-
leste. Il Pontano evidentemente trascura quell'elemento spiri-
tuale che gli scolastici avevano introdotto nel sistema aristo-
telico, cioè l' anima immortale, creata direttamente da Dio :
trascura quella parte del problema, che più stava a cuore agli
avversari suoi ed in generale ai filosofi del tempo suo, conti-
nuatori assai più fedeli di quanto non si pensi del pensiero
teologico medioevale. l La trascura, non la nega ; ed in questa
sua voluta dimenticanza risiede appunto la novità del suo
concetto. Onde il Gothein, che forse più profondamente d'ogni
altro si addentrò nel pensiero pontaniano, ne fa grandi lodi,
ed acutamente osserva essere l'astrologia di Gioviano piuttosto
uno studio psicologico dell'uomo, che non una ricerca del fu-
turo o dell' ignoto. 2 È interessante infatti l' osservare con
1 Questo riconosce anche G. Boffito, Un poeta della meteorologia, Me-
moria dell' Accad. pontaniana, Napoli, 1899, p. 4.
8 E. Gothein, op. cit. p. 446. Intorno a questa specie di limitazione del
campo astrologico, professata già in antico da Diogene stoico e nota al Fon-
tano per mezzo di Cicerone (ZH'ttt'n., II, 48), v. A. Bouché-Ljeclercq, op. cit.,
p. 544, n. 2, e 694.
!
240 CAPITOLO QUARTO
quanta cura s'adoperi l'autore a spiegare in che modo e per
quali processi il Sole e la Luna, e con loro anche gii altri
astri maggiori, agiscano nella formazione dell'organismo ter-
restre ed umano; è interessante, e direi anzi essenziale per
il nostro studio, tanto che non esito a trascrivere qui la parte
migliore del proemio del primo libro De rebus coelestibus,
dove il nodo vitale della questione ò come riassunto:
Aristoteles rerum naturae indagator solertissimus manare coe-
litus tradit generationis nostrae primordia, indeque tanquam
potiore e natura proficisci. Coelestia enim ac superiora illa
sempiterna esse censet, immortai isque couditionis forte praedita; at
inferiora haec nasci, augescere, nunquam prorsus consistere, nume-
ratimque interire, tametsi sua quaeque a specie conservantur. Qua
ratione et ipsa quoque aeternitatem sint adepta, conditione autem
longe inferiore, quando illa ipsa agendi, ut superiora, haec autem,
ut inferiora, patiendi sint naturam consecuta; et altera quidem in-
ducendae formae praerogativa auctoritateque ornentur, altera vero
subministrandae tantum materiae serviant, peculiariter ministerio
huic apposita. Ut tantum prope quidem, ne examinatius loquamur,
interesse videatur, si comparatone hac in parte uti liceat, quantum
mares interest ac foeminas, in ipso hominum genere, quos natura ipsa
sexu quoque suo discreverit, quippe quae perfecti imperfectique ra-
tionem discriminatim esset habitura. Rursus eos ita simul in genera-
tione ad procreandum conciliat, ut ex illorum conciliatione et copula
generatio sustituatur. Qua in conciliatione et coitu mas eo apparet
agnosciturque praestantior auctoritatisque magis perspectae, quod ei
ut moventi ratio inest. et cum ratione simul forma. Secus autem usu
venit in foemina, cui materiae unius indita est tantum suppeditatio.
Siquidem motus ipsius principium omnisque auctoritas penes ma-
rem existit, cui ut auctori, quod dictum est, ratio inest ac forma,
cuius ipse moveatur gratia ; quam etiam utramque inesse fabro in
aedificandis navigiis et fìgulo in fingondis anphoris certum est, motu
ipso hoc praestante. Quod igitur inest artificii in effigiandis statuis,
in consuendis vestibus, in generanda prole maribus, an non ii
et coelo, a quo, ut certum est, generationis rerum ducan tur pri-
mordia? Siquidem coelum per se ipsum movetur, ceteraque movet
omnia. Inde nanque defluit sempiterna illa quidem agendi ac
creaijdi facultas, inde calor ipse animalibus insitus ac seminibus,
a quo rerum foecunditas et ea, quam prolificationem appellare pla-
cet, proveniunt, inde suscitatio spirituum, omnisque auimalis com-
motionis existit causa atque origo. Hic enim ipse calor aliment
usum corporis ac vitae sumpta ita concoquit, ut in saoguinem
G. PONTANO K G. PICO 241
tat, per quem decoctum defecatumque, ac per venas raoatusque di-
gestum et tanquam instillatum, generatio existit ac vita. E cuius
etiam sanguinis modificatione et habitu, corporum sta-
tus, animorumque applicationes et studia, mores item
ipsi li <» ni ì m u in proficiscuntur. Peiùnde videlicet ut sanguis ipse
teuuis aut crassus fuerit, liquidas aut turboleutus, sincerus aut cor-
ruptus, fluidus seu lentus, rufus aut forte albidus, ferventior aut
remissior, proque aliis affectionibus variaverit. Haec autem ipsa va-
rietas e motus teraperatione atque excrementorum qualitate manat,
deque Solis cum primis evectione stellarumque erraticarum per coeli
partes ac signa. Siquidem uti domiciliura sanguinis est cor in corpore
animalium, quae sanguine quidera Constant, suusque idem ipsum exi-
stit vitalium spirituum fomes, sic Sol ipse quidam quasi fomes ac
fons est calori s, ut vitae quidem ipsi et auctor et consti tutor. Atqui
fabrile aes et excuditur et informatur terrario a fabro, prò mensura
tum caloris, utque ignitum illud et candens fuerit, tum prò magnitu-
dine ac modo ictuum fabrilisque versatioais, hoc est prò quantitate
inotus motorisque temperamento. Coelestes igitur agitationes (si de
coelo coelestibusque actionibus in hunc loqui modum fas est) pro-
creando in homine, marium quidem partes obeunt, inferiora vero
haec corpora foeminarum. Ac quemadmodum cor, quod primum est
in animali constituendo, partes corporis reliquas procreat ac dispo-
nit, prò afi'ectione quidem sua proque insita vi ac potestate, sic Sol
ipse coeli cor mundique totius, perinde atque affectus fuerit, infe-
riora haec servitioque apta corpora movet ac disponit, quae quidem
materiam illi subministrant, perindeque ut mulier viro subserviat.
Ne autem ab hominis ipsius generatione recedamus, qua ratione,
quaque via virile semen in menstruum foeminae sanguinem sese
insinuat, insinuatumque atque immixtum sensim eum afficit, affec-
tumque paulatim informat, eadem utique ratione Sol horum, ut sic
loquar, excrementis corporum insinuatus, suisque ia illa illapsus
radiis, motu caloreque ea suo afficit, affecta tempei-at, temperata
fovet, animamque, per quam quidem ipsam animata haec vocantur
et quorum ipsa substantia est, illis prò natura excrementorum pro-
que obiecta sibi materia indit. Ut mihi quidem iure maximo dixisse
videor, si dixero Terram hanc aquis obsitam mundi totius uterum
esse, in quam voluti in mulieris uterum excrementa generationi ac-
comodata conveniant, quae de Solis calore fota, post concipiant, ac
si genitali a semine calefacta et pene dixerim fermentata, suosque
tandem conceptus, tempore etiam suo, proferant. Atque ut minutulae
illae, et quidem non paucae corporum ipsorum venae passim duabus
a venis, quae maiores dicuntur, derivantes, ad uterum pertendunt,
foetuique sufficiunt alimenta, sic a Sole Lunaquo (nam et Luna tan-
quam foemella materiam ot ipsa huinectando comparat ac sufficit)
Soldati 16
242 CAPITOLO QUARTO
errantium maxime stellarum radii digredientes, mixtimque ab ntro-
que temperati atque, ut ita dixerim, imbuti, alimentum quasi quod-
dam de utriusque aspectu copulatioueve mutuati, foetui illud exhi-
bent. E cuius ipsius affectione et qualitate corpus qtioque afficitur.
Nam et capellae et oves et buculae, quem salem haerbarum ante
pastum delinxerint, eius salis, ut Virgilius inquit, occultum post in
lacte saporem referunt; et niella delibati ab apibus roris gustum
prò florum natura haerbarumque repraesentant. Ad haec in ipso
corde, ut in principe atque auctore constituendi corporis membra in-
sunt etiam omnia, partesque informandae, quae in initio quidem
nullae apparent, sensim tamen et disponuntur distributim cunctae,
et in universum suo et loco constituuntur et ordine, pedetentimque
coalescendo perficiuntur. Idem quoque contingit in Solis calefactione
ac radiis, quod in rerum seminibus, e quibus post erumpunt
ventia, atque eo quidem magis quod Sol ipse seminum est omnium
altor et disseminator, atque, ut Virgilius eidem assurgens canit,
« terrarum flammis opera omnia lustrat ».1 Quod quidem ipsum non
tam mihi pertinere videtur ad lucem per orbem terrarum a Sole
diffusam, etsi pulcherrimum hoc quidem est, quam ad opera ipsa
terrarum, idest ad res e Terra provenientes atque in lucem editas,
quas irradiatione Sol sua invisens excitat, fovet, animat, animataque
tuetur et conservat, nec patitur aut pereuntes prorsus interire. aut
intercidentes nusquam quidem resurgere. Quin etiam Terra ipsa ut
parens animantium utque illorum altrix, cum ea ex anima consti-
tuantur et corpore, corpora quidem sponte sua suaque ex alimonia
illis tribuit. Etenim piena est materiae atque excrementorum, quae
usui sint tum fingendis, tum augendis conservandisque corporibus,
quippe cum uterus ea sit mundi, ut dictum est, totius, id quod tbe-
minae quoque ipsius quocunque in genere proprium est gignendis
atque alendis foetibus. Corpus enim foetus ipsius maternum quidem
munus est. At vero maris officium ac suum eius omnino munus est,
foetui sensum indere, a quo indito exsistit ac nominatur animai.
Quocirca coeli quoque suum ac peculiare opus est, animam vege-
tabili adiungere, eam scilicet quae sensu suo praedita moveatur,
seque etiam gerendis rebus peculiari ingenio et instituat et acco-
modet. Quam ad rem servitio aèris ac ministerio vehementer utitur,
quando necesse est animai ipsum, quod sensu diversis quoque uta-
tur modis, etiam spirare. Spiritus autem ipse calidus et humens est.
Ut igitur natura haec inferior coelesti ab illa tantopere degener
cuius ipsius proprium est generare et corrumpere, magisterio utitur
ac principati! cordis unius ad animalem procreationem, sic natura
illa superior inferioribus bis fovendis Sole utitur, in cuius quidem
motu atque calore insunt baec ipsa omnia, quanquam alio m
• Atn. IV, 607.
G. PONTANO E G. PICO 243
perinde ut in corde membra insunt partesque omnes corporis duna
formatur. Quin etiam ut cor ipsum postmodum officio utitur opera-
que praecordiorum ab se ipso auctore ac magistro constitutorura,
simili Sol modo utitur errantium stellarutn ministerio afficiendis ac
variandis rerum inferiorum qualitatibus, eisdem diversa etiam ra-
tione ac via temperandis. Quarum e temperationibus inferiora haec
Constant sibi, ac ne intereant earundem stellar um praesidiis, est pro-
spectum. Quocirca sapientissime quoque atque e re ipsa
dictum est, generationis nostrae primordia e coelo duci,
et tanquam fundaraenta ab eo iaci. Quid? quod ut e san-
guine atque a corde ortus noster, idest hominis ducitur
procreatio, et quo etiam modo sanguis ipse in initio af.
fectus fuerit, futuri etiam sunt hominis cuiusque affec-
tus, animorumque propensiones ac studia. Itidem sanguis
ipse futurus est, quo modo, quoque habitu, qua etiam
mixtura ac fermentatione a Sole affectus fuerit aliisque
item a stellis temperatus.1
Nelle ultime parole di questo importantissimo brano la di-
pendenza del temperamento morale dal temperamento fisico è
affermata quale naturai conseguenza di tutto il ragionamento
precedente : V uomo, adunque, nella sua indole, è il prodotto
di determinati influssi stellari. Nella sua indole, ho detto; ma
sarà pur tale nella vita e nella società ? In altri termini, la
natura intima umana può sempre e dovunque esplicarsi, man-
tenendo tutte le proprie caratteristiche? E per conseguenza,
conosciuto V oroscopo, è possibile determinare la psiche indi-
viduale e le vicende a cui essa andrà necessariamente sog-
getta nel corso della sua esistenza ? Secondo il Pontano, è
possibile conoscere con l'astrologia la psiche; è necessario
l'aiuto di alcune altre scienze e della pratica del viver so-
ciale per congetturare (onde questa seconda parte della dot-
trina non è sicurissima) le vicende reali di essa, cioè le mo-
dificazioni che avverranno negli atti suoi per la concorrenza
di cause diverse, come l'educazione, l'ambiente morale e poli-
tico, gli agenti fisici esteriori, e, timidamente ammesso, anche
il libero arbitrio.2
1 Pontini De rebus coel., lib. I, p. 95a sgg. Come la teoria svolta in
questo brano fondamentale sia poeticamente esposta in forma allegorica
nel 1° libro dell' Urania, vedremo a suo luogo.
* Pontini De rebus coel., lib. XII, p. 178 a.
244 CAPITOLO QUARTO
Alla prima parte adunque, come alla sola impeccabile, alla
sola veramente scientifica, l'autore rivolge tutte le sue cure
nelle due opere or ricordate; nel compilar le quali, natural-
mente, si vien servendo, oltreché del suo Aristotele e di To-
lomeo, dei numerosi libri astrologici allora di moda, che noi
abbiamo già ricordati parlando del Bonincontri.1 Fra tutti
però, con predilezione che gli fa poco onore, egli preferisce
Finnico Materno, intorno al quale non si perita di scrivere
il seguente giudizio: « E veteribus autem qui latine de bis
scripserint, qui quidem fuere permulti et (lari adinodum viri,
hodie nullius scripta extant, praeter paucos e multis libros,
eosque non integros, quos Julius Maternus ad Mavortium scrip-
tos reliquit; qui si omnes simul extarent, dicere hoc ausim,
haud multimi disciplinae huic defore ad perfectam cognitio-
nem significationum ipsarum ».2 Non è il caso qui di dare
uno schema dei molti capitoli del De rebus coelestibus e di
enumerar le pagine ivi dedicate allo studio dell' anatomia e
fisiologia e psicologia astrologiche, o all'esposizione della co-
rografia planetaria e zodiacale: questo riassunto altri l'ha
latto, e con nessuna utilità.3 Sarà invece bene osservare che
nelle Sentenze, scritte prima, la fede nell'influsso è pia cieca
e direi quasi volgaruccia, mentre nell'altro scritto, per (manto
esso a noi possa parere un tessuto di ridicolaggini, c'è in ge-
nerale più compostezza, più temperanza. Vedremo in seguito
come la materia del De rebus, con l'aggiunta di allegorie
mitologiche, sia la stessa dell' Urania e, parzialmente, delle
Meteore.
La seconda parte, abbiam detto, è congettura; ma una
buona teoria astrologica non può trascurare neanche quella,
trattandola, ben s'intende, secondo la natura sua. L'astrologia
1 9. frusoni, Documenti per la storia ecc., Napoli I. Ili, p. M),
riporta V interessantissimo elenco «lei libri ilei l'ontano, i quali la Bglil ili
lui Kupenia donò Del 1606 alla Chiesa di San Domenico. Ora fra le opere
Mtrologiohe ivi troviamo e Alfrajjano e Maly commentatore ilei Ci ìililoquio,
e 1' Alcabizio, e naturalmente Finnico Materno, e Manilio, e linalment.
cerone, De divinatione, scritto ili (lagno di SÌotìsm stesso.
2 Fontani De Nòtti 00*1, liti. I. p. !>7 :\.
:t C. M. TAi.i.Mtiun, op. eit.. p. 186
0. FONTANO E G. PICO 246
congetturale uon fu esposta dal l'ontano in un'opera a parte,
ni;i al pensiero di lui essa suggerì certe dottrine fondamentali,
che compaiono in altri suoi scritti; suggerì specialmente due
teorie, le quali, studiate dai critici indipendentemente dal pro-
blema astrologico, parvero forse più nuove e curiose, di quello
che siano in realtà. Dico della teoria della virtù e della teoria
della fortuna, entrambe intese a spiegare, nei diversi suoi
gradi, il rapporto fra l' indole infusa da\V oroscopo e le molte-
plici cause alteratrici di essa, che la vita ad ogni passo suol
suscitare.
La teoria della virtù, formulata dal Nostro nell'opera De
prutìcntia, intorno al 1496, ha la sua base nella morale ari-
stotelica. ì E virtuoso colui, dice Gioviano, che per mezzo della
coscienza della propria natura e della esatta conoscenza del-
l'ambiente in cui vive, sa trovare quella giusta mediocrità di
pensiero e d'azione, che può dare a lui e al prossimo suo la
felicità. È virtuoso per conseguenza colui, che trova il razionale
contemperamento fra l' indole, prodotta dagli astri, e le cause
modificatrici di essa; colui, insomma, che si rende padrone e
correttore delle vicende della propria esistenza, seguendo quella
norma, non assoluta, che la convivenza sociale gli suggerisce
come migliore.8 La vita del virtuoso non è perciò immagine
o copia d'alcun ideale metafisico o d'alcun modello religioso:
l'imitazione di Cristo, per quanto il Pontano si compiaccia di
proclamarsi a parole* cristiano,3 qui non ha che vedere. In-
1 Per la data e per le fonti v. F. Fiorentino, Il rinascimento filosofico
cit, p. 217 sgg.
* Pontasi De prudentia, lib. II, p. 178 b: « Itaque et propter naturales
affectus, in quibus moderandis virtutes versantur, et propter actioncs, quae
ip.sas constitiiunt, in quibus utrisque defectus atque cxcessus usu veniunt,
necessario virtus in medio con.st itili tur, sectaturque et duin aOicimur et dum
agimus omni e parte niediocritatem, quae, ut saepius dictum est, inter pa-
nini constituitur ac ninnimi. Assequemur igitur niediocritatem liane in
agendo, si nos ipsos et consideraverimus et metiemur, si illos quibuscum
agimus, si rem, facultatem, personas, tempus, locum, patriam, urbiuiu gen-
tiuuiqne instituta, mores, leges, civium artes disciplinasque, hominum item
opinione» ac iudicia, si modi quoque ac mensurae pensimi habucrimus ».
3 Quale conto dobbiamo fare di queste professioni di fede, dettate dalla
tradizione e dalla necessità, non da serio convincimento, già abbiamo detto
trattando di certe dichiarazioni simili del Bouiiicontri (p. 150, n. 2). Il passo
246 CAPITOLO QUARTO
fatti il principio scolastico dell'anima eterna, prigioniera nel
corpo, come già nel proemio del De rebus coelestibus, qui ì'
taciuto e, direi quasi, nascosto. Qui il solo principio è l'espe-
rienza data dal convivere umano, cioè dal concorrere delle
infinite manifestazioni dell'influsso stellare negl'infiniti indi-
vidui viventi, cioè negli infiniti corpi dei viventi. Qual mera-
viglia adunque se nel bellissimo dialogo l'ombra del santo
abate Ferrando Gennaro, apparsa in sogno ad Azio Sincero
e da costui interrogata intorno alla immortalità dell' anima,
risponde, come già Achille ad Ulisse : « Dicam vere, fatebor
ingenue, asseverabo constanter. nos qui e vita iam migravi-
mus eo desiderio teneri in vitam illam remigrandi, quae ani-
mae cum corpore est communis»?1 Non c'è da stupirsi che
il Pontano arditamente la pensi e si esprima in questo modo,
e poi insista esortando : « Pungamur igitur eo libentius in
hac ipsa animae corporisque societate viventes, vitae ipsius
muneribus; quodque medii quasi quidam ex anima consisti-
mus ac corpore, mediocritatem sequamur eam, quae digna sit
nomine».2 Sarebbe anzi strano che il filosofo dell'astrologia,
il sostenitore convinto della teoria dei temperamenti, usasse
un altro linguaggio.3
Intimamente collegata con questa ora esposta è la teoria
della fortuna, formulata, intorno al 1500, nei primi due libri
dell'opera che per l'appunto s'intitola De fortuna. Il fortu-
nato, o, come altri volle chiamarlo,4 l'uomo della for-
pontaniano, a cui alludo, è nello stesso De prudentia, lib. I, p. 167 b, dov'è
detto che la felicità va congiunta colla virtù, e et quoniam Cbrist i.i n i
ipsi mi in iis. <'iiin spe etiain coelestis vitae, qua ipsis quoque cura coeliti-
bus aevo sit fruendura sempiterno ».
1 Pontini Actius, p. 106 b.
2 Pontini Actius, p. 107 a.
8 Molto ardita, per i tempi, è questa scena ; si comprende perciò come
F. Fiorentino, op. cit., p, 181, abbia esitato alquanto a trarre da essa le
conseguenze Intorno al pensiero del Pontano, che noi abbiamo tratte. Non
dobbiamo dimenticare però che l'illustre critico non penso di ravvicinare
le parole della visione alla teoria astrologica dei temperamenti, che forse
in questo ravvicinamento avrebbe trovato un forte appoggio per il suo
giudizio.
4 E. Gothein, op. cit, p. 442 sgg.
G. PONTANO E G. PICO 247
tuna, è colui che, sortita un'indole da natura, non ha biso-
gno nella vita di foggiar se stesso secondo le nonne di quella
mediocrità, nella quale abbialo visto consistere la virtù. Il
fortunato segue l'impulso naturale ciecamente, senza resistenza
e senza stanchezza, e si lascia da esso trasportare alla imman-
cabile riuscita. Egli non sa per quali ragioni o da quali forze
sospinto, tenda alla sua meta; egli ò come l'artista sotto
l'afflato del nume o come il profeta sotto l' ispirazione del de-
mone.1 E come il poeta o il pittore mirano a un ideale di
bellezza, e il profeta si slancia nell'avvenire, cosi il fortunato
si avanza fatalmente verso gli onori della vita, verso i trionfi
delle armi o della ricchezza; egli è il grande statista, l'eroe
e, se ci è permesso un vocabolo modernissimo, il miliardario.2
Ma se egli, tutto assorto nell'azione, è incapace di conoscer
se stesso,3 tali non siamo noi che di lui facciamo oggetto di
studio : per noi egli è il prodotto d' un influsso stellare stra-
potente e tale che supera ogni ostacolo, resiste ad ogni agente
modificatore. Il fortunato, il cui oroscopo ha intero il compi-
mento nella realtà, non ha bisogno, come abbiam detto, d'esser
1 Pontani De fortuna, lib. I, p. 280b-281ab. Non a caso il Pontauo
prende come termine di paragone il poeta, il cui estro, come abbiam visto
a p. 233, per lui è di natura celeste; ed il profeta, e quindi anche l'astro-
logo, a cui la scienza non basta, secondo Tolomeo, Centiloquio, 1» sentenza,
quando non sia congiunta a naturale, e perciò astrale, predisposizione.
* Non parrà troppo americano questo vocabolo a chi ricordi le ricchezze
di Francesco Coppola, conte di Sarno, che ancora pochi anni avanti che il
Pontano scrivesse queste cose avea fatto stupir Napoli offrendo al re un'ar-
mata per vincere i Turchi assalitori d'Otranto, e un'altra di cinquantasei
navi da guerra per combatter Venezia (Gothein, op. cit. , p. 306). A chi com-
piva atti simili ben si conviene, credo, l'anacronistico nome.
3 Pontini De fortuna, lib. I, p. 280ab. : e Quocirca, ut dictum est,
cum sine ratione, sine Consilio consultationeque aliqua repente ad aliquid
excitanterque moventur, quod illis postea bene vertit, eos tunc si percuncta-
bere: — Quaenam vos commovet causa, quae ratio ad haec ipsa sequenda?
— atqui respondebunt : — Nobis ita quidem dictat animus, sic nobis pla-
citum est, hocque nostrum nobis cor iunuit. — Quod ulterius si perstiteris
quaerere, cum non habeant quid cum ratione respondeant: — Deus, inquient,
hoc vult, sic nobis imperat, illuni sequimur, eius nos paremus imperio. —
Itaque inesse animis eorum videtur a natura, ut, instinctu quidem atque
impulsu tantum ilio, ratione vero ac consultatone nulla adhibita, ad ea
ferantur raptim atque ex incogitato, ad quae natura ipsa illos trahit,
vel raptare potius cernitura
248 CAPITOLO QUAltTO
virtuoso, perché la conciliazione fra indole ed ambiente non
gli è necessaria; ma è morale anche senza virtù, d'una mo-
rale superiore, incosciente. Egli, concludendo, è il fiore del-
l'umanità, o, per servirmi anche qui d'un vocabolo recentis-
simo, è il superuomo.1 Vedi fortuna delle teorie filosofiche!
I trattati sulla saggezza e sulla fortuna, in grazia dell'ap-
parente novità del loro contenuto, ebbero naturalmente rapida
diffusione: il secondo soprattutto fu letto avidamente a Na-
poli e fuori di Napoli, e suscitò applausi e disapprovazioni. -
Si capisce invero come non solo i cosidetti peripatetici, eioè
gli aristotelici rimasti ancora in gran parte fedeli alla scola-
stica, non potessero approvare una simile teoria della vita ;
ma è pur chiaro che anche gli spiriti più aperti alle novità
della filosofia trovassero dei seri contrasti fra la prò] tri a fede
e gli enunciati del Pontano. Fra questi ultimi dobbiamo ri-
cordare 1 '«agosti ni ano Egidio da Viterbo, intorno alla cui cul-
tura profana scrisse delle bellissime pagine il Fiorentino.3 Il
buon Egidio, alla lettura dei due libri De fortuna, fu pi
da un vero sgomento e temette, dice l'illustre critico ora ci-
tato, per la salute eterna dell'anima di Gioviano. E subito
gliene scrisse da Roma, ove allora si trovava, in tono di ami-
chevole rimprovero: essere bugiarda la professione di cri.stia-
1 Mi sia lecito, uel nonio di Dante, una parentesi per osservale che non
ini par fiuto il ravvicinamento fatto dal Senna, op. cit., p. 442, <li qu< sta
teoria a quella dantesca della Fortuna (Inferno, VII, 73 sgg.). Per l'Ali-
ghieri infatti la Dea non è un' allegoria dell'influsso celesti, ma una intel-
ligenza essa stessa, ministra della Provvidenza, né ha ohfl vedere coi tem-
peramenti degli uomini.
* Una prova, fra le altre, del favore conservato anche più tardi dal he
fortuna è la copia che Pietro Bembo ne fece nel 1610, di proprio pugno,
ora codice Marciano lat. VII, US,
3 Importantissime per la storia del pensiero del Pontano le rei
sue con Egidio da Viterbo e il maestro di costui Mariano da 'ieiinazzaiio ;
e vera fortuna che l'uno e l'altro di codesti religiosi al>l>iano trovato nel
Fiorentino, Egidio da Viterbo e i Pontuniani di Napoli, cit., e nel
thbin, op. cit., i». 4Ò8, due degni indagatori ! Non e dunque nenssario da
parte mia un più lungo discorso, dal momento elie aderisco pienamente alle
conclusioni che essi trassero dalle carte da loro illustrate, e specialmente
dall'epistolario del Pontano e di Kgidio. gualche riserva, che dovrei fare
intorno all' attendibilità della collezione Arditi, usufruita dal (iotlicin, non
riguarda i documenti di questo periodo, onde qui sarebbe superflua.
G. PONTANO E G. PICO 249
nesimo inserita nel primo libro dell'operetta, essere indegno
degli studi e del pensiero d'un filosofo cristiano il non far
menzione, trattando dei beni della fortuna, della provvidenza
divina.1 11 Pontano aveva per Egidio una profonda venera-
zione, onde alle parole di lui meditò seriamente e dopo poco
tempo — questi scambi di lettere sono del 1501 — concepì il
piano d* un terzo libro De fortuna e d' un dialogo, che inti-
tolò appunto al nome dell'amico:2 libro e dialogo, natural-
mente, furono d'argomento morale e teologico.
Eccoci dunque al gruppo estremo delle opere del Pontano
ed al suo ultimo modo di pensare intorno all'astrologia; o
meglio, all'ultima fase del suo non mai abbandonato concetto
dell'influenza celeste. Giacché sarebbe errore il credere che
le parole dell'agostiniano, pur tanto autorevoli ed efficaci sul-
l'animo del vecchio poeta, siano riuscite a smuoverlo dalle
sue idee: esse servirono invece a dare sviluppo a certi ele-
menti mal chiariti, e non a caso, nei libri precedenti.
Nel libro terzo della fortuna adunque, con la solita fran-
chezza, che è pregio innegabile di tutti gli scritti pontaniani,
l'autore si propone due scopi: il primo, di dimostrare come
la sua teoria del fato non escluda la provvidenza divina ; il
secondo, di aggiungere alla, sua dottrina queir elemento più
schiettamente religioso, che ad essa davvero mancava. Il primo
scopo facilmente lo raggiunge richiamandosi al proprio con-
cetto della creazione, che in fondo è il concetto aristotelico
scolastico: Dio crea gli astri, dando loro la potenza d'infor-
mare le cose di quaggiù, le quali per tale mezzo dipendono
da Dio: « quocirca si fatum lex est ac regula naturae a Deo
1 Pontani De fortuna, lib. Ili, p. 299a: € Is cum in nostratia haec in-
cidissct de fortuna, non potuit non commendare studium nostrum rarita-
temque laboris ; praeoptasset tamen uti cogitationes has nostras in potiora
convertis8emu8 cognituquc magia digna, quaeque vel in Christianani rem-
publicam vcl in vitae civili* institutionem morumque probitatem utilitatis
plus conferrent. Esse enim quodammodo Christiano indignimi nomine de for-
tuna rationem habere aliquam, cum res mortalium divinae magis curae
permittendae essent, quam de fortuna inquirendum aut casibus ».
* Per la data, non per la critica, di questi due scritti, v. Tallarigo, op.
cit., voi. II, p. 478 e 689.
250 CAPITOLO QUARTO
praescripta, si naturae eiusdem et materia et instrumenta sunt
ea, quae rerum dicuntur dementa, si stellae deniqoe sua in iis
et iura exercent et imperia, an temerarium tibi aut panini forte
rationale videatur, quod stellas fati ipsius ministras diximu
executricesque naturae munerum divinaeque constitutionis? »'
A raggiungere il secondo scopo, lo scopo religioso, fu ne
saria una concessione alla teologia, alla quale forse il Pon-
tano si indusse a malincuore. Bisognava pure affrontarla la
questione dell'immortalità dell'anima e della dipendenza di
questa da Dio o direttamente o per il tramite degli spiriti
angelici! Ciò che volentieri era stato taciuto non tanto per il
timor materiale dell'accusa d'empietà, quanto per il terrore
di confessare a se stesso il vero e nudo concetto proprio in
fatto di dogma, ora conveniva palesarlo. Orbene, quell'anima
che tanto anelava, come diceva 1' ombra di Ferrando Gen-
naro, al ricongiungimento col corpo, sede vera della vita del
senso, non negata mai, ma neppure esaltata, doveva finalmente
essere appieno riconosciuta.2
Sennonché immediata conseguenza del riconoscimento del
l'anima immortale era il riconoscimento pure delle sue qua-
lità, fra le quali prima la libertà dell'arbitrio. Ed il Pontanu.
1 Pontani De fortuna, lib. Ili, p. 301 b.
* Pomtani De fortuna, lib. Ili, p. 309 ab; ma forse più chiaro ancora
è il brano seguente d' una lettera che il l'ontano scriveva nel dicembre 1601
ad Egidio, edita dal Fiorentino, op. cit., e riportata anche dal Gothein, p.
n. 1: «Quod autem ingravescentis me actatis admoncs, dicam libere quid
sentio. Primam quidem hominis aetatem mortalem eam esse nomiuandam,
quo tempore id, quod a coelo, vel a Deo, divinimi in nos influxit, assu.
ret mortalitate ab ipsa infici suaque ab excellentia declinare: postrcmam
vero immortalem, quo rursuni tempore illa pars, completo iam itinere, re-
gredì in coelum incipiat. Itaque facile patior ab Aegidio meo, a me
scilieet ipso, in urtati' immortali immortalitatis ipsius admo-
ii e ri : id quodvolens et sponte ipsa me a iam ago, acturus e ti. un
libentius, tali praescrtiin a timoni tore ac consiliario ». Non inu-
tilmente il Gothein, p. 466, richiama a questo punto gV inni saeri elie rin-
viano allora scrisse, e specialmente quello, dedicato all'amico e consigliere,
in lode di 8. Agostino (Pontani Carmina, Firenze, 1902, voi. II, |
qual proposito aggiungerò che in quello stesso anno 1601 il l'ontano ristu-
diò, per consiglio di Egidio, le opere dell' Ipponense, postillandone anzi il
libro De immortalitate aniinae in un manoscritto della propria bibliol
ora cod. VI, C, 23 della Nazionale di Napoli.
G. PONTANO E G. PICO 251
in una delle più belle scene del dialogo Aegidins, tratta ap-
punto del libero volere dell'anima, esaminando i rapporti che
questo può avere con la sua precedente teoria astrologica. '
L'astrologia congetturale, egli dice, si occupa delle modifica-
zioni cui l'indole sortita da natura va incontro durante il
corso della vita; tali modificazioni, egli soggiunge, noi altrove
le attribuimmo a cause molteplici, specialmente esteriori. Ora,
tra quelle cause una certo è importante, forse più importante
di quanto noi non ci eravamo accorti, ed è la libera volontà
del nostro spirito. Non trascuri dunque di tener conto del-
l'azione sua queir astrologo, che vuole avvicinarsi al vero
nelle sue congetture. Male infatti avrebbe preveduto l'adem-
pimento dell' oroscopo mio, dice il Fontano, colui che nel segno
dell' Ariete ascendente leggeva, con la valentia nei politici af-
fari, la bramosia degli onori e degli averi; che all'una la-
sciando libero svolgimento, all' altra volontariamente ho con-
trapposta la mia rettitudine, si che quella rimase come schiac-
ciata.2 Quale azione pertanto sia assegnata alla libertà del
volere nel temperamento dell'indole naturale, questo stesso
esempio ci mostra : essa funge da forza ordinatrice delle varie
altre forze di natura astrologica, ed è perciò la condizione
1 Pontani Aegidius, p. 168a. L' interlocutore principale di questa scena,
per bocca del quale si enuncia la teoria del libero arbitrio, è Giovanni
Pardo, uno spaglinolo, ecclesiastico, amicissimo del Fontano (E. Pércofo,
Nuovi documenti sugli scrittori e gli artisti de' tempi aragonesi, in Ar-
chivio stor. nap., XVIII, p. 626 sgg.). Il tono generale del discorso, e più
la perfetta concordanza con le idee espresse nel lib. Ili De fortuna, di-
mostrano però che 1' opinione sostenuta è dello scrittore, cioè del Pontano.
* Pohtani Aegidius, p. 169b-170a: «Tempestate hac nostra qui apud
reges regulosque magistri fuere epistolarum, utque hodie dicuntur, secre-
tarii, 8ummum in modum locupletati sunt omnes, praeter Jovianum li une,
qui hic ad est, quam ad rem ab amicis familiaribusque assidue cohortatus
cum esset, nunquam a proposito dimoveri potuit, il lini in ore semper ha-
bens : — Egere nolo, opulentus esse recuso. Qua ratione non modo cupidi-
tati imperavit pecuniarumque appetitioni, verum ipsis etiam regibus in re
publica moderanda. Quam animi firinitatem his ipsis etiam diebus ostendit.
Cum euim, capto regno Neapolitano, Ludovici Oalliarum regis praefectus
magistratum ei offerret, quo e reditu eius senectutem opulentiorem duceret:
— At, inquit, non opulentiorem eam feceris, verum occupatiorcm, quando
diis iuvantibus nullius honestae rei indigeo. Voluntas certe haec fuit ra-
tione temperata, eaque cupiditatum victrix ac seusuum titillantium >.
252 CAPITOLO QUARTO
necessaria, al raggiungimento della mediocrità, cioè della virtù.
Non bisogna tuttavia dimenticare, osserva argutamente Rin-
viano, che 1' esercizio assoluto del libero arbitrio a quanto
mondo è molto raro, e privilegio di poche anime sante : ld
ignorano per contro interamente i fortunati, presso i quali
volontà ed impulso stellare sono la stessa cosa; lo ignorano
in parte, ahimè! in molta parte, gli uomini comuni, sull'animo
dei quali l'appetito sensuale e la superstizione hanno troppo
potere.1 Di modo che, tirate le somme, anche con l'accrescere
l'importanza di questo fattore, il campo dell'astrologia con-
getturale poco si restringe in teoria, pochissimo in pratica :
quello dell'astrologia scientifica rimane intatto in tutta la sua
estensione.
Tale è l'ultima parola che il Pontano pronunciò, più che
settantenne, intorno all'astrologia, l'ultima sua parola anzi
intorno a questioni filosofiche. Possiamo quindi conchindere
intorno al pensiero di lui, o meglio ritornare per un momento,
forti delle nuove cognizioni ora apprese, sopra l'attitudine sua
nella controversia pichiana. Che cosa contrappone dunque il
Pontano alla Confutazione di Giovanni Pico, cioè a quell'opera
demolitrice, nella quale, come abbiamo veduto, la parte ne-
gativa è cosi scarsa di valore, e la parte positiva consiste in
un sistema dell'universo derivato da Aristotele, di natura quasi
assolutamente metafisica? Il Pontano alla Confutazione, ciò
al sistema pichiano, contrappone non sofismi od attacchi (se si
dimentichi lo scatto iroso del dodicesimo libro De rebus coele-
stibus, presto domato), ma un proprio sistema, pur esso d'ori-
gine aristotelica, nel quale i migliori elementi dell'aristoteli-
smo, cioè l' indagine sperimentale sia fisica che psicologica,
predominano e costituiscono la teoria astrologica scientifica;
integrata da una teoria morale e sociale, cioè dall'astrologia
1 Pontani Aegidius, p. 171 a: « Qaomobrcm finem bis faciam, si prius
tamen hoc subdiderim, bominum illorum numerimi oppido quaiu exipuiiiii
esse, animimi qui colant, animique arbitratu utantur atque imperio, l'uni
ni li 1 ti t ii d o fere universa corpori si t omnino dedita corporeis-
que illecebris, ut fortasse matbematicis ipsis permittenduin
sit laxissimis etiam habenis currere ad apotelesniata pronti li-
tui mia ».
G. PONTANO E G. PICO 263
congetturale, in cui soltanto nell'ultimo stadio senile si ri-
scontrano elementi metafìsici e teologici ben definiti. Non è
mia intenzione giudicare a quale dei due sistemi dobbiamo dar
maggior lode: poggiano infatti entrambi sopra basi per noi in-
teramente false, si che un giudizio assoluto non può non con-
dannarli. Ma se ci è permesso stimarne il diverso valore dalla
maggiore o minore profondità e modernità di certi elementi, se,
latta astrazione dal comune principio erroneo, badiamo soltanto
al diverso metodo loro, non e' è dubbio che il concetto del Pon-
tano ineriti la nostra preferenza. Che se poi teniam presente e
la larghezza delle vedute di Gioviano, per il quale la verità
astrologica forma il centro di un completo organismo filosofico,
e 1' ardore col quale egli si tenne fedele, in tutte le manife-
stazioni della propria vita e dell' arte, a' suoi principi, non
possiamo non aggiungere alla preferenza anche l'ammirazione.
Curiosa scienza la critica storica, che ci permette d'ammirare
anche.... l'astrologia!
CAPITOLO QUINTO
I poemetti astrologici del Pontano.
I. Cronologia. — II. L' Urania : il primo libro, o dei pianeti. — III. Il circolo
dello Zodiaco. — IV. Le costellazioni extra-zodiacali. — V. Corografia astrologica
e la chiusa del poema. — VI. Le Meteore. — VII. Arte e fortuna.
I.
Ci racconta l'umanista Bartolomeo Fazio, morto nel lf">7,
che il Pontano « astrologiam, opus multi laboris atque ingeni i,
hexametris versibus exorsus erat »,* cioè che un poema astro-
logico il Pontano avea cominciato intorno al 1456, al più tardi.
E siccome non ci par possibile, e per le relazioni che lo scrittore
ebbe con Gioviano, e per la natura della notizia da lui fornita,
mettere in dubbio l'esattezza delle sue parole, cosi dobbiamo
credere che in quell'anno il Pontano, trentenne, s'occupi
d'astrologia anche poeticamente. Ma possiamo chiederci: 1
multi laboris atque ingenti era V Urania? L'Urania che noi
conosciamo, no di certo, per molte ragioni: non Y Urania nella
redazione definitiva, la quale è data dagli stessi autografi come
posteriore al 1490, 2 e neanche 1' Urania nella prima reda-
1 B. Facii De viris illustribus liber, Florentiae, 1745, p. 6, citato da V.
Rossi, Il Quattrocento, Milano, p. 4!JS. Notisi, fra parentesi, che p»vr la bi-
bliografìa, sia dei manoscritti sia delle edizioni, dei poemetti pontanlant,
rimando a quanto ebbi ad esporre molto minutamente in J. J. Portami Car-
mina, testo fondato sulle stampe originali e riveduto sogli autografi, in-
troduzione bibliografica ed appendice di poesie inedite. Firenze. 1902,
I, p. x-lxxxiii e 1-226; ed avverto die a codesta mia edizione vanno rife-
riti, senza che più la si ricordi espressamente, tutti i richiami del presento
capitolo.
* Pomtani ('armino, I. p. xxv.
I POEMETTI DEL PONTANO 255
zione, la qnale presto vedremo non risalire oltre il 1475. Quel-
l' opus adunque sarà stato il primo abbozzo d' un' Urania, i
cui lineamenti andarono poi interamente perduti nel getto
posteriore; o meglio, un altro poemetto, al quale accennò
l'autore, da vecchio, nel 1503, mandando ad Aldo Manuzio il
manoscritto delle Meteore: « liber hic Meteororum fuerat ante
Uraniae libros scriptus, verum prius quam ederetur, furto fuit
ob livorem subreptus. Itaque, absoluta Urania, auctor illum
refecit et tanquam instauravi^ addiditque Uraniae libris».1
E che possa essersi trattato di questo scritto smarrito, par pre-
sumibile per una ragione, che potrem dire ex absurdo. Infatti
in caso negativo, cioè posto il principio dell' Urania nel '56,
queste più antiche Meteore, quasi pronte per la pubblicazione,
come lascia intendere il poeta, innanzi a quella data, dovreb-
bero rimandarsi ad età più giovanile ancora, troppo giovanile
per chi conosca l'opera poetica dei primi anni che il Pontano
trascorse a Napoli. Io credo adunque, secondo questa ipotesi
assai probabile, che la concezione d'un poema astrologico nella
mente del giovane umbro siasi formata intorno al 1456, o poco
prima, al tempo della consuetudine di lui col Bouincontri e
col Gallina, e quando negli studi scientifici egli s' era suffi-
cientemente addentrato. E siccome la scelta primitiva del tema
meteorologico è un fatto certo, credo che si possa arrischiare
un'altra ipotesi, che a tutto ciò non sia rimasto estraneo il Mi-
niatese, il quale, come abbiamo veduto, veniva in quegli anni
meditando la sua duplice opera, solo più tardi composta, di
cui la descrizione del cielo, o astrologia propriamente detta,
doveva esser parte importante. Non era conveniente invero che
i due amici s'incontrassero, come invece avvenne in seguito,
sullo stesso terreno. Aggiungasi che il titolo generico di astro-
logia, che ci ò dato dal Fazio, era, a quei tempi, non ripu-
gnante anche ad un lavoro meteorologico ; né d' altra parte è
da credere che la dottrina astrologica nelle prime Meteore
fosse ristretta entro limiti simili a quelli delle Meteore de-
finitive, che ben possiamo considerare non come una tarda e
1 Pohtahi Carmina, I, p. xi, e V. Rossi, recensione alla cit. mia edi-
zione, in Rassegna bibliografica d. leti, it, X (1902), p. 180.
256 CAPITOLO QUINTO
semplice ricostruzione, ma come un vero e proprio rimaneg-
giamento ; quale era naturale uscisse dalla penna di chi ri-
componeva un poema da parecchi anni dimenticato e per di
più con l'obbligo di rispettare, nella distribuzione della ma-
teria, certi determinati rapporti verso un altro poema, che
prima non esisteva.1
Dato pertanto che la prima opera astrologica del Pontano,
cioè le Meteore primitive, fosse sul telaio intorno al 1456, e
che qualche anno dopo venisse a compimento, da quest'ultima
1 Nel libro I del Partenopeo, che data appunto dal tempo dell'amicizia
più intima del Pontano col Bonincontri, c'è un'elegia, la 6», che può gettar
luce su questa ipotetica cronologia. In essa il poeta dichiara di essere an-
cora tutto intento a scrivere versi d'amore, ma di aspirar già a qualche
composizione più nobile, per esempio ad un carme o ad un poema di tipo
lucreziano. L'argomento del quale dovea essere per l'appunto misto di me-
teorologia, d'astronomia e di geografia, con prevalenza della prima. Cito
per disteso i distici che lo enunciano, perché l'importanza loro in Aurora
della nostra supposizione è assai grande :
Tunc ego Castalias (vivam modo) pronus ad undas
Perfuudam sancto labra liquore senex,
Quatuor et referam digesta elementa figuri*.
Primum iguis, post hunc aeris esse locum.
Terra sit ut media mundi regione locata
Nixa suis opibus, pondere tuta suo,
Intervalla tenens distantia partihus aeque.
Bruta quidem et solido sorte recepia loco,
i.Miatn pater Oceanus spumantibus abluil undis
Amplectens, medio dissociatque freto ;
sint duo praeterea, quorum sullimis ab Arcto,
Imus al) opposito dicitur axe polus;
Hos circum immensi volvatur machina mundi,
Nec tameu imposi! uni seutiat axis ouus;
Denique gigneudis quaenam sint semina rebus,
l'udì- suos iirtus edita quaeque trahant,
Unde pavor cervis, rabies atque ira leonum,
Kaucaque cur cornix, et bene cantei olor ;
Quid calidi foutes Dimori, quid noctibus Ammou
Kerveat et medio frigeat usque die;
Quem dederit rebus liut-ni Natura creandis,
Centauri nunquid, Scylla vel esse queaut,
Cur non Luna suo, sed fratris luceat igni,
Quid vehat et Procyon, quid vehat ortus Bqoi.
Nei versi che seguono (ìioviano mostra d'invidiare coloro, che. meglio con-
sigliati di lui, già si sono accinti a qualche lavoro simile, lasciando per
le frivolezze della vita gioconda. Su costoro scrive, fra l'altro, un distico:
Non illis studium gemmae, non dira cupido,
Diritta aut auri perniciosa sitis,
del quale si ricordò, alquanto più tardi, 1' amico Lorenzo quando se ne v bJm
per il suo Kndimione (v. p. 188).
I POEMKTTI DEL PONTANO 257
data, che per sua natura non è determinabile con precisione,
dobbiamo prender le mosse per ricercare l'inizio dell' Urania.
Avvenuto il furto, il Pontano dovette, secondo che mi par na-
turale, pensar subito al ricupero per mezzo della memoria e
degli appunti superstiti. Sennonché la maggior padronanza
del tema e forse il desiderio di novità, dovettero invogliarlo
a rompere i confini della propria concezione e spingerlo a
nuove indagini nel campo dell'astrologia universale. Di qui,
necessariamente, un non breve periodo di preparazione, il
quale giunge fino al momento in cui il poeta, dominando tutto
il materiale pazientemente raccolto, si mise al lavoro della
stesura. Questo lavoro — e si prenda il mio asserto colla de-
bita discrezione — si svolse rapidamente fra il 1476 e il 1479.
A suggerirmi la prima di queste date concorre essenzial-
mente la dedica, che dell' Urania il Pontano fece al figlio
Lucio, nato certissimamente non prima del 1475. 1 II nome di
Lucio è posto in fronte all' opera, e ricorre infinite volte du-
rante lo svolgimento,2 al quale poi è cosi intimamente legato,
che il discorso stesso assume il tono d'un continuo ammaestra-
mento non già a molti lettori, ma ad un solo, e quasi fami-
gliare. Lucio, il puer che, cresciuto negli anni, riuscirà a ca-
pire la dottrina paterna, è il muto discepolo, necessario a
questa forma di poemetto scientifico ; il quale può ben con-
stare anche di brani anteriori, ma non più che brani od ap-
punti provvisori o staccati. — La seconda data, cioè il ter-
1 Le date rispettive delle nascite dei figli del Pontano, quantunque il
Tai.i.arioo, op. cit., I, p. 94, non ce le dia, possono con una certa appros-
simazione determinarsi cosi : data certa del matrimonio, 1461 ; nascite delle
due figlie maggiori Eugenia e Aurelia, 1462, 1463; nascita di Lucia, terzo-
genita, al più presto, 1464. Costei, come ci è espressamente attestato dal
monumento funebre, muore in età di tredici anni, cioè non prima del 1477 ;
e quando la famiglia, e più di tutti il padre, ne piangono la fine immatura,
il fratello, quartogenito, manifesta il suo dolore coi vagiti (Carmina, I,
p. 173):
Fesso tibi vagii ab ore
Frater, et in cunis questus exercet amaros.
Doveva Lucio pertanto esser nato o l1 anno stesso della morte della sorella,
o un anno avanti, o, al più presto, due, cioè intorno al 1475.
2 Cito solo i passi più notevoli, che sono : Carmina, I, p. 3, 4, 37, 62,
77, 90, 110, 117, 173.
SOLDATI 17
258 CAPITOLO QUINTO
mine ad quem, la desumo dall'episodio di chiusa, vale a dire
dal compianto del poeta per la morte immatura della figlia
Lucia; episodio, notisi, col quale nella redazione anteriore
al 1490 terminava il poema.1 Lucia muore non prima del 1177 :
il padre, in fine all' Urania, non s'è consolato ancora di co-
desta sventura, anzi tanto s'affligge per la cura recente,2
che non esita a sfogare l' animo suo in un centinaio di versi,
appassionati, affettuosissimi. Evidentemente uno, due anni al
massimo, dopo il doloroso avvenimento, l' Urania era all'ultimo
paragrafo, e l'accenno famigliare assai opportunamente tro-
vava modo d' esservi inserito. Scegliendo la data del 1479
circa, non credo adunque di proporre un'ipotesi inverisimile.
Del resto, a conferma di tale datazione si possono citare
delle riprove. In una delle elegie dell'operetta De laudibus
divinis, redazione del 1458, 3 il Pontano espone una teoria
della creazione del mondo, secondo la credenza cristiana, dio
è inferiore per pensiero e per copia e atteggiamento di notizie
alla cosmogonia del primo dell' Urania ; il quale dunque de-
v' essere di parecchio tempo posteriore. Questo per la prima
data. Per la seconda si osservi che nell'opera De rebus cori 'e-
stibus, redazione più antica, sono trascritti dei brani anche
della fine dell' Urania, ed è palesemente enunciato il titolo
del poema; il quale dunque era finito poco dopo l'origine e
durante la composizione dei primi libri del De rebus, cioè
negli anni 1477-80. 4
Composta in questo modo V Urania, il Pontano, secondo la
notizia che egli stesso ci diede, pensò a rifar le Meteore, le
quali non aveano trovato nel nuovo e più ampio poema un
1 Poktani Carmina, I, p. 172-176.
* Tontani Carmina, l, p. 172, v. 798.
3 Tontani Carmina, I, p. xxx, II, p. 2'27.
4 Questa cronologia dell' Urania trova una conferma indiretta nella
cronologia dei poemetti astrologici del Bonincontri, i quali, secondo clic
abbiamo congetturato a suo luogo, sarebbero stati scritti fra il 1469 e il 1476.
E la conferma sta in ciò, che in questo modo si riesce ad una piti semplice
spiegazione delle tracce innegabili d'imitazione, sia formale sia sostan-
ziale, specialmente del secondo poema del Miniatesi-, da parte del Pont
Il quale avrebbe scritto i suoi versi dopo quelli di Lorenzo, e quando <
già s' era allontanato da Napoli.
I Poemetti del pontanò 259
posto lor conveniente. E il rifacimento cominciò, a mio cre-
dere, subito, protraendosi per alcuni anni; non per molti,
però, se consideriamo la non grande mole dell'operetta nella
sua seconda redazione. Dopo, corse un periodo assai burra-
scoso nella vita politica di Gioviano, onde non è a stupire cbe
le occupazioni artisticbe procedessero a rilento: e i due poe-
metti, quantunque nel complesso finiti, subirono ancora delle
modificazioni, delle piccole aggiunte, non difficili a ricono-
scersi da un occhio un po' attento. È evidente, per esempio,
cbe debbano riferirsi al 1484, o ad epoca di poco posteriore,
i due passi dell' Urania1 dove si descrivono scene e paesaggi
della valle inferiore del Po e di Ferrara, e si fa un quadro
assai vivace delle seduzioni di Stella, la donna che probabil-
mente il poeta conobbe per la prima volta appunto lungi da
Napoli, durante la guerra ferrarese, vivendo ancora Adriana:
e forse nelle Meteore la bella descrizione delle cascate di Ti-
voli2 ci riporta alle visite del Pontano a Roma nel 1484 ed 86.
Ma finalmente entrambi i poemi vennero ricopiati e fatti co-
noscere manoscritti: e questo nel 1490. Due codici vaticani, di
singolare importanza perché autografi, portano infatti questa
data, e ci conservano il testo in una redazione, secondo la
quale 1' Urania conteneva per intero la materia, che poi co-
stituì il testo definitivo a noi noto per le stampe, ma era men
ricca di particolari, men corretta nella forma, ed essenzial-
mente non era distinta in cinque, ma in soli quattro libri ; e
le Meteore, ancor esse sostanzialmente compiute, erano assai
brevi, aride, prive quasi del tutto di digressioni poetiche. 3
11 lavoro della lima non fu però intermesso, che anzi pro-
segui lento e proficuo per molti anni ancora, cioè fino alla
morte dell'autore, il quale può ben dirsi che abbia dedicato
ai poemi prediletti la maggiore e miglior parte della vita.
1 Pontini Carmina, I, p. 122 e 161.
2 Pontani Carmina, I, p. 213.
s Dei due codici autografi, Vat. lat. 2837 e 2838, ho discorso in Carmina,
I, p. xxr-vi e lxxxv-vi, e la lezione loro ho riprodotta a pie di pagina
nella cit. mia edizione, p. 1-226. Intorno al valore formale di questa prima
redazione, v. R. Sabbadini, recensione all' ed. suddetta, in Giornale storico,
XXXIX, p. 392.
260 CAPITOLO QUINTO
Presto V Urania, arricchita di nuovi brani, crebbe d'un libro,
o, meglio, ebbe sdoppiato il libro quarto; onde intorno al 1496,
a Firenze, Pietro Crinito poteva trascrivere, come primizie,
alcune centinaia di versi del quinto, ricevute non so da chi.1
Altre aggiunte seguirono, finché nel 1500 tutto era compiuto
e veniva ricopiato di sull'autografo, irto di emendamenti in-
terlineari e marginali, in elegante volume da un giovane e
nobile discepolo dell'autore, Gerolamo Borgia: la trascrizione,
dell' Urania e delle Meteore, era compiuta il 25 luglio del
detto anno. Sennonché nel 1501 le Meteore subivano un ultimo
lieve accrescimento; ma già il poeta considerava l'opera come
definitiva, tanto che ne cominciava, il primo di febbraio, la
lettura e il commento fra gli amici dell'Accademia.2 E il testo
veniva spedito ad Aldo Manuzio, che sfortunatamente non
potè, causa certi contrattempi, pubblicarlo per le stami»
non due anni dopo la morte del Pontano. 3
II.
Il poema di Manilio, nel trattare del vasto problema a>t io-
logico, procede faticoso, con metodo lucreziano, di questione
in questione, di teoria in teoria, concedendo alla descrizione
del cielo, come abbiamo a suo luogo mostrato, solo una pic-
cola, per quanto bella, parte del libro primo e quasi per in-
tero il libro quinto ; né le osservazioni in cosi breve spazio si
estendono a tutto il cielo, con egual larghezza, ma si restrin-
gono allo studio delle stelle fisse, e non si tocca che per in-
cidenza del canone planetario. Lorenzo Bonincontri, troppo
occupato in dottrine filosofiche e teologiche, riesce a mala pena
a dedicare i due ultimi libri della complessa sua opera alla
trattazione della sfera, della quale poi discorre incompiuta*
mente, escludendo, forse per non ricalcare orme pericolose,
proprio ciò di cui Manilio avea più largamente parlato. Il
1 Pontani Carmina, I, p. xxxit-v.
2 Fontani Carmina, I, p. xxxy-ymi.
3 Fontani Carmina, I, p. lx ngg.
I POEMETTI DEL PONTANO 261
Fontano invece, con disegno chiaro e perfetto, abbraccia il
larghissimo teina in ogni sua parte, congegnando armonica-
mente la descrizione e la teoria, la scienza e l'arte; né si
ferma agli spazi superiori del cielo, ma discende anche più
in basso, nelle regioni delle meteore. Nulla di più ordinato
infatti della ripartizione della materia nei suoi poemetti. L' Ura-
nia si divide in tre grandi porzioni, la prima dei pianeti, la
seconda delle stelle fisse, la terza degli astri considerati come
patroni delle diverse regioni e dei diversi popoli della Terra,
o corografia astrologica. La prima di queste parti, la quale
occupa tutto il primo libro, si suddivide a sua volta in due
sezioni, una dedicata alla descrizione della posizione, dei moti,
degl'influssi di ciascun pianeta, e l'altra intesa a rappresen-
tare i pianeti stessi, nell'atto della creazione dei corpi infe-
riori, una vera cosmogonia astrologica. La seconda porzione,
o delle stelle fisse, è duplice anch'essa, contenendo nella prima
sezione la forma, le caratteristiche, le favole delle dodici co-
stellazioni zodiacali, e nella seconda l'elenco degli asterismi
extra-zodiacali. La seconda porzione occupa da sola i tre quinti
del poema, cioè i libri secondo, terzo e quarto. Nel quinto ed
ultimo libro si tratta della terza porzione, o della corografia.
Del mondo inferiore, cioè degli elementi e dei fenomeni loro, si
parla, come abbiamo già detto, nel libro unico delle Meteore.
Pare adunque che tutto 1' universo abbia trovato nei due
poemi un adeguato svolgimento. Però il poeta stesso, ter-
minando T Urania, prima dell'episodio di chiusa, ci fa du-
bitare della compiutezza dell' opera sua, dal punto di vista
dottrinale, con una dichiarazione importante.1 In breve, ci
avverte che manca in essa un capitolo espressamente dedicato
alla melotesia planetaria, cioè all'esposizione dei tempera-
menti fisici dell' uomo, sia dal punto di vista medico, sia nelle
conseguenze morali e intellettuali; e che dovrebbero pure es-
servi indicate le teorie dei circoli della genitura, delle sorti,
dei luoghi, degli aspetti planetari e zodiacali, ecc. Inoltre se
poniamo 1* Urania a confronto col De rebus coelestibus, mentre
vediamo le due opere andar quasi di pari passo per un buon
1 Urania, V, v. 781-793, in Carmina, I, p. 171.
262 CAPITOLO QUINTO
tratto, cioè fino al libro ottavo di quest'ultima, improvvisa
niente poi 1' una, il poema, s'arresta, e l'altra prosegue an-
cora per sei libri, ben nutriti; quei libri, se il lettore se ne
rammenta, che probabilmente vanno assegnati alla nuova re-
dazione, posteriore al 1494, e che trattano quasi per intero di
medicina astrologica. Dovremo dunque considerare 1* Urania
come incompiuta? Per un certo senso, si, perché vi manca di
fatto una parte della dottrina degli astri ; per un altro, no. E
mi spiego. Nei quattro primi libri si contiene tutta la parte,
che il Pontano chiamava astrologia scientifica, ed è naturale
che questa abbia uno svolgimento adeguato: ma nel quinto
comincia quell' altra, che il Nostro chiamava congetturale, e
credeva poco sicura, poco seria, ed è spiegabile perciò che
ne abbia volentieri solo riassunta o accennata una buona metà.
Ma di ciò, in seguito.
Piuttosto, giacché si tratta di lacune, debbo confessare che
nel riferire la trama generale della duplice opera ho segnato
bensì i contorni più evidenti di essa, ma ho dimenticato di
porre nel debito rilievo un elemento, che merita invece d'essere
conosciuto sopra gli altri.] Accenno alla mitologia allegorica,
Vene l'autore non trascura di creare a proposito di ciascun
vlcorpo o fenomeno celeste e di ciascun influsso; mitologia per
mezzo della quale nascono o si rinnovano le favole, che sono
il pregio migliore di questa vecchia poesia. L'autore, con pro-
cesso veramente artistico, pare ritorni alla fresca ispirazione
degli antichi, quando i miti astrali si costituivano nella fan-
tasia popolare; ed è in questo, in parte, anche erede del pen-
siero medioevale, che nelle cose e nella storia e soprattutto
nella poesia non si fermava al significato piò semplice o let-
terale. Ma l'addentrarci in tutto ciò senza portare esempì riu-
scirebbe poco chiaro, e quindi vano; e portar esempi equivale
a scorrere, l'un dopo l'altro, i molti paragrafetti dei due poemi,
scoprendo in essi il senso a volte palese, a volte velato, a volte
anche recondito: una specie, insomma, di rapida e ordinata
interpretazione, che qui si rende più che mai necessaria.
La protasi dell'Urania e breve, e richiama molto da vi-
cino il principio delle Georgiche di Virgilio, il poeta cui il
I POEMETTI DEL FONTANO 263
Nostro tributò sempre un culto speciale e che nou trascura di
lodare anche in questi primi versi dell' opera sua. Ma l' ac-
cento pili caldo è riservato alla Musa della poesia astrono-
mica, ad Urania, dalla quale con bella novità viene il nome
al poema. Urania, più che un ricordo classico, è un' allegoria,
la prima delle allegorie pontaniane, che acquista sempre mag-
gior consistenza poetica, quanto più la mente dello scrittore,
nel progresso del suo lavoro, diventa a lei famigliare. La
scienza del cielo, che penetra con sicurezza nei misteri del-
l' influsso, è dapprima la guida sapiente attraverso le vie del-
l'etere, dove l'accompagna lo sposo, il Trismegisto.1 Ma poi,
anche indipendentemente da ragioni astrologiche, discesa più
presso alla Terra, essa non vorrà lasciare il cantore che a lei
dedicò quasi intera la vita, e, fatta ninfa campestre e dome-
stica, prenderà stanza negli orti di Antiniana, insiem con Pa-
tulci e Planuri.8 Quivi ella assisterà alla cultura dei cedri e
degli aranci, e darà una mano qual sorella maggiore a pre-
parare il corteo nuziale di Lepidina, 3 e piangerà con le com-
pagne e col poeta sulle tombe. 4 Tanto questa curiosa creatura
dell'ingegno del Pontano, questo simbolo, diventa figura reale
e vivente!
Secondo i dettami adunque di costei, senza che perciò il
poema abbia forma di visione, l'autore discorre in primo luogo
della Luna. Ne discorre rapidamente, seguendo le tracce vir-
giliane, per ciò che riguarda le fasi e i pronostici ; 5 quindi ac-
cenna appena alle principali favole greche, evitando d'incon-
trarsi col Bonincontri, che certo non doveva essergli ignoto.6
1 Urania, I v. 8-10 e 30-31, II, v. 50 sgg. e 432.
' De HortÌ8 Hesperidum, I, v. 25 sgg.
3 Lepidinae Pompa quinta, v. 38-40, e Pompa sexta, v. 74-78.
* De Tumulia, I, I, v. 5.
5 Cfr. Georgiche, I, v. 427-437.
6 All' Eudimione bonincontriano nessun accenno. Però nei primi verdi'
( Urania, I, v. 32-33) :
Prima deùm terras glaciali sidere circuin
Luna nieat, coelumque suo terit ultima curru,
e' è il ricordo di questi altri del Miniatene (Laurenziano XXXIV, 52, e. 73 a):
Prima deùm terras alieno lumina Luna
Circuit, et varias patitur prò tempore formas.
264 CAPITOLO QUINTO
Bonincontriana è invece la trattazione del secondo pianeta, che
segue immediatamente. Abbiamo visto infatti come per il Mi-
ni atese la caratteristica di Mercurio fosse la rapidità dei
movimenti, onde il mito lo rappresentava come il nunzio ce-
leste: allo stesso modo, per il Pontano, il dio della seconda
sfera vaga qua e là per il cielo, dall' uno all' altro degli dèi
consorti (retrogradazioni), e muta d'influsso come muta di vi-
cinanza. Benigno è con Giove, ma crudele con Marte, e maestro
sommo di seduzione con Venere. Con la quale quando si trova
in congiunzione, infonde nei nascenti la mesta dolcezza del
canto,1 onde i cuori femminili sogliono essere lusingati: non
sempre, però, che qualche volta la poesia troppo tenera e triste
— quella de' petrarchisti? — può muovere al riso:
Uritur, et placidum cautando nutrit amorem:
Ipse canit, tenerae cantus risere Napaeae ! ?
Con le ninfe invero celesti e terrene altro tono sapeva usare
il Pontano, quando negli Amori e nelle Baie ne svelava le
grazie e ne stuzzicava i desideri ! Ed altro tono egli assume
quando, trattando del terzo pianeta, si trova a ragionare del-
l'influsso amoroso. In questo si stacca dal Bonincontri, il quale
aveva cercato di purificare in certo modo il lubrico argomento
per mezzo di strane allegorie religiose. Il Pontano no, non
attenua i colori, che anzi, dato un piccolo spazio alla teoria
astronomica, svolge l'influenza di Venere in forma mitologie*,
con la descrizione d'un ideale trionfo della dea per i viali
d'un meraviglioso giardino, e la persouificazione simbolica di
tutte le passioni, le arti, e, diciam pure, le lascivie dell'amore
sensuale. Giacché, si badi, il trionfo di Venere, tema abusato
da poeti e da pittori, ha qui il valore d'un semplice si mi min,
attraverso ai ricami del quale agevolmente si scorge il tessuto
astrologico. E la corrispondenza fra questo e quelli, cioè fra
il concetto dottrinale e V immagine poetica, non è soltanto
generica, ma precisa sin nei minuti particolari: come là dove,
occorrendo rappresentare plasticamente gli effetti dell'ttmicfo,
» Cfr. quanto s'è detto a p. I
* Urania, I, v. 176-76.
I POEMETTI DEL FONTANO 265
elfo iu Veuere, sopra l'azione generativa, s'immagina la scena
del lago e del nuoto:
Hiuc passim liquidi ambrosiao rorantur honores,
Stillat Acidalius late liquor. At vaga nantum
Ludit aquis, mistim pueri nudaeque puellae,
Grata cohors Veneri, chorus et genialis Amorurn.
Tuoi videas arane in medio rutilare favillas,
Materna face quas Jocus hinc, ast inde Cupido
Excussit: caluere undae, caluere natantes
Aillatu. Media vehitur Lascivia cymba,
Hortaturque monetque habiles agitare lacertos.
Hinc aliquis puer, enando dum brachia iactat,
Iniecitque manum sociae furtimque papillis
Inseruit ; tener ora rubor per grata cucurrit.
Hinc aliqua, adnanti puero dum brachia miscet,
Miscuit et foemori foemur, et simul oscula iunxit.
Interdum se tota cohors in llumine mersat;
Non obstat pudor audaci, aut lux ipsa pudenti ;
Luditur, et placidis imraurmurat unda susurris....1
11 Sole, che, secondo l'ordine tolemaico, occupa la sfera
successiva a quella di Venere, ferma a lungo l'attenzione del
poeta, assai più a lungo degli altri pianeti. Né il privilegio
è casuale, ma, per ragioni astrologiche, del tutto giustificato,
quando si pensi che al maggior luminare del cielo si attri-
buiva un influsso specialissimo sui temperamenti degli umori
1 Urania, I, v. 190-206. La storia di questo brano — il cui significato
sfuggi al Tallakigo, op. cit., II, 585, che pur lo trascrive e lo giudica dei mi-
gliori — inerita un breve cenno. L' esistenza dell' umido in Venere è cosi
affermata nel De rebvs coelestibus, Ho. IV, p. 165a dell' ed. aldina : « Ab
hac autem ipsa Veueris stella propter insitam vini tempera tamq uè hume-
ctationem (cum materiae sit formam appetere, siquidem Immillimi in ge-
neratione materiae locum ac vim optinet) manant cupiditates atque oblec-
tamenta ». Ora a questo particolare carattere il Pontano pare che nella
prima redazione del poema non avesse trovato la corrispondenza poetica :
infatti i vv. 190-210 son posteriori al 1490. Ma quando assai più tardi, per
altri suoi studi, gli venne sott' occhio la descrizione fatta da Svktonio, De
vita Caesarum, ed. C. L. Roth, Lipsiae, 1886, UH, p. 104, delle lascivie che
Tiberio aveva immaginate, con fantastica oscenità, nei boschetti e nelle
vasche della sua villa di Capri, allora si ricordò della lacuna e, trasfor-
mando la ributtante orgia romana iu elegante scena mitologica, scrisse e
aggiunse il brano citato. Cfr. De Immanitate, p. 822 b dell'ed. aldiua, scritto
nel 1501, come risulta dall'autografo cod. Vat. lat. 2840, e. 25 a.
266 CAPITOLO QUINTO
e sulla circolazione del sangue. Nel Sole si scorgeva la fonte
più copiosa di quella fatalità, intorno alla quale, se il lettore
non ha dimenticato, il Fontano ebbe a discorrere con tanto
calore nella introduzione al primo libro delle Cose celesti.1 Né
per codesta sola ragione cosi gran parte viene assegnata al
quarto pianeta, ma ancora per la quantità delle notizie scien-
tifiche e mitologiche che ad esso si riferiscono. Tratta infatti
l'autore, in quella forma perspicua che ben si addice a chi si
propone di ammaestrare, in primo luogo del calendario ; tocca
poi, virgilianamente, dei pronostici, con qualche reminiscenza
anche dell' Aratea di Germanico;2 s'indugia in ultimo — non
sine physica ratione, come avrà ad osservare, a proposito d'un
altro luogo dell' Urania, Gerolamo Borgia3 — su i suoi pre-
diletti miti allegorici. I quali questa volta, se hanno altri pregi,
non hanno però quello della novità. Non era infatti ignota,
neanche ai tempi del Pontano, la leggenda solare di Apollo,
con tutti gli episodi che ad essa si riferiscono, e la relativa
interpretazione meteorologica. Già gli antichi eran coscienti
del senso naturalistico di tali storie, e raccontavano, come qui
fa il Pontano, della madre del dio, Latona, cioè la Terra, la
quale avrebbe generato i suoi due figli nell'isola di Delo, ove
da principio i due luminari del cielo si sarebber manifestati
agli uomini. Poi, sempre secondo gli antichi e il Pontano,
Apollo, fonte di luce, avrebbe vinto il serpente Pitone, sim-
bolo delle nebbie e delle tenebre; con altre gesta nrebbed
meritati i poetici nomi di Licio, di Pastore, di Giano, di Febo,
di Adone, ed avrebbe perciò ricevuto il culto religioso di quasi
tutti i popoli primitivi.4 Ma se l'invenzione di codesti miti e
1 V. a p. 240 di questo lavoro.
2 Per chi voglia prendersi la briga di far confronti, additerò le Geor-
giche, I, v. 438-468, da porsi a riscontro ad Urania, I, v. 322-354 ; quanto
poi a Germanico — dal Pontano ricordato anche in Actius, ed. aldina,
voi. II, p. 109a — avvertirò che, mutate le parole, è qui riportata sostan-
zialmente la famosa sua descrizione del naufragio dorante il mese del Ca-
pricorno (Urania, I, v. 354 864).
3 Fontani Carmina, I, p. xxxtn.
* Quali fossero le conoscenze degli antichi intorno ai miti solari r. in
Pbkllek Robert, Griechische Mytìwlogie, I, p. 230 sgg. Ma quale autore pre-
cisamente il Pontano ebbe sott' occhio, quando scriveva i tv. :ì79 519 di! 1
I POEMETTI DEL PONTANO 267
le loro allegorie non son pontaaiane, ben di Gioviano è la
perizia della rappresentazione estetica! Basterebbe a questo
proposito mettere a fronte i versi dell' Urania e i capitoli dei
Saturnali di Macrobio, loro fonte; basterebbe, per esempio,
legger prima il paragrafo nel quale il retore romano si Bforza
di spiegare come la morte di Adone ed il lutto di Venere sian
l'immagine dell'impallidir del Sole nel tardo autunno e della
tristezza invernale delle nostre campagne;1 e poi vedere con
qual potenza descrittiva Gioviano abbia saputo rappresentarci
le stesse cose. Il freddo racconto sotto la penna del poeta si
dell' Urania? Io credo Macrobio, il quale nei Saturnalia, lib. I, cap. XVII-
XXIV, fa una enumerazione lunga, più lunga che la pontaniana, ma sempre
con essa in pieno accordo, delle favole apollinee e delle loro allegorie fisi-
che. Anche il Boccaccio, Genealogie, lib. IV, cap. Ili e XX, che vedemmo
aver ispirato al Bonincontri l'episodio di Endimione, potrebbe essere addi-
tato qui come fonte, non però come fonte unica. In esso mancano infatti i
due miti di Argo e Mercurio e di Ebone (sotto questo nome il Sole era ado-
rato nella Campania, come ci fa sapere anche Pietro Summonte in una nota
in fine ai Carmina del Pontano, ed. Napoletana del 1505), che si trovano
invece in Macrobio, al luogo indicato ; di più, in quest' ultimo, lib. I,
cap. XII-XVI, si legge una copiosa notizia sul calendario romano, che cor-
risponde in parte a ciò che vediamo in Urania, I, v. 259-321. Del resto
nulla di strano che di Macrobio, allora notissimo, si facesse uso diretto,
magari per suggerimento della stessa opera boccaccesca, dov'è cosi spesso
citato.
1 Macrobii Saturn. lib. I, cap. XXI, Lugduni, 1638, p. 276 (riportato quasi
testualmente dal Boccaccio, Geneal., lib. II, cap. XXIII) : < Nam physici
Terrae superius hemisphaerium, cuius partem incolimus, Veneris appella-
tione coluerunt, inferius vero hemisphaerium Terrae Proserpinam vocaverunt.
Ergo apud Assyrios, sive Phoenices, lugens inducitur dea, quod Sol annuo
gressu per duodecim signorum ordinem pergens, partem quoque hemisphaerii
inferioris ingreditur ; quia de duodecim signis Zodiaci sex superiora sex in-
feriora censentur. Et cum est in inferioribus, et ideo dies breviores facit,
lugere creditur dea, tauqnam Sole raptu mortis temporalis ani isso, et a
Proserpina retento, quam numen Terrae inferioris circuii et antipodum di-
ximus. Rursumque Adonin redditum Veneri credi voluut, cum Sol, evectis
sex signis annuis inferioris ordinis, incipit nostri circuii lustrare hemisphae-
rium, cum incremento luminis et dierum. Ab apro autem tradunt interemp-
t uni Adonin, hyemis imaginem in hoc animali fingentes, quod aper ispidus
et asper gaudet locis humidis et lutosis pruinaque contectis, proprieque
hyemali fructu pascitur, glande.... Sed cum Sol emerserit ab inferioribus
partibus Terrae, vernalisque aequinoctii transgreditur fines, augendo diem,
tunc est Venus laeta, et pulchra virent arva segetibus, prata herbis, arbores
foliis ».
268 CAPITOLO QUINTO
anima. Adone è morto, e Venere e i numi del bosco tendono
verso il luogo della sua tomba le braccia, che s' allungano
come steli di fiori verso la fuggente luce solare:
Ter myrtus conata sequi miserabile funus,
Ter radice retenta sua est, ter brachia flexit,
Ter frustra lentos conata est flectere ramos ; l
il Sole, con raggio obliquo, appena illumina i campi deserti.
sui quali, come il cinghiale uccisore, imperversa l' inverno,
Diglomeratque nives et grandine verberat auras. 8
Ma già è passato il tempo del lutto, già Venere ritrova il suo
amante, già la Terra si sveglia al soffio della primavera,
Ac voluti virgo, absenti cum sola marito
Suspirat sterilem lecto traducere vitam
Illius expectans complexus anxia caros,
Ergo, ubi Sol imo victor convertit ab Austro,
Tarn gravidos aperitque sinus et caeca relaxat
Spiramenta, novas veniat qua succus in haerbas,
Et tandem complexa suum laetatur Adonim.3
L'influsso del Sole, dice il poeta prima di parlare d'altra
sfera, si confonde con la fecondazione di quanto vive quaggiù,
ed ò perciò troppo universale per essere determinato. Non coti
avviene di quello di Marte, il pianeta delle febbri, del furore,
e perciò della milizia. Il quale nella religione dei Greci e <l<i
Romani ebbe culto sotto forma divina; culto spiegato dal l'on-
tano con una delle solite sue allegorie. Marte infatti per gli
antichi era nato dalla sola Giunone : ora Giunone rappre-
senta uno degli elementi sublunari, l'aria, onde il figliuol suo
è costituito di materia imperfetta, ed è immagine del corpo ;
a differenza di Minerva, la mente, eh' è figlia del solo Giove,
cioè del cielo.4 Bene adunque il rosso iddio ha un poetico
1 Urania, I, v. 485-487.
! Urania, I, v. 496.
3 Urania, I, v. 500-r>06.
4 Più evidente che altrove si noti qui la differenza tra il Puntano e il
Bonincontri ; dei quali l'uno, cioè il primo, nella interpretazione ilei miti
segue sempre la teoria naturalistica, mentre l'altro si attiene ■ ■.Mila eve-
meristica. Per il Miniatesi' infatti, se il lettore se ne ricorda, il culto di
I POEMETTI DEL PONTANO 269
corteo di simboli della violenza, e può vantarsi d'aver gui-
dato colla sua azione informatrice Ercole, l' eroe della forza
brutale.
La ragione e l'amore costituiscono per contro l'influsso
peculiare a Giove, il pianeta d'oro, dalla luce tranquilla:
Hinc ego, si qua fides astris, aut si quid ab alto
Aethera cognatum nostris in mentibus haeret,
Crediderim fas ac leges et iura piurnque
Et rectum manare et amicae foedera pacis. '
Vero e però che Giove nell'antichità aveva pure un signifi-
cato più largo, cioè raffigurava il cielo in generale, or sereno
e soccorrevole ai lavori degli uomini, ed ora ingombro di tur-
bini e di folgori sterminatori. Onde se da una parte s'ebbe
la bella preghiera di Arato, cosi piena di gratitudine, qui dal
Pontano abilmente ripetuta:
Ab Jove principium generis, Jovis omnia piena;
Ille colit terras, illi sunt omnia curae ; 2
dall'altra ispirò, col terrore delle sue minacce, nelle plebi su-
perstiziose i voti e i sacrifizi e gli scongiuri, quasi che davvero
l'insensibile pianeta o la volta del firmamento si potesser pla-
care. Cosi nacque, dice il poeta, il culto di Giove folgoratore,
e sorsero i templi e si costituirono speciali collegi sacerdotali :
vane illusioni ! Non gli strumenti infatti della Provvidenza, ma
questa stessa dobbiamo invocare, questa che si vale delle se-
conde cause qualche volta per punire l'iniquità, più spesso
per agevolare le fatiche umane, né costruì il mondo per odio,
si per quell'amore delle creature, che è uno dei suoi princi-
pali attributi:
Quid vexare deos frustra iuvat? Ordine certo
Fert Natura vices, labuntur et ordine certo
Sidera, tam varios rerum parientia casus.
Illa suos peragunt cursus servantque tenorem
Marte, dio italico per eccellenza, era l' apoteosi il" un antichissimo eroe, in-
ventore delle anni e dell'arte della guerra.
> Urania, I, v. 618-621.
* Urania, I, v. 6:tt-634.
270 CAPITOLO QUINTO
Sorte datum ; parent illis elementa, fidemque
Impera mutare timent. Sic omnis ab alto
Natura est; sequitur leges quas scripserit aether.
Ipse Deus laeto spectat mortalia vultu. '
•
Come di Giove poco in realtà si discorre, prendendo il
maggior spazio la digressione intorno alla vera religione, cosi
di Saturno, la fredda stella, il dio che gli evemeristi riten-
nero un antichissimo principe latino, non si fa che un rapido
cenno, seguito da analoghe considerazioni morali. Ed a Sa-
turno tengon dietro, per debito scientifico, alcune questioni
sulle macchie lunari, sulla luce e la costituzione fisica dei corpi
erranti, sulle quali il Pontano scorre via affrettato, quasi gli
rincresca l'indugio. A lui preme infatti, or che il lettore co-
nosce la natura di ciascun pianeta e conserva ancor viva
nella mente l'impressione di quelle avvertenze intorno alla
onnipotenza e bontà divina, messe li in ultimo quasi a prepa-
rafe il tono del discorso che deve seguire; al Pontano preme,
ripeto, venir presto alla grande scena della creazione, dove
la sua cosmogonia avrà pieno sviluppo.
La scena della creazione, nota anche sotto il titolo. di Con-
cilio degli dei, è il brano più importante dell' Urania, perché
contiene il fondamento scientifico dell'universo, secondo il pen-
siero del poeta. E che in essa ci fosse qualcosa di insolita-
mente notevole tutti i critici del Pontano hanno sempre intuito,
se non altro dalla intonazione del discorso, dalla maestà del
verso, divenuto a un tratto più composto e solenne e qoaal
epico. Ma pochi seppero penetrare addentro al vero significato
del simbolo, e molti, giudicando dall' apparenza esteriore, si
diffusero in considerazioni vane ed erronee intorno al paga-
nesimo di Gioviano, che qui avrebbe, con inaudito anacroni-
smo, messi in un fascio gli dèi della mitologia classica e il
1 Urania, I, v. 697-704. Forse non è inutile avvertire che nel primo di
questi versi quel deos significa i pianeti, e che Dell'ultimo bob si Menu
pia ad una letizia egoistica, quasi epicurea, di Dio, ma si vuol lignificali
la gioia, la compiacenza della divina carità per la creazione. Un coni
simile il Pontano manifesta anche in Charon, scena prima, ed. aldina, II,
p. 49 a. Cfr. pure V. Rossi, Il Quattrocento, p. 348 e 365.
I POEMETTI DEL FONTANO 271
Dio dei cristiani ! ! In realtà, non mai cosi bene, come in que-
st' episodio, dalla dottrina astrologica scaturisce il fantasma
poetico, il quale solo a noi, che abbiamo perduta la cono-
scenza degli elementi della divinazione, può riuscire incom-
prensibile; mentre agli uomini- del Rinascimento, per i quali
fu scritto, doveva sembrar molto chiaro. Dovrebbe anzi sem-
brare evidente anche a noi, a dire il vero, se coi miti plato-
nici avessimo maggior dimestichezza; giacché proprio in Pla-
tone, come ora dirò, s' ha da cercare la prima origine di questa
allegoria. Ecco l'episodio. Compiuta la creazione dei corpi
immortali, Iddio vuol creare i corpi inferiori e mortali. A
questo scopo, nella sede più remota dal basso mondo, cioè
ncir Empireo, aduna gli esseri più nobili, che saranno suoi
collaboratori. Egli siede in mezzo; alla destra la Sapienza (il
Piglio), alla sinistra l'Amore (lo Spirito Santo); gli fanno co-
rona le allegorie della Natura, del Tempo, dello Spazio, della
Fortuna e dell'Ordine. Ed ecco vengono a lui, cominciando
da quella di maggior periferia, le intelligenze motrici delle
sette sfere, naturalmente rappresentate con la figura dei sette
dèi planetari che noi conosciamo. E poiché tali intelligenze
furon dotate, fin dalla creazione, di potenza informativa astro-
logica più o meno efficace secondo la posizione che il loro pia-
neta prende rispetto al cielo delle stelle fisse, e specialmente
rispetto allo Zodiaco, cosi ciascuna di esse si presenta con
qualche distintivo, che ci richiami al segno zodiacale ov' ha
la sua casa. Onde vediamo sfilare dinanzi al trono supremo
Saturno, con la pelle del Capro sulle spalle e l' Anfora in
mano; Giove con le saette di Chirone e la corazza, ove in
bel fregio spiccano i Pesci ; Marte con lo Scorpione, a guisa
di cresta, sull' elmo, e l' Ariete nello scudo ; Febo in atto di
cantare, coperto dal vello del Leone; Venere, ancor pudica
perché non ancora il mondo è fecondato, avvolta in un candido
1 Troppo vago è l'accenno al simbolo in C. M. Tallarioo, Gio. Fontano,
li, p. 587 ; e non mi pare nel giusto B. Zumbini, L'astrologia e la mitologia
nel Fontano e nel Folengo, nella Rassegna critica d. lett. it., Napoli, a. II,
p. 6. La buona strada fu additata la prima volta da K. Uothkin, op. cit. ,
p. 448.
272 CAPITOLO QUINTO
peplo a ricami, dove si scorgono il Toro e le Bilance ; Mer-
curio cosi bello, che lo si direbbe nna Vergine, e cosi vispo
da esser scambiato per uno dei Gemelli di Leda; finalmente
Diana, la pallida dea, adorna d'una bella collana di rossi
Granchietti. Nulla più che personificazioni adunque, questi
numi, nel cui consesso allegorico, come nel noto dialogo di
Platone, Iddio prende a parlare.
Infatti nel Timeo — che il Pontano di certo tenne sot-
t' occhio, leggendone forse la traduzione di Calcidio1 — il De-
miurgo, dopo che ebbe creato il mondo celeste ad imitazione
dell' eterna idea, raduna un concilio di demoni, che non è
meno simbolico di quello descritto nell' Urania. Basti a per*
suadercene il tono scherzoso, per non dire irriverente, col quale
il filosofo discorre di codesti dèi figli di tiri, a eui non rico-
nosce altro valore se non quello di rappresentazioni poetiche
e religiose delle anime delle sfere.2 — Iddio dunque parla nel
1 Che il Pontano abbia conosciuto il Timeo, è messo fuor di dubbio da
un passo della introduzione al 3° libro del De fortuna, che proprio si rife-
risce al nostro caso (ed. aldina, I, p. 299b): « Post haec ornala reali in
mcntem Platonis inducentis concionantein Deuin in creandis relais apud opti*
matto suos, stella» scilicet, quibus singulis pares delegisset animus, pariaqat
tribuisset curricula, statuentemque ex praefinito illis, rebus uti prospicereat
inferìoribus, ac dantem iis leges, iuraque inevitabili»». Che poi lo cono-
scesse fin dal tempo della composizione dell1 Urania, mi pare lo provino
i raffronti che io faccio. Quanto al testo, di cui egli si è servito, è da esclu-
dere la versione fìciuiana, troppo tarda; forse è da escludere anche l'ori-
ginale greco; più probabile, data la grande diffusione che allora aveva, la
traduzione di Calcidio; e forse, in ultimo, da non dimenticarsi il parziale
rifacimento di Cicerone, o le citazioni speciali che dei passi per noi impor-
tanti (81C-82D, 41A-R) eran disseminate nelle opere dei Padri e déffll
astrologi.
• Intorno alla realtà degli dèi, secondo l'opinione dei sacerdoti, sin
note queste frasi pungenti di Platone (Timeo, 40P-41A, nella trad. di Cal-
cidio, in Frng menta philos. graecorum., Paris, Didot, II, p. 1C9): e At rara
invisihilium divinarutnque potestatum, quae daemones nuucupantur, prae-
stare rationem, majus est opus, quam ferre valeat liominis inganiam. Imitar
compendimi! ex creduli tate Miniatili-. Credamus igitur iis, qui apnd seculum
prius, cum ipsi cognationem propinqnitatemque divini generis praeferreat,
de natura Deorum maiorum, atque avorum, deque gcnituris singtilorum,
aeterna monimcnta in libris posteritati reliqnerunt. t'erte deorum tlliis. aut
nepotibus, non credi, satis irreli^iosum; ([uamvis incongrui», DOC necessariis,
probationibus dicant: tamen, quia de domesticis rebus pronuntiant. eredea-
dnm esse merito puto ».
I POEMETTI DEL PONTANO 273
consesso dei numi e tocca nel suo discorso tre concetti essen-
ziali. Il primo, che già vedemmo nella digressione a proposito
di Giove, consiste nella compiacenza ch'egli ha d'aver get-
tate le basi della creazione:
« Cuncta equidem, o superi, placuit quaecumque creavi,
Sic volui, nec nos unquam fecisse pigebit. l
Il secondo riassume la legge, che nel Timeo è detta dell'ana-
logia, per la quale la terra o elemento solido, che rende il
mondo tangibile, e il fuoco o elemento mobile che fa le cose
visibili, stanno fra loro uniti dall' aria e dall' acqua, che sono
i termini medi della proporzione universale:
« Ignem
Et terras ieci primordia; quae tamen inter
Aèris immensos campos Neptunniaque arva,
Quod sibi perpetui constaret machina mundi,
Congessi, mundumque aequa compage ligavi
Nexibus alternis et amico singula vinclo. *
Il terzo finalmente riguarda l'ufficio, che Dio assegna agli
dèi, di cooperare alla grande opera della creazione, plasmando
la materia terrestre analogamente a ciò che Dio stesso avea
fatto per la celeste, ciascuno secondo la propria attitudine in-
formativa :
« Quare agite, et celeres quam primum ascondite currus
Aggressi mortale opus et genus omue animantum;
Aèrias celebrate plagas, serite aequoris undas
Tellurisque sinus gravidos, ut ne qua peracto
Pars operi aut rebus desit Pater ipse creandis.3
1 Urania, I, v. 925-926. Cfr. Timeo, 29 E.
* Urania, I, v. 929-934. Cfr. Timeo, 32 B 0 (nella versione di Calcidio,
ed. cit., p. 160-161): « Idcirco mundi opifex inter ignem et terram ai-ra et
aqnam inseruit, libratis iisdem elementis salubri modo : ut quae cognatio
est inter ignem et aera, eadem foret inter aera et aquam : rursum quae
inter aera et aquam, haec eadem in aquae terraeque societate consisterei.
Atqne ita ex quatuor supradictis materiis praeclaram istain machinam vi
sibilem contiguamque fabricatus est, amica partium aequilibritatis ratione
sociatam, quo immortalis indissolubilisque esset adversum omnein casum,
excepta sui fabricatoris voluntate ».
s Urania, I, v. 946-950. Cfr. Timeo, 41 AI).
Soldati 18
274 CAPITOLO QUINTO
Finita la concione, l'eterno Padre col ano cenno fa tremar
l'universo, e il concilio si scioglie, perché gli dèi sui loro
cocchi celesti si precipitano all' opera. Ed ecco sulla faccia
del nostro globo spuntare dapprima le piante, formando selve,
cespugli, praterie; quindi nascere selvaggi gli animali; final-
mente comparir l'uomo, ferino nelle membra, ma recando in
fronte, fin da quella remota alba della sua storia, il raggio
del pensiero e la speranza:
Ultimus erupit gravida tellure creatns
Spe puer ingenti, sed corpore debilis ipso,
Nudus, inops, quem darà solo suscepit Egestas,
Eductum foliis haerbarum et cortice crudo,
Aut corno, aut sì quam dederat Dodonia glandem.
Mox umbras neraorura captare, aut sicubi montis
Exesi specus, hic aestus et frigora primum
Vitare, et subita se a tempestate tueri
Monstravit, tectum stipulis cannaque palustri ;
Semina quin etiam siccis haerentia culmi s
Haerbarum passim lecta, et servata per annum
Condere poma, nucesque hiemi signare repostas,
Formica monstrante, cavis dum condit in antris ;
Ipsa dies, multusque labor docuere colendo
Naturam in melius formare, et pervigil usus. '
La citazione di questo brano, cui seguono come appendice
pochi versi sull'invenzione del fuoco o primo passo nell' inci-
vilimento dell'uomo, serva come saggio di tutto il bell'epi-
sodio della creazione. Intorno al quale è necessaria un'ultima
avvertenza. Citando il Timeo ho voluto additare una fonte del
Concilio degli dèi puramente poetica, affinché, oltre all'appa-
gamento della nostra curiosità erudita, ciascuno dal confronto
1 Urania, I, v. 1126-1U0. Il tema poetico della creazione fu, eoaat
ognun sa, comunissimo nelle letterature classiche e in quelle medioevali.
Più d'un modello dunque da cui togliere utili elementi e particolari, ebbe
il Pontano. Tuttavia l'autore, al quale pare s' accosti di più in questi \
è Lucrezio (De rerum natura, V, v. 769 sgg.). Notisi però che l'imitazione,
non servile, è soltanto formale, essendoci fra i due poeti quanto al peu
sostanziale differenza. Certo poi il Pontano conobbe il 1° libro ld peni.»
del Bonineontri ; ma più che imitarlo, lo superò di gran lunga.
I POEMETTI DEL FONTANO 275
si persuadesse meglio che qui ed altrove l' Urania dev'essere
interpretata allegoricamente. Non mi son però sognato di so-
stenere che la cosmogonia del Pontano sia in tutto platonica.
Per esser tale dovrebbe contenere il principio, che nel citato
dialogo spicca fra gli altri, della creazione e migrazione
delle anime di corpo in corpo e di grado in grado nella scala
degli esseri, una specie di metempsicosi, al Nostro assoluta-
mente ignota per più ragioni, prima fra tutte, perché con-
traria al cristianesimo. Dal quale Gioviano, come noi bene
apprendemmo dall'esame precedente delle opere sue, non si
allontana se non per isvolgere nella loro interezza i principi
dell' astrologia. l
1 Non voglio lasciare il discorso intorno a queste allegorie pontaniane
senza far cenno d' un' opera, che ad esse s' ispirò, ma clie non lia tale valore
artistico o filosofico da richiedere più che una nota (v. G. L. Gyraldus, De
poi'tis nostrorum temporum, ed. Wotke, Berlin, 1894, p. 17, ove di essa ci son
lodi del tutto esagerate). Dico degli Inni naturali di Michele Marnilo, il si-
gnificato dei quali, assai interessante, è stato finora piuttosto accennato che
messo nella debita evidenza (V. Rossi, II Quattrocento, p. 275 e 351). Vedia-
mone la materia. Si comincia da Dio padre creatore delle cose (Inno 1°,
v. 45-47), a cui seguono Pallade, allegoria del Figlio (2°, v.43-46 e 60),
ed Amore, allegoria dello Spirito Santo (3°): si ha cosi, da principio, la
Divina Trinità. Intorno alla quale stanno i nove Cori angelici (4°), e
le personificazioni dei principali attributi di Dio, cioè l'Eternità (5°) e
la Provvidenza, che qui è rappresentata — chi lo crederebbe?. — da
Bacco, con la Giustizia o Temide (6°, v. 50-65 e 60). Vengono poi le
creature nel loro complesso, o Pane (7°); quindi specificate nei diversi
loro gradi, in quest'ordine: l'Empireo (8°), il cielo delle Stelle fisse
(9°), Saturno (10°), Giove (11°), Marte (12°), Venere (13°), Mercurio
(14°), Sole (15°) e Luna (16°). Come si vede, i due luminari son tenuti vi-
cini. Di più, a proposito di ciascuna sfera si mette bene in mostra l' influsso
astrologico (v. specialmente 9", v. 41-48, 11°, v. 33-36, 15°, v. 219-236), onde
par molto curiosa la voce, raccolta dal Giraldi con riserva (op. loc. cit.), che
in queste cose abbia messo lo zampino Giovanni Pico. Se ciò avvenne, certo
fu in un tempo che il Mirandolano non meditava ancora le Disputationes.
Procediamo. Dopo il mondo superiore, si inneggia alle allegorie degli ele-
menti, prima in generale al Firmamento (17°), e poi patitamente a Giove
folgoratore o Fuoco (18°), a Giunone o Aria (19°), all'Oceano o Acqua
(20°) e finalmente alla Terra (21°). Di questi Inni, v. 1' ed. fiorentina del
1497, assai migliore di quella più recente di C. N. Sathas, in Documento iné-
dits relatifs à V histoire de la Grece au muyen dge, Paris, 1888, voi. VII,
p. 178 sgg.
276 CAPITOLO QUINTO
Ili.
La seconda parte dell' Urania comprende il libro secondo
ed il principio del terzo, fino al v. 507, e contiene la tratta-
zione di tutto lo Zodiaco, sia in generale, cioè scientificamente
in quanto è uno dei circoli della sfera celeste, sia in partico-
lare, cioè esaminando astrologicamentc una per una le costel-
lazioni che lo compongono. Tale la materia. Ma l'importanza
maggiore è, al solito, nel modo onde questa è svolta, cioè Della
poesia.
Abbiamo visto, in fine al libro primo, come la creazione
degli esseri destinati a rivestire e popolare la Terra t
l'effetto dell'influsso planetario, indirizzato dal volere di I>i<>.
Essa però s'era arrestata alla nascita dell'uomo ferino, giac-
ché ai pianeti, oltre quell'ufficio di primi informatori della
sostanza corporea, non era stato ordinato altro compito supc-
riore o più duraturo. Il limite estremo a cui essi erano giunti
era questo, d'avere infuso, insieme con l'anima discesa diret-
tamente da Dio, in quella belva umana 1' attitudine al perfe-
zionamento di se stessa, si che ben presto queir essere avea
imparato a difendersi dalle intemperie e dalla fame e s'era
impadronito del primo grande mezzo di civiltà, cioè del fuoco.
Ma l'uomo, che dipende dagli astri, doveva da essi ricevere
ben altri benefici e ben altri aiuti nella sua corsa verso i tempi
migliori: ai pianeti dovean sottentrare i segni dello Zodiaco,
ciascuno con la propria influenza, ciascuno col suo particola!
modo di spingere d'un passo avanti l'umanità sulla via del
progresso. Alla creazione, o epoca planetaria, segue per-
tanto nella storia del mondo l'incivilimento, o epoca zodia-
cale, distribuita in dodici periodi corrispondenti al numero
dei segni stessi. E come il corso del Sole attraverso a questi
chiamasi anno, cosi quella età viene considerata come un nm-
gnus annus, nel quale i mesi son secoli, i giorni generazioni.
Questa età, che non è certo una concezione esclusiva del Pon-
tano, ma con infinite modificazioni non essenziali fu unta ni
I POEMETTI DEL FONTANO 277
filosofi e ai poeti greci e romani, ed ebbe in ogni tempo grande
roga presso gli astrologi,1 passerà ancor essa, più o nien ra-
pidamente, sui diversi popoli della Terra. Verrà allora, quando
l'uomo sarà cosi civile e colto da non abbisognare più di ri-
volgimenti collettivi e di scoperte fondamentali, l'età perfetta
in cui tutto il cielo, e quindi anche le costellazioni extra-
zodiacali, eserciteranno il loro influsso non più sui popoli e
sui grandi fatti, bensì sugl'individui e sul commercio sociale.
Con questa concezione essenzialmente umana e poetica il
Pontano ci espone adunque lo Zodiaco, riassumendo dapprima
quanto si sapeva allora sul movimento e sulla inclinazione di
questo circolo, onde si generano le stagioni, ed altre simili
notizie generali. Né si dimentica anche qui di immaginare
una favola allegorica, cioè il mito del cinto donato da Giove
ad Urania, onde costei potesse incatenare e reggere a suo ta-
lento la Fortuna ed i Pati, prima liberi e pazzi sconvolgitori
del mondo. Poi, come ho detto, egli intraprende l' elenco dei
dodici segni, con notevole ampiezza di trattazione, svolgendo
a proposito di ciascuno di essi, in vario ordine, quattro punti
fondamentali. Il primo, il più semplice, è la descrizione side-
rale del segno stesso, tratteggiata molto abilmente, cioè senza
cadere nella povertà schematica e noiosa da noi criticata nel
Basini e, prima di lui, nella tradizione aratea. Un altro è l'in-
flusso astrologico in senso assoluto, vale a dire indipendente-
mente dalla concezione storica sopra ricordata, distribuito a
sua volta secondo le due posizioni cardinali del segno nel
firmamento, quando sorge sull'orizzonte orientale (oroscopo) e
quando discende dalla parte opposta (occaso), e secondo le in-
termedie, quando culmina sul nostro emisfero (summum me-
dium caelum) e quando sull' emisfero a noi contrario (imum
medium caelum). Le differenti posizioni determinano infatti
variazioni d' influenza, specialmente le due prime, secondo la
legge seguente:
Vita tibi motusque animi quaerendus ab or tu,
Unde etiam toto lux ipsa eifunditor orbe;
1 A. Bouché-Leclbbc<j, Astrologie grecque, p. 498.
278 CAPITOLO QUINTO
Surgit ab occasu mors importuna maligno,
Qua tenebrae, qua nox nigrantibus advolat alis.1
Il terzo punto è il particolare influsso astrologico di ciascun
segno relativamente alla concezione generale del magnus annus
zodiacale. Finalmente il quarto, che a quest'ultimo è stretta-
mente legato, consiste nella favola mitologica o allegoria, a
volte tradizionale, più spesso, come vedremo, inventata di sana
pianta dalla vivace fantasia del poeta.
L'elenco comincia col segno dell'Ariete, il primo nell'or
dine comune seguito anche da Manilio, che Gioviano però non
rifa, come potrebbe parere, se non in piccolissima parte.2 Tra-
dizionale ò di questa costellazione la figura, tradizionale la ta-
vola, cioè il mito del Vello d'oro, trasportato in cielo da Marte,
il pianeta che ha qui la sua casa; tradizionale pure l'influsso
assoluto. Secondo il quale i nascenti — tra cui il poeta in un
bell'episodio ricorda anche se stesso 3 — ora salgono a grande
potenza e soprattutto accumulano grandi ricchezze, come il
montone che nell'inverno si veste di abbondantissima lana ; ed
ora perdono ogni cosa, come la povera bestiuola che lascia il
suo tesoro sotto le forbici avare del padrone. Ma più interes-
sante è la descrizione dell'influsso storico, o epoca dell'Ariete,
quando gli uomini, fatti men rozzi dalla pastorizia, erravano
per i monti coi loro greggi, guardando con terrore V imbru-
nire e risalutando con inni di gioia il rinascer del Sole:
Qua se oceano nox acta ferebat,
Carpebant fessi somnos et membra locabant,
Aut antro tecti, aut nemorum frondentibus umbri a
At postquam Sol nigrantis di scasserà t umbras,
Mirati lucem borriferam et vaga lumina Phoebi,
Illum oculis, illum ore obeunt. Laetum inde canebant
Paeana, auricomumque deum clamore ferebant. 4
1 Urania, III, v. 568-661. Cfr. De rebus coel, ed. aldina delle Opere,
III, p. 129b.
* Manili Astron., IV, v. 122 sgg.
1 II passo, se il lettore se ne rammenti, fu già citato a pag. 233.
• Urania, li, v
1 POEMETTI DEL PONTANO 279
Fu questa, dice il poeta, l'età pili felice, durante la quale
l' umanità per l'innocente licenza,
— Per saltus et opaca loca umbrososque recessus
Ludebant mistae pueris impane puellae ;
Ocia mulcebant venerem atqae ignavia deses1 —
si moltiplicò, creandosi inconsapevolmente col crescer del nu-
mero nuovi bisogni, e perciò i primi dolori. Onde bisognò ben
presto lasciare le sedi montuose dove il vitto cominciava a
scarseggiare, e scendere al piano dove l'influsso della seconda
costellazione zodiacale, cioè del Toro, avrebbe insegnato i ru-
dimenti dell'agricoltura. Sennonché auche laggiù la fatica si
andava facendo sempre più penosa, esercitata dalle sole braccia
umane, e già i poveri coltivatori sentivano i funesti effetti
della miseria, quando venne in loro soccorso una benefica dea,
l' Industria. 2 Era costei 1' allegorica figlia del Lavoro e della
Povertà, e viveva raminga di capanna in capanna, cercando
in tutti i modi un rimedio ai mali che scorgeva in ogni luogo.
E tanto s' ingegnò che un giorno raggiunse l' intento. Ella avea
veduto saltellare pei prati un bel giovenco dalla fronte stel-
lata, libero ed inoperoso, se gli era avvicinata e con lusinghe
avea tentato domarlo. N'era seguita una graziosissima scena
di seduzione:
Huic dea nunc viridis ramos et gramina lecta
Porrigit invitatque manu, nnnc tempora blandis
Pertrectat digitis atque ora rigentia mulcet,
Nunc frontem variis redimitam floribus ornat,
Ac picturatis intexens cornua sertis
Mollibus hirsutas verbis blanditur ad aures.
llle autem tenerae correptus amore puellae
Nunc decumbit humi vertitque ad munera frontem
Demissa cervice, alte et suspiria ducens
Mugit, et ipse suas solatur murmure curas ;
Nunc haeret pendetque oculis ludentis, et ipso
Lascivit gressu exsiliens gestitque per haerbas.
Insequitur simul et niveis per gramina plantis
i Urania, II, v. 264-266.
* Questa bella allegoria ritornerà nei versi del Pontano a proposito della
cultura dei giardini e del cedri, in De hortis Hesperidum II, v. 407-431.
280 CAPITOLO QUINTO
Iusultat virgo et gressum inox sistit: at ille
Insilit. et pedibas cervicem inuectere tenta t.
Nympba procum aspernata fugitque et lenta morata!
Et nudata genu risuque invitat amantem ;
llle autem, blando componens niurmura questu,
Affingit teneros motus et fronte coruscat. '
Ma già dai vezzi provocatori e dall'inganno è Tinto il torello,
la sua fronte è stretta in un laccio e la stalla buia lo attende,
donde uscirà solo per curvarsi sotto il giogo e trarre il plau-
stro o l'aratro:
Nympha trahit, sequiturque volens et laetus amator,
Ac nigrum sponte adrairans defertur in antrum. *
Questa la favola piena di plastica evidenza, che il Pontam»
immaginò per lumeggiare l'influsso storico della seconda co-
stellazione dello Zodiaco, scostandosi dalla tradizione che gli
avrebbe suggerito i miti di Europa, di Io o di Pasifae.3 Miti
cui egli accenna appena quando passa agli altri punti della
trattazione, cioè alla figura astrale del segno ed all' influsso
assoluto. Il quale non si allontana dagl'insegnamenti di Ma-
nilio e di Firmico, e si fonda essenzialmente, oltre che sulla
natura bovina e perciò rurale dell'asterismo, anche sull'azione
del pianeta Venere che nel Toro ha il proprio domicilio.*
Nella costellazione dei Gemelli ha invece la sua casa Mer-
curio, onde l' influsso di essa induce alla cultura, alla musica,
ai traffici ed all'astuzia. E la favola, che in sé racchiude an-
che l'influenza storica, ed è, come quella del Toro, intera-
mente nuova,5 è mercuriale. Immagina intatti il poeta che il
dio, veduti in Terra i mortali affaccendati nella costruzione
delle capanne, nella ripartizione dei campi, in mille tentativi
insomma di viver civile sotto la buona direzione dell'Industria,
siasi mosso dal cielo in loro soccorso. E per meglio istruirli
1 Urania, II, v. 30<;
1 Urania, II, v. 827-828.
3 A. Bouchk-Lecurc*}, op. cit., p. Itt,
* Cfr. Manili Astron., IV, v. 140-151.
5 La tradizione, che non è ignota al Fontano ( Urania, II, v. 424), i<l<n-
tiflca invece i (tornelli ora con Castore e Polluce ed ora con Rrcole e Apollo
(A. Boucbé-Leclbrcv, op. cit., p. 186).
I POEMETTI DEL FONTANO 281
nelle diverse arti, abbia sdoppiata la sua persoua e sia andato
intorno sotto la curiosa apparenza di due giovinetti, uno più
maturo e dotto, V altro inesperto,
Discat ut hic, doceat facundo pectore ut alter.1
L' ingegnosa trovata, conchiude il Pontano, ebbe fortuna, e gli
uomini ben presto appresero a far di conto e a scambiarsi i
prodotti, a perfezionare gli utensili agricoli e foggiarne de'
nuovi d' uso domestico e industriale, a servirsi ne' commerci
dei pesi e delle misure, nei convegni dell'eloquenza, nei rap-
porti lontani della scrittura. S'ebbe cioè la terza età zodiacale
nella storia del mondo.
La quarta età succede per contro con la costellazione del
Cancro, ed è l'età della navigazione, al cominciar della quale
fu inventata la prima piroga, cui seguirono poi le navi a remi
e i grossi vascelli a vela:
Hoc astro post Tyndaridas subeunte, per aequor
Mortales fecero viam, primique reperta
Vix ausi tentare cava vada fluminis alno.
Mox usus, post et praeceps audacia textis
In mare navigiis remo descendit adacto,
Paulatim et pelago se credidit, inde per altum
Ignotos portus peregrinaque regna petivit. 2
Qui Gioviano è d'accordo con Manilio, il quale ricollegava
l'influsso mercantile e marineresco del quarto segno con la
natura marittima dell' animale onde questo prende il nome. 3
Nuova invece è la favola, che non si riferisce al granchietto
che punse Ercole nella palude di Lerna,4 ma sorge da una
complessa combinazione di dati astronomici. Essa è la se-
guente. Proteo, gran seduttore di ninfe, ha messo in opera un
nuovo tranello: s'è cangiato in granchio e cosi è penetrato
nei cori delle Naiadi senza che queste sospettasser di lui, e
già ne ha posseduta più d'una. Ma un giorno, sulle rive del-
l' Eurota, tenta Diana discesa ai lavacri dopo la caccia. La
1 Urania, II, v. 441.
« Urania, II, v. 563-569.
3 Manili Astron., IV, v. 162-175.
4 À. Bouché-Leclekc<), op. CJt., p. 136.
282 CAPITOLO QUINTO
dea è pronta a difendersi, mutandosi in pianeta, e rapisce in
cielo con sé l'assalitore (nel Cancro è il domicilio della Luna).
Sdegnato Apollo per l'offesa recata alla sorella, ogni anno
col suo carro passa sul corpo del nemico e l'arde con le sue
fiamme (i calori del mese di Giugno). Giove, per non esser
da meno degli altri dèi, aggrava la pena incidendo sul dorso
del celeste animale un marchio disonorevole (i due Asini e la
nebulosa del Presepe),1 e permettendo agli uomini di squarciar
colle prore, coi remi, con l'ancore il regno di Proteo (la sta-
gione estiva, propizia alla navigazione).
Nuova e congegnata di dati astronomici è pure la favola della
costellazione del Leone, che è la sede di Febo. Mettendo da
parte la tradizione e Manilio, il poeta c'informa che la belva
sollevata agli onori del cielo non è già quella che Ercole uc-
cise nella valle Nemea, si bene uno di quei leoni che i Libii
usavano sacrificare al Sole per impetrar meno ardente la Ca-
nicola. A quei leoni il re-sacerdote cacciava un coltello in
mezzo al petto, onde la figura celeste porta là dove s'apriva
la ferita, un astro fulgente, Regolo. L'influsso suo è perciò
sacro per il sacrificio, regale per la stella del cuore, guerriero
per la natura del terribile felino. E gli uomini nella quinta
età zodiacale appresero ad osservare i riti religiosi, a vene-
rare la maestà dei principi, a condurre in dura schiavitù il
nemico caduto prigioniero di guerra.
Nella sesta età successe il regno della Vergine, casa
autunnale di Mercurio, e quindi si svolse dal cielo un'azione
ove le caratteristiche di questo dio, come nei Gemelli, ebbero
la preponderanza. Infatti gli antichi miti tradizionali di Diche
e di Erigone sono taciuti,2 per dar luogo ad una favola tutta
nuova e d'invenzion pontaniana, secondo la quale la Vergine
1 Si noti l'interpretazione nuova di questo gruppo stellare, che per gli
astrologi cristiani, pur essendo funesto, rappresentava la capanna di Betlem-
me. Cfr. 0. Zanotti Bunco, Astrologia e Astronomia, Torino, 1905, p. 04.
» Del mito di Erigone, svolto da Igino e dal Basini e non ignoto a Ma-
nilio (Astron. IV, v. 189), qui nessun cenno; di quello di Diche, cosi bello
in Arato, e riferito dal Pontano in una elegia dell'amor coniugale (Car-
mina, li, p. 137), qu.ilcli.' riflesso appena là dove è detto che la figlia di
Mercurio errava fra le genti diffondendovi le sue dottrine.
I POEMETTI DEL PONTANO 283
sarebbe nata dall'adulterio di Isea e del messaggero degli
dèi. Il quale avrebbe avuto gran cura della figlia, ammaestran-
dola in ogni sorta di arti e di scienze e soprattutto nella mu-
sica e nell' astronomia : dottrine che ella diffuse poi fra gli
uomini. Onde sotto il dominio di lei sorsero nella società ci-
vile i teatri e le orchestre,
Intonuitque foro eloquiura, laetumque theatris
Aurea peusilibus dift'udit tybia carmen,
Et Musat) insolitos sonuere ad pulpita cantus ; l
e i primi astrologi determinarono le leggi della sfera,
Sìdera et ipsa novo paulatim cognita sensu
In numerosque redacta suos, omnisque locorum
Fortuna et certi signata potentia fati.2
Assalita dalla brutalità d'un cacciatore, la Vergine sarebbe
poi stata dal padre trasportata nel cielo. Dal quale continua
a piovere il suo influsso buono per gentilezza e leggiadria,
cattivo per mollezza e soverchia eleganza. Da questi mali,
ahimè! è minacciato Lucio, il figlio del poeta, che proprio il
sesto segno ebbe nel suo oroscopo.
Segue alla Vergine la Libra, la quale non avea favola
presso gli antichi, per colpa dell'origine sua. Essa infatti era
nata tardi, per lo sdoppiamento dello Scorpione, le cui chele
distaccate dal capo s'eran mutate nei piatti d'una bilancia.3
Aveva bensì un influsso, che già Manilio sapeva determi-
nare desumendolo da certi dati astronomici ed astrologici,
come la forma della costellazione, 1* equinozio d' autunno, il
domicilio settembrino di Venere, la vicinanza di Astrea-Giu-
stizia.4 Anche il Pontano s'attiene all'opinione del poeta an-
tico, onde ci parla qui di rettitudine nei giudizi, di equa
ripartizione dei beni, e dei loro contrari. Ma all'influsso egli
aggiunge una favola, che costruisce con gli elementi stessi
di quello. Narra in essa di Venere, la quale volle che i fiori
della sua prima casa (Toro) maturassero in frutti nella se-
1 Urania, II, v. 807-809.
» Urania, li, v. 815-817.
3 A. Bouché-Leclrbcq, op. cit., p. 142.
* Minili Astron., IV, v. 203-216.
284 CAPITOLO QUINTO
conda, onde si recò dal vecchio Autunno, padrone dei più
begli orti e giardini, ed ottenne da lui ricchissimi <l<»ui ipe-
cialinentc di uva. Dei qoali fece quindi parte agli dèi, accorsi
a comprare i preziosi grappoli, che Pomezia pesava su aurei
bilancia. Questa, si capisce, fu poi da Giove tramutata in aste-
rismo. E di lassù infuse negli uomini della settima età zodia-
cale, insieme con un più severo sentimento della giustizia e
l' istituzione dei tribunali, anche la gioia bacchica, e spesso
afrodisiaca, della vendemmia, co' suoi canti, con le sue feste,
con le sue danze.
Ben diverso da questo si può dir l'influsso dello Scor-
pione, il quale, per esser casa di Marte, genera violenza, e
per sua propria natura — onde deriva una favola, di poca
importanza — è instigator di frodi e di venefici. ' Con esso
gli uomini entrano in una età che potrebbe dirsi del ferro, e
s'insidiano a vicenda e adoperano a scopi iniqui l'ingegno.
Onde provvidenziale sorse nel periodo seguente la costellazione
del Sagittario, cioè di Chirone, domicilio di Giove, colla
sua azione serenatrice.2 La quale si manifestò in modo cu-
rioso: nacquero cioè, per opera sua, in mezzo alla malvagità
universale, alcuni saggi dotati della doppia facoltà di medici
e di poeti — le due qualità che la favola attribuisce appunto
al divino centauro — e predicarono il bene e guarirono ad
un tempo i mali fisici e morali del prossimo loro. Né tale in-
flusso benefico cessò da quel tempo, come non sparve del tutti»
l'ingiustizia nel mondo, ma di tali sapienti se n'ebbero in
ogni secolo: ebbe Omero la Grecia, e l'Italia Virgilio. Il cui
elogio molto opportunamente serve al Pontano come di chiusa
al secondo libro del poema.
In capo al terzo, dopo qualche nuovo cenno generale in-
torno alla distribuzione delle stagioni nel circolo zodiacale,
la rassegna è ripresa col Capricorno, anzi col Capricorno e
1 Questo secondi» aspetto dell' influsso dello scorpione, e la rispettiva
età zodiacale, qui appena accennata, non derivano da Manilio, ma da autori
medioevali : v. la mia nota su La coda di Oerione, in Gior. stor., XLI, p. 87.
* Notisi che dell' influsso equino del Sagittario secondo Manilio (Astron.,
IV, v. 230-242), il l'ontano non si vale qui, ma altrove, a proposito della
costellazione extra-zodiacale del Centauro (Urania, III, v. 1211-1
I POEMETTI DEL PONTANO 285
con l'Aquario, le due costellazioni che ospitano il freddo
Saturno, nel mezzo dei rigori invernali. La loro favola, doppia
solo in apparenza, narra della lotta del cielo coi Giganti, nella
quale il vecchio iddio avrebbe avuto come ministri di guerra
un mostro in forma di capra, ed un giovane eroe, che muni la
rocca celeste di canali e fossati. Per opera del primo sarebbe
perito Ceo, che colla sua caduta in mare avrebbe dato origine
alle tremende burrasche, che ogni anno si ripetono nel mese
di dicembre;1 per il valor del secondo sarebber precipitati
dall'alto Alfeste e Minante, trasformati in quel frangente da
Giove l'uno nella catena nevosa delle Alpi, e l'altro nel corso
del Nilo, dalla famosa inondazione periodica. L'allegoria di
questa favola non può esser che fisica, quantunque questa
volta il poeta, anche riguardo all'influsso storico dei due aste-
rismi, non sia molto chiaro. Si direbbe che la cura letteraria
da lui messa nel racconto mitologico, gli abbia fatto perder
di vista un poco il disegno primitivo, a cui non saprà riacco-
starsi neppure trattando dei Pesci.
I Pesci son casa di Giove, ma con essi ha pur relazione
strettissima la favola greca di Venere anadiomene, o caldea
della nascita della diva nell'Eufrate, onde il Pontano potè
fondere i due elementi in un unico mito, alquanto complesso.
Nel quale si finge che i due animali marini parlino l'un dopo
l'altro: prima quello boreale, per esporre gli effetti della dea
nata dalle spume del mare sui popoli dell'Oriente; quindi
l'occidentale, per descrivere le feste che a lei ed a Giove fe-
cero gli abitanti dell'Esperia. Il racconto è lungo e smagliante,
e termina con una speciale considerazione intorno al Nodo,
cioè a quella striscia che lega per le code fra loro i due Pesci,
e per un certo tratto fronteggia il capo dell'Ariete cosi da
vicino che quasi lo sfiora. Il Nodo non ha influsso, ma sol-
tanto un brevissimo mito o allegoria astronomica del legame
d'unione fra l'ultimo ed il primo dei segni, che tratta perciò
di Giove e di Marte, rispettivamente signori delle due estreme
costellazioni dello Zodiaco.
1 Per la fonte non del mito, ma della notizia fisica, v. ciò che s'è detto
di Arato e di Oermanico, a p. 28.
286 CAPITOLO QUINTO
IV.
Manilio nell'ultimo libro del suo poema espone l'influsso
di 33 costellazioni non zodiacali, disposte in un certo ordine,
qua procedendo rapidamente, là indugiandosi di più, secondo
la materia or dilettevole e poetica ed ora nudamente dottri-
nale.1 Il Pontano, dal v. 508 del libro secondo al v. 629 del
quarto, cioè per buona parte dell' Urania, discorre delle stesse
cose, nello stesso ordine, col medesimo metodo, or trattenen-
dosi in larghe e belle descrizioni, or seguendo la guida con
passo più frettoloso. Di ciascuno degli asterismi egli ha cura
di narrarci la favola, spesso allegorica; ma il complesso dei
miti non costituisce un ciclo omogeneo. E di ciascun influsso,
con alquanta monotonia, ci espone i due estremi, considerando
l' oriente e V occaso della costellazione onde emana; ma la
serie degl'influssi non è collegata né distribuita secondo un
criterio generale, sociale o storico, come accadde per lo Zo-
diaco. II che non dipende però da insufficienza dello scrittore,
ma dallo stesso principio astrologico da lui enunciato, secondo
il quale il mondo, creato nell'età planetaria, perfezionato per
gradi nell'età zodiacale, continua ad essere governato e dai
pianeti e dai segni e dalle altre costellazioni, promiscuamente.
Né possiamo negare che da questa selva d'influenze, infinita
mente mutevoli e curiose, il poeta abbia saputo trarre, con
buono effetto d'insieme, il quadro della vita molteplice della
umanità a lui contemporanea. E l'abbia variato qua e là di
episodi, quasi scene singolari nella più vasta scena univer-
sale, con arte squisita, valendosi di fonti diverse e spesso —
metodo degno di nota — attingendo l'ispirazione dalla pre-
sente realtà. Onde nella lettura di questa parte del poema,
se noi sapessimo prescindere dalla vacuità fondamentale del
principio astrologico, potremmo anche ai nostri tempi provare
non piccolo diletto; allo stesso modo che noi continuiamo con
1 Cfr. p. 89.
I POEMETTI DEL PONTANO 287
leggero sforzo di astrazione ad ammirare, per la sola eterna
virtù della poesia, V Orlando furioso.
Ho detto dunque che Manilio è la fonte principale di questa
parte dell' Urania: aggiungo che molte delle più belle pagine
di essa hanno il loro motivo in qualche verso del poeta latino,
e ne son come lo sviluppo, ove il pensiero o il racconto o l'im-
magine ricevon dall'arte più perfetta di Gioviano vita e co-
lori più intensi. E cito a riprova alcuni esempì, non eccezio-
nali né rari : la descrizione del saltatore del circo,1 quella del
corridore,2 quella più estesa della pesca dei tonni,3 e cento
altre. Ma ancora migliori sono i racconti nuovi, nei quali l'in-
dole del poeta, per la libertà della scelta, si manifesta spon-
tanea e lascia impronta più tenace, come in quel tremendo
quadro dell'uomo colpito dal sinistro influsso di Procione,
che muor di rabbia, assetato, vicino alla fontana donde lo
scaccia una implacabile Furia :
Forsitan e morsu rabidi canis actaque venis
Dira lues aget in furias illuni ora liquenti
Admotantem arani, sitientem, nndasque petentera.
Excutiens torrem ambustum atque e gm-gite Erinnys
Jam medio caput attollens fugat horrida, crinemque
Anguineum intendit. Revocat sitientia ab undis
Ora miser faciem avertens, similisque latranti
Dat sese retro et spumas ciet ater ad auras.
Hinc rursum, stimulante siti, convertit ad amnem
Approperans, dubiusque gradu atque enectus ab aestu.
infestans rursum admota face turbat Erinnys
Attonitum, ac nigras vocat ex Acheronte sorores ;
Donec eum rabie absumptum vis tetra veneni
Vicerit, et miseros solvat cum corpore sensus,
Quos Procyon Martisque furens incenderit aestus. 4
Io non credo che alcun altro poeta del Quattrocento possa
vantare un brano più efficace di questo, nel quale la verità
della descrizione è superata soltanto dalla purezza ed agilità
1 Urania, III, v. 609-616, e Manili Astron., IV, v. 232.
2 Urania, III, v. 866-857, e Manili Astron., V, v. 160.
3 Urania, IV, v. 420-468, e Manili Astron., V, v. 664-676.
* Urania, III, v. 992-1012.
288 CAPITOLO QUINTO
della lingua e del verso, che nessuno direbbe usciti da penna
moderna. Eppure non mai come in questo ed in altri passi
consimili, il Pontano si affranca dal solito modello antico, e li-
bero ed ispirato raggiunge, con le proprie forze, V eccellenza
dell'arte. Si leggano ancora questi altri versi, a proposito del-
l'influsso delle Pleiadi:
Sin felix simili infelixque aspexerit astrum,
Ille inter cyathos positus pateramque coronans
Decumbet leni somno vinoqne sepultus,
Purpureove toro recubans et virginis arcto
Fusus in amplexu, dum mollia gaudia carpit,
Et venus ex irais stillat resoluta medullis,
Illius in roseis linquet sua fata labellis,
Et mors ipsa quidem placidae cognata quieti. '
Chi, al cospetto di questa scena, non corre col pensiero al vo-
lume delle liriche pontaniane, nelle quali più direttamente si
esplica il temperamento dell'autore? Chi non pensa alle Baie
dove ogni cosa risente di quel calore sensuale, ond'era ac-
ceso il poeta? Chi non ricorda le elegie dell'amor coi
gale, dove i sentimenti famigliari più gentili si mescolano,
senza contrasto, ai piaceri del senso? E soprattutto chi non
rammenta i Tumuli, nei quali, per quel concetto caratteristico
che Gioviano avea dell'oltretomba — non dimentichiamo ciò
che s'è detto intorno all'anima, nel capitolo precedente — la
morte stessa si veste dei colori dell'amore, in quanto è un
rimpianto di ciò che in vita s'è bramato e goduto?
Dopo tali considerazioni non ci meraviglieremo se in pa-
recchi dei più squisiti episodi di questa parte dell' Urania
compaiono i nomi delle persone e delle cose amate dallo scrit-
tore. Qui vediamo infatti la buona Adriana,2 qui le figliuole,3
qui persino il fido cane Asterione;4 qui — chi ne poteva du-
bitare? — ci si fa innanzi anche Stella.
» Urania, III, v. 813-820.
2 Urania, III, v. 1170-1174.
s Urania, III, v. 1206-1210.
* Urania, III, v. 964-987. Cfr. puro De Amore conia;}., II, 1, v. 27-48;
e De immanitate, ed. aldina, I, p. 322.
I POEMETTI DEL FONTANO 289
Siamo nella costellazione di Cassiopea, la favolosa re-
gina che vantò la propria bellezza come superiore alla grazia
delle stesse Nereidi: l'influsso suo perciò largisce ai nascenti
il gusto dell'eleganza, specialmente negli ornamenti della per-
sona. Onde la giovane sposa, che l' ebbe in oroscopo, attenderà
con molta cura alla toeletta, alla quale il poeta, con la solita
maestria, c'invita ad assistere:
Tmpriinis matura viro fiorente inventa
Nupta tnos laeta expectans deposcit honores,
Illusam baccis chlamydem illustremque coronam
Coeruleo fulgore et purpureis hyacinthis,
Ardet et in mediis quae pendula gemma papillis.
Ipsa manu ligat ad frontem studiosa capillos,
Et suspendit acu tenui velamine vittam;
Illa volat, volitansque leves exsuscitat auras;
Ora nitent, ebur extersis in dentibus albet,
Pnrpuraque in roseis effulget grata labellis,
Perque genas lascivit Amor, qui spicula torquens
Incensum ferus ex oculis iaculatus et ignem,
Vulnerat incautum insidians uritque maritum:
Gaudia tum tacito volvit sub pectore virgo. '
Stella nacque appunto quando Cassiopea splendeva in oriente,
Stella dunque ha il dono divino della seduzione. Del quale
ben s'accorse il poeta quando, durante la guerra di Ferrara,
cioè intorno al 1483, inseguendo con Alfonso di Calabria i Ve-
neziani, capitò ad Argenta, e fu vinto dai vezzi della bella
fanciulla. Egli, già maturo, era uomo senza scrupoli e senza
riguardi verso la moglie lontana: essa, a quanto pare, era poco
gelosa del suo onore : certo è che ben presto strinsero una rela-
zione intima, con grande invidia degli altri cortigiani del duca :
uruntur iuvenesque senesque,
Deficiunt Satyri exanimes, ipso aestuat amne
Eridanus, tremulae ludunt per coerula flammae.
At vates nymphae carus sua pectore versat >
Gaudia sub tacito, atque immoto lumino perstat,
Deliciasque animo repentens memor ipse futuras,
Invideat nec semideis et temnat amantes. *
» Urania, IV, v. 148-166.
* Urania, IV, v. 167-178. Che in quel semideis dell'ultimo verso ci sia
una scherzosa allusione al duca Alfonso ?
Soldati vj
290 CAPITOLO QUINTO
Ahimè! che le gioie del primo incontro, dopo una serie di pia-
ceri e di dolori non belli, narrati in bellissimi versi, finirono
con un distacco ben triste ! '
Il nome di Cassiopea mi fa intanto pensare ad un altro
nome e ad un altro episodio, il quale per parecchi riguardi.
ma specialmente per ragioni artistiche, è degno di nota : al-
ludo alla favola di Andromeda, la quale è una nuova ma-
nifestazione del carattere erotico della poesia pontaniana. Qui
l'autore avea davanti a sé due modelli diretti. Manilio e Ovidio;
ed uno indiretto, Valerio Fiacco, il quale nella sua Esione
liberata da Ercole rappresentò sostanzialmente il medesimo
fatto. Dal primo Gioviano prese l'influsso, che è foriero di pri-
gionia e di dolore; ma non attinse quasi nulla per la narra-
zione.8 Infatti mal si sarebbe adattata al suo poema quella
spiritualità, che indusse Manilio a vestire d'un candido velo
la bella incatenata e a coprirla quasi dell'ombra, che su di
lei gettan le ali delle alcioni piangenti e volteggianti intorno
allo scoglio. A disagio si sarebbe trovata nell'Urania un'An-
dromeda tutta sentimento, la quale nel supremo pericolo non
tanto teme per sé, quanto per il salvatore che l'ha innamo-
1 Intorno agli amori del Pontano con Stella sono erronee le notizie date
da C. M. Tallarioo, op. cit., I, p. 97 e 100, II, p. 677, e debbono nuore pre-
cisate e in parte corrette quelle di V. Rossi, Il Quattrocento, p. 340. Keeo
quel ch'io ho ricavato dalle opere stesse del poeta, senza estendere oltre le
indagini non necessarie al mio scopo. Che il Pontano abbia conosciuta Stella
(nome poetico?) nel ferrarese, risulta da due passi dell' Urania, IV, v. 157-1 7::,
e V, v. 284-334, e da parecchie poesie de\V Eridano. Che l'incontro sia avve-
nuto vivente Adriana, prima del 1490,. è provato dal fatto che i «lue ;
citati appartengono alla prima redazione del poema: che poi la data più
esatta sia da ritenersi il 1483, è una mia ipotesi fondata sulla presenza di
ciò viano alla battaglia di Argenta, avvenuta in quell'anno (v. C. R<»
dbl Turco, Gio. Fontano, in Rivista universale, Firenze, Nov. 1877, p. 484).
Forse le prime elegie dell' lùiduno furon composte dal poeta innamorato
durante la guerra e le trattative che precedettero la pace ili Bagnolo I
0 subito, o più probabilmente dopo la morte della moglie, il l'ontano ]h>rtó
la concubina a Napoli: cosi almeno ci fan credere alcune altre elegie, dova
si parla di vera e propria convivenza. Quando nacque, per morir quasi su-
bito, il figlio? Certo è che un bel giorno Stella, ancor piovane, piantò il
vecchio amante e se ne tornò al suo paese, seguita dalle imprecazioni puro
decorose di lui (Iridano, II, 26, v. 17-34).
« Minili Astron., V, v. 538-681.
I POEMETTI DEL PONT ANO 291
rata, « animoque magia quam corpore pendet ». No, questo
non era l'amore del Pontano, il quale invece si rivolse qui
alle Metamorfosi, dove trovò nella donzella e nell' eroe una
coppia sensuale. 1 Grida, in Ovidio, Perseo, non appena scorge
le nude forme della fanciulla, bianche, marmoree, sullo sfondo
della rupe: « non istis digna catenis, Sed quibus inter se cu-
pidi iunguntur amantes ! » E nell' Urania, terminato il com-
battimento, egli 8' avvicina cupidamente alla ragazza, in cui
alla gioia della liberazione subito sottentra un turbamento
leggero dello spirito ed il risveglio dell'amore nelle vene:
Illa din cunctata silet ; sed, nomine Persei
Audito, paulatim oculos ad verba loquentis
Sustulit, et tacitus vigor ad praecordia serpit;
Quale sub aestivum Solem, sitientibus haerbis,
Languescit moriens florum decus, acta repente
It coelo pluvia et largì de nubìbus himbres
Irrorant, redit ille vigor, redit ille colorum
Mollis honos, spirant revocatis floribus arva,
Et laetae cultis violae renovantur in hortis.2
L' istante e favorevole alle audacie, né l' eroe se lo lascia
sfuggire:
Iniecitque manum collo ac sua gaudia pandit!3
Derivano dalla Esione di Valerio alcune delle fasi della bat-
taglia e specialmente l'armi scelte per uccidere il mostro.4
Il leggero volatore si serve infatti, presso il Pontano, d'un
gran masso, che però assai meglio si adattava alle robuste
braccia di Ercole: si serve pure — per facile innovazione del
poeta, o per il concorso di altre fonti secondarie ? — del capo
di Medusa, oude la belva è impietrata.8
1 Metam., IV, v. 663-752.
2 Urania, IV, v. 293-301. La stessa similitudine ricompare in una delle
più appassionate elegie per Stella, in Eridano, I, 13.
3 Urania, IV, v. 322.
* Valbrii Flacci Argon., II, v. 496-649.
5 L' idea di quest' ultimo particolare della Gorgone può essere stata sug-
gerita al Nostro da due passi di Luciano, ricordati da Pio Rajna, Le fonti
dell' Orlando, 2» ed., p. 203 ; ma può anche essergli venuta in seguito alla
lettura della seconda parte del racconto ovidiano, proprio come lascia so-
292 CAPITOLO QUINTO
Degli altri episodi della terza parte dell' Franta, uno an-
cora, fra tutti notevolissimo, richiede un breve commento. Si
tratta dell'asterismo del Pesce australe, che, mancando
della cooperazione astrologica dei pianeti, infonde, a d ine-
renza dei suoi fratelli dello Zodiaco, un poro e semplice in-
flusso marino. Dice infatti Manilio che chi nasce con quello
in oroscopo « litoribus ripisve suos circumferet annos»;1 né
sentenzia altrimenti il Pontano. Il quale però invece di indù
giarsi nella esposizione teorica, raggruppa e riassume tutto il
suo pensiero in una favola, non attinta — e qui sta la sua
importanza — a nessuno degli autori classici, ma alla tradi-
zione popolare: la favola di Cola Pesce.
È noto, dopo il bello studio del Pitré, come questa leg-
genda d'origine antica — pare si tratti nientemeno che del
culto di Nettuno, cristianizzato nel patrocinio di San Nicola
di Bari2 — era viva ai tempi di Gioviano non in Sicilia sol-
tanto, dove anche oggi è diffusa, ma nel continente e special-
mente a Napoli. E raccontava, secondo una delle versioni più
accreditate, d'un giovane catanese, chiamato Cola, il quale
fin dalla prima gioventù ebbe una predilezione cosi curiosa
per il mare, che fini per spogliarsi quasi del tutto dell'aspetto
umano e vivere nelle onde. Egli abitava per solito nello Stretto,
ed era spettacolo meraviglioso agli abitanti delle coste. Ora
avvenne che a Messina capitasse Federico di Svevia, al (inalo
naturalmente fu presentato lo strano nuotatore. Il monarca lo
ricevette durante una festa, bandita al Faro, sulla riva <lol
mare, e volle aver da lui un saggio della sua valentia. Gotto
pertanto nelle acque una coppa d'oro, che s'immerse proprio
spettar por l'Ariosto l'illustre critico di Firenze. Quanto poi all'Ariosto, mi
par probàbile ohe ftbbbl attinto all' Uremia, clic certo gli era nota e i
più famigliare che non i passi lucianeschi sopra citati.
1 Maniu Astron., V, v. 398.
1 o. Pitré, La leggenda di Cola Pesce, in Bibì. delle tradizioni popo-
lari siciliane, voi. XXII, Torino, 1904, p. 89 sgg. ; dove però son da tare
due correzioni : la prima, clic anche per il Pontano Cola è catane.se e non
messinese, come ivi si afferma a p. 13 e 30; la seconda che la forma ('ohm
non e già una variazione del nome dell'eroe (Colano), ma semplicemente
l'accusativo della forma tradizionale.
I POEMETTI DEL PONTANO 293
nel gorgo, (love Cariddi riposa in agguato: dietro la coppa,
si lanciò Cola. Ma, ahimè! l'incauto non potè più risalire a
galla, che l'orribile mostro lo fece sua preda. — Questa la
leggenda, la quale, come ben fu osservato, è il prodotto di due
elementi, uno fondamentale ed originario, cioè la credenza
nell'uomo marino; l'altro accessorio, cioè la tragica storia
del ricupero della coppa. Ad essi il Pontano nel suo racconto,
che non si scosta dalla tradizione, dà diversa importanza,
e non a caso. Accetta e svolge il secondo, per dare al suo
episodio un interesse come di novella o di dramma, ma non
se ne compiace; si indugia per contro sul primo, nel quale
trova ad un tempo le ragioni e gli effetti dell'influsso della
costellazione del Pesce: le ragioni, perché del favoloso eroe
egli fa, con classica metamorfosi, l'origine e la figura, per cosi
dire, dell' asterismo ; gli effetti, perché narrando di Cola in-
tende mostrare il più perfetto degli esempi che provino le sue
asserzioni. Giacché il Pontano non negava fede alla parte
essenziale della leggenda, cioè alla esistenza storica del mostro
catanese, che anzi l'avrebbe creduta possibile, per ragioni
astrologiche, quand'anche l'autorità della voce popolare non
l' avesse a ciò indotto. 1 Non ci stupiremo adunque se i mi-
gliori e più meditati versi di questo brano dell' Urania son
quelli, nei quali si descrivono le singolari abitudini di Cola,
e come egli si mostrasse ai naviganti in alto mare e li sal-
vaguardasse co' suoi consigli dalle tempeste:
Saepe etiam raediis sub fluctibus alta secantem
Obstupuere virum nautae, quibus ipse, reposto
Mox scopulo madidum oxsiccans sub sole capillum,
Horrentem caeco signat sub marmore cautem,
Declinent qua arte et cumulos variantis arenae ;
Quin etiam maris occultos instare tumultus,
Incumbant quibus aut coeli de partibus Euri,
Quaque die cogant atro se turbine nubes,
Immineantque bieines pelago, et nox horreat umbra,
Neptunnique minas inceptaque tristia monstrat.
Hinc illi vela in portum expediuntque rudentes,
Ac iuveni ingentem Baccho cratera coronant.
1 i'u.\ii\i 1)> immanitate, ed. aldina, 1, p. 818b.
294 CAPITOLO QUINTO
llle autem, gratam ut cepit per membra quieterà
Stratus hurai, pelagoque atrox desaevit et Auster,
Non mora, spumantem in laticem se deiicit alto
E saxo relegens pontum, vadaque invia tentat *
Ma basti anche di Cola e si concluda intorno a questa
parte del poema, a commentare la quale, toccandone tutti i
luoghi interessanti per l'una o per l'altra ragione, non si
finirebbe più; e si rivolga uno sguardo comprensivo a tutto
il quadro delle influenze onde la Terra è fatalmente governata
dal cielo, e da cui nasce quaggiù la vita sociale. Si concluda
seguendo l'autore, che a questo punto si sofferma anch' egli
a meditare sulle gravi cose che ha dette, e si domanda, fra
l'altro, come mai si possa presumere d'indovinare il futuro,
quando cosi fitte e varie e improvvise son le miscele delle
azioni stellari. Qui il Pontano è preso dallo stesso pensiero,
che gli suggerì quella teoria astrologica prudente, di cui ab-
biam fatto menzione a suo luogo:2 egli afferma cioè la realtà
dell'influsso, e perciò la sicurezza dell'astrologia iu quanto
sa e vuole determinare i temperamenti fisici e morali degl'in-
dividui; ma pone sull'avviso coloro che troppo ciecamente
trascurano di tener conto degli agenti modificatori, e vorreb-
bero che si proclamasse scientifica anche quella parte dell'astro-
logia, che è semplicemente congetturale:
Saepe tamen vis firma animi, resque extera, lexve
Alternant fata, aut genio adversatur egestas :
Stat fatum tamen, et tato vis insita perstat. 3
L'osservazione giustissima del Gothein, che il Pontano tra-
sformi 1' astrologia giudiziaria in psicologia astrologica, ha
dunque anche nell' Urania piena conferma.
» Urania, IV, v. 628-688.
2 Cfr. p. 248.
3 Urania, IV, v. 636-688.
I POEMETTI DEL PONTANO 295
V.
In origine, come abbiamo veduto, il poema pontaniano con-
stava di soli quattro libri, l'ultimo dei quali conteneva, oltre
la materia che siam venuti esponendo, poche centinaia di
versi, dove era riassunta quella corografia, che Manilio svolge
ampiamente dal v. 585 al 710 del quarto libro dell'opera sua;
e terminava col lamento per la morte di Lucia, in una reda-
zione molto più breve della definitiva. Ma venne, come sap-
piamo, il rifacimento posteriore al 1490, quando nella mente
del poeta sorse l'idea di alleggerire un poco la esuberanza
delle ultime parti, dando nello stesso tempo un maggiore svi-
luppo alla corografìa sacrificata. Nacque in questo modo il
quinto libro, il quale però risenti un poco gli effetti della for-
mazione più recente; come si può vedere fin dal proemio, gra-
zioso e tutto nuovo, ma privo in apparenza di legami col ri-
manente dell'opera, si che leggendolo ci par di cominciare
un altro poema.
S'apre questo libro con una triplice invocazione ad Omero,
a Virgilio ed a certe divinità naturali, figlie di Febo e di Tetide,
che il poeta chiama le Brezze. Né la ragione di tal principio è
diffìcile a scoprirsi. Infatti il libro, trattando della corografia
astrologica, è in realtà un viaggio attraverso le varie regioni
del mondo : ora Omero non cantò forse gli errori di Ulisse, Vir-
gilio quelli di Enea? E quanto alle Brezze, cioè a quei venterelli
regolari che soffiano sulle spiagge alternamente fra il monte
ed il mare, non sono esse il refrigerio dei pellegrini ? ' In si
buona compagnia adunque il Nostro si mette in cammino ; e
1 Urania, V, v. 21-26. Pare che a questa sua allegoria mitologica il
Pontano annettesse un certo valore, se nella lettura del poema richiamava
su di essa l' attenzione dei discepoli. Uno dei quali, il Borgia, a questo
punto annotava sul suo esemplare: € Poeta per totum orbem terrarum pe-
regrinaturus, et quae regio cui signo ac planetae subiecta si t docturus,
\ ii ras viatoriun suavissitmini lenimen invocat, quas non sine physica ra-
tiime Solfa et Tethyos Alias eflinxit ». Cfr. Pontini Carmina, I, p. xxxvu; e
Meteore, v. b66-S'J^.
296 CAPITOLO QUINTO
noi lo lascieremo affaticarsi per conto suo, giacché le e
ch'egli vede non hanno importanza per la scienza, e ben poco
valore per l'arte. Solo una osservazione sarà bene non dimen-
ticare. Ed è questa: che mentre Manilio nella rassegna dei
popoli della Terra si attiene ad un criterio, che potremo chiamar
zodiacale, Gioviano adotta invece un sistema doppio, planetario
e zodiacale nel medesimo tempo. Mi spiego. Egli fa delle na-
zioni dodici gruppi, a ciascuno dei quali assegna come patrono
un segno ed il pianeta che vi ha il proprio domicilio, dimo-
doché l' influsso riesce alquanto più complesso. Egli è dunque,
rispetto alle sue fonti, almeno in parte, originale? Ahimè, no!
perché non fa che ricopiare la tavola corografica che Tolomeo
lasciò disegnata nel Quadripartito, e che possiamo, se ci piace,
consultare anche noi.1 E la ricopia, purtroppo, fedelmente,
senza integrarla neppur là dove essa non corrispondeva più
al vero. Come mai abbia fatto, per esempio, a non accorgersi
che la distribuzione dei popoli era, specialmente in Europa,
dopo quattordici secoli, del tutto mutata, io non riesco a oa>
pire: né mi so spiegare come non abbia tenuto il minimo
conto delle scoperte, che allora mettevano tanto a rumore il
campo della geografia e dei commerci.2 Probabilmente egli
si trovò a questo rischio, di dovere, cangiando la disposizione
dei pazienti di quaggiù, cangiare anche la teoria degli agenti
di lassù, con quale pregiudizio dell'infallibilità astrologici
facile immaginare! Perciò, come ho detto, lasciamo qu
inutile trattazione, e passiamo ad altro, o, meglio, ritorniamo
1 La tavola, por chi volesse divertirsi a conoscerla, è riprodotti
meritata da A. Botmat-LloutOQ, op. cit., p. M-'<
8 li' ignoranza strana di Bioviano Delle OOM geografiche si rivela pure,
quantunque in gradò meno assoluto, nelle sue opere prosastiche. Rilevate
certe notizie, davvero insudicienti, contenute nel libro XIV De rebus coe-
kstibus, giustamente esclama 0. Duelli, La viia e i tempi di Paolo del
Pozzo Toscanelli, Iona, 18M, p. 688: «Sono questi i soli e pochi accenni
vaghi e confusi intorno alle nuove scoperte oceaniche tatti dal personaggio,
che tu per lungo tempo ministro del governo di Kuropa. ohe ebhe allora,
più che altri, stretti rapporti politici e dinastici colla penisola Iberica, di
un erudito dottissimo che ebbe uu momento in animo di scrivere un —
libcllum ile mundi spliaera.cx quo tauquam graduili ad univeniam astro-
uoiuiam tacturus erat! »
I POEMETTI DEL PONTANO 297
sopra una questione, toccata in principio di questo capitolo :
se, cioè, la materia dell' Trama sia veramente incompiuta, se-
condo l' affermazione dell'autore, e perché sia rimasta tale.
La soluzione, senza parere, già l'abbiam data. Non ab-
biamo forse osservato, discorrendo della chiusa del quarto li-
bro, che giustamente l'autore si preoccupava della leggerezza
di certi astrologi, i quali nel giudicare non tenevano nel de-
bito conto gli agenti modifìcatori dell'oroscopo? Non abbiam
mostrato che per il Pontano la carriera d'ogni individuo è la
resultante di due forze, una delle quali è la spinta data dal
cielo al momento della nascita, e l'altra il complesso delle
opposizioni mosse in vario senso dai mille altri influssi agi-
tatori del mondo e della società umana? Ora i primi quattro
libri dell' Urania contengono appunto l'esposizione della prima
forza, quella più certa, che può essere conosciuta scientifica-
mente. Rimarrebbe adunque, « ut rerum series et coepti car-
minis ordo Postulat », l da svolgere l'intricata matassa della
seconda, enumerando una dopo l'altra le cause che vengono
a turbare l'adempimento del tema di genitura. Ma una simile
impresa sarebbe, in primo luogo, impossibile, data l' infinita
varietà di tali cause; e poi inutile, dovendo essa servire ad
alimentar congetture ed incoraggiare quelle predizioni singo-
lari, nelle quali il Pontano ebbe sempre poca fiducia. Nessuna
meraviglia pertanto che a lui sia bastato d'averne discorsa una
come saggio, cioè la corografia.
Se adunque scarsa è l'importanza dottrinale del quinto libro,
non però da trascurarsi è l'episodio di chiusa, meraviglioso
fra quanti ne abbiam veduti finora per ispirazione e per arte.
Esso è divisibile in tre porzioni, e fu scritto a due riprese.
La prima porzione, come ora vedremo, svolge la favola classica
del rapimento di Ila ed appartiene alla redazione primitiva ;
a cui risale pure la seconda, che in tono lirico esprime il do-
lore del Pontano per la morte della figlia Lucia: la terza,
che è posteriore al 1490, compie il lamento e termina con
l'apoteosi del poeta.
1 Urania, V, v. 786.
298 CAPITOLO QUINTO
Le Georgiche di Virgilio, per le quali Gioviano avea tanta
ammirazione, finiscono con un (loppio racconto mitologico, legato
alla trama dell'opera per mezzo d'nn filo ben tenue: le api ri-
chiamano l'avventura di Aristeo, Aristeo quella di Orfeo. Lo
stesso avvien per l' Urania : il patronato della Luna e del Cancro,
l'ultimo della serie, agisce astrologicamente sopra la Troade e
la Bitinia, cioè sui luoghi ove Ercole, secondo la narrazione di
Valerio Fiacco, perdette nel fonte il suo giovane amico. Ercole,
canta Valerio, per le insidie di Giunone, è stato abbandonato
dagli Argonauti, e con l'impeto proprio alla sua violenta natura,
seguito dal compagno, batte i boschi in traccia di selvaggina.
Ed ecco sbuca di fra i tronchi un bellissimo cervo, mandato ad
arte dalla dea nemica ; dietro gli si mette Ila, giovenilmente
incauto, e l'incalza, né mai lo raggiunge, che l'animale è cosi
accorto da lasciarsi accostare, non prendere. Ma Ha non de-
siste finché la fiera, giunta alla famosa fontana delle Naiadi,
non spicca un salto, lasciando l'inseguitore deluso sulla sponda.
Il fonte è meraviglioso, e pur nell'ombra delle fronde splende
come vi si specchiassero il Sole e la Luna; l'acqua eeorre
senza fruscio, ed è trasparentissima. Ila beve, e non s'accorge
che ad ogni sorso sale a baciarlo Driope, la ninfa del luogo;
non se n'accorge se non quando, avvinto dalle braccia di lei,
è tratto al fondo, in un amplesso immortale. Intanto Ercole
sente nel cuore che una sventura l'ha colpito: l'amico suo
non ritorna, per quanto ei lo chiami gridando di bosco in
bosco, come forsennato. Vinto più dal dolore che dalla fatica,
s'addormenta finalmente, e Giove gli manda un sogno: egli
vede il fanciullo coronato di fiori di zafferano, venire a lui a
consolarlo e a predirgli la futura immortalità.1 — Il racconto
del Pontano ò leggermente diverso. Non l'ira di Giunone, ma
la vendetta di Venere colpisce Ercole, che avea disdegnata
la corona di mirto al banchetto di Meleagro. Ed Ila non si
smarrisce dietro al cervo fuggente, ma è tratto nelle acque
del fonte dai sette cerbiatti che, addomesticati, recava ad ab-
beverarsi. Ila, presso il Pontano, è quasi fanciullo, e si di-
1 Valimi Flacci Argon., Ili, v. 481-740 e IV, 1-57.
I POEMETTI DEL PONTANO 299
verte ingenuamente col suo piccolo gregge silvestre, mentre
vicino a lui, non lontano dalla corrente, dorme l'eroe. L'eroe
dorme, e con l'anelito roco attira le ninfe, che fan capolino
da tutte le rive, e ridono dell' ispido cacciatore : ma non ride
Eari, ferita d'amore per Ila, e s'adopera, col concorso delle
fiere improvvisamente insanite, finché non l' ha tratto seco nel-
l' antro subacqueo. Dove, perché il carattere voluttuoso della
poesia pontaniana non si smentisca,
Septem malesana dies, septem anxia noctis
Cum puero insomnes agit, ut neque parcat amanti,
Nec parcat rursum ipsa sibi, sed perdita et amena
Deperit illuni oculis, amenti et deperit ore
Perdita....1
Il sonno di Ercole, il riso delle ninfe, l'infuriar dei cerbiatti
sono d'una sorprendente evidenza; la scena della fontana poi,
diversa da quella di Valerio, è d'una tale bellezza, che anche
il Borgia — o il poeta stesso? — senti il bisogno di additarla
alla nostra ammirazione.2 Rileggiamola dunque:
Ipse autem fons perspicuis argenteus undis.
Albescunt imo sparsi rutilantque lapilli,
Quos Ime illue subsiliens vomit unda; quiescunt
Mox illi, pictaque solum variatur arena.
Laetantur vitreis errantia lumina in undis ;
In su mino natat umbra, natant ramique comaeque
Frondentes, Sol per tenuis vaga lumina rimas
Irradiat, variant umbrae variantibus auris;
Pendula per nitidum currunt umbracula fontem,
Murmuraque in solis strepitant resonantia silvis,
Quae lenis movet aura, movet recinentia ramis
Ora avium, et vario resonant cava guttura canta.
At circum atque ipso crepitantis margine rivi
i Urania, V, v. 727-731.
* Poktani Carmina, I, p. xxxvm ; dove pure ho pubblicate altre due po-
stille, utili alla interpretazione di questo brano : la prima al v. 679 < Violae
quae et albae dicuntur, vulgo hiesuminum dicuut»; la seconda al v. 681
« In effingendo flore Homerum, qui moly tiuxit, imitatili-. Sub hoc autem
flore voluptatem inteliigi vult, quae ut pauperibus abest, sic divitibus et
diis fruenda datur ». Notevole è quesP ultima, perché mette in evidenza,
oltre al predominare dell'allegoria, l'imitazione omerica, e spiega sempre
meglio P invocazione del principio del quinto libro.
300 CAPITOLO QUINTO
Ver halat, roseusque decor se fundit ad auras,
Liliaque in viridi spirant canentia thyrso,
Et memor iugratam moeret Narcissus ad undam ;
Tuoi violae e patulis redolentia munera ramis
Praetendunt laetos flores implexaque serta
Spirautis rarum voris decus. Enitet inter
Illastris passim ilores inonumentaque divina
Flos rarus, flos ipse horainum vix cognitus ulli;
Heroes norunt et semideique deique,
Jupiter hoc thalaiuos iubet, hoc iubet aurea coniux
Rorari genialem aulam, cura laetus uterque
Laeta agitat sociosque parant coniungere somnos.1
Il dolore di Ercole, terribile da principio, si direbbe quello
d'un padre che ha perduto il tenero figlio, in cui singolar-
mente si compiaceva: un istintivo pudore allontana qualsiasi
allusione ai rapporti carnali. Ma in seguito vien la rassegna-
zione, quando attorno al rogo, ove ardono in sacrificio le armi
dell'eroe, il fanciullo appare, quasi promessa di non lontano
ricongiungimento.
A questo punto si annoda la seconda parte dell' episodio.
Anche il Pontano aveva una figlia fiorente di giovinezza, ch'egli
prediligeva sopra tutti, e per la quale sognava le maggiori
felicità della vita. Egli se l'immaginava già sposa beata e |><>i
madre, si rallegrava al pensiero che presso di lei avrebbe tra-
scorsa la sua vecchiaia serena. Ma, ahimè ! la morte distili ne
il bel presagio. Come al misero Alcide, nessun conforto nel
primo impeto del dolore gli è sufficiente: non la presenza
della moglie, immersa in un pianto non meno dolente del suo,
né le altre figlie, né il bimbo. E neanche lo può sostenere la
speranza di rivedere un giorno la cara anima, se non in sogno,
giacché
ÌS'il heu, nil reliquum iam Lucia: cessit in auras
Vel sonino sirnilis, voi inani corporis umbrae,
Aut iacet in parva tantum cinis abditus urna.2
' Uremia, v, v. 668-687.
* Urania, V, v. 878-876. Il compianto di Lucia consta di dm- pirli e ■
aenziali ; di cui la prima, ohfl può intitolarsi € dello memorie», èia rievo-
cazione della vita pura e lieta per gioventù e per rara bellezza della fan
(■mila, idolo della madre, delle sorelle, del piccolo fratello, del padre. 11
I POEMETTI DEL PONTANO 301
Cosi finiva il poema, nella prima redazione: e la chiusa, per
nn cristiano, non era troppo ortodossa. Era sincera però, per
il tempo in cui fu scritta, cioè per il 1479 circa, quando Gio-
viano inclinava, come abbiamo veduto, verso una filosofia pa-
ganeggiante. Ma venne poi il riavvicinamento alla religione,
negli ultimi anni della sua vita, ai tempi de' suoi rapporti col
monaco viterbese e della composizione dell' Aegidius. Allora
l'orizzonte morale gli si rischiarò, e la fine dell' Urania do-
vette subire un' aggiunta necessaria. Dove il dolore, prima
acerbo, s' acqueta nella contemplazione d' una eternità felice,
nella quale il padre e la figlia vivranno insieme, beati. E di
tanta letizia — giacché per il Pontano non era possibile senza
canti e sorrisi di gioia neanche la visione di Dio — è annun-
ziatrice un'apparizione gioconda:
Sed iam, o sed desiste, dolor. Milli roscida flavo
Exsurgens Aurora novum iubar aequore tollit ;
Praeradiat caput auricomum, roseusque per auras
It decor, eque genis stillat ros fusus eburnis.
Nunc axem, dea, nunc currus, age, pelle volantis,
Funde diem, sparge heoam dux praevia lucem,
Pande sinus : natain aspicio. Tecum aurea curru
Lucifero et sociis tecum secat aethera bigis,
Blanditurque oculis, lacrimas quoque laeta parenti s
Aspectu ciet, et blando mea Lucia ab ore
Appellatque patrem, summo et sua brachia curru
Exerit invitatque senem. Iam, filia, fulges
Insuetum iubar, ardescunt iam tempora, iam iam
In radios abeunt crines ; en fulgidus ora
Accendit splendor, micat en lux ignea circum
Perque genas, totoque nitor se fundit olympo.
Exoritur iam Sol. Radiis en Lucia Solis
Excipitur, roseoque sinu complexa nitentem
Illustratque diem, et super aethera fulget apertum,
quadro della famiglia vi è perfetto, e trova un riscontro fedele in De iu-
mulis, II, 3, scritto nel medesimo tempo. La seconda invece consiste nella
disperazione del padre, che vede nella morte la distruzione assoluta di tutto
P oggetto amato, e corrisponde bene a De tumulis, II, 2. Senza che si possa
parlar di fonti nel vero senso della parola, si trovano poi delle somiglianze
fra questo e i due celebri lamenti di Virgilio, quello della madre di Kurialo
(Aen., IX, v. 480) e quello di Evandro (Aen., XI, v. ini).
302 CAPITOLO QUINTO
Atque novum coelo decus et nova lumina tenia
Diffundit: lucem inde aurao sensere recentem,
Clarior et solito diffulxit ab aethere Titan.1
In questo modo siam passati alla terza parte dell'episodio, ed
alla chiusa definitiva del poema. Nella quale il Pontano, con
un crescendo d'entusiasmo, dall'amore paterno si solleva alla
compiacenza della propria gloria di artista e di uomo di stato.
Verrà, dice egli, dopo le esequie, la turba degli ammiratori
al mio tumulo, e lo vedrà rischiarato di luce misteriosa : sa-
ranno i Mani miei e della mia Lucia, tratti dal desiderio a
quei luoghi che più amarono in vita, rallegrati dalle memorie
che la Fama canterà nei secoli, senza posa:
Vivet et extento celeber Jovianus in aevo. *
VI.
Il libro unico delle Meteore ò, come abbiamo osservato a
suo tempo, la naturale continuazione dell' Urania, in quanto
vi si discorre della parte sublunare dell'universo, mentre in
1 Urania, V, v. 890-911. In questa visione o sogno dobbiamo vedete
l'immagine di quel paradiso, nel quale il poeta collocò anche — con qual-
che scandalo da parte dei suoi amici credenti e specialmente «lì Kgidio da
Viterbo — l'anima di fra Mariano da Genazzano: v. Aegidius, in Opera,
II, p. 158 b, e questo nostro lavoro, a p. 248.
4 Urania, V, v. 928. Non occorre, dopo quanto ho detto a p. 246, elie
io mi indugi ad illustrare il concetto, che Oioviano aveva dell' anima im-
mortale, e com'egli le attribuisse il ricordo tenace della felicita goduta
quaggiù e quindi il ritorno ai luoghi amati e la compiacenza della propria
gloria terrena. Dirò invece che lo stesso pensiero degli ultimi versi del-
l' Urania si riscontra in una poesia del 1508, cioè in De tutnulis, li, 62
(v. Fontani Carmina, Firenze, 1902, I, p. xxvn). Dove però manca quel-
I' elogio del poeta, che nell' Urania è. cosi esteso ed importante per la cro-
nologia delle opere. Le quali, secondo che a me pare, sono enumerate in
quest'ordine: v. 938, Amores; 941, De ìaudibiis divinis; 948, prose morali;
952, Lyra; 958, De amore coniugali; 955, Kcìogae; 957, De tumulis; 959,
il tentativo epico sulla guerra sertoriana, che sta in fine al dialogo Anto-
nius; 963, le Meteore; 968, V Urania e le prose astrologiche. Nei v. 978 sgg.,
si accenna alla carriera politica, ed espressamente alle due paci del 1484
e 1486.
I POEMETTI DEL PONTANO 303
quella s'era trattato della celeste. Ne è pur la conseguenza,
giacché il complesso di ciò che esiste sotto la volta del cielo
dipende, per ragioni astrologiche, dal gran mondo stellare.
Cosi almeno credeva, d'accordo con gli scienziati del secol
suo, il Pontano, il quale, dopo pochi versi d'introduzione, si
affretta a dichiarare, alludendo agli elementi:
Ipsa autem coeli motus ac signa tuentur,
Imperiisque assunt stellarum, et iussa capessunt. '
Guida al poeta in questo nuovo viaggio è sempre Urania, la
Musa del maggior poema; ma non è più sola, che le vien da
canto un personaggio allegorico, la Ragione. Quella, accompa-
gnata da un lieto corteo di ninfe, lo condurrà ancora qualche
volta in traccia di miti giocondi; mentre questa, più austera,
direi quasi più arcigna, cercherà di tenerlo stretto al suo tema,
rimproverandogli le brevi digressioni, consigliandogli gli aridi
brani espositivi. A lei infatti, che si affisa nel vero, non piace
la ricchezza dell'eloquio: ella è esatta, come dev'esser la
scienza,
Et lento incedit gressu, nec lumina torquet,
Fixa tuens, nec multa loqui, nec garrula curat.2
Onde avviene che questo poemetto sia, in confronto col pre-
cedente, non dirò più scientifico, perché, come vedremo, è ben
lontano dalle conoscenze meteorologiche dei tempi nostri, ma
1 Meteor., v. 72-73. A chi studia questo poemetto vengono in aiuto dae
buoni scritti. Il primo gli serve specialmente per conoscere le fonti del-
l' opera e le spiegazioni di certe dottrine, che, da noi sorpassate, potreb-
bero riuscirgli poco chiare : è un commento composto in Germania un tren-
tennio circa dopo la morte del Pontano, con gran diligenza e non senza gusto,
e 81 intitola : J. J. Pontani ìiber de Meteoris, cum interpretatione Viti Amer-
bachii, Argentorati, apud Cratonem Mylium, mense sept. anno M.D.XXXIX.
— Il secondo è una pregevole nota del P. Gius. Boffito, intitolata: Un poeta
della meteorologia (Gioviano Pontano), in Mem. dell'Acc. Pontaniana, Napoli,
1899; nella quale principalmente si stabilisce un confronto fra lo stato della
scienza ai tempi del poeta, e quello attuale, correggendo parecchi errori in
cui, per troppa ammirazione del suo autore, era caduto il Tallarigo.
* Meteor., v. 44-46. Non si dia soverchia importanza scientifica a que-
st' allegoria della Ragione, che forse il Pontano derivò da Makilio, Astron.,
IV, v. 981.
304 CAPITOLO QUINTO
improntato a maggior serietà, e più povero di poesia, eioè «li
descrizioni efficaci e specialmente di episodi. Del resto tutta
questa nuova sobrietà di linguaggio è spiegata dall'azione,
che esercitò sull'opera pontaniana la sua grande e quasi unica
fonte, il libro omonimo di Aristotele. Pensando al quale com-
prenderemo altresì come, salve poche eccezioni, le principali
teorie fisiche qui esposte da Gioviano rimontino alla tradizione
scolastica e si trovino in molti trattatisti a lui anteriori ; e
ci spiegheremo il fatto che i confini della sua meteorologia
siano, come quelli degli antichi, ma non come i nostri, tanto
estesi da comprendere in so certi fenomeni piuttosto appar-
tenenti all'astronomia, quali le comete, la Via lattea, le stelle
cadenti.
Entro i limiti della sua scienza il poeta racchiude adunque
una larga trattazione, la quale noi possiamo esattamente di-
videre in quattro parti principali. La prima è generica ed è
costituita da alcuni cenni introduttivi intorno agli elementi.
alla loro distribuzione nel mondo, alla loro soggezione pili <»
men diretta agli astri. Fra cui innanzi a tutti, perdio dotati
di più forte dominio, stanno il Sole e la Luna, che regolano
col corso o con le fasi il succedersi quaggiù delle nascite e
delle morti, dello sviluppo e del disgregamento degli esseri.1
Non hanno tuttavia potere di accrescimento o di distruzione
sulla gran massa della materia, la quale, attraverso alla vi-
cenda delle forme, permane immutata:
Principio genus omne hominum, genus orane ferarum,
Prognatae et silvis volucres, quaeque aequora ponti
Monstra colunt, quaeque haerba solo fiorente virescit,
Et quae sullimis crescens subit arbor ad auras
Quatuor e primis ducunt exordia causis.
Hinc etenim proprias sumunt animantia vitas,
Huc redeunt, quotiens fragìles mors solverit art
Ipsa aeterna manent elementa, vicesque ministrant,
Dum sua iura simul cedunt, aut cessa reposcunt,
Alternosque agitant constanti foedere motus,
Vertunturque, eademque aut mox diversa resurgunt.
Hinc rerum satus aeternus aeternaque origo,
> Cfr. p. 240.
I POEMETTI DEL PONTANO 305
Aeternam quoniain sortem et data fata repensant.
His parent nascentum animae, legesque seqauntur
Quas dederint elementa suos retinentia nexus.1
Nella seconda parte si tratta delle due esalazioni, quella
umida e quella secca o ignea, che il Sole attira a sé dalla
Terra e solleva nell'una o nell'altra delle tre regioni dell'aria,
ove si compiono i fenomeni detti atmosferici. I quali vengono
esaminati e descritti in quest'ordine: prima quelli generati
dal vapore umido, che sono la pioggia, la neve, la brina, la
rugiada, la manna, la grandine; poi quelli prodotti dal vapor
secco, cioè il fulmine, le stelle cadenti e altre simili appari-
zioni, fra cui la luce zodiacale. Questa parte è la più impor-
tante e la più estesa, e porge a noi, sotto il duplice punto
di vista scientifico e poetico, opportunità di parecchie osser-
vazioni.
Degna di nota, nel primo gruppo, per il curioso errore che
racchiude, è l'origine della manna, la quale dagli antichi non
veniva già considerata quale un prodotto animale e vegetale,
ma, come scrive il commentatore tedesco delle Meteore, quasi
« singularis quaedam species roris nascens in foliis arborum
ex denso et lento vapore, habens saporem mellis aut sacchari,
ex calido, quod est ei admixtum, coquente et maturante >.*
Pregevole per modernità d' ipotesi è invece la formazione della
grandine, dovuta al concorso d'improvvise correnti d'aria ascen-
sionali. 3 E per il pregio poetico graziosa assai è la favola di
Borea, che con le brine intempestive guasta i bei giardini,
onde i giovani amanti più non possono raccogliere i fiori per
le soglie delle belle:
Tu. vero, iuvenis tenerorum assertor ainorum,
Mane tuae qui serta paras intexere nymphae,
Aut Veneri ante aram lectos inspergere flores
1 Meteor., v. 57-71. L' opinione dell' indistruttibilità della materia de-
riva al Pontano forse da Lucrezio, De rerum nat., II, v. 294-307 e 991 »gg.,
senza che perciò ci venga ad essere contrasto con le dottrine aristoteliche.
Cfr. BoFriro, op. cit., p. 4.
* Amirbach, op. cit., p. 105.
3 Bopfito, op. cit., p. 6.
Soldati SO
306 CAPITOLO QUINTO
Pratorum decus, hoc precibusque, hoc suscipe votis,
Threicio ut Boreas tacitus requiescat in antro ! l
Né da tacersi, se non altro per la novità, è tra i fenomeni
della neve la descrizione della caduta d' una valanga nella
valle del Kodano. Sarà essa un ricordo personale del poeta?
Non credo. Forse è un racconto udito da altri. Leggiamola :
An non Allobrogum gentes, Rhodaneia pubes,
Excidium attonita extirauit coelique ruinam,
Tempore quo Sol ipse humeros ac terga Laconum
Torrebat sitiens summo et radiabat olympo ?
Hic e praeruptis movet Alpibus atra procella
Involvens hiemesque simul tenebrasque poluraque;
Horrescunt nimbis aurae, nubesque dehiscunt
Cum tonitru, micat igniferis fulgoribus aether,
Intremit insolito sub verbere concita tellus,
Ac coelum mere et terras subsidere certuni est.
Ecce autem per inane ruens cum turbine vasto
Volvitur, horrendamque cadens trahit icta ruinam
Ingentis moles saxi glacieque geluque
Concreta, ac bis quinque pedes porrecta, et in altum
Quatuor, at septem protento margine lata,
Terribilis visu ac. dirum mortalibus omen.2
Al gruppo delle meteore ignee appartengono in primo luogo
i fulmini prodotti dall'erompere del vapor secco che venne a
trovarsi forzato entro una fredda nube ; interessanti dal punto
di vista artistico soltanto per qualche bella descrizione e per
qualche similitudine. V'appartengono pure le stelle cadenti,
le travi di fuoco, le lampade ed altre simili parvenze celesti,
generate da una quantità minore di esalazione, in una re-
gione aerea più elevata, descritte dal poeta senza novità di
vedute,3 ma con molta perizia. Si noti l'evidenza della scena
seguente, dove lo spettacolo del firmamento e l'ora dell'osser-
vazione non potrebbero esser meglio dipinti:
i Meteor., v. 247-251.
1 Meteor., v. 844-869. Puoi vedere qualcosa di simile in Silio Italico,
Puniche, III, v. 520 sgg.
3 Vedasi come 11 Boffito, op. cit., p. 9, riduca ai giusti limiti le esagera-
zioni del Tallarigo, op. cit., II, p. 598, specialmente a proposito delle cause
della luce zodiacale.
I POEMETTI DEL PONTANO 307
Saope per aestatem coelo si forte silenti
Aut carpes iter, aut Mavortia signa secutus
Traduces vigilerà per iussa silentia noctem,
Collucere faces coeloque cadentia cernes
Sidera et incensos per sudum albescere tractus.... l
La terza parte dell'opera non ha coesione, cioè racchiude
argomenti fra loro diversi, come i venti, il terremoto, l'iride,
le comete e la Via lattea. I venti son trattati senza alcun ri-
lievo, con l'abbozzo di qualche favola di nessuna importanza:
non hanno neanche valore scientifico. Del terremoto invece si
espongono con molta maestria le cause, cioè la reazione vio-
lenta dei vapori chiusi nell'interno del globo terrestre; e si
fa cenno speciale d' un grave disastro toccato all' Italia infe-
riore, forse quello del 1457. 8 Ad esso, con ricordo virgiliano,
si aggiunge a mo' d'appendice il fenomeno tellurico della mo-
fetta d'Ansanto nel Principato Ulteriore.3 Curiosa è la favola
immaginata per l' Iride, figlia del Sole e dell'Aria, ancella di
Giunone; ed assai bella artisticamente, per quanto erronea
nella sostanza, è la comparazione che tenta spiegarne la causa :
Nate, igitur siquando sedens aestate sub altis
Porticibus, forte aut nemorum viridante sub umbra,
Auratum admoris labris sitientibus amnem,
Ne pigeat, simul ac gelidum cratera liquorem
Hauseris, ardentem ad Solerà atque ad lampada Pboebi
Sistere, post altam tua lumina ferre sub umbram;
Illicet aspicies Solem laquearibus ipsis
Fornicibus sive in mediis aitavo columna
Fulgore, oppositam radius dum flectit in oram
Lubricus effusoque super loca lumino lambit:
Haud aliter, levi in nube coeloque quieto
Obliquus cum se radiorum impegerit ardor
Nubila per, conversa acies in fronte resultat,
Flectuntur retro radii, fit protinus arcus
Ille quidem varios ducens e nube colores.*
' Meteor., v. 507-511.
* E. Gothein, op. cit., p. 427.
3 Boemo, op. cit, p. 12.
* Meteor., v. 1124-1188.
308 CAPITOLO QUINTO
A proposito delle comete, il passo migliore è il ricordo storico
dei funesti presagi avveratisi per due volte, dopo le appari-
zioni del 1456 e del 1472, che il poeta illustra ampiamente
anche nel suo commento al Centiloquio, da noi altrove citato.1
Viene in fine la Via lattea, prodotta, come le comete, da un
vapore cosmico, che il Pontano impara a conoscere dalla sua
solita fonte, per attenersi alla quale logicamente rifiuta la
spiegazione e la favola che gli forniva Manilio.
Ed eccoci alla quarta ed ultima parte, la quale è meno
estesa delle altre e va, a rigore, considerata come una di-
gressione dal tema principale, giacché tratta dell'origine dei
fiumi, cioè d' una materia un po' lontana dalla meteorologia.
Questa origine, a dir vero, è molto curiosa: le fontane ed i
corsi d'acqua in genere nascerebbero, secondo il poeta, dal
raffreddamento e relativa condensazione dell'aria penetrata
nelle viscere della Terra o aderente alle rupi montane! Non
varrebbe dunque la pena di discorrerne, se, al solito, i pregi
d'arte non rifulgessero, qui forse più vivi che in altri luoghi.2
Qui specialmente ci richiama alle migliori pagine dell' Urania
una favola, intitolata dalle Naiadi, che è ad un tempo una de-
scrizione meravigliosa ed una trasparente allegoria. Le Naiadi
sono le acque, capaci delle più strane e repentine trasforma-
zioni: esse cantano sommesse nelle fonti, balzan superbe nelle
cascate, corrono, precipitano per le forre, e si stendono quete
e quasi dormenti sotto i salici della pianura; esse han nelle
1 Cfr. p. 159, in nota.
8 Interessante è il sentire le lodi che al Pontano, poeta dei fiumi e dei
monti, tributa P. Lioy, Alpinismo, Milano, 1890, p. 284: € Dopo Dante e Pe-
trarca le solitarie rupi sembrano ricadere nell'oblio. Solo nel poema latino
di Pontano apparisce il magnifico quadro d'una caduta d'acque... quadro
che si lascia addietro tutti gì' immaginarli bozzetti melensi degli arcadi, e
che credesi descriva 1' impressione provata veramente dinanzi al lìxscello
delia Morte discendente impetuoso nel Marone dalle nevi del (irmi Sasso
<1" Italia >. Pur convenendo anch' io in questo giudizio, mi dispiace tuttavia
di dover correggere in un punto l'ex-presidente del C. A. I.: (ìioviano non
ci descrive in Meteor., v. 1400-1412, un torrente precipitoso, ma il ritmico
stillare, goccia a goccia, d'un di quei fonti che bene 1' Ameriuch, op. cit.,
p. 222, indicava col vocabolo tedesco Tropf'hrunnen. L'errore del Lioy sta
nell'aver letto, in una cattiva edizione, « perpetuus terror est stillantibus
undis » invece di <tenor>.
I POEMETTI DEL PONTANO 309
membra il caodor delle spume, e nell'occhio e nelle trecce
l'azzurra ombra delle insenature e dei laghi:
Nunc fessae laetas ducunt per prata choreas
Arboribus tectae ac circumvariantibus umbris,
Nunc tenues mulcent gratis concentibus auras,
Aut amne in medio ludunt, vitreisque sub undis
Lascivae alternant agiles per brachia motus,
Lubricaque intorquent niveis vestigia plantis.
Enatat haec levesque manus et brachia monstrat,
Aut teneram latus, aut molles cum poplite suras;
Desilit illa petens imum, splendetque sub undis
Marmoreum foemur et cervix argentea et illae
Deducunt coelo divos quae ad furta papillae ;
Mox resilit flavumque caput nigrantiaque effert
Lumina, tum niveo quae purpura fulget in ore.1
Non manca qui, come si vede, quell'elemento afrodisiaco ch'è
tanto caro al Pontano, quando può dar libero sfogo ai fanta-
smi che gli brillano nella mente.
Ma il pregio migliore di quest' ultima parte sta nella chiusa,
che molto abilmente dall'argomento speciale dei fiumi assurge
ad una sintesi di tutti quei fenomeni meteorici e tellurici, che
assiduamente s' affaticano alla trasformazione della crosta del
nostro globo. Mutano le valli e i piani per il lavorio delle
acque, come mutano i continenti per l'azione sommata di tutte
le forze rinnovatrici. Non vedemmo dall'antichità ai nostri
giorni cangiata quasi la faccia della Terra ? Attendiamoci
adunque di veder sparire anche i monumenti e le memorie
della civiltà nostra, che i posteri verranno a scavare negli
strati del suolo, come noi facciamo per quelli dei nostri re-
moti progenitori:
1 Meteor., v. U23-1435. Mi piace dichiarare d'aver fatto mio, a propo-
sito di questi versi, il commento dell'AMERiucii, p. 228: « Id genus descrip-
tionum, quod est in hoc capite et plerisque aliis praecedentibus, non solimi
condiunt severitatem harum rerum, ac tedium lectionis levant, sed arguunt
etiam ingenium auctoris. Fabulas enim escogitare, et apte rebus institutis
accomodare, ut Pontanus facit, non minorem in poeta commendationem ha-
bet, quam res ipsas recte exponere. Et hoc unum esse de precipuis ezistimo,
quae hunc poétam veteribus aequare videantur ».
310 CAPITOLO QUINTO
Adveniet lustris properantibus aetas,
Cuna pelago emerget tellus nova, cuna mare terris
Incunabens mole ingenti sinaul oppida et arces
Cultaque sub rapido secum feret hausta profundo.
Nullus honos reguna tunaulis, impune deoruua
Tempia ruent, idem fluctus pecudemque Jovemque
Auratum amiget scopulo, exitium omnibus unum,
Et clades una absumet iuvenesque senesque,
Matres atque viros et corpora cara nepotum,
Nec natum complexa parens miserabilis hudis
Proficiet lacrinais, clamantem et acerba gementem
Coeruleus cano vortex absorbet hiatu,
Et vota et pictos secum feret unda penates.
Non ullae ultra relliquiae aut monumenta manebunt,
Non rerum labor, aut operum vis edita coelo ;
Maiestas ipsa ingeniis, decora illa sororum
Aonidum, confecta situ atque in nube iacebunt,
Cunctaque sub tenebris et opaca nocte tegentur.
Parte alia exsui'gent immani corpore montes,
Et nigra primo coelum caligine tingent
Fumosis iuga verticibus, nondum aere aperto,
Nec sicca tellure satis. Post tempore certo
Terra recens, coelumque novum, nova litora, et budi
Labentes passim lynaphis crepi tanti bus amnes
Incipient praebere novis alimenta colonis,
Paulatimque novus fato instaurabitur orbis.1
Questa palingenesi poetica, come giustamente la chiamò il
Tallarigo,2 ispirata da alcune parole di Aristotele, ha, secondo
il Bonito, un alto valore nella storia della scienza paleontolo-
gica;3 ed ha per noi, oltre al pregio dell'arte, anche un inte-
resse astrologico non trascurabile. Pareva invero che, dopo i
primi capitoli di questo libro delle Meteore, il Pontano si fosse
scostato dalla teoria astrale, e quasi ci rimordeva di seguirlo
colla nostra critica. Ma né egli, né noi eravamo fuor di strada.
I fenomeni che avvengono nel regno degli elementi non di-
pendono forse dalle influenze delle stelle? non sono forse i
mezzi onde i pianeti e le costellazioni agiscono sulla faccia
fisica del mondo, sul teatro delle vicende storiche e morali
1 Meteor., v. 1574-1599.
* Tallarigo, op. cit., II, p. 603.
8 Boffito, op. cit., p. 14.
I POEMETTI DEL PONTANO 311
dell' umanità? E questa chiusa non ei prova che il poema, che
ne canta il nascere e lo svolgersi, è il necessario complemento
dell' Urania? A ragione dunque lo scrittore, nel levarla mano
dall'opera, invoca per l'ultima volta la sua bella amica ce-
leste, la Musa dell'astrologia.
VII.
Ho detto, discorrendo del Basini, che l'arte sua di poeta,
di gran lunga superiore alla perizia di lui scienziato, prean-
nunziava una perfezione formale, che solo più tardi, verso la
fine del secolo, si sarebbe maturata. Tal perfezione, che non
trovammo nel Bonincontri, troviam nel Pontano, uno dei pili
squisiti verseggiatori latini che l'età moderna abbia avuti.
Questo giudizio, che non è nuovo alla critica, ha per me piena
riconferma dallo studio dei due poemi, nei quali la purezza
della lingua, l'eleganza delle frasi, la correttezza agile del verso
son davvero insuperabili. Qui non si scorge — parlo della reda-
zione definitiva — quella indulgenza nell' accoglier vocaboli e
costrutti propri ai poeti della decadenza romana (si pensi alla
pericolosa famigliarità con Manilio), che macchiano invece leg-
germente altri scritti. Il modello virgiliano, tante volte esaltato
nell'Urania, lascia sempre ed ovunque ammirare la sua benefica
influenza, che tempera e rafforza il libero volo della fantasia,
e fu una delle cause più sicure della fortuna e della fama del
Nostro presso i contemporanei ed i posteri.
La citazione, con la quale comincia questo capitolo, prova
infatti che assai presto, vale a dire sin da quando il poeta
aveva annunziato d'essersi messo a scrivere d'astrologia in
versi, l'attesa intorno a lui era grande. E crebbe naturalmente
quando la pubblicazione di altri scritti minori, e specialmente
delle liriche, gli procurava nome sempre più chiaro.1 Nessuna
1 Una prova di questa riputazione è la laurea poetica conferita a-Gio-
viano da Innocenzo Vili, il 28 genn. 1486; cfr. E. Pébcopo, Pontaniatia,
estr. dagli Studi d. lett. ital., Ili, 1902, p. 8. Un' altra prova di stima può
essere il busto in bronzo del Museo di Genova (riprodotto nella cit. mia
312 CAPITOLO QUINTO
meraviglia pertanto che poco dopo il 1490 i dne poemetti, ap-
pena copiati in pulito, abbiano avuto divulgazione anche fuori
di Napoli, a Firenze, per esempio, dove Pietro Crinito traeva
copia dei migliori episodi. 1 Neil' Accademia poi il lento la-
vorio di perfezionamento, onde usci la seconda redazione,
doveva essere spiato, soprattutto dai giovani, con immenso
amore; ed allorché il testo definitivo fu costituito, intorno
al vecchio maestro con quale slancio i quindici discepoli si
strinsero ad ascoltarne la lettura e il commento!2 Non ho
mai saputo rappresentarmi questa scena, senza provare un
senso di commozione e di rispetto; e spesso, pensando alla
qualità degli ascoltatori, molti dei quali furono in seguito o
già eran poeti di grido, m' è venuto spontaneo di parago-
narla ad un altro quadro a quei tempi frequente. L'ho av-
vicinata cioè ad una di quelle botteghe o studi di pittori o
scultori, nei quali l'artefice vecchio non soleva tanto impar-
tire l'insegnamento teorico, quanto lavorare ed illustrare le
proprie opere in mezzo ai giovani, che apprendevan cosi
l'ispirazione e la tecnica, l'anima e la maniera del maestro,
ritenendo poi sempre, anche dopo nuove vicende e trasfor-
mazioni, in sé l'impronta della scuola. Questo avvenne infatti
nel nostro caso: il Sannazaro, il Cotta, il Cariteo, l'Anisio
mostrano chiaramente i segni dell' educazion pontaniana; ina
più di tutti n' è imbevuto Scipione Capece, 1' autore del De
principiis rerum. 3
ediz.), che io propendo a credere non molto posteriore a questa data, pt'r
due ragioni. Sotto il busto, nell'iscrizione, il Pontano e detto precettore di
Alfonso duca di Calabria, che non era dunque ancora re : ma sulla fronte di
quel pregevole ritratto si notano due tacche, destinate senza dubbio ad as-
sicurare la corona d' alloro della laurea, che era dunque già conseguita.
1 Pontini Carmina, Firenze, 1902, I, p. xxxiv.
* Trascrivo qui la postilla che il Borgia premetteva all' Urania nel cod.
Vat. lat. 5175, da me pubblicata in Pontani Carmina, I, p. xxxv : « Cai. fe-
bruarii 1501 Pontanus legere coeplt suarn Uraniani in sua achademia, cui
lectioni fere semper qnindecim generosi et eruditissimi viri affuere ; nec
vero ipse ego Hieronymus ullum unquam praeteril diem, quin adcsscm, et
quae potui in margine anotanda curaverim, quae quidem sunt ab eiusdem
auctoris oraculo exprompta ». Nello stesso cod. si leggono altre lodi al poeta,
in versi, che pure pubblicai nel luogo citato.
3 C. Tallarioo, op. cit., I, p. 185.
I POEMETTI DEL FONTANO 313
Morto il Pontano, i poemi dalla stamperia di Aldo nel 1505
si diffondevano per tutta Italia, e fuori. Seguirne il cammino
sarebbe una ricerca interessante, ma che sorpasserebbe i limiti
dello studio presente. Da noi ne parlò con grandi lodi l'Ariosto,
che in qualche cosa ne trasse anche profitto: l ma altri ne giu-
dicarono forse con una punta d'invidia, si che dovette ripren-
derli garbatamente Lilio Gregorio Giraldi.2 Dalla Germania
ci venne il commento dell'Amerbach alle Meteore, che noi co-
nosciamo. Nel medesimo tempo, accanto ai critici, sorsero i
continuatori, cioè i poeti didascalici, di cui sovrabbonda il Cin-
quecento — il Capece stesso, già citato, è di questa schiera —
i quali tennero il Pontano per loro modello. Non starò ad ad-
ditar le prove di quest' affermazione nell* Augurelli, nel Pa-
leario, nel Palingenio ; soltanto rammenterò l'opera, che ar-
tisticamente di tutte è la più bella, del Fracastoro, dove è
bene in mostra non solo l' influenza, ma il nome del Nostro. 3
E ricorderò, a titolo di curiosità, limitazione dell' Urania fatta
dal Folengo nel suo bizzarro poema.4
Nel secolo successivo l'astrologia era viva ancora, e forse
manifestava un leggero risveglio, quel risveglio di energie
che preannunzia spesso la fine.5 Inoltre la poesia degenerava in
« Cfr. p. 292.
2 Gyraldus, De Poètis, ed. Wotke, p. U : « Urania vero, Meteora, He-
speridum horti, Eclogae, Epigrammata, Elegiae, et cetera Joviani Pontani
Umbri carmina et quae plurima pedestri oratione scripsit, faciunt, ut in
his tabularum imaginibus illum inter proceres commemorem, quin et cum
omni fere antiquitate conferam, tametsi non idem, ut quibnsdam videtur,
in omnibus praestat (nonnunquam enim nimis lascivire et vagari videtur)
nec piane ubique se legibus astringit. Quod iis minus mirum videri poterit,
qui illum sciverint in magnis regum et principum negotiis diu versatum et
modo bellorum modo pacis condiciones et foedera tractasse non minus quam
Phoebum et Musas coluisse. Quis tamen eo plura ? quis doctius, quis elegan-
tius?quis denique absolutius composuit? enucleatius? exquisitius? Et licet
eius quidam hoc tempore gloriae parum aeqni sint extimatores, non illis
tamen ipse concedam, ni meliora vel ipsi fecerint vel ab aliis facta attù-
lerint, id quod ad hanc ipse diem non vidisse fateor, nisi si quis fratrem
tuum, Juli, Jacobum Sadoletum attulerit, vel cum fratre tuo Petrum
Bembnm, etc. ».
3 Tallaeioo, op. cit., II, p. 696.
4 B. Zumbini, L' astrologia e la mitologia nel Pontano e nel Folengo,
in Rassegna critica della lett. it., II, p. 7.
5 A. Belloni, Il Seicento, Milano, p. 8 e 468.
314 CAPITOLO QUINTO
quel gusto caratteristico, che dal secolo prese appunto la de-
nominazione, ma che ebbe radici molto più lontane, nel Quat-
trocento stesso, in quel genere d'arte nutrita di mitologia, nel
quale Gioviano fu sommo. Nulla di più naturale dunque
che nel Seicento l'opera sua fosse in pregio ; ed io mi figuro
l' Urania e le Meteore nella libreria d'un ipotetico don Fer-
rante, al luogo d' onore, fra il De vita propria di Gerolamo
Cardano e gì' Idilli di Giambattista Marino.1
Dopo, dal Settecento ai nostri giorni, per quel eh' io son
riuscito a scoprire, il nome del Pontano fu ricordato special-
mente per le liriche e per i Dialoghi; i quali destarono, an-
che in tempi recentissimi, l'ammirazion della critica, alquanto
mal disposta verso quegli scritti ove c'entrava l'astrologia. Io
non nego l'eccellenza di quelle opere; solo mi lusingo d'esser
riuscito a stabilire un po' d' equilibrio nel giudizio comples-
sivo, sollevando ai dovuti riguardi le parti migliori, e non
son poche, dei due poemi.
1 Quel eh' io immagino può aver delle prove. In Casanatense ci son tre
manoscritti, contrassegnati dai n.> 770, 879, 1485, che io ritengo tutti del
sec. xvii (il primo porta la data del 1666), contenenti regole, aforismi, ta-
vole astrologiche, e sono forse quadernetti di scuola. Orbene nel primo, a
pag. 269, è riportato, accanto a citazioni di Manilio, di Firmico, del Car-
dano, un passo del De rebus coelestibus ; e nel terzo, che è quasi inte-
ramente un centone poetico, a p. 7, senza nome d' autore, si leggono al-
cuni versi dell' Urania.
INDICI DEI NOMI E DELLE COSE NOTEVOLI
^4) Indice storico.
Abano (d') Pietro pag. 55, 110, 218.
Accademia Platonica 127, 152, 213 ;
Pontaniana 125, 226, 260, 312; Ro-
mana 129.
Agostino (Sanf) e l'astrologia 52, 55,
221; e la magia 181, 182; studiato
dal Ficino 207; dal Pontano 250.
Albategni 50.
Albumasar 53.
Alcabizio studiato dal Bonincontri
136; dal Pontano 244; dallo Sta-
bili 136.
Alenino 58.
Alfagrano 50, 53; noto a Dante 59; e
al Pontano 244.
Alighieri Dante e l'astrologia 55, 56,
59; sua teoria della Fortuna 61,
248; e la poesia del cielo 5, 11.
Alighieri Jacopo 62, 63.
Allegretti (degli) Jacopo 83.
Ambrogini Angiolo Poliziano 126, 148,
213.
Amerbach Yito 203, 313.
Anisio Giano 226, 312.
Apollonio da Rodi 81.
Apuleio 181.
Aquaviva Andrea Matteo 238.
Aragona (d') Alfonso I 120, 124.
Aragona (d') Alfonso II duca di Ca-
labria 289.
Aragona (d') Ferrante I 125.
Aragona (d') Ferrante II 235.
Arato da Soli 17, 18, 21; e Manilio
35; divulgato dal Bessarione 76 ;
imitato dal Basini 93; dal Pontano
269.
Archimede 17.
Arezzo (d') Ristoro 58, 64, 65.
Ariosto Ludovico 107, 292, 313.
Aristarco da Samo 16, 27.
Aristotele 16, 29; e il Bonincontri 166,
173; e il Pontano 239 sgg., 304.
Augurelli Gio. Aurelio 313.
Averroé 53-56; e il Bonincontri 173.
Avieno Rufo Festo 24, 76.
Avito (Sanf) 176.
Avogario Pietro Bono 110, 113, 111.
Barbaro Ermolao 237.
Basini Basinio da Parma, suoi studi
77-80; sue opere: V Isotteo 78; la
Meleagride 79; V Esperide 80; gli
Argonautici 81; gli Astronomici
84 sgg.; e l'astrologia 91.
Beccadelli Antonio Panormita 121,
133.
Bellanti Lucio 227, 228.
Bembo Pietro 248, 313.
Beroaldo Filippo 111.
Beroso 27.
Biondo Gaspare 129.
Boccaccio Giovanni 56, 57, 186, 267.
Bonatti Guido 111, 218.
Bonincontri Lorenzo da San Miniato,
biografia 118 sgg., 131 ; opere : i
Poemi 141, 15-4 sgg., 158, 163 sgg.,
174 sgg., 260; il Commento a Ma-
nilio 145 sgg.; storiche 137, 138;
minori poetiche 125, 133, 139, 140,
197; minori astrologiche 135-137,
142, 143, 153, 237; e il Ficino 204,
206; e il Pico 198, 218; e il Pon-
tano 232, 256, 258, 263, 264, 274.
Borgia Girolamo 260, 295, 299, 812.
Callippo da Cizico 16.
Camara (da) Antonio 114.
Camatero Giovanni 47.
316
INDICI
Canisio Egidio da Viterbo 248, 302.
Capece Scipione 312, 313.
- Capella .Marziano 49, 98.
Cardano Fazio 117.
Cardano Girolamo 117, 314.
Canteo (Gareth) Benedetto 312.
Cameade 210.
Catany (di) Giovanni 108.
Catasterismi dello Pseudo-Eratoste-
ne 22.
Chénier Andrea 6, 11.
Cicerone traduttore di Arato 23, 76;
e l'astrologia 239, 244, 272.
Codice Ambrosiano R. 12 Sup. 155;
Barberiniano XXX. 104 134; Casa-
natense 770, Cas. 879, Cas. 1485
314; Corsiniano 706 132; Estense
lat. n.° 408 136, 142; Laurenziano
mediceo XXIX. 3 135, 150, Lan.
med. XXIX. 5 133, Lau. med. XXXIV.
52 154, 157; Magliabechiano stroz-
ziano VII. 1099 124, 155, 158, Mgl.
stroz. XXV, 559 137, Mgl. stroz. II.
II. 41 187, 202; Marciano latino VII.
232 248, Mar. lat. VIII. 66 237, Mar.
lat. Vili. 76 142, 143; Napoletano
(Naz.) VI. C. 23 250; Parigino (Naz.)
latino 7417 128, 143, Par. lat. 8342
156, Par. lat. 11088 138; Riccar-
diano 837 132 ; Vaticano latino
2833 156, Vat. lat. 2837 259, Vat.
lat. 2838 259, Vat. lat. 2839 230,
238, Vat. lat. 2840 265, Vat. lat.
2844 155, Vat. lat. 2845 141, Vat.
lat. 5175 812; Vaticano Capponi
56 132; Vaticano Regina 1 1 15 142;
Vaticano urbinate 703 155.
Copernico 223.
Coppola Francesco conte di Sarno 247.
Corsini Amerigo 205.
Cortese Paolo 231.
Cossa (del) Francesco 115.
Cotta Giovanni 312.
Crinito (de' Ricci) Pietro 148, 260, 312.
Dagomari (de'.) Paolo 57, 63.
Dati Goro di Stagio 68 sgg., 74, 182.
Davalos Ferdinando march, di Pesca-
ra 235.
De Ferrariis Antonio (il Galateo) 226.
Della Fonte Bartolomeo 126, 146.
De Petruciis Antonello 188.
Diogene stoico 239.
Empedocle agrigentino 14.
Epicuro e V astrologia 29, 178, 217.
Eraclide Pontico 15.
Eratostene alessandrino 22.
Esiodo 7, 14, 19.
Eudosso di Cnido 16, 17, 27.
Fazio Bartolomeo 254.
Ficino Marsilio e l'astrologia 203, 206,
211 ; e il Bonincontri 126, 127, 152,
153.
Finnico (Giulio) Materno l'astrologo
46; e il Bonincontri 149; e il l'ico
218; e il Pontano 244.
Folengo Teofilo 313.
Fracastoro Girolamo 313.
Fulgenzio 186.
Galilei Galileo 117.
Gallina Tolomeo 121, 147, 232.
Gaurico Luca 115, 117, 156, 198.
Gaza Teodoro 78.
Gazolti Francesco 211.
Genazzano (da) fra Mariano 248, 302.
Germanico (Cesare) 23, 76; e il Pon-
tano 266, 285.
Giraldi Lilio Gregorio 198, 275, 313.
Gregorio (abate) da Monte Sacro al
Gargano 176.
Jamblico 46.
Igino 9, 24, 49, 75; e il Basini 92,
94 sgg.
Innocenzo Vili 311.
Isidoro di Siviglia 48, 49.
Keplero 196.
Latini Brunetto 57, 58, 282.
Lattanzio 181.
Leopardi Giacomo 11.
Lorenzi Lorenzo 133.
Lucrezio (T.) Caro 22; e il Bonincon-
tri 168; e il Pontano 274, 805.
Lunardi Camillo 127, 186.
Macrobio 267.
Malatesta Novello signore di Cesena 89.
Malatesta Sigismondo Pandolfo si-
gnore di Rimini 83, 88.
Manetone 27; Pseudo-M. 46.
Manfredi Bartolomeo 108, 110.
Manilio Marco, suo poema 84 sgg.,
47, 206; suo valore artisti 00 12
suo pensiero morale 10, 30, 40 sgg.,
219; edizioni 76, 106, 145, 146; e il
nasini 91; e il Bonincontri 121, 145,
175, 183; e il Crinito 148; e il Pico
218; e il Pontano 203, 244, 281, 283,
287, 290, 292.
Manuzio Aldo 255, 260, 818.
Marino Giambattista 814.
Marsi Paolo 129.
Marsi Pietro 129.
INDICI
317
Manilio Michele 275.
Medici (de') Cosimo il Vecchio 208.
Medici (de') Giovanni (Leon X) 205.
Medici (de') Lorenzo il Magnifico 125,
133, 210.
Menandro 12.
Middelburg (di) Paolo 115-117.
Milton Giovanni 182.
Monti Vincenzo 11.
Miiller Giovanni Regiomontano 115,
116, 145.
Neckam Alessandro 58.
Negro (di) Andalò 57, 186.
Nigidio Figulo 33.
Novara Domenico 115.
Omero 13; e il Pontano 284, 295, 299.
Ovidio 23, 291.
Paleario Aonio 313.
Palingenio Marcello 313.
Palmieri Matteo 187, 200 sgg.
Pardo Giovanni 251.
Parlione Pietro 90.
Parmenide 14.
Peruzzi Baldassarre 115.
Petrarca Francesco 56.
Pico della Mirandola Giovanni 214,
215, 229; sua confutazione dell' a-
strologia 198, 215, 216 sgg., 224; e
il Bonincontri 198; e il Ficino 208,
212; e il Manilio 275; e il Ponta-
no 229.
Pico Giovan Francesco 214.
Pirovano Gabriele 227.
Pitagora 14, 15.
Platone 15, 28, 272; e il Bonincontri
152, 166, 171, 172, 195; e il Ficino
205 sgg.; e il Palmieri 201; e il Pon-
tano 271, 272, 275.
Plinio 186.
Plotino 45, 208, 221; e il Ficino 206,
207.
Polemarco 16.
Pontano Adriana 259, 288, 290.
Pontano Aurelia 257, 288.
Pontano Eugenia 244, 257, 288.
Pontano Giovanni Gioviano 79, 231,
233, 236, 251, 311; e l'astrologia
199,227,229,252; e il Bonincontri
123-125, 130; opere: 1' Urania 200,
237, 254, 261 sgg., 295, 311; le Me-
teore 237, 255, 261, 302 sgg., 311 ;
gli Orti delie Esperidi 263, 313;
le Egloghe 263, 302, 313; gli Amori
256, 802; l' Amor coniugale 282,
288, 302; i Tumuli 263, 288, 301,
802; le Laudi divine 250, 258, 302;
le liriche 288, 302, 818; VEridano
290, 291; filosofiche 237, 245, 246,
249, 272; astrologiche in prosa 230,
237, 238, 244, 258, 261, 296, 814;
i dialoghi 237, 246, 249, 270, 301,
302.
Pontano Lucia 257, 258, 288, 300.
Pontano Lucio Francesco 234,257, 288.
Porfirio 46, 181, 203, 207.
Posidonio 33.
Proclo 46.
Prodromo Teodoro 47.
Pulci Luigi 126.
Purbach Giorgio 115.
Rabano Mauro 49.
Regiomontano Giovanni, v. Miiller.
Regiomontano Roberto 116.
Riario Raffaele cardinale 128, 147.
Romano (da) Ezelino 56.
Rovere (della) Giuliano (Giulio II)
129, 140.
Sacrobosco (Alifax) Giovanni 50, 51.
Sadoleto Jacopo cardinale 313.
Sannazzaro Jacopo 312.
Sassonia (di) Giovanni 49.
Savonarola Girolamo 214, 224, 225 ;
e il Pico 214.
Sesto Empirico 219.
Sforza Ascanio cardinale 129, 138, 143.
Sforza Costanzo 127.
Sforza Francesco 119, 138.
Sforza Giovanni 127, 143.
Sidrac (il libro di) 53.
Silio Italico 306.
Sisto IV 128, 140.
Stabili Francesco (Cecco d'Ascoli) 55,
65 sgg., 136.
Stella ferrarese 259, 288, 290; v. Pon-
tano Gio.
Sulpizio Pomponio 129.
Summonte Pietro 226.
Svevia (di) Federico 11 56, 292.
Thaon (di) Filippo 51.
Tifernate Gregorio 232.
Tolomeo Claudio 29, 45; sue opere
45, 50, 296; e il Bonincontri 135,
143; e il Pico 217; e il Pontano 135,
237; e lo Stabili 135.
Tommaso (San) d' Aquino 55, 56, 59.
Toscanelli (Del Pozzo) Paolo 115, 117,
145, 200, 212; e il Bonincontri 126;
e il Pico 212.
Traversari Ambrogio 200.
L'berti (degli) Fazio 63-65.
318
INDICI
Valerio Fiacco 81, 291, 208.
Vannucci Pietro Perugino 115.
Varazze (da) Jacopo 140.
Varrone 33.
Virgilio e l'astrologia 22, 298; e
Pontano 262, 2G6, 284, 295, 301.
Zanella Giacomo 10.
li) Indice astrologico.
Adone 266; v. Sole.
Allegorie astrologiche medioevali 51,
71; nel Pontano 262 sgg.; v. Miti
allegorici.
Andromeda (mito di) 19, 40, 290.
Angeli neutrali 180, 181, 201; ribelli
178, 180.
Antipodi 87.
Apollo, v. Sole.
Apotelesmatico (metodo divinatorio)
33, 220, 245, 294.
Aquario 100, 271, 285; nell'oroscopo
del Ficino 205.
Ariete 100, 271, 278; nell1 oroscopo
del Pontano 233, 251.
Asini (costellazione degli) 282.
Asterione 288; v. Procione.
Astrologia presso gli antichi 13, 26,
27, 28, 33, 42, 56; nel Medio evo
48 sgg.; nel Rinascimento 26, 106,
108 sgg., 112, 115, 200; religione
e scienza 52, 55, 57, 117; fonte di
poesia 12, 115; nomenclatura e par-
tizioni 81, 36, 243.
Calendario (scienza del) 50, 266.
Cancro 100, 272, 281, 293.
Capricorno 23, 100, 266, 271, 284.
Cassiopea 19, 289.
Centauro 284.
Cigno 94.
Cola Pesce (leggenda di) 292.
Comete 21, 159, 168, 308.
Corografia astrologica 261, 295, 296.
Delfino 19.
Demoni conoscitori dell'astrologia 52.
Dragone 209.
Ebone 267; v. Sole.
Elezioni (metodo divinatorio delle)
38, 220, 245, 294.
Endimione (mito di) 186-188. 256.
Ermete Trisinegisto 46, 181, 268.
Ercole (mito di) 269, 298
Fetonte (mito di) 164.
Gemelli 100, 272, 280, 806.
Gesù Cristo (oroscopo di) 54, 55, 67,
195.
Giano 266; v. Sole.
Giove (il cielo) 14, 18, 268, 269; (pia-
neta) 169, 170, 194, 269, 271. 275;
suo influsso 203, 235; domiciliato
in Sagittario 284, in Pesci 285;
in congiunzione con Mercurio 264,
con Saturno 195, 196.
Giunone (l'aria) 268, 275, 307.
Interrogazioni (metodo divinatorio
delle) 33.
Iride 307.
Latona (la terra) 266.
Leone 95, 100, 271, 282.
Libra 100, 272, 283.
Licio 266; v. Sole.
Lucifero, v. angeli ribelli.
Luna 169, 170, 18'., 210. 268, 279
304; suo domicilio nel Cancro 272,
282; patrona della Troade e della
Bitinia 298.
Magia 180-182.
Marte 169, 170, 178, 180, 193, 208, 268,
271, 275, 278; in congiunzione con
Mercurio 264; domiciliato in Ariete
278, 285, in Scorpione 284; nell'oro-
scopo del Bonincontri 131, del Pe-
scara 235.
Medicina astrologica 82, 108, 209.
Melotesia astrologica 169, 209, 261.
Mercurio (dio) 22, 191; uccisore di Argo
267, v. Sole; (pianeta) 15, 170, 190,
203, 261, 272, 275; In congiunzione
con Giove 264, con Marte 264, con
Venere 264; suo domicilio in Ge-
melli 280, in Vergine 282; nell'oro-
scopo del Pontano 233.
Meteorologia astrol. 802 sgg.
Minerva (la mente) 268.
Miti astrologici 7, 8, 9, 262 sgg., 268.
Nodo (costellaz. del) 285.
Pastore -'tifi: v. Sole.
Pesce australe 292.
Pesci 100, 271, 285.
Plriadi 288.
Presepe (nebulosa del) 282.
Procione 287.
INDICI 319
Profezie astrol. politiche 196. Toro 100, 272, 279.
Regolo 282. Urania (favola di) 203, 263, 277, 311.
Sagittario 100, 271, 284. Venere 15, 169, 170, 191, 192, 203, 264,
Saturno 169, 170,105, 208,270,271,275; 268,271, 275; in congiunzione con
in congiunz. con Giove 195, 196; do- Mercurio 264; domiciliata in Toro
miciliato in Capricorno e in Aquario 280, in Libra 283; nell'oroscopo
285; nell'oroscopo del Ficino 205. del Pontano 233.
Scorpione 100, 271, 283, 284. Vergine 64, 100, 272, 282; (Diche) 7,
Sole 169, 170, 193, 203, 240, 265, 266, 19, 24; (Erigone) 9, 96; nell' oro-
271,275, 804; dom. in Leone 282. scopo di Lucio Pontano 234.
Stella dei Magi 196. Via lattea 35, 808.
Stoici (astrologia presso gli) 30, 34. Zodiaco 100, 193, 276.
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