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Full text of "La prima e la seconda cena : novelle"

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STANFORD  univeusitylibraries 


STANFORD  UNIVERSITY  LIBRARIES 


ÉPÌ 


i 


LA      PRIMA 


LA  SECONDA  CENA 

NOVELLE 

DI 

AinONFRAJ^CESCO  GRAZZINI 

^  ■ 

DETTO  IL  LASCA 

Alle  quali  si  aggiunge  una  Novella 
che  ci  resta  della  terza  Cena. 


MIL  4  HO 

IMDa  Soeiilà  Tipografieif  Dif  CtASiici  Itaua]|% 
•BQlnda  di  i«  Blar^heriuii  M.*  iii8« 

ANNO   l8lO. 


\S\C 


OtI   EDITORI 


ÉM  Ma« 


COLTI  ASSOCIATI» 


E. 


ccovif  o  cortesi  Associati^  tultìmù 
Volume  della  nostra  Raccolta  di  Novelle^ 
Esso  contiene  le  Cene  di  Antonfranoesco 
Grattini  9  detto  il  Laioa  j  da  noi  annun^* 
dato  nel  nostro  Manifesto  fra  i  Norelliert 
dei  secolo  xri.  Intorno  al  premo  di  questa 
Novelle  basterà  il  dire  ^  oh  esse  citata 
fiuvfao   dagli  AccademUA  della  Crusca  f 


come  uno  'de^  fonti  più  limpidi  della  pura 
e  gentile  favella  italiana ,  siccome  leggere 
potete  nella  Dedica^  die  qui  tosto  siegue, 
al  Sig.  Conte  j4ntonio  Maria  Borromeom 
La  nostra  edizione  è  fatta  suW  accuratis^ 
sima  di  Livorno ,  colla  data  di  Londra^ 
Bancker^  i^%^-  in  8.%  da  cui  prese  abbia^ 
wno  le  annotazioni  ancora ,  che  {tengono 
comunemente  attribuite  ad 
Saivini.  Fivete  feUci. 


t 


ì 


i 


TU 
▲     SV  ÉL     ICGILLINSA 

i 

n  SÌGtfOA  CONTM 

ANTONIO  MARIA  BORROMEO* 

G.  P. 

Salute» 


>  J\  nitmo  meglio  che  a  voi^  nobili»^ 

I  Simo   Sìg.  G)nte  ,    e    dovuta    V  offerta    di 


uuo   di    quei    Novellatori   che    ho  preso  a 
ripubblicare    con    tutta    quella    cura    che 
'^  per  me  si  può    maggiore;   o    si    ragguardi 

I  la  vasta  erudiiioae  di  cui  siete  adorno  •  d 

il  genio  particolare  e  lo  studio    che    avete 
appunto  fatto  in  questo  genere  di  Compo^ 
ni  mento ,    nel    quale   la    nostra   lingua    ò 
■  abboadevolmtnte  ricca  sopra  di  ogni  altra 

l 

m 


oogl  antica  cbé  moderna.  Chiara  prova  di 
ciò  Rara  il  Gitalogo^  ra§Ì0BaC0K  che  de'  No* 
▼elbtori  componeoti  ia  vostra  doTisiosa 
Raccolta  siete  prooto  a  pubblicare,  il  qua- 
le è  desiderato  con  tanta  impazienza  ;  on- 
de è  eh*  lo  pmtt  nniteò  la  mhr  nHe.altfliu 
premure  »  predandovi  vivamente  a  solleci<- 
tarne  la  puDDlicazione.  E  nel  vero  non 
può  negarsi  che  molto  Vantaggio  esso  non 
aia  per  arrecare  alla  letteratura  Italiana  ^ 
offerendoci  un  quadro  della  più  compita 
raccolta,  che  in  questo  genere  possa  ovun* 
que  trovarsi  »  aaorno  di  molte  non  men 
belle  che  peregrine  notizie,  che  illustro* 
ranno  non  poco  V  istoria  letteraria  Italia- 
na t  la  quale  in  questa  parte  non  è  chia- 
ra gran  fatto  (i). 

Egli  è  dunque  cosa  convenevole  cb^o 
aottoponga  al  purgato  giudizio  vostro  que- 
ala  mia  ristampa  coirìndustrìe  dai  me  usa- 
te per  renderla  corretta  ed  ilJusIrata,  onde, 
meritarmi  in  qualche  modo  non  meno  il 
vostro  9  che  il  pubblico  compatimeMo  ;  ed 
ecoomi  a  darvene' contd.         ^  ' 


'  {t)  Qa^M<^aliMb^  é$l  ckiarissim9 
S^  Come  Bérmmeù  Ju  pei  pìibb^cmto  in 
tassano  oD*Hp)  di  RtftiMadini  i8ò5.  8.*, 
«  nal  i?94«  era  già  itaflk  pnre  in  Bassano 
licafa  la  ttOtitli'^'AB*  Notetlierì   0osse- 


SubMicafa  la  ttotitli'''»*  liotetlieri   ^sse* 
uti   dallo   steisd'  "Sil^   ^nta  c#à  alunne 
mevelle  madita.  GU  Métti: 


Il 

PrlmierameDte  io  Y  ho  tratta  dlalla 
prinui  sincera  edbione  di  Parigi  «  che  coi* 
la  finta  data  di  Londra  fa  pubblicata  nel 
1756.,  la  quale  è  tenta  dubbio  migliore  e 
pi  A  fedele  d^ogni  altra  ebe  finora  si  abbia; 
ed  è  attche  aMii  corretta  »  per  quanto  puÀ 
essere  un  nostro  libro  stampato  in  paese 
forestiero.  Piceolissmi  -  sotio  slati  i  cambia- 
menti da  me  fatti  nell*  ortografia  «  e  poeh( 
e  di  lieve  momento  soao  quelli  relativi  al 
testo.  Il  maggiore  di  essi  è  quello  che  iir^ 
edintrasi  alla  pag.  289.  Ter.  5.  del  tomo 
primo  (i)  9  ove  leggesi  Impassi  in?eee  di 
cavassi^  perchè  mi  è  sembrato  un  mani-* 
festo  errore  di  slampa  che  poteva  recar 
confusione.  L*  interpunzione  poi  è  quasi 
del  tutto  uuoya  ,  avendola  ridotta  ali  uso 
moderno  per  maggiore  intelligenza.  Né  qui 
debbo  tralasciar  cr  accennare  di  avere  an- 
cora consultata  T edizione  originale,  e  pa- 
riménte sincera ,  della  sola  seconda  Cena 
di  questo  Novelliere ,  dalla  quale  ,  come 
molto  corretta  e  sicura  ,  ho  potuto  trarre 
qualche  vantaggio.  Ho  altresì  dato  luogo 
nella  presente  ristampa  a  tutte  le  illustra- 
zioni contenuta;  in  quella  di  Parigi ,  non 
escluse  la  dedicatoria  dell*  anonimo  lulito- 
re  ^.  e  la  Diehiarazione  de*  Vocaboli  e  luo- 
ghi   più  difficili,  posta  in  fine,  che  ho  in 


mm^m» 


(i)  Della    nosùra  Edizione  pag.  240, 
9.  34. 


X 

alruni  pochi  luoghi  emeodala  ed  accresciu^ 
ta  :  e  quanto  alla  Yita  del  nostro  Autore^ 
scritta  dal  canonico  Biscioni,  che  neiredì* 
«ione  Parigina  fu  in  parte  tropea  »  io  ire 
y  ho  posta  intera ,  quale  fu  da  esso  pre- 
messa alte  Rime  del  medesimo^  pubblicata 
Jn  Firenze  nel  1741*  t  avendovi  riformalo 
il  Catalogo  delle  Opere  del  Jjasca,  da  me  a€> 
cresciuto  e  corredato  di  alcune  osservaziò- 
ni ,  le  quali  mi  lusingo  che  saranno  grate 
agli  Amatori  di  simili  studj« 

Perchè  poi  nulla  mancasse  alla  npveU 
la  edizione  di  ciò  che  potesse  accrescerle 
lustro  e  Bnimento ,  ho  voluto  corredarla 
di  alcune  Annotazioni  credute  del  nostro 
Anlonmaria  Salvini ,  nome  caro  special- 
mente alla  nostra  letteratura  e  favella  ^ 
sulla  seconda  Cena;  coo^  pure  delle  varie 
Lezioni  riguardanti  la  ?(ovella  X.  della 
terza  Cena  ,  tratte  da  un  Codice  scritto  di 
mano  del  celebre  Apostolo  Zeno;  le  quali 
illustrazioni  mi  furono  somministrate  dal 
.non  men  dotto  che  gentile  P.  Fr«  Dome- 
.nico  Maria  Pellesriui ,  cogie  più  partico» 
.larmeote  andrò  divisando, 'a  suo  luogo. 

£  poiché  dalla  sopraccennata  Vita» 
che  del  npstro  Autore  scrisse  T  accurata 
Biscioni,  si  viene  in  chiaro  df  tutte  quel- 
le notizie  che  appartengono  al  medesimo  • 
ed  agli  scritti  suoi ,  io  sono  pertanto  di* 
-spepsato  dai  farne  parola.  Ma  a  tal  propo» 
sito  non  posso  nyincar  d*  accennare  ^una^ 
notizia  recente  t  che  può  non  esser  discara 


agli  Amatori  c^egli  Scritti  del  Lfi<?cr».  il 
comune  amico  Sig.  Cav.  Giovanui  de  La- 
Eam  mi  aTyerti  di  aver  saputo  dal  Sig. 
0>nte  Giulio  Bet  nardiuo  Tomitaoo ,  amau* 
.tisiimo  egli  pure  della  letteratura  .  nostra  , 
come  erasi  di  fresco  scoperto  in  Firenze 
dair  erudito  Sig.  Abate  Domenico  Moreni 
un  G>dice  autografo  contenente' alcune  No» 
▼elle  del  Graszini  non  mai  pubblicate,  ed 
ÉTTÌsandomi  io  cbe  fosser  auelle  della  teiS 
.la  Cena  ,  cbe  con  danno  delia  nostra  lin- 
gua si  sono  smarrite ,  mi  rallegrai  non 
poco  con  me  stesso  ,  lusingandomi  di-  po- 
terne arricobire  la  nuova  edizione  ;  ma 
non  guari  andò  cbe  restai  deluso  ,  aven- 
domi  scritto  il  prelodato  Sig.  Moreni,  cbe 
n  MS.  ritrovato ,  invece  delle  supposte 
Novelle ,  conteneva  Y  Eglogbe  ed  altre  ine- 
dite Poesie  del  Lasca,  cbe  il  Biscioni  avea 
rammentate  come  perdute.  Tuttavoltaè  sem-i 
pre  da  pregiarsi  questo  ritrovamento  come 
di  Opere  di  un  leggiadro  Scrittore  ,  nelle 
quali ,  siccome  in  ogni  altra  del  medesimo, 

Ì;rande  avere  essendo  ripot^to  di  nostra 
iavella  ,  sarebbe  perciò  desidVrabile  cbe 
anche  queste  veuis<iero  decorosamente  pub- 
blicate a  maggior  lustro  delia  medesima  (i)« 


{èJ  Non  cfCffo  afhiUo  superfluo  di 
registrare  in  questo  luoso  gli  .^r^omenU 
delle  Preste  in  detto  Codice  contenute , 
soltanto  per  conservarne  memoria. 


» 


«II 

Imorno  al  inerito  ài  questo  NoveHftf^ 
ro,  specialmente  rispetto  alle  beHe  e  gio» 
ooode  invenzioDi ,  non*  fa  mestìeiHi'  eh  id 
mi  trattenga  a  rilerarlo ,  essendo  nolo  ab* 
bastanza  ;  e  per  quello  che  riguarda  lo 
etite  ,  ognuno  'potrà  per  se  stesso  ossenr»* 
ré  quanto  sia  spiritoso  e  ricco  di  naturali 
kellense,  benché  per  rerità  non  sia  sempre 
cello,  atendo'  Spesso  usato  della  lingua  ebe 
txnnun  emente  si  parlala  in  Firenze  ;  e  pe^ 
TÒ  tratte  tratto  n  a*  incontra  qualche  idio» 
tismo.  Che  poi  ki  lingua  sia  ptm ,  '  lo  di- 
iDQStra  a  sufBcienca  ileontd  che  ne  hanno 
fatto  i  Maestri  della  medesima,  Tale  a  dire 
i  Compilatori  del  gran  Yocabolario  della 
Crusca,  in  cui  citarono  e  questa,  é  molte 


L* arzigogolo  f  Commedia. 

Nella  morte  di  una  gentil  Donna. Fio^ 
rentina ,  intesa  per  Amaranta  ,  Egloga. 

Nelle  Notze  di  Cosimo  Medici  Sen  ù. 
D.  di  Toscana^  allora  Duca  della  Repub. 
Fiorentina^  Egloga. 

Amor  di  Beliheto ,  Egloga. 

Canto  di  Galatea  e  di  Filli  ,  Egloga. 

Bellezze  di  Lidia ,  Egloga. 

Sacrifizio  di  Siringa  a  Venere^  Egloga. 

Disputa  ìT  Amore  ^  Egloga. 

Disperazione  di  Tirsi  ^  Egloga.  Tutte 
queste  Opere  sono  originali,  e  heo  lunghe* 

Sonetti  59. ,  inediti. 

Letura  sopra  un  Sonetto  del  Petrarca. 


XIII 

altre  Opere 'del  nostro  Autore,  eome  pare 
porgenti  dh  hei  parlar»  Toseanfor.  • . 

Oltre  alle  aiKgetize  letterarie,  mi  iu- 
ttogo  che  questa  ristampa  dovrà  e^liere* 
accolta  faTorerolmeote,  anche  rispettò  Alla 
csecn^ne*  ttpograBca ,  essendo  stala  «arrto- 
chita  del  ritratto  dell*  Autore  maestrevole 
mente  inciso  in  rame  da  valente  Professo* 
re,  talché  è  senza  dubbio  il  più  bello  ohe 
fino  ad  ora  sia'  stata  pubblicato. 

Eccovi  dunoue.  Sia.  Conte  stknatisst- 
mo ,  quello  che  no  creduto  opportuno  di 
Car  noto,  riguardo  a  questa  nuova  edizió- 
ne ddle  Novelle  del  Lasca;  onde  non  mi 
resta  se  non  se  a  desiderare ,  che  le  cure* 
da  me  usate  per  renderla  su  periore  ad 
ogni  altra  ,  incontrar  possano  il  vostro 
cortese  accoglimento  ,  e  la  vostra  autore- 
Tole  approvazione.  E  pregandovi  a  gradire 
questa  tenue  offerta ,  come  un  pegno  del* 
la  rispettosa  atima  e  sincera  amicizia  che 
vi  professo ,  resto  col  desiderio  che  mi 
teoghiate  sempremai  nella  pr^ìatissìma  vo* 
atra  grazia. 


XIT 

ALL'lLLVSTKISItMO   SIGNOUB 
xt   tiemoMi 

GIACOMO    DAWKINS 

GAVAUEAE  INCUSSE  EO. 


ILtUSTBIS3IM0   SianOMM, 


Est 


jssenào  a  me  riuscito  di  ottenen- 
do un  Letterato  Fiorentino  la  prima  parte 
delie  Novelle. di  Antonfrancesco  Graszini 
detto  il  LasCjì  ,  insieme  con  V  ultima  No- 
vella della  terza  parte^  che  per  due  secoli 
erano  state  invano  ricercate  dagli  amatori 
della  Toscana  eloquenza  ,  fin  éC  allora  , 
cAd  la  seconda  parte  nel  i743.  fu  pubbli- 
cala  in  Firenze  colla  data  di  Stambul;  ho 
creduto  fare  cosa  grata  alia  Hepubbiioa 


corso  di  cmifue  anni  è  uata  fiuta  dai 
miei  amici  Giacomo  SiuaH^  e  Niocola 
RweU.  U Europa  tuita  ^  che  a  voi  deve  la 
descrÌMÌone  deile  Ruine  di  Paimira^  e  che 
avrà  éfuanio  prima  le  Ruine  di  Eliopoli , 
aspeUa  con  impazienza  quelle  della  Gre^ 
da  t  e  spera  dipresso  oitenerle  mediante  il 
favore  che  voi  gli  accordate.  Ferme  sarò 
contentissimo^  s^  in  mezzo  alle  vostre  piU 
serie  occupazioni^  e  grandissime  imprese  ^ 
impiegando  qualche  momento  alla  lettura 
di  questo  picciolo  libro ,  vorrete  prender 
motivo  iU  pensare  a  me  per  accordarmi  la 
grazia  vostra ,  e  valevolissima  protezione  ^ 
di  ad  istantemente  pregandovi^  resto  ftt^ 
cendovi  umilissima  riverenza. 


Londra  primo  Genna/o  lySSi 


Di  Voi  Illustrissimo  Signore^ 


Umiliti,  ed  Obbligadit.  Sesn 
I«  M*  &  F»  il« 


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VI 


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jonf^xwmsf^is^  ^BÈ$^ 


Dirrro 


IL  LASCA 


8CE1TTÀ    DAL    DOTTO  A 


jtNTONMARIA  BISCIONI 


AocADSMico  nDaEMmia 


«  «. 


v^    '" 


VITJL 


DEL 


LAS  G  A^ 


JLtfa  famiglia  Grazzini^  akrìinenti  dei- 
la  da  Sloggia^  dal  Gattello  di  oaeito  no* 
me  trasse  Torigiae.  Questo  castello  è  situai 
to  Della  Valdelsa ,  Teaticìnque  miglia  loa« 
lano  dalla  città  di  Fireoze,  salta  strada 
Romana,  che  Tattraversa  pel  meno.  È  sta- 
lo di  qualche  reputazione  negli  antichi  tem- 
pi ,  avendo  di  quello  fatto  menzione  Crio« 
Tanni  Villani  nel  lib»  5.  cap.  6.  air  anno 
1170.  e  nominindolo  poi  altre  ▼olte  agli 
anni  i3d2.  e  1341.  ne  libri  8.  cap*  6)  e 
IZé  cap.  8.  Quivi  adunque  verso  la    metà 


'4 


del  secolo  XIII.'  da  uà  ^ta1e«  per  tionip. 
\Grazzino ,  ebbe  il  tno  comiocìameDto  fa 
prosapia  del  nostro  Poeta  ;  iiccome  eaXi 
espresse  oel  principio  del  Sonetto  LXXIjE* 
(Rime  1741.  par.  I.  {yig.  43.)  il  qaal  di- 
ce : 

Jo  sono  a  Staggia^  ch^  è  la  patria  mia^ 
^  E  dermici  primi  V antica  magione^ 
O'pie  Favol  mio  nacque^  e  sei  Simona 
Sandro  Grazzin ,  cognominato  Urna. 

'  Che  in  questo  lungo  i  snoi  ascendenti  fos- 
sero stati  de*  principali  ,  e  de*  possesspri  in 
firan  parte  del  medesimo,  egli  stesso  raf- 
ferma nel  citato  Sonetto ,  soggiugnendo  : 

Ovunque  per  me  rocchio  el  piò  si  muove^ 
Varme  mia  veggio  dipinta  o  scalpitai 
Cosaj  ch'io  non  ho  mai  veduto  alerone^ 

E  questo  è  in  quanto  airantichltà  é  susta n* 
%e  dèlta  sua  Casa.  Per  quello  poi  riguarda. 
la  citiltà  della  medesima,  egli  è  da  saper- 
6Ì  r  che  essendo  già  stata  ascrìtta  fin  dal 
Secolo  XV.  alla  Cittadinanza  Fiorenttoa  , 
Brudo  di  ser  Betiedetto  nel  1524.  fu  squi6 
tinato  al  Priorato  della  nostra  Repubbiicà« 
essendo  avanti  stato  il  padre  suo  Notajo  di 
quella  Sìgaoria,  cioè  nel  1461.  Uqual  di- 
gnità era  in  quei  tempi  riputata  delle  prin- 
cipali delia  nostra  città:  e  neiristesso'aonOt 
e  di  nuovo  nel  1476.    fu    conferita  a    ser' 


5 

Kmone  di  Granioo:  nel  1483.  aser  Jaco« 
pò  sao  fratello;  ed'  ia  uldmo  nel  i485«. 
al  aao  -nifi^te  éer  Gràzziao  d'Aotonto»  che. 
{ìM,  padre  del  nostro  Antonfraocesco*  N& 
devo  tralasciare  di  dire»  che  U  carattere. 
del  Notajo  (carattere  in  ogni  tempo  giudi? 
cato  seme  o  rampollo  di  nobiltà,  come 
chiaramente  si  prova  da  D.  Piacido^  Puc^r 
anelli  nel  suo  Trattato  della  Nobiltà  del 
Notaio)  è  stato  come  proprio,  e  talvolta 
come  ereditario  in  qaesto  ramo  de'Graszi- 
ni  da  Staggia,  coniandone  io,  nello  spa« 
xio  di  167.  anni,  cioè  dal  1422.  al  iSSg. 
sino  in  undici  •*  di  nove  de*quali  si  trova?. 
BO  i  Protocolli  in  questo  nostro  pubblico 
Archivio ,  di  cui  mi  piace  riportarne  il 
catalogo,  ed  insieme  i  precisi  tempi  dei 
loro  Rogiti;  acciocché  questo  serva  di  mag^ 
giore  illustrazione  alla  Storia  di  questa  Fa- 
miglia ,  e  di  certa  notizia  degli  anni,  nei 
quali  essi  Notaj  e  fiorirono  e  mancarono. 
Sono  adunque  i  seguenti; 

Ser  Giovanni  di  Cristofano  di  Mich^ 
le  da  Staggia,  roga  dal  1422.  al  14^5. 

Ser  Bindo  d'Agnolo  di  BindodaStag« 
già  dal  1426.  al  1465. , 

Ser  Simone    di    Grazzino    di    Jacopo 

Grazzini  dal  i453.  al  i497* 

Ser  Grazzino  d*  Antonio  Grazzini  dal 
1470.  al  ì5i6. 

Ber  Tommaso  di  Matteo  Grazzini  dal 
1484.  al  iSz'ò. 


t 

'   Sèi»  Sàét^  éi  ÙréxAm  ài  Jtoo^  èm 
Staggii  d&l  1488.  al  i5>7. 

Sé^  AuIodìo  ài  BeHiardo  da   Staggia 

dal  1495.  al  1498* 

Ser  Aotonio  di  Beraardino  d^Antonia 
Gknziiiii  dal  i5òd  al  i54f  • 

Ser  Francesoo  d^AnUmio  di  Bemardir 
ìid  Oràfkilii  dal  iS49«  al  '^^  '^ 

"-    EH  ier  Benedeitò  d'Agnolo  di  Biod^^ 
IVotÉJo  db*  Priori,  come  «pra  a*  è  dattov^^i' 
di'ier  liaueo  di  aar  Homvnm M  WUtktm 
don  si  UroTano  Protocolli  in  dirtto  Ardn-c 
▼io. 'CHtraod^ò  doe  de*  sopraimofldiàati  No* 
Uj  furono  dal   nostro  Gottuna   impiMali 
in  poU^licfae  Ambasoeriei;  poidM  «aer 'wa« 
do  d^Agnok)  fu  mandato  m1  t43S.  a^To» 
«tezilaii ,  i;  nel  1448.  al  Re  d^fcghiltWTn  , 
«  #er  Simone  di  frassino  nel    1477.  '^ 
A^^bblièa  dr  GenoTa.  Uè  WÈtmùò   qiiaabi 
Pianta  d'ayere  un  Segretario  di^Grandoeiu 
^i  Toscana  Cosimo  L  e   Francesco  I.  9-  • 
Questi  ih  m.  Bernardino  di  aer   Matleov 
ttomo  insigne   e   letterato,   siccome  :^iii?i 
appresso  si  dirà;  il  qnale  ancora  andò  Aii^ 
Meiadora  nal  i556.  ni  compagnia  del  Te- 
acovo  Tomabooni ,  al  Re  /da^Romam»  eA 
a**4neIlo*d*lttgbaierra.  Ebbe   etiandio    ina 
Canonico   della    nwtra  'Metropoltoamu  :  m 
^psesti  f è  FUippedi  Già  Francesco,  il  qua- 
le  per  la  sua  prudenza  e  destresuT  £a  elal^ 
to  Priore  dell'insigne  Spedale  d^'hmocen^ 
li  di  questa  città^ 


•  i 


f 

'  ^  ìbt  pertiocòhè  -  il  più  ckiaro  «plendora 
Ae  renda  ruomo  Teramenle  D(4>ilet  «i  hi 
•A  dKre  di  Oìo?exMile«  (Sai.  S.  n  so.)  U  to- 
ta ^irlù: 

mmmm  NoMUos  soìa  csù^  atque  amica  virtmss 

* 

non  fa  priro  Talbero  it^QntAnì  di  qu^ 
ito>  diftìiitìaitiiiio .  fregio  in  ben  tre  $vèoì  «in-> 
.ttleìriiiivi  frnlti.  Uno  fu  il  fuddetlo  m, 
>  BcmardÌDO  »  ehe  il  noetro  AolonfranoeiOo 
chiagia  mo. cugino  carnale  nella  Oedieato- 
rin  dU  Borcfaiello  a  Curzio  Fregipani  ;  nu 
Miesto'  n  dee  intendere  «  hn^mente'  pir- 
latailaf  e  ibrse  àtl*iiso  d*alcttoe  naiteni,  ohe 
chiamano'  cngtni  ancora  coloro ,  cbé  non 
lo  sono  né  anco  per  parentela  ;  poiché  il 
.d^to  m*  Bernardino  era  figlinolo  d*un  bis" 
cugino  del-prefato  Antorirancesco^Qnesiit 
come  ho  già  detto,  fu  nomo  insigne  ,  ol 
oltre  il  carattere  di  Segretario  de' suddetta 
nortrr  due  Sovrani,  ebbe  quello  d* Accada 
mico  Fiorentino  :  e  com^  di  qualche  d~ 
Hinsione  fra  gli  altri,  ne  fu  parlato  in  ir- 
ticolo  particolare  a  171.  delle  Piotisie  ^di 
«nella  Accademia*  Un  altro  fu  Cosimo  di 
Lorenzo ,  vero  cugino  del  nostro  Fceta , 
nomo  molto  intelligente  della  Poesia  Lati- 
na e  Toscana,  avendo  egli  non  solamente 
emendato  il  Poemetto  del  Vida  del  Giuo* 
co  degli  Scacchi,  ma  tradottolo  ancol*?  i» 
•ttara  rima^  separato  Tuqo  dall  altro t  che 
*^  queste  iotitolasiooi  si  vedono;  il  pri- 
»o  :    Marci   Hieronymi   Vidas    Crwnon. 


SecètfyK  ludur  tf  Ctumo '^h-mMimo  milÈHda» 
tus.  Fiprvatiaé  apud  Coimum  JurUam  1604^ 
il  éeuDodo  :  il  Giuoco  ài  Atacchi  Mi  Mar- 
co Giaronimo  f^da  Cremonese  in  ottava 
rima  Jtella  Fiorencina  faveiia  da  Cotono 
frruuini  trwtoUo.  In  Fiorenxa  netìa  Stam* 
paria  di  Coiimo  GiarUL  1604.  in  4.  ed  4 
dedicato  CSD  sua  lettera  tn  diciaDDon  nvf 
ù  tciolti  AlVltUatrissinM  ed  Ecceiientùù' 
mo  Signor  Doa  Giovanni  JCmIìciV  In  qn#< 
Ma  dedicatoria  dice  il  Gnuoùoi: 

•  £  dedicato  a  voi  neW  età,  quanddf 
Fuor  vi  spuntava  il  bel  giovenU  fytra  p 
Del  magno  Cosmot  o  generoeo  figfio, 
E  n^te  di  quello  invitto  Eroe, 
Il  ^ual  per  lo  stupendo  suo  vatoM 
Il  fulmine  di  Marte  era  chiamatOt 
t     Vi  cui  voi  degnamente  avete  il  noma, 

\nlenda  di  GioTinni  de*  Medici  »  Capilantt 
jelle  Bande  nere ,  e  padre  di  Cofimo  I. 
Cnoduca  di  Toscana,  dì  cui  qaeito  O. 
"'  Gipvanai  fu  figliuolo  naturale.  Ejjli  nacque 
ùe^  1567.  e  morì  poi  in  Yeneiia  nel  1620. 
>n  Varice  di  Generale  dell'  Imperatore  q 
de*  Teneiiaai;  oude  dicendo  questo  Poeta 
•vergli  dedicala  questa  saa  traduzione  nel 
«Ore  della  di  lui  gioventù  »  si  deduce,  ciò 
estere  stato  intorno  all'  anno  1S84.  Il  mag* 
'9^  frutto  però  dell'  albero  di  questa  nk« 
^>g^,  edil  suo  più  chiaro  splendore,.  f« 
Moza  iJcun   duU>io   Antonfrances*» ,  del 


^9 
Male  io^Èùtnào-  di  qui  praeMmtnlf  par* 

mre. 

Qaesti  ebbe»  i  suoi  natali  in»  Fìrenàa 
m^  2Z.  di  Marzo  i5o3.  Suo  padre  fu  aer 
Graizioo  d*Aolonio  di-Graseino  di  Jacopo 
di  lllalteo  di  Guidacelo  di  Kodo.di  Graa« 
sino  ,•  il  qual  e  il  primo  sUpile-  della  fa- 
miglia de*  Grazziui  da  Staggia  ;  la  quale  im« 
aediatameote* ,  per  meno  di  Francesco 
altro  Bgliuolo  di  detto  Grazzino,  si  diramò, 
e  se  ne  fece  il  ramo  de*^GrazzÌQÌ^  parimca* 
le  nobili  Fiorentini,  che  pur  anco  si  man* 
tiene  nelle  distinte  persone  deU*Ahate  Gio« 
Battista  (  alla  cui  gentilezza  son  debitore 
d*  alquante  notizie  a  questo  fatto  attenenti)  e 
di  Gio.  Francesco  suo  nipote.  Da  un  fratdlo 
poi  del  suddetto  ser  Grazzino  d^Antooio, 
per  nome  Bernardino*  ne  brenne  il  ramo 
de*  Grazzini ,  nobili  della  città  di  Colle  t 
il  quale  ancor  vice  nelle  persone  dell*  A« 
baie  Bindo  Maria,  don  Isidoro  Monaco 
Caarinense,  e  del  Capitan  Domenico  «  fratel- 
li tutti  e  tre,  nati  di  Simone  di  Pier  ^a* 
ria,  e  della  Rosa  Teresa  il*Orazio  Lanfre* 
dini ,  Famiglia  nobilissima  Fiorentina  ,  la 
qaale  del  tutto  s*  è  spenta  per  la  morte 
del  Cardinale  Jacopo  {^anfredini ,  ultimo 
rampollo  della  medesima,  seguita  il  di  i6. 
di  Maggio  di  quest*aono  presente.  La  ma« 
dre  del  nostro  Anton  Francesco  fu  mona 
Lucrezia  di  ser  Lorenzo  de*  Santi,  faldiglia 
parimente  nobile ,  e  che  ha  goduto  la  di* 


va 

Soità  del  I^Mto  ^€|la  FiorentiQa  lUpaln 
lìta  :  k  quale  -moni^  LaoMfia  fa  spoiatu. 
i^  5.  di  Mano  1497*  come  appiriiM  albi 
gabelle  de*  Goutratti  Kb*  D.  148.  a  ^o. 
ed  ebbe  per  doCe  Fiorioi  710. ••omnia  m 
quei  tempr  molto  coMÌderabiler  6  da  oaae 
HobiK  di  '  questa  ojttà.  IK  •  oueslo-  matrimo« 
iiiar  nacque  tre  altri  figliaoli  maschi»  Simo* 
ne  «  Lorenzo   e  'Girolamo  »  il  quale  atutft 

Kr  mogKe  mona  Diaoora  d'Angiola  .di 
ancesco  de*  Bardi»  «on  ebbe  poi  iaa« 
itèssioiie:  e  quésto  matrimonio  apparisca 
olle  dette  gabelle  de*  Contratti  »  al  libro 
de*  Testamenti  6.  a  aoS.  Parrà  forse  ad 
alcuno»  eh*  io  mi  sia  un  po'  troppo  difiTuso 
nel  discorso  genealogico  di  questa  Famiglia 
Granini;  ma  ciò  non  è  stato  senza  giusto 
motivo.  Neiraver  io  letto»  per  favor  parti* 
oolare  del  gentilissimo  Vicesegretario  del« 
fAccademia  della  Crusca  Marchese  Aodrea 
Alamanni  (  gentiluomo  per  le  sue  rare 
qualità  d^po  certamente  d*ogni  più  distin- 
ta memoria  )  una  copia,  fatta  dal  medesimo^ 
d*  alcuni  f rammentr  di  cose  apparienenli 
olla  sua  Accademia»  che  di  poi  fo  ritrovata 
«sser^ opera  del  Trito,  cioè  del  G>nle  Piera 
fle*  /Bardi»  col  titolo  di  Diario  di  quella 
Accademia  (  1*  originale  del    quale  »   stala 

Sia  de*  Salvini»  come  il  chiarissimo  ed  era« 
itissimo  Canonico  Salvino  a  i8g.  de*  Fasti 
Consolari  deirAccademia  Fioreoetna  asserì* 
see»«ltt<dopo  dalui  alb  detta  Accademia 


•t 

deOEf  KlrttBttt  doliatò  >  avendo*  io- trova- 
tp;*  dòTé  pària  délk  laorM  Jd  noslrtf 
Scrittore,  forse  noo  bene  infortnalo  del* 
la  bisogna  9  cU*  effli  Io  chiaoia  Uomo  ^  ss 
iu  riguardi  i  suoi  natali  i  di  bassa  oóm 
iHiiofiei"  ho  '  giudicata  cosa  bea  doterò^ 
la  3  liietterer  in  ditarO  ^esta  Terftèt^óoa 
mièsto  óoQTincere  insieme  d^videale  meo* 
^ogiui  il  P*  Ne((ri ,  o  chianqne  fu  qnegit^ 
Ime'di  élraTagaatfBsimi  anaeronisimr  e  d*i» 
'finile  ùiAìk  gli  fece  rieiilpire  quella  anft 
fikftKdssima  moria  de^li  Sorittori  Fiorenft- 
^iy  dove  a  6a.  fa  similmente  nolo  il  Gsam 
Smi  dair  ultima  condizione  dC  onesti  g^ 
^iSùri. 

Ma  ripigliando  il  filo  della  sua  /vka, 
io  £00,    non   ?^  esser  memoria  che  ei  di^ 
mostri  a  chi  fosse    commessa   réducazione 
di  questo    gioTàne.    Si    sa    bensì  v  eh*  egK 
il*hnpiegò  neir  esercizio  ddlo  Speziale  v  atif- 
terchè  non  si  trovi  matricohito  a  qneH'Af^ 
te  ;  ma  può    beù  essere ,  eh*  egli  si  stesse 
imito  y^n  Zanobi   di  Zanobr  Grazzini  suo 
feòns6rto  9   e  che  nel  i5i2.  stava  alPinse^ 
gna  del  Saracino^   oggi   detta  del  Morè% 
il  canto  alla  Paglia.  Ciò  si   deduce  da  hU 
^Snnv  luoghi  ideile   sue  Rime  ;  poiché   • 
134.  della  Par.  I.  si  legge  : 


I      »  »    '      •        m 


•    E  i)edrii,  s^io  so  fare 

*'  lAUto  poi  9  che  lucignoli  o  pennecthj. 


*  ■ 

6  a  94«  àéUà  Parr  I|.  sei  Capitolo  in  Iod« 
àt^ Cafoni:  .  -^ 

Pa  che  san  causati  tanti  mali  » 
^Se  non  da  pesche^  fichi^  e  simil  frutte^ 
X  Che  mi  fanno  spacciare  i  servizialit 

Anco  Girolamo  AmeloDghi  nel  Capitolo 
aopra  la  Pa'zzia»  intitolato  Lamento  deirS^ 
thtsco  (  cioè  d*Alfonào  de*  Pazzi  )  ms.  prea« 
M  il  nostro  stampatore  9  folle  intender  di 
Ini»  allorché  disse: 

Troppo  son  pazze  queste  mie  faccende , 
Dèi  Pesceduovo  Speziai  che  ne  dite? 
Fu  tratto  quel  da  fame  le  leggende!    * 

etsendoTÌ  il  suo  Capitolo  in  lode  de'  Pe- 
aciduoTÌ,  stampato  nella  par.  IL  delle  sue 
Rime  a  6g.  ;  e  finalmente  Giovanni  Cinel** 
li  a  29.  nella  sua  i^refazione  alle  Bellezze 
di  Firenze,  credendo  di  maggiormente  esal- 
tarlo, cosi  asserisce:  Ma  veggo  immortalo 
un  GeUi  povero  calzajuolo ,  ed  un  hasca 
semplice  speziale.  Andò  però  il  Cinelli  ia 
Au«  maniere  ingannato  in  t^uesU  sua  asaer- 
ziom;  nella  prima,  perchè  Tarte  del  cal« 
lajuoW  è  di  gran  lunga  inferiore  a  qnella 
dfìlo  speziale,  essendoché  questa  è  di  quel- 
Tarti,  che  qui  si  dicono  andare  per  la 
Vi^LOgLor^^  e  che  perciò  erano  più  facile 
acam  per  salire  alle 'primarie  dig'nità  della 


i8 

Catta  uoitm  ;  escila,  Asconda,  perchi  nò 
r  UDO  uè  Taltro  erano  semplici  artici,  mii 
ca*  loro  esercizj  della  persona  accompagna* 
Tano  quegli  dell*  intelletto.  Cosi  fece  Alatteo^ 
Palmieri,  parimente  speziale,  ed  inoltre 
oratore  j  poeta  e  storico   non  ordinario  f  il 

Juale   andato  ambasciadore    per  la  nostra 
epubblica  alla  Ck)rte  di  Nàpoli  ^  fece  ma- 
>  ravigliare  quel  Re  ,  che  da  prima ,   stante 
la  sua    arie ,    avendo    fatto    poco  concetta 
di  lui  I    quando  T  udì   poi    esporre  la  su% 
ambasciata  in  tre  lingue,  Spagnuola  ^  La« 
tina  e  Toscanaf,  riconobbe  essere  stato   fal« 
lace  il  suo  sospetto,  e  che  altro   che  sem- 
plici artisti  erano  i  Fiorentini  di  quei  tem« 
pi*  Cosi  fecero  altri  molti ,    de'  quali    nou 
e  qui  luogo  formar  parola,  essendone  sta* 
lo  finora    parlato    da   altri    bastevolmente. 
Certa  cosa  è ,  che  il  nostro  Graszini ,  noa 
ostante  il  detto  esercizio  ,  attese  di  propo* 
silo  alio  studio  delle  belle  lettere;  il  quale 
studio,  a  mio  parere^    abbraccia  universal- 
mente la  cognizione  di  tutte  le  scienze  ,  ei^ 
di  tutte  r  arti  liberali  e  meccaniche,   e  di 
ciò  che  può  r  intelletto    umano    compreu* 
dere.  1  suoi  componimenti,    non   tantj)  ia 
versi,  quanto  in  prosa,  comprovano  a  suf- 
ficienza questo  mio  sentimento  ;  e  viemag* 
giormente   la    testimonianza    del    suddetto 
Trito  lo  conferma  ,    siccome  potrà  vedersi 
dalle  parole  sue  ,  che  fedelmente  si  ri  por- 
teraaoo  dopo  la  naiTaziòne  della  morte  d^l 
utMro  autore.  Pertanto  nou  si  dee  prestar 


•4 

fede  «I  !^«e^iili ,  ^n  éiceuiÌ09 
étato  Poeta  .  e  Comioo  oaolto  msjgfie  »  oi^ 
peaMBdo  òbe  il  bea  cond|irre/  e  cM^ 
piaste  regole  an  oompoQimedto  poekTeq  .^ 
fii&e  commediat^  non  è  impresa  da  per^oMj 
^iotet  fraocaitteDte  aof^iaóse:  elsi.nultdn 
fer^  Utterarum  cognizione  unbutus  ;  p^r* 
ciocche  i  suoi  compoaiikiepti  oiedesifm^ 
oome  ho.  detto ,  ne  (sano  piena  leslàmQ* 
iiians«>  Tedeadorisi  per  entro  sparsi  i  paci 
è.  tegiuimi  semi  delle  iporali  é  d^fe  int^; 
letinalì  virtù.  Cb^egli  applioasse  .insìna  al* 
TAstrologia^  apparisce  nella  Mjflriy less^^ 
XXIX.  do▼^  parimente  éi  fa  chiaro  il'  imo 
ordinario  affetto  verso  1q  filosofiche  difl)pi|« 
teziooi.  Si  .legga  il  Sonetto  CXXlSi.  dove^ 
pigliandosela  con  m.  Vincenzio  Baonapm^' 
nono  molto  intendente  delle  Ietterà  Gre-- 
fhe  e  Latine,  per  avere  egli  fatta  rinveq^ 
«ione  e  *1  canto  per  la  mascherata»  rpppreseni- 
lente  il  Trionfo  dell^  Natura,  si  v^,/se 
it .  Graaiioi  sapeva  <jii  Filosofijsi  al  pari  dì^li 
sJtfi  del  .s^o  tem|¥>.  P  qel  Sonetto 'poi 
CXXX  dice  egli  risolutaiaente  dijSe.ftijssé 
•1  medesimo  E^aonanoi  : 

^    Non  r^Jjia^  ger  male^ 

Voi  filfrì  doUi ,  se  cosi  ragiono  ^    . 
«    PercK  anqlh  io  dotto,  e  letterato  sono. 

Onde .  per  tatto  qaesto .  si  rendano  osali  \ 
.leggitori  4dlq  nostre  memorie  ^  acciocché 
aoa  credano  facilmente   tatto   dot   eh» 


Haé  o  tórilto  >  ttaouptlo;  yéileodo  io^ 
1  odUiolla  aularilà  del  Poociaoti  si  lir^ 
diètrot  come  ti  dice^  alla  cieca,  colai  chq 
foce  le  Chiarente  sopra  gU  Autori  pos^ 
tnùUa  iersa  parte  delie  Rime  piacevmH^ 
aggiaiiU  alla  rtstanppa  di  quella!  del  Bemi 
•  d'altri  t  Citta  non  Unto  io  Viceìisa  per 
Bii^iso  Bànufei  nel  i6o3.  che  io  Venetif^ 
Mr  Francesco.  Baki  nel  1617.  ^'^^^ne  ai|rf 
wte  ia  detii  luoghi,  e  sempre  iu.  ia,=  ào(f^ 
et^i  óimé  assolat&mwic  :  AmtoiÉfiwmfeso^ 
£ascm  non  ebbe  Jetéjere  ;  il  che  fece  poi 
dimjil  mealofalo  P»  ^^grif  che  il  mrae» 
Urne  Grasaim  fu  JertMà  cultiaa^  Ma  tanlo 
fibeti  fin  qui ,  ad  a^er  difesa  dagli  sbagli 
degl* imperili  la  nobiltà  e  la  scienza  .del 
nostro  Scrittore.  t 

Io  dico  adunque ,  seguitando  f  che  il 
Lasca  9  acciocché  col  sao  Tirtaoso  operai^ 
ali*  universale  giovasse ,  fa  ano  de*  loodar 
tori  delle  due  rinomatissime  Accademie  di 
jqaesta  città ,  della  Grande  cioè,  o  Fioren^ 
fina,  la  quale  a  principio  si  chiamò  degli 
Umidi,  ed  ebbe  i  suoi  nataUil  primo  •gieó^ 
lio  di  Novembre  del  i54a  e  di  quella 
delU  Crusca,  che  più  di  quaranfanni  dopo 
ebbe  II  suo  reale  uomiociamento.  Allorché 
si  fondò  TAocademia  degli  Umidi ,  nella 
quale  ciaseuno  de*  fondatori  si  pose  U9 
soprannome  ^  alf  umidità  appartenente ,  il 
nostro  AùtonfràDcesco  determinò  denomi-* 
Mini  il  Lasca:   il   aual   soprannome y non 


i6 

Tolle  poi  inalarsi  nella  fondanone  deUftoR^ 
cademia  della  Crusca  (  dorè  di  maleria  di 
Crusca ,  o  di  cosa*  a  quella  attenente ,  diA 
vevano  essere  i  soprannomi  )  dicendo,  sia* 
*  cóme  narra  il  mentoTato  TrilOt  che  il  ano 
antico  soprannome  gU  pareva  molto  a  pr0« 
po^i  ")  aucora  io  questa  accademia  ^  coni- 
si Jeraodo  ,  che  le  Lasche  s'infarinavano. 
Fu  pertanto  la  sua  insegna  o  impresa 
'  (  cooforme  h  notato  nel  Libro  d^  Capi^ 
toU'ec.  deir Accaderma  degli  Umidi  ^xi.^ 
lato  nella  Prefazione  delle  Rime  a  pag» 
xiT.  )  uua  Lfisca,  alaata  jper  lo  lungo  nella 
Scudo,  con  sopra  una  farfalla  Telante;  04^ 
IO  ho  potuto  ritvoTare*  se  egli  v*aggiugaes«> 
se  alruu  motto  ,  conforme  è  consueto  di 
fare  in  simili  imprese.  Ben  è  vero,  eh*  io 
riconos'^  molfo  allusiva  al  carattere  del 
L  isca  questa  <  sua  insegna  ;  perciocché  il 
su  >  naturale  portandolo  nelle  sue  compo* 
S.7J0QÌ  allo  stile  faceto  e  ghiribictoso,  finge 
ch^  quel  pesce  9  siccome  è  solito ,  si  lanci 
fuori  deir  acque  a  pigliare  le  farfalle,  che 
p^l  loro  incerto  svolazzamento  sono  figura 
oe*  gbiribizzi«deir  umana  fantasia.  Fondata 
rAccademia  degli  Umidi»  il  Lasca  fu  fraito 
Cancelliere  della  medesima  ;  e  9ÌÒ  fa  il  dfl 
primo- di  Gennajo,  due  mesi  appunto  dopa 
il  suo  cominciamento;'mtf  perchè  nork  fm 
chiamalo  wf  distendere  i  Capito li\  la  qiial 
opera  fu  commessa  a  m.  Cosimo  Bartoli,  e  a 
m.  GiovaottiNorchiati;  e  pareva  molto  ra- 
ffionevole.  che  v*  intervenisse  il  CanceUiere  ) 


»7 
pubblicamente  rifiutò  F  uffizio.  Cosìappou- 

to  sta  regìslrato  nello  «tesso  libro  de*  Cft- 
pilolit^rso  il  principio*  Fu  ancora  in  e^« 
sa  Accademia  tre  volte  Provveditore»,  cioè 
il  firìmo  che  fosse  eletto  subito  ch*ella  pre- 
se il  nome  d\  Fiorentina  ^  e  che  comincia 
ad  avere  i  Ma&istrati  (il  che  fu  il  di  i.i« 
di  Febbrajo  del  detto  anno  i54o.  )  ecc^t* 
tuatone  il  Consolo;  perciocc;ho  a  tenore 
de*  nuovi  capitoli  doveva  quella  dignità 
coiainciare  il -di  25*  del  susseguente  mese 
di  fifanso  i54i*  reggendosi  per  quel  breve 
spasio  sotto  il  governo  d*un  Luogotenente 
deputato  dall* accademia  medesima,  il  quale 
fu  Filippo  del  Migiiore.  Fu  dipoi  il  Lasca 
Provveditore- nel  .  1 542.  e  iSyi^  ed  altre 
volte  alla  medesima  carica  cleziooato»  e 
vogliam  dire  eletto  per  andarne  a  partito^ 
cioè  nel  i544. 1567. 1570. e  1572.  e  parimeif* 
te  fu  elezionato  a  Censore  negli  anni  iSG'^* 
i^Gg.  e  1570.  Avrebbero  veramente  doga- 
to avere  quei  primi  figliuoli  di  così  illu** 
stre  Accademia  a*  loro  primi  padri  una» 
religiosa  venerazione  »  pensando  alla  gratit 
tudioe,  che  ciascuno  è  tenuto  di  rimostrare 
a  chi  n'  ha  ingenerati  a  nuova  vita,  siccc- 
me  è  quella  del  sapere,  o  vogliamo  d.TO 
deir intelletto,  la  quale  in  gran  parte  per 
meuo  degli  eruditi  congressi  s*  acquista* 
Ma  il  fatto  andò  molto  diversamente  ;  av« 
vegnache  in  breve  tempo  cresciuti  in  gran 
numero  gli  Accademici,  e  non  voglio  ere* 
dere  per  emulazione  o  brama  di  dvioioar^» 
Lasca*  z 


k8 

cooCurine  le  'pià  .yoke-iii  $im-iU  'adunante 
saqèede ,  ma  ad  ometto  dr  .migliore  regcn» 
lamenta  comiociaodosi  a  &re    duoifì  oapi^ 
toK  e  riforme,  e^  cotne  in  parte-  si  è  detto^ 
non  si  facendo  capitale  del  -  Lasca  «  ansi  a« 
lui  parendo,  com*  io  ragion e?oI mente  aup* 
pcmgo,  d*6^ere  in  alcuna  cosa  bontrariaU^- 
ed  in  un  certo   modo   posposto  a  chi  ^egli 
stimava   da   meno  di  se,  ne  prese  «uà  tal 
nausea  e  sdegno^  che  ad  alcune  noyelle  ordi«.. 
nazioni   egli   non   volle  prestare  *  la  dovala 
osservanza.  Pertanto  essendo  sialo  ordinalo 
doversi  fare,'  almeno  dne  volte  la  settima^, 
sa ,    o    pubbliche   ^   private  lesioni  ,  e  a 
queste  estrarsi   a    sorte  i  Lettori  t  il  Lasca 
Il  àk   g.   di    Novembre   del   1542.  essendo 
Italo  tratto,  non  volle^  leggere ,  ed  il  simi* 
^  fece^  cbn  esso  Irti  Fiero  Covoni.  FralFal^ . 
ite  oi*di0azioni ,  che  furono  fatte  nella  ri*  ' 
fiàrma  del  di  6.  di  Settembre  del  deittf  mrh 
tÈO^    una  si  fu,    che   chi,    toccandogli  in 
sorte  avesse    ricusato  di  leggère^  incorneséo 
immediatainente  nel  pregiudizio  della  voce 
Mtrva  e  passiva  ;   il  cne  laceva,  che  quegli 
testasse  privo  '  di   tutti  gli  onori  e  carichtf  * 
^ir  Accadèmia ,  ed  in  una  cerOa   maniera 
com^e  casso  dalla'  medesima.  Ciò  non  avven* 
ne  «1  Lasca  in  quest'anno,  essendosi  dato 
il  caso,  che  alcuna  yoììa  ndl* «lezione  dei 
nuovi  magistrati  era  sospesa   questa  pena^ 
e  non  avvenne    ancora   per    tutto  il  mese 
A^Agosto  1546.  il  di  i&.    del  quale  egli  fu 
alezìonario  per  creare  i  nuovi  Censori  ;  ma 


T9 

iapoi4faeào  Umpo^  •  {>ér  la  medfemnrca^ 
gfooe,  a-  per  non  voller  sottoporre  le  8u#^ 
cMÉipomionr,  che  pubblicare  si  do^^ano*^ 
ali'  ^salite  de*  Censori  ^  il  che  fa  poi  fep-' 
fluito  nella  riforma  de*  6.  di  Gioguo  i54g.  ) 
orfors'aoco  per  caosa  degli  Aramei-^  restò 
deirAecadetnia  primato  ^  e  ÌD6aa  a'  i&  di 
Ifaggio  i566.  -n#fi  ¥i  po4è  ritornare.  •Erano 

Sii  ATamei  noa  setta  ,  insorta  ndl*  Acoa^ 
ernia  Fiereiitina  miorao  ai  detto  anno  iS46.« 
di  cai  fa  capo  i».  Pierfrancesco  Giamlràl'-- 
lariy  la  quale  teolò  dì  prorare  ^  la  iitigiui 
Ilaliania  o  Toscana  o  Fiorentina,  che  dir  -si 
debba ^  esser  derivata  dall*  Ebrea  o  Caldea 
o  altra ,  che  si  parlasse  nella  regione  d'A* 
ràm;  di  che  vanad  il  £«IIa  d#*i  oàedesuno 
Giambullari ,  stampato  in  detto  anno  la 
priosa  volta  dal  Doni  in  4.  Questa  opi* 
niooe,  che  parea  vana  ed  inutile  anco  al- 
r  istesso  StradiDO  ^    principal    fondatore  di* 

Ornella  letteraria  aduuaoza ,  al  Lasca  recò 
astidio  incredibìk;  e  perciocché  era  uomo 
alquanto  rìsentitivo  e  satirico,  cominciò  a 
biasimarla  palesemente  e  colle  parole  e,  00^ 
gli  scritti  ;  ond*  egli  s*  acquistò  come  una 
congiura  de*  suoi  compagoi  medesiBLi ,  la 
quale- durò  lungo  tempo  a  perseguitarlo* 
Molti  componimenti  ,  per  conto  di  questii 
cassazione  fece  il  nostro  Poeta,  ed  in  ispe- 
zie  i  cinque  Sonetti  (  delle  sue  Rime  nella 
parte  I.  a  8^.  e  segg.  )  dove  *alouni>  dei 
sani  avversar}  9    o  apertamente  o  sotto   fi^ 


«a 

Jpra;  8oa  nmninali  »  ed  in.  modo  particoK 
are  i  detti  Ara  mei  ;  e  1*  ultimo  della  me- 
desima pArjte»  dal  qoale   infallibilmeote  si 
deduce ,  Km*  egli  con  ceasaTa   di   lacerargli 
co*  suoi  versi;  e  la  rabbia,  che  i  medesimi 
coDcepiyaDO  contra  di  lui,  cbe  fino  al  So«. 
ìrrano    ne    facevano    ricorso;  ed  i  qoattrp^ 
Sonetti    alla    Burchiellesca    antecedenti    iil* 
detto  ultimo,  lo ,  per   mettere  in  vista  al- 
cuno esempio  ,   riporterò   certi  «versi  della 
Canzone   in    morte  del    prefato  Stradino,, 
la    quale   segui    nel    1549.    ove   egli  diee 
in  persona  di  lui  medesimo  (  Rime  par*  Ì« 
a  i36.  )       . 

Ha  dato  al  fine  \  e  gli  Umidi  nùei  UitU 
Per  sempre  resteranno  secchi  e  ,asciuui;  * 
E  senza  alcun  contrasto 
Faranno  gli  Aramei  sicuro  guasto 
Deir Accademia ,  ov  io  fui  già  beato , 
Pappandosi  a  'vicenda  Jl  Consolaio. 

e  qu^U  altri  del  Capitolo  per  la  medesima 
occasione»  co*  quali  poeticamente  fingendo 
essergli  apparita  la  di  lui  anima,  le  fa  dire 
(  Ivi  par«  II.  a  i6.  ) 


n  .  .  .  a  guisa  di  canoro  cigno 
Seffsita ,  Lasca  9  pur  negli  onor  miei , 
E  non  timer  delT  altrui  dir  maligno. 


Ti»  del  saper  cJu  sono  gli  Attnnei  : 
La  tua  Canzone  ha  fatto  in  paradiso 
Rider  con  maraviglia  uomini  e  Dei. 

Io  Cucilmente  crederei  »  che  per  onta  dei 
ftooi  ernuli  egli  componesse  il  Poemetto 
della  rfaoea,  il  quale  dall' immortai  Ma*- 
filiabecchi,  in  una  sua  lettera  ms.  al  cele- 
berrimo Canònico  Lorenzo  Panciatichi  YÌe« 
ne  a  Ini  assolutamente  attribuito,  ancor- 
ché neir  edizione  del  .i566.  in  4.  si 'di- 
ca esaere  di  M.  S.  A.  F.  la  qual  cifra 
nessuno  per  anco,  eh*  io  sappia^  ha  saputo 
interpretare.  E  questo  dico ,  per  essere 
questo  componimento  a*  fatti  suoi  allusivo; 
dimostrandosi  in  quello ,  che  in  avere  t 
giovani  e  moderni  Accademici  cacciato  lui 
iairAccademia,  che  era  stato  uno  de*  fon- 
datori ,  i  Plani  avevano  superato*  i  Giganti, 
per  cui  era  già  stata  composta  la  Gigantea; 
se  pure  ambedue  questi  poemetti  non  si 
debbono  ironicamente  intendere,  per  quel- 
lo ,  che  dalle  loro  dedicatorie  apparisce  ; 
il  che  alle  altrui  riilessioni  per  aJesso  si 
rimette.  Ed  a  tal  proposito  è  da  avvertirsi 
la  data  delle  medesime  dedicatorie  ;  poiché 
del  primo  è  di  Fircfsze  alti  i5.  d Aprile 
del  1647.  del  secondo ,  pur  di  Firenze 
alli  24.  di  Marzo  del  i548.  i  quali  anni 
sono  corrispondenti  a  quelli ,  che  si  sup^ 
pongono  deir  allontanamento  del  Lasca 
dair  Accademia.  Ma  soprattutto  allusivo  a 
questo    fatto    giudico    cAsere  senza  dubbio 


\ 


elk  Guerra  de*  Mostri  ^  che  4«  lui  àeàU 
eato  al  Padre  Stradino,  glielo  mandò  con 
sua  lettera,  data  a  mezzo  Maggio  nel  detto 
anno  1548. 

Nel  mezzo  tempo  di  ^questa  sua  aasen* 
sa  non  tsiette  egli  punto*  atioio  col  no 
talento  ;  poiché,  oltre  a>  diTorai  >  la vori,  egli 
ootnÌDciò  a  mandar  fìiori  delle  sue  Con*, 
medie  ,i  che  sono  molto  dagl'intendenti .  sli^ 
male.  La  v  prima  di  queste  .fn  la  Gelosia  ^ 
recitata  in  Firenze  nel  i55o.  e  neiraon^ 
seguente  stampata  da* Giunti  ;  e  nel.iSfio^ 
la  Spiritata^  parimente  un  anno  4opo  im* 
pressa  da*  medesimi  stampatori  Egli  appliT 
€Ò  eziandio  a  farcire  raggnardevolifUcr 
coite  di  Rime;  che  una  fu  quella  deU^Ope?; 
re  Burlesche  del  Berni ,  e  d*  altri  insidi 
£oeti  del  suo  secolo  >,  le  quali  Tcramente 
sono  state  e  saranno  sempre  la  norma  •  H 
modello  del  lien  comporre  nella  giocosa 
Poesia:  la  seconda  de'Sonetti  del  BurchifL 
lo  e  d*altri,  insieme  colla  Compagnia  del 
Blantellaccio,  e  co*Beoni  del  magnifico  Lo? 
renzo  de*  Medici ,  stampata  pure  da*Giuia* 
ti  Tanno  i552.  la  prima  volta;  o  la  terza 
de* Canti  Carnascialeschi,  stampai  da,  Lo- 
renzo Torreotioo  nel  iSS^.  Per  quest*  uW 
tima  Raccolta  incontrò  il  Lasca  un*acerbiaf 
suna  persecnzione  ,  suscitatagli  contro  per 
opera  de' suoi  aT?ersarj,  cioè  de*  prefati 
Aramei ,  i  quali  andavano  sempre  nuove 
materie  cercando  di  fargli  affronto   o    di- 


^^cere.  Quando  ^fu-  lennmala  H  «stampa 
di  qoeali  Canti»' tra*  quali  a^ecano  aJqoaa- 
lì  di  m.  Battista  deirOtioDajo,  Araldo  deU 
)a  Signoria  di  Fireiiie  «  m*  Paolo  suo  fra« 
tello,  che  nel  tempo  che  si  stampavano  «; 
gif  aveva  più  ^olte  veduti,  ed  a  sno  ca« 
griccio  anadra  in  alcuni  laoghi  corretti,  si 
levò  su,  eoa  dire  ch^erano  io  qualche  par* 
te  scorretti 9  onde  mesae.ja  romore*  tutta  la 
città*;  dimanierachè ,  ooosigliato.  da' delti 
Arameì,  fece  una  supplica  al  Duca  Cosimo 
che  allora  era  in  Pisa,  per  la  quale  don 
mandava,  che  i  Ginti  deirAraldo  non  fos- 
sero,  conforme  stavano  in  quella  edizione, 
pobblìoali.  Perlaqualcosa  rimessa  4a  .  detta 
supplica  per  informazione  al  Consolo  deU 
r  Accademia  ,  che  era  Francesco  da  Diac^ 
celo;  egli  co* suoi  Censori  Giovan  Batt;ista 
Gelli  ,  Pier  Covoni  ,  e  uno  de*  Segni ,  in- 
formò a  fevore  di  m.  Paolo,  onde  il  di 
8.  di  Marco  i558  ne  tornò  il  rescritto  i 
doversi  frattanto  da  LfOrenzo  Torrentino 
stampatore  dare  in  deposito  a  Ruberto  di 
Filippo  Pandolfini   num.    495.    volumi    di 

Suesti  Canti  ,  con  espresso  comandamento 
i  non  gli  dare  a  nessuno  senza  nuovo  otr 
dine  del  Consolo  ,  che  per  tempo  avesse 
retta  TAccademia.  Tutto  questo  apparile 
e  dagli  Atti  delPAccademia  medesima  f  li^ 
bro  secondo,  e  più  chiaramente  d«  una 
lettera  del  Lasca  a  Luca  Martin^t  la  qua^^ 
le  si  legge  a  e.  76.  del  Voi.  L  della  ParU 


tv.  ddfe  Prese  ^iorèntìoa.   la  questa  leC^ 
fera'  egjì  inostra  llrragionevolessa  di   Que- 
ito  ricorso  ,  per  essersi  creduto  in-  lai  Tal>- 
tò  più  alla  memoria  di  m.  Paolo  ,  il  qaa« 
le  uon  mostrò  mai  gli  originali  »  che  a  te- 
sti de*  libri  »  da*qaali  il    LE^sca    gli   ateva 
Copiati,  e  che  rigidamente  s*era  procedu-^ 
to  contro  dì  lai,  come  se  questi  Canti  fos- 
sero stati  Scrittura  Sacra,  o  Testi  di  Leg« 
gè ,  o  Filosofia,  o  simili  cose  di  conseguen* 
^a.  E  questo  scrÌTe  egli   al   Martini ,    che 
era  appresso  alla  G>rte9  per  impetrare  dal 
Principe  la  grazia  d'essere  sentilo.  Ma  que- 
sta causa ,  per  le  forti  aderenae,  fu,  come 
irolgarmente  si  dice,  in  pochi  giorni  stroa* 
tata ,  non  v'essendo   eorse  ^   che  sole    Ire 
lettimene  dal  primo  atto ,  fino   al    gioruo 
delFenunciato  deposito;  e  ciò  io  suppongo, 
perchè  il  detto  Magistrato  fra  pochi-  gior* 
bi  dovea  terminare.  Fu  ventilala  poi  que« 
sta  lite  uu  anno  intero ,  e  fu  sententiato  fi- 
tialmenie,  doversi  t9gliare  ì  Canti  deirAral« 
do,  fatti  stampare  dal  Lasca  ;  ed    in    loro^ 
luoep  apporsi  una  nuova  edizione,  che  fé** 
ce  tare  detto  m.  Paolo  suo  fratello^  da  lui 
creduta  la  legittima  e  corretta  ;  ed  allora, 
^  sino  al  tempo  presente  questa   sentenza 
fu  creduta  eiustissidoia,  come  si  vede  nelle 
Notìzie  degli  Uomini  illustri    dell'  Accade- 
tnia  fiorentina  a  170.  dove    parlandosi  di 
questo  m.  Paolo  ,    e  del  fatto  adesso  nar- 
rato, francacaente  si  dice:  »  Chi  riscontre- 
»  rà  r  edizione  del  Lasca  eoa    quella    di 


t  Paolo  JeirÒttonajo^  vedrà  che  véi-amea* 
n  le  quella  del  dello  Lasca  è  scorrella  e 
>»  maacheTolé.  a  Ora  chi  crederebbe  »  clie 
adesso  t  dopo  lo  spazio  di  182,  anai,  che 
qaesla  opinione  è  slata  creduta  per  vera  9 
io  dovessi  far  palese  al  mondo  l'ingiastizia 
di  quella  sentenza?  Egli  è  dunque  da  sa* 
persi ,  che  io  neiraccomodare ,  o  piuttosto 
ritornare  da  morte  a  vita ,  i  molti  ed  iu 
gran  parte  preziosi  Godici  mss.  delia  nostra 
Ric(!ardianai  già  son  presso  a  veni*  anni  (  con- 
fortandomi a  questa  fatica  il  grand*amatore 
delle  belle  lettere  Y  Abate  Gabbriello  Rie* 
cardi ,  al  presenta  Suddecano  della  nostra 
Metropolitana  )  io  ritrovai  in  un  fascio  d'o- 
pere varie  un  esemplare  de*  Cauli  Carna* 
scialeschi ,  scritto  a  colouue  ,  in  foglio  di 
caria  ordinaria ,  ma  d*un  carattere  vera- 
mente stranissimo.  Io  lo  separai  ;  e  fatto- 
ne un  Codice  da  per  se ,  nella  maniera 
degli  altri  già  accomodati ,  v'aggiunsi  riu*^ 
dice  in  fioe^  e  con  ciò  ritrovai  esservene 
trentuno  di  diversi  autori ,  per  anco  noa 
istampati;  ma  delPAraldo  un  solo  fra  que- 
sti 9  il  quale  è  il  secondo  Coro  del  Canto 
delle  tre  Parche.  Era  stato  scritto  questo 
esemplare  da  Giovanni  di  Francesco  del 
Fede  ,  che  in  ultimo  ve  ne  pose  Tattestato^ 
il  quale,  poiché  contiene  una  non  dispre* 
gevole  notizia ,  io  riporterò  qui  colla  me* 
uesima  ortografia.  »  Romiti  ,  Cavalieri  er- 
y^  rami  ,  Notari ,  giuchatori  di  sassi.  Que- 
»  ste  quattro  chanzone  le  lasciai,  che  ren- 


éS 

fi  de*  *)  libro  dove*erano;,  noi^  tìéhi  teow 
n  p0  4  cke  erano  ài-  Cipriano  chantsret^ 
n  fatto  buona  parie  da  M.  Batista'  araldo 
»  di  palaxo,  e  da  giovanni  detto  il  gugio- 
^  la  liTeditore.  chopialo  da  me  gioTa»ai 
>t  di  Franoesco  del  Fede  Tanoo  1548.  nel 
-»  chaslello  di  cintoja  s^ndo  in  villa»  laus 
n  Deo  amoien.vi  Da  questa  aoscrizione  ii 
viene  in  chiaro  ,  che.  la  copia  del  Fede  è 
tratta 'da  un  esemplare  scritto  io  buona 
parte  dalF Araldo;  e  che  perciò  i  Canti  suoi 
particolarmente  saranno  correttissimi.  Con 
e  per  appunto;  perciocché  questa  copia^  col* 
Jazionata  da  me  con  tutta-  V  edizione  del 
Ijasca  9  toltane  V  ortografia  (  difetto  si  vede 
propvio  dejr  istesso  copista)^  diversa  ia 
tanti  luoghi,  ed  in  alquanti  sustanzialmen- 
te;  che  se  altra  ediaione  se  ne  facesse j  et 
racquistercbbe  un  notàbile  miglioramento* 
Ma  qui  non  termina  la  causa- della  saccen- 
teria di  m.  Paolo,  o  di  chi  lui  aizzò  airant* 
mosa  impresa  di  ristampare  come  corretti 
e  migliorati  i  Canti  del  suo  fratello  » 
e  senza*  averne  roriginale ,  e  senza  punto 
esaminare  quelli  già  stampati  dal*  Lasca^ 
Io  dico  che  è  cosa  curiosissima  il  fare  U 
confronto  d'ambedue  queste  edizioni ,  sic^ 
come  ho  fattoio,  con  avanti  il  Codice  Ric^ 
cardiauo;  da  oìun  di  loro  veduto.  La  su* 
stanza  èv  che  la  maggior  parte  delle  cose^ 
mutate  dam.  Paolo,  deono  stare  confort 
me  11  Lasca  aveva  fatto  stampare  ;  e  dove 
«ono  manifesti  errori  ,  o  false  mutazioni  , 


»7 

«*a€XOTdaBo-.pfrlopiù.  IiHU  e  ^ue  a  dire  il 

medesimo;  ed  ia  quanto  agU  errori,  Tiste^ 
€o  Lasca  gli  conobbe*  cssendoseDe  prcie- 
statot cella  citata  lettera  al  Martini*  In  quao« 
lo  poif  cbe  m.  Paolo .  accrescesse  di  Canti 
la  sua  edizione  t  non.  è  .cosa  di.  rimarco  » 
non  Ire  n*a?eado.  af giunto  cbe  uno,  cioèi 
quello  degriado^ini ,  con  duoi  c^nsoDetie 
a  ballo  «  cne  in  tal  Raccolta  non  v^banno 
nieale  cbe  fare  ;  ed  airincontro  egli  trala* 
•ciò  il  Canto  de^Diavoli,  già  Catto  stampa- 
re dal  Lasca.  Oltracciò  t^iiiserì  a  e.  90.  co- 
me deirAraldo  ,  il  Canto  de'Puttanieri  ^  e 
a  96.  quello  della  Pazzia;  il  primo  de^quà- 
K  è  assolutamente  del  Giuggiola,  ed  il  s^ 
condo  di  Sandhro  Preti ,  come  apparisce 
dal  Codice  Riccardiauo  ,  e  come  per  di 
tali  autori  gli  ave^a  fatti  siampare  il  La* 
sca  a  144.  e  277.  Or  yedasi ,  cbe  bella  e- 
dizione  è  mai  quella  deirOttonajo;  mentre 
piuttosto  ella  fu  .  una  pretta  scorrezióne , 
ed.  un  cattivo  uffizio  prestato  al  suo  caro 
fraiello  dopo  morte.  Cbi  possiede  adunque 
per  avventura  alcuna  copia  di  questi  Cana- 
ti seuza  la  predetta  alterazione ,  ne  tenga 
strettissimo  conto;  percbè  essendo  pocbis- 
simi  i  volumi  scampati  da  questo  infortur 
QÌo,  sarà  quasi  impossibile  il  poterne  ritro<- 
Ilare  alcun  altra.  La  copia,  collazionata  da 
me,  si  ritrova  presentemente  nella  Pan- 
ciatic^iana  ,  la  quale  da^libri  d'Alessandro 
Pollini  passò  nelle  mani  del  Canonico  Pan« 


eiaiicht  i  quivi  sopra  Iodato  ;  e  tanto'  ba« 
iti  di  quesCa  materia  aver  detto*  la  talt 
virtuosi  esercizj,  ed  in  continuamente  com^ 
porre  o  in  prosa  o  in  versii  il  nostro  La-* 
ica  impiegò  il  tempo  della  sua  assentazio- 
ne  dairAccademia^  in  conversazione  ancora 
de* suoi  amici,  tutti  quanti  letterati  di  re- 
putaziotie,  ed  in  città  ed  in  campagna  una 
gran  patte  allegramente  passandone.  Dat 
suoi  poetici  componimenti  tutto  ciò  £aciU 
mente  s*argomenta^  essendovene  molti,  che 
con 'evidenza  lo  dimostrano. 

Io  credo  altresì,  che  pochi  anni  dopo 
]-accennato  tempo  egli  pensasse  a  fondare 
Vkna  nuova  Accademia^  quella  cioè,  che 
dipoi  si  domandò  della  Crusca ,  ad  ogget<* 
to  di  gettare  più  stabili  fondamenti  per 
rampliazione  e  gloria  della  lingua  Toscana, 
acciocché  ella  venisse  un  giorno  a  gareg* 
giare  colle  più  nobili  lingue  del  mondo  , 
ed  in  alcune  parti  a  superarle,  conforme 
è  seguito  ;  e  cosi  deludere  gli  Aramei ,  i 
quali  camminando  ali*  indietro  ^  e  sulFap* 
poggio  di  supposti  e  d' impostori  Scrittori; 
tentavano  di  renderla  famosa,  col  solo  far^ 
la  originare  da  un*antichissima  sorgente.  la 
fatti  st  trova,  che  la  voce  Cruscaia  {che 
adunanza  di  Crusconi^  e  Gopiponimento 
e  Discorso  fatto  in  detta  adunanza  signifi» 
ca  ,  come  nelf  Annotazioni  alle  sne  Rime 
à  325.  è  stato  detto)  era  cominciata  ad 
usare  avanti  al  i555.  poiché  il    Lasca  dis^- 


se  nel  Sonetto  i59«  fatto  da.  lui  conir' Al- 
fbaso  deTazziy  il  quale  iu  delt^anno  mori: 

Tu  credi  forse  avermi  sbigottito 

Con  queste  goffe  tue  magre  Cruscate? 

e  di  poi  9  siccome  voce  di  particolare  m*^ 
unificato  ,^  dal  Cavalier  Liooardo  Salviati  , 
«abitocbè  egli  fu  ammesso  io  questa  nuova 
Accademia ,  fu  posta  per  titolo  al  suo  Pa« 
radosso,  ivi  in  aette  annotazioni  citato*  Che 
poi  coloro  di  tale  Adunanza  o  Brigata  si 
domandassero  Cruscotti^  ci  yien  fatto  ma- 
nifesto dalla  testimonianza  del  medesimo 
SalviaU  /  il  quale  appena  entrato  in  es8% 
(  come  nel  sopraccitato  Diario  del  Trito  si 
legge  )  pensando  di  dare  a  quella  il  nome 
d' Aciuiaemia ,  nel  primo  discorso  che  egli 
fece  9  fralfaUre  cose  da  lui  proposte ,  per 
darle  forma  e  buon  metodo,  disse  a^com• 
pa^ni  9  che  nói  (  son  parole  riportate  dal 
Trito  )  non  più  Crusconi  ci  facciamo  chia^ 
mare^  ma  Accademia  della  Crusca.  Ed 
ecco ,  che  la  vera  origine  di  questa  famo<» 
sissima  Accademia  fu  certamente  intorno 
all'anno  i55o.  come  dalle  ^addotte  notizie 
si  deduce. 

Dopo  tutte  queste  cese,  correndo  Tan- 
no  i566.  ed  essendo  Consolo  dell*  Accade- 
mia Fiorentina  il  suo  amicissimo  Cavalier 
SaWiati  9  a  cui  pareva  forse  non  esser  ri- 
putazione di  quel  virtuoso  congresso ,  che 
per  capricciose  gare  stesse  esentato  da  quel- 


ìé'  tuìo  ^déT  sucyi  foDddtori,  ^eoosigliato  il-'' 
LasoÉ  ft  ratiometlerd  al  giudizio  d^  CeiiM»3r 
ri  qualche    suo    compoDimetitQ  (  che   era 
una  delle  óondizìoai  per  rientrar  neir-Ac« 
càdemia^  neisoodo  la  riforma  ^el  dì  6«^  di 
Giugno  1549.  )egU  accettò  il  suo  pruden- * 
te  cdntigtìo  ;    e   date   al    Censore  m..  Gio^* . 
Battista  Adriani  alcune  sue.Egloghd;  e  qnt^ 
ate  da  lai  approyate^-fn  a' di  6.  dì  Maggia 
del  delio  anno  i566.  alla  sua    Accademia 
resliluito.  * 

•  Avanzandosi  egli  frattanto  coiretà  »  noft  : 
rimeitfeva  però  puoto  del  consueto    vigore  * 
dei  suo  •  vivacissimo    spirito  f    ma    co*  snot  ' 
atudj  continuamente  esercitandolo  t  procu** 
rava  di  comlurre    alla    perfeauone    il    suo 
idealo  proponin^euto  ,  di  stabilire'  cioè  un 
ottimo  piano  e  fondamento  per  riramorta"* 
Illa  della  pateriia  favella;  onde  in  av-veui*  * 
re  ella  oon  avesse,  non  solo  a  vacillare  o 
imbarbarire^  ma  si  dovesse  con  maraviglio* 
so  -splendore  ampiamente  dilatare^  siccome 
in  fètti  è  succeduto.    Fatte  adunque -^arie  ' 
conferenze  co*  suoi  amici ,  o  vogliamo  di«  - 
re  Crusconi ,  fu  risoluto  d^introdurre  nel* 
la  loro  brigata  il  gran  maestro   della    lie^ 
gua  Toscana  9  il  eia   più    volte   mentovate 
Cavaliere  Lionardo  Salviati  ;  il    che   segui  * 
verso  la  fine  d*Otiobre   del    1682.  siccome 
io  rttgiouefol  mente   coogetturo  ;    anoorehè 
non  si  trovi  cipresso  quMto  tal  anno, leg- 
gendosi solamente  sul  principio  del   Fram* 
menlo  L-  del  Diaria  del  Trito  :  yy  Alia  fint- 


3t: 

sf>  d'C^tobraeon  gnn  contento  Ai  tulli  fu 
>f  ricevuto  il  Salviati  nella  lor  piacevol  bri-»- 
»t  gftiÀ  :  istimando ,  mediante  sì    fatto   tip* 
>t  poggio^  dover  la  lor  compagnia  più  re-« 
y>  sìstere  a*  forlaoevoli  colpi  :  «  e    di    poi 
facendosi  passaggio  al  di  z5.  di   Gennajo  ,  ' 
nel  quale  afferma  ,  essere    stato    stabilito  i 
dover  la  loro  brigata  prender  forma  d'Ac-  - 
cademiay  e  denominarsi  della    Crasca;   ii  : 
che  certamente  segai  nel  dett^anno.  Accada 
de  ,  a  dir  vero,  primachè  si    venisse    alla 
poriliva  risolnsione»  qualche  contrasto  fra 
Be^*ntfrdo  Zanchini  -  ed    il    Lasca  ;    perchè 
avendo  il  Salviate  proposta  questa  mutazio* 
ne  o  ^^ndasione,  da  /arsi  con  tutte  le  re-»  - 
gole  e  leggi»  che  a    simili   istituti   si  con-» 
vengono',  né  parendo  al  Zanchini  d'essere 
egli  e  i  compagni   persone  capaci  »  stante 
la  loro  grare  età ,    aa   cimentarsi    ad    aan 
toA   ardua    impresa,   disse   liberamente  il 
mo    sentimento   centr*  a    quanto    aveva    il 
meiiesimo  Salviati  proposto.  Ma  appena  eb- 
be finito    di  parlare  »  che  il  Lasca  (  sou 
»  -parole  del  Trito  )  non  potendo  più  star 
f^  éfaeto,  a  guisa  di  nobil  cavallo ,  che  stato 
n  por  troppo    alle   mosse,  in    fine    ode  il 
n  Dramàto  segno ,  togliendo  quasi  di  bocca 
f»  le  parole  agli  altri ,  e  in    particolare  al 
n  Salviati  »  die  di  parlare  aveva    gran   de- 
)»  ^iderid,  brevemente ,  ma  arditamente  così 
y^  proruppe  al  parlare:   Adunque  chiamò' 
»  rèmoi  noi  cosi  deboli^  freddi   e  canuti^ 
y^^chc  7  cm^re  non  ci  dea  j  nome  a   molli 


.32 

»  aUri  ^'ài  'reggere  .  un\  j1cca4emia  7  Ter^ 
n  remci  noi  cosi  privi  ^autorità,  c/te  molti 
>>  compagni  non  siamo  per  trovare  j  c/te 
>y  secondino  le  nostre  voglie  in  si  giusto 
»  deside.riol  E  ora  che  abbiamo  il  Cava^ 

.  >>  iier  Salviati  dalla  nostra  ,  crederai  tu , 
»  o  Zanchino ,  che  tanta  timidità  si  deb» 
n  ba  avere. ^  e  sotto  il  peso  gentile  di  si 
n  gloriosa  opera  abbiamo  a  restare  infran^ 
»  tiì  Ah  tu  t'inganni ,  nò  cosi  credono 
>y  quest'  altri  miei  compagni»  Però  rima^ 
»  nendo  nel  tuo  gielo  tu ,.  noi  dalla,  fiam* 
»  ina  scorti  di  si  gran  luce ,  caldissima'- 
»  mente  fonderemo  ,  e  manterremo  que^ 
u  sf  Accademia.  E  cosi  detto ,  esseadoii 
»  rizzato  donde  era  a  sedere  ^  crollando  la 
H  lesta,  e  inarcando  le  cigliai ,  ytfUe  par« 
>>  tirsi  dagli  altri  compagni  ;  ma  ritenato 
»  da  essi ,  e  pre{*ato  a  tornare  al  suo  luor 
»  gOy  fu  con  più  quiete  comincialo  a  trat* 
»  t4ire> questo  negozio;  e  il  Deli»  e  tutti 
»  gli  altri  per  ordine»  mostrando  d'essere 
»  della  volontà  del  Salviati ,  e  cedendosi 
^  esser  solo  il  Zanchino^  alla  fine  anch'egli 
H  disse  :  »  Io  w  confortava  a  non  far  mu» 
>f  tamento  alcuno  nelle  nostre  azioni  »  a 
»  w  aveva  palesate  le  mie  ragioni;  voi 
»  non  Favete  volute  considerare ,  ma  d'aum 
>f  tonta  volete  'che  si  faccia  questa  Ahca^ 
»  demia  ,  ancK  io  "vengo  con  voi ,  e  lia^ 
>}  tamente  quanto  si  faccia  il  Lasca  ma 

.»  ne  compiaccio.    Or  se   le  dia  prino^io. 

\>t  God    restati   lutti.  d*aoaordo.,  la  pdnu 


33 

5V  cosa  clie  si  fece  »  fa  che  di  'coman  coq* 
y>  seotimento  si  chiamasse  la  loro»  Accademia 
>»  della  Crusca  «•  Ed  ecco  appunto  (issato 
il  giorno  del  suo  glorioso  nascimento.  Lo« 
ée  adunque   immortale   al    nostro  Latìca  » 
che  coir  efficacia  del   suo  dire  «   8Ccom|>a- 
gnata  dalla  ragione,  diede  Tultimo  impul» 
00,  per  venire  ali*  effetto  di  sì  graod*opera« 
AtuU)  ch*ebbe  TAceademia  questo  princi- 
pio, fatte  Ijc  leggi  e  gli  statuti,   creato  in 
primo  Arciconsolo  Giovanbattista  Deti  9  ed 
Miao  e  gli  altri  Accademici  presi  a  loro  so- 
prannomi, il  Salviati,   che  si  chiamò  Tin- 
Iftfìnato  n  considerando  (s^uita  il  Trito) 
n  che  quest'Accademia ,  essendo  sul  pigliar 
n  piede ,  aveva  bisogno  di  gagliardi  fooda- 
»  menti,  pensò  esser  bene  di  mandare  aual- 
9»  che  cosa  alla  stampa.  E  perchè  di  già  il 
f>  mondo  aveva  vedute  solo  cose  burlesche 
n  deir  Accademia  ,  credè  che  fosse   bene  , 
f»  che  cose  fatte  in  sul  saldo  si  mettessero 
^  in  lucè,  che  non  però  fossero    prive  di 
y>  festevoli  materie  e  allegre ,  acciocché  la 
yf  doppia  natura  deir  Accademia ,  cioè  della 
»  dottrina  e  della   piacevolezza  ,  apparisse 
H  manifesto.  E  elesse  per  ciò  fare  di  com- 
n  porre  un  Paradosso ,  mostrando  che  non 
Sf  occorre  che  la  storia  sia  vera,  dovendo 
n  bastare,  eh* eli*  abbia   del   verisimile;  e 
»  fecelo  a  uso  di  dialogo ,  del  quale  erano 
n  gì' interlocutori  il  Deti  e  il  J-iasca,  ec.  « 
E   dopo   non    molto,   soggiugne  dicendo  : 
n  Quest'  operetta  air  universale   fu   molto 
Jmsco^  3 


>>  gentil  t  jP9^-^\  «otti,  fa  di  ^gran-.  noja  4Ut*^ 
yi  gjoD€  ;  percioecb^  bramàoao  easi  di  nnav 
S(»  teoersi  quasi  arbitri  delle  lettere  in  Fin 
>>  reoze  »  dubitayano  che  non  gli  fo$se  to]l%. 
»  di  ipano  ^mentrechè  meao  lo  peosayaap^  ^ 
»r imperiò  dél)e  Toscane  lettere.  i<  E. poi*. 
cVegli  ba  riportata  le  censure  degli  avfer- . 
8^^  soggiugoe:  >>  Ma  questo  non  turbay%, 
»  punto.gli  Acc^d^Hiici  da*  loro  nobili  eser-, 
»  ci£);  percbè  sapendo  quali  fosseto  i  lora.. 
y>  .fioi,  cioè  di  dilettar  gioTandotdi  «imil^v 
>>^  graccbiamenti  si  i^evaao  beffe.  Ma  Imb^; 
»  pt  gli  turbò  e   spaTeotò   altri  accidenlC. 
».  fieri  e  inaspettati,  cVaT^ennero  da  pot^^ 
>i»lF^ercioccbè   la   fortuna   insidiosa,  ch*a%, 
>»^  be*  principj    voleqtieri   contrasta  ,  rif  oU . 
»  gendo  i. lividi  occhi  contra  rApcademìa «^ 
»  cercò  di  spiantarla  »  e  torle  ogni  speran** 
>»  za  di  più  copseguire   cosa  alcuna  »  to^r 
>>.g)iendole  in  pocnissimp   tempo   due  dei 
y^  suoi  principali  som^oii ,   e    togliendogli 
f>, allora  9  quando  più  le  ergno  di  mestieroy 
»>.o.  di  più  gloria.  El  primiero  fu  Tinfor^ 
n  iiato  (era.  <}uesti    il  Zancbini  )   che  ia : 
»  pochi  giorni  privò  TÀccademia  e  Firan* 
»  w  d'un  upipo  nobrle,^  d'onori^ti  costumiti 
^  6.^  più   cbe   mezsanameote .  scienziato  ia. 
>f  lì^tte  le  sorte  di  Belle   lettere  f  di  grani, 
»  memoria  t  e  di  fino  giudizio.   Ma  noiv». 
M,  contenta  la  fortuna  d*avere  airAccade-^ 
>f.mia  apportato  tanto  danno,  come  quek 
»  la  che  non.  comincia  per  poco  ,  cosi  nel 
>»  be^  icome  nel  iAale.a;.pqn  jnaggior  .das^ 


m 

n'iio^  e  prt  ikahremle  pHt5  rAocademiat 
n  Firense,  e  tutti  i  letterati  del   grazio»-^ 
n  Simo  Lasca  «  uomo,  se  tu  riguerrdi  i  suoi 
0' natali  «  di  bassa    cohdìtiooe,    sia   se  la 
9t  Bue  aaioai ,  n<d>ile  e  scieuciato  ,  percioo» 
IS  thè  di  tutte  le  cose  imrlaTa  fondata meu» 
n  te^  mTa  nella  poeM  burlesca  era  il  piti- 
>^  no  di  quei  tempi;    e  la    principal   sUa 
t^  lode  vmiTa  dalla  dolcezza,  nurkà  e  pia« 
9t  cetolena  ddlo  siile,  il  quale  era  si  na« 
99  tarale  e  si  puro  ^  cfae  ài  nessuno  altro» 
W'-Wt  bene  lo  aggoa^liassi  a  quello  del  gran 
f^'p0dre  della  borlesòa  Poesia,  era  sopra- 
n  Tansalo.    E  te  così   ne*  concetti  e  nella 
9f  '  tritasse  fosse  stato  ÌCelice ,  non  è  dubbio, 
f>  che  TaTrebbe  interamente  arrirato.  La» 
ì$  sciò  buona  quatitità    di  Oipitoli,   molti 
99  Sonetti  e  Madrigali ,   e   certi ,   i  quali , 
f»  per  esser  più   lunghi   degli    altri,  cbia« 
yf  marni  Madrigalesse,  e  qualche  Canzona;, 
»  pur  tutte  in  istile  piacevole.  Àncora   ih 
f>  prosa ,  nella   quale   aveva  non  picciola 
n  attitudine ,  bisciò  qualche   cosa  ,    come 
n  alcune  Ncrrella   non  finitissime,  e  altre 
n  oùse.  NeHe  Commedie  fu  di  qualche  no- 
n  ae,  e  alla  stampa  se  ne  veggono  alcu- 
»   ne.  Fu  adunque  di  gran  peroita  all^Ac* 
U  ^idemia,  non  solo  per  questo,  ma  per» 
$f  cbè  essendo  stato  Fondatore ,  ad^i  il  prin* 
If  dpsle  Fondatore ,  era  di  grandissimo  so* 
n  ategno,  e  per  la  sttasotiecitudine,e  per 
is  la  sua  piacevolissima  conversazione,   lo« 
ir  de  ili  lui  piin^ipalismna.  <t  E  qui  finisce 


afe 

di  parlare  "del  Lasca*  il  nobiliséimo  Trìta> 
le  coi  jparole  »  nel  fallo  della  fondaziooa 
deir Accademia  della  Crusca^  e  della  mor« 
te  ed  elogio  di  queslo  graod*  uomo ,  io 
ho  voluto  dUtesameute  riportare,  si  ;per 
essere  esattissime  e  memorabili ,  e  si  per 
creder  io  di  non  poter  rappi^esentare  tutto 
questo  ia  forma  migliore  e  più  elegaate^ 
Mori  il  Lasca  a*  i8.  di  Febbrajo  del  i563i 
essendo  d*  età  d*  anni  79.  mesi  io.  e  gior- 
ni ^7.  e  il  di  20.  fu  sepolto  nella  Chiesa 
di  S.  Pier  maggiore  nella  sepoltura  de'  suoi 
antenati.  Egli  uou  ebbe  moglie  ;  ed  essen« 
do  ancor  morto  V  anno  aotec^edente,  e  pom- 
ato nella  medesima  sepoltura  il  di  zò.  di 
Febbrajo ,  senza  masculina  successione , 
Girolamo  suo  fratello  ,  il  quale  a  liii  lasciò 
5oo.  fiorini  per  suo  testamento ,  rogato  da 
aer  Benedetto  Maccami  sotto  li  9.  di  detto 
mese ,  ed  anno  mancati  gli  altri  due  fra- 
teJli  antecedentemente,  in  lui  terminò 
funesto  ramo  deVGra»zini. 

Fu  il  Lasca  uomo  di  buona  e  gagliar* 
da  complessione  9  ben  formato  delia  perso- 
na,  di  volto  air  apparenza  alquanto  severo^ 
di  testa  calva  ^  e  di  barba  crespa  »  come 
dal  suo  ritratto  apparisce.  Ma  di  spirito 
poi  egli  fu  di  sua  natura  tanto  vivace  # 
pronto^  bizzarro  e  faceto 9  che  poebi  si 
possono  a  lui  paragonare;  ed  .avendola 
e^li  coltivato  con  un  continuo  studio  ,  e 
Ci  Ila  conversazione  de*  primi  letterati  dei 
suo'  tempo»  lo  repdè  di  quella    perfezione 


^7 

e  pa1ìtez3a^  che  manifestano  T  òpere  tné* 
Egli  possedeva  T  eloquenza  in  alto' grado  ; 
onde  scrisse  copipsamente  in  prosa  ed  ia 
v^ersi;  ma  alia  Poesia  fa  più  incliuato,  ed  la 
ispezie  alla  giocosa  «  che  il  caralteriszò,  se^ 
eondo  V  asserzione  idei  Cavalier  Salviati , 
pel  princìpalUsimo  erede  della  Berniesca 
piacevolezza  ,  e  pel  primo  de^  suoi  tèmpi  ^ 
per  testimonianza  del  Trìto,  quivi  poco  sopra 
Tìfcrila,  Nò  è  per  questo,  eh* e* non  sapes* 
se  ben  comporre  in  qualsivoglia  altro  stile» 
'o  sacro  o  morale,  o  grave  e  soslenuto. 
Nella  Raccolta  delle  siie  Rime,  ve  ne  so« 
no  di  tutte  le  sorti  ,  sicché  ciascuno  pu<^ 
-rìlrovarvene  il  saggio  ;  ed  è  cosa  certa  » 
che  molte  di  questa  spezie  o  si  sono  affat- 
to perdute,  o  non  è  riuscito  per  anco  il 
ritrovarle  ;  essendoché  (  per  toccare  alcuna 
cosa  in  particolare  )  quell*  Egloghe  ,  per 
1*  approvazione  delle  quali  egli  rientrò  nel* 
r  Accademia  Fiorentina  ,  e  che  essere  dove- 
vano un  componimento  singolare  ,  comec- 
ché fattogli  esporre  alf  esame  daif  inieu- 
dentissimo  di  Poesia,  e  già  più  volte  lotla- 
lo  Cavalier  Salviati  ,  non  si  sa  (Inora  do-< 
Te  possano  ritrovarsi  ;  e  Giovanni  Cinelli 
attesta  nella  sua  Storia  ms.  degli  Scrittori 
Fiorentini  ,  che  a  suo  tempo  v'era  un  in- 
tero volume  deir  Egloghe  del  Lasca.  Oice- 
Ta  egli  aocora  alP  improvviso  ;  e  ciò  si  te« 
stifìca  da  lui  medesimo  nella  Madrigalessa 
XXIX!  Ebbe  in  ambedue  i  suddetti  gene- 
ri di  dire  naturalezza  singolare ,  espr^*s>ìo« 
Qe  efficace ,  e  novità  di  pensieri  ^    e    seri-, 


99 

veqd»  iieIk'4io4tn  lingim  »  <4tr!«Tl*, averla 
^déto  pulimento  e  wB^httxA ,  ¥  accrebbe  a*- 
MÌ  di  nao^e  frasi  e  maniere.  FerUinta  Tor 
fiere  ine  »  siccome  d*eccettente  maestra^ 
eoo  collocale  dagli  Accademici  della  Crasqà 
nel  Cataloga  degK  Aalori ,  onde  essi  haQ«> 
no  tratto  non  pochi  esempi  t  per  corredar 
re.  il  loro  gran  Vocabolario;  je  più  n'a^ereb* 
boro  potati  estrarre  »  se  prima  di  compi- 
larne r  ultima  edizione t  fosse  Tenuta  funtu 
la  .  sua  Raccolta  di  Rime ,  impercio0cb# 
ngn  poche  nuoTe  tocì  arrebbero  potuta 
apponri,  che  non  wi  sono»  siccome  ueU*Aii« 
notazioni  alle  medesime  succintamente  ò 
alato  ac<^ennate.  Un  bellissimo  e  Tcridico 
elogio  fece  il  Varchi  allo  stile  dei  Lasca  ^ 
io  quel  suo  Madrigale ,  /accennato  nelle 
suddette  Annotazioni  a  346»  della  Par*  I« 
«Uprchè  egli  disse.* 

Vostro  leggiadro  stil  chiaro  ne  mostra 

Quanto  dal  ciel  ^  infonde^ 

Lo  Dio  9  cKin  terra  amò  mia  casta  fronde^ 
.  Per  voi  nostro  volgqr  s'indora  e  inostra^. 

Talché  di  par  col  Greco  e  Latin  giostra^ 

In  genere  di  Poesia  Toscana  egli  fu  ia« 
mentore  di  due  nuove  spezie  di  metro  ;  e 
ciò  furono  le  Madrigalesse  ed  i  Madriga- 
Ioni.  Delle  Madrigalesse»  di  già  il  Crescim» 
beni  nel  Voi.  I.  de*  suoi  Commentar]:  io- 
torno  alla  Storia  della  Volgar  Poesia  a  iiu 
ne  attribuisce   al   Lasca   riaveazionc.  Ma 


\ 


è^é  poi  pérnneott!  à  lai*  ai  deliba'  flttribat* 
te  qaella  de*  Madrigaloiii  ,  nessuno  per 
àooo  non  *  a*  ha  parlato  ;  forse  per  mm 
easere  siati  tedoci  da  nessuno  ,  oòmeeefaiè 
fon  pochissimi ,  non  essendosene  trofali 
efae  quattro  koli ,    che   portino    in    fronte 

2 desto  titolo.  Qafesti  sono  una  composizi^ 
e ,  che ,  rispetto  alla  sua  lunghecza,  paM 
che  sia  di  meteo  fra  i  MadrigaK  e  Madri- 

Elesse;  Si  deono  in  filli mo  atTertire  ouet 
zgiiori ,  i  quali  non  sono  pralicfaissi« 
im  della  Fiorentina  leiTeHis,  a  non  iroler  mie 
nTigliars! ,  quaudo  pei^  af  Tenlura  sTabhàt* 
teraniio'  a*  troTare  fra  le  sue  Rnne  qualche 
idiotismo  9  o  alito  irregolar  modo  di  paìv 
lare;  perchè  questi  ,  sibcome  grafie  <> 
Tezzi  di  nostra  lingua ,  nari  deono  in  ve* 
run  patto  riputarsi  dispregiabilì. 

Èssendosi  parlato  nn  qui  delle  qnalrtl 
del  corpo  e  dello  spirito  del  Lasca ,  reste* 
rebbe  Ja  dirsi  alcaaa  cosa  del  suo  costa- 
me ,  per  quello  rrsgdarda  la'  religione  ^ 
nella  quale  egfi  ua^cque  e  mori.  Ala  io 
"Volendo  ormai  por  termine  a  quésta  Ste- 
ria  ,  e  non  avendo  ritrovalo  mohe  notnie 
in  queste  particolare ,  dirò  solo ,  che  il 
Lasca,  per  quauta  si  deduce  da^suoi  com* 
pouimeati  e  sacrr  e  moralr,  fu  uomo  d'o- 
nesti e'cattolici  costumi»  e  dedito  molto  alia 
cristiana  pietà.  Egtf  era  arr:K4ato  ai  alcu- 
ne Cmnpagnie  o  ConfriHcrnite  secolaresche 
(  <;he  sono  adunante  d*  uomini  ,  i  quali 
spesso  convengono  insieme  a  pralicaro^  sp!« 


liaiMi.  V  '  sUìtfpttff  ra  Ronm  dal  Bernabò 
Ii7d6.  ìtt  4;  oh*t  toltane  la  Gelosia  e  Im 
^irifatà  9  r  altre  quattro  Com medie  del 
liasea  eraho*  ra  Tarai  ;  easeodo  Ìpq  Terilà 
Mfte  goanle  in  proaa ,  eceettoatioe  gì*  Io* 
tèrmed;.  Del  pregio  di  queste  Commedie 
Filippo  Vatori,  a  f6.  de-  Termini  di  mes^ 
èo^  rilievo  e  é^ intera  dottrina^  asserbc^ 
ohe  )t  del  Lasca  se  ne  leggono  akticie  *l 
M  pari  di  Terfnsio  44;  e  Udeno  JNisieli  m 
ISO.  del  Yof.  3.  de*  Frogiocasaii  PoctitR 
tioii  dubfta  d^affermare,  che  qoeslo  nostv» 
Comico'  merita  lode»  perchè  >> nella  Geto^ 
^  sia,  Gommedfa ,  introdusse  per  Inter» 
y^  medj  o  per  Cori ,  Satiri  ,  Streghe  ,  Po^ 
»  letti  e  Sogni  ;  le  quali  imitazioni ,  be»- 
n  che  estrinseche  9  non  cedono  ai  Cori 
5t  d*  Aristofane ,  anzi  gli  soprafanzano  di 
n  novità  e  di  Tarretà*  4< 

/^.Lettere  IX.  non  comprese  quelle^ 
ebe  son  poste  aTantt  la  Raccolta  delle  sue 
unirne.  Due  a  m.  Benedetto  Varchi,  e  una 
tt  Luca  Martini ,  già  data  fuori  da  Anto- 
Ilio  Bulffone  nel  Voi.  i.  della  sua  Raixol* 
ttf  di  Lettere  memorabili  a  112.  e  tutte  e 
%re  ultimamente  statnpate  net  «Voi.  I.  della 
Far.  IV.  delle  Prose  Fiorentine  a  78.  e 
«eg.  9  e  sei  sono  V  infrascrifte  Dedicatorie; 
^CToè  delFOpere  bnrlescbe  à^\  Beroi  e  d*a)- 
tri  t  a  m.  Lorenzo  Scalo  ;  de*  Sonetti  del 
Burchiello  e  d*aKri',  a  m.  Curzio  Fregtpa- 
Hiv  de*  Canti  Camoscia  teschi  »  a  Don  Frai»i 
Cesco    de*  Mediai ,    Frtoci|>e   di    Firenze  / 


ddla  Gdosa,  m  tàé  BernovéetloMinerbel» 
ii  ^  Yeicovo  di  Arezzo;  della  .Spiritala  ^  a 
wà»  Raffaello  de*  Medici  ;  e  d^l  Intermed), 
&IIÌ  da  Gio.  Ballista  Cioi  alla  Cofanaria  « 
Commedia  .di  Francesco  d*  Ambra  ,  recita- 
la Ddle  Nozze  dì  D.  Francesco  de^Medici» 
PriiicU»e  di  Firenze  e  di  Siena  «  e  di  poi 
.^GfMKiaca  di  Toscana^e  della  Regina  Gie^ 
vamM  d^Aoslria  9  figlinola  già  di  Ferdinan- 
do L  Imjperadore  »  seguile  nel  i566.  »  ^ 
medesimi  Serenissimi  Sposi.  In  qoesla  Dio- 
dicnlorìa  dice  il  Lasca  ,  che  essendo  siali 
stampali .  in  fretta  i  delti  Inlermedj  (  i 
^QsJi  possono  stare  separati  dalla  medesi- 
ma Commedia  «  avendo  parlicolar  fronte^ 
apìno)  cavali  da  una  semplice  descrixione^ 
fatta  dal  loro  Autore  innanzi  alla  loro 
rappresentazione ,  mosso  da  compassione 
si  messe  ad  allargargli  alquanto  ,  ed  a  ri- 
durli in  quella  forma.  Havvi  inoltra  uno 
squarcio  a  altra  Lettera  rispoosiva  a  Gi-^ 
rolamo  Amelonghi  »  detto  il  Gobbo  da 
Pisa  9  sopra  il  Poemetto  della  Gigantea^ 
da  Ini  rubato  a  Bello  Arrighi  ,  e  dato 
fuori  per  suo;  il  quale  squarcio  si  legge  a 
3i3«  del  sopraccitato  Voi.  I.  de^Commenlarj 
del  Crescimbeui. 

5.  Rime  diverse  Voi.  II.  impresse  in 
Firenze  nel  1741. 9  la  maggior  parie  non 
pia  stampate;  T altre ^  che  sono  stale  dal0 
fuori  in  Tarie  Raccolte,  quivi  sono  correi* 
ie  ed  iUostraie  di  Prefazione   e  d' Annoila 


noni  da.Fraooeaoa    Moiicke  •   .nostiv   ditU 
pentissimo  Stampatore. 

L!  Opere  perdute  sono  : 

•  .     *  ■ 

t.  Novelle  XIX. 

2.  Egloghe  Volumi  L^  ed  aitile  Rime 
e  Prose. 

la-qnesto  luogo  io.  giudico  dovere 
aggiuguere  le  tre  acuenti  notizie  t  sicco*. 
me  di  cose  spettanti  a  q^uesto  Autore. 

Il  suo  Capitolo  in  lade  della  Sabie- 
eia  ebbe  la  sorte  d*  essere  leggiadrissima- 
mente commentato  da  un  Accademico  del- 
la Crusca,  che  postosi  un  .finto  nome,  io* 
titolò  quel  suo  Commento  :  Lezione  di 
Maestro  Niccoàemo  dalla  Pietra  al  Mi^ 
glia/o  sopra  il  Capitolo  della  Salsiccia 
del  Lasca»  Alt  JÌrciconsolo  della  Crusca^ 
In  Firenze  per  Domenico  e  Francesco 
Manzoni  iSSg.  in  8.  1*  Arciconsolo  era 
Sierfrancesco  Cambi  ^  e  gliele  dedica  lo 
Stampatore. 

il  Cavaliere  Lionardo  Salviali  ,  ce* 
latosi    sotto    il    nome    d*  Orjnannozzo    Ri<> 

Sogoli,  intitola  il  seguente  suo.  Ibx^OBfl  ^ 
i  cui  quivi  sopra  è  stato  parlato,  //  jLo^ 
tea  ,  Dialogo.  Cruscata  ovver  Paradosso 
et  Ormannozzo  Rigogoli,  rivìsutte  amfjlia^ 
io  da*  Panico  Granacela  Citami  ini  di  Fi- 
renze e  Accademici  della  wÈrusca.  Nel 
^uale  si  mostra ,  che  iionjmporta  ,  che 
la  Storia  sia  vera ,  e  quistimmsi  per  inci^ 


0 


4&^ 
denza  àléuna  cosa   conira  la  -Pifesia.    In 

Firenze   per    Domenico    Manzani    i Sdir- 
la 8. 

Il  Crescimbeni  nella  Storia  della  Voi'* 
gar  Poesìa  disse  »  che  la  Lezione  ossero 
Cicalamento  di  maeftro  Barùolino  dal  Can^» 
io  de'* Bischeri  sopra  il  Sonetto  del  Berni. 

Passere  e  Beccafichi  magri  arrosior. 
era  del  Lasca  ;  ma  poi  6i  ridisse  uel  Voi. 
S.  a  39.  dicendo  che -aveva  certa  notizia^ 
essere  o  di  Gio.  Maria  Cecchin  o  di  Ba^ 
stiano  de*  Rossi  «  e  che  ìacliaava  più  a 
crederlo  di  Questo  sèooudo. 


Parlano  onorevolmèrUe  del  Lasca 


** 


lì  Givaliere  Lionardo  Salviaii  negli 
AvTertimenti  della  Lingua  Voi.  I.  Lib.  IL 
Gap.  XIL  a'ioS.  (di  questa  edizione  :ì;o3.) 
e  a    1^9.  del  secondo  infarinato. 

Il  Conte  Piero  de*  Bardi  nell*  Accade^ 
mia  della  Crusca  »  detto  il  Trito ,  nei  sua 
Diario  ms. 

Michele  Poccianti  nel  Catalogo  degli 
Scrittori  Fiorentini,  a  20. 

Filippo  Valòrii  ae*  Termini  di  mezzo 
rilievo,  e  d*  intera  doitrina,  a  i6« 

Paolo  Mini  nel  Discorso  della  Nobiltà 
di  t^irenze  »  a  io5. 

Antonfrancesco  Doni  nella  Parte  ^ 
de*  Marmi ,  a  i66. 

Orazio  Lombardelli  ne*  Fonti  Toscani 
a  Q9. 


0 

Udettor  R^eli^  oioè  BeaèdMU'Fiarètti» 
ne*  Proginiiasini  Poetici  ^  VoL  lL^l^Bog.  2g&  ^ 
a  75*  te  YoK  ilK  Proj^.  45.  a  120.       -  w^. 
>  Eraaeeéco  -'fiidoUi    nel    Comeoto  del 
Pataffio  di  ser  Bruilelfo  Laiioi  mtu 

Le  Iioygi&  Letlerarie  ed  Isteriche  ia* 
torno  agli  Uomini  illustri  deir  Accademia 
Fiorentina  t  a  xviii.  a  8.  e  a  170. 

Gicwanni  Cioelli  nella  Storia  d^U 
Scrittori  Fiorentini  ms.  ,  e  .nella  Scansila 
^parta  a  70. 

.    .  Gio.  Mario  Cresci  mbeni  ne*  Commeo-. 
tarj    intomo  alla  ina  Storia    delia   Volgars 
Poesia t  Voi.  I.,  a  iii.  l'jSà  e  3i4f  e   nd, 
VoL  il.  Par.  IL  a  aSa*  . 

GioTam  battista  Casotti  nelle  Memorie 
déir  ImprunMa  ^  Par*  I.^  a«  i62«  168.  e*  Par. 
11^  a  aa. 

Antommaria  SaWini  nelle  Noie  alla 
Fiera  e  alla  Tancia  iiéi  Buonarruoti» . 

Il  Canonico  Saltino  Salvini  neV  Fasti 
Consolari  in  più  luof^i. . 

11  Dottor  Gioseppe  ,  Bianchini  nel 
Trattalo  della  Salirà  luliana  a  9*  e  a  89.. . 

Paolo  Mioncei  t  ed  io  nelte  JNote  al 
Hahnaniile  Ràoq4iieiato ,  cnelU  ediaione  del 
1731.  in  pia  luoghi. 

...  Jlonsigno»    Gittslo   Fontaaini  »   Arci- 
WBOOvo  d*  Ancira  ,  ndl*  jEloquensa  Itabaoa  < 
iMl^  adniooe  di  Aoma  4el  1780^,  a    4o5» 
4^.  587.  588.  589. 


IMh 


ir 

Il  DMIor  6Jo.   Andrea  BaroHi  lielie 
•  a  Bertoldo  ^.BertoUioo  e  Qà^ 
ODO  io  pia  lao^liù 
'  Dementeo  ManafiCanni  nel   Trattato 
De  Fk^endnis  inventila  a  8o«  e  q2. 

VL  Liora  Pieri  FiorenCioa  nella  «etti- 
aia.  Stanza  del  primo  de*  suoi  quattro  Can- 
ti delia  Gaerra  di  Siena* 


PoeU  che  hanno  mandata  da*  Iona 
Componimenti  al  LascOm    . 


'  -  ^. 


«       « 


-  Moiisijgnor  Gtou  Girolamo  Bmìi  f 
Taicevo  di  Pavia; 

M.  Benedetto  Tarehi.  :> 

Lorenzo  Sciala» 

Piiccolò  Martelli. 

Bernardo  Cani  giani* 

Alfonso  de  Pazzi*    * 

Cirolauio  Ameloogki ,  detto  il  Gobbo 
da  Pisa. 

Tullia  d*  Aragona*    ,  v 

^-^  .M.    Laura    Battiferra   negli    Amman*^ 
nati. 

E  qufito  è  quanto.  m*ocoorre  dire  del 
fiifloosissimo  Lasca. 

Giacché  r  erudito  Sorittare  >  di  questa 
ìQia  ^on  ebbe  notisia  Mie  "varie  edizio^ 
m^delT  Opere  che  del  nostro  Jja$ca  su 
hanno  t  e  perchè  ancora  alcune  di  esse^ 
Opere  erano  tuttavia  inedite^  allorché  la 
medesima  fu  compilata  i  stimo  perciò  con^ 


'4» 

^inmevaìe  di  iesseme^^^uirbrevimenle  il  ca* 
uUoffo^f  ^di  quella  almeno   che  4oi^  a  mia 

.  TUitiùa  pervefuUe ,  lusùigandomi  di  fare  don 
ciò  cosàgMla  àgli  jit motori  di  questi  ttudj. 

Opere  in  prosa. 
'   '       .      .  .       . 

I.  La  Seconda  Cena,  ove  si  raGCOota* 
,  BO  dieci  bellissime  e  piacevolissime  Novel- 
le »  non    mai    più   stampate,    la    Stambul. 
,  Deir  Egira  izz.  Appresso  Ibrahim  Achmel 
stampatore  del  Divano  eoi»  in  8. 

QiiesSa  edizione  si  cred^  fatta  in  Fi* 
renze  circa  al  lySo.  ed  è  assai  corretta  , 
e  la  prima  che  di  queste  Novelle  fosse  fata- 
ta ;  onde  non  è  da  trascurarsi ,  benché 
esse  sieno  comprese  anclic  nelle  seguenti 
edizioni. 

Il  La  medesima.  Ivi  come  sopra  in  8. 
È  una  ristampa  delT  edizione  suddet-' 
.  ta  9  ma  meno  pregevole  per  ogni  riguardo^ 
e  specialmente  per  esser  motùo  scorretta. 
£ssa  è  facile  a.  distinguersi  dalla  vera  con-' 
tenendo  pag.  228.  laddove  la  prima  è  di 
sole  p^*  220.  . 

III.  La  Prima  »  e  la  Seconda  Cena  ; 
fTo velie  »  alle  quali  si  aggiauge  una  Novella 
.  della  Tenta  Cena ,  che  unitamente  colla 
..PrimaM>ra  per  la  prima  volta  si  dà  alla 
luce,  colla  Vita  dell*  Autore,  e  con  la  Di- 
cliiarazione  delle  voci  più  dìflicili.  Lon- 
dra »  jxx^  Parigi  »  appresso  G.  Nourse 
1756.  ÌVL  8*  :  ... 


.  4d 
'  ^  BJfziàìte'^rigìh^/atiai  bàita  ed  ac^ 
aurata,  la  ^juale  è  in  òggi  divenuta  ràra^ 
'Può  -collocarsi  fra  queUé^.de^  Libri  cho 
fanno^ 'Cesto  di  lingua ,  poiìohè  Ju  fatta  po^ 
steriormenCe  alt  ultima  edizione  del  ko* 
eabolario ,  in  cui  i  Compilatori  non  potOm 
Tono  citare  che  i  testi  a  penna.  U Editore^ 
'''nella  dedicatoria  al  Sig,  Giacomo  Dawkine 
^ca^aUere  Inglese^  si  soUoscrive  colle  let* 
tare  iniziali  P.  N.  B.  P.  IL,  delle  quali 
'^Hon  saprei  U  significato.  U  Lasca  scrisse 
XXX.  Novelle ,  divise  in  Uè  parti,  da 
'esso  denominate  Cene  ^  delle  quali  XXL 
IMHO  comprese  in  questa  edizione  e  nelle 
eegàentt ,  e  F  altre  7X ,  che  soììo  il  se^ 
"guito  della  terza  Cena^  si  credono  smar^^ 
Yite  ^  con  danno  della  nostra  lingua  ^  per 
essere  delle  migliori  che  si  abbiano ,  si 
riguardo  alla  bizzarria  e  giocondità  del- 
f  invenzione ,  come  in  rapporto  allo  sti^ 
ìe  ^  purità  di  favella  »  con  cui  sono  di* 
^tese.  > 

IV.  Le  medesime   ec«  Ivi  come  sopra 
ia  8. 

Questa  è  una   ristampa  deW  edizione 
euddeita^  che  sembra  fatta  in  Italia,  e  /&- 
9ondo  alcuni  precisamente  in  Lucca ,  po^ 
chi  anni  dopo  quella  del   1756. ,  la  quale 
é  ad  essa  molto  somigliante  9   contenendo 
ancora  il   medésimo   numero   di  pagine*^ 
dioiche  potrebbe  facilmente  ingannar  coia- 
io che  in  queste  cose  si  contentano  di  fer» 
morsi  alla  prima  apparenza   senza  pescai 
Lasca.  4 


\  in  bMià  ^  f  correzióne  dalia  prtfnéBf 
€tgevole  Jt  rilevarlo  da  chi  yog^ 
fame:  in  Mtto  o  in  parte  un  esaUo  oon»^ 
frento  f  come  ho  fatto  io  per  assicurarma^ 
uè  esattimtenie.  Perchè  poi  quelli  che  H/on 
hanno  ambedue  le  deUe  edizioni f  postane 
distmguere  facUmersàe  qual  sia  m  buonm 
dfdla  dififUosa  ^  ho  &reduto  opportuno  di 
ìffcoenname  ie  differenze  più  rmtarchevoli^ 
Oitrechè  la  prima  e  per  la  ùaria^  e  per  t 
èàralteri  si  manifesta  subito  per  edizióne 
fiUramontanUf  ogni  pagina  della  medesima 
è.  composta  di  28.  righe  ^  e  quelle  della 
aopia  di  righe  Zj.  La  materia  però  che  in 
ciascuna  di  esse  pagine  si  contiene^  òd£^ 
etribuita  in  modo^  cfys  quella  che  occupa  ìè 
irji  righe  della  prima,  si  còntiéns  appunto 
nelle  28.  della  seconda  ;  lo  che  avviene  pef 
^ueté  il  carattere  di  quest^iUtima  unpoo9 
piU  picciolo  di  quello  deW originale.  Pari^ 
ìnenle  lai  Dichiarazione  d^  Vocaboli  del^ 
t edizione  originale  abbraccia  soltanto  einm 
que  carte  ^  e  quella  della  contraffazione 
y«i.  Irèolpré  si  scorgono  in  quest*  ultima 
inaiti  tnassiùci  ertone  di  stampa ,  che  nom 
sona  nella  prima^  i  quali  mi;  sembra  'inm 
ale;  di  qui  tiportare  >  basHando  gli  acofnÀ 
nati  éhàè  riìnarohevoU  contrasségni  per  Pq^ 
#«»  àuuale.  NI 

V.  La  médeiinie.  Lctd^  »  qia  Fìi^enseii 


^^SttU^e-  def  175^*  9  ia  quote  rùi^nM,!^ 
W9m(xhia  ortografia  fid  intetpunùqnfs  i  cp^ 
«Aa  9Wia990  molto  fastidio  ,4K  IsggUorh^ 
Mpoltre,  ciascuno  potrà  octdarvnetUe  -osser^ 
9are  quanta,^  sia^-ess^i  veriimeute  igriabite 
^.^riguardo  alla  carta  %  chetai  c^aUtru  l 
Quattm  4ÌeÌ{e  pt^edeUe  Novelle  ffdfVt; 
§fO  iruerjite  .da  'Qirolamo  Jjane^lti  f^el  t^ 
9Q.  vplàp^  d4  NoiJoUief^  Sa^ììoo^ 
IfHQ  cfHffpilato^  ed  impressa^  ^.r^lgr 
9».  pel  Pasquali  nei  1754-  ¥»  /^-  ?aflij 

n  .  .  .^1*  ha  Qeloqia^  Gomniedia^  reckataai 
in  Fìreoie  ,p9t4>ficamepte  il  Carnovale  àef^ 
f  nono  i55o^  Firenze   ia    casa   de*  Giai|tt 

fS5l.     io.  a.  •..:.[ 

k  'Edifulonf  origirude rara^e  ckaUi  dalla 
!(injisea»,  fi  scrilta  in  prosa  ^  cóme  lo  sofùi 
4u(te  ie  ^l(n  /H  fl^^^Q  Autore:^  a^^ 
^  ìntennedj  in  foersi.  r   u\ 

VII.  1m  medesima  miOTameole  ristat^i 
MÙt  (adi  ^aagiontovi  gi*  ÌQterined|.  Ivi  p^| 
fjrmoti  i56o/ in  6« 

•^  ./?  uifa  ristfànpa  4eSa  sudd^a^^  cqm 
4fualche  piccola  variazione  in, fine  i  4^,# 
ggran^nte^  scorreva.  Tuùùayolta  è  da  te» 
parsi  car^.  per  aver  gC  Intertnedj  in  v^rsi, 
0fJl^attQ.  sBa^ersi  dai  sufriferiU^  essendo  i 
jpHmi  di  argomento  piacevole^  e  questi  fi 
(te fra  per  .pooqrnodarlÀ.^alC  uso  notturno.   ' 

YlÙ.  t^  àj^triuta^  Coinavedia ,   reci^ 
taUu   in   Sològoa  »  è  la  Fireujce   al*  JpaìM 


9» 

del  uagBtfieo  Signore  Bemardelto  de* 
dici  «  il  CarooTale  dell*  anno  i56o.  Ifi  atf- 
|nrcMo  1  Giunti  loSi.  m  o. 

Edizione  rara^  e  parimente  citata  dal^ 
Ì0  Crusca.  ^ 

Sarei  molto  inclinato  a  considerare  là  ^ 
presente^  come  Fedizione  originale  di  qtté-  ^ 
àta  Commedia^  giacché  non  mi  è  mai  av» 
venuto  di  aver  sot£ occhio^  né  citata  in 
Ofensm  Ìm^^  ^uelia  pur  di  Firenze  del 
%66qì  9  che  si  accenna  nella  Biblioteca 
Jtaliana  dclt  Haym  accresciuta  dal  Gian^ 
donati. 

IX.  La  inedeaitiiav  Yenezia  per  Fran* 
desco  Rampiztelto  i56i.  in  ii. 

Semplice  ristampa  delT  edizione  sud" 
detta. 

Al  N."  2gig.  della  Pinelliana  se  ne  ' 
cita  urC  edizione  di  Firenze  del  i^8.  ma 
ìdò  é  un  evidente  sbaglio ,  dovendosi  di^ 
re  i£f6i. 

X.  Commedie^  cioè  la  Gelosia,  la  Spi- 
Xitata,  la  Streoa^  la  Sibilla,  la  Pinzooheraé 
i  Parentadi»  rarte  non  più  stampate  «  né 
recitate.  Venezia  per  Bernardo  Giunti ,  e 
Fratelli  i582.  in  8. 

Edizione  similmente  citata  dalla  Cru^» 
sca,  ne/la  €fuale  le  due  suddette  Commedie 
della  Gelosia^  e  della  Spiritata  furono 
in  varj  luoglU  mutilate.  Ciascuna  di  que^ 
ste  sei  Commedie  ha  il  suo  particolar  fixjn*  ' 
itspizio,  e  comincia  con  rnowa  segnatura 
0  mimenMZione  di  carte. 


'  JCt»  I^*ArfeigogDÌo«  CotumeJai  tractt  ove 
per  la  prima  Tolla  dal  ms.  originale.  Fi^ 
reoze  »  ma  Venezia  »  lySo^  in  8.  gr. 
.  '  È  inserita  nel  Toma  ly.  del  Teatro 
Comico  Fiorentino,  che  si  puBbiiùò  in  Ve^ 
nezia  per  opera    del .  dottor    Ciò.   JCarla 

FrighetU. 

> 

Oper^  in  tersi*  ^ 

XII.  La  Guerra  de*  Moalrì;  al  Padh» 
Slradìno.  Firenze  per  Domenico  Mansani 
1584.  in  4. 

i  Edizione  assai  rarOf  e  forse  Vorigirutr- 
le  di  questo  Poemetto^  la  quale  è  citatm 
dalla  Crusca. 

XIII.  La  medesima  insieme  alla  Nanea» 
ed  alla  Gigantea  ec.  I?i  appresso  Antonio 
Gaiducci  i6i2.  in  i2. 

Edizione  parimente  citata  dalla  Cos'i- 
sca.  Il  Poemetto  della  Gigantea  è  opera 
del  Ferabosco ,  cioè  di  Girolamo  Amc'^ 
lon^ii^  o  secondo  altri,  di  Benedetta  Ar^^ 
rig^i.  . 

XIV.  La  Nanea  di  M.  S.  A.  F.  Firen- 
ze 1548.  in 

Questa  è  per  av\;entura  la  prima  edi* 
zione  j  ed  in  caso  che  esista  ^  deve  essera 
di  gran  rarità. 

XV.  La  medesima  insieme  ]alla  Gigan- 
tea saddetta.  Ivi  i566.  in  4. 

EdUione  /issai  rara  ^  e  sconosciuta  0 
molti  Bibliografi. 


.-i 


Atire  Hime  M  questo  Tèutoni  vario 
-genere  t^^aonai  sparse  in  varie  raoaoUe^p 
pome  in  quella  à^  Canti  Carnascialeschi^ 
ìielle  Poesie  burlesche  -  del  ^  Bensì  e  dmt* 
-tri  ec.  £a  Canzone  in  lode  deUa  Salsk> 
-eia  col  Comenlo  del  Grappa^ siampaèa  in 
^anloffa  nel  f  54$.  f  e  piccia,  in  Bìrenase 

ru  Manzoni  ne/  iSSg»  sem/ne  in  8..  non 
ho  qui  riportata^  perchè  io  pure  sana 
persuaso^  come  alcuni  altri  Bibliogtafi^  cha 
ossa  appartenga  più  probabilmente  ai  ÌBh 
swszyoia  che  al  Lasca. 


<  .- 


«    • 


Jrgw>,aUiì  antico  impt^iad^Tirtfi^popo^ 

hf  JiìMtui»^  M  i  Ornili  jennoL  emiiodici  e 

.  retti  ailora   daPraaoesoo  prèma,  serenisi 

^  jtmo  Re  di  Francia^  ^U0ndo\itfUa  ffene^  . 

erosale  bellissima  citràjdiPirmnae,  là  nel^ 

lui  timo  di  Gennajo  ^>  un    giorno  di  fesèa 

dopo  *  desinare  si  uovarono   in  casa   una 

*nim  meno  ¥alorosa  e  nobile^   che  ricca^e 

^  hello'  donna  '  vedova  ,  quattro  giovani  dei 

y^'primi  e  più  gentili  della  terra ,  per  passar 

""  $empo^  e  trattenersi   con   un  suo  canud 

'  /rateilo^  che  per  lettere  e  per  cortesia  a^e^ 

va  pochi  pari^  non  solo  in    Eùmnie^   ma 

in  tutta  Toscana;'  perciocché'^  oltretàltso 

^  sue  virtù ^  era  musico  perfetto^  e  una  oa-^ 

^ mera  teneva  /omita  di   canzonieri   scelti, 

^e'  d'ogni  sorte  di  strumenti  lodevoli  f   sap^ 

,  prendo  tuttie  ^^  gioT^ani  ,'  chi  più    e    ctii 

■'  nten&^  cantare  e  sonare.  Ora  mentre^  che 

'  essi  e  colle  voci ,  e  co*  tuoni   attendevano 

^  a  darse  piacere  ^  si  chiuse  il  tempo,  e  co^ 

^ -minció  per  swte  a   mettere   una  neve  H 

•  sfolta ,  che  in  poco  di  ora  ideò  per   tutto 
*  ìln  braccio  sommesso;  di  maniera  che  i 

'  ^g^àvani'  dò  veggendo  ,  ìasciatm  '  U  sonoro 
* ^o  il  cantmm^  di  camera  si  uscirono.,  o  in 
'  ^mn  heUissinmr  cortile  %B9mti.,  si  diero  a  tra^ 
'  ffMila^so  ootta^neve.'  ha  mal  cosa  senien^ 
'  ^eh  la  padromt  di  casof  la  quale  èra  awo^ 
'  ^Hevmle  è  maniemm/  le  eadtle  net f  animo  di 
'^fan  altfrauìh^ea  gli  altri  giovani  un  as* 

*  HMto  yksceroiei  o prestamene  chidntò  t/pat- 
ipmfàmi  iiomm  »  ^Am  sue-^^àstre^  «na 


tra  rtmfkaie'  f  tlw  per- vame^  cmgèani^  e  per^ 
ìik^ni  ri$peui  si  trovttPano  aliora  in  casm 
§eco  ;  rtoHli  ^  heSe  tuue^  Ugffadre  e  groé 
-ssiose  a  mmrmvigUa.  Le  Jigtiastre  avei^an^ 
i  mariti  loto^  per  negotj  aeila  mercatura^ 
uno  m-  Roma  e  Valeri  n  f^inegia^  quel  deU 
ta  nipote  era  in  vfiziot  e  qiml  della  vicina 
in  9iUa%  e  disse  t  Io  ho^pensaào^  fanduUs 
mie  eare^  che  noi  spaceiatamente  ce  nm 
andiamo  in  sut  '  tetto  ^e^/aeeiamo  in  un 
tratta  9  con  tutte  Je  /aaiesce  insieme  ,  um 
numero  grandissimo  di'  palle  di  neve,  e  iU* 
poi  alle  finestre  della  corte  ce  ne  andia^ 
mOf  e  facciamo  con  esse  a  ^e'' giovani,  che 
tra  loro  comméttono,  una  guerra  terribile^ 
Essi  si  vorranno  rivolgere  e  risponderci  i 
ma  sendo  di  sotto,  ne  toccheranno  taniOp 
'che  per  una  velia  si  -  troveranno  malconcL 
^P tacque  il  parlar  suo  a  ^utte  quanta  ^  si 
che  disfatto  si  misero  in  assetto^,  -e  colle 
Janti  andatesene  in  sul  terrazzo,  e  indi  so* 

*  'pra  il .  tetto ,  con  prestezza  grand issi^na  ire 
x^assòi'f    e  due  gran  paniere  empierono  di 

"■  ien  falle  e  sode  palle  \^  e  chetamenie-^^ne 
^^  "eennero  alle  finestre;  c/ie^  rispendevano  so^ 

*  V  pni  <  //  tortile^  dote  4  giovani  mal  governi 
'  'ira-  loro  còmbatee^ano  ancora^  e  posaèe  a 

^piè  dt e ffù  finèstra  il  suo  vas»jo  o  la  sua 

panierini  si  "a/foociarano- 0  >un  ératào  sm> 

^xinie  e  'sbraèciate\  e  -  comimciarono  di  qua 

^'edt'ìà'à  trarre  confitsumente-  ^^  giey^ù  ^ 
'-^quaii  ^umnùa  meno   se -le  ^gy^/ptigiio» 


6fr 

tanfo  pia -jHirvè  loro  ^H  ca$o*>^4Mp  e^.ma^ 
ravffilioso. •  £•  colti  alF  ùnpromUo «ni/» ^ queir 
subito^  alzando  il  capo  in^u^  nonsàppifin^ 
do  risolverse^  stavano  fermi  e^guardavano^ 
sicohè  di  buone  pallate  toccarono  nelle  tem*, 
pie  9  e  nel.i^iso^  per  lo  petto  ,  e  per  tutta- 
la- persona.  Pur  poi  veggendo  ,  che  le  don* 
ne  face\^ano\daddcv,ero^  gridando  e.riden»^ 
do  si  rivolsero^  è  cominciarono  insieme  una 
scaramuccia  la  pia  soUazzevole.  del  mondai 
ma  i  gieuani  ne  andavano  col  peggio,  per-;  ' 
ehè  nel  china rse  erano  colti  scofifiiamen*  . 
tB^e> nello  schifate  una.  palla ,  T altra  gli  ve* 
niva  a  investire^  e  spesse    volte   avvenne  ^ 
che  alcuni  di  lord,  sdrucciolando,  caddero,^ 
onde  otto  o  diece  pallate  toccavano  a  un 
tratto;  di  che  le  donne  facevano  muravi* 
gliosa  festa,  e  per  un  terto,  d'ora,  quanto 
bastò  loro  la  neve^  ebbero  un  piacere    in*  , 
comparabile.  E  di  fatto,  quella   mancata^ 
serrate,  le  finestre,,  se  ne  andarono  a  scalr 
darse  e  .a  mutarse ,  lasciando  i  giovani  nel-* 
la  x:orte.a  sgrido ,  tutti  quanti  imbrodolai. 
e  molli.  I  Rovani  veggendo  sparite  le  don^ 
ne^  e\'le  finestre,  serrate,   subito  ,    lasciata 
la^  impresa  n  se  ne.  tornarono    in  camera^ 
dóve  trovato  acceso  un,  buon  fuoco ,  elèi 
attese  a  rasoiugarse^  chi.  a  farse,  scalzare^ 
chi  ,se  ne  entra  ìwI.  letto  ;    e  furonvi .  di 
quèlH^^iAB  si. ebbero  a  mutare  per   infino 
alla  camicia.  Ma  poi^cbe  essi  furono  ra>* 
sciattile  riscaldati^  non    si  potendo-  dat^ 
pace, jMlh  .essere ^stad  dalle   donn^   coskf  . 


6t 

ffwióonci^'pfens'àtono  -di  ^oendieairsene  ',  -a^ 
dt  ^oneordim-*  ùornacise/te  cheiamence  nel\ 
cortdì^^  s^emfHerono  tutti  le  mani  e  il  Ssno^ 
di  nevé'j  e  i>r&deadosi  troi^ar  le  donne  sprov^ 
pedate  inùorno  al  fuooo^  s*  avviarono  piar^ 
piano  per  assaltarle^  e  fare  le  loro  vendete 
te  /  ma  nel  saHr  la  scala ,  non  poterono' 
tanto  celarse^  che  da  guei/e  non  Jasstro  o 
sentiti^  e  "veduti;  n  che  consocia  Uno  stan- 
te; serrarono  Coscio  della  sala ,  onde  i  gio^ 
fani  rimasti  scìietniti  ^  se  ne  ritornarono^ 
in  cùmem  ;  o  perchè  egli  era  già  restato 
di  nevicare^  ragionavano  di  andare  in  quaU^ 
che  lato  a  spasso;  e  mentre  chotralor^ 
si  disputava  del  luogo  ^  cominciò  per  sor^ 
te ,  come'  spesse  "volte  veggiamo  che  la 
ne%e  si  converte  in  acqua ,  a  piovere  ro^ 
mnosamente  ,  di  modo  che  si  risolvetono 
di  starse  quivi  per  la  sera^  e  jatto  portar 
de  lumif  perchè  di  già  s^era  rabbujato^  e 
raccendere  il  fuoco ,  si  dierono  a  cantare 
certi  madrigali  a  cinque  voci  di  Verdelot^ 
to  e  éC Arcadelte.  Le  donne ,  poiché  ella 
ebbero  scampato  la  mala  ventura  ,  atten* 
dendosi  a  scaldare,  si  ridevano  di  coloro^ 
e  nel  ragionare  insieme  di  cose  piacévoli 
e  allegre  f  udirono  per  ventura  i  giovani 
cantare ,  ma  non  discernevano  altro ,  che, 
iM  poco  di  armonia;  onde  desiderose  ttin^ 
tender  le  parole^  e  massimamente  alcuna 
di  loro  t  èhe  se  ne  intendevano  e  se  ne^ 
diiettavanOf  deliberarono  per  consentimene 
10  di  ùutte^  e  d^ accordo^  che  i  gjU>t>ani  sk 


pàBf^nfiUtth:  a  tpst,  winan^a  o  pfir.4àmicuia^ 
starno ,  dmmesticanufntè.  saiUi  praiìGare    ùp^^ 
sieme.  JS  così  la,  padmna  fa.fatt<^  messag^^ 
ffera\  la  ^u(U  cQsai.  giovani  49co§ti:aron»j, 
pia'  che,  wlentien^  ^  eoUa,dafm^  presta-- 
fnetUe  ne  v^Hfiera  co/UenUsshnL^  in  .  sala  ^^ 
dove  dalla.  àUte,dcmr\ajwono  ononsua^n%. 
l§^  <i  eam  ^ffWidissima  (dhgrttzza  49  qnfit^ 
sicevuiiK.JBLpoi  che  €^si..ebbno.x^ntati.  .^ 
aìAroUa  ììfadrigali^  oon  jadiìisfé^imcnit^ 
«  piaaera  non.  picfiqlo  f  di  tt$U^  la  brifftUf^ 
:tL  misera,  a  ,4ederfi.  al  fuoco  ^  .^  dov/e  un 
iffie^  giovani  oi^endo  arry^caco  di  camera 
Cffnlo  Novelle^,  e^  tenendqlQ    così   sotto, 
hmccio^  fu.  jdomandafo  da .  una    di   q^ell^ 
dQunc^  ohe  li^rp  e^i  fosse  :  alla  i^ugle  ^a« 
im  risposi  M«r^  il  piU  k^llQ  ed M.pià  uti^ 
kichajiisse  mtii  siato  cpmpqstq^  Questa  ^ 
4iisf0^  éona  le,  f^i^ole  di  jness^r    Giovami 
Sofioofìcia  ^  aiazi,4i  ^n  QiovQnm  Bocca^ 
^ro.  MibeiHi$  wposa  urCaUra  di  loro^  «$^s%i 
tOt  mLpiacquq,  ^  sogghigna f  E   perchè  .il 
gk^aisoi  a^wa,kell^,  ypQe  a  buona,  grav^ 

mliieg^re^/M  4'in^^opregatPtJC^qtéMr 
tHimt  4sa^voksse.^.,ii:e  .  a,  s^a  scelta i-mq 
^^  ricuiando^  s^levos  che  akri^  icggesfi^ 
^fS^mQ  4  ifuaadQ .  wì altra  d^fìe.  dorme  ^^  ly^ 
,pèglianÌQ^  Ia  partBtiej^  disse. ei^,  tqrre.fid^ 
im$sa  Una  giornata^  e  ofascw^q  leggé^db^ 
w.^cia;  ali0SQ  -che  esfi  erano.., diec^^  yet^ 
M^»  /awfì^r  #>e .  Q-ogiìuno,  tofidier^ks 


e»' 

.  jcir  Ji  <ì09ieiy  e  casi  mentre  cSfe  srhomism^, 
eletta  delie  giarnat»i  ohe  clU  vtd^a  Im  éfuii9^. 
ia^ctii  lateru»^  ^Utri^Uè,  jesta,    okri.  Uk 
qtéoHa^  echi    Itr  seuima^    venne   vogìia^^ 
aita  douns  principale  di  meCùere  md  effet^ 
40  Un  pensiero^*  cÀa  alloru    alionè  -Je  era 
venale  nella •  fafUaeia  ;  e-  eenuè^^e»  alirm 
leveiési  àalfuacoi  '4e  he  onda' im4)amara%' 
^fiUioei  cluatnare  il  servidore  di  easa  e  il 
femiglio  s  iir^>òse  loro  ordinatemence  éfuel 
ienioi  che  ella -voleva  che  essi  facessero  \^ 
e^^iornatasene  al  suo  luogo ,   là  ^dove  an^  - 
mra  tra^  la  eompagnia  della  giornata  #|.^ 
Ospuian^a^  con  iella  maniera  »  o  luffa  fen 
stevole  cosi  prese  a  direv  Poiché  la  ncces% 
sita*,  più  che  il  if ostro  senno  ^  o  *il  Mostre^ 
ewedimento^'  valorosi  giovani,  e  voi leggiaih  - 
sU-e /ameiuUe 9  ci  ha   ijui  insieme  -per 'Ut 
non  pensala  a  fugiorusre  stasera  incorna  a- 
questo  fiioeo  -  condotti  ,  '  io    sono  Jòr^uita 
^iiiadervi  e  pregarvi,  che  mi'facdùtit  una 
graeia,  voi  uomini ,    dico,   perdoqchè    la 
mie  donne^  tanta  fidanaa^  ho  neUa*benigrUf 
là  a\neUa  cortesia  loro,  so  che  nomma»- 
aéenumo  di  fare  ^psel  tanta  che  m^piace^' 
ma.  Per  la  tfual  cosa^  i  giovani  prótrtettenu 
sk>  tutti,  e  gitttando  'di  fare  ogni  cosa  \chm 
lora  si  potesse ,  e  che  le  tomtuse  cq^ 
ìa^  ella  scffdèando ,' disse  :  ^Voi  udite^ 
meme  non  ptsr  piover  mnù  diluvia  ^Uciebsi 
ss  però  la  grazia,  che  far-  mi  dovete^  ^^Mk 
^he  scasa  partirvi  di  qui  altrimentif  vLda^ 


a'-    «1 


«4 

griàattr  hissUi  sera  di  óùkmr  mecò  dome' 
siicamenie^  e  col  mio  fraùeUo\  e  amicissi^' 
mo Mostro  intieme.  Intanto  la  piùg^  do*- 
vera  fermane;  e  quando  bene  eUa  segugi 
iàssef  giit  a  terreno  sona  tante  camere  for> 
nite  t  che  molti  più  che  voi  non  sete  f  vi 
alloggerebbero  agiatamente  ;  ma  intani» 
^e  Cora  ne  venga  del  cenare^  ho  iopen^' 
-eato,  quando  vi  piaccia,  come  passate  al* 
legramente  il  tempo;  e  questo  sarà^  non 
leggendo  le  favole  seriòle  del  Boccaccio  » 
ancora  che  né  pia  belle  nò  più  giocon^ 
de  né  pia  sentenziose  se  ne  possano  ritro^ 
Pare;  ma  trovandone  e  dicendone  da  noi 
seguiti  ognuno  la  sua;  le  quali ^  se  non 
saranno  né  tanto  belle  ,■  né  tanto  buone  , 
non  saranno  né  anche^  né  tanto  viste  né 
tanto  udite,  e  per  la  novità  e  varietà^  ne 
deveranno  porgere  ,  per  una  volta  ^  con 
qualche  utilità  non  poco  piacere  e  conten^ 
'  io;  sendo  tra  noi  dslle  persone  ingegnose, 
sofistiche  9  astratte  e  capricciose.  E  voi , 
giovani^  avete  tutti  buone  lettere  d^ umani* 
tà^  siete  pratici  coi  poeti ,  non  solamente 
JLatini  o  Toscani^  ma  Greci  altresì^  da  non 
dover  mancarvi  invenzione  «  o  materia  di 
dire.  E  le  mie  donne  aricora  s" ingegneran* 
no  di  farse  onore;  e  per  dime  la  verità  f 
noi  sento  era  per  carnevale^  nel  qua/  tem- 
po é  lecito  ai  reUgiasi  di  rallegrarsi ,  e  i 
frati  tra  loro  fanno  ^l  pallone ,  recitano 
Tcomntedief  e  travestiti  suonano,  ballano  e 


65 
MMfiffPBa».^  o/iS»  monache   aneora    non    si 

disdice  nel  rappresentare  le  fesie  ^  qUesU 
giorni  vestirsi  da  uomini,  colle  hetreue  di 
velluto  in  testaf  coUe  calze  chiuse  in  gang* 
iOf  a  colla  spada  al  fianco.  Perchè  dun^ 
que  a  noi  sarà  sconvenevole  o  disonesto 
U  darci  piacere  novellando!  chi  ce  ne  di* 
Tà  male  con  verità  ?  chi  ce  ne  potrà  con 
TQffone  riprenderei  Stasera  è  giovedì' ^  e 
toma  voi  sapete^  non  quesC altro  che  verrà^ 
ma  queir  altro  dipoi^  ò  Berlingaccio^  epe^ 
jò  voglio^  e  chieg^Soìfi  di  grazia,  che  quo* 
sti  altri  due  giovSd^  sera  vegnenti  f  vi  de- 
gniate di  venire  a  cenare  similmente  cortr 
'  mio  fratello  e  meco;  perciocché  stasera  ^ 
non  avendo  tempo  a  pensare ,  le  nostre 
favole  saranno  piccole,  ma  quest^  altre  due 
sere  ^  avendo  una  settimana  di  tempo^  mi 
parrebbe  che  neltuna  si  dovessero  dir  mez^ 
ume^  e  nelCahra^  che  sarà  la  sera  di  Ber* 
lingaccio^  grandi;  e  cosi  ciascuno  di  noi 
dicendone  una  piccola^  Una  mezzana  e  una 
grande^  farà  di  se  prova  nelle  tre  ^ise  ; 
oltre  che  H  numero  ternario  è  tra  gli  al* 
tri  perfettissimo^  richiedendo  in  se  princi* 
pio,  mezzo  e  fine.  Quartfo  il  parlare  della 
.  donna  piacesse  agli  uomini  parimente  e 
alle  giovani  donne  ,  non  che  scriverlo,  a 
pieno^  non  si  potrebbe  pure  imrrtaginare  in 
parie;  e  ne  fecero  manifesto  segno  le  pa^ 
-rolcy  gli  atti  e  i  gesti  di  tutti  quanti ^  che 
fton  pareva^  che  per  la  letizia  e  per  la 
Lasca.  5 


-*       I 


domna  seguitò   cosi  dicendo  ;  E^  >^'  .pqy  ^ 
n  di  9ec&isUàf  che,  tutte  le  CQ$e  ,   fih^fi. . 
paiano  a  Jaref  ti  facciano  eq,m  qufdclui^wyj 
Àne^  a  fine  che  lo  effetto  ne   seg^iifi^^p^iri^ 
quello  che  elle  so/i  fatte;  e,  per  qnw0t^ 
parrebbe^  quando  a  voi  paresse.,  ck9.  wH\ 
ci  reggessimo  non  con  -Re  9  f<^JMif^% 
ma.  eie  ci  goiyermusimo  ^  guis^  4ftjl<yi4>^ 
blica;  e  mi  parrebbe  aacor(^  piacendo  ^liy 
dimeno  a  voi  tutti  quanti^  che,  neflo  éBS§^^ 
re  o  prima,  o  ppi  al  noveUore^c^  Af  f<yr\ 
Se  e  la  fortuna  la  disponesse^  e  che  4f  ^ 
gliessero  tre  borse ^.  e  che  neW^nafuss€{rQ 
scritti  in  poUze  i  nom^  vostri^  0  nell^elfr^^ 
fucili  di  noi  donnef  e  che  n^Ua  terz>^  4^^ 
polize  fussero  solamente  ^  una  dicesse  j^Q^ 
mn\  e  una  donne  •  e  che  jdi  questa    ulti*' 
ma  il  primo  tratto  se  ne  traesse   una;    a 
che  di  quel  g/tnere^  che  ^lla  fusst ,  si  cor 
vsssse  poi  o  della  borsa  degli  uonsini^  o  di 
sjuelèa  delle  donne ^  e  cosi  si   seguitasse^ 
pr  dell  una  or  delT  altra  traendo^  per  infi- 
tto alC ultimo  \  e  ài  mano  in  morso    a   chi 
toocasse  »  .ri  acconciasse   al  fuooo  per  or^ 
dine  a  sedere^  e  al  primo  che  esce  o  don-- 
ma  9  od  uomo^  cosi  per  questa  sera  (i  )  ».. 
•  •••••• re ,  e  guardare  come 


(f)  Manca  il  restaoie^  cioè  una  carta 
intiera  neirorigtoale,  iudì  ripiglia  la  pagiaa 
Msseguenle  coxue  siegue* 


' 


Ir  Madm  •0Ua^  o  pia.  Ma  toidÉmdù  og^  ; 
wàd  Oiièiib'  ragionameuto  ^  prima    òhe   al 
mtnmare^di  ifuesia  sera  si  dia  prìnéipio ,  ' 
iw  rbHflgo  a  £«,  Dio  òttimo  e  grandissimo^ 
tke  solo  tutto  sai^  è  tutto  pùoi^   priegan* 
doti  diuòtanumte  e  di  cuore,  che  per    tua  ' 
iafitnSa^ bontà  e  (demensa  mi  conceda ,    e 
m  tutti  jfUMtt  aliri^  che  dopo  me  diranno^^ 
taàtt>  '£d  tuo  ajuto  'e  della  tua  grazia^  ehit^, 
ts  mia  lingua  e  la   loro   non  sKca   oiisà 
mkmstt  se  non  a  tua  lode^  e  a  nostra  éon^ 
ésiOsiona.  B  coA  venendio  alla  mia  fàvola^ 
II'  quale  »  per  dare  animo  a  tutti  ffoi^   è" 
wmtts^ssyi  come  festevoli  e  gioconde  si  deb'^]^ 
iofto  raccontare  t  sarà  più  tosto  che    rio 
alquanto  lasdvetta  e  alteriti  e  seguitò  di* 
tendo. 


f 


«s 


PRIMA  CENA. 


NOVELLA  PRIMA. 


\ 


N 


on  sono  però  molti  anni  passati,  che 
in  Firenze  fa  nn  Talentissimo  nomo  medir 
co,  che  si  chiamò  maestro  Mingo  t  il  qur- 
le  già  sendo  Tecchio»  e  dalle  gotte  torme^** 
tato ,  si  stara  in  casa ,  e  per  sno  pa^a- 
tempo  scriveta ,  a  utilità  delle  persone  t 
qualche  volta  alcune  ricette.  Ora  accadde, 
che  a*  uo  suo  compare,  chiamato  Sal?e« 
atro  Bi^domini ,  si  ammalò  Ja  onoglie  ;  on« 


d^  colui  ayendo^  iQokti^inLedici  iiqronto,  • 
niellò  aT«adoae  joà  Mfalà.  fii  fiduito,  óoit 
chfi  gaarire ,.  cooscere  pure  la  iafentiicà 
,di  colei  t   8fi  ne  .  andò  fioaimeote  al  so0 
maeMro  Mingo,  b  gli  contò   della  moglie 
t^tta  la.malalUa;  e  di  più   ^i   disip^  co- 
me lutti  {  Biedìai ,  che  F  aTerétio  Teduta^ 
W  av&ranù  falla  naia   giualìficaaia  ;  per^ 
|c»Dhè'il  Maestro  doleste  dÌ8M  al  oompi^ 
fio,  cha  mollo  gliene  increseeTat  e  che  a^ei» 
|e  pacieosa  ;  perchè  il  dolore  della,  mbrté 
JèUe  nogH  ere  eoqte  le  nercowe.dd  g<i» 
jnito,  che  benché   elle    dolgano  fortOi  jpaa- 
sano  tia  spacciatamente ,    e   che   non   si 
^igoltiseet  che  non  gliene  era  per  manca- 
re. Ma  SaWestro»  come  colui  che  fuor  di 
modo  amava,  e  cara   teneta  la  donna,  Ip 
pregava  pure ,    che   le   desse  e  ordinasse 
qualche    rimedio.    Il   medico   rispondendo 
diceva  :  Se  io  potessi  pure  venire  a  veder- 
la, qualche  riparo  le  faremmo  noi;  nondi* 
neno  arrecami    domattina   il    segno;  e  se 
iò^  vedrò  di  poterle  giovare,  non  mancherò 
deir  obbligo  .mio:,  e  fatfosi    raccontare  ap» 
punto,  e  informatosi  meglio  deHa  malattia 
ti  colei,,  gli. disse  ebe  quella  orina  serbaa- 
«e  ,  e  af recasse&li ,   che   daHe  diece  ore  im 
Is  fosse  fìitli    dalla  donna ,   seoda   allorii 
Jà  tir  ultimo  di  Genotjo;  della  qoal  cofli 
jknoJto  ringraziato  il  Maestro,  si  parti  con- 
tento SAlvesrrof  e  torncssene  a  casa  ,  e  la 
sera  mede&imaj  poicb'q^li  ebbe  cenato,  dis* 
^•SjHa  mog)^,  9oaM  B  acgao  di  lai  volete 


là^flAAttmà  v'itetfente  {Portare   Al   conipi^ire^ 

1^  le^fécé  {tìtebdèrè/ conte  bfébgo&Ta  quel^ 
Q  'dalle  diéìéé  ore  in  ìk.  La  donna,  yoIòq- 
lerpsa  di  suìiHt^e»  ne  fu  contenta;  si  che 
SalVésInS  nllt>osè  a  uria  fiimiceUà  giocane ^ 
che  €sa  avcFànò ,'  di  veotidùe  anni  o  ia 
'airciay  che  btesée  ibtomn  a  ciò  aTfértila^ 
e  in  orecchi;  è  àctbonciolle  -un  oriuoIb\ 
di  quelli  col  déstatojo  ^  e' le  comandò  ohe 
fo^  sentito  il  ròmbt-é  hadassef.  e  la  pri- 
jpa  orina  cné  là  donna  fàccsslf,  méttesse 
e.  '^uardà'Mé  déntro  Un  otrdaiè  ;  e  aada« 
tote. in  un*  aitlrb  bàmèrd  ài  ietto;  la  lascìd^ 
ho\\iA  moglie  in  guàrdia,  acciocché  se  nuU 
)a  ancora  le  bisognà^^e  ,  le  potesse  accon^ 
ciaìnènté  servire  «  come  era  solila  di  fare. 
Venne  intanto  l^ói^a  dipratata,  e  Toriaolo 
avendo  fatto  il  bisogho",  là  fante  cfaa 
Sandra  aveva  iiome ,  tegliando  tanto  slet* 
le^'che  a  colei  venne  voglia  di  orinare,  é 

^raccoltala  diligèntemente  la  mise  neir  o- 
j-ìnale,  il  qiiale'posb  rasente  una  cassa,  e 

jgittossi  sop^  il  lèttilbcio  a  dormire.  Ma 
Tenutone  il  giorno ,  ed  ella  risentitasi  per 
4arè  Tortna  al  padrone,  se  l^gli  la  dimane 

^^asse^  né  andò  ratta  dove  posto  lo  aveva, 

jB   trovato,    nòli    sapendo    come    Torinale^ 

^rse  dà*  tòpi  o  dalla  ^atta  sospinto,  che 
iaveva   dato    la    volta ,  e  tutta   s  era  rove* 

^sciata  Ferina  ,  dolente  e  paurosa  rimase } 
e. poti  sapendo  che  scusa  si  pigliare^  te- 
mendo di  Salvestrò,  che  era ,    anziché  nò, 

"'nOblio  nikn "|idt&ttò  ,  V  bizsarh)^^  dilifoerÀ 


fj2  eniÈ.  Mtifà* 

per  Bon  awr^del  romore,  o  foTM  aliale^ 

5 jccbiala,  metlwti  dentro  la  eoa;  <Qa  atea** 
oDe  voglia  t  pisciandoTi ,  empiè  mezao 
queir  orinale  :  ne  stette  guarì,  che  Salve* 
6tro  Tenne t  e  domandolle  T orina;  ed  ella 
come  avete  inteso,  in  cambio  di  quella 
della  moglie  inferma,  la  sua  gli  porse  den- 
tro r  ormale.  Colui  non  pensando  altro  » 
aotto  il  mantello  messoselo ,  ne  andò  vo- 
lando al  medico  suo  compare,  il  quale 
veggendo  il  segno,  maraviglioso  e  ammi« 
rato  .ne  rimase  ,  a  $alv€stro  dicendo  :  G>- 
6tei  non  mi  pare  che  abbia  male  alcuno» 
Colui  diceva  pure  :  G>si  noli*  avess*  ella  ; 
la  meschina  non  si  muove  di  letto.  Il  me- 
dico nou  veggendo  in  quella  orina  segno 
alcuno  di  malattia ,  al  compare  rivoltosi  » 
disse ^  allegando  certe. sue  ragioni  e  auto- 
rità di  Avicenna,  che  T  altra  mattina  vo« 
leva  rivedere  il  segno  ;  e  cosi  restati ,  se 
ne  andò  Salvestro  alle  sue  faccende,  lascia^ 
to  il  maestro  di  non  poca  maraviglia  pie* 
no.  La  sera  intanto  ne  venne,  e  Salvestro 
tornato  a  casa,  e  cenato,,  alla  serva  mede* 
sima  ordinato  il  tutto ,  diede  la  cura ,  e 
andussene  a  dormire.  Ma  poi  ,  scoccato 
r orinolo,  e  venuto  il  tempo,  e  colei  chie- 
sto da  orinare,  e  la  Sandra,  riposto  aven- 
dola,, si  ritornò  a  dormire  ;  e  a  buon*  ora 
risentitasi ,  fra  se  stessa  pensando ,  Tentrò 
paura  addosso,  dubitando  che  il  padro* 
ne  nel  portare  Torina  della  moglie  amma- 
lata,   ella   non  fossa  dal  loedico   conosciu- 


te;  é  si  |M|iiliva  forte  di  arerli^  il  primo 
Iratlo -icavibiata  ;  temendo  poi  che  3aNe- 
itro  adiratosi  t  non  le  facesse  confessare  i( 
cacio  t  onde  poi  la  cacciasse  via,  o  le  deai 
ae  qualche  baona  tentennata:  sicché  riso* 
latai^  prese  per  miglior  partito  di  gittar 
TÌa  quella^  e  di  ripisciarfi  un'altra  volta; 
e  levatasi  prestamente,  come  disegnato  ave- 
va ,  coA  fece.  Ella  era  -  di  Casentino  ,  « 
come  voi  sapete,  ne*  ventidne  anni;  bas^ 
aa  9  ma  grossa  della .  persona  ,  e  compresa 
•a  e;  alquanto  brunetta  ;  le  csrni  aveva 
fresche  e  lode,  ma  nei  viso  colorita  e  ac- 
cesa ;  gli  occhi  erano  grossi ,  e  piuttosto 
che  no  lagrimosi  e  in  fuora,  di  maniera 
che  pareva,  che  schizsar  le  volessero  dalla 
testa,  e  che  gittassero  fuoco  ;  uno  scorzone 
da  macinare  a  raccolta,  e  un  cavallotto, 
vi  so  dire,  da  cavare  altrui  d^ogni  fango. 
Cosi  venutane  V  ora ,  e  Ss^lvestro  avendo 
chiesto  ,  e  da  lei  avuto  Torinale ,  se  ne 
andò  al  medico;  il  quale  via  più  che  pri- 
ma maraviglioso ,  assai  quella  onna  guar- 
data e  rigui^rdata,  uè  veggeodo  altro  den- 
trovi ,  che  segno  di  caldezza,  a  Salvestro, 
^sorridendo,  disse:  Compare,  dimmi  per 
toa  fé ,  quant*  è  che  tu  non  usasti  con 
mogliata  il  matrimonio  ?  Colui ,  pensando 
che  il  maestro  lo  burlasse ,  rispose  :  Voi 
avete  buon  tempo.  Ma  il  medico  pure  ri- 
domandandonelo ,  rispose ,  essere  più  di 
due  mesi.  Sta  bene ,  disse  il  maestro  ;  e 
sopra  iAò  pensato  alquanto    si  dispose  di 


1^4  .  /.     HkniA .^èt1fI^ 

f  càeM  la  fcm  -  Tolta  rivedere  r^orini  ^  a 
gK  dÌ6se^  Cdntpare^  rallegrati»  che  io  wsa^ 
so  di  arer  '  oonosoiotò  *  la  infermità  delkir 
CòmaM  ;  ond*  io  ho  speranza  agerolmeiiti^ 
é  eoa  prestezza  rèndertela  sana  ;  A  che  do« 
mattìiia  ritoma  'medesimamente  cot  swno^ 
e  io  ti 'ordinerò  alleilo  che  tu  debba  fare; 
F«rtissi  allegro  &il?estro«  e  alla  mn|^e 
fk>riò  la' buona  ùòvella,  lietamente  aspetof 
fendei?  con  disio  il  giórno  tegnente*  per 
intendere  il  modo  di  ritornar  sana  la  sna 
eara  consorte.  Cesi  la  sera»  cenata  che  e^ 
ebbe  \  '  stette  alquanto  intorno  alla'  donna  « 
Confortandola  ,  e  dipoi  «  commeseo  il  me* 
desimo  alla-  serva,  air  usanza  se  ni»  andò 
tfl  Ietto*  a  riposare.  La  Sandra  «  avendo  il 
^rvello  a  partito ,  perchè  non  avesse  à 
Uscire  scandalo  ;  poiché  due  volle  aveva 
^toio  errore,  seguitò  di  farlo  la  terza ^ 
e  à'Salvestro  la  mattina  diede  la  sua  ori*^ 
Ha,  In' véce  a  quella  della  moglie:  il  qua^ 
le,  quanto  pm* tosto  potette;  al  maestro  la 
]fk>rio.  Ma^  il  medico,  pura  e  chiara  v^gèn 
dola  Ul  solito,  se  gli  rivolse  ridendo,  e  dii 
^:  yiea  ^ud,  Saltestro;  a  te'  conviene» 
^^''^braitii,'  collie  par  che  tu  tnostrì,  la  sa^ 
Iute  di  inogliata ,  usare  secò  il  coito;  per& 
dbcchè  altro  non  vegffio  in  lei  di  male,  sa 
non  soverchio  di  caldeua  ;  né  altra  via  a 
modo  ci  lè  per  sanarla,  che  il  coogiunger<« 
8Ì^  a  ehé  fare  ti  Conforto,  quanto  più  to^ 
sto*"  meglio ,  sforzandoti  di  servirla  gagliar^ 
daDMnfta^*  e  sr^auesto  nov  giova .  fisi  co» 


lo«  die  *  dZi  MI  -spacciata.  SalfMtro  \   ioUra 
lèda  pretlando  al  medico,  promesse  di  fa* 
siir  il  DÌfogoOy^e  lasciollo  col  nome  dì  Dici 
iapettaodo   con  -  grandissimo    desiderio   la 
notte  ;  nella  qaale   la    salute   della  donn# 
procacciar  doveva  ,  -  e  ricoverarle  la  smari* 
rita  ^sanità.  Tenne  finalmente  Ib  sera  ^  ed 
^K  Cstlo  'ordinar  benissimo  da  céna ,  vol^ 
to  in  presenza  della  moglie  mangiare^  avea« 
do  fatto  intorno  -  al   letto  'accomodare  nit 
quadro,  e  con  un  suo   compagno  f  nomo 
piacevole  e  faceto,  motteggiando  sempre ^ 
^enò  allegramente»    Alla    fine  dato  lic<!iiza 
al  compagno ,    e  alla   fante    detto  che  s^ 
ne  andasse  a   dormire   in   camera  stia,  a 
èolo  rimase,  SI  cominciò  in  presenza  della 
donna    a    spogliare ,   burlando    e   ridendo 
loltavia.  La  moglie,  maraviglidsa  non  me- 
no che  timida,    attendeva   pure* la  fine  di 
qaello«    che    far    volesse;  il  quale  restato 
come  Dio  Io  fece  ,  se  le  corico  al  lato  ,  e 
aòminciò  di   fatto,   toccandola  e *striogen«^ 
dola,  ad    abbracciarla  e  a  baciarla:  a  cui 
la  donna ,  quasi  Aìgottha,  ciò  veggendo  è 
aentendo  disse:   Ohimè!    Salvestro ,  e  che 
▼ool  dir  questo?   Sareste    voi  *  mai    uscito 
del  cervello?  Che  è  ciò,  che  voi  Tolete  fa- 
rel  Colui  rispondendo ,  dicera  pure  :  Sta 
Cerma,  don  dubitare;  pazzerèlla;  io  pro^ 
Mccio  tuttavia  di  guarirti  y  e  volle^  questo 
detto,  acconciarsi,  per  salirle  'addosso;  ma 
aolei,  alzando  la  voce,  prese  a  dire:  Ohi^ 
■sei  traditore,  a  quesfa  modo  Tolala  aoai^ 


7&  pmniA  CKK^ 

mazzarmi'?  e  non  potete  aT«rc  pàcieu^ 
Unto  che  dt  se  stessa  mi  occida  la  inalai*, 
lia,  che  sarà  tosto,  senza  volere  affretta^, 
mi  con  si  strano  mezzo  la  morte?  Come!^ 
risposa  Salvestro  ;  io  cerco  mantener?!  in^ 
¥Ìta,  anima  mia  dolce;  questa  à  la  iftedj* 
cioa^al  tuo  male;  cosi  mi  ha  commesso  it 
compar    nostro    maestro    Mingo,    che   sai 

Juanto  e($li  sia  intendente  fm  gli  altri  me« 
ici;  e  però  non  dubitare,  sta  cheta,  e  sak 
da,  a  fine  che,  prestamente  guarita^  esei^ 
di  questo  letto.  Colei  gridando  pure,  è 
scotcndosi,  non  rifina  va  di  riprenderlo  e  dt 
garrirlo;  ma  sendo  debolissima,  dalla  forza^ 
e  daV  preghi  del  marito  si  lasciò  finalmente 
Tincere,  di  modochè  il  santo  matrimoni^ 
adempierono  :  e  la  donna  ,  avendo  propo* 
stosi  di  stare  immobile,  come  se  di  marmo 
fusse  stata,  non  potette  far  poi,  che  non  si 
dimenasse  ;  e  ben  le  parve,  come  il  marito 
la  strinse,  che  le  mettesse,  come  egli  ave- 
Ta  detto,  la  salute  in  corpo;  perche  in  un 
tratto  senti  dileguarsi  il  rincrescimento  e 
r  affanno  della  febbre,  la  gravezza  e  la  de* 
Bolezza  del  capo,  e  la  lassezza  e  la  staiH 
chezza  delle  membra,  e  tornar  tutta  scar 
rica  e  leggiera,  e  col  seme  generativo^  gii- 
*tare  insieme  la  zinghinaja,  e  tutto  il  malo- 
re: e  così  amenduni,  fornitoli  primo  scon- 
tro, alquanto  presaoo  riposo  e  lena.  Ma 
Salvestro ,  avendo  a  mente  le  parole  del 
medico^  si  messe  in  ordine  per  fare  il  se- 
condo, assalto,  dopo   il    quale,  non  molto 


IfÓTELLA    I.  ^ 

fletto  che  il  terzo  menarono  a  fine:  A  che 

"itanchi  a  dormire  si  recarono,  e  la  donn% 

che  Tenti  notti  innanzi  non  aveva  oiai  po« 

'  tato  chindere  gli  occhi,  s*  addormentò  in* 

'  còntaneute,  e  per  otto  ore  non   si   svegliò 

mai»  ne  si  sarebbe  svegliata  ancora,  se  non 

che  frugandola  il  manto ,  al*  quarto  assai* 

lo  dierono  la  stretta ,  che  già  era  di  alto  ; 

e  la  donna  si  addormentò,  e  dormi   poscia 

perinfino    a    terza.    Salvestro  *  levatosi ,    le 

fortò  al  letto  di  sua  mano  confezione  e 
rebbiano,  come  se  ella  fusse  stata  di  par- 
to :  la  quale  più  mangiò  ,  e  più  di  voglia 
la  mattina,  che  per  Io  addietro  non  aveva 
fatto  in  otto  giorni  ;  di  che  lietissimo  il 
marito  ne  andò  al  medico,  e  ogni  cosa  gli 
raccontò  per  filo  e  per  segno  ;  onde  il  me« 
dico  ne  rimase  consolato,  e  confortoUo  che 
seguitasse.  Salvestro  da  lui  partitosi ,  poi* 
che  egli  ebbe  recato  a  fine  certe  sue  fac- 
cende, in  su  Fora  se  ne  tornò  a  desinare, 
ed  avendo  fatto  cuocere  un  buono  e  gras- 
lo  cappone,  colla  sua  cara  moglie  desinò 
aUe|;ramente ;  la  quale,  riavuto  il  gusto, 
qu^la  volta  mangiò  da  sana,  e  bevve  da 
inalata.  La  sera  poi,  molto  bea  cenato,  se 
ne  andò  col  suo  marito  al  letto,  nou  più 
dolente  e  paurosa ,  ma  lieta  e  sicura  del- 
ia medicina.  Cosi  Salvestro  airu&ato  medi- 
candola, e  facendole  fare  buona  vita,  per 
non  tenervi  più  a  tedio,  in  quattro  o  in 
tei  giorni  sì  usci  del  letto  ,  e  in  meno  Ai 
ditcì ,  ritornò  Cresca  e  colorita  ,  e  quanto 


9t  m«i.wmu 

mèi  pler  l<y  addietro  fosse  filata^  «im  e  bA»; 
]«•  DelU  qoal  còsa,  col  odaritoinsitme  coik 
ieDlÌMOEUit  ringraziaTa  DtOt  e  la  buona  w^*^ 
verlebva»  e  il  vero .  coooaci  mento  dd.  mtH 
4ico  suo  compare ,  cba  di   quasi    morta  4 
renduto   le  aveta   con  si  dolce   mezzo  I9 
prospera  sanità.  In  questo  mentre  9  vennldf 
se  ri  carnoTale,  accadde  che  una  sera  dop^ 
cena,  sendo  Silvestro  e  la  moglie  al  fuocq^ 
lieti  e  pieni  di  festa  cianciando  e  ridendo^ 
)a  Sandra,  Tedoto  che   lo  scambio  deU*o» 
rinaie  era  slatQ.  la  salvezza   della   padronn 
ed  il  conforto  del  lAarito,  ogni  cosa,  oom^ 
era  seguito  «    particolarmente    raccontò  lo« 
ro;  di  che  maravigliandosi,  tanto  risero  l^r 
aera,  iotorno  a  ciò  pensando,  che  doleva  « 
no  loro  gli  occhi*  E  Silvestro  non  fu  prii» 
ma  giorno,  che  ne  andò  a  casa  il  medico^ 
€  gli  narrò  ordinata  mente  il  tutto;  il  qua- 
le stupito,  e  quasi  fuor  di  se  considerava 
il  bel  caso  che  era  nato  ;  e  come  non  vo« 
letido,  anzi  quasi  per  nuocere  alla  donnat 
colei  fosse  stata  cagione  di  giovarle^  e  ve- 
ramente della  sanità  sua  ;  e  avendo  riso  uà 
pezzo  anch'  egli,  a  ognunOf  che  a  casa  gli 
capitava*  come  per  un  miracolo,  racconta* 
va  questa  piacevolezza;  e  nelle  sue  ricet- 
te scrisse,  che  a  tutte  le  malattie  delje  don« 
ne,  che   fussero   da'  sedici  infine    a'  cin» 
quanta  anni,  quando  non  si  troTasse  altro 
rimedio,  e  che  da'  medici  fussero  state  di* 
sfidate ,  il  coito  essere  atto  e  potentissimo 
a  renderle  in   breve   tempo  sane,  addu* 


V. 


iiii 


7»V 


aoefla  per  esempio,  ch/5  nelle -ìiae 
core  cb  era*  ^otenreouto.  £  a  Sai? e^ tro  fece 
intendere  >  che  la  saa  fante  ^  che  di  tanta 
Balie  gli  era  stata  cagióne ,  bisogno,  gran- 
£ÌMÌttio  aTCTa  di  marito ,  e  che  senza  pò- 
trd^lMS  agevolmeote .  incorrere  in  qualche 
strana  e  pericolosa  infermità  :  ónde  Sjilve- 
stipo  > -per  ristorarla  d^l  beneficio  rfcevato  ^ 
l^dkaé  per  moalie  a  uno  figliastro  di  uà 
tqo  ktontore  da  San  Martin  la/^Palma, 
gìoTttDie  di  prima  barba  ^  uno  -scuriscione  » 

dire,  che  le  scosse^  la   polvere  e  le 

ò  le  congienture*  . 


8x 
NOVELLA  IL 

Un  Giocane  ricco  e  nobile^  per  vendi^ 
corse  con  un  suo  Pedagogo  ,  gli  fa  una 
beffa  ^  di  maniera  cke  colui  ne  perde 
il  membro  wrile^e  lieto  poi  se  ne  ior^ 
na  a 


N. 


oo  potevano  restare  le  donne  e  i  gio* 
Tani  di  ridere  della  piacevole  novella  di 
Giacinto ,  molto  lodando  la  ricetta  del 
Medico  intorno  alle  incurabili  malattie  delle 
£emmine;  ma  sapendo  Amaranta  a  lei 
dover  toccare  la  seconda  volta ,  cosi  scio^ 
gliendo  le  parole ,  vezzosamente  prese  a 
dire  :  Veramente  che  Giacinto ,  si  può  di- 
re 9  che  per  la  prima  una  favola  ci  abbia 
raccontato  ^  e  io  per  me  ne  ho  preso  pia- 
cere, e  avutone  contento  maraviglioso  ;  e 
così  mi  pare  che  a  tutti  voi  sia  interve- 
nuto 9  se  i  segai  di  fuòri  possono  o  della 
letizia ,  o  del  dolore  di  dentro  fare  alcuna 
fede  ;  laonde  io  sono  deliberata  ,  imitando- 
lo «  lasciarne  una,  che  io  n'aveva  nella 
fantasia  ,  e  un*  altra  raccontarne ,  venutami 
or  ora  nella  mente ,  che  non  credo  che 
vi  piaccia  meno ,  e  meno  vi  faccia  riderCf 
e  cominciò  così  dicendo. 

Amerigo  Ubaldi,  come  voi  bene  po- 
tete sapere,  fu  ne*  tempi  suoi  leggiadro, 
HGCorto  e  piacevole  giovane ,  quanto  aUra 

Iàugo.  6 


.^cpe  fosse  mml   in  Firenze.;   jl   quide.]>^ 
vìbÙ^    yeplura  ^ .  vivepte  >uq.    fMace^,  f^ii^ 
nella  sua  fanciullezza  per  guardia   un   p^- 
^dagQgo  9  il  p\u    imfiortuno   e   KitroSQ  v  cU^ 
tese  ^àmniai  ^  oltre  lo  essere  ìgoonmte«  s 
^(fo(  il.  quAlevlc^M^^nao  andare  lo  aocopif 
jiagnarjp  ^Hai  scuola  ^  ìKrilorf tarlo  a  cas^ 
non  gli  si  voleva  mai  levar  .4'inlorno  (  tal- 
ché il  povero  fanciullo  non  poteva  fa  vel)iaii0 
.parola,  che  il  pedante  non  la  volese  inlcii^ 
.  date.  Che  pia  ?  tniesser  )o  precettore  t  noa 
^miexA  altro  struggi  menu)  che  m^narseki  dit^ 
lr<H  ^  stargli,  appresso  >  e  Io  guc^dava  CQ« 
me  una  fanciulla. in  casa,  facendo   intea- 
dtre  al  padre ,  quanto  fosse  da  tenerlo  ia 
riguardo  y  e  non  gli  lasciar    pigliar,  pcatir 
jqhe  ;  .perciocché  ,  ì    giovani ,  erano  pia  chi9 
Jtt^ì  acorretti  e  volti  ai  vizj ,  9  per  coase* 
moieote  inimici;  delle    virtù:    tanto   che. al 
JMuiciulletto  ^  per  paura  4el  padire  ^  conve- 
Wv^  coxiveràare  e  praticare    con  compagui 
^fempre*  o  eoa  amici    del    pedi4g<>go.,  che 
j[ier  io  più  erano  tutti  o  castellani  ccoar 
Jts^ini.  Penaate  dunque  v<ii  ^  che  costumi  «a 
Buone  creanze  apparar  poteva  9  ed  in  qi^ 
èia  maniera  lo  teoue  dagli  undici    per.  iiv- 
fino,  ai  diciasseUe  anni.  Ma  dipoi  morendo 
a^  Lione  uno    suo    zio^.e   il   padce  sendp 
Cfigiiouevole  e  attempato ,  f^  costvetto  an<)ar 
Jà  egli  per  una  eredità  grandissima ,.  dove 
atette  dieci  anni ,  e  praticando   a  sixo  piar 
opre  con  alcuni  .Fiorentini,  che    vi    en^apo 
pari^suQÌ>  gipvani  .nch|li  G.^Qtiji ,  si  fec» 


4i'  io*  breve  «ostumaio  e  Taloroso  ,  e  còm% 
^e*  che  atera  spirito-  diveone  intendeiita 
td  etperlo  nella  meroatliTa.  Ma  in  qaesto 
mèahre'  moreadogli  ^uaniaso  ìV  padre  ita, 
forzato  'topdafsèoe  a  nrenfe,  a(We  trò* 
rò  il  peJagogo  più  bello  ehe  mai ,  olle 
due  suoi  fratellini  si  menaTa  dietro/  Ma 
poiché  egli  ebbe  le  sue  cote  acconce  e  di* 
tÌ9Bte  in  guisa  che  sfavano  bene,  voleadb 
a  iiioue  tornarsene  9  diliberò  innaoit  tratto 
di'  volef  cacciar  via  il  pedante^  ìcbe  ttattto 
'kt  odio  ave^B  ,  considerando  "quanto  trlstfàp 
'iuante  consnmnr  gli  ayease  fatto  la  siur  più 
fresca  e  più  fiorita  eiade  senza  uiii  piacere 
o  uno  'spasso  al  mondo  ,<  e  liberare  i  fra^* 
telii  da  cosi  fatta  soggettitndine  e  gaglioffe* 
ria  9  ma  prima  qualche  beffa  rilevata  far» 
eli  «  onde  per  sempre  si  avesse  a  ricordar 
di  ini.  E  seco  pensando  ,  gli  cadde  nelFa* 
iiimo  una  fargliene  ì  collo  ajato  di  certi 
suoi  Compsrgui  e  amici ,  che  gli  scootereb*- 
be  gran  parte  degli  avuti  piaceri.  Briiha- 
iti  quel  che  di  fare  intendevano  ,  fticén- 
dosi  per  sorte  allora-  una  cotnmedìa  nel 
pdagto  de'  Pitti  dalla  compagnia  del  Lanini 
e  Amerigo  sendovi*stato  invitato,  vi  tneni 
•eco  il  pedagogo ,  die  l'ebbe  molto  caro* 
Ma  poiché  essi  ebbero  cenato,  e  che  la 
commedia  fu  (ornila  di  recitarse ,  Amerigo 
col  pre<cettore  *  e  con  un  suo  compagno  si 
partirono  ,  e  in  verso  il  ponte  vecchio  prò*' 
sero  la  via ,  per  andarsene  a  Casa,  dove 
tgU  stavano  nel  quartieri  di  San  Giovanni/ 


84  fRlMA  CINA*. 

e  cosi  passando  per  Poi-Santamaria  »  ed  in 
ani  canto  di  Vaccbareccla  giunti  ,  una 
bottegnzza  videro ,  che  vi  staTa  ano  di 
questi  che  mettono  le  punte  alle  stria- 
che,  dirimpetto  al  quale  Amerigo  ferma- 
tosi ,  rìdendo ,  disse  al  compagno  :  Di  que- 
sto botteghino  è  padrone  un  vecchietto  t 
come  tu  puoi  sapere,  ritroso,  arabico  »  il 
più  fastidioso  e  il  pia  fantasticò  uomo  del 
mondo.  Io  Yoglio  che  noi  ve  gli  pisciamio 
dentro,  e  tutfo  colle  masserizie  insième 
gliene  scompisciamo,  acciocché  dodiatli- 
pa  poi  egli  abbia  di  che  rammaricarse  ^ 
e  cosi  detto ,  per  un  fesso  che  era  al  co« 
minciar  dello  sportello ,  come  se  siato  fosse 
fatto  a  posta ,  messe  lo  scbizzHtojo ,  o  forsa 
fece  la  vista  di  pisciare,  e  dopo  lui  U 
compagno  fece  il  simigliante,  sicché  toI- 
lòsi  Amerigo  al  pedagogo ,  disse:  Deh  mae- 
stro ,  per  vostra  fé ,  guardate  se  voi  n*a- 
Téle  voglia^  perchè  tutta  gli  empiamo  la 
bottega  di  piscia ,  acciocché  domattina  egli 
levi  il  romor  grande,  e  arrovellandosi  dia 
che  ridere  a  tutta  la  vicinanza.  Il  pedante 
veggendo  Tanimo  9uo ,  disse  che  si  sforze- 
reobe ,  e  ponzato  alquanto ,  sdilacciandosi 
la  brachetta  ,  cacciò  mano  al  pisciatojo ,  e 
come  e*  due  prima  avean   fatto ,  lo  messe 

er  quel  buco,  e  cominciò    a    strosciare. 

ra  là  dentro  il  Piloto  «  un  uomo  piace- 
vole e  facetissimo ,  il  quale  aveva  ordinato 
il  tutto,  e  sentito  benissimo  tutte  quante 
le  loro  parole  »  poiché  egli  conobbe  quello 


£ 


«Mere  il  precettore ,  stando  afta  posta  eoa 
no  capo ,  che  egli  aveva ,  di  un  laccio 
aecco  nelle   maai  ^  che  i  denti  ispessi,  lua- 

!;hi  e  agazzati  aveva  «  di  modo  che  parevaa 
esine  9  più  che  mezzo  il  cotale  prese  ia 
un  tratto  a  colui,  e  strinse  cosi  piacevol* 
mente  ,  che  dalP  uà  cauto  all'  altro  gliene 
trafisse ,  soffiaudo  e  miagolando ,  come  ae 
propriamente  aaa  gatta  stata  fosse-,  la  quale 
^li  sapeva  meglio  contraffare ,  che  altro 
uomo  del  mondo.  Per  la  quale  cosa  il  pe- 
dagogo messe  uu  muglio  grandissimo ,  dis- 
cendo: Oimè,  Cristo,  ajulamile!  pensando 
cfertamente  quella  dovere  essere  una  gatta,' 
che  preso  in  bocca  gli  teneva  il  naturale  >' 
disse  quasi  piangendo:  O  Amerigo,  miseri- 
cordia !  ajuto!  Ohimè  che  io  sono  diserto! 
noa  gatta  mi  si  è  attaccata  al  membro ,  e 
faammelo  morso  e  trafitto ,  e  per  disgrazia 
non  lo  lascia  ;  io  non  so  che  mi  fare  ;  ohi- 
mè,  consigliatemi  in  qualche  modo!  Ame* 
rigo  e  il  compagno  avevano  tanta  voglia 
di  ridere  ,  che  non  potevano  parlare ,  per- 
ciocché il  Piloto  simigliava  troppo  bene  un 
gattone  in  fregola;  laonde  il  pedante  co- 
minciò a  dire  micia  ,  micia  ,  micia ,  mi- 
cina  mia  ;  e  in  tanto  tentava ,  se  elM 
gli  lasciasse  quella  cosa,  e  tiravate  a  se 
pian  piano.  Come  il  Piloto  sentiva  tirare , 
cosi  miagolando  gli  dava  una  stretta  ,  e 
trafigge  vagì  iene  ;  e  il  pedagogo  succiava  e 
fospirava ,  e  ritornava  a  dire  ,  micia ,  mi* 
eia  :  in  quella  guisa  prapio ,  e  con  quella 


af£i$3;ioM t  ^ooieL  se.  io  grembo  Tacesse  air.ok  «^ 
t%.»  ìe. piatole  la  coda;  e  ja  pv.l^  tira  fa  ét^ 
se  un  pocbetto  ,  e  colui  1q  riserr^Ti^  rimim^^ 
g?JaPjÌ0f  eeoffiaya   oella   guisa  ebe  .|(attair 
lalyollii  ien^r  si.  tede  iu .  bocca    uccqiW.  0  • 
carue  9  che  altri  se  le  accosta   per  Inglier-*. 
ne»  Cosi  ^iMidQ  il  precettore  9  come  ()ei|tit(Qi. 
avete ,  Amerigo  e  il  compaguo ,  ptostraoda  t 
Sfargli  .  compassione  «  fecero    noa   so  èhi^f^ 
ceuoo,  Qnde  '  dMu    sul    cantone  di  Borgo.« 
Saujtoj  Apostolo^  juscirono   quattro  »  pifin^f 
arancio  le  mani  di  frombole  t  comiDciavaQOk, 
a  tirare  alla  tolta    di  .costoro.    Amerigo  <r* 
Tamico  suo  non  stettero  a  dire  ^  che  cì\i 
d^to  «  ma  secondo  Y  ordine ,  si  dierooo  4|i 
fatto  a  fuggire.  Ih  pedante  rimasto  preso  :e^ 
altapcato  per  lo  uncino    da  cor    di  fichi  ^i 
non  capeva   che  farse  »  e   coloro  traeyanqr 
a  distesa  9  e  gli  davano  nelle  schiene  e  1191. 
fianchi  le  maggiori  sassate  del  mondo  »  ou*^ 
da  il  pedagogo  per  non  toccarne  una  neU^r 
testa  9>«cbe  lo  ponesse  in  terra  »  delibero  Aì^ 
strigarse  o  d*isvilupparse  da  quello  impacci; 
ciò.  e  da   quella .  noja ,  andassine   ci&  cb^t 
volesse  ;  e  data  una  grandissima  stratta  all^* 
persona.  9  il  pi  volo  ». con  che  Diogene  piafir; 
t$7a  gli  upmini  ^  strappò  per  forza  #  e  cavi^ 
4i  bocca  a  quel  mala  detto  luccio  »  ma  ^e«. 
ramenle   scorticato    e,  guasto;  ,e    gridato 
quanto.  d«Ua  gfda  .gli .  usciva ,  ohimè  io  son^ 
morto!  con  esso  in  mano 9  piangendo  do*, 
lorosissimameMe  si  cacciò  correnoo  a  fuggi* 
^  •  che .  pareva  che  .ne  lo  portasi^  il  trea* 


mmffa  pA)ik  di  diavoli.  Avute  ^arenilo  'pa- 
reccb'r  sats^tè  'del^e  buonre ,  à  cidsa  gìtinsd 
qthasi  alt*  otta  di  Amerigo  ,  a  cai  Joleilfé  »' 
qtitDlo  tini  poteva ,  ttiosti  ò  tdlto  diset*t6 
t  ^uMto  il  metabrcy ,  diceddo  cotte  la^Hidc^ 
hi  M  gli  occhi:  Ohimè,  egli  è  restate^ 
meno  traudenti  di  quella  miladetta  gatta!' 
6  'tti  biio^aò  rrarlo  per  forza  ,86  tlòn  chtf 
eoibro  mi  àrebbono  lapidalo  e  conòio  peg-^ 
gitt-*  che  noQ  fu  Santo  Stefano ,  e  doléva^i' 
flÉòlfn'bené  de*  fianchi  e  delle"  rene*  QliJln?* 
t»  |^<<jà  Anlerìgo  ed  il  compdgtìo  aréssei^ó»' 
mentre  <ihe  il  pedante  auéste  co^e  raccon- 
lÉTa  ,  lioti  è  da  donianddre  ;  pure  il  mìe^ 
gKo  che  seppero  si  sforiBavano  di  raccon* 
solarlo,  non  potendo  qualche  volta  tenerci 
di  non  ridere.  Ma  perchè  egli  era  già  thr-' 
di,  se  ne  andarono  al  letto  ;  lasciando  il 
precettore,  che  noa  restava  di  guaite;  e 
ooal  fece  infioo  al  giorno  ,  il  quale  venuto^* 
perchè  egli  era  Un'  solenne  gagKoFfo,  se 
ne  andò  ,  per  non  spendere  allo  spedale»' 
dove  mostrò  a*  medici  il  suo  male ,  e  nar-^ 
ratoiie  il  modo  e  la  cagione ,  tulli  gif  fece^ 
insieme  maravigliare  e  ridere;  nondimeno  gif 
ebbero  gr^indissima  compassione  ,  giudicane' 
dolo'male  di  non  piccola  importaufa  ,  ondi 
il  pedagogo  si  rimase  quivi  per  alcun  gior« 
ne,  non  avendo  ardire  di  tornare  a  casa^ 

acciocché   la   padroo»  «   mar) re  d^glt  scolala 

non  avesse  a  vedere  si  brutta  sciagura.  Ma 
in  capo  di  pochi  giorni  o  fosse  la  inavver- 
tenza o  la  straccurataggine  o  il  poco  sapere 


e 


88  ^KVHk  CBHA» 

de*  mtdiei  «  o  fosse  pure  la  malignità  delU 
ferita  ,  quel  poco  che  restato  gli  era  di 
qaella  faccenaa  »  iofradicianJo  »  fu  biso- 
no,  se  campar  Tolle  la  Titaf  tagliar  Tia*- 
qnal  cosa  fatta  di  corto  guarì  «  ma  ri-, 
mase  sotto  il  pettiglione  »  come  la  paluA 
della  maùo,  e  se  orinar  volle»  fu  necea* 
sario  un  cannellino  di  ottone ,  salvo  ^cIm 
gli  rimase  una  borsa  si  grande  e  atermim» 
ta  9  che  di  leggieri  arelme  fatto  la  cufibi 
a  ogni  gran  capo  di  toro.  Ma  volendo  ri^ 
tornarsene  a  casa  i  padroni ,  fu  dalla  ma« 
dre  de*  suoi  discepoli ,  dicendogli  una  gran- 
dissima yilbnia,  e  facendogli  suo  conto  e 
pagatolo,  cacciato  di  subito  via,  come  a* 
Teva  ordinato  Amerigo.  Per  la  qual  cosa  » 
il  pedante  sbigottito ,  fuor  di  quella  casa 
trovandosi ,  della  quale  prima  gli  pareva 
esser  padrona ,  e  senza  naturale ,  deliberò 
di  non  stare  più  al  secolo  9  e  fecesi  romito 
del  sacco.  Amerigo  che  il  terzo  dì  »  dopò 
cbe  al  pedagogo  seguì  Torribil  caso.,  se 
n'era  andato*  a  Lione ^  fu  dal  compagno 
del  tutto  pienamente  ragguagliato;  delln 
qual  cosa  seco  stesso  fece  mafavigliosa  fe« 
ata  9  parendogli  che  la  beffa  avesse  avuto 
miglior  fine,  che  saputo  non  arebbe  do- 
mandare ,  mille  volte  raccontandola ,  in 
mille  luoghi  9  che  a  più  di  mille  dette»  piià 

di  mille  volte  »  materia  da  ridere. 


89 

KOYELLA  HI. 

■ 

ZjO  Scheggia.,   colT  ajutn    del  Monaco    e 

'   del  Pilucca,  fa  una  beffa  a  Neri  Chia^ 

ntmontesij    di   manierachè   disperato   e 

'   sconosciuto  si  parte   di  Firenze  ,   dove 

*■  I  non  ritoma  mai  se  non  vecchio. 

Oe  la  fatola  di  Giacinto  aveta  fatto 
ridere  la  brigata,  questa  di  Amaranta 
ìiolla  fece  rider  meno  ;  pare  a  qualcuno 
incresceya  del  misero  pedante  »  parendogli 
che  Amerigo  avesse  messo  un  pò*  troppa 
mazza  ;  perloechè  Fileno ,  che  dopo  la 
donna  sedeva  >  con  allegra  fronte  e  quasi 
rìdendo ,  disse  :  La  novella  raccontata  me 
ii*ha  fatto  tornare  una  nella  memoria,  do- 
ve una  heffa  similmente  si  contiene ,  ma 
latta  a  uno  ,  che  era  solito  di  farne  agli 
altri,  e  però  gli  stette  tanto  meglio. 

Fu  dunque  in  Firenze  al  tempo  dello 
Scheggia,  del  Monaco  e  del  Pilucca,  che 
furono  compagni  e  amici  grandissimi  ,  fa- 
ceti  e  astuti,  e  eran  maestri  di  beffare  al- 
trui ,  un  certo  Neri  Chiaramontesi ,  nobi- 
le e  assai  benestante ,  ma  sturato  e  sagace 
quanto  alcuno  altro  uomo ,  che  fusse  al- 
lora nella  nostra  città,  e  non  fu  mai  per- 
sona ninna,  che  più  di  lui  si  dilettasse  Ai 
far  beffe  e  giostrare  altrui,  e  qualcbe  ^ol- 
ta,  anzi  bene  spesso  ^  si  trovava  co' tre  so* 


90^  vmuu€miMi 

prmdddli  conipagoi  »  desinate  e  a*  cena*  m 
maa  messer  Afono  Toroaqiihioi  ;  òavaliètt» 
Sproa  4J  oro  ^  assai  ricco  e  onorevole  >  e  tai* 
ivoi  di  aveva  fatto   iniilé  {iarde  e'naiti»^ 
senni  •  che   mai-^  potesse  •  venir  lor^flitta  di 
vcndioarseiie;  *  della  •  qaat  cosa  era  lo  Scht^^. 
già   soprattutto  soonuntiaiìaio  ;  ^  '  sempre 
seco  stesso^  amJiiravii  oontrogU.^  E   cosi  fra- 
Takre  ritrovandosi  una  sera  in  camera  del- 
Cavaliere  sopraddetto  a  cicaleccio  iùtorao* 
mun  boonioocOf  perciocché  ali-eca  nel- 
caor  del -verno  I   ed  avendo   intra  loro  dv 
moke  e  varie  cose  rafgiooato,disseNerialky: 
Sofaeggia:  Eccoti  ubo  <scddo  di^oro;  e  vnj 
ora  in  casa   la  PeMegrina   Bolognese  ^   cfae^ 
era  in   qae'  tempi   noa  famosa  cortigiana  y* 
cosi'  vestito ,   come    tm   sei  ;  ma  tigniti  o> 
collo  '  inchiostro  o  con   altro  solamente  lo 
mani    e   i^    viso  «    e   dalle*  questo  pajo  dir 
gnanti,  senza  dirle  cosa  alcuna.  Rispose  lo 
Schegj^ia    allora  ^   e  disse  :  *  Eccone  uup  pa  jo^ 
a    voi, ie   andate    tutto    armato   di*  arme* 
Inanca 'Con  una  roncola  in  spalla  ialino  in 
bottega  di-  Ceccherino   mereiaio ,   iì  gonler- 
stava  allora  in  sul  canto  di  Vacchereccia  / 
dovasi  raguoavano  quasi  tutti  i  primi  or 
pia  ricchi   giovani   di  Pirenve.  Di  grasiay 
ridendo  rispose  Neri,  dà  pur  qua  gli  seu-' 
di;  Son  contento,  rispose  lo  Sobria;  ma' 
ndite:  Io  voglio  che  a  quelle  persone,  oho 
vi  saranno,  mostrandovi  adirato,   fncdiate 
una  gran  bravata,  minacciando  di  volerie 
tn4t#  ugKare  a  peazit  Lascia   pur  Cara  m 


ifOTULA.  m;  gii 

BSiet  Mgiifld  Neri,  Tengano  pure  i  duarii- 
Allom  lo  Sclic((fipa  si  caro  diie  soudì  duotì> 
dalla  borsa  9  e  disse:  EccogK  in  pegno  qui* 
al  .Cawliere*;  fornita  ;  che  toi  arete  Topa^ 
m  f-  aiansi  woslrù  Neri  allegro'^  peasaador 
di  cavargli  della  mani  due  fior ioi^  cheviot 
aveva  più  caro,icbe  da  un  altvor  diece/p«r 
poiflr  ^i  schernirlo  e  ttccellarlo  «  suo  pia*> 
cere ,  cominciò  subito  a  lareajiHarM  've*' 
slire  l!armadara.9  sendone  tallora  tante  ìm 
casa  il  Cavaliere^  che  arebbero  armati  oea- 
lo  compagni  ^  perciocché*  ^li  lera .  àonco^ 
graadissHBO  dì  Lorenzo  vecchio  Jt' Medici^ 
cli€  governava  Firenze,  io  questo  ra^entret^ 
cha*  Neri  si  armava,'  lo  Scheggia,  chiama-^ 
to  il  Monaco  e  il  Pilucca  da  parte >,  disse" 
loro  iquel  che  far  dovessero  ,  e  avvioglfr: 
fnori  ^  e  cianciando  col  Cavaliere,  slava  a 
vedere  armar  colui ,  il  quale  fu  fornito. 
d*assettarse  appunto  che  sonavano  le  due- 
ore- Nel  fine,  allacciatosi  Telmo,  si  mìs^ 
la  roncola  in  spalla  ,  e  tirò  via  alla  volta 
della  bottega  di  Ceccherino:  ma  camminar 
gli  conveniva  adagio ,  sì  per  lo  peso  delle* 
arme,  e  si  rispello  alli  slinieri  ,  percioc- 
ché sendogli  alquanto  lunghetti  ,  gf  impe»^ 
divano  io  aliare  e  il  muovere  il  piede;* 
Inlauto  il  Monaco  e  il  Pilucca  erano  au-* 
dati  a  far  T  uffizio^  Tuno  in  bottega  dd- 
merciajo ,  e  T  altro  in  sulla  scuola  del 
Grechetto ,  .che  insegnava  allora  schermire 
nella  torre  vicitia  a  Mercato  vec<  hio  ,  i* 
quali  in  presenza  alle  peiisoae,  a£{ermav^ 


91  ntmk  efini* 

nò  con   giuramento  9   Neri   Chiaremmitesi 
essere  ascilo  del  certelfo  (cori  slati  indet- 
tati dallo  Scheggia)  e  cbe  in  oasa  egli  aVe-' 
Ta  voluto  ammaszav  la  madre,   ed  in  un 
pozzo  gettato  tutte  le  masserizie   di  carne-* 
ra,  e  come  in  casa  il  GiTalier  dei  Tornai- 
quinci  sVra  armato  tutto  di  arme  bianca» 
e  preso  una  roncola  ,    ateTa  Catto  fuggire 
ognuno  :  ed  il  Pilucca ,  eh'  era  andato  al^ 
la    scnola    dello    scherma  ,  disse  che  egli 
aveva  nella  fine  deito,  che  voleva  andare 
a  bottega  a  bastonare  Ceccherino  di  santa' 
ragione  ;  t&lchè  la  maggior  parte  di   quei 
giovani  6Ì  partirono  per  veder  questa    fe« 
sta .  non  avendo  molto  a  grado  quel  mer- 
ciajo  ,  per  lo  essere    egli    arrogante ,  Pro** 
suntuos>Y  9  ignorante  e  dappoco,  e  una  lin- 
guaccia aveva  la  più  tran  itera  di  Firenze» 
pappatore  e  leccatore  non  vi  dico;  nondi^- 
meno  con  tutto  ciò  aveva  sempre  Ja  boi-* 
tega  piena  di  giovani  nobili  e  onorati  9  ai> 
quali  il  Monaco  raccontava  anche  egli    le' 
maraviglie  e  le  pazzie  di  Pieri.  U  quale  da 
casa    il    Cavalier    partitosi  »    che    stava  da 
Santa  Maria  Novella,  non  senza  maraviglia 
e  riso  di  chiunque  lo  vedeva  ,  s*  era  con- 
dotto già  alla  bottega  di  Ceccherino,  nella 
quale    a    prima   giunta  t  dato    una  spinta 

J;randissima^  e  spalancato  lo  sportello,  entrò 
ariosamente  dentro  cosi  armato,  nella  gui^ 
sa  che  voi  avete  inteso  :    e  gridando  ,  ahi 
^    traditori,  voi  siete  morti!  inalberò  la  ron- 
cola* Coloro»  per  la  subita  venuta,  per  ia 


rrOTKLLA    in.  9^^ 

Tisla  delle  armi ,  per  lo  grido*  delle  paro- 
le minacciose^  e  per  veder  la  roncola  per 
IWia,  ebbero  tutti' noia  grandissiaia  pau- 
ra ;  e  di  fatto  9  chi  sì  Ibggi  nel  fondaco  t 
ebì  si  nascose  nella  mostra  ,  chi  ricoverò 
eolio  le  panche  e  sotto  il  desco ,  chi  gri- 
dava f  chi  minacciava ,  chi  garrita ,  chi  si 
raccomandava  ;  un  trambusto  era  il  mag- 
giore del  mondo,  ho  Scheggia,  che.  gli  era 
Tenuto  dietro  sempre  alla  seconda ,  subi« 
lo  che  lo  vide  vicino  alla  bottega  di  Geo* 
cherinOt  si  mosse  a  com,  e  ne  andò  vo- 
lando in  Portarossa  ,  dove  faceva  arte  di 
lana  Ag|nolo  Chiara montesi  suo  sio^  uomo 
Tecduoy  e  cittadiii  riputato  e  di  buon  cre- 
dito; e  gli  disse  che  corresse  tosto  io  bot- 
tega di  Ceccherin  merciajo  ^  dove  Neri  ^ 
che  era  uscito  di  se  ed  impazzato ,  si  tro«' 
Tava  tutto  armato  9  e  con  una  roncola  iu 
mano  9  acciocché  egli  non  facesse  qualche 
gran  male.  Agnolo ,  che  non  avendo  figli- 
noli ,  voleva  grandissimo  bene  al  nipote , 
rispose:  Oimè!  che  mi  di*  tu?  Il  vero,  dis- 
se Io  Scheggia  »  e  soggiunse  :  Tosto  ,  ohi- 
mè! tosto  9  venite  via  ;  ma  chiamate  quat- 
tro o  sei  di  que'^  vostri  lavoranti  di  pal- 
eo, a  fine  che  sì  pigli  e  leghisi  ,  e  cosi 
legato  si  conduca  a  casa;  dove  stando  al 
bttjo  tre  o  quattro  giorni  che  ninno  gli' 
favelli ,  ritornerà  agevolmente  in  cervello. 
Colui ,  non  gli  parendo  ,  e  non  essendo 
uomo  da  esser  burlato ,  credette  troppo 
l>ene  alle  parole  dello  Scheggia;  e  subito ^ 


•*' 


«onmali  lei  »  tra*  iMiiHani  e-  tliVèltnii-/ 
de*  *pià  ^f  Atti  «  pia  ^tgluirdi ,  -  eoa  dutf 
fàfk  di  foni  9  ne  andò  m  battendo  allir 
koitega  di  Geoòherino  ,  *  ouiodi  poco  lo<4 
tana  ^  dovn  Itotò^  Neri ,  cbe  aveva  eondob 
to  '  coloro  per  liMila  via,  e  tUTano  coUe  feb* 
bri  «  di  non  4oocar  q  oahche  laolennata  -  »^  *  • 
Keri  'gongohmdo  fra  se  4   faceva    loto  nnn 

aliala  ,'  e  «nao  squartamento  »  che  st  aa« 
ibe  disdetto  al  fievilacqua  4  ^iraudt^"  ia« 
torM  oon  qaella  roncola  »  -  ma  guardandor 
eempre  a  corre  dove  «potesse  fiarr-  iora  ae« 
sai  paura  e  poco  daonOr-  Quando*  il^siov 
•ntrato^  deatro  «  -  avendolo  di**  fuori  cono*^ 
aeittloi.alia  ^oce^^de  gli  scagliò  di  "fatto  ad« 
dosso,  e  «messagli  la  mano  in  eu  -la  rondai 
ì^4  gridò:  Sta  forte;,  che  vuoi  tu  far^'Uipo-^ 
ler  mio?  .6  a  coloro ,  cbe  menati  aveva  e^^ 
60,  •  voi  tosi ,  disse:  Su',  ^oi  togliefe^lii  IVir* 
me ,  tosto  frittatelo  in;  teri*a  e  legatelo  pi»' 
atamente*  Coloro  se  gli  scagliarcmo  ^ubites 
addosso ,  e  presolo  chi  per  le  gambe ,  obi' 
pevile  braccia^  e  chi  per  lo 'collo  ,- lo  di^ 
atesero*  in  un^  tempo  in*  su  TammaUduatov* 
ehe  egli  non  ebbe  agio  a  fatica  di  poteff«^ 
Mooor  4'  alita  ;  e  gridando  ad  alta  vece";* 
dbe  fate  voi-,  traditori,  io  non  son  pazsoj* 
potette  rangolare,  ehe  essi  gli  legarono' te' 
braccia  e  le*  g^mbe*  di  maniera  ,*  cb^  non* 
poteva  pur  dar  erollo  {  e  trovato  uoa  soa*- 
la^ve  lo  accomodarono  sopra,  legato -a veu*' 
dillo  Sttvi  di*  buona  sorte!,  4icciocchè''egli' 
non  sSQ'vm  gittaaie  a  ierfaib  JU>  Soheggia  «a* 


palato  reetkw ,  e  uc^ndolo  ip  quella;  g«H 
m^  I  gil^ire  » .  mittaGeiare  e  best^moiiare  4 
«W^a  ^o%  alleginazza  si  fatta ,  che  ^li  odi» 
capiva  ..neUa  pelle.  Le  genti  ^  che  ^raoQ 
falcile  e  naMostesi ,  sentendo  e  leggenda 
che  gU«  iera .' l<fg%io  il  -pnio  ^sì  faoavano 
# vanti*  ^  riguardimelo  da  presto f  a  rialti 
90  iBoresceva  9  e  la  idìmo$traTafia  chiara^ 
mente  congesti  e  colle  parole»  Peosate^TOt^ 
ae  I^ari  duoqq^auperbissiinodi,  natura'* 
hiaaapro^  «i  rodeva  dfotro;  e  nQareslaiftt 
4a  ditgridare  9  nè.di  minacciare  ^^  noQjgii 
na  aocorcendo  ^  faceva  il  su»,  peggio^ 
Aagaoìo^  'faUo  pigliar  la  scala  tda  «que'uioa 
ganDHÌ  e  lavoraoti ,  -e  giltatoglì  una  oapni 
pa  sopra,  ne  lo  fece  portare  a  casa,  deva 
il;  Monaco  correnda  era  andato,  ei  rags- 
goa^tato  d'ogni  «cosa  la  madre,  dalla  qaa4 
le  piangendo  hi  ricevuto,  ed  ellae  il  zio  la 
fecero,  aoettere  in  camera  principale  sopr% 
tt  ietto  ,  Cf^i  legato  come  egli  era,  dispo«» 
Uim  p«r  iuGun  alla  asatiioa  non  gli  dira, 
e  non  gli.  dare  niente  ;  e  di  poi  ^  chiama*» 
ti  k  •  medici  ,  governarle  secondo  che  ve* 
doanno  il  bis<»gno;  cosi  per  consìglio  dello» 
Scheggia»  fu  conchiuso,  e  ognuno  dopo  sì 

Cxiu  Eragi  intanto  sparso  di  questo  faUo 
voce  per  tutto  Firenze  ,  •  e  io  Scheggia 
a  i  compagai  lieti  se  ne  ^  andarono  a  tron 
lar  ìL  Cavaliere,  al  quale  ordioatamenle 
tatto  il  successo  racoonlarono  ,  che  iì*'  eb^- 
he  allegrezza  e  gioja  grandissima.  £  pei^'t 
ahè  «già   erano   quattro   ore  sonate  ,    » 


^6  PRIVA.    CEKA. 

itettero  §eco  a  ceoa  t  etnaì  à^ere  colli? 
d*iniorD0  9  che  rompesse  loro  la  tèsta;*' Ré- 
alato  dunque  solo,  e  al  bujo  in  su  quel  let- 
to legato  9  come  foase  '  pbKso  »  il  male  accor- 
to ^eri ,  cavalo  1*  élmo  e  gli  stinieri  *  sola^ 
mente  ,  e  coperto  benissimo  noo'diiiieno , 
atette  buona  pezza  cheto;  e  seco  stesso  di*- 
•corso  e  ripensato  la  cosa  molto  bene ,  fot 
certo ,  come  per  opera  dello  Scb^gia«  erk 
condotto  in  quel  termine^  e  dal  zio  edal^ 
la  madre,  anzi  da  tutto  Firenze  ten\ito  per 
pazzo  ;  onde  da  tanto  dolore ,  e  còsi  iatlo 
dispiacere  fu  soprappreso,  che  se  egli  fot-' 
ae  stato  libero  ,  arebbe  o  a  se  o  aa  altri 
latto  qualche  gran  male.  Cosi  senza  dor* 
mire,  e  pien  di  rabbia,  sendo  dimorato  io- 
fino  a  mezza  notte,  fu  assaltato  dulia  fa-* 
me  e  dalla  sete;  per  lo  che  gridando  quaa* 
to  eali  ne  aveva  nella  gola  ,  non  restava 
di  chiamare  or  la  madre, or  la  serva,  che 
gli  portassero  da  mangiare  e  da  bere;  ma 
'  potette  arrovellarse ,  che  elle  fecero  sem- 
biante sempremai  di  non  lo  sentire.  La 
mattina  poi.  a  due  ore  di  giorno,  o  in  cir- 
ea,  venne  il  zio  in  compagnia  di  un  suo 
fratel  cugino,  frate  di  San  Marco,  e  di  due 
medici  ,  allora  i  primi  della  città.  E  aper- 
to la  camera ,  avendo  la  madre  un  lume 
in  mano,  trovarono  Neri,  dove  la  sera  lo 
avevano  lasciato ,  il  quale  dal  disagio  del 
tanto  gridare ,  dal  non  avere  né  mangiato 
ne  bevuto  né  dormito  ,'  era  indebolito  di 
sorte  9  che  egli  era  tornato   mansueto ,  co- 


nOYELhA  IIU     '  97 

WB  OBO  agoeHiao:  alla  venata  de'  quali  ^ 
alsando  la  testa  ,  amanamente  gli  salutò  ,' 
•  appresso  gli  pregò  che  fossero  couteti* 
ti  9  Sfusa  replicai^li  altro  ,  di  isiscoltarlo 
esento  parole  »  e  di  udire  le  sue  ragioui  ; 
cade  AgQolo  e  gli  altri  cortesemeote  ri- 
sposto 9  che  dicesse  ciò  che  egli  volesse , 
c^  incouiinciò.  £  fattosi  da  capo,  ordi< 
natamente  narrò  loro  tutta  la  cosa  di  pua<' 
lo  in  punto  9  affermando ,  come  lo  Scheg- 
gia lo  aveva  tradito  »  e  fattolo  tenere  e 
legare  per  matto  »  e  poi  soggiunse  :  Se  vo» 
volete  chiarìrri  affatto  ,  andate  costì  in  ca- 
sa il  Cavaliere  de*  Tornaquinci ,  nostro  vi« 
Gino,  e  vedrete  ohe  egli  ha  ancora  i  due 
acadi  in  deposito.  Il  zio  e  i  meiici  uden« 
dolo  favellare  si  saviamente ,  e  dir  cosi 
bene  le  sue  ragioni ,  giudicarono  che  egli 
dicesse  la  verità,  coooscendosi  assai  bene 
chi  fusse  lo  Scheggia.  Pur,  per  certificar- 
se  meglio,  Agaolo,  il  frate  e  uoo  di  quo 
medici ,  andatiseae  al  Civaliere  ,  trovaro- 
no esser  vero  tutto  quello  che  Neri  aveva 
detto  ;  e  di  più  dis^e  loro  messer  Mario  » 
come  lo  Scheggia  e  i  compagni ,  cenato  la 
sera  seco,  ne  avevano  fatto  le  maggiori 
risa  dei  mondo.  Sicché,  ritornati  io  uno 
stante ,  il  zio  si  vergognava ,  e  di  sua  ma- 
no scioltolo  e  disarmatolo, e  chiestogli  per- 
dono ,  tutta  la  broda  versava  addosso  allo 
Scheggia  ,  contro  al  quale  si  accese  di  sde* 

foo  e  di  collera  grandissima*   Neri  dolente 
uor    di    modo  f  lece   tosto  accendere  un 
Lasca»  7 


gran  fiioto ,  «  ^ingranati  e  lioeoaati  toSJÙ^ 
coloro  «  si  fece  portare  da  mangiare ,  o 
latto  ck*  egli  elibc  noa  baona  coìIasioM  » 
ae  ne  andò  oel  Ietto  a  riposare  che  n*afifr< 
i»a  btiDgbd;  Là  cosa  già,  per  boe^a  de*'trè 
tòttpagot  e  de*  mèdid  «  si  sapera  pef'  tet^ 
\ó  ^iréùté^  si  come  ella  era  ateuiu  ap« 
punto ,  e  ne  andò  per  infioo  aglT  òvéccbi 
del  Magnifico  ,  il  quale ,  mandato^  per  m 
Scheggia  ,  yolie  intendere  ogni  particolari* 
t&  i  il  che  poi  risapendo  Néri ,  venne  ift 
tanta  dispeiUsionte  ^  che  egli  fa  tatto  tm^ 
àto  di  '  dar  loro ,  e  massitnamente  wiìé 
Scheggia  «  un  monte  di  Bastonate  j  e  Tea* 
€ìcàr5ene  per  qfUella  viflT.  Ma  poi  cotisidé^ 
tàndo  ,  che  egli  ne  iivéya  fatte  tante  t  ìo^ 
fo  e  ad  al  fri ,  che  troppa  vergogna ,  è  fotaè 
lUnno  gliene  tisoltereDbe ,  deliberò  di  gm« 
Aarla  per  altro  xerso ,  e  senza  fare  intèa^ 
dere  a  persona  vira  «  fuor  che  alla  oSadre^ 
ae  fife  andò  a  Roma ,  e  quindi  a  Napolr  i 
dote  si  po^  per  scrivano  d^una  nave;  delle 
l|nale  poi  in  processo  di  tempo  direntà 
padrorte«  e'non 'tornò  niai  a  rirenae  »  s6 
non  vecchio,  che  la  cosa  s*era  sdimenCis 
<hta.  Lo  Scheggia ,  riavuti  i  due  fiorini 
dal  Cavaliere,  attese  co*  compagni  à  far 
tmon  tempo ,  lietissimo  sopra  tutto  di  àverii 
Ibvito  colai  dinansi  agli 


HÒYÈLLA  IV.  '  " 


j  .  -^ 


'0iannèit(k  della  Torre  con  accorte  parol^ 
,  ^'^fig^ndo  la  insolenza  d'un  prosuntuogo^ 
^  ^  fi^  conoscere  la  sua  arroganiM^  e  ùs 
.0erà  se^aUri. 

X  orto  ohe  .Florido,  fornfiido  le  pirolfi 
diede  £[ae  alla  iiia  novella,  risa.ecpoiapiif 
^ta  da  ciascaoOy  Galatea,  aon  mea  beU% 
e  Taga ,  che  cpitese  e  piacevole  «  con  leg^ 
nadra  favella,  seguitando  disse:  V$aos« 
flónoe  e  vertaosi  giovani,  posciachè  a  aie 
cpaviene  ora  colla  mia  novella  trattener? 
yi ,  preodeodo  ocgasioae  dalie  due  s^ipradi 
dette  »  uaa  ve  ne  racconterà  aach*  io  d*iv 
na  beffa ,  ma  noa  tanto  rigida ,  quan^ 
to  la  prima,  e  meaq  villana  che  la  seco^r 
^,  dove  altro  noa  accadde,  che  parole  t 
xisa»  per  fare  accorto  e  avvertito  un.pro^ 
f untuoso  dello  errore  suo;  e  soggiunse  dir. 
cendo. 

,  .  I  beoni ,  i  pappatori ,  i  tavernieri ,  e 
^«egli  finalmente,,  che  non  attendono  fid. 
altro ,  che  ad  empiere  il  ventre ,  e  che 
£inno  professione  d*  intendersi  e  de*  fit^ 
e  di  conoscere  i  buoni  bdcconi ,  come  voi 
dovete  sapere,  la  maggior  parte  sono  di 
non  troppo  buona  vita  e  poveri  ;  percioc- 
ché stando  tutto  il  giorno  in  su  le  ta vero- 
ne, coasamerebbouo,  come  si  dice,  la  Tar- 


XQO  PRn^À   CINà. 

peajdi  Roma;  e  cosi  son  gaasi]taUi  rovf* 
Bali  e  failiti,  trovaòdosi  io  capo  ddraiifaò 
aver  pegno  il  fiorino  per  diece  lire.  Ritro- 
Tandosi  dunque  questi  tali  speMO  inaienlè 
a  desco  molle,  beeodo  e  mangiando»  a  far 
)»uonaceray   a? viene   che    quando 'per  lo 
troppo  tosto,  o  per    lo   sovercljiio    bére  é 
mangiare,  per  le  parti  di  sopra  e  per  quel- 
le di  sotto,  senta  rispetto  alcuno  srentola* 
re  si  sentono,  hanno    un   cotàl  profér**^ 
o  ribobolo,  dicendo  sempre,  alla  faiarba 
chi  non  ha  debito,  sendo  certissimi  di  noti 
offendere  nessuno  di  loro,  né  altri  ancora^ 
che  ivi    intorno    fossero.    Onde    a   questo 
proposito    vi    dico,  che  nella   nostra  città 
^ià  furono   alcuni    giovani  in  una  compa- 
gnia nobili  e  ricchi    e   costumati ,  i  quali 
usavano  spesso  ora  in  casa  uno,  ora  in  casa 
tin  altro  cenare  allegramente ,    più  per  ri- 
trorarse  insieme  e  ragionare,  che  per  cura 
e  sollecitudine  d'empiere  il  corpo  d'otti- 
mi vini  e  di  preziose  vivatide ,  non  però , 
^che    non    stessero    onoratamente  e  da  par 
loro.  Ed  erano   appunto   tanti,  che    (acca- 
do  ognuno  la  sua   cena  ,   tutta    ingombra- 
vano la  settimana,  che  a  ciascuno  toccava 
la  sua    volta  ,  e  di  poi   ripigliando ,  conti- 
novavano  di  mano  lu  mano;  e  a  colui  che 
faceva  la  cena  ,  era  lecito  solamente  poter 
menare    chi     gli    veoiva    bene ,    agli    altri 
conveniva  andar  soli.  Ora  accadde  che  sca- 
do la  prima  volta  stato  invitato  un  giova- 
ne^ amico  di  tutti,  Dionigi  nominato,  sen^a 


NOVBLLIk   lY.  lOX 

Mere  poi  <ia  nessaao  altro  slato  riavìtato^ 
non  loaciafa  mai  di  oca  rappreseotaise  ^ 
e  per  sorte  era  il  più  igaoraate  e  pro^ 
aiintuofio  gioirane  di  Firenze  «  e  colui  che 
j  più  deboli  e  sciocchi  ragiooameoti  ave- 
▼a,  che  uomo  del  moodo,  e  per  dispetto 
sempre  tener  voleva  il  compagnuzzp  iù 
mano,  nò  diceva  altro  mai,  se  non  che'  il 
non  aver  deUto  iaceva  solo  gli  uomiflSi 
felici,  e  come  non  si  può  trovare  ne  il  mag- 
gior contentò  ,  né  la  maggior  dolcézza,  è 
dbe  egli  ringraziava  Dio,  che  si  trovava 
senza  avere  un  debito  al  mondo,  oè  mai 
averne  fatto,  ne  animo  mai  di  volerne  fa* 
re:  e  ogni  volta,  che  eglino  si  ritrovava- 
no insieme ,  faceva  una  filastroccola  lunga 
lunga  di  questo  suo  nou  aver  debito,  che 
troppo  gran  fastidio  arrecava  agli  orecchi 
di  coloro;  dimodoché  egli  era  venuto  a 
tutti  in  odio ,  e  lo  aveano  più  a  noja,  che 
il  mal  del  capo.  Nondimeno  per  lo  esser 
egli  figliuolo  dì   gran  cittadino,  e  in  quc- 

S^i  tempi  assai  reputato ,  niunc/  ardi>ta  di 
irgli  cosa  alcuna  alla  scoperta,  benché  mil- 
le bottoni  avessero  sputato ,  e  mille  volte 
datogli  a  traverso  ;  ma  egli ,  OLja/on  inteo* 
denuo  o  facendo  la  vista  di  non  intende- 
re  ,  badava  a  tirare  innanzi  ;  onde  tutti 
restavano  dolorosi  e  malcontenti,  aspettane 
do  pure,  che  da  lui  vepisse  la  discrezio- 
ne^ che  nella  fine,  vergognandosi,  si  levas- 
se loro  d'intorno.  Ora  avvenne  che  toc- 
cando la  volta  a  yn  giovane 9  che  si  face* 


"fa  cbianare.GiànoeCto  della  Ttfre^  aTV#ii 
dttiò  molto  e  .  faceto ,  fece  aeco  pepsiero 
di'  tàv  prof  a  dì  levarsi  colui  dinansi  a  ogni 
nodo.  E  fra  se  pensato  quel  tanto  che  fiiH 
re  intorno  a  ciò  yclesse,  troTi|to  uno  dei 
compégni  suoi  «  e  il  tutto  conferitfliiU,  )(0 
pregò  che  ajutar  lo  volesse,  e  moiln^g^ 
dò  che  a  fare  e  a  dire  aveva.  Cosi  veaniT 
tene  Fora  della  cena,  e  i  giovani  ragiMW». 
tiri  al  luogo  diputato,  quasi  in  sul  porA 
a  tavola,  eccoti  giungere  ali* usanza,  sea? 
za  essere  stato  invitato»  il  buon  Dionigi^ 
con  una  prosopopea ,  come  se  egli  fnase 
atato  il  padrone  di  tutti,  e  arrogantemen* 
te  9  rompendo  loro  i  ragionamenti ,  entrò 
in  su  le  sue  cicalerie.  Ma  Giannetto,  sco- 
do le  vivande  a  ordiue  ,  f<'ce  dar  Tacqua 
ftUe  mani,  e  Dionigi  il  primo  si  pcèe  u 
mensa ,  e  arrecosse  di  dentro  ,  dirimpetto 
appunto  a  una  porta  d*un  giardino^  donde 
spirava  sempre  un  soave  venticello,  accioc- 
cnè  la  frescoezza  dì  quello,  gli  temperas- 
se alquanto  il  soverchio  caldo ,  sendo  ap* 
punto  allora  nel  colmo  della  state.  Egfi 
era  molto  hel  ,cero  «  ed  aveva  una  delle 
belle,  ben  composte  e  coltivate  barbe,  che 
fussero  non  pure  in  Firenze  ,  ma  in  tuttu^ 
Toscana,  nera  e  assai  lunga.  Ed  essendo 
poi  gli  altri  di  mano  in  mano  a  tavola 
postisi ,  e  mangiando  già  i  poponi ,  Dioi» 
nigì ,  avendone  tolto  una  fetta ,  e  bevtito 
un  tratto,  come  co^ui,  che  non  troppo  gli 
landa  vano  a  grado ,  cominciò   favellando  a 


èntiinr^  in  sa  la  beatitudine  del  non  mii^ 
te 9  né  mal  aVere  a^ato  debito;  e  s'era' 
appanto  dirizzato  io  su  la  pésta  ,  quando 
Giannetto,  dato  l'occhio  al  compagno , 
coìninctò  a  turarsi  il  naso,  e  cosà  fece  OO" 
Itti.f  i  quali  a  bella  posta  si  avevano  mes-' 
sp  in  meoo  Dionigi;  onde  Tuoo  prese  af 
^ve:  Che' puzzò  sentito?  rispose  Taltro^ 
i)  più  corrotto»  che  sì  sentisse  giammaiV 
Egli  non  sa  di  tainto  tristo  odore  un  carila» 
jo^  e  né  disgrazio,  là  dietro  Mercato  véc* 
chio.  1  compagni ,  meravigliandosi ,  nott 
sentendo  altro  odore  '  che  étfliit  fussefo  i 
stavano  guardandosi  T  un  t*  altro,  come* 
smemorati ,  attendendo  cbe  fine  dovesse 
avere  la  cosa  ,  quando  Dionigi ,  quasi  itt 
collera,  veggendo  coloro  turarse  il  naso, 
e  cosi  sott  occhi  guardar  pure  inverso 
lai,  disse:  Sarei  mai  io,  che  putesM?  che 
voi  mi  guardate  cosi  fiso?  Se  io  non  cre- 
dessi, che  voi  ve  ne  adiraste,  rispòse  Gian^ 
netto,  con  licenza  nondimeoo  di  questi 
alkri  buoni  compagni ,  direi  veramente  la 
cacone  di  questo  tanto  puzzo.  Allora  Dio« 
nigi,  come  colui,  che  era  tutto  il  giorno 
in  sul  corpo  alle  dame ,  lasclvetto  e  snel* 
lo ,  tutto  profumato  e  pulito,  rispose  :  Di, 
di,  di  pure,  non  aver  rispetto  atcuuo.  Sog- 
giunse dunque  Giannetto:  Poiché  vi  pia- 
ce ,  io  la  dirò,  e  segmtò.  Cotésta  barba  è 
quella  che  tanto  pute,  e  si  corroUameute. 
Perchè?  rispose  Dionigi,  e  che  vuol  dire? 
Ascokàtmùi,  e  inteudìerctèlo,  to^iùnse  co- 


t94  -raiMA  onci* 

lui ,  t  disse  t  Tutti  coloro  t  che  £rtc{aeiiw 
lano  le  taTenie,  e  che  ti  si  troTaoo  eoo- 
ttnoTamente  a  here  e  a  maD^re  ^  i  pii^ 
SODO  uomini  di  pessimi  costumi,  disonesti 
e  sporchi,  e  con  reverensa  della  tatola, 
non  hanno  riguardo  alcuno  di  lasciare  an- 
dare o  da  basso  o  da  alto ,  ana  Titupero- 
samente  danno  ajuto  e  forza  a*  ratti  e  al- 
le corregge ,  -  alla  fine  delle  quali ,  quasi 
sempre  dicono  :  Alla  barba  di  chi  non  ha 
debito.  Ora  dunque,  secondo  le  parole 
▼ostre ,  non  avendo  voi  debito ,  ne  ttiai 
avutone,  credo  veramente^  che  voi  fiate 
solo  in  Firenze  ,  e  cosi  avendo  tanto  folta 
e  bella  barba  ,  tutte  le  coloro  vituperose 
bestemmie  vi  vergono,  e  nella  vostra  bar- 
ba giungono  ,  e  vi  si  appiccano  di  manie- 
ra ,  che  non  vi  è  pelo  ,  che  non  abbia  il 
suo  rutto  e  la  sua  correggia;  onde  ella 
potè  tanto  di  reciticcio  e  di  merda,  che 
non  vi  si  può  stare  appresso.  Sicché  non  vi 
meravigliate  più  del  nostro  turarci  il  naso^ 
e  fareste  bene  per  onor  di  voi  prima  ,  e 
poi  per  beneficio  nostro  a  non  vi  ritrovar 
più  alle  nostre  cene;  se  già  voi  non  veni- 
ste o  raso  ,  o  veramente  con  debito.  Alla 
fine  delle  cui  parole  ,  tanto  abbondarono 
le  risa  alla  brigata,  che  vi  fu  più  d'uno, 
che  si  ebbe  a  levar  ^a  tavola,  e  sfibbiarse; 
e  a  più  d'uno  vennero  giù  le  Ifxiime  da- 
gli occhi  «  veggenda  massimaniente  star 
Dionigi,  che  pareva  un  orso,  e  non  po- 
teva per  la  filiera  e  per  Ja  labbia  risponder 


V 


IfOTCULÀ   IT.  ^I05 

S itola  ;  e  Tegcendo  parìmeate  ognuno  ri* 
ere«  cheto  cheto  si  levò  da  tavola,  aven- 
do fatto  un  capo  come  un  cestone,  e  pre- 
io  là  cappa ,  senza  dir  nulla  a  persona  » 
sdegnoso  s'  andò  con  Dio ,  non  sendo  an** 
cor  Tenute  in  tavola  le  insalate;  e  tanto 
fu  lo  sdegno  e  V  odio ,  che  egli  ne  prese  j 
che  per  lo  innanzi  non  si  volle  mai  più 
trovare  con  esso  loro  e  non  favellò  mai  a 
Bessono,  e  massimamente  a  Giannetto.  I 
giovani  lietamente  finirono  Ai  cenare  ^  ^ 
eolle  risa  fornito  »/  dopo  i  loro  piacevoli 
ragionamenti,  se  ne  tornarono  alle  loro 
case  allegri  e  contenti ,  ohe  con  si  bella 
Imrla  e  piacevole  invenzione,  mordendo  e 
riprendendo  Giannetto,  leggiadramente  la 
ignoranza  e  la  presunzione  di  Dionigi,  tol- 
to avesse  loro  dagli  orecchi  cosi  fatta  sec- 
caggine. 


•  I      • 


«■tM 


♦• 


ì«7 
NOVELLA  V. 

Guglielmo  Grimaldi  una  notte  ferito^  cor- 
re in  casa  Fazio  orafo^  e  quivi  si  muo* 
re  ;  al  quale^  Fazio  maliziosamente  ru* 
ha  una  grossa  somma  di  ducati^  e  soù- 
ierratolo  secretàmente^  fi^g^^  perchè  egli 
era  anche  alchimista^  é^aver  fatto  arien^ 
to  ^  e  Dossene  con  esso  in  Francia ,  e 
Jatto  sembiante  di  averlo  venduto ,  in 
Pisa  ricchissimo  toma  ;  e  jjoi ,  per  gè* 
losia  della  moglie^  accusato  »  perde  la 
^ita^  ed  ella  dopo  ammazza  i  figliuoli  e 
se  stessa. 


N. 


on  81  tosto  si  tacque  Galatea  ^  alla 
fine  veoiifa  della  sua  corta  favola,  ma  pia- 
ciuta per  altro ,  e  lodata  da  tutti ,  che 
Leandro,  girato  ;;li  occhi  intoruo^  e  dol- 
cemente la  lieta  brigata  rimirato,  cortesi 
fanciulle  ,  disse,  e  vói  innamorati  giovani, 
poiché  il  cielo  ha  voluto  forse  dal  nome 
finto,  col  quale  voi  mi  chiamate  ,  atteso 
che  chi  r  ebbe  daddovero  capitò  male , 
mentre  che  notando  andava  alla  casa  del- 
la sua  amata  donna ,  o  altra  qualsivoglia 
cagione ,  che  io ,  contro  a  mia  voglia,  de- 
gli sfortunati  aivvenimenti  altrui ,  ed  ìufe- 
lici  faccia  primieramente  fede  ;  sono  con- 
tento con  una  delle  mie  novelle,  un  dolo- 
roso e  compassioaevol  caso ,    e  verameate 


r 

|o8  rauEÀ  WNÀ. 

degno  delle  Tostre  lagrime  ,  farti  adire  » 
fiero  e  spaveotetole  quanto  altro  forse  o 
più,  che  intervenisse  giammai.  E  quantnn- 
(pje  egli  non  accadesse  ne  in  Grecia  n^ 
in  Boma  ne  a  persone  di  alta  pcog^ni^  o 
di  regale  stirpe  «  pure  cosi  ^fa  appunlo  t 
come  io  ve  lo  raeconterò,  e  Tedrete  che 
belle  umili  e  basse  case*,  cosi  CQfue  ne*#tt- 
perbi  palagi,  e  sotto  i  dorati  tetti  «  U.  fu- 
rore tragico  ancora  alberga  ,  e.  per  cagio« 
ne  d*una  femmina,  ancora  che  ella  non 
fusse  né .  imperadrice  ne  reina  uq  priacl- 
pessa  9  disperata  e  sanguinosa  morte  ddi 
marito,  de* 'figliuoli  e  di  se  stessa  nacq'ue. 
Ascoltatemi  dunque  ;  e  cominciò  dicendo. 
Leggesi  nelle  .storie  Pisane ,  come  an« 
ticamente  venne  ad  abitare    iq     Pisa    Gu- 

{(lielmo  Grimaldi  confinato  da  Genova  per 
e  parti ,  il  quale  giovine  ancora    di   ven- 
lidue  anni  con   non   mplti    danari ,    tolto 
una  casetta  appigione,  e  sottilmeute  viven- 
do ,  cominciò  a   prestare    a    usura  ;    osella 
3uale  arte  guadagnando  assai,  e  speodefi- 
o  poco,  in  breve  tempo    diventò    ricco; 
e  perseverando  in  ispazio  di    tempo ,    rio- 
chissimo  si  fece  .  sempre    coi    denari    cre« 
scendogli  insieme  la  voglia  di  guadagnare. 
Intanto  che  vecchio  trovandosi  con  pareo- 
•chi  migliaja  di  fiorini^  non  aveva  mai  ma- 
tato  casa  9  e  per    masserizia    tuttavia  stito 
solo;  e  questi    suoi  denari. non  fidando  a 
persona ,  guardava  in    casa    con    mirabile 
otligenza,  e  cotanto  amore  aveva,  posto  io^ 


i^OrtLtÀ  t;  109 

Tò ,  éfce  non  arebbe  con  utìò  seiido  cam« 
^ta'an  nomo  da  morte  a  Tila,  di  manie* 
Ht  efaeesli  era  mal  voluto  e  odiato  da  tat<' 
la  Pitti.  Ora  menando  questa  vita  Gugliel*' 
mo,  aecadde  che  una  sera  avendo  egli  con 
certi  suoi  amici  cenato  fuor  di    casa  sua  , 
xtid  tornarsene  poi,  sendo  di  notte  un  buon 
petzo  e  btijo ,  f u  ,  o  per  malevoglienza    o 
colto  in  cambio,  affrontato  e  ferito^di  un 
pugnale  sopra  la  poppa  manca^  onde  il  pò* 
Terelh)'  sentitosi  ferito  «  si  mise  a  fuggire.  In 
tguellò  stante  si  ruppe  appunto  il  tempo,  e  co^ 
inintìò  a  piovere  ro▼inosameDte^  In  tanto  che 
àfeddo  egK  corso  più  d*una  balestra  ta,  e  già  tut- 
to nM^ie,  veduto  uno  uscio  aperto,  e  làdeotro 
risplendere  un  gran  fuoco,  entrò  in  quella 
casa  ,  nella  quale  stava  un    Fazio    orafo  ^ 
ma  di  poco  tempo  s'  era  dato  airalcbimia, 
dietro  alia    quale    consumato    aveva    gran 
parte  delle  sue  sostanze,    cercando  di  fare 
del  piombo  e  del  peltro  ,  ariento    fino.    £ 
questa  sera^  acceso  un  grandissimo  fuoco, 
attendeva  a  fondere,  e  per  io  caldo,  sen- 
do allora    di    stare,  teneva  1*  uscio  aperto» 
si  che  sentito  il  calpestio  di  colui,  si  volse 
di  fatto  ,  e  conosciutolo ,  subito  gli  disse  : 
Guglielmo  ,  che  fate  voi  qui  a  ques trotta, 
e  a  questo  tempaccio  strano?  Ohimè!    ri- 
spose Guglielmo  ,  male  ;  io  sono  stato  as- 
saltato e  ferito,  ne  so  da  chi  né    perchè; 
e  il  dire  queste  parole,  il  posarsi  a  sedere, 
e  il  passar  di  questa  vita ,    fu    tutto    una 
cosa  medesima.  Fazio  veggendolo    cadere  , 


!!•  Mnii  «tua. 

n€r»Ttgltow  «^  paurogo-fuiN:  di ' modOf  4l 
mise  II'  ffibbiapgU  lo  slomaco»' et  sgllefMil 
e- a  ebiamar  Guglielmo,  peasando  eiiìerg|S( 
▼enato  qualche  sfiaimeuto.  Ma  doIIa  iUii} 
tendo  tmuof  ere  ne  battergli  pulso  »  e  trò^ 
Tatogii  poi  la  ferita  nel  peno»  e  diqqelli^ 
per  m  malignità;  non  oscito-^asi  aainguoi 
ebbe  per  certo  cbe  egli  fifise  •  còme  ttli 
era  veramente, -morto;  talché  sbigottito 
eorse  inoomianente  ali*  uscio  per  chiamar 
la  Ticinania^  ritroTaudosi  per  sorte -in  ca^ 
aa  solo;  perciocché  la  moglie ,  con  dot 
•noi  figlìaolini  maschi  di  cinque  anni^  q' 
in  circa  nati  a  un  corpo ,  era  a  casa  dt 
•uo  padre  andata  ,  che  stava  per  ìDorirei 
Ma  poi  sentendo  fortemente  pio? ere  e  tuo?» 
nare,  e  non  veggendosi  per  le  strade  nn 
testimonio  per  medicina ,  dubitando  di 
non  essere  udito,  si  restò  ;  e  mutato  in  ao' 
tratto  proposito ,  serrò  Tuscio,  e  tornosse-^' 
ae  in  casa,  e  la  prima  cosa  aperse  la  scar«' 
aella  di  colui,  per  vedere,  come  Y*eradea* 
tro  danari;  e  trovovvi  quattro  lire  di  mo* 
Beta,  e  tra  molto  ciarpame  di  pochissimo 
Talore^,  un  gran  mazzo  di  chia?i,  le  qua* 
]f  si  avvisò  dovere  aprire  Tuscio  da  via^ 
e  dipoi  tntte  le  stanze,  le  casse  e  i  fonie^'^ 
ri  ili'ca^  Guglielmo;  il  quale,  secondo  la 
pubblicai. 'fama,  pensava  essere  ricchissimct^ 
e  soprattutto  di  danari  secchi,  è  quégli  V 
vere  appresso  di  se.  Laonde  sopra  ciò  air 
scorrendo  e  pensanio,  gli  venne  nella  men- 
te j  Come  '  col  ai  i  che  astuto  e   sagacissimo 


1I0TVLL4  ▼•  rtt 

I  di  finre  nn  bellissimo  oolpo  tTIa  *irii% 
t  e  seco  stesso  disse:  Ooh  perchè  non* 
foìorooQ  qaesle  chiavi  or  ora  a  casa  di  costai^- 
éiorn  SOQ  certo  che  non  è  persona  naia  11 
CÌii  mi  vieterà  dunque,  che  io  non  preud»^ 
tutti  i  suoi  danari,  e  chetamente  gli  arrechi 
^pi  m  casa  tuia?  Egli  per  oona  buona  sorte^ 
piove ,  ansi  rovina  il  cielo  ^  la  qual  co» 
ta  &9  che  tiinnot  oltreché  gU  è  già  vaM^ 
ca.ta  mexza  notie  •  vadia  attorno  ^  ausi 
ognuno  si  sta  rinchiuso  al  coperto,  e  dor^ 
Jlie  nelle  più  riposte  stanze  della  casa.  Io 
aODO  in  questa  casa  solo  ,  e  colui  ,*  che  hm 
tfsrìto  Gtiglielmo ,  dovette ,  datò  che  gli 
ebbe 9  fuggir  via,  e  nascondesse,  e  di  ra^. 
gione  nollo  ara  Teduto  entrare  qua  entrò; 
e  se  io  so  tacere  ,  e  di  questo  fatto  non 
r^ionar  mai  con  uomo  niente  ,  chi  potrJi 
mai  pensare  che  Guglielmo  Grimaldi  sia 
colpitalo  qua  ferito,  e  in  questa  guisa  mor* 
to?  Domeneddio  ce  Tha  mandalo  per  mio 
bene  ;  e  chi  sa  ancbe  ,  se  dicendo    io    di 

Juesta  cosa  la  stessa  verità,  mi  fusse  ere* 
uto  ?  forse  si  penserà  che  io  Tabbta  mor^ 
to  per  rubarlo,  e  poscia  mi  sia  mancato 
rauioio.  Chi  mi  sicura  che  io  non  sia  pre» 
S99  e  posto  al  martoro?  e  come  potrò  giu« 
sti6carmi?  e  questi  ministri  della  giustÌ2Ìa 
sono  rigidissimi,  intantocbè  io  potrei  toc- 
carne qualche  strappatelia  di  fune,  e  for- 
se peggio  ancora.  Che  farò  dunque  ?  in6« 
^^  ^li  é  meglio  risolversi  a  tentar  la  for« 
tmm,  la  c^iiale  si  dice  che.  ajuta  gli  auda<» 


ci»  e  veclere  4e  io  potessi  uoa:  ▼o^ta.nioifN 
di  afTanni.  E  questo  detto,,  tolto  uq  boQi 
feItiH>  addosso ,  e  un  graa  cappello  ia  ,G^ 
pò  9.  le  chiavi  io  seno  ;  e  una  lanteriia,  in 
mano  ,  piovendo  ^  tonando  6 .  balenane 
•empre^  hi  mise  in  via^-e  in  poco  d*ora  ar 
rivo  alla  casa  di  Guglielmo  « ,  non .  troppe 
indi  lontana;  e  coi  due  di  quelle  chiafi 
le  maggiori ,  aperse  V  uscio  ,  ed  il  pcimc 
▼olo  lece  in  camera  ,  la  quale  aperta  « ,  H 
zie  andò  alla  volta  di  un  cassone  grandU; 
fimo,  e  tante  chiavi  provò,  che.  egli  M 
aperse ,  e  dentro  vi  vide  due  forzieri  «  i 
quali  con  gran  fatica  aperti ,  V  nno  Irofi 
]^ieno  di  dorerie ,  come  auella ,  catene  ^ 
maniglie  e  gioje  e  perle  di  grandissima  va- 
Iuta  ;  aeir  altro  erano  quattro  sacchetti 
^ieni  di  ducati  d^oro  traboccanti,  «opri 
ognuno  dei  quali  era  scritto  una  poUzu,. 
e  cucila*  che  diceva  :  tre  mila  scudi  d*on 
ben  conti  ;  onde  Fazio  allegro  e  volente 
roso  ,  prese  solo  quel  forzieretto  ,  iemea 
do  forse  che  le  dorerie  e  le  ^ojfC  .noi 
gli  fossero  state  a  qualche  tempo  ricono 
scinte.  Lasciando  stare  ogni  altra  cosa  raji 
settata  al  luogo  suo,  e  risarrato  e  raccoo 
ciò  il  tutto,  come  trovato  aveva,  se  ne  use 
di  casa  colle  chiavi  a  cintola ,  e  con  quc 
forziere  in  capo,  e  tornossene  alla  sua  abi 
tazione,  senza  essere  stato  veduto  da  pei 
sona;  la  qual  cosa  gli  succedette  agevol 
mente  rispetto  al  tempo ,  che  di  quelfan 
no  non  era  ancora  stato  il  peggiore,  pio 


itodo  bitliTia  quanto  dal  cielo  ne  poterà 
ireaire»  con  baleni  e  con  grandissimi  tuo-* 
ai.  Faaio  la  prima  cosa ,  poiché   fa  al   si-. 
coro  in  casa  snà»  mise  il  foniero  in  carne* 
n«  e  mulossi  tatto  »  e  perchè  egli  era  ai-. 
tante  e  gagliardo  delia  persona  »  prese  su** 
Uto  di  peso  colai  morto^  e  andossene  con 
esso  nella  irolta,  e  con  strameiiti  a  ciò»  in 
im  canto  di  quella  cavò,  e  fece  nnfi  fossa, 
qnaltro  braccia  a  dentro,   e    tre  langa  et 
due  larga  ;  e*  Guglielmo ,    còsi  come   egli 
era  prestito ,   e  colle  chiavi  insieme  vi  pò* 
ae  dentro,  e  ricoperse  colla  terra  rnedm* 
9  la  quale  rappianò   e   rassodò    molto 
itf  e  vi  mise  sopra  certi  calcinacci,  che 
eran  là  in  un  canto,  in  guisa  tale,  che  quel 
laogo  non  pareva  mai  stato  tocco;  e  poscia, 
tornato  in  camera ,  e  aperto  il  foraero,  4 
iopra  un  desco  rovesciato  un  di  quelli  S8C« 
enetti  si  accertò  quegU  essere  tutti  quanti 
fiorini  d*oro,  e  gli  abbagltaroao  mezza    U 
vista,  e  cosi  gli  altri  sacchetti   guardati   e 

ratit  trovò  che  gli  erano,  come  diceva 
scritta,  tre  mila  per  sacchetto;  ond^ 
pieno  d^allegrezza  e  di  gioja  rilegatigli  moV 
lo  bene,  gli  pose  n'uoo  armadio  d*un  soo 
scrittojo,  e  serrogli;  ed  il  fprziero  mise  in 
•uol  fuoco,  e  prima  che  se  ne  partisse, 
vide  ridotto  in  cenere;  e  lasciato  i  forno- 
^i  j  il  piombo  e  le  bocce  a  bandiera ,  se 
ne  andò  a  dormire^  che  appunto  era  re« 
stato  di  piovere,  e  cominciatosi  a  far  gior* 
Lasca.  8 


fff4  tmauna^ 

BQf  A'^p»  riitord  della  piIMMÉ  jMHr^flo 
ini  'per'  iafioo  «  TMprD  ;  «di  poi  leifitofl 
it--  ne-  andò-  m  piiixza  ».  e  -  io  .(Mochi  a^^ 
«dire  M  nona  si  dieasse  dt  GuglieliBam 
laogbi  per  le  fiMoende  ordioàti^  del  qn 
Bon  aenli  ragionare  né  quel  giorno  «fr* 
aecoodo.^  Il  icno  poi ,  non  eompaMof 
GfiglielBio  -nei  loogki  per.  Je  faccenda '« 
dittali V  n  eooiitteio  a-  mormorare  .fra  « 

Sale,  e  »  dubitare  «  "fe^ndoii •••een 
dlla 'eoa  ,ca§a  gli  utci  e.  le  finestre.^  te 
eraalche  male  non  gli  fusse  intervenne 
i^oegli  amici  anoi  ^  eòi  queli  cenata  al 
mameole  aveva  »  ne  davano  »  per  in^ii 
che  «da  loro  si  parti  »  vera-  reiasione 4^^  • 
indi  in  ìky  non  si  sapeva  ne  qnel  ehel 
«0  avesse  i  nò  dove  stato  si  fosse.    P<gr 

Sial  ;  cosa  la  corte,  non  si  ri  v^;endo  G 
^  idmo  ^  dnbilando  che  non  fusse  m  a 
morta,  fece  dai  suoi  mioistri  aprire  ( 
Ibraa  Knscios  ed  entrar  dentro  ,•  dove,  < 
cotto  che  'Gnglielmo ,  «ogni  cosa  trovaroi 
.«irdinatameute.  al  luoga  suo,  di  che  mai 
^rij^Katiai ,  in  .presenza  di  testimoni  ^  lo 
gb  usci ,  le  easse  e  forzieri  ^  non  si  ti 
^ndo  alcuna  chiave,  collo  ajuto  dei  n 
ipiaai^  aperti  furono,  e  tutte  le  ^ro 
ecritte»  dalla  cassetta  delle  dorerie  in  fc 
rif  ed  i  ìihr!,  che  furono  portati  alla  e 
te,i  e  posti  a  buona  guardia  ,  e  cosi  rio 
*ee  la  casa;  £  prestamente  andarono  bai 
severissimi  per  averne  notizia ,  prometti 
do  premio  geandissimo  a  chi  lo  notifica 


mntMk  Ti  trtf 

#«Mria'«  flro»  Bfa  ogni  coM  tot  innato^ 
«Im  ficr  no  tettpo  non  te  ne  teppe  «et 
friMlei  di  tnanieni  che  in  capo  a  tra  wtm 
ii^  MA  aendo  quifi  xki  lo  Yedesse^  e  aye» 
de  nllora  i  Geooresi  iaimicisia  e  guerra 
jpaodfMmai  col  Pisani ,  per  lo  die  non  ft 
earebbero  venali  i  parenti  $  la  eòrie  si-  in» 
gombe»6  tntce  le  snfUnae  etale  di  GogUel» 
tÈOf^  ùnotaifm  gran  niaraTÌt|ia  par  ognnml^ 
ehe'aon  ti  fotte  tromtc»  «binari.  B  aloóoi 
ai  peniavatta,  che  cg^i  ai  fimo  andito  eeii 
JMo  eoa  eM*  e  altrit  che  di  anMe  lette»- 
eati  o  nascosi  inr  qtnlche  Inogo  strano  ;  io 
oM^i  die  la  ocme  non  gH  avesse  volali 
^ppoleiire.  Fasio  in  questo  mentre  era  sto- 
ei  efaetisfioR)  sempre,  e  vedendo  andare 
•le  cose  di  bene  in  meglio,  lietissimo  vive^ 
^va ,  sendo  di  buona  poeta  tornato  a  wm 
Is  moglie  coi  figlinoli ,  alla  qnale  nondi- 
*meoo  non  aveva  detto  cosa  del  mondo  » 
sa  coli  aveva  in  animo  di  feire  •  il  ohe  ea* 
rebbe  stato  la  venture  sua  ;  dove  il  oon^ 
-trario  fu  la  sua  rovina,  della  moglie  a.  dei 
-figliuoli.  Ora  sendosi  la  cosa  di  Guglielom 
«addormentata ,  e  già  non  se  ne  ragionan- 
do pift«  Fasio  dette  voce  fuori  di  aTere 
:fiiUo  parecchi  pani  d*  ariento ,  e  di  Toleee 
andare  a  veoderglt  in  Francia  ;  della  quel 
cosa  si  ridevano  la  maggior  parte  d^lì  uo- 
mini,  come  di  colui,  che -già  due  volto 
a*era  affaticato  in  vano ,  ed  aveva  gittoto 
•via  la  fatica,  il  tempo  e  la  spesa,  per- 
ciocché a  fame  il  saggio  non    aveva   mai 


>l6  MIMA    €EK(A« 

retto  al  martello ,  .e  gÙ  amiM  e:  i  fuenìk 

suoi  soprattutto  ne   lo  soonsigltarano ,  tU^ 

ceado  che  ne  (acesse  c^um  il  paragouCr  "9 

se  bupno  riusciise  a  tutta  prova  9.  coti   in 

Pisa ,    come  a  Panai  vender  lo  potrebbe >{ 

do're  i  non  riuscendo  ^  come  si  pensavano^ 

noQ  arebbe  quel  disagiò»  ne  quella  spesaci 

Ma  niieole  ruevava;  che  Fazio  jera'ditposto 

di  andare,  a  ogni  modo ,  e  non  voleva.  aU 

trimèntì  fisiroe  il  sag|po  quivi»  sapendo  qoe» 

sta  volta  »  che  lo  ariento  suo  era  ottimo  ; 

e  fingendo  che  gli  mancassero    danari    da 

condursi,  impegnato  un  suo  poderettoper 

cento  fiorini^  che  cinquanta  ne  bisognava» 

no  a  lui ,  e  cinquanta  disegnava  lasciarne 

alla  moglie,  per  vivere  infino  a  tanto,  che 

egli  loruasse,  e. già,  lasciando  dire  ognuno^ 

si  era  pattuito  con  una  nave  Jlaugea,  ohe 

{lartiva  allora  per  alla  volta  di  Marttglia* 
1  che  sentendo  la  donna,  cominciò  a  fiur 
ro/nore  è  a  pianger  seco ,  dicendogli  : 
Dunque,  o  marito  mio,  mi  lascerete  voi 
soia  con  due  bambini  a  questo  modo?  e 
andrete  consumando  quel  poco  ,  che  ci  è 
restato,  acciocché  i  vostri  figliuoli  ed  io 
ci  muojamo  di  fame  ?  Che  maladetto  sia 
r  alchimia,  e  chi  ve  la  mise  per  lo  capo! 
Quanto  stavamo  noi  meglio,  quando  voi 
attendevate  a  far  Tarte  lieir  orafo,  e  a  la- 
vorare! Fazio  attendeva  pure  a  consolaci 
la  e  à  confortarla  ^  e  le  prometteva  tanto 
bene  alla  tornata,  che  era  una  maraviglia» 


•  ■  t . 


nòtellj:  t;  117 

&  ellk  nspoùdbncloglì,  diceni   pare:    Se 
ootesto  àriènto  è  fino  e  buono;   cosi    sarà 
^li  bnono  e  fino  qai  «  come  in   Francia  ^ 
é^io  ^ad  medesimo  modo  lo    renderete  ; 
Hu  Tói  Ve  he  andate  per    non    ci    tornar 
min  più;  e  lepori ' questi  cinquanla  ducali 
che  mi  lasciata  ^  ne  cònyerrà  «  misera  me! 
óom  questi  -  figliuolini   andare    accattando* 
E' non  Csiìcéva  né  giorno  né  notte   mai  al« 
Irò;  Aé  piangere  e  rammaricarse  ;    onda 
a  FJMDò ,  die  1  amava'  e  teneva  cara  quan- 
to gli  bechi  steésì  er  la  propria  vita,  venne 
&ntà  petà  di  lei,  e  conipissione,  che  uà 
l^ofaio  dietro  mangiare,  chiamatola  in  ca*- 
Ibera  sola,  per   rallegrarla    e   consolarla  , 
bgni  cosa,  fattosi  da  capo,  intorno  accasi 
"di  Guglielmo  particolarmente    le  narrò;  e 
presola  per  la  mano,  la  menò  nello  scrit* 
tojò,  e  le'  fece  vedere  tutti  quei  sacchetti, 
tutti  pieni  di  ducati  d'oro.  La  quale,  co- 
faie  si  maravigliasse  ^  e    quanta    allegrezza 
avesse,  non  che  raccontar  con  parole,  non 
n  potrebbe  pure  immaginare  col  pensiero  ; 
mille  volte  per  la  soverchia  letizia  abbrac* 
dando  e  baciando  il  dilettò  sposo,  il  qua- 
le con  lungo  giro    di    parole  ,   mostratole 
eònie  tacere  sopra  ogni  cosa  le  bisognata» 
le  disse  quello  che  intendeva  di  fare ,  e  la 
'vita  poi  telicissima  e  beata ,    che  alla  tor- 
"nata  sua  ordinar  voleva;  il    che    piacendo 
sommamente  alla  donna,  gli  diede  licenza 
allegramente,  eoa  questo,  che  egli  tornas- 
se fUk-  tosto   ehm  potesse    Fazio   ordinato 


^Ik  aim  Pippa  il  tolto,  V  alln  .  mamìam 
fiato  fare  mia  Imona  calia  noof/t  e  iprtcb 
epa  oo  ienrame  di^pio  e  gagliardo  »  ti  mlr 
ae  od  findo  tre  di  ^e*  laociiettit  lasdar 
to  Tallno,  per  i  cali  che  potcncro  iotcr- 
TenirCt  in  guardia  alla  ina  mof^e»  ^.^* 
pra  dodici  o  quaitordica  à\  qan  papi  4i 
jneitora  di  piombo  »  di.  peltro  e  aaiìooto 
tìvo  edUtra  aialeria»  la  fece  coodjarro 
alla  naYC ,  cooiro  la  vogUa  del  iuocero  » 
degli  akri  parenti  e  di  tulli  .g|t  anuct  • 
d«Ja  donna  ancora  ,  che  fingeva  di  pian* 
gerj^li  dietro;  e  tolta  Pila  ti  linrlaYa  ti 
dìrìdeYa  di  Ini  ^  e  certi  »  che  lo  conoaoe- 
Tano  ingegnoio  e  accorto  per  lo  addietrOt 
•i  pensavano  che  ^li  avene  dato  la  folta 
e  impanalo ,  come  molli  ^  in  quella  mala- 
dizione  deiralchimia.  La  nave ,  dato  le  ve« 
le  al  vento  9  eh*  era  prospero  »  si  parti  al 
•no  viaggio.  La  Pippa  »  fiicendo  la  villa 
di  eisere  reitala  mal  contenta  9  attendcw 
a  provveder  la  caia^  e  governar^  i  figBao- 
li.  La  nave  al  tempo  debito  arrivò  a  Mar» 
aiglia ,  dove  una  notte  Fazio  giltò  ia  ma- 
re tutti  que*  pani  dell'alchimia  ,  e  uscitoli 
di  nave,  colla  ma  cassa ,  iene  andò  eoi 
vetturali  insieme  a  Lione,  dove  itato  at 
guanti  giorni,  mias  mano  ai  suoi  sacohet» 
ti,  e  a  una  delle  prime  banche  che  vi  fìia* 
aero,  annoverali  1  suoi  danari ,  se  ne  fe- 
ce fare  due  lettere  di  cambio  per  .Pisa.; 
una  alla  ragione  de*  lAnfranphi ,  l'altra  si 
hanco  de*  Gualandi ,   è   una    lettera   scris* 


ife-«llà  ikiogKi$9  come  seco^^^m  .-vimatto^ 
àt¥ÌMDdola  Éf^e*  Tcodato  il  .suo  wieoia^ 
é  di  corto  loroare  m  Pisa  ricco.  La  qual 
lelléira  la  Vìto^  fece  lesero  pritta  a  auo 
padifey  e  1^  e  |;1i  alivi  parcalt  t  amici 
tti*  nuiio  9  1  qaali  lutti  si  mara^iglìivaiio  ^^ 
'^  molti  nollo  eredevaoo^  aipettaiNUR  Top» 

eiitìK  Fasié  ,  dopo  non  molta ,  cole  >  aae 
iMè  di  j^Mtteoio,  si  para  dì  Lioieé   « 
tadoDne  a  MarwgHa  ;  e:iiidM(l)nrt  ma  na* 
Ve  Bbicaina»  <iirica  di   grano  »   Belilo,  ai 
tetadoaie  é  Lin>mid, e  di'^ain  a  Hsaà  E 
la  |trfmà  coke  se  ne  andò  a  Tiaitar  h.mc^ 
j^e  e  i  figliufdli,  e  pieno  di  gioja  è  d*al* 
legréOM  abbracciala    e   basciafa   ognuno, 
che 'égli  scontraTa  per  la  «trada,  dicendo 
che  coirajnto  di  Dio  era    toraato   ricco-, 
Mndo  r  ariento    suo   riuscito  finissimo ,  è 
%  Mroi  paragone;  e  andatoseoe  celle  lette» 
Tedi  crcdényji  in    banchi  di' Gualandi  6 
'dai  Lanfranchi,  gli  furono  riessi  e  anno- 
'yerati  tiote  mila  ducali  d*  #ro ,  e  tutti  se 
'^i  fece  DOrtare  a  casa   coi   maraviglia  e 
^piacere  dei  parenti  e  deglr  amici ,  i  quali 
non  n  satiavano  di  accarezzarlo  e  di  far^ 
gli  fttta,  lodatado  estremamente  la  sua  vir^ 
tè.  Fazio,  ricchissimo  ds  par  suo  ritroTan- 
'3oit,  Tcggeodo  che  tutta  Fisa  og^imai  ere*- 
'^èva  che  dairalchimM  fusse  uscito  la  soà 
Mecfaezza,  fece  pensiero  di  Talersene  e  ce- 
:i^iacitrlà  a  spendere  ;  e  prima  riscosse  ii 
'itacr  podoKtto ,  e  poi  comperò  Una  bellij»- 


*T      • 


tao  namà-iitmA» 

•i»a  cu*  f  dirimpetl»  tlU  nu  »  •  qwih* 
poMMUonì  delle  migliori,  che  fnnero.ael 
oonudo  a  PiM.  Qiinperò  ancora  per  dm 
alila  Modi  di  nfi>j  ■  Botna ,  e  due  lula 
ve  poH  in  sa  n  no  fondaco  a  dìcceper 
xento,di  maoiera  che  egli  itava  ooann 
•prÌDoipe ,  e  abitando  la  oua  nuora ,  wn- 
ym  pfMo  dne  serre  e  duo  ferridori  »  eie* 
Beva  Ine  cavalcaiare ,  una  per  a^  e  rat- 
tra  pir  la  donna;  e  onoratÌMÌmamanle«t- 
etiti  f  figltnoli,  «i  Tivera  colla    ma  Hhi 

K:ci£camente  in  lieta  e  riposata  vita.  La 
ppt  f  che  non  era  solita ,  io  tanta  mha 
e  in  tante  dettcateue  ritrovandoti ,  inm< 
perbita,  deliberÀ  condursi  io  casa  ona  vco* 
'chierella  sua  conoscente-,  e  seco  nna  ma 
figliuoletta  di  sedici  in  dicianette  anni , 
beUisnma  t  maraviglia  ;  e  fece  tanto  chi 
'  Fazio  ne  fL  «stento ,  dicendc^li  che  la 
fanciulla  ,  ptr  cucire ,  fagliare  e  lavorare 
camicie  e  scifGe  era  il  proposito  appunto 
ed  il  biscgDO  della  casa;  e  cosi  col  suo 
■marito  e  coi  ìgtiuoli  viveva  contenta  in 
lieta  e  dolce  pce.  Ma  la  fortuna  invidio- 
-aa  ,  che  sempre  fu  nemict  de*  contenti  e 
-de*  mondani  piateri.  ordinò  in  guisa,  che 
-)a  letizia  loro  in  dolore,  la  dolcena  in 
axDaritndine ,  ed  il  riso  in  pianto  premi- 
nente u  riverse  ;  perciocché  Fazio  sì ,  in- 
namorò ardentissimamente  della  Maddale- 
na ,  che  cosi  si  chiamava  la  figlinola  di 
quella  vecdùerella  ,  e  cercando  con  ogni 
opportuno  rimedio  di  venire   allo  ioteolo 


àìto'f  teée  tedio  ^  che  còm  ^preghi  e  eoa 
dtaéri  cerroppe  la  fiectelik  poverissima  | 
dimodoché'  ]a  figlinola  coaobbe  carDaImeQ<- 
té.  E  conliBOvando  la  cosa  par  seaza  sa^ 
pula  delia  donna,  di  giorno  in.  giorno  a 
Fask>  cresceva  lo'  amore  ,  avendo  dato  la 
fede  snA  a  lei ,  e  alla  madre  di  toMo .  ma* 
rilarla  con  bnoni^ìma  dote ,  attendava  •  a 
darsi  piacere  e  buon  tempo  ;  «  «  ancorché 
tatlavia  spendesse  qualche  £orìneÌÌo  ,  se- 
nelamente  si  •  godeva  la  sua  Maddalena* 
Ma  non  potettono  tanto  cautamente  gover- 
oarse ,  che  la  Pippa  non  se  ne  avvenesse  ; 
di  che  col  marito  prima  ebbe  di. sconce  e 
di  strane  parole,  ma  poi  più  villanamente 
colla  veccnia  e  colla  Maddalena  procedette» 
e  dopo  desinare,  un  giorno  che  Fazio  era 
andato  fuori,  colle  loro  *  robe  ne  le  mandò 
con  Dio  9  avendo  detto  loro  una  villania 
da  cani.  Di  cJie  Fazio  le  fece  grandissimo 
•remore,  e  a  casa  loro  le  cominciò  aprov- 
'vedere,  crescendogli  sempre  *pii!i  dimano 
in  mano  il  disordinato  desiderio,  e  colla 
moglie  stava  sempre  in-  litigi  e  in  guerra  » 
perchè  nelle  dando  egli  più  noja  la  notte, 
come  prima  far  soleva i  andando  il  giorno 
^  acancar  le  some  colla  sua  Maddalena,  era 
^eolei  in  troppa  rabbia  per  la  gelosia,  e  per 
:1o  sdegno  salita  ;  talché  in  quella  casa  non 
-sì  poleva  più  stare  per  le  grida  e  i.rim- 
'brotli  della  donna.  Onde  Fazio  garritola, 
«onfartatola  ,  e  più  volte  minacciatola  f  e 
JHettie  (tovaódo,   p«r  dar  luogo  •  al  «  f  iirore 


di  lei "««1  sao  Qoc«atà*iiiio  wamt  •  le  Ut 
aodò  in  villa,  e  vi  lece- la  tiwlCaddalMn^ 
e  Ift  madre  Tcnire,  dorè  Mntd  Merglj  ni 
to  U  testa  dalla  importana.  e  iMÌ**oL  m» 
glie,  allegrìttimo  badava  a  oatami-k  tw 
Toalie.  DelU  qual  cobb  la-  Ptppa'  rMl&  à 
dolorwi  e  mal  conleota,  che<  altro  no*  & 
«era -mai  nò  giorno  oè  nott^  che-pÌAagi* 
re  e  sospirare  dal  disW<il  marito,  oellfrA  \ 
•Miesu  recchia,  e  della  odiata  &doìd1U 
dolendosi  e  rammarioandoai.  Bd  eaioado 
siè  passato  uo  mese,  e  Patio  hod  tortuoi^ 
do  ,  né  faceado  segao  di  voler  tornare^ 
colla  sua  innamorata  tpastollandosi,  co* 
eletto  incomparabile  e  eoa  immensa  gioja 
consumava  il  tempo,  llchesapendo  Ja  Pìp 
-pa,  faor  dì  modo,  e  sopra  ogni  saisa  m- 
«nana  dolente ,  in  tanta  collera ,  furore  a 
«abbia  contro  le  donne  e  lo  spoto  sno  ■ 
••ccesd  ,  che  disperata  ,  non  pensando  al 
danno  che  riuscir  ne  le  poteva ,  ù  diipop 
-se  e  <Ulib*rÀ  di  acensare  il  marito ,  che 
non  guadagnati  dall'alchimia,  ma  nibaW 
ATcra  i  danari  a  Guglielmo  Grimaldi  ,  i 
■anali  -di  'FrancÌ8<  aveva  finto  di  portare  del' 
i  'srienio  venduto  ;  in  questo  modo ,  d^ 
•cendo ,  gasligherA  lo  ingrato  spom  e  k 
'■temicfae  femmine.  E  senza-  altro  pensare^ 
iofitriata  allora  allora  si  mise  a  ordjoc^-a 
■MDca  terre  compagnia  di  serve, sola,  pò» 
tata  dal  furore  se  ne  andò ,  che  era  quali 
•era ,  dentro  a  un  Magistrato ,  che  già» 
jaiBÙ  tMWfa,  'GOme-nelk  ciuà  notUm.ffi 


) 


«Ho.^  guardili  e  di  balia  ^  al  quale  fec« 
jntendire  tulli  i  casi  del  tiMqnlo  ^  così  C9t 
«M  da.  lui  r  erano  siati  raccontati  ;  dioen^ 
do  ehe  andassero  a  Tcdere ,  che  Guglieli 
mo  era  aotlerrato  nella  valla  della  cas% 
TMchìay  e  disegnò  laro  il  luogo  appaotCb 
U  Magistrato  fece  il  primo  tratto  ri  tenera 
la  donna ,  pensando  oii*esser  potesse  ^  e  aoa 
aMer  la  Terità;  e  mandarono  tegretameofr 
le  e  con  prestezza,  e  trovarono ,  m  quanta 
al  morto  Guglielmo  ^  <)osl  essere  come  la 
Pippo  aveva  detto,  e  la  notte  stessa  feca^ 
ro. andar  la  famiglia  del  bargello, che  nel 
letto ,  colla  sna  amorosa  aiaceodo  ,  Fazia% 
che  non  se  lo  aspettava,  turiosamente  prò* 
aero,  ed  innanzi  •al  giorno  in  Pisa  e  in.pri* 

g'one  condussero.  Il  quale  maMbconoso  in- 
io  al  di  stette ,  e  dipoi  venuto  alla  esa- 
mina ,  nulla  voleva  confessare.  Ma  coloro 
gfi  fecero  venire  innanzi  la  moglie ,  alla 
cui  vfsta ,  egli  gridò  ad  alta  voce ,  dicen- 
do ,  ben  mi  sta  ;  e  a  lei  rìrolto  disse  :  IX 
troppo  amore,  che  io  ti  portai,  m'ha  qu 
condotto  ;  e  al  Bfagistrato  poscia  rivoltosi  ^ 
tutto  il  caso ,  cosi  come  veramente  em 
seguito,  raccontò.  Ma  coloro  spavenian* 
diHO  e  minacciandolo  sempre ,  gli  dissero 
ehe  fiermamente  tenevano ,  che  Guglielmo 
vnaliziosamente  da  lui  fosse  stato  ferito  e 
snnmazzato  per  rubargli  i  suoi  danari  e  go» 
derscgli ,  come  per  infino  allora  gli  era 
simcilo;  e  iacmoeliti,  messolo  alla  tortur 
«a,  tantt-  martiri  e  tantr^i  diarano^cha 


r  24  Funu.  ccKà: 

KODtim  cbe  da  iui  ai  ptrlisserOt  ogni  .4io« 
9a\  come  a  lor  piacque,  gli  fecero  conJEetv 
sare.  Per  lo  che  diede  il  fifagialràto  aen* 
tenza  ,'  che  T  altra  maltioa  «  fisK^ado  le 
cerchie  maggiori  per  Pisa,  fosse  allanaglia- 
lo  finalmente  e  squartato  yivo^  e.  somter 
niente  tutti  i  beni  di  Fazio  incorporarono* 
E  Guglielmo  cavato  di  quella  volta  ,  fece- 
ro soturrare  io  sagrato ,  con  meraviglia  è 
stupore  grandissimo  di  chiunque  lo  vide; 
e  senza  indugio  mandarono  in  villa  a  pU 
gliare  la  possessione  dei  poderi  »  dove  £a 
cacciato  ognuno  fuori,  e  la  Maddalena  e 
Ja  madide  se  ne  tornarono  in  Pisa  alla  lo*- 
ro  casetta  povere  e  sconsolate.  La  Pippa  ^ 
atndo  stata  licenziata  ^  se  ne  tornò  verso 
casa  t  credendosi ,  come  prima  ,  essere  la 
bella  madonna  ;  ma  di  gran  lunga  ne  ri* 
mase  ingannata  ,  perchè  le  fantesche ,  i 
servidori  e  i  figliuolini  trovò  fuori  dalla 
famiglia  della  corte  essere  stati  caóciati  ; 
onde  con  essi  dolorosa  a  morte,  nella, sua 
Tota  casa  se  ne  entrò  ,  tardi  piangendo  e 
ridendosi ,  accorta  del  suo  errore.  La  no* 
velia  si  sparse  intanto  per  tutta  Pisa  ,  taU 
che  ognuno  restava  attonito  e  pieno  di 
^meravìglia  ,  biasimando  non  meno  b  scel* 
*lerata  astuzia  deiralchimista ,  che  la  iniq[ua 
ingratitudine  della  perfida  moglie.  E  il  pa- 
4re  e  alcuni  parenti ,  cbe  a  visitarla  era* 
no  andati  9  tutti  la  riprendevano  e  prò  ver* 
biavano  rigidamente  •  protestandole  cke 
60  i  suoi  figUuoU    inaieme  si  morrebbe  di 


fikmet  cosi  cradele  a^eado  Catto  ed  ìaò^ 
BnmO'  tradimento  ài  posero  suo  marito } 
per  b  qual  cosa  malcoatenta  e  piangeadò 
IttMnaftola  aTeranb.  Venne  i*  altra  mattinaci 
e  air  ora  depatata  sopra  un  carfo  lo  ià^ 
f^tdiasimo  Fazio,  fatto  per  tutta  Pisa  le 
cerchie  maggiori  \  in  piazza  condotto  ,  so- 
piti un  palchetto  a  posta  fatto ,  bestemr* 
miando  sempre  se  e  la  iniqaa  moglie,  dA 
msioigoldo  in  presenza  di  tutto  il  popolo 
fa  squartato  ,  e  dipoi  insieme  ridotto,  e 
sopra  il  medesimo  palchetto  acconcio  ,  fd 
disteso  t'  che  quivi  tutto  Taranzo  del  gior- 
no stette  /  a  esempio  dei  rei  «  malvagi 
uomini.  La  Pippa,  avuto  le  tristissime  no- 
velle, quamto  più  essere  si  possa  dolorosa, 
priva  trovandosi  per  la  sua  rabbia  e  gelo- 
sia del  marito  e  aeila  roba,  si  dispose  da 
se  stessa  del  commesso  peccato  pigliarse 
la  peniteaza;eJ  arrabbiata,  peosato  aven- 
do quel  che  far  voleva  ,  quando  la  mag- 
gior parte  delle  persone  era  a  desinare  , 
coi  suoi  figliuoletti ,  presone  uno  da  ogni 
mano ,  piangendo  in  verso  piaizza  preso  il 
cammino ,  quelle  poche  genti ,  che  la  ri* 
aoontravano ,  conoscendola  ,  la  biasimava' 
no  e .  riprenderano  e  lasciavano  andare.  '£• 
cosi  in  piazza  appiè  del  palchetto  arriva- 
ta ^  pochissime  persone  vi  trovò  iotorno  , 
e  se  tra  quelle  poche  era  chi  la  conosce»* 
ic,  non  sapendo  quello  che  far  si  voleva^ 
lodavano  la  via,  ed  ella  piangendo  Sem- 
coi  figliuoli  t  la  crudelissima  scaila  sali. 


<. 


tt6  fikWJk  <nrA. 

•  fiogeitiio  Éopm  ti  palcbecto .  d*  aUbm^ 
eiare  e  piangere  il  morto  sao.  §poeo  r 
d^inioroo  asprameate  ripresa  dicendo:.  B 
$ima  femmiaa!  ella  pieli^  ora  quello  €km 
«Ua.ha.TolatOf  e  da  te  ttena  prooaooiator 
et.  La  Pìppa  areodott  jfitto  rogna  ttd  "Ht 
9o ,  e  stracciatosi  i  eapefli  «  tattam  piatta 
gelido  e  baciando  il  viao  del  morto  mM> 
to^  fece  i  teoeri  figUuoliiii  chiaare»  dÌMO* 
do»  abbraeoiate  e  baciate  lo  sTenturabo 
babbo  t  i  quarii  ptaDgendot  tolto  il  popcte 
lacrimar  faccTano»  Ma  la  cruda  oiadrè  im 
questa^  cavato  fuori  del  seno  un  bene  ai> 
rotato  e  pungente  coltello  »  1*  uno  dei  fi- 
gliuoli in  un  tratto  percosse  nella  gola  t  • 
lo  teaonò  di  (atto,  e  più  rabbiosa  che  per- 
cossa Yipera.,  in  un  attimo  all'altro  Tolta- 
si, il  medesimo  fece  cosi  tosto,  che  la  brì^ 
gata  a  fatica  se  ne  accorse  ;  e  furiosameo?- 
le  in  se  ri  rei  Usi  >  nella  canna  della  gola 
il  tinto  coltello  tutto  si  mise ,  e  scannata* 
•i,  morendo,  addosso  ai  figliuoli  e  al  mocy 
CO  marito  cadde  morta.  Le  persone ,  che 
erano  quivi  intomo ,  ciò  veggeodo ,  lassa 
gridando  corsero,  e  i  due  miseri  fratellini, 
e  la  disperata  madre  tro? arene  ,  che  da- 
vano i  tratti,  sgozsati  a  guisa  di  semplici 
agnelli.  11  remore  e  le  grida  subilo  si  la- 
varono altissime,  e  per  Intta  Pisa  si  spar- 
se in  un  tratto  la  crudele  novella  ;  talché 
le  genti,  piangendo,  correvano  là  per  Te- 
derò uno  COSI  spaventoso  e  orribilissimo 
spettacolo ,  dove  il  padre  e   la  madre  con 


far  loro  MdL  belli  e  biondi  figlÌMdiiii  em* 
yyMMnCe  fenti,  e  cradelissimannente  iosan-i 
guiiali ,  morii  Y  uno  sopra    V  altro    attrà<» 
vwaati  giacevano.  Ceda  Tebe   e  ^racusai  ^ 
Argo#  Mioeoa  €  Alene,  ceda  Troja  e  Ronuc*. 
alla  infelice  e  sfor tonala  Pisa.  I  pianti^  i  ìàit 
menci  e  le  strida  intento  eraoa  teli,  e  coti- 
ime  per  inUa  la  città,  cbe  pareva  chedo>^ 
jtme  finire  -il  mondo.  E  •oprattntto  doleva 
ai  popoli  la  morte  dei  due  innocenti    fra-*' 
Idlini ,   che-  teoaa  colpa  o  peccato  troppo 
ìniimanamente  del  paterno  sangue  ,   e    di 
oadlo^deir.emfMa  madre  tinti  e    macchia^» 
b  t  in  terra  morti  stevano ,    in    guisa,  che 
pareva  che  dormissero ,  avendo  la    tenera 
gola  aperte ,  e  di  quella  caldo    e    rossissK 
mo  sangue  gemendo ,    tante   nei   petti  dei 
vigaardanti  e  doglia  e  compassione  metter 
vano,    che   ehi    ritenere  avesse  potutole 
lagrime  e  il  piantolo  sasso  o  ferro,  più  to- 
sto che  corpo  umano,   si   sarebbe  poto  lo 
direi  perciocché  il  crudo  e  scellerato -spet- 
teoolo  arebbe  potuto  desterà  alcuno  spiri^ 
io  di  pietà   nella  crudeltede    stessa.  Quivi 
alcuni    amioi    e    parenti  di    Fazio  e  della 
Pippa  ,  con  licenza,  della  giustizia  ,  il  mar 
viio  e  la  moglie  fecero  mettere  in  una  bara, 
€.  perchè  essi  erano  morti  disperati  ,    non 
in  luogo    sagro  ,    ma    lungo   le    mura  gli 
mandarono  a  seppellire.  *  Ma  i  due  fratelli^ 
ni  ,  con  dolore  inestimabile  di  tutti    i    Pi- 
sani»  in  Sante  Caterina  sotterrati  furono. 


Ifl. 


« 


f 


(; 


l 


1*9 
NOVELLA  VI. 
Biccoadarla  o  rifarla* 


JB  Prete  da  San  Felice  a  Etna  eoi  voh^ 
darle  un  papero  ,  conosce  óarnalmenie 
e^  inganna  la  Mea;  di  poi  riiamando  è 
.dn^Ud  ingannOM^'e  perdendo  il  papero 
e  i  capponi ,  doloroso ,  non  poiendo  iAs 
ai  suoi. piedi,  i? portato  a  casa»  v 


XN  OQ  Moorti  afTedimeoti  »  non  pronte 
rìiposlé  t  non  -  audaci  parole ,  non  arguii 
anoili,  non  tempia  golfaggine,  non  goffa 
ecempiezza  ^  non  faceta  invenzione ,  nom 
piacevole  o  «iravaganie  fine,  non  la  letizia 
ée  il  coivleiito ,  ma  focosi  sdegni^  feroci  acr 
^pBLìA  d*ira,  iogiarìose  parole»  angosciosi  la- 
meo tit rabbiosa  gelosia,  gelosa  rabbia,  cvii- 
jdelc  inT^tnzione^  disperato  e  inumano  finCp 
il  dispiacere  ed  il  dolore  avevano  auesta 
svolta  dai  begli  ocdli  delle  vaghe  giovani 
tirato  in  abbondanza  giù  le  lagtin>e,  e  ba<* 
^nato  Loro  le  colorite  guancie  e  il  diiica* 
to  seno  ;  nè|  di  piangere  ancora  si  potevar 
nò  tenere ,  molto  biasimando  la  malvagia 
femmina  ,  quando  Siringa  ,  cbe  seguitar 
^veva  •  rasaugatisi  gli  occhi ,  prese  cosi 
a  favellare  :  Pietose  donne ,  e  voi  altri , 
certamente  9  che  non  è  stato  fuor  di  pro^ 
Lasca^  9 


\ 


posilo  •  io  mezzo  a  tanto  znccliero  e  Hn«» 
le ,  alauanto  d*  alpe  a  d*  a«eozio  meacolap- 
re;a  noe  che  per  la  amariiodioe  «  sia  me^ 
glio  cooosciuia  la  /dolcezza  «  perciocché  i 
contrari  posti  insieme ,  le  cosa  buone  e 
belle*  di  bontà  e  ài  bellezza  io  infinito  ac- 
erescoDO.  Per  questa  cagione  dunqae  m 
snt  rendo  eerta  ,  ohe  ae  le  passate  noTcIla 
^ella  preseate  ser»  Vi  tornarete  nella  me* 
fnoria*  ^  qnanto  pii  qnesta  t*  ha  dato  do* 
«gHa  e manìnconia  f  tai^p'Ti  accresceranno 
gioja  e  cenlenio.  E  ancora-  io  ho  i^raii^ 
aa^  che  la  mia  favola  «  la  quale  sarà  tutta 
ridente  e  lieta  »  maggiore  allegrezza  e  con* 
ferto  TÌ*porga  ;  e  cosi  detto,  con  un  doU 
ce  riso  soavemente  la  lingua  sciolse. 

Ck>me  Toi  dovete  sapere,  usanza  è  sia» 
la  sempre  mai  nel  nostro  contado  «  che  i 
%)reti  della  villa  ^  quando  per  avventura  è 
la  festa  alla  lor  Chiesa  ,  invitano  tutti  i 
preti  loro  vicini:  per  Io  che  avendo  il  pra» 
le  del  Portico  tra  r  akre ,  una  volta  la  fé» 
ata ,  tutti-  i.  preti  da  lui  chiamati  vi  con«» 
porsero;  Ira  i  quali  vi  fu  un  ser  Agos(in6^ 
ehe  ofiziava  a  San  Felice  a  Ematpoco  ìkh 
di  lontano.  Il  quale; ,  mentre  che  la  Mea* 
aa  .grande  solennemente  si  cantava,  vide 
jfev  sorte  nella  Chiesa  una  bella  giovine  e 
naanìerosa;  -e  demandato  li  vi  intorno,  chi 
ella  fosse,  gli- fu  risposto  esser  quindi  pò» 

Eolana;  e  perchè  ella  gli  andava  mollo  per 
i  fantasia,  poco  ad  altro,  fuor  che  a  laù 
«aria  e  vagheggìajrlaf  attese  la' mattina.  Av*^ 


e  poi*  cke  detto  1*  ufizio  ^  e  femke  kr 
»  lotle  -le  p«rMDe  di-  Chie6a  parli- 
teti«  se  ne  aodarooo  a  desioarCf  e  coti  fe« 
céro  i  preti.  la  sai  vespro  poi  ^  ter  Ago^ 
tlioo  usceodo  così  fuori  in  sulla  strada»  per 
vìa  di  .diporto,  vide  per  buona  Tmtura  ìm 
sul 'SUO  uscio  sedersi  la  gtovaiìe*^  che  vei» 
dàlo  la  mailtoa  ìu  Chiesa  afeva  t  la  ^ua« 
le  81  -faceva  efaiamar  Mea  ^  JttocVie  Ai  mi 
aiitralore«  «he  in  compagnia  deM  altre  don* 
mÉt  vicine  si  slam  %ì  fresd»  e'  m^  mkouegfja^ 
te.  Per  la  qual  eosa  »*  <driaaalo  il  prete 
biella  Chiesa  9  lo  prese  a  doosaodar  di.  lei 
«  della  sua  condinone;  il  quale  gli  rispos- 
te ^  essere  tutlar  piacevole  e  buona  compa^ 
gaia,  eccetto  che  «<H>i  prèti,  i  quali,  che  che 
^e  ne  fosse  in  cagióne, aveva  più  in  odio, 
idbtf  il  mal  dei  capo ,  e  oion  voleva ,  nod 
èhe  *&r  lor  piacere  ,  ma  pnf  sentirgli 
Incordare.  Htmn  meraviglia  se  ne  fece  seè 
Agostino  ,  e  fra  se  dispose  di  caricargliei 
Uè  a  ogni  modo,  dicendo ^eco  ìnedetimor 
ia  so  ehe  tu  ci  hai  a  lasciar  la  pell^,  vo^ 
{Ha  tu ,  o  no';  e  perchè  ella  flou  avesistf 
cagione  di  conoscerlo  per  prete ,  se  gU 
levò,  benché  mal  volentieri  d* intorno V 
iaadi  lontano  la  riguardava  pare  sott*oc^ 
tìaiì ,  che  non  parava  suo  fatto;  e  quanta 
più  la  mirava,  tanto  più  gli  cresceva  11  de-' 
merlò  di  possederla,  in  questo  mentre  tul 
fenile  il* vespro; e  di  pct  là  ootnpieta, dhd 
la  Mea  non  entrò  mai  in  Chiiesa,  tanto  che^ 
fcnìtd  gli  «ifirj  è-lérlsfC»^  ter   Ag^iààdf 


mSz  PftlMA    CBN  A. 

ùlìW  colazione  grossameote  con  gli 
preti  ,  prete  liceoza  »  e  lornogsene  a  San 
Felice  a  Ema  «  dove  non  faceva  altro,  mai» 
che  '  pensare  alla  sua  iDnamòrata,  ed  il  mor 
do  che  tener  dovesse  »  per  poterle  fiEivellar 
re  ^  che  non  fosse  da  lei  per  prete  conor 
scinto  t  e  poscia  cercare  di  venire  a  gli  atr 
lenti  suoi«  E  perchè  egli  era  scaltro  e  mp«-. 
)i£Ìosetto  •  gli  cadde  nell*  animò  di  tenta^ 
fé  una  via  da  dovergli  agevolmente  riaf 
scire  «  per  contetitare  i  desiderj  suoi ,  ed 
un  lunedì  in  su  le.  vcntiun'ora ,  travestito-^^ 
0Ì  a  guisa  di  un  villano,  sparpagliatosi  la 
Jbarbat  con  una  cuf6a  bianca  «  e  un  cap* 
pelleito  di  paglia  in  testa  9  preso  un  bjello 
e  grasso  papero  in  collo  »  nascosamente  si 
parti  di  casa  9  e  per  tragetti  se  ne  vennt 
alla  strada,  poco  di  sopra  al  Pòrtico^  e  pr^ 
80  la  via  verso  Firenze  9  se  ne  veniva  ada- 
gio adagio  fermandosi  a  ogni  passo,  tantp 
che  di  lontano  vide  la  Mea  in  su  T  uscio 
ledersi  e  nettare  la  insalata;  onde  affret- 
tando il  cammino  «  se  le  fermò  al  dirim* 
petto  9 .  guardandola  cosi  alla  semplice  ; 
Ber  cjie  la  Mea»  veduto  questo  gonzo  cosi 
pio  rimirarla,  lo  domandò,  se  quel  pape* 
To,  che  egli  aveva  in  braccio 9  si  vendeva; 
Non  sì  vende  9  rispose  il  prete.  Donamelo 
dunque9  disse  la  donna,  che  er^  favellante^ 
Questo  si  potrebbe  fare,  rispóse  ser  Ago* 
Itino;  entriamo  in  casa,  e  saremo  d*accor» 
do.  La  Mea,  ch'era  di  buona  cucina ,  aoc- 
ebiato  quel  papeiooe,  ch*era  grosso  e  biaa* 


IfOTELLA.  TI»  l33^ 

M>  alla  bella  prima  si    rittò'  colf  i lutala 
in  igreiiii>o  ,  e  mise  colui  deDiro  ,  e  serrò 
r  uscio.  Come  il  prete  si  7Ìde  tu  terreno t 
e  r  uscio  serrato  t  disse  alla  Mea  t    Udite  « 
madonna.  Questo  papero ,    che  Toi  cedete 
ti  bianoò  e  bello  »  io  lo  portava  ali*  otte  ;. 
^re  a  toì  non  si  può  negare  ,  se  toi  mi 
darete  delle  cose  vostre}  e  nella  fine  rima* 
aerv  insteìne,  che  ella  gliene  desse  una.ab^ 
braeciatclra  9  e  che  il  [Àpero  fosse  suo  ;  e 
€o6l  la  Mea  «  patendole  ìiw  co  tal  soliuccbe?» 
fone  cresciuto  innanzi  at  tefòpo,  se  lo  cao* 
ciò  sotto  ;  e  fornito  che  gii  ebbero  ambe« 
duo!  la  danza,  si  lerò  su.la  donna,  e  dis«. 
se  a  colui:  Tu  te  ne  puoi  andare  a  tua  po- 
sta, che  il    papero  è  mio.  Il   malprete  ri^ 
apose  :  No  no  :  vói  noli*  avete   guadagnato 
ancora  ;  pei^iocchò  quello    che    io  doveva 
a^er  da  voi ,  avete  voi  avuto  da  me ,  poi* 
che  stando  di  sopra  ,   sete  stato  .voi  T  uo- 
mo, e  io  la  donna  ,  trovandomi  di  sotto,, 
6d  essere  stato  cavalcato.  La  Mea  fece  boc- 
ca da  ridere  ,    e  disse  io  ti  ho  inteso  ;    e 
perchè  il  sere  Tera  riuscito  meglio  che  di 
parata,  sendo  giovane  ancora ,  grande  del< 
la  persona  e  morbido,  se  lo  tirò  voleotie* 
ri  addosso  ;  sì  che  fornito  la  seconda  bal- 
lata ,  pose    le  mani    ser    Agostino  di  fatto 
in  sul  papero,  e  disse  alla  donna:  Mooair 
vai  ancor  vi  bisogna ,  se  voi  16  volete*  star 
aotto  un*  altra  volta ,  perche  questa  d*ora/ 
sconta  quella  di  prima  ,    e  semo    appunta 
pagati  e  del  pari  ;  a  quest*  altra  volta,    sa 


i^4  ncmi^emA* 

lenej  èbe  TCtf  arete,  e  giastanreoter  ^iiif« 
dTagDttto  il  pàpero.  La  Méa,    che  per  ia& 
BO  aH'  ora  se  ne  era  riso  »  e  recatoselo .  ii| 
burla,  se  questa  cosa  le  parve  strana,  naqi 
è  da  domandarne,   e   Toitatasegli    con  uà 
■lal  ttao,  disse  r  Non  ti  vergo^i  tu,  villaii 
ffircfaio?    Che  pensi  tu  aver   trovata  qual« 
ehe  femmina    di    partito?  ribaldune,  «gli 
li  debbe  piacer  V  unto  ;  dallo  qua,  e  vaili 
•on  Dio  ,  e  volevàgoiene  sirappakre  di  oue* 
no;   ma  il  prete  lo  teneva    forte ,  e  acoo- 
alatosi  air  uscio   Io  aperse ,  e  voleva  fag* 
girsene,    se   non  che  colei   se  gli  parò  iiH 
nanzi ,  e  cominciò  a  dirgli  vill'aoia ,  e  co- 
hii  a  risponderle;    Tn   questo  accadde  ap- 
punto, cbe  fuori  d'ogni  sua  usanza^  giun« 
se  qui  il  marito  della  Mea,  e  sentendogli 
quistionare ,    dato    una    spinta    air  uscia, 
entrò  in  casa,    e   veggendo  In  moglie  co^ 
quel  contadino  alle  n\ani ,  disse  :  Glie  duf 
^K>l  gridi    tu,   BleaT  Cbé    domine  hai  tìh 
ehe  fòre  con  cotesto  villano  7  A  cui ,  8en« 
xa  aspettare  altro,  rispose   subito  ser  Ago* 
nino,  e  disse  r  Sappiale,  uomo  da  bene,  ehm 
io  mercalai  con  questa  donna  trenta  soldà 
questo  papero,,  e  di  tanto   restammo  u!àc« 
cordo  nella  via  ;  ora  ella  qui  in    casa   me 
ne  vorrebbe   dar   diciotto.   Tu  menti  per 
la  golii,  soggiunse  la  Mea',  e  parendole  ob 
limo  modo    a    ricoprire    il    suo   fallo  ool 
marito ,  seguitò   dicendo  ::  Io  to  ne  voleva^ 
pur  dare  venti^  e  cosi  facemmo  i  patti;,  e 
»  dico  trenta,  xtspose  il  prete  ;  per  la  qual 


{]oi#rftodi  lei  ditte:  peb^jfieajaacja- 
la  andare  ia  maPora!  tu  dices^  .plri^  ed 
egU.'Caffoy  e  noa  Terrjeste  mai  a  coQ9lu« 
liooe.  Hat  tu  paura  ohe  t^abbjaao  a  man* 
oare  i  fMiperi  ?  Vadiaseoe  col  lapuU^  an  che 
Domenedio  gli  dia,  aoggiunse  la  Mea;  che 
e^i  non   troverà    mai  /  più    obi    gli  ;|eÌc<9A 

Juel  che  gli  ho  fatt*\o.  Il  pr^te^t  {Uirt^- 
Mi  di  oatd  disse  :  E  tu  noo  .trof^rai .  mai 
più  altri,  ehe  abbia  si  grasso  e  si  grc^* 
so  papero;  e  allegro  fuor  di  ii|x>do  se  pe 
toroò  a  casa  9  che  da  persona  non  «fa  co- 
nosciuto. Il  marito,  non  avendo  bene,  io-* 
teso  le  parole  della  Bl^t  Ics  disse:  E  p|)e 
gli  hai,  tu  fatto  però?  Egli  era  più  méa^ 
al  dovere  di  te,  e  se  egli  lo  porta  in  Pireo* 
ze^  ne  caverà  de*  soldi  più  ai  quaranta}, • 
cosi,  tolto  di  casa  quel  che  gli  bisognava  t 
se  ne  tornò  a  lavorare,  e  la  M|sa  a  nettar 
Vinsalata,  piena  tutta  di  stizza  e  di  dolore» 
che  da  un  villano  a  quel  modo  fusse  sta-^ 
ta  beffata.  Passarono  intanto  otto  o  dieci 
di ,  che  ser  Agostino ,  pensando  alla  sua 
Mea,  che  gli  era  riuscita  meglio,  che  pen-* 
sato  non  s*aveva,  ai  dispose  dì  tornare 
a  visitarla,  e  veder,  se  egli  potesse  colpir 
seco  di  nuovo,  ma  non  come  prima  a 
macca;  anai  pentito  al  tutto  di  quel  che 
fatto  aveva,  in  quel  modo  medesimo  vestito 
da  contadino  ,  tolse  il  papero  stesso  e  uà 
pajo  di  buoni  e  grassi  capponi,  con  animo 
dì  darle  Tuno  per  lo  benehzio  ricevuto,  e 
gli  altri  per  quello  che  egli  sperava  di  ricer 


i3ff    ,  ratvi.  c«ui 

rere,  4  far  seco  la  pace*  E  co^^tm  gionro 
ih  mlPora    medesima   sfuggiascameate  %^ 
ne  Tenne  alla  strada  per  ra   Tia    del  Gitl- 
ìùzsOf  e  cose  in  verso  Firenze  ^iaQam«nt# 
camminando,  appoco  appoco   si   eondosse" 
al  Poritca  ;  e  quindi   dalla   casa  della  smi 
Blea  pissando,    la  vide  per    boooa   8ort#i 
appirato  alla  finestra,  ed   elk    )ur,  e  oo« 
ilòbbelo  subito,  e  al  papeì^  e   ai  capponi 
8f  liTTisò  troppo  bene  della  animo  Mio..' Per 
là  Oliai  cosar  dispostasi  alla  vendetta,  ^reg*^. 
genao  che  da  lui  era  guardata,  risa  e  ao>« 
Cènnollo  cosi  colla  mano,  e   levcsse   Q*aa 
tratto  dalla  finestra,  e  a  un    suo  amante  ^-^ 
dhe  per  ventura  aveva  in  casa  «  e  cbe  pu- 
re allora  s*era  stato  nn    pezzo   seco ,  di&sa 
quello   cbe    far   dovesse ,    e   con   esso  lai 
sceso  la  scala  t  e  nascosolo  nella   volta  ,  se 
ne  venne ,  e  aperse    V  uscio.    Il   prete  era 
già  aomparito,  e  postosi  al  dirimpelto^  .8Ìc«% 
che  a  prima  ginnta  salutò  la  Mea,   e  dia^ 
se  :  Io  soQ  venuto  a  portarvi  il  vostro  p»- 
|iei*o ,  e  questi  capponi  ancora ,  se  voi  gli 
Vorrete.    La  donna  ghignando  gli  ris|>ose  : 
Tu  sii  il  molto  ben  venuto,   passa  drento 
col  buon  anno ,  cbe    io  mi    sono  maravi- 
gliata^ che  tu  abbi  penalo  tanto  a  tornar* 
mi  a  vedere.  Ser  Agostino   entrò   in  casa 
afllegrisstmó  ,  e    la    Mea   di   fatto  serrò  la 
.pòrta,  e  presolo  per  la  mano,  non  come 
Taltra  volta  a  basso  ,  ma  su   in  camera  lo 
menò,  dove  postisi  a  sedere,  il  prete  per 
sua  scusa ,  così  prese  a  dire  :  Egli  è  vero^ 


Ir&òBà  3oBiia ,  elle  lultra    Tolta  ìclicr  io  ci 
{«li,  con  esso  toìT  mi  portai   un    poco  alla 
taWaticat  e  qaasi  Tilkoameate^ina  8^  co? 
Ini  non  ^opra^venìfa ,  io  ?i  hiKciaTa  il  pa^ 
pero  senza  fallo  alcnuo;  na  pensando* cLeat 
aer.  dovesse  voslio  narilo,  com* esser  doTO» 
ira  ,  feci  così  per  io  megKo,  che  mi  pam^ 
■M»i  buono  spedienle  per  Tónor  vostro  é. 
ner  la  salute  mia.  Ma    óra  son    tornato  a 
lare  il  débito   mio  ,   eccóTi    iiinàfìisi   (ratto, 
il  papero  ^  ed    i    cappotari  ^  saranno   ancbc. 
. Mostri  9  perch*  io  ho  disegóato  ^fae  ooi  sia* 
mot. amici  9  e  tutiatia   vi    arrecheiò    quan- 
do .  nna  cosa  ,  e  quando    un*  altra.    Io  ho 
dei  pìppioni  ,   delle    pollastre  ,    de)  cacio  , 
de*  capretti  ,  e  sempremai ,  secondo  le  sta* 
||ioDÌ  ,  vi  verrò  a  visitare    colle    man    pie* 
ne.  Rise  la   Mea  ,    e   rispose    dicendo:    Io 
non  credo  che  mai    più    alla    sua   vita  ci 
tornasse   quello    sciatto    di    mio    marito  a 
quella  otta  ;  ma  vedi  ,  tu-  mi  faelesti  mon* 
tare  la  luna  ,  dimanierachè   io   t*arei  ma* 
nicato    seuza    sale.    E   auestò  detto  »  preso 
il  papero  e  i  capponi  che  ^iV  prete  le  lasciò 
volentieri,  pensando  che  ella  si   foisse  rép« 
pacificata,  e  messegli   n*uiiò  arÉiadio,  di* 
cendo  ,  or  ora  fo  ciò  che  tu  vuoi.^lMa  in 
quella  che  ella   tornava    a    Itii ,  fatto  oca 
so  che  cenno  ,  sentirono  balière  Tuacio  rò* 
vinpsameute  ;    perciocché    colui,   uscendo 
d'agguato,  aveva  aperto  Tuscm)  pian  piano^ 
e  di  fuori  .trovandosi  ,  picchiava  a  pia  po- 
tere; per  lo  cha  la  donna  9  fattasi   aJJa  ft> 


i38  ntmx  «iivju 

oestra ,  e  trralo  la  tetfn  prettamtale  .tity 
disse  quasi  piangeodo  :  io  ion  inoru.  Obi* 
me ,  che  questo  è  un  mio  fraleUo ,  ti  pia 
•disiieralo  e  crudele  uomo  che  aia  nel  flioa- 
dei  è  volta  a  ser  Agostino^  disse:  Eatea 
•tosto  iu  questa  camera  ,  che  guai  a  le  e 
-me ,  se  li  vedesse  meco  ;  e  in  un  IrsUo 
fece  la  vista  di  tirar  la  corda  ^  e  spinse  il 
prete  nella  camera,  e  mt9io  nelf  uscio  di 

3uella  un  chiavistellino  ^   si    ficee    in  ospo 
i  scala  ,  dicendo    forte  •   acciocché  colui 
iniendesv  :  Ben  sia  venuto  per  mille  vol(# 
il  mio  carissimo  fratello.  G>iai  ammaestra- 
to ,  così  rispose  cou  voce  alta  e  minacciaiH 
te  :  E  tu  per  cento  mila  sii  ia  maltro?aU« 
•Vedi  che  iot*fao  pur  giunta  questo  tratto, 
che  tu    pensavi  che   io    fossi   mille  miglii 
lontano.  Dove  è,  malvagia  femmina ,  quel 
traditore  del  tuo  amante  ,   che   ardisco  di 
fare  alla  casa  nostra  tauto  disonore  7  dova 
è  egli,  ribalda  9  che  io  voglio  ammazzar  le 
e  lui  ?  la  Mea  piangendo  e    gridando  di- 
ceva :    Fratol  mio,   misericordia!    io  non 
ho  persona  in  casa.  Si,  hai  bene,  seguitò 
colui ,  io  lo  troverò   ben   io  ;  e  sendo  fa* 
miglio    del   Podestà   del   Galluzzo ,  aveva 
cavato  fuori  la  spada ,  e  arrotavala  sa  per 
io    ammattonato  ,    toifiando  e    ebuf&ndo* 
tuttavia.  Per  la  qiial  cosa  venne  a   ser  A- 
Kostino  in  un  subito  tanta  paura ,  che  e^ 
fu  per  venirsi  meno  ;   perciocché  la  Biea 
piangendo  e  raccomandandosi,  ^  colai  he* 
stemaaiando   e   minacciandola  »    fiin^van^ 


troppo-  brao  ;  ma  nella  (ine  colai  dato  f&Q 
calcio  ncir  uscio  della  camera ,  disse  ^rìr 
'  (àmudo:  Aprì  qua  9  che  io  tq'  yedc^r  <^lii  jC.i 
è  f  e  passarla  fuori  foori  .con  qaesU  spi(da# 
II  prete*  sentito  diaenar  TasGio  »  e  udite. le 
colui  parole  t  non  stette .  a  dir  che  ,01  è 
dato  ,  ma  parendogli  tuttavia  sentir  paip 
sarsi  da  banda  a  banda  *  si  gittò  da.  nwi 
finestra  ,  alla  forse  Tenti,  braccia ^  et^e.djCf 
tro  alla  casa  riusciva  sopra  ^uoa  Tigna  ^.^ 
poco  mancò ,  eh*  ei  non  rimanesse  lafiìàitlo 
•opra  un  palo;  pure  dette  in.,  teiera •  ma 
di  sorte  *  che  si  ru)>pe  un  ginocchio  »  e 
aconciosce  un  pie  malamente,  .pure,  tanta 
fu  la  paura  »  che  egli  ai  strette  cheto  come 
Tolio ,  e  non  si  reggendo  in  sa  le  gstmh^, 
farpopi  se  ne:  andò  tra  vite  e  yite  .tanta » 
che  più  d*uoa  balestrata  si  discosto,  dalla 
casa.  Come  coloro  sentirono  il  ronderò  d^l 
aalto  9  subito  apersono  la  camera  t  ed  e9« 
Ifati  dentro  e  ceduto  la  fine  ^  npn  perpa- 
rono  più  oltre  »  ma  cascarono  .  ambedue 
nelle  maggiori  risa  del  mondo.,  e  anda* 
ronsene  a  cedere  il  papero  e  i  capponi  ^ 
ch'erano  buoni  e  grassi  ;  e  la  Mea.  noi]| 
capiva  nelle  quoja  per  1  allegrezza ,  paren* 
dole  essersi  vendicata  a.  misura  di  carboni. 
E  sia  certo  ognuno  j  che  non  è  cosa  nel 
aaondo ,  che  tanto  piaccia  e  contenti  qoan* 
lo  la  vendetta  9  e  massimamente  alle  doifr- 
ne*  II  misero  ser  Agostino  carpon  carponi» 
doloroso  e  tremante  tanto  adoperò  »  che  jm 
condusse  alla  strada  9  e  nascoso  atei^  per 


4i0  Phvmk  €E9à. 

infino  alla' sera  t  tanto  che   per  avventtmi 
vide  passare    il   mugnajo  ,*  che    macinata 
alla  pescaja   d^Ema»  suo  amico  e  jricino» 
SI  quale  chiamato  con  bassa  voce  t  e  dato^ 
•é^  a  conoscere,  pregò  che  sopra  ira  mu<« 
lo  Io  mettesse  ^  e  a   casa  ne  'lo   portasse. 
Jì  mugnaio,  mentTigliaudosi «    senza  voler 
altrimenti  intender  la  cagione ,  come  quivi 
a  queir  otta ,  e  in  qual  modo  si  fosse  con» 
dotto  t  sopra    un  mulo  io  pose  #  e  idcfe- 
scendogliene  fuor  di  modo ,  a  casa  siia  )ò 
Còhdusse";  e ,  come  il  prete  lo  pregò ,  noa 
disse  mai  niente  a   persona.    $er  Agostino 
alla  fante  e  alla   madre    poi ,    trovo  certa 
sua  scusa  dello  essere  uscito  a  quella  fog« 
già  travestito,  e  cosi  della  rottura    del  m'^ 
nocchio  e  della  ìsvoltura    del    piede ,    eoe 
n*ebbe  assai    parecchie   e    parecchie    setti-^ 
mane,  e  al  mugnajo   ancora   fece  credere 
certa  sua  invenzione  ,  talché  di  mollo  tem- 
po stette  la  cosa,  che  non  si  seppe,  e  non 
il  sarebbe  saputa  mai ,  se  non  cbe  ser  A* 
gostioo  già    vecchio,   morto   la  Mea   e    ri 
marito ,  la  disse  più   volte  ^  é   la   raccoiw 
fava  per  via  di  tavola. 


/ 
I 


«4» 
.  JWVELLA  VII. 

Prete  Piero  da  Siena  ,  mentre  vuole  bcf* 
,  fare  un  cherico  Fiorentino ,    ò    da    lui 

beffato  in  guisa  ^  die  egli  vi    mette  la 

vila. 


A. 


.Te¥8  Strioga  colla  tua  novella 
più  Tolte  arrossire  e  ridere  le  dooue«  e  pa* 
ri  mente  e  a  loro,  e  a  i  giovani  addolcilo 
il  cuore  4  e  racconsolato  ranimo*  e  più  lo 
arebbe  fatto  ^  se  messer  lo  prete  »  non  il 
Àyise  9  saltando  ,  fatto  4nale  alcuno,  soia- 
mente  messovi ,  che  ben  gli  stava  «  ti  pa« 
pero  e  i  capponi.  Ma  Fileno,  sentendola 
già  tacere ,  e  sappiendò  a  lui  toccare  il 
dover  dire,  cosi  con  dolce  favella  a  ra* 
gionare  incominciò.  Leggiadre  donne ,  e 
Toi  generosi  giovani ,  io  voglio  colia  mia 
favola ,  farvi  sentire  una  beffa  fatta  da 
un  Fiorentino  a  un  SanebC ,  il  quale  cer- 
cava di  beEfare  lui,  e  perciò  non  è  da 
increscerne  troppo ,  ancora  che  male  ne 
capitasse,  perche  chi  si  diletta  di  far  frode, 
non  si  dee  lamentar  s*  altri  lo  *oganna  ;  e 
disse. 

In  Prato,  non  so  già  se  di  Toscana 
ragionevol  Città,  o  pure  bellbsimo  Castel- 
lo fq,  non  ha  gran  tempo,  un  Messer  Mi- 
co  da  Siena ,  priore  nella  Pieve  principe* 
k^  il  quale  aveva  seco  un  suo  nipote,  an« 


t4>  phima.  xftKà« 

elìsegli  prete»  ma  ^io?aoe  tanto,  ohe  noor 
diceva  aocor  Messa;  solo  era  ordioato  a 
Ptslda  e  a  Vangelo^  e  uà  altro  ehericoito 
teneva  nnèora  a  fare  t  Servigi  della  sagre* 
stia  e  deità  Chiesa,  che  per  essere  da  Fi* 
rèhze»  lo  chiamavano  il  Fiorentrno«  11  qoa« 
le,  ancora  che  fusse  giovanetto,  era  non* 
dimeno  sagace  e  malizioso,  e  bizzarretto  hI-» 
cuanto,  tal  che  con  prete  Piero,  che  cosi 
M  fòceva  diiamàre  il  nipote  del  dello  Priore, 
etarva  sempre  in  litigi  e  in  cpiisttone ,  di 
che  Meiset  Mico  ateva  grandissimo  dispia« 
4ciei'e;*e'se  non  fosse  stato  che  dal  Fioren* 
lin^'  éi  trovava  ben  servito,  per  liberarsi 
da  còsi  flittà  seccàggfrie,  veùti  volte  Tareb^ 
Ife  liiidctaCQ  ila ,  e*  col  *  nipote  più  volte 
n^ébbè  di  ^once  e  di  cattive  parole,  ttieii 
Ceodò  ogni  dili^enta  per  tenergli  d^accbrdo 
e  in  pace^  itfk  nulla  rilevava^  nella  fine  # 
perciocché  il  Sanese ,  ^reggendosi  padrone^ 
di  trbppo  r altro  superchiar  volea,  e  to\td 
nÒQ  gliene  risparmiava  una  maladetta.  Ora 
prete  Piero  avendo  in  animo  di  voler  far 
una  beffa  daddovero  -  al  Fiorentino ,  sen<i> 
dogli  venuta  un  giorno  una  bellissima  oc- 
casione ,  deliberò  di  fargliene  là  notte  ;  é 
coA  la  sei^t  poiché  egli  ebbe  cenato  ^  # 
o|;nnno  se  ne  fu  andato  a  dormire,  st^tt€ 
tanto  alla  posta  aspettando  (  perciocché 
solo  m  una  camera  dormiva  allato  a  quel* 
la  derZio  )  che  tempo  gli  parve  di  dar 
cominclameùto  a  quello ,  che  di  fare  in^ 
teiidtfta.  fi  partitosi  tutto  solo  di  camera  ^ 


«e  ne  ^enne  cbetameote  iu  Chiesa,  e  apec- 
ée  UDa  sepoltura,  dove  era  stata  sotterrala 
il  giorno  una  fanciuHetia ,  che  era  moria 
io  sei  oire^  per  lo  avere  mangialo  funghi 
velenosi  ;  e  cavatola  fuori ,  e  ricoperto  lo 
avello,  la  prese  in  ispalla,  e  portatola  die» 
Irò  air  aitar  grande,  dove  veuiTano  alFora 
le  funi  delle  campane,  la  legò  con  suoi  arr 
tificj  alla  fune  di  quella  campana. ^cha 
livi  a    poco   doveva    il    Fìoreolkio  sooart 

Cr  dare  segno  di  mattutino,  e  congegnoli^ 
appunto ,    che    nel  dare  egU  la  prima 
sonata ,  gli    venivano    appunto   i .  piedi  di 
quella  morta   a    percuotere  nella  iesla  ;  a 
co^i  fatto,  sì  parti  di  quivi,  e  rasente  Tn^ 
scio  del  chiostro^    oude    passar    doveva  il 
Fiorentino  ,   si  .nascose ,  aspettando  quello 
che  riuscir    ne    dovesse»    Vennene  intauto 
l'ora  diputata^  ed  il  Fiorentino  levat05Ì  al 
solito,  senta  accendere  altrimenti  lume,  per- 
cio6ch*egli    Vera   pratico,   e   mille    wolìs 
trovato    aveva  le  campane   al  hujo^  là  se 
ne  andò  sicuramente.  £  come  egli  giunse^ 
dette    di    piglio   al  canapo  di  qitella  più 
grossa ,  ehé   sanava   matt^tino  »  e  nel  dar 
la  stratta  allo  ingiuso ,  i  piedi  di  colei  gli 
veunera  a  darà  per  istiancio  in  sul  capo  » 
e  slrisciaroiigU  giù  per  la  tempia  sinistra, 
in  su  la  manca  spalla;  per  la  qualcosa  ii 
Fiorentino  laiae    un    muglio   grandissimo^ 
dieendo»  Crìstoajutami!  e  lascialo  con  fur^ 
ria  la  fune   della   campana  ,  tremando   ,9 
gridando  si  di^e  a   fuggire»  Frate  Fieuk^ 


\ 


/   f 


144  FftMA  QVKA. 

udite  le  sirida  «.B  éentitolo  eornorCf  t^iii- 
doviiiÀ.  la  cosa,  avfra  afuto  effeiloilà 
oode  cdot€Qio  a  meraviglia  «•  serrò  ki 
porta' 9  ònd)^  colui  era  entrato  »  accioochò 
non  polendo  -per  essa  ritoroarseoet  trovaaf* 
dola  ciiiosa,  più  sospettasse  -  ed  aveis^  mag- 
gior paura;  e  questo  fatto»  lutto  ridente» 
e  d*allegrezaa  pìeqo^  se  ne  tornò  alla  sua 
camera  a  idormire»  11  Fiorentino  ^ .  mezzo 
fuor  di  se^  giunse  spaventato  air  us«io»  e 
trovatolo  .^uso,  fu  per  cader  morto;  e  si 
teacciò  téniQiii  a  correr  per  la  Chiesa  alla 
iròka' della  porta  principale  •  che  pusciva 
ih  sn  là  piazza,  e  di  Catto  cavatone  il  chia* 
listello  r aperse,,  e  tó  ne  usci  f uori  ^  che 
^r  sorte  era  la  notte  il  più  bel  lume  di 
luna  ji  che  fosse  staio  aueir  ^nno*  Si  che 
armatosi.,  non  Teggendosi  persona  dietro, 
si  rassicurò  alquanto ,  e  fra  se  stesso  co* 
-«nificiò  a  pensare ,  che  cosa  potesise  essere 
stata  quella,  che  se  gli  era  avvolta  fra  le 
tempie  e  *i  collo ,  e  poi  ricordatosi ,  che 
l'uscio,  da  lui  lanciato  aperto,  era  stato 
aerrato ,  prese  a  dubitare  fortemente ,  che 
prete  Piero  non  gli  avesse  fatto  delle  sue; 
•cella  fine  coochiuse  questo  dover  essergli 
^veramente  intervenuto  per  opera  di  lui» 
oSicchè  volendosene  accertare,  tolse  un  moc- 
^>io  di  candela  ,  che  sempre  ne  portava 
aèco ,.  e  accesolo  alla  lampana  del  Sagra- 
mento  ^  se  ne  andò  dietro  ali*  altare ,  e 
guardando  cosi  in  cagnesco,  vide  ciondo- 
lare colei  morta,  e  legata   per  le  chiome 


NOTELLA  TU.  I4S 

«Ila  fuse  della  campana  grossa»  e  ^cooob- 
bela.  sabilo  alle  treccie  lunghe  é  bionde  » 
^  a  uoà  ghirlanda ,  che  ella  aveva  in  testa 
di  diversi  fiori;  per  la  qual  cosa,  spicca- 
tola ^diligentemente ,  ancora  che  eoo  gran 
laiica  j  se  la  mise  in  collo ,  e  condussela  ai 
suo  avello ,  per  rìsottarrarvela ,  e  starsi  poi 
•empre  cheto ,  per  non  dar  qael  piacere 
a.  prete  Piero.  Ma  poiché  egli  Tebbe  aper- 
to ,  gli  cadde  nella  mente  di  poter  fare  un 
bellissimo  tratto ,  benché  assai  malagevo- 
le e  molto  pericoloso;  e  quivi  lasciato  la 
morta ,  uscendo  fuori,  pei^h*  egli  era  as- 
sai destro  e  gagliardo,  tanto  fece,  eh* egli 
sali  per  un  muro  sopra  un  tetto;  e  indi 
scese  nel  chiostro ,  e  aperse  Y  uscio  della 
Chiesa  «  che  colui  serrato  aveva;  e  andato- 
sene alla  porta  grande,  la  riserrò  a  cliiar 
vistello,  e  dopo  postosi  quella  morta  ad- 
dosso, se  ne  venne  pian  piano,  tanto  che 
alla  camera  di  prete  Piero  giunse;  e  posto 
la  morta  leggiermente  in  terra,  si  mise  in 
orecchi  a  canto  airuscio,  per  udire  quello 
che  colui  facesse,  e  lo  senti  russare  forte- 
mente: di  che  oltre  a  misura  contento,  ma 
più  per  lo  aver  trovato  Tuscio  socchiuso  , 
stato  lasciato  da  prete  Piero  a  bella  posta 
ler  lo  caldo  grande,  e  così  la  finestra  del- 
a  camera  ,  sendo  allora  nel  cuore  della 
•tate ,  onde  gli  nacque  nuovo  disiderio  di 
Toler  tentare  più  innanzi ,  si  che  ripresa 
colei  in  su  le  braccia ,  pMin  piano  e  che« 
Lasca.  io 


jr 


tamente  entrò  nella  camera  »  e  a^MiUtoM 
al  letto ,  qqkdla  morta  gli  poie  a  giacere 
a  canto  ^  e  partiasi;  e  quindi  poep  lontana 
in  poae  in  agguato   per   vedere,   e   odire 

rinto  di  ciò  aegnisse.  Prete  Piero,  per 
disagio,  era  «otrato  in  nn  griave  profon* 
dissimo  sonno  ;  pure  in  dui  far  del  di  si 
risenti ,,  e  rifoltalosi  per  lo  letto,  non  igni 
jdesto  ancora  j  pose  appnnto  la  mano  ,  in 
éul  viso  di  colei  4  e  troiiitolo  morbido  • 
freddo  più  che  marmo  ,  la  tirò  snbilo  a 
ile,  e  pieno  di  maraviglia  e  di  paura  aper* 
3e  in  un  tratto  gli  occhi,  e  quella  morta 
Tide  ;  e  tornatogli  nella  memoria  quel  che 
fatto  aveva,  dubitando  non  colei  tasse  ve- 
nuta quivi  per  istrangolarlo,  in  uqo  stan* 
te  gli  venne  tanta  paura,  che  esli  si  gittò 
aubitamente  a  terra  del  letto,  ed  in  cami- 
cia fuggendo  si  usci  di  camera,  e  non  re* 
stando  di  correre   pur    sempre  gridando  » 

{;iunse  per  lo  verone  in  capo  di  una  sca^ 
9 ,  che  scendeva  in  terreno ,  e  tanta  fa 
la  fretta ,  che  egli  aveva  di  dileguarsi,  che 
tutta  la  tombolò  da  imo  al  sommo,  e  nel 
eadece  si  ruppe  nn  braccio  ,  e  infransesi 
uà  fianco,  e  in  di^e  od  in  tre  lati  si  spet- 
tò la  testa;  sicché  senza  poterse  muovere, 
aggiù  disteso  in  terrai ,  gridava  in  modo  ^ 
che  egli  intronava  tutta  quella  canonica  ; 
tanto  che  il  priore,  il  famiglio  e  la  serva 
corsero  chi  mezzo  vestito ,  e  chi  in  cami- 
cia, e  prete  Piero. troTarono  a  piedi  quel- 
la scala,  che  non  restava  di  guaire   « 


MÀiMineàrae.  lu  q[uesu>  ' mentre,   «fetida 
HhPioreaiiao  ogoi  cosa  TèifUo,  e  come  tac« 
il-  di  case  eracno  corsi  ai  remore j  8*era  liscia 
»to  d*  a^utfto  f  e  aqdatoseae  ia  camera    di 
colai ,  prese  prestameaie  la  morta  f  m-  pet 
le  via  di  là  ,  seosa  essere  stato  cedalo  i|i 
da  loro,  QÒ  d*altrai,  se^xie  corse  ia  Gkie« 
u*i  e  colei  risotterrò  ael  sao  avello,  e  ra<^ 
eoDciolle  per  infiao  la  gfiirlaada  ia  testa  » 
'di  sorte  ohe  noa  pareva  mai,  che  di  qiiiiit* 
di  fosse  stata  moss^,  e  se  ne  andò  a  sona^ 
«e  rA?emaria,  che  aìk  era  di  alto,  fifesser 
Mioo,  giaoto  dove  il  nipote  giacerà  tciUo 
percosso,  aon  meno  doleate,  che  msLvai^ 
glioso,  poi  che  dalla  Cinte  è  dal  servidore 
aiatato,  lo  fece  rizzare,  le   yennc'  d9maa'- 
daado,  perchà  cosi  fusse  caduto,  e  che  ae 
fasse  stato  cagione.  Sfa  prete  Piero    poUa 
rispondendo,  attendeva  a  dolerse  e  a.ram- 
jaaricarse  ;  per  lo  che  il  priore  veggendolo 
si  mal  coQcio,  e  tutto  il  viso  ed   il   cap^ 
-saogue,  fece  dal  famiglio  chiamare  il  Fio- 
creottno,  che  di  già  aveva  cominciato  a  sa- 
nare a  Messa,  e  mandollo  per  un  medicOt 
il  migliore  che  fusse  in  Prato.  Intanto  con* 
fortandolo  sempre,  in  camera  ne  lo  voleva 
fare  portare  a  braccia  ;  per  la    aual    coitt 
.prete  Piero  gridando,  prese  a  dire,   che 
.altrove,  in  ogai  altro  luogo  lo  portassero; 
e  riposatosi  alquanto  in  camera  de*foraSU^ 
ri,  narrò  loro  la  cagione  tutta  del  suo  ma* 
H  6  qaeilo  che  si  em  trovato  al  capeaaar 


^Y48  Mitf A  CÉITA. 

le.  Liondc  il  famiglio,  ch'era' animoso,  14 
c^rse  prestamente,  e  non  trovandoti  né  fan* 
cioUa  morta,  ne  segno  alcnoo' ch'ella  •  ti 
fusse  stata,  giù  se  ne  tornò,  con  dire  ch'e^ 
doveva  aver  sognato;  t)erchè  nel  letto  sno 
non  era  pefsona  ne  morta  né  viva.  Inlaii* 
tó  alle  grida  erano  compiariti  alcuni  prèti 
vicini,  e  sentito  il  Caso,  e  veduto  il  tulli>, 
affermavano  veramente,  che  gli  era  parti- 
to fra  il  sonno' vederla  e  sentirla,  e  che 
senza  fallo  aveva  sognato.  G>lui  disperan* 
dosi  e  per  la  meraviglia ,  e  per  lo  dndlé 
delle  percosse ,  si  fece  nella  sua  camera 
portare,  e  colei  non    trovandovi,    che    ve 

Sii  pareva  indubitatamente  aver  lasciata,  fu 
a  via  maggior  duolo  e  maraviglia  soprap- 
preso, cotale  che  sbigottito  non  sapeva  più 
che  si  dire ,  ne  che  si  fare.  Comparse  in 
tanto  il  medico  col  Fiorentino  ,  il  quale 
di  fuori  manincoóoso,  e  dentro  allegrissi- 
mo, mostrava  che  molto  gliene  increscesse. 
Ma  dipoi  che  priete  Piero  fu  medicato,  che 
per  dirne  il  vero  non  aveva  troppo  gran 
•  male,  egli  diliberò  di  chiarirse  affatto  del- 
la cosa,  e  in  presenza  di  tutti,  tutto  quel- 
lo che  per  far  paura  al  Fiorentino  operato 
aveva ,  e  quello  che  gliene  era  intervenu- 
to, pregando  il  zio  e '1  cherico ,  che  fus- 
aero  contenti  di  volergli  perdonare ,  appa- 
lesò. Quivi  maravigliandosi  ciascuno ,  li- 
spose  il  Fiorentino  dicendo:  Perdoniti  Dio, 
che  a  me  questa  notte  non  hai  fatto  ne 
paura,  né  cosa  ni  una  che  io  sappia;  crac* 


•ootalOt -come  sojQÒ  primis  mattatino^e  di, 
^'  tornatosene  al  letto  ,  itt  sul  far  ilei  di 
r  ATemaria,  e  meoire.  qhe.dopo  sonava. a 
Messa  »  sentì  le  grida  ed  jl  famìglio  »  che 
lo  venne  a  .chiamare*  Come?  disse  , prete. 
Piero;  e  da  capo  fattosi  ogni  cosa  perfilq^ 
e  per  segno  raccontò.  Il  Fiorentino  ristria*, 

rdosi  nelle  spalle,  fiaceva  le  maraviglie'; 
modo  che  colui ,  fattosi  condurre  in 
Chiesa ,  e  indi  alla  sepoltura ,  e  fattola 
scoprire*  la  morta  fanciulla  vi  trovò  den- 
tro 9  che  non  pareva  pure  slata  tocca  di 
nulla.  Per  la  qual  cosa  gli  crebbero  in  mil- 
le doppi  la  maraviglia  e  il  dolore,  e  quasi 
stupido  e  trasecolato,  si  fece  ricondurre 
al  letto  ,  dove  pensando  sempre  a  questo 
fatto  ,  tanto  gli  sopraggiunse  e  la  doglia  • 
e  la  maniuconia ,  che  poco  mangiava  ,  e 
poco  o  niente  dormiva  ;  di  maniera  che 
o  fusse  la  novità  del  caso ,  o  gii  umori 
maninconici ,  la  rabbia  e  la  frenesia,  o 
pure  il  diavolo  che  lo  acceccasse,  un  gior- 
no fra  gli  altri ,  ch*egli  era  rimasto  in  ca- 
mera solo,  si  gittò  a  capo  innanzi  a  terra 
d*  una  finestra,  che  riusciva  in  una  cor- 
te ,  dove  battendo  in  su  le  lastre  ,  si  sfa^ 
celiò,  e  mori  che  non  battè  polso;  di  che 
rimase  scontento  fuor  di  modo,  e  doloro- 
sissimo messér  Mico.  E  non  avendo  più  a 
chi  lasciare,  rinunziò  la  prioria,  e  tornos- 
sene  a  Siena ,  tenendo  per  fermo  ,  come 
anche  la  maggior  parte  delle  persone,  che 
il  nipote  fos^e  stato  ammaliato.  Il  Fioren- 


SSC  YÌMA   CBMir 

tino  ili  flOilAlto  «neh*  ^li  pirlifle ,  la  "w^^ 
ItntoteM  a  FiiwiBe  »  -ii  Mooncìòpcr  che- 
liso  di  ià^fttttkL  in  Sin  Piero  Mi^;ioio, 
dove  poi  itt"  pròcoMo   di   tonpo  raoeonl^ 

E  ih  di  mine  Tolte  qoeite  Mom  per  nord- 
fV  peeeioodiià  altrimenti  non  m  aereU^ 
Mi  potato  rinverei'  ^  ^ 


«f       V 


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■■-•*:■•  <9| 

NOTEXiLA  TlII. 
QaeiU  è  da  coosidenure. 

•  •  •  ^ 

Uno  Abaùe  dM  ardine  dijadia,  pa^mm^ 
do  per  Firenze ,  visita  Snn  Lonmo 
per  Q}edere  le  figure  e  la  libreria  di 
Mi4A^  Agnolo;  doi^e  per  etsa  ^naram^ 
za  e  prosunzione,  il  Tasso  lo  fa  legarm 
per  pazzo. 

X  aoieva  già  Fileno ,  strigatosi  della  sua 
favola ,  della  quale  molto  sì  ragtonava  tra 
la  brfgata,  lodando  fuor  di  modo  il  subi- 
to accorgimento  del  Fiorentino;  quando 
Lidia  9  cne  dietro  gli  veniva  t  senza  fare 
altre  parot|«  disse:  Anch*io,  belle  donne* 
vi  voglio  Jiella  mia  novella  una  beffa  rac- 
contare 9  la  quale  non  credo  cbe  vi  abbia 
a  piacere ,  né  far  ridere  meno  delle  narra- 
te  ;  e  seguitò. 

Non  sono  ancora  molti  aniyi  «  che  per 
Firenze  passò  uno  abate  Lombardo  «  che 
andava  a  Roma  ,  frate  dell*  ordine  di  Ba- 
dia »  menlre  che  Ippolito  de*  Medici  era 
ancora  giovanetto,  e  alla  custodia  del  Car- 
dinale di  Cortona ,  il  quale  in  nome  di 
Papa  Clemente  governava  la  città.  Ora  a 
questo  abate  «  stando  alloggiato  in  Santa 
Trinità  ,  un  giorno  ,  tra  gli  altri ,  venne 
voglia  di   andane  a    vedere    nella  sagrestia 


snoTa  di  San  Loreoto  le  figure  di  Hicbdl 
Agnolo;  e  pettitosi  con  due  dei  suoi  fra- 
ti f  e  con  due  altri  della  regola  accompa* 
Snato ,  là  se  ne  andò  ^  doTe  il  priore  di 
eita  Chiesa  t  perchè  la  sagrestia  era  ser- 
rata »  feee  chiamare  il  Tasso»  che.  cosi  pev 
soprannome  era  detto  un  gjorane  che  ne 
teneva  le  chiaTi  «  ministro  di  Michel  Agno- 
lo t  che  laYorava  allora  il  p&Uv^ ,  della 
libreria  »  che  venne  spacciatamente  ;  a  cui 
il.  priore  disse  :  Sarai  contento  di  mostra-^ 
re  a  questo  Talenc^uomo  la  sagrestia  e  la 
libreria  t.  e  dagli  ad  intendere  dove«  a 
come  hanno  a  star  le  figure  ^  chi.  elle 
•ano ,  e  a  che  fine  fatte.  Il  Tasso ,  risposto 
che  volentieri ,  s*  avviò  innanzi ,  e  lo  aba^ 
te  e  gli  altri  frati  dietrogli  »  tanto  che  in 
sagrestia  nuova  gli  condusse,  dove  il  vena* 
rando  padre  dimandò  di  moltea<K>se,  delle 
quali  tutte  il  Tasso  gli  dette  notizia.  Cosi 
Io  abate  avendo  veduto  «  e  ben  considerato 
ogni  cosa  a  suo  agio ,  disse  a  un  suo  com- 
pagno: Per  certo  ,  che  queste  non  sono'» 
se  non  bufone  figure,  per  quel  che  si  può 
giudicare;  ma  io  mi  pensava  che  elle  fos- 
sero altrimenti ,  e  idessero  in  altra  guisa  , 
e  non  mi  son  riuscite  a  gran  pezza  a 
quello  che  io  m' immaginava.  Vedi  che 
questo  Michel  Agaolo  non  è  però  un  Dio 
in  terra  come  dice  la  plebe*  Di  vero  che  le 
figure  9  che  sono  in  casa  i  conti  Peppoli  » 
non  perderebbero  niente  appresso  queste  » 
phe  dovettero  essere  di.  maao    di  JModdo  » 


o  di  qtia1cb%-9carpellÌD0.  Il  Ttfuo^-nden* 
do  le  colui  parole  »  quantnnqae  *  ogntiQo 
gli  recasse  onore,  egli  desse  del  mèissere^ 
del  reverendo,  lo  giudicò  subito  un  solen« 
ne  brodajolo  ,  e  fu  tulio  tentato  '  di  rispon-^ 
dergli  io  gramoiatica  •  di  quella  sua  fina  i 
cbe  non  è  intesa  né  da  lui;-nò  da  aUri| 
por  poi  si  ritenne  per  lo  meglio;  Alla 
fine,  di  quiri  partitisi  per  andare  a  ^ede* 
re  la  libreria,  passando'  per  la  Chiesa,  do- 
mandò r  abate  il  Tassò ,  quanto  tempo 
era  casella  fosse  fatta,  e  cbi  n*era  stato  lo 
architettore',  ed  il  Tasso  gli  disse  •gni  co- 
sa; per  che  lo  abate  rispose  e  disse:  Qué- 
sta Chiesa  alla  fé  non  mi  dispiace,  ma  non 
è  da  agguagliarla  in  parte  alcuna  al  nostro 

San di    Bologna.   II    Tasso  fu  per 

ridere  allora,  e  si  la  collera  lo  vinse,  che 
non  si  potette  tenere  cbe  non  dicesse:  Pa- 
dre ,  se  voi  sete  cosi  intendente  e  dotto 
nelle  lettere  sagre ,  come  Toi  sete  nella 
scultura  e  nelf  architettura ,  per  certo  che 
Toi  dovete  essere  un  gran  baccelliere  in 
Teologia.  Il  frate  montone  non  intese  ,  e 
disse:  lo  son  pur  maestro  la  Dio  grazia;  e* 
così  ragionando  ,  poiché  essi  furono  usciti 
di  Chiesa ,  saliti  in  su  i  Chiostri  di  sopra, 
arrivarono  dove  era  una  scaletta  di  legna- 
me ,  cbe  saliva  alla  libreria  ,  su  per  la 
quale  si  misero  innanzi  i  frati  ,  dopo  Io 
abate ,  e  T  ultimo  era  il  Tasso  ;  e  così  sa- 
lendo adagio  adagio  vennero  volli  gli  oc* 
chi   air  abate    inverso  la   cupola  ;   per    lo 


i54  #PEiiiA.  JWi^A* 

die  fcrvMitMf  a  mezKO  la  «cala  ai  poae  ìa^ 
tenlamenle  a  rimirarla ,  e  restato  col  Tas^ 
ao  aolo  9  perciocché  i  frati  'erano  di  già 
ialiti  nella  libreria ,  disse  :  Qoesta  cupola 
ha  tanta  fama  per  runiyerso^  e V  è  .una 
i&eraTÌglia.  Ah  !  rispose  >1  Tasso ,  padre  « 
pon  è  ^li  con  ragioQe  ?  dove  troTate  voi 
in  tatto  il  mondo  uno  edificio  simile  ?  joaia 
ia  lanterna  sopra  tutto  è  miriicolosn  e  seor 
aa  pari  ;  onde  lo  abate  «  quasi  sdegnato  « 
rispose  dicendogli;  Si  a  detto  tuo^  e  di  toÌ 
altri  Fiorentini  ;  ma  io  ho  inteso  dire  d% 
persole  degne  di  fede ,  che  la  cupola  di 
I^orcia  è  più  bella  ass^i  «  e  fatta  con  magj* 
giore  artifizio.  Il  Tasso  non  ne  Tolle  più  ^ 
e  venoegli  in  un  tratto  tanta  rabbia  e  taop 
la  stizza*  che  rotto  ogni  freno  di  pazien« 
xa  e  di  riverenza ,  messer  lo  abate  prese 
ne  i  fianchi  gridando  ad  alta  Toce ,  e  ti- 
rollo  allo  indietro ,  di  maniera  che  tutta 
tombolar  gli  fece  quella  scala  ,  ed  ^li  acw 
tatamente  lasciatosegli  cadere  addosso  >  fa 
quasi  per  isbonzolarlo*  e  così  addosso^^ 
cominciò  a  gridare  ajuto  ajuto  ,  correte  ^ 
correte  qua,  che  questo  frate  è  impazza- 
to, e  vuoisi  gittare  a  terra  di  questi  chio- 
stri. Per  la  qual  cosa ,  alcuni  suoi  garzo- 
ni, che  IsToraYano  in  una  stanza  quivi  al 
lato  ^  subito  usciron  fqori ,  e  videro  il 
Tasso  addosso  ailo  abate  ,  cihe  non  restava 
di  chiedere  ajuto  e  delie  funi ,  e  io  parte 
serrava  e  stringeva  colui  ,  e  di  sorte  gri- 
ndando  I9  intronava  f   che  egli    non  poteva 


jwrwhhA  Tot.  i55 

Jlr  parblà  che  fosée  ini eso.  Cosi  avendogli 
i  lavòraott  suoi  portato  preetamente  uà 
jpajo  di  foni  »  e  da  quegli  ajiitato,  le  brao- 
€ÌB  Je  i  piedi,  aozi  tutta  la  pèrsoDa  in  mo- 
do ]e|^roitt>  al  frate  ,  che  a  gran  fatica 
diMCiiar  si  poterà  ;  e  a  furia  presolo  di 
peso  f  lo  portarono  in  una  camera  di  là 
entro  9  e  quivi  in  terra  disteso  e  serrato  al 
Imjo  lo  lasciarono.  I  compagni  dello  ahato 
erano  corsi  a)  romore;'e  perchè  egli  erano 
già  dentro,  e  occupati  in  «guardar  la  libre» 
im  9  non  potettero  giungere  io  sul  fatto  ^ 
ma  arrivarono  appunto,  che  coloro^  legato 

10  menavano  via  ,  onde  dolorosi  gridando 
fortemente  ,  addomandavano  la  cagionex» 
perchè,  e  dove  portato  avessero  cosi  legato 
il  loro  abate.  A  cui  il  Tasso  rispondendo 
affermava  con  giuramento,  che  se  egli  non 
fosse  stato  presto  a  tenerlo,  che  si  sareb* 
he  gittato  a  terra  di  quel  chiostro,  e  che 
per  suo  bene  lo  aveva  legato,  e  fatto  met* 
tere  al  bojo,  acciocché  non  ai  svaganda, 
più  tosto  e  -più  agevolmente  ritornasse  in 
se  ,  perch*  egli  era  uscito  fuori  dei  gan- 
gheri, I  frati  pur  gridando,.con  certe  per- 
sone ,  che  erano  quivi  corse  al  romore ,  si 
ramnuiricavano  e  chiedevano  il  .loro  abate* 

11  Tasso  intanto  ,  dato  un  canto  in  paga- 
mento ,  fuggi  via  colla  chiave  della  carne* 
Ta^  dove  era  serrato  il  frate,  e  andatosene 
nel  chiassolìno  ,  dove  trovato  il  Piloto  e  1 
Tribolo,  e  altri  suoi  amici  e  compagni  a 
bcre^  eoato  loro  per  ordine  tutto  qtieUo 


t56  mnùL  cKVfL: 

che  con  messer  lo  frate  gli  era  ÌQlenreird 
io,  éhe  tutti  gli  fece  smascellar  dalle  rìse 
Lo  abate  doloroso  colà  trovandosi ,  ne 
modo  dì  sopra  mostrovi,  e  non  sapendi 
perchè  cagione  era  si  fuor  di  se  stesso,  chi 
egli  non  poteva  ancora  discernere  bene  < 
se  egli  era  lui  p  pure  un  altro ,  o  se  egli 
dormiva  o  era  desto;  perche  in  cosi  pocG 
spazio  era  successo  il  caso  ^  che.  gli  pare 
Ta  ancor  sognarle  quasi  smemorato.  pea< 
Bava  pure, 'Come  il  fatto  fosse  andiiio.;  Ma 
sentendosi  nella  fine  tuUo  fiacco  é  maoè 
ro,  e  dolersi  fieramente  le  reni,  e  trovan* 
dosi  legato ,  che  dar  non  poteva  crollo >  < 
rinchiuso  si  può  dire  in  prigione  ,  comin^ 
ciò  a  gridare  e  a  strider  si  forte»  che  pa< 
reva  che  egli  avesse  il  fuoco  ai  piedi ,  co< 
talché  egli  introuava  tutto  quel  convento  j 
per  la  qual  cosa  i  suoi  frati,  gridando  an* 
eh*  essi  ,  domandavano  della  chiave  e  del 
Tasso ,  il  quale  non  trovandosi ,  e  già  il 
priore  di  San  Lorenzo ,  corso  al  remore  , 
fece  tosto  mandare  per  un  magnano,  < 
apri  la  camera ,  dove  lo  abate  si  trova 
mezzo  morto.  11  quale  tosto  dislegato  e 
levato  da  terra ,  gridando  sempre  io  son 
morto,  fu  da' suoi  frati  portato  a  braccia 
in  camera  del  priore ,  e  quivi  non  senza 
grande  sd^uo  e  dolore  ,  avendo  a  tutti 
narrato  come  slava  appunto  la  cosa,  gri- 
dando ragione  e  giustizia,  nr^n  si  poteva 
dar  pace  che  gli  uomini  dabbene  e  religió- 
si pi^r  sui ,  fossero  da  un  artefice  a  queU« 


IfOTELLA   Tlìt.  tSy 

gìÈrisa  MitratUtì  ,  e  mioacciaTà ,  non  ch'al-^ 
tfty«  di  farlo  iotendere  al  Papa.  Il  priore^ 
né  ebbe  dispiacere  graDdisaimo,  e  acconcio* 
lo  ih  nn  cataletto  ,  ne  lo  fece  portare  a 
Santa  Trinità,  il  quale  per  la  via  non  fece 
mai  altro  >:he  guaire  e  rammaricarse,  come 
cokii  che  aveva  di  che.  Ma  nel  convento 
fa  por  il  rammarico  grande  »  e  per  sorte 
vi  M'abbattè  a  essere  il  Generale,  il  quale  » 
mieto  come  il  fatto  stata  ,  infuriato  corse 
al  Cardinale ,  a  cui  parve  molto  strana  e 
brutta  la  cosa  ,  e  di  fatto  fé'  inteadere  al 
Vicario,  che  facesse  d*  avere  il  Tasso  nel* 
le  mani.  Per  la  qual  cosa,  e  per  commea» 
tione  degli  Otto ,  fu  messo  tulta  la  fami- 
glia del  bargello  in  opera  ,  cercandolo  , 
còme  fosse  stato  il  maggior  ladro  del  mon^ 
do  :  il  che  risapendo  il  Tasso ,  prese  pei? 
ispèdiente ,  scudo  già  V  Avemaria  sonata , 
d*  andarsene  in  palazzo  ,  dove  da  messer 
Amerigo  da  San  Miniato  suo  amico,  e  fa- 
vorito del  Cardinale  ,  fu  nascoso.  La  se* 
ra  poi,  che  Monsignore  ebbe  cenato  insie- 
me col  Magnifico  ,  sendo  ancora  a  tavola, 
e  di  questa  cosa  ragionando ,  molto  biasi* 
/mava  e  minacciava  il  Tasso,  con  dire  che 
ai  forestieri  e  refigiosi  s*  aveva  ad  aver 
rispetto.  ^  Ma  il  Magnìfico  lo  difendeva  , 
dicendo  :  La  cosa  non  sarà  poi  cosi  come 
ella  si  dice ,  e  bisogna  intendere  V  altra 
parte  ;  il  che  udendo  messer  Amerigo , 
mandò  a  dire  al  Tasso ,  che  uscisse  d*  ag* 
gnalOy  e  che  venisse  via;  che  allora    era 


tS8  ranu^^iBMi^ 

ttmpp  di  ^ftltara.  IL  qi^rit  toilo  «{iiin 
•omparMi  « .  e  Inttott  di  lesta  «  £ifce'  riM^ 
Mina  a  BSoaiiffoora  e  al  tthgaifico.t,  e  por 
icià  prase  a  Ìa?el{arti  y.  Isàsi  diipeadtf  :  la 
aoi^  taoiiAa»  BIooisifpMr»  iobimi  alla  «i§ao« 
Ha  sottra  par  gtiutffioaraii  di  ^^f^ella  ohf 
aoa  uà  certo  frale  mt.  è  o^i  ìaierteantOf 
per  lo  che  voi  avete  dato  comaMiiioft^ 
che  io  aia  preso  t  coinè  uno  assassiiia;  4> 
atrada  ;  e  &ltoai  da  capo  »  tatto  ordSjpalai^ 
meote  »  ma  aoa  come  era  s^uito  appim? 
to;  raccontò  il  x»ao,  con  tanta  gtmna  e 
0QU  tante  accoocie.  parole ,  che  il  Gaidìnur- 
le  stesso  fa  forzato  a  ridere  ;  pur  con  uj^ 
fiero  sguardo  se  gli  voltò  «  e  disse  :  I  suoi 
ti  la  narrano  in  un  altro  modo^eaCfer- 
ao  che  lo  abate  dice  »  che  tn  lo  tirasti 
a  terra  di  quella  scala  »  e  che  tu  lo  face- 
fti  legare , .  e  per  pia  scorno  serrarlo  al 
bujo,  e  andastiteue  colla  chiave*  Alonsi- 
gnore,  gli  rispose- il  Tasso,  io  vi  dico  che 
egli  è  passo ,  e  allora  gliene  prese  un  ca- 
priccio de*  buoni,  e  se  io  non  era  presto  » 
Sii  si  gittava  ginso,  e  rompeva ,  come  le- 
vi dissif  il  collo}  non  ne  dubilate  pun- 
to che  egli  è  matto  spacciato ,  e  che  sia 
la  verità»  gittdioate  voi,  se  nomo  giammai, 
che  avesse  puro  e  sano  intelletto  ,  di reb« 
4>e  che  la  Cupola- di  Norcia  fosse  più  bel« 
la ,  e  £i|ta  con  mi^ggior  disegno,  che  la 
nostra  di  Santa  Mi  ria  del  Fiore.  Certa- 
mente>  rispose  allgra  il  Sdagnifico,  che  per 
questa  parola  sola,. egli  meritava  i  canapi» 


1011  che  le  funi  ;  il  TasM  ha   miOe  ragio- 
lip  e  credo  per  me  che  quel  frate,  noa  che 
p«Ko  affatto  9   sia    anche  spiritato  ;  e  per 
tMto  vo*  pigliar  à  difender  la   sua  causa  »  • 
s   domani    essere    innanzi   al  Vicario    peif* 
mo  procuratore ,  e  al  Tasso  vellosi  »  quasi 
ndeodo ,  disse  :  Vattene  a  cena  »  e  domata 
lioa  per  tepapo  tornati  air  usanza  a  lavo» 
imrCf  e  lasciane  la  briga  a  me;  e  da  duot 
staffieri  lo  fece  accompagnare  infino  a  ca* 
ta«  Il  Cardinale  »   ohe  era   valente  uomo  t 
oonosceodo  il  voler  del  Magnifico  «  mandÀ^ 
prestamente  a  far   intendere  al  Vicario    e- 
ii- Capitano^  che  lasciassero  stare  il  Tassò* 
I  fìrati ,  non    avendo  potuto   avere  V  altro 
giorno  udienza,  per  lo  meglio  si  tacquero, 
e  allo  abate  dierono  ad   intendere  «    come 
il  Tasso,  oltre  lo  avere  avuti  quattro  trat- 
ti di   fune ,  era  stato   confinato   in   galea 
per  due  anni  ;    la  qual   cosa  sommamente 
gii  piacque ,  e  i?i  a  pochi  giorni  guarito  , 
se-  ne  andò  al  suo  viaggio. 


^ 


i6i 

NOVELLA  IX. 

Brancazio  Malespini  passando  innanzi  giòr^ 
no  di  fiàori  aeUa  porla  alia  Giustizia  , 
ha  per  cosa  di  nullo  valore  li  gran 
paura ,  che  egli  ne  fu  per  morire. 


S: 


'ilraoo  Teggeodo*  Lìdia  essere   Tenata 
a  fine  della  sua  novella  »  mentre  che  tolti 
0  deir  ignoranza ,  o  dell*  arroganza  di  mcs* 
ser  )o  abate ,  e  della  piacevole  resoluzione 
dd  Tasso  «  ridevano  ,   ridendo   anch*  egli  ^ 
cosi  prese  a  dire  :   Ornate  donne ,  e  amo-»  ' 
rosi  giovani  ^  'io  voglio  scambio  di  rìdere  ;  . 
farvi  colla   mia    favola,  meravigliare  ,    rai> 
contandovi  una  paura ,  che   ebbe   un  già*  > 
Tane  innamorato  de*  nostVt  Fiorentini^  ineo^ 
.  tre  che  una  notte  tornava  dalla  sua  dèmo 
per  la  quale  egli  fu  vicino*  al  perderne  h 
persona ,  e  soggiunse. 

Giovan  Francesco  del  Bianco ,  il  qua- 
le fu  nei  tempi  suoi  uno  uomo  veramente 
qiialificato  ,  di  saldo  giudizio  »  ma  soprat- 
tutto bellissimo  ragionatore ,  e  quegli  ^ra 
clie  sapeva  meglio  che  alcuno  altro  raccon* 
tare  un  caso  intervenuto ,  magnifica  pre^' 
senza  avendo  »  gran  memoria ,  buona  voce 
ottima  pronunzia  ,  soleva  spesso  tra  gli 
i  suoi  bellissimi  ragionamenti  narrare^ 
come  in  Firenze  fu  già  un  giovane  chia* 
auto  Brancazio  Malespini ,  il  quale ,  si  oo« 
Idisca.  XI      .      . 


lés  PHIBIA  .CEIU . 

me  della  maggior  parie  dei  giovani  vW- 
ivieoe  9  Q.ra  inaamorato  di  uoa  belliatima 
.donna ,  che  slava  a  Ricorboli  ^  poco  fioori 
della  porta  a  San  NiecoIÀ.«  moglie  ;di  «|^ 
J>aoDo  nomo  della  contrada  • .  U  quale  Ca- 
carsi una  fomaco,  onde  spesso  .aecadcrn 
che  il  detto  Braijca^io . si  giaceva. oon  esso 
lei ,.  mentre,  che  il  marito  stava  la  tiotie  a 
^llecitare  le  cotte  de*  mattoni .  e  della  cai- 
Cina  ;  -cosi  bene  aveva  saputo  govwiiane  e 
guidare  il  sno  Muore.  E  perchè  ai  eiÀ^.oè 
lo  sposo,  nò  alcuno  vicino  a.  soepetlaro 
avesse  9  la  sera  per  lo  sportello  della  *  poeta 
a -San  Niccolò  se  ne  usciva,  e  )a  mattioti 
due  oreionaniì  aiorno  passava  la  nave,  a 
Bovexeano ,  avendosi  fatto  amico  ,  col  :pit^ 
gar  benissimo,  il  passeggiere  ;  .e  di  poi-rai^ 
tenie  la  riva  d'Arno  se  ne  veniva  allij^  porta 
%lla  Giustizia,  e  quindi  luogo  le  mnot 
tirando ,  alla  porta  alla  Croce  se  ne  aa^ 
dava ,  e  per  lo  sportello  che  in  quelli  tempi 
si  apriva  a  ogni  otta ,  se  ne  entrava-  ia 
Firente  ,  e  se  ne  andava  a  riposare  a  casa 
•uà ,  che  persona  del  mondo  noU*  arebha 
mai  potuta  appoatare.  «  Ora  accadde  tna^li 
altre,  che  una  volta  tornando . -egli  daHii 
sua  iunamorala  >  e  passato  avendo  la  nave^ 
e  lungo  Amo  camminaiidOy>gli  parve  éi* 
rimpetto  4  sendo  appunto  alle  forche,  <uda« 
re  una  vooeeha  aicesse^  come  dire,  ora 
j^ro  eo;  per  lo  che^  fermatosi  girò  gU  oo* 
cU  verso  le  forche ,  .e  veder  ^li  parve  ao^ 
pra.  quelle  tra  o.  quattra,  coma  diresta» 


MOTSLLA  IX.  '>S3 

Mibìbì  ciondolare  a  guÌM  d'im^ocati.  SI 
^he  stando  io  fra  due ,  non  upeva  cbe 
jiarie,  pcrcioccbè  «eDdo  ana  ora  il  meno 
^Danii  giorno,  e  l'aria  fnaèa  «  ««dea  Iimw 
4i  Juoa  ,  uoD-  b«ae  aeorger  p<fteTa  w  nella 
Awaero  ombre  o  «oié  vere;  qu  io  qoèMo 
aienti'e  udì  con  somoBeaM  tixw  na'alti^ 
volta  dire  ora  prò  eo,  e  gli  parte  vadeve 
Ab  oerlo  che  dimeoarw  in  cima  della  aevl** 
Por  Ja  quat  cosa ,  egli ,  che-  étm  •  eDiouMOf  • 
■  sempre,  l'era  fatto  bede  '4i  snriti  ,  $ 
neUe,  d'incanti  e  di  diavoli,  fra  te  dìé- 
M  :  Dunque  sarò  io  cosi  puailtanimo  e  vi- 
!•',  che  io  non  mi  ebiariaca  -d>  qneata  C4H 
«^  onde  poi  sempre  abbia  a  So<pettM'«  e 
'temere  una  ombra  Tana  7  e  questo  detto , 

r«  la  vìa  verso  le  forche  «e  camminaa- 
arditamenle,  là  giunse  in  oo  tratto  i  e 
p^-in  sul- prateUo.  Era  in  quel  tempo  in 
«reote  una  femmina  paiu ,  ohe  sì  cWk- 
«uva  la  Biliersa ,  la  quale  per  diigrasia 
Irceandofi  la  notte ,  come  spesso  era  usale, 
ia»v  della  città ,  e  capitela  quivi  ipiorao 
'Aimo  alle  Ginslìua  ,  aveva  colto  per  qnei 
4MBpÌ  ,■  sendo  «Uora  «lei  mesa  d'agokto  , 
■fcree  éieoe  d  dodici  sncohe ,  e  come  ae 
Galero  «lati  uomini  »  1«  «tvts  oendolte  a 
fièreUk  scala  delle  foeefaé ,  «  e  una  a  nna 
m  linodole  le  iwpiccBva ,  facendo  a  un 
toeUo  il  hoja ,  e  quei  che  ceaCortsoo.  E 
eteodole  colte  coi  gambi ,  quanto  più  lim- 
^i  aveva  potato  >  due 'O  tre  volte  le  face- 
ta ^dace  al  legno  -,  e  le  lasciava  a  quel  Miodo 


*  l64  puma.   CKNA. 

*ilp(>iccale  dooclolareyr  parendole  fare^^tim 
giuoco  bellissimp  E  appunto ,  quandaBnio^ 
'cazio  era  salito.  Voleva  dare  la  pinta  a  iiAa^ 
-ma' si  fermò,  gridando  a  colai:  Aspetta  ^ 
^o  aspetta  ,  che  io  impiccherò  anche  té ,  e 
'per  la  fretta  si  lasciò  cadere  la  sacca  di 
•mano ,  e  cominciò  a  scender  la  scala  Jeg- 
*gtera  e  destra  come  una  gatta.  Brancazio  , 
•udito  la  Tocc,  e  sentito  il  colpo  della  sac- 
ca in  terra  9  e  veggendo  colei  scendei^sl 
furiosamente,  fu  a  un  tratto  da  tanta  e 
'cosiffatta  paura  preso  >  stimandola  forse <iil 
diavolo  daddoTero  ,  o  la  vlersiera  ,  che  gli 
mancarono  subito  le  forze,  ferraandosegli 
e  agghiacciandosegli  per  le  vene  il  saague^ 
cotal  che  in.  terra  cadde  ,  come  se  propria** 
mente  fusse  stato  morto.  La  Biliorsa  poi 
che  fu  scesa  la  scala ,  volendo  Brancaeio 
cosi  tramortito,  condur  su  pet*  la  scala  » 
come  aveva  fatto  le  zucche  ,  le  venne  fal- 
lito il  pensiero  ;  perciocché  a  gran  pena 
nluover  lo  poteva ,  onde  scintasi  il  grem* 
'biule,  gli  ne  avvolse  alla  gola,  e  tanto  lo 
-tirò ,  che  al  primo  scaglione  lo  condusse  , 
t€  quivi  lo  lasciò  legato,  non  se  ne  dando 
altra  cura  E  poiché  fornito  ehbe  d*impic- 
care  le  altre  zucche ,  se  ne  andò  ,  come 
la  guidava  la  fortuna  ;  o  la  sua  pazzia  in 
altra  parte.  Fecesi  intanto  giorno ,  e  i  la* 
.voranti  dei  campi  levatisi  ,  e  altre  perso* 
ne  ^per  la  strada  passando  «  che  givano  alla 
città ,  questa  cosa  veggendo  ,  ognuno  fuor 
modo    si   maravigliava ,    perciocché    le 


KOTELLÀ  IX.-  l65t 

iorche  pare? ana  una  festa  ;   laonde  alcooi 
facendosi  più  presso  ebbero  veduto  Braa* 
cazìo.cosi    al    primo   scaglióne    legato  che 
sembrava  morto.  Per  la  qual  cosa  apargeo-r 
dosi  per  tutto   la   novella  ^  ed    infiniti  po*^ 
poli  convenendovi  ^   fu  fiàalmente  rioono-^ 
aciuto  ,  e  da  ciascuno  tenuto   per   morto;- 
ma  non  sapeyanò  e- non  potevano  già  im-« 
maginarse  .da    chl^    né   come   quivi  foste 
"^^  stato  condotto  ,  grandissima  meraviglia  fa«^ 
cendosi  di  quelle  zucche.  Era  intanto  cor«« 
rendo  là  venuto  suo  padre  da  molte  per-' 
sone  accompagnato  »    il    quale,  piangendo^ 
&tto  pigliare  it  corpo  del  .figliuolo  »  e  alla 
chiesa  del  Tempio  portare,  messolo  in  sul' 
letto  del.  prete  9  spogliar  tutto   lo   fece  «   e- 
polto  ben  guardare  in  ogni  parte  del  cor- >" 
pò ^  onde  uno  medico,  che  vi  era  venuto* 
m  fretta,   trovatolo    alquanto   caldo  sotto" 
la  poppa  manca j  disse:  Costui  è  ancor  vì«*^ 
XOj  e  fattolo  assettare  in  un  f cataletto ,  lo' 
fece^  portare  in  Firenze  a  una  stufa  »  e  qui-^ 
vi  messolo  in  una   stanza   caldissima ,   con 
acqua  fredda ,  con  aceto  e  con  malvagia  « 
e  altri  suoi  argomenti ,  tanto   lo  spruzzò  e 
stropicciollo ,  che  finalmente    lo   fece  rin^ 
venire.    Il    quale  rinvenuto,  stette    più  di 
ancora  innanzi  eh*  egli  parlasse,  e  più  di 
tre,  che    non    rispondeva    a   proposito ,  e 
non  sapeva  in  qual  mondo  si  fusse.  Sicché, 
fattolo  il  padre  portare  a  casa ,  fu  bisogno 
cavargli  sangue ,  e  medicarlo  parecchi  e  pa- 
recchi settimane  prima  che  guarito  fusse , 


rantA  oiHJU 

e  nd  gaaim  retti  Mtio  •bsooiato  «  mom* 
do  9  e  non  gli  itmftse  miéomo  ni  aa  capei* 
le-9  uè  ao  pelo,  ciurlo  «vene  Tolalo  per 
nadieioa.  Bfa  pcjggjlo  aBOoni,  che  mentre 

3 li  Titte  non  gli  rimesBero  giavoMM  »  tal* 
lè  egli  parerà  la  pi&  strana  e  eoDtrafW 
t%  eosa,  che  «fuaae  ami  t^er  lo  a4dieti« 
atata  vedoiat  «  wm  «areblie  atato  vai  no* 
Bio»  che  b  atetse  riconetciulo  »  nosM ,  m« 
tenriene  ora*  a  coloro ,  che  hanno  «MÌlii 
epeaie  pasa^di  malfranaesèyohe  ii  enianM 
fielatilia^  e  qnejito  solamente  gK  aomdUn 

r*  la  paMa.  E  se  non  che  la  sera  tora^ 
BiKorsa  in  sol  tramontar  del  sole  a  s|ne- 
care  quelle  sncche  t  onde  fu  vednta ,  • 
quindi  agerolmente  tro?ato  la  cosa  ;  a  Bnin* 
caaio  non  arebbe  tutto  H  mondo  catalo 
dalla  lesta,. che  non  fasse  stato  il  dia?ólo 
iperamente  quel  che  egli  Tide  9  e  ohe  qnal* 
che  n^promaote  9  incantatore  »  stregone  o 
SMliaruo  non  avesse  poi  quegli  uomini > 
che  ^li  parevano  impiccati ,  latti  conrer- 
tire  w  suocbe. 


t; 


1        •    X       • 


'•» 


•  * 


NOVeLLA  X: 


£  VLTIHA. 


•       «     f 


»-     \ 


•  •  •  4 

* 

ifer  AnaHagh*  Vccàkio ,  éenìki  aìgióné 
'■■  miòunaf  dèvenia  geloso  della  m^gUe  gio^ 
^vane\  la  éjuale  di  ciò  accottafif  sdò^ 
^  gfmùa\  cari  Un  suo  amanie  ùpem  di 
'wnudo  «  che  ella*  viehe  agli  attenti  suat*^ 
'  a  per  ^grazia  accaduta  al  marito^  pìh. 
glia  poi  io  amante  per  suo  sposo. 


jLXTendo  già  SiWano  fornito  la  sua  no* 
TeHa,  molto  piaciuta  e  lodata  aséai  dai 
gìoTant  e  dalie  donne  »  Cibila  ,  ehe  sola  / 
atendd  littti  gli  altri,  restava  a  Ifof dlatéi 
con  TOce  dolce  e  sonora  iticominctò  cosi 
favellando  a  dire:  Cbe  fate  ola  danqae, 
gentilissime  donne,  e  graziosi  giovani?  po- 
trò io  raccontare  giammai,  che  abbia,  noD 
pure  in  tutto,  ma  in  se  parte  alcuna  di 
belio  o  di  buono,  sendo  state  le  racco nla* 
te  da  voi  tanto  belle  e  tanto  buone?  Nondi* 
meno  sciogliendomi  dati* obbligo  mio,  m'in* 
generò  di  soddisfarvi  il  più  che  io  potròi 
ed  il  meglio  che  io  sapere,  dimostrandoli 
in  che  modo  una  buona  donna  fece  mori* 
re  il  marito  di  quel  male,  che  egli  si  andò 
pazca mente  caroaodo. 


Nella  nostra  città  medesimaittrate  la^ 
noQ  ha  gran  tempot  un  notajo  che  ti  ehin- 
mò  ser  Anastagio  dalla  Pieve.  Goatai  TeQ^ . 
ne  in  Firenze  piccolo»  e  stette  per  pedà* 
gcigo  in  casa  gh  Strozzi^  e  dipoi  creseando 
ai  màirioolò ,   e  cominciato  al  palagio  del 
Podestà   a  guadagnare  t   Tenne  col  teapof, 
ricco,  e  quasi  Teccbio  affatto^  non  afeooo 
•  chi  lasciare»  diiijberò  di   ter   moglie  ;  •' 
non  si  curando  di  dote»  «bbe  per  Teotpm  ; 
BM  fanciulla ,  ^ovane,.  nobile  e.  beliat  4ft 
quale  era  da  lui ,  in  fuora  che  ael  leltQ  » 
cóntenlAla  di  tutte  quante  le  cose,  che  ella 
sapeva  chiedere  e  domandare;  perciocché 
il  sere  n*  era   invaghito ,    e   innamoratone 
di  maniera,  che  egli  n*  era  diventato  il  pidi 
geloso  uomo  del  mondo,  e  più  soUecitudi<- 
ne  e  cura  teneva    in  ben  guardarla  ,  che . 
stello  acquistare  crientoli»  e  in  cercare  di 
regare  contratti.  La  fanciulla,  che  Fiam- 
metta si  chiamava,  si  accorse  ìfì  poco  tempo 
della    perversa    mente    e   della   paura  del^ 
marito;    laonde    e  perchè  ella  era  di  gen- 
til  sangue»  e  di  animo  generoso,  si  sdegnò . 
in  guisa  tale,  che  ella  si  pose  in  cuore  di 
£Eirgli  quello  per  tal  cagione,  che  altri  mena- 
ti non  arebbe  mai  pensato  di  fare.  E  ac- 
cortasi che  no  medico  suo  vicino,  di  poco 
tornato  da  I^arigi,  dove  era  stato  a  studio^ 
nomo   di    trenucinque    anni   o   in   circa, 
assai  leggiadro    e    grazioso  »   la   vagheggia- 
va stranamente,  cominciò  a  fargli  lieto  vi- 
so ;   della   qual   cosa   il    medico ,    allegro 


NoriLtÀ  -x.  169 

§àor*dl  nodo,  le  passaya  da  casa  tnu  spea- 
soky  ed  ella  facénaogli  sempre  miglior  cera, 
ilTTìemie  ohe  di  lai  s*  innamorò.  Cosi  aman- 
dò P  uà  rallroy  ninna  cosa  desideravano 
con  più  ardente  voglia,  che  di  rilrovar*. 
se  insieme;  ma .  non  ne  potevano  venire, 
a*  capo  j  per  cagione  di  una  fante  vec- 
diia^  che  il  «ere  teneva  in  casa,  non  ad 
ahro  fine  9  se  non  acciocché  il  giorno  le 
lacSease  la  guardia^  la  notte  egli  poi  la  guar- 
dava dà  se  stesso  ;  di  che  la  Fiammetta 
ed  il  sno  maestro  Giulio,  che  cosi  aveva' 
nome  il  medico,  vivevano  pienissimamente' 
scontenti.  Pure  la  giovane ,  come  colei 
che  le  strignievaoo  i  cintolìni,  si  diliberò 
di  trovar,  via  e  modo  ai  suoi  piaceri  ;  e  ve- 
nutole nella  fantasia  uno  nuovo  accorgi- 
mento per  esser  col  suo  medico,  e  trastul- 
larse  con  esso  lui ,  ne  lo  fece  per  via  di 
lettere  accorto ,  e  restati  insieme  di  quan- . 
lo  far  volevano,  una  notte  in  sul  primo 
sonno ,  la  buona  femmina  cominciò  forte- 
mente a  gridare  e  a  dire:  Oh  ser  Anasta- 
gio!  o  marito  mio,  io  muojo,  io  muojo! 
ohimè,  ajutatemi  per  lo  amor  di  Dio!  Sec 
Anastagio  desiosi ,  di  subito  saltò  fuor  del 
letto  in  camiscia,  e  chiamato  le  serve,  cor- 
aero  prestamente  là  con  lucerna  accesa,  a 
confortar  colei,  che  non  restava  di  guaire  e 
dì  rammaricarse ,  dicendo  che  si  sentiva 
dolere  il  corpo  e  gonfiar  le  budella.  Co- 
loro, scaldandole  panni  e  foglie  di  cavolo, 
non  sapevano  più  che  fat*se,  veggendo  ahe 


170  rana  eiM. 

DalliT  potati  t  •  lei  rinforccrc:  ori  àwÈÈi 
e  nelle  strìdft ,  con  dire*:   Miteni t  poi^^' 
ne  ne*!   oh  merito  mio  cero!  io  eooppieii' 
io  soopfNO  9  -merito  mio  dolce  r  ejnlecemìi! 
eyutetemi  »  vi  prego  !  e  fecem  i  più  peni* 
orchi'  che  si  Vedetmr  mei.  Ser  Aneilegio;'> 
hiprtmendo  per  le  lenerene ,  e  dnfaiClnda^ 
che  elle  non  ^li  morisse  f re*  menc^  dilibi^ 
rè  di  eodere  pel  medico,  e  -per  darlo  tfai^ 
che  confollo ,    lo  disse  elle  donnea  e  xm: 
elle  rispose:  Ohimè  fitte  tosto,  merito  mie 
buono ,  per  lo  amor   di   Dio ,  tosto  dioev 
cheTOtnon  sarete  a  tempo!  Non  dubitarti 
soggiunse  il  sere,  cbe  per  far  più  spaeois»' 
temente  io  caglio  andar  qai  Tolto  H  eanls 
per  maestro  Ginlio  nostro  ricino.  •  Ben -it«-' 
pete,  seguitò  la  Fiammetta,  oou  indugiitt}* 
ohimè  1  che  io  muojo,    se    egli  non   vieee 
prestamente  a  darmi  in  qnalcne  modo  am» 
to%  Il  notajo  non  stette   a    dire,   ohe  oi  è' 
dato;    ma    si  parti    subitamente,  e   seait' 
troppo  picchiare,  gli  fu  risposto  dal  modi-' 
co ,  che  stava  alla  posla  ;   cotal   cho  in  wi 
tratto  comparsero    in    camera,  do?e  ceM 
si  disperava.  II  maestro  salutolht  e  confor-' 
tòlla  a  prima  giunta,  e  dipoi  toccola  mitàr^ 
to  bene ,  e  brancicatola  per  tutto ,    ▼cita- 
tosi al  marito,  disse:  Costei,  o  elle  ha  man*' 
giato   qualche  cosa  velenosa ,  o  Teramente 
la  donna  del  corpo  la  travaglia.  A  Toibi-* 
sogna,  se  scampar  la  volete ,    andare    allo 
speriate  delle  Stelle  per  uno  lattovaro,  che- 
io  vi  ordinerò,  e  al  veleno  e  al  mal  della 


IKmLiA'  Xc      '      ^  ITT' 

madbre  perfeltiMimo  e  «ppropriatiMmo  ri- 
fli^dio.  «QoesU  è  poca  Cora,  rispose  il  sere^^ 
e  iogsianie:    Guardate   che  io  eia  a  oita^ 
Hmi  aobilate ,  disse  il  maetiro ,  che^  io  ha 
ordinerò  intanto  una  pittima  casalinga  ^  f 
fartn||iiene  qneste  serfe  ed  io.  Ora  ntcian» 
u€i  disse  ser  Aaastagto  ;  A  che  portata  da 
sariTece  «  il  maestra  gli  fece  ona  cowtesi^ 
xione  stravagante  9  *  e   ntandollo   volando  a* 
qudb  speziale,  che  stava  a  caaa  e  Jbotte-^ 
gaf  od   egli  rimase  intorno  alla  Fiammet^' 
ta>9.  che    tuttavia  gridava;    ma/  com^  «Uar 
acati  serrare   r  uscio  al  marito  ^  -  cominciò 
atridendo  più  forte,  a  rinfonare  la  voce  t 
e  ^fingendo  éht  il   dolore  le  crescesse  tal* 
Invia  ,  intronava  tutta  quella  casa.  Per  la 
qual  cosa,  il  medico  disse  alle  fantescbe^ 
rae  recavano  olio  e  farina  per  la  pttlima, 
dae   far   le   voleva  uno  incanto,  non  teg« 
gendo  altro  modo  a  tenerla  viva ,  e  volta-^ 
tosi  loro,  comandò  che  tosto  gli  portasse** 
ro  un  bicchier  di   vino,   e  uno  aacqua^ 
il  che  prestameate  fu  fatto;  onde  il  medico 
presogli  da  ogni  mana  uno  i   e  feeendo    le 
vista  di  dire  sopra  T  uno  e  V  akro  non  so  ' 
che  parole ,    gli    porse  alla   Fiammetta ,  il 
TÌnn  dalla  man  ritti,  -€•  Tacqua  dalla  miui"' 
riua,  e  dissalo  che  beesse  quattro  sorsi  del-»' 
r  uno  e  quattro  dell*  altro,  e%a  quel/e  ser*^ 
ve  feee  intendere ,  che  se  tenere    in    vit«' 
volevano  k  padrona   loro^,    bisognava  che' 
elle  andassero  subitamente  una  in  sul  ptà 
•Ita»  e  r altra  nel  più  basso  luogo  delia* 


MM  a  dire  quatlrb  ÌKJrone,  ognuna  a  rire^^ 
rensa    dei   quattro    Yaiigeltati  «    e    repUoo 
loro  che  avvertissero   a  dirle  adagio  e  ia«' 
téré  f  e  che  non  si  partissero  per   niente  « 
ae  prima   noli'  avessero  fornite*   Le.  aeriaa  - 
se  lo  credettero  fermamente,  eancora  che 
spiacevole  paresse  loro,  seQza   pensare  al- 
tro  stimandosi    gostrire  la    padrona ^   che*. 
gridando  tuttavia  ad  alta  voce,  pareva  'che 
ella  fusse  a  ogni  ora  per  dare  i  tratti  ;  •  e 
la  vecchia   se   qe    andò  nella   volta ,  -  e  «hr 
gióvane    in  .sul   tetto ,    ognuna   colia*  sua  ' 
corona.    Ma    tosto    che   elle  ebbero  il  pie 
fuor  della  camera,  maestro  Giulio,  lascia* 
to  il  vino   e    Tacqua  e  gl^ioeanti    da  par-  • 
te^  e  la  buona  femmina  le  grida  e  i  ram-  < 
marichi ,   quel    piacere  insieme   T  un  T  als- : 
Irò  presero,   che   leggiermente    stimar    vi  « 
potete  ,    ed    ebbonue  V  agio  ,    perciocché  -» 
stando  ser  Anastagio  in.  via  Fiesolana ,  in-  . 
nanzi  che  la  fusse ,  e  dallo    speziale  sbri*  * 
gato^  stette  una  buona  pezza,  e  mise  tanto  - 
tempo  in  mezzo,  che  egli  non  pensò  giam* 
mai  di  trovar  la   moglie  viva;  di  maniera- 
che  messer  lo  medico  colla  sua   bellissima  - 
Kammetta  aveva  corso  tre    volte    in  cbin-  * 
tana,  con  piacere  immenso  e  meraviglioso  * 
delPuna    e    dell' altra    parte.  Ma  parendo  • 
loro  oua    o   che  le  serve,  o  che  il  notnjo 
tornar  dovessero,   si    acconciò    la   donna  ^ 
come    se   ella    dormisse,   ed    il    medico  si 
pose  ginoccbiqQÌ,  fingendo  di  leggere  in  su» 
certi  suoi  scartafacci,  -quando  le  fantesche  » 


KOTXLL4  %•  lyS 

fornito  avendo    di'  dire'^le  corona,   Tuna 

d«lla  Tolta    è  Taltra  "d'in   sul  tetto,  quasi 

«  un'otta  tornando  «  enttò  la  vecchia  pri« 

ma  in  camera   per  vedere  a  che'  termine 

fosse  la  padrona  ,   ma    veduto    il    medico 

ginocchioni   in    terra  barbottare ,  e  lei  nd 

letto    giacere    fern;ia  e  cheta ,  che  semfai^ 

▼a  dormire,  dubitando  che  ella  non  fusae 

morta,  volle  gridando  far  romore«  ma  fu 

tosto,  dal  maestro  ritenuta,   e    dettole  cha 

tacesse,    che    la    madonna    era    guarita ,  e 

dor menalo  si  riposava  ,  e .  dipoi  dimandata 

'  lei'  e .  queir  altra ,   che   di    già   era  entrata 

in  camera,  se  elle  avevano  fornito  di  dire 

le  coróne ,  ed   esse   risposto  di  si ,  si  levò 

dritto  in  piedi ,    appunto  che  ser  Anastà- 

'^gio    picchiava   l'uscio,    al    quale    da   una 

aelle   fanti    fu    prestamente   aperto  ;  onde 

•egli  compari   n^un   tratto  in  camera   tutto 

furioso  e  affannato  col  laltovaro,   temendo 

di  non  trovare  la  donna  passata  di  questa 

*TÌta,  a  cui. tosto  maestro  Giulio  disse;  La 

Tostra  moglie    sfa    come  uua  perla  ^  e  per 

la  grazia  di  Dici  è  guarita  ;    si  che  non  ci 

è  più  bisogno   di  medicine,    e    raccontogli 

«il  tutto  ,  e  come   non    avendo  altro  rime* 

dio  ,  fu  forzato  ricorrere   agi*  incanti.   Co« 

lei  intanto ,    fingendo    di    svegliarse ,    tutta 

allegra  e  ridente  ,  volta    al  marito ,  disse  : 

O  murito    mio    dolcissimo ,    fate  conto   di 

avere    riavuto    la    vostra    Fiammetta  dalla 

fossa  ,    e    rendetene   grazie    a    messer  Do-^ 

meneddio  prima ,.  e  dopo  costi  a    maestro 


if4  wnmk  OTHA* 

GiiftliV  :  P«r  ^  i«  ^cml  cesa  ter  AnuUfjià 
«oo  restetìA'  di  rìagnziare  Dometieddid  e 
il  «edito  t  e  aolto  f>ien#^  di  Jeiìsia  ^  «ole» 
oft  par  darò  al  maestro  uà  fiorino  d'oiM. 
BM  ii  medico  r  riepondeodo  die  di*  loR- 
«edicameDli  non  era  mai  totito  piglia)»* 
denari' 9  dopo  molte  efTerle  e  ringrasm^ 
meati  9  tobe  da  loro  ultimameote  Itoensa^ 
•  andoMeoe  a  ?  cam  sua.  11  sere  colla  mo# 
gltOt  fattone  aiidare  le  serre»  al  letto»-  lio* 
tissimi  ^  mriatro  -  a  dormire  )  la  maMtno- 
oModo  faccenda  ser  Anastagio  al  Pro^ 
consolo  per-  certe  caose^  che  egUavefìÉ 
«Ile  mani  d^importànsa^  si  levò  per  tempo» 
lasciando  riposarti  la  donna  ,  fa  quale  per 
1#  tramaglio  della  passala  notte ,  pensava 
ebe  bisogno  grandissimo-  ne  doipcsse  ave* 
ve;  e  vestitosi  spacciata  mente  per  andav 
ipfa,  nello  scender  la  scala»  come  volle  la 
eoa  disavventara»  inciampando»  dal  priato 
scagliooe  in  fuori,  la  tombolò  tutta  qnan<* 
la»  dove  tra  le  altre  percosse»  balte  una 
tempia  di  sorte»  cbe  egli  si  venne  mena; 
per  lo  che  le  serve  corsero  amendue  al  ro*^ 
aaore  »  e  cosi  la  Fiammetta  »  e  andatene 
giluo  »  lo  trovarono  in  terra  stramacaato^ 
e  tutto  sanguinoso  allato  allo  oreccbio  si* 
nistro  »  in  guisa  tale  »  che  esse  si  pensa* 
ròno  ferma awn te»  che  egli  fosse  morto»  e 
piangendo  levarono  il  remore  grande»  do^ 
ve  tutta  corse  la  vioinanaa  »  e  prcstamen'» 
le  il  sere»  cosi  percosso»  e  sanguinoso»  por* 
tarottosopra il  lello»  e  mandarono  per  due 


Qerasìet^i  i  primi  .di  Fireqs^Ti  «  taatacoq 
«equa  ;£re4da^  e  con  accttQ  gli'  •t90picciait> 
BOI*  polsi»  elle  gli  riiornarpoo  gli  amarli? 
Il- spitli  I  «ppvolo  che  i  veiìoi  giunsero  rr 
i:^aii  molto  Jbtne  viedutolo  4  e  ieoUitogUt 
Ui  rottura  «  io  feoero.  spacciate  »  ilipenigla 
ehe  >  lo  facesser  coiifeisara  cbe  vn  oe  era 
per  poco*  Nou:  do;aiaiidale  quaulp  cordo» 
f^Qi  fiiceva  >  e  quanlo  dolore  iiioitc%r%  di 
Meme  la  Fiamaseita  ;  la.  cfual  cosa  dafva 
fiù  Mo]^  €1  peoa  al  marito  j  ^jbe  no»  Cso^ 
iMi  il  male  stesso^;  si  cKé  priaoia  aceooeiosi 
dell*-  anima ,  £ece  por  testaviento ,  e  noa 
atendo  parenti  ^  che  legitilmamenie  k>  re? 
daasero  ^  Jasciò  liberamente  ogoi  cose  gUe 
moglie  t  e  di  iutti  i  suoi  beni  mobili  tA 
immobili  la  fece  arede  principale ,  e  senta 
obbligo  e  carico  niuno«  per  mostrarle  aper^ 
naaiite  lo  amore  ardentìss^ime  ed  incomt 
palpabile»  che  egli  le  portara^  della  qual 
lietissima  dentro  la  Fiammetta^  paret 


m  iche  piangendo»  per-  gli  occhi  coUe  la» 
gviasa  insieme  mandar  fuori^  rolesse  Tani^ 
;  colai  .che  ser  Anastagio   sdimenticato» 


ai  di.  se  9  era  forzato  a  confortar  e  rao* 
censir  lei,  E  dicendole  che  eUa .  ri  mane-» 
lia  ricca  f«  la  pregava  e  domanda  vale  solo 
una  grazia^  e  questo  era^  a  che  ella  mai 
non  si  rimaritasae ,  e  dopo  la  morte  la^* 
sciasse  ogni  cosa  agi*  Innocenti  ;  o  che-,  ri» 
aatarìlandosi  ,  al  primo  figliuol  maschio  ^ 
ohe- le  nascesse*  ponesse  nome  Anastagio ^ 
aKxaoochè   ella  avesse,  cagione  di  dofcrsa 


l 


176  PÌlUJL  esifA.  ^ 

loogo  teÀpo  ricordare  di  lai.  La  mo^f 
piangendo  sempre ,  o^m  oofa  larpi 
li  prometteva  9  onde  ri  sere  «  peggioi 
erte  »  perde  la  sera  ^  al  iramoDtar  àà 
le  «  la  taTella  ^  e  la  nolle  uedetima  li 
ri.  La  Fiammetta ,  fatto  graodiiiimo 
dc^lio  eoa  sao  padre  9  eh*  era  Veaato- 
▼ederla  »  e  coi  fratelli ,  T altro  giorno 
fece  oooratissiaiamente  seppellire ,  é  dljp' 
faate  Teccbia ,  eh*  era  stata  grao  temp' 
io  casa ,  dette  »  oltre  al  salario ,  uaa  boo-' 
na  mancia  ,  e  mandoaóela  ;  quella  giofade 
mariiò  •  Ed  ella  essendo  restata  i4oca  e 
gioTÌne  tro?ando8Ì  ^  dispose ,  contro  la  f0« 
glia  del  padre  e  di  tutti  i  suoi ,  di  rima- 
ritarsi ;  e  ricordandosi ,  anzi  sempre  da- 
vanti gli  occhi  a?eado  il  suo  maestro  Gftt< 
lio  f  e  trovatolo  nello  prove  d*  amore  va- 
loroso e  franco  cavaliero,  con  esso  lui  se- 
gi*etimeute  teneva   strettissima    pratica  #  il' 

auale  9  non  meno  di  lei  per  ogni  rispetto 
esiderava  le  nozze ,  tanto  che  nella  fine 
ai  concbiusero  in  anello  più  onesto  modo 
cbe  si  potette,  onoe  poi  lungo  tempo  go- 
dendo vissero  insieme  ricchissimi  e  con- 
tenti 9  crescendo  sempre  in  avere  ed  ia 
figliuoli ,  e  la  Fiammetta  poi  a  laogo  a 
tempo  osservò  in  questo  la  fede  al  mari- 
to «  perchè  al  suo  primo  figliuolo  maschio 
fece  por  nome  Anastagio. 

Fornito  che  ebbe  Cintia  la  sua  novel-' 
la ,  che  tutta    la    brigata  aTeva  fatto  ride- 
rei se  nou  cbe  lo  sfortunato  accidente  del 


Ultarfl 


BOtajo,  troppo  più  che  Voluto  non  «reo** 
bero«  gli  fece  coDtri&Utre,  grandÌMìma  com- 
pasdone  afeodogU;  nondimeno  moke  lode 
attrìbairono  alla  sagace  fémmina  e  ali  buon 
medico,  fifa  non  li  restando  pii^  altri  a^ 
dover  dire  ,  Amaranta  ^  ripigliando  le  jia^ 
role,  soavemente  prese  a  favellare  cosi 
dicendo  ;  Poi .  che  collo  ajuto  di  Colui , 
che  può  e  sa  tptte  le  cose«  noi  areme 
dato  finimento  alle  favole  di  questa  prima 
sera,  a  me  pare  che  per  alquanto  di  tem- 
po »  chi  fuole  possa  andare  a  fare  quel 
che  ben  gli  viene  ^  e  che  più  gli  aggrada» 
e  torni  prestamente,  a  fine  che  cenare  pos« 
siamo,  seodone  oggimai  ?enuto  Totta.  ria- 
cque  assai^  e  fu  lodata  da  ciascuno  la  sua 
pensata  ;  per  lo  che ,  chiamati  i  servidori 
e  le  fantesche,  e  fatto  accendere  il  lume^ 
i  giovani  se  ne  andarono  nelle  stanze  di 
terreno,  e  le  donne  con  Amaranta  nella 
sua  camera ,  e  nelle  altre  in  su  la  sala  ; 
dove,  dopo  non  molto,  quando  uno  e 
quando  un  altro  comparsero  tutti  quanti» 
e  la  tavola  trovarono  apparecchiata»  SI 
che  dato  Tacqua  alle  mani,  ma  prima  pre- 
so un  buon  caldo,  si  posero  le  donne  di 
dentro,  e  i  giovani  di  fuori  a  mensa,  al- 
ia quale  splendidamente  d'ottime  vivande 
e  di  preziosi  vini  serviti  furono;  dove» 
poiché  essi  ebbero  cenato  allegramente  „  ' 
ragionatosi  alquanto  sopra  le  raccontate 
novelle,  se  ne  tornurono  al  fuoco;  e  qui- 
vi riscaldatisi  ,  e  delle   due  cene    vegnenti 


*7» 

fifdbto  «bbnteaWf  ti  rìtoWerono  S,  ei 

niincMri  T  altro  gioredi  sera   a   noTelIai 

più  a  kurti*otla«  e  rimasti  drenare  insiapi 

looavti  r A^emaria ,  le^  donne  preso  oHi 

itamente  licensa  dai  «orani ,  se  ne  andi 

roao  con  Amaranta  alle  loro  camere't  e 

i  (^o^ani  »  acese  le  scale  »  altri  rimasero 

dormire  con  . Fileno t  altri,   dai   sorridoi 

£oh  torce   accompagnati  p  se  ne  tornarono 

alle  lor  case. 


Il  fine  della  prima  Cena. 


I.A 


SECONDA   CENA 


or 


ANTONFRANGESCO    GRAZZINI 
DETTO    IL   LASCA, 


dVE   SI    RACCONTANO   DIECI    BELLISSIME 


E   PIACEVOLISSIME    NOVELLE. 


gr»^ 


zia  nella  bocca ,  gmfkà   nelle  parole  ,  a 

leggiadria  e  soavità  negli  atU  e  n^  movi^ 

fnenti,  {iofotfoia  e  orfHda  wwliMnHinfe^  ed 

in  quella  maniera   che  per  tn  casa  usano 

d' acconciarsi ,  ed  ornarsi  le  nostre  veda^ 

ve^  con  un  fazzoletto  sottile  in  capo  e  uno 

ni  collo  f  sopra  alla  gamurra  una  zimar» 

retta  nera  medesimamente ,  ma  faUa  con 

maestria  nondimeno  »    e   di  panno  Jmissi» 

tnQi  tanto  che  a    mirarla  intentani^te  ^ 

piuttosto  ai  risguordanti  rassembravéz  Dea 

celeste   e  divina  .   che   donn^    terrena  ^  e 

mortale.  La  quale  9  posciochè  giréUo  eVbo 

gli  occhi  leggiadramente  intorno^,  e  guar* 

dato  alquanto    la  lieta  brigata  in   id^o , 

cosi^  tacendo  ognuno^  prese  a  dire:  Per^ 

che  le  Tiovelie  di  questa  sera  devono  esser 

maggiori ,  *  che   quelle  delC  altra  passata  p 

io    giudico    che    quanto    più  tosto    si   da 

loro  cominciamento^  virtuosissimi  giovani^ 

m   graziose  fanciulle ,  tanto    sia    mèglio  ^ 

iiffinchè   poi    non   mancasse  U  tempo  ^    e 

che  la  cena  oltre  il  guastarsi  ^  non  se  ne 

avesse  a  ire  in  là  un  pezzo  di  notte  con^ 

tra  la  'vohntà    di   tutti  ^    e   perciò  *  senza 

usarvi  altri  rettorìci   colori ,   o  fars^i  altri 

proemj\  ^rrò  prestamente  alP  effetto.  Ma 

prima  a  imitazione  di   Ghia  •  •  •  sia  •  •  • 

invoeando  Fajuto  di  sopra^  prego  Ijuì  fa'- 

citare  e  mantenitore  di  tutte  le  cose  «  che 

ne  dia  grazia   a    ciascheduno  j   die    tutto 

quello^  che  da  noi  si  ragiona  questa  sera^ 

torni  in  gloria  di  Lui»    Ora  ^cfiendo  alt^ 

mifi  novella  dico. 


'  w^. 


SECONDA  GENA. 


NOVELLA  PRIMA. 


Lazzaro  di  Maestro  Sasitio  da  MQanò  90 
a  veder  pescare  OabbrieUo  suo  vicino  ^ 
ed  affogai  onde  Gabtri^lloper /a  fqmi^ 
gHanza^  che  seco  aveva,,  si  fa  Im,  i^  le^ 
vaie  il  remore^  dice  esser  ùj[ fegato  Gabr 
hriello,  e  come  se  Lazzaro  fuste^  dive^ 
fuUo  padrone  di  tutta  la  sua  roba^  do^ 
pò,  per  jmodo  di  compassiorm ^  sposane 
do  uri  altra  volta  la  moglie,  seco  e  coìf 
i  figliuoli  f  commendato  da  ognuno,  lie^^ 
tornente  lungo  tempo  vive* 


Pi 


isa  HBticamente,  conici  leggendo  ave* 
te  potuto  intendere  »  e  mille  Tolte  «ncoi^ 
ragionando  udito  dire«  fu    d^ile    popoUt-c 

citik  9  nen  soto  di  Toscana  ^^ 
tutta  ritalia  »  ed  era  da  molti  suoi  f^^' 
ladini  nobili  e  valorosi  e  ricchissimi  abitA- 
M*  G  ran  tempo  dunque  innanzi  ^  che  (oi-^ 


Ì84  iBCOlVDA    CClfA. 

lo  il  d^Buaio  KoreoUno  e  forse  yrenÌÉsB  ^ 
yi  capilo  per  Mrle  un  dottore  MiJaèeiet 
che  reniva  di  Parigi  *  dove  sladiato  ed  ioh 
parato  aveva  1  arte  della  medicina  ,  e  co- 
me volle  la  fortuna  t  alquanto  ivi  ferma- 
tosi f  prese  a  cura  alcuni  gentiluomini  p 
ai  quali  in  brieve  tempo,  come  piacque  a 
Dio 9  rendè  la  smarrita  saniti;  a  tale  che 
salendo  egli  di  mano  in  mano  in  credito» 
in  riputazione  ed  in  guadagno,  e  piacen- 
dogli la  città,  i  costumi  e  modi- degli  al»* 
tatori ,  deliberò  di  non  tornarsene  altri- 
menti in  Milano,  ma  quivi  fermarsi.  E  per- 
chè a  casa  non  aveva  lasciato  se  non  la 
madre  già  vecchia,  e  di  lèi,  pochi  giorni 
innanzi  che  a  Pisa  capitasse ,  avute  novel- 
le come  passata  era  di  questa  vita ,  di  là 
levato  ogni  speranza ,  in  Pisa  la  messe , 
ed  elessela  per  sua  abitazione,  dove  me- 
dicando ,  in  poco  tempo  e  con  molta  uti- 
lità ricco  divenne ,  e  si  faceva  chiamare 
Blaestro  Basilio  da  Milano.  Per  la  qual  co- 
sa avvenne ,  che  alcuni  Pisani  cercarono 
di  dargli  moglie,  e  glie  ne  arrecarono  mol- 
le per  le  mani  prima  che  egli  si  conten- 
tasse. Alla  fine  una  gliene  piacque  che  né 
^dre  ne  madre  aveva ,  di  nobil  sangue  » 
n^L  povera ,  e  solo  una  casa  gli  diede  per 
^Oe,  nella  quale  il  maestro  allegrissimo  « 
fate»  le  nozze,  e  menatala  ,  si  Uirnò  ad 
Abitare  ,  dove  in  roba  e  in  figliuoli  cre- 
^eecdo,  molti  anni  insieme  lietamente  me- 
>>Vono  la  vita.  Ebbero  tre  figliuoli  maschi 


dei 


ed  tiòa  fetmniQa,  la  quale  in  PUa  al  lem- 
debito  la  marilaronOf  ed  al  maggiore 
ei  ìcnro  figliooli  diedero  donna;  il  aicore 
Attendeva  alle*  lettere,  perrìocchè  il  mezza- 
no ,  che  Lazzaro  aveva  nome ,  più  tempo 
per  imparare  aveva  spesò ,  e  si  era  io  va- 
no affaticato,  poco  dilettandosene,  e  pi- 
^ro  ancora  e  'duro  V  ingegno  avendo,  era 
multo  maninconico  di  uatara ,  astratto  'e 
aolita  rio ,  di  pochissime  parole,    tanto  ca- 

Sarbio ,  che  quando  egli  diceva  nna  volta 
i  uo,  tutto  \\  mondo  non  Taverebbe  po- 
tato rimuovere.  Onde  il  padre  cosi  goffo 
e  zòtico  e  provano  conoscendolo ,  dispose 
di  levarselo  dinanzi,  e  Io  mandò  in  villa^ 
dove ,  poco  lontano  dalla  città ,  quattro 
beile  possessioni'  comprato  aveva  «  alle  qua- 
li egli  lietamente  dimorando  ,  si  viveva , 
più  assai  piacendogli  i  contadineschi  ,  che 

I  costumi  civili.  Ma  passati  dieci  anni,  che 
maestro  Basilio  ne  aveva  mandato  Lazzaro 
io  contado  ,  venne  in  Pisa  una  strana  e 
pericolosa  malattia ,  che  le  persone  infer- 
mavano di  una  ardentissima  febbre,  e  s^ad- 
dormentavano  di  fatto,  e  cosi  dormendo., 
senza  mai  potersi  destare,  si  morivano,  e 
per  vantaggio  «^appiccava    come    la    peste* 

II  maestro  desideroso  ,  come  gli  altri  me- 
dici, del  guadagno,  fu  de* primi  che  ne 
haèdicassero,  tanto  che  in  poche   volte    se 

S^i  attaccò  r  Iniqua   e    velenosa    infermità 
il  fto«ie.  che  non  gli  valsero  sciroppi  o  me- 
dicioe»  che- m  poche  ore'rucoise»  e  tanlp 


t86  SECOHDA   CBUÌl. 

fa  ornale  e  coaugiosa»  che- a  gU  altif  djL 
casa  8*appìacò  ;  di  modo  che  per  ìtoa  .eoa-' 
larvi  mmatameote  ogni  particolarità,  tal», 
ti  qaanti  uno  dopo  Taltro  maudò  flottecMì^. 
e  solo  uii:«  fantesca  \ecchia  vi  rifnasé^viyay 
€  cosi  per  tutta  Pisa  fece  grandissimo  dap? 
no^  e  Taverebbe  fatto  maggiornQiente,^  §9 
non  che  molte  genti  se  ne  |)artirono.  Mb 
venutone  tempo  nuovo*  cessò  la  mala  io- 
floenia  del  mortifero  morbo^  c^e  in  quel* 
li  tempi,  e  da  quelli  tali  fu  dettò  i)  nil 
del  vermo^  e  le  persone  rassicurate  alln 
città  ritornando»  ripresero  le  medesiinif 
faccende  e  i  salili  esercizi.  Fu  cbiumatf^ 
Lazziiro  in  Pisa  alla  grandissima  e  riccbis;* 
sima  eredità^  il  quale  entrato  io  ppss^ssio^ 
ne ,  solo  uu  famiglio  con  la  vecchia  fsn» 
lesca  pres^  di  più«  e  raffermò  il  fattore 
che  attendeva  ai  poderi  ed  alle  raccolte» 
Tutta  la  terra  cercò, iu  un  tratto  di  dar- 
gli moglie  «  non  guardando  alla  rossezza  t 
né  alla  caparbietà  sua  ^  ma  egli  risoluta- 
mente rispondendo  che  voleva  stare  quat- 
tro anni  sènza,  e  che  poi  ci  penserebbe  9 
non  glie  ne  fu  detta  mai  più  parola,  sa- 
pendosi per  ognuno  la  sua  natura.  £gU 
attendendo  a  far  buona  vita,  non  si  voler 
va  con  uomo  nato  addimesticare,  anzi  fug- 
giva più  la  conversazione  degli  uomini,  ch^ 
i  diavoli  la  croce.  Stavagli  a  dirimpetto  4 
casa  un  pover  uomo,  che  si  chiamava  Gabr 
briello,  con  la  .moglie  ,  che  Santa  avevit 
nome  ^  e  con  due  lìgliuoli.  Tua    maschio 


If  OSELLA    !..  187 

di'  Cinque,  •  V«ltra  femmina  di  Ire  aoùi, 
non  a?endo  che  una  piccola  casetia.  Ma 
Gabbrìélki  il  pi|dre  era  ottimo  pescatore  e 
uceoJlatore ,  e  maestro  di  far  reti  e  gab« 
bìe  perfetto,  r  cosi  de*  sudori  del  pescare 
ed  uccellare  il  meglio  clie  poteva  sostenta- 
va te  e  la  sua  famiglia  9  coirajulo  nondU 
meoò  della  moglie,  che  tesseva  panni  lipr. 
Era,  come  volle'  Dio,  quesip  Gabbriello 
tanto  somigliante  a  Lazzaro  nel  viso.,  i;be 
pBiseva  una  uiaraviglia  ;  ambi  erano  di  pel 
rosso,  la  barba  avevano  d*una  grandezza 
•  -  una  foggia^  e  d^un  colore  medesimo^  tal 
obe  sembravano  nati  ad  un  parto ,  e  poo 
solo  di  persona  e  di  statura  conformi,  ma 
erano  di  un  tempo ,  e  come  bo  detto,  di 
maniera  si  somigliavano  >  che  essendo  sla- 
ti vestili  a  una  guisa  istessa,  non  si  sareb- 
be trovato  di  leggici!  chi  ^\i  avesse  Tuno 
dall'altro  saputo  conoscere,  e  la  moglie 
istessa  ne  saria  rimasta  ingannata  ,  e  solar- 
mente le  vestimcnta  vi  ponevano  differen* 
Ma ,  perciocché,  questi  di  rozzo  panno  ,  e 
quelli  dì  finissimo  vestiva.  Lazzaro  adunque 
reggendo  uel  suo  vicino  tanta  somiglianza 
di  se  slesso  ^  pensò  che  da  gran  cosa  ve- 
nisse ,  ne  dover  poter  essere  senza  ragione, 
«  cominciossi  a  dimesticare  seco,  ed  a.  lui 
ed  alla  moglie  mandare  spesso  da  mangia- 
re e  da  bere.  Sovente  invitava  Gabbriello 
a  desinare  ed  a  cena,  ed  insieme  avevano 
mille  ragionamenti ,  e  gli    faceva    credert 


lÈÒ  nàofUDk  enfi. 

a  colur  le  più  belle  cosò  del  mondo^  pei^ 
ciocché  «  qua jtnoqoe  d*  umH  '  naùone  • 
povero  fusse ,  era  nondimeoo  aslàlo  é  aa^ 
gacÌ8SÌcùo«  e  sapeTagii  andare  ai  vera,  trat« 
tenerlo  e  piaggiarlo  ,  dimodoché  Lassarli 
non  sapeva  vivere  seosa  lui.  Costui  «  ciàìa 
Tolta  fra  ralire^  avendolo  seco  a  desinare^ 
già  forgile  le  vivande  più  gròsse  »  entra*' 
reno  ragionando  sul  pesdire ,  ed  avendo* 
gli  mostro  Gabbriello  diversi  modi  di  pe^ 
scagioni ,  Tennero  sopra  il  tuffarsi  con  I0 
vangaiuole  al  collo, e  di  questo  m«dó  dia* 
se  tanto  bene ,  e  come  gli  era  tanto  ut!"' 
le  e  dilettoso  ,  che  a  Lazzaro  venne  vo- 
glia grandissima  di  vedere  in  che  manie» 
ra  si  jpotesse  pescare  tuffandosi  ,  e  si  pi- 
gliasse cosi  grossi  pesci ,  non  pure  con  le 
reti  e  con  le  mani ,  ma  con  la  bocca  an- 
cora, e  ne  pregò  caldamente  il  pescatore^ 
al  quale  rispose  Gabbriello^  cbe  a  ogni  stia 

{)psta  era  apparfccbìato ,  se  bene  egli  yo«- 
esse  allora  ;  perciocché  essendo  nel  cuore 
dell'  estate ,  agevolmente  lo  poteva  servire» 
Sicché  rimasero  d*  accordo  d*  andarvi  su- 
bito ,  e  levatisi  da  tavola  ,  s*  uscirono  di 
casa  ,  e  Gabbriello  tolse  le  vangai  j noie ,  e 
con  Lazzaro  insieme  se  n'andò  fuori  dèl- 
ia Porta  a  mare  sopra  Arno  rasente  una 
palafitta  ,  che  re;;geva  un  argine  ,  dove 
erano  infiniti  alberi  ed  ontani ,  che  alta* 
niènte  stendendosi  all'  aria  ,  sotto  ,  dolce  e 
fresca  ombra  facevano  ^  e  quivi  arrivati  p 
Gabbriello    disse  a    Lazzaro  che  si  ponesse 


NOTELLà     l.  189 

•edere. al  reizo,  e  lo  stesse  a  vedere,  e 
pogliaioti  nudo  si  acconciò  le  reti  alle 
raccia,  e  Lazzaro  in  su  là  riva  messosi  % 
edendo  aspettava  quello  che  far  dovesse 
f  A.  to^to  G&bbriello  entrato  nel  fiume  »  e 
OMO  r  acqua  tuffatosi  ,  perchè  di  quella 
eli  era  maestro  eccellente  »  c^on  stette  gua^ 
ì,  che  a  galla  tornando ,  nelle  vangajuole 
vèva.  otto  o  dieci  pesciotti ,  tutti  di  buo^ 
19  fatta.  Parve  a  colui  un  miracolo ,  vegr 
|endo  come  sotto  Tacqua  cosi  bene  6Ì  pij- 
;liavano;  onde  gli  nacque  subito  nel  peu; 
iero  ardentissima  voglia  di  veder  meglio  » 
i  per  lo  cocente  sole  ,  il  qu^le  ,  sendo  a 
aezzo  il  cielo  •  direttamente  feriva  la  ter; 
"a ,  dimodoché  i  raggi  suoi  parevano  di 
lacco,  pensò  ancora  di  ri n fresca rse  ,  ed 
ijatandolo  Gabbriello  si  spogliò^  e  da  co- 
ai  fu  menato  dove  era  l' acqua  a  fatica 
ino  al  ginocchio ,  iu  luogo  che  piacevo!;' 
[ìaente  correva  al  cominciare  del  tondo,  e 
jaivi  lasciatolo  ,  gli  disse  che  più  avanti 
Qon  venisse  che  un  palo ,  che  alquanto 
K>pravanzava  gli  altri;  e  mostratogliene,  sji 
Siede  a  seguitare  la  pescagione.  Lazzaro 
guazzando  sentiva  una  dolcezza  incompa- 
rabile, rinfrescandosi  tutto  quanto,  stando 
I  veder  colui ,  che  sempre  toroava  in  su 
con  le  reti,  e  con  le  mani  pieue  di  pesci, 
e  più  d'  una  volta  per  piacevolezza  se  ne 
metteva  in  bocca  ,  laoto  rhe  La/zùro  nis^- 
rayiglìandosi  fuor  di  modo  pensò  certo  p 
che  ^Up  r  acqua  si    potesse    veder  lume,, 


t9o  sEomok  eai^A. 

BOQ  tendéti  egli  giftaimai  tafbtof  iafefiià*^ 
giaaadofi  •!  bujo  non  esser  ikiai  yoiiihìto' 
pigIkrM  Unti  pesci.  Volendo  jciuàriisi  ^  <S9^ 
me  Gftbbriello  faceva  a  pigliarli,  un  tnt* 
lo  che  colai  si  taCfò ,  aoene.  egli  mam  fl 
4oapo  ,  sensft  pensare  altro  $  e  lascioisi  ma* 
dare  sotto  TaCqua»  e  per  meglio  aecerlafi- 
ai ,  vicino  al  palo  venne  ;  il  qnale ,'  epme 
ie  di  piombo  slato  fosse,  se  irandò  sd  Ieri- 
dOf  e  non  avendo  arte  né  di  rilenere  VéH' 
tOi:im  di  notare,  gli  parve  strana  cnsBf.t 
ceftatà  dimenandosi  di  tornare  in  soao^ 
«d  etatrandc^Ii  V  acqua  non  sólo  per  boG^ 
ea ,  ma  per  V  orecchie  e  per  il  naso  an^ 
Cora,  ed  egli  scotendosi  pure  in  vano  len« 
taiva  d*  nsctrne  ;  perciocché  quanto  più  si 
idimeoava ,  tanto  pi»  la  corsia  lo  guidavi 
nel  sopracapo,  dimodoché  iti  brevelo  aba- 
lordi. G:«bbrieilo  ^n  una  gran  buca  di 
3 nella  palaiitta  entrato ,  dove  V  acqua  gli 
ava  Ap])auto  al  bellico,  perché  molti  pe* 
sci  vi  seniiva  ,  per  empierne  ben  le  van- 
ga] uole  ,  fìon  si  cubava  uscirue  cosi  loato*^ 
onde  il  misero  Lazzaro  venuto  messo  inM- 
lo  due  e  tre  volte  a  galla,  alla  quarta  noa 
ritornò  più  iu  suso,  ed  affogando,  talto- 
ramef,te  forni  la  vita.  Gabbrielìo ,  aveiido 
preso  quei  pesci  che  gli  parevano  abbastan- 
za ,  colla  rete  pieùa  ne  venne  fuori ,  ed 
allegro  si  volse  per  veder  Lazzaro  ,  ma  in 
qua  e  io  là  girando  gli  occhi  ,  e  non  lo 
vergendo  iu  alcun  luogo  ,  maraviglioso  e 
pauruso  divenne }  e  cosi  attonito  staado^ia 


KOTELtÀ    T.  f gt 

li  Tenfle  riva  vide  i  panni  suoi  ;  dU 
b  ibrte  tarbato ,  e  più  che  prima  dolo- 
io  e  malconlento  coasiociò  a  guardarne 
r  r  acqua ,  ed  appanto  ¥Ìda  alla  fine 
I  fendo  il  morto  corpo  essere  dalla  cdr- 
stato  gittate  alla  proda.  Sicché  di  fatto 
lente  e  tremante  là  corse  9  e  trovato 
ìtuirò  affogato ,  fu  da  tanto  dolore  ,  e 
cosi  fotta  panra  sopraggiunte^  che  qua- 
mavcatogli  ogni  sentimento,  a  guisa  d'un 
ISO  venne;  e  cosi  stato  alquaoio,  o;aopra 
a  pensando  »  non  sspeva  risolversi  a  nul- 
^  temendo^  nel  dire  la  verità,  ohe  h  gM- 
ndù  dicesse,  che  da  lui  fosse  stato  alfo- 
ìa  per  rubarlo  ;  pure  fatto  della  necei^- 
k  virtù,  e  per  la  disperazione  diventala 
dito  si  deliberò  di  mandare  ad  effetto  Bn 
onero  ,  che  allora  gli  era  tenuto  ndlV 
BUI ,  e  non  vi  essendo  testimonj  inter- 
ra perchè  al  fresco  o  al  dormire  era  la 
igfpor  parte  della  gente  ».  la  prima  cosa 
esse  i  pesci  e  le  reti  che  aveva  in  una 
Ketta  perciò  fatta  ,  e  poi  prese  il  morto 
rpo'  di  Lazzaro  io  ispalia ,  e  ancora  che 
iire  fosse,  in  su  Tumida  riva  lo  eondus- 
«  e  fra  le  verdi  e  rigogliose  erbette  lo 
ée ,  e  cavatosi  le  mutande ,  il  primo 
Étto  gliele  messe ,  e  dipoi  avendosi  sciol- 
le  reti ,  alle  braccia  dello  affogato  Liaz- 
iro  le  legò^ fortemente  ,  e  di  nuovo  pre-- 
lo,  e  con  lui  nelP acqua  tuffandosi,  e  al 
Udo  condottolo ,  gli  attaccò  ed  af  volse 
vanga juòle  a  un  palo,  ed  in  guisa  altra- 


ìg»  ssooudìl.  xxnx. 

Vènólle,    che  con  gran  falica    éipote^M 
•Vitappare ,   ed    in    su    ritornato ,  e  nella 
riva  Millo ,    la    oa«iicia   prima  ,  •€   di  poi 
aucce«8Ì?amènie   lutti  i    panni    infioo   alfe 
acarpette  di  colui   si  messe  ,   e   si    pose  a 
sedere,  avendo  disegnalo^  di  fiar  pcova  e  di 
tentare  la  fortuna  ,  prima  per  salvarsi  ^   e 
poscia  per  vedere  se  una  volta  poteva  (^foi- 
re  di  stento  »  e  provare  se  il  coiauto  somj- 
gliar  Lazearo   gli  potesse    esser  (c^agion^    di 
somma  felicità  e  di  perpetuo  bene.  E  pec- 
che egli  era  saputo  ed  animoso^  parendo- 
gli otta    di  dar    prinofifiio    alla    non  meno 
pericolosa  ,  cbe  ardita  impresa  ,    a  gridare 
incominciò  ,  come  se  Lazzaro  ,  ed  a  dire  : 
O  buona  gente  ,  ajuto  ,  ajuto  ,  ohimè  cor- 
rete qua  ,  e  soccorrete  il  povero    pescato- 
rè  ,  cbe  non  ritorna  a  galla  !    e    gridaudo 
quanto  della  gola  gli  usciva  ,   tanto  disse. ^ 
che  II   rnngnajo  lì  vicino  con  non  so  quan- 
ti  i' M  ìaiiùi  là  corsero  al  remore  ,  e  gros- 
samente   parlando    Gabbriello  ,     per    bei^e 
contraffare  Lazzaro^  quasi    piangendo  fece 
loro  intendere ,  che  il    pescatore,    sendofi 
tuffato  molte  voile  ,  e  molti  pesci   avendo 
preso ,    r  ultima    era    stato    (juasi     un'  orA 
sotto  acqua;  perlochè  egli  dubitava  forte • 
che    non    fosse    affocato,  e   domandatoceli 
coloro  per  ilove  tuiCiio  s'era ,  mostrò  loro 
il  palo  ,    al    quale    aveva    avvolto    f^zzaro 
nel  mo{lo  che  sapete.  Il  mugnajo  amicissi- 
mo di  Gabbriello  si  spogliò  subito  ,  e  per- 
chè e*;li  era  bvjuissimo  UMtatore ,    si    tuffò 


imftLLk  li  tg8 

■  pie  di  qnél  palo ,  ed  in  un  tratto  trovÀ 
colai  morto  iolornogli  av?ilappato«  e  cer* 
iSftto  avendo  di  tirarlo  seco  »   non    1'  aveva 
potuto  tciorre  »  pien    di  dolore  in  sa  tor- 
nò 9  gridando  :   Ohimè  che   il  meschino  è 
rippiè  di  naesto  paio  con  le  reti  avvoltosi  » 
senza  duboio  ninno   affogato   e  morto  !    I 
compagni  sbigottiti    mostrarono  con  parate 
o  con  gesti  ^  che  fuor  di  modo  ne  dolesse 
loro  9  e  due  spogliatisene  col  magna jo  in- 
sieme tanto  fecero  »    che   V  affogato  corpo 
tìpesearono  »   e   fuor  dell*  acqaa   in  su  la 
viva  condussero  9  avendo  alle  braccia  mez- 
10  stracciate,  e  ratte  le  vangajuole;  qaelle 
incolpando^  che  per  essersi   attaccate 9   gli 
fossero  state  cagione  di  disperata  morte.  C 
coA  spargendosi  la  novella  intorno  9  venne 
nn    prete    vicino  9    e   finalmente    in    una 
liara  messo,  fu  portato  a  una  Chiesicciuola 
poco  quindi   lontana  ,  e  nel  mezzo  posto  » 
acciocché    vedere    e  segnare    lo  potesse  la 
brigata  ,  tenuto  da  ognuno  per    Gabbriel* 
lo.  Era  già  la    trista  nuova    entrata  in  Pi- 
sa 9  e  già  agli  orecchi  della  sfortunata  sua 
donna    venuta  ,    la    quale   piangendo    con 
i   saoi    figliuolini    là    corse  9    da    alquanti 
sani  più  stretti   parenti   e  vicini   accompa- 
gnata 9  ed    il  non    suo    marito   cosi  morto 
nella  Chiesicciuola  veduto  9  credendolo  des- 
so veramente  ,   se  gli   avventò   di   fatto  al 
rtio  9    e    piangendo    e    stridendo    non    si 
HHMva  a  baciarlo  ed  abbracciarlo  9    e    ad- 
lossogli  gridando,  scinta  e  scapigliata  9  floa 
téosca.  z3 


S|fg4  aiooffsÉ'  «iif  A. 

xtMtfvt 'di 'ddierai  •  di  >  qnnltttfioarri" 

i   8ilb^'flgliiiolÌQÌ  9    che  talli  leneniaienlB 

piangefàofo  «  che  ogni   pcrionè  d^-inloreD 

*per  la  pietà  «  oonifMMioiie .  hicriaiava.  Oa» 

*de  Gaboriellotcosie  coioi  cIm  molto  bene 

tifile? a  alla  sua  donna  ed  ai  figlinoli  ^  non 

'poteTìi  leoere   il    pianto  t   troppo  -di  Jena 

^ocreiMsendògli ,  e  cosi    per    cooCartara   Jn 

*tv^ppo  afflttla  e  manineonica  mogfie^  !•>- 

*-nendo  nn  caj^peUo  di  Lasserò  qoaai  moL^ 

niNccbi ,  ed  al  tiso  no  fassoletto  per  rascia- 

'^rti  4e  lacrime  t  da  lei  e  da  ciaschedmiD 

'per  Lassare  kennto ,   con  Toce  roca  dime 

*Ìii    presenta   di    tatto  il  popolo  ;  O   don- 

\i'9L  j  non  li  disperare  «  non  piangere  9  dke 

-io  non  sono  per  abbandonarti  ;  conciossit- 

*cosacbè  per  mio  amore ^  tuo  marito,  ep#r 

•dfirini  piacere  «  oggi  a  pescare  contro   soa 

doglia  si    mettesse ,   a    me   pare  della  siia 

'morte  e  del  lianoo  tuo  e^scre  stalo  in  par* 

"te  cagione;  però  ti  voglio  ajutare  sempra» 

ied  à  te  ed  ai  tuoi  iigliuoli  dare  le  spese  ; 

"'éitcbe  resta  ornai  di  piangere ,  e  datti  ph- 

'^cé^  lorndndotene  a  casa  ,  che  meotre  che 

\id>  f iferò  9  non  ti  mandusrà   mai   cosa  al- 

'^òunat  e  se  io  muojoy  ti  lascerò  in  modo» 

''che  da  tuoi  pari,   ti  potrai  chiamar  cosk 

'tenta  ;  e  quesf  ultima   parola  disse   piaci- 

g'^ndo  é  stngoixando ,  come  della  morte  di 
tbbriellD  e  dei  danno  di  Jei  grincrescea- 
;Se  fuor  di  misura  ;  e.  cosi  come  se  La^aa- 
rd  fesse  I  se  ubando  molto  laudato  e  com- 
*  metidalo  alalia  gente*  La  Santa  ^  af  ondosi 


'mm/Là,  ik-  Jf95 

gU  cechi  per  lo  trop{K>  lacrimare , 
#  la.  liDgiia  per   lo  so? erckio   rammancav* 
fli  «  e  Tenuta  già  Torà  di  seppellire  il  mor- 
io  corpo,  da  pareoli  accompagoata   ae  ijte 
terno  in  Pisa  «Ila  sua  abitazione  «  confoc- 
iata.  alquanto    dalle  *  parole   dà  colui  »  che 
&rmameote. pensa ?a  esser  Lassare   suo  ti- 
moBi  Gabbriello  »  che  Laizaro  somigUaTa  m 
jSera   fallo   lui  9  già   per   tiaszaro   in  casa 
Canaro  entralo  »   pere  ho   tatti    i    cosluoi 
cooi  »  sendo*  ben  £iaiilia,rtssinio  di    casa^ 
«elio  ben  sapeva,  senza  salutare,  se  n^era 
«ndato  in  una  ricca  camera ,  che  sopra  aa 
èdUissimo   giardino   risponde? a^  e  caTatp 
«k  chiafi  della  scarsella  del   morto  padrc^ 
ne ,  cominciò  ad  aprire  tutti  i  cassoni  e  le 
-•asse ,  e  trovato  nuove    eh ia vicine ,  fbrsi^ 
■fif  cassette^  scanoelli  e  cassettini  aperse^ 
dove   trovò  senza    l'arazzerle,   panni   lani 
't.  lini ,  del  velluto  ed  altro  drappo ,   mol- 
te ricche  robe,  che  del  padrone  medico  m 
dei  fratelli  dell*  affogato  Lazzatti  erano  ata- 
•te;  ma  sopra  tutto   quel    che   gli    fu  pia 
iOaro ,  furono ,  lasciando  da  parte  le  dorc- 
.rie  e  le  gioje  ,  forse  due  mila  fiorini  d^oro^ 
ifi. da  quattrocènto  di  moneta,  di  che  lic- 
«4i$simo  non  capiva  in  se   per  Pallegreaza  ^ 
l^nsando  sempre  come  far  dovesse  per  mc- 
'glio  potersi  celare  a  quelli  di  casa  ,  e  far- 
^  ■  leqere  per  Lazzaro.    Cosi   sapendo  otti- 
•mamente  la  natura  di  luì ,  in  su  Torà  deU 
'la  cena  sgusci  di  camera  quasi  piangendo. 
>U^  Simiglio  e  la  serva j>  che  J»  sciagura  delr 


U  Stnta  intese  avevano  «  e  conie  ti  àìttim 
I^isfaro  efserne  ttalo  io  bnoiift  parte  x«r 
gùioe  9  «  crederono  che  di  Gabl^ridlo  1% 
orimeMè  {  ma  egli  9  cliianuito  il  aenrilere^ 
fece  torgli  sei  coppie  di  .panet  e  empier  di 
doe  .fia0obi  di  tino  »  e  con  la   metà  ddie 
cena  lo  mandò  alla  Santa  ;  di   che  la  m» 
achina  jpoco  A  rallegrò  9  non  ^  fiueodo  mm 
alt^o  che  pian^^occ.  li  famiglio  rìtoniato^ 
dette  ordine  di  cenare  »  e  Gabbridlo  jpoco 
mangiando  9  per  pi&   Latzaro  somigliare  9 
da  taTÒla  finalmente  fi    partì  aensa  altri- 
meliti  '  bvellare  9  '  e   serrossene   in  camera 
air  usanza  di  colui  9  donde  non  uscirà  mai 
ae  non  la  mattina  a  terza.  Al  serro  ed  al- 
la fantesca   parre  eh*  egli  avesse  alquanto 
cambiata  cera  e  favella  ;  ma  pensavano  che 
fosse  per  lo  dolore  dello  strano   accidente 
del  povero  pescatore  9  ed  air  usanza  cena- 
to 9  quando  parve  lor  tempo  9  se  n* anda- 
rono a   letto.    La  Santa  9  dolorosa  9   man- 
ipato  alquanto  con  i  suoi  figliuoli,  da  non 
ao  che  suoi  parenti  consolata*   che   buona 
aperanza  le  diedero  9  veduto   la   prebenda 
da  lui  mandatole  9  se   ubando  a  aormire» 
e  i  nareoti  presero,  licenza.  La  notte  Gab^ 
brtefìo  più  cose  volgendosi  per  la  fantasia9 
non  chiuse  <|uàsi  mai  occhio,  ed  allegrif- 
aimo  la  mattina  si  levò   air  otta   di  Lazz«* 
ro  9  che^  sapendo   Pusanza  9  il  meglio  c^e 
aajpeva   imitandolo  9  si  passava    il    tempo  9 
non  lascia ndo-4Bancar  niente  alla  sua  San- 
ta •  Ma  aendpgli  ridetto  dal  servitore  9  .che 


iroTiLLA  1/  tyf 

tfla  non  rcsUfa  di  laméntarst  e  di  piaa- 
^etre,  come  oolui  che  quanto  altro  marito 
óbe  amasse  mai  moglie,  teoeramente  Va- 
ttiava  \  troppo    doleodosi    del   suo  dofore  » 

CASO  di  racconsolarla ,  '  ed  essendosi  riso- 
io  di  quanto  fare  intendeva  »  un  giorno 
dietro  mangiare  se  ubando  a  lei  dentro  la 
sua  casa  \y  e  perchè  di  poco  Tera  aegnilo 
il  caso  9  la  trovò  da  un  suo  f ratei  €ogino 
àooompàgnata.  Onde  egli  fattole  ioiend^re^ 
die  parlar  le  voleva  per  cosa  d^ifluporlaii- 
alt  oolui  sapendo  la  carità  che  le  taceva  « 
Mr  non  turnarlo,  subitamente  prese  dai 
M  commiato ,  dicendole  che  ascoltasse  il 
Meloso  suo  vicino.  Gabbriello»  tosto  che 
id  partito  colui,  serrò  l'uscio ,  ed  in  sua 
piocola  cameretta  entrato  »  accennò  alla  San- 
ta »  che  là  andasse,  la  quale  dubitaudo 
forse  deironore,  a  quel  modo  solii  rima- 
sta 9  non  si  sapeva  risolvere ,  se  colà  den- 
tro andare  o  restar  quivi  dovesse  ;  pur  poi 
pensando  air  utile  ed  al  benefizio ,  che  da 
colui  traeva,  ed  aspettava  di  trarre,  preso 
)er  la  mano  il  niaggiore  de'  suoi  figlino* 
mi  9  in  camera  se  n^  andò  «  dove  colui 
sopra  un  lettuccio ,  nel  quale  quando  era 
•tracco  posar  si  soleva  il  marito  »  trovò  a 
|;ìacere  ,  e  maravigliosa  si  fermò.  Gabbriel- 
lo  ,  Tcdulo'  seco  il  figliuolino ,  con  un  ghi- 
o  dèlia  purità  della  sua  donna  rallegran- 
Gii  •  ed  a  lei  rivolto ,  una  parola  ,  che 
era  molto  usato  di  dire  i  ie  disse  ;  di  che 
k  Santa  più  ehe  mai  maravigliosa  stava 


Ito 


J^V  SECOlfDjL'  €flf à« 

lulta  flonpesa  ^quando  GabbriéHo^  PtcA 
in  collo  il  figliuoliiiOy  baciandt^lo  ^  disie  : 
Tua  madre y  noti  conoscendo,  ]^iaoge')a 
ana  ventura  e  la  felicità  di  lei  e  dd  sub 
marito.  Pure  di  lui ,  come  che  piccoltilo 
fosse  f  non  fidandosi ,'  con  ^etso  in  collo*  in 
sala  se  ne  venne  »  e  da  quelP  altro  mea*^ 
solo,  datogli  non  so  quanti  quattrimi  »  l6 
lasciò  che  si  trastullasse,  ed  alla  moglie^» 
che  pensando  flHe  dette  parole  quasi  rìc<H 
ìiosciuto  FaTCTa  ,  tornato  ,  rusciò  della  ca- 
melea serre  a  stanghetta ,  ed  iscopertòlé  d& 
che  fatto  aveva ,  ogni  cosa  per  ordine  le 
narrò  ;  di  che  la  obnna  fuor  d*ogni  guisa 
umana  si  rendè  lieta,  certificata  per  mol^ 
cose ,  che  tra  loro  due  erano  segretissi- 
me ,  e  giojosa  non  si  saziava  di  stringerlo 
e  d^abbraccìarlo ,  tanti  baci  per  rallegretta 
rendendogli^  vivo  trovatolo ,  quanti  per  lo 
dolore  dati  gli  aveva,  morto  credutolo.  E 
piaogeodo  insieme  teneramente ,  per  so- 
cerchia  letizia,  Tun  dell* altro  le  lacrime 
bevevano ,  tanto  che  la  Santa ,  per  megKò 
accertarse ,  volle ,  e  per  ristoro  della  paa- 
aafa  amaritudine,  il  colmo  della  doleezn 
gustare  con  il  caro  suo  marito,  il  quale 
non  se  ne  mostrò  punto  schifo ,  forse  mag^ 
gior  voglia  di  lei  avendone  ;  e  così  la  don- 
na più  a  quello  •  che  a  uiun*  altra  cosa 
lo  conobbe  veramente  per  Gabbrìeilo  pe- 
scatore ,  suo  legittimo  sposo.  Ma  poiché 
essi  ebbero  presosi  piacere ,  e  ragionato 
assai  9   avvei^tendola  Gabbriello ,    le  d  ìsse 


fbft'  fingere  le  bisognava  ooo  m.ene  che  u- 
«cere  9,  e  le  mostrò  quanto    felice  essfr  pq^ 
fera  la  vita  loro,  racconlaudole   di  iiu'^vo 
ìm  rtochezze  cbe  trovale  afera  «  e  uarralole 
tatto   quello  che  iotendeva    di   fare,  che 
molto  le  giacque  ^  sgusci   seco   di  camera^ 
La  Saota,  fingendo  di  piangere,  e  ajireqi- 
^9  quando  Gabbdello  fu  fuori  deirnsció, 
ed  a-  mezzo  la  strada ,  disse  $  da  molti  seur^ 
tica:  Io  ti    raccomando  questi  hambolipi* 
JGoluf  dicendo  che  non  dubitasse,  si  torno 
ìtL  casa  ,  pensando  come  pm  accenci^ment^ 
menar  potesse  ad   effetto  i  suoi  pensieri^» 
#  colorire  i  suoi    disegni.   Venne    la  sera^n 
>Jtà  egli ,  osservati  i  modi  cominciati ,  fop* 
.aito  dì  cenare ,  senza  altro  dire  andatos^r 
ae  in  camera  ,  si  messe  nel  letto  per  dor- 
mire ,  e  quasi  tutta  la  notte    sopra   quella 
che  di    fare    intendeva    pensando ,  popò  p 
aieate  potette  chiudere    occhio ,    e  non  $1 
tosto  apparve  Talba  in  Oriente ,  che  levato 
ac  n*andò  alla  Chiesa    di  Santa  :Catterina, 
nella  quale  abitava  allora  un  venerabii  re- 
ligioso ,  divoto  e  buono ,  e  da    tifiti  i  Pi- 
•ani  tenuto    per   un    santerello ,    il    qu«ile 
latto  chiamare ,  che  .  frate  Angelico  aveva 
acme,  gli  disse  che   bisogno    aveva  gran- 
dissimp  di  favellargli ,  per  consigliarsi  seco 
d*un  importante  caso  e  strano  «  che  gli  era 
iaterveiiuto.    Il    buon    padre  misericordio- 
eo ,  ancorché  non  avesse   sua   conoscenza  t 
lo  menò  in  camera,  facendosi JUaz/Aro    dt 
\tMia  Basilio  da^  Milai^o ,  xoa^  ^colui  cba 


I  • 


£ 


a««  ,  muMùà: 

hniiàmo  ìtt  npcM  »  taUs  ^  ami 

EDatlògifty  é  come  per  la  |iiwilj|' 
h  Mio  rÌMiiie8ie 9  e  1* altre  etm.mtM''^ 
nano  in  mano.»  tanto  che  a  Gahniialtoc^ 
Tenne  t  e  gli'  raccontò*  tolto  qoetlè.die  ìb«^*  ! 
tomo  a  do'  accaduto  gli  era  ,  e  -ffi  dell»* 
a  eridbrcf  come  per  veder  feteave  io-aM-.: 
aaMe  eontra  a  soa-fodia  in  Arnot-  e  op". 
mé^  poi  pescando  per  iarg^  piaeeiet  affa-* 
gaitet  e  del  danno,  che  ne  ritallafa  aUa^ 
moglie  ^  ai  figlìnolii   percioechà  poft  a«r. 
Tendo  bene  alcononè  addo  né  mobile ,  dd^ 
guadagno  del  nadre  viférano;  e  parendo- 
li emsere  del  danno  lóro»  e  della  morto; 
ì  lui  in  ^ran  parte  cagione ,  gli  disse  co» 
me  si  sentnra   al   caore   gravoso  peso ,  % 
molto  carica  la  coscienza  ;  però  come  da 
Dio  ispirato  »  disposto  af  e?a  ,  non  ostento 
che  ella  fosse  povera  e  di  bassa  condixio* 
net  di  torve  la  Santa  per  moglict  qoando 
ella  se  ne  contentasse ,  ed  anco  i  parenti 
aooiy  e  del  morto  pescatore   pigliare  i  £•• 
l^iooli  9  come  se  da  lui  «tati  generati  fua* 
aero  »  per  allevarli  e  cosiodirli   per  soci  ^ 
ed  al  paragone  degli  altri  figliuoli  »  che  di 
lui    nascer    potessero  »  lasciarli    eredi ,  ia  - 
qoesto  modo   pensandosi  agevolmente  Po- 
tere poter  trovare  perdono  appresso  Iddio, 
e  commendazione  appresso  gli  uomini.    Al 
psdre  spiritoale  parendo  questa  un"  opera 
|iietosiìt8ima  »  e  veggendo  il  santo  suo  pro- 
ponimento, lo  couìforiò  assai  t  e  consigboUo 
alquanto  più  tosto  f  che  poteva  a  mandarler 


MHto 


«di  effetto  t'  dicendogli  che  se  oiò  faceta  ^.^i 
eerlisiiiDO  fiase  della  misericordia  del  Si-^ 
gMMre.  Gabbriello  >  per  aver  più  presto  e: 
pronto  Ta joto  suo  »  aperta  una  borsa  ^  gli 
rovesciò  innaoxi  trenta  lire  di  moneta  d'ar- 
gento, dicendo  che  iroleva,  che  tre  lo« 
cedi  alla  fila  facesse  cantare  le  Messe  di 
San  Gregorio  per  Tanima  del  morto  pe« 
scatore  ,  alla  cui  dolce  ? ista ,  benché  san» 
tissimo ,  si  rallegrò  tatto  quanto  il  irene- 
rando  frate ,  e  preso  i  danari  «  dijìse  :  Fi-- 
glinolo ,  le  Messe  si  comincieranno  il  pri* 
mo  lunedi  ;  ci  resta  solo  il  matrimonio^  al 
quale  quanto  so  il  meglio  ^  e  quanto  pos-. 
so  il  più  9  ti  conforto  9  e  non  guardare  ne 
a  ricchezze ,  né  a  nobiltà  ^  perchè  di  quel- 
le non  hai  da  curarti  9  sendo  ricchissimo 
ET  la  grazia  di  Dio  ^  e  di  questo  non  dei 
r  conto  ;  poiché  tutti  quanti  nati  siamo 
d*an  padre  e  d*  una  madre  medesima  9  e 
che  la  vera  nobiltà  son  le  virtù  ed  il  te- 
mere Iddio  9  di  che  non  ha  bisogno  la  gio* 
Tane  9  che  ben  la  conosco ,  ed  i  suoi  pa-^ 
renti  bonissima  parte.  Io  non  aon  qui  per 
•llro  y  rispose  Gabbriello  ;  sicché  io  iri  pre* 

So,  che  yo\  mi  mettiate  per  la  via.  Quan« 
o  vorrete  voi  darle  Tanello?  disse  il  fra- 
te. Oggi ,  se  ella  se  ne  contentasse,  rispose 
colui.  Al  nome  di  Dio,  rispose  il  frate, 
lascia  «n  pò*  fare  a  me.  Vattene  in  casa ,  e 
di  là  non  ti  partire,  che  si  faranno  questa 
benedette  nozze.  Sì  che  io  ve  ne  prego  » 
disse  Gabbriello  >  e  mi  vi  raccomando  ;  ed 


904  éE€OnwA  CBH A. 

▼ita  9  dae  altri  6|{Uuoli  nuachi  Mreùdo  »  ai 

3Qali  iroTato   uo    casato    nuofo    gli  fece 
tùamar  de*  Fortunati^  della  cai  stirpe   poi 
nacquero  molti  oomiot  a  nell*  armi^  eiMk 
,4e  lettera  illustri  e  chiari. 


sei 

ROVELLA  II.  ■■   i 

MmrioUo  TessUore  Canuddoìese^  dettò  Fa* 
lànanna^  avendo  grandissima  voglia  di 
morire  »-  è  servito  dalla  moglie  e  dai 
Berna  f  amante  di  lei^  e  credendosi  ve^ 
ramente  esser  morttt^  ne  va  alla  fossa  ^ 
intanto  sentendosi  dire  mllania  sirizza^ 
e  quelli  che  lo  portano ,  impauriti ,  la^ 
sciano  andare  la  bara  in  terra;  onde 
^gli  fuggendosi^  per  nuovo  e  strano  ac* 
indente  casca  in  Arno  ^  e  arde^  e  la 
mog^e  piglia  il  Berna  per  marito. 


N. 


on  meno  avera  fatto  ridere  la  fisivo* 
la  d'Amaranta,  che  maravigliare  la  briga- 
ta, parendo  a  tutti  avere  udito  un  caso  pift 
atravagante  che  nuovo ,  che  6*udis<e  giam» 
mai ,  né  si  potevano  saziare  le    donne  e  i 

E'ovanì  di  commendare  V  accorgimento  e 
sagacità  del  pescatore,  qnando  FJorido» 
che  seguitar  doveva,  disse:  Vei*a mente  che 
il  novdiare  di  questa  sera  ha  avuto  comin- 
ciamento  con  una  favola  cotale  ,  che  Dio 
Teglia,  che  Tal  tre  bruite  non  pajano;  pu« 
re  IO ,  piacevoli  donne,  una  ne  voglio  rac- 
contare ,  che  se  ella  non  sari  tanto  bella 
e  maravigliosa  quanto  la  passata  ,  sarà  al- 
meno più  faceta  e  ridioolosa,  e  pertanto 
più  gioconda  ed  allegra;  sicché  acconcia- 
tevi lutti  quanti  gli  orecchi  e   la   bocca  » 


^eHi  pw  udire ^  e  qoesii  par  iid«tt  /• 
ioggiantt* 

La  peste  del  quartntotto  ^  k  .mécii 
é^  Bencfai  cioè»-  orado  tserUineote  dw  jrib 
itattiio  di  ^i  abbia  «ertilo-  ricordarà»  qkHr 
la  che  con  tanta  doqaensa  icrive  nel  j^w^ 
ctpio  del  ioa  Decamerone  il  digaiilim» 
Àeiter  GtoYanni  Boccaccio  ^  pUi^  waran* 
§lioia  e  pia  celebrata  »  e  pia  di  tpateitt* 
piena  per  lo  essere  da  cosi  grand*  oomr 
imi  d  aokintbile  arte  stata  raccoatat»  »  «lu» 
'iMr  la  Dortàlità  e  per  lo  danno,  anòrnchè 
igrandissnnoyche  ^li  abitatori  de*  nosbl 
paesi. in  quei  tempi  ne  ricevessero ,  fa  de 
non vcompararse  in  alcun  modo  a  quelle 
nostra  del  ventisette;  nostra  dico^  per  éa> 
^eere  stata  a  nostro  tempo.  £  perchè  eia- 
eebeduno  di  noi  se  ne  può  age? olmenle 
rioordare>  perciocché  questa  durò  più  ao- 
aif  che  quella  mesi*  e  se  in  quella  more- 
Tano  gli  uomini  a  diecine^  in  questa  a  oeift* 
iioaja;  se  nella  loro  i  morti  andavano  p 
jòtterrarsi  nelle  bare»  nella  nostra  eranp 
."^rtati  nella  cassa.  Ma  perchè  io  so,  che 
voi  sapete  ciò  bene  come  io ,  scudo  ^tm^^ 
senti  quasi  tutti  voi  ritrovati,  e  se  nOf 
•mille  volte  uditolo  dire,  non  mi  distende* 
rò-  altrimenti  in  raccontare  il  dolore  del|is 
«passate  miserie  nostre;  e  cosi  per  ritorna* 
te  a  quello  che  io  vo*narrarvi ,  dico  che 
^Mssata  questa  influenza,  non  prima  del 
.^quarantotto f  e  le  persone   rassicurate,   e 

U.     "    *  •'  '  •  -■  ■  «       ■ 


^k  tornate  nella  cu  là,  e  riprese  Tusat^ 
Sioceode  e  t  soliti  eserctiiit  era  ia  Camalr 
lloli  un  tessitore  di-  paoni  lini  ^  come  voi 
flapete  che  là  abitano*  restata  di  quattoct 
4ici  •  cbe  erano  ih  famiglia  ,  solo  ed  ai- 
•Ji  bene  stante.  Per-  la  qoal  *  cosa  gli  fu 
dato  moglie,  oon  la  quale  stette  dieci  ao.«« 
ni ^  che  mai  non  ebbe  figliuolo;  pur  poi 
higraTÌdando,  partorì  al  tempo  on  bamb^ 
no  mascbioi  del  quale  il.  padre  ed  ella  fe*^ 
cero  maravigliosa  festa.  E  perebe  egli  n^* 
cqtte  in  domeaica  mattitia  a  buon*  ora,  ^ 
la -sera  Riandatosi  a  battezzare  ^  non  seur 
40  le  gabelle  del  sale  aperte  »  tenne .  p^ 
jeinpre,  e  molto  bene  del  dolce,  e  poseiir 
j^i  nome  Mariotto,  e  per  non  avere  altro 
'che  lui ,  ed  essendo  anche  maschio,  ed  e^ 
Ulino  per  essere  nel  grado  loro,  si  può  dl« 
,  ricchi,  rallevarono  e  nutrirono  iq  taar 
delicatezze,  e  con  tanti  vezsi,  che  v 
aaria  disdetto,  se  stato  fusse  .figliuolo  del 
«conte  dX)rmaguacca.  Il  padre,  quando  l|s 
€gU  in  età,  lo  mandò  a  scuola,  accioccbè 
;cg(i  imparasse  a  leggere  ed  a  scrivere  ,  e 
jperchò  disegnato  aveva  di  ringentilirsi,  far 
•io  Toleva  studiare  a  fine  che  notajo  o  pro- 
eut'atore  o  giudice  venisse ,  e  poscia  dav« 
;gli  una  moglie  nobile,  e  fargli  far  Tarme^ 
««r  trovargli  un  casato,  acciocché  egli  fusse 
'•«uà  persona  da  bene;  Ma  il  detto  Alariot* 
«io  era  di  così  grossa  p^ta,  e  tanto  (onda, 
^i  pelo ,  >che  iu  otto  anni  o  poco  meno^ 
cbe  egli  stette  a  scuola  noa  potette  »  aoA 


ao8  ^    sieoKDÀ  %» a« 

che  a  compitare,  imparare  mai  T  A  B  CL 
Onde  molte  rolte  areodo  detto  il  maaMi% 
che  quivi  si  perdereano  il  tempo  i  dam^' 
ri  t  perchè  A  grotso  cerfdlaccio  avifav 
che  egli  era  come  a  dibatter  Tacqaa  wm 
morta jo  a  Toler  che  egli  imparaaac,  il  pÉk  i 
dre  disperato  lo  levò  da  leggere  «  a  maip 
aelo  al  tdajo;  il  che  quaDtuoqac  poco  bea 
gli  riascisse  «  pure  lo  faoera  maooo  mali 
assai.  Cosi  qaesto  mostro  t  quanto  più  ad- 
dava io  là  t  diventaTa  grosso  e  roiio  ,  e 
con  gli  anni  insieme  »  gli  crescerà  la  dap* 

S ocaggine  e  la  goffena  ;  e  certi  detti,  ei$ 
a  bambino  imparato  aveva ,  non  gli  eri» 
no  mai  potati  uscir  della  mente,  come  al 
padre  ea  alla  madre  dire  «  babbo  e  maai* 
ma ,  il  pane  chiamare  pappo  «  e  bombo  fl 
vino  t  e  quattrini  diceva  dindi  »  e  ciccia 
la  carne,  e  quando  egli  voleva  dir  dormi- 
re, e  andare  a  Ietto,  sempre  diceva  M  &r 
)a  nanna  ;  e  non  vi  fu  mai  ordine ,  che 
il  padre  o  la  madre,  né  con  preghi  né  con 
doni,  nò  con  mìnaccie  ne  con  busse  lo  po- 
tessero far  rimanere.  E  già  diciotto  anni 
aveva  quando  gli  morì  la  madre,  che  mai 
noì  favellava  in  altro  modo;  talché  sao 
padre  n*  era  forte  malrootento ,  ed  i  fan- 
ciulli della  contrada,  i  compagni  ed  i  vi- 
cini gli  avevano  posto  nome  FalanannafC 
non  lo  chiamavano  altrimenti,  ed  erasi  co- 
si per  Camaldoli  diirulgato  questo  sopran- 
nome ,  che  pochissimi  lo  conoscevano  per 


Marioito ,  ed  era  il  soHaueo  e  il  passatem-: 

?o  di  quei  paese.  Tolti  »  Falf  oaoDa .  qui,  e 
alananna  qua  ,  si  pigliavano  di  .lai.  pit«. 
^eere,  e  delle    sue   castronerìe  t  perciodobà 
^aemplicissimo  9  dicera.  e  cred^Yn  oose  fan* 
to  sciocche  e  gofiFot  e  fuori  drogai  conve* 
•'iieTolecza   umana  t    che    piuttosto   ajaimal 
domestico  ^  che   uomo   stimar  si  sarebbe 
potuto.  Cercò  molte  Tohe  il  padre  4^  4ar- 
di  donoa  »  ni  mai  .gli  era   tenuto   fatto  ; 
pure  adendone  una  appostata  che  gli  pia-^ 
'  eeta  9  e  gli  parerà  a  proposito ,.  pensò  di 
-*  farla  chieuère  per  questo    suo  fantoccio  » 
f  .ma  in  questo  tempo  accadde  »  come  toUc 
'<:0ÌQ^'cbe  egli  s*  infermò  e  morissi.   Rima*. 
stD  :  adunque  Falananna   solo ,    con   molti 
'  roba ,  ^n  casa  e  telaja  ,  non  ^atendo    oè 
da  lau^<kdi  padre  né  di  madre  parenti»  gK 
-   amici  ed  i  vicini  gli  furono  addosso  »  e  fili 
diedero  moglie ,  e  per  dirada   fa  delle 
sue  iparì  Camaldolese,  una  bella  e  valoro^ 
aa  giovane,  ed  era  chiamata  là  Mante  d*ftt« 
sai  molto ,  e  pratica  nel  tessere.    Ma  pelu- 
che ella  era  povera,  a  questo  .scimunito  la 
fecero  torre  senza  dote,  e  ne,  menò  di  pia 
seco  la^  madre,  che  monna  Antonia  si.cnia- 
mava^  una    vecchierella   tutta   pietosa   ed 
amorevole,  e  cosi  tutti  insieme  lavorando 
menavano  assai  tranquilla  e  rip^isata.  vit^ 
Ma  perchè  la  Maote,  come  io    ho   detto, 
era  bella  ed  avvenente,  aveva  di  molti  va- 
gheggini ,  e  tutta  jiotte    intorno    all'  uscio 
Tera  cantato  e  sonato,  e  fattole  le  piùga« 
JLasca.  14 


Mit 


fio*  SECONDA   CENA. 

Janii  «erentte  del  mondo  ;  ma  eli  a  poflTo 
rocchio  a  un  giof aoe»  che  si  faceva  chia- 
mare il  Berna,  tulli  quanti  gli  altri  ach|i> 
ni  va.  £  perchè  il  suo  Falananna  io  iaite 
]e  cose  era  debole  »  cosi  nei  servigi  dello 
donne  debolissimo  ritrovandosi  t  pensò  ; 
come  savia,  di  procacciarsi  che  il^fieriia 
sopperiise  dovè  mancava  il  marito V>|i^ 
ciocché  sendo  prosperosa  e  gagliarda- -iioè? 
poteva  slare  a  oeccatelle.  Sicché  ingloba» 
Ione  Con  la  madre,  fece  tanto,  cHe  di  ki 
pietosa  venue,  e  disse:  Figliuola  mia^tVla- 
scia  pur  fare  a  me,  non  ti  dar  peitiierD-9 
che  10  ti  farò  tosto  contenta  ;  ed  hasràe 
a  trovare  il  suo  amante,  che  più  di  lei  Io 
desiderava ,  dettono  ordioe  fra  loro ,  che 
il  Berna  da  mezza  notte  in  là.,  facendo 
certo  cenno,  venisse  a  cavare  la  figliuola 
d^affanno,  il  quale  non  mancò  dì  niente  9 
ed  ali*  ora  deputata  fatto  il  cenno ,  fu  dm 
monna  Antonia  messo  in  casa  ,  e  di  pi4 
niel  letto  accanto  alla  sua  Mante  j  ed  es^ 
avevano  senza  più  un  letto  di  quelli  alfan-» 
lica  tanto  agiato  e  cosi  grande ,  che  tutti 
ire  stavano  da  un  capezzale,  senza  •  toccar* 
si  un  braccio ,  la  Mante  nel  mezzo ,  da 
una  proda. la  madre,  e  dalfaìtra  il  mari* 
to.  Il  Berna  tra  monna  Antonia  e  la  fi« 
glitiola  entrato,  appuoto  che  Falananna  dor* 
mi  va ,  non  stette  a  far  troppi  convenevoli 
che  alla  disperata  le  salì  addosso.  Alla  "buo- 
na  femmina  pareva  un  altro  scherzo  quel* 
le  del  Berna ,  e  sentire  altra  gioja  e  con** 


KOTKLLA  if.  «rr 

io^  ehe  eoi  suo  marito  non  era  usata 
lire  ;  per  la  qual  OBnà  a  dìmenarse  e 
cuolere,  ar  sospirare  e  a  mugolare  co«- 
leiò  fortemente;  dimanierachò  Falanan* 
•  cbe  leggiermente  dormiva,  si  destò  » 
enteodo  il  cullamento  e  il  dolce  rata- 
ilcjbio ,  sendogli  coloro  presso  a  meno 
O^élar  d'embrici,  distese" ìa'  mano^  fA 
loroa  trofò  in  sulla  sua  .cavalla,  che  tam« 
nar  la  faceva  per  le  poste;  onde  egli  ere* 
mìo  lui  esser  la  madre,  disle:  Monna* .A^n- 
ii^  che  fate  voi?  Ohimè,  guardate  a  non 
flapregnar  ^ogliama!  Monna  Antonia, che 
riava  vegliando  in  su  la  proda  sdà,  quad* 
più  poteva  '  contenta  del  contento  della 
iuola,  udito  Falananna,  per  riparare^  che 

Berna  non  s'accorgesse,  accostò  il  capo 
ente  a  quel  della  Mante^  e  così  (avellad* 
^ali  rispose:  Noo  aver  pensiero,  cbe  io 
Lingrossi,  no.  Ohiuiè  trista,  cbe  io  le 
le  fregagioni  rasente  il  bellico,  perchè 
poverina  -è  stata  per  morire,  cosi  grati* 
Stretta  le  ha  data  da  un  poco  in  qua 
donna  del  corpo  !  Udite  come  ella  si 
imarica?  Erano  coloro  ,  appunto  allora 
I  monna  Antonia    cotali    parole  dicea , 

colmo  della  beatitudine  amorosa,  e  la 
nte  due  volte  per  la  soverchia  dolcea- 
disse:  Ohimè,  ohimè,  io  muojo,  |o'muo- 

Falananna  cominciò  a  gridare:  Aspet* 
,  'aspetta ,  che  io  vada  per  lo  prete  ^ 
etta  ,  moglie  diia ,  non  morire  ancora, 
ime,  voglio  che  tu  ti  confessi  prima!  e 


$i.  era  già  ^ttato  dal  Jetto,  e  cercÉTit  tm- 
di^yi  bujot  per  accendere  il  lunief  quando 
la  MantCì  ciò  adendo^  disse :«  M(arit6  mìo» 
sia  ringraziato  *  santa  NaBssa  devota  della 
donna  del  corpo,  io  sono  guarita,  io  sqqo 
risuscitata,  ritornatefi  ndi  letto;  non  du«i 
bitate  che  io  ilon  ho  più  mal  nessuno.  11' 
Berna,  arendo  anche  ^li  sgocciolaito  il 
barlette,  se  Tera  levato  da  dosso,  e  ,tc& 
la  madre  e  lei  entrato;  ma  monna. Anto- 
nia passando  loro  di  sopra ,  si  pose  di 
mezzo  alla  figliuola  ^  e  chiamalo  di  nuovo 
Falananna ,  al  letto  .nel  suo  lato  lo  rimes- 
se ,  dicendo  che  tra  lui  e  la  Mante  era 
entrata ,  acciocché  quella  notte  ,  avendo 
così  grave  stretta  avuto,  non  avesse  cagio- 
ne di  darle  ncrja.  Bene  avete  fatto,  rispose 
oolui,  e  badò  a  dormire;  ma  la  Mante  con 
il  suo  Berua  non  attese  mai  ad  altro  I4 
notte ,  ohe  a  giocare  alle  braccia  ,  e  qualr 
ohe  volta  avvenne ,  che  ella  messe. lui  di 
sotto.  Ma  la  mala  vecchia,  che  stava  in 
orecchi ,  sentito  una  campana  al  Carmine, 
ohe  snona  un*  otm  innanzi  giorno-,  fece  le- 
vare il  Berna  dell*  amoroso  giuoco,  il  qua- 
le malvolentieri  dalla  sua  Mante  si  parti , 
stanco  forse  1  ma  non  già  sazio,  ed  andos- 
seoe  a  casa  sua,  non  troppo  quindi  lonta- 
na,  a  riposarsi  e  a  dormire,  senza  essere 
stato  veduto  da  persona.  La  Mante ,  per 
ristoro  delia  passata  notte ,  dormi  per  in- 
fino  a  nona  sonata.  Falananna  ali*  ora  con- 
sueta per  tempo  si  levò,  e  andonne  alfa- 


NOVETLà    IT.  ZXS 

fiato  lavoro ;,  e  così  mouDa  Antonia,  ragie-* 
naado  iasieme  della  mala  notte,  che  la 
Mante  avera  avuta;  di  cbe  si  dolie  Fala« 
nanna  molto,  e  lodò  assai  che  monna  Àon 
tóoia  non  V  avesse  chiamala ,  acciocché  vi« 
posandosi ,  dormire  a  suo  piacere  potessi. 
La  buona  recchia  lo  confortò  «  che  egli 
andasse  a  cercare  dell*  uova  fresche»  dicen* 
dogli  che  molto  erano  appropriate  al  do» 
lore  della  donna  del  corpo;  perlochè  co« 
lui  9  lascialo  il  laTorare ,  si  partì ,  e  tanto 
cercò,  che  ne  arrecò  a  casa  lAia  serqua* 
Blonna  Antonia»  datone  a  bere  quattro  ia 
sa  la  terza  alla  figliuola»  la  lasciò  posciìi 
dormire  uu  sonnellino,  e  dopo  senno  re* 
nata  già  V  ora ,  la  chiamò  a  desinare ,  • 
eUa  levossi  tutta  lieta  ,  che  si  sentiva  co« 
me  una  spada  ;  di  che  troppo  contento  ri* 
mase  Falanannat  e  desinato»  allegrissimi 
m  tornarono  al  telajo.  La  notte  il  Berna 
▼enn^  medesimamente»  e  cosi  molti  giorni 
•  mesi  continuarono  la  danza»  dandosi  in* 
iieme  un  tempo  di  paradiso.  Ora  accacf  de 
che  sendo  venuta  la  quaresima,  Fala- 
nanna»  che  era  buon  cristianello  e  divoto» 
jindava  ogni  domenica  mattina  alla  predica , 
e  fra  T  altre  una  volta  Tudi  in  Santo 
Spirito  da  un  frate»  il  quale  tanto  e  tan« 
lo  disse  »  e  con  tante  ragioni  e  autorità 
provò  che  questa  vita»  non  era  vita»  anzi 
una  vera  morte  ^  e  che  noi ,  mentre  vive* 
vamo  in  questo  mondo»  eravamo  verataen* 
te  marti»   e   chi    moriva  di  qua»  cominr 


ti4  Bzeoìmk  csfti. 

Giam  a  vivere  naa  fila   senza   al&nni  ^*.a 
aaa?e  e  dolce,  e  senca  aspettare  mai  pia. 
la  morte  t   pare    che  in   grana,  si  monsia 
di  inésser  Domeneddio,  e  che  qaesto  solo 
avveniva  ai  fedeli  cristiani;  e  cosi  tani* al- 
tre cose  disse  di  questa  vita,  che  fu  qui 
maraviglia.  Per  la  qual  cosa  a    Falananna 
▼enne  cosi  gran  voglia  di  morire,  che  egU 
Bon  trovava  luo^o ,   e   già   della    vitaera 
tepital  nemico  diventato,  ed 'a  casa  ritor- 
aatosene,  non  faceva  mai  altro  ohe  dire'^ 
ae  mon   che    vorrebbe  morire,  a  ogni  pa- 
rola dicendo:    Oh    morte    dolce!  o  morte 
benedetta!  o  morte  santa,  quando   verrai 
tu  per  me  ,  che  io  possa  cominciare  a  vi^ 
vare  in  quella  vita,  che  mai  non  si  muo« 
se?  Ed  era  questo  alla  madre  ed  alla  Man- 
te cosi   gran    fastidio    e    rincrescimento  a 
sostenere ,    che   elle    erano   mezze  fuor  di 
loro ,  e  non    sapevano  più  come  si  fare  a 
sopportare  tanta  seccaggine.  Egli  aveva  di- 
amesso  il  lavorare,  e  tutte  le   faccende  di 
car« ,   solo   allendeva    a    voler    morire ,  e 
rammaricarsi  sovente. della  morte,  pregan* 
dola   di    cuore,   che  lo  dovesse    uccidere. 
La  moglie,  e  monna    Antonia  gli  avevano 
insegnato    mille   modi,    ma    niuno  gli  era 
piaciuto.  Alla  fine,  di  questa  faccenda  con^ 
sigliatesi  col  Berna,    deliberarono  di  farlo 
morire   a    ogni  modo;  e  sendò  restati  in- 
sieme di  quel  che  far  dovevano,  una  mat-^ 
lina  la  Mante,    scudo    già    vicina  la  setti- 
mana santa,  gli  disse  come  ella  s*  era  eoa*»' 


IVOTELi'A    lU  tlS 

fessati  in  Ognissanti  da  nn  fra' Bartolo «^ 
baona  e  divota  persona  «  a  cui  tutta  rao 
contata  aveyk  la  sua  sciagara  e  la  foglia 
che  aveTa  il  marito  dì  morire  ;  e  gli  sog« 
giunse  come  il  TanerabiI  padre  per  sola 
pietà,  e  per  Tamor  di  Dio  se  le  offerse # 
se  bisognasse,  d*ajutargU  venire  la  .morte  ^ 
«che  in  brcTo^  purché  ei.  TOglia^Jo  farà 
morire  ,  come  a  Milano  ed  a  ISapoli  ne 
aveva  fatti  molt* altri;  a  cui  tutto  lieto  ri* 
apose  Falananna,  e  disse:  Come  si  €arà?'B 

rndo  6a  questo?  Agevohnente,  equan* 
noi  vorremo,  rispose  la  Mante.  Doma* 
ni  .si  vuole,  soggiunse  colei,  mandare  per 
jquesto  frate*  Al  nome  di  Dio ,  dÌ8se  Fa« 
-iananna ,  si  mandi  pure.  Seguitò  la  mo« 
glie  e  disse  :  La  prima  cosa  vi  convien  man« 
dare  pel  nolajo,  e  fare  testamento.  Cosi 
•i  faccia ,  rispose  Falananna ,  tutto  d*  al** 
Jegrezza  pieno;  e  cosi  fatto  venire  un  no^ 
tajo,  come  se  da'  medici  fusse  stalo  bri»- 
^ato,  tutte  le  sue  sostanze  lasciò  per  te* 
stamento  alla  donna  dopo  la  morte  sua» 
La  qual  cosa  intesa  il  Berna  «  gli  piacque 
fuor  di  modo  ,  e  lo  giudicò  buonissime 
principio  d*ua  ottimo  hue,  aspetCando  con 
aommo  piacere  ,  che  la  Mante  facesse  il' 
rinaanente*  la  quale^  siecooda  Tordiae,  6a- 
gendo  d  aver  favellato  a  fina  Bartolo ,  un 
giorno,  subito  dopo  mangiare,  fece  entrai 
re  il  suo  Falananna  nei  letto,  avendolo 
avvertito ,  per  commissione  del  frate ,  chi 
(Mitlasae  poco,  e  in  voce  sommessa,  M  quA- 


I 


Sl6  MOfttfBk' HBtks 

m  puiBfMid#  ft  ogni  uno  iliu^e  ehc'gnÉt 
idimBo  «làle  8t  ioitiiMff  nékB'f^hm 
>riei|M)r  dift  ««Ite»  •  fé  niam  gK  ^giotiii 
§t  di  iDMicftrt'f  rupoHOtfiès  f  ch#  soii^toK 
-fam  uè  medico  uè  mcdioinerB  •i^'eoriifr 
idifblo  iè  n*  andò  alle  fibcrire  «  fMifge» 
do  9  obfliiiieiò  gridando  a  dire  «I*  «WiiÉb: 
Ohioiè,  trista  £i  mia  iato!,  die  ha4H^4tr^ 
re?  il  mio  marito  è  nd  letto  «kruét  e 
d  ^vemente ,  che  io  non  ereoo  die  q^ 
aia  TITO  douHiJttina  ;  onde  k  TJrineAia  cdi^ 
ae  là  tutta  »  e  nel  letto  trovalo  Falananna 
langaire ,  e  rammaricarse ,  come  M  C|^ 
avcMe  raffaDDO  ddla  morte  t  ognuno  il 
m^io  che  sapcTa  lo  coofortaTa  »  ed  e^ 
e  tutti  rispondendo»  io  sono  spacrìato,  m 
90n'  morto  9  naUa  intender  toleta  di  medi» 
earse ,  ed  i  vicini  confortavano  la  Mante  f 
che  mandasse  per  il  confessore.  Onde  la 
Mante  chiamata  la  madre  «  che  sapeva^  il 
tutto ,  le  fece  prestamente  mettere  la  dop* 
|Mi,e  la  mando  ratta  dove  in  un  ki<^  s» 
greto  aspettava  il  Berna  •  il  quale  avendo 
tin  abito  da  un  frate  d*  Ognissanti  ano  pa- 
rente accattato,  se  lo  era  vestito  ;  e  |»ercnè 
egli  aveva  a  Catica  segnate  le  guance  dd 
primi  fiori  »  una  barba  nera  procaodalo 
aveva  9  ed  al  mento  acccnciossela  di  td 
tfaniera*  che  chi  non  Tavesse  saputo,  no* 
r  avrebbe  conosciuto  mai ,  ed  allegro  die- 
tro a  madonna  Antonia  avviatosi  9  tanto 
camminait)Ao  9  che  alla  casa  di  Falananna 
ginasfro  ;  aUs  cui  venuta  »  facendogli  tulp 


ti  rWerenza»  come  a  sommo  religioso,  la 
casa  sgombrarono  •  pensando  che  Tamma*. 
lalo  dolesse  eonfèssare.  Il  Berna ,  a  uso  ài 
frateria  camera  entrando ,  salatalo  »  pri« 
ma  gittnla  .  Falaoanna  ,   •  dicendo ,  il  Si« 

gnore  lìa-  con  .esso  teco  «  Io  Benedisse.  .Pa« 
manna  si  Tolle  rizzare  per  fiirgli  onore  9 
ma  ^frate  Berna ,  coulra£iacendo  uà  pa*  -la 
Toce»  gli  disse  )che  stesse  giù  caldo  il  iMà 
che  poteraVa  cui  rispose  Falananna  e  dis« 
•e:  E  non  sete^  W  colui  »  che  qiì  loleie 
insegnar  iHorire  9  acciocché  tosto  risnadli 
poi  in  quella  Tita  di  là ,  dove  mai  mai  noa 
ai  muore?  Si  sono  »  che  tu  sia  benedetto , 
rispose  il  -  frate.  Disse  allora  Falananna  : 
Orsù  caTÌanue  le  mani, cominciate  oramai 
col  nomine  Domìpt.  Il  padre  spirituale  t 
iattagli  far€  la  confessione  generale  «  gli 
diede  V  assoluzione  »  e  la  penitenza  disse 
che  Tolera  che  facesse  per  lui  la  moglie^ 
ìed  in  sua  presenza  chiamata  ,  le  impose 
che  per  soddisfazione  dei  peccati  del  ma- 
rito \  ella  doTcsse  digiunare  ogni  anno  la 
vigilia  di  Berlingaccio ,  mentre  che  ella  ii« 
te^',  e  di' più  9  che  ella  accendesse  alFim* 
ittia|^0  di  santa  Befania  ogni  anno  ancora 
'quattro  candele  9  a  ritereoza  delle  quattro 
tempora;  di  che  si  mostrò  colui  fortemen- 
te contento  9  è  fece  giuiare  alla  moeliey  cha 
cUa  non  mancherebbe  di  fare  la  detta  pe- 
nitenza. Ma  il  padre  soggiunse  9  e  disse  : 
Guai  a  lei  9  se  ella  con  la  facesse  appun- 
to» che  ella  SQ  a^audercbbc  come  .traditora 


SI  8  SECONDA    CBITa. 

giù  oeirabisio!  Falananna,  al  frate  moltc^ 
lo  pregò  che  $olIecitas$e  il  morire ,  che  gli 
|Mreva  «liir  anoi  ogoi  momento  d*  uscire 
ai  queir  impaccio.  A  cui  il  frate,  disse:  Ora 
ascoltami  #  che  sia  santo.  Tu  hai  la  prima 
cosa  a  chiudere  eli  occhi  per  sempre  »  ^ 
aòn  mai  più  aprirgli  «  e  ledati  at£stto  it 
pensiero  ai  questo  mondo  ^  ne  per  cosa  ^ 
che  tu  odi  o  che  li  sia  fatta  »  hai  a  faTel<». 
lare  a  far  senumento  alcuno  ;  e  cosi  tosto 
che  tu  abbia  chiusi  gli  occhi ,  moglialar 
leverà  nn  gran  pianto ^  io  non  mi  partirai 
flfendo  scusa  lecita  di  rimanere»  e  menira 
che  le  donne  la  conforteranno  ,  stando  ia 
sala  monna  Antonia  e  io, Javandoti  prima 
ti  metteremo  una  veste  lunga,  che  ti  ver^ 
rà  a  coprire  il  viso  e  i  piedi,  e  mettereu* 
ti  in  mezzo  della  camera  ,  con  un  candela 
liere  a  capo  deotrovi  una  candela  accesa 
benedetta  »  a  fine  che  la  gente  ti  possa 
segnare ,  e  dipoi  daremo  ordine  doman*^ 
dassera ,  che,  i  frati  del  Carmine ,  ed  i 
preti  di  San  Frediano  ti  portino ,  detta  la 
compieta,  a  sotterrare.  Si,  rispose  Falanan- 
na ,  si  vuole  anco  farlo  intendece  alla 
compagnia  ,  e  che  mi  mandino  la  ycste  » 
e'venghino  per  me,  e  poi  alla  sepoltura  ^ 
come  al  compare,  mi  cantino  :  O  fratel 
nostro.  Ben  fai ,  rispose  il  Berna  ,  questo 
si  farà  a  ogni  modo;  e  soggiunge:  1  bec« 
chini^  ipessa  che  ti  averanuò  nella  bara  i 
ed  alla  Chiesa  condotto^  e  cantato  e  fatto 
tutte  la  cerìmonier  ti  porteranno  e  mette* 


lfO?£LLà  11.  aig 

ranooti  neiraTelio  ^  e  quivi  ti  laiceranno  « 
dove  stato  Teotiquattro  ore  ^  Y  anima  toa 
f olerà  9  e  Don  orìma ,  in  paradiso  ;  ina 
abbi  avvertenza  eoe  ta  seolirai ,  infino  at 
tanto  che  qnel  tempo  non  sia  finito  »  tutta, 
quante  le  cose ,  come  se  tu  fossi  vivo  ^ 
sicché  non  favellare»  e  non  far  mai  sensor 
alcnnoy  perocché  neUo  star  cheto  e  fermo^ 
a*  acquista  tutto  il  merito.  Ma  se  tu  faces« 
n  cosa  alcuna  da  vivo  »  subito  tu  casche^ 
irsti  nel  profondo  del  balatro  infernale  ;  ^ 
perché  quelli  sciagurati  becchini  non  han- 
no una  descrizione  al  mooclo;  potrebbpo; 
forse»  nel  metterti  giuso  peli'avello;  dar^ 
ti  qualche  strétta  o  percuoterti  qualchei 
membro  ,  come  gli  stinchi ,  le  gomita  o  il 
capo  9  talché  ne  potresti  sentire  dolore  «  e 
non  piccola  ,  e  tu  zitto  e  cheto  ;  percloc*^ 
che»  quanto  maggior  pena  sentirai  di  qua»: 
tanto  di  là  più  gusterai  maggiore  il  cou« 
tento.  Falaaanna ,  avendo  bene  ogni  cosa 
compreso  »  rispose  che  stesse  sicurissimo  » 
che  non  mancherebbe  di  niente ,  e  non. 
uscirebbe  del  suo  comandamento;  ma  su- 
vendo  ooa  grandissima  £Eime  fé*  intenderà 
alla  moglie ,  che  gli  portasse  da  mangiare, 
ed  al  frate  rivolto  disse  ,  che  era  disposto 
di  voler  morir  satollo  ;  pcrlocbé  la  Mante 
gli  arrecò  un  gran  tegame  di  Icqti  ricon-.* 
ce,  ed  una  coppia  .ài  pane  grandissimo^ 
poco  minor  di  quello  che  fanno  in  conta-' 
do  i  nostri  lavoratori  ,  con  un  gran  boc^ 
9ale  di  vino; il  quale  Faiananna  tutto  bevr. 


aso  wAolfDA  CSlf A. 

▼6  >   e  tutta   le  lenti  imngiÀ  con  uno/e 
metwo  di  qnei  pani  cosi  grandi ,  come  te 
mai  non  aTcase  né  a  mangiare,  nò  a  lifr^ 
e  poi  ditte  :  Acconciatemi  come  tì  pairè> 
che   io    nkaojo   più   contento  mille  volM 
ora»  che  io  mnojò  a  corpo  pieno.  UBernn 
acconoioUo  sopra   il   letto ,  e  terratògli  gK 
occhi  ,  avendo  certi  moccoli  accesi  .in  smh 
no  t  borbottando  fece  le  Tisle  di   dire  al^ 
cune  oracioni ,  e  ali  disse  :  Falannana  ,^tU' 
sei  morto.  Sfubito  k  Idhnte  messe  un  gran^ 
de  strido  f  cominciò  a  piangere  anuramen- 
te  •  e  dire  :  O  maritò^  mio  !   o  marito  mio 
dolce!  tu  m*hai  lasciata  sola.  Frate  Berna 
ìdGdo  su  r  uscio  Tenuto ,  finse ,  udite  le- 
grida  t    di   tornare    a   confortare    colei.  I 
vicini  sentito  ii  pianto,  gran  parte  d*uomi« 
ni  e  di'  femmine  andarono  per  confortar* 
la ,  la  quale  in  sala  faceta  un  lamento  in-, 
credibile.  Il  frate,  e  monna  Antonia,  en*' 
irati  soli  in  camera ,  piangendo  Falananna' 
viro,  per  morto  in  sul  letto   levarono  »    e- 
come  1  morti  lavatolo,  d*un  leozuolaccio  gli 
fecero  una  lunghissima  veste ,   che  gli  co-- 
priva  i  piedi ,  le  mani  e  il  viso ,  acciocché 
il  colore  non  gli  avesse  scoperti ,  e  posto* 
lo  sopra  un  tappeto  in  mezzo  la  camera» 
con  un  Crocifisso  al  capo,  e  un  caodellie^- 
ré    ai    piedi    dèntrovi    una  candela    bene* 
detta  accesa,  apersero  Tuscio  a  fine  che  la  • 
brigata  lo  potefte  segnare.  Era  sempre  mal 
Falananna  ,  senza   far  moto  o   sentimente  • 
alcuno ,    stato  fermissimo ,   di    che    frate 
Berna  lietissimo  slava.  Ma  venute  le  per* 


'  KOTELLÌl  .11»..  221 

Mpe  in  camera^  lacrimaiido  lo  segoavano» 
domandando  n  maravigliose  »  perchè  coni  gli 
avessero  tarato  il  ?Ì8o  ;  perchè  egli  era  A 
tras^garato  »   rispose   il  irate   Berna  ,  e  sì 
lióattOy  che  egli  alerebbe  fatto  paara  a  chi 
Tavev^   gaardato.   Messefo   queste  parole 
panra  ai  circostanti,  che  ei  non  fosse  mor« 
lo  di  qualche  cattivo  malaociot  e  che  s*ap« 
piccassOt  sicché  tatti  quanti  stavanp  in  ca* 
gCieico>  If^iermente.  a  àuMer  lo  frate  ogni 
Qosa  credendo.  Ma   sendone  giè  sopra?ve* 
nula  la  notte ,    f a  la   casa  sgombra  ^  solo 
«leuni  pochi  parenti  delia  Mante  vi  resta- 
r^Mii  9  ed  il  padre  spirituale,  che  lo  guar- 
dava  con  un  libro   m  mano  t  fingendo  di 
Jeggei^i  salmi  ed  orazioni^   e   quando,  fu 
iei^po ,    cenarono    d*  un    gran    vantaggio  • 
Ma  venuta  la  mattina,  fecero  intendere  ai  , 
Iralelli^  che  mandassero  la  veste,  che  Fa- 
laryanna  era  morto  e  gV  iovitarono    per  la 
sera  dopo  compieta  air  esequie.  Venqe  su- 
liilamente   la  veste ,    la  quale    da  madon* 
na  Antonia  e  dal  Berna   gli    fu  messa  so- 
pra quella  che  egli  aveva  ,  e  la  capperuc"* 
eia  in  su  la  faccia  gli   venne    doppiamene 
te  a  coprire  il  viso ,    e  cosi    tutto   il  gior- 
np  vennero  uomini  e  donne  a  consolar  la 
Manta ,   ^d    a    segnare    il    marito ,  incre- 
sceodooe    a    tutti.    Ciascuno    diceva  :    Dia 
gli   perdoni.    Il    che    Faiaoanna    udendo, 
maravigUoso   piacere    e   contento    sentiva  » 
pensandosi  certamente  di  esser  morto.   Ma 
ppiphè   vespro    non  solo  fu  detto  ,    ma  la 


compieta  9 -Tennero  secondo  TorfitaS  i'JiMl^ 
ti  di  San  FredfMo  »  ed  i  frati  del  Cmp^ 
mine  con  i  fratelli  ^ella  compagnia  di  Sin 
Crittofano  9    cii'e  -  cosi    era   intitolata  ^   la 

Scale  era  -  appiccata  con  fl  conTcnta'-^ 
armine  (dove  i^  frati  fecero  poi  »  ed'énri 
ancora  ud  refettorio  )  delia  quale  '  gK  ntf^ 
mini  erano  tutti  tessitori ,  e  nel  mcuft  ap 
^anto  avevano  fatto  fare  un  grandissi*^ 
mò  avello  f  nel  qual  chiunque  moriva  di 
loro  si  sotterrata  ;  il  c}ie  Ycnne  nfoitlr  a 
|)ropostto  al  Berna ,  perciocché  quel  §e^ 
poterò  aveva  una  lapida  graTissimate  6or« 
gegnàta  in  modo  ,  che  né  alzare  nò  apri- 
re si  polevH  ,  se  non  da  chi  fo^  stalo 
di  fuori  ;  e  per  questo  il  Berna  fra  se  di- 
ceva :  Se  egli  vi  entra  ,  converrà  che  per 
amore  o  per  forza»  che  egli  vi  muoja  den- 
tro ,  non  vi  si  raguhando  coloro  ^  se  .non 
ùaa  volta    il    mese.    Ma    poiché  i  frati  e  i 

J)reti ,  passando  dalT  liscio^  ebbero  avnta 
a  cera,  andarono  i  becchini  per  il  corpo. 
Che  direste  voi  ,  che  Falananoa  avendo 
avuto  grandissima  voglia  di  far  le  sue  co« 
se,  e  forse  due  ore  sconcacatosi «  e  gran 
pezzo  avendola  ritenuta  ,  nella  fine,  non 
potendo  altro  fare ,  V  aveva  lasciata  anda* 
re  9  ed  avendo  le  lenti  riconce  fatto  ope- 
razione, come  se  egli  avesse  preso  scarno^ 
oca,  aveva  gittate  un  catino  ai  ribalderia, 
la  quale  per  essere  stata  alquanto  rattenu* 
ta  «  tanto  putiva ,  e  si  corrottamentCì  ch6 
non  si  poteva  stare  per  lo  puz£0  in  quel* 


IfDTEI,LA   11.^  223 

tm  CBToien,  e  cosi  tosto  che  fjarono  dentro 
i  becchioit  e  che  lo  presero ,  tarandosi  il 
naso  9  dissero  a  coloro^  che  erano  i? i  in- 
torno: O  diaToloy  non  dovete  averlo  tfiS*, 
lato  Toi  ?  In  malora  ^  non  sentite  toì  co* 
me  pnte  ?  Vedete  ohq  ei  'cola.  Ohimè  !  voi. 
doTcte  esser  poco  pratiche,  e  così  male  in 
4Borpo  portandolo,  quasi,  ammorbati  lo  po«* 
jiàroiio  su  la  bara,  oode  i  fratelli,  seudo 
-già  i  preti  ed  4  frati  forniti  di  passare , 
comportando^  il  meglio  che  potevano  il  tri» 
sto  odore,  lemito  se  T avevano  in  ispalb^ 
£  dietro  la  Croce  seguitavano  di  cammina* 
se.  Ora  avvenne  camminando,  che  ei  gian« 
^raro  sul  canto  al  Leone,  e  in  su  la  svolta 
appunto  capitata  tutta  la  gente,  come  k 
usanza,  dimandavano  chi  lusse  il  morto; 
alle  quali  era  j^isposto,  Falananna  ;  tanto 
che  a  ciascuno  ne  incre^ceva  dicendo  :  Dio 
abbia  avuto  Tanima  sua.  Ma  un  certo  suo 
conoscente  ed  amico ,  intesolo  anch'  egli ,. 
e  veggendolo  portare  a  seppellire  ,  poco 
discreto ,  anzi  adirato  disse  :  Ah  ribaldo 
igiuntatore  ,  egli  se  ne  va  con  tre  lire  di 
mio,  e  sai  che  non  gliene  prestai  di  con-^ 
tanti?  Tristo!  ladro!  abbisele  sopra  T  ani- 
ma; e  disse  queste  parole  tanto  forte,  che 
Palananna  intese;  il  quale,  o  per  non  an« 
dare  con  quel  carico  ali*  anima ,  o  paren- 
dosi'essere  a  torto,  o  troppo  ingiitriato , 
dato  una  stratta  alle  mani,  e  :di  quelle 
•vihippatosi  si  stracciò  prestamente,  ed  aU 
xu8^  quel   pannaccio  »  che  gli  nascondeva 


2^  pttmsnk  enti. 

il.TJsOf  e  rittMi  m  sràere  ÌMipra  la.luan^^  n 
colui,  e be  talUvia  oltraggiando  andaim.« 
r\yolto  disse  :  Ahi  sciagarato  !  queste  pe* 
role  si  dicono  a*  morti?  (risto!  pereiiè  ikdQ 
ine  r  aver  chieste  quando  io  -ero  yiifO^  o 
andare  à\  mogliaaa  t  che  ti  alerebbe  pa« 
gito?  Qaelli,   che  16  portavano  »  ndite  le 

Earole  «  snaveotati  lasciarono  àiidare  le 
«ira»  e  colai  fu  per  spiritare.  .Fàlanannat 
-  essendo  caduto  con  la  bara  in  tetra*  gri* 
^aya  pure  a  colóro  che  erano  spaventati: 
Non  dubitate  9  fratelli,  non  tenseiet' m>  *<Mi 
morto  f  io .  son  morto ,  fate  pttr  .V  affino 
vostro  conducendoddi  ali*  avello^  ed  asset- 
tatosi come  prima  nella-  bara  a  giacere f 
gridava  pure:  Portatemi  via  a  sotterrare , 
portatemi  via,  che  io  son  morto.  Le  grida 

Jruivi  intorno  si  levarono  grandissime;  obi 
uggiva,  chi  si  nascondeva,  chi  si  sanava* 
La  Croce  gm  arrivata  alla  j^rta  della  Chie- 
sa si  fermo ,  e  colui  pur  gridava  :  Seppel* 
litemi  9  seppellitemi ,  che  io  son  morto» 
Ma  alcuni  della  compagnia  conoscendo 
assai  bene  la  sua  natura,  se  gli  accostaroìia 
e  con  alcuoi  torchi  lo  cominciarono' 'à 
frugare  dicendo:  Scellerato:  ribaldo!  che 
cosa  è  qaesia?  FJananna  diceva  pur  gri« 
dando:  Sotterratemi,  che  io  son  morto j 
che  siate  impiccati  per  la  gola  «  sotterra- 
temi per  Tamor  di  Dio.  Oadè  coloro,  presi 
quei  torchi  ^  da  capo  a  piedi  Io  comin-^ 
ciarono  a  bistonire,  e  dargli  di  bn6ne 
picchiate.  Falaaanna,  sentendo  le  percésscy 


KOTEI.T.A.  n.  S25 

cominciò  a  stridere  e  fidare  >  e.  svilup- 
paodosi  il  capo  ed  i  piedi ,  perch4  coloro 
beo  gli  rompessero  il  dorso ,  s*  usci  delU 
iMira  ,  e  oorreodo  gridava  :  Oh  traditori  , 
traditori^  voi  mi  avete  risuscitato!  Percioe* 
chè^  avendo  avuto  una  bastonata  in  su  la 
lesta,  gli  grondava  il  sangue  per  io  viso,  e 
per  lo  petto ,  onde  p<)osaodosi  di  esser 
tìvo,  diceva  pure:  Traditori!  a  questo 
mod<r  si  fa'  risuscitare  i  morti  ?  io  me  na 
TOglio  andare  alla  ragione.  Per  la  qual 
cosa,  la  gente  dintorno  uditolo,  la  mag- 
gior parte  lo  stimarono  impazzato  affatto  o 
spiritato  ed  i  fanciulli  presa  della  mota  e 
dei  sassi  cominciarooo  ,  gridando  al  pazzo 
ài  pazzo,  a  dargli  la  caccia  ;  oode  egli  spa« 
ventato  si  messe  a  correre  e  fuggire  verso 
il  Carmine  :  ed  essi  dietrogli  ,  gridando 
aempre  al  pazzo  al  pazzo ,  per  la  piazza 
del  Carmine  lo  seguitarono.  Falananua  sbi- 
gottito e  spaventato  si  messe  a  correre  non 
sapendo  dove,  ed  a  fuggire  attendeva,  pur 
sempre  gridando  e  lasciando  per  donde  egli 
passava  le  persone  maravigliose  e  smarrite 
'^t^enHoìo  in  quella  guisa  vestito,  il  quale 
cosi  fuggendo  era  capitato  in  sul  canti» 
del  ponte  alla  Carraja ,  e  seguitando  il 
cammino,  impaurito  per  lo  rouiore  e  per 
Io  strepito  de*  popoli,  inverso  il  ponte  s*in« 
dirizzò,  e  [tuttavia  dai  sassi  e  dalle  strida 
accompagnato  su  per  lo  ponte  prese  la 
strada ,  dove  quasi  alla  fine  giunto,  trovò 
va  carro  nel  mezzo  della  via,  e  non  so  oht 
Lasca»  i5 


»    ^«     w^   * 


MMIM  di.  pifljti»*  e  moli  ft  asioi  ctfictd.À 
yii^  io. modo  «  che  («Ito.  iDgpaiENwiM^^ 

fawtr  ft  potesse t  ie.  pfime  U  carneo J^ej^ 

ri  beiifle  paMaodp ,  boo  .  aireittró  ap«|Àto, 
iliiadà  t  oQ^e  Falaoepna  >  aeDdo'  jipròjui* 
ap.4>atro  dalle  fromlK>te«4aUa  fiaara^d^ 
fé  grida  9  taTi  io  su  le  spoode  per  lar.pt^ 
ipsto;  ma  come  Tolleja  sua  sciagont  6t 
ftt  la  firétta  o  perchè  quei  paonecct  se  fjSk 
tfnnlnpp^  a*  piedi,  o  come  ella  8Ì*a«« 
oasse,  /idrucciòlando  se  orando  io  Ar^Oi^' 
tra  in  quél  tempo  Tenuto  in  Fireoié  ira^ 
Fiammingo,  grandissimo  maestrp  di  lar. 
iEi^ochi  laTorati ,  e4  essendo  stato  alta  $i« 
enoria  ed  al  GonfiBlonìere  9  s*era  captata 
ai  &re  e  mostrare  segni  dell*  arte  sua  mi^ 
ipcolosi.   Ed   appunto   il    giorpo  per  laro 

n missione,  due  de'  Dieci  di  ^ue|Tai  ci^ 
de*  Collegi,  ed  altri  uomini  nolnli  e^ 
Imputati  della  Qtti  erano  andati  per  Tede^ 
re^dun  certo. oliQ  artifisiato  la  pcova^  chm> 
nedeva  subito  che  egli  toccava  Tacque,  ^ 
al  ponte  a  Santa  Trinità  Tenuti ,.  aTeva^. 
^«ei  oiaestro  d*  una  sua  ampoUa  ncll*  «r 
CfUa  d*Arno  T  olio  gittato,  il  quale  to^^ 
atp  che  r  ebbe  tocca,  così  a*aTTamp'^  ed, 
accese  ,  come-  da  fuocp  ,  sannitrio  o  ^olfoi 
^  atato  tocco  fusse,  ed  ardendo  in  buono^ 
spajbio  s*allar{^ò;  di  che  i  Fiorentini  noi^iri 
tatti  restarono  stirj'ri  e  mriraTiglicsi  j  a 
cosi  per  r  acqua .  Jìparso  sp  n!  auda-va  J^ 
tdudo  iLcono  gi^:pisr  ^ vielia  ar^^ado  )  ed|| 


;tb  tn  'la  metà  fMMato  il  ponte  -Mt 
Mtto  r  ukiaa  pila  ^,  <|uando  -Fa^ 
eadendo  ndraocpm  ginntp  pel? 
eerle  nel  meno  di  queir  olio  ardeMe  «  tt; 
qttàle,  oooia  te  cndni  fus$e  stato  iaApecìato^ 
ae  gli  .catfaAc4  oddotaD.  Falanaaiia  afenÌ0 
eoar  T ajolo  dell'acqua  »  e  poi  ddk  rèni 
vioanitD  pooó  danno  dalla  pereoMs,  anoorf' 
dj^  fniie  andato  per  fino  al  fondo  ^  enr 
tornato  a  galla  e  vitloei  in  piedi»  percioò*' 
ohe  raoqna  f^  daTa  appunto  al  bellioo;  B&| 
^r^endo  e  j^ù  tenieodo  la  fiamma  »  efa^ 
raraera*  oonunciò  a  ttridére  ed  a  gridavf 
^{iianlo  gli  xiaoiva  daUa  gola  ,  e  con  If 
mani  a^ajataTa  quanto  ppleta  gittandoii 
déir  acqua  addosso,  e  cosi  facevano  le  geuf 
ti  che  per  Ja  porticciuola  erano  corse  ìÀ 
grari  qnantilà  per  sjutarla;  ma  quanto  pi4 
oeroaTano  ammorzargli  e  spegnergli  quelt^ 
fiamme,  tanto  più  glien' accènderà  no.  Sic» 
elio  il  poTcro  uomo  attenderà  a  urlerò* 
con  si  alfa  Toce,  che  risonando  già  per  1# 
corso  dell'  acqua ,  si  saria  potuto  seotirfr 
ngeroIoDiente  per  fino  a  Peretola  ,  e  dime» 
Mindosi  e  scontorcendosi  in  quelle  fiammica 
aembrara  nna  di  quelF  anime  •  che  mett|s 
Sanie  neir  tnferDO  ;  ma  ardebdolo  il  fuo-* 
co^  e  *  eonsomaudolo  a  poco  a'poc^gli 
tolse  la  Tica.  Le  persone,  die  erano  an> 
4late  per  dargli  ajuto,  lo  avevano  intanto 
e  con  funi ,  e  con  legni  tiralo  alla  rivani' 
jEiìeBtedimeno  non  reslava  d'ardere  anooHK 
perchè  qoanto^  pi^  -acqua-  {pUandoglt  eiJU 


^Oitp  ^  per  ispegnere   %iùj^mvmno  »  Uatè 

£*ù  gli  aoceodcfano  é.outrrraDgli  il  fnmaf 
modochè  Agli  en  di  già  quasi  tallo  eoB« 
aamaia  ed  arso  ^  e  sardibe  arso  e  coimif 
malesi  af&ttOy  se  non  che  il  Fiammiqgs 
terso  al  rumore,  si  fece  dare  ddr.olio  o^ 
dinariot  ^  spargendognene  per  tatto,  teot 
in  aa  sabito  cessar  Y  ardore  t  è  tpc^Mr 
totalmente  la  fiamma,  con  grandissiaBO  sta- 
m>re  di  tutti  coloro ,  ^che  lo  TiderlK  Hi 
Falananna  rimase  di  sorte,  che  parerà  ui 
ceppo  di  pero  verde  abbronzato  ed  arsio* 
do.  La  Mante,  il  Berna  e  monna  Antonia 
avendo  inteso  come  Falananna  era  risuici* 
tato  e  corso  via,  dolenti  d'ora  in  ora  Ts- 
apettarano  a  casa,  e  appunto  f^te  Berna 
ae  ne  voleva  andare  ,  quando  venne  lor 
la  nuova,  come  egli  era  cascato  in  Amo 
ed  arso.  La  qual  cosa  e  per  la  voglia,  e 
per  la  maraviglia  a  prima  gioota  poca 
credevano;  ma  tuttavia  sentendo  rinforar 
la  cosa  ,  il  Berna  cosi  come  egli  era  da 
frate,  per  certificarsi^  si  mosse,  ed  arrivato 
al  ponte  alla  Carra ja ,  e  giù  sceso ,  vide 
il  misero  Falananna  cosi  abbronzato  ea 
arso,  che  d*ogni  altra  cosa  aveva  sembian- 
za da  uomo  m  fuori,  e  piangendo  con  gli 
occhi ,  ridenrlo  col  cuore ,  se  ne  tornò  a 
confortare  la  Mante  e  monna  Antonia  , 
che  già  dai  loro  parenti  erano  state  visitate, 
d*  un  tanto  orrendo  e  spaventoso  caso  ,  il 
quale  a  ognuno,  che  lo  intendeva,  pareva, 
siccome  agii  era,  stupendo  e  maravigUoisift- 


IM 


VOTBLLA   IT.  %t^ 

tfflBOy  non  si  potendo  aocónciare  nell*  à«^ 
niiiid^  cbe  un  uomo  potesse  cascare  tu 
Arno  ed  ardere;  pare  poi,  intendendo  il 
modo»  ne  restarono  soddisfiitli,  ìnorescen- 
do  a  ciascuno  della  nuota  e  non  mai  pia; 
udita  sciagura  di  Falananna.  Molti 


do  ohe  età  gii  fusse  accaduto  per  opiera 
di  streghe  •  cui  per  fot'za  d*  incanti  e  d^ 
mille»  altri  per  parte  dì  negromansiay  ed 
mitri  per  illusione  diabolica  ;  pure  la  mag^"^ 

£'or  parte  degli  uomini  s' accordava  ,  cho 
dia  sua  scempiatezza  e  pazzia  incompa- 
rabile fusse  derivato  il  tutto.  La  ManOs 
dopo  pochi  giorni ,  sendo  per  virtù  del 
testamento  diventata  padrona  della  roba  JA 
-^coluiy  con  volontà  della  madre  e  dei  pa^ 
renti  tolse  per  isposo  il  Berna,  e  pubblica« 
aaeote  fece  le  nozze»  col  quale  vbse  poi^ 
gran  tempo  allegramente  »  crescendo  sem- 
pre in  roba  ed  in  figliuoli  alla  barba  di' 
Falananna»  il  quale,  come  avete  udito» 
^ascò  in  Arno  ed  arse.  Il  che  sendosi  dipoi 
messo  in  proverbio ,  ò  durato  per  innno 
•i  tempi  nostri;  onde  ancora  a  certo  pro- 
posito si  dice  spesso ,  cascò  in  Arno  ed 
arse. 


^'•9*mm*mméi*i0'^ammtÈaÈtm 


«ti 


NOVELLA  IH. 


Ida  Lisabetta  degli  Uberti  innamorata^ 
toglie  per  marito  un  giovane  povero  ^ 
ma  virtuoso,  ed  alla  madre^  che  la  90* 
leva  maritar  riccamente^  lo  fa  irttendo^ 
re;  onde  colei  adirata  cerca  di  disfa* 
re  il  parentado.  Intanto  la  fanciulla  j 
fingendo  un  certo  tuo  sogno^  coWajuè^ 
et  un  frate^  'viene  con  buona  graeia  4fl> 
la  madre  agli  attenti  suoi. 

^a  tnai  in  questa  sera  e  ndla  pafiala 
le  donne  n^Halmeoie  e  i  gioTaoi  arefan 
riso  di  yo^ìSL,  questa  noTella  di  llloridd 
gli  arera  tatto  ridere  di  cuore  e  da  dore- 
rò» nò  di  ridere  si  potevano  ancor  tenere; 
benché  n  qualcuno  per  le  rìsa  gli  dolesse^ 
ro  gli  o^hi  e  il  petto ,  e  più  averebbeM 
riso  9  se  il  fine  Teranieate  troppo  cruddft 
di  Falananna  ìion  ali  avesse  rattemperali 
un  poco  9  stimandolo  nondiflWD^p  cosi  ya- 
lente  lavaceci  »  come  si  filsse,  o  più,  mae* 
atro  Simone  da  Villa  e  Gdandrìno»  Blfii 
Gala  tea  9  a  cui  toccava  la  volta,  cosi  gra^ 
aosamente  a  favellare  incominciò. 

Nella  mia  novella,  costumati  giovani., 
e  voi  oneste  donne,  non  saranno  già  ca- 
si ne  tanto  faceti,  ne  tanto  piacevoli/ 
quanto  nella  passata  ;  ma  uno  aQCoraimen* 
t#  ed  uno  spediente  preso  da  uu%  ùuatmà' 


)À  iaiuniorata  ìnteado  dì  nccootare,  o^ 
•e  io  non  mlagaano,  nfrafjgiia  Aon  jiio- 
cola  ▼!  arrecherà ,  Tegsendo  lare  mattlar 
ooato  del)a  bontà  e  della  Tirtà  t  ohe,  ì]^|ii 
licchezse  »  deile  graodea^ee  »  degli  paori  e 
dei*  favori  del  mondo;  e  soggfansè.  . 

Monna  Laldomioe  defdi  iJberli .,  doh« 
uà  nobile  e  ricchissinia  dma  nosipa  cattai 
rimaie  vedova  .con  una  ligliuola  chiamata 
ZflsabeCla  »  tirtaosa  non  pure  f  ma  be|k» 
aima  j^  maraTi^a*.  Eca  cotljei  da  mólti  gio- 
rni nobili  e  ncchi  chiamata  eTttthMrva- 
ta;  od  etserido  oggimai  nel  tempo  di  àp* 
yrpnì  maritare,  per  conseguente  richiesta 
alla  madre  mille  yolte  ogni .  giorno  p  non 
.tanto  per  le  qualità  sue  lodefoli  e  per  le 
jbdleafze,  quanto  per  la  dote  grandifiima.j 
che  ella  aveva  «  e  per  la  speranza  dell*  ck 
redità.  Ma  la  madre  ,  per  la  gran  .rc^Uà 
che  la  figliuola  fusse  ben  maritata ,  nqn 
ai  sapeva  risolvere  a  cui  dar  Ja  volesse*  cer- 
caodone.  un  maritò  giovane ,  bello*  ricco^ 
nobile^  discreto  e  c<4stumato;  dimanier^^» 
c^ò  a  ciascuno  mancava  sempre  alcuna 
delle  parti  sopraddetle»  e  non  si  poteva  ab* 
battere  a  suo  modov  In  questo  mentre  la 
Lisabftt^s*era  innamorata  fortemente  d*un 
giovane  9  che  le  stava  a  casa  allatto ,  chia.- 
mato  Alessandro,  per  ogni  rispetto  riguar- 
devole ,  salvo  che  egli  era  povero ,  e  se- 
condo la  volgare  opinione,  non  troppo 
nobile,  ma  onorato  e  benvoluto  da  ognu- 
no, che  lo  conosceva.    È  perchè  egli  non 


■l 


^▼•▼a  né  padre  ne  madre  »  ne  fratelli  n4 
•orelle»  solo  con  una  fantesca  TiYendo^ 
attendeva  agli  stodj  delle  baoi|e  lettere  ^ 
e  perciò  si  stara  la  maggior  parte  del  tem« 
pò  in  casa»  dove  la  Losabetta  per  vederlo 
Teniva  spesso  sul  terratzo  o  a  una  fine- 
atra,  che  quasi  tutta  la  casetta  di  lui  sco- 
privano. Laonde  Alessandro,  che  era  sag- 
Sio  ed  accorto  ^  in  poco  tempo  s*  avvide 
ella  cosa ,  e  per  tal  modo  ricevette  lei 
nel  cuore  »  che  ad  altro  »  ne  di  '  uè  notte 
pensar  non  poteai^  e  maggiormente  poiché 
2Ulla  fanciulla  gli  furono  giltate  non  so 
che  lettere»  tanto  ben  composte  e  con  tan- 
ta facondia  »  che  gli  arrecarono  grandissi- 
ma maraviglia»  e  gii  raddoppiarono  in  mii- 
le  doppi  r  amore»  massimamente  udendo 
il  bene  incomparabile,  che  ella  diceva  di 
volergli.  Per  la  qual  cosa»  seco  slesso  pen- 
sando »  gli  parve  di  tentjre  e  vedere  so 
ella  volesse  esser  sua  sposa,  e  segretameu- 
te  fare  il  parentado»  il  quale  fatto  cne 
aia»  coQverrà  pure  che  sia  fatto,  dicendo: 
Se  ciò  m'avviene,  chi  di  me  viverà  poi  in 
questo  mondo  o  più  felice  ,  o  più  beato  ? 
£  subilo  le  scrisse  una  lettera»  dove  le  a- 
priva  Inanimo  suo.  La  Lisabetta»  senza  tro- 
po pensarvi  si  risolvè  a  volerlo»  avendo 
inteso»  oltre  alT  ojiiaion  sua  ,  per  bocca 
d*  uomini  inteodeuli  »  quanto  egli  avesse 
in  se  dottriiili  e  giudi/io»  e  quante  ottime 
qualità  si  trovassero  in   lui  »  giudicandolo 


Ad9  pur  btttfMb'  ditpmMto^  « 

fe^  ma  otdii6  Mcranitori  diiW  foé  «te* 

«hfWei  dnMdaeliè  tTcndogli  it  l^iir  iiwiit 

•iÉiidro  Mlettdo  di  mini  al  mo  lite»  «Mb 
TkJQto  di' aÌM 'iK^ab  m  sol  te^M«fU  di  Id, 
k  iròTÒ  tecoodd  rMdtne  tirffei  '  fitHi^  tAi* 
•spettava;  è  qiiiodi  di  molte'  «  tarie^dìi|ll 
'«MgiòQato  ,  altro  pcst  *  alloft  ìipn  le*  tmif^^ 
«ka  badai^la  e'  dafle  TaneDo ,  haoiaftdàp; 
Mute  elb  irolle ,  ia  cura  a  lei  di  acò^ritii 
it  parentado ,  e  così  '^nteiitissiai  I  tulli 
dalV  altro  si  pirtifono.  Moooa  LaldoeuM 
mtauto  si  risolvette  a  voler  dare  la  Lba- 
lielta  a  Biodo  figiìctòlo  di  messer  Céri  6pt^ 
&a  /  uno  d«*  primi  cittadini  alloré  di  Tf- 
rena^  /  aocorchè  in  tai  pochissime  deCè 
òondfsioni  9  che  ella'  toleva ,  si  rtirotassé^ 
jo  ;  ma  là  Lisabetta  «  che  il  tutto  aveva 
ifiteso  9  antidpato  il  tempo,  ooa  sera  dò* 
pò  céna  alta  nladre  raccontò    dì  punta  ià 

Iiunto  ordioatamente  quel  tutto  '  che  tra 
ei  ed  Alessandro  fosse  occorso  ;  di  cèM 
mònna  Ijaldomine  adirata  fece  un  romita' 
grande  »  e  *  che  non  pensasse  mai  t  che  ti 
Parentado  andasse  innanzi  9  e  dbe  non  vo* 
leva  à  tiatto  nessuno;  e  la  mattina  per 
'  tempo  li  menò  seóo  9  e  lasciòUa  nei  mo* 
xmsterOt  é  tornala  a  casa  mandò  per  mes* 
i^r  Greri  »  e  narrogli  ogni  cosa,  e  tra  loro 
disegnarono  di  dirgliene  Venuoaiaré  a  jo^ni 
modo,  se  non  per  amore,  per  iForM,  rdi 
scrivere  a  Roaaia,  e  cavar    dal    Papa   per 


» 

vìe  id&  dftttarì  lettere  al  YiciHrio  »-  ohe  sptto 
Mila  di  ioomotiicasbae    facciano  Atornars 
il  parentado.  La  Toce  si  sparse  per  -  Firet»* 
se  >  Bè  d'  altro  per  allora  '  si  ragioDava»  ed 
Alessandro  decoroso  a   morte   termameate 
eredeta-  non  aver  a  fare- altrimenti  le  iio^t 
se  eoa  la  soa  dolcissima  Lisabetta,  e   gii 
^  avéra  fatto   faTellare    messer   Gerì , .  e 
.abigottiiolo  di  maniera,  che  egli  slesso  «ioq 
aa^vaclie  farsi  t  né  poteva  «    innanti  .che 
idtio  seguisse ,  intendere  Y  opinione    della 
iancialla^  la  qaale  non  potendo  uscire,  dei 
«lODaslero ,   nò   aTendo   comodità  dr   poi^ 
ter  mandare  né  imbasoate  ,  uè  letteve  al 
ano  Alessandro  y   dubitava   che   egli    non 
istesse  fermo,  e  per  paura   non  si  condu- 
cesse   a    renunziarla ,    sapendo    benissimo 
rautorità  e  la  potenza  di  messer  Gerì;  di 
^che  ella  vivcfa  pessimamente  contenta  ,  e 

Jtìomo  e  notte  pensava  di  mettere  ad,  eff- 
etto *  il  desiderio  suo  r  e  mille  partili  m 
-mille  modi  ogni  ora  si  .rivolgerà  per  la 
fantasia  ;  pure  uno  fra  gli  altri  si  uelibe- 
rt  di  provare,  e  per  .questo  alla  badessa 
disse,  che  la  coscienza  la  stimolava  ogni 
lira  a  lasciar  andare  queir  Alessandro  po« 
vero ,  e  fsre  la  volontà  della  madre  ,  tó« 
fiondo  Biodo  ricchissimo  »  e  che  era  con* 
•  tenta >  considerato  avendo  meglio  i  .  fatti 
auoi ,  di  dr  quello  che  piaceva  a  madon- 
na Laldomiae.  La  badessa  ne  fu  allegria* 
•ima,  e  subito  alla  madre  di  lei  lo  .fece 
ia«9udere^  la  quale  iutta  JUcla^se  ne^fiuM 


•1  mooairtera»'  e  oon  gnnd'affi»^^ 
Mitti  e  bàuÉfa  la  figlia ,  la  aen  n^àtmm/t,. 
ae  la  riflaaaò  a  «aaa  t..  arando  ia  jniiaia  la. 
aattioa  TegiieQta  mandar  par*: malia;. O^r, 
fi/  a  taoo  disporre  ed  ordinare^  alialoiAOB- 
sa  tt  fàoaMero  quanto  pia  tosto  ai  tpolaifpro^. 
Ib  la  Liiabetta,'  per  colorir  tutta  qudlo 
flhaltlla  aTera  disegnato,  dormendo  iv  un'ai^^- 
tioimera^  come  tosto  iride  -  per  gli   spingli . 
dtf la-  fiii^tra  essere  apparita  V  alba  ••  si  le* 
vò^'ìie  Teline*  subito  in  camera  d^àttL-m^ 
dréy  e  tntta  spareatata  e  con  Tcice  treau*r 
ie  ;~  disse  :  Madre  mia  cara,  io  .ho  fatto  or 
ora  nn  sogno ,  che  io  tremo    a   verga  » .  a 
verga  per  la  paura.  Onde  che  vuoi  tu  eko 
jio  ne  faccia?  rispose  madonna    Laldomine; 
non  vi  pensar  più,  non  sai  tu  che  il  pro- 
verbio dice,  chei  sogni  non  son  veri,  oche 
]- pensieri  non    riescono?  Ohimè.,  disse  la 
Eisabetta ,  voi  non  sapete,  che  cose  io  ho 
veduto!  e  dicovi  che   s*  appartengono,  aa* 
che  a  voi,  però  vorrei  cbe  noi  ci  peosaa- 
stnlo.  E  che  pensamento    vuoi   tu    famoi  7 
soggiunse  la    madre,   e   venne    a    cadere 
dove  la    Li^abotta    volea ,   dicendole  :    Se 
tu  pnr  vuoi ,  io  manderò  per  fra   Zacea* 
ria  nostro  co.ifessore,  cbe  e  mezzo  santo  » 
ed  è  un  gran  mastro  per  interpetrar  filasti 
aògoi.  Deh  si ,  per  quanto   ben  vi  voglio  « 
sonito. la  Lisabetta  ,  mandate  per  lui,  che 
mi  par  mill'  anni  d*  esser  fuori  di  queste 
travaglio.    Laonde    madonna    Laldomine  » 
Chìaniata   una   delle  fantesche»  le  impo« 


renali'*  irtV»  i37 

s«  clib  ft  Santa  Crdce  lodasse  ^  e  '  da  saa 
parte  dicMte  a'  fra  Zaccaria,  che  venis- 
'se  allora  allora  6iTo  a  casa  per  cosa-  di 
grandissima  imporUnza.  fira  questo  frate 
religioso  d'ottima  fama  ,  e 'più' ripieoo  as- 
sai di  boDtò',  che  di  dottrina,  persona  sem- 
p)ic6  e  divota  ,  il  qnale  udìu  ta  imhascia* 
ta ,  se  ne  tenne  prestamente  a  easa  mon- 
na LaldomiDe,  e  la  trovò  in  camera  eoa 
la  figlinola  ,  che  to'altendevano/  le  quali 
fattrsegli  incontro,  con-  rivereau  ooora- 
tamente  la  riceTetlero,  e  fattolo  porre  a 
sedere,  elleno  arrecatesegli  a  dirim|ietlo  , 
aspettando  il  cnmpagQo  in  sala  »  '  comÌBciò 
così  madonna  Laldomìne  a  dire  :  Padre  » 
non  vi  m&raTÌgliate  che  io  abbia  -  così  per 
tempo .  ed  in  eretta  mandato  per  voi,  per- 
ciocché qui  la  Ltsabetia  mìa  na  fatto  na 
sogno ,  che  l'ha'  tuita  quanta  impaurita  ,  e 
cesi  vorrebbe  averne  il  vostro  giudicio ,  e 
che  voi  glielo  interpretaste.  Sorella  mia  * 
rispose  il  frale ,  io  farò  per  piacervi  »  con 
l'aiuto  di 'Dìo,  ciòehv  io  saprò,  o  qnan- 
to  da  lui  mi  sarà  inspirato ,  dieendoTÌ 
primamente  che  gli  è  pazzia  a  por  molto 
cara ,  o  dar  troppo  credenita  ai  st^i,  per- 
ciocché* quasi  sempre  son  falsi;  dò  m  vor- 
r<^be  farsene  anche 'beffe  affatto,  e  dia* 
pregiarli  del  lotto ,  perchè  qualche  vo)u 
ann  veri  ,  e  ce  ne  fanno  fede  in  pìii  luo- 
ghi il  vecchio  ed  il  noovo  TesUmenlt>, 
come  si  legge  di  Faraone  delle  sette  vac- 
che magre  e  delle  sette  grasse  ,  e  cqsLdel- 


le  lipide  t  ed  -  ancora  San»  linei  cUea^ttel-r 
TEf angelo ,  che  a  Gvaseppé'apmfve  'rAn* 
giolo  in  iogno  9  e   gli   oomanao   chei  con; 
la  Vergine  e  coù  Crìsio  9e  ne  foggile- ia^ 
Egitto ,  allora  che  Erode  cereairà  aViaiaiaa>* 
nrlo  ;  t  voltoli    alla    fanciulla  ,   disse  •  eh»- 
cominciasse  ia    saa    idsìone.    Pei'  )a  giiat 
Ì00B9L  la    Lisabetta  «  abbassati   gli   oceni  a* 
ternt  ^  praato*  prima   fra    Zaccaria ,  ^  le  • 
madre  ^  cbe  per  sino  cbe  ella   noa  atcws 
finito  di  dire  t  ebe  fossero  conlenli  di  aMa  * 
le  rompere  le  parole  ,  con  voce   tremante 
cosi  a   dire    incominciò  :    Jerséra  andate*' 
mene  a  letto  più  tardi    che   il  solito,  noti 
^hccadde  obe  entrata  in  i^arj  pensieri  e  di* 
•TCrsi  9  non  potetti  per  buono   spazio  aTer 
forsa  di  chiuder  mai  occhio  ,  e  dottnecdo 
mi  pareva  di  essere  in  su    le    rive  d'Amo 
fuori  della  porla  a    San  Friano  ,   le   quali 
"vedeva  tutte  fiorite ,   e    sopra    la   verde  e 
minutissima  erbetta  sedermi  sotto  il  primo 
atberetto    alla    dolce  ombra ,    e  rimirando 
rac4)ue  quanto  mai  purissime  e  chiare  ccm 
dolce  mormorio  andarsene  tranquillameote 
alla  china ,  sentiva  meravigliose  piacere  ^ 
conlento  9  quando  mi  vidi  innanzi  agli  oo« 
chi  un  carro  grandissimo  comparire  mez- 
zo bianco  come  Tavorio ,  e   mezzo  nero  a 
guisa  deir  ebano.  Dal  lato  destro  era  una 
grandissima  colomba  bianca  come  la  neve, 
e*dal  sinistro  uno  smisurato  corbe  nero  a 
similitudine  di  brace  spenta^  che  nel  mo«- 
dtr  che  «ar  nostri  carri  fianno    i   cavalli    ed 


i-.|iarÌT«.iiafUo  iirpvftBO.  Nel  mfevso  «iqpai^ 
ta  a4  e#0O^«a  po^Ui  una,  aedia^   la  neljt. 
biaiica  e  Talirn  oara  ^  come  .  tqtto   il  ^Mt . 
alame  dkl  carco  «lirai^iaafteiite  («f^ala»^! 
DCìHW  ^nala  fO;.  ipentre  tniMMiillt  .limiiyw» . 
iu>D  fo  da  chi  t  Dc  cmoe  *  lai  posta  j^  Mf 
^ere;ffia  oca  vi  fui  cosi  ioato  deotro^  dbft^ 
Ja  caDdi<*a  colomba  ed  il  tetro  corba.*  apior 
g»ndo  Itali. piò  feloci  09«ai  cbov^ìl  fontor^i^ 
af  00  girono   per   Taiia  Talando^  e  pogr 
giapda  air  insù  »  tutti  i  oeii  mi  parto '^brt: 
poisafisero.  Ora  laaeianlo  indietro .  te  mar*-  ^ 
iri^iOvcbe  io  vidi^^  mi  gaidarooo  a  mod^ 
fiflUro   iQ   QUO  apaxioaiasimo  salotto  tutKi 
tondo  ,  ;.e  :  postomi  nel  mezzo   a  piò  d -ano  • 
gcaodissima  palla  ^  mi  lasciarono  »   ìntorn<>  - 
aUa  quale  tre  gradi  .staffano   di  beUisaimi. 
giovani  9  i  primi  di    xorde  erano  Testiti^ 
di  bianco  i.  secondi ,  ,ed  .  i  tarai  ds  .rossok 
Quivi  oondolta  ritrot an(|omi ,  maxavigliosa 
•  timorosa    aspettava  quel  che   seguir  no 
dAwase ,  quando  quella  grandissima  palla 
acoppiando  ai  apei:se ,  e  rostovvi  una  sedia 
attiasuDa,  che  pareva  che.ardease^  e  su  vi 
era  un  giovane  a  sedere  pur  di  fooco  ve»* 
atito  ,  e  di  fiamme  accese  incoronato.  Ma 
quando  egli  volse  in  verso  di  me  ilvjso^ 
gli  occhi    miei   debolissimi  non    poteronot 
aoffrire  tanta  luce  ^  per  ciocché  miUe   yfoUy 
teiera  più  risplendente  di.  quella  del  aole^. 
onde  abbagliata    mi    fu    forca  chinargli  a 
terra  «  e  per  buono  spazio  tenendoli  chiu# 
ai  9  bC  accorsi   poi  girandoli  intorno  i  cbt 


y 


dal  soTerrfaìo  spleudore  ehi  cieca  ditenti^. 
ta.  Quando  con  la  Yoce  ,  che  pareva  d*uii 
lerriluli 881010  laono  ,  o<Ui  dire  ana  parola 
Bon  mai  più  udita ,  né  mai  credo  nel  moii^ 
do  farellaia  ,  onde  subito ,  non  Temendo 
da  chi ,  mi  sentii  portare  ;  e  dopo  ionijft 
pezza  aggiratomi,  fui  in  terra  posta  ,  sc^ 
condo  che  brancolando  mi  pareva  seolire» 
iopra^un  erboso  prato ,  e  di  fatto  una  T0C6 
umana  udii ,  che  disse:  Figlinola,  non  do** 
bitare,  aspetta  che  ria  ver  ai  il  tedere;  ài 
suono  delie  ctii  dolcissime  parole  Toltami» 
e  risponder  Tolendo ,  non  potetti  quel  che 
aveva  nell*  animo  far  noto  con  la  lingua  » 
e  di  cieca  mi  conobbi  ancora  esser  muto- 
la divenuta,  e  non  meno  dolente,  che  pau- 
rosa attendeva  ciò  che  nel  fine  esser  di 
me  doveva  ,  quando  da  persona  viva  mi 
fu  presa  la  destra,   e  dettomi  :    Distenditi 

S[uanto  sei  lunga;  ed  io  obbediente,  cosi 
atto ,  appunto  arrivai  con  la  fronte  alle 
fresche  onde  d'una  fontana ,  e  distenden* 
domivi  dentro  la  mano  ,  mi  c<»mandò  co- 
lui ,  che  gli  occhi  mi  lavassi ,  e  con  le  san- 
tissime acque  mi  lavassi  tutta  la  faccia  ,0 
subito  (  oh  cosa  miracolosn  !  )  riebbi  la  vi' 
sta ,  e  girato  gii  occhi  intorno ,  fui  da  co- 
si màraviglioso  stupore  sopraggiunta ,  che 
per  Tallegrezza  e  per  la  gioja  pareva  che 
il  cuore  mi  volesse  saltar  dal  petto  ^  veg- 
gendomi  dinanzi  a  un  cosi  divoto  Eremi- 
ta ,  d^aspetto  venusto  e  severo.  Il  volto 
aveva  squallido  e  macilente ,  gli  occhi  ddl- 


ri  •  fra?i ,  la. barba  folta  e  lunga  per  ili- 
fino  al  petto  »  le  cbiome  distese  «  e  aopra 
le  tpi^Ue  cadenti  i  peli  dèU'ana  e  dell  «U 
taf  i  Capelli  sembraTanò  fila  di  puris&. 
mo  e  sottile  ariento  tirato.,  le  Testimenta 
erano  lup^hissime  e  finissime  di  color  dd- 
In  lana,  cinto  nel  mezzo  con  due  fila  di 
flessibili  giunchi  »  in  testa  aveva  di  pacifica 
Dliya  leggiera  e  vaga  ghirlandetta  ;  d^c^ni 
oner,  certo,  e  riverenza  degno.  Il  prato, 
dove  io*  sedeva ,  era  di  molle  e  cosi  verde 
erbetta ,  che  alquanto  pendeva  in  bruno* , 
distinto  per  tutto,  e  variato  da  mille  di- 
verse maniere  di  soavissimi  fiori ,  e  quanto 
Pocchio  mio  scarico  poteva  vedere  intorno, 
tanto  durava ,  e  forse  più  assai  la  lietis- 
lima  pianura  ,  senza  esservi  albori  di  sor* 
te  alcuna.  Il  cielo  di  sopra  si  scorgea  lu- 
cente e  chiarissimo  senza  stelle ,  luna  e 
iole.  Sedevasì  la  persona  divina  sopra  un. 
nievato  seggio  ,  che  era  un  sasso  vivo  cir- 
condato duellerà  da  ogni  parte  ;  veder  vi 
i  poteva  uoa  già  non  troppo  grande,  ma 
raga  e  dilettosa  fontana  ,  non  da  dotte  o 
naesirevolì  mani  artificiosamente  di  mar- 
no o  di  alabastro  fabbricata^  ma  dalFin- 
{^nosa    natura    puramente    prodotta  ;    le 

Cnde  deir  una  erano  di  freschi  e  rugia« 
i  gigli,  l'altra  le  aveva  di  pallide  e  saii^ 
[uigne  viole  ;  Facque  della  prima  sembra^ 
ano  molle  e  tenero  latte ,  quelle  della 
egpnda  parevano  di  finissimo  e  nero  iiA 
chiostro.  Ora  mentre  io  rimirava  indenta  le 
Imscq.  i6 


I  «It  »'  »■'*  ■  »  «  IP  I 


-de  i«  Ì9gioocc4Mf^^ix)^U  «*  piedi  »  i 
4q  il  qpt^ljio.  cbie   io  i«pe?t,  gli,  n 


^ink  MMft'  il:  «into  Tecpbio  ini  .'(wpiediWf 
.^fd  Ja.  Roo-  iftante.mi  tornò  la.. fiv? q^A J <»* 

«udlefa 
MSK»  qa^odo  eg|&  rorògodawi  le  pwiH 

Ii^,  diwf,;  Ahbi.  ann,  ediligeatenept*  At- 
jte«di  a  qn^l  che  io  fo.t  cli^  ogni  oo#a.ai|ii 
.  tilCo  a  lao  ampaff eatramento.  ;   6: .  |«p4p  •  w 
..meno  Io  doe  fo^tanct,  eoa  la  .tua  d^i^ 
.m  aaa^o  yiocolevo  pr^8^,\e  aalla  fi^pif.i 
.jehe;guanJaT4  air  oneotet  lo  gìttò  t^  m^  opp 
.idi.ti9$tp  le  UaneUÌMiiDe  aeqaa  cU^  ùpl  per* 
coste  Ikrono^  ohe  di  .quelle  si  jn\%  .ai|Oh 
,re  Pn  bambiMO  biancogo.  e   riooiotiiiqt  di 
.iraggi  di.  stelle  e  divino   splendore  circon*»' 
dato ,.  c^ntaudo   e   ridendo  irersa  il   cido 
Inlto  aih'gro   salire,  e  come   scegli   airesao 
J'eli'  avuto,  in  su  volando  andò  tant^altn, 
fche  io  Io  perrlei  di.  vista;  e  dopo    con   la 
«aìnistra  mano    un    alU'o  sasseUo   prese  «  e 
.lieir.alUa    fonte,  air  ocnidenie   volta  gitU|- 
tolo  y  subito  da  quello  la  caliginosa  acqua 
.toccarsi  ^ide  visibilmente  uscire  un  altro 
ibambino  livido  ed  enfialo  tutto  quaptp  »  e 
.intorniato  di  rote  di  fiamma  ancesa,.e  €0« 
^e  se. egli  ardesse  si  scontorceva  e   dime- 
9ava«  la  an  tratto  anertasi  la  terra  dinansi 
agli  oocbi  o^iei   si    lece    una  caverna  pro- 
indissima  «  nella  qaale   gridando  ^  e   airi-* 
dendo  quel  bambino  si  messe  alP  ingiàp^ 
vcipitando,  ma  prestamente  inghiottitolo,  yt 
teriò  la  fessura,  e  tornò  la  terra  al   paride 
•come  prima  erbosa  e. colorita.  Allora  Tuo- 


di  Dio  chmmaiaini ,  eh%  qamu  semiviM 
ilAT»  »  toprn  ié  Tedaie  cote  mantiglioM 
ymmnd»  »  dine  :  Figliuola ,  m  la  fiinu  quii 


tua  i#  9*aii4rà    caiae   qnd .  bai^biad^ , 
cba  usci  di  qudla  foBiana  ^  e  motlroauiu 
^eUa  di  ,htt«  «   €  jpoi  acfgiooae:   Se  la 
tomperai  il  odiose  ai  DiocoioaiìdanMiloit 
IWtrOy  che  di  qae$l'  altra  oiqk,  nel  -pr^« 
.  fMdo  dell*  inferoo  li  liirererà;  a  perpetoo 
eopfdiiie  eoadannaia,  inneiae  Qua.  qoeiU 
•di  loa  madre  S'Onde  io  iafra  paam  e  spe» 
fama  9   4«toro6a  ed  allegra   eoérispo»!: 
Setto  di  Die ,  coHiaadaie  pure ,  che-  io  tqa 
fw  br  fallo  qoel   che>  piace  a  TOi   ed  al 
flue  SigQOi*e  ;  ed  e^li  disfe  :    A   Dio  ^iace 
obe  la  prenda    per   tuo  sposo ,  Alessandro 
•Torelli  9  siccome  è  lesnuimainenle  »  lascian- 
<dO'  ogni  altro  p^r^otado  ,  e  di  più  che.  la 
dia  al  primo   Sacerdote   che   li  Terrà  ia- 
naosi  trecento  lire  «  le  quali  egli  doni  per 
ramor  di  Dio  ad    una   fancialla    povera  9 
.ebe  si  abbia  da  maritare  ;  e  questo  detlOt 
.il  pral9  •  le   fonti ,  il  santo   Eremita  t  col 
-eoano  Msieme  sparvero    in   aq    tratto  Tta 
da^  occhi  miei  ^   e   con  mi  risvegliai  ;  .e 
:qw  si  laoque.  Fra  Zaccaria  «  che  quasi  una 
nev^ora  intentissimo  /^e  colei  parole  era 
alalo,  e  piena  fede  prestandoley  non  pen- 
tendo  che  un^  cori  leaera  fanciulla  avesse 
poloto  da  se  Messa  m^  trovare  e  ordina- 
re aea  cosi  fatta  trama  j  stupido  e  mara* 
▼iglioso  ogni  cosa  minatamente  consi4er|h 


lo  ,  u  Tcte  m  madonna  'Liidoaiina'^ 

E*à  ti  era  oniccitftai^  e  Tofoira  ||ndara 
6glÌDo)a  «  e  dille  che  di  gnutia  tao 
a  particobormcnte  dalla  Liialìèlla  «jsilea 
narrare  qnaoto  tra  lei  ed  Afcnandgo  ^'(ì^ 
caitò  fone;  e  lapendo  ^!oaie  di  liiufMIzyU 
Ui  li  doveva  maritare  a  Bindo  «  •  |ier  via 
del  Papa  stornare  il  primo  e  •  vero  pare|l^ 
tado ,  si  -pensò  che  I)omeneddio  'pct  ì^ua- 
•la  cagione-  Tavesse  fiaila   sognare.   Per  k 

Kal  cosa',  Toltossi  a  racconsolare  •aamoa 
Idoniine,  le  fece  una  bella  pivdìdhella 
•opra  il  matrimonio ,  e  ncHa  £ne  oaiMfaici- 
se  a  lei  ed  alla  Lisiubetta  ,  che  il  pareli- 
tado  con  Alessandro  iìod  sì  poteva  per 
modo  alcuno  disfare ,  perciocché  veramente 
egli  era  sposo  della  fanciulla ,  dicendo»  che 
quello  che  ha  congiunto  Dio,  l'uomo  non 

Jmò  né  deve  separare,  e  che  le  f«>rae  e  le 
^gi  del  matrimonio  sono  più  forti  e  mag- 
giori che  [>er  avventura  molti  non  si  danno 
ad  intendere.  E  tornando  al  sogno  tatto 
Fespose  parte  per  parte  ,  confermando  nel* 
1*  ultimo  quelle  due  f<intane ,  Tuna  bianca 
essere  lo  stato  dell'  innocenza  e  della  gra» 
aia ,  Taltra  nera  quello  della  malitia  e  dei 

Seccato ,  signiBcando  loro  ,  ohe  se  elle  non 
icevano  la  volontà  di  Dio ,  alla  6ne  della 
vita  se  n*andrebbono  nel  profondo  del- 
r  inferno  ;  dimodoché  a  madonna  Laido- 
mine  pareva  già  essere  nelle  mani  di  Ma- 
lebranche ,  e  stava  messa  sbigottituccia. 
Il  buon  padre  sapendo  che  se   la  Lisabet» 


MrTELLA   fili  S4S 

là  iioQ  TiinMieTt  a J  AIe8saiidro>  la  limo* 
ma  deHe  treceoto  lire  aoderebbe  alla  gra* 
8^9  ajutaVa.qnaDto  egli*  potete  la  cosa  ^ 
anoorcbè  la  fusse  ragioncTolisiiiiui  $   ed  a- 
^Hnào^  Alessandro  per   giovane   studioso   •  . 
letterato ,  non  solo  per  costuinalo  e  buo» 
iMtf  persuaderà  madonna  Laldomioe  a  dar- 
l^ela  ad  ogni  modo  ;  dicendole  che  le  vÌF« 
la  in  questo  mondo  erano  le  yere  ricchez* 
M  9  e  dipoi  che  la   sua  figliuola  ,  essendo 
da  per  se  ricchissima ,  non  aveva  di  biso- 
gno d*  uomo  ricco  t  ma  di  uomo  da  bene^ 
ohe  sapesse  mantenere  e  accrescere  le  rio- 
o&ene  t  usandole  liberamente  quando  Toc* 
éasione  venisse  «    e  secondo  il  bisogno  ^  a 
che  a  questo  affare  non   si    poteva  trovar 
giovane  in  tutto  Firense  più  a  proposito  di. 
Alessandro,  tanto  che  nella  fine   fece   ca- 
pace alla  vecchia  essere  cosa  non  pure  o- , 
nesta ,  ma  giustissima    dargli  la  Lisabetta  » 
o  per  dir   meglio,    confermargliene,    poi- 
obe  per  volontà  di  messer  Domeneddio  se. 
l^veva    già    tòlta  ;    anziché    facendo   altri* 
menti ,   come   detto   aveva ,    procurava  la 
sua  dannazione,  e  della    figliuola  insieme* 
E  neir  ultimo  disse   e   fece    tanto ,  che  a 
madonna  Laldominenon  rimase  altro  scru* 
polo  nella    mente ,  che    licenziare   messer 
Gerì,  il  quale  sapeva  averne  sc^rilto  a  Rc« 
ma,  favellatone  al  Vicario,  a   tutti    i   ma* 

g 'strati ,  e  messo  sottosopra   tutto   Firenze* 
ode  cosi  modestamente   favellando   a  fra 
Zaccaria ,  rispose  :  Uomo  ,  avete  tanto  bene 


Mpote  fàfiaàà&n  •  era  l^mfmSfikmm^M^ 
MMiO#  •  eon  le  va^oni^  •  «•  AmI  4|ll»«¥ 
MI  teeeer  em  k  mano  #  tkm  tmìm^  * 
dsQa  quale  pie  «omo  tango 


reterò  oòiorcon  analla  dillÉ  màmÈAÙtt' 

•*  Io  aen^ 


ao  n^anderebbe  a 

oonfenta  di  fiirc  ei4  che  ^  irnlclo# 

ap  eone  farmi  a  Itoéonere'nMaiv^Qeelft^' 


troppo  mando  ae«Moiik 
ilio  qoah  eew  mtmm.m 
ìore  no  te  Amè»  m  Sfia^ 


almi  iirniuTiarlo; 

finte  :  BCadoofia  ; 

Ala  mlote  deironinHit  non  InmÉmÉ  «vo^ 

m  uè  toipetti  ^  né  ritpetii  ^  o  w  ^n  pieee^ 

io  ter  carità  andrò  a  trofarlo  «  o  to  ^a  io 
lo^  tarò  contento- o  mostro  amico.  Ohimè  9^ 
grada  t  rispose  la  donna  «  che  io  te  ne  pio* 
go  9  e  Toglio  che  tatto  <|[aeslò  parenlaéo  « 
goidi  per  le  Tostra  mani ,  e  ohe  iM  abM 

5 nello  9  che  prima  lo  facciate  intendere  nd 
Jessandro  !  La  Lisabetta ,  queste  panilo 
cosi  fatte  udendo,  avera  tanta  allegream» 
che  ella  non  capiva  in  se  stesm;  oi  ékk 
madre  cosi  disse  :  Egli  si  Tiiole^  che  Hk^ 
nana!  ogni  altra  oom  le  trecento  lire  no» 
no  date  al  padre  spirituale  per  fiir  la  li» 
mosina  a  quella  povera  fanaulla  9  che  ai 
mariti.  Bra  dicesti,  soggiunse  il  frate  ^ 
perchè  nel  mondo  non  si  può  far  còm  più 
accetta  a  Dio ,  che  V  opere  della  miseri- 
cordìa  ;  e  sapete  che  appunto  io  ho  una 
nipote  cugina  hene  allevata  e  di  huooi  co- 
stumi ,  che  SODO  due  anni ,  che  ella  ave- 
Mhbe  voluto  marito ,  o  sokmente.  è  reata-^ 


ÌÀ  ^  non  A^et  dote  ;  )>erieioòcÌiè  Mio  pkr' 
dfte  tenào  tessitore  ;  e  aireado  la  ttièglié  tà  ' 
dkri  figli  tIoK  ^  àppent  egli  può  gaaaa|iiar 
Mtilo  >  che  dia  lòto  le'  s(MSsé  ;   oertefiletite 
ofiért  pietoiisNiiie  satà  ^ttestài  Pel*  li  qiìU-  ^ 
cò<*  «  madòiiQà   Laldomitte  fMta  nnh  ps^ 
Km  k1  Ifate  t  che  le  trecento  lift  gK  mn 
•èro'  pigaté  al  haneb  de*  Peraxii  ;  k>  pra^ 
g6  òtte  dcpé  fosse  ctmtetitò  di  fai*  Vopert 
i^ii  messef  Oéiri.  Frate  ^kcearia  tutto  al* 
U|rò  hi  psLtA  dà  litro  «che  fli&àseto  ^tìle^' 
tìÈtàmh  f  knàrtittftineille  la  Lisabette  )  e  te 
prtàiA  còAà  t  tfhè  foce   il  buon   ùadré  ^  fìt 
il'  risqubterft  i  détiari  e  portatseli  a  essa  « 
de*  qtlali  poi  a  luogo  t  tempo   uè  ioiArité 
U  sua  nipote  «  e  quando  fempo  gli  pa^te| 
aè  n^ttdò  à  ttdvar  messer  Oeri  «  ài  quale 
fitto  Un  proeiuio  gr&udiiKsimo  »  lo  tiro  at- 
te toglie  éue ,  come  colui  che  ti   lasciàTa 
thtbtré  tóììe  ragioui ,  avendo  nel  frate^  di- 
ir6tioiite   e  fiducia  gtandissiifia.   Onde  fifa 
2hecatik ,  riugràiiattflò  «cnoatnaitkettté ,  te  Ae 
aretine  a  ti^otar  le  donnea  che  L^aspèttavà^ 
2ib,  e  narrato  lóro  il  tutto  «.fece  cbtadiaré 
AlliMandro ,  il  quale  pUre  allóra  era  torna* 
tu  a  desinare }  e  poionè  egli  òon  allegret* 
sa  infinita  fu  comparito ,  il  buon  padre  fat- 
toselo  sedere  a  airimpetto  in   compagnia 
delle  donne  9  gli  fece  un  bellissimo  aisoor- 
so  di  tutto  quello  che  era  intervenuto ,  è 
poi  gli'  disse  come   la  sera  ,  ordinato  uno 
aplendìdissimo  convito  $  coleva  Che  in  pre^ 
Muta  degli  amici  e  dei  partati  sposasse  li 


Lui^bi0||»  tve  ijpA  reììMfi  à^mooaréop  àmif 
Mxitjl^  ^n  *per  la  mattiiuu  La  iòa  po« 
Km  woero  le  bone  belle. •  ^^MtogDÌfioM^ 
àawAn  pittoensa  del  pereglpda  V  Alwiendfp' 
pulA^icMBeate  4fBtte  r«iiello  éUa  fiuKmllet 
e  ioimà  la  nolte.  seco.  L«  quel  opta  apar- 
fg^ùÓMì  per  Firense,«  piacque  nnoralineii^ 
le. a  ognono  «  e  ne  forono  lowle  aMai  là 
madre  e  là  fij^iaola.   Aleyendro  ddla  eoa 
iKifera  e  picoola  caletta  ludto  »  ed  in  qad« 
fa . ncohiasima  e  grande  entrato ,  ..ai  «gué 
al  governo  $  non  abbandonando .  per&  idi 
atndj  ;  dimanierach^  in  poco  tempo  ài  n« 
ce  ncchissinio  e  ▼irtuosissimo  ^  e    in  guiM 
tale  apparì   magnifico  »   saggio  ed   onora- 
to cittadino  ,  che  la  Repubblica  t  per'  casi 
d'importanza  se  ne  servi  più   Tolte  dentro 
e  fuori  ;  e  cosi  crescendo  m  onore ,  in  ro- 
1^  e  in  figliuoli  t  non  senza  piacere  e  con- 
tento grandissimo   di  madonna  Laldomino 
San  tempo  visse.  E  cosi  Tavvedimento  d'una 
.  nciulla  innamorata  vinse  la  malvagità  della 
fortuna  9  e  procacciò  a   se  contento  mara- 
Tiglioso  9  diletto  e  gioja  «  ed  ai  marito  pia« 
cere  incomparabile,  comodo  ed  onore ,  uti- 
lità infinita  «  fama  e  gloria  alla  sua  patria^ 


H9 


NOVELLA  IV. 


Lo  Scheggia ,  il  Pilucca  ed  il  Monaco 
danno  a  credere  a  Gian  Simone  Berre^ 
iajo  di  fargli  per  forza  étincand  andar 
dietro  la  sua  innamorata.  Gian  Simone 
per  certificarse^  chiedendo  di  veder  qual- 
che  segno ,  gliene  nu>strano  uno  che  lo 
sbigottisce  ;-  e  non  gli  piacendo  di  ^if- 
giutare  j  operano  di  sorte ,  che  da  lui 
,  cavano  venticinque  ducati,  dei  quali  un 
pezzo  fanno  buona  cera.  a^^ÌJÉ 


T 


osto  che  Galatea  Tenne  a  fine  della 
•aa  favola ,  non  troppo  rìsa  ^  ma  lodata 
assai  da  ciascuno ,  Leandro ,  che  dopo  lei 
sefiaitaya  ,  piacevolmente  a  favellare  inco^ 
miociò  9  dicendo  :  Poiché  la  sera  passata 
mi  convenne  ^  come  volle  la  fortuna ,  belt 
lissìme  donne ,  e  voi  cortesi  giovani ,  far- 
tì  9  narrando  gì*  infelici  e  sfortunati  avve- 
nimenti altrui ,  attristare  e  piangere  «  io 
ajreva  pensato  con  una  mia  novella  questa 
aera ,  rallegrandovi ,  farvi  altrettanto  rì- 
dere ;  ma  Florido  mi  ha  furato  le  mosse , 
e  non  so  come  questo  mi  si  verrà  fatto  , 
poiché  tanto  della  sua  vi  rallegraste  e  ri* 
deste;  nondimeno  ho  speranza  di  ralle- 
grarvi ,  e  di  farvi  ridere  anch'  io. 

Lo  Sche&gia  ed  il  Pilucca  ,   come  voi 
potata  avere  inteso  t  furono  già  campagoi 


Mlvtì  e  fiioelit  td  uomtoi  di  liinm  tmiM»~ 
é  deir  arte  loro  ragtoncnroli  maestri  )  cbl 
Vvmo  tu  orafo  «  e  1  diro  tenitore»  e  be». 
che  feMero  an«r  che  no  poveri;  enteo  nM^- 
mici  cordi^K  delh  fatica  t  boetido  la  mi- 
glior cera  del  mondo;  e  non  n  dando 
pentierh  di  cosa  niàna»  aHegrameùUl  Vrva- 
Taoo.  Tenerano  costoro  per  aorte  amieiala 
eoo  un  certo  Gian  SimOM' Berretta^  9»iA>' 
mo  di  grosso  in^gno*  ttìì  benestante,  il 
^ale  altorà  facèta  la  bottes»  in  'siti  '  can^ 
to  de*  Pecori ,  ed  in  nn  rondadiMto  di 
impila  teneva  risgitnAta ,  e  ihastf  mamenté  ii 
Tenm^^'dpve  spesso  lo  Scheggia  ed  il  Pi- 
lucca yetiWano  a  passar  tempo,  gìocaodò«> 
Tisi  alcune  Tolte  a  tavole  solamente  ed  a 
germini  »  e  oltre  ancora  il  chiacchierarvi  , 
Sftj!)eveva  spesso  qoalche  fiasco.  E  perchè 
lo  Schessia  era  leggiadro  parlatore  e  taro- 
Tatore  oi  beUisràme  invenzioni ,  spesse  Tot- 
te  raccontaTa  qualche  cosa  degli  spiriti  t 
degr  incanti  9  che  piacere  ^  maraviglia  iHm 
piccola  daTa  agli  ascoltatori.  Era  innanm- 
rato  in  quel  tefnpo  il  detto  Gian  Simone 
d'  una  vedova  sua  vicina ,  bellissima  fìlof 
di  modo  ;  ma  scodo  ella  nobile  e  Onestis* 
atma  ,  e  convenevolmente  abbondante  ddi 
beni  della  fortuna  ^  ne  viveva  mal  conten- 
tOt  e  non  sapendoceli  come  venire  a  fine 
di  questo  suo  amore ,  pensò  »  non  atendo 
altro  rimedio^  per  forza  d'incanti,  e  non 
altrimenti  dover  poterne  corre  il  desiato 
fruito-;  «  cUamaCo  un  giorno  lo  Scheggia,- 


itt  eiu  atevft  graodisiima  fede  ^   ^i  nuwò  - 
ed  aperte  fallo  il  desidwio  suo  ^   e   dopo 

£i  «Diete  e  co^ti^lo  4  e  ajuto  1  jmvia  aT*Q- 
^lo  Amo  giurare  di  tatere«  La  Saheggtt 
^i  dine  ehe  a^eY^laente  ai  fiirebbe  ogai 
cola  t  «aa  che  bigognata  eonfiirirla  ai  Klue- 
n  »  il  quale  areta  un  *au<>  amico  ttliiaaia^ 
te  Zoroasifu»   che  faceta  fiire  ai  ìAiatiali 
ciò  che  gli  parafa  e  piacoTa.  GiaD  Sìdiote 
riapoalo  atebd^  ehe  ai  lutto  era  oonteaM^ 
rioBatero  l*ìihra  aera  di  eeoaM  iùafeme  ftt* 
re  in  caia  Giatt  Simone .  e  di  eòmtllta^e 
e  deKberare  d6  che  fosse  da  fare  tutorùta/ 
a  questo  auo  amore.  Lo  Schenia  aHe||Ml*' 
almo*  tofeto  ehe  da  lui  fu  parlHfti^tròTÒ  iV 
Pilucca  ,  ed  ogni  cosa  per   ardine  gli  dia- 
ser^  <^^  f^r^  insieme  mara tigliosa  fé* 
sia t  pensando»  oUre  il  piacere*  cavate  uti« 
le  aon  ptecolo,  e  restati  quel  che  far  do^ 
Tetatio  t  n*  andarono  alle  fiiccende*  L*  altra 
sera  poi  (sendo  per  Ognissanti)  a  buen^o^. 
ra  il    rappresentarono    a  botl^   di*  Oiarf 
Simone  *   dal    qaale    furono  *    dòpo    noù 
Bfeoito  *  menali  a   casa  ,  dote  fatte  aveta 
olrdinare  una  splendida  cena,  e  poiché  em 
4»)>eit>  lAaiigìato  le  fruite,  tallóne  andare^ 
le  donne   in   camera  ^    caddero   sopra    il 
mgionamento   di   Gian  Simone   e  del  imay 
amore.  Perlochè  lo  Sch^gia  pregò  il  PilUc-' 
ca*  che  fusse    conienlo    di   Voler   pregare 
Zoroastro,  che  con  aP  incanti  suoi  gK  pia^^ 
cesse  d*  operare  si  che  Gian  Simone  gooeè^ 
se  la  s'jla  innamorala^  e  fargliene  potafda*^ 


re,  OMM  a  lofiDiii  altri  aomini.  da  hBOB^i 

Sari  raoi,  afera  già  filila  U  Pilucca  p  detto . 
i  fare  òfoìì  sforzo ,  e  che  domaoi  torne- 
rebbe a  rispondere,  pensando  fermariMole 
d*aiTecargH  buone  novelle  «  da  lui  uldiia^* 
mente  presero  buona  licensat  il  quale  ri- 
mase tutto  consolaio  e.  lieto  t  psirendo(|U 
mille  anni  di  ritrovarsi  oon  ì%  sua  vedoijrar 
I  due  compagni ,  latti .  varj  propositi  »  se 
n*andarono  a  letto,  e  la  mattina  andati  a 
trovare  quel  Zoroastro  amico  loro  ^  gli  con- 
tarono*  tutta  la  trauiatla  quale  molto/p^ 
cendogli,  perchè  di  simili  ^tresche  erm  den^- 
derosissimo ,  disse  loro  molle  cose ,  e  niolti 
modi  trovarono  insieme  da  larlo  trarva  ^ 
rimaner  goffo  ;  e  consultato  che  .,il.  Piluc- 
ca r  andasse  a  Irovare ,  e  gli  dicasse  che- 
li Negromante  era  contento  di  fargli  ogni 
suo  piacere ,  con  questo  che  egli  voleva 
venticinque  ducati  innanzi ,  A  partipono 
da  Zoroastro ,  e  il  Pilucca  ,  andatosene  « 
bottega  ,  dei  tutto  ragguagliò  Gian  Simoi» 
ne  y  al  quale  parve  molto  strano  i  venti- 
cinque fiorini  «  e  r  averli  a  dare  innansi  } 
e  non  si  risolven-io  cosi  allora  ,  rispose  %1 
Pilucca  «  che  fosse  con  lo  Scheggia ,  e  che 
insieme  venissero  ,  che  gli  aspettava  a  dte- 
siqare  ,  dove  si  risolverebbe ,  perchè-  non 
voleva  far  nulla  senza  il  consiglio  dello 
Scheggia.  Piacque  assai  questa  cosa  al  Pi- 
lucca ,  e  trovato  lo  Scheggia,  che  Taspetta- 
va.  in  Santa  Reparata  ,  ogni  cosa  gli  nar- 
rò »  di  «he  egli  fu  contentissimo  ^  e  ai^da* 


tMi  a  spàMO  un  buon  pezzo  »    in  '  %xùY  ora 
del  mangiare  se   n*  andarono    da  Gian  Si- 
mone »  U  quale  come    gli   TÌde  ti  feoe  io* 
ro  incontro  «e  presigli  per  la  meno,  a  de- 
sinare (  che  stata  allora  in  tia  Fiesolana  ) 
ne  gli  menò;  e  poiché  essi  ebbero  fornito 
dì\  mangiare  ,  ragicvnato  della  cosa  .  delizia- 
canto-   e    deir  incantatore    baono    spazio', 
Gian  Simone  non  si  fòleva  recare   a  quei 
Tenticinque  dncati ,    e    maggiormente    do- 
TCndogli  dar  prima:  pore  lo  Scheggia ,  di- 
cendoli che  il  Negromante  farebbe  di  mo- 
do ,  che  la  sua  donna  non  potrebbe  vite- 
re  senza  lui ,  fece  tanto ,    che    egli  acòon- 
WltÙ  con  questo  intento ,  che  innanzi  che 
i  denari  si  pacassero  ,    voleva  veder  segno 
deirarte  sua,  onde  potesse  sperare  di  ri- 
trotarse   con    la    sui    innamorata.    Ben  sa- 
pete t  rispose    lo  S<  beggia  ,    cb*  egli  è  uo- 
mo onesto  ;  e  vi  farà  vedere  cosa  ,  che  tì 
maraviglierete  ,    e  vi    renderete  sicuro  del 
tallo ,  ma  avete  voi  pensato  il  modo  ,  co- 
me tì  volete  trovare  la  prima  volta  seco  ? 
ditemi.  Non    io ,    rispose   aiirom    Gian  Si- 
mone.' Disse  il  Pilucca  :    Surà    bene  che  il 
primo  tratto    ve  la   faccia  in    su  la  mezza 
notle  venire   a  letto  ,    e  che  ignuda  ve  la 
metta 'allato,  e  che  di  poi  la  faccia  in  mo- 
do innamorar  di  voi  ,    che  ella  non  vegga 
altro  Dio,  e  si  consumi  e  strugga  de* fatti 
vostri ,  come  il  saie  nell'acqua  ;  e  lo  sarà 
in  guisa ,  che  ella  vi  verrà  dietro ,  più  che 
ì  pecorini   al'  pane   insalato.  Tu  Thai  da-» 


sSjl  ìmsdiml*  ama* 


pilaytoggiaiiie  Gìas  Sittone^  «mi- ti  jm 
tèf  a  psoMr  megtto;  a  oodailo  màdo  ti  ua^ 
aia  ;  laa  priiaa  c2i^  io  eantt  la 
«■alche  te^Dio  imendo  dì  Vadara»  a 
elle  io  non  mi  4UU  di  ?oi  e,di  lai, 
BOB  parere  una  persona -laUa  a  §mfjk 
aoti  fliotltare  d^easere  sa  oooie  è  boi^  ub* 
Bmbra*  e  par  andarne  in  litlte  le  eoat  §^ 
alificÉlo;  d«l  ohajrineaalaton  mi  MMfà 
mollo  da  più.  Egli  non  Vi  ai  poi  ^PlP^t^ 
aè,  aaguità^  lo  ScJMggia»  eoi»  Ma  fiiteO^ 
tf^-t  |Mrò  domandameni  Takra^  ohe  è  div 
BMnica,  noi  inaieme  oe  n*  anderemo  a  tre* 
nn>lo  a  oasEt  là  doTO  egli  ala  io  Gualfoiv- 
da ,  e  fedrete  miracoli;  e  eoaà  molt'  ekre 
oeae  ragionato,  reatali  unitamente  di  rif 
troTarai  la  domenica  aera  in  Santa  Sfuria 
HoTella,  ae  n*nacirono  inori ,  e  Gian  Si^ 
viene  lieto  ae  n'andò  a  boitaga  «  e  i  dBoi 
oompagDi  a  trovare  Zoroaslro,  il  ^(«ale  era 
Bomo  di  Irentaaei  in  guarani*  a^ni  9  d| 
grande  e  dt  ben  fatta  ptraona ,  di  cirferf. 
nlitigno ,  nel  yiao  burbero  e  di  6era  goer- 
datura,  con  barba  nera  arruffata  e  kipge 
qnaai  insino  al  pelio ,  gbiribiuoao  mol^' 
to  e  fantastica ,  aveva  dato  opera  ali*  nJr 
ehtmia ,  era  ito  dreto  e  andava  tuttavia 
ella  buja  degV  incauti  ,  avev^  sigilli  9  M^ 
ratteriy  filattieret  pentacoli  9  eam|)ene9 
bocce  e  fornelli  di  varie  aorte  da  atiUare^ 
erba  ^  terra  »  metalli ,  pietre  e  le^ni  ;  ave- 
va  ancora  carta  non  n£ita  $  occhi  d|  lupocer* 
Yiero^  bavB  di  oane  arrabbiato  9   spina  -  di 


tfanufti^  vr^  955 

fmee,  oolambo»  ossa  di  .  morii  «  capMtai 
d*  impiccati  t  ptigoali  e.spa4e  o|^e  fwVa^ 
np  ammazcato  aomioi,  ,la.  Qlu«TÌf^l#  ed  i4 
Catello  dì  Salomooe^  jcd  evh^  9.  femi  «coi- 
ti  a  Tarj  tempi  della  loM,,  e  sptto  yar^ 
costtHaaioni  t  e  milìe  altre  gitole  « jcIi^m- 
chiere  M  far  paura  agli  aoim^bj.  ,Attei|f 
d^a  . air  astrologia ,  .«[Ua;>  fisoi|omia.t  .Ml> 
tBKbiromaluia  e  ce qto  altre  bàjaoce  1^  CfC; 
de^a  mollo  -  belle  ttreglie  ^  ma  sópra  .  I,iift9 
«gli  spirili ^nda^a  dietro,,  jO  cod  tutto  qii^  1109 
aieva  mai  potalo  xed^e^.nò  .fare  .cosila 
cbe  trapassasse  1*  ordine  della  uatora^i  |^^ 
che  mille  scerpelloni  e.  uot^l^coi^  intcìrfif 
a  iciò  racooatasse ,  e  4i  farle  credere ,  sliw  ^ 
gegDi^sse  alle  perjsooe  ;  e  ,  oca  9^eii4o  -  9^ 
aure  dò  maarct  ed  assai  liepe  staute  seup 
o  ^  gU .  coi^v^DÌva  stare  il .  pì^  del  tempii 
solo  .in  4;asaf.Doa  trovandp.per  la  ptimi 
sé  4ierYa ,  nò  famiglio  »  che  Tolesse  .s^ap 
seco»  e  di  questo  iufra  se  mara^igliosant^lf 
god^a,  e.  praticando  poQ0  9tands<>4^.9  e«S9 
epa  la  barba  aTtiìuppa.ta.  seoaa  .m^ii  pek* 
tinarsi,  sudicio  sempre  e  sporca»  ^ra  ^tc|r 
UBtp  dalla  plebe  per  uu  gran  dlospfq  ,  «  e 
aagromanle*  Lo  Scheggi^  e  il  .Pilucca  -lera* 
no  suoi  amicissimi, ,  e  sapevano  a  dvie  pv^ 
oe  quanto  egli  pesava  ^  e  a  quanti  di  pf^ 
San  Biagio  ;  sicrbè  trofatojo  ,  ^i  uarrArOf 
no  la  couTegua  fatta  con  Gian  SjmoiiQy.v 
de  i  venticinque  diviati,  cbe  dar  doveva 
ìnuanzi ,  con  questo  ,    che.   vefier^    vql^fa 

fnalcbe  s^no  da  j^teriK  easioqoraKej.  ^ 


s: 


1i»B  giéù*himik. 

la  csòM  toAt  piefr  ritiflciret  e^i  diiÉàro  idèB 
14 "fine  tàlto  qaello.t  di  cai  erano  tcMA 
aecoV  Zoroa8lro''èra  astùtìiisinio  »  è  'miHS 
modi  prima  per  fa^li  Vedere  il  «e^no ,  \k 
dopo,  circa  ali* amor  di  coli:d  t.]trÌQfttd«  .tà 
eglino  ancora  infiniti  dettine;  rióaaaéro  d'ao^ 
eordo ,  è  determinarono  quello]  ette  tét 
doTevano»  e  la  domenica  sera*  disse  ^ìétù 
Zoroastrò  ,  che  '  gli  aspetterebbe  qilm'  lìk 
casa  dèi  tntto  provvediito,  e  colora  pa Aiu- 
tisi allegrisnmi,  perchè  parecchi  giohii-ta 
aèfttmané  avrebbero  da  spendere  alla  btf- 
ba'  di  Gian  Simone  ,  attesero  fino  al  ter- 
inioe  dato  loro  a  spassi  e  altri  badaluc- 
chi. Gian  Simone  ,  veggendo  o^ni  mkltiua 
la  sua  vedo?accia  grassa  e  fresca  «  si  eoa- 
Humava  e  si  struggeva;  come  là  inefé*  ài 
IkiIc,  mille  anni  parendogli  di  tiràrsdà  àd« 
dosso  9  dicendo  spesso  fra  se  :  '  Ahi  tradito* 
raccia,  cagna  pateriba,  tu  non  m^bal  guar- 
dato diritto  ancora  una  volta  sóla ,  poscia 
che  iodi  te  m'innamorai,  ma  egli  TèrM 
il  tempo ,  che  io  te  la  Caro  piangere  a  i5al« 
d'  occhi!  Lascia  pur  fare  a  me,  se  io  ti*  met- 
to il  brànchino  addosso,  per  lo  corpo  di 
Anticristo,  che  tu  mei  saprai  dire;  e  t^- 
gendo  spesso  ora  lo  Scheggia  ed  ora  il  Pi- 
lucca, non  restava  diraccomandarsé  e  di 
ricordare  loro  i  fatti  suoi.  Venne  final  men- 
te la  domenica^  e  Gian  Simone  non  ebbe 
cosi  tosto  desinato,  che  egli  se  n*  andò  in 
Santa  Maria  Notella ,  e  udivvi  il  vespero , 
la  'Compieta  e  le  laudi  ;  sicché  uscendo  in 


folla  porta  appanta  riscontrò  i  due  cctmpa* 
gui  t  sendo  già  Ticino  a  sonar  Y  ÀTema- 
rìa  »  a  i  quali  data  la  buona  aera ,  disse  s 
Io  cominciava  a  dubitare  ;  toì  siete  Tenu- 
ti si  tardi  !  ^on  è  tardi,  no  ^  rispose  il  Pi^r 
Inccat  noi  restammo  d'andare  m  su  la  mec-* 
sa  ora  ;  cosi  dato  uu  pò*  di  Tolta  si  cour 
dnssero  appunto  a  casa  colui»  che  Taria 
comiociaTa  a  imbrunire  »  e  picchiato  due 
▼olte,  fu  tirato  loro  la  corda ,  e  fattasi  Zqp 
I^oastro  iu  capo  di.  scala ,  con  uu  candallie- 
ré  in  mano  »  fece  loro  lume  »  ed  essi  mon- 
tata la  scala,' ed  in  sala  compariti,  |un>r 
no  da  lui  con  lieto  tìso  ricevuta  e  posU  % 
aedere  faTcliando  entrarono  in  diTersi  ja<* 

fionamenti  tutti  di  diavoli  e  di  spiritu 
'inalmente  il  Pilucca,  rÌTolte  ^e  parole  a 
Zoroastro ,  disse  :  Costui  è  quell*  uomo  da 
bene  innamorato,  di  cui  tì  no  parlato»  ed 
è  Tenuto  per  Teder  segno  ddla  Tostra  ar* 
te ,  e  di  poi  fare  quei  che  noi  Torremp^ 
BiTolse  allora  Zoroastro  gli  occhi  spaTeo- 
lati  in  Verso  Gian  Simone,  e  con  una  £uar« 
datura  si  fiera,  che  tutto  lo  fece  riscuote" 
re,  e  gli  disse:  Sia  col  buon  anno;  io  so- 
nò apparecchiato  a  far  ciò  che  Tuole  per 
amor  Tostro  ,  e  non  so  se  altri  fuori  che 
Toi,  mi  conducesse  a  far  questo,  ma  t(H 
siate  tanto  miei  amici ,  che  io  noù  posso 
né  debbo  in  cosa  oiuna,  che  pur  far  si  pos- 
sa ,  mancarvi  ;  e  lasciatigli  in  sala  ,  dicen- 
do che  tornerebbe  allora  allora ,  se  n*  an- 
dò in  una  camera,  e  Tcstissi  un  camipe 
Lasca.  17 


tH"^  iMOiPMt 

e  fi  etcìsir  del  -meno  dob  iitt  oovÌoim 
/09  in  i^ta  «i  mise  aeelmocinoHÉdato^;? 
VI*   ghirUnd^  di  lerpL  oaolMiielta  ^'  mk- . 
eoo  tatuo  ÉrtifiitOy^ehe  paMfaq»  mw^V  ii  ^^ 
neHt  man  iiaisln*  prese  uti  ? ase-^  ^itìmì  ; 
md  i  e  cefi  la  llestiu  uoa  tpof^aa  kgalìa-:ir« 
un  tiinoo  di  morto  «  e  coii  difilato  «»>JNMr 
cenile  YO  Mia,  alla  oui  giaala »  quastein»' 
ìoéo  ebbero  idlegreua  e  giove*:  laatOk^odr- 
be  paura  o  doghe  Gian   SimMe  •*  ed  ani  ^ 
obo  Ao  li   penliTa  d:*  essere    Tenuto; .  2m>^. 
roattro,  posto  in  terra  la*  spagna  e  il   «•-* 
ao  »  dìs:^  loro  die  non  dubitassero  di  eo^* 
ss»  che  ìidissero  e  vedessero  »  o    cbo    non 
ricordassero  mai  oè  Dio  né  Santi  ^  e    p»» 
scia  cavatosi  un  llbriccino  di   seno   fiosev 
borfaettando  pian    piano,  :  di    leggere    cose 
alte    e  profonde,  e  inginocchiato  talora  bir 
€Ìatido  la  terra ,  e  guardando  alcona  volta 
ii-oielo,  per  un  quarto  d'ora  fece  i    psA 
strani  giuochi  del  mondo ,  e  di  poi  foredU 
to,  apierse  il  vaso,  che  era  pieno  di;  vei|%' 
sino',  e  tuffo V vi  dentro  la  spugna  ,.  diecuftt 
do  un  pò*  for  tetto:  Con  questo  sangue,  dr 
dtagone  si  fj*ccfci  il  cerchio  di  Plutone  «  ^' 
fece  un  gran  giro ,  dimodoché  teneva  don 
teHei  del£  sala-,  ed  inginocchiatosi   denttfo* 
Bel  mezzo ,  e  baciato  tre   volte    la    temr, 
disse  a  loro  che  dicessero  ,  ehe  segno  •vok  '■ 
Jevano.  Allora  il  Pilucca  rivoltosi  a    GiaB. 
Simone ,  che  tremava  come  Coglia,  gli  do»' 
aandA  obe  segno  ^ijli  -  piaoe va    pie  ^  d*  nllr# 


«ÌToltosL ,  che  goardalK  «h  poco  o^i  e  i} 
Klbeca ,  perlocfai  travati    afeaJooe   parse- 
chi.   Diano  piaceodc^Ucne ,  per   lo    etser» 
^nale.di  pooo  nomente,  ^aale  di  troppq,  . 
quel  pencsloso,  «{uesto  ooatra  U  fede,  WHà  , 
si'Sapeva  risfrivere; -quando  Zorpartro  qoa- ■. 
si  >  ridendo  disse:  Co  so  pensato  di  farri  .ve- 
dere ami  cosa'  piacevole  e  da  rìderei  no*- 
dimeno  di  non  poco  valore,  e  questo  è*- 1^ 
io-  veggo  il  IConaco ,  amico  di  lutti    aoi  , 
<^e  appunto  è  in  sai  casto  di  Mercato  -vep* 
chio  ,  ed  è  anoera  in  pianelle  ed  io  maa^ 
telili  e  io  cappucoie  ;  io  vdfjlio  per  foria  • 
virtù  deir  arte  mia  farlo  incoBtaaeate   to- 
uir  qui  dentro  in  questa  cerofaio.)    il  cka 
dallo  Scheg^  e    dai  Pilucca  lodato ,   pift-- 
cqne  molto  a  Gian  Simone,  e  disse  ohe  la  . 
eveva    troppo  caro-,  percbè  appnato    e^ 
era  suo  compare.  Era  questo  Monaco  «ea* . 
•ale ,    scritto  ali'  arte  deUa  Seta,  ma  .attao^ 
tUva  a  più  cose;   egli   faceva    pueatmMg 
«flU  apingionava  case,  dava  e   maaehie  .e 
foMmina ,   e  avrebbe  anco  ti-  Ku    Ummio 
Atte  qualche'  scroccfatetto  -,  'pensa*  dT^I^* 
legra  vita,    ballatore  ,    cantitofe  <e  toav» 
fltmo  sonatore  d*'  arpe  t  un  osmacdo  vi  eo 
dire  da  boseo  edanvìer»,  amigo^caadMi 
•imo-,  come  ho  detto  ,  di  Zoroastro ,  d«t* 
lo- Scheggia  e  del  Pilucca  i  dai  quali  aveo» 
do 'inteso  il  tutto  inlorao  ai  cast  di    Gjaa 
Sinoae,  e  d*aceordo  con  esso  loro  se  n'ece 
I«^  teia  Ttnate  quivi-  in  -cav^  Zorwstra  (fk 


atto  iMoifDA 

irìMtOv  oooc  avete  intuo  »  «  piA 
ctiiti  di  iMio^  infilati  ^  •  on  mano  iài' 
dice»  e  peotre  che  loro  fiicohiando 
cotraU  -dentri»  «  s*  en  tietio  ritto  ia  f>A 
sponda  di  fuori  della  finestra  da  viat  ei 
cbè  TI  stesse  con  gran  disagio,   pare 
TS  in  modo ,  che  cader  non  poteta^  e  Za- 
roastro  acconcia  arerà  la  finestra  «  a  "mmf 
so  Itf  nottola  in  maniera,  che  parévaf-ehe 
ella  fosse ,  ma  non  era  serratat  è  par  oni 
poco  di  sospinta  si  sarebbe  aperta.  U  me* 
naoo  adunque  in  eotal  gnite  stando  ,    par 
un  bucolino  (stto  apposta  Tederà  e   odiTa 
ciò  che  in  sala  si  faceva  e  diceya  9   aspel» 
tando  il  fermine  dato  con  allegressa  gran- 
di ?si  ma.  Laonde   Zoroastro  riprese   le    pa- 
roie  ,  e  disse:  Ora  è  tempo  che  io  ti  chia- 
risca ;   e  soggiunse  :  Nostro    Monaco    m   i 
accostato  a  un  insalatajo  ;  to  !  gli  doman- 
da per  comprare  ;  eh  state  uti  poco ,  diciS 
egli  I  ba  tolto  due  cesti  di  lattuga  »  e  -nn 
mazzo  di  radici;  oh,  oh,    ecco   che    colai 
glie  ne  u)Gla,  ora  gli  cambia  un  grosso  per 
dirgli    r  aTanzo ,    perciocché    1*  insalata    é 
le  radici  montano  sei  danari.  Cosi  detto  li 
stese  in  terra-  bocconi ,  e  disse  non  so  che 

farole ,  e  fittosi  io  piedi  e  fatto  due  tom- 
oli,  s*  arrecò  da  un  canto  del  cerchio  in* 
ginocchioni,  e  guardando  fisso  nel  vaso  co- 
me f^tto  aveva  disse:  11  Monaco  nostro 
ha  già  riavuto  il  resto,  e  vassene  con  V  in- 
salala  verso  Feliicceria  per  andarsene  a 
^^**^  >  ma  in  questo  instante  io  V  ho    fatto 


>     .* 


iviiibilmente  alzare  a  i  didToli  da  terra, 
h.eooolo  che  e^liè  già  sopra  i)  Vesco* 
ido  !  «h  che  egli  vieo  bene»  egli  è  già 
kprsa  la  piazza  di  Madonna!    oh   ora   dUi 

•opra  Ja  Teecbia  di  Santa  Biada  Novel-* 
i{    teitò' entra  in  Goalfooda,;  oh  eccolo 

aaesaa  la  strad»!  oh  e^  è  già  pretiq  a 
icno  di  cinquanta  braccia!  oa  eccolo  già 
Mente  alla  fiaesira!  or  ora  sarà  nel  cer« 
\m  in  pianelle»  in  manteUo,  in  cappuc- 
io  e  con  r  insalata t  e  con  le  radici  in  ma* 
o;  e  snbito  messo  un  grandissimo  strido  » 
Munciò  ad  urlare  quanto  gli  ne  uscirà 
aHa   gola.  A  Gian  Simone,    ciò    reggen- 

09  renne   in  un  tratto    tanta    mai^rigiia 
paura ,  che  egli  fu  ricino  a  cader  mor- 

»9  e  rolera  pur  favellare,  ma  non  potè- 
ft  riarere  le  parole  ^  e  per  la  grandissima 
snra  ,  ed  inusitata  ,  se  gli  mosse  il  corpo, 
imfxlo  che  tutte  scempie  le  calzct-  Lo  Scheg- 
il  gli  dicerà  pure.  Che  ne  dite,  Gian.  Sp- 
ione ?  Man  è  questo  segno  chiarissimo  » 
^9.^'i  P^ò  con  le  demonia  ciò  che  ^ll 
iole?  Il  Monaco  gridando  ad.  alta  roce,, 
li  traditori 9  che  cosà  è  questa?  fassi  co« 
con  gli  uomini  da  bene?  E  il  Pilucca  at« 
ndera  a  confortarlo;  ma  lo  Scheggia  e 
tM-oastro  intorno  a  Gian  Simone  stando  e 
Mgendolo  non  parlare,  e  nel  riso  r^uto 
MOT  di  cenere ,  dubitarono  forte  di  lui  • 

10  presero  souo  le  braccia  ,  che  egli  eira 
federe ,  e  cominciarono  a  .  passeggiar  pcur 
saia }  ma  egli  riavuto  alquanto   io    spi« 


tmmmmmm 


rito  e  le  ptrole  cominciò  treaaiid^  ¥^  di» 
re  :  Andi«ane  ,  andianne  »  che  au-  par  aaS- 
le  anni  d*  essere  a  casa  »  e  batiefa  di  aor- 
te tremando  i  denti  «   che   tìà  aeltimott 
poi  se  ne  senti  «  onde  lo  ScBcgjna^  presola 
per  la  mano,  senca  dire,  altro  a  MiriA   al- 
la Tolta  della  scala  ,  ma  non  fb  andato  dna 
passi,  che  s*  avvide  «  colando  Giaife  .Sona- 
ne totta^iai  che  ^li  doveri  a?er  piente  le 
calie;  petlochè  riroliosi  disse:  Gian  SittUMiew 
io  dirò  che  voi  ri  siete  cacalo  sotto;   i^gli 
io  redrebbe  Cimabue^  rispose  ^  il'  Pjfncea  , 
che  naoj^ae  cieco;  non  senti  tu  come  ei'pa« 
te?  a  COI  disse  Gian  Simone:  Io  mi  mara- 
viglio di   non  aver  cacato    ranioM  ,   noa 
va  dire  il  cuore. .  Ohimè  sono  stato  per  spi- 
ritare! però  fia  buono  che  voi  vi  andiate  a 
mutare  »  riprese  Zoroastro  «  acdoccbe  co- 
lando t  voi  non  mi  ammorbaste  questa  ca- 
sa ^  e  poi  a  beir  agio   ci  rivedremo.    Co- 
si Io  Scheggia  se  n'  andò    secò  ,    lasciando 
il  Monaco ,  che  tuttavia  si    rammaricava  » 
e  il  Pilucca  iotornogli,  fingendo  di   rappa- 
cificarlo »  e  lo  lasciò  a  casa»  che  noioi  avOi 
Ta  valuto  rispondergli  a    proposito  ,    ansi 
per  tutta  la  via  non  aveva  fatto  altro  che 
guaire  e  sospirare,  e  fioalmeote  lo  Scheg- 

Jpa  picchiatogli  T uscio,  e  dentro  serrato* 
o ,  se  ne  tornò  in  casa  Zoroastro  ai  com« 
pagnì,  i  quali  tutta  sera  risono,  e  cenato 
quivi  ridendo,  se  ne  tornarono  ognuno  a 
casa  sua.  Gian  Simone,  poiché  fu  in  ca- 
sa comindò  di  terreno  a  chiamare  la  mo* 


glie  •  la.fante,  dicendo  che  prestameole 
mettessero  a  fuoco  delP  ncqua  «  che  gran* 
dissimo  bisogno  aveva  di  )avarse.  La  doa« 
9a  seo  teodolo  putire  ,  e  reggendolo  cod 
scoloralo  nel  viso,  maiiinconosa  ditte:  Ma- 
rito mio,  che  cosa  strana  è  egli  interTena« 
to7  Oh  Toi  parete  disotterrato!  Che  vuol 
4ir^  ?  A  cui  rispose  Gian  Simone  :  Certe 
doglie  di  corpo ,  che  mi  son  tenute  s\  su- 
bite eoo  un*  uscita  rovinosa  di  sorte ,  che 
io  sono  statp  per  morire;  perloché  venen- 
domene ratto  a  cafa,  rinforzandomi  per 
la  via  il  dolore,  non  avendo  altro  rime- 
dio ,  foi  costretto  a  lasciarla  andare  •  nelle 
mise.  La  qiogKe,  che  era  d'assai  femmi-* 
na  t  cavategliene ,  e  dalla  ser? a  ajutata  ^ 
lavatolo  molto  bene ,  lo  messero  cóme  egli 
volle  nel  letto  senza  cenare  altrimenti ,  do* 
ve  rammaricandosi  tutta  notte ,  non  chiu- 
ae  mai  occhi ,  ma  in  sul  far  del  giorno  co- 
minciandogli a  (ar  freddo  gli  prese  runa 
buona  febbre.  Lo  Scheggia  la  mattina  per 
tempo  levatosi,  e  trovato  il  Pilucca^  n^an- 
darono  in  su  la  terza  da  bottega  di  Gian 
Simone,  dove  intesero  lui  sentirsi  di  ma- 
la voglia;  della  qual  cosa  dolorosi,  lo  bcheg-* 
^ia  che  aveta  più  domestichezza  seco  ,  lo 
andò  a  visitare,  e  lo  trovò  nel  letto,  che 
pareva  morto;  onde  gli  disse,  acciocché  la 
cosa  non  s*  avesse  a  saper  per  Firenze , 
che  voleva  che  si  medicasse,  e  che  gli  vo- 
leva procacciare  il  medico.  E  chi  troverai» 
4iise  Gian  Simone?  Maestro  SM^oello    1^ 


.1 


S64 

AKo  9  ntpowlD  SohcÉpft  f  die   ni  oiidlÌ(  v- 
tempi  «m  fl  anglior  ttcdioo  di  tati»  rih»^ 
lift*  E  pcrebè  k  eon  non  ■wclnw  in  hn^. 
go^  ti  parli  flilon  9  •  notato  il   aedioo, 
die  cn  volto  tao  amieo  t  ^  oatrò  «  &«• 
tOM  dal  principiD^fioo  alfe    ine»   lolla   la 
nalailia  di  Gias^  Simone  ;  3   ehe  d»  liA 
aiodlalo  non  tenia  grandÌMaM   mb,  oa» 
n'anJA  pronamente  con  Io  SdMaia  m  «#•  • 
dare  T  ammalalo  •  al  qnale  fece  tornio  Uop* 
jro  otto  o  dieci  oncie  dd  pia  trarai^Kalo»  e 
rnnateolato  mngne»  che  ti  lasse mai  vedu- 
to» o  gli  disse:  Gian  Simone,  non  dnbilBM^ 
In  sei  goarito  ;  e  per  dirla  in  poche  paro* 
le  j  facendogli  fare  vila  scelta  e  bnona,  in 
otto  o  dieci  giorni  Io  cavò  del  letto    gua- 
rito a  un  tratto  della  febbre  e    dell'  amo« 
re.  Per  la  qoal  cosa,  andatolo  a  cedere  nn  . 
giorno  lo  Scheggia,  che  per    ancora   non  - 
era    uscito  di   casa ,    parendogli  strano    di 
perdere  i  renticinque  ducati ,  ragionando» 
cadde  sopra  il  suo  amore,  e  gli  disse  co« 
A  :  Oh  Gian  Smone  ^  ora  che  siete  guart 
te,  per  arazia  di  Dio ,  ed  il  segoo  -^edoto 
ayete  ,  di  maniera  che  agevolmente-  potè*   - 
te  credere  a  Zoroastro,   per    doverfi    ser- 
▼ire    altro  non  manca  ora ,  che  i    denari  « 
e  darassi  finimento  aU*  opera ,   e    quando 
▼i  piace   potrete  tener  nuda  nelle   braccia 
la  vostra    vedcvotta.    Che  alle  Sante-  Gua- 
gnelle  è  un  fonfone  da  darvi    dentio   per 
non  di  viso,  ed  alla  spensierata;  a  cui  Gian 
Simone^  dimenando  la  tesUi,  rispose:    So* 


KOTBLLA  IT.  ^  265. 

fio  9'  io  11  riagriMÌo ,  e  il  Negromante  an«f 
cora«  e  per  dirti  brevemente  »  io  '  non  mi 
Toglio  impacciare  ne  coi%  diavoli  ne  eoa 
spiriti.  Ohimè ,  io  tremo  ancora  quando 
io  mi  ricordo  del  Monaco ,  che  compari 
qaivi  poruto  per  V  aria  mexzo  morto ,  e 
non  8Ì  vide  da  chi  !  Io  ti  giuro  sopra  ìm 
fede  mia  9  cbe  mi  è  uscito  infra  fine  &tt4 
tutto  r  amor  di  corpo  ,  e  della  vedova  noa 
mi  curo  più  niente  ,  anzi  come  io  vi.  pen« 
so  mi  viene  a  stomaco ,  coosiderando  che 
ella  è  stata  cagione  quasi  della  mia  -mor* 
te.  Oh  che  vecchia  paura  ebbi  io  per  un 
tratto!  e*  mi  si  arricciano  i  capelli,  quan* 
do  vi  ci  penso ,  sicché  pertaotp  licenzia  e 
ringrazia  Zoroastro.  Lo  Scheggia ,  udite 
le  di  colui  parole,  diventò  piccino^  piccino, 
e  gli  ptrve  aver  pisciato  nel  vaglio,  fra  se 
dicendo:  Vedi  cbe  ella  non  anderà  cosi  a 
vanga ,  come  noi  ci  pensavamo  ;  e  pareo* 
degli  rimanere  scornato,  cosi  gli  rispose, 
dicendo:  Ohimè!  Gian  Simone,  che  è  quel- 
lo che  voi  mi  dite?  guardate  che  il  Ne« 
gromante  non  si  crucci;  che  diavol  di  pen« 
siero  è  il  vostro  ?  voi  andate  cercando  Ma- 
ria  per  Ravemia  ;  io  dubito  fortemente  , 
che  come  Zoroastro  intenda  questo  di  voi, 
che  egli  non  s*  adiri,  tenendosi  uccellato  , 
e  che  p^à  non  vi  faccia  qualche  strano  gio- 
co. Bella  cosa ,  e  da  uomini  da  bene  man* 
car  di  parola!  Che  bisognava  fargli  farei! 
segno,  ae  voi  avevate  in  animo  di  noa 
seguitare  avanti  ?  Tanto  è^  Gian  Simone  ^ 


^i  non  i-  4a  coi^jerlà  coti  •  .fori»;  M.||p 
ITI  fa  diffcnuira  qualche  apii^/iU<mo9'*n& 
«▼eie  fatto  poi  ana  bella  faccenda* .  fSiH 
lai  era  già  per  la  paura  diTentato  n^  ?» 
jip  come  UD  panno  lavato,  e  rÌ8ppa<fettdo 
aJIq  Scbe^fgia  dis^^e  :  Pec  lo  sangue  di,, tal* 
|i  i.Marliri,  che  fo  giuro  d* asiaMiiq^jphe 
•domfittioa  la  prima  cosa  »  io  me  ne  irej^Kn 
-andei^e  affli  Otto ,  e  contare  il  caao.«  fjioi 
£urml  belio .  e  lodare»  e  non  00  c;|ù  mi  tijtac^ 
eW  io  non  vada  ora.  Tostocfaiè  ^  ^b^- 
gin  aen^  ricordare  gli  Otto  »  difenld  pel 
ipiao  di  sei  colori,  e  fra  se  disse:.Qoi  non 
è  tempo  da  battere  in  camicia;  facciamo 
l^be  il  diavolo  non  andasse  a  processione  ; 
e  a  colui  rivolto,  dolcemente  prese  a  fafel- 
lare»  e  disse:  Tei  ora,  Gian  Simone,  entra- 
te bene  neiP  infinito^  e  non  vorrei  per  mil« 
)e  fiorini  d*  oro  in  benefizio  vostro ,  d^ 
Zoroastro  sapesse  quel  che  voi  avete  det- 
to* Oh  non  sapete,  che  T  uffizio  degli  Ot- 
to ha  potere  soprn  gli  uomini,  e  non  so- 
pra i  délaonj  ?  egli  ha  mille  modi  di  far- 
iu,  quando  voglia  glie  ne  venisse»  capitar 
male,  che  non  si  saprebbe  mai.  lo  ho  pen« 
peto,  perchè  egli  è  gentile,  cortese  e  li- 
J)erale,  che  vpi  gli  fatiate  un  presente 
di  non  troppa  spesa,  quattro  paja  di  cap- 

Soni ,  otto  ai  piccion  grossi ,  dieci  fiaschi 
i  qualche  buon  YÌno,  che  vendano  i  Giu- 
gni o  i  Bfacingbi  ,  sei  ravvidi,  e  ses- 
eanta  pere  8pÌKie,e  per  due  Zaqajuoli  glie^ 
pe..msndiate  e  donare.  Egli  aver^  più  ca« 


'"ro ,  eS  amerà  più  qaesfa  vcsh-d'  afatofato* 
iena  e  liberalità ,  che  centa  ducati,  e  ^e- 
'.drete,  che  egli  manderà  a  ringrasiarvi  ^ 
e  così  verrete  n  manteuerTelcy  amico ,  t  se 
roì  fate  alrnmenti\.voi  pescale*  per  il  Pro- 
oonsnk) ,  e  'Paretevi    delia   scure    sul  «  pie. 

;P(acque  la  cosa  molto  a  Gian  Simoue>  0 
disse:  Io  vof;)io  che  lo  sia  queUo  che  glie* 
né  presenti  per  mia  parte  e  mi  acuii  9  che 
aai  il  Inno ,  e  rins^i^aiandolo  senza  «fina 
ne  gli  r^cromaodi.  Io  sono  couleolo  9  rì^ 
ap(»se  lo  Srhef^gia  ,  e  so  certo  che  io  Io 
farò  rimanere  ««oddisfattOt  e  vostro  amico» 
Soiidtsfaito  io  hct  ben  caro  che  rimanga  9 
aogginnfie  Gian  Simone,  ma  della  sua  ami« 
cizia  Don  mi  curo  io  punto;  e  fatto  il  «ou- 
to  quanti  danari  montava  la  roba  ^  che 
lo  Scheggia  aveva  divisato ,  gli  dette  'co« 
lui  la  moneta.  Per  la  qual  cosa,  lo  Scheg- 

Sia  andatosene  in  Mercato  vecchio  prese 
uè  Zanajuoli  pt*atici ,  uno  ne  mando  e 
comprare  il  vino ,  e  K  altro  caricò  al  poi* 
la j  noto  che  ebbe  »  capponi  grassi  e  -bet« 
K  ,  e  così  i  piccioni ,  e  tostocbè  il  Zanai uo-» 
Io  fu  lordato  col  vino,  comperate  lexrut<- 
te ,  fece  la  via  da  casa  Gian  Simone  ^  e 
chiamatolo  gliene  fece  dare  un'occhiata  co- 
ai  alla  finestra t  e  disse:  Io  me  ne  to  co« 
là.  Va  ,  disse  Gian  Simone  ^  che  Dia  vo* 
glia  che  tu 'facci  buona  opera.  Partissi  duu« 
que  Io  Scheggia  ,  e  coi  ZanajiK>li  dietro  , 
ae  n*  audo  a  cana  Zoroastro,  a  cui  *  narrò 
mUado    lutti:  i  ragioiiamenAi  di  ^Giatt 


a6V  wMiifek'YStIbi-' 

•trùavevA  ftitto- pofette  m   éottneUté   i 


tMiBO  «  i  ZftoaJQoK,  aodocchè  il  pMIò'  4^' 
4ÌMe  di  riicoheni;  Ma  lo  SchmiÉ  li  fìir^ 
A  pcnr  trovare  il  Monacò  e  il^iluooa  ,  t 
qjBmi  'fifialiiieole  toro  Vali  9  raééoàtò  lori  il* 
ivtlot:  di  che  ornilo  cooteiiti'  retuttinà  '^ 
yirendo  knrò  noàdiméno  triliisiihò  bìiinitlid 
t^eftticinqtt^  dùcati  con  ana  JteàHkM  ti- 
gnola; e  ibassimaraente  il  Piincca  nóò  M- 
rtUie  stato* forte  a  patto  veruno,  se  nodi 
atetse  intۈo  degli  Otto.  Nella  fine  rioia^ 
ali  dì  trovarsi  in  casa  Zoroastro  la  sera  |^er 
cenare  insieme  alle  spese  dèi  Crociiisaf>; 
lo  Scheggiali  lasciò ,  e  andatosene  a  tro*^ 
vare  Gian  Simone,  per  parte  di  Z^tròarniro 
gli  fece  mille  ringrastamenti ,  miUe  offelr- 
te  e  mille  proferte,  e  di  poi  se  ne  iorii& 
a  casa  Zoroastro  per  stare  intorno  ad  ac- 
conciare gli  arrosti,  e  farli  cuocere  a  Sila 
vaenno^  essendo  più  della  gola,  che  S.  Fraa^ 
efesco  del  cordigHo,  devoto,  dove  all'ora  depa* 
tata  vennero  il  Pilucca  ed  il  Monaco,  e 
fiottisi  festa  insieme  e  molto  riso  de*  casi 
di  Gian  Simone,  ìbì  posero  finalmente  a  ta-^' 
vMa^  alla- quale  da  un  famiglio  di  Zoroa- 
ftto  e  dai  -  Zana  juoli  serviti  còHe  vivande» 
cbé'tòi  sapete,  oene  acconcie  e  stagionate 
stettero'  con*  i  pie  pari,  e  fecero  uno  scotto 

4a  prelfeli   eoa  ^el  vbio  che  sinagliaira; 


M 


XOTBLLA   IT.  9l6§ 

Ma  poi  TeoiJti  t  dove  più  ascai  del  ragior 
aàre,  che  dei  cibi  si  piglia  diletto  e  eoa- 
forte,  il  Pilucca.,   come  colui  che  gli , star 
Tano  quei  venticinque  ducati  iu  sul  cuor<i 
non  potendola   ingoz^re ,,  coA  a  un  traUQ 
cominciò  a  dire:  Per  Dio,  che  questi  cap*. 
poni    e    questi   piccioni  sono  stati  saporiti 
e  delibiti,  e  non  mi  pare  mai  aver  maogiat^ 
i  migliori  r^vegi^ìolit  ne  bevuto  il  più  prezio* 
ao  vino ;.a  cui  Zoroastro  rispose:  Per  aomau» 
dassera    ho    fatto   serbare  la  metà   4'^8^ 
<x>sa  9  sicché   noi    potreoip   cenare  si  bene 
come  istasera,  e  se  voi  avevi  tanta  pazìei^ 
sa,  io  vi  averci  invitati   a    ogni    modo^  Io 
n'era  certissimo,  seguitò  il  Pilucca,  e  9oa 
diceva  per  codesto,  ma  perchè  il  mangiare 
a  macca  mi  piace  sempre  più  il  doppio;  fi 
perciò  vorrei  che  noi  ordiuassimo  qualche 
lovoltura,  qualche  traneilp,  dove  noi  git- 
tassimo  qualche  rete  addosso  a  Gian  Simq« 
ne  da  potergli  cavare  delle  mani  quei  ven« 
ticinque  ducati.   Considerate  per  vostra  fé 
quante  cosi  fatte  cene  elle  sarebbero,  io  vi 
so  dire  che  io  tliventerei  di  sei  cenunaj^. 
Orsù  ^  disse  il  Monaco.  E  che  vi  parrebbe 
egli  di  fare?  soggiunse  lo  Scheggia.  Sicchò 
da  Zoroastro    e    dagli    altri   in  poco  d*or|i 
molti  modi  da  f  irlo  trarre  narrata  fiorone, 
fra  i  quali    ad   uno    inventato  dal  Pilucca 
s*  attennero^  come  riuscìbile  e  meno  peri- 
coloso, il  quale    successe    loro    poi   felice- 
mente, come  tosto  intenderete;  e  restati  uil« 
tipiiajmeate  di  quel  che  far  dofeva;iQ^  da 


•Té  ••  sMMmu  »«Mtt»  ^  } 

ZorMUfé  pgjwrd  KceiiU'j  *e^«  a*à||lniii|j| 
no  a/dormire.  la*  aattiiia  -ùr  4Mipc»v^|| 
PRtteiea  ^  par  é»r  principio  a  éot or  cokirìM 
K  il   tnifMo  ^19^009  Mriiio  m  oootaiflEkSr^, 
to  ona  riohmCÉ  »'  toke  atio^  dii  qitcr  kfM»>  J; 
ratori  daU^Opera  di  Sattta   hUtwéikFim^; 
re 9'  là   dote  «ni    mteittOy   il  qiMl».' Mi;:, 
eearpéilrao^di  pdeo  tenuità  da  ^(Hnià^Matk?v^ 
noe  biArbètta  affamicaU,  che-  tallo  pfMrii^ 
un  biri^«  e^aiesiogli  una  «^doecCik  ai  ftoìirv.: 
chi;  lomaBdè  a  «asà  Già*  SiauiQftf  é^ 
▼eitilolo  ed  iosegoalogli  ^afil  di»  àvcM  k  ; 
fare' e  a  dire.  Il  qaale  picchiato  liff  tmao^ 
e  etilrato  deatro»   se    n'andò    in  .ceiaerm  • 
guidato  dentro   dalla   aerra,   #  la  poUsM 
poae    in    mano  a   Gian  Simone,  il- quale  ^ 
domuniandogli    da   chi   veatra  »  gli  'Ui  da 
coltri   riSfK>aio  :    Leggi    e    redrailo  ;  e  Coiai 
detto   aeosa   altro,    dimenato  un  CraMo^ la    . 
cnltella ,  acciocché  Gian  Simone    la  redaa   * 
ae ,  dette  la  volta  indietro.  Gian  Simone  f^'« 
adendo  cosi  pessima    risposta >  e  YOggenJà^  • 
a  colui  rarme>  a'^dovinò  subito  cSb  £«§*-> 
ae  un  mesao,  e  doloroso  deliberò  appunto.  ^) 
di  lerarai»  e  eoèi  nel  letto  essendo,    apet^'- 
to   la   fineatra»    quella   richiesta  lesse  j  |^ 
quale  co^i  dice? a  :    Per  parte  e  comanda- 
mento  del   Rer.    Vicario   dell'  Araivescoro 
di  Fi^enee  si  comanda  a  te,  Gian  Simoite. 
Berrettaro  ^   cfad    la    presente^  it  debba   in  : 
fra  tre  ore  rappreseutare   nella  cancelleria- 
di  detto  Veacorado   sotto  pena  di  sconmr  - 
niealbtte,'  e  di  cauto  fiorini  d*oro{  e  mUé 


tOlMicrilte  »  sa|Mnaolc»,  mesM  aweni  il  li* 
Ittoca  il  noiAe  del  cancelliere  >  ed  aeoon- 
cioiltf  Con  un  suggello  sònncellatieoio  «  che 
Bou  6Ì  scorgeva  Quello  che  wi  fuise  impres* 
$o ,  quaisi  fallo  iti  fretia  «  come  s*  usa  tal- 
Tolia.  Rimase  pieùo  -  di  maraviglia  e  di  do» 
glia  «Gian  Simone,  fra  se  -  pensando  che  - 
eosa  ebser  potesse  cotesta  ;  ed  intanto,  fàt^ 
ìùti  daHa  donna  portare  i  panni  «  si  vesti  % 
essendo  risoluto  d^'uscir  la  mattina  faora 
a  ogni  modo,  e  disse  :  Vedi ,.  che  io  uscirò 
di  casa  per  qual  cosa.  Che  diarolo  ho  io 
m  tate  col  Vicario?  io  so  pure  che  io  noa 
ho  da^  dividere  nulla,  ne  con  preti  ni  eo|i, 
frati  né  con  monache  ;  io  non  posso  inleiH 
dere.  Intanto  lo  Scheggia,  che  stava  alla 
posta' ,  temendo  che  non  uscisse  fuora^ 
picchiò  r uscio,  e  fagli  aperto,'  ma  noa 
fu  prtflu  ili  camera ,  che  cominciò  quasi 
pungendo  a  dire  :  Or  siamo  noi*  ben  rovi- 
nati da  dovere,  non  ci  è  pidi  riparo*  -Oh 
infelici!  oh  miseri  noi!  chi  l-arerehbe  mot 
BtimoCof  Infine  ne  io  scampo  di  questa  > 
mai' più  m' impaccio,  né  con  maliardi  nò 
eoil  stregoni  ;  che  maledetti  sieno  i  negro* 
matiti  e  la  necromanzia!  Lo  avera  pie 
vola^  pregato  Gian  Simone  i  cbe  dir  gli 
voltòse  la  cagione  del  suo-  rammarico ,  ma 
lo  Scheggia,  seguitando  ii  suo  ragionameli* 
lo;  non  gli  aveva  mai  risposto*  Onde  colai, 
sentendosi  ricordare  i  negromanti ,  gridò  : 
Scb^^a  ,  di  grazia  dimmi  ciò  che  tu  hai  • 
di  ^ébIci  e  che  ti  ìsl  guatre.  9na  cosa»  rW 


«pose  tolto  lo  Scheggia  «  àké  ■on  puA 
peggio  GQii  per  toì,  come  per  me.  Ofaiiiòy 
ohe   mrà   di   nuovo!  disse  Gian  Sìimnio; 
0  Toleva    mostrargli    la    richiesta  «  quando 
Io  Scheggia   disse:   Vedete   voi  questa?  è 
una  citazione  del  Vicario.    Ohimè  »    riqpo* 
•e  Gian  Simone,  eccone  nn*altra  !  da  que- 
sto viene  ora  »  seguitò  lo  Sch^aia,  In  mia 
e  la  vostra  rovina.  E  in  che  modo,  sqgginn^ 
ae  Gian  Simone?  narrami  tasto^.cJMBc  aia 
la  cosa;  onde  Io  Scheggia  cosi    mestaoseu- 
te  favellando  prese  a  dire:  11  Monaco  vor 
atro  compare  portato  ^   come  voi    sapete  « 
per  r  aria  dai  diavoli ,  non  ha  mai  resta* 
to,  còme  colui,  che  fuor  di  modo  gli  pre- 
me la  cosa  ,  tanto  che  dal  Pilucca  ha  in- 
teso il  caso  appunto  appunto ,  e  come  voi 
ed  io  ne  siamo  principal  cagione,    e    che 
tutto  fu  fatto  perchè  vedeste  il  segno;  del- 
la  qual  cosa  il  Monaco  adirato  e    coUero* 
80 ,  se  n'andò  jersera  a  trovare  il  Vicario, 
e  gli  contò  il  caso,  ed  il  Pilucca  rafiCermò 
e  testitìcò  per  la  verità  in  suo  favore^  La- 
onde il  Vicario,  parendogli  la  cosa  brottSi 
subito  volle  far  fare  le  richieste*  ma  per- 
chè egli  era  tardi,  e  non  vi  essendo  il  can- 
celliere, indugiò  a  stamattina;  cosi  ho  in^ 
teso  or  ora  da  un  prete,  che  sta  col  Vica- 
rio, molto  mìo  amico;  sicché  vedete  dove 
noi  ci  'troviamo.  E  par  questa  si  gran  co- 
sa ,  rispose  Gian  Simone ,  che  tu  debba  pi- 
gliare tanto  dispiacere  ed  avere  tanta  pau« 


( 


^iftoTEixi  tir.  %9S 

9à:7  che  al>biailio  noi  però  fatto? 'Che' ab- 
iMàmo  fatto?  soggiunse  Io  Scbèg^iav'  Toi 
lo 'sentirete;  noi  abbiano  fatto  cdtairó  la 
fede,  la  prima  cosa  a  credere  agi*  incauti, 
e  cercare  per  ria  di  diavoli  di  •  vituperare 
Bna  nobile  e  costumata  donna, *etdopofal« 
lO'tiortar  pericolo  al  Monaco  deUa  vita, 
aéndo^venoto  per  i-aria  t&nta  via,* uosa  an- 

*€ora  che  per  la  paura  egli  spiritasse,  o 
che  '  il  diavolo  gli  entrasse  addosso  ;  tutte 
«pse  che  importano  la  vita.  Rendeteiri  cer- 
to <,  che*  se  noi  ci  rappresentiamo'  al  Vica* 
rio,  tosto  saremo  messi  in'  prigione,  e  coB'- 
-ftssando  la  cosa  5  portiamo  pericolo  del 
fuoco;  ma  avendo  la  riprova^  noo-  po;ssia« 
«ano  negare ,  e  il  meno  che  ce  ne  interven- 

-  ^  sarà  stare *in  gogna,  o  andare  sur  na 
ìasino  ,  e  con  una  onona  condanaaeione>  e 
Ibrse' toltoci  tutta  la  roba,  confioati  in  un 
€oBdo  di  torre  per  ^sempre  e  forse  peggio. 
Ohimè!  tì  par  poco  questo?  E  neUa  tane 
<éi:<|néste  ultime  parole  artificiosamente  si 
lasciò  cadere  tante  lacrime  dagli  occhi,  che 
A»  una' maraviglia ,  e  piangendo  diceva: 
Ahimè,  misero  Scheggia!  va  ora  a  com- 
prare la  casa;  se  tu  avessi  testò  i  danari 
Mftaeschi,  potresti  tu  fuggirtene,  come  fa- 
a4  il  Negromante   tosto    cne   intenderà    il 

^«flcaso  ^  eoe  son  -certo  che  non  vorrà  aspet- 
terò questa   pollezEuola    al    forame*    Gian 

.  45imone ,  considerale  le  parole ,-  veduto  gli 
(tttU^  i  festi  e  le  lacrime- di  colai,  si  ere* 
'•        Lasca.  ifL 


t7<  t«f)MfDft:-«B«l. 

4«i«  ftmvmcote  CO*)  cncr  l«  TCfittix 
g;lt  fino*  più  p»arm  ,  cbWli  Bvease  gi» 
Mai ,  nireiHiD^U  IntUvui  d  casce*  io  ■» 
^  d«  hirriì  Mecbè  niaii^«a«lo  ootaindiè 
hertrauDiRra  e  malaarre  il  suo  Biaorc,  h. 
vedova,  i  o^romaoti»  la  negromanaia,  t 
«Ilo  S(ii«ggift  rivolto  disse:  Il  Vìlaca -t 
Zoroattro  arne  CaraoDoTIl  Bitufx»,  ntpo* 
•e  lo  Scheggia,  è  d'acoordo  col  Momco , 
•  oiciraaaeae  per  iapiat  Zoroaatro  ti  pigU» 
tè  per  nn  gherone,  e  anderassLiietliroi^ 
«  poi  egli  ha  mille  modi  ila  scanparla  i 
•é»  farla  aoco  •cmnMro  a  noi.  Clìe  dob 
vai  tu  a  pregarlo  eoe  eia  coateoto  .d'  i)ii' 
tarci ,  di«se  Ciao  Simoae,  e  scamperà  dt 
«joesla  furia  ?  Ubinié  che  mi  pare  di  stia 
peggio  di  prima!  E  bene,  rispose  Io.  SoIh^ 
già ,  ao  che  ai  può  dire  di  voi ,  siete  «» 
•calo  dalla  padella  nella  brace.^  ma  eoa 
che  faccia  gli  aaderò  io  avautt,  av«udcigli 
naocsto  dei  venticisque  ììotÌdì,  che  fi<pe» 
ava  fermamente*  avendo  fatto  vedeniti 
•egoo,  d'avergli  guadagnati,  e  benckB«||l 
abbia  avolo  il  precente ,  pensale-  che  cgK 
«e  ne  ricorda,  e  che  gli  debbano.  Mira  • 
cuore.  Disse  allora  Gian  Simone:  Oh  Uwf 
•e  wli  ci  libera  in  qualche  modo  da^n* 
Ma  luvollura ,  dareguene  iuGoo  da  ani 
che  domin  aaià  ntai  ?  Io  non  sono  alto  « 
disperarmi;  piacciati,  signor  mio,.etie:^eglÌ 
sia  conleir  i.  Rispose  lo  fiicbeggia  ^  alaind» 
le  mani  al  cielo  :  TesIÀ  ,  te«le.  voglia  ,$» 
éut  a  ttùwxkt ,  ma  con  questo ,  che  ma 


itB 


«lì  ndfciifte^  -poiché  noi  saremiM  pOTicf  l|i|i» 
Vo;^  arnn -pensare»  sof;giuD8e  €o)vii.  ^.Oiumè 
parere  ji  tiare  ^a  dìscrkiooe .  di    pjre|i  l:  Di 
tfaUo  mi  dicbiarerebbero    eretico,  e    cottr 
idannerebboami  al  fuoco ,    e  ae  io  4;i  meV 
Aet^ai  tutto  r  aveK  ^  e  lo  atillo*iBÌo  parrd». 
iie^orolarmi  piacere;  va  pitr    yh  ^  cfaif 
Dio  lì  acoonpagoi;  Partìasi   adtiQ^uis.  l^r^Sf* 
Jteoieiile  lo  Scbeggw  più  ciie«  SoUe  ^laoh- 
4Bai  allearo;  e-  poco  diiuAgaiott  dalla  oasi^ 
«IO»  liado  guari ,  che  eoU  ritoniàf  fiogw* 
dio  d*aver  favellalo  4ii  Mflgtoaiaiil^  •  ed  .# 
iGjmn  Simone  disse^  coma  egli  era  coi^teaU^ 
idK  lare  ogni  cosa,  ma  ckc  colera  priaitii 
dhinari  ^^  e  che.  egli  aveva  mille  *m^di  da  lip 
oberarsi;  Gian  Simone,  come  che  moiio  gU 
•4bletse  lo  spendere  «  pare  per  non    avere 
•«.comparire»  e  cimentarti  innanjii  al  YtotB- 
#io  9  ad  oltre  al  danno  ^  ohe  egli  pensava 
«che  gliene  potesse  venire^  trop^   gli  dir 
^4piaceva  ehe-  questo  fatto. ati allesse  a  spar« 
%ev0  per  la  città,  onde  alloT Scheggia  voi? 
to^  ditic:  I^  danari  sono    in.  queUa    caya 
che  4a  vedi  al  suo  piacere,  per.  por  tergi  ler 
m»  mtum  posta;  ma  innanzi    ehie  g^i    aln 
iim  nelle  mani,  io  voglio  intendere  ia  che 
Modo ,  e  come  egli  ci  vuole  acampare ,  # 
peri^nai  via,  perchè  io  atu  vorrei  entrai 
•e  M  0»  pelago  maggiore*  Bene  e   aa via^ 
nenie  parlale,  rispose  Io  Scheggia  ;  io  mo 
BiSttadero  correndo  a   trovarlo  ;   e  lattoms^ 
WUEsrare  i^  modo,  che  tener  vuole  a  salvar^- 


<3 


ìM6  BtXSOVDA''^  CSlf A* 

ci  9  tosto  ve  ne  rttorDerò  e  Toi-cbn  laii* 
iipoi^i  ;  'intanto  aonoverale  i  danari  9 .  dfè 
io  non  abbia  a  badare.  Tanto  fiirò»  dmm 
Gian  Simone ,  appunto  ora  »  cbe  mogliaoia 
2  ita  a  Mesaa  ;  e  tu  ingegnati  di  rilonsA 
ratto«'cbe  mi  par  millaaai  ognimomoQto 
d*  esser  Cuora  dì  questo  intrigo.  PerkqmB 
cosa,  lo  Seb^|gia  si  parli  subila meitte>' è 
camminando  di  letixia  pieno  ,  te  n'andò 
'iFolando  a  casa  Zoroastro^  e  lo  troVò  voi 
Pilocca  insieme  cbe  T  aspettavano  »  e.n 
atroggetano  intendere  come  passesiero  .  le 
cose  9  temendo  che  la  lepre  non  desse  a 
dietro;  ma  da  lui  inteso  il  tuttOf  tanta 
allegrezza  avevano»  che  non  capivano  neU 
le  cooja.  Ultimamente,  avendo  lo  Schegge 
•bevuto  un  buon  tratto  del  buon  vino  del- 
la sera  »  e  fatto  un  asso,  se  ne  venne  qua- 
si correndo  in  casa  Giau  Simone,  il  qua^ 
le  trovò  in  camera  che  T aspettava»  forni* 
to  avendo  d^anooverare  i  danari,  e  gli  dis« 
se  dopo  il  saluto:  Il  modo  che  vuol  tene- 
re Zoroastro  per  liberarci ,  tra  molti  che 
potuti  ne  averebbe  mettere  in  opera»  Gian 
Simooe,  è  questo*  Egli  favellando  col  suo 
spirito»  che  egli  ha  costretto  neiram.polla , 
lut  da  lui  inteso ,  come  solo  il  Pilucca  >  il 
Monaco,  il  Vicario  e  il  cancelliere  sanno, 
e  non  altri»  la  .cosa  appunto;  e  ancora 
che  il  cancelliere  abbia  fatto  la  citazione  , 
nondimeno  non  Tha  scritta  al  Libro,  per- 
chè non  le  usano  scrivere  ,  se  non  quan« 
do  altri  comparisce ,   o  passato    il    tempo 


ch^  coAlpa rir  si  dovria.  Per  la  qiial    cosa 
egli  ha  (alto  quattro  immagini  di  cera  yecy 
de,  per  ognuno  di  loro  una,  e  ha  maoda*. 
lo  or  ora  un  demonio  costretto  oeiriofer* 
no  al  fiume  di  Lete  per  una.  guastada.  di 
qdeir  acqua  incantata  9  con  la    quale   ba** 
goaie  tre  volte,  e  dipoi. strutte  ed  arse  Timr 
magiui  y  coloro  si    dimenticheranuo  subita 
ogni  cosa  intorno  ai  casi  nostri^    né    mai 
^Ila  vita  loro  se  ne  ricorderanno f    se  bea 
vivessero  milje  anni ,  e  se  voi,  o  io  ne  di* 
«ssimo  nulla ,  il  Pilucca,  e^i  il  Monaco  .ci 
terrebbero  pazzi.  Il    Vicario    e    il    cancel* 
liere,  non  scudo  chi  ricordi  loro,  nò  chi 
aolleciti  la  causa ,  ed  eglino   avendosi    di- 
menticato il  tutto  ^  e  non  T  avendo,  scritta 
al  .libro  delle  querele ,    non    seguiteranno 
più  oltre,  e  cohì    verrà  ;  ad    essere,*  come 
6e  non  fusse  mai  stato;  e  questo  /  si  chia- 
ma r  incanto  dell' oblio.    Grandi  cose  ma- 
ravigliose  parevano  queste  a  Gian  Simone^ 
mn  molto    maggiore    stimava,   credendolo 
fermamente,  lo  essere  il  Monaco  volando 
per  Taria  venuto  a  casa  Zoroaslro;  sicchà 
ciato  fede  alle  simulate  paroU  dello  Scheg- 
gia, disse:  I  danari  son  cos^i  in  sul  casso- 
ne in  quella  federa,    toglili    a.  tua.  posta. 
Ma  come  farem  noi ,  che  non    sono  altro 
che  ventidue  fiorini  ,  perchè  di    venticiu- 
qae  che  gli  erano,  ne  bo  tra  il   medicar^-' 
mi  ed  il  presente  spesi?  Al  nome  di  Dio, 
rispose  lo  Scheggia  ^   acciocché    X  indugio 
non-  pigliasse  vÌ2ÌP.  9  egli  me  ^e    pare   aa^ 


dar  tafedbcÀer  ehè  io  gli  accatterà  4m 
itù'  mio  amico  Bànohiere  «•.  ^  ttelteràgli  d» 
"Vio  ;  cbè  'dìàrol  sarà  nrii  V  per  ^eilo  no» 
'it  restii!!  Ta  /krai  beoe  »  diiie  Gian  Simo* 
ne  9  e  come  ta  goeD*avrat  dati»  e  che  VMt^ 
eaoto  sia  finito  »  lomtemi  a  rauttagliatOi 
E  cosi  Ib  Scheggia,  preso  qaelléfedertbideN 
ye  erano  i  danari  tnlt'oro  ed  argento,  lie* 
tissimo  si  partì  da  colui ,  e  andbnno^  htlb^ 
tendo  9  ai  due  compagni  »  che  rallendeva^ 
tto,  1  qnàli  veduto  i  denari ,  e  inleso  dei 
Ire  ducati,  che  tì  maacavaDO,  quello  cbr 
Io  fileggia  detto  aveva ,  ridendo*  e  di  gio- 
ja  pieni^  censullarono  dì  farne  quanto  du-^ 
ravano  buon  tempo  e  lieta  cera»  ed  ordi- 
nato che  il  Pilucca  andasse  per  il  Mona- 
eo ,  e  che  bene  mandasse  là  da  desinare  ^ 
dóve  tutti  8*avevano  da  rivedere ,  se  ne 
tornò  Io  Scheggia  a  Gion  Simone  «  diren» 
dogli  :  Ogni  cosa  è  acconcia  ,  e  seguitò  : 
Io  accattai  i  tre  fiorini ,  che  mancavano  ^ 
e  me  n^àndai  volando  al  Negromante,  e 
trovai  appunto  il  diavolo,  che  aveva  arre» 
cata  Tacqui ,  sicché  toste  veduto  egli  i  de- 
nari, bagnò  le  immagini ,  e  di*  poi  le  meo* 
se  tutte  e  qutttro  sopra  un  fuoco ,  chea- 
veva  acceso  d\  carboni  d*  anoipresso ,  le 
quali  in  un  istante  si  strussero  e  consuma- 
ronsi.  Zoroastro  fattosi  arrecare  allora  uii' 
^ran  catino  d*  acqua  incantata  ,  dicendo 
non  so  che  parole  «  spense  ogni  cosa,  e  a 
me  disse  :  Ta  via  a  v^a  posta ,  e  non  te-  1 
mer  più  di  nulla.  Io,  Hograaaatolo»  subì» 


io  p^hR^  e  nel  Tcpire  a  caia  TOitnr  rincoiv- 
trai  appunto  dal  cauto  de*  Pani  il  Mona- 
*GO,  li  quale  faceadomi  il  miglior  iriso  del 
'inotido  i  mi  disse  addio  »  dote  prima  non 
-mi  soleva  favellare,  anù  ai  faceva  tem- 
pra viso  di  matrigna.  Quanto  Fimanetse 
«contento  Gian  Simone^  non  è  domandate^ 
'«d  alto  Scheggia  disse:  Credi  tu  ohe  se  Zo^ 
riroaslre  avesse  fallo  un*  immagine  per  me^ 
che  io  me  lo  fussi  anch'  io  dimenticato  7 
Si  9  ve  lo  sareste,  rispose  lo  Scheggia;  sta* 

\  tene  voi  in  dubbio?  Io  voglio  dunque, 
seguitò  Gian  Simone,  che  tu  ritorni  a  lui, 
e  fiicciagliene  fare ,  e  costi  ciò  che  vuole; 
iftircbè  IO  mi  dimentichi  di  questa  cosa  , 
IO  sarò  il  più  contento  uomo  che  viva  ;  a 
cui  rispose  lo  Scheg(;ia  dicendo  :  Maladet' 
la  sia  ia  straccurataggine!  Voi  potevate  pur 
dirmelo  dianzi  ;  egli  sarebbe  ora  .  troppo 
grande  impanio  a  far  ritornare  il  diavolo^ 
e  ristringerlo  ;  non  vi  bast'  egli  esser  libe* 
ro?  e  poi  io  non  vorrei  anche  tanto  in« 
fastidirlo,  e  che  egli  m'avesse  poi  a  diro 
che  io  fussi  carne  grassa  ,  e  anche  non 
▼o'  più  tentare  la  fortuna  ,  ne  con  ispiriti 
De  cou  incanti  né  con  incantatori  icnpac- 
cjarnii  mai  più;^    sicché    pertanto    a])biate 

.  pazienza.  Tu  di*  anche  il  vero,  rispose 
Gian  Simone;  la  cosa  è  andata   bene  trop« 

[IO  ;  e  cosi  avuti  altri  simili  ragionamenti , 
o  lasciò  lo  Scheggia  in  pace ,  e  andatose- 
ne a  casa  Zoroasrro,  dove  Taspettavano  i 
compagni,     e     ragguagliaLili,    desinò    con 


i 


«MI  loro  aUcgrattonle  1/  iltro  fg^otj»  yéi 
QMoiido'Gìan  Sinone  fuori,  e  trov»t^  H' 
Monaco  ed  il  Pilaccav  fu  oerlìaiiiiio  dtk 
JViblÌTÌoiiet  ma -poi  in  itpasio  di  tempo  ieal* 
-  Bindoli  alcana^  Yolta  e  fottraendoli  »  odi 
•CM  noviflàmi  e  maraTiglioti.  moatrandoi»  > 
Àcevano  lo  più  grasse  risa  del  mondo;  dm 
-i  quattro  compagni  lasdaiolo  con  Ja  beflESn' 
e  col  danno,  lungo  tempo  sgoanarono  ai* 
li  ano  spese. 


r»- 


ROVELLA  Y. 


Currado  signore  delV  n^Uca  città  di  Pie^ 
sole  t  accoriosi  che  §1  Jìgliuoìo  si  giace* 
va  con  la  moglie^  sdegnalo^  gli  fa.  am^ 
bedue  asprissimamenie  inerire  ^  e  lui 
dopo ,  per  la  soverchia  orudeiià  ,  é  dot 
popolo  ammazzalo. 


V  «oulo  era  Leandro  fioalmente  «  ca* 
pò  della  tua  assai  bea  lunga  novella  «  ma 
non  già  per  )a  soa  lunghezza  rincresciata; 
anzipiaciata  molto  e  commendala  som* 
mamente«  nella  quale  fuor  di  modo  aveta 
fatto  rider  più  volte  la  brigata.  Laonde 
Siringa ,  che  seguitar  doveva  ,  quasi  rideiH 
do  prese  a  dire  :  Certamente  che  Leandro 
€K>o  la  sua  favola  mi  ha  attenuto  la  pro- 
messa ,  cotanto  è  stata  giocosa  e  allegra  i 
la  qual  cosa ,  sallo  Dio  ,  che  ancor  io  mi 
Torrei  poter  ìngegnar  di  fare  ;  pure  ^  poi- 
ché non  piace  al  cielo  ^  m*  ingegnerò  per 
avventura  di  farvi  tanto  piangere  »  quan- 
to egli  vi  ha  fatto  ridere  ,  e  forse  più  ^ 
raccontandovi  un  caso  infelicissimo  di  due 
amanti ,  degno  verameate  delle  vostre  la- 
crime. 

Fiesole  ,  come  sia  oggi  rovinata  e  dis*» 
latta  ,  fu  già  nobile  e  bellissima  città ,  e 
piena  cosi  di  case  e  di  palagi  e  di  templi^ 


É8z  Mcmiu  HaBMàm 

come  di.  abitatori.  Nel  tempo  4^qiiy9iMr^ 
rcbe  per  If.  snoi  Priocrpi  m  reggeTa  e  go« 
rreroava  ,  e  che.  ia  letisia  ed  m  pace  irìwe* 
'Vm,  imo  n^ebbe  tragK  jaltn  ebiaoiàlO'GM^ 
.^(h>  ^  •signora  giusto  e  liberale  t""  e  lenufo 
earo  e  amato  mollo:-  dai  .suoi-  citlaéiAi  ^  il 
fanale ,  *già  aftenéo  cinquanta  atmi-  paaia#, 
^  'dispose  di  pigliar  donna  ,  ancorebè  i^ 
ira  ne  avcMe  avata ,  ma  4ì  parecebi,  wpt 
morta  ;  ed  an  figiiimo  mascbio  di  acdict 
'anni  laseialogta.,  . chiamato  Sergio  «  belMni»* 
mo  a  maravigtja.  Questo  Currado,  dt  m0- 
f  Ife'deaideroso  t  molte  IroTaadone  ,*  e  avo* 
tene  per  le-mani^  una  ne  preso- finalmen- 
te figiiuoljai ,  di  Lucio  Attilio  cìitadioio  Ro- 
mano ,  che  per  coonnissione  della  Repub* 
Mica  '  e  del  '  SeoHlo  di  Roma  reggeta  alleg- 
ra in  Pisa^  in  quel  tempo  chiamata  Al* 
'fea  y  e  amminristraTa  la  giustizia; .  £  per 
buona  sorta  fu  una  delie  belle  giotaor , 
the  si  trovassero  allora  in  Italia,  detta  per 
nome  Tiberia,  molto  pia  conveoevole  mo- 
glie del  figliuolo  i  per  la  sua  tenera  età  , 
nel  pia  Terde  tempo  trovandosi  della  sua 
giovinezza.  Peronsi  le  nozze  onorevoli  e 
grandi, -come  alla  qualità  ed  al  grado  loro 
•i  conveniva.  Cosi  Currado ,  iriveado  lille- 
bramente I  si  passava  il  tempo,  ed  alla*siw 
donna  altro  non  mancava,  se  non  che  trop- 
po di  rado  e  male,  di  quello  che  tutte  le 
femmine  maritate  desiderano  ;  nondimeno^ 
t>nestissima  essendo  non  mostrava  di  cvh 
«imene.  E  eosì  fojrniii  di  -passera  duo   aqr 


ni t  e  Sergio  cresciuto,  e  ogvi  gTomofro^ 
dandosi  continuamenle  a  muDgiaree  bere 
e  a  ragionare  senza  sospetto  alcuno  eon  ìm 
^ffiairigcfa  V  se  ne' iti  rag  hi  ed  accese  dì  ma^ 
niera ,  cbe  non   are^a  mai  altro    bene  -uè 
conforto  ,  se  QOn  quando   egli,  1»  vedete  p 
e  con  lei  parlata.  E  cosi  d'  ora  in  ora  »  e 
di  giorno  m    giorno   crescendogli'  entro  il 
-petto  il  fnoco  e  F amorosa  fiamma,  ai  con* 
«osse  a  tale,  non  tolendo  scoprirlo  a  per» 
sona  viva ,  cbe  egli  s*  ammalò  ,.  e  dj  sorte 
indebolì ,  che  fu  sformato  «starsene  nel  ie^ 
io.  Quanto  di    ciò    Currado  avesse  dispia* 
cerere  maninconia,    non  è  da  domandtirc 
Egli  fece  prestamente  venire  i  migliori  me^ 
dici,  cbe  si  trovassero^  ma  da*  quelli,  «Km: 
conoscendo  la  sua   malattia  ,  molli   rimed| 
^ni  ordinati  furono  ;  ma  nulla  giovando^ 
lìè  di  cosa  alcuna  pigliando  conforto ,  àatoi 
pes;i;iorando  sempre  ^  fu  da  loro  sftd|Ho    e 
abbandonato  ^   dicendo  al    padre  ,  lui*  noe» 
eter   rimedio    alcuno  alla  salute  sua.  Cur- 
rado dolorosissimo  ,   pilla  voHe  dimandata 
ftl  figliuolo  la  ragione  del  ave  male*»  altra» 
rìsposia    non  aveva    mai  potuto  avere/  se 
non  che  si  sentiva  mancare  a  poco  a  pooe» 
Madonna  Tiberio  ancora  ella  ne  aveva  do« 
Ibre  grandissimo,  non  sapendo  essere  deHof 
tua  malattia    vera   e    sola    cagione.  Sergio 
yropn^o  avendosi ,  tacendo  ,  di  morire  ,  a 
tale  era  già  cond^Uo  ,  cbe  non  voleva«pi& 
pigliar    niente^  }>er  la  qual  cosa  una^  i^ac- 
^cliia  f  obe    era  alate   sua  .  j^alìa  ^  aonrawAe 


aB4  tBCOKOA.  xsmki. 

up*  mattiiui  indietro  col  numgiare  »  .  ■[ 
riiiopnirb  DeHa  Principessa  f  e  cai  elle  dis% 
ee  :,  Poco  cV  .  è  della  nta  di  Sergio^  ;  egfi^ 
non  ha  stamani  volato  solamente  torre  àn 
boccone  ;  vedete  che  io  gli .  levp  la  vivaà* 
da  dinanzi,  come  io  la  gli  porMii.  Tifae- 
ria  «  increscendogliene  oltre  a  modot  dia^ 
ae  alla  halia:  Dalla  an  po*qaa  a  me,  vei^ 
giamo  se  io  sapessi  far  meglio  di  te  ;  e 
presa  la  scodella  in  mano,  se  n*andò  tmU 
tà  nella  camera ,  dove  il  quasi  morto  .5er« 

rsi  giaceva  t  e  pietosamente  salutatolo  ^ 
pregò  dolcemente ,  che  per  suo  amore 
fusse  contento  di  voler  mangiare.,  e  nel 
cucchiajo  avendo  messo  un  poco  di  mine- 
stra gliene  accostò  alle  labbra.  Sergio,  che 
la  sera  dinanzi  poco  ^  e  la  mattina  niente 
aveva  volato  pigliare,  sentite  avendo  le 
dolci  parole ,  aperse  senza  altro  pensare 
la  bocca,  e  cominciò  a  mangiare  di  si  fat- 
ta, maniera,  che  tutto  si  trangugiò  il  desi* 
nare  ;  di  che  tutti  i  circostanti    si  maravi* 

5|1iavano  ,  e  Tiberia  ringraziatolo  e  ran- 
ertatelo  molto ,  aliegrìssima  si  perii  da 
lui.  Venne  la  sera  ,  ed  ella  fece  il  somi* 
gliante ,  e  Sergio  non  facendo,  e  non'  po^ 
tendo  disdire ,  ancorché  di  mortre  ibsse 
deliberato ,  pur  mangiava ,  e  vedevasi  ral- 
legrare alquanto,  e  ma^imamente  quando 
la  Principessa  gli  stava  d*  intorno  ;  e  cosi 
in  quattro  o  sei  volte  fu  conosciuto  chia- 
ramente lui  aver  preso  grandissimo  miglio- 
ramento. l4k   quale  cosa .  veggendo    il  par 


IfOVELLA   T.  285 

dre  9  maravigliosaoiente  gli  piacerà  f  ed 
ogni  giorno  faceva  fare  orazione  e  sagrìfi- 
no  ai  suoi  Diì  »  pregando  la  moglie  ^  ch^ 
non  gli  rincrescesse  far  opra  cosi  pietosa  » 
dando  il  cibo  e  la  vita  ai  suo  figliuolo.  Ma 
la  balia  più  saggia  di  tutié  ,  come  colei 
che  era  molto  pratica,  ravviso  troppo  be- 
ne onde  fosse  venuto  «  che  dalla  matrigna 
avesse  cosi  preso  il  cibo  ,  e  così  perseve* 
rato  nel  mangiare  e  nel  riaversi  ;  sicché 
andatasene  dalla  Principessa,  le  disse:  Ma- 
donna ,  egli  mi  pare  che  voi  siate  cosi  ac« 
corta  e  saggia  ,  e  così  vi  succedon  bene  e 
prosperamente  le  cose ,  quanto  ad  altra 
donna. ,  che  io  conoscessi  giammai  ;  però 
io  voglio  che  voi  diciate  a  Sergio  ,  come 
al  giorno  della  festa  di  Mercurio  ^  che  eì 
è  vicino  a  otto  di ,  che^  voi  volete  fai>e  al 
giardino  un  bellissimo  convito  »  che  rói 
svereste  desiderio  che  egli  vi  fosse,  e  pre- 
gatelo poscia  per  vostro  amore  »  che  egK 
si  sforzi  di  guarire ,  a  fine  che  ritrovarvi* 
si  possa  per  farvi  questa  grazia  »  e  vedre- 
te ,  soggiunse  colei ,  che  egli  ritornerà  sa- 
no come  mai  fu«  La  Principessa  mossa  da 
buono  zelo  ,  la  mattina  vegnente  «  poiché 
ebbe  datogli  mangiare,  lo  richiese  di  tutto 
quello ,  che  dalla  balia  le  era  stato  detto  » 
a  cui  Sergio  timidamente  rispose  :  Madon- 
na,  io  ve  ne  ringrazio ,  e  tanto  è  glande 
il  desiderio  che  io  ho  di  servirvi ,  che  io 
credo  che  gt*  Iddii  mi  ajuteranno  ,  a  fine 
alle  io  possa  di  questo  cookpiacervi  »  e  vi* 


ÌÌÌ9  iMAmA  datti.  '   \ 

éMo  fe  tiOi  a  chi  li  11  morirei  Qmtm 
tm.41  meglio ,  alii  lami  t  per  te  «oa  «mi|f^ 
Mita  9  ohe  vivere  a  qoastò  moda  idfidifaW: 
E  di  chi  ianamomla  ti  mi?  <^!(^"*  «^"lÉ 
ÌpraTisihao  peccato»  ia  che  mùdù f  émtafih 
mfwadiHÌmtL  ?«ifògna  puoi  ùì  Iwaitt-» 
Sue  i  derider]  tuoi  e  i  peiiaierf«  i^'^KM^ 
$\  grandcmeate  li  affli{||goiio  Z  Lata  ;  w 
aflalU).  Y  animo  a  quctto  ilieeito< 
Tolgi  la  mente   a  più   lodata   imprem 


piterao  danno  dell*  anima  Inai»  ÌttK^|M|l 
tornandole  nella  memoria  la  dÌTÌitf'^lieK-* 
lecza ,  i  legsiadri  costami ,  e  le  foari  ed 
onesle  parole  Hell*  amato  giorane  ,  tutta 
cangiala  dairesier  di  prima,  diceva  seco: 
G>me  potrò  mai  io  non  gradire  t  non 
ooorare  e  non  adorare  la  maestà  t  la  co» 
•tumaiezza,  la  soavità  e  belleua  del  tìm» 
degli  alti  e  della  favella  >  ed  insieme  di 
tutta  la  persona  di  colui  ,  che  per  wfo 
bene ,  per  mio  ristoro ,  per  mio  conforto 
e  per  mia  pace ,  il  cielo  ,  i  fati ,  la  for« 
luna  9  ed  amore  produssero?  Io  non  pos- 
so,.  uè  debbo  oppormi  alle  celesti  dispo^ 
siziooi.  Che  fo?  lo  però  amo   giovane   aa 

fiovane  t    cosa   ordinaria   e    naturalissiBEUu 
>i    <|uante    altre    ho   io  udito    e  letto  ^K 
amori    disonesti  e  scelleratissimi  ?  Lascivi 

E  recti  con  i  parenti?  Ma  che  dirò  io  d^ 
itelJi  eoa  le  sorelle ,  e  dei  padri  con  le 
figliuole?  Costui  9  sebbene  sì  guarda  divisa- 
meuie  »  non  ha  che  far  meco  cosa  alouna 


iBU 


ad  mando.  Di  che   dubito?  lassa  che  le* 
ao  ?   Ohimè  !    perchè  don   apro  ^  .perchè 
non  iscuopro ,  perchè  non  gli  fo  io  chiaro 
la  Teglia  9   il   colore   e   gli   affanni  miei  ? 
E^  è  gentile  e  cortese  «  e  oltre   a  quealo 
mi    è  ooblìgatissimo  «   e   mille  volte  mi  si' 
è^  offerto  e  dettemi  che  il  maggior  deside- 
rio t    eh*  e^Ii    abbia    in  questo   mondo,  è 
di  £armi  piacere   e   servìzio.   Perchè  resto 
io  dunque  ?  chi  mi  tiene  ?  a  che  tardo  io 
di   trovarlo  ?  Deh  come  credo  io  che  del- 
In  min  freddezza  ,  -  della  mia   diffidenza  e 
del    mio   poco   animo    si  dorrà ,  e  mi  ri- 
prenderà !   Come   penso   io ,  che  udendo 
I  miei  lamenti  «   e  veggendo   le   mie  lacri*^ 
me   s*  attristi    e    addolorì  /  ed   io    di  me 
inimica^    ministra   del    mio  danno  ancor 
peno  9  ancor  bado  a  fargliene   intendere  ? 
Già   veder   parmi    aperte   quelle   braccia» 
già  da  loro  mi  sento  stringere ,    già  dalla 
tua  bocca  la  mia  mi   sento  amorosamente 
baciare.  Ed  in    questo  cosi    fatto    pensiero 
dimorando ,  poco  meno    di  dolcezza  senti* 
Ta  9  che  se  stata  fosse  in  fatto  ;    e  riitasi , 
eom^  se  trovar  lo  volesse  «    i  passi  mosse  # 
ma  si  ritenne  poi  col  dire:  Se  per  disgra- 
zia t  ogni  altra    cosa  di   me  pensando  «  si 
edegnasse ,  e  per  onor  del  padre ,  dove  ot% 
per  onestissima    dònna   beòignament^   mi 
riverisce    ed   ama  »  per   disonesta  poi   mi 
eohernisse   e  odiasse  ,  trista  la  vita  mia,  do^ 
¥0  mi  troverei  ?  Sforzata  sarei  fuor  di  spe- 
ranza al  tutto  da   me  stesso   uccidermi  ;  é 
Lasca.  19 


Mèi  pir 'Bpil  arn^  F!W^  •l^:ìB||lt»iÌK 
iiù!ra  pMceado  di  oacbi  «  {|K  9Mt^  JK 
l^ere  e  udire  u  ino  caro.  SmùOi  CMC^ 
Jln.  parte  il  morene  »  non  ma» «ol  lei.  jlel<l^. 
*|9oio,  ancorché  per  mo.  emore^^ .  «  piaf^' 
jw  ^iyere »  oientediinisiio  , aveiema.  y^i  _ 
corre  i  desiati  fratti  iun^roo  ^  ^v^^^^^VV^Kf 
)a  rivcrea»  del  iiedre  «  la  gmndfflip  Jv^ 
peccato  f  e  ;  |1  d^ito  dell*  oneaii,  m;.mà* 
parie  mi;  riinMmeros  pare  ie  faiapWiÌiiÌ. 
forae  di  amore  a.  tale  Uavcntne  -oondo^ 
te  »  che  se  potato,  aiesae  e  piaebila  .eUlk 
donna,  come. ho  detto,.  laBiato.  aveacbhii. 
le  ioe  bramosa  voglie ,  ed  ali\ana  ed  air 
V  altro  era  d^assai  aJleggiameolo  alle  le* 
vo  gravi  pene  iU vedersi,  il  raflonare,  il 
conversare ,  il  mangiare  ed  il  bere  ooiijti- 

Saameote  insieme.    E  cosi   d'an  volerete. 
*an  animo   essendo ,  desiderando   e  '  brar 
aumdp  il  medesimo  «  agghiacciano  nel  foo* 
op  r  ^  ardono  nel  ghiaocio ,  e  ra  measo^id 
aure,  per  ooa  disteadere  la  mano  a^preor* 
der  dell*  acqaa ,  muojona  di  sete*  Pare ,  aan« 
^carandosi  a  poco  a  poco,  avvenne  d^  am. 
Ulorao^  ohe  Cnrrado  era  andato  a  caociar* 
Ser  non  tornare,  se  non  la  sera ,  soU  ritrorì 
^ndoìii  in  camera»  della  donna  ^  e  d^unih 
In  altra  cosa,  ragionando,  caddero  sopra 
le  maktlie  $  laonde  Sergio  disse  :    MadoAn 
aa  ,  la  inia  passala  fa  ben  leraibilce.dL 
cerio   mi  averri>be  guidalo  a  morte  ,.aa. 
Kajuto  vostro  badava  troppo  a  sccccrreram^ 
sfeoome  io  più  volte  ti  h»  detto ,.  possm 


tire  *d*aTer  per  toì  ia  vita.  ÌHM  gAidei^ 
me  me  ne  rendi ,  soniiiase  Tiberia  ;  pol<- 
ébè  me  non  ajaii ,  che  sto  poco  meo  'mu- 
le i  obe  eteMi  lu  \  quandb  da  me  ajatato 
fiMlL^'Obimè,  rispow  Sergio  t  Dio  ve  ne 
goardip  !  i^be  male  avete  vói ,  è  in  che  ma» 
curavi  poséo  io  dare  aita?  Gmodiasime  t 
dtee  la  PrìnetpesM ,  e  in  te  solo  ita  k  ea» 
htì»  mia  9  f  solo  tu ,  e  non  idtri  »  liberar 
Ài  pwi.  Volesse  Iddio  cbe  io  potessi  farti 
•erviiio  a  benifizio  !  die  voi  tedereste  ebe 
io  non  sono  ingrato  «  segoitA  Sergio ,  né  mi 
itria  fiAtoa  mettermi  mille  folte  il  giorno 
per  Toi  alla  morte.  Dite  ,  comabdale  ^purie^ 
cbe  io  SODO  appareccbiato  e  prontissimo 
ai  comandi  yostri.  Tiberia  t  queste  parole 
cosi  affettaose  udendo  ^  ToTendo  risponde- 
re,  o  fosse  TaU^grezza  o  il  dolore  H  la 
panra  o  la  speraùza  o  la  diolcezza  o  Ta- 
maritudine,  gli  mancò  la  Voce,  e  diteniè 
emne  dr  marmo  immobile  ;  pure  gli  occbi 
feoero  T  uffizio  in  buona  parte  della  lin- 
gua 9  i  quali  in  tante  lacrime  abbonderò- 
flk>  t  cbe  di  poco  più  fatto  atriano  se  ella 
•▼esse  afuto  una  fonie  yrva  nella  lesta* 
Sergio  nuraTigliandosi  j  e  per  compassione^ 
•^  per  tenerezza  ancb*  egli  lacrimando  e 
mangendo  v  il  miglio  cbe  sapeva  e  obe  po*> 
{•fa  »'  la  conCmrtaTa  «  la  consolavn  »  e  con 
il^  grembiale  di  lei  le  rasciugaTa  le  colo* 
vile  guancia  ^  tuttatia  pregandola  che  ntrtk 
dubitasse  di  nulla  »  e'  che  gii  scoprisse  It 
M0ion€  de/  snoi  amarissimi  dolori*.  Tibenaj 


T^uaaido  ìe'kcrìme^  e-  i  pieloii:'ricovll 
dw^amito  gioTftne  udendo ,  iiw||^cr  iii'te 
ritornatk  »  ruppe  .  il  freno  alla  ^tiuiiiaiÉiv 
eriairute  le  parole  i  nel  mdkKo  modo  che 
•eppe ,  gli  aperte  é  gli  narrò  tatto  ^  'ino 
àin*re«  e  indi  lo  pregò  caldamente!  cbe 
di*  lei'  gli  Tenute  comfNitrioBe  »  e  jT^UMare-' 
feéste  della  irita  e  giovinetta  tiia.  Ilèà^fiBòa 
Sergio  come  già  Ippolito  alla  soa  nuriàrigna^ 
poiché  il  cielo  e  la  fortnna  henigna  jjK 
aTerano  potio  innann  tanto  e  coA  fililo  beiuk 
non  meno  di  lei  desiderandolo;  dimaÉli- 
calbti  deir  onore  del  padre ,  aperte  le  brao- 
oia  f  poiché  soli  erano ,  e  la  camera  ser- 
rata ,  e  teneraineole  stringendole  il  collo  ^ 
baciò  dolcemente  la  rosata  bocca  ,  ed  ella 
Ini  ancora  ,  affettuosamente  stringendcrfo  § 
abbracciò ,  ed  innanzi  cb«  si  spiccassero  » 
cento  caldi  baci  Tun  T  altro  si  diedaro. 
Sfa  pure  poi  lasciatisi  t  cominciò  Sergio , 
e  da  capo  fattosi  «  le  raccontò  ordinata- 
mente Torigin  della  sna  malattia,  e  la  ca- 
gione dopo  della  saa  salvezza ,  e  come  più 
che  mai  acceso  ed  innamorato  TiTova.  E 
te  colei  fu  contenta  »  udir  non  potendo 
cosa  che  più  V  aggradasse  «  non  vi  dico 
niente;  ma  di  nuovo  riabbracciatisi  »  se 
n'andarono  scmra  il  letto ,  e  prima  cha  di 
quindi  si  partissero ,  Tun  delF  altro  prete- 
ro  maraviglioso  piacere  e  diletto  d*amorc, 
gustando  1  ultima  e  la  più  soave  dolcesaa* 
Ma  poiché  per  buono  spazio  trastnllati  ti 
furono  9  dato  ordine  come  più  sicuramén- 


fie.f  e  con  più  agio  troTare  insieme  si  d^ 
Tessero,  prese  Sergio  da  4ei  licenza ,  e  pia. 
che  mai  allegro  e  contento  si  diede  ad  at 
tri  saot  piaceri.  Tibcria  tanta  letisia  aveva» 
e  '  tanta  contentezza  nell'  animo  sentita  f 
che  temeva  forte  non  venir  meno  per.  la 
aovercfaia  dolcezza ,  ritrovandosi  con  .  Fa- 
mate  ino  figliastro ,  provato  avendo  qnan- 
tu  fpsse  differenza  negli  assalti  d*amore  da 
on  ^ovane  a  un  vecchio ,  da  un  amante 
ni  marito  t  che  le  pareva  maggiore  che  il' 
liiaoco  dal  nero  »  il  giorno  dalla  notte  «  .e 
che  le  cose  vere  da  quelle  che  si  sognano; 
e  cosi  rassettato  intanto  il  Ietto  »  acoiocctiò 
nulla  si  paresse  ^  s*nsci  dalla  camera  f  .e . 
andatasene  alle  sue  damigelle  f.sopravvenae 
intanto  la  sera ,  e  poiché  ebbe  cenato , 
ognuno  se  ubando.  Currado  tornato  da  cac- 
cia andò  prima  a  dormire  al  solito  in  una 
camera  separata  dalla  donna,  perciocché 
IO  altra  si  dormiva  ella  in  su  la  sala ,  e 
qpuando  il  Principe  usar  voleva  seco  il 
jDaatrimonio  ,  benchc  di  rado  f usse ,  aveva 
per  usanza  a  veoir  sempre  la  mattina  in 
•ni  far  del  giorno ,  avendo  dai  medici  in- 
teso, che  in  queir  ora  dava  meno  disagio 
e.  noja  alla  persona,  che  di  niun  altro 
tempo;  e  se  gli  era  di  verpo,  si  metteva 
una  veste  luuga  foderata,  se  di  state,  una 
di  zendado  leggierissima ,  ed  avendo  la 
chiave  solo  egli ,  senza  picchiare  altrimen* 
ti,  aprendo  se  n* andava  a  lei,  e  il  biso- 
gno tatto ,  per  la  medesima  via  se  ne  tar- 


mm  al  0M  Itteo.  Bladom»  1Sibmb>  Mn 
QBBtncn  tcilsata  e  Moonciliy  Mlft.  «.«Iv 
noivi  s^  jdleno  te  o^aodaTttM  »  i«nMM#Ìi 
1»  maUiiia  j  te  1^  jkib  '  a^ciie  éhiMMMi  ^ 
9011  sarumo  itale  radila  di  antmr.làrft^M» 
^.  Vw  la  «pud  coaa^Sanio  «Mna»  «éi 
aeoo,  ahe  la  Botte' ^naiiM  ogiMia0iJMl 
plafiK>  sentiate  dornirev  iolo  e  chela  ..w 
aè  ▼eoiaie  aopm  un  Teronef  àQnwp0m 
te  rioieiva  la  fioettca  dell*  antioanev^^  ip[ 
quale  aperta  troverebbe  «  «  afta  .di  foiDda 
aoQM  ueU* aaiicMMni «  per  TiUdw^-eiié 
medcaiiiiaaiesle  aperto  lascereUie  ^  aa  ;«i 
TmiMe  a  trovarla  a  lette  ^  mi  penata  aest 
aa  notte  se  ne  ritornaste  alla  cameni 
Or  poiché  ogni  cosa  fa  cheta  per  la 
Sergio  9  parendogli  tempo,  s'asci  di  cameiri 
tatto  solo  f  ed  andatosene  sai  verone  f  per- 
chè la  finestra  era  an  poco  alta ,  prete  ao^ 
lancia  o  picca  che  ella  si  fosse*  fra  wam 
massa  »  che  ivi  erano  in  terra  rasente  a  usi 
maro,  ed  appoggiato  alla  sponda ,  ctsepr 
do  destro  e  forle  della  persona  t  sa  vi  saft 
a  cavalcioni  ;  sicché  tirata  la  lancia  daU 
r altra  parte,  per  essa  leggiermente  tcet« 
neir  anticamera  ,  e  per  Toscio  alla  donQH 
te  n*andò,  che  nel  letto  con  desideriQ 
grandissimo  lo  aspettava,  dalla  qnale  oo« 
aie  fotte  lietamente  ricevuto ,  non  vi  é  da 
domandère.  Sccbé  buona  parte  della  noU 
te  abbracciati  stettero  con  tanto  piacere 
d'ambedue  le  parti ,  con  quanto  maggio^ 
M  iasmagioar  si  possa.   Ma  qoai^do  parvj 


Ici^  tempo  t  là  'pirti  Sergio  »  e  (SoA  coite  era' 
iMtfttfo  8é  n*andò  9  Mrraia  la  fivièstrc  ;  e 
rimèMà  la  lancia  fraf  f  ahré»  t  ooA  conti* 
niiattdo  n  diedero  forse  due  meai  il  miglio^ 
tÈÉMàf  elle' mai  àTetoerò  élla  lOr  Vita,  tfi 
Ifc  wrtiiteii  nemiea  de*  beni  tiuiani^  diatok^- 
fiafrìee  d^  beai  terreni  »  e  contraria  ttlW 
iha^Hm  dei  tortali,  in  guisa  si  eoiitran- 
|i6iè  alla  lor  giojh  ;  cbe  dote  i  più  felid  l 
ètte  sì  iravassero  ài  mondo  «  in  brere  fti« 
Itotto'i  più  miseri  ;  perciocché  essendosi  uda 
t<illa  infra  r  altre  ritrovati  insieme  «  né 
thntò  spasio  anc#ra  riaTntp  atèndo  9 ,  che 
ibrtltCO  avessero  là  prima  danza  d*  amore  j 
àtrtnne  che  fuor  d^ogni  suo  costume  Gur- 
Mdo  t  per  qnal  si  fosée  cagione  levatosi , 
^enbé  per  pigliare  il  solito  piacete  -con  là 
moglie  9  fuor  d*ogni  usanza  cinque  o  bei 
ore  mieno  ^  ed  air  uscio  arrivato ,  e  la  chia^ 
te  pttUL  per  aprire ,  non  gli  venne  fatto, 
perehè  volger  non  la  potette  mai,  usando 
ogdi  tolta  còlei ,  che  ramante  suo  aveva  ^ 
niettervt  la  bietta.  Per  la  qual  cosà  di- 
menando e  scuòtendo  la  porta  Currado 
Snaiito  jriù  poteva  ,  fu  daHa  donna  e  dal 
glio  udito,  i  quali  come  che  gran  paur4. 
avessero  t  pure  séndo  su  T  ultimo  del  for^ 
nire  della  dolcitudine  amorosa  ,  tanto  dà 
loro  desiderata,  e  di  fatto  non  restando 
colui  di  trimpellare  ali*  uscio ,  saltarono 
diàì  letto  ,  e  Sergio  ratto  se  n'andò  per  là 
Via'  usata  ,  rassettalo  ed  acconcio  al  >no 
hie^^  ogni  òtfsa  eomb  stava  prima.  '  Tibe* 


X^  «ICONOA   «UNA. 

ria  I  come  fuor  di  camera  lo  vide  •  tw- 
rato  l'uicid  t  fece  yhi»  Jì  destorsi  allora  , 
e  disse  con  alla  voce  :  Chi  è  là  ?  a  cui  rì- 
BDoee  Corrado,  ati'i  che  no  sospellando: 
Apri  ,  che  6011  io.  La  domta  ,  udita  In  vo- 
ce, lesto  cor^e  ad  aprirgli,  diceudo  :  hen- 
TCDga  il  mio  signore  ;  alla  quale  Currado 
disse  :  Perchè  così  mettesti  tu  la  bietta 
jersera  ?  udito  avendo  cavargliene  ;  egli 
Don  sDole  però  esser  tuo  costume.  Tibe- 
ria  cerla  scusa  debole  trovò  ,  cbe  lo  fecw 
più  insospettire  ;  ma  prestamente  nel  let- 
to riloroatase  ,  aspettava  che  il  marito  an- 
dasse da  lei ,  il  quale  per  la  camera  gpar- 
dindOf  come  volle  la  disoraùa,  ìOr^K^W 
CBua  a  pii  del  letto  (ooooiosmcoiMlii  .m|> 
la  camera  seaipre  per  nsaaza  arden  -lu» 
torcia  accesa  biacca  )  vide  na  cappcJfaUff 
«lift  greca  di  drappo  rosso  con  uà  ooc>. 
dono  ÌDtoroo  d'oro,  il  quale  conobbe  tea- 
U  dubbio  deano  «saer  del  figlinolo~«;d» 
Ini  quivi  la  notte  per  la  paura  e  per -In 
fretta  lasciato  ,:  onde  tutto  cambialo  il 
peuBÒ  io  cbe  modo  essere  andata  doretit 
intorno  a  ciò  la  bisogna  ;  ma  come  aano^ 
deliberando  di  chiarirsi  affatto ,  e  poacù 
fame  aspra  vendetta  *  non  folle  allotta  lar 
remore,  e  come  se  cosa  utuna  veduto  a^ 
Tesse  ai  messe  accanto  alla  sua  donna  ,  fii 
quale  astutamente  toccando  per  tutto  >  I9 
•«ntl  sotto  la  poppa  manca  battere  fortOr 
neote  il  cuore,  onde  fu  come  certo.  Si» 
•liè^pcr  la  paisioiM   •  per  Jk  caUm  no» 


ipotefft  iler  nclie  caoja  ;  pare  per  Bon  darlo 
cagione ,  che  siispettare  potesse  «  di  siiotii-* 
lare  ing^andosi^  A  sforsara  di  Cirle  oa*, 
rene  •  ùqme  era  solito  ;  aia  eoo  tatto  ciò 
avendo  ^U  il  tarlo  dbe  lo  rodeva ,  statla. 
per  ia6no  «  giorno  t  che  mai  non  potette 
pigliar  4i  lei  piacere ,  ma  deliberato  aven» 
do- di  partifsi,  disse:  Donna,  non  ti  ma^ 
savigliare  se  io  non  ho  potato  né  a  te, 
nò.  a  me  soddisfare ,  perciò  che  io  mi  sento 
di  mala  voglia  ,  e  son  venuto  cosi  faor 
dell*  ordine  per  vedere  se  si  potesse  passai^ 
"Via  certo  dolore  di  stomaco  che  mi  noja  » 
ma  nnlla  giova  ;  però  rimanti  in  pace,  che 
io  voglio  alla  mia  camera  tornarmene,  e 
detto  questo  da  lei  si  parli  ^  non  pensando 
già  colei,  che  di  niente  accorto  si  fosse, 
anzi  per  esser  egli  vecchio  e  cagionevole, 
alle  sue  parole  credette,  e  s* acconciò  per 
dormire.  La  mattina  molto  ben  tardi  le* 
Tatasi,  e  veduto  il  cappello  restò  doloro- 
aìsnma ,  non  pensando  però  che  il  marito 
Fa  vesso  veduto,  e  nascosolo,  chiamò  le 
8ue  damigelle  in  camera.  II  Principe  di 
gelosia ,  di  rabbia  e  d^odio  pieno ,  nel  let* 
lo  ritornato  ,  non  potette  mai  dormire , 
sempre  pensando  al  disonore  e  air  oltrag* 
ipo ,  che  gli  facevano  la  moglie  ed  il  n« 
gliaolo ,  e  riandando  le  passate  cose  ,  fra 
se  disse  :  Ora  io  conosco  bene  ,  che  sìgnU 
ficar  volevano  tanto  amore ,  tanta  benevo* 
lenza  ^  tanta  pace  e  tante  carezze.  Io  giam- 
mai non  me  lo  sarei   saputo   immaginare. 


S()8  SKODNDA    CttlK. 

E  chi  penK«rebb«  che  il  profirio  figliti 
d)«4e  di  fare  cosi  fatto  dispiacere  al  padre, 
cime  a  me  fa  Ìl  mio?  e  U  infedel  consor* 
te  snrprrti  c*>9Ì  la  mia  beaigaità  ,  l'affe* 
zioae  e  l'aninre  che  io  le  ho  portato  oiag- 
eior  giammai,  che  padre  a  figlio,  e  CM 
Btarito  a  moglie  portasse  ?  Non  meritaro 
questo  da  loro  ;  ma  poiché  essi  se  Tbanno 
cercato ,  io  gti  gastignerò  per  si  fatta  nta- 
BÌera  ,  che  saranno  esempio  eterno  e  8pa- 
'ventevole  dì  quanti  adulteri  furono  gtain- 
niai.  E  sempre  pensava  il  modo  che  |h& 
agevolmeme  cnrgli  potesse  iasieme  *  mo- 
strando tottavia  lieta  cera  ,  e  sforzandosi 
d*  essere  allegro  sì  levò  ,  e  veuutone  l'ot- 
ta ,  si  messe  a  desinare  insieme ,  ciancìao^ 
do  e  motteggiando  alt'  usanza  ;  di  che  Is 
moglie  e  il  figliuolo  avevano  maravigltbso 
piacei'e  ,  pensando  che  ninn  sospetlo  ave^ 
Ta  preso.  Per  !a  yual  cosa,  dopo  desinare 
Sergio  se  n'andò  come  era  solilo  in  came- 
ra a  passar  tempo,  e  a  trattener  la  mstrì- 
gna,  e  soli  essendo,  ragionando  della  pas- 
sata notte,  ^li  fu  dalln  donna  renduto  i) 
cappello ,  che  egli  aveva  per  la  fretta  di- 
menticato ,  né  se  n'era  avveduto  ancora; 
della  qual  cosa  il  giovane  miiravigHoso  ì» 
ringraziò  ohe  veduto  non  Tavesse  ìl  padreì 
T'énatane  hi  notte,  Ctirtedo,  cbfe  ]iéiiMV'' 
rrtva  di  giungierlt ,  solo  stette  in  a^;aMtfi' 
per  infiDo  ai  gtoroo  alla  camera  ^l'C^ 
gKw^  e  nella  vedde  é  sentì  i  concfosf^  ' 
ofafè^lMlla!  noct*  non  fiuae  pento  bèii«-t 


SomoTt  fiDTM  per  h  paMil»i.pMnmi  di  ri-^ 
trdrani  .eoa  fa  domia.  M»  T  aìim  nollè 
«tTon  «olila  utcendosiv  egli  di  oaaei:a  to» 
i  ffiadarimi  teiqoMot,  alla  raa  doaoa  se  a*aii« 
dò  j  non  pensando  ener  tednto  da  petMi* 
uà  ;  ma  Corrado  %  cke  ti  tra  meMa  alUiE^ 
poeta  »  ogni  oota  vednto  aTondo,  ooUoroiO' 
o  dimoralo ,  per  dar  principio  al  ina  crn^ 
deliasimo  proponHHMntó  9  se  n^andò-  ratto 
a  t|)o?era  il  ponina^o,  e  faUon  aprire  noiK 
oaairainò  cento  pasn  «  che  >^1i  arrÌTÒ  alla 
OMa  del  bargello,  e  £itUrfo  cUamare^ 
annandòtohe  pretlamenle  s^amiasie»  e  fà^, 
l^iaiie  'la  maMior  parte  de'  tnoi  nomini 
con  B  manii^oldot  e  che  lo  legniCasseA  Ik 
quale  ubbidientissimo  con  minor  roniot*a 
eoe  fosse  possibile  feee  il  suo  comandaci' 
mento,  e  dopo  che  furono  arrivati  sul  ^^/ 
rone,  e  appoggiato  una  scala  alla  fioestn» 
d^^  anticamera  della  Pnocipessa,  la  (palo 
aveva  fatto  tor  loro  Currado,  egli  prima ^ 
e  dipoi  il  capitano,  e  1* altra  canaglia  di 
mano  in  mano,  entrarono  dentro  ,  e  eoo 
torchi  accesi  e  lanterne  in  camera  della 
donna  se  n'andarono,  che  gli  amanti  dor« 
mirano  abbracciati  insieme  ^  e  prima  il 
disperato  Tecchio  giunse  al  letto  con  la 
toroa ,  che  da  loro  fosse  sentih> ,  il  ^uala 
tirato  la  coperta  «  minacciosamente  griddO** 
do  9  con  oi^oglìose  tocì  disse  :  Questo 
adunque  è  T  onore  che  tn,  mio  6glinolo, 
e  ta,  mia  donna,  mi  fate?  ma  rendetevi 
•orti  oke^   tosto   ne   patirete  la  p«niteosar' 


8oo  «cMflriu  «PPM. 

(Some  qua!'  mcsckioi  rimaoeiiemt  .^vS^vb. 
^.potete  peniarel;  em  furoflu»  da  il  fiilift 
paora»  maniviglia  9  doglia,  iii^  aa  tnìàti 
•opmppresi,  cD,a  meati  e  ibi|;o||iti  mMìid- 
n09  e  come  se  di  legno  fusserot  lum  <^ 
altro,  non  respiraTano.  Il  Prindpe^  a 
landò  le  fiarole^*  disse. alla  famiglia  del 
gallo:  Tosto  legate  a  questi  traditoci -ta 
mani  e  i  piedi  ;  ddk  qval  cosa  fa .  BWWft^ 
mente  ubbidito  *  e  dipoi  chiamato  u  |pa- 
itiiiere,  prima  a  Sergio,  che  stretta! 
te  chiederà  mercede,  é  divotambntn  'si 
comandava >  veggente  la  donna,  fine  oà« 
Tare  gli  occhi*  e  poi  per  viva  forsà  di  ta« 
naglie  la  lingaa,  e  dopo  gridando  sempre , 
gli  fece  moaare  le  mani  e  i  piedi*  Tanta 
▼enne  in  un  punto,  e  cosi  fatta  doglia  .a 
Tiberia,  ciò  veggendo  del  suo  caro  amen- 
te,  che  r anima  costretta  a  forza  abbaa« 
donare  i  sensi ,  si  diparli  dal  torm^entosb 
corpo  ,  e  con  gli  spiriti  aodò  vagando  at* 
torno.  Currado,  per  la  rabbia  diventato  in* 
sano  e  furioso  ,  facendo  ii  simile  far^  a 
lei,  e  vedendola  stramortita,  acciocché  più 
pena  sentisse^  la  fece  tanto  con  aceto  ror 
sato  e  con  acoua  fredda  e  malvagia  stro- 
picciare, che  ella  rinvenne.  Egli,  come  re* 
spirare  la  vide,  perchè  piacere  non  ave»* 
se  di  rammaricarsi ,  comandò  che  trattata 
fusse  come  il  figliuolo,  e  dipoi  ambedue 
gli  fece  porre  nello  sfortunato  letto ,  iti* 
sieme  dicendo  :  Dove  con  tanto  vostro  pia* 
«era  e  contento,   in  mia   vergogna  e  olr 


KOYCLLk  t;  3oi' 

tniKto  TiVeste  felicemente,  voglio  che  con 
dispiacere  e  dolore,  per  mia  vendetta  mi* 
serameote  moriate;  e  detto  questo,  fece 
uscire  tutti  gli  sbirri  e, il  bargello  di  ca- 
mera ,  e  serrato  V  uscio  e  ^licenziatili ,  al«^ 
tendeva  per  la  sala  a  passeggiare,  iudurato* 
cosi  nella  crudeltà,  che  egli  non  si  senti- 
va appena  d*  essere  uomo.  Il  bargello  e* 
la  famiglia  sua  ,  benché  ìuumani  fossero  t 
incresceva  loro  della  crudelissima  morte 
dei  due  giovani  ,  biasimando  la  troppa  se- 
vera giustizia  di  Currado.  I  poveri  sfortu- 
nati amanti,  senza  lingua,  senza  occhi  » 
senza  mani  e  piedi  trovandosi ,  egualmen- 
te per  sette  parti  del  corpo  a  ciascheduno 
uscendo  il  sangue,  erano  quasi  venuti  alla 
fine  della  vita  loro.  Nondimeno  udite  Fui- 
time  parole  di  Currado  ,  e  sentito  sgom- 
brare la  camera  e  serrar  Tuscio,  al  ta- 
ilo  sperano  trovati,  e  con  i  mozziconi  ab- 
bracciatisi ,  Tuna  bocca  ali*  altra  accostan- 
do,  e  restringendosi  il  più  che  potevano 
insieìne,  dolorosamente  la  morte  aspetta- 
vano. Deh  considerate ,  pietose  donne  ,  se 
mai  udiste ,  o  leggeste  il  più  crudele ,  il 
più  disperato  e  il  più  inumano  caso  di 
questo!  Dove  giammai,  dove  i  più  scelle- 
TbA  d^l  mondo  con  tanta  acerba  pena,  con 
tanto  amaro  duolo ,  e  con  tanto  disperato 
supplizio  si  piinirono,   quanto  costoro?  In 

3iiial  parte  dell*  universo  giammai  due  tra- 
tiorì    o    due  assassini  di  strada ,  con  più 
tormento,  con  maggiore  agonia,  e  con  più 


i 


nefo  ■MUWQ  Muootii   v  Biori^  nvtMiprwr 

*n«b.  noa  etidero  fé  tldtoy  cotièfyi  ' 
ro«ÌD&  il  eielo  al  ttrribilo^  Àapi^  * 
Mio  spettacolo?  QqoÌ  Bfaliro>  ^pal  Tmmì 
miai  Letingooa^  miai  iaria  lofieradt^'^fMl^ 
aetnonia  ai  «aria  immagioato  fluu^  itaìir  *^^ 
mandato  ad  effetto  Qda  li  erttdaie  a 
"veatota  '  morte  ?  Ahi  rfortuflati  è* 
amanti!  A  toì  «m  pmre'BeiraltiaM»  ^ 
fine  non  Ita  eoneano  polem  raanuiriiÉipM^ 
e  rfbgrado  dolerrir,  ne  confertare-aè  oonK 
flgliairsi  r  no  V  altro  »  ma  tì  fa  tolto  il 
Tederai  ^  stando  inneme,  ultimo  oonficirto 
di  chi  muore.  Ahi  infelicissimi  !  In  tot  al- 
tro che  trovar  saogoe  con  sangaa»  intensa 
o  infinita  passione  non  ebbe  luogo.  Aihho^ 
no  Venere  pietosa  T  anime  yostre  aocol|p^ 
o  nel  terzo  cielo  guidandole,  vi  dia  grasis 
di  sempre  stare  insieme  »  come  merila  -  il 
vostro  ferventissiàno  amore.  Yenutone  gik 
Talba  e  nel  palagio  tutta  la  famiglia  leva-* 
tasi  t  ed  avendo  inteso  1*  orribil  caso^  tulli 

Siangendo  amaramente  si  ranunarioavw 
el  lor  signore  •  e  fra  gli  altri  la  balia  di 
Sergif>,  che  fa  di  quelli  che  videro^  •  da 
Carraio  cacciati  fuori  di  camerat  n*  em» 
ita  nella  piazza  gridando  e  stridendn  sk 
dolorosamenta  »  che  molti  udendola  dndbi- 
taroho  che  al  Principe  non  fosse  qnalcba- 
male  intervenuto.  Ma  di  mano  in  manor 
nella  città  spargendosi,  tanto  a  ogni  uomA 


iocrecQefti.  che  ik>q  v'era  clii  ìe^ft  potie»-^ 
•c.Je«iacdaii3,  mplto  ripreadeado .  •  aggrifr. 
ifUodo  Ci^rrado^  e  una  gran  parie  dei  nug-^^ 
§uiri  #.  e  dei  più  nobUi  ckt^duii  a'  aud«i^, 
rmoQ  al  p^gio,  pejr  vedere  con.g|li  pcct^i 
1!  teerbiM^ma  >  crudeltà;   e.  salite  le    scaìa^ 
per  .entrare  in  c^merat  £uroQp,  dal  Vtinù/k^^ 
p^^iRtenati,  ma  tanto  crebbero  ip  oumerp^ 
qhefifecero  forse  all' usciu»  e  ebM*at]  de^lro^ 
iMTanKio  i  due  aaianti  tatti  sao'gaey.e  ù^ 
4mia  gjÀ   pattata  t  e   foehiasimV  «tita  ro-^ 
fta^ra  al  giu^fane;  o«de  spaventai  #  f  abi* 
gpttiti  per  rinaudita  e  ìecopipprtibile  ìnur^ 
maojti ,  tulli  a  un  tratta  gridando  ,  ditté^ 
ra  Corrado    estere    degnissimo  di  morte  ; 
e.  fuori  uscendo  9  in  meno  d*uu*ora  eoa 
etto  loro  concorse    tutta  la  terra  »  e  tanto 
ne  increbbe  a  ciascuno  »  che  il  popolo  si 
levò  a  remore,  e  gridando  ammazza ,  am- 
massa  il   tiranno  crudelissimo  »  n*  andaro- 
no al  palazzo  forse   duemila  t  e  Currado  ^ 
che  te  lo.  indovinava»  tardi  del  suo  furore 
pentito ,    presono  »   che   s*  era   nascoso    in 
aaa  buca  da  grano  »  dicendo  cbe  più  non 
meritava ,  e  più    non   era  degno  di  stato  » 
né  di  reggere,  e  quasi  mossi   dalla  divina 
g;iiiiliziat  grafiianaogli  il  viso»  e  pelando- 
gli la  barba,  lo  conaussero  in  piazza»  e  a 
nn  palo  l^tolo»  a  furia  di  popolo  prese- 
ro daeUe  pietre,  lo  lapidarono,  e  tante  saz- 
iate ^  ^li   diedero ,  che  in  breve   non  solo 
Taccisero,    ma  lo  conciarono  e  consuma* 
rooo  di  sorte  9  che  non  saria  mai  stato  ri* 


3of  oiÈéKPK  eniA. 

cooMeiiilo  per  nomo»  non 
abini  e  doime»  ciofwii  e  fwehi  di-tii||w|.^ 
tÉnto»  che  tatto  lo  riooperaoro  obli  i  tHÉ^ 
dimodoché  pare?»  manilOt  tum^wmmMÈÈ' 
in  un  monte  di  pietre ,  e  nel  f^itffm 
datitene^  i  doe  amenti  ifenlmntìy  i  ^^ 
r  osence  loro^  seppellirono^  e  Teltro  _ 
i  primi  e  i  più  Teochi  eUtedini  nel  pitate 
ngonetisit  non  aendo  ohi  aaoeedew'^Sb 
aporia ,  per  non  aver  Curn^P  lealiÉM  * 
érade^  saTÌamente  ordinarono»  nmé&mìStfd^ 
Mpubblioa;  e  ooei  stette ,  tanto  nho-^liiM 
mente  dai  Romani  fu  distrutta.  '••^'  's 


/ 


;      il 

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■  1 
I 


NOVELLA  VL 

Scheggia  ed  il  Pilucca  •  con  due  lora 
compagni  fanno  una  beffa  a  Giéospar* 
ri.  del  Calandra ,  onde  tgli  fu  per  spi^ 
,  Titarcy^  poi  con  bellissimo  modo  gli  ca^ 
umao  un  rubino  di  mano  ,  il  quale  da 
lui  ricompenuo^  si  sguazzano  i  denari. 


s 


le  le  donne  e  i  giovani  avevano  per 
cagione  ddle  raccontate  novelle  riso  mai  t 
quesl*  ullimìi  di  Siringa  ffli  aveva  fatti  tan- 
to piangere  e  lacrimare ,  che  di  piangere 
e  lacrimare  non  si  potevano  tenere ,  tan- 
to dei  due  sfortunati  amanti  inoresceva 
loro  fuor  di  modo  ;  della  inusitata  e  cru- 
delissima morte  dolendosi  e  maravijglian- 
dosi'^  trovata  da  quello  scellerato  vecchio» 
"Pare  gli  racconsolava  in  parte  il  fine  che 
da*  soot  gli  fu  meritamente  fatto,  fare  ; 
ifuando  Fileno  ,  rasciutti  gli  occhi ,  cosi 
pietosamente  disse:  Se  io  considero  bene 
alla  passata  novella  e  al  bisogno  nostro  » 
a  me  conviene  «  discrete  donne,  lasciare 
indietro  una  favola,  che  io  aveva  per  le 
vini,  e  un'altra  dirne,  che  via  maggior* 
jnenle  rallegri  e  porga  diietto,  e  gioja  alla 
Irrigata  piena  tutta  di  doglia  e  di  compas- 
ftone,  nella  quale  il  Pilucca  e  lo  Scheggia, 
e  gli  altri  compagni  intervengono;  e  se* 
Cnitò. 

Lasca.  aa 


hùB  «econdìl  xxnà. 

la  Firenze  fa  già  uà  booa  uomo  cbk- 
malo  Guasparri  del  Calandra,  che  Xioefa 
il  battiloro,  assai  boon  maestro  di  oueirir 
te,  ma  persona  per  altro  bonaria  e  ai  gras- 
so ingegno.  Colui  per  via  della  mogjKa  et* 
aendo  diventato  ricco  ,  perciocché  ella  era 
rimasta  erede  del  suo  fratello,  che  le  ave* 
Ta  lasciato  due  buoni  poderi  in  ajui  di 
Prato ,  e  due  case'  in  Firenze  -,  abiiaodo- 
nata  la  bottega,  attendeva  a  darsi  piacere 
e  buon  tempo ,  non  avendo  se  non  ùa.  fi- 

J;liuolo  maschio  di  cinque  in  sei  aniil-,  e 
a  donna  in  termine  di  non  doverne  far 
piò.  Per  la  qual  cosa,  preso  aveva  slrettia- 
fiima  amicizia  dello  Scheggia,  e  conseguen^ 
temente  del  Pilucca,  del  Monaco  e  di  Zo- 
roasiro ,  e  piacendogli  la  lor  conversazione, 
perciocché,  com%^  voi  sapete,  erano  uomi- 
ni spensierati  e  di  lieta  vita ,  si  trovai 
apesso  con  esso  loro  a  cena  nella  ^ansa 
del  Pilucca  ,  che  stava  a  casa  in  via  della 
Scala  ,  dove  era  un  bellissimo  orto ,  da 
mangiarvi  la  sera  d*  eslate  sotto  una  ver- 
dissima e  folta  pergola  al  (refico.  E  perchè 
questo  Guasparri  faceva  professione  d*  in- 
tendersi de'  vini,  e  di  provvederli  buoni» 
eoloro  in  questo  dandogli  la  sc\aj  e  lodaé* 
dolo  molto ,  r  avevano  eletto  sopra  ciò  di 
comune  consentimento.  Lp  qual  cosa  Gua« 
•parri  recandosi  a  grand*  onore ,  per  non 
mostrarsi  ingrato  di  tanto  benelizio,  e  di 
Sì  gran  maggioranza  ,  tutto  il  vino^  che  si 
beveva  fra  loro,  e  da  lui  |>rov\eduto,  vo* 


SET 


kftt  die  fune  di  sovvallo  ed  a  tue  spese, 
fr  ad  <)gfiora    visitava    tutte   le  taverne  di 
Kreosè  per  trovarlo  buono ,  e  per  soddì 
vfiipe  ai'  compagni  sempl«  ne  eonduoeva  di 
-^ve  o  tre  sortì.  L*  altre  vivande  poi  totte 
andavano    per   rata;  e  lo  Scheggia   era  ti 
pfnvveditorc ,  e  teneva   diligente  conto ,  a 
«tei  eompagooni   attendevano  a  succiare  t 
parevano  moscioni,  mettendo  Gmaspar» 
ri  io  cielo,  e  Zoroastro  diceva  purè,  che 
non' conobbe   mai    uomo  avere  il  miglior 
«osto,  ed  il  f^ilucca  afifermava  esser  lui  di- 
eoeio  dalla  schiatta   di   Bacco^,  tantoché  il 
'^étftìo   Onasparri    si   stimava   d*  esser  gran 
^cósaf.  E  cosi  dopo  cena  sempre  cicalando  , 
"Sivevano  i  più  nuovi  <s  strani  ragionameuii 
•di  questo  mondo,  dove  consumavano  mes- 
sa' u  notte ,   favellando  spesso    delle  sti^- 
^^Ébe»  degF  incanti,  degli  spiriti  e  dei  mor« 
ti,  delle  quali  cose  Gtiasparri  avendo  pan« 
*  n  grandissima ,    mostrava   non  curarle^  s 
ai  leceva  ardilo  e   gagliardo  ,  dicendo  fca 
l'altre,  che  in  mielr  altro  mondo  i  morti 
'■vevaM  fatica  di  vivere,  non  che  di  venire 
V  far    paura,  o   male   alcuno  a  questi  di 

3aa  ;  della  qual  cosa  sendosi  coloro  afve- 
qjrii  ne  avevano  trastnlio  e  piacere  gran- 
disrime.  Ora  andando  cosi  la  cosa,  e  tro- 
irandosi  ogni  sera  insieme  ali*  orto  del  Pi* 
lacca,  sendo  allora  dì  slate,  e  Ouaspàrri 
procacciando  il  vino  ali*  usanza,  accadde  che 
tin  suo  parente ,  trovatolo  un  giorno  ,  c^ 
invidioso  del  comodo  e  del  ben  di  co* 


/ 


# 


So8  neon  DA    ^OEIVÀ. 

loro,  'OomiDciò  a  rìpreoderlot  che  eglf  èpea^ 
deva,  anzi  gettava  via' il  sao  ,  ed  era  HOr 
eellato^.e  che  lo  Scheggia,  il  Pilacoft  e  ^ 
altri  lo  trofobettaviBDo  9   e  ridevaosepe  per, 
Jatto  FrreDxe ,   ^  che  egli  era    da  ognàa»  ' 
'  mostro  a  dito  per  goffo  e  per  corriva ,  dir 
manierachè  Guasparri,  peoMiido  cosi  .ewcr 
Ja  verità,    deliberò  di  levarsi  per- qilaldhtf 
(porno  dalla  lor  compagnia ,  v  aodoaaenjB 
iu  villa   senza  dir   nulla  a  persona  ^  dow 
egli  aveva  la  brigata ,  cioè  '  la  moglie  »  il  fi*  ' 
glio  e  una  serva.  I  compagni,  i^ion- lo- rilro- 
'vando  ,  parevano  smarriti  ^  e   ne  oercata- 
no  con  grand'  ìnstanza  ,    massimamente  lo 
Scheggia  e  Zoroastro ,    i  quali  dopo  sei  o 
otto  giorni ,  intendendo ,  come  egli  era  an- 
dato ia  villa,  si  maravigliavano,    che  egli 
non  avesse  loro  detto  nulla  ,  e  dabitavano 
tutti  di    non    ritrovarsi    iosieme  ogni  sera 
alKusanza,  facendo  buona  cera  e  giulleria. 
lolantu    a    Guasparri    venne    a  fastidio  lo 
stare  in  villa  ^  e  se  ne  ritornò  in  Firenze, 
il  quale  come  del  Pilucca  fu  veduto,  fat- 
'  logli  una  gran  festa«  subito  fu  invitato  per 
U  sera«  dicendogli  :  Oh  come  hai  fatto  be- 
ne a  tornare,  pei  ciocché    da  poi  in  qoa, 
che  ti  partisti^  io  non  ho  mai  bevuto  vino, 
-  che  mi  sia  piaciuto!  Ma  Guasparri,  rispostogli 
che  non  poteva  venire  ,  fu  dimandato  dal 
Pilucca  della  cagione,  ed  egÌi,nQn  sapen- 
do dirgliene ,    né  trovare  scusa  che  buooa 
fosse»  fu  tanto  nella  fine  contamioato,  che 
gli  disse,  morendosi  di  voglia  di  tornar  eoa 


TIOTSLLA    TI.  3o9^ 

•  'loro^  che  terrebbe  volentieri ,  mn  che 

Tolefa  più  provveder  vino  ,  e  metter- 
I- macca,  e  uarrogli  lutto  quello  che 
parente  8uo  gli  era  stato  detto.  Il  Pi- 
:»«  ciò  udito,  ridendo  di  fuori,  e  dea*, 
mlitsirao  contento,  gli  disse y.  per  non 
ere,  che  la  sera  venisse  a  ogni  modo,  e 

al  far  del  conto  non  spenderebbe ,  ae 
;  quel  tanto  che  gli  altri^  pensando  sen- 
iloun  £eiIIo  ricoudurlpa  poco  a  poi^o  alla 
fesima  usanza  ;  e  còsi  venutane  la  se« 
eli  Pilucca  trovati  i  compagfii«e  rag- 
(liatili ,  restarono  maninconosi  ;  pur 
Irando  allegrezza ,  Guasparri  ricevete 
I  cou  lieto  viso ,  e  fecergli  mille  carec- 
ì  caccabaldole ,  e  cosi  seguitarono  non 
;he  sere.  Ma  nella  fine  veggeodo  che 
isparri  non  usciva  a  fiato ,  avendolo 
i  due  insieme  ,  e  privatamente  teuta- 
lià  volte  e  per  più  vie  ,  parve  a  Zo- 
Uro  che  fusse  da  levarselo  dinanzi , 
sudo    che   non    era    cosa    conveniente , 

egli  usasse  con  esso  loro  del  pari , 
ssi  '  affermavano  tutti ,  e  deliberarono 
argli  qualche  beffa  di  sorte ,  che  da  se 
io  si  pigliasse    licenza  ,    trovando  qual* 

modo  (la  farlo  stare,  e  cavargli  4enart 
naiche  altra  cosa  delle  mani*  E  sapeu- 
la.  paura  ,  che  egli  aveva  ioestimabile 
li  spirili ,  e  particolarmente  dei  morti , 
i  fondarono  sopra ,  e  restali  d*  accordo 
utto  quello  che  far  volevano  ,  messero 
'blamente    in    opra    certi   amici    dello 


Setieg^  e  ar  Zowiélfè  y  cht'  rf  ■  i itmé 

retò  coni  ddk  beflSi.  Aw^  f  h<Mfii 
Mh  CUI  in  Borgo  Stollt  i  JbeU  o|Éi 
•èr»  cbe  eoi'  compogni  ti  ritrofto  ^  ff  <é» 
tomarseM  'gli  coayoaff  f MiiiÉ  tt  ' 

ttl,  se  non  €|^ ,;  |n;  notte  o  dointi»»'"^ 
Éipando  la  matiini  senipiv  jU^Mloiin^  •  ìì 
etia  d"^  amìcf  o  parenti.  Abilifn  par'  MrtK 
accanto  a  Ini  un  cario  Aleino.  IcmMM  di 
<lrap]^9  tmictf  granda  delio  ScbògU^ìMV 
la  cui  casa  potertf  entrare  ageroteadte  in 
quella  di  Gnaaparri  ;  sicdie  lo  Sohegm 
tanto  avere  fatto  »  e  tanto  pregatolo  9  cqa 
Metro  era  restato  di  fare  quanto  egli  -  "vo* 
leva;  In  questo  mentre  Tenutone  il  ^or^ 
Ino 9  la  cui  notte  si  domerà  lare  a  Goaapar* 
li  la  beffa  »  avendo  os^i  cosa  ordinala  0 
messa  in  assetto  ,  lo  Scheggia  e  Zoroaitra 
la  sera  si  trovarono  con  i  compagni  al  so» 
lito  9  dove  cenarono  di  santa  ragione  9 '• 
dopo  a  sommo  studio  entrato  il  Pilucca  in 
su  gli  spiriti  ^  e  cosi  Zoroastro ,  tanto  dia« 
lero  e  delle  streghe  e  dei  morti  e  delln 
tregenda  e  de*  diavoli  ;  che  a  Gruaaparri 
entro  sospetto  grandissimo  dell*  averaena 
«  ire  a  cksa  solo;  e  se  non  fusse  stato  per 
non  si  iDOftlrar  timido  e  pauroso ,  avereb- 
be  richiesto  qualchedunó  di  loro  ,  che  le 
avesse  accompagnato  «  e  restatosi  a  alber* 
go  secò 9  e  fu  tutto  tentato,  di  non** si  par« 
tire*t  di  dormir  quivi.  Ma  Veoutane  già 
r  ora  deputala  9  fece  Zoroastro  9  acciocdiè 


QiiaipKrn  s^  Q^aqdasse,  trovare  \  geroan 
m«,il  qtiàl  gioco  colai  ^ve^n  più  in  qdioy 
<Af  U  pe^te  ;  sicché  Guasparri  fa  sforzalQ 
partire»  che  era  qiesza  notte.  Ma  coioe 
gli  f bbe  ilvpir  fuori  dejla  soglia  «  $abito 
gli  f^  dietro  lo  Scheggia  piao  piaoo  «  e 
V«dfiiaQlo  andarseae  diri|to  a  Santa,  Manii 
Ifo? e|la  ,  donde  poi  volgeva  per  la  vii^  dei 
Womì  t  e  indi  poi  passava  il  poqte  a)!^ 
Oirrp)a«  te  ii^aodò  per  via  nuova  «  e  qua* 
•i  correndo  per  borgo  Ognissanti  giunse  ili 
iol  |Kmte  alta  Carraja  9  che  oqtai  ancora 
iipo  era  a  mezza  via  p  trovati  i  conipagnil 
cito  lo  attendevano  «  fece  loro  oooiinciar^ 
^  dare  ordine,  ed  egli  si  nascose  dietro  al- 
la Chiesina  di  S.  Antonio  in  su  la  sponda 
A*  Arno ,  la  quale  arrivava  a  Santa  Trini* 
la.  Era  allora  di  settembre ,  e  cosi  bujo 
per  buona  sorte ,  come  in  gola.  Di  là  de| 
piezEO  il  ponte  alla  Carrajja  io  su  le  pri« 
aie  pile  erano  veouti  i  due  compagni  per 
ordine  già  stabilito  e  fermato  di  Zoroastro 
e  dello  Scheggia  ^  come  avete  ioteso  •  i 
quali  avevan  uoa  mezza  picca  per  uno,  in 
cima  della  qual  picca  vi  era  un  poco  di 
legno  attraversato  ,  che  veniva  a  iar  cro- 
ce •  alla  quale  due  lenzuoli  lunghissipii  e 
biancbissinii  con  certa  increspatura  stava* 
QO  accomodali,  e  in  m  la  vetta  della  ero* 
ce  vi  era  una  mascheraccia  contraffatta^  la 
.piò  spaventosa  cx)sa  del  mondo  ,  la  quale 
jn  scambio  d*  occhi  aveva  due  lucerne  di 
looGO  lavorato  »  e  una  per  la   Jbpcqa  »  che 


it»  nCONDA    ÌSBfk. 

Ardevano  tattè  e  gettavano  nna.  fiamma 
verdiccia . molla  ornbile  ^  vedersi»  e.mo* 
tirava  ceni  denlac^  radi  e  lunghi  ^  con  nit 
naso  schiacciato  9  mento  agasto»  e  con  una 
capei lieraccia  n^  ed  arruffajla  ,  -cliè  avn- 
rebbe  qiesso  paura,  non  che  a  Caio  e  ài 
Bevilacqua ,  ma  a^  Rodomonte    e    ài  conta 


qua 

in  agguato  ed  alla  posta  ; .  e  questi  anima- 
lacci  m  tal  guisa  tatti  èrano  aUo^  eliia« 
mali  da  loro  cuccobeoni.  Guasparri  avendo 
il  pensiero  a  quelli  iuJiavolamenti  e  sire-* 
ghcrie,  ne  veniva  adagio  e  sospettoso ,  tao» 
teche  alla  fine  arrivò  alla  coscia  del  pon- 
te,  il  quale  tosto  che  lo  Scheggia  vide 
comparito  ,  fece  cenno  con  un  fischio  sor- 
do ,  dimanìeracbè  coloro  a  poco  a  poco 
rizzato  quel  bastooe ,  gli  entrarono  sotto , 
alzandolo  soaveikiente.  Quando  su  per  Io 
ponte  camminando,  a  Guasparri,  volgendo 
gli  occhi,  venne  veduto  quella  cosa  con- 
traffatu  e  spaventosa  alzare  pian  piano,  fa 
da  tanta  e  così  fitta  paura  sopraggiunto  , 
che  tutte  le  forze  gli  mancarono  a  un  trat- 
to ,  salvo  che  egli  gridò  fortemente  :  Cri- 
sto ajntatemi,  e  rimase  quasi  immobile;  e 
nell*uÌtimo  erano  cresciuti  quanto  mai  po« 
tevano,e  di  qu»  Tuno  e  di  là  Taltro  met- 
tevano il  ponte  in  merzo  di  sorte  ,  che  a 
Guasparri  pareva  che  uscissero  d'Arno  ,  e 
giudica  vagli  nuiggiori  dei  campanili»  e  co- 


•V  stbf^ìto  e  pauroso  ibor  d*  ogni  goiM 
umana,  81  credeva  senza  fallo  avere  inoan* 
si  agli  fìccbi  treulamila  para  di  diavoli , 
Is  parendogli  che  a  poco  a  poco  se  gli  av- 
Vicinassero ,  temendo  non  essere  da  loro 
inghiottito^  gridando. nn*altra  volta,  Crislo 
fiatatemi  ,  si  messe  a  fi^ggire  per  la  via  , 
«ine  egli  fatta  aveva  ,  ne  mai  si  volse  in* 
dietro  fino  a  tanto  ,  che  egli  non  fu  ani- 
irato  a  casa  del  Pilucca  ,  dove  picchiando 
a  più  potere  ,  fece  tanto  ,  che  coloro  sti- 
matosi quello  che  era,  gli  apersero,  aspet- 
tandolo a  gloria.  Ai  quali  giunto  ,  per  la 
^aura  e  per  la  furia  dfl  correre  noh  pole- 
na raccor  Talilo,  uè  esprimer  parola,  e  si 
lascio  ire  ansando  su  una  panca  ^  che  noa 
poteva  più.  Lo  Scheggia  ogni  cosa  avco- 
óo  veduto  ,  fug§i(o  Guasparri ,  pien  d*  al- 
legrezza corse  ai  compagni  v  e  di  fatto  gli 
mandò  a  rasa  Meino  per  fornire  il  rima- 
nente deir  opera ,  e  dare  compimento  alia 
beffa  9  ed  egli  di  buon  passo  se  ne  venne  a 
casa  il  Pilucca  ,  dove  Guasparri  riavuto  il 
fiato ,  e  rassicurato  un  poco ,  era  nella 
loggia  andatosene  a  raciK>ntare  a  coloro  le 
maraviglie  ,  e  diceva  le  più  strane  e  paz- 
«e  cose  che  si  udissero  mai.  E  coloro  fa- 
cendone brffe  ed  uocellandolo  ,  lo  faceva- 
Tio  disperare  ,  quando  lo  Scheggia  fingen- 
do d'uscite  d'una  di  quelle  camere  da  far 
suo  agio,  aor-be  egli,  ascoltando  Gusispar* 
ri,  se  ne  rideva;  dimodoché  volesse  il  cie- 
lo ^  O  uo,  lutti  affermavano  che  Guaspar- 


t 


9i4  «B(»>P9A  9r$^' 

fi.  gU  tinm  #D ,  e  eli  yolfm  &r  'o(wrfp% 
Pqre  eoi  vi,  iremvoda  u^tàTÌa,  ^a»Tfc  f(| 
•flieniuiTa  che  cosi  ei^a ,  .e  che  Tcpiinfo  » 
Ttderio  t  in  guisa  tale  che  coloro   si    ma» 
.9fro  »eco  in  vìa  «  tempre  4iecndo  p  lòjbf 
"^figU^  ayesae   le  traveggole ,   o  che  gli  fulef . 
ya.  Cur  CalandrìnLo  Grassi  Jc|^Qajtto1i»,  ia|^ 
,  loehè  al  ponte  alla  Carraja  giùnsero  9  iwir 
T0  guardato  e  nguardato  non  seppero  ittd' 
feder   niente.    A   6aa#parri  non  ffSctn^ 
Mptfliae  t  ^   purè,  voatrando  il   liwgp  p 
piioefa  come  gli   j^rano   usciti  d*  ArM>  %-  9 
che   eglino  soj^ravanaàTano  le  -sponde.  ^ 
cento  braccia  •   tutti  a   due  bianchi  come 
)a  neve  »   e  che  gli  avevano  solamente  gli 
occhi  e  tutto  il  viso  di  fuoco  t  mille  volte 
più  brutti  e  terribili  che  rorco^y    la    tre- 
genda e  la  versiera.  Ma  Zoroastro,  dettogli 
mezza  villania ,  che  ancora  non  voleva  re- 
Star  di  burlarli ,   e  con  gli  amici  non  9*  u- 
savane  quei  termini,  e  cosi  gli  altri  mostra- 
tisi  adiraticci ,   se  n*  andarono    d' accorào 
a  fornir^  la  partita  dei  germini ,   dicendosi 
Jieffe  di  colui  con  dire,  che  egli  aveva  he* 
vuto  troppo.  Guasparri  sendo  di  là  da  mes« 
^o  il  ponte ,  e  veduto  la  guardia,  che  8*era 
levata  la  luna,  che  di  borgo    San    Friano 
venendo,  se  n'andava  per    lo   Fondaccio  1^ 
lasciò  coloro  volentieri,    e  quasi  correndo 
se  ne  venne  verso  il  bargello ,  parendogli 
essere    accompagnato    e   sicuro  ;   tantocqè 
sospettar  Io  fece,  ed  aspettoUo  e  cercollo, 
e  non  gli  trovando,  arme,  lo  lasciò  ire  per 


irOHiLLà    Tf.  JfS 

i  tolti  sàói.  Goasparrì  ^  già  presto  H  casa  f 
éndmrm  f^ensando  se  gK  era  bene  il  dormir 
Mio,  e  ftt  tutto  teotàto  d*andar  di  ih  d*Ar« 
no  «  starsi  con  un  suo  parente  ;  pur  poi 
paratogli  tardi ,  se  n^*  andò  a  oa^a,  e  toila 
ìm  chiave,  aperse  Tascio  ed, entrò  dentro. 
L'osanca  di  Guasparri  per  quella  stagiòot 
^ra  di  dormire  m  uua  camera  iérreoii^ 
ebe  rispondeva  in  su  }a  loggia  ,  ia  celiale 
Meioo  con  un  compagno.,  per  commisaio* 
ne  di  Zoroastro'  e  dello  Scheggia ,  avera 
tutta  quanta  intorno  intorno  parala  a  ne« 
ro  con  certe  tele  accattate  dalla  Còaapa'» 
f^ia  deirOsto ,  che  servono  per  la  setti- 
mana santa  ,  e  per  lo  giorno  de*  niorU  • 
dipinte  di  croci,  d*ogsa  e  di  capi  di  nàor- 
li,  e  a  una  cornice,  che  là  girava  d^in tor- 
no intorno,  appiccato  avevano  piò  ^di  mil« 
le  candeline  ai  cera  bianco  tutte  quante 
accese ,  talché  rendevano  uno  splenderai 
ttiaraviglioso ,  e  nel  mezzo  dello  spazio  so* 
pra  un  tappeto  yì  era  uno  veitito  di  bian-  - 
co  a  uso  di  battuto ,  acconcio  le  mani  e  t 
f>ìedi  in  guisa,  che  pareva  un  morto ,  pie<- 
;no  ogni  cosa  intorno  di  fiori  e  di  foglie  di 
làelarancio,  da  capo  aveva  un  Croci  (isso  « 
€  due  candele  benedette  accese  da  poterlo 
segnare ,  chi  avesse  yoluto.  Cosi  divisata 
la  càmera  nella  foggia ,  che  inteso  avete , 
l'avevano  riserrata,  che  niente  si  pareva, 
Guasparri  poiché  fu  dentro  ,  secondo  la 
tua  consuetudine  se  n^  andò  al  bujo  alla 
camera  per  andarsene   a    letto ,   il    quate 


ww 


Si&  nieoiaii  cutà» 

\p>i^  il  igiorno  {li  riCittira  .ttiuì'  inrata*.  Vi 
come  /Volgendo  Ja,  campanelk  ^|^  ^F'W 
r^udot  subito  Tuido  «plendDi^.9  il  pt-^ 
rato  deirossa  e  il  loorto  diatelo  in  tern-i 
"onde  da  taota  paura,', dà  tanta  meimvidiai 
d«  tanto  dolore  fa  preso ,  perootto  .edTji^- 
¥Ìnlo ,  ctie  subita  sbalordito  cadde  in  sa  là 
soglia. dell* uscio  ioginoccliionft  obeinonpò* 
tette 
roia. 

o  dispersa 

di  camera,  e  forse  temendo  che  q«el  morr 
to  noò  gif  corresse  dietro  «  sgusci  fuori  di 
casa  prestamenlè,  e  la  delie  a  gambe,  e 
per  la  fretta  non  si  ricordò  di  serrare  la 
porta"  da  via,  e  correndo  a  più  potere*  non 
aveva  altro  nella  mente,  cbe  morf i,  spirita- 
ti,  diavoli,*  faotasime  e  streghe,  mille  anpi 
•parendogli  di  trovare  i  compagni  ;  laiche 
passando  il  ponte  alia  Carraja  non  s^aTTi* 
de  dei  cuccubeoni,  che  prima  gli  avevano 
dato  tanto  terrore  e  spavento;  cosi  la  riiafi- 
gior  paura  caccia  sempre  la  minore.  Mei- 
no  ed  i  compagni,  cbe  stavano  alla  posta, 
tosto  cbe  Guasparri  fu  fuori  clelTuscicco^ 
me  era  stato  ordinato,  spacciatamente  spe- 
gnendo tutti  i  lumicini,  e  sparecchiando 
e'  sviluppando  le  tele  dipinte  ,  il  tappeto  , 
il  Crocifisso,  le  candele  ed  ogni  altra  cosa 
rabballina  reno ,  portaron  via  e  ras^ettaro- 
no  al  luogo  loro  ;  e  racconcia  la  ramerà  , 
•come^elPera  prima,  oè  più  ne  meno  ,  e 
aerratala,  se  n*andaroap  a  casa  Meiuo.  Ma 


IfotCLLA  TI.  *  3l7 

tiercilè    Goasparri    ateva    latciato    apèrto 
1*  uscio  9  acciocché  noa  gli  fusse  stato  ra-> 
Jmo  9  UDO  di  loro ,   che    npa    pareva    suo 
fatto,  stava  a  far  la  guardia  ,    beachè  gli 
era  tu  su  un*  otta;  che  noo  si  trovava  fuo- 
ri nessuQO.  latanto    Gnasparri  era  arrira- 
io  a  casa  il  Pilucca  «  e  i>attendo  la  porta , 
noD  restava  di  gridare»  quando  coloro  che 
Taspettavano  corsero  con  gran  fretta  e  al* 
legrez7ii  per  aprirgli,  e  sentito  la  roce ,  il 
Pilucca  prima  disse  :   Che   saranno ,   Gua- 
sparri ,  delie  |ue  girandole  7  a  cui  rispose 
Guasparri,  gridando:    Ohimè!  Pilucca,  e 
Toi  fratelli,  misericordia,  ajuto;  io  ho  pie* 
no  la  casa  tutta  di  spiriti   e   di    niorti,   e 
credo  che  ei  vi  sia  dentro  tutto  il    limbo 
e  tutto  r inferno;  e  raccontò  loro  cièche 
aveva  veduto.  Zoroastro  ed  i  compagni  fin- 
gendo di  non  lo  credere ,  e    dicendo   che 
gli  voleva  uccellare  di  nuovo ,    gli  faceva* 
no  rinnegare  Ja  fede;  perciocché  egli  pur 
narrando  la  maraviglie,  àfformando  e  giu« 
rando,  gli  pregava  che  volessero  andar  se- 
eo  di  grazia  e  per  1  amor  di  Dio,  per  chia- 
rirsi prima,  e  poi  consigliarlo  ed  djutarlò 
in  cosi  fatto  bisogno  e  in  tanta   necessità, 
e  questo  dicendo,  tuttavia  tremava  di  sor- 
te, che  Zoroastro  dis$e:    Gnasparri    mio, 
.egli  Dòn  è  dubbio    alcuno,  cosi    bene    ti 
a*  avviene  11  fingere,  che  se  noi  non  fossimo 
pur  dianzi  stati  dileggiati  e  burlati  da  te, 
cbe  ora  noi  ti  credessimo;. ma  tu  puoi  fare 
e  dire  a  tua  posta,  che  noi  non  siamo  più 
per  crederti,  a  noti  ci  befferai  altrimenti. 


<ìmifirn  ^ianiùdo  ti  cmM  »  ^-  W[^|tt»if 
«h«  Mft  gh  béffiira.,  nut  ehe  dioMi*d2  «6» 
jK«r  sennò  Gke'.cgft  jiTetse ,  «.  dMpenift^  ' 
pronwiteodo  ohe  te  non  ^eni.cail.  fa  MrHk 
cftie  Tolet a  ohe  gK  duvamna  gli  *  «mAì  ;  4| 
«ma;,  a  cui  lupoodeodb  Zoroa8tro»-4ifatf 
Se  là  hai,  conié  ta  mMlri,  vo|^)a  ofctfrMa 
^engihiamo  a  crediamo,  H  cavarli  i^.éMfef/ 
«ibtf  «erte  a  ouMa  ^  ina  dammi  in  *fi|gpMl 
taodeatc  n&bino ,  che  tu  hai  iir  ^te  ^  ia  lif» 
fi(  QOsa  ita  oome  Uk  di*  «  e  che  là  -canmiA 
•oa  $iaao  i  mèrli,  i  lamidiii  ^  le   màM^ 
^glie,  te  lo  voglio  rcùdere  graziotamentet 
ma  se  grìnterviene  »  eome  del   ponte  alla 
Carraja ,  che  non  ti  sia  niente  t  come    io 
credo ,  voglio  che  s*  intenda  per  noi  gna^ 
dagoato',  e  a  te  si  rimanghino  gli   occhi* ^ 
frfie  son  troppo  cara  meruet  e  da  non  ar^ 
rischiargli  co;i  per  poco,  dubito ,    d^  alle- 
grezza pieno  i  rispose  Gnasparrì  :  Son  co^» 
tento;  e  dettegli  1  anello,  il  qnale  Tèratai* 
lutato  nelle  mani  per    conio   dell*  ereditata 
-che  se  ne  sarebbono   avuti    dalla   aiàltiii« 
a^  sera  venticinque  o  trenla  ducati  d^oré. 
£  cosi  restati   d' accordo  4    il   Piiuoca  9   lo 
Schei^a  ,    il  Monaco  e  Zoroasiro^  si  mea- 
aero  in  via 9  e  tanto  camminarono,   che 
in  Borgo  Stella  giunterò,  ed  a  prima  ginn* 
ta  lo   Scheggia   cedendo   V  ascio   aperto  » 
^isse;  Io  ho  paora  che  non  ti  sia  «tato  v^nai» 
to  la  c^.  Ohimòf  rispose  Guasparri,  non 
me  n^iivvidi,  petf*   la  frelta  e  per  la  fMin« 
«a  t*  dU  aerrare.  Cosi  temendo  d  andare  in- 


ii4tei'«  àì^sit  al  Pilucca  :  Va  là  tu  ;  ma  per^ 
cbè  Vefa  bajo»  il  Moaaoo,  -  che  a>év^  qua 
kialema  aòcesa ,. fallosi  iaDanàst,  disse:  Te^^ 
Alte  Tia.  &aas|>arri  tremaado^  e  qoasi  sbi<* 
lUDUito  s'era  meùo  dietro  a  tatti  comecò- 
fili  9  bhe  aveva  di  che  temere  ;'  ina  poiché 
pianti  furono  ali*  uscio    della    camera ,    il 
jìl0tiaco,*  per  parere^  stava  su  le  conti  neu- 
M  ;  onde  Zoroastro  fiatiòsT  innanzi  ;  giran* 
fto  la  campanella ,  aperse  ih  ttn  tratto  ,  e 
fai  camera  trovò  e   vide   starsi    nel    modo 
«satOy  sicché  di  fatto  ridendo  disse:  L*aneK 
lo  è-  guadagnato  per  noi.  Gnasparti,  guai*- 
da  qua  ;  dove  sono  i  lumicini,  i  morti,  gli 
ÉpirìiS  e  i  diavoli  che  tu  dicevi?  io  credet* 
ti  avere  a  vedere   la    bocca    delP  infermo» 
Se  inai  uomo  alcuno  per  alcuna  nuova  e 
linaravigliosa  cosa   resto  per  tempo  alcuno 
attornio  e  stupefatto,  Guasparri  fu  desso. 
£gli  non  sapeva  bene   in    qual    mondo    si 
fass6,  e  se  quelle  cose  che  egli  aveva  ve- 
^  dMe  ,  le  aveva  Teramehte    vedute  ,    o    se 
l^i  era  troppo  paruto  vedere,  b  se  c^i  pu- 
rè r aveva  sognate;  e  sbalordito,  e  quasi 
'affatto  fuori  di  se  riguardò   la  Camera  ,  6 
^reggendo  ogni  cosa  al  suo  luogo  »    non  ar 
^veva  ardire  di  favellare    e  di    rispondere 
a  coloro,   che   tuttavia    lo   proverbiavano 
con  dire:  Ben  dicevamo  noi,   che    tu    ci 
burlavi,  e  che  tu  facevi  per  farcene  uu*al- 
ira ,  e  poi  domani  vantartene ,  e  uccellar- 
la per  tutto  Firenze;  ma  in    fede  di  {)Ì0t 
ìiht  FoooeUato  rimami  tu ,  se  ^  già  non  è 


WTff 


fato -'qjietto #nello ;  a  epa  queitt  A  jbOiSsi 
p  ^Q  ait^rimbjrattU  nou  resiaYano  rtàr^i^ 
4«do  ^  ài  ^rrirlp^  UotòchÀ  egK.BiiuU«^ 
te  pr^iuloli^  cì^  fossei'o  *coQ<ead^  4^  .^^ 
cere»  nmase.  31' i^ioomprare  U  .rùÌMiio  irtw^ 
ticinque  jducàti,  affinchè  questo  &tb)  qoì| 
w  spaiigessq  per  la  ciuà;  la  ^ual  cosa  (watc 
4i^niodp  piacque  ai  compagm»  e.  percw^jf 
€011  afefa  paura  a  fornir  solo^  .Io  Sphqp 
già  rianaae  a  albergò  seco ,  il  Monaco  sè- 
ja^audò  a  casa  sua,  e  Zoroaslro  col  Pilno* 
ea*  La  aotte  il  misero  .Guasparri  dou  pò? 
tétte  mai  chiudere  occhi,  che  sempre  gli 
pareva  di  veder^  le  passate  cose  »  e  ira 
se  ripensandovi  ,  non  se  ne  poteva  dar 
pace  f  inlauto  che  facendosi  di  chiaro  ^  si 
levò  senza  aver  mai  dormito  punto,  e  co- 
n  lo  Scheggia  ,  il  quale  n*  andò  a  casa  il 
Pilucca ,  e  Guasparri  a  procacciare  i  dal 
.nari  per  riscuotere  V  anello  ,  acciocché  la 
cosa  andasse  segreta.  11  che  fatto,  e  ri- 
scosso da  Zoroastro  il  suo  rubino ,  se  n*an« 
dò  in  villa  a  stare  con  la  moglie,  per  ve- 
dere se  gli  poteva  uscire  quella  iantasia 
di  testa  «  dove  il  terzo  giorno  ammalò  di 
sorte,  che  egli  se  ne  fu  per  morire;  pur 
poi  guarito,  tutto  si  scorticò,  come  se  egli 
avesse  bevuto  veleno ,  tanto  fu  fiera  e 
possente  la  paura.  Zoroastro  ,  lo /ScheggTa 
e  i  compagni  ,  avuti  quei  venticinque  ho- 
rini ,  attesero  quanto  durarono  a  sguazza- 
re,  e  far  la  miglior  vita  del.  mondo»  ri- 
dendosi e  burlandosi  di  quel  buon  uooii* 


IfOTlLlii.    TI.  3H 

ciatto  di  Guasparrì ,  il  quale  tornato 
Y  Ugausaoti  ia  Firenze ,  per  star  eoo  T  a- 
nìtno  riposato  e  senza  sospetto  «  vendè  la 
casa  di  Borfto  Stella  j  e  compronne  un*al«- 
tra  da  S.  Pier  Alatore  »  dorè  coloro  in 
capo  di  pochi  mesi  gii  fecero  an^altra  bor- 
ia 9  della  quale  avvedutosi  per  opera  di 
qael  suo  parente  «  e  da  lui  aikimaestrafo  ^ 
per  li  SQOi  consigli  finalmente  lasciò  im 
tatto  e  per  tutto  la  pratica  loro* 


Lasca» 


21 


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3aS 
NOVELLA  VIL 

^Taddeo  Pedagogo  »  innamonUo  duna  fan^ 
ciulla  nobile  f  le  manda  una  lettera 
damare  ^  la  tfuale  ^venuta  in  mano  al 
fratello,  lo  ja^  rìspor^dendogU  in  nome 
della  Crocchia  «  venire  in  casa  di  noue^ 
da^a  con  tajuU}  di  certi  suoi  eomipagni 
gli  fa  una  beffa  di  maniera  %  che  il  /m- 
darUe^  quasi  morto  e  vituperato  affatto^ 
Sfugga  da  Firenze. 


L 


a  favola  di  Sileno ,  tutta  giocosa  t 
lieta  9  in  buona  parte  aveva  raddolcito  IV 
marìtudine  e  Taspresza  della  passata  «  % 
eonfortato  il  cuore  e  Tanimo ,  e  rasserenai» 
gli  occhi  e  il  viso  cosi  delle  donne  cene 
dei  giovani.  Per  la  qual  cosa.  Lidia ^cb 
Uopo  Sileno  sedeva  »  cosi,  d'onesto  rossoift 
avendo  alquanto  tinto  te  guancie  »  con  bei- 
la e  l^giadra  maniera  a  £eivellare  incomiA- 
€iò:  Dilettose  donne,  ed  onoratissimi  gb- 
¥ani  t  la  beffa ,  che  fu  fatta  a  Guasparri 
del  Calandra ,  mi  ha  fatto  tornare  alla  oe* 
moria  una  novella»  anzi  forse  una  stora» 
che  io  già  sentii  raccontare  al  mio  a/oio 
innanzi  che  di  questa  vita  si  partisse ,  che 
lien  sapete  quanto  meglio  che  altro  uomo 
egli  la  raccontasse,  nella  quale  udA  beffa 
aimilmente  fatta  a  un  pedagogo  9I  coutil* 
ae  t  che  t  se  io  non  m*ioganno ,  credo  ehe 


3%4  SSCOIIDÀ   CftlfA. 

T^abbia  da  dar  materia  di  ratlegrarti  a  ék 
ridere  quanto  la  panata  e  più ,  e  acuito 
dicendo. 

In  casa  Tommaso  Alberighi  »  uoriM 
tra  gli  altri  cittadini  Fiorentini  ne*  tampi 
aoo^  d*ottima  fama  e  caloroso  »  stette  già 
no  pedagogo  ^  che  si  menara  dreto  »  jsd 
insegnaTa  (i  due  sne  figlinolelte,  il  coi  ikh 
me  fa  Taddeo  »  d*an  castelluESO  dei  Valdar- 
BQ  nostro  di  sopra ,  il  quale  non  '  ostante 
l'esser  Tillano  ;  dappoco  »  poTcro ,  mna 
7Ìrtù  e  brutto,  sìnnàmorò  d*ana  nobile  e' 
bellissima  fanciulla  vicina  alla  casa  del  suo 
padrone  y  per  nome  chiamata  Fiammetta. 
S  passando  egli  per  questa  cagione  assai 
lOTente  dall*  uscio  di  lei ,  cominciò  a  Tn- 
^heegiarla  fieramente,  come  se  fosse  stato 
gualche  bel  cero ,  o  fig;liuolo  d*alcun  ricco 
i  gran  cittadino,  di  cne  la  faQCÌulla  ooe- 
itissima  non  s*accorgendo ,  non  tenera  co* 
ra.  Onde  il  pedagogo  si  disperava,  non  gK 
|arendo  io  questo  suo  amore  avere  altra, 
nalagevolezza  ,  che  di  farlo  sapere  alia  soa 
iinamorata ,  stimandosi  tanto  grazioso  e 
l^giadre ,  che  tostocbè  la  fauciulla  sapessi, 
se  essere  amata  ^  da  lui ,  fosse  sforzata  seo- 
aa  fallo  ninno  a  compiacergli.  Onde  deli- 
beri fare  una  lettera  amatoria  ,  e  man-* 
dar^iela  ;  e  cosi  avendola  scritta ,  appostò 
ooa  domenica  mattina  per  tempo ,  cne  la 
serva  tornasse  dalla  Messa  ,  e  chiamatala 
da  partt  ^  con  lusinghe  e  con  promesse  la 
prc^ò  I  che  per  sua  parte  alla  lanciulla  pr«« 


sentasse  la  lettera.    La  fante ,  che  si  f uase 
la  cagione ,  forse  odiando  il  pedante ,  non. 
alla  Fiammetta  ,  ma   a   un  suo  fratello  la 
pose  in  mano.    Il  fratello^  che  era  ardito 
e  superbo ,  come   colui   che  era  giovane  • 
nobile  e  ricco,  poiché  ebbe  la  lettera,  ed 
ogni  cosa  ben   compreso ,  cominciò   a  be-' 
fltemmiare,  che  pareva  .arrabbiato,   e  yo* 
leva  andare  allotta  a  romper   le  braccia  al 
pedagogo;  ma  in  quello  giunse  un  suo  a^ 
micp  carissimo ,  che  Lamberto  .  aveva    no- 
me, il  qua)e  veggpndolo  con  in  collera,  Asor 
laute,  che  così  si  chiamava  il  giovane,  dis- 
se, che  è  questo?  che  vuol  dire  tanta: ira? 
A  cui  Agofante  rispose,  non    restando   di 
maledire,  e  disse:  Se  tu  sapessi  quel  ;che 
mi  ha  fatto  un  pedante   poltrone.    E    ch|i 
ti  ha  fatto^  rispose  Lamberto?  È  slato  tai^^ 
to  sfacciato  e  presuntuoso,  soggiunse  Agch* 
laute,  che  gli  è  bastato  Tauimo   di    scrivere 
una  lettera  d'amore  e  mandarla   alla    mia 
sorella,  e  quivi^  come  se  egli  fuase    sigoo^ 
re,  prima  le  comanda,  indi  la  prega   cho 
nbbia  di  lui  pietà  e  compassione,    trovali* 
do  modo  tosto  di  consolarlo*  Ecco  la    ì^l' 
ter<>  ;  leggi  se  tu   udisti    la   più    disonesta 
pedanteria.  Io  fo  voto  a  Pio,    che    prima 
che  vada  sotto  il  sole,  daigU  to*  tante  mas^ 
£ate,  che  io  me  lo  laser  ai  piedi.  Deh  no« 
disse  Lamberto,  se  io  fussi  in  te,   me    ne 
governerei  per  altra  via  ;    perciocché    cor* 
rendo  tu  a  furia  a  dargli  del    bastone  ;   t 
4K)lpi  non  si  dani\p  a  patti  ».  sicohi  agcvoW 


3t6.  SBCOIfDi.    ODUU 

neofe  poiretli  rompergli  ]ft  leiiacaam» 
tMTÌOf  e  che  avresti  tu  fatto  poi^?  perduto. 
la  roha ,  la  patria  »  e  per  chi  ?  per  ao  ». 
^ioffo,  UDO  sciauralo  pedante  fraddo^  m 
non  ?al  la  TÌta  sua  due  maoi  di.nooaoK^ 
Agolante«  aocorclìè  wlt  fufse;  piea  di  !stiii> 
sa  e  superbissimo  di  natura  v  oonoioeaii^ 
le  di  Ini  carole  serissime  »  rispose  :  Io 
oontento  di  (are  a  tuo  modo  ;  odmi 
ebe .  modo  tu  terresti  «  che  sena  ^ilcon  pv 
ricolo  questo  asino  indiscreto  a  cast^^ 
sé?  Allora  disfe  Lamberto:  La  prima  i^ 
sa,  senza  che  la  fanciulla  ne  intendesse  ti*. 
tre,  ma  bene  in  nome  di  lei,  darei  risposa 
a  questa  lettera^  e  per  la  fante  medeàmt 
la  manderei  al  pedagogo,  dandogli  qoiV- 
che  poco  di  speransa;  che  io  son  certo  ri^ 
sponderà.  Cosi  di  lettera  in  lettera  opererei , 
facendo  tu  le  viste  d'essere  andato  ai  fusri^ 
che  la  Fiammetta  gli  darebbe  la  posta ,  e 
lo  farebbe  venire  qui  in  casa ,  doTe  in  suo 
scambio  troverebbe  cosa,  di  che  tutto  il 
tempo  della  vita  sua  sa  ne  starebbe  dolen? 
te,  e  c|ue6ta  sarebbe  una  ìnttùi ,  che  se  na 
direbbe  per  tutta  Y  Italia.  Piacque  tanto 
il  parlar  di  Lamberto  ad  Agolante,  cbe 
di  fatto  rimesse  in  lui  ogni  cosa  ^  elopre* 
gò  Capamente  cLe  pensasse  di  fargli  qual- 
che giarda  rilevata ,  di  che  se  n*  avesse  a 
dir  miiraniiì;  e  chisurtata  la  serva,  le  dis« 
se  che  facesse  tutte  ciucile  cose,  che  d^ 
Lamberto  imposte  le  lusserò ,  senza  manp 
car  di  nulla.  Lamberto  ,   letto  e  riletto  la 


letten*  ìb  *  niDlto  con^ideraiola  »  P  slf  fa  lual*'^ 
tinà  1è  fece  la  rìsffosta  «  e  datala  alh  fara^ 
te;  le  commesse  che  per  patte  della Fiam*'' 
inetta  al* pedagogo  la  portasse;  il  quale  ne 
fece  grandissima  festa ^  ma  molta  maggio*^ 
re  'assai  poiché  V  ebhe  letta  »  .ùdeado'  Uf 
dolch  parole  della  sua  innamorita't  e  nòti 
tteno  essere  da  lei  amàtd^  che  egli  umasse 
lei  ;  e  icbe  quatido  tWk  potesse ,  gliene  mo^ 
atrerefa^  tal  segno,  che  egli  ne  restereb*' 
be'  certissimo  ;  ma  lo  pregava  bène  »  che 
pér'Ktinor  di  ìei  fosse  contento  di  non  pas^ 
aarte  troppo  da  casa^  àò  àtico  fermarsi  trOp^ 
pD  a  mirarla,  e  se  eHa  non  gli  fàcdM  buo^ 
ffia  cera/ e  qualche  volta  sembiante  di  non 
lo  Vedere ,  non  si  maravigliasse  •  pércioc-^ 
che  tiltto  faceva  a  buon  fine.  Le  qudico^ 
se  Lamberto  tutte  artatamente  scrisse,'  àc^' 
ciòcche  il  pedante  non  sospettasse,  se  eh' 
là  neV  passare  non  lo  guaroasse,  come  '  in^ 
tèrvènir  gli  solea.  Taddéb  non  stette  mbb 
lo,  che  un'altra  leltera'le  riscrisse ,  alla 
quale*  in  nome  della  fÌBinciu1ta  gli  furispo* 
sto,  sempre  disndogli  sperante  grandissì^ 
itla;  e  cdsl  tanto  scrivendo  e'  rispondendo 
and5  la  bisogna,  che  Taddeo  non  poten^' 
do  più  stare  alle  mosse ,  quasi  in  modo  di' 
comandarle,  la  richiese  che  trovar  doVes» 
se  modo  oggimai  dì  farlo  lieto,  Laondfc  a* 
Lamberto  oarendo  d*  ultimar  la  cosa  ,'  fili 
rispose,  e  disse  che  prima  noo- poteva,  che 
délr  ah  rà  setti  maua  ,  do^^^do  Agolante 
sQb  Aratalo   cavaloar  fii^r  df  f iirénse' ptt^ 


9%9  Ètcònti  jtikKk. 

jimorftr  parecchi  giòroi  e  BeUfinàfifei'e  tihi 
éllòira  gliene  farà  intendere;  «eclik"  più  lei- 
fere  non  accaderanno.  QaaDUi  all«greiiìi 
il  pedagogo  avene  9  noà  è  da  doaMuidiirji^ 
Eni  non  credeva  mai  tanto  vituev  <s^ 
Kner  potesse  stretta  netle  bracoia  lìm^  san 
bdlissilna  Fiammetu^e  non  poteidosi  taM 
nere,  passava  spesso  dair  uscio  ano  \  aA  ||Jt 
enna  volta  veggendolé  alla  fineslrat  e  .coA* 
sideràndo  che  ella  non  lo  guardava' t  co- 
inè coI«,  che  non  lo  conosceva,  diceva  litm 
tuo:  Oh  come  è  saggia  e'  astuta  coalai  ! 
còme  sa  ella  fingere  !  per  Dio ,  che  ella  è 
una  femmina,  che  ne  vanno  poche  per  doa- 
irina  !  oh  che  aria  angelica  !  oh  che  viso  di 
Cherubino  !  che  carni  d*  alabastro!  le  La» 
mie,  le  Driadi  e  le  Napee  non  hanad 
a  far  niente  seco  !  e  tanta  fu  la  smania  t 
che  egli  ne  menava ,  che  compose  in  sua 
lode  ballare  e  sonetti,  la  più  ribalda  co- 
aa  non  si  ville  giammai ,  ed  un  capito^ 
lo,  che  non  averenbero  mangiato  i  canì« 
e  ogni  Cosa  mandato  aveva  alla  Fiammeft^ 
\à  ,  di  che  i  gìovaui  facei^ano  le  maggio- 
ri risa  del  mondo.  Ma  Lamberto  per  fi- 
nire la  tramn  ,  e  per  dare  frutte  di  frala 
Alberico,  ragionato  ogni  ct>sa ,  che  dì  la- 
re  intendeva,  con  Agolante  ,  una  mattina 
|ìer  tempo  gK  fece  (^r  veduta  d*  andarte- 
ne in  villa ,  dovtt  egli  avea  le  sue  poases- 
aioni  a^  Santa  Croce ,  e  fu  veduto  da  lut- 
to il  vicinato  tsavalcare,  e  per  buona  aor- 
te lo  vide   anchavTaddao.    Pausata  a4mi« 


i(lie  qiuiiifai  letizia  egli  avesse  i  e  coA  .  pò» 
co  appresso  venne  la  serva»  e  per  ordUiMk 
ili  Lamberto  «  io  nome  della  Fiammetta 
gli  pvesentò  una  letterina.  11  pedagogo  iul« 
to  ridente  e  allego  ia  prese ,  •  gUgnan* 
do  si,  parti  da  ler»  e  inteso  ch^egli  eblM 
il  tutto,  fu  il  più  contento  uoinoclie  fu»» 
se  giammai.  Il  tener  della  lettera  era  qoe* 
sto;  che  la  sera  in  su  le.  quattro  Ofe,^ei« 
Modo  là  vicino  al  carnevale  t^i  venìsaa 
intomo  air  uscio  t  e  guardato  eoe  persoQUi 
non  lo  vedesse ,  facesse  cenno  con  batter 
Ire  volte  le  mani  insieme»  ed  ella  stando 
alla  posta  gli  aprirebbe ,  dove  infipo  quà<- 
ai  al  giorno  si  trastullerebbero  9  e  poscia 
andar  se  ne  potrebbe.  Venne  intanto  la 
aera  »  e  Taddeo  fece  intendere  a  casa  oo» 
me  cenare  e  dormire  gli  conveniva  la  not*^ 
te  con  un  suo  zio,  che  era  prete  in  Saa 
Pier  Gattoltnì  ,  ed  il  gaglioffo  se  n*  andò 
a  spasso  infino  a  tre  ore ,  e  dipoi  solo  alla 
taverna ,  e  cenato  eh*  egli  ebbe ,  a  eran- 
d*agio  s*  avviò  verso  la  casa  della  Fiam-t* 
metta,  e  come  egli  senti  le  quattro,  acoo- 
statosi  al  r  uscio  pian  piano ,  fece  il  cenno» 
che  ninno  passava  per  la  strada.  La  fan- 
te  che  stava  in  orecchi,  come  aveva  ordi* 
nato  Lamberto,  gli  aperse  di  fatto,  e  lo 
messe  dentro  pianamente,  e. gli  disse:  Mae* 
atro,  la  Fiammetta  è  ancora  con  la  dm^* 
dre  al  fuoco,  e  mentre  però  che  ella  ba« 
da  a  irsene  a  letto  ,  che  può  stare  oggi- 
aotfii  poco»  voi  entrerete  qua  in  ques^  9^^ 


abie«  «Ut  poMit.  Terrà  i  wlMl«vfl'>  e  jmv 
ilknM  poi  pareechie  tireé  tohercin^nÉ» 

ri»  cosa*  nlolto  al  pedagogo^  «  ^•Hnlla 
dietro.'  La  •serra  arrirata  alte- 
aperse^t  aicohè  soliilo  esiratt  AeiilM'#^ 
i^  dhia:  Tbddèei   toì  «redeley  qMibÉ^W' 
una  «bdla  e^ben  Cbroita  óambra,  e  jm^  iii^« 
netumno  in  m*  qaetto  lette  làn  naftew- 
leteveb  bianche^  toì   pelele  spoguaAfWr 
aspettane  là  dentro^  Aeoet(&  wittiauiuÉfca  " 
IWMìo  il  isdMiKlid  della  fimte,  fr»>pe>^  ' 
eendof  Per  Santa  Mariat  obe  coétei  'j^-àatf 
pratica  femmioa!    dote  posso  io  akegKo  a« 
ipetf arla^  obe  qui  entto  ?  e  dette  della  mano  ^ 
iti  sol  leito,  ed  É  colei  Toltosi  *  dissec  Im 
afriso  tao  mi  piace,  e  fattosi  tirare  le  calae^  > 
e  lasciarsi  la  lacerna ,  le  dette  Kceota ,  la  ' 
qnttle  ali  disse  ndr  ukìmo  :  Vedete ,  mae^ 
atro»  oi  mieRta  camera  non  ha  la  chiare 
se  ìion  Ja  taacialla:,  e  perciò  oiuno»  'coaiie' 
io  arrò  serrato,  ci  potrà  più  entrare;  siecfaè 
H'- primo  che  aprirà   sarà   la   Tostra  Ftavà'^' 
metta  ;  in  baca*  óra  io  ve  la  raccomando  é  * 
guardate    a    non   la   disertare ,  ella  è  pàe  ' 
gioTanina    e   tenerina  ;    e   in    questo  aire 
serra  V  uscio  »  e  tirò  via ,  tra  se  dicendo  t  " 
al  cui  Paverai.  Il  pedagogo   ridendo  aTera 
già  pensato  alla  risposta  ,   quando  si  -  vide  ' 
serralo  sol'S  e  fornitosi  di  spogliare,   più 
allegro,  che  mai  fosse  alla  sua  vita  «'se  ne 
rtcorcrj^  net    letto,    aspettando    con  gra«i^  ' 
dìssiaso  diesiderìo    k  aoa    Fiammetta ,  'StM  * 


vamdoA^  *d*  uver   la   migliore  t(  k  pia  gio-. 
cooda  rnotle  «  che  «vess^  giammai  «  e4  egli> 
mwrk  ,la   pia.  trista  e  la  più   dolorosa.  Lar 
fimle»  tottochè  Toscb  della  camera  a^iief-r 
sa  Ji  mena  acala  ebbe  aerrato  j  e  4!rotroH| 
il  pedagogo^  che  non  ae  n^èra  aqcortOy^aA 
ii*)era  andata  in   nnValtra  eanera^   dova  > 
era  Sgolante  ^  che  la  sera  al  lardi  ^  kftciap  v 
to*il  camallo   poco  /lontano  dalla   erUà  i%- 
casa  an  ano  amico^  se  n*  era. per  u9*aUv%> 
p^rta^  ternato    nascosamente   .in    Ftretue^L 
Lamberto^  e  qnattra  altri  loro  compagni^ 
che  qui  cenalo  a^vevanoi  per    far  la  befla'? 
al  pedagogo^   d^ogni  cosa  ben  provveduti < 
che  (aeera  lor  di  mestieri,  poiché. dalia, fan«  ^ 
te^  intesero    il  <  pedante   essere    entrato  nel  v 
letto-,    (acero    maravigliosa  festa,   ed  alla - 
serra  dissero  che  se  n'  andasse  a  dormire^  « 
non  ¥Ì  essendo    più   di  lei  bisogno.  I  gion  - 
vani' postisi  a  novellare  e  a  ridere,  rbada*r^ 
rono  lanto,  che  sonarono  le:  sette  .ore^  le  ; 
anali*  udite,  Lamberto  cominoiò  a.metter'^ 
st  ip  assetto    con  i  compagnia    11   pedante 
▼eggende>  penar  tanto  a  venir  la  stia  Fiam«> 
metta,-  cominciò   an^i  che  no  a  dubitare» 
non  già  di  beffa  ninna,  ma  che  alla  fan^  ^ 
eiuJIa  non  fosse  ^iateryenpto.  qualche iStra^ 
ae  accidente  ;    poi   fra-  se    diceva  :    Ella  •  è  . 
tamto-saf^ia  ed  accurata,  cbe  prima  che  a 
me  ne  venga ,  vorrà   sentire  addormentata  * 
la« madre;   questo    certo  la  fa   soprastara j 
aocìò  con  più   agio  e  con  lanìmo  soarìce 
^U  ai  possa  poi  un^  buon    peno  dinsonf 


meco;  m  rtiTa  in  orecchio  di  tal  mai|ieracf 
che  ogni  coadlina,  che  egli  maaiìiwti,^\fj& 
pareva  che  la  Fiammetta  foste,  chele^ 
Teniwe  a  oonsolare.  Lamberto,  che  g^ 
8*  era  messo  in  ordine ,  avendo  la.  chiave -, 
con  i  compagni  alla  camera,  .dove  aspel^ 
lava  il  pedani^  se  ne  tenne,  ed  erano  t^» 
cestiti  tntti  con  Testi  biaiùsbe  da  battatiiji 
e  qnattro  di  loro  aTcvano  nna  •ooregipa 
di  sovalto  in  mano  per  uno ,  .e  gli  a|trt 
due  torce  accese.  Come  Taddeo  senti  tO0« 
care  F uscio,  e  conóbbe  il  volgere  ddb 
chiave ,  tutto  si  rallegrò ,  e  rizzossi  in  sul 
letto  a  sedere  con  le  braccia  aperte,  pen« 
aando  che  come  ella  fusse  dentro ,  che 
,  ella  se  gli  gittasse  al  collo,  ed  aveva  fistto 
disegno  di  darle  a  un  tratto  la  stretta, 
prima  che  ella  si  fussc  spogliata  ,  tanto  si 
sentiva  tirare  dalla  volonià  e  dal  diesìde- 
rio.  Ma  c^me  coloro  vide  travestiti ,  fa 
da  tanto  dolore  e  da  cosi  fatto  spavento 
sopraggi uDto,  che  egli  non  seppe  in  au 
quel  subito  pigliare  schermo  ninno,  e  qua« 
ai  stupido  ed  immobile  era  venuto.  Cdioro 
entrati  dentro,  e  riserrato  T  uscio,  presero 
in  un  tratto  la  sargia  ed  il  coltrone,  e 
acagliaronlo  a  mezza  la  camera,  e  tutti  e 
qnattro  quei  delle  scoreggie  cominciarono, 
tacendo  sevrpre,  a  battere  e  frustare  il  mi* 
sero  pedagogo  con  tanta  forza,  quanta  usar 
poteva  loro  dalle  braccia.  Taddeo,  ciò  vtg» 
geodo,  e  molto  più  sentendo,  gridava  pian- 
gendo ,  e  chiedendo  perdono  e  mi^ericoi^ 


s 


kotzllà  Tir/  33j 

dia  81  raocotnaDdava  a  più  potere»  e  coloro 
attendevano  a  chioccarlo  chi  di  qna»  chi  di 
Vk ,  chi  di  sopra  e  chi  di  sotto  in  modo» 
che  il  meschinello  già  tutto  livido  »  veg- 
gendo  che  il  pregare  e  il  raceomaodarsi 
non  giovava,  si  scagliò  dal  letto,  ed  eglino 
•ampre  dietro  battendolo,  tantoché  gli  die- 
dero forse  quattromila  scoreggiate  ;  di  sor« 
té  che  egli  era  tutto  rotto  e  tutto  sangue, 
e  per  Taffanno  del  gridare  e  per  il  duolo 
delle  battiture  era  per  modo  bacco  e  ma« 
cero,  che  egli  stava  in  terra  come  morto , 
talché  io  non  credo  che  altro  uomo  fusse 
giammai  si  malconcio.  Onde  coloro  non 
là  sazj ,  ma  stanchi  in  parte ,  restarono 
i  flagellarlo;  e  senza  aver  giammai  fiatto 
parola,  legatogli  le  msini  e  i  piedi  con  due 
acoreggie,  a  fine  che  da  se  stesso  uon  s*am« 
mazzasse,  o  si  facesse  qualche  brutto  scher- 
zo, lo  lasciarono  legato  io  mezzo  la  ca« 
mera,  e  tolti  tutti  i  panni  suoi  per  infino 
lai  camicia  e  le  pianelle ,  se  ne  tornarono 
nella  prima  camera  ,  dove  gongolando  fa- 
cevano le  maggiori  e  le  più  grosse  risa, 
the  f ussero  giammai  state  sentite,  dicendo 
Ognuno  :  Io  so  che  gli  dovrà  uscire  il  ruz- 
lo  e  r  amor  della  testa.  Y*  erano  tra  co« 
stòro  il  Piloto  e  il  Tribolo,  ì  più  faceti, 
1  maggior  maestri  di  far  burle  e  natte , 
che  si  trovassero  allora  in  Firenze,  i  qua- 
li di  stucco ,  di  stoppa ,  di  cenci  avevan 
composto  un  uomo,  che  alla  ^statura  e  al 
viso  massimamente  somigliava  tutto  il  pe^ 


sai  «B«6ii)bi  éMà. 

déotit  «vèndoi  di  h  unto  lattò  HAm 
|«  «p(to^,   il    quale    Tallito  poi 
fftéDté  di*  iafU  i  pandi  éum,'  toltft  iitiliuil|( 
ttiFera  toi.  l  povaoi^  m^ateé-eba  aipallil 
Vaùò  il  tempo  pèt  'dar  finimeoto  idi»  hÀ 
&\  8t  taesaero'  à   bfre  ed  a  eìanelafP^  H 
|ìadi%ogo«  poithe  solo  fa  tertato  oM-^tlr 
cero  e  percòsao  ,  matedNa  diVOUifttW^il 
^o  '  amore ,  -  la   Fìanémetla  ad   il   ^MMT 
ttMi  liatfciaé,  sensa  aperansa  d**fer  «Mi'é 
«lioifa  diale' "teani  a  coloro»  ae  mm  tMfiitl 
cKeben  per  fermo  tenenk  cbe  il  JrilaBi 
di  lei ,  aapoio  avendolo  »    ordinato  a? eiaé 
ogni  cosa;  e  dororoso  noìi  potendo  jqjuindi 
motersi»   fad^a  il  pia  dirotto  -  cordMUo  # 
ehe   s*  udisse  giammai,  aspettando  Qrinn 
in  ora  la  morte.  Ma  poiché  le  dodioi  ora 
aonate  f urooot  e  che  un  servitore  di  Lana* 
herto  portÀ  loro  le  novelle,  come  b  gnalr^ 
dia  B*  era   riposta  «    cosi   come   essi  bratto 
Testiti  da  battuti  «   con  quel  pedante  eon^ 
traffatto  »  se  n*  andarono  in  camera  t  doftf 
avevano    lasciato   Taddeo,    il    quale   fatte 
lizzare ,  scioltogli  prima  avendo  le  mani  e 
i  piedi  t  cosi  concio  e  Sanguinoso,  legatogli 
tina  benda  agli  occhi;  menaronlo  ftiori  di 
casi.  Il  poverèllo  per  la  paura  notf  ardivi 
di  favellare  9  avendo    venuto  loro  accanta 
i  pugnali  t  temendo  iicndimeno»  cbe  colo* 
ro  la  guidassero  ad    Arno.   I  quali  giunti 
che  furo.io    in    mei^eato  vecchio,  quel  pet 
dagogo  contraffatto   messero  in  gogna  alia 


vojtihtiyn.  ^ 

eo|qQiia  «  tà  accoociaronlo  in  guiia ,  cfi§ 
di  Idntaoo  un  ppcbeltp  sembraYa.  proprio^ 
^jro«  «d  ^na  scritta  gii  ^ttaccarboo  al  col« 
t^  xhe  diceva  a  lettere  d^appigioni^  :  Pcsr 
aiùer  Deilflato  la  sodomia;  e  allatto  scioUerci' 
gli  ocelli  a  Taddeo*  acceonandolo.  ch{^ 
gOAtàusse  se  si  .  riconoscesse  i  il  che  rìnu- 
fando 'il  pedagogo  «  ebbe  taato  dispMicerf 
a- dolore  t  che  egli  fu  per  ^darei  por  si 
fittone  »  temendo  di  peggio  »  e  gli  parv<Q 
^laraTigliosa  cosa  di  cedere  uno  m  viao  ^ 
«he,,  tanto  somigliasse  il  suot  ma  il  pappel-^ 
Id,  il  sajone«  il  mbbanot  le  calze  e  Tèi 
oianeUe  conobbe  egli  essere  le  sue  proprie^ 
Pensate  dunqqe  toì«  cbe  cuore  lussa  ^ 
suo,  stimando,  tosto  che  si  faceva  giorno^ 
d'esser  riconosciuto  dalia  gente,  e  cbe  Iq 
abbia  a  intendere  e  vedere  il  padrone.  Ì^K 
coloro  tosto  rilegatogli  la  benda  al  viso  a 
pei^ioccbè  r  alba  cominciava  a  biancheg-* 
^are  t  lo  .menarono  vìa ,  e  Io  condussero 
Bel. chiasso,  di  messer  Bivigliano  »  in  easil 
VB .  di  loro,  e  legatogli  di  nuovo  le  mani  9 
i  piedi ,  Io  messero  in  una  stalla ,  ed  essi 
ae  n'  andarono  a  riposar^.  Venne  intanto 
if  giorno  chiaro,  onde  dalle  persone,  cba 
jpnma  andavano  alle  botteghe,  fii  veduto 
U  pedagogo,  sicché  si  faceva  ognuno  ri- 
aefido  maraviglia  grande;  ma  non  sapeudQ 
come  ^  uè  perchè ,  nò  da  chi ,  quivi  fussci 
stato  messo ,  non  s*  ardiva  persona  a^  tocr 
cado,  restando  motti  d'appresso  ingaq« 
nati ,    che    di    disooata    T  avevano  stmitfiQ 


I 


33$  seedrtDA  eeni. 

•rito.  Mrf' non  vi  stelle  guari,  che  vi  ca{^- 
taroDO  alcuni ,  che  lo  raffigurarono ,  e  ri- 
oooohbero  i  pnoni,  onde  si  sparse  la  voce 
per  Fireoze,  lan4o  che  io  menò  di  dajs 
ore  si  raganarouo  più  Ji  due  mila  perso- 
ne «  e  DOLt  rimase  uè  scolare,  né  maestro, 
uè  sludeate  ,  uè  dottore,  cbe  veder  uoq 
lo  volesse,  parctida  a  ciascuDo  il  più  nuo- 
■*o  e  il  più  straao  caso,  cbe  mai  slata  sèa- 
lìto  si  fusse,  e  tutti  coloro  cbe  avevano  la 
$aa  conoscenza  ,  vedute  le  spoglie  dì  Tad- 
dieo  addosso  a  quel  coatraffatlo .  faccvanb 
del  pedante  cattiva  giusliG^aoza.  Veancvi 
tra  gli  sllrt  TommaBO  suo  padrone,  e  gn«- 
>e  ÌQcrebbe  fuor  di  modo,  né  per  tanto 
^li  ,  o  altri  suoi  amici,  o  parenti  ardiro- 
Bo  farlo  levare,  nou  si  polendo  ìCamagi- 
Bare  da  chi  quivi,  uè  a  cbe  fine  fui$e 
stalo  posto,  ma  dVotorno  gli  diceva  Of^nuuo 
la  sua,  e  tra  gli  altri  il  Piloto  e  il  Tribo> 
Jo,  Lamberto  ed  Agolante,  che  rivestiti 
•*  erano,  e  1^  yeaùti  dicevano,  mescolati 
tra  la  sente,  le  più  belle  cose ,  e' li  pHL 
nuove  tavole  del  mondo  ;  talohè' 1oìt)"M- 
presso  facevano  ridere  ognaoo,  bailandn» 
.je.DioUeg^aa,do  sopra  gli  altri  peiiagòt(tiì> 
Sfa  cosi  stando^  f(i  la  cosa  .rapportata  *^i 
Òjto  ;  onde  tòsto  ragUnato  il  ma^trato , 
ieoero  andare  uq  bando  severisiimo  eòa-. 
Irò  a  chi  avesse  [tòsto   il    pedagoso  in  go- 

£ua  ,  e  subito    dai    famìgli   toro  Io  fecero 
:vare  e  porlArlo  via;  il  che   Lambei^to'èd 
i  WBp«))ai  udito   •  vatliito  ,  se  ni  t<^A|tt« 


rono  4I  ehiasso  di  messer  Birigliano,  e 
nella  stalla  trovarono  il  i^edante  ,  che  tol- 
landosì  intorno,  a* era  tatto  qnanto  per 
lo  freddo  ricoperto  nel  letame,  ed  esaen- 
doii  rimesse  le  vesti  da  battuti ,  lo  feceite 
qoiadi  uscire,  avendogli  prima  tutti  di 
concordia  pisciato  in  sul  ?iso ,  e  per  tut- 
to il  dosso,  ed  il  Piloto  avendo  una  tor* 
da  accesa  in  mano  gli  ficcò  fuoco  nella 
liarba  e  nei  capelli,  che  quasi  tutto -gif 
arse  il  mostaccio  e  il  capo  di  maniera,  cha 
le  vesciche  gli  alzarono  nelle  gote,  per  la 
testa  e  nel  collo  si  fattamente,  che  lo  tra- 
sfigurarono  in  guisa,  che  non  lo  averebbe 
cpnosciutp  sua  madre ,  che  lo  fece,  e  pst-* 
reva  la  più  strana  bestia,  che  fusse  mài 
alala  veduta;  e  buon  per  luì,  che  ebbe 
§li  occhi  fasciati ,  eh*  egli  acciecava  senia 
dubbio  alcuno.  Ultimamente  ali* uscio  con- 
dottolo ,  e  dal  viso  levatogli  la  benda ,  gli 
.  diede  il  Tasso  una  spinta,  e  mandollo  fuo- 
ri a  mezza  la  strada  tutto  livido,  sangui- 
noso e  arsiccio ,  e  in  un  tempo  serro  la 
porta.  Che  direste  voi,  che  allora  era  ap- 
punto cominciato  a  piovere  A  rovinosa- 
mente, che  pareva  cne  nel  cielo  fosse  il 
.mare.  Per  la  qual  cosa  trovandosi  Taddeo, 
e  veggendosi  fuori ,  non  conobbe  in  quel- 
lo stante  in  quale  via  si  fusse;  pure  de- 
liberò di  non  fermarsi ,  avvegnaché  l'a- 
.cqua  ne  venisse  giufto  a  barili,  e  f»  intan^ 
io  Uà  fortuna  si  piacevole  «ila  beffa,  che 
rispetto  al  mal  tempo,  ninno  lo  vide  uieire 
Lasca.  aa 


188  «oMfjM»»^. 

^  lii  fi««»..pré«B  J»L»tnMlar  ed  Mwiido  mi» 
.é»,\D9aM  Dio,  lo  fece,  {Mir***  per  «L.|git 
iMllitar»  dipioto  è  ««mto  %  M>NO.#.pa» 


■* 
'.•" 


jMMAUOt  f  iMMne  egli  gioiiae  io 
cksDOoUe,  M>slo  dote  eglLer%.a 
idOB  M^endo  in  qttol  purte  rìfu^      _  _ 
«aMD^e  né  aGC|oa    nò  iiltro»  >  jMtjly 
^  •prrere  jmt.ìù  uetM  deUa  pianai  Le,§É«» 


Piaani  arano  fu^iu  .d|iHa  pioggia .  yi^/jg 
**JLo  cortui  t  lo'ftiinarpno  ^ùo  pabbljag, 
miaggìjprniaQia  che  Tolendo  con  preMtni 
loggire^  prima  che  Ja  piazza  ailniTersato 
airetae  •  cascò  in  terra  ^dmc^iolando  per 
la  fretta  più  di  dieci  yolte^  e  passando  dal 
canto  air  Aoteliesi  fu  Teduto  e  considerito 
da  presso  «  ma  non  fu  già  conosdato  da 
nessuno  t  e  così  correndo  tuttavia  arrifp 
in  San  Martino ,  dote  i  fattori  se  gli  a?- 
^rono   dietro  gridando   al   pazzo  «   para, 

Cra  9  piglia,  piglia ,  e  gittando  fuori  delle 
iteghe  carnati  e  cofaui,  tentavano  d*arre- 
atargli  il  corso  e  di  ritenerlo^  e  vi  so  dire 
che  gli  giovò  il  piovere  ,  perchè  i  fattori 
ed  i  fanciulli  laverebbero  morto.  Ma  poi- 
ché egli  fu  giunto  alla  strada  maestra  si 
mise  a  correre  verso  S.  Pier  Maggiore, 
aempre  dair  acqua  e  dalle  grida  accompa- 
gnato, che  eg)i  usci  fuora  della  porta  alla 
Croco,  «d  innanzi  oli«i  egli  si  restasse  o  si 
fermasse  giaenouii ,  fu  veduto  pjissare  il 
ponte  a  Steve  f   lasciando  di  risa  e  di  ma* 


NOTftLci  ini.  339 

^tliTiglw  piiBno   ovunque  e^i  pfttsaTa^  ma 

4i  iodi  in  là  non  si  seppe  giamoiai  qncho 

ehe  M  n*  avvenisse.  Agolante  e  Lanibertb  , 

'|)09cia    che    fu   spiovuto  «    se  n'andarono 

'in  Palagio,  é  a  nn  rio  dell' uno  «  ed  a  qu 
parante  deir altro,  che  per  buona  ventnì*a 

'•  Merano  degli  Otto,  fattbi  da  capo,  ogni  dosa 

'  particolarmente  del  pedagogcr  raocontaròho 
yt  per  fede   della   verità   mostrarono   lo>o 

'  Quattro  lettere  di  sua  mano  ;  onde  coloro» 
partatene  eoo  i  cuoàpagni  dentro  V  uffiudo, 
dtopo  avergli  sgridati  e  ripresi ,  gli  licén* 
nifrono  dal  Magistrato ,  ed  essi  lietissitiii , 
per  Firenze  la  befia  raccontando  intiei*a« 
piente,  facevano   ridere  ognuno  che  gli 

' 'asceta va. 


\ 


■'v*mf 


34r 
UfOYELLA  Tin. 


Un  PmU  di  Contado  /  innamora  et  una 
fanciulla  nobile  sua  popolana^  la  quA^ 
te  da  lui  solUdùaùa^  non  incendo  far  la 
voglia  sua^  lo  dice  ai /hateUi^  i  fuali  gU 

*  fiumo  una  heffa^  nella  quale  fra  gU  al* 
tri  darmi  gli  rubano  i  danari  e  aliro^  di 

'  poi  lo  lasciano  legato  per  gli  granelli  m 

*  un   cipresso.  Egli    astutamenie   drogai 
'  cosa  si  libera^  e  dalla  genie   è  tenuta 

*  nsiglioro  che  prima. 


Si 


lihano ,  che  atteotamente  la  noTcIIa 
di  Lklia  ascoltato  af  èva ,  della  quale  som* 
mo  piacere  e  diletto  avea  preso  la  briga* 
fta  9  e  risone  molte  volte  e  molte ,  sealeC'^ 
dola  esser  fornita  ,  cominciò  quasi  ridec- 
do  9  e  disse:  Cbe  direte  voi  »  delicate  do> 
ne,  e  voi  altri ,  che  la  favola  che    io    io 

rnsato  di  raccontarvi ,  somiglia  tanto  al« 
passata,  che  io  sono  stato  per  lasciarla 
indietro,  e  narrarvene  un* altra?  e  U  fa- 
rei certamente,  se  non  che  il  fine  òdiife- 
reotissimo,  e  perciò  di  raccontarla  ^otea-" 
do  a  ogni  mono,  e  udirete,  come  aq  buon 
prete  seppe  con  astuzia  e  sagaoitil  una  ma- 
nifesta Tergogna  e  gravoso  danna  noa  pii> 
re  schifare ,  ma  rivolgerlosi  ia  onore  a 
«ntililà;  e  seguitò. 


iVW 


Ì0i  lÉoaimA  »nrù      ..     . 

Doreto  adiinqae  iapere»  lAféio  Firtittir 
fbroDo  dae  fraisi  da  céìiì(  ìi&bile  ed  mn^- 
tàxM  9  il  nome  dei  qneii  i  e  coA  il  CMiltf 
MMOra  per  Id  mìglKme  u'taet.  GofUiro  Mii«* 
do ,  pei"  colpi  delU  bmIti^Ui  IbrtiiM»  fè« 
^li  diTtnlatit  eoa*  una  imdle  t  < 
nTfvanOiiai  rìdùisém  a  sUira.  in 
a  wi  loro  jMMolo  poderetlOy  aia  d 
i9a  città  i  che  tenia  troppa  iatiea  tigni  ea^' 
M  Vanda  vano  »  ed  ogni  mattina  àa  »ay  : 
tano  ar  làforara,  stando  amendne  alF.9rlÉ' 
ddla  lana  a  uno  eserciaio  che  si  cUJa^MK 
Ta  riTedere  »  e  quindi  traendo  molto  bnoii'* 
gnadagnot  reggevano  la  casa  e  la  vita  I9- 
ro  assai  comodamente.  Era  la  casa  loro  in  ' 
villa  presso  a  una  chiesa  «  nella  quale  nfi*' 
Biava  allora  un  certo  prete  che  era  ataftf 
^rima  pedagogo  »  poi  birro  »  e  dopo  frati^ 
il  più  tristo  e  maggiore  ipocrilOt  che  foa^ 
8^  aiammaif  il  quale  reggendo  spesso  qudi 
la  fanciulla  «  che  era  bella  e  fresca  9  afiiH 
nìmorò  di  lei ,  e  come  dell*  altre  avjpeii 
hfXo  sempre ,  si  pensò  godere  fermaas^i 
te  ii  questo  suo  amore.  E  cosi  sapendo  Isi^ 
stàt^  suo  e  dei  fratelli ,  con  dare  nonf  iti 
che  danari,  corruppe  una  fante  occhia s 
che  avevano  in  casa ,  la  quale  per  um 
parte  kveva  fatte  di  molte  imbascialt  *alfa| 
ninciull^  la  anale  benché  fusse  bisognoaag 
non  volU  pero  mai  por  cura  a  sue  novale 
1^9  ed  alle  serva  rispondeva  che  gli  facea^ 
%e  intendere  «.  che  badasse  ad  altro  ,  por? 
bocche    mai    da   lei    noni   ara  |ief  ^  min 


NOYET.LA    ^  ITI.  3^3 

c^sa  che  egli  desiJi^rasse.  iMesser  la    prete 
ch^  sapeva»   cbe  perjo  primo  colpo  .noa.. 
cpde  raibero,  e  eoe    bÌ90goa    perse ?era,rc. 
a  flht^  vuole  aver  viitoria ,    noo  rc^va  4i^ 
aollecilarla  e  moleiUrià  >  proffer^Hido  Rp-, 
ma. e  Toma,  come  se   e^i    futs^  stato  il 
primo  prelato  di  Cristiauilà.  Per   la*  qoaL 
oosa  la  giovane  deliberò  di  dirlo  ai  fratel« 
li,  i  quali  iuteso  aveudolo,  detto  una  graa» 
diiwna  villania  alla  serva  ,  la   commenda** 
tono  assai,  e  si  disposero  fra  loro  di  dar* 
«e. al  prete  si  fatta    castigatoria,   cbe    g^li 
dovesse    uscire  per  sempre    1*  amore    e    i| 
ruuo  della  testa.  Fecero  alla  fante  ioteo-;' 
dere,  cbe  dicesse  al  prete  per  parte  della 
fanciulla,  come  ella    era    disposta    a    fare 
ogni  suo  piacere,  ma  cbe  non  poteva  pri-, 
ma  cbe  i  fratelli  andassero  alla  6era  a  Fra-. 
U>  la  sera  della  vigilia  della  Madonna,  che, 
veniva  a  essere  circa  qn^tbro  giorni^  e  al? 
lora  Tattenderebbe  dalle  dae  ore  di  notte 
ia  là.  Quanto  il  prete    avesse   caro   V  iipr 
baaciata ,  non  si  potrebbe  raccontar  giam- 
mai. Intanto  i  due  fratelli  andavano  ordì- 
Bando  tutto  quello,  cbe  di    fare   intende- 
▼eno.per  fare  al  prete  T offerta^    e  come 
Id  venuto  il  giorno  della  vigilia  della  Ma* 
donna,  fecero  reduta  la  mattina  per  tem* 
jpo  alla .  vicinanza  d*andare  alla  fiera,  e  poi 
la  aera  al  lardi  mandatane  la  sorella  a  ca- 
ia una  vedova  loro  parente ,    che  era  ve-* 
naia  per  starsi  tatto  il  settembre  in  villa^ 
ej^o  segretamente  ,  come  V  arie  fu .  &tta. 


344  rtcoKBi  <nEWA.  ^^ 

buj* ,  se  n'entrarono  in  casa,  meiuito  aoB 
esso  loro  un  compagno  e  graDdissimù  »• 
tnioo.  Il  prete  aveta  alte&u  il  giorao  m 
snaztare ,  a  parare  uo  pochelto  la  Cbiesu* 
dipoi  maadnto  il  rbierìco  a  Fireni»  a  cnta 
UD  prete  suo  famigliare,  acciocché  la  mal- 
tina  poi  all'  aprire  della  porU  ne  venisse 
seco  per  avere  in  GOtal  di,  e  ptf  colai  fe- 
stività una  Messa  pia  ,  e  io  parte  per  n- 
manere  la  notte  solo,  e  con  maggior  cun- 
solatione  e  agio  seguire  il  suo  piiicere ,  si- 
curo <-he  il  rherico  non  potesse  sturbarlo 
o  avvedersene  di  niente.  Ora  quando  tem- 
po gli  parve,  «Tendo  prima  molto b^vo»- 
nato ,  traTCstìtoti»  parti  di  casa  per  fnìi» 
delPorto,  e  per  una  vigna  criatoai.  fMr'M^ 
ne  n*  un  fossarello,  •  per  ^aindi  ••  miBi 
dò  alla  casa  della  fiinaaUa,  dove»  «me» 
4o  l'ordine,  piccbiato  jHanamente: I^MÌIIj; 
Tilde  cosi  al  barlume  iarse  1  mìo«r^:<i|||ikÌi 
tello  alla  Boestra»  il  quale  ikmi  aT<  "'" 
cor  barba ,  s*  era  measo  un  faxsc 
collo  con  una  roba  in  capo  di  qw 
la  Mrocchia  ,  cotalchi  proprio  parMit  .;1 
e  ghignando  un  pochetto,  sì  lerÀ  b 
me  se  egli  andasse  per  aprirgli,  e 
ne  all'  uscio  così  al  bujo  n'  aperse  la  : 
tà.  Il  afre  non  trmendo  cosa  del  moi 
peniiaDdpsi  i  fratelli  essere  a  Prato, 
to  entrò  dentro  ,  e  colui  prestamente  ••»•' 
rò.  1*  uscio  ;  e  percbi  in  terreno  non  Mw 
lame,  credendolo  il  prete  Terameote  la  fan* 
iHnUa»  di  latto  gli  Tulae   gicure    le  Ì»a«-> 


oa;  aV  collo  per  abbmeciarla  t  baciarla , 
ma  il  gioTBoe  gli  dette  nna  spinla  '6^  pt»^ 
cedole ,  che  il  aomtue  se  n*  àuàò  per  iet^ 
ra  disteso  quanto  gli    era    lungo.    Per  la*- 

2iia)  cosa  gridando,  ohimè  !  vmi  mia,  che* 
li  tu?  che  mol  dir  quesiMl  fenlì  aprir 
F-nscio  della  camera  teresa,  a  Ttdeoe  u« 
•oire  Taltro  fratello  0  il  compagno  con' uà' 
eaodelliere  in  mano  pei^  uIk)^  all'arrivo  da 
^ali,  se  egli  fu  dolente  e  màraTigliofso  t' 
non  è  da  dimandare,  e  magcìormente  reg- 
gendo che  la  fanciulla  era  diventato  ma- 
stio, e  conobbe  subitamente .  quegli  essere 
i  fratelli*,  onde  si  tenne  morto;  al  quale 
il  maggiore  alili  prima  giunta  disse  la  più 
grande  e  la  più  rilevata  villania,  che  si  di* 
cesse  mai  a  ninno  reo  uomo,  svergognan- 
dolo e  vituperandolo  a  più  potere.  Il  mi- 
sero prete  non  faceva  altro  ,  che  doman* 
dare  perdono  e  mercede,  raccomandando'^ 
•i  a  fare  tutta  quella  penitenza,  che  piaceva 
l&ro;  mn  il  fratello  minore  levatosi  in  col- 
lei»,  avendo  una  spada  ignuda  io  mano  , 
eoil  altamente  e  con  viso  turbatissimo  gli 
disse  :  Io  non  so  chi  mi  tiene  ,  che  io  non 
vi  passi  fuor  fuori.  Ecco  bdla  costumau- 
sa  d'ottimo  religioso!  Questi  sono  gli  am- 
ikiaastramenti  ed  i  ricordi  buoni,  che  da- 
te ali*  anime ,  che  sono  alla  vostra  custo^ 
dia?  A  questo  modo  ,  in  questa  foggia  si 
vengono  a  visitare  le  sue  popolane?  Vba 
vi.:V40rgc»gO8fev  pretaccio  vituperoso,  veni- 
re  in  -casa'  gli  uomini  da  bene  a  svergogna* 


re.  le  lopa  bmiglie»  e  iogaimare  le  MBiplì, 
ci  fuDciulie?  Btfa  ?i  credesle    «¥er    qnetl^ 
DOile  &TOreYole  e  propisui  alle  Toslrc  di^ 
•anemie  voglie  e  libidioosi  peiuieii  t  bm  U 
cambio  di  fare  iioue,  ?i    iroTerète   a.  aa 
mortorio;  e  detto  ijaeslo  grimpoae,  fenqp 
Toleva  che  gli  cacciasse   quella    spada  a^ 
fianchi*  che  si  apogliasse.  Laonde  il  orda 
•riUo  e  doloroiio    tiemando,    comiociò  % 
cavarti  la  gabbanella ,   e    dipoi    le  cahe^ 
a  di  mano  in  mano  fino    la    camicia  ;  A 
lora  il  maggior  fratello  presolo  di  peso  la 
rovesciò  sopra  una  tavola  y  e     a    guisa  di 
quelli  che  s'banno  a  castrare    o    a    cafir* 
si  la  pietra  lo  legarono  con   funi  strettissi- 
mamf  lite  ,  e  preso  la  sua  scarsella  e  oiu 
lanterna,  quivi  lo  lasciarono  solo,  e  andt< 
ronsene  verso  la  Chiesa,  alla  quale   giaa« 
ti ,  tolto  la  chiave ,    apersero    prestameote 
la  parte  de)  chiostro ,  e   indi     se    n*  aad^ 
rono  in  casa  il  prete,  e    cou    ia    lanterni 
facendo  lume,  tutti  gli  usci  e  tutte  le  cas*' 
se  e  i  cassoni  gli  apersero,    e    tra    T altre 
cofte  più  care  in  uoa  cassettina    trovarooa 
una  sacchettina  dov^  erano    dugento    fiori- 
ni d*  01*0,  che  ardevano,  e  in  un  altro  sac- 
chettino  forse  da  otto  o  dieci  di   moneta , 
i  quali  tutti  tolsero ,  e  certi    panni    lini  e 
lani ,  e  altre  cose  di  più  valuta  ;     il  resto 
delle  masserizie  avvilupparono  e  gittarpoa 
sottosopra ,  aprendo  le  coltrice  ed    i    pia« 
macci ,  e  tutte  le  stoviglie  ruppero  »  e  co- 
ti i  bicchieri ,  versando  aceto  ,    olio  ^    fak 


6'Ciriffli»  ii0cero  il  maggior  -giMMiihuglio 
ed  mondo,  latte  le  staase  di  mano  in  ma-, 
90  mettendo  a  taocomanno  ,  e-  dipoi  tutti. 
Ite  oaricbi  dei  denari  e  dei  panni  piò  6^ 
ni  t  e  delle  matserisie  più  care ,  riserrato* 
ogni  cosa ,  se  ne  tornarono  a  casa  »  doTO. 
tMvarono  il  aere  pieno  di  dolore  e  di  pai^ 
TC^  pensandosi  di  non  avere^a  uscire  ^l*-^ 
le  mani  eon  la  "vilal  Ila  ^veggendoli  tor^ 
Bare  carichi  di  danari  e  della  roba  aua4^ 
fa  da  tanta  e  da.  oosi  ^atla  d€»g)ia .  soprag** 
giiiolOy  che  e^i  fu  per  morire 9.  e  piii.par 
gridare,  e  pòi  si  ritenne  temendo  di  peg^ 
gio.'  I  tre  compagni ,  poicbè  carichi  furo<% 
no 9  ed  i  danari  riposti  in  sioaro  luogo,  e 
cosi  tutte  Pahre  bazziche  adattate ,    disle» 

Ssronò  il  prete ,  e  cosi  nudo  lo  le? arona 
i  'Casa,  il  quale  mal  volentieri  si  moTCTa, 
Aadi>ìtando  di  qualche  cattivo  scherzo;  ma 
tolorb  eon  le  spade  in  mano,  e  con  i  piH 
«Nili  minacciando  d'ucciderlo,  lo  fecera 
bentosto  camminare,  e  condussenlo  alla 
aua  Chiesa,  e  per  Kuscio  del  chiostro  en<* 
Irati  dentro,  sul  prato  n*andarono^  e  a  uno 
arci  presso,  che  nel  mezzo  appunto  risede<« 
te,  legarono  il  prete  con  la  schiena  volta« 
al  pedale ,  e  i;on  le  braccia  ritte  ali*  insù  < 
dimanierachè  con  gran  fatica,  non  chedis 
te,  ma  da  altrui  non  sarebbe  slato  potuH» 
io  'fciorre  ,  e  dal  bellico  -  in  gtosò  libera  ^ 
delle  gambe  e  dei  piedi  poteva  faro  a  suo 
aiiodo,  i  quali  a  due  dita  toccavano  terrai 
aafi  il  f ratei  minore,  tbe  era^kalp  Gom« 


348*  WGOt^DA    €3mnLm 

iiD  gatto,  con  aa  gran  pezao  di 'bordane 
fivrzAta ,  porUla  a  qaeilo  eCFetto  ^   fj&  Hgk. 
i  granelli,  e  sopra  quello  arcipretsa  uk^ 
do  alla  fine  del  pediale  »  arrivò    ai    rami, 
a  nn  de*quali  accomodò  e  legò  delta  oor- 
''da«  tenendola  di  sorte    tirala  ,    che  cdlin 
▼eniva    a   stare    rappreso    e    raggriccUato 
stranamente,  se  egli  nuii  Toleva  sentirdp- 
lore  e  pena  incomparabile,  e  cosi  aTen^' 
lo  lasciato  in  una  attitudine    passa  e  lUjh 
cagante,  se  ne  scese  a  terra,  e  col  fràld- 
lo  e  col  compagno ,  riserrato    V  uscio,  m 
ne  tornò  a  ra&i  a  dormire.    Il  sere  troun- 
dosi  ignudo,  come  Domeneddio  lo  fect,  n 
legalo  in  quel!.'»  guisa,  quanto  avesse Doji, 
dispiacere  e  dolore    non    si     petit bbe  uni 
immaginare,  non  che  ridire,   pensanilocba 
come  giorno  si  facesse  d^csser  ir<iV,tio  e^t- 
dulo  da  tutti  i  suoi  popolani;   pure  come 
tristo  e  scaltro  pensò  una  nuova    malizia, 
e  raccoufortossi  alquanto:  nc>ndimeno  sol 
friva  doglia    immensa  ,    essendo  quasi  sfi* 
to  legato  con  pena    e    con    disagio    inesti- 
mabile ,  non  potendo  più  tenerse   in  su  le 
ginocchia ,  e  rannicchiato    gli   fu   forza  la* 
sciarse  andare  giuso,  e  posare  afTatto  1  ple« 
di  in  terra,  per  la  qua!  cosa  in    borsa    ss 
gli  svelse,  ed  allungolli  un   buon   sommes- 
so ;  onde  sì  fatta  stretta  ebbero   i   granelli» 
che  per  la  doglia  grandissima  si  Tenne  me-, 
no,  e  stette  quasi  uu*  ora  tramortito;  par 
poi  senza  acqua  fresca,  aceto  o  maWagia  » 
o  essere  stroppìcciato,  rinvenne  e  riuvenu* 


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tt>  MDO»  ftaMO  fece  aa  ^ranclittiiiio  icordo^ 
elio  •  e  già'  TenendoDe  il  giorno ,  si  gran 
fréddo  fili  sopraggiuose ,  che  egli  baUeya 
i  denti  cu  tal  sorte,  che  luogo  tempo,  di- 


poi te  ne  daolse.  I  popolfioit  non  adendo 
icnCito  r  ÀTemaria  ,  e  non  udendo  sona-^ 
re  ft  Messa,  si  maravigliarono  ^ortemefh 
te  f  e  di  già  s*  era  levato  il  sole ,  e  molta 
gante,  uomini  e  donne  s*  erano  ragunati 
in  Mi  cimitero ,  e  sotto  V  olmo ,  faceado- 
il  meraviglia  che  la  Chiesa  non  s'  apriTi^ , 
e  non  si  trof  a? a  il  prete  ;  e  già  alcuni  suoi 
amjci  erano  andati  oietro  la  Chiesa  a  pio- 
chiare  F  uscio  e  chiamarlo,  quando  giunse 
il  chiericp  io  compagnia  de\  cappellano,  e^ 
«Tendo  inteso  il  tutto,  maravigliosi  e  do- 
lorosi, veduto  serrato  V  uscio  e  le  finestre, 
dubitarono  che  il  prete  non  fosse  da  se  mor* 
to,  o  da  altri  fosse  stato  ammazzato  inca* 

3,  è  accordatisi  con  alquanti  popolani  d^ 
rimi  cittadini  e  contadini ,  che  già  era- 
no  comparifi  molti  ^er  iidir  Messa  ,  mes- 
•èro  la  porta  del  chiostro  a  leva ,  e  cava* 
tela  dei  gangheri,  entrarono  dentro  a  fu- 
ria maschi  e  femmine,  e  videro  incooti-« 
neate  il  povero  .sere  nella  guisa  che  voi  su-. 
pete«  che  si  doleva  e  si  rammaricava  fuor 
di' modo.  Quanta  maraviglia  avessero  qui- 
vi i  popoli  à  prima  giunta,  veggendo  uno 
•peltacolo  cosi  fatto,  si  può  meglio  imm^i- 

Sinare  con  il  pensiero,  che  esprimerlo  con 
1  parole.  E  già  fu  conosciuto   subitamen- 
te •  perciocché  come   A   tide  il   popolo , 


35o  seoonoA  eBt4A. 

eoa  onmìoeìò  a  griiare  quanto  dalla    §dA 
sii    usciva,  misericuFdia  ci  aj  ito  per  l'aoiijf 
ai  Dio.  Laonde  militi  buoDÌ  oomiiiì  làcotk 
«ero  eoa  it  suo  chierici»  prestatoente,  e  dtt' 
maadatd  come  quiti  stalo  fosse  legato,  la 
da  chi,  non  rìsj>ODdeva  altro,  che' ausen* 
cordia   ed  ajulo  per  l'amor    di    Dio^    ftf 
la  qual    cosa  da  coloro    laglialogM  le  fiièi 
lìitie,    che  e^^li   aveva  d' iotonio ,  fu    fptc^ 
ì;alo  da  qutllo  arcipresso ,  e  gitlaloglì  -va 
ifiantcllo    addosso,    fu    portalo  di  peM    m 
eata  ;  ma    trcTatu    ogni   cosa    soiiosopra  t 
CgOmiiiuia,  e  fa  coltrice  aperta  ,  lo  po»efo 
io  Su  )a  materas5a  a  riposare,  e    per    sn 
commissione  si  partirono.  Quel  cappeDanti, 
che  venULo  era  dì    Firenze,    inlaaio    disse 
la  Messa,  e  quivi  ognuno  si  doleva  e  5t  ma- 
ravigliara  e  pareva  mille  anni  a  tutti  di  u- 
pere  chi  avesse  fatto  tanto  scorno    e    àkth 
no  al  loro  prete,  e  non  si  volevano  a  pot* 
to  dìudo  partire,  avendo  inleso  dal    clrifl^ 
ricn  ,  come  egli  voleva  dire  1'  altra  MeWi, 
e  tsaoifestare  al  popolò  ogni  cosa.  E  cdd, 
poiché  buona  pezca  il  mìsero  prete    si    fu 
riposato,  .dolente  t>i  levò  e  vestissi,  pii^    da 
presso  consideralo  il  stio  male,  fece  grafi- 
difislno  lamento  e  racdmarichio;  pure  qari 
lauto,  che  gli  era  eaduto  nelL*  abimo  di  Ca- 
'ré  per  suo  onore  e  utililà,  cominciò  a  msa- 
'da're  ad  effetto,  e  chiamato  il  chierico  ebe 
Tdjùtasse,  perocché  per  la  borsa,  cfae    gli 
èra  diventala  graude  a  maraviglia ,    a    Cm- 
H:  poteva 'muof  ere  i  passi ,  «i  coadtaM  JB 


ikr^  e  paraiosf  il    meglio   fiV  ei  pò* 
MNa'v.Teane  m  Chiesa  a  dire   PaUra    Rfes- 
M'^  la  quale  poiché  fu    foroilat    ▼oltatiasi 
lA  -  iMsnto -il  popolo  9  ehe  con  dileùzio  ed  ai> 
^grandissioia  1'  ascoltaya,  coiti    pie- 
a1ie.«  e  con  voce  8on(iaie^a  cotniacìò 
ft^diM:  Tutte  tfuante  (Quelle  cose,   popolo 
diletto,  olne  quaggiù  a  noi  mortali  air* 
;oiio,  o  buone  o  ree  che  elle  si  •teno'» 
eooseottoieato  8Ì^  dee  pensare  che  aT- 
debbano^  e  con  volontà  dalt*  Aititi 
fino  Dio,  e  però  noi    sempre    ringraziare 
Ifet'dofemo  :  e  sebbene  alcuna  volta  ci  pajo* 
mo  tnmissfrme,  e    che  ci    arrechino    perdi- 
te «  disonore  ^  nondimeno  doremo    giudi- 
care e  credere,  che  af Tenute  ci  siano  per 
lo  nostro  migliore,  da  Lui  ▼enendoci,  che 
é* Bolo  sapiente,  solo  potente   e  solo   gia- 
Ora  io  di  tutto  quello,  che  mi  è  oc- 
questa  notte,  ancora  che  con  mio  gran- 
arissimo danno  sia,  ne  lo  ringraào  e  accet» 
#rip^vper  lo  meglio ,  ooooiossiacosachè  pegr 
^^  ass^i  .occorrer  mi  fosse  potuto;  e  cosit 
popolo  mio  amatissimo ,  sappi ,  come  litt- 
le le  vigilie  della  Madonna  io  aono  usato, 
fitto  il  primo  sonno ,  levarmi ,  e  per  due 
«ire  far  certe  orazioni,  e  questa  notte  métih 
We  io  orava,  vennero  per  disgrazia,  nèaò 
/donde  ne  come ,  tre  nemici  di  Dio  ^    cioè 
'4M  diavoli  bruttissimi  e  apaventosi  con  im 
Impunto  di  serpi  per  uno  in  maoo,  ed  a  pri* 
Wl^  giunta,  fattomi  una  paura  grandisshnaf 
Hi>ij»U<»ro  forse  oento  aergat^  ^  che  tiit- 


3Ss 

tm  oi.  fiiWMroao  T  ossa  di  sortr  ,  cha^H 
npK  mreilo  mai.  nk  che  Saato  Antonio,  né 
|U«  {fìoco|to  d«  ToleritiaJ  ,  o  altri  SaqIÌ 
fiuterà  m^i  da  quelli  taqta  malconci,  quaD' 
to  Mmo  «Uto  iq^  a  dipoi  spogliatomi  igaa- 
ifo,  bì  ooodosiero  oel  cbìostro ,  e  mi  fé- 
opro  qa^lo  tchen» ,  legandomi  come  «oì 
ladcttCf  «  ritpraati  in  casa  a  ogoi  cosa  mi 
^aUero  la  volta,  aprìroa mi  le  collrìce ,  « 
vjenaadomì .  la  larìóa  .  e  V  olio ,  ruppoami 
Ja.ftotìgUei  iBU  c^oello  vbe  è  pe^io  ,  a- 
{vertomi  e  rottomi  tutte  le  casse,  e  cat- 
ini mi  haDOU  rubato  un  sacc)ietto  ,  do- 
ve  eraoo  dentro  beo  dugeato  ducati»  cbe 
dopo  tanti  auoi  stcntaodo  aveva  dì  lìmosi- 
ae,  di  Meste,  di  O^nfessioni  e  dell'eolra- 
4e  della  Cbie&i  avanzate;  cosa  non  ioler- 
velluta  mai ,  cbe  io  abbia  inteso  ,  e  me 
ne  maraviglio  fortemente,  cbe  io  non  aTrei 

Sensato  giammai,  cbe  ì  diavoli  fodero  Ja^ 
ri ,  dei  quali  danaKi  avevo  discgnito  •Jh 
punto  di  fare  una  tavola  airAltar  mauio- 
re ,  dove  fusse  dipiuto  quando  ]a  Bwhhh 
na  va  in  cielo,  ed.  ito  bel  perento  di  pio- 
tra.  Ora  essendo  rimasto  povero,  come 
Voi  potete  vedere,  e  stroppialo  si  può  di- 
ve ,  percbè  io  non  sarò  mai  più  booDO  > 
ai  VI  racc'<man<Io  iu  cariti,  e  per  ìa  ^M' 
.none  del  Signore,  e  vi  ricordo  cbe  ì  diavoli 
non  fanno  mai  mal«  se  non  alle  buone  per* 
-SOne  e  'la  bene .  come  nel  divinissitno  li» 
bro  de'ftauti  Padri  si  può  leggere  di  mil- 
le uomini  giusti  e  santi:  e  coti  tanto  dìi- 


iroTELLA  nir.  353 

Me  e  il  MMomaadò ,  che  gli  oomini   e  le 
donne  oùrNTaao  a  gara  a  fargli    la  limo*» 
itila  t  e  ne  iacrebbe  a  tatti,  pen«iado  re* 
TÌfÉiiifi;  le  sae  parole,  e  masti  mamen  te  Tea  « 
geàdògli  le  caia  cosi  rabbafiEata ,  e  lai  si 
Biarl  conoio;  di  maniera  che  m    meno  di 
qoetcìro  giorni  il  popolo,  di  farìne  9  di  vi- 
Ùto  e  di  tntte   1^  altre  grascte  gli  empiè  in 
Moo  tempo  la  casa ,  e  cosi  le   donne    di 
naelettiy  camicie  e  lensaola,  eognidome- 
Wta  per  usanza  la  .'brigata  gli  facoTa  dopo 
li'lfesia  una  baonissima  limosina/  tal  cne 
MMf  paMicono  dae  anni  intieri»    che-^li 
kKoriiài  ia  qi  saa  danari ,   peroioocbò  egli 
fi  tfvMa  acoaistato  per  tatto  nome  di  mes- 
so fkatOy  ea  afcra  dato  ad   intendere  al- 
la'gentiv  che  con  certa  saa    orazione   ea« 
▼ava  V  abiìne  dal  purgatorio  ;    e  cosi   prò- 
óaociatosi  credito    grandissimo»   si    viveva 
graManiente ,  salvo  che  la  borsa  ^li  anna- 
li quasi  fino  alle  ginocchia,  e  jjli  conven- 
ne poi  tempre  portare  il  brachiere.  1  dai 
fratèlli  «ed  il  compagno  la  mattina  mede- 
aima  se  ne  andarono  a    Prato   alla    fiera , 
dove  tatto  il  giorno  furono  veduti;  ma  poi- 
ehò  tornati  a  casa  furono  insieme    con  la 
fiinciulla,  inteso  come  il  prete   s*  era  go- 
vernato  deHi^  beffa,  si  maravigliarono  fuor 
di  modo  e  dell*  astuzia  sua ,  e  della    sem- 
plicità delle    persone  ;  pure  allegri   se    ne 
tacquero ,  e  la  sorella    con    quei    dugento 
fiormi  d*  oro^  e  con  una  mezza  casetta»  che 

IjOSCQ.  23 


854  IMOHBA  CniAV 

wfjàno  mnnfÈSao  in  Kreme^  BMrtUrtPO  «1 
un  buono  e  rìcoo  m^rotole»  o(itt  mm^gmr 
ilettt  poi  bene  t  «1  ecttno  eoa  qotf  lo» 
cvppiV^  «Uè  spcM  d^  aera&otfVfi^lB» 
fÙe  €  p^rtcchie  volte.  boQoa  otn^ndlMi» 
éori  a  manmglìandop  compre  f9&ÌQl^«M» 
.no  iaoMmo  9  fornendo  il  prolo  aaAir  di 
ÌMDe  io  meslio  »  u  «pale  nop  foi  niìn^lw^ 
io  ardilo  t  che  ne  diofsM  ó  finmo4Ìyl<^ 
,ro  parola;  ami  t^mndogli^  |^ 
e  fft  aecarcstf^va.  ^p&  die  prinuis 

in  iwaiio  di  molti  aoni,  morto  ili      

frateiloj  la  fieiiile  vecchia  e  il  minore  lo  rt< 
disse,  ma  non  gli  fu  credulOt^bencbè^gni* 
rando  raffermasse  ed  allegasse  il  «ompa« 
goo  per  leslimonio^  raccontando  il  iatto 
come  gli  era  andato  per  isgannare  òoei 
popoii;  ma  senza  essergli  prestata  fM^t 
.fu  tenuto  invidioso  e  mala  lingua..  CkMà 
con  la  sagacità  e  con  il  suo  ingegno  ji 
buon  prete  seppe  fuggire  danno  e  ^ftgl^ 
g*ia  nou  piccola;  ma  per  sempre  sincéir- 
dò  f^i  ascigli  del  capo  T  amore  de|le  fsfli* 
mine.  ' 


365 
HOTELLA  n. 

Mèri.FiUpeiri  amico  0  compagno  di  Gioì^ 

fpQ  di  Messer   Giorgio  ,  gli  -  contamina 

una  sua   innamorata    iOÉciaùagli  ih  cUf 

'    4iodia ,  onde  da  lei  è  nbuUaio  e  ripro* 

*'  '  #0  /  perlochò   Giorgio   di  poi  tomaia , 

*    per   vendicarsene ,   gU  fa   una   beffa , 

dfMa  quale  esce  a  'bene ,  saliio  che  per 

sekipre  ne  perde  la  donna  da  lui  amaOh 


G, 


randemente  a  tatti  ai^a  dato   piii- 
\  cere  e  diletto  la  favola  detta  ,  mentre  t^he 
ém  loro  era  sommamente  todiita.  la  sagaci- 
tà  e  Tastaxia  del  prete ,  che  nel  mez<o  a 
'tante  atfersità.  seppe    risoUersi  a  pigliare 
*  €oA  "-  buono  spedienté»  Cintia  ,  che  novellà- 
*fre  doTera»  cosi  vezzosam^ente  prese  a  dire: 
Hobili  'donne ,   io  vi    foglio   con  una  mia 
faofdletCa  fiire  intendere   un  caso  genero- 
io  »  ma  stravagante  »  che  di  vero  awetiAe 
in  una  terra  ai  Lombardia  ;  e  disse. 

In  Milano ,  grande  e  ricca  città  di 
Lombardia  9  furono  già  due  compagni  no- 
bili e  benestanti,  Fuuo  dei  quah  tu  chia- 
nato  Neri  Filipetri ,  e  V  altro  Giorgio  di 
messer  Gtoi^io,  e  tra  loro  si  volevano  co« 
ai  gran  bene ,  come  se  fossero  stati  fratel- 
li  carnali ,  e  per  ventura  tutti  due  erano 
innamorati  »  a  felicemenCo  dell*  anu/r  loro 


^ 


356  aacoriDA    CENA. 

godevano  ,  e  senr.a  occultarsi  niente,  Ògai"' 

cosa  sapevano  I*  uno  dell'  altro.    Ma  Gior- 

§io ,  che  era  ÌDDamorato  più  altamente,  e 
'  noa  gentildonna  vedova ,  con  più  faticot 
e  perìcolo  si  conduceva  a  lei;  Neri  non  ave 
va  troppa  dinìcoltà  per  essere  la  innamo- 
rata sua  fialiuo'a  d' un  artefice.  Ora  ac- 
cadde cbe  aovtu  lt>  andar  Giorgio  infìoo  a 
Boma  per  faccende  importanti  ,  e  starvi 
almeno  qualiru  o  sei  mesi,  trcvandosi  una 
notte  fra  l'altre  con  la  sua  doEina,  il  (at> 
to  le  disse  della  sua  partita  ,  e  indi  pre- 
golia'  caldamente  che  fosse  contenta  dt  to- 
ner fermo  Jo  amore  in  verso  di  luì 'come 
egli  lo  terrebbe  in  verso  di  lei,  e  cbe 
quiatche  volta  sì  degnasse  di  scrìvei^Ir,  e 
mostroUe  a  cui  dar  le  Uttere  dovesse,  cioè 
•  Neri,  il  quale  ella  sapeva  esigere 'boo 
•mìcissimo,  e  cbe  egli  medesimameote  ipet 
le  sue  mani  soriverebbe ,  iasegnaod*  a 
detto  Neri  il  modo  di  segretamente  venire 
da  lei ,  e  che  ella  tu  suo  scambio  lo  ric^ 
Tesse ,  e  con  esso  lui  conferisse  tatti  i 
casi  suoi ,  e  se  di  nulla  avesse  bisogne  ', 
ordinerà  seco  cbe  d*  ogni  cosa  sia  servila. 
Ila  donna,  cbe  grandissimo  bene  voleva  d 
giiovane,  dolendoti  fuor  di  modo  dì  rima- 
ner  senza  di  lui  ,  gli  promise  che  tutt* 
farebbe,  e  che  aoa  avrà  mai  altro  conte» 
to  .  se  aon  quanto  con  Neri  fitTcllerà  e 
leggerà  sae  lettere.  Parole  furono  molte  dal 
Tona  parie,  e  dall'altra;  finalmente  Giorgio 
fnaa  4«  lei  lioeoM  t  aon  senw  vaolte  li» 


Mtae  ^  partì.  L*iiltro  giorno  do^eiido  an- 
dar fia»  chiamato  Meri  da  parie»  ogni  to« 
IMI  che  restato  era  con  la  sna  donna  gli  nar^ 
r&  ordinatamente ,  e  poscia  pregollo  che 
qotllo  io  benefizio  suo  operasse  »   che  egli 

C^r  Ini  f  qnando  Teoisse  V  occasione  »  po- 
ntieri opererebbe.  Neri  contèntissimo  o- 
gni  cosa  promise  di  .fare  con  diligenza; 
per  k  qual  cosa  insegoalagli  Giorgio  la 
ina  9  che  tener  doveva  per  ritrovarsi  eoa 
la  soa  vedova»  abbracciatolo  e  baciatolo ^ 
ttiòntò  a  cavallo,  e  andosseoe  alla  volta  di 
Roma.  Ileri  rimasto  solo  attendeva  con  la 
ina  innamorata  a  darsi  piacere  e  buon 
tempo;  ma  la  prima  volta  che  Giorgio  gli 
scrisse  9  se  ubando  la  notte  a  trovare  mon-* 
aa  Oretta  ,  che  cosi  si  chiamava  la  ved6« 
rB  ,  e  presentolle  le  lettere  del  compafioOf 
dicendole  »  dopo  alquante  cerimonie  latte 
fra  loro,  che  la  terza  notte  tornerebbe 
per  la  risposta,  ed  avendo  seco  soggiorna- 
to per  buono  spazio,  e  domandatole  se  ella 
voleva  niente,  si  parti  da  lei.  Cosi  andando 
tre  o  quattro  volte,  ed  ogni  volta  due  ore 
il  meno  con  esso  lei  cianciando  e  motteg- 

S lande,  ed  allegra  e  piacevole  fuor  di  mo« 
0  trovandola ,  gnene  venne  capriccio ,  e 
senza  ricordarsi  più  di  Giorgio  o  d^  altro  ^ 
pensò  di  provare  se  per  alcun  mezzo,  re« 
care  lo  potesse  a  fare  il  suo  volere,  fra  se 
dicendo  :  Se  ella  è  savia  ,  come  io  credo  ^ 
e  come  ella  dovrebbe  essere,  ella  non  la^* 
icicrà  il  bene  ^  che  la  lortuna  le  pone  iw 


258  *  gà^onoA.  fBBOu 

ntntiv-ii^  piar  questo^  foglio  oeratM.  4i  Mfe^ 
k  4il  ^oo  Giorgio  t  al  qttiil«v:.iioft  la.iPWi*»' 
pendo  egU  gianmai  »   non  ir .  &  iopum; 
ninna;  e  eoA  con  questa . apefanu, oMdnovs 
doai   avert  la   donna  m  an   pngno  >  ikati 
nolte*  «the  lettore  portava  del  ano  ijAovgMi^; 
dopo  alquanti  ragionamenti  ai  oondnaM-44* 
Aprirle  r  animo  auo,  fattole  tda  Inngtiiaii  ■ 
no  proemio.  La  qnal  oogn  udendo  la  dcm  ■  ■ 
na  t  che  nobile  era  e  d*  animo  genorofOvr 
n|i  riapose  altamente  >  e  sdegnosa  gli  ^isst 
ui  ma^or  rillania  e  la  più   rilevata  ^  oha^ 
a  ogni    reo    uomo    fosse  stata    mai  detta  ;* 
laonde  Neri  doloroso  e   pentito  dell*  errar- 
ano  si   mise   a  chiederle  perdonania  ^  ad: 
a  pregarla    per   Dio  t  che  a    Giorgio  non 
volesse  scriTerne  »  o  alla  tornata  dire  cosa 
alcuna  ^  per  non   esser  cagione  di  partire 
V  amicizia  loro  prima ,  e  dopo  di  quaJcho 
grave  scandolo ,  che  agevolissimamente  na^ 
acer  ne  potrebbe.  La  donna ,  che  era  aag-* 

r*  i ,  conoscendo  che  altro  ^he  danno^  oq« 
per  lei ,  come  per  altrui  ^  ridicendolo  ^ 
uscir  non  né  poteva,  gli  rispose  che  lo  £s^ 
rrbbe  senza  alcun  fallo  «  non  gii  che  1^ 
aua  malvagità  lo  meritasse  »  ma  per  la  sua 
buona  natura  e  per  V  onore  di  lei ,  e  che 
ae  egli  pensava  d*  usar  più  seco  di  cosi 
fiitti  morii  ,  che  non  le  capitasse  innanBÌ« 
Veri^  fattole  mille  giuri  e  giuramenti  ,  e 
ehiesole  mille  volte  perdono,  lodava  molte 
3  soo  proponimento,  e  parendogli  ultima* 
aenie   avella  rappacifioata  ^  le   laioìò  ee» 


*  • 


l>fO  9  é  U  tenne  poi  sempre  per  ròggia  t  - 
eoèlanle  mnamorata  ;  e  contionando  alPu*^. 
aihnsa  di  portarle  e  di  ricevere  da  lei  let- 
tere 9  noe  iera  »•  noo  a*  aspettando  ^  torn& 
In  sn  la  notte  Giorgio  appunto  in  sul  ser» 
nr  della  frorta  ;  u  che  sapendosi  tra  t 
perenti  e  gli  amici  »  venne  a  visitarlo  Neri^ 
e  la  sera  cenò  seco  »  e  dipoi  rimasti  soli  « 
còibtnciÀ  Giorgio  a  ragionare  e  domanda* 
re  della  sua  carissima  donna,  la  qaale^ 
pefciocchè  affaticate  e  stracca  sentendosi , 
non  volle  andare  a  visitare  per  la  notte»- 
Scchè  Neri  rispondendogli  e  raggnaglian- 
dòlo  ,  molle  cose  intomo  alle  .  lodi  della 
eoa  Oretta  gli  diceva  ,  e  come  colui  che 
èra  malisiosetto  9  volendo»  se  nulla  fusse^ 
pigliare  i  passi  innansi ,  perciocché  da  lei 
alquanto  temeva ,  che  la  sua  mala  inteo- 
itoae  al P  amico  non  ri?elasse«  gli  venne  a 
dire  che  per  vedere  solamente  ^  come  ella 
Ibsse  fedele ,  V  avesse  tentata ,  ed  iogegna- 
tosi  di  recarla  a  fare  i  suoi  piaceri ,  con 
animo  nondimeno»  che  se  ella  acconsenti- 
vft  f  di  garrirla  e  di  riprenderla  asprissi- 
ttamente;  tna  negando,  siccome  ella  fece^ 
oomméndarla  e  lodarla  sommamente,  e  pe^ 
donna  savia  e  continente  a?erla  sempre^ 
Dispiacque  molto,  ancora  che  poco  lo 
mostrasse ,  questo  fatto  a  Giorgio  ,  e  paiV 
Vegli  atto  di  non  troppo  buono  amico } 
pm'e  finse  di  non  se  ne  curare ,  ma  non 
•i  potette  tanto  contenere ,  che  rivoltosigli 
uno  sghignntao  adiraliceio  f  mm  gli 


/ 

I 


96è^  Mwannk  mmàm 

dictife:  Amico,  dimoii  un  fMmimjiM^ 
meMe  tooonientiio  »  oome  «irdibe.  elk  ••■h, 
daU  k  bÌMgiMiTA  coi  rii|iòM  Harfa:  Prioìll 
nd  MMÌ  iMciaio  mm  il  mora  éA  pslto^ 
ohe  (Sui!  ooti  fiato  oltraggia  Tu  haibono 
a  dira  a  cotesto  modo  ora ,  «^  noa  |lr  è 
liuicito,  togginDM  Giorgio.  I>aiM[aa^^i*" 
ae  Neri ,  io  8ono  da  te  tonato  in  tiOimiMttL 
ùle  9  0  penii  oraetto  di  me  ?  '  e  cooMamè  ^ 
giorando,  a  tara  le  maggiori  ecaNy  cha 
mai  CDftwro  nditOi  Per  la  qiial  cum  GSov» 
fio ,  che  mal  contento  lo  radera  «  ^Mm 
•embiante  di  credergli ,  e4  a^Tcrtillo  cbe 
un*  altra  yolta  con  Tamico  si  guardasse  di 
non  iQcorrere  in  cose  simili;  Si  poi  JForni- 
ti  per  la  sera  i  ragionamenti ,  se  n*  anda- 
rono a  dormire.  La  mattina  poi  a  beiragjio 
iride  Giorgio  la  sna  beliate  cara  donna  t 
ed  ella  lui;  sicché  fattagli  di  lontano  alle-- 
gra  e  lieta  cera  ,  quanto  più  finrsi  pote?a^ 
gli  pareya  mille  anni  «  che  si  facesse  notte^ 
la  quale  poiché  fu  Tenuta  ,  Giorgio  qaatt« 
do  tempo  gli  parye  se  n*  andò  a  lei  »  che 
con  grandissimo  desiderio  lo  attendeva  9  e 
a  prima  giunta  gittatogli  le  braccia  al  col- 
lo disse  :  Bene  stia  il  sostegno  della  vita 
mia:  e  poiché  baciati  si  furono  »  e  alquan» 
lo  di  .Roma  ragionato  ,  se  n*  andarono  a 
letto ,  e  qui?i  1  uno  deiraltro  si  goderono 
buona  pesca  ;  poi  quando  Tenne  il  tenipa 
•e  ne  tornò  Giorgio  a  casa  sua  un*  ora  al-* 
meno  innaD7i  i^iorno,  e  la  sua  Oretta  A 
rimase  a   dormire^  AlaraTigUossi  molto  il 


tàTi 


forane  «  ^e  la  donna  non  g)ì  avesse  det*« 
lo  nulla  di  Neri  ;  ma  più  n  ebbe  marayU 
glia  «  quando  riirovatosi  seco  ouo  o  dieci 
Tolte,  non  gnen*  aveva  raaionato  icai,  co« 
ne  colei  cbe  conosceva  che  il  dirlo  noa 
poteva  altro  cbe  nuocere,  ed  ^i  per  aoa 
le  dare  maoinconia  e  dispiacere,  non  le 
n*iavefa  detto  nulla,  e  così  era  risoluto  per 
r  avvenire  ;  ma  con  Heri  teneva  bene  un 
*  di  colleruzza  ,  messosi  nell*  animo  di 
gliene  una  a  ogni  modo.  E  colà  di  ver- 
no  una  sera  ,  sapendo  egli  cbe  Neri  er% 
andato  a  starsi  con  la  sua  innamorata,  se 
B*  andò  a  trovare  il  padre  di  lei ,  che  fa- 
ceva lo  speziale ,  e  tiratolo  da  parte,  dopo 
vn  certo  suo  trovato ,  gli  venne  a  dire , 
come  la  figliuola  aveva  un  giovane  suo 
•mante  in  camera.  Il  vecchio  ,  che  Marti- 
noKzo  aveva  nome,  non  lo  voleva  credere 
a  verun  patto  ;  pure  Giorgio  tanto  disse  ^ 
e  tanti  segni  gli  dette  »  che  ,  chiamato  un 
tuo  figliuolo  «  verso  casa  se  n*  andò  furio- 
so, e  pieno  di  rabbia  appunto  ali*  uscio 
giunse,  che  un  altro  suo  figliuolo  arrivò, 
che  tornava  a  cena  ,  sendo  già  vicino  alle 
tre  ore.  Era  costui  notajo ,  e  si  chiamava 
•er  Michele ,  al  quale  subitamente  Marti- 
nczzo  narrò  come  la  sua  buona  sorella 
aveva  in  camera  un  amico ,  il  quale  di 
•era  v*  entra  ali*  un*  ora  di  notte,  e  stayvi 
per  infido  quasi  a  giorno,  e  dipoi  la  buo- 
na femmina  ne  Io  manda  fuori  per  la  fi* 
Beslra  dell*  orto  ;  che  cosi  Gioi^io  f  che  1^ 


nptfi  di'  iteri ,  AcooDtaCo  i^KmvMK  IMI 
te  iraeite  tùtìU:  eoèa  a-Mr  BficlMlef  puif 
tn  larft  iMWsui^uiiiii  di  pigiarlo  ^  «Hi 
iDtaifr'puioaineale^  •  Mmto  qatlli* 
itn';  Irriterò  teloro  armi^  •  certctó  '  taMi-' 
trr^tiéila  canHenr  della  fmdaUat  mU*  qoa-^ 
J0  non  erano  prima  toliti  entrar  giaaMMiV 
e  gridando ,  apcrsoiio  Pntoto,  e  toCto-il 
letto  trotarono  nascoso  Neri ,  il  qoahi  l^sg* 

Sdo  rarmit  di  fatta  si  soopenOt  ^o' 
é  H  nome.  Per  la  qual  oosa  lfan»«o^ 
■o;  non  potendosi  contenere,  gli  disse  uMt 
grftndiMfma  irillania ,  e  gli  fece  intendere 
nltimameote ,  che  se  quindi  uscir  voleta 
•on  la*  Tita  »  gli  conveniva  sposar  la  figli* 
nòia  ;  e  a  mala  pena ,  disse ,  mi  tengo  ohe 
io  non  ti  passi  il  petto  con  questa  parli» 
glana.  Neri  »  veggeodo  la  mala  parala  « 
rispose  che  farebbe  ogoi  cosa  ;  laonde  il 
▼ecchio,  fatto  chiamare  la  Francesca  «  ehi 
piangendo  s'era  uscita  di  camera ,  la  quale 
oontentissima  d*  avere  il  giovane  per  ma* 
rito  ^    fu    da   Neri ,   dandole  V  anello  «  in 

!>resenza  di  tutti  sposata,  e  ser  Alicbe* 
e  distese  la  scrìtta  ,  fecela  soscrivere  da 
Neri ,  e  dipoi  d' accordo  e  lieti  se  ne 
andarono    a    cena  ,    la    quale    con    gran 

] Giacere  di  tutti  fornita  ,  se  ne  volle  Neri 
a  sera  nudare  a  casa  «  rimasti  per  T  altro 
giorno  di  far  le  nozze  pubbliche  e  ma* 
gnifirbe  ,  e  da  ser  Michele  e  dal  fra* 
teMn  fu  accompagnato  infino  alla  sua  abì« 
taaione*  •  I   quali    poscia   a  casa  rìioraaa* 


iroTCLLA  SXm  363 

fectro  con  il  padre  maraTi^ioii  fesia«. 
(lale  allegro  diceva:  Vedicke  pure'ooa 
i.  la  fortuna  mi  ha   yoliUo  ajatare  «  e 

figliuoli ,  ancora  ;  o  ci  conyeoiTa  per 
I  la  dote  Tendere  il  podere  o  la  casa^ 
lo  ia  poi  come   TaTeremmo   acconcia  » 
ora   r^Temo    marìlala    a    nn   giovane 
1  e  nobile  senza  dote  ninna.  Orsù  InU 
1    male  non   sarà   nostro;   lodato  sia. 
che  egli   avrà  pnre  »   come  si  dioe» 
rato  il  suo   campo ,  e  forbitosi   con  i: 
i  sud  ;  e  cosi  pieno  di  gioia  con  aue^ 
imili   altri   detti   se    n*anaò   con  i  fi- 
lli  finalmente   a    dormire.   La   matti* 
ler  tempo   levatosi  «    corse   subitamene 

easa  un  fratello  già  della  sua  moglie- 
Bartolo  aveva  nome,  e  trovoUo  anco* 
el  letto ,  a  cui  con  allegrezia  disse  : 
mt^  tosto  levati,  cbe  io  ho  maritato  la- 
»cesca ,  a  fine  cbe  tu  mi  censiti,  e^ 
;  oìsfinare  le  nozze ,  che  hanno  a  fare 
.  Bartolo  con  fretta  levatosi  gli  do- 
di a  chi  data  Tavesse.  A  un  nobile 
Kt>  giovane,  rispose  Marti nozzo^  quan* 
Itro  che  ne  sia  in  questa  città;  e  per 
ìa  a  un  tratto.  Neri  Filtpetri  è  suo 
ito.  Che  di*  tu^  disse  Bartolo  ,  Neri  di 
er  Tommaso  Filipetri  è  suo  marito  ? 
ì  buon*  ora  ,  rispose  Martinozzo  ;  guar« 
i  non  pigliare  errore,  disse  Bartolo? 
e  errore  ?  seguitò  colui ,  e  per  iarglie- 
rapace  gli  narrò  ordinatamente  il  tutto; 
le  ridendo  >  Bartolo  cohiìeicìà  a  frid»» 


€  aoB  ai  ette  ijuamun  cicn  ha  m- 
glie  €  fiffCaoK  ?  CoMe  egliooK  e  «ogiel 
npote MartiiMao;  oli  quoto  sucUcM 
k!  Ora  9en  Ila  Mglie  io  mm^eémi 
gjHooKni  «  rispote  Bartolo  «    ma  nartb  ai 
wia  fcnaiiaa  ;  wom  io  idlmgvato  7  Ohìaèr 
aog^ose  ]fartiiio0o«  io  aooo    roviaÉtoi: 
svergognato  a  on  tratto  ,  ae  ooai  è  !  ai  a 
Imi  paura  che  ta  non  &mcticlii.   Biitoh, 
pk  Testiloti^  gK  rispose  dicendo:   Aadai» 
ne  faorì ,  e  Tedreiiio  chi    fiimetichcn  i- 
BO<  ;  e  partitisi  <li  casa   n^andarooo  a  io- 
maodare  ^  e  da  più  persone  degne  di  fede 
io  tesero  come  em  la  verità  ,  che  Neri  tfc- 
Ta  donna  e   6gliuoli.    Bene  era    Tero ,  che 
aTendola  tolta  e»li   a    Roma    giOTÌnetto ,  e 
là  avotone  due  àgliuoli ,  non  si  sapera  mol* 
lo  per  la  terra,  e  maggiormente    perchè , 
poiché  da  lui  fu  condorta  in   Milano,  en 
stata  malata    d^una    fistola    nel    letto   Sem-, 
pre  mai.  Ora  Martinozzo  certificato  se   oc 
andò  ,  consiì;liato  dal  parente  «     a    casa  «  e 
aTTertiti  i  figliuoli  che  tacessero  scopreo^ 
loro  r  ingaiiuo    e    V  oltraggio  ,     che  eglino 
avevano  ricevuto    da  Neri ,    con   Bartolo  a 
mise    in    via    per    trovarlo  io   casa  ,    e  per 
▼CDtura  s*  abhÀtterono  che  egli    voleva   ap- 

Jìuiìlo  uscir  fuori.  Sicché  da  parte  tirato- 
o ,  cominciò  Martinozzo  a  dolersi  molto 
della  vergogna  e  della  ingiuria  «  che  esso 
Ntfri  aveva  fatte  alla  cas;i  sua  con  dire^ 
che  ella  noa  era  cosa  da  uomini    da  heac 


ifOTCìxA  nt.  ^5 

Tué  le    baone  fancialle  f  >'  di  poi 

0  moglie  lóroe  dell*  altre ,  e  mìnac- 
(cèodo  che  gli  era  caio  dell*.  ATci?e« 
.  Neri  acusandou  prima ,  e  dopo  eoa 
5  parole  proeedenao  diiae  che  il  va« 
;iare  le  belle  giovani  ».  ed  il  cercare  di 
lere  il  loro  amore  fu  sempre  asanza 
ililaomini ,  e  soggianse  dicendo  :  Io 
"oglio  n^are  che  errore  nou  abbia 
leaìso  a  torre  quello  che  rendere,  to^ 
t  non  potrei  giammai  ;  nondimeno 
e  ho  usato  forca  alcuna  ,    e    di  pari 

e  consentimento  aveino  V  un  dell*al* 
Mo  piacere;  cosa  ordinaria  e  natura- 
la e  non  è  così  grHve  il  peccato,  co* 
ir   avventura    lo  fanno  molti.   Egli  ò 

che  avendo  altra  moglie,  non  dove- 
ù  acconsentir  di  torla  ;  ma  la  paura 
»  ebbi  veggendovi  con  1*  armi ,  e  mi* 
rmi  t  me  lo  fecen  fare ,  ed  i  contrai- 

1  scritte  j  che  son  fatti  per  timore , 
Eatamente,  non  son  validi  e  non  ten- 

e  però  mi  condussi  a  quel  che  voi 
e,  e  dissi    di  sì,  lasciando  la  cura  a 

sapere  se  io  aveva  moglie, o  no;  di 
oi  anche  non  mi  dimandaste.  Pure 
che  è  fatto  ,  non  può  esser  noa 
|ui  bisogna  provvedere  per  lo  innan- 
erchò  Vili  veggiate  che  io  porto  gran- 
0  amore ,  e  voglio  infinito  bene  alla 
Ila  ,    vi  conforto    a    tacere   di  tutto 

che  jersera  intervenne ,  e  quanto 
ibto   potete ,  maritatela ,   a   trovata 


J 


36S  iseeKni    eewi. 

ebe  Tol  BTrele  lo  spos-»,  mi  obWi^  i 
yi  i-iiiqueceoto  ducati  \ter  oìiiiarri  •  : 
buoaa  (iole  ,  a  line  che  in  buou  hug»' 
(Kmiaie  loeuen ,  e  di  tutte  t|apll« 
cbe  tono  occorse ,  f  che  occorreraoDo  tu 
Itrì  e  me,  iicn  ri^gioiiiiiò  mai  con  penpoi 
TÌva  ,  per  ((Uftiitu  Ì0  hn  cMro  la  grin  Jl 
Dio;  e  (jtit  !.i  racqiie.  Parve  a  coloro,  di 
egli  «Tesse  iaiellitto  bene  e  saTÌadKBli: 
•ici-bè  readuiegli  iiifìnite  grazie  ,  tla  kui 

Ivnrtirono.  Marlinozzo,  taucoufato  >'£$!>>* 
i  l'nDÌmo  di  T^cri ,  se  11  passarono  Iwgier 
mcnle  ,  e  cercarono  d' ac'coDciare  la  Fr* 
ces4.a,la  quale  ioteso  il  fatto,  sdegoogn» 
dissituD  e  oiiio  immortnle  ne  concepì  en- 
tro il  suo  amnute,  e  da  quÌ¥i  ÌDiianiì  ooi 
lo  guardò  mai  diritto  in  Ttso.  Ma  prìoi 
che  passasse  un  mese  intiero,  ti-ovato  ateo- 
do  un  buon  uomo  ,  che  volerà  doona  ,  il 
padre  ed  i  fratelli  gli  diedero  la  Fraoce- 
«ca  eoa  patti  d'ottocento  ducali  d'oro  pa 
dote ,  peasando  mettervaoe  trecento  di  io 
Po  solamente;  lo  avanzo  sparavano  cai» 
re  da  Neri,  il  quale  andarono  a  trovarer 
e  MariiuO'Zo  dicendogli  cbe  aveva  aMoguU 
la  figliuola  ,  gli  domandò  la  promessa.  ^^ 
ri,  a?erdo  poc-o  il  ca)>o  a  maoteuerglieHV 
gli  disse  che  !<•  rivedrebbe,  e  lo  menau 
per  la  Innga.  Nella  fine  gli  disse  cbe  peo* 
lialo  avi-va  per  cnore  della  faneìulla  non 
volergli  dait;  alliimenti  i  cinquecento  da< 
cali  t  aei-iuccbè  le  genti  non  avessero  ■ 
•Mpetutn.   Mutinoso   non  poteodo    m» 


ìwrthhk  nu  367 

•tisare  niente^  né  pure  rammaric^neiia  pec 
non. svergognar  la  fanciulla,  malconleotòf 
eoi  figiifioli»  per  non  arrogere  male  a  mù%^ 
ìfi^,  prese  per  partito  starsene  cheto ,  e  per 
I0  esser  Neri  geotiluomo  j  si  tenne  di  bea- 
to »  che  egli  se  ne  tacesse ,  e  se  egli  tò11% 
che  lo  sposo  menasse  la  Francesca  »  |^i 
CoiiTenne  vender  la  casa  »  e  dargli  otto- 
cènto fiorini.  Neri  di  questa  oosa  veduta 
la  fine,  con  Giorgio  suo  segretamente  ogni 
CO0a  conferi ,  dolendosi  molto  d' aver  per« 
dbuto  la  sua  innamorata  ;  ma  per  altro 
parendogli  un  bel  caso ,  scambiato  il  teoi^ 
pò  9  il  luogo  e  i  nomi ,  lo  raccontò  poi 
joille'  volte  per  favola. 


t . 


»', 


^ 


i55 


NOTELLA  X. 

'Mionna  Mea  igiene  a  Firenze  pef  la  dotm 
della  Pippa  sua  figliuola ,  maritata  a 
Beoo  del  "Poggio  ^  il  quale  non  agenda 
ella  seco,  è  consigliata  che  meni  in^ 
quello  scambio  Nencìo  detC  Ulis^lo  ,  il 
'éfuale  è  poi  dalla  padrona  messo  a  dor^ 

'  mire  colla  Pippa  ;  la  qual  cosa  poi  ri'- 
saputo  Beco  ^  si  adirai  con  le  donne  ^ 
e  falle  richiedere  in  Vescovado  ,  onde 
poi  il  prete  della  villa  accomoda  il 
lutto. 


T 


osto  che  Cintia  pose  fine  alla  som 
corta  nofella ,  piaciuta  e  commeadata  niol« 
-  to  9  Giacinto ,  che  solo  restava  a  novella* 
re  9  con  rideati  o9chi  com  a  favellare  ia- 
conunciÀf  dicendo:  Io,  dolcissime  donne  « 
m  Toit  splendidissimi  giovani,  pigliando  da 
CSntia   esempio ,   mi  spedirò   prestamente; 

Sciocche  ella,  che  è  saggia  e  avveduta, 
be  conoscere  il  tempo  già  dover  passa- 
re deir  andare  a  cena  ;  la  qaal  cosa  per 
me  io  non  avrei  saputo  conoscere,  percioc« 
ehò  tanto  mi  piace  e  mi  contenta  il  novel* 
"^  lare,  che  per  infino  a  domattina  starei 
•ansa  mangiare  e  senza  bere ,  che  non  me 
ne  sentirei  punto  ;  ma ,  per  dirne  il  vero  t 
k  mia  lavolii  è  corta  da  se  smessa  p  e  piÙL 
Lasca.  24 


370  «fCONDA    CENI. 

ÌD  qoeit*  mi    ba  BJutato  la    fortnoa  dt) 
Mano  ì  e  *o£ciuTise. 

In   via  gìiibelliua   «tette  ,  |^iii  è  iiii|ta 
tctnpo,  DOS  vedova  d<r*Ckiaraiiiooltn<4 
•bbè    nnm«    monoa    Margberìu,  h  ffok 
prese  dn  piccola  nn«  con  lodi  nel  la  prr  » 
TB  .  cnii   patii  che  poi  cresoiuta  ,  e  ina 
nel    u-mpo    convettiente .    «Ila    r»caii 
naritiire ,  e  rimate    d'accordo    t-oo  ind 
di    dnrle    ccnlo  ciitquuDta  lire    di  {MÌE 
per  dote.  Ora  accadde    cbe  coftlrì  mav 
do,«  gin   fallasi  da   marito,   fu  venoUp 
ki  dulU   anidre,  e  menatali*)     in  MufiÀ, 
dodde  elle  erano  ,  cou   licenra    oondiaM 
di   mouDa   Margliertla  ,  la   quale  aveTtJMr 
"  lo  loro  ,  che  la  dote  er»   a   ogoì  lur 
rr ,  purt-hé  elle  trovassero  sposo  r«M 
MoDoa  Mea,  che    così  si  taceva    cbUaw 
la  madre  di  ooleì ,  seco  mcoHtaue  Ufijl«| 
la,  fece  iolcnder  per  lo  paese  cbe  man 
la  voleva;  e  perchè  rJla  aveva  ass'i  bw 
dote,  ed  era,  ancbe  vegnenloccìa  e  aili 
della  persooa  ,  ebbe  di  molli  manti  ia 
tratto    per    le  maat  :  pure  a    un    gÌoTaH|[ 
cbe  si  cbiamava  Deco  del  Poggio,  UdM: 
COD  la  dote  sopraddetta  ,  e  la  &era  miécir 
~Ba,  cbe  ella  ebbe  l'anello.  Beco  volle  im 
■tir  aero;  fra    pochi  ^orai     diseg:aaiMÌO fi 
«eaire  per  la  dote  delia  vedova     ia  Tfim 
le.    Ma  in  questo    mruo  gli  Teooe    ^o^ 
di  andare  alla  fiera  di  Dicoinano  per  vnn 
«cilersi    di    panni    per    se  e  per    Lt  ipM; 
Onde  alla  auoceia  ed  alla  moglie  disw, chi 


flOTELLA    X^  9^t 

dft  loro  ftiidassero  a  moaaa  Margherita^  e 
•i  fiicessero  dare  la  dote ,  e  ne  la  recassero 
M  casa,  perciocchà.^lì  8tarebì>e  tre  o  quat- 
tro giorni  a  tornare  »  e  partirsi  e  andonae 
•Ila  fiera.  Monna  Méa  e  la  figliuola  ràltra 
naltina  a    una   grande  otta   si  misero    ia 
via,  e  in  su  Torà  di  nona  arrivarono  doTè 
«ffiziava  un  prete ,  che  fu  già  loro  parroc- 
chiano» molto   da  bene  e  amorévole  p^r*^ 
jtòna  ;  sicché  seco  »  come  era  costume  quasi 
Ài  latti  t  paesani ,  si  posarono  «  e  dal  seird 
nello    ben    veduti    furono,   tanto   che  vi 
"Ételtero  a  desinare.  Eravi  per  sorte  appunto 
capitato  la  mattina  un  loro  vicino ,  che  di 
Firenze  veniva  per   tornare  in  su ,  Cencio 
chiamato  dell*  Uh  vello;  e  poiché  essi  ebbero 
r^esinatOt   essendo   ancora   a  tavola,  prese 
a  domandare  il  prete ,  che  buone  faccende 
jEacessero  venire  monna  Mea  a  Firenze  •  ed 
.  j^jUa  gli   rispose  »  come  per  la  dote  ànaaVisi 
•.deUa  sua   tagliuola ,  che  maritata  aveva,  e 
4j»8^gli  a  chi.  11  sere  gli  disse  ridendo:  Oh 
^dove  é  Beco?  è  andato  'alla  fiera,  rispose 
Jb  donna ,  a  Dicomano  ;   che  imporla  egli 
jche  CI    sia   o  no?  importa,   soggiunse  sèr 
JJLgpstiao,'  che  cosi  era  il  nome  del  prète,' 
^^e  voi  vi  perderesti  i  passi ,  perciocché  se 
là  padrona  non  vede  il. marito    non  vorrà 
pagare  i   danari,  come  è  ragionevole.  I^oi 
«bbiamo  dunque  fatto  una  bella  faccenda , 
disse  Pippa,  che  cosi  era  chiamata  la  spo- 
^ ,  e  converracci  aspettare  Beco  che  torni  ^ 
•e  andarvi  insieme  ;  che  maledetta  sia  Canta 


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97<  SECOriRi.  CENA. 

traseuralBggme  '.  Deh ,  disse  il  prete ,  ìa 
voglio  ioseguarvi ,  che  toÌ  oon  sarete  vm- 
nule  in  vaco;  menate  con  esso  701  qai 
rieQcio ,  il  quale  so  che  per  farvi  piacer* 
Terrà  volentieri,  e  dite  che  sia  il  marito; 
colei,  non  l'avendo  mai  veduto,  crederà 
agevolmente  ,  e  vi  conlarà  la  moneta  • 
Piacque  a  monna  Mca  molto  questa  cosa, 
e  Nencio  ,  per  far  servizio  al  prete  ed  alU 
doDoe ,  accettò  semplicemente,  noo  pen> 
aando  che  ne  dovesse  altro  seguire  ;  cosi 
senza  indugiare  presero  la  via  verso  Fìrca- 
«e,  e  alla  c»sa  fìnalmente  della  vedova  ar- 
rivati ,  furono  da  lei  ricevuti  lietamente. 
Ferlocbè ,  monna  Mea  con  brevità  le  dis- 
se, come  Neacio  era  il  marito  della  PippSt 
e  che  venuti  erano  per  U  dote;  a  cui  gra- 
ziosamente ,  avendo  toccato  la  mano  agli 
Sposi,  rispose  monna  Margherita  ,  che  era 
molto  beue  contenta  ,  e  subito  mandò  la 
serva  per  uno  che  faceva  te  sue  faccende, 
accioccbò  da  colui  fussvro  annoverati  loro 
ì  danari ,  e  spediti  prestamente ,  che  se  ne 
potessero  andare,  e  intanto  ordinò  loro  di* 
merenda  ;  multo  rallegrandosi  con  1«  PìppiB 
^  con  Mencio,  il  quale  ella  pensava  h^ 
^urito ,  dicendogli  cbe  egli  aveva  niui 
buona  e  bene  allevata  6gliuola ,  e  che  ì»  ^ 
«esse  vezzi  ;  della  qual  cosa  Mencio  si  lior- 
^Va  di  mostrarsi  lieto.  Venne  alla  fine'. 
sran  pezeo  aspettato,  colui  che  faceva  i 
fatU  aella  vedova ,  a  cui  ella  racooatata 
il  .^Htlo,  disse  che  cento  cinquanta  lire  )^ 


tf&giuivaiio    per  soddUfare  alla  Pip^ ,  pa- 

Sindóla  qai¥Ì  al  marito  per  conto  deìÌA 
ble  cÉe  guadagnato  ave  ira.  Colai  di  fatta 
^rtiioii,  n*aado  al  banco  per  arrecar  seca 
1  danari ,  ma  tornato  prestamente ,  disM 
toro  che  trovato  non  vi  aveva  il  cassiere  ; 
oode  bisognava  che  elle  avessero  pazienta 
^r  6no  alla  mattina,  che  a  grand* otta  gli 
spedirebbe.  Perlocbè  monna  Margherita  ì 
npiffliando  le  parole ,  disse  :  Egli  è  a  ogni 
modo  si  tardi,  che  voi  non  vi  condurrete 
a  casa,  che  sarebbe  mezzanotte;  però  fia 
meglio  che  voi  vi  stiate  qoestà  sera  meco  ; 
beo'  ci  sarà  tanta  casa  che  vi  doverà  dar 
ricètto;  non  dubito  che  voi  dovete  essere 
•tracchi  ;  la  cosa  non  può  venire  più  a 
proposito  t  perchè  ancora  io  mi  goderò  un 

rM>  la  mia  Pippa  ,  cbe  Dio  sa  quando  più 
rivedrò.,  perciocché  avendomela  alleva* 
ta ,  le  porto  amore  e  affezione  come  a' 
figliuola  ;  della  qual  cosa  monna  Mea  e  la 
fanciulla  «  non  pensando  più  oltre ,  insie* 
me  con  Nancio  furono  contenti.  Venne  la 
iéra ,  e  la  vedova ,  fatto  intanto  avendo 
ordinare  la  cena ,  si  misero  a  tavola  ,  a 
con  gran  festa  cenarono,  ma  in  su  T an- 
darsene a  letto  si  sbigottirono  bene  mon* 
na  Mea  e  la  Pippa ,  atendo  inteso  cbé 
taonna  Margherita  fatto  aveva  acconciare 
fin  letto  in  camera  terrena ,  dove  disegnava 
the  stessero  gli  sposi ,  e  monna  Mea  al- 
bergare doveva  con  la  fante  su  di  sopra  i 
dal   che  Nencio  tanto  contento  e  ìiimé 


%4,  SECONDA   CU«Av 

■fVffa  a  iraanto  coloro  dolor«  M^. 
MoauMea«  aveodo  falle  mola^ 
miti»»  cbe  donoir  voleva  con  la  G 
int  ,  lutte  (lalU  vedova  alatole  ri 
4Ì^Ó»dole  cbe  fioD  ù  richiedeva,  < 
qocv  Konveocvole,  e  cbe  IVencio  le 
intòum  coDOpagnia  cotd  iu  Firenze 
.Y^Ht  fu  sfuriala  nonna  Ale»  ,  pe 
^bc  colei  non  »' acctTgeue  Pìenno 
•err  varilo  ^«  figUnol* ,  p  essei 
«  tcnpMi  bup>r(|«i,  MpCH^iiUre,  < 
cop  Hcdoìo  e  ca^  i*  P>|^  iq 
4ove  giunta  u  gììtÀ  id  gìnocxihiófu 
dì  fteiicio,  pr^andolo  per  Taipoi 
che  fufiw  contento  di  non  dir  aÌi 
figliuola  per  quella  notte.  Il  cht 
gli  promesse  sopra  la  fede  «aia  j 
colei  allegra  se  ne  tornò  io  wla,  < 
serva  se  n'andò  a  doruire,  e  e 
monna  Mareberita.  Ncncìo  ,  poiché 
tita  monna  Alea ,  serrò  V  uscio  no 
di  dentro  ,  e  comtnciosai  a  spogliar 
dando  tuttavia  la  Pippa ,  che  stsva 
tegno  e  sogghignava  ,  mostrando  i 
no,  che  dormir  volesse  vestila,  noi 
do  segno  alcuno  di  sfibbiarsi  ;  na 
dettole,  che  non  la  maoicfaerebbi 
fine  seppe  tanto  ciurmarla,  che  ap 
SD  un  tratto,  se  u* entrò  nel  Ietto 
a  lui  ;  onde  allegro  ,  spento  il  h 
le  coricò  accanto ,  e  così  stati  a 
ambedue  senza  favellare,  cominciò 
•  distendere  un  piede,  «  venoe  a 


FOTEtr.À  X.  878 

un  fifiQCO^  e  la  Pippa,  senza  altro  dire  ^ 
gliene  graffiò  leggiermente ,  nerlnccliè  rfen- 
cib  la. prese  a  solleticare,  ed  ella  lui,  t^n* 
foche  scherzando ,  il  coxnpajjnone  le  salì 
nddosso  9  e  senza  far  mai  parola  ,  di  lei 
prese  9  e  la  fanciulla  di  lui  quel  piacere  % 
quel  contento,  che  funo  delT  altro  pìfilia* 
110  insieme  marito  e  moglie.  Ma  poiché 
rCencio  scese ,  fu  la  Pippa  prima  a  favel- 
lare ,  e  quasi  ridendo  di^se  :  Ahi  Nencio^ 
a  questo  modo  èsser  fi  la  fede  e  i  giura- 
menti  che  promettesti  a  mia  madre  ?  lo 
^OQ  lo  avrei  mai  creduto,  e  stetti  ferma 
ODon  per  altro ,  che  per  vedere  se  tu  eri 
'tanto  tristo  ;  ma  io  ho  caro  di  averti  co- 
tiiofteiuto  per  un*  altra  volta*  Alla  quale 
Nencio  rispose  ridendo  :  Io  non  ho  rotto 
if ede  ,  ne  fatto  ingiurìa  a  persona;  egli  ò 
"vero  che  io  promessi  a  tua  madre  di  non 
ti  dir  nulla,  e  cosi  le  ho  attenuto.  Che  ti 
ho  io  detto  ?  e  accostatosi ,  che  le  piaceva 
J' untume ,  scoi  alla  mutola  le  caricò  un*  al- 
tra volta  la  balestra,  e  dopo  attese  a  dor- 
mire. La  mattina  poscia  per  tempo  risen- 
.titi ,  due  altre  volte  presero  insieme  il  me- 
desimo piacere.  Intanto  s*era  levata  mon- 
na Mea ,  e  da  monna  Margherita  a  Vale 
aTcva  due  coppie  d*uova  fresche  per  por- 
tarle agli  sposi ,  la  quale  le  prese  per  non 
parere ,  e  recolle  loro ,  ancora  che  ella 
pensasse,  che  elle  non  bisognassero,  e  nella 
•camera  entrata  trovò  la  figlinola ,  che  s'era 
appunto  fornita  di  vestire;  ma  Nencio  anr 


876  neoirpA  esilk'. 

con  ert^id  lelto*  ai  quali  ékftiàfittàoj 
GOfl  disse  :  Vedete  se  menila  Margherita  è 
donna  dà  bene  ed  ainoreToIe«  ellauTi  man* 
da  infino  V  aoTa  fresche  «  credendosi  eh* 
Voi  abbiate  bisogno  di  rìstorOf  Ma  dinafei 
un  poco  tu  9  disse  alla  fanciulla  t  che  cfom- 
pagnia  stanotte  t*ha  fintto  Nencio?  bnoni^ 
sima,  rispose  la  Pìppa;  egK  non  A  useilo 
punto  di  quello  che  egli  tì  promesse ,  lan* 
teche  io   me  ne  lodo  intn  fine  latta  »  • 
aongli  obbligata  sempre.  Dio  glie  ne  rime" 
riti  9   rispose   monna  Mea ,  e  laociaglieiia 
malevole  ali*  anima  :  ma  che  fo  io  di  qne* 
ste  uova  in  mano?  date  qua,  disse  Nencio , 
io  me  le  berò,  acciocché  la  cosa  paja  pia 
▼era ,  e  fattasene   dare  una  coppia  9  se  !• 
succiò   in    un  tratto  j  e  Toleya    iiighiottiro 
anco  r altra 9    quando  la  Pippa  disse:  Ehi 
gola  !  questa  altra    io    TOglio   per    me  ;  e 
toltala  di  roano  alla  madre  ,  se  la  beTve  t 
e  cosi   le   donne  »  lasciato  Nencio  9  che  si 
fornisse    di    vestire,   s* avviarono    in  saiat 
dove  stettero  poco  che  comparse  colui  eoa 
ì  danari;  e  a  Nencio,  che  era  già  venuto 
su ,  annoverò  come  a  sposo  centocinquanta 
lire  di  buona  moneta  per  pagamento  della 
dote  della  l*jppa  ,  serva  di  monna  Marghe- 
rita ,  e    cof.i   scrisse   al    libro ,    e   partissi* 
Monna  Mea  messi  quei  danari  in  una  fe-^ 
dera  ,  che  recala  aveva  seco,  e  bevuto  al- 
quanto ella,  la  Pippa  e  Nencio  «  e  fattele 
parole  9  da  monna  Margherita  si  partirono 
allegri  e  lieti ,  e  di  compagnia  »  senza  aver 


firifo  netto  al  prete  ^  perchè  trovato  in  fcasa 
kon  TayeTano,  io  Mugello  se  ne  tornaro- 
no 9  e  ognuno  se  n*  andò  a  casa  sna  9  aten- , 
do  nondimeno  riograsiato  prima  monna 
Mea  e  la  figliaola ,  Nencio  del  serTizio  che 
fatto  loro  aveva.  In  due  giorni  tornò  poi 
Beco  dalla  fiera ,  e  trovata  la  suocera  «  che 
eveva  riscosso  la  dote  9  contento  non  cerc^ 
iitro  f  attendendo  alle  faccende  9  e  a  goder 
la  sua  Pippa.  Ma  venutone  pèS  il  S.  Gio- 
vanni 9  venendo  a  Firense  per  arrecare  al-* 
Toste  un  par  di  naperÌ9  accadde  per  soiv 
te  9  che  il  giorno  dinanzi  appunto  9  che  egli 
•e  n*era  andato  nella  Val  d'Elsa  a  starsi 
con  un  suo  fratello  9  che  era  in  uffizio  a 
Gertaldo  9  e  menatane  tutta  la  brigata  ^ 
trovò  serrata  la  casa  9  e  non  sapendo  che 
farsi  di  quei  paperi  9  disino  di  portargli 
a  monna  Margherita  9  padrona  già  della 
tua  Pippa ,  che  bene  sapeva  il  nome  9  e 
dove  ella  stava  a  casa  9  parendogli  che  ella 
ai  fusse  portata  liberalmente  a  dar  la  dote 
alla  moglie  senza  lui  9  seco  dicendo  9  pure 
la  conoscerò  9  e  ùltò  in  parte  Tobblìgo  mio; 
«  cosi  si  messe  in  via  9  e  giunto  picchiò 
V  oscio.  La  fante  vedutolo  con  quei  paperi 
in  braccio  9  disse  a  monna  Margherita  :  Egli 
è  un  contadino ,  e  tirò  la  corda.  Beco  .ar« 
lavato  in  sala  ,  fece  un  bello  inchino  9  e  sa- 
lutata monna  Margherita ,  disse  :  Io  sono 
il  marito  della  vostra  colei  9  che  vi  porto 
a  donare  questi  paperi ,  acciocché  voi  gli 
godiate  per  nostro  amore.  A  cui  la  donna  9 


volto  bene  m  vtto  gu^riUtoIo,  nput: 
Buon  uomo,  gtiKrds  a  noo  avere  ttnl'ì 
nome  o  «marritu  la  c^sm  ;  dii  lì  ousdì, 
o  dove  bai  tu  a  ire?  Dtsw  al^n  Bm; 
finn  Htc  v(^i  nwnua  M.)rgberìu  Giiur 
KOQt^  ,  che  «lleraaie  già  la  Pippn ,  <  noi 
tono  aucora.  divci  mr^i  fia^mnlì  ,  ehe 
deste  ceniocinifimnla  nrt-  |)er  U  dote?  SI 
gODu  ,  mixiM-  la  T(!<t<'va.  liunque  PwioQ 
jHurilu  ,  &»g^iui>kt  Bt-co  Cnmtr?  segnilo  h 
clonna  ,  Ìl  mariiu  m»  se*  tu  già  della  nà 
Pìppa.  Perchè  noq  sono?  diase  Beco; io  H 
pure  cbe  sraoatle  dcrtnii  seco  ,  e  sUnatò- 
Da  la  laftciuì  in  casa  ,  che  fila  si  rclnt 
lavare  ti  cafo  per  farti  bvlla  qocsia  Sn 
Giovaoni.  Come  domine  !  replicò  aaiaa 
Margherita  quasi  adirala  ,  sei  tu  il  ntiv 
to  suo;  io  so  pure  che  quando  la  Pipps 
venne  per  la  dote,  che  egli  era  seco,  e 
d'altra  fatta  ,   che  tu  oou  sei  ;    io  lo   vidi 

Snre ,  e  so  ancora  che  la  sera  gli  mesti  i 
ormire  insieme,  e  so  pure  che  la  matthia 
colui  se  ne  portò  la  dote  con  monna  Mca 
madre  della  fanciulla.  Per  la  qnal  om 
Beco  gridnado  ad  alla  voce,  disse:  Ohioti 
che  io  sono  stato  ingannato  !  e  più  a  bel- 
J'agio  poi  con  moona  Margherita  favelbo' 
do,  e  d'ogni  cosa  minutamente  informan- 
dosi ,  fa  certo  ed  al  tempo ,  ed  alla  perso 
uà  ed  al  viso  ,  ed  al  nome  ,  che  colui ,  cbe 
per  marito  della  Pippa  iu  suo  scambio  li 
lece  credere,  era  stalo  !Nencio  dell' Ulivel- 
le;  ma  questo  gJ' importava  poco,  rispelU 


_  I 

^  r  i^ytre  àanùììfi  con  esso  lei  a  solo  a  so- 
lo »  èr  gK  iiàtpva  9  «  cosi  alla  t^ovs  ^  la 
pijt  ;tinoTae  la  più  strana  cosa  del  mondo; 
Ìpul*e  lasciato  quivi  i  paperi  ^  senza  àyere 
jplqlo  maoj^iare  uè  faer«,  si  parti  pieno  di 
Sallbia  e  4ì  gelosia  9  e  ta&io  camcpìnò  che 
Tifi  fera  giunse  a  casa ,  ed  alla  prima  che 
le  gli  fece  innanzi ,  che  fi|  monna  Mea  -» 
aisse  una  grandissima  villania ,  e  cosi  an«> 
'<Sora  alfa  moglie^  cbe  tòsto  quivi  comparse* 
'lie  baope  f epamine  ^  scusaodosi  9  dicevano 
^he   dal    prete   consigliate   furono,  e   che 

Sencio  non  fece  altro  che  dprmire  con  lii 
ippa-  Ma  Beco  non  si  poteva  racconsoUt- 
>e,  parendogli  che  elle  lo  avessero  Titupè- 
ntQ  t  e  venne  in  tanta  collera,  che  egli 
prese  un  bastone  per  romper  loro  le  farao- 
na; pure  poi  si  ritenne  per  paura  deNu 
giustiaua ,  ma  le  cacciò  ben  fuori ,  dicendo 
^e  se  n*  andassero  a  casa  loro  ,  che  non 
Vjoleva  quella  vergogna  presso  ;  e  serralo 
Wne  r  uscio ,  se  n*  andò  a  letto  senza  ce- 
nare. Le  donne  dolorose  se  n*  andarono  a 
fata  W^  fratello  di  monna  Mea.  Beco  la 
notte  non  potette  mai  chiudere  occhio ,  alfai 
sua  Pippa  pensando ,  e  fra  se  coochiuse  di 
I|on  la  Toler  più  ,  e  d^andarsene  in  Yesco- 
irado ,  e  far  richieder  Nencio  per  adult^-t^  ; 
e  cosi  come  la  mattina  fu  giorno^  saltò 
iQor  del  Ietto,  e  portato  più  da  disordina- 
to  furore  «  che  da  cagione  ragionevole  t 
%* avviò  gridando  verso  Firenze,  e  per  tutta 
la  via  e  con  tutte  le  persone ,  che  e^  ri* 


38o  aseoiCDA  cena» 

scontrava  «  si  d«'leya  de  la   mnglre»  e  gianto 
uliimameule    in  Vescovado    pose  T  accusi. 
Per    la  qual    cosa  il   ^orao  medesimo  h 
richiesto  Nencìo  deir  Uli vello  e  la  Pippt; 
'  airchè  r  altra  mattina  iaoaQzi  nona  farooo 
in  Firenze  per  difendersi  «  risoluti  imiens 
di  negar  sempre ,  e  di  dire  al  Vicario  «  che 
Nencio    fusse   dormito  nrlla  saa    proda.  E 
già  sendo    compariti  in  YeacuTado  per  ea- 
trar  dentro»  videro  appunto  aer  Agustino» 
che  quivi    era    venuto   per  certe   sue  Ck- 
cende,   delle   quali  spedito,  si    maravigliò 
dì  vedere  iu  quel  luogo  Neiiri*^  e  colei, e 
f;lì  dimaudò    [>erchè    quivi    fusseto  ;  perle- 
che    IVeocio    gli    narrò  di  punto   in    punto 
tutta   la  cosa  «  di  che  non    potette    fare  il 
sere  ,  che  non  ridesse  ,  e  veduto     Beco  ia 
quel    luogo  per    la  medesima    ca^jioiìe ,  lo 
tirò  da  parte  «  e  ripresolo  aspramente  del- 
la  sua  stolta    impreca  ,  e  che  così  si    fusse 
lasciato  vincere  dalla  stizza  «  con  dirgli  co- 
me Nencio  o^ni  cosa    aveva    fatto  per  ht* 
ne ,  e  per  far  piacere  a  lui  ed  alle  doune^ 
e  che  egli  non  sve^a  a  far  niente  in  quel 
conio    con    la  Pipps  ,  e  che    di     questo  ne 
stesse  sopra  la  fede  sua  ,  perciocché  la  qua- 
resima passata  aveva    c<*nfessato    Cencio  ;  e 
mostratOijlì    poi  per  mille  ragioni    che  egli 
era  pazzo  ,  e  come  in  tutti  i  moli  ,  che  la 
cosa  riuscisse,  non  gliene  poteva  avvenire, 
se  non  male  ,  e  fece  tanto  nella    (ine ,  che 
lo  condusse  a  perdoaare  alb  Fip]>a  ,  ed  a 
€ar  pace  oon  Nencio ,  e  dipoi  entrato  dea* 


KOTELLl  X,  88l 

Ito  al  Vicario  j  coti  cui  ten^Ta   stretta  tio« 
mestichezza  9  operò  di    maniera  che  coloro 
farono  liceaziaii  «  e  d'accordo  se  a* andarono 
poi  al  la,  sua  Chiesa  a  star  tutta  la  sera.  M^ 
Beco  y  non  pi)teqdo  affatto  ingozzare  quella 
dormita ,   che  Neocio   ateva    fatto    con  là 
moglie  stava  anzi  che  no  in   grùgnetto  un 
poco;  onde    ser  Aaostino  per  quietare  la 
cosa ,  e  rappatumarìi    da    dover.-) ,  si    fece 
promettere  con  giuramento  da  Nencio^  ch« 
oome    egli    avesse  donila ,  che  Beco  avesse 
a  dormire  una  notte  fiReco  ^  ma  con  questo 
che   non    le  avesse  a  dir  nulla  ,    ma  sola-  , 
mente  per  poter  rispondere  alle   persone  » 
se  Nencio  dormi  con  "la  mia ,  e  io  ho  dor^ 
mito  con  la  sua  moglie  ^  e  cosi  verrebbe  a 
non    esser    vantaggio    tra  loro  ;  e  fatto   di 
nuovo  una  buona  paciotza  ^  lasciato  il  pre^ 
te  con  buon  anno  ,  se  n*  andarono  la  mat^ 
lina  9  ed  ognuno  se  ne  terno  a  casa  sua, 
e  per  fino  che  Beco  visse, Nencio  non  tolse 
mai  moglie ,  tenendo  per  fermo  che  la  sua 
non  dovesse  esser  meglio  della  Pippa. 

Con  grande  attenzione,  e  molte  risa 
.inascoltata  la  novella  d*  Giacinto,  la  quale 
fornita  ,  Amaranta ,  sorridendo  ,  prestameù- 
te  si  levò  in  piedi ,  e  chiamò  i  famigli  e 
le  fantesche,  e  fatto  in  un  tratto  accendere 
i  lumi,  se  ubando  con  le  donne  nelle  ca- 
mere di  sopra ,  ed  i  giovani  col  fratello  in 
quelle  da  basso  ;  e  poiché  alquanto  ebbe- 
ro badato  a  loro  comoditi  e  quelle^  e 
^i^^tsti  ne  vennero  allef^rissim!  ìi|  sala ,  dl<)- 


'  le  ^eoffg  trofaroM^ 
_,  m»  le  *t«aD(ie  mcae  io  p«» 
to,  «Bebé  prao  na  caldo,  e  bnieik 
^u  .  a  BÌKFO  a  tavola .  dove  Iìmumm 
cenarono,  e  poacta  levale  le  lon^.i 
Imcuio  •olaneoie  il  finocchio  e  il  rioo, 
n^oaaroao  per  baoa  pexxo  della  nu^im 
e  minore  beUcua  e  pàacevolcxza  deUf  no 
coaUlc  novelle,  e  poi  se  o*  antUnao  ij 
fuoco  taui  quanti  ripieot  di  gtoi*  e  dico» 
trnio.  E  poicbe  le  ouvelle  della  ngnent 
■ara  dntcvioo  esser  grandi.  orJhurour  d! 
cominciare  più  presto  uq  poco  ,  e  dim 
ctaqtic  la  Dotte  di  Bertiogaccio  ,  leglàn 
au  ^^eaxt  ,  e  andarsene  a  letto  pia  tari 
del  mIìI"  ;  e  le  donne  preso  coomuatA  dò 
giovani  ,  con  Amaranla  alle  loro  caaftt 
•e  n'andarooo  a  letto  ,  e  co&ì  fecero  i  gio- 
vani, perciocché  alcuni  rimasero  a  dormit 
<|ai*i,  e  alcuni  beoe  accompagaatì ,  tene 
torauraoo  aUe  Iftr  case. 


Fina  delia  seconda  Cena, 


DELX.A 


TERZA   GENA 


DI 


AJNTONFRANGESCO   GRAZZINt 
DETTO   IL  LASCA 


NOVELLA.   DECIMA    E   ULTIMA.. 


à 


TERZA  CENA. 

NOVELLA  X. 

E   ULTIMA. 

Lorenzo  vecchio  de  Medici  da  due  ùra^ 
vestiti  fa  condurre  maestro  Manente 
ubriaco  una  sera  dopo  cena  segreùamen» 
te  nel  suo  palagio  j  e  quivi ,  ed  altrove 
lo  tiene ,  senza  sapere  egli  dove  sia, 
lungo  tempo  al  bufo ,  JacendogU  por^^ 
tar  mancare  da  due  immascherati  i  do^ 
pò  per  via  del  Monaco  buffone  dà  a 
credere  aÙe  persone ,  lui  esser  morto 
di  peste  »  perciocché  ,  cavato  di  casa 
sua  un  mòrto ,  in  suo  scambio  lo  fa 
disòtterrare.  Il  Magnifico  poi  con  modo 
stravagante  manda  via  maestro  Manetta 
te ,  il  quale  finalmente ,  creduto  morto 
da  ognuno,  arriva  in  Firenze,  dove  la 
moglie,  pensando  che  fusse  C anima  sua, 
lo  caccia  via  come  se  fusse  lo  spirito  , 
e  dalla  gente  avuto  la  corsa ,  trotuB 
solo    Burchiello ,    che  lo  riconosce ,    e 

.  piatendo  prima  la  moglie  in  yesoovado, 
e  poi  agu  Otto ,  i  rimesso  la  causa  in 
Lorenzo,    il  quale ,  fatto  verUre  Nepo 

•    da  Galatrona ,  fa   veder    alle  persone 
ogni  cosa  essere  intervenuta  al  Medioo 

'  Lasca.  2$ 


•s- 


386  .  tniA  cwrA» 

pV.fQna  df*  incanU  ;  sicché  riavuta  ìa 
donna,,  maestra. Aianenie  piglia  per  sua 
^w^caéo  Sion  Cipriano. 


% 


E 


.jra  Giacmto  cenato  a  fiQe<  4ella 
.noreHa  ,  cbe  non  poco  aveva  rallegralo  « 
e  fatto  ridere  la  brigata^  qiiaodo  Amaran- 
ta ,  a  cui  solameute  rtsiava  il  carico  dd 
jrol<>re  novellate ,  vezzosamente  favellaodo, 
•prese  a.  dire,  lo  ,  leggiadrissime  faDCÌuile> 
e  voi  grfaziosìssimi  giovani,  intendo  eoa 
-una  mia  favola  di  raccontarvi  una  beffa  ^ 
la  qu'rile  ancorché  guidata  non  fosse  né 
dallo  Scheggia  ,  né  da  Zoroastro  «  nò  da 
niuno  de'  compagni^  credo  che  noe  vi 
dovtrà  parere  meo  bella  «  ne  meno  arttfi* 
ziosa,  che  nessun' altra  ^  che  da  noi  ia 
questa 9  o  in  altra  sera  rciccoutata  sia,  fat- 
ta dal  magnifico  Lorenzo  veichìo  de*  Me« 
dici  ad  un  medico  de*  più  prosuhiucsi  del 
mondo,  come  tosro  iuieudeiete  ;  niiiu  quale 
tanti  nu'^vi  acciJeuti  ii  leiveuncio ,  iMUti 
varj  casi  nacquero  ,  tanti  sfrani  avvfoi- 
mtTtti  occorselo,  che  se  mai  vi  maravii^lia* 
ate  e  radeste,  questa  \oita  vi  maiavigliereta 
e  riderete  ;  e  sugj^iuuse. 


NOTELLA    X.  «  ULTIVA.  307 

Xoreùzo  vecchio  de*  Medici ,  sema  che 
jiltro  ve'  ne  dica,  dovete  cerio  sapere ,  che 
di  quaQli  uomioi  eccellenlì ,  rioo  pure 
▼ìrtuosi ,  ma  amatori  e  premiatori  aelle 
▼irtù  furono  giammai  nel  mondo  gloriosi, 

S;Ii  fu  uno  veramente  t  e  forse  ii  primo, 
e*  tempi  suoi  dilnque  si  ritrovava  io  Fi- 
renze un  medico  chiamato  maestro  Ma- 
nente  dalla  Pieve  a  S.  Stefano,  fisico,  e  ce* 
rosico,  ma  più  per  pratica,  che  per  scien- 
sa  dotto,  uomo  nel  vero  piacevole  molto , 
•  faceto,  ma  tanto  insolente  e  presuntuoso^ 
die  non  si  poteva  seco  ;  e  tra  V  altre  cose 
fili  piaceva  straordinariamente  il  vino ,  • 
uqeva  professione  d' intendersene  e  di  be- 
•'vitore,  e  S|iesse  volte,  seuz*  essere  invitato^ 
•e  n*  andava  a  desinare  e  a  cena  col  Ma* 
gnifico,  a  cui  era  venuto  per  la  sua  im- 
pronlitudine  e  insoleusa  tanto  in  fastidio 
e  noja ,  che  non  poteva  patire  di  vederlo^ 
e  seco  stesso  deliberato  aveva  di  fargli  una 
JbefFa  rilevata  in  modo  ,  che  egli  per  un 
pezzo  non  avesse  ,  e  forse  mai  più  a  car 
pitargli  innanzi.  E  tra  Tallre  una  sera,  aven- 
do inteso  come  il  detto  maestro  Manente 
aveva  tanto  bevuto  nelF  osteria  delie  Ber- 
tucce ,  ohe  egli  si  era  imbriaca to  di  sorte^ 
the  egli  non  si  reggeva  in  piedi ,  sicché 
V.  oste  volendo  serrare  la  bottega  ,  V  aveva 
fatto  portare  dai  garzoni  fuori  di  peso , 
avendolo  i  compagni  abbandonato ,  e  pò- 
aiolo  su  UQ  pancone  di  quelle  botteghe 
da  S.  Martino ,   dove    egli    si   era   addor« 


388  TtRJi     CENA. 

ttunfàto;  di  maniera  che  oon  l' arebbooo 
desto  I«  bombarde,  riissoodu*  che  paren 
UD  ghiro,  gli  parTe  tempo  accomodali»- 
Simo  alla  saa  voglia.  E  latto  le  viste  di 
non  avere  inteso  colui ,  cbe  ne  ragionava, 
mostrò  di  avere  altra  faccendaj  e  èngeodo 
di  volere  andarsene  a  letto ,  perchè  era 
pure  assai  ben  tardi ,  ed  egli  dormeado 
poco  per  natura ,  era  sempre  mai  mena 
notte  ,  prima  cV  ei  se  n'andasse  a  ripo- 
sare ,  e  fatto  segretamente  chiamare  aae 
cuoi  fìdaiiuimi  staffieri,  impose  toro  quel- 
lo avessero  a  fare,  i  quali  uscendo  di  pa- 
laEso  impappaficati  e  sconownuti,' «w-a»> 
éaroDO  per  commiasioDe  di  Loremo  iU'Bi 
Martino^  dove  nella  guisa  sopraddetta.:  ta<0> 
Tarono  maestro  Manente  addormentalo^ 
sicché  presolo,  perciocché  osi  erano  ga^ 
{jliardi  e  baliosi ,  Io  posarono  ritto  in  ter» 
ra  t  e  imbavagliaronlo  ,  e  qaasi  4i  .  pcia 
portandolo,  canmìnarono  con  essa  «sai 
Il  medte^'  cotto  non  meno  dal-aonao  lim 
dal  Tino,  sentendosi  menar  vìa,  penta  4i 
eerto  che  fossero  i  ganani  deiroate»-  q 
•noi  compagni  o  amici,  che  lo  conduce» 
•ero  a  f»sa,  e  cosi  dormiglioso  ed  èUwo 
quanto  mai  potesse  essere  un  uomo,  h  la* 
sciava  guidare  dove  a  coloro  Teniva'  bea*} 
i.  quali  aggiratisi  nn  pezzo  per  Ficmae^ 
vltimamente  arrivati  al  palazzo  de'  Mediai 

Soardato  di  non  esser  veduti,' per   l'nacM 
ì  dietro  entraroqo  nel  cortile,    dove  li» 
TtroBO  ti  Magnifico  tutto  solo,  che  gli  afe 


lendetft  mq  allegrezza  inestimabile  :  ^  aaliu 
iBSieine  le  prime  scale,  io  una  aofBtta  ii^ 
aiexsD  la  casa  entrarono^  e  indi  io  camera 
aegrelissimA  »  dove  sopra  un  letta  sprimao« 
oialo  posto  maestro  Manente  per  commis* 
iioBe  di  Lorenza,   così   turati»  lo  spoglia- 
Booo  in  camicia,  che  a  mala  pena -sentito 
aveva,  ed  era  stato  quasi  come  avere  spo» 
dSato  un  morto  f  e  portati,  via  tutti  quanti 
i^^auoi  pannr ,  lo  lasciarono  là  entro  serra*' 
to  molto   bene.    11    Magnifico   avendo   di 
«novo  comandato,  cbe  tacessero,  e  ripostor 
}  panni  del  medico,  eli  mandò  subitamen«t 
le  la  casa  il  Monaco  buffone,  il  quale  me*» 
1^    che  altro   uomo   del  -  mondo    sapev» 
oontraflare  tutte  le  persone  alla  favella,  il 
onalC'  lesto  comparso  alla  sua  presenza,  fu 
oa*  Lorenzo  menato  in  camera,  e  licenzia* 
to  gli  staffieri ,  che  se  n*  andarono  a  doi^ 
mire^  mostrò  al  Monaco  quanto  deriderava 
che  facesse ,    ed   andossene   tutto   lieto   a 
letto.  Il  Monaco,    tolto  tutti   i   panhi  dek 
maestro,  se  ne  tornò  segretamente  a  casa, 
e  spogliato  i  snoi,  se  ne  vesti  tutto  quan-^ 
to*  da  capo  a  piedi,  e  uscitosi  di  casa,  sen« 
la  dire  nulla  a  persona ,  se  ne  andò ,  che 
già  suonava    mattutino    per    tutto ,  a  casa 
maestro  Manente ,    che    stava  allora  nella 
TÌa  de*  fossi  ;  e  perchè    gK  era  di  Settem« 
bre,  aveva  la  brigata  in  villa  nel  MugeUop 
eioè  la  moglie,  un  figliuoletto  e  la  serva,  ed 
egli  si  Slava  in^^Firenze   solo,  né  si  tornai 


3gO  TERZA.    CEN4,. 

T»  io  casa  SII  non  a  dormire,  tnangMafo 
sempre  alla  taverna  con  i  com^ìagQi  e  iti 
CRsa  ^li  amici  ;  sì  che  i)  Monaco  Testilo 
de'  suoi  panili,  avendo  la  scarsella,  e  deiw 
trovi  U  rhiave.  aperse  agevolmenle,  e  ser- 
ralo molto  bene  1*  u6cio ,  allfgnssimo  dì 
far  la  veglia  dv^l  MagniGco,  e  insieme  di 
burlare  il  rofiVir.ci,  se  ne  andò  a  letto,  VcD- 
oe  intanto  il  giorno,  ed  il  Monaco,  poi* 
chò  egli  s' ebbe  dormilo  sino  a  lem  y  si 
levò  a  Teslirsì  i  panni  del  maestro,  tt 
messe  nna  zimarraccia  sopra  il  giubbooCf 
e  uo  cappellaccio  iu  capo,  e  conlrafTacea- 
do  la  voce  del  medico,  chiamò  dalla  6oe- 
stra  della  corte  una  sua  vicina  ,  dicendo 
rbe  si  seoitva  un  poco  dì  mala  voglia,  e 
cbe  gli  doleva  un  poco  la  gola,  la  quale 
a  bella  posta  si  aveva  fasciata  con  stoppa 
e  lana  succida.  Era  all'  ora  in  Fireaze 
sospetliccio  di  peste,  e  se  ne  erano  scoper- 
te ili  quei  giorni  alcune  case,  per  la  qual 
crsa  ci'Iei  dubituudone,  lo  domaruò  quello 
che  egli  voleva.  Il  Monaco,  chiestole  uoa 
Coppia  d'  uova  fresche,  e  un  pò*  di  fuoco, 
se  le  raccomandò,  e  6pigen>lo  colle  parole 
e  con  gli  atti  di  non  si  poter  reggere  piiì 
ritto,  si  levò  dilla  finestra.  Quella  buona 
dtmna ,  trovato  l'uova  e  il  fuoco,  gli  fece 
inlenderé,  cbiamattil<i  più  volte,  che  gliene 
poserebbe  in  su  l' uscio  da  via  ,  e  che 
egli  si  auilasse  per  esse  ,  e  cosi  fece.  Gi- 
]ui  lieto,  come  fut-se  maestro  Maiieute,'w 
ne  veane  air  uscio  eoo  quella  zimarraccia^ 


NOYEfXÀ    X.    F.    ULTIMA..  3vjt 

e  con  quel  cappellone  di  ccilui  14  su  gli 
cfcchi  «  e  preso  le  uoTà  e  il  fuoco  se  ne 
tornò  in  caMi,  che  pareva  che  non  potesse 
piò  reggere  la  persona,  tatto  avendo  Cei- 
•dato  la  gola  ;  per  il  che  invero  quasi  tat* 
ti'  i  Ticini,  e  tutti  dolorosi^  pensarono  che 
^;K  dovesse  avere  il  gavocciolo.  La  voce 
fubitameote  si  sparse  per  la  città;  onde' 
un  fratello  della  moglie  di  maestro  Ma-  ' 
nente,  che  era  orafo,  chiamato  Niccolao; 
ne  venne  volando  per  intendere  come  an« 
desse  il  fatto,  e  picchiato  alF  uscio  e  ripic- 
cluato,  non  gli  era  mai  stato  risposto, 
perciocché  il  Monaco  faceva  formica  di 
iorbo;  ma  la  vicinanza  gli  diceva  come 
eenca  dubbio  il  medico  era  appestato.  Ma 
iti  su  queir  ora,  che  non  pareira  suo  fatto 
appunto  vi  passò  Lorenzo  a  cavallo  in  com* 
pagnia  di  molti  gentiluomini^  e  veduto  ivi^ 
Mgunata  di  gente,  domandò  ciò  che  vo- 
leste dire.  Allora  gli  rispose  V  orafo,  come 
si  dubitava  forte ,  che  maestro  Manente 
non  fosse  in  pericolo  di  peste,  e  narrogli 
per  ordine  ciò  che  insino  allora  seguito 
fusse.  11  Magnifico  disse  che  egli  era  bene 
mettervi  chicchessia ,  che  lo  governasse,  e 
a  nicccolao  fece  intendere ,  che  da  sua 
parte  andasse  a  S.  Maria  Nuova ,  e  fa* 
cessesi  dare  a  messere  un  servigiale  pra-  * 
lieo  e  sufficiente  ;  onde  Y  orafo  si  parti  ' 
volando ,  e  fatto  olio  Spedalingo  V  imba* 
sciata ,  ebbe  un  serrigiale  ,  che  Lorenza 
aveva  indettato,  e  informato  di  quanto  far 


àùièmeré  afTpanto  ^wam^  qIm  ilÌf«gBH 
ieo  Ixirraaot  diita  qm  •gmiTolta»  ^^  «qp*» 
'tafi  «al  *cant»  di  borgo  OKaìHMilt ,  9Ì>^ 
ttfftloato  ella  Tolta  loro  »  fioM    di  «  fiùo  '  i 
patti  con  quel  Mrrigialet  raoooniaadwido- 
gli  oaldameote  maertra  BlaiìQiilei  e  dilallo 
MI  fece  enlraro  in  oai« «  a?éido  httoapri 
M  Yimeiù  a  ìio  Bafpaanok  Laonde  oolw 
to  iriqnanto ,  si  fecò  alla  finestra,'  «^ 
oama  il  medico  ateva  lidia  xgola  v&  ^p- 
Toedelo  come  nna  Peiciif   e  cke  e^ 
si  |iote¥fi  maòipere' dì  sul  letto,  dove  _ 
ceva  mezzo  morto ,  ma  che  non  mancareb- 
be  d^aj alarlo;  onde  Lorenzo  dato  oanunit" 
sione  airorafo,  che  conducesse  damangipe 
re  per  lui,  e  per  rammalato,  e  (allo  meU 
tere  alFusoio  la  banda,  se  n*  andò   al .  sua 
viaggio  9  mostrando  alle  parole    e  ai  gesti , 
che  molto  gliene  increscesse.  E  il  serngia- 
1e  se  ne  tom&  al    Monaco  «    che    ridendo 
impazTUTa  delPallegrezza ,  e  avendo  dallVura- 
h  avuta  roba  in  chiocca ,  e  in  casa  a^en- 
do  trovata  carne  secca,  spillarono  una  bot« 
ticina ,  che  vi  era  di  buon  Tino,  e  per  la 
aera  fecero  un  fianco  da  papi.   In   questo 
mentre  maestro  Manente    avendo  dormito 
una  notte  e  un  dì,  si  era  desto   e    trota- 
tosi  nel  letto  e  al  bujo^  non  sapeva  ifauaa- 
S inarsi  dove  egli  si  fosse  o  in  casa  sua^o 
*altri,  e  seco  medesimo  pensando  sì  rìcor* 
dava,  come  nelle  Bertucce  aveva    ultima- 
mente  bevuto  con  Burchiello,    col   Succia 
e  tioi  Biondo  sensale,  e  dipoi  essendosi  ad- 


V    * 


doriMiitela»  gli  fMreTa  essere  stato.,  mena* 
te»  A  essa  saa;  pero  gettatosi  del;  letto  co- 
di tea  tooì,  se  tfe  andò  dove  egli  pensava 
Akò  fosse  una. finestra;  ma  noo  la  trovali* 
doìD^^vA  dava  brancolando  alla  cerca^  ia.n* 
tùi  ehe  gli  Tenue  trovato  uo  uscio  del  oe- 
QBMiVio  :  s\  ohe  quivi  orino,  perchè  neaY^jra 
bisogno  grandissimo ,  e  fece  può  agto^  e  rag* 
girandosi  per  la  camera  »  se  ne  tornò  fi-. 
wdmente  a  letto  pauroso  e  pieno  di  strana- 
maraTiglia,  non.  sapendo  egli  stesso  io  qc^d 
■ondo  si  fosse  ;  e  seco  medesimo,  rianda- 
ta- tvtle  le  cose ,  che  gli  erano  iotervenu- 
!•;  ma  cominciandogli  a  venir  Csme^  fa 
^à;  Tolte  tentato  di  chiamare;  pur  poi  d^- 
la  .paura  ritenuto  si  taceva ,  aspettando  quel 
abe  seguir  dovesse  dei  fatti  suoi.  Lorenzo 
in  questo  mentre  aveva  ordinato  ciò.  cher 
di  fare  iuteudeva,  e  segretamente  i  dua 
staffieri  travestiti  con  due  abiti  da  frati  di 
quei  bianchi  infine  in  terra ,  e  in  testa  mes« 
«0  un  capone  per  uno ,  di  quelli  della  via 
de*  Servi,  che  par  che  ridioo,  il  quale  da* 
Ta  loro  infino  in  su  le  spalle,  cavati  eoa 
le  vesti  da*  frati  di  guardaroba,  dove  era- 
no infiniti  altri  di  più  varie  sorti ,  e  cosi 
delle  maschere  ancora,  che  avevano  servito 
per.  le  feste  del  carnesciale ,  e  Tuno  ave- 
Ta  una  spada  ignuda  dalla  mano  destra, 
»■  e  dalla  sinistra  una  gran  torcia  bianca  ac- 
cesa; e  Valtro  portato  aveva  seco  duoi  fia* 
aobi  di  buon  vino,  e  in    una    lovagliuola 


3^4  TtMk  cnnKt 

riiivoUe  àne  coppie  dì  pitae,  e  doe  ffvà 
Capponi  freddi,  e  oa  pezzo  di  TÌldl<t«n» 
Un  e  frutte,  secondo  clic  richiederà  là  a 
eione,  e  fececili  HnjAr  chetainente  alla  ca- 
mera, nella  quale  età  rinchtaso  il  Me£> 
co.  I  quali,  perciocché  la  della  ramert  i 
serrata  di  fuon,  torc^rono  fariountfolc 
ua  chìaTÌtle)1o,  ed  Rpersero  in  ud  IraHo, 
ed  entrali  denlro  ,  ri«errarono  l'aicìoil* 
bilamenle,  e  qutl  della  spaJa  e  della  M^ 
eia  5*  arrecò  rnsenle  la  porta,  acciò  cbe  I 
Dedico  non  fos^econo  li  per  aprire.  Com 
maestro  Manenle  .tenti  toccar  1  uscio,  e  £■ 
menare  il  l'IiìnvisteDo,  m  riscnsstr  tultoqiua- 
to ,  e  rizxossi  a  sedere  iu  sul  letto;  ma  (d- 
sto  rlie  e;^ti  vide  coloro  deatro  cesi  ttra- 
Damente  vestiti,  e  a  l'ano  rilucer  la  tp* 
da,  fu  da  tanta  nunraviglia  e  paura  sopnp> 
prcMì,  rbe  ci  volle  gridare  ,  e  morirli  It 
parola  in  bncca ,  e  attonito  e  pieoo  ditta* 

Sore,  temendo  fortemente  della  vita,  ntteii' 
p»a  quello  ciie  dovesse  avvenire  di  lui; 
quando  e;;Ii  \ide  1' aUro,  che  aveva  la  ro- 
ba da  mangiare,  distender  quella  tova* 
gliuola  sopra  un  desco,  che  era  d  rìnpet* 
to  al  Ietto,  e  dipoi  porvi  suso  il  pine,  la 
carne,  il  vino,  cosi  i  liasclu  e  lune  l'al- 
tre cote  da  toccar  col  dente  ,  e  accennar-' 
'li  che  andasse  a  mangiare.  Laoude  il  me* 
lieo,  che  vedeva  la  fame  nell'aria,  sì  rìt^ 
zò  ritto,  e  così  come  era  io  camicia  e  scal' 
zo,  s'avviò  iu  verso  le,  vivande  ;  mm  colai' 
mostratogli  un  palandrano  ,  e .  uà  pajo  di 


3' 


KOTlLtÀ  X..  B  ULTIMA.  3qS 

]mvéHe ,  che  erano  io  su  uno  Id  laccio  y 
fece  con  cenni  tanto^  che  maestro  Manen-" 
le  si  mise- 1*  uno  e  T  altro  «  e  c^miociò  a 
BMin^are  con  la  maggior  voglia  del  mon- 
do. Allora  coloro»  aperto  Tasoio  n*uh  ba- 
leno «  s*  uscirono  di  camera»  e  serratolo 
dentro  a  chiavistello»  lo  lasciarono  sansa': 
lume,  e  se  ne  andarono  a  spogliarsi  e  a 
■agguagliare  •  il  MaguiBco.  Maestro  .Ma- 
Bente,  trovata  la  bgcca  al  bujo,  con  quei» 
eapponi  e  con  quella  vitella ,  e  beendo  al 
fiasco»  alzò  il  fianco  miraaolosamente»  fra*, 
se  dicendo:  Tatto  il  mal  non  si  sarà  mio; 
or  sia  che. vuole»  io  so  che  s*io  ho  a  mo- 
rire» che  io  morrò  oggimai  a  corpo  pie-, 
no;  e  rassettato  cosi  il  meglio  che  egli  po- 
tette le  reliquie  avanzate  »  le  rinvolse  iu 
quella  lovagliuola  »  e  tornossené  al  letto  ». 
parendogli  strano  lo  essere  qui  solo  a]  hujo»^ 
e  non  sapere  dove,  uè  come  nò  da  cui. 
vi  fosse  stato  condotto»  né  quando  se  ne 
avesse  a  uscire;  pure  ricordandosi  di  quei; 
caponi  di  caraesciale  »  che  ridevano  »  ride* 
va  ancb*  egli  fra  se  stesso»  piacendogli 
molto  la  buona  provvisione»  e  sopra  totto^ 
il  vino  lodava  assai,  avendone  bevuto  pò* 
co  men  d*  un  fiasco  ;  e  sperando  ferma- 
mente queste  cose  dovergli  esser  fatte  dai 
suoi  amici,  teneva  per  certo  di  tosto  aver 

3 aindi  a  uscire ,  e  ritornarsene  al  mon- 
o;  e  cosi  con  questi  dolci  pensieri  si  ad- 
dormentò La  mattina  per  tempo  il  servi- 
fiale  fattosi  alia  finestra  ».  disse   pubblica- 


»         '4 


Slmile  H  niistro  Venr  riposato  f  Domodan 
aao&te»  ne  Vbe  il .  ga^caoiola .  iraoHa)  ìmuiiMÌ|r 
#.  Ae  «gli  t  aftttandalo  «mi  le  larioaliiB^  Vain 
Wfa  -biiòiia  ^aparaiiEa.  Vaniita  la  tankii  .)il> 
Mugnìfico  per.  teguilar  la  beffai»  éémdmut:^ 
gli" porle  fedlianiBa  .oceasione ,. <e  molla. di* 
propoaitOv  fece  toleodere  al  Monaep •  ia f «li 
aemgiide  quel  latito*  che  far  :  ioireiieio^» 
0  ^eilo  fof  die  il  gioraoàai  aa  la.-lanib 
«n  cottooot  cbe  «i  ohtimava^  il  Granaio»*! 
aioo,  maneg^do^  e  eorrendo  os  cml^ 

10  in  tu  la.  piftzia  dì  S.  Maria  Notella  ^ 
Tenne  a  aadere  con  esso  insieme  ^  e  come» 
ai  andasse  il  fallo,  egli  ruppe  il  'CoUo  »  e 
il  caTallo  non  si  fece  male  alcuno.  Onde 
le  persone  correndo  là  per  ajutarlo  a  risf*. 
aare,  trovai^ono  che  egli  oon  aveva  8enli:«« 
sento  ;  perciò  presolo  di  peso  ,  :  lo  portai 
rono  li  presso  nello  spedale  di  S.  Paiolo  f 
e  spogliatolo  per  vedere  di  rinvenirlo it  1^ 
trovarono  morto»  e  dinoccolato  il  collo,  Pe» 
la  qual  cosa»  fatto  danari  di  quei  ipocht» 
panni  che  egli  aveva  addosso,  alcuni  suoi 
amici,  per  lo  essere  forestiere»  ai- frati  dt 
S*  Maria  Novella  dopo  il  vespro  lo  lecerai 
sotterrare  »  che  ner  sorte  lo  messere  in  uà 
di  quelli  avelli  tuori  io  su  le  scale  dirìm« 
petto  alla   porta    principale    della   Chiesa*; 

11  Monaco  e  il  compagno  avendo  inteso 
r  animo  di  Lorenzo»  la  sera  in  su  l*Ave« 
maria  si  fece  il  servigiale  .  gridando  aHap 
finestra»  con  dire  che  al  medico  :era  im^ 


BMl*  nm  aoddeste.  di  m%mtm  gMm,  mm 
^^  ne  doi^tani^  e  dm  futi  4^vo€cHto  gli 
•few  d  tirétto  1»  gola  ^  ohe  ei  non  poie* 
TA'  a  male  pena  raccoire  TaUtot  i;eon  che 
favellare»  Per  la  qaal  cosa  cCMuteareodQ 
qaWi  il  cogitalo^  Yoiea  pur  dirgli  lare  lev 
etamento  «  ma  il  aerTigMe  jgU  «diite:  ch^ 
per  ailofta  non  tì  era  ordine;  e  cosi  restai 
rotro' :d'accòrdo>  che  la  mattina  aeDiendosi 
egli 'da  ciò  «  di  fargli  £ir  testamenlo«  con* 
fenarlo.  e  oomunicaMo^  Venne  intanto  Li 
noUe ,  e  come  furono  passati  i  due  t^rzi.  # 
e  i'dnò  staffieri  andatisene  segretamente 
per  commissione  del  Magnifico  in  sul  ci* 
miterio  di  S.  Maria  Noyella,  di  quella^ 
asrello»  nel  qnale  era  stato  sotterrato  il 
giorno  ,  caYarono  il  Franciosino  »  e  hya^ 
teselo*  in  ispalia ,  lo  portarono  nella  ?ie 
de?  fossi  a  casa  maestro  Manente  ;  e  il 
Monaco  e  il  senrigiale  ».  che  aspettavano 
tAY  uscio,  lo  pi*esero  chetamente  e  lo  mi- 
aero  dentro  ;  e  gli  staffieri  se  ne  andaror? 
no ,  non  sendo  stati  veduti  da  personat 
U)  Monaco  e  il  servigiale  fsAto  un  grai:! 
fuoco 9  e  bevuto  molto  bene,  fecero  a  co^ 
kii.  morto  una  veste  d'  un  bel  lenzuolo 
muovo  9  e  fasciatogli  la  gola  con  stoppa 
«nta  j  e  fattogli  eoo  le  battiture  il  volto 
enfiato  e  livido  ^  lo  acconciarono  disteso 
aopra  una  tavola  nel  mezzo  del  terreno  ; 
messogli  un  berrettone  io  testa  »  che  so- 
leva  portare  le  pasque  maestro  Manente , 
e  copertolo  tutto  di  XogUe  di  mdaraooioj 


I       8(j8  TERHA      CEtiA. 

te  ne  andarono  a  durmire.  Ma  non  sito' 
Ao  f<i  venuro  il  giornu  ,  che  il  servìgiale 
pi^ingendo  fece  ìotemlere  al  viciualo  ,  e  a 
Cbi  passava  per  la  via,  come  miiestro  Ma- 
oeole  ìd  sul  l'are  del  di  era  pnssato  da 
questa  vita  presente  ;  si  che  in  un  trailo 
ti  spars»  per  Fireuze  la  vnce  ;  onde  l'ora- 
fo avei<dolo  iutesn ,  corse  la  subito,  e  dal 
^rvtgiale  seppe  partìcolarroeule  11  tutto. 
E  perche  non  vi  era  altro  rimedio,  con- 
sulttti'onp  di  fnrlo  la  sera  sotterrare;  e  co- 
li l'orerò  lo  fece  Inlcndere  agli  ufììziali 
delia  Gfiniià  ,  e  restarono  per  ìe  ventitré 
ot-e ,  avendolo  aur-o  fatto  sapere  ai  frati 
di  S.  Maria  N<>r«]la,  e  ai  preti  di  S.  Pa- 
gblo,  tanto  che  al  tempO' deputato  fu  o> 
gnuao  a  ordine.  E  i  becchiui  desìi  mb- 
Korbati,  polche  i  frati  e  i  preti  del  popò- 
lo  furono  passati ,  loDlaoi  un  buca  peico 
Mf(UÌtaodo  dietro ,  di    casa    e    dt    terreao 

5 resono  il  FraociosÌDO  cozzooe  in  camlMa 
i  maestro  Manente  medico ,  stimaiMMo' 
lui  iudubitatameote,  e  così  da  ciaicimo 
che  lo  Tide  fu  teouto»  parendo  bene  a  tut- 
ti quanti  trak6suralo  ;  ma  ciò  pensavano 
che  cagionato  tosse  dalla  malattia,  dieea- 
do  l'un  l'altro.*  Guarda  come  egli  è  chiax- 
Eato;  so  dir,  che  egli  è  stato  del  fino;  e 
co^l  senza  entrare  in  chiraa  ,  dove  i  frati 
e  i  preti,  cautando  ancora,  facevano  la 
solile  cerimonie,  ne)  primo  avello  che  tro- 
varono sopra  le  scale,  Io  gittarone  a  capo 
iuaaozi,  e  riserratolo^  se  ne  andarono  aU«: 


X 


•f 


'  mmA&A.'  X.  B  ULTIMA.  399 

lor#  fSM)eedilci'  8t*ti  TeJuti  da  mille  perso- 
BT,  ohe^larandosi  il  na^o^  e  fiutanao  chi 
•celo ,  è  ohi  fiori  ^  erbe  »  eraoo  -  stati  di 
loaUno  a  riguardarfl  V  esequie  di  maestro 
Blamente  9  or  edato  lui  feramente  dà  eia- 
aeqno,  E  fu  loro  agevole  a  coatraf&rlo  ^ 
perciocché  allora  tutti  gli  uomini  andaTa--* 
no  rasi  ;  e  poi  il  vederlo  uscir  di  casa  sua^ 
e  ,000  quel  berretloue  che  gli  eopriva  mez**. 
M  il  vì^o»  noQ  oe  fece  duoiiare  a  perso* 
ne.  L*  orafo,  poi  che  il  morto  fu  uscito  di 
casa  e  sotterrato ,  raccomandò  la  casa  e  la< 
roba  al  serfigiale,  e  partissi  per  mandarali. 
4e  cena  e  dei  buono,  affine  che  con  più* 
diligenza*  e  amore  facesse  il  debito ,  e  co- 
A  mandò  «uno  a  posta  alla  sorella  ^  che  le 
dicesse,  che  non  venisse  altrimenti  a  Fii) 
reuse,  perchè  il  marito  era  di  sia  morto, 
e  sotterrato  «  e  che  lasciasse  a  lui  il  pen^ 
siero  e  la  cura  della  casa,  e  di  quello  che 
vi  era  dentro;  e  che  dandosi  pace  atten- 
desse a  vivere  allegramente^  allevando  eoa 
affezione  quel  suo  pìccolo  figliuolino.  Yen- 
ne  la  notte,  ed  il  Monaco,  poiché  egli  eh* 
be  cenato  molto  bene,  avendo  cura  di  non 
esser  vtduto,  lasciò  solo  il  servi^iale,  e 
andossene  cbelamente  a  casa  sua ,  ed  ii 
giorno  poi  trovato  Lorenzo ,  ridendo  in* 
ai^me  della  beffa  ,  rhe  succedeva  miracor 
lesamente^  ordinarono  tutto  quello  che  fdr* 
si  dovesse  per  recarla  a  (iue.  E  c<.*si  pas- 
sati quattro  o  sei  giorni ,  non  sendo  però 
mancato  di  iar  portare  da  mangiare  gras- 


•m 


400  TERZA.    CERi. 

samente  fcl  tne<1ìoo  sera  e  mattina  da  quei 
due  traveslitì  con  quei  duH  caponi  ,  che 
rirlerano  nel  modo  medesimo  della  pricn« 
volta  ;  uaa  mattina  quadro  ore  ìouann 
giorno  per  commessiooe  del  MagTii6co  fa 
aperta  la  camera  da  que*  due  caponi  ,  e 
fatto  lerare  il  medico  ,  cosi  accenuaaJo- 
lo ,  gli  fecero  vestire  uoa  camiuiuola  di 
suguantoDe  rossole  così  uu  paj'i  dì  calzoni 
luQgb)  alla  marinaresca  del  medesimo  pan* 
no  e  messogli  un  cappelletto  in  lesta  alla 
greca,  gli  cacciarono  le  manette,  e  gittatogli 
quel  palaniiauo  in  capo  ,  e  ravviluppato- 
glielo in  moiu,  che  veder  non  patera  lU' 
me,  lo  cavarono  di  quella  camerale  gui- 
dàroak)  nel  cortile,  tanto  doloroio  e^  [ri<^ 
liei  di  paura,  che  egli  tremava  di  mAaìar*^ 
che  pareva  che  gli  pigltaiue  la  quértanit  4 
così  alzatolo  di  peso  ,  lo  misera  in  uni  Iw) 
lì{;&,  la  quale  portavano  due  muli  gagtlarétt* 
limi,  e  serratola  molto  bene,  in  gaisa  ohv  «U 
dentro  aprir  non  si  potesse  ,  lo  avvtaroao 
in  verso  la  porla  alla  Croce,  gnidmdok  i 
due  staffieri  vestiti  con  i  panni  ordiaÉri  « 
allo  arrivò  de*  quali  ella  fu  snbito  tiperui». 
ik  che  camminarono  via  ati^rameole.  Ma«^ 
,  itro  Maue'ite  sentendosi  portare,  e  nott 
sapendo  né  da  chi ,  né  dove ,  stara  pa»- 
TOSO  e  pieno  di    meraviglia;    ma    udsode 

Soì ,  facendosi  giorno ,  le  voci  dei  coolft- 
ini  e  il  calpestio  delle  bestie ,  dubitava 
di  non  sognare  ;  pure  ìug^nàodosi  dì  txt 
foaoil  cuore  »  confortava  se  stesso.  Coloro  4 


ROTELLA.   X.   K   ULTIMA.  40X 

MBza  favellar  mai,  che    seatir^ll   potesse* 
•ttesero   a    cammiuaTe ,    e    cosi    aveoiione 
portalo ,   andando  ei  ritti  ,    quando    parve 
lor  tempo ,  fecero  edizione  ,    tanto  che  ia 
su  la  meizik  notte  arrivarono    appunto  al- 
l'Ermo  di  Camnidoli,  dove  dal  guardiano^ 
che  slava    alla  .porla  ,    lietamente  ricevuti 
furono  ,  e  di  fatto    misero    dentrà    la  let- 
tiga 9    e    adagiarono  i  muli  ;   poi  dal  frate 
furono  menali  per    la  sua  camera    in:  uùa 
aoticamerctta ,  e  d' indi  d*  uno  scrìttojo  ia 
QQ  saiottiiio  ,  dove  il  guardiano  aveva*  fat- 
to   rimurare    la    finestra ,    e    mettere    uà 
letticciuolo  9  e  una    tavoletta    con  uu  des- 
chetto.   Eravi    per   sorte  '  il    cammino  e  il 
necessario ,  e  riusciva  questa    stanzetta  so- 
pra   una    ripa    profondissima,  e    diserta  « 
dove  non    capitavano  mai    uè    uomini  ,  nò 
animali,  posta  nella  più  remota  parte  del 
convento;  si  che  di  quivi  non  si  sentiva  mai 
romore  «    se  »ou   di  venti    e  di  tuoni ,    e 
qualche  campauelta    suonare    V  Avemaria  , 
o  a  Messa  ,  e  chiamare    i  frati    a  desinare 
o  a    cena  ;    giudicato    dalli    staffieri    luogo 
accomodatissimo.    Si    che    di    fatto   andati 
nella  foresteria  ,    dove   lasciato  avevano  la 
lettiga  9    colui    retrassero    me/.zo   morto  di 
fame  e  di  sete«  senza  il  disagio    e  la  pau- 
ra 4   di  sorte  che  appena  si  reggeva    in  Si\ 
le  gambe;  e  ravviluppatogli  il  capo,  quasi 
di  ptrso    lo  condussero  in    quel  salotto  ,  e 
postolo    sopra    il   letto    a    sedere ,  non  gli 
uvendo  ancor  cavato  le  manette»  lo  lascia- 
Lasca.  26 


4#;^  TBMA  esiiA. 

nimé  ftttre,  ì^^aèiiiii  di  qdraHIiVM  «e  aii<r 
d^«i^o''ih  àmen  dèi  gnai^iadò;  dòte '^jl^ 
wàù  c<teafldamkflta  imiterò  àaÙlé^dàe  6  '  ^ 
Vl^  «  aècioecbA  ▼ètteòdo  ^  iéàpitnlr  Htti 
•Aro  qàel  tenia  t' ìcM  '^li  aTéBièro'  a  li 
afeli  MTCrUare,  e  dar  màogiara  a  ttia«iì^ 
Tlf^jOTtitr  ,   non  ortante  '  ch^  dal  Ifaj^fiSo^ 
iie  ateiaero  aTatò  pàriicolanieirié  '  ìivvii^ 
Gli  ètafBari  intanto  si  eranò>ÌÌtiti  di  aW 
ti;  the  portati  *  arèrano   ooii  '^^hiSmì  ci^ 
poni  da  ridere^  con  la  s|Mda  é'ooli  W  l|l^ 
e$i  f  é  'finalménte  neir  iileistf    mòdo ,  ^^ 
iCibéTanb  aRrenafe  >   al  mèdico  pórià 
da  mangiare    aoa    grossa    cena    che    fatto 
areta    apparecchiare   il   frate.  Sabito    cba* 
niaestro  Manente  ride    apparire  quei  dna 
caponi   nella   solita  guisa  ,   si  rallegrS  tut- 
to  quanto  ;   e  quelli  delta  rivande ,  '  lostd 
die  egli  r  ebbe  distese  in   sa  là  tarolellà  • 
andò   alla    volta  sua ,    e  carogli  le  ma Aèt- 
t$j  accennandolo  che  andasse  a  far  Pusan- 
za.  Maestro  Manente    affamato   e    assetalo 
ai  calò  9  che  i>arve  un    marangone  «    man- 

e'ando  e  bevendo  a  pi&  potere.  Allóra  co* 
ro«  aperto*  V  uscio,  se  ne  uscirono  in  nn 
ttatto  ,    e    lasciaroolo   al    bujo.  I  conrersf 

Sr  veder  bene  ogni  cosa  se  n*  erano  an<* 
ti  sul  palco  di  sopra ,  e  levatone  un  mat? 
tòne  pian  piano,  e  per  quella  fessura  ave^ 
^àno  veduto  laggiuso  ogni  cosa  minuta- 
mente ,  e  venutine  ove  erano  gli  stafEeri  V 
che  sì  spogliavano,  da  loro  ebbojo  gli  ala- 
ti  e  tutte  le  altre  bazziche ',    e  dipoi  man- 


NOTI LLA.   X.  K  17LTtMJk.  4»$ 

§iato    aìquaoto   e   rinfrescati  r  seiid»  tulti 

aliatiti  straocbi  e  soniiacchiosi  »    fi?  n®,  and- 
arono a  riposare*  La   maltina  ,    non  per^ 
troppo  a  buoootta  levatisi ,  gli  staffieri  fé* 
€Ìono  colizione  ,   e    ricordalo  al  guardiano 
e  ai  conversi ,  che  tenessero  sempre  i  me^. 
desimi  termini    nel    portargli  sera  e  malti^ 
Ba  la  prò  venda,    preso  liceo»,  se  ne  top* 
narooo  con  la  lettiga  a  Firenze,   e  piena- 
mente d*  ogni  cosa  raggnagìiarono    il    Ma^ 
guifico,    che   ne  prese    piacere  e  contento 
crcndissimo.  Venne  intanto  il  tempo,  che 
il  tervigidle  ebbe  fornito  la  guardia ,  si  ohe 
fkagato  dair  orafo ,  e  consegnatoglT  la  roba 
tè  ne  tornò  a  S.  Maria  Nuova,  e  la  mf^lie 
di  maestro  Mioente  se  ne    tornò  a  Fìren* 
se  vestitasi  da  vedova  ;    e  con   il  suo  figH« 
Qolioo  e  con  la  serva  ,   avendo  fornito   di 
piangere   la    morie   del   marito  ,  si  viveva 
•«lai    comodamente.    I  frati  conversi  ^  co* 
aie  veduto  avevano,  ogni  sera  e  ogni  mat- 
lioa  portavano  in  sur  un*  otta    da  maneia- 
re  al  medico,  il  quale  per  non  poter  tare 
altro ,   attendeva    solamente   a   empiere   il 
▼enire  e  a  dormire,  non  veggendo  mai  la* 
me,  se  non  quando  coloro    gli   portavano 
la  vettovaglia.  B  non  sapendo    immaginar- 
se  ,  ove    egli  fosse  ,  ne  chi   fossero  coloro 
che  lo  servivano,  temeva  di  non  essere  in. 
qualche  palazzo  incantato;  pure  attendeva/ 
a  mangiare  e  bere  a  macca,  e  a  far  ^t*an 
aonoi,  e,  quando  egli  era  desto,  castelli  ia 
«ria.  In  questo  mezzo  accadde  a  Lorenaot 


4p4  teua  <sbiia« 

per  certe  dcoaìnde  di   gnmdiasima  import 
laost  iotorao  ili  rej^mento  f  lil    fprtrm 
della  tì^  ì  partìrii  di  :Firensé  «  doie'  Mìt 
té  parecchi  aiesi  ai  ritornare»  e  di  poi 'tfii^ 
capalo   da   negoaj  imporla  olmi  dkt  9,'  ^ÌUfH 
Qit  petto  9  che   nou  si    ricordava    pia^  di 
maestro  Manente  9  se  non  che  an.  giòinME 
fra  gli  altri  gli  venne  veduto'  per  aprccf^tir 
«{avallo  ano  di  quelli  monachi  di  Càmaliié 
S,  che  ianno  le  faccende  del  ooarfentéVe 
di  faito  gli  toriiò  nella  mente  »  e  rieortfi» 
ai  del  medico  ;  sicché  fattolo  ohiamafé^  e 
da  lai  inteso,  come  laltra  mattina  si  palr* 
tiva  per  lornarsetie  air  Ermo  ,    gli  fece  11 
Slag'DÌHco  una  lettera ,  e  imposegli  che  per 
aaa  parte   la    presentasse  al  guardiano.    Il 
monaco  la    prese  riverentemente  ,    e  disse 
che  lo  farebbe  mollo  yoientierì/e  cosi  poi 
a  luf'go  e  tempo  fece.  Erano  in  questo  men- 
tre accadute    varie  cose  :  prima   la   moglie 
di  Manente  si  era  in  capo  di    sei  mesi  ri- 
maritata a  un  Michelangelo  orafo   compa- 
gno di  Niccolao    fratello  di    lei  »    il    quale 
ne    Taveva    molto    consigliata    e   pregatola 
strettamente  ,  avendo  in  su  questo   paren- 
tado raffermo  ta  compagnia  per  dieci  an- 
ni ;  per  la  qual  cosa    Niccolao  si   era  tor* 
nato  seco  in  casa ,  accordatosi  con  i  pupil- 
li a  tenere  il  putto  ;  e  preso  le  masserixié 
Ì^er  inventario,  si  viveva  allegramente  con 
a  sua  Brigida,    che  cosi   aveva    nome   1^ 
donna  ,  e  di  già  Taveva  ingrnvidata.  Il  guar- 
diano udendo,  che  il  Magnifico  sì  era  par» 


i^cysLLA  X.  E  vvrmà4  4o5 

senza  avergli  fatto  iiiteodere  ^altro  ^ 
itava  Tordiae  ;  e  perchè  molta  ^r  ia- 
yàya  dì  maestro  Manente ,  come  ne  vea-^ 
I  freddo  «  lo  provvide  di  brace  «  fa^. 
jogliene  portare  parecchi  sacca ,  e  votar-. 
le  iQ  un  canto  della  stanza  da  auei 
iiì>  che  lo  servivano,  e  accendergliene 
cammino  «  e  ancora  gli  fece  portare  pia* 
)  e  panni  da  vestire,  e  da  coprirsi  sul 
•  E  cosi  avendo  fatto  bucare  il  palco 
ipra ,  gli  fece  acconciare  una  lampa- 
I  ^  che  di  e  notte  .aeropre  stava  aoce" 
di  maniera  che  rendeva  la  .stanza. al- 
ito luminosa.  Laonde  .il  miedico  scorile* 
[uello  che  egli  mangiava ,  e  quello  che 
faceva  «  tanto  che  per  rimeritare  la 
e  coloro,  che  gli  facevano  quel  corno* 
ancora  che  non  sapesse  chi  ^li  si  fbs- 
9  cantava  sovente  certe  canzonette , 
egli  era  solito  cantare  a  desco,  molle 
cimpagnia  de*  suoi  beoni ,  e  diceva  qual- 
volta improvviso.  E  perchè  egli  ave« 
^lla  voce  e  buona  pronunzia ,  recitava 
K>  certe  stanze  di  Lorenzo,  che  nuo- 
ente  erano  uscite  fuora,  chiamate  Sei* 
.*Amore ,  di  che  pigliavano  ì  conver^» 
'1  guardiano ,  che  solamente  poteano 
lo ,  maraviglioso  piacere  e  contenta. 
m  in  questa  guisa  s andava  trattenendo 
eglio  che  egli  poteva^  quasi  affatto  per- 
la speranza  di  aver  mai  a  rived^r^  ii' 
Venne  intanto  colai ,  che  porlo  M 
na  del  Megoifioo  al  padre  gnaraiano  , 


,•4/^  TBUl  «»4.^; ,         

per  la   quale  egli   intese   pieoanenlc  trt* 

-  te  la  voglia    e    J' or-dine    dì    Lorenzo  ,  At 
-  ■  H  giorno  medesimo  ai  conversi  impose,  cM 

-  la  notte  medesima  dae  o  Ire  ore    inuauii 

Slorao  menassero  via  colui ,  e  diste  loro 
ove ,  e  come ,  e  jn  che  modo  lo  la^cias- 
ceroni  qaali  quando  tempo  fu,  vestiti  si- 
la  maniera  usata ,  ne  andarnno  al  medico* 
.  .4  Alludo  levarà  cl«|->iflMo  ,  coi  cenni  lo  coD- 
.dtUMro  a  TCMÌTM  i^tteU'abilo  alla  marìna- 
•  mdi ,  e  :  di  poi  ncMoiK  -le  maneue  e  uQ 
'  nimtellaeùo  eoa  un  capperuccione  ioiìno 
al  meato ,  lo  menarono  vìa.  Alacatro  Bfa- 
nente  a  questa  volta  pento  che  tum9  *•• 
Unto  il  termine  alla  vita  sua  ,  e  dì  noa  aver 
mai  più  a  mangiar  pane;  e  doloroap  ^aor  di 
modo,  per  non  ftir  peggio,  lasciava  ^ffii* 
darsi  da  coloro ,  i  qnati  due  ore  o  pA  «  nr- 
temente  camminulo  avevano  per  buadù 
tempre  e  per  trageitì,  tanto  eoe  ai  oatt* 
dussero  vicini  alla  Vernia ,  dove  al  pada* 
le  d'un  grandis»mo  abete  in  noa  ptt>|ÌMi- 
.  dissima  valle  legarono  con  le  vitalbe  il  m»> 
dico  ,  e  di  poi  cavatogli  quel  maiiteU«ocì« 
di  dosso,  gli  tirarono  il  cappelletto    in  sa 

Sii  occhi,  e  trattigli  le  manette  nel  moda 
jvisito,  lo  lasciarono  le^io  «  qnell*  ariKH 
ro ,  e  fuggimo  via  cime  veolo,  e  per.  gli  a» 

-  desimi  tragettì ,  bencbi  spento  avemero  k 
torcia,  se  ne  tornarono  a  Gamaldoli  iena 
essere  etati  veduti  da  persona  nìana.  .Blafr 
ttvo  Manente  sol»  rimalo ,  e  l^tlo  lenta- 
■itm»,  an«i»a  «hg^fiaiiwiiwìaaQ g-  ama'aft* 


'  jjiaatìló  ib  òrecctii  «  è  non  seótèbdo  romore 
"'Sé  strèpito  hessuDVy'cbniiQciò  a'  tirare  le 

'  aàni'a  se,  è  agevormeote  tappe  quella  Vi- 
^  taibai  ;  fi  che  di  fatto   levatosi   il    c»p|)ella 

7  in  su  gli  occbi,  e   alzandogli   in   sti^  ^ 

;^ide  t^  alberò  e  albero  una  pai;te  del  èie* 
'  jiò   stellato  ;    onde    allegro    e    mara tiglioso    « 

';CÓnob(>e  fermamente  a  essere  al  largo  e 
"' (Ulo  scoperto^,  e  rigirando  gli  occhi  pia, 
'^  essamente  9  perchè  già  si  comiticiavà  a  far 
'dì  f  vide  gli  abeli  intòrbosi ,  e  Terba  sótto 
^'  T  piedi  ;  per  lo  che  egli  fu  cèrto  d'essere 
"^in^un^  bosco:  pur  temendo  di  qualche  cosa 

'  &oóva  e  strana ,  stava  fermo   é  cheto ,  co- 

^^  talché  à  gran  jpeoà  respiì'ava    per    non  es« 

""ser  sentito,  parendogli  sèmpre  vedersi  àd- 
'^òssb  quei  caponi  da    far   ridere,  the  gli 

^rimettessero    le    manette,    e    riménassimo 
Via.   Pur  pòi  facendosi  giorno  alto  t  chia* 

'*^ro  ,  e  gii  comi  adando  il    sole  coi  lucenti  . 
"'"  raggi  suoi  a    illuminar  per'  tutto ,  'e  non 
-'Téggendosi  intorno  né  uòmini ,  né  animali^ 
"^  jau  per  ano  stretto  sentiero  si  diede  à  catn- 

'^  minare  in  Terso  Ferta,  per  uscir  di  quel- 

:^]a  Talle  ,  conoscendo  yeramenté  d* essere 
'  ritornato  al  mondo.  Ma  egli  non  andò  ol- 
'  Ttre  un  quarto  di  miglio ,  che  in  su  là  ci- 
ma arrivato  del  monte,  capitò  in  una  strà* 
/^da  ttioltò  ^frequentata  ,  per  ÌA  quale  vide 
'  "lenire  Terso  se  un  vetturale  con  tre  muli 

'^carichi  di  biada;    sicché    fattosegli    iticòn- 
"'irò,  é  domandategli  del  paese V  ^' come  si 

*"dklàtnata  H  luògp  dare  é^lf«ra%  gli'  fli'^da 


JfoB  TERZA   CENA. 

colui    rispósto   prestamente ,  esser,  k  Vefv 
sia,  e  poi  gli  disse:  DiavoI  che  tu  sia  ci(^ 
co  ,  uon  Tedi  tu  là  S.   Francesco?    e  mo- 
slrogli  la  chiesa  là  sopra  il  monte ,  viciim* 
gli  a  poco  più    di    due  balestrate.  Maestro 
Mauente  ripgraziHlolo  ,  riconobbe  subito  3 
paese  y  perchè  più  volte  con    i  suoi  amidi 
T*era  stato  a  sollazzo ,    e    rendendo  grane 
a  Dio ,  levò  le  mani  al  cielo  «  che  gfi  |mi* 
reva  esser  rinato ,  e  preso  la  via   in  sa  la 
man  destra,  se  ne  andò  alla  volta  del  eoa* 
Tento  t  vestito  con  quei  panni  rossi ,  che  pa* 
reva  un  marindjo:  dove  giunto  a  buon^ora^ 
trovò  esservi  venuto  un    geo til uomo  Mila- 
nese di  Firenze  a  spasso  con  un  suo  com- 
pagno pur  di  Milano,  e  co*  cavalli   e  ser- 
vitori ,  per  visitare  quei  luoghi  santi ,  do- 
ve fece  penitenzia   il  devoto    S.  Francesco. 
£  perche  la  sera  dinanzi    si    era  sdruccio« 
landò  aperto  un  piede  ,  onde  poi  rafFretl* 
dato  ,  la  notte  gli  era  cominciato  a   en6a* 
re  e  dolere  in  guisa  ,  che    la  mattina  non 
si  poteva  muovere ,  né  per  la  pena  toccar- 
losi  a  fatica  ,  sicché  restar  nel  letto  gli  coa- 
venne.    E  appunto  per  i  conforti  de'  frati 
voleva  mandare  a  oìbbiena  per    un  medi- 
co ,  quando  maestro   Manente   salutatogli  ^ 
prima  udito  la    cagione  del  male   di    quel 
gentiluomo,  disse  loro  che  non   bisognava 
mandare  altrimenti  per  medici ,  e  che  da- 
va a  lui   il  cuore,  prima  in  termine  di  uà 
ottavo  d'ora  di    levargli    il    dolore,  e  poi 
che  Tahro   giorno  vegnente    sarebbe    gua- 


ICOTELLiL   X.  .X  ULTIMA.  ^pg 

rito  -affatto.  Maestro  Maoenie ,  accora  vhp 
fo9se  vestito  stranamente,  a?eva   bella  prt»- 
•^Dza  Dondìmeno^e  buooa  favella^  di  sor- 
te cbe  il  Milanese  gli  credette;  per  la  qual 
cosa  facendosi  egli  arrecare  dai    frati  del/ 
l'olio  rosato  e  della    polvere    di    mortine, 
fattogli  prima  la  medicina   deirapirio,   e 
rimessogli    Tosso    al    lu^^go   suo,   gli  un^f 
.  molto  bene  ed  impolveroglì  il  niède«  e  fa- 
•cioglieue     strettamente ,    gli    fece    reslnra 
aubito  il  duolo  ,  tanto  che    la    notte  colui 
dormi  riposatamente ,  cbe    la  notte  passa- 
t%  non  avcTa  mai  potuto   cbiudere  occhi  ; 
di  modo  che  la  mattit>a  levatosi,  si   trovò 
libero  in  guisa ,  che  egli  posava  non  pure 
il  piede  io  terra  ,  ma    camminava    agevola 
mente;  sì  che  fatto  sellare  i  cavalli,  e  be« 
v«ito  un  tratto  con  ì  frati ,  donò   due  da- 
cati  di  moneta  al  medico ,   e  si    partir  per 
.   la  volta  di  Firenze.    Maestro   Manente. al"* 
leffro,  fatto  anche  egli  carila  con    i  frati  ^ 
tolse  commiato  da  loro,  e  prese  la  via  ver- 
so Mugello  per  andarsene   alla    sua  villa  , 
dove    camihinando   gagliardamente    giunse 
la  sera,  appunto  al  tramontar  del  sole;  si 
cbe  chiamalo  ad  alta  voce  il  lavoratore  pejr 
nome,  gli  fu  tosto  da  un  contadinello  ri* 
aposto  ,  che  egli    era    tornato   in   un  altro 
podere  discosto   uu  buon  pezzo.    Parve  al 
medico  questa  risposta  strjana ,  nou   si  po- 
tendo dar  pace,  cbe  la    moglie   utenza  suo 
consentimento    gli    avesse    dato   licenza  «  e 
allogato  di  nuovo;  pure  a  colui  disse  che 
chiamasse  suo  padre  ^  al  quale  foce  inteA"* 


'derd  p  Mibe  «gli  èra  ìainlco  grand! toimo ^éL 
ToRe  soo^e  piereì  A  lo  pregava 'che  jp^  V 
^  sera  fané  cooiento  (ìi  Tòlergli  dare  allòé- 
^o«   U   oontadióa,    Tegdtedolò  Vestito  m 
.ifaellà  fog^^  ebbe ^  àsti cbé  no,  lèfepetlDt 
~V  non  si  risolveva  à  rispoòdère/;  mainàè- 
itro  Manente  seppe  lanlo  Ben  div:e  e  pètr 
'  ènaderlo ,  cb^  egli  fu  conlèdlò  e  lo  iodttli&t 
ritehfòrlato  ohe  egli  non  M  yfitrfk  art&e 
addosso  t  i^tto  f  véndo  '  pensiero  'noùdimèno 
di  inaiarlo  aUà   caiwnna  ;  così  menatóio 
{ncam,  sèndo  appafeccfaiato  il  desco,  ce« 
-  barono  magramente.  Maestro  Manente  de* 
liberato  di  non  scoprirsi ,  non  dimandava 
di  nulla  in  quanto   al  podere   e   alla  mo- 
glie ;  ma   ve^^endo   colà   sopra    una  taTO- 
lelta  òalamajp  e    fogli ,   perciò    che  colui 
era  rettore  del  popolo  *  chiese   da   scrive- 
re, e  fugli  portato;  si  che   egli  fece  dna 
lettera    alla   moglie  brevemente  »    e   volta* 
tosi  a  quel  contadinello  giorane ,  disse:  Io 
ti  darò  un   carlino»    e  yo^  che  doniattina 
per  tempo  tu  vada  a  Firenze ,  e   dia  qùe* 
sta  lettera  in  mano  alla  tua  ostessa,    e  fa- 
rai poscia  quanto  ella  ti  dirà.  Colui  ,  con 
licenza  del  padre  *  fu  contento ,  e  menatone 
il  medico  alla    paglia,   lo  serrò   nèUa  ca- 
panna. Maestro  Alainente  sopportando  con 
pasiensa ,    diceva  seco  stesso  :  Domani  mi 
ti  caverai    tu  la  berretta ,  ed  arai  di  gra- 
zia di  servirmi  ;   e   acconciossi  fra  duella 
)paelia  il  meglio  che   potette,  attanaendo 
a  domaire.  Là  maltina  lostcr  clìe  egli  co- 


'^iQciò  m  btauchei^giiir   Paria  ,   quel  conia* 
tinello,  aTuto  avendo  la  aera  il,  carlino ^e 
\fL  lettera y  prese   la    iria   verso  ÌFicenze«  e 
giaoèe  in  sa  Torà  del  desinare  a  casa  Td- 
it^  t  e  a  mona   Brigida,  presentò    la    lette*^ 
ra  di  colili  t  la  quale    da  lei   presiaoienttt 
aperta  ,  le  parve  di  conoscer  la  oiono  dd 
•tto  priiiio  marito;  ma    poi   leggendola  fit 
da  tanto  dolore  e  da  cosi  fratta  mdraTiglta 
soprappresa»  che  ella  fa    per  venirsi  me- 
no »  e  non  sapeva  in  qual  mondi    ella  -  ai 
{osse.  E  domandato  il  coniadioello  del  tem» 
'.  ^  i  della  atatnra  e  dell*  effij[ie  dell'  aomo« 
ebe  gKe  l'aveva  mandata  ^  si  fece  più  mà^ 
ratiglia^  e  maggior  dolore  gli  vende;  sto* 
che  spacciatameote  mandò  là  fante  a  bol^ 
tega  per  Michelagnoh> ,  il  quale   venutala 
letto  la    lettera  ,    fu    anche    egli  della  saa 
ù|>inÌQne^  bbe  quello  simigliasse,  anzifos- 
.  i9  tutto  miniato  lo  scritto  di  maestro  Ma- 
iieote  ;    ma    sapendo    di   certo    Ini   esser 
morto ,  sà{>eva   anche   di    certo   lo  scritto 
^ner  d*altra    persona ,    e   diffatlo    giodicò 
ì&Aai  essere  un  mariuolo  9  il  quale  tenta;ra 
di  giuntarla  per  cod  sti*ana  via«  perciòc^è 
il  contenuto  della  lettera  era  questo:  Ohe 
iiUa  sita    carissima  consorte    faceva-  inten- 
dere 9  come  dopo  varj  e  strani  casi  ^  siati» 
più  d*Qn  adno  rinchiuso  con  paura  lutt^ 
'Via  della  vita  ^    era    finalmente    per.niini^ 
colo  di  Dio  nscito   del   pericolo  9  «  die  a 
llocea  poi  le  raccontarehbe  particaiMhauCTi^ 
la  1}  tutto,  e  ohe    par    allora   lier  bartatiiè 


sapere  /come  in  TiÙa  '  ti  trofivà  ^tivo  ^ 
Mmo  «  e  le  nundava  prquindo»  cAe  tubi* 
tainentè  spàrgendo  per  Kreue  la  natiRap 

gli  mandatire  la  mala ,  il  sajone  ed  il  .pa^ 
^ndrino  da  aoqna  »  gli  stiVali  grean*  f  il 
cappello  9  e  cbe  facesse  sapere  allaTeratora 
nnoTo  9  come  egli  era  Poste ,  sendo  mà^' 
Siro  Bfanenle  suo  marito-^  aodocohè  tiÉmm 
aperto  la  casa ,  per  potére  a  suo  amò  aipi^ 
Bkte  k  notte ,  e  che  Taltra  niàttm^k  vur 
tempo  ne  Terrebbe  a  Firense  •  a  -Gonacm^ 
la.  Blicbelagnolo  dunque  colleroso'  e  pica 
di  stizza  rispose  in  nome  della  donna»  a 
fecegli  una  lettera  che  cantaTa  »  minac* 
ciandolo ,  se  tosto  non  si  andasse  con  Dio^ 
e  che  andarebbe  lassùso,  e  darebbegli  un 
carico  di  mazzate,  o  vi  mandarebbe  3  bar* 
gello.  Oltre  che  a  bocca  disse  a  quel  tiì- 
lancilo  «  che  dicesse  a  suo  padre  y  che  lo 
cacciasse  via  con  il  malanno.  11  contadi* 
nello  si  parti  subito ,  e  Michelagnolò  li 
tornò  a  bottega ,  lasciando  la  Brigida  do* 
lorosa  e  piena  di  stupore.  La  mattina  mae^ 
atro  Manente  se  n*era  andato  a  spasso  in? 
fino  air  uccella  tojo ,  che  tì  erano  tre  miglia  ' 
dà  casa  sua,  e  senza  darsi  a  conoscere  al- 
r  oste  9  che  era  suo  amico ,  anzi  dicendo 
di  essere  Albanese,  desinò  seco  allegra- 
mente ridendo  e  gongolando  fra  se  stesso^ 
e  di  poi  la  sera  allegrissimo,  tornatosene 
verso  casa  ,  pensando  fermamente  d'aTcra 
a  esser  riconosciuto  per  padrone ,  aTCYa 
in.  anfano  4i. fare  tirare  il  oolloa  uo  pa)o 


NOVELLA  X.   E  ULTIMA.  4l3 

di  capponcelli ,  che  la  matlioa  airtva  i^e- 
dato  andar  beccando  su  per  Taja.  Ma  uoj^ 
ai  tosto  fu  giunto  che  il  Tillanello ,  che 
era  già  tornato ,  se  gli  fece  incontro  ,  e. 
senza  riverènza ,  anzi  con  mala  cera  gli 
porse  la  Intera  ,  la  quale  non  aveva  so-> 
prascritta  né  suggellatyra  ;  del  che  si  me- 
ravigliò a  prima  giunta  »  e  contristosse  mol- 
to maestro  Manente  9  e  parvegli  principio 
di  dolorosp  :  fine  ;  ma  poi  leggendola  tutta 
quanta  9  per  lo  stupore  e  per  la  doglia  ri- 
mase attonito  e  sbalordito ,  cotalchè  ei  non 
pareva  né  morto  ,  né  vivo.  Intanto  giuu- 
ae  il  vecchio  lavoratore ,  che  dal  figliuolo 
per  parte  deir  oste  aveva  avuto  la  imba- 
sciata y  e  a  colui  disse  rigidamente  che  fa« 
cesse  pensiero  di  alloggiare  altrove  per  la 
sera  ,  perciocché  il  padrone  gli  aveva  fat- 
to comandamento  «  che  subito  ne  lo  man- 
dasse  con  Dio.  Maestro  Manente  doloro- 
so fuor  di  modo ,  sentendo  da  colui  darse 
licenza ,  dal  quale  alf  arrivo  della  lettera 
pensava  di  avere  a  essere  riconosciuto  per 
signore  «  umanamente  rispose  che  se  ne 
anderebbe  ;  e  dubitando  di  non  esser  di- 
ventato un  altro ,  o  che  non  si  trovasse 
più  d'  un  maestro  Manente  »  pregò  quel 
contadino,  che  gli  dicesse  il  nome  del  suo 
oste;  dal  quale  gli  fu  risposto  che  si  chia« 
mava  Micnelagiiolo  orafo,  e  la  moglie  mo« 
na  Brigida  ,  a  cui  seguitando  il  medico  , 
domandò  ,  se  quella  mona  Brigida  aveva 
avuti  più  mariti  »   e  se   ella  aveva  fidino- 


414"  '*'  "  MMU'-Vuri;  -  ;  -  '  ' 

ii;  Sl^  jrbpMt  il  TiiraMT,  eh  mt0fà  ft&"r 
tt^  un '  mi^iéo  t  '  che  ti  CMtfé  vkbmaM^'i 
^  quei  cVio  ìd^odo,  mae^ra  Bl^amMyJ 
die  aicoDò  ehfe  «àorl  di  morW  »  «  T>ltirt  i  ^^ 
le  OD  figlilidlètto  9  che  ha   noma  ^ndifMi 
Obioiè,  sog^uosé   U  medico,  àié'mi'éft. 
tèi  e  còmineiòllo  mibolameDie  a  ^Mùéf  ' 
dare  d^ogni  pariioolarilà  \;    ma  il  tavé«Ml%/ 
Iv  ali  riapote  che  non  gli  sapeva  dir  à10^ 
éèado  di  Caientìtto,   e  tornato  ranoNp  i§ 
mA  podere.  Maettrp  Haneole,   deliiiemìljt - 
di  bon  sé  gli  far  céncaòere  per  tale,  pef^^ 
che  egK  era  ancora  più  di  due  ore  di  gioii^ 
no  t    lasciatolo ,  si  mise   a  camminare  aita 
tolta  di  Firenze,  seco  pensando  che  la  mcr 
glie  e    i  parenti  ,    credendosi    per  qualche 
atrano  avviso  lui  dovere    esser    morto  «    « 
fossero  condotti   a  quel  termine  ;   percioc- 
ché   molto    bene    conosceva    Michelegaolo 
orafo  compagno  del  cognato.  E  fra  se  eam« 
minando  di  forza  ,    faceva    mille  pensieri  ^ 
tanto   che    la   sera   assai    ben  tardi  arrivò 
air  osteria  della  Pietra  al  mugnajo  ,  lonta- 
na un  miglio  dalla  città;  si  che  per  la  se- 
ra  i^Iloggio   quivi ,   dove  solamente    man- 
giando una  coppia  d*  uova  affof;ate,  se  ne 
andò  al  letto ,  nel  quale  di  qua  «   e   di  là 
Toltaodosi  ,  non    potette  mai  chiudere  oc- 
chi ;    ma    levatosi  la  mattina    per  tempo  , 
pagato  r  oste ,   pian    piano  se  ne  "venne  à. 
Firenze  «  e  se  ne  entrò   dentro  nella  guisa 
di  èopra  narratovi ,    talcbò    non  èra  cono- 
sciuto da  persona,  ancora  che  molli  ceno- 


KOVELL|^X.  E  ULTIMA.  4l5 

Meoii  9  e  9uoi  amici  rìscontrasse  per    stra- 
da. Si    che  aggiratosi  per   mezzo  Firenze  ^ 
venne  a  capitare  nella  iria  de  Fossi  ^  e  ¥i« 
de  appunto  la  moglie  eU  figliuolino  entra-- 
ré  in  casa  ^  clie  tornéVano  dalli    messa  ;  e 
e^ndo  certo  ,  che  da  lei  era  stato  redato  ^ 
laa  non  (atto  segno  alcuno  di  conoscerlo  «[ 
^autò  pensiero,  e  do?e  egli  era  Tenuto  per] 
Ikvellarle  ,  se  n*  andò  a  S.  Croce  a  trova- 
re  Qn  maestro  Sebastiano   suo  confessoro  • 
pensandolo    dover    essere    buon   mezzano  |. 
cbe  la  moglie  lo  riconoscesse  «   avendo   in 
animo  di  conferirgli  ogni  cosacche  gli  era 
Pfoorso  9  e  eonsigliarseue  seco  ;  ma  aiman« 
^ftone  in  Convento  ,    gli  fu  risj^sto ,  qbe 
ft^ì  era  audato  a  slar^  a  Bologna  ;   per  Ii^ 

2iial  cosa  quasi  disperato  non  sapeva  chfi, 
irsi .  Così  aggirandosi  per  piazza ,  per 
]Q,ercato  nuovo  e  veccl^ioy  e  riscontrato 
adendo  fra  gli  altri  conoscenti  «  e  amici  il 
Biondo  sensale,  Feo  tamburino,  maestro^ 
Zanobi  della  Barba  ,  Leonardo  sellajo ,  e^ 
4a  nessuno  stato  riconosciuto ,  se  n*  era 
mezzo  sbigottito.  Pure  sendo  già  ora  di 
desinare  •  se  ne  andò  alle  Bertucce  ,  dove 
faceva  il  vino  Amadore  già  suo  amicissì*^ 
mo,a  cui  chiese  di  grazia  di  voler  la  mat* 
lina  desinar  seco,  e  cosi  fece;  ma  neiruN' 
timo  del  desinare  gli  disse  Amadore  «  cbo 
gli  pareva  averlo  veduto  altra  volta  ,  mi^ 
che  non  si  ricordava  già  dove.  Al  qualq 
maestro  Manente  rispoKC  ,  che  era  agevoi 
c<)#a  9  sendo  egli   stato  i^ran    tetppo  in  Fi^ 


4i6  tkuà  cena. 

rente  e  con  maestro    Agostino   alle    ttafe 
^dì  piazsa  Padella  ,    dove    véneodo   da    li- 
Tórno  «  e  non  gli  piacendo  il  navicare»  to- 
lèva  ritornarsi  a  stare.  E  cosi  di    una  pa* 
rola  in   cin' altra  ragionando   di  varie   co^ 
ie  f  fornirono  di  desinare ,    e   senca  esser- 
li   dato    a    conoscere ,    accordato    1*  oste  t 
se    n*  andò    maestro   Manente   doloroso   e 
quasi  stupito  9   che  colui    non  T  avesse  ri- 
conosciuto ,  deliberato  di  favellare   la  sera 
a  ogni    modo  alla    moglie.  E    cosi  si  IraU 
teone  a  spasso   tanto  che    gli    parve  otta  t 
e  se  ne  venne  a  casa  sua ,  che  erano  ven* 
titrè   ore  .e    mezzo  »  e  picchiato   forte  due 
volte  J*  uscio  ,    si  fece  la    donna   a  vedere 
chi  era  t  a  cui  rispose  il  medico  :  Suo   io  ; 
Brigida  mia  cara  ,    apri.  E    chi    sete    voi  ? 
sogijiunse  colei.  Maestro  Manente,  per  non 
avere  a  favellare  forte ,  di  modo  che  adis- 
se lulta  la    vicinanza ,    rispose  :    Yien  giù- 
so  ed  iutenderailo.   La  Brigida  sentendo  la 
voce  ,    e  parendogli  anche  al  viso  maestro 
Manente  «    ricordatasi    della    lettera  «    non 
voile  andare   a  basso  altrimenti ,   dubitan- 
do di  qualche  cosa  strana,  e  disse  a  colui: 
Ditemi  di  costi  chi  voi  siete,  e  ciò  che  voi 
cercate.  Non    lo  vedi  tu  ?    rispose  il  medi- 
co. Sono  maestro  Manente  ,  il  tuo  vero  e 
legittimo  sposo  «   e.  te  cerco  «   che    sei  mia 
moglie.  Maestro    Manente    mio  sposo    noot 
sete  voi  già ,  perchè  egli  è  morto  e  sotter- 
ralo, disse  la  donna.  Come,  Brigida,  mor- 
to ?  io  non  mot  iì  mai  »  rispose  il 


KOYBLLÀ   X.  X  ULTIMA^  ^I^ 

m  «oggiUBse  :    Aprimi    di    grafia  «  aon  mi 
eoiifsci  tu  ,  aoima  misi  doJce  ,    son  io  pa- 
cò fri  Irastìgurato?  deh  aprimi,  se,  ta'Taoi^ 
-e  vedrai  eh'  io  son  vivo.  Eh  che  »    seguilo 
la  Brigida  »    voi    dovete   esser   quel  tristo  » 
"che    mi    scriveste  la    lettera   jeri    mattina  ; 
amiatevi  cou  Dio  io  malora,  che  se  il  mio 
marito  vi  oi  trova  ,    guai  a    voi.  Erasi  ra* 
gunato  nella  via  già* un  monte   di  persooo 
per  volere  intendere  questa    novità  ;    fatti'- 
61  tutti  i  vicini  intorno  alle  finestre  9  ognu» 
no  diceva  la  sua.  Onde  mona  Dorotea  pia» 
locherà  ,  che  le  stava  dirim[)etlo  a  corda , 
disse  alla    Brigida,    avendo  inleso    da  pri- 
ma ogni  cosa:  Guarda,  figliuola  mia,  che 
questa  sarà  V  anima  del  tuo  miaestro    Ma« 
lieute,  che  andare  quivi  oltre  facendo  pe* 
^ìteusa,    e    però  Io    somiglia  tutto  al  viso 
e  alla  favella  ;  chiamala  un  poco ,  doman*- 
dala  e  scongiurala  ,  se  ella  vuole  nulla  da 
te.  Per  la  qual  cosa ,  la  Brigida  credends^ 
lo  mezf o  mezzo ,  cominciò  con    voce   pie« 
tosa  a  dire:  Oh  anima  devota,  bai  tu  nul- 
la sopra  la  coscienza?  vuoi  tu  l'uffizio  dtt 
morii?  hai  tu  a  soddisfare  voto  ni  uno?  4i* 
pur  ciò  che  tu  vuoi ,  anima  benedetta  4   ^ 
ratti   con    Dio.  A    maestro   Manente ,  ciò 
udendo  venne  quasi  v^lia  di  ridere  t    di« 
cendo  pure  che  era  vivo,   e   cbe  ella  gli 
aprisse j  che   voleva    certificare;  ma  colei 
seguitando '  di  domandare  ,  t^   ella  voleva 
le  messe  di  S.^  Ghirigoro,  e  segnarsi,  e  co- 
fi  madonna  Dorotea  diceva  anóh^clla:  Ànif 
Lasca.  zy 


na  4^|d4io»^ie  tu  sci  #«)  porgtlQTlai  4«lr. 
loé  ob*  la  IM  buona  mogl^  fiM^crà  imi. 
le  .gpnobilaD ,.  a.caTeratteae  ;  «  noei|da«i  i-.; 
maggior X  crodoiii:  dal  inondo^  dioeYa  a  ogi4^ 
poco  fAquieseal  in  pace;- ài  mo^O  c|iaqaif 
TÌ.Ì0toraa  o^nono  si  o^minciÀ  a  f^gnarf- 
e  i^iscoslarsi »  a  staro  in.  cagnesco»  che  gi% 
tì  si  ara    ragnnato   oa  nugolo  4i  POMN^/ 
Laonde  T^^endo  ii  medico  ^    cbe  la  ìku  ; 
,KÌda>  pia  non  l'asoollaira»  anrii^coo  la  pPf - 
aoebera  intieiiio.  faceva  no  segnarsi  is  piioinr  • 
gneltare  iDaraviglioso ,  ^eliìierò  d*  andtrt0f 
ne ,  perciocché  la  gente  -  rioforiara   tattarr 
Tia  «    e    dubitava    di  non    ricevere  ancbo 
qualche  male  scherso;  e  sienx^altro  prese  It 
strada  verso  S*  Maria  Novella .  di  buon  pas« 
so»  talchi  tutte  quante  le  persone  d^  queV  . 
ìa  parie  segnandosi  a  più  potere  »   sì  die^-- 
rono  a  gridare  e  a  fuggire,  non  altri opt^r 
ii  che   se  da    dovera^  avessero  veduto  un  ' 
morto  risuscitare.  Per  lo  cbe  maestro  Afil- 
nente  voltato  dove  stanno   ora  i  Sommai» 
la  dette   per   la  via  del  Moro,  e  a  mest# 
volgendo  per  quelle   viuzze   quasi  correur 
dò  ^  percioocchè  gli  era  buiccio  »  fece  taor 
io  che  egli  arrivò  .  da  S.   Trinità  ^  e  indi 
pei'  Portarossa  se  n'andò   alle    Bertucce^, 
tuttavia  guardando  se  gli  veniva  dietro  il 
popolo»  e  malcontento,  non  avendo  altro  ri- 
medio «    pausava   d*  andarsene  la  mattina^ 
e  di  ricorrere  al  Ticario.   Ma  volendo  far 
prova  9   se   Bntchiello  tanto  suo  amico  t  t 
a  Biondo  lo  riconoscessero^  disse  ad  Ama* 


Axjre,  postoli   io   mano    parecchi    trienti, 
cbe  arebbe   caro  la  sera  «  ^e  fosse  possibi- 
le, di  dar  ceaa  a   Burcbiello  e  al  Bieodo 
sensale   in  sua  comfiagtita.  Si  »  sarà  beo^ , 
rispose  r  oste  ,    lascia    par    fare  a  me  ;   e 
daco  ordine  alla  cucioa^  preso  iì  matttello^- 
«e  n*  andò    a    S.   Giovanni  «  dove  trovò  il 
fiiondò ,  e  mendllo  seco ,  dicendo  <:he  to« 
leva  la  sera  dargli  cena  in  compagnia  d'uii 
£Dresi|ero  e  di  Burchiello  ,  il  qnale  trova- 
rono a  casa  e  bottega  net  Oarbo^'coa  cui 
poche  parole  bisogoàrono  a  svolgerlo,  per* 
ciocrhè  come  egl'  intese   d*  arere  a  cenare 
a  macca  ,    n*  ebbe    più    voglia  di  loro  ;   si 
che  air  ancora  si  trovarono  tutti  nelle  Ber- 
tacce,  sendo  là  d^Ottobte  vicino  airOguisi^ 
Mnti.  Burchiello  a  prima  giunta  gli  parve 
4di  riconoscere  maestro  Manente,  maggior* 
anente  udendolo    poi    favellare,  il  quale  à 
Burchiello  fece  gratissima  aocogliensa ,  di- 
ceodogii^  coaie  della  sua  fama  innamoiraM 
|>er  trovarsi  seco,  era  stato  forzato  di  ri* 
chieder  Toste^    che  Io  invitasse  a  cena,  e 
dargli  in  compagnia  il  Biondo,  tanto  buon 
compagno,  e  tanto  suo  amico.    Burchiello 
Io  ringraziò    assai,    e    cosi   ia  una  stanza 
Mparata ,   e  ordinata  per  loro ,  si    misero 
a  tavola;  dove    per  aspettar  certi  pippion 
grossi  e  tordi ,  cue  si  stagionassero ,  entra- 
rono in  varii  ragionamenti  nei  quali  mae* 
9lro    Manente    compose    loro    una    favoli 
ddla  vita  sua,  e  come  fosse  quivi  capitato* 


4ao  — 

'  "ii  fuor    t""-"   B"'cl,l°„'°''°S»™,* 

i^-^-.nrr  »'"-,::■  ;■*!:, 

'  ocilii'n      t .  **    teneva    d       ,      '  w"!»;  ' 

■capi    Y       fP'«°   «    òlJ,r°''-  «"«««l 
'°  '"maio  r     *  '  "'""li,  r,,,  •""*"» 

'■"•"'orbane  "™°°    PTcle^""*»'  " 

;5«o  .ffa.;;t'^/°v;gs«o;rS'°=i  "'• 

P'°  pere  e  ''^'""•^"bè  il  „,,.*»'"".  ft 

&;ai  "?::;'i£- ^:s 


NontLA  X.  E  tttOf A«  42t 

;taYa ,  ayendogli  tanto  iil  dispetto  €  il 
cbifo  ,  che  prima  arebbe  •  mangiato^  delle 
oanj.  Il  cbe  sapeva  ottimametile  Bar« 
ibiello;  6Ì  cbe  certissimo  oramai ,  qnad 
idendo  gli  prese  la  mano  sinistra  «  e 
Qandatogli  alquanto  in  suso  la  manica  del« 
a  camiciuola  ,  gli  venne  a  vedere  ranca* 
e  il  polso  una  voglia  di  porco  sai  valico} 
)nde  disse  ad  alta  voce  :'  Tu  sei  maestro 
litanente ,  e  non  puoi  più  nasconderli ,  e 
{iitatogli  le  braccia  al  collo,  T abbracciò 
ì  baciollo.  II  Biondo  e  V  oste  Spaventati 
ì  ritiratisi  alquanto  indietro ,  istavano  a 
[edere  quel  cbe  diceva  colui,  il  quale  ri«. 
pose:  Tu  solo,  Burchiello,  tra  tanti  aoli- 
|t,  e  parenti  mi  bai  riconosciuto;  io  souO 
lome  tu  bai  detto,  maestro  Manente,  e 
lon  morii  mai',  come  crede  mogliama  ,  6 
,utto  Firenze.  Erano  coloro  diventati  biao- 
ihi  come  cenere;  AmaJore  si  segnava, 
;  *i  Biondo  gridando  si  Toleva  fuggire ,  e 
le  temevano  come  si  £a  degli  spiriti  e  dei 
Dorti,  quando  si  vedessero  risuscitati  :.  ma 
)arcbìe-llo  disse  loro:  Non  abbiate  paura, 
lalpatelo  e  torcatelo,  gli  spiriti  e  morti 
lon  hanno  ne  polpe  ,  né  ossa  ,  come  Te- 
lete  aver  a  lui;  oltre  eh* egli  ha  mangiato 
I  bevuto  in  vostra  presenta.  Maestro  Ma* 
lente  diceva  pure  :  Io  son  vivo  ,  non  du- 
)ilate,  non  temete,  fratelli,  cbe  io  non 
IO  già  m^i  provato  la  morte ,  e  di  graxìa 
iscòltatemi ,  che  io  vi  voglio  far  sentire 
ina    delle   più    maravigliose  cose  ,<  che  ^ 


■ 

^  mdiaferd.  giftmaiai  jioicbè  fu  cliiarò  il  ìtk 
'  le  { -e  con  Burchiello  tanto  fece  e  dtsse^  che 
'  Toste  e  *1  Biondo  si  riassicurarono  uà  pò- 
CO*  Onde.chiamaii  i  garconiyi  e  fatto  lew- 
re  ▼!&  di  taf  ola  ogni  cosa  ,  eccetto  che  il 
'  vinof  e  finocchio^  e  detto* loro  che  cenas* 
sero»  e  non    iceoissero  suso  altvioijenti^  se 
iion  fossero  chiamati'  per    commisMOne  di 
JBurchiello  ».  serrato    r  uscio   molto  bene  , 
.  attentamente .  asapltando  tutti  desiderosissi« 
ini  d*"  udir  cose  nuove  »  cominciò  a  favet- 
jtare.  maestre  Manente  9  e   fattosi  da  pria- 
eipio  poich*  egli  fu  lasciato    addormentafo^ 
in  sul    pancone ,   ordinatamente    raccontò 
tatto  quello  che   per   infino  alloca  gli  era 
intervenuto,  talché  più  volte  gli  avea  fat- 
ti   maravigliare  e  ridere    insieme.  Ma   poi 
eh*  egli  ebhe  fornito  il  suo  ragionamento  ^ 
Burchiello t  che  era  cima    d'uomo,  subito 
disse  :  Questa    è    stata    trama  del    magni- 
fico Lorenzo.  Coloro   tutti  sì  contrappone- 
.ìFano,    dicendo    ciò    essersi    avvenuto   per 
via  dì  streghe  e  di  malia,  e  per  forza  d*in« 
eanti.  Ma  Burchiello,  stando  nel  suo  pro- 
,posito  diceva  pure  :    Ognuno  non  conosce 
quel  cervello;  non  sapete  toì  eh* egli  noa 
eoreincia  impresa  ,  che  egli  non  finisca,  o 
non  ha  mai  fatto  disegno  che  egli  non  ab« 
bia  coiOrito?  e  non  gli  venne  mai  Toglia^ 
ehe  e*  non  se  la  cavasse?  egli  è  il  diavo- 
i^o  i*  aver  a  far  con  chi  sa  ,  può  e  vuole  f 
e  seguitò»  rivolto  a  maestro    Manente*  lo 


wovmxa  X.  «  itltimA.  ^423 

in6    V  indovinai    sempre ,    perchè    egli    ti 
^avesse  a  fare  *una    burla   simile,  dairora 
'io   qua«    che    dicendo    seco   improvviso    a 
"Garegs;!,  tu  gli  facesti  quella  villania.  Mae* 
atro  Manente,  i  principi   sòn    principi,  e 
'fanno    di   cosi  fatte    cose    spesso  a*  nostri 
"pari,  quando  vogliamo  stare  con  esso  lora 
a  tu  per  tu.  II  medico  si  scusava  con  dire, 
*che  le  Muse  hanno  il  campo  libero,  e  che 
aveva  mille  ragioni  ;    ma    considerando  la 
cosa  in  se  ,    e    le  parole  di  Burchiello  ne 
Venne  a  dubitare,  e  crederle  un  tjerto  che* 
IMa  poiché    essi    ebbero  per  buono  spazio 
ragionato  sopra  i  casi    di    maestro  Manen- 
*te,  egli  si  fece  narrar  da  loro  tntto  quello 
che    era   seguito    intorno  alla  peste ,  e  al« 
Tuomo  che  in  vece  di  lui  era  di  casa  sua 
uscito  morto  col  gavocciolo  nella  gola,  del« 
la  qitnl  cosa  non  si  poteva  dar  pace,  e  co- 
loro vi  si  aggiravano  di  cervello^  né  Bur- 
chiello  vi    poteva    trovare  stiva.  Ma  nella 
fine  facendosi  tardi ,  chiese  parere  e  con- 
sìjE^lio  con  esso   loro    maestro  Manente,  in 
che  modo  si  aves^^e  a  governare  di  questa 
involtura ,   parendogli    troppo    strano  ave*- 
rc  a  perdere  le  carni  è  la  roba;  ma  poi- 
ché molte    vie  e  modi    da    coloro   trovati 
furono,  restarono  che  il  medico -se  ne  do» 
vesso    andare    in    Vescovado.    Meli*  ultimo 
preso    r  uno   dail*  altro    licenza ,    maestro 
jtfanente  se  n*  andò  a  stare  con   Burchiel- 
lo ,  perciò  che  gli  altri  non  erano  ben  bea 
chiarì,  e  avevanne  anzi  che  no,  un  pò*  di 


jfs^  tkhxa  «viva. 

tMurircia.    In  questo  rtaoio  en  tormiM 
CM«  MìfheliigQnlo,  e  dulia    Brigida  «m 
rni^^na^lin  di  ttiltn   il  seguilo.  afrcrntiQfc 
■Il  Ui  cerio  ATvrle  |>art\lo     seolìtr  la  ttti 
r« ,  e  veitfic  il  TÌio  ài  maestro  ÌMauenlt, 
che  si  cooforiniiTa  colla   ripinicne  di 
na  Durolca  ,  de  «II»    fa>sc  1*  anìiu 
che  avrssc  bisogno  di     qunlcbe    hfitt  ptr 
uscire  di  pnrgalorio.   Clie   aiiimn*  citt 
ntorio  di'  tu?  rispose  fUicbel-ignolii,  bk- 
forda;  costui  è  un  Iritto  e  un    mitriuoM, 
e  facesti  da  savia  a    con     gli    aprire.  Por 
maruviglioso  fuor  di  modo  ,  non    si    pd» 
Ta  immugiiiure  a  vhe  line  colui  ne   io  {<• 
cesse,  e  dove  egli   si    volesse     Dell'iillìsM 
riuscire;  ngni  altra    cosa    stimando,  [uut 
che  maestro    Maaente    potesse    essere  oui 
risuscitalo  e  vivo,    e    per    fermo    leaers, 
cbc  colui  ,  non  sendogli  riuscito  il  ptiiu 
disegno  ,    dod    si  dovesse  lasciar  più  ^ÌT^ 
dere.  La  mattina  a  buon'  ora  aveudo  hor- 
cliidlo  fatto  levare  maestro    Manente,  h 
prima  cosa  gli  fece  lavar  la     testa  ,    e  ri> 
dcrlo  secondo  l'usanza  di    quei     lem  pi ,  • 
dipoi  vestilo  dal  capo  ai  piedi  de'suoi  pao- 
ni ,  che  parevano  proprio    stati     tagliali   a 
suo  dusso,  se  ne  nDii  seco  funrt    ptr  farlo 
vedere  •  e  conoscere  alla  gente  ;    andato  ft 
Santa  Marta  ilei  Fiore,  alla    NuDziatayin 
mercato  vect-Eiio  e  nuovo,  e  in  pia»*,  fa, 
veduto  da  tulio  il  pop'ilo,  e  d«  molti  oo- 
nosf^ulo  ,  K  fdltngli  molto,  seodosì  di  ^ii 
«parsa  la  fama,  per  bucca   dei    Btondo    « 


id'Aioadore,  com*  egli  era  tifa ,  e  rivolevn 
la  moglie  e  la  roba,  Avevaulo  veduto  Nic* 
colao  e  Michelagnolo  ,  ed  era  veramente 
parufo  lor  desso,  pur  sapendo  eh'  egli  era 
morto»  si  riconfortavano  che  egli  non  pò* 
leva  essere  ;  ed  avendo  inteso,  come  se  ne 
voleva  andare  in  Vescovado  »  sperano  ap« 
parecclìiati  alla  difesa,  ed  erano  andati  agli 
uffiziali  della  peste  ,  allo  libro  della  sagre* 
stia  di  Santa  Maria  Novella  ,  allo  spezia- 
le 9  donde  si  levò  la  cera,  ai  becchini  e  al- 
la vicinanza*  e  fattosi  fare  fede  come  mae- 
stro Manente  in  casa  sua  era  morto  di  mor- 
l>o  e  sotterrato.  Eia  per  Firenze  questo 
fatto  a  tutte    quante    le    persone    maravi- 

SHoso  ,  e  molti,  che  V  avevano  veduto  ao^ 
are  alla  fossa,  restarono  stupiti,  temea«« 
do  di  qualche  caso  strano.  Maestro  Ma- 
nente ,  poi  che  egli  fu  tornato  a  casa  ,  e 
eh'  egli  ebbe  desinato,  se  n'andò  con  Bur- 
chiello in  Vescovado  ,  e  al  Vicario  conl& 
tutta  la  querela,  nella  fine  della  quale  chiè- 
deva di  riavere  la  moglie.  Il  Vicario  pa* 
rendcf^li  cosa  maravigllosa,  per  intenderne 
la  verità,  fece  citare  T  altra  parte;  sicchò 
udendo  le  ragioni  di  ]Niccolao  e  di  Mi- 
chelagnolo^ e  veggendo  tante  fedi  e  di  tan^ 
ti  uòmini  da  bene,  rimase  sbalordito  e  coa- 
fuso ;  e  poiché  io  tal  causa  vi  si  era  inter- 
venuto un  morto,  non  potendo  rinvenir 
né  dalPuna  parte,  né  dalP  altra  chi  egU 
si  fusse  stato,  né  come  entrato  in  casa  del 
medico  j  ebbe  per  certo^  che  tr|i  loro  fosr* 


'fte  ììHtò  òmrcidto ,  e  lo  fece   s^retimentt 
'inlendereiaffli  Otto,   i    quali    presUnnente 
^nìatiilataglì  là  filmiglia ,   li  troTÒ  che  qae- 
atlonàiTaaQ  ancóra,  si  che   tutti   Ji    prese, 
'dà  Burchiello  in  fuori  »  e  ne   li  'menò   al 
*fiargcllo/  La  mattina  ,  poiché   1*  affilio   fa 
>flgdDatò'«  'si  fecero  il  primo   tratto  renira 
"innauti  maestro  Manente  «  e  cominoiaroit- 
~)o  a  minacciare  aspramente  di  volérgli  <|a- 
Ye  della  fune,  sé  non  dicesse' loro    la  ve- 
'rità;  per  la  qual    cosa    maestro    Manente 
fattosi  da  principio,  distintamente  per  in- 
fino alia  fine,  disse  loro  tutto  quello,  che 
gli  èra  intervenuto,  di  maniera  che  da  sei 
volte  in  su  gii    aveva    fatti    ridere  ;    dipoi 
fattolo  rimettere  in  prigione  ,    mandarono 
per  Niccolao,    il  quale   raccontò    loro    la 
verità  di  quanto  egli  sapeva*  e  da  Miche- 
lagnolo  inteso  anco  il  simile,   e  per  certi- 
ficazione delle  loro    parole    mostravano  le 
fedi,  pensando  certo  che  *l  morto  fusse  sta- 
to  maestro  Manente.    Ma  sentendo  gli  Ot- 
to del  servigiale  che  v*cra  stalo  a    gover- 
'narlo,  e  a  smorbar  la  casa,    si  pensarono 
poter  trovare  il    bandolo   agevolmente    di 

3U€$ta  matassa  scompigliata ,  e  mandarono 
i  fatto  un  lor  famiglio  correndo  a  San- 
ta Maria  Nuova  per  lui  ;  ma  dallo  stesso 
famiglio  intendendo  poi  come  il  detto  ser- 
vigiale avendo  fatto  quistione  con  un  al- 
tro, e  feritolo  con  un  pajo  di  forbice  nel 
viso ,  se  n*  era  per  paura  di  Messere  an- 
dato con  Dio,  uè  mai  s*era   saputo  dove 


91  fosse  arrivalo,  rimasero  pìb  confusi  che 
prima.  Vedete  se  alle  beffe  successe  ogni 
eosa  felicemente.  Laonde  gli  Otto»  fatto  ri** 
mettere  coloro  in  prigione,  commesseroat 
loro  ministri»  che  diligentemente  riscon- 
trassero quelle  fedi»  e  per  quanto  si  pote- 
va »  ricercassero  ancora,  se  maestro  Ma- 
nente aveva  detto  la  verità;  i  quali  inca- 
po di  due  o  tre  giorni  rapportarono  »  co« 
me  tutti  avevan  detto  il  vero  ;  per  }a  quat 
cosa  r  uffizio  ne  stava  malcontento»  e  più 
maraviglioso  che  mai.  In  questo  tanto  Bur« 
cbiello,  per  ajutar  maestro  Manente»  atve- 
va  trovato  a  casa  uno  de^rincipali  di  quel 
Magistrato  e  suo  »  e  de)  medico  grand  issi' 
mo  amico»  e  narratogli  come  quella  era 
trama  del  magnifico  Lorenzo,  e  come  tut- 
to fatto  aveva  per  fare  al  maestro  quelFa 
bella  beffa»  e  aissegli  a  che  fine»  e  per  più 
ragione  mostratogliene»  fece  tanto»  che 
lo  tirò  nella  sua  opinione  »  conchiudendo 
fra  se»  che  per  ninno  altro  modo,  che  per 
Tia  di  Lorenzo  non  potesse  in  Firenze  es- 
aere intervenuto  un  caso  simile  ;  per  la 
qual  cosa  parlando  una  mattina  peli*  nfft- 
zio  sopra  questa  causa»  disse  che .  gli  pare- 
rà fusse  bene  scriverne  al  Magnifico  »  che 
si  trovava  al  Poggio»  e  rimetterla  in  lui» 

Eer  to  essere  querela  tanto  intricata  e  ma- 
igevole  a  darvi  sentenzia  sopra»  che  buo- 
na fusse.  Piacque  a  tutti  quanti  $0]Sima* 
mente  questo  suo  parere^  diceuiio  che  oU 


4s8  rmkMJL  ctmk.  . 

tre  TaTerne  egli  piacere  graodissimo,  a*«u. 
rà  appuQto  giudice  ottimo  di  ai  fatte  cau« 
se  ;  cosi  d*  a<?cordo  commisero  al  cance^ 
Kere,  che  d'ogni  cosa  per  iofino  allora 
qcoorsa  io  cotal  causa  minutamente  Io  ra§- 
goagliasse,  e  come  la  lite  era  rimessa  nel- 
1^  sua.  Magnificenza ,  e  tanto  fu  fatto  ;  e 
il  giorno  medesimo,  mandarono  la  kttera^ 
e  (attesi  venire  i  prigioni  innanzi,  cornali- 
durono.loroy  che  niuno  fusse  ardito  d*ap- 
pressarsi  a  cento  braccia  .nella  via.  de*foa« 
si  t  ne  di  favellare  alla  Brigida  sotto  pe« 
na  delle  forcbct  infiao  a  tanto  che  la  lite 
non  fusse  giudicala  ,  la  quale  avevano  ri- 
messa nel  Magnifico  9  che  tosto  sarebbe 
nella  città,  e  si  licenziarono  ;  i  quali  ,  par 
gato  le  spese,  se  n* andarono  alle  lor  fac- 
cende ,  sperando  ciascuno  cbe  la  sentenza 
dovesse  venire  in  suo  favore.  Sendosi  dun- 
que questa  cosa  divulgata  per  tutto  Firen- 
ze, ognuno  faceva  le  maraviglie,  e  la  Bri- 
gida mesta  e  malcontenta  quanto  ella  po- 
teva ,  le  pareva  miir  anni  di  vederne  la 
fine.  Maestro  Manente  toraaudosi  con  Bur- 
cbiello ,  attendeva  a  medicare  ,  e  cosi  gli 
orafi  air  arte  loro.  U  Magnifico  avendo  a- 
vuto  la  lettera  degK  Otto,  aveva  tanto  ri- 
so e  tanto  ,  cbe  gli  era  slato  una  maravi- 
glia, parendogli  cbe  la  burla  avesse  ava* 
to  più  bello  e  lieto  fine  mille  volte  ,  che 
saputo  non  si  sarebbe  immaginare*  e  n'eb- 
be un*  allegrezza  a  cielo.  Ma  poi  in  capo 
a  otto,  o  dieci  giorni  tornato    in  Firenze  » 


NOTBLLl   X.   E    ULTIMA.  429 

sodò  il  gioroo  n^desicno  maestro  Manen- 
te per  visitarlo,  ma  aon  poteitc  aver  udieo* 
28,  ed  li  simile  era  iolervenuto  agli  orafi; 
il  secondo  gioroo  poi  vi  ritornò  maesUO 
Manente,  e  lo  trovò  appunto  a  tavola^ 
che  appunto  aveva  fornito  di  desinare;  al« 
la  CUI  giunta  il  Magnifico  ,  dentro  tutto 
lieto,  mostrò  di  fuori  stupore  e  maraviglia 
grandissima,  e  disse  con  alta  voce:  Mae- 
stro  Mancate,  io  non  credetti  vederti  mai 
più  ,  avendo  inteso  per  cosa  certa,  che  tu 
eri  morto,  ne  ancora  sono  certificato  af- 
fatto se  tu  sei  desso  o  un  aftro ,  o  se  bai 
addosso  qualche  corpo  fantastico.  II  me* 
dico ,  con  dir  che  non  era  mai  morto  ,  6 
che  era  quel  medesimo  che  sempre  mai  fu  , 
Yojeva  pure  accostandosi  inginocchiarsi  per 
baciargli  là  mano  ;  quando  il  Magnifico 
disse  :  Sta  discosto  ,  bastiti  per  ora  ,  che 
se  tu  sei  maestro  Manente  yivo  e  vero, 
tu  sia  il  molto  ben  venuto,  se  altrimenti, 
i)  contrario.  Il  rae<lico  volle  allora  cornine' 
^iare  a  narrargli  il  caso  ,  ma  Lorenzo  gk 
disse  che  non  era  tempo  allora ,  e  poi 
soggiunse:  Stasera  dalle  ventiquortro  oro 
iu  ià*  t^a^petto  in  camera  per  udire  le  tue 
ragioni  ,  e  così  ancora  gli  fece  ipcendere 
che  vi  sarebbono  gli  avversari!  suoi.  Mae^ 
atro  Manente  ringraziatolo,  riferentemen- 
te prese  da  lui  licenza ,  e  ritornatosene  a 
pasa  ,  d*  ogni  cosa  ragguagliò  Burchiello» 
il  quale  fra  se  ridendo  diceva  :  Io  so,  che 
1*  è  come  si  dice,  caduta  in  grembo  ài  zio } 


■ 


Vedete  il  JMegaiiico  arÀ  la.  pMqiu  ia    Aw^^ . 
neoioa  ;  pure  dubbioso  adcora   no»  MÒe^.  * 
ira  immagi parsene  la  fioe*    Voi^De  Ja.  aen^ 
•Qiaato«  e  gli  orafi  arenilo  avolo  .coou^*: 
^meDlo  di  rappreseolanit  erano  giacca-, 
yarili,  e.p{i9teggianiao  per  le  loggebéspeN  «: 
iando    d*  esser    cbiamau  «  qaando   nm^^ 
■àaesiro  Maneaie;  la  aual  cosa  tfendo  iflkv 
Ijeso  Lorenxot  se  n^'ando  nella  camera,  pria*    '• 
ijipale  in  compagnia  d*  alquanti  ctUadinié'  « 
e  prinù  di  Firenze  »  tntU   amici  e  cono-  V' 
scenti  del  medico,  e  fatto  intendere    alle    • 
parxi ,  fece  prima  metter  dentro  Niccolao,    - 
e  poi  Mickela^nolo ,  e  posti    tutti   a    due 
insieme ,  e  udite  le  loro  ragioni  e  reduto 
le  fedì  9  feciono  sembianti    grandissimi    di 
maravigliarsi.    Neir  ultimo    aodati    fuori  , 
entrò  dentro  maestro   Manente  »    il    quale 
fattosi  da   capo  «   ordinatamente   racoont^ 
loro  il  Tero  di  quanto  gli  era  occorso  sen- 
aa  levarne  o  porvi  niente;  della  qual  co- 
la tutti  coloro,  che  udieno  insieme  col  Ma* 
^ifico,  avevano  fatto  le  maggiori  maravi- 
glie e  le  maggiori  risa  del  mondo,  né  per 
lo  molto  maravigliarsi  e  ridere    che   aves* 
aero  faito,  non  si  potevano   contenere   di 
non  si  maravigliarct  né  di  non  ridere;. ma 
poiché  Loreuxo  ebbe  fatto   ridire   a    mae«  . 
stro  Manente  la  cosa  due  o  tre  volle,  fé* 
ce  chiamar  dentro  gli  orafi,  e  per  un  pez- 
zo ebbe  il  più  bello  e  *1  ma^or  passatemi   . 
pò,  che  egli  avesse  alla  vita  sua,  percioo^ 
che  intbcolati  e  '«dilati^  si  erano  dette  vil« 


NOYELLl   X.    E  ULTIB8U.  43  C 

lanÌ6  4a  caui.  Intauio  coinparie,  qurrì  il. 
Vicario,  aveodolo  maodato  a  cbiao^are  il 
Magoìfico  ;  si  che  da  tatti  fattogli  rive*- 
reasa^  se  lo  mise  Lorenzo  a  sedere  a  caa« 
lo,  e  seguitò  di  favellare  cosi  dicendo^ 
Messer  lo  Vicario,  perchè  io  so  che  voi. 
sapete  la  differenza^  che  hanno  fra  loro 
questi  uomini  da  bene,  come  colai  che 
1  avete  udita ,  non  istarò  a  replicarveua. 
fltrOf  se  non  che  sendo  io  stato  eletto  da* 
gli  spettabili  signori  Otto  giudice  di  quel- 
la ,  altro  non  mi  resta  a  doverne  dare  la, 
sentenza  ,  sé  non  chiarirmi ,  ohe  maestra 
Manente  non  morisse  mai,  e  che  questo^ 
che  noi  aviamo,  con  sia  qualche  corpo  fan- 
tastico incantato  o  qualche  spirito  diabo- 
lico, il  che  a  voi  s*  appartiene  di  vedere 
e  d*  intendere.  Oh  in  che  modo?  rispose 
il  Vicario,  Uirovvelo  io,  soggiunse  Loren« 
aco  ^  e  disse:  Col  farlo  scongiurare  a  certi 
frati  ,  che  cavano  gli  spiriti,  con  metter- 
gli addosso  reliquie  appartenenti  alle  ma^ 
He.  Bene  avete  parlato  ,  rispose  messer  lo 
Vicario  ;  datemi  tempo  sei  o  otto  giorni 
a  provvedere,  e  se  di  poi  egli  reggerà 
al  martello ,  si  potrà  sicuramente  met- 
ter per  vivo  ,  e  per  desso.  Voleva  mae- 
stro Manente  ripigliare  le  parole  ,  quando 
il  Magnifico  confermato  la  intenzione  del 
Vicario^  e  detto  che  come  avesse  fatto  Te- 
sperienza  ,  che  sentenziarebbe  ,  si  levò  in 
piedi,  e  Ucenauato  ognuno,  se  n*  andò  coi^ 
ijuelli .  gjentilaomÌBÌ ,  chie  erano   seco  a  ce- 


tia  rideiìdà  e  motieggìando  sempre  di  qvriS 
Aa  còsa  airaTagaote.  L*  àliro   giornò^  il  Vi- 
cario 9  che  era  buono  e  devoto   cristiano*! 
e  dolcissimo  religioso»  fece  intcodere  •'  lui- 
tb   r  Arci  vescovado  t   a  preti  e  frati ,    fobe 
arUssero  reliqaie    buone  9  far    fuggir  dit- 
ìfoli  e  a  caòciar  spirili  >   ohe  fra  sei  Ktodw. 
Ve  coiiducessero    in   Firenze   in   S.  BtiSHà 
Maggiore  sotto  peua   de}fa  sua   indiguasiA- 
&e.  Per  la  terra  allora  non  si  sparlava -dal" 
tro ,  se  non  di  questa  novità ,  doosi  agli 
orafi ,    come   a    maestro    Manente    pareva 
iniir  anni    di    èsserne   faora.    Lorenso    in 
questo  mentre  aveva  fatto  venire  in  Firen- 
ze Nepo  vecchio  da  Galatrona  ,  stregone  e 
maliardo  in  quei  tempi  eccellentissimo ,    e 
fattogli  intendere  quello  che  aveva    da  fa- 
re ,  io  teneva  in  palazzo  per  servirsene  ad 
ora  e  tempo%    Erano    già  della    città  e  dei 
contado    comparite    in    Santa   Maria   Mag- 
giore tante  reliquie,  che  erano  meraviglia. 
Già  venuto    il    giorno   deputato ,  maestro 
Manente    comparito ,    non    s*  aspettava    se 
non  il  Vicario ,  il  quale  dopo  vespro  ven* 
ne  accfimpagnato  da  forse  trenta    religiosi 
e*  più   reputati    di    Firenze  ,   e  postosi  nel 
mezzqi    della   Chiesa    a    sedere   sopra  una 
Sedia  preparatagli ,    si  fece    venire  innanzi 
0iaes|[ro    Manente  »    e    porlo    ginocchiorii  ; 
ma  i^oicfaè  da  due  frati  di  S.  Marco  gli  fu 
cantato  sopra  vangeli ,  salmi  »  inni  9  orauo« 
ni ,  e  gittatugli  addosso, acqua  benedetta  e 
incenso  »  di  mano  in  mano  e  preti  e   fra* 


ti  gli  fecero  toccare  le  loro  .  reliquie  »  ma 
:  ogni  cosa  era  in  vano  »  perchè  il  medico 
(non  8Ì  mutava  di  nulla,  anzi  facendo  ri- 
Terenza  a  tutti  quanti ,  ìriograiuaTa  Iddio  , 
e  raccomanda  vasi  al  Vicario»  che  oggimai 
]o  liberasse.  Era  la  chiesa  piena  e  pinza 
per  ogni  Terso  di  persone»  che  tutte  aspet« 
lavano  le  meraviglie»  quando  un  fratao- 
chionè  •  che  era  venuto  da  Valombrosa , 
grovane  e  gagliardo  •  e  cavatore  di  spiriti 
per  eccellenza  »  feittosi  innanzi ,  disse  :  La* 
sciate  fare  un  poco  a  me»  che  -tosto  vi  di- 
ro scegli  è  spiritato  d  no;  e  legatogli  moU 
to  ben  le  mani  »  gli  me^se  addosso  di  nuo« 
vo  il  mantelHno  di  S.  Filippo»  e  gli  comio^ 
ciò  a  domandarlo  e  scongiurarlo»  e  il  me« 
dico  sempre  rispondergli  a  proposito  ;  ma 
perchè  in  quella  scongiurazione  il  frate 
diceva  cose  da  far  ridere  le  pietre»  venne 
per  disgrazia  a  maestro  Manente  ghignato 
un  pochetto  ;  per  lo  che  il  frate  subito 
disse:  Io  rho';  e  dettegli  due  ceffatoni  da 
maestro.  Se*  uno  »  disse  »  nimico  di  Dio  » 
tu  ti  hai  a  uscire  a  ogni  modo.  Maestro 
Manente  non  gli  pareva  giuoco  »  e  grida- 
Ta  pure  :  Scongiura  quanto  tu  vuoi  ;  ma 
quel  fratacchione  dandogli  tutta  via  pugna 
nel  petto  »  e  nei  fianchi  diceva  pure  :  Ahi 
^irito  maligno»  tu  n* uscirai  a  tuo  dispjet- 
to!  Il  medico  non  potendo  a jutarsi.  eoa 
altro  che  con  la  lingua  »  gridava  :  Ahi 
frataccio  traditore  »  a  questo  modo  si  fa 
agli  uomini  da  bene?  non  ti  vergogni»  poi* 
Lasca.  a8 


r  '%f 


4S4  V  -miKireiM» 

tronet  ubriaMt  iNitcere  io  onettai  g«ÌM  w 
jniO"ptri7*  per  lo  corpo  1  eh  io  me  ne  irep^ 
«licherò.  H  frate  «:  sentendolo -betleoiiDwre  4 
«e  gii  a^feati  iddoeso  4  e  gittMofo  in  Mi* 
MS  gU  pose  i  piedi  sai  corpo  e  le  meni 
eUa  golst^e  lo  arebbe  affogalo»  se -^ oc»  ohe 
BÉaestro  Blaneote  •«  comiaciÀ  a  tacoomatii 
dare  oerT  amore  di  Dio;  onde  mester  I0 
frate  levatogli  le*  ms»  da  dosso}  peoiò  cm 

alt  volesse  asoira ,  e  eomincio^k  a<fdÌMs 
le  segno  mi  darai  ta  7  ellon  il  MoaaooA 
che  pereommissione  d^  ìiMgniÈCb  tfrapeoa 
Hqpe  m  Qhiesa  Tenato>  e  aiesèolatDsi  fca  *Ui 
gefite,gli  disse  che  gli  era  tempo.  Subito  Nepo 
gridando  ad  alta  voce  disse:  Disoostatevi  t  di^ 
SGOstatevit  uomini  da  bene,  fatemi  largov  che 
io^engo  per  favellare  al  Vicariote  per  isco* 
prire  la  verità.  Sentita  quella  voce»  e  udite  le 

{>arole,  e  veduto  Taspetto  deiruomo*  il  cpm* 
e  era  grande  della  persona  e  beo  Catto , 
di  camagiotie  tanto  ulivigna  «  che  pende* 
va  in  bruno  »  aveva  il  capo  calvo  »  il  viso 
affilato  e  macilente»  la  barba  bruna  e  huip 
ga  per  infino  al  petto ,  e  vestito  di  rom 
e  -stravaganti  paoni ,  ognuno  ripieno  di 
maraviglia  e  di  paura  gli  diede  volentieri 
la  strada  9  tanto  che  condottesi  innanzi  al 
Vicaria  «  fece  levare  ouel  frate  d*  intorno 
a  maestro  Manente,  che  gli  parve  risusci^ 
tare ,  e  di  poi  parlò  in  questa  guisa  ,  di« 
cendo  .*  Acciocché  la  verità ,  dome  piace  a 
Dio»  sia  manifesta  a  tutti,  sappiate,  come 
maestro   Manente,  cosi   non   mori  mai  ,  e 

lutto  quello  che  gli  è  intervenuto,  è  alato 


hotblul  %.  m  tmnrnké  43S 

ftt  atte  magtca,  per  Turtù.  cKtbiditeat^  pec^' 
opra  mia  ,  che  sooo  STepo  di  GaUorona*^ 
il  quale  ;  fo  fare  alle  demooia  eiò^  cìm  àu 
Bare  e  piace*  E  così  io  fui  qaello  che  lo 
feci  9  mentre  che  i^li  dormiva  in  S»  Mar» 
tino  >  portar  dai  »  diavoli  in  un-palaia^ 
iDcantato^  e  nel  modo  appunlo  che  dm 
lui  avete  ndilo  ^  lo  tenni  per  infioo  eho 
una  mattina  in  sol  far  del  giorno  >  lo-  feci 
lasciare  nei  boschi  di  Yernia;  avendo  fat» 
io  a  uno  spirito  folletlo  pigliare  un  corpo 
aereo  simile  al  sao ,  e  fingere  ohe  fossa 
maestro  fifànente  ammalato  di  peste  t^  fi* 
BMdmente  mortosi  »  fu  in  vece  di  lai  sotterv 
rato;  onde  dipoi  ne  nacquero  tutti  quanti 
qtiegli  acctdenU  ,  che  voi  vi  sapete.  Tuttt 
^este  cose  ho  fatto  fare  io  per  far  qua» 
ata  burla ,  e  questo  scorno  a  maestro  Mat 
«lente ,  in  Tendetta  d*  una  ingiuria  ricevu» 
fa  già  nella  pieve  a  S.  Stefano  da  suo  pa^ 
43re  »  non  avendo  potuto  mai  valer  mena 
aeoo  per  cagione  d*un  breve ,  il  quale  egli 

f»rtava  sempre  addosso  »  in  cui  era  scritta 
orazione  di  S.  Cipriano  :  e  perche  voi 
conosciate ,  che  le  mie  parole  sono  veris4 
aime  «  andate  ora  a  scoprire  V  avello  «  ckn 
ve  fu  sotterrato  colui ,  che  •  fu  creduto  il 
medico  y  e  se  toì  non  vedete  segni  mani* 
fasti  deUa  verità  di  quel  che  io  v*  ho  faip 
"««llato  9  tenetemi  per  un  bugiardo  ^  e  per 
un  giuntatOM  »  e  fittemi  mozzare  il  capo; 
Erano  il  l^ioarìo ,  e  tutte  F  altre  persone 
ftate  attentissima  al  colui  ragionamento^  a 


4,36  TERZI    CENA. 

maestro  Maaeote  coHoroso  e  pieo  dì  pau- 
ra lo  guardava  a  slracciasacco,  e  come  tra- 
sognato ;  e  cos'i  lutto  il  popolo  gli  leoeta 
gli  occhi  addosso.  Per  la  qual  cosa  il  Vi- 
cario volendosi  chiarire  affatto,  e  rader  la 
fine  di  questa  girandoli),  impose  a  due  fra* 
ti  di  S.  Marco,  e  a  due  di  S.  Croce,  che  ao* 
dassero  prestamente  a  scoprire  quel  bene- 
detto  avello,  i  quali  tosto  mettendosi  in  vii, 
furono  da  molti  altri  frati  e  preti,  e  seco- 
lari iu  gran  numero  seguitati.  Nepo  si  era 
restato  iu  chiesa  presso  al  Vicario  e  al 
maestro  Manente,  i  quali  mezio  mezzo  ira- 

fiauriiioe,  non  si  arrischiavano  a  guardar- 
o  fiso  in  vollo,  dubitando  colla  maggior 
parte  degli  uomini  ,  che  vi  erano  presen- 
ti, che  egli  noo  fusse  un  altro  Simon  Ma< 
go ,  o  uQ  nuovo  Malagigi.  Intanto  cammi- 
nando erano  giunti  i  frati,  e  l'altra  gen- 
te in  sul  cimiterio  di  S.  Marta  Novella  ,  e 
fatto  chiamare  il  sagrestano  ,  si  fecero  in- 
seguare  T avello,  nel  quale  si  pensavano 
fosse  stato  seppellito  Ìl  corpo  del  medico. 
Aveva  la  mattina,  iunanzi  giorno  un'ora, 
il  Monaco  per  commessione  del  Magnifico 
arrecato  da  Careggi  un  colomba  nero  ■  oor- 
me  la  pece ,  il  più  fiero  e  il  maggior  'vo- 
latore che  si  fosse  veduto  mai  ;  e  al  ben* 
sapeva  ritrovar  la  colombaja  ,  che  gli  «era 
tornato  Gno  d*  Arezzo  e  da  Pisa  *  il  'mó»^ 
le  guardalo  che- nessuno  le.  vedeue,  I.mt^ 
va  messo  in  quella  sepoltura,  la  quale  egli 
coDosceva  benissjmp  ,  e  riaernitftlft    poi   di 


NOVELLA    X.    E   ULTIMA.  48^ 

nodo ,  che  pareva  che  ella  fussc  stata  die** 
GJ  anni  senza  essere  mai  stata  aperta.   Sic- 
ché il  sopraddetto  sagrestano  attaccatoTi  Tun- 
€Ìno ,  tirò  sa  ta  lapida  ,   e  in   presenza  di 
più  di    mille   persone  scoperchiò  V  avello  ; 
onde  quel  colombo,  che  aveva  nome  Car- 
bone ,  sendo  stato  parecchi  ore  ai    bujo  e 
senza  beccare  ,  veduto  il  lume  ^   nun  trat*. 
to  volando  prese   il  volo    allo  in  su  ,  e  si 
usci  dalla    sepoltura  ,    e  visibilmente    pog-. 
giando  in  verso  il  cielo  ,  andò  tanto  alto  9 
che  egli  scoperse  Careggia  e. docciando  poi 
81  difilò  a  quella  volta  ,    dove  fu  in  meno 
d'  un  ottavo  d*  ora  ;  della  qual  cosà  ebbe«. 
ro    i    circostanti    tanta    meraviglia  e  tanto 
Spavento ,    che    ciascuno   gridando   Gesù  « 
misericordia  9  correva   e  non   sapeva  dove. 
Il  sagrestano    per  la    paura   cadde   alT  ia« 
dietro,    e    tirosse  la  lapida    addosso,  che 
tutta    gì*  infranse  una  coscia  ,   della  quale 
s^tte  poi  molti  giorni  e  settimane    impac- 
ciato. I  frati,  e  una  gran  parte  della  gente 
correvano  verso  S.  Maria  Maggiore,  gridan- 
do  miracolo ,    miracolo .    Chi    diceva    che 
libera  uscito  uno  spirito,  e  in  forma  di  sco-. 
|attolo  y   ma   che    egli  aveva    V  alie ,  e  chi 
un  serpente  ,  e  che  egli  aveva   gittate  fuo- 
co ;  altri  volevano   che  fosse   stato  un  de- 
monio convertito  in  pipistrello;  ma  la  mag- 
gior  parte   affermava  essere    stato  un  dia* 
volino ,  ed    eravi    chi    dicea    d'avergli   ve* 
doto  le  cornicina  e  i  piò  d'oca.  I<i  S.  Ma-*, 
ria  Maggiore   dove   aspettava   il  Vicario  e 


438  «TfeRZi  CEiri. 

maestro  Manente^  e  unii  grandiasima  nieV» 
ftiadioe»  gianse  una  turba  qoasi  correD^ 
do  di  reKgiofti  ^  e  di  secolari  gridando  lai- 
tt  a  nna  voce^  miracolo ,  miracolo;  si  che 
In  calca  intórno  loro  si  fece  grandissima;*  e 
ognuno  si  fiocaya  innanzi  per  intendere  la 
verità  del  caso.  In  questo  mentre  liepo  ao« 
costatosi  verso  la  porta  del  fianco ,  fatto* 
gli  spalla  dalli  staffieri  e  dal  Monaco  ,  tm 
gente  e  gente  si  usci  di  chiesa  «  ^he  per* 
aona  non  se  n'accorse,  e  montato  sopra 
nn  baon  ronzino,  che  apposta  lo  aspetta- 
"ta ,  tirò  via  ,  e  se  ne  tornò  a  casa  sua  » 
come  era  ordinato.  Il  Yioario  poiché  dai 
frati  ebbe  inteso  minutamente  il  tutto,  at* 
tònito  e  smarrito  guardava  ititorno  s*^li 
vedeva  Nepo  ^  e  non  lo  veggendo ,  comio^ 
ciò  a  gridare  che  se  ne  cercasse ,  e  che  egli 
fusse  preso ,  perchè  lo  voleva  fare  ardere 
come  vero  stregone,  maliardo  e  incanta* 
tore  ;  ma  non  si  trovando  in  nessun  lato  ^ 
fu  creduto  che  per  arte  magica  fusse  spau- 
rito. Per  la  qual  cosa  il  Vicario,  licenzia- 
to tutti  i  preti  e  i  frati  ^  e  detto  loro  che 
se  ne  riportassero  le  loro  reliquie ,  se  ne 
andò  in  compagnia  di  maestro  Manente 
verso  palazzo  per  trovare  il  Magnifico. 
Burchiello  con  certi  suoi  amici  s*era  sta- 
to in  disparte ,  e  veduto  e  considerato  ogni 
cosa  ,  aveva  tanto  riso  ,  che  gli  dolevano  le 
mascella ,  e  massimamente  quando  messer 
lo  frate  forbottava  maestro  Manente.  I  due 
compagni   orafi   naravigUosi  e  scontenti»* 


timi ,  seodo  stati  presenti  a  tuUso  il  aeaai* 
lo,  9  vedulo  il.  Vicario   andarne   n.  palai* 
aDO* ,  se  gli  erano  avviati   dietro   per  yed^r 
M  potevano  useire  da  questo  laberinto.  U 
Bdiagnifico  aveva  dVra  in  ora  avuto  il  ra|^ 
guaglio  miotttameate  d*ogm   particolarità  » 
die  con  alquanti  geotilaomiqi  e  amici  suoi 
|iiù  cari    non   si   poteva  tenere .  ancor   di 
iidere  »  quando  senti  che  egli  era  il  Yicar 
rio  che  veniva   a   vederlo  ;  il  <|aale  com# 
apparir  Io  vide  ,   cominciò    a  gridare  che 
voleva  la  famiglia    del  bargello   per  man* 
dare  a  pigliar  Nepo  da  Galatrona*  Ijoreo- 
f0 ,   facendosi   nuovo ,   si    fece  ^nì  cosn 
ridire  »  e  poi   soggiunse  :   Messer  lo  Vica- 
rio» andiamo   adagio  di   grazia  ai  casi  di 
Nepo:    ma  che  dite   voi  .di  maestro  M[a« 
nente  ?  Dico ,  rispose  il  Vicario  9  che  nooi 
ci  è  più    dubbio   veruno   eh*  egli  è  desso 
certo  «e   non    mori   mai.   Ora    dunque  # 
disse  il  Magnifico ,  ed  io  vo*  dar  la  sen* 
temsa  9  acciocché  oggimai  questi  poveri  «o^ 
mini  esohino  di  cosi  fatto  gineprajo.  E  fat* 
to  chiamare  ,  che  gli    aveva   veduti  9   ^^ 
colao   e    Micbelagncrfo    alla    presenza  dd 
Vicario  e  di  molti  uomini  virtuosi  e  of»^ 
rati  y  fece  loro  abbracciare  e  baciaro  mao" 
atro  Manente  »  e  fecero  insieme  una  belili 
pacioaza ,  scusandosi  ciascuno ,  e  versando 
lotta  la.  broda  addosso   a   Nepo 9  e   di  DO^ 
sentenziò   il   IM^agnifico   in   questo   mooo; 
Che  per    tutto  il  vegnente  giorno  Michela- 
§tto)o  4ove8se  aver  cavato  tutte  jie  job^^ 


1-» 


'440  TERZA  esni. 

cbe  egli  tì  portò  ,  ili  casa  maestro  IVIaDed- 
te,  e  che  ]a  Brigida  eoo  qùallro  camicie 
solamente  ,  colla  gammurra  e  colla  cioppa 
se  ne  andasse  a  stare  a  casa  il  fj-atello  per 
jnfino  a  tanto  che  ella  partorisse ,  e  cbe 
dipoi  fatto  il  bambino,  slesse  io  arbitrio 
di  Michelagnolo  a  torlo  o  no  ,  e  ooq  lo 
volendo,  lo  potesse  pigliare  il  medico;  se 
non',  si  maodi  agi' Inooceoti ,  e  die  le 
spese  del  parto  io  tuitì  quanti  i  modi  va- 
dano addosso  a  Mìcheli^gnolo  ,  e  cbe  il  ' 
maestro  si  torni  a  casa  su»  a  goder  col 
figliuolo  ,  e  che  di  poi  uscita  di  parto  la 
Brigida,  ed  entrata  in  santo,  si  torni  a 
maestro  Manente,  e  che  maestro  Manen- 
te la  debba  ripigliare  per  buona  e -p^ 
catu.  Piacque  generalmente  a  ognnno  que> 
fita'sentenza,  e  ne  -fu  commendato  molto 
il  Magnìfico  da  tutte  le  persone  che  la  in- 
tesero ;  onde  gli  orafi  tf^*l  medico ,  ringra- 
tìatolo  soinmainente  «  si  partirono  allegris- 
«imit  e  la  sera  d'accordo  cenarono  tutti 
quanti  insieme  con  la  Brigida  in- casa  pu- 
le di  maeatro  Manente  ,  m  compagnia  di 
Burchiello ,  col  quale  se  ne  andò  poi  a 
dormire  il  medico.  Messer  lo  Vicario  ri- 
masto^ col  Magnifico  voleva  pure  che  ai  - 
mandarne  a  pigliar  Nepo  per  abbruciarlo  (  - 
ma  Lorenzo  avendogli  detto  eh*  egli  era 
meglio  assai  starsene  cheto ,  perciocché  fa- 
cendone impresa  ,  oon  riuscirebbe  loro  , 
avendo  egli  mille  modi  e  mille  vie  per 
faggini  t  e  non  '  ci  lasciar  p%Uare  ,  come 


NOVCLLÌl  X.  E   ULTIHA.  441 

farsi  invisibile,  diventar  uccello,  conver- 
t  irsi  in  serpente ,  e  simili  infiqite  altre  cose 
t  la  fargli  rimanere  scherniti  ;  conciossiaco- 
f  Bckè  a  quella  casata  da  Galatrona  abbia 
SDomeneddio  data  questa  potestà  a  qualche 
Ibuon  fine ,  non  conosciuto  ancora  dagli 
ì  domini  ;  e  come  si  portava  ancor  perìcolo 
,(  grandissimo ,  che  Nepo,  veggendo  e  con- 
tsideraodo  la  lor  mala  intenzione ,  non  gli 
.facesse  ammutolire,  stralunar  gli  occhi  o 
1;orcer  la  bocca ,  o  far  venir  loro  il  par* 
l'etieo  o  qualche  altro  malaccio  ;  onae  il 
^JTicario ,  che  era ,  come  avete  inteso ,  bo* 
Ilario  e  di  dolce  condizione ,  concorse  su- 
bito nella  sua  opinione ,  scusandosi  eoa 
dire ,  che  non  sapeva  tanto  in  là  ,  e  che 
egli  era  ultimamente  fatto  di  non  ne  fa- 
vellar mai  più  ,  e  con  questa  resoluziono 
liisciato  il  Magnifico ,  non  senza  gran  pau- 
ra! di  qualche  strana  malattia  ,  se  ne  tor- 
nò alle  sue  case,  e  mai  più  alla  vita  sua 
non  fu  sentito  ragionare  di  Nepo  ne  in 
bene,  né  in  male.  11  giorno  vegnente  «cavò 
tutte  le  fue  robe  Micheiagnolo  di  casa 
maestro  Manente ,  e  la  Brigida  se  ne  andò 
a  casa  il  fratello,  sì  che  al  medico  rima- 
sero liberamente  tut(e  le  sue  sostanze ,  e  il 
giorno  medesimo  se  ne  tornò  a  abitare  in 
casa  sua  col  figli  uolino,  che  gliene  pare- 
va avr^r  trovato.  In  quel  tempo  non .  si  * 
faceva  altro  in  Firenze  ,  che  ragionare  di 
questfi  cosa  ;  e  ne  acquistò  sopra  tutto  Ne- 
po orjiore  e  fama  inestimabile  »  e  dalla  pie* 


in  moM'oranicnte  ia  («uato  grandÌKìa  i 
jKgromaate.  Mae^^tro  MAOCnle*  cre<i«Ddo!t 
verameule,  cbc  la  cash  fusso  passata  comi 
aveta  racconUlo  Nt'iK»  ,  troTaudosi  a  ra. 
gioaamcDlo  iliceva  «])esM>  ,  tal  |>era  iun< 
già  il  |MiJrv,  cbe  al  fìgliuolo  allrga  i  àn\ 
ti  ;  il  qual  detto  riJuccadosì  pui  ìd  pffi 
verbio  t  e  duralo  per  itifiuo  a'  tempi  noiln; 
e  non  vi  Fu  mai  ordioe ,  cbe  e^li  credeuj 
«llrimenti  ,  beoebè  non  pur  fiurcbitUo , 
ma  il  Uagaiflco  poi  ia  processo  di  lempc^ 
It  Monaco  e  gli  staffieri  diressero  per  tal  • 
lo  come  fiìsie  nudala  Ifi  bcfTn  ;  «iizì  impali' 
rito  aveva  comperato  di  molte  ontxioDi  à\ 
S.  Cipriano,  e  te  {«rtava  contiDUancolt 
•ddouo ,  e  com'  faceva  portare  «Ila  su  t  i 
Brividìi,  pcrcìoccbè  al  tempo  partorì  pi 
la  Brigida  tin  bambino  inascbio  ,  il  quaii 
fu  poicia  do  Michclagnolo  preso  e  allevi* 
lo  per  infiuo  io  dieci  anni  ,  e  dopo  mo  r< 
togli  suo  padre.  Tu  fatto  dai  suoi  fraticbui 
in  S.  Maria  Novella  ,  e  col  tempo  veane 
■tolto  litterato  ,  e  diventò  un  solenne  ptc- 
dicatore ,  e  per  li  suoi  arguti  motti  e  dtjU 
ti  piacevolez/.e,  fu  chiamato  dalla  genie 
fra  Succhiello.  Maestro  Manente  colla  sna 
Brigida  alltse  a  gwìere  ,  crescendo  io'  roba 
e  in  figliuoli  ,  e  ogni  anno,  mectrie  cbe 
TÌMC,  celebrò  la  festività  di  S.  Gi|H'iaB0« 
e  fa  sempre  suo  divoto. 

Con  grandissima  attenzione,  e  CiVn  bob 
piccola  Goatentesia  aveva  no  ascollalo  'i  gio* 
T«u  •  U  doline  la  langa  JioreUs  dlMUt- 

\ 


HOTBLLA  X*^  B  VLTIMJU  ^0 

nAÌMi  ma  non  per  questo  atutone  mai 
niùao  riacrescimeoto»  ansi  straoameote  era, 
piaciuta  a  tutti  ouauti;.  affemaodo  coo> 
pace  del  Piluimiy  aello  Scheggia  e  deiyal*. 
tra  compagnia  »  questa  jportare  il  Tanto  di 
ttatte  quante  T  altre  belle.  Ma  la  bellissi* 
ma  Amaranta ,  reggendo  esser  già  Tenuta. 
Torà  di  dover  dar  finimento  alla  veglia  t 
in  ootal  guisa  parlando ,  disse  :  PoichS  It 
cene  son  passate  e  le  novelle  fomite  «  # 
che  il  nostro  proponimento  coir  ajuto  del 
Re  altissimo  ddle  stelle  condntto  avema 
d  fine  da  noi  desiderato ,  giudico  essera 
ottimamente  fiaitto  ^  che  ce  ne  andiamo 
tatti  quanti  a  dqrmire  ^  sendo  già  buona  » 
anai  grandissima  parte  della  notte  trapas^ 
tata  ;  la  qual  cosa  lodata  sommamente  da 
tutti ,  si  rizzò  ella  in  piedi ,  e  chiamato  i 
famigli  e  le  serve  »  accennò  loro  quello , 
che  IÌGir  dovessero ,  e  poscia  sorrìdendo , 
eod  seguitò  di  dire  :  Carissimi  Rovani  9  e 
Toi  amatissime  fanciulle»  inoanxi  che  noi 
ce  ne  andiamo  a  letto,  ancorché  sia  tar- 
di 9  mi  parrebbe  »  per  servar  la  costuma 
di  tal  notte ,  che  si  dovesse  prima  pusi- 
gnare  un  poco  per  chi  voglia  ne  avesse  ; 
perciocché  ,  se  bene  si  riguarda  »  tanto  tent- 
po  Ila  che  noi  cenammo  »  che  si  cenereb*- 
ne  quasi  un*  altra  volta  ;  il  che  molto  lo- 
darono i  giovani ,  e  piacque  loro  assai. 
Intanto  comparsone ,  portati  da*  servitori , 
tre  grandissimi  piatti  di  stagno  sopra  tre 
scaldavivande  9  pieni  di  freschi  e  bène  acr 


'4^ 

oBuà  taiidfii  UMèalyàKf^uiiém  wt  p«». , 

tmimafenaiie.,  eàse  IhtUi  nutìòbevAlì ,  e 
ohe  lolynB  ii  sapore  al  vioo ,  si  ralleg:ra- 
10' rasv  di  modo,  e  tosto  levatisi  dal 
iciaroDO  a  maogìare  di  quei 
bere  di  santa  ragione.  Ma 
I  dells  4onne  ,  o  fusse  perché  Teglia 
MDBWMM»  o  perchè  Doa  facesse  lor  ma- 
^^'O  pare  per  oDestà ,  non  ve  ne  fu  chi 
M'VOiMMWHggìare  ,  ancora  che  i  giovani 
'  Bele  pregaueru  strettamente;  solo,  due  dì 
loro  bevvero  dq  mezxo  iMcehìere  tra' acqua, 
e  vino  t  e  poscia  con  Amaranta  tolto  d« 
lorQ  onestamente  congedo  ,  gli  lasciarono; 
a  tavola  ,  e  andaronsene  nelle  loro  camere  :  : 
'  a  riposare.'  1  giovani  fatto  un  buono  strì- 
scio a'  tartoG  «  e  bevuto  di  voglia ,  chi  voi-;  • 
le-  restò  a  dormire  con  Fikno  ;  (K  altri  con  • 
buona  compagnia  se  ne  tornarono  alle  lo>> 
ro  case. 


Fine  delie  Novelle  del  Lasca. 


M5 


.f   ♦  - 


■j . 


.  ■t 


I.ND  ICE 


DELm  NOFELLE 


•■        » 


.     BEL     PRESENTE     V  O  hV  UE. 


•■»•.  • 


QU  Editori^ ai  loro  jiuociad.  .    Mg.    t 
yi  sua  Eccellenza  il  Sig*  Conte  Aiu 
,    ionÌQ  l\flaria  ^Borromeo.  G.P.-.     .     vii 
^AlV  Illustrìssimo  Signore  il  Sig.  da'* 

coma  Dawkins  Cavaliere' Inglese  eo.  %vr 
Vita  del  Lasca  .  •  «  •  •  •  •  «  3 
La  Introduzione  al  nos^ellare^  •  ^  •     •     &J 


PRIMA      CENA. 


NOFELLA   PRIMA. 

SalvesLro  Bisdomini  ^  credendosi  por^ 
tare  al  Maestro  T orina  della  moglie 
ammalata^  gli  porta  quella  della 
fante  sana^  e  per  commessione  del 
medico  f  usando  seco  il  matrimonio  , 
guarisce  ;  e  alla  serva  ^  eòe  bisogno 
ne  aveva  9  4à  marito  •     •    •    •     . 


69 


44B 


KorziLJ  rr. 


1 


h 


Un  giovane  ricco  e  nobU«y  pei*  ven- 
dicarle con  un  suo  pedagogo  ,  gli 
fa  una  beffa ,  di  maniera  ofie  colui 
ne  perde  il  membro  virile ,  e  lieto 
poi  se  ne  Corna  a  Lione  .... 


sor  BLU   Iti. 


8t 


89 


Lo  Scheggia  y  coìt  a/uCo  del  Monaco 
e  del  Pilucca ,  fa  una  beffa  a  Neri 
Cliiaramoncesi ,  di  manierachè  dispe- 
ràio  e  'Sconosciuto  si  parie  di  Fi- 
reute,  dove  hoH  rii&ma  mai  sa  nm$ 
vecchio ■    .'• ,    .  '  ■,    .    .    .    .    ';  ■  , 


'Oìanneuo  della  Torra  con  aeoórta 
paròle  trafggendà  la  insolema  d'un 
proxun£uosOf  gli  fa  oonoscere  la  suu 
arroganzoi  «  Ubar»  j«  a  altri    .     .    99 

yiowMixA  r. 

Gu^elmo  Grinutldi  una  noue  ferito^ 
carré  in  cata  Patio  orafo,  0  quipi 
si  muore^f  al  quaigt  Faùo  mmìùio* 
sementa;  ruta  unù^^òtia  gomma  di- 
.  dadàtìi  ■  e  sùttettoMà  teerettmtmtu^' 
fiAige,  peretó  égli  Antf-oMtil*  o/oM- 
'    mista ,  <r«w-  /S«M»  tÉriinitK,  •  va»- 


1  .  447 

sene  con  esso  in  Fr^ncm  ,    e  fatto 

sembiante    di  averlo    venduto ,    in 

Pisa  ricchissima  i^ma  ;  0  poi  ,  per 

gelosia  della  moglie^  accusato  ^p^r* 

dt$  la  vité^  9  ed  alla  dopa  awtìnlfitjba 

i  figlinoli  €  se  ste^a.^  k    .    «    «    •  I07 


i  \  Prete  da  San  Felice  a  Ema  ^  col 
Doler  darle  un  papero  j  conosce  car* 
nalmente  fi  inganna  la  Mea;  di  poi 
ritornando  ^  è  da  lei  ingommato ,  0 
perdendo  il  papero  e  i  capponi,  dcf 
\  loroso ,  non  potendo  ire  ai  suoi  pie* 
\  di,  è  portato  a  casa.    •     •     •    »    •  129 

VOVEhhA   VII. 

0 

Pi  ete  Piero  da  Siena  ,  mentre  vuole 
I  beffare  un  charico  Fiorentino  ^  è  d^ 
i  lui  beffato  in  guisa  ,  die  egli  vi 
]  nette  la  vita  ••.•••••  i4c 


"\ 


NerELLA  rnu 

ìo  Abate  delC  ordine  di  Badia  ^ 
passando  per  Firenze,  visita  San 
Lorenzo  per  ^vedere  le  figure  e  la 
libreria  di  Michel  Agnolo;  dove  per 
sua  ignoranza  e  presunzione  y  il 
Tassò  lo  fa  legare  per  paiUQ   • .  •  i5i 


Lazzaro  £  Maestro  Basilio  da  MUa- 
no  va  a  veder  pescare  Gabbrieilo 
suo  vicino  ,  ed  affoga  ;  onde  Gab' 
brillo  per  la  somigfianza ,  che  seco 
aveva,  si  fa  Im^eievaio  il  romorm, 
dice  esser  affogato  Gabbrieilo ,  e 
come  se  Lauaro  fusse^  diverusto 
padrona  di  tutta   la  sua  roba,   do- 


449 

pò ,  per  modo  di  compassione  f  spo- 
sando  untatura  i^olta  la  moglie ,  seco 
e  con  i  figliuoli  9  commendato  da 
ognuno j  lietamente  lungo  tempo  vive.  i83 


NOrSLLJ    II. 


I 


^Uariotùo  Tessitore  Camaldolese^  de  tuo 
Falananna^  avendo  grandissima  VO" 
glia  di  morire  «  è  servito  dalla  mo* 
glie  e  dal  Berna  ^  amante  di  lei^  e 
credendosi  veramente  esser  morto  ^ 
ne  va  alla  fossa.  Intanto  senten" 
dosi  dire  muania  si  rizza  ^  e  quelli 
che  lo  portano^  impauriti ^  lapidano 
andare  Li  bara  in  terrai  onde  egli 
fuggendosi^  per  nuovo  e  strano  ac' 
cidente  casca  in  jirno ,  e  arde  ^ 
€  la  moglie  piglia  il  Berna  per  ma'- 
rito     .    •    •    - ^  2o5 

ìforMLLA  in. 

W^a  Lìsabetta  degli  Uberd  innamo* 
rata  «  toglie  per  marito  un  giovane 
povero ,  ma  virtuoso  ,  ed  alla  ma* 
dre  ,  che  la  voleva  maritar  ricca' 
mente^  lo  fa  intendere  ;  onde  colei 
adirata  cerca  di  disfare  il  paren- 
tado. Intanto  la  fanciulla  j  fingen- 
do un  certo  suo  sogno ,  oolt  ajuto 
dun  frate^  viene  con  buona  grazia 
della  madre  agli  attenti  suoi.  •  •  a3i 
Lasca.  19 


iror<£i^  tr". 


ho  Sdtegffa ,  U  Pilucca  ed  il  sto- 
naco danna  a  credere  a  Gian  &• 
mone  Berrettajo  di  fargli  per  fona 
d'incanti  andar  dietro  ia  sua  Ìtuìù' 
morata.  Gian  Simone  per  ccrtiftcar- 
se  ,  chiedendo  di  veder  qualche  te- 
gno ,  gliene  mostrano  zjno  che  lo 
sbigottisce  ;  e  non  gli  piacendo  «fi 
seguitare  ,  operano  di  sorta  ,  c.ftc  àù 
lui  cavano  yfnlicintjuf  ducali  .  dei 
quali  UH  pezzo  fanno  ottona  cera  ,  u 

SOrSLLA    V. 

Currado  signore  delt  antica  città  di 
Fiesole ,  accortosi  che  il  figliuolo  sì 
giaceva  con  la  moglie,  sdegnàto\ 
gii  fa  ambedue  asprissimamente  mo- 
rire ,  e  lui  dopo  t  per  la  sovervhia 
crudeltà  ,  i  dai  popolo  ammanat'}.  il 

KorxLi-A    r-M, 

■Lo  Scheggia  ed  il  Pilucca  .  con  du» 
loro  compagni  fanno  una  beffa  a 
Guasparri  del  Calandra  ,  onde  égli 
fu  per  spiritare  ;  poi  con  bcllisnmo 
modo  gli  cavano  un  rubino  di  ma- 
no ,  //  <juale  da  lui  ricomperato,  si 
sguazzano  i  denari. 3 


4^1 

Taddeo  Pedagogo ,  innamorato  et  una 
fanciuìla  nohite ,  le  manda  una 
lettera  Ì amore  ,  la  quale  ^venuta  in 
mano  al  fratello ,  lo  /a^  risponden^ 
dogli  in  nome  della  sirocchia^  ve* 
nire  in  casa  di  notte  •  dove  con 
rajuto  di  certi  suoi  compagni  gli  fa 
una  beffa  di  maniera  ^  che  il  pe^ 
dahte^  quasi  morto  e  vituperati}  af 
ffMo ,  si  fugge  da  Firenze    ,     •     •  3l3 

VOrELLA  mi. 

{C//t  Prete  di  Contado  s^innamora  et  una 
fanciulla  nobile  sua  popolana  ^  la 
qwale  da  lui  sollecitata^  non  "voìenr 
do  far  la  voglia  sua  ,  lo  dice  ai 
fratelli^  i  quali  gli  fanno  una  beffa^ 
nella  quale  fra  gli  altri  danni  gli 
rubano  i  daruiri  e  altro ^  di  poi  lo 
lasciano  legato  per  gli  granelli  m, 
un  cipreiso.  Egli  astutamente  étogru 
oosa  si  libera  ,  e  dàlia  gente  è  /v- 
nuto  migliore  che  prima.  •  -  •     .    «341 

xrorEtLA  IX. 

Neri  Filipetri  amico  e  compagno  di 
Giorgio  di  Messer  Giorgio  ,  gli  con- 
tamina una  sua  innamorata  lascia-^ 
tagli  in   custodia ,   onde   da   lei  i 


'*>'. 


J 


ributtato  e  ripreso  ;  parlochè  Gio^~ 
gio  di  poi  tornato  ,  per  vendicarse- 
ne ,  gli  fa  una  beffa  ,  della  quale 
esce  a  bene,  salvo  che  per  tempre 
ne  perde  la  donna  da  lui  amata  ,  3£5 

MODELLA  X. 

^onna  Mea  viene  a  Firenze  per  la 
dote  della  Pippo  sua  figliuola  ,  ma- 
ritala  a  Beco  del  Poggio  ,  il  quale 
non  avendo  ella  seco  ,  è  consigliata 
che  meni  in  quello  scambio  Nencio 
dell*  Vlivello  ,  il  quale  è  poi  dalla 
padrona  mesto  a  dorpiir*  colla  Pip- 
po i  la  qual  cosa  poi  risaputo  Be~ 
co  ^  si  adira  con  le  donne ,  e  /alle 
ritAieder«  in  Vescovado  ,  onde  poi. 
ti  prete  della  villa  accomoda  il 
tutto  .    .    .    .    •     .    .     ...    .     .  369 


Yerza  cena. 


45S 


•  4 


NOVELLA  X. 


E   ULTIMA. 


Lorenzo  "wecchio  de  Medici  da  due 
travestiti  fa  condurre  maestro  Ma* 
nente  ubriaco  urta  sera  dopo  cena 
segretamente  nel  suo  palagio ,  e  qui- 
vi ,  ed  altrove  lo  tiene  ,  senza  sa-- 
pere  egli  dove  sia ,  lungo  tempo  al 
bufo  ,  facendogli  portar  mangiare 
da  due  immascherati;  dopo  per  via 
del  Monaco  buffone  dà  a  credere 
alle  persone ,  lui  esser  morto  di 
peste  ,  perciocché ,  cavato  di  casa 
sua  un  morto ,  in  suo  scambio  lo 
fa  disotterrare.  Il  Magnifico  poi 
con  modo  stravagante  manda  via 
maestro  Manente  ,  il  ifualc  final' 
mente,  creduto  morto  da  ognuno, 
arriva  in  Firenze,  dove  la  moglie, 
pensando  che  fusse  P anima  sua, 
lo  caccia  via  come  se  fusse  lo  spi' 
rito ,  e  dalla  gente  avuto  la  cor» 
sa  «  trova  solo  Burchiello ,  che  lo 
riconosce  ,  e  piatendo  prima  la  nuh- 
glie  in  Vescovado^  e  poi  agli  Otto , 
è  rimesso  la  causa  in  Lorenzo  ,    il 

Jìuale  ,  fatto  venire  Nepo  da  Ga^ 
atrona  j  fa  veder  alle  persone  ogni 


I 


p 

^^H  cosa  efsere  intervenuta    al  Medico 

^^H  per  forza    d'incanti  ;    sicc/iè  riavuta 

^^K^  /<2  donda ,  maestro  Manente  piglia 

^^^^^^^  per  suo  avvocato  San  Cipriano,     ,  385 

m 


455 


DICHIARAZIONE 

DE'  VOCABOLI 

E  luoghi  pia  difficili 
Che  sono  sparsi  nella  presente  Opera. 


A. 


.diraliccio»  vale  alquanto  adirato. 

aitante  ^  i^ale  robusto. 

andare  ai  versi,  vale  secondare»  e  seguitare 
r  altrui  parere,  o  Toìontà. 

andare  a  yanga,  succedere  le  cose  prospe- 
ramente. 

andare  di  niccherà  «  andar  bene. 

andare  alla  china,  per  andare  alF  in^ù. 

ariento,7P«r  argento. 


* 


•      • 


arroTdhnit  vate  «tcUnéxiì,  o  tlinani 

tameote.  ■» 
aspettare  a  glorie»  f^a/S^  atteodera  chìccliei 

•ia  con  graodUeimo. desiderio, 
attenti  »  p&r  intenti, 
avere  nn*  allegresza  a  delo»  vale  aver  aom* 

ma  allegrezza, 
avere   il  cervella  a  ^partitOf  per  opcrve 

attentamente. 


babbo  t  padre. 

ba latro  ^  per  baratro. 

balioso,  che  ba  balìa,  e  forza»  robasto» 

a  bandiera ,  significa  <  a   caso ,  e  senza  oiy 

dine, 
battuti  9   diconsi   coloro  che  vanno  per  )a 

citti  vestiti  di  cappa  e  cappuccio,  detti 

cosi  dal  battersi   cne    cotali    uomini  ta*. 

lora  soglion  fare  colla  disciplina* 
bazziche ,   per   bazzecole ,   e  vale  picciole 
^    masserizie. 

■     «        .  ■ 

befania ,  per  Epifania. 

bel  cero,  dicesi  a  uomo  stupido,  e  balordo» 

a  cui  si  dice  anco,  bel  tusto. 
berlingaccio  è  T  ultimo  giovedì  del  carne* 

vale  cosi  cbiamato  in  xoscana. 
bertucce  »  osteria  nota  in  Firenze^ 


457 

bonario,  vaU  semplice* 

brigata  »  per  famiglia.  " 

xla  bosco  e  da  ri  fiera,  f^aZ^atto  a  qaalau-i 

que  cosa, 
buiccio,  diminutivo  di  bojo. 


caccabaldole,  carezze,  rezzi,  atti  e  parole 
lusingheyoli. 

cagionevole,  di  debol  complessione,  e  mal 
temperato  fi  sanità^  e  a  cui  ogni  poco 
d'incomodo  o  disagio  è  cagione  di  male. 

icalze ,  per  calzoni. 

camato,  bacchetta  lunga,  e  per  ogni  sorte 
di  bastoncello  sottile. 

cofano,  (/^s/d  canestro ,  corbello. 

•dare  un  canto  in  pagamento,  fuggirsi  na- 
scosamente. 

caparbietà,  vale  ostinazione. 

caponi  di  carnesciale ,  sono  maschere  in- 
tiere, che  si  usano  in  carnevale,  e  cha 
ricuoprooo  tutta  la  testa. 

Careggi  ,  vale  campo  regio ,  nome  di  una 
villa  della  Casa  Medici,  fatta  fabbricare 
da  Cosimo  padre  della  patria. 

caricar  la  balestra  ,  dicesi  il  mangiare  e 
bere  disonestamente  a  crepa  pelle;  me* 
taforicamente  per  usare  il  coito. 

esser  carne  «grassa ,  vale  nauseare. 

cavallotto;  cavallo  forte. 


4 


cvflutoDe,  vaia  ceffata  grande  *  o  gran^ 
schiaffo. 

cercar  maria  per  ravenna,  si  dice  per  mf> 

car  \e  cose  dove  elle   uort   sooo. 
.cerchia,  lo  M««90  uhe  cerchio  ,  e  si  prendi 
anco  per  giro;  oude   Girle  cerchie  mag- 
giori,    vaict    fare    il    giro   o  il  drenilo 
maggiore. 

chinT-zato ,  vale  macchiato. 

io  chiocca,  mcUforicameate  in  abboatUna, 
si  dice  nevicare  a  chiocca. 

chioccare  ,  dar  delle  buue  ,   ballere. 

ciarpame  ,  araost  vili. 

cicaleccio  ,  per  cìcalamenlo  ,  ciarlata. 

cioppa .  torte  dì  Teste  da  donna. 

ciurmare»  vale  dar  a  bere,  ed  ubriacare; 
vale  tocora  ingannare,  dare  ad  intende- 
re  una  cosa  per  un*  altra. 

coltrone ,  coperta  da  letto  dì  paìino  lint 
piena  dì  bambace. 

coofessare  il  cacio,  che  vale  dir  la  OOM 
com'  ella  sta. 

confegna  ,  conrenzione. 

Corso  tre  volle  in  chintana,  ^uì  ti  prende 
in  sigrti/ìcalo  disonesto  ^  e  significa  il 
congiungimento  deiruomo  con  la  donna. 


daregneoe,  per  glie  ne  daremo, 
dar  la  vìa ,  lasciar  pattar*. 


45» 

d*r  In  volili  9  impaz^re. 

desco  molle,  tavola  servita  di  carni  fredde. 

destatojo»  per  sveglia  degli  oriuoli,  cha 
suona  a  tempo  determinato  per  destare* 

diniccolato ,  per  dinoccolato  «  vale  rollo. 

dire  improvviso,  vale  dire  ali*  improvviso  « 
verseggiar^»  all' improvviso. 

disgrasiarc,  lo  stesso  che  disgradare,  e  vale 
stimar  meno. 

docciando  poi  si  difilò,  docciare,  vale  ver- 
sare, difilare,  vale  muoversi  per  andar 
con  prestezza. 

donna  del  corpo  ,  lyale  matrice. 


lare  un  fianco  da  papi,  i^a/e  mangiare  as«^ 
sai,  e  del  buono. 

£sr  suo  agiOf  vale  fare  a  suo  comodo. 

far  convenevoli,  vàie  ùr  cerimonie. 

far  formA)a  di  sorbo,  vale  star  ^sodo  alla 
m^cchìsL;  cioè  lasciar  dire  uno  quanto 
vuole ,  il  qual  cerchi  cavargli  alcun  se- 
greto di  bocca,  e  non  gli  rispondere;  o 
rispondergli  di  maniera  che  non  sortisca 
il  desiderio  suo. 

falsare  la  sodomia  ;  contraffare,  adulte- 
rare. 

£itto  un  buono  striscio  ai  Tartufi ,  vale 
averne  mangiati  di  molti. 

farinata ,   vivanda  fatta  d  acqua  e  &rina. 


fedfttra ,  'MpnoGopertft  di  gmmààe  fitflft^^ 
gaisa  di  sacchetto.  -    ^  ••yjii 

feltro  9  i^o/^  maalelio  o  ealilMiQ».  •' '')^ 

nn  filar  d'embrici»  file  di  tegole^ cfa«FMwiH| 
no  TÌcine  Qoa  ali*  altra. 

fiorioo«  speùe  dt.moDeta^  che;  al  tcaapo 
del  Lasca  cambiavaftì  per  AWd  lire  i- co- 
de aver  pegno  il  fiorino  per  dieei,  Hse  » 
oMi/e  a^er  pegno  lutto  il  iao  avere. .  * 

forbottare,  val^  dar  buase^  piccbiare.       r 

fregola ,  ^  pale  nuolo ,  appetito  iotenao. 

fruite  di  frate  Alberico ,.  /i^r '.  battitane  « 
prOTCrbio  preso  da  Dante,  Inferno  33« 


gagUofFeria,    astratto    di    gaglioffo,  che  è 

uome  irigiurioBo ,  come  galeone ,  mani* 

goldo,  poltrone  e  simili, 
gammurra  »  Teste  d«  donna, 
garbo,  strada  nota  in  Firenze, 
garritola ,    vale    sgridatala ,   ripresala  ^   da 

garrire,  sgridare, 
gavocciuolo ,  per  gavocciolo  enfiato,  <:agio* 

natio  per  lo  più  dalla  peste, 
gherone,  pezzo  che  si  mette  alle  vesti  per 

giunta,  e  si  {)rende  per  alcuna  parte  del 

vestimento, 
ghiciando^  per  ghignando,  aorrideado. 
S.  Ghirigoro ,  per  5.  Gregorio, 
giarde  e  naite,  pei  beffi^  e  burle.  .* 


giocare,  a  gémimi ,  gio&are  a  miìichiate. 

gialleria ,  yale  buffanerìa» 

giuntatore»  truffatore,  ftirbo. 

ipustizia^ ,    £ar    inala    giustizia ,    far  cattivo 

giudizio.  .   .     < 

gogna,  luogo  doTe  si  legan'o  in  pubblico  i 

malCattori    colle    mani    di  dietro,  e  col 

ferro  al  colio.  • 
gongolare  V  i^ale  i^Uegrarsi,  giubbilare, 
cosa  caduta  in  greniTO  al  zio,   proferbio, 

che  vale  venire    il    negozio  in  mano  di 

chi  r  uomo  appunto  vorrebbe, 
grembiule j?er  grembiale.- 
alle  sante  guaguelle,  giuramento,  vale  per 

il  Santo  Vangelo, 
guaire  per  dolersi  o  rammaricarsi, 
guardare  a  stracciasacco  »  vale  guardar  di 

mal  occhio. 


imbavagliaronlo ,   imbavagliare,  coprire  at 

trui  il  capo  o  il  viso  con  un  panno, 
immascherati  ,  per  mascherati., 
ìmpappaficati ,  messosi  il  pappafico,  che  è 

un  arnese  di  panno  che  si  poiie  in  capo 

per  difendersi  dal  ventò, 
improntitudine  ,  per  importunità, 
inoettato,    restato    d*  accordo  di  quel  che 

$'  ha  £are  o  dire, 
infaocolato»  per  infticatOi  riicaldato. 


46a 

lanoceoti,    così    detto   Io    spedale  dove  ri 

portano  i  bastardi  ia  Firenze. 
ÌDtrafinefatta ,  per   affatto  ,  ìq  tutto  e  per 

tutto. 
isboDzoIato,  per  rovinato;   isboaxolare  è  il 

cader  degl' io  testini   nella  borsa. 
istiaocio ,  per  istiaacio ,  di  traTergo. 


taltovaro,  è  un  cMnposto  di  nrie  cote  me- 
dicioali  -ridotte  a  consisteDza  simile  a 
quella  della  mostarda,  e  che  ha  per 
soggetto  Io  zucchero  o  il  mete. 

lavaceci,  vale  scimuDÌto*  dappoco." 

laToraoti  di  palco,  sono  quegli  operai,  ch« 
lavorano  in  Firenze  nelle  botteghe  ,déì 
laoajuoli  sopra  de'  palchi  o  sofGtti. 

lettere  d*  appigionasi,^  lettere  grandi  scritte 
in  quella  polizia ,  nella  quale  si  legge , 
appi&onasit  e  si  pone  nella  Cacciata  dei 
luoghi  che  si  hsnad  da  appigionare.  ' 

lìgiare ,  per  lisciare. 

livì,  per  ivi. 


a  macca,  a  nfo,  senza  spesa. 

la  bella  madioona,  bella  padrona. 


46^ 
il   Magnifico  , .  cioè  Lorenzo    de*  Medici  » 

detto  il  Magnifico. 
lM[flagigi ,  nome  di  i^no  stregone, 
manicare^  Dale  mangiare, 
marangone,  o  maragone.   Garzone  di  le* 

goajuolo.    . 
S.  Martin  la  palma ,  luogo   cinque  miglia 

in  circa    distante    da    Firenze    fuori  la 

Porta  a  S.  Friano. 
matza,  sottìl  bastone,  e  baston  grosso, 
metter  la  bietta ,  mettere    un    pezzetto  di 

legno  per  impedire  di  aprire  il  saliscen- 

do  della  porta, 
mettere  a  saccomanno  ,  per  saccheggiare  « 

dare  il  sacco. 
Michelagnolo,  /7er  Michelangelo  Buonarroti, 

celebre  pittore,  scultore  e  architetto  Fio* 

rentino. 
moglìata  ,  per  tua  moglie,  e  mogliama^  e 

mogliema ,  per  mia  moglie, 
montar  la  luna  ,.  mettersi  in  cpUera. 
la  moria  de*  Bianchi.   Pare    che    T Autore 
.  voglia  indicare,    e    denominare  cosi    la 

peste  descritta  dal  Boccaccio, 
mostra  ,  luogo  delle  botteghe  do?e  si  ten- 
gono le  mercatanzie  perchè  sian  vedute, 
mota  y  fango, 
muglio  e   mugghio^   suono    propriamente 

della  voce    del    bestiame   bo?ino;  ma  si 

dice  anch^  d'altre  bestie;  jqui  vale  gri« 

do  lamentevole  e  grande. 


4«4 


nottola  ,  ultMteocfi   d!  Jegna, 
n'  UD  tratto,  pef  io   uo   tratto. 


Oatani ,  albero,  ìaùa.  alnus. 
Orafo ,  pf-r  orefice. 

Ukto ,    Magistrato    ia    Firenze    oomposto  Jì 
otto  gìndici,  à»tto  degli  Otto. 


pacìozzR.  uoa  baona  pnce. 

palco  della  librerìa*  solaro,  soflìtto. 

pulafilta,  lavoro  di  pali  ficcati   iti  terra  per 

riparate  all'  impeto  del  corso   de'  fiumi, 
pancone  ,  panca  grossa. 
pari  e  caffo ,    maniera    di  scommettere   se 

il   onmero  sarà  pari  o  caffo. 
di  paruta ,  dì  apparenza, 
palaodrauo,  gabbano,  o  mantello, 
parligiaoa,  spezie  d'arme  in  asta. 
aT«r   ia    Pasqua    in    Domeatca  ,  prorerbio 

che  si  dice  quando  alcun  fatto  auccede 

Gccondo  che  si  desidera. 


|paiirieeit  ^  pioèola  fianra. 

fidlro»  è  lo  5tagQ0  ralBoato  con  argeoto 
▼ivo, 

peiitecoli  f  ptsxMti  di  pietra  »  di  metallo 
o  d* altro,  in  cni  erano  effigiati  carat- 
teri o  figure  strà^aganU  ,  e  che  portati 
al  collo  credeTaDsi'presertàttfi  cdnlro  le 
mali  e. 

pescare  per  il  Proconsolo  »  figuraùameru^ 
operare  io  vano. 

pesta*  strada  segnata  dalla  pedate  de*  vian- 
daati»  onde  drizzarsi  sulla  pesta  vale 
cominciar  la  sua  solita  diceria.  f 

piaggiarct  secondar  oon  dolcessa  di  parola^ 
Taltriii  opinione. 

piatendo,  piatire»  litigare  in  gindiaio. 

piena  e  pinza  *  piena  piena,  pienissioui. 

pisciar  nel  vaglio,  proverbio,  gittar  via  il 

-    tempo  e  la  fatica. 

pippione ,  vale  colombo  giovane ,  o  pic- 
cione. 

I^itiima  casalinga  ò  una  decoiione  di  aro- 
mati  in  vino  prezioso,  la  quale  reitera- 
tamente scafdata  ,  '  e  applicata  alla  re^ 
g}one  del  cuore  conforta  la  '  virtù  vitale. 

Poggio  «  villa  della  Gisa  Medici.  t 

swere  una  pollezzola  ai  forame ,  figurata^ 
mente  aver  pregiudizio. 

ponzare,  vale  far  forza  per  mandar  fuora 
gli  escrementi  def  corpo. 

Porsantamaria»  strada  di  Firenze  cosi  detta/ 

giretto,  vin  pretto,  vale  vin  puro  o  sen- 
z'  acqua. 

Jjosca.  39 


L 


466 

prorerir  Roma  e  TtnoM,  pro{erÌr«  firn»  «H 

6C  .  proTQi'bio. 

propino,  vaie  opinato,  caparbio. 
f  QsigDBre  I  tnangùre  dopo  I&  ceoa. 


quadro,  per  taToU  di  fi^im  quadrata.  ^ 
-quarantasa  per  qnaraBteoa ,  spazio  di  4^ 
.    giofiii* 


.»■    ■    .  ~        ■      =      .,.■.■,        ■■  ,        -      ■■    o 

naggriocialo  •o.rtmùcohktOy.valv  «Molto 

rangolare ,    vaie   aprir  ia  igola- 
.    afars$taBi«Bte.  -^  ., 

retro,  ombra  desìi  alberi, 
ijrimbatti,   per    awinWi  ^  •• 

riiaprovcrL.  <  i  ■   >  ^ 

.w»ctÀa,t  ,«(^teUot.  adi|iMo.|Mr  u*  delT*- 
.    gricoltufa. 

FuTzo,  il  raztara;  earara  ìl  nuao  dal-  «^é 
.    «olla  fili;  «lare  a  mg/ao,  •in  aervellci»<« 


S 


aargia ,  aperia  di  ttoAa  da  iar 
a  siuuii  cose.' 


507 

ty  w;  >re§tÌBWiilo  liiUttirto  co?  qimrti  lun- 
ghi, ma  ierre  ad  uoutiò  «sdittenievLat. 
4a§on.  ' 

0u>to«  eolnre  iik  snifo;^  ^sf  dioe»tl«U6  don- 
ne la  prioM  volta  che  vaono  alla  Chiesa 
dopo  aver  partorito. 

•caricar  le  some ,  per  usare  il  ecilo. 

scerpellone,  error  solenne  nel  parlare,  o 
neir  operare. 

•obiMalojo ,  «irumento  col  quale  a*  attrae  t 
e  schizca  acqoa ,  o.  ^icòrb  pct  dÌTerte 
operazioni  ;  ma  qui  vale  il  mMibi^  ti* 
rile. 

jcialto  ,  iciamannaìo,  negligerne,  seom» 
posto. 

icoreggia  di  sovatto,  striscia  di  caojo,  col# 

•  i»  quale  si  percuote  altrui.  ' 
Morzone,  specie  di  serpe,  mm  U  dice  Knoo 
*4i  persona  rcAEzar 

mcoito  da  Prelati,  vale  desióKré  'd  cetia  ab- 
bondante. 

iMlrticittoe',  ftuoieatatìfe  di  sonriscio,  # 
scudiscio;    che    vai  dire  solili  baccbelta 

•  figumtaanèTèM  'Aè:  quella  bacofaeCta  con 
che  si  battono  i  panni;  qui  vtAe  per.  gio- 
vane robuìito.*  .   .    ^■ 

•sgào ,  per  Y  orina  degli-  attiiÉalari ,  che  ss 
mostra  al  medico. 

•ervigiale,  uomo  di  ser?irìo  o  servente. 

serqua ,  numero  di  dodici  ;  e  dicesi  pro- 
priamente d*  uova.  Ài  pane,  e  altre  cosa 

•*^innli.'  '     *..:-.' 

Jjghignazxo,  piccola  risata^ 


I*  •  — 


olare  !l  harlcUo .  tri  dice  di  IdUd  Q( 

tJie  uomo  sa  d*Hlcuiio  affare  i  M  dice 

che  ■□  senfio  disone^io. 

«comtniire,  metler  sollosopra. 

smaftliare,    si    dice  del   vmo  gcmeroto  che 

brilla  e  TJimpill». 
dar  U  vì\»,  spezie  di  adulazione  neicobi 

roti  alquanto  di   bcifa.  j 

Bolluccherone ,  vaie  lililIdDte  ,  allelUatc.* 
tommruo,  U  lunghezza  del  pugtto  col  djq 

gi-nuo  al(ato> 
•ppperisse,  Kuppliue,    da    sopperir^ ,  M^ 

plire. 
SMltptliccin ,  per  piccola  sospetto.  , 

Mnic^rhi,  vaie  di   nascoso,   nlla   sfnggtaKti 
di  suvvallo  si  dice  di  cosa  cbe  vieoc  »tat\ 

6u«Ka,  e  prr  lo  più  dn  godersi  io  biigau. 
bpeualingn ,  Prffedo  dillo  s{»e<]Ble.  , 

spillale  lina  liolliciiia,  Irur  per  Io  spillo  il 

TÌn  dt'lla  biitie.  ^ 

sprinincciulo  per  bpiutnaccialo. 
elitre  a   bertMtelIc,  a  picciule   beccale,  »  CON 

di  poco  momento. 
dare  in    oignesco  ,    con    mal  occbio  »  eoa 

vifco  arcigno, 
slnre  diiÌm|)<-tlo  a  rordn,  lale  a  diriltun. 
atiniori ,  o  schinieri  ,  arnese   per   Io   più  di, 

ferro  che  ditcode  le  gambe  ai  t:avalien. 
■toviglie ,  tutti  i  vasi    di    terra  per  uso  di; 

cucioa. 
ftroisciare,  romoreggiare ;  e  dicesi  propria* 

mente  di  qael  rumore  che  fa  l'acqua  in 

cadendo. 


4^9 
fioguantone  rosso  »  specie  di  drappo   ordì* 

Dario. 


Tarnea  di  Roma ,  per  la  rape  Tarpea. 

tircbio ,  aVaro 

tregenda,  nome  inventalo  da  persone  Sem* 

plici  per  dinotare    alcuna   favolosa  bri* 

gala  cbe  vada  di  notte    attorno  con  lu« 

mi  accesi, 
traggetto  o  tragetto  ,'  piccolo  sentiero  noii 

frc'quentato. 
trambusto^  travaglio»  sollevazione»  disturbo, 
trarsi  di  testa,  levarsi  il  berretto  o  cappello, 
tratto,  ionàn7j  tratto,  vale  primieramente, 
trasognalo,  stupido  ^  insensato* 
trasecolato^  per  maravigliato, 
trebbiano^   ttpezìe    di   vino .  bianco  per  lo 

più  dolce;  ed  anche  V  uva    di  cbe  ei  si 

fa  ,  la  quale  è  altresì  detta  Trebbiàna. 
tì*emare  a  vèrga    a   Terga,   tremare  ecces* 

sivameute, 
tromboli  ,  per  tomboli,  capitomboli, 
trovare  il  bandolo  ,  è  trovare   il  modo  ,  e 

superare  le  difficoltà  nel  far  cbocchesia. 
trovar    stiva ,    Dale   trovar  il  modo  di  far 

cbecchesia. 


TscchereACÌA  «  strada  di  Firenze  coi)  dettki 
vagLcfigiao,  damertoo,  vagheggia  ture. 
Taiigafuole,  sper.ie  di    rete   da    pescare, 
vrgoonloccia  »    per   apparisceote,  elqskDM 

avreoeDle. 
fertirro ,  oomc  finto  di  demODÌo. 
Uf67J  io  Roma ,  cariche  che  si  compnno, 

e  rendono  un  certo  gaadagno. 
vitiJbe  ,  pianta    noia,  la  quale    produce  ì 

suoi  rami  BÌmili  a'  traici   della   vite. 
yìuzxc  ,  f>er  pirrole  atrade. 
hdcìoo  Ja  cor  di  fichi,  qui  vale  per  mem- 
bro,    ed    allaccar    I'udcÌdo,    vale  eoa- 
giungersi    caraatmente.    Uncioo  propria* 
mente  è  qqo  stromento  di  ferro  adunco 
e  aguizo. 
volta  ,  per  caoltna ,  stanza  ftotlerranea. 
atrir  di  giTi^prajr),  u«cir  d'intriso. 
ti«cir  de* gangheri,  per  mettersi  id   collera. 
uva  lancolornhana ,  sorte  d'uva  così  delta* 


ZiDghhiaja  ,  tigni/tea  Tabìtaale  ìndispoa- 
zione  di  chi  uoo  è  sempre  malato  *  nut 
non  è  Biai  Iwn  sano. 


NOTE 


BML  aia.   X.   tf.  FtORMSTtnO 


alla  seconda  Cena 
delle  NweUe 

DEL   LASCA 

iralte  da  un  Codice  manoscriito 
della  Libreria 


DEL  SEJ9AT0R   JACOPO  SOftANSO* 


473 


LETTERA 


Del  P.  Maestro  Fr.  Domenico  M.  Pelle* 
grini ,  Domenicano^  Bibliotecario  del 
Convento  del  Rosario  sulle  Zattere  in 
Venezia  i  all'  Editore. 


JOiccole  pronlamenle  le  Note  alla  secon- 
da Cena  del  Lasca  che  io  tenera  giàpre« 
{arate,  non  dubitando  punto  che  le  sarch- 
erò state  grate  per  la  stampa  che  delle 
IVt'Telle  di  cotesto  Autore  ne  farà.  La  co* 
pia  è  tratta  da  quella  stessa  che  di  sua  ma-^ 
no  il  chiariss.  Apostolo  Zeno  fece  dal  Co^ 
dice  MS.  della  Libreria  del  Senator  Jacopo 
Soranzo  ;  ed  io  tal  e  quale  gliela  trasmetto 
p^chè  ne  arricchisca  la  sua  edizione,  come 
credo ,  con  note  di  Antonmaria  Salvini  ; 
perchè  è  da  presumere  che  sieno  le  stesse^ 
le  quali  a  penna  aveva  aggiunte  alla  su% 
copia  a  stampa  il  Pinelli.  S* aggiunr^ono  a 
penna  (  così  ne  scrive  nell'  Indice  de*  suoi 
libri,  T.  V.  num.  333z.  )  Note  d"Anton^ 
maria  Saltini  sopra  la  medesima  ,  (  Cena 
seconda)  e  la  Novella  X.  della  terza  Ce- 
TUi.  E  in  fatti  la  copia  che  dissi    fuLla    di 


♦74 

mano  dello  Zeno  JeHe  Noie  ha  ancora  Ij 
dett»  NovelU  X.  la  qnale  vorrei  oollazi». 
Dare  colia  sUnpa  falUne  del  1756.  colk 
fiaU  daU  di  Loadra.  ma  non  l'ho  aèpét* 
no  troiarla  da  questi  libraj  ,  e  mi  mna 
I  ozio  di  aodarU  a  coufrootare  inaJlre& 
breric }  oltre  la  dlfGcolUi  dì  poter  porta- 
re fuori  dì  conTi>n(a  a  qae«t'  erfetioilCa* 
dicetlo  ZenrsDO.  Forse  ncMi  sarebbe  ioutile 
una  tal  collaziooc,  ficrcbè  trattasi  di  con 
copiala  di  mano  dello  slesso  Zeno.  Amerà 
ebe  si  degnasse  di  far  uoto  da  cfaì  fu  itr- 
vita  di  lai  Nfle ,  non  per  molt*o  di  tsoì- 
là,  ma  perclié  sappiasi  cbe  deJle  cose  k- 
aeìateci  dallo  Zeno  e  si  ba  cognizioae,  e 
si  aa  farne  uso. 

Del  NcvelPere  di  Centt)  Sermini  ho 
comincialo  subito  a  fame  trar  copa  in 
quella  mioara  appunto,  che  soctie  da  là 
ti  ooofiene.  Mi  spnoe  lolamente  cbe  il  co- 
pista non  ha  si  buon  carattere ,  come  il 
copista  di  queste  Note)  dm  ta  compeatoè 
più  iotelligeoie;  e  apero  obe  nella  cdla- 
siooe,  eh'  IO  era  già  dispoato  a  £arae,  ooa 
•ari  duopo  di  sraa  correiioni,  avcndoglie- 
ae  anche  fatte  far  meco  per  addestrarlo  sai- 
la  lettura  de)  Codice.  Quaoto  all«  noiiiia 
ebe  intoroo  all'Aatore  e  all'Opera  stende- 
rò* io  tooo  dispovUsaimo  a  dai^lìele  per 
illostraaione  della  stampa;  qualunque  nn- 
KÌr  pns«a  dalle  acarse  mie  forxe  il  lavoro. 
Già  non  potranno  «sser  molte ,  perrhè  « 
far  quanto  io.  oa  Abbia  chiesta    ancha  o»- 


475 
iti  in  Txxeana,  come  al  chtaritt.  Sig*  O- 
iipnico  Paadiojj^  al  *Sig.  Proporlo  Latifri^c.» 
àOQ  Doiei  trarre  ^erun  lome^oè  déirAulo- 
re,  ne  deirOpera,  come  neppure  dagli  Scrit- 
tori Toscani^  che  fcorgi.  Il  tutto  è  «tato  da 
me  rtèaTato  dallft  lettura  dcirOpera  mede» 
aima  ',  e  dal  combinare  altre  notizie  lette^ 
mrie* 

A1tfx>  per  ora  non  restami  »  che  rÌTe< 
i:irla  »  e  confermarmi 

Vqneaia  li  4*  JPebbrajo  1792* 


47» 

Altra  Lettera  rf«/  sttdJften   P.  Uatuùo 
Pellegrini,  *àl  meUesitno. 


D»i 


^opo  mollo  ritnrdo  ,  per  Tsrj  inW 
rjitxi,  e  per  qoatch' incom'Hlf»  •noor  di  ««- 
luk\  It;  lOBiiJo  te  V-trtanli  deila  NovfUaX» 
della  terza  Cena  del  Lasca,  clic  le  pronu- 
ti,  trutte  dal  medesimo  CodÌcetCo'(  efaegiì^ 
le  detcrissi  )  dello  Zeno  ,  del  quttle  trasi 
le  Annotacionr  dtfl  SaUtni,  cL*  ebbi  IWtr 
dVuvìarlc.  La  collu/ionc  ,  bcucUe  uq  po' 
hingii  e  ledioM,  fu  fatta  da  tue  s'cs»o  eoa 
tutta  dilii'CQU.  La  stampa  cella  maggior 
parte  può  dirsi  più  perfetta  del  Codice  Z»- 
DÌano,  come  dal  confronto  potei  conosce- 
re ;  con  tutto  ciò  il  Codice  serve  b«oi«si- 
mo  a  quache  correzione  della  stampa,  el 
a  qualche  osservazione  di  lìngua,  scorgeo^ 
doviti  osservale  promiscuamente,  per  mei- 
zo  di  questo  confrooto,  dai  Codici  certe 
diverse  desinpozc,  defìlianzioni  ,  conjuga- 
zioDÌ,  e  modi  dì  dire.  A  queste  variaoli 
mi  SOQ  ristretto;  forate  però  ovrò  usato  del* 
la  BuperlluitÀ  ;  ed  ella  io  questo  caso  ne 
userà  a  suo  giudizio.  Per  cagrou  d'es.  do- 
ve la  stampa,  parlando  d'un  colombo, 
dice  maggior  volatore,  non  h'>  creduto 
superfluo  segnar  1^  variante  Tnag<^':or  lavo- 
rotore,  cssendomisi  affacciato  alla  meiiie  il 
modo  di  dire  de'  Francesi  ai  cngauliDÌ.  che 
staa  su  due  piedi  co'  due    aoteriori  ^uasi 


477 

▼ogando»  traPaUle^  tr avalli e^  travaglia^  la- 
vora. Forse  la  mia  osserTatiooe  non  ba 
luogo  ;  ed  ella  potrà  lasciare  «|oesU  Tarian- 
te,  ed  altre  che  tali  le  paressero. 

Quanto  alla  scella  delle  Novelle  del 
Sermini^  la  copia  fu  da  me  già  collaciona- 
ta ,  e  cercate  le  notizie  che  ho  potuto  tro* 
Tare^  le  quali  sono  pur  poche  ;  con  tutto 
ciò  dirò  qualche  cosa,  e  fórse  mi  riuscirà 
^i  ritrovarne  qualcun*altca.  Sapendo  che 
l'affare  non  pressa,  non  mi  son  occupato 
zieirestensione,  avendq  specialmente  dovu- 
to attendere  ad  altro.  Desidero  per  tanto 
saper  da  lei  quando  disegni  di  produrre 
coleste  Novelle,  che  già  da  se  formeranno 
un  tometto  È  vero  però,  che  non  avendo 
io  veduta  la  forma  della  sua  edizione,  non 
posso  giudicarne  con  tutta  sicuresza. 

Scrivo  dalla  villeggiatura,  dove  ho  peri- 
tato le  varianti  per  metterle  al  netto,  onde 
non  tardar  più;  perciò  può  ella  differire 
a  rispondermi  per  la  metà  del  venturo.  E 
facendole  riverenza  mi  confermo. 

Dalla  villeggiatura  di  Monsignor  Ver 
scovo  di  Concordia  li  26.  Ottobre    1792. 


DELLA  SEGONOA  CENA 


MOrMLU  t. 


479 


D 


i  cotesta  sonigliaoza  di  per« 
«oaCt  dove  consiste  la  pre« 
•ente  rfoTellOf  sì  ritrova  me- 
desimamente  in  Plauto  una 
Commedia  intitolata  i  Meme* 
cmip  dalla  quale  hanno  imi- 
tato il  Trissinò  nei  SimUIi^ 
mi  f  il  Firenzuola  ne'  auot 
Juucidi  f  V  Ambra  nei  Ber- 
il  Caro  negli  Straccio^ 
altri,  »#••#••  PM*  i9!à.  h  *  Jm 


'uà  Toi&e  ìd  potere    de*  Fio- 

rcntioi  l'anno  7406.     .      •     ■  lAf 

Provano  è  il  medesimo  che  c*- 
|)One .  o  pure  ostinato.      .     .  lS5. 

Mal  del  vermot  cobi  aacora  Ù 
chiama  aua  tt\\M  malattia 
«le'ciiTalli 186. 

Caparbietà  da  caparbio  .     .     .  i86. 

andate  ai  veni ,  tuoI  dire  se- 
coaJare  Tumor  suo,  dal  Lat. 
morem  gerert 188. 

Plagiario,  cioè  adularlo,  dal- 
1  niilico  Provenjak  pìagen 
|K-r  piiicere.  PiagmHtiare  di- 
ceaiio  gli  adulatori.     .     .     .    188. 

Vangaiuole ,  LaL  sacculum,  Tel 
/•'linda 

Pala/tua  ,  l^t.  Valium  .     .     . 

Jìeszo ,  cioè  da  meriggio     .     . 

yi  galla,  Lat.    summii    aquit . 

-Fatto  della  necessUà  i-iro'i  Lat. 
in  desperaUonem  virtuìant 
convertere,     .     .     .     .  ' ,  '  .  "V^Ii 

Dorerie  ,  cioè  dell*  oro  .     .     .  -1^. 

11  Fiorino  d' oro  si  codiò  la 
jirima  volta  circa  all'  anno 
1253.  11  dello  Fiorino  pre- 
se il  nome  da  quello  delb 
città,  e  la  «uà  prima  Talata 
fu  io  circa  a  due  lire  'Veoe^ 
zinne     .    .    .    :    .    .  ..    ';  ijS. 

S.  Caterina  è  una  Cbieaa  de* 
FP.  Domeuicani.     ...     .  igg. 


1. 1(. 


188. 
iSd. 
i8g. 

■al. 


In 
I.  u 


I.  5. 

L  i«. 
11,. 
1.'.  1. 
L    8. 


I.  ■« 

L  14. 


I.  >S. 
Lat, 


4St 

^La  lira  fa  Mniata  in  Firen- 
ze fanno  i347 ^^'*  '*     ^* 

Xe  Messe  di  S.  Gregorio^  so* 
no  3o.  Messe  continue  da 
morti ,  per  la  liberazione 
d*  un'  anima  del  Purgatorio , 
dette  cosi  da  quelle  3o.  cbe 
fece  celebrare  S.  Gregorio 
per  la  liberazione  deli  ani- 
ma di  Giusto  suo  monaco 
mopto ,  e  fattosi  seppellire 
m  un  letamaio  con  tre  scu- 
di addosso,  cne  aveva  tenuti 
in  proprio.  S*avTerte,  che  è 
per  decreto  della  Sacra  G>n* 
gregazione  de' Riti  del  di  i8« 
Ottgbre  1628.    •    •    •    •    •  20i.  L    f. 

KOVELLA   MI.  ^ 

Sì  dice  de'  Bianchi ,  perchè 
nata  in  Levante  verso  il  Gì- 
tdjo ,  e  r  India  superiore* 
L*  Ammirato  nelle  sue  Isto- 
rie dice,  che  in  quella  man- 
carono 6oo.  uomini  il  gior- 
no,  e  in  questa  ,  al  riferire 
del  Varchi,  ne  perirono  200.  2o6.  1.    4. 

'Chi  nasce  in  Domenica  è  seri- 
za  sale  ^  cioè  sciocco,  non 
avendolo  potuto  avere  nel 
Battesimo  a  S*  Giovanni  per 
non  esser  aperto  rUffiziodel 
sale.  (Questo  è  detto  per 
Lasca.  di  \ 


4*'      .  . 

facTxic ,    poiché    xmpre    in 

S.  Gtoranoi  vi  sì  oonticrva   ) 
Cut  lo  spiega  Francesco   Ser- 

donati  ne' suoi  Proverbi  MS5.  2Q^.  I.  }L 
CapilaDode'Fioreatiai  net  t3<)o. 

Armi^nao    è    una   Provincia 

della  Gunscogna 207I  .    Ul 

Beiicbc   l'arme  sia  propria    dei 

Pìobili ,    è   opinione     de*     le- 

gttli,  che  ùaicuno  a  suo  pia* 

cere  (wssa  pigliare  l'arnie.  .  207.  l  j6. 
E  tanto  tondo  di  peto  »  Miti- 

chions ,    0    rondo  pìft  de/f  o 

di  Giotto.    Malmanjìle  e.  C>. 

Kt.   82.  Gioito  faniLi^o  pittore 

Fiorentino.  V.  il  detto  Coni.* 

«  il  Vawri.  .    .  acrj^XU. 

'il  pane  chia*nare  pappo  ec. 
Hilnnamii  che  tùsdatsi  il  poppo , 

0'/  din&,  DaatQ  Purg.  e.  XI;  SoSL;  I.  17. 
SciimmitOt  cioè  teosa.  cervello. 

Ltt.  excassut,     .....  3og,  1*  14. 
Va^heg^ni.  Oggi  giorno  «i  di- 
cono cicisiMit,  dal  GenovcM. , 

eeei  bei.    ......     .  34^  L  32. 

S*retuiUt  cioè  cantate  .ulte  di 

sera ai.o.  \.     z. 

Sopperisse,  cioè  suppliase,  o  fa- 

ce^ise  le  veci  del  marito.  .  310.  1*  8- 
'ji  Beccatene ,  cioi  a  fieno.  .  aio.  L  io. 
Monna  Antotùa^  cioè' Madoó- 

D«*  e  Tale  mia  donpa,.e  pa- 
drona.   .     .    ,    ,    .....  «9«.  L  SI. 


483 
^ogliamOf  cioè  mia  moglie.  Y«  . 

il  Gelli  nel  suo  Errore,  €%!• 

tri  »  L*U8Ò  prima  il  fioccac- 
elo nel  Decaoderone,  éà  altri 

Autori   del   buon   secolo  di 

nostra    lingua   y>     •    •    •    •  III.  L  i3. 
Xe  Fregagiom^  dice   Galeùo^ 

sono  di  due  sórte  ;  le  dure , 

e  le  morbide:  le  prime  fan* 

no  scemare  là  carde,  le  se- 
conde la  fanno  crescere*  Quel- 

le  Fr^asioni  io  credo,  che 

lusserò  ai  quelle,  c^ie  fanno  .    . 

crescer  la  carne.  •    •    .•  aii«  L  li« 

Xa  dorma  del  corpo  non  è  al- 
tro ^   che  r  utero ,   causa  di 

tanti    mali  alle  femmine.    •  aii*  h.24>K 
IiX)razione  di  &  Nafissa  e  un 
.  picciol  discorso  assai,  alloco 

•opra  una  statua,  di  M*  An* 

nilMil  Giro,  ed  è  assai  raro.  ara.  \.    4« 
'Càndida  jamdudum  cingaruur 

colla  lacerti»   Ovtd«  de  Arte 

amandi  (  mi  par  1.  a.  )  è  il 

fare  alle  braccia^    .    «    «    .  aia.  L  ao« 
^Stare  in  orecchi.  Tirg.  auribus 

arreclis aia.  1.  aa« 

Più  tosto  stanco^  che  sauo. 

Gioveoale ,  credo   nella  Sat. 

YL  parlando    di   Messalina: 

Et  satiata  wris^  nondum  las" 

sata  receuit':  il    qual  passo 

i^la  il  Bocoacoio  nel  Gorbac- 


1^ 


r    4Af 

I  cto  V.  tDcbe  n  Petrarca    nel 

I  Trioofo  d'Amore.    ....  3i3.  1.  37. 

I  Ognitsanii,  eooo  Francescani, 

■  delti    Zoccolaoli    dagli     Zoc- 

■  culi ,  che  deroDO  portare ,  e 
I  daìì*  foDc  che  cingono ,  e 
H  perchè  noo  norUoo  danarL 
B  Vedi  il  Bandeilo  nel  3.  Tomo 
W  delle    sae    Novelle ,    che    di 

■  tutto    qnesto    ae   dice    V  ori- 

m  giue .     .  ai5.  I.    i. 

p  Do  mtdici  fiitse  stato  thrign- 
lo ,  cioè  spedito  y  seoza  ri- 
medio  arS.  J.  li. 

'£0  fftance  dai  primi^ori.yiTg. 

prima  /lorenùs  /uventa.    .     .  ax6,  1.  aS, 

Berlingaccio,  che  vaul  dire  ia 
barle«co  sbevazzare,  maDgiar 
molto 217.  L  14. 

Se/ania ,  vale  a  dire  Belàiia  , 
doana  brutta  :  cod  io  direi, 
perchè  Della  vigilia  dei  Re- 
gi ,  che  veogooo  il  dì  6.  dì 
GeUDajo  ,  i  Tosoaai ,  credo  , 
solumeote  conducono  dei  faa- 
tocci  di  cencio ,  o  paglia  ri- 
pifni ,  vestiti  all'  usanza  di 
quiilche  maschere  ,  che  s*  u- 
Burio  Dcl  carnovale*  e  l'ac- 
compagnano pn-  tutta  la  cit- 
tà coM  le  torce  accese ,  e  - 
granate,  e  covuai  di  paglia, 
con  Suono  di  coroi,  campa- 


485 
nacci ,  trómbe^   e  tamburi  t 
e  latta  la  notte  si  fa  questa  » 

festa,  e  qnei  &ntoeci  si  chia- 
mano Befane.     •     •     •     •     .  217.  1.  26« 

Che  sia  santo^  oioòt  che  tu  sia 

santo.    •     »     «  •  •  •  •     •     •     •  2t8*  ì.  •  5« 

O  /ratei  nostro.  Lauda,  che  si 
trova  nei  libri  di  Lande  '  per    •  * 
i  fanciulli ,    che  imparano  a 
leggere .     •     •     ^     •     *     .     •  218.  1.  228. 

JFW%  per  sincope,  cioè  fece.     .  219.  1.  25. 

Jn  cagnesco.  Lat.  torvo  vultu^ 
come  sarebbe  a  dire  sdegna** 
ti  ,  adirati ,  •  221.  L  24^ 

Sconcacatosi.  »  Per  ^voglia  di 
giocar    mi    seoncacai.    Bru- 
netto Latini  nel  Pataffio  Gap.        .  .     « 
IV 2Ì2.  1.  25. 

Canto  al  Leone^  è  una  centra* 

da  nel  Camaldòli.    •  •  •     •     •  228»  1.  i5. 

Giuntatore^    cioè  ingannatore.  223*  1.  24» 

Bara^  dove  si  posano  i  mor- 
ti ,  detta  cosi  forse  dal  Lat. 
Vara ,  cioè  stanza. 
Quanto  fieri  sieno  stati  i  fan- 
ciulli de*  Fiorentini ,  lo>  dt« 
mostra  V  Ammirato,  dove  si 
legge  r  assalto  ^  e  la  disfat- 
ta di  i&o.  Balestrieri  Geno- 
vesi a  furia  <li  sassate  di  fan- 
ciulli, e  nel  libro  1X«,  e  io 
altri  luoghi    ,•••••  224.  L     i. 


'.  *    •■••         Il    •'.»     »// 


■ 

^^B  Ponte  alla  Carraja  ,    cosi    del- 

^^B  to,  perchè    è    il    ponte     pin 

^^H  ftequenUto    dal    carri ,     cb« 

^^H  ivi  ]MiiBano ,  ed  è  auI    lìome 

^^V  d'  Arno  .  clic  scorre  per     la 

^H  cilià  di  Firenu 325.  1.  fy, 

^^A  //  Ponte  a  S.    Trinità   fo     foD- 

^^b  dato  nel   1252.    Y.  U  Ciaelli 

^^B  Delie  sue   Bellette,  e   riftUu- 

^^H  rato  Uni    facaoM    Ammanna- 

^^m  li,  ed  è    UBO    de*  pi£i   belli 

^^P  poDii  d'Italia 3x6.  l.  ^. 

^^^  Peretoh  è    un    borgo  distante 

da  Firenze  tre  miglia.     .      .  327.  L  24. 
Ciuco  in  Amo,  ed  arse,  è  ri- 
dotto in  volgare    faceicia  «    la 
quale  si  sparse  per  tutto.      .  228.  L  I& 


nOTBUIU   III. 


Non  meno  tujffìeieHte  JevlaoecL, 

lì  Boccaccio  Gior.  VII.  Hot. 

9.  vale   a    dire   un    Taleate 

omarcino 33l.  L  20w 

Terrazzo ,  da  torrazzo  eoo  tM« 

re  :    così    piccioni   terrajoU , 

cioè  torrajoli ,  perchè  abita- 
no le  torri 333.  1.     g. 

aspettando  ii  compagno  ùi  sa- 

la.     Merlino     Ccwcai  ,    cioà 

Teofilo    Folengo    CatìnMe , 


4»7 
anfore  ancora   di    Tarj    libri 

Icaliaoit  disse  nella  Macche- 
ronèa :  Est  locus  in  ijùadro^ 

salam  dixere  priores  .  .  .  idrj.  1.  14. 
Questa  porta   colle    sue    mura 

fu  fabbricata  nel  f258.  •  •  238.  1.  ig. 
Il  color  verde  significa  robuste^ 

za.  Tirg.  Aen.  L.  V.  Euria- 

lus  fórma  insigniSf  viridique 

juventax  il  bianco   presagisce 

cose   fEiTorcToli:    il    rosso,  è 

segno  d*  allegrezza.  Oyid.  de 

Trist     Non    est   conyeniens 

luctihus  ìlle  color  •  .  •  •  239.  !•  i9« 
Che  avea    lunga   la    barba    à 

mezzo  il  petto,  divoto,  e  ve-- 

nerabUe    et  aspetto.    Ariose. 

e.      tlm  m  9         •  0  •••     Z^lé     1«  !• 

Zaccheria^  in  dialetto  Yene- 
aano  Tale  farneticare  »  va- 
gellare   248.  1.  27. 

jindare  alla  grascia  «  cioè  an- 
dare in  fumo  :  il  bestiame  è 
sottoposto  alla  grascia:  cava- 
to da  Plauto  nel  CiircuT. 
ove  dice:  Pecuaria  res  tnilU 
vertit  male. 

Nota  per  i  frati  ch^  fanno  il 
cozzone  p  e  non  si  fa  quasi 
mai  parentato»  che  non  v*en- 
tri  il  frate»    ••••••  245.  L    2. 


4» 


VOVMLLji  ir. 


Arg*  Nel  i537.    8i  cominciò  a 
battere  in  Firenze  Io  scudo , 
ducato  di  buoDissiniii  lega    •  249-  *[    q^ 
Uomini  di  buon  tempo  »    cioè 

tùlaritati  indulgentes    •     •     •  a5o  I.     i« 
Il  gioco   de'  Germini  è  simile 
a  quello,  delle  Minchiate.  Y. 
il  Malmantile  nelle  sue    no- 
te«  e  il  Firenzuola  nella  sua 
Novella  Vili.  ......  260  I.  17. 

Zoroastro^  cioè  maestro  di  ma- 
gia. II  Petrarca  nel  3.  del- 
la Fama:  Dove  è  Zoroastro^ 
Che  fa  delt  arte  magica  in- 
ventore  25i.  1     8. 

Gio.  Aldobrandini  uscito  la  4. 
Tolta  Gonfalouiere  nel  priii* 
cipio  delfanno  1412.  delibe«* 
rò  con  ì  Priori  suoi  com* 
pagai ,  che  la  Chiesa  mag- 
gìore  di  Firenze ,  edificata 
Tanno  401.  e  chiamata  fino 
allora  S.  Reparata  ^  si  chia-* 
masse  in  avvenire  S.  Maria 
dtl  Fiore ,  come  presco  te- 
mente s'appella 25a*  1.  3^. 

A  fiangheri ,  cu  e  sconsigliato. 

Lac.  Inconsuluàs a54«  I.     6. 


48& 

Gualfonaa  ^    conlrada    di    Fi* 

reaze 254*  1*  V4« 

VS.  Maria  Novella  è  Chiesa  dei 

PP.  Domenicani 254*  1.  17. 

Per  la  rotta  atuta    in  Yaldila- 

mona  ^  ed  a  guanti  di  venga 

S.  Biagio.  )  cioè  il  gior90  di    ' 

S.  Biagio  :  Tale  a  dire,  ^^sere 

informalo •     •  255.  1.  28, 

Elmo  circondato  di  serpù  0?id« 

Metam.  lib.  IV.  Anguìferum" 

que  caput. 258.  L    3» 

Borbottare.  Lai.  mussitare^  cioò 

parlare  adagio.   •     •     •     •     •  258.  1.  i8. 
^Faceva   parentadi.    Liv.    1.    i. 

jiffinitates  jungebat.  s     .     .  25g.  I.  22. 
Scrocchietto.  ffinc  usura  vòraòo^ 

avidumque  in  tempore  foenus.  269.  1.  25« 
Da  bosco   e  da  riviera^  cioè, 

che  sapeva  il  tulio.  Lai.  Ad 

omnia  probus 269.  1.  28» 

A 11^  sante  guagnellcj  cioè  Evan-- 

gelia^  cosi  giuravano  gli  an- 
tichi      .  264^  \.  So. 

Aver  pisciato  nel  vaglio^  vuol  ' 

dire  non  aver  fallo  nulla.  V. 

il    Serdonali    ne'   suoi    Pro-' 

verbj  MSS.   che  fa  la  spi^a- 
^ziooe  a  tutti  i  proTerbj.  •     .  265.  1*  i8. 
Agli  Otto,  è  il  Magistrato  cri- 
minale  •     •  266.  1.  12» 

Pescare  pei  proconsolo  ^  vale  9 


p:^?;,.    am  Ite»  ttiéCM.  t.tì  éw». 

-.- «amlo  taidoatfi.  .^.«67. 

ne*  saoi  AdeIG  :  .sao   se  gla- 
dio jugulare 267. 

Niccherà  ,  cioè  niente  «  o  an- 
dasse in  fumo 266. 

jiUe  spese  del  Crttcijtsso  ;  oggi 
li  dice:  alle  spalle  del  Croci- 
fisso, vale  a  dire  alle  speit  dì 

qualche  signore 2G8. 

tmnello^  cioè  ingaano,  da  trar- 
re, portar  via 269.. 

Dì  SM  eè'ntinafa,  cioè  tin  pofr* 
co,  cbe  patti  il  peso  il  boo. 
libbre.  .  '.    .    .    •    .    .    .269. 
Laonde  il  vicario.  L*!QqaÌ9Ìzio- 
.  ne  principiò  in  Toscana  nel 
1S40.  e  nel  i345.  fu  proibì' 
to  per  giusti  motivi  a   que- 
sto tribunale  tener  le  carce- 
ri  piÌTate,  come   adepto  npn 
ii  a.     .     .    .    .    .    ...  J7», 

in  gogna ,   doè  alta   berlina  , 

io  derisione  al  popoto. 
Direi  ancora  jHÙ  de*  frati^percbè: 


I.  & 


I.    6. 


I.  .7. 
1.  ig. 


I.14. 


'Sm'en  di  vernò  ^  e  nueinlo  di  ' estate  ^ 
Amor  di  Donna,  e  diserìtùm_  di  Frate.* 

V.  ancora  ieChUìadi  ài  Era- 
smo ,  e  Tnccólò  Franco  ne' 
suoi  DiatoehL 278.  1.  17. 


49^ 


MùrMLLA  r. 


Questa  città  di   Fiesole  fu  di* 

sfatta  da*  Fiorentiui  nel  loio^ 

E  delle  più  anUche  cittÀ  d*I- 

talia. •     •  a&u  \.  25. 

jilféa  tumidae  sic  transfuga  iPi- 

sae  Amnis  in  extremos  lon- 

gè  flammatus amores.Sì^tA.im  28 J«  I*  17* 
Rimed/  vanL   Hei  mihi    quod 

nullis    amor   est  medicabUis 

herhis.  Ovid  Mei.  1.  XIY.     *  283.  \.  17. 
At    Begina   gravi    jamdudum 

saucia  cura    Fulnus  alit  ve^ 

nis^  et  cocco  carpitur  igni*  . 

Tirg.  Aeu*  1.  lY.  doq  se  ne 

accorgendo 267.  1.  Z%* 

Che  dirò  io  de*  fratelli  «  ec.  e 

de*  padrL    Gambise  Re   dei 

Persi  con  due  so|*elle,  e  Ca- 
ligola ly.  Imp.  con  tre  so- 
relle: Mirra  con  suo  padre: 

Edippo  con  sua. madre:  Hi- 
.  fio  con  sua  tuadre»  V.  i  Ca^ 

ialoghi  d' incerto ,  che  sono 

del  D.  Ortensio  Landò,  stam-* 

pali  dal  Giolito a88.  1.  3«. 


49* 

2n  che  moda   vi  potso  io  daf 

aita.  Ovid.  Dulcibus  est  ver- 

bis  THoilis  alendus  amor.  Un 

poeta  ,  clie  non  mì   sovviene 

cbi  sia,  (lice  così    della  for- 
tuna: 

Sed  fortuna  diu  ^ressu   non 

pergit  eoàern,  .Spessite  homi- 

nuin  vanas  insidiosa  Jacit    . 
Cappelletto    alla    Greca.    Lat. 

Ptleus  A'cadtcus    .... 
Mostrando  tuttavia    lieta  eera, 

Plauto  dice  ;  aegre    se    hila- 

rem  dare    . 398.  L  14 

Lestrìgoni,  popoli  cradeliuimt    •    .      ■    r 

dell'Italia  prcMo  Gaeta,  che 

Tignano  di  carne  umana.  Si- 
mili popoli  sono  presso  Ero-  -    - 

doto,  che  TÌTeTano  di  onrire 

umana,  chiamati  j4ndrqfagi    3(0*  -L     b 

sortLL^  ri. 

'Via  della  Scala^,  contrada   di 

Fìveaze.     .......    3o6.  1.  at 

Borgo  Stella  ,  contrada   di  Fi- 

rente    .     , ,    3io.  I.     3 

S.  Trinità ,  Chièsa  :    ^ofine    in 

potere  de*  Monaci  ValoniWo. 

sani  il  1092.  a  tempo   di   b.'  '_ 

Erizzo  loro  quarto  generale  .  ^  3til  X  17 
traveggole,  doe  dal  Lat.  e  «fiM* 

bus  Cria  videro. 


4^ 
Di   Calandrino   Y.    ìi   Bocc. 

nelle  sue  Novelle  in  più  luo- 
ghi     3i4.  1.    6. 

Grasso  l^gna/ùolo  V.  nel« 
la  Novella  2.  e  Ó.  delle  ulti- 
me qualtro  aggiunle  nelle  No- 
Telle  amiche  ...•••  3r4.  1.     J. 

Spazio ,  cioè  pavimento  •    •    •  3i5.  1.  zt. 

Fatto  della  necessità  virtà  ^  dal 
LaL  in  desperationem  virtù- 
tam  convertere    •    •    •    •     .  di6.  1*  io« 

MorJSLLA  riu 

'Onde  deliberò^  imparò  da  Orid. 

L  I.  Efa  vadum  tentet  •  •  324.  L  17. 
'Giarda ,  beila  .  •  •  •  .  «  3a6.  1.  29. 
S.  Pietro  in  CattoJini^  si  dice 

>^  ^^ffii  d*UDa  Parrocchia*  .  3ig*  1,  ao« 
Al  cui  r  avverai ,  dal  Lat  '  De 

te  fabula  narrabitiir    •     •     •  33o  1.  28» 
Sempre  a  battere  ec.  come  di- 
ce Virg.  neirEn.  Nunc  de- 

xtra  ingeminans  ictum^  nunc 

ilìa  sinistrai  Nec  mora^  nec 

requies  ec 332*  L  29* 

[Gongolando^  dal  Lat.  Gaudio 

extolli 333.  1.  23. 

1^.  Pier  Maggiore ,  Parrocchia 

antichissima  di  Firenze.     •  338.  1.  aSt 


li 

'La  pena  dd  gf^km.  t  ìkStii  ^"^ 

assai  quella  del  Fiventuida 
Bella  NoTelta  4.     ^    •    •    .Ì^U  L    7: 

JlalberQ.non  ca4a  al  prukè 
colpo  00.  Ftectiimr  otàefiiid 
cMvatui  db  arbofa  ramus,  •  ^     V* 

Wràoùit ,  si  virai  aaiparian 
tuoi.  Nel  maeilro  degli  amo- 
ri Ovidio  •    •    •    •    •    •    •  343*  !•    a« 

Mettendo  a  saccomanno.  PUal. 
nel  Mil.  glor.  SustoUere  au- 
des  totas  .    .'    .    .    •     •     •  347*  1*     & 

]1  suono  deir  Avemaria  ebbe 
origine  da  Crbaoo  IL ,  il 
quale  dismesso  fu  da  Grego- 
rio ULf  poi  riordinato    •    •  349*  !•    6* 

Jdezù  santi ,  cioè  ipòcriti^  tor- 
cicolli •    •••••••  3S3«  ]•  i6« 

Xa  borsa  gli  allungò  ec.  Qui 
si  pnò  dire  eoJ  Lippi  nel  Mal- 
inant«t  non  mi  soTvien  dove: 
Platon  diede  con  tutti  una 
risi7ta^  Che  fecegli  stiantar  fi- 
no il  brachiere  •     •     •     •    •  3S3.  1.  10^ 

Andar  di  bene  in  meglio^  dal 
Lai.  Proverb.  Conditionem 
suam  in  dies  meliorem/aoereé  3S4.  h    & 


« 


49^ 


MOrMLLd  XX. 


Monna  Oretta^  Tieoe  da  Leo^ 

nera     ••••••••  3^7*  ^*  '7* 

^JMiìle  volte  perdono.  Ovid.  Me- 
tano. Sispplexfurialibus  ausi^ 

ante  pedes  jacuit  •  •  «  •  358.  L  3i« 
Sghignuzao ,  da  sghignare  ^  dal 

Lai.  Inter  ìabia  rìdere.  •  •  SSg.  1.  33. 
^UtiUoU  le   braccia    al  coUo. 

Ofid.  mi  pare  aeTasti:  De- 

que  viri  collo   dolce   pepen^^ 

diù  onus  .  " .  .  •  •  •  •  36q,.  1.  zSi 
Partigiana ,  da  pertugiare,  io-* 

rai-e^  che  è    una  spezie   di 

mezze  Picche,  k  •  •  •  •  36x».  !•  17* 
Nondimeno  non    le   ec.   Ovid. 

ae  Don  erro ,  ioUiCur  index  ^ 

eum  semel  in  partem  crimir 

nit  illa  venie 365.  L  XI» 

Quello  che  è/atto  ec.  dal  Lat. 

immutabile  est  guod  factum 

est •••  365«  L  37* 

VOrSLLJ   X. 

Simile  a  questa  è  la  Noyalla 
VII.  del  Firensuola. 

f^ia  ghibellina  ,  contrada  di 
Firenze,  così  della  dalla  fa- 
miglia Ghibellini     •     •     •     •  3ff^  h    ^ 

Piccioli^  moneta  bastala  la  pri- 
ma tolte  in  Firenze   Tanno 


1 325.9  ed  il  picciolo  e  la  4« 

parte  d*  an  ^oattriao  •    •    •  Syo*  L  10. 
Mugdfo^  è  OD  CBStelIo  della  To- 

•cana     ••••»«'••  379*  !•  iS. 
Vegnenioccuff  cioè  f reeci^  grai* 

ia ,  e  piacevole  •    •    •    •    •  370.  K  ss< 
Nen^io  gli  promesse.  Oria.   Si 

iamen  hoc  ulli  dqsépramU-  ^ 

tere  fai  esL  ad  Pisonem    •  374»  1^  i^* 
Viunnare ^  incantare ,  dal  Lai. 

carmina,  quando  è  in  tiani* 

%cato,  come  dice  Tirg.    Egl. 

yill.  Carmina  vel  coelo  pos- 

sunt  deducere  ìunam  .     •     .  374*  1«  28* 
//  compagnone  ec.  Plaar.  avreb- 

i>e  detto  di,Rencio:/'lEi/ti/£/m 

alienum  arauic  incultum  .     .  SyS.  1.     4* 
Così  le    ho    attenuto.    Dintum 

factum  redditi  come  dice  Ter. 

Heaut.  dì  quetlo,  ch*egli  pro- 

^   mise 375.  1.  20. 

Per  adultero  ec.  Ovid.  Ep.  i6. 

Ausus  es   hospieii   temeratis 

iidvena    sacris    Legittimam 

nuptae  sollicitare  Jidem  .     .  379.  L  2& 
Berlingaccio  ,    da    berlingare  » 

cioè  da  chiacchierare  9  man- 
giare assai.  Brunetto    Latini 

nel  suo  Pataffio  MS.  con  di- 
.  ce  :    Stronzola    doman  »  che 

è  '  Berlingaccio  ec 38l.  1.  14. 


.•    •  • 


V.  ■ 


V"    ■ 


t 


VARIE  LEZIONI 

CBB   S' IKCOarTRJlNO 

» 

IfELLA  NOVELLA  X. 

I 

DILLA 

TERZA  CENA, 


d       'h 


*  m 


Lasca. 


Z% 


^^^^^Hi^^H 

43l 

1 

STAMPA  DI  LONDRA 

1758. 

Argomento  della 

Novell 

*"S 

117.    1.     4    palagio 
tix           16.  Jiust 

-■^^ 

rf        n.  flimim 

iy:óJ«*W'!T-A  r 


«»9. 

3.  M  mai  pi  maravigìiaMa 

tV( 

I4.  insolenzà 

ivi 

26   /Àr^/i 

1X0. 

3.  Bertucce 

n» 

9.  Ja  .S.  Martino 

ivi 

IO.  C  arebbono 

ivi 

U.^U6Ua  avetntv  a  /or» 

Z2I. 

4.  0  juoi  contagiti 

laa. 

16.   JÌ  «to^'A 

123. 

II.  /ro* 

136. 

IO.  sttppiendo 

ivi 

14.  ;)ur  ;wi 

ivi 

ai.  «ilei/a  via 

ivi 

«7.  carnescialó 

?';• 

i.  duoi  fiaschi 

ivi 

16.  mc(MM 

iW 

38.  juro 

,28. 

16.  trovata 

?'9- 

35.  n^^e 

i3q. 

6.  che  per  xorM 

ManoMcritào  di  Aposicto  Zeno. 

Argomento  della  NoTella, 

palazzo 

fosse ^  e  cosi  molte  altre  Tolte;  e  ¥Ìoe?er- 

sa  talvolta  fiÀSS0    do?e    la   stampa 

ha  /osse, 
rimessa 

La  Novella. 

se  non  vi  maravigUasùe 

insolenzia^  e  così  ia  altre   simili  toei)    • 

talvolta  viceversa. 
farli 

Beritéccie 
di  S.  Martino 
T  asnréhhono 
quello  dovessero  far0 
^  co*  suoi  compagni 
stava 
può 

sapendo 
ma  poi 
di  via 
carnevale 
due  foschi 

scosse 
su 

trovato 

Toppe 

dove  per  sort9 


*;  #  r 


SkÉmpa^di'Loiidm:  i756j 


m      ^  Aft  dmUmo 

t3i«>         Q.  prétùnù 

134.  I.  commeukmif . 

ìtì  s8.  poteue  '     ^' 

•    loSk  6*  EaWQ 

vn  SI.  cofnipa^Mi 

iSy.  i6.  ^rMo  licenzia 

i38.  39.  rwerentemeiue 

139.  5.  Michelangelo 

140.  2'  quello  che  egli  faceva 
ivi  18*  dfi  tfiv^r  m^i  a  rìvederm 

142.  27.  domandatoli 

143.  19.  raffreddato  ,  /a  /to££e 
ivi  21.  no/>  Jf  poteva 

144.  14.  1/  i^eio/o 
147.  2.  ^migliasse 

ivi  24.  acciocché  fusse 

ivi  28.  coUoroso 

i5o.  18.  n/  mugnaio 

ivi  23.  chiudere  occhi 

i5i«  9.  confesserò 

ITI  29.  pareva  averlo  veduto 

l52.  20.   i3/7rf.    £  cAi  ^e^  f'Of  ? 

ivi  26.  ricordatasi 
i53,  7.  mora 

154.  la»  Ghirigoro  ' 


y 


5o« 


Ittanoscritto  di  Apostolo  Zeno. 

scclèe 

cimitero 

essendo 

presero 

fine 

comissione^  e  cosi  più  sotto. 

poteva 

Eremo ,  e  cosi  più  sotto« 

campanella 

presa  licenzia 

revererUemente  ^  e  cosi  in  altro  luogo 

più  sotto. 
Michelagnolo 
ciò  che  egli  faceva 
€taver  mai  più  a  rivedere 
dimandatolo 
raffreddando  la  notte 
non  lo  poteva 
il  dolore 

somigliasse  > 

acciocché  gli  fussc 
colleroso 
al  miglìajo 
chiudere  occhio 
confessore 

pareva  d^averio  veduto 
aprimi;  siete  voi! 
ricordatosi 
mori'' 

Gregorio 


Il^^^^^^^^l 

■pp 

M 

[            5»4 

4 

■ 

Sumpa  di  Londra  lySS. 

^^^H 

19.  Maestro  Manente  cast 

^^^ft 

22.  JVepo  ^t  Galaerona 

^^B         >74- 

25.  collo  roso 

^^ 

22.  maggior  volatore 

W                 177- 

g.  ficcava  innanzi 

H                    ivi 

IO.  accostatosi  verso  la  porta 

^^^^           ìri 

26.  licenziato 

^B       57^' 

2.  con  cerfi  TUOI  a/ma 

^^^V 

ji.  A'  <fuesto  laberinto 

ivi 

ig.  /a  famiglia 

iVi 
iSi. 

181. 


J7.  ^Mioiossa 

19.  (2a  Ga/atrona 

I.  openione 
IO.  in  /ii«cj  «R/vf 
24.  ma  non  ^r   questo  avU' 
Ione  mai  niuno 


5o5 


Manoscritto  di  Apostolo  Zeno. 

^Miiesiro  Manente  cosd 

Nepo  da  Galatrona 

colleroso 

maggior  lavoratore 

faceva  innanzi 

accosUUasi  alla  port^ 

licenziati 

con  li  suoi  amici 

di  qud  laberinto 

i  famigli 

paciona 

fugmre 

di  Galatrona 

opinione 

a  dieci  anni 

mai  per  questp  avutone  minano 


Jàuea^ 


33 


■I 


nKOEI 


GORRlZlOlfl 


Pag.  lOQ  1.  24  stare  state 

110  »  28  suol  sul 

ao8  f>  3  perdereano  perdevano 
208  »  3  tempo  i  tempo  e  i 
233  »  27  tro-po  trop-po 

375  n  22  scoi  cosi 

38i  »    9  rappatu*     rappattumarli 

marli 
418  »  25  perciuccchè  perciocché 


^V-ì.-^. 


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,JL.21Q§-124  440  707 

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Stanford  Universi^  librarìcs 
Stanford,  California 


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