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Full text of "La regola di San Benedetto"

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LÀ REGOLA 



DI 



SAN BENEDEnO 




MONTECASSINO 
1902 



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LA REGOLA 

DI 

SAN BENEDETTO 

v()Ltata in italiano 

DAL PADRE 

D. FRANCESCO LEOP. ZELLI 

ABATE ORDIN. DI S. PAOLO 
E 
PRESIDENTE DELLA CONGREa. 
CASSINESE. 



<5 / 



TIPOGRAFIA DI MONTECASSÌNO 
1901 









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PROLOGO 



ALLA RBGOLA 



DI S. BENEDETTO 






Ascolta, figlio, i precetti del 
Maestro, e porgi le orecchie del tuo 
cuore, e ricevi di buon volere Tav- 
vertimento del savio padre, ed effi- 
cacemente lo adempì; perchè con la 
fatica dell'obbedienza tu a Lui ri- 
torni, da cui coir inerzia della disob- 
bedienza ti eri dilungato. 

A te dunque ora si rivolge il mio 
parlare, chiunque tu sii che, rinun- 
ziando alle proprie voluttà, dai di 
piglio alle fortissime e lucide armi 
delFobbedienza, per militare sotto il 
vero re Cristo Signore. 

E primieramente, tu devi con in- 
stantissima orazione chiedere da Lui, 



284470 



4 LA REGOLA 

che perfezioni qualsiasi bene tu inco- 
minci a fare ; ond' Egli, che si è già 
degnato di contarci nel numero dei 
suoi figli, non d«bba un giorno sde- 
gnarsi delle nostre malvage azioni. 
Epperò devesi così a Lui ubbidire 
sempre intorno al bene, che non solo 
da padrts irato non diseredi un giorno 
i suoi figli, ma neanche da Signore 
terribile, sdegnato per i nostri pec- 
cati, condanni all'eterna pena i vilis- 
simi schiavi, che non avranno voluto 
seguirlo alla gloria. 

Sorgiamo dunque una volta, se- 
condo che ci scuote la parola divina, 
dicendo: Ella è già ora di destarsi 
dal" sonno. — E aperti i nostri occhi 
al lume di Dio, con le orecchie tese 
ascoltiamo checché ci avverta la voce 
divina tuttodì esclamante: Oggi, se 
udirete la voce di lui, non vogliate 
indurire i vostri cuori. — E altrove: 
Chi ha orecchie da udire, oda quello 
che lo Spirito Santo dice alle Chiese.- . 



DI S. BENEDETTO 5 

E che dice. ^ Venite, o figliuoli, ascol- 
tatemi: io V* insegnerò il timore di 
Dio. Correte, mentre che avete il 
lume della vita, perchè non vi colgano 
le tenebre della morte. — E cercando 
il Signore nella moltitudine del po- 
polo a cui parla il suo operajo, in 
altro luogo dice: Chi è Tuomo che 
vuole la vita, e brama vedere i giorni 
buoni? — Che se tu udendo, rispondi: 
Son io; — Iddio ti dice: Se tu vuoi 
avere la vera e perpetua vita, ritieni 
la tua lingua dal male, e le tue labbra 
non si schiudano ali* inganno : allonta- 
nati dal male, e opera il bene : cerca 
la pace, e seguila. E quando avrete 
fatto tai cose, ì miei occhi saranno 
sopra di voi, e le mie orecchie le avrò 
intente alle vostre preci. E primachè 
m'invochiate, dir^: Eccomi, io son 
presto. 

Che mai può essere a noi più dolce 
di questa voce del Signore che sì 
c'invita, fratelli carissimi? Ecco 
che il Signore nella sua bontà ci mo' 



6 LA REGOLA. 

slra la via della vita. Adunque, suc- 
cinti i nostri lombi, con la fedele 
osservanza delle opere buone, dietro 
la guida dell'Evangelio, battiamo le 
strade di esso; afBnchè meritiamo di 
vedere nel suo regno, Colui che ci ha 
chiamati. Nella sede del qual regno, 
a voler dimorare, se non che correndo 
nelle buone opere, ffon si perviene. 

Ma interroghiamo il Signore, con 
le parole del profeta, e diciamogli: 
Signore, chi abiterà nel tuo taberna- 
colo, o chi si riposerà nel tuo santo 
monte? — Dopo questa interrogazione, 
ascoltiamo, o fratelli, il Signore che 
risponde, e che ci mostra la strada 
dello stesso tabernacolo, dicendo: Co- 
lui che cammina in integrità, ed 
opera la giustizia: Che parla la ve- 
rità secondo il cuore ; che non bramò 
inganni con la sua lingua: Che non 
fece male al suo prossimo ; che non 
iscagllò ignominia contro al suo si- 
mile : Che respingendo dal suo cuore 
il maligno diavolo che in alcun modo 



s. 



i 



DI S. BENEDETTO 7 

lo tentava, e le insinuazioni dì lui, lo 
ridusse ai niente, e tenne in non cale 
gì' inganni, e gì' infranse in Cristo : 
Coloro infine, che, temendo il Si- 
.gnore, non s'insuperbiscono della 
loro rettitudine ; ma stimando questo 
stesso bene non venir loro dalle pro- 
prie forze ma da Dio, magnificano 
il Signore che opera in loro, dicendo 
quel del Profeta: Non a noi, o Si- 
gnore, non a noi, ma al tuo nome dà 
gloria. — Siccome anco l'Apostolo 
Paolo nulla riferiva a sé della sua 
predicazione, quando diceva: Gli è 
per la grazia di Dio che io son quel 
che sono. — E altrove il medesimo 
scrive : Chi si gloria, nel Signore si 
glorii- — E però il Redentore nel- 
l'Evangelio dice : Chi ode queste mie 
parole e le adempie, io lo rassomi- 
glierò all'uomo sapiente, il quale 
edificò la sua casa sulla pietra. Ir- 
ruppero i fiumi, soffiarono i venti, e 
infuriarono contro quella casa; ma 
essa non cadde, poiché era fondata 



8 LA REGOLA 

sulla pietra. — A questo fine il Si- 
gnore attende ogni di che noi corri- 
spondiamo coi nostri fatti a co tali 
suoi santi avvertimenti. 

Perciò, ad emenda dal male, sono 
a noi conceduti, siccome una tregua, 
i giorni di questa vita, dicendo 1* Apo- 
stolo: Forsechè ignori, che la pazienza 
di Dio ti conduce a penitenza? Pe- 
rocché il pietoso Signore dice: Io non 
voglio la morto del peccatore, ma 
eh' ei si converta e viva. — Avendo 
dunque noi^ o fratelli, interrogato il 
Signore^ circa T abitatore del suo 
tabernacolo, abbiamo udito come si 
ottenga di abitarvi. Onde, se adem- 
piamo il debito di esso abitatore, 
saremo eredi del regno dei cieli. 
Adunque convien disporre i cuori e 
le membra nostre alla milizia dei 
precetti della santa obbedienza; e 
pregare il Signore, che ci sia decre- 
tato l'ajuto deJla sua grazia, per ciò 
appunto, che la natura nostra non 
può tanto in noi. E se vogliamo, evi- 



DI S. BENEDETTO 9 

tando le pene dell'inferno, pervenire 
alla vita perpetua, mentre che ancora 
è tempo, e siamo in questo corpo, e 
tutto ciò si può adempire per questa 
strada di l^uce ; ei ci bisogna correre 
.ed operare di presente, quel che a 
• noi sarà spediente per Teternità. 
Si ha dunque da stabilire la pa- 
lestra del servizio divino: nel quale 
regolamento nulla speriamo imporre 
né di aspro, né di grave. Che se, die- 
tro il dettame di ragionevole equità, 
ci terremo alcun poco ristretti, in 
ordine all'emenda dei vizii e alla 
conservazione della carità, non dar 
subito le spalle, come colto da paura, 
. alla strada della salute ; la quale non 
si può se non per angusto adito in- 
cominciale. Coll'andar poi della con- 
versione e della fedeltà, con cuor 
largo e indescrivibile dolcezza di 
; amore, si batte la strada dei coman- 

[ damenti di Dio. Cosi non mai dipar- 

l tendoci dal magistero di lui, perseve- 
i . rando nelle dottrine sue in monastero 



10 LA REGOLA 

sino alla morte, parteciperemo per 
la pazienza ai patimenti di Cristo, e 
potremo meritare di essere consorti 
del suo regno. 



INCOMINCIA LA REGOLA 

DEL 

SS. PADRE BENEDETTO. 



Delle specie o della vita dei Monaci. 

CAP. 1.*» 

Egli è noto, che sono quattro le 
specie dei monaci. La prima è dei' 
Cenobiti, cioè monasteriali, militanti 
sotto una Regola o un Abbate. Sie- 
gue la seconda, degli Anacoreti, cioè 
Eremiti ; che non per recente fervore 
di conversione, ma per lunga pt'uova 
di monastero, di già istruiti dal con- 
forto di altri molti, appresero a com- 
battere contro il Diavolo; e ben 
muniti escono dal domestico combat- 
timento alla singolare tenzone del- 
reremo, di già sicuri, bastano, con 



12 LA REGOLA 

l'ajuto di Dio, senza l'altrui conso- 
lazione, con la sola mano o il braccio, 
a pugnare contro i vizii della carne 
dei pensieri. 

La terza specie poi, abominevolis- 
sima, di monaci è dei Sarabaiti; i 
quali né provati da regole né am- 
maestrati dall'esperienza, come oro 
nel crogioulo, ma ammolliti come 
piombo liquefatto, ancora serbando 
fede al secolo con le opere, veggonsi 
. mentire innanzi a Dio per la loro 
tonsura. Essi, a due, a tre, e talvolta 
soli, senza pastore, non racchiusi, nel- 
l'ovile del Signore ma*nel proprio, 
hanno per legge la voluttà dei loro 
desideri! ; perocché ciò che essi pensa- 
no e scelgono, ciò dicono santo: e ciò 
che non vogliono, ciò reputano illecito. 
La quarta specie inf ne di monaci 
è di quei che diconsi Girovaghi; i 
quali passano tutta la loro vita ospi- 
tando tre quattro giorni in varie 
celle e paesi, sempre vagabondi e 
non mai stabili, schiavi delle proprie 



DI. S. BENEDETTO 13 

voluttà e gozzoviglie, ed al tutto più 
vili dei Sarabaiti. Della com piangevole 
vita di tutti costoro meglio' è tacere 
che parlare. 

Lasciando adunque cosifatti mo- 
naci, veniamo con l'ajuto di Dio, a 
ordinare la fortissima specie de' Ce- 
nobita 

Quale debba essere V Abbate, 

CAP. 2.« 

L'Abbate che ò degno di presiedere 
al Monastero, sempre si ha da ricor- 
dare del nome che porta, e al nome 
di superiore corrisporrdere eoi fatti. 
Devesi però credere eh' egli faccia 
nel Monastero le veci di Cristo, da- 
poichè chiamasi con lo stesso appel- 
lativo di Lui, dicendo l'Apostolo : 
Voi riceveste lo spirito di figli adot- 
tivi, pel quale esclamiamo Abba^ 
Padre. — Pertanto l'Abbate nulla, 
che Dio guardi, deve o insognare o 
stabilire comandare, fuor del pre- 



14 LA REGOLA 

cello del Signore. Anzi il comando 
o l'insegnamento di lui sia sparso 
nelle menli dei discepoli, come lie- 
vito della divina giustizia. 

Si rammenti sempre l'Abbate, che 
nel tremendo giudizio di Dio saranno 
messi a disamina così il suo insegna- 
mento, come Tobbedienza dei disce- 
poli. E sappia l'Abbate, che sarà 
ascritto a colpa del pastore, tutto quel 
meno di utile che il padrefamiglia 
troverà nelle pecorelle. E allora, per 
contrario, sarà libero, se da buon pa- 
store avrà adoperato ogni diligenza 
verso r inquieto e disobbediente greg- 
ge, e prestato ogni cura alle debolezze 
di esso. Onde per uscire assoluto dal 
giudizio del Signore, dica a lui col 
profeta : Io non ho celato nel mio 
cuore la tua giustizia, ed ho annun- 
ziato la tua verità e la tua salute: 
ma essi non curanti mi disprezza- 
rono. — Ed allora ultimamente alle 
disobbedienti sue pecorelle sia pena 
condegna la stessa morte. 



r 



DI S. BENEDETTO 15 



Quando dunque alcuno prende il 
nome di Abbate, deve soprastare ai 
suoi discepoli con doppio insegna- 
mento; cioè tutte le cose buone e 
sante mostrare più con i fatti che con 
le parole; sicché ai discepoli sagaci 
proponga i comandamenti del Signore 
con le parole, e ai duri di cuore e più 
semplici, dimostri i divini precetti 
con i suoi fatti. Tutto quello pòi che 
avrà insegnato ai discepoli da fug- 
girsi, indiclii col suo esempio non 
doversi fare : affinchè predicando agli 
altri, non si trovi lui reprobo, e il 
Signore non abbia un giorno a dire 
a lui peccatore: Come tu esponi le 
mie giustizie, e ti metti in bocca 
il mio insegnamento? Tu intanto 
odiasti la disciplina, e ti gettasti 
dietro le mie parole ! Or tu che ve- 
devi la festuca nell'occhio del tuo 
fratello, come non vedesti la trave 
nel tuo ? — 

Non si riguardi da lui a persona 
nel monastero. Non ami uno più che 



16 LA REGOLA 

un altro, se non colui che avrà trovato 
migliore nelle opere buone o neirob- 
bedienza. Non si anteponga il libero 
allo schiavo convertito, se forse altri- 
menti non consigliasse grave ragione. 
Ohe se, per dettame di giustizia, cosi 
sembrasse bene all'Abbate, rispetto 
a qualsiasi ordine, ed ei lo faccia: 
altrimenti, tenga ciascuno il proprio 
luogo. Perciocché o schiavo o libero, 
tutti siamo eguali in Cristo Gesù, e 
sotto uno stesso Signore, siccome 
servi, portiamo il medesimo cingolo 
militare; giacché non vi é riguardo 
di persone davanti a Dio. Solo in 
questo noi ci distinguiamo davanti a 
Lui, se cioè più buoni degli altri 
nella nostra vita e più umili saremo 
trovati. Adunque usi l'Abbate eguale 
carità con tutti, e offra a tutti la stessa 
disciplina, secondo che conviene. 

Imperocché l'Abbate deve nella sua 
dottrina conservare sempre quella 
forma apostolica, come sta scritto: 
Riprendi, sgrida, supplica; cioè, a 



DI S. BENEDETTO 17 

seconda delle circostanze, accoppiando 
ai terrore Tallettaraento, dia a dive- 
dere il rigido affetto del maestro, e 
il pietoso cuore del padre; vale a 
dire, eh' ei deve più duramente ri- 
prendere gl'inquieti e grndiscipli- 
nati, supplicare poi gli obbedienti, 
i mansueti e i pazienti, affinchè pro- 
grediscano in meglio. Lo ammoniamo 
infine a sgridare e riprendere i ne- 
gligenti e non curanti. Né dissimuli 
i difetti di coloro che falliscono, ma 
subito come si vedono incominciare 
a nascere, nella radice, com' é ne- 
cessario, li tronchi; memore del caso 
di Eli, Sacerdote di Silo. Le menti 
I)iù composte e ragionevoli le ripren- 
da con le parole nella prima o se- 
conda ammonizione ; ma i malvagi e 
duri di cuore e superbi e disobbe- 
dienti anche sul primo incominciare 
del peccato li raffreni con battiture 
e castighi corporali, sapendo che sta 
scritto : Lo stolto non si corregge per 
le parole. — E altro%(?: Baiti il tuo 

2 









LA REGOLA 18 

figlio con la verga, e libererai dalla 
morte Tanima di lui. — 

L'abate deve ognora ricordarsi di 
ciò eh' egli è, ricordarsi del nome 
che porta, e sapere, che a cui più si 
commette, più si richiede. Conosca 
quanto difficile ed ardua impresa ha 
indossato col reggere le anime, e 
acconciarsi al costume di molti. Ed 
uno trattando colle lusinghe, un altro 
con le persuasioni, secondo la qualità 
e intelligenza di ciascuno, cosi a tutti 
si conformi e si adatti, che non solo 
non permetta il danno dei gregge a 
lui commesso, ma anzi si rallegri nel- 
r incremento delle buone pecorelle. 

Innanzi a tutto si guardi, dissimu- 
lando o tenendo da poco la salute 
delle anime a lui affidate, dal pren- 
dere troppa cura delle cose transi- 
torie, terrene e caduche; ma sempre 
pensi, eh' egli ha prèso a reggere 
anime, delle quali dovrà rendere 
conto. E perchè non si affligga per 
avventura della pochezza dell'entrate. 



rr- 



DI S. BENEDETTO 19 

abbia a mente che è scritto: Prima 
cercate il regno di Dio e la sua 
giustizia, e tutte le altre cose vi 
saranno date di sopravvanzo. — Ed 
anche: Nulla manca a coloro che 
temono Dio. — E sappia, che chi ha 
preso a reggere anime, deve prepa- 
rarsi a renderne ragione. E quanto 
sarà il numero de* fratelli che avrà 
sotto la sua cura, si accerti che di 
altrettante anime dovrà rendere conto 
al Signore nel giorno del giudizio ; 
aggiuntavi senza dubbio anche IV 
nima' sua. E cosi ognora temendo la 
futura disamina del Pastore circa le 
pecorelle affidate^ se ha giusta tema 
del giudizio che si farà di esse, sia 
sollecito del giudizio che si farà di 
sé. E nel porgere altrui la correzione 
co* suoi avvertimenti, egli stesso si 
fa mondo dai vizii. 



20 LA RÈO OLA 

Del valersi dei fratelli a consiglio. 

GAP. 3.* 

Ogni volta che si abbiano a trattare 
nel monastero cose di particolare con- 
siderazione, convochi l'Abbate tutta 
la comunità, e dica lui di che si tratta. 
Udito quindi il consiglio dei fratelli, 
lo ripensi seco medesimo, e poi faccia 
quello che avrà giudicato più utile. 
Perciò dicemmo che si chiamino a 
consiglio tutti ; perocché spesso il Si- 
gnore rivela al più giovane quello 
eh' è meglio. Ma i fratelli diano il 
consiglio con ogni soggezione e umil- 
tà, sicché non presumano di difendere 
procacemente la loro opinione, ma 
più tosto si dipenda dall'arbitrio del- 
l'Abbate ; onde secondo che Egli avrà 
giudicato più savio, tutti gli obbedi- 
scano. Imperocché siccome è dovere 
dei discepoli obbedire al maestro, cosi 
sta a lui disporre ogni cosa provvida- 
mente e giustamente. lutti adunque 



DI S. BENEDETTO 21 

in ttitto seguitino per maestra la Re- 
gola, né alcuno temerariamente se ne 
allontani. 

Nessuno in monasteso seguiti il 
proprio volere. Né ardisca veruno di 
venire a proterva conlesa coir Abbate, 
o dentro o fuori del monastero. Che 
se l'abbia fatto, sìa sottoposto alla 
pena della Regola. Esso Abbate però 
faccia tutto con timore di Dio e osser- 
vanza della Regola; sapendo eh' egli 
fuor di dubbio dovrà rendere conto a 
Dio giudice di tutti i suoi giudizii. 

Se poi si avessero a trattare cose di 
minor momento a utilità del monaste- 
ro, l'Abbate usi solo del consiglio dei 
seniori, come sta scritto: Tutto fa col 
consiglio, e del fatto non ti pentirai. 

• 

Quali siano gli strumenti delle 
bnone opere, 

GAP. 4.^ 

1. Primieramante amare il Signore 
Iddio con tutto il cuore, con tutta 
l'anima, con tutta la forza. 



i6 •- 



22 LA REGOLA 

. 2. E poi amare il prossimo come te 
stesso. 

3. E poi non ticcidere. 

4. Non adulterare. 

5. Non rubare. 

6. Non concupire. 

7. Non dir falso testimonio. 

8. Onorare tutti gli uomini. 

9. E ninno faccia agli altri ciò che 
non vuole sìa fatto a lui. 

10. Annegare sé stesso per seguire 
Cristo. 

11. Mortificare il corpo. 

12. Non abbracciare le delizie. 

13. Amare il digiuno. 

14. Ristorare i poveri. 

15. Vestire il nudo. 

16. Visitare l'infermo. 

17. Sepellire il morto. 

18. Sovvenire gli altri nella tribo- 
lazione. 

19. Consolare Tafllitto. 

20. Distaccarsi dalle opere del mondo. 

21. Nulla mettere innanzi all'amore 
di Cristo. 



DI S. BENEDETTO 23 

22. Non compiere l'ira. 

23. Non serbare Y ira ad altro tempo. 

24. Non tenere inganno nel cuore. 

25. Non dare pace falsa. 

26. Non abbandonare la castità. 

27. Non giurare, perchè talora non 
si spergiuri. 

28. Portare nel cuore e nella bocca 
la verità. • 

29. Non rendere male per male. 

30. Non fare ingiuria; ma fatta che 
ci sia, pazientemente sopportarla. 

31. Amare i nemici. 

32. Non rimaledire a chi ci maledice, 
ma anzi benedirlo. 

23, Sostenere persecuzione per la 
giustizia. 

34. Non essere superbo. 

35. Noli beone. 

36. Non mangiatore. 
j37. Non sonnolento. 

38. Non pigro. 

39. Non mormoratore. 

40. Non detrattore. 

41. Mettere in Dio la propria speranza. 



' • 



2^4 LA REGOLA 

42. Bene che in se vegga, ascriverlcy 
a Dio non a sé. 

43. Il male però riconosca serapret 
di averlo fatto, e a sé lo ascrira. 

44. Temere il giorno del giudizio. 

45. Tremar dell'inferno. 

46. Bramare la vita eterna con ogni 
spirituale desiderio. 

47. Avere ogni di innanzi agli occhi 
la morte, come fosse per venire. 

48. Custodii>e ognora gli atti della 
propria vita. 

49. Accertarsi che Dio in ogni luogo 
ci guarda. 

50. Spezzare sulla pietra di Cristo i 
cattivi pensieri, appena ci spun- 
tano nel cuore. 

51. Aprirsi al padre spirituale. 

52. Custodire la bocca dal cattivo e 
sconcio parlare. 

53. Non amare il molto discorso. 

54. Non dire parole vane o da riso. 

55. Non amare il troppo e scomposto 
ridere. 

56. Udire volentieri le sante letture. 



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DI S. BENEDETTO 25 

57. Frequentemente accudire alFora- 
zione. 

58. Ogni giorno confessare a Dio 
nell'orazione con lacrime e ge- 
miti i trascorsi peccati ; e per 
l'avvenire emendarsene. 

59. Non compiere i desiderii carnali. 

60. Odiare la propria volontà. 

61. Obbedire in tutto ai comandi del- 
l'Abbate, anche se egli (che mai 
non sia!) altrimenti taccia, me- 
mori, di quel precetto del Si- 
gnore; Fate quello che dicono, 
né vogliate fare quello che fanno. 

62. Non volere esser detto santo 
prima di essere; ma prima esser- 
lo, onde, dicasi più vero. 

63. '•Adempiere ogni di i comandamen- 
ti di Dio coi fatti. 

64. Amare la castità. 

65. Non odiare nessuno. 

66. Non avere gelosia o invidia. 

67. Non amare le coatese. 

68. Fuggire la gonfiezza e la vana 
gloria. 



26 LA REGOLA 

69. Venerare i Seniori. 

70. Amare i più giovani. 

71. Nell'amore di Cristo pregare pei 
nemici. 

72. Tornare in pace col litigante, 
prima che il sole tramonti. 

73. E della misericordia di Dio giam- 
mai non disperare. . 

Ecco, questi sono gli strumenti del- 
l'arte spirituale; 1 quali se saranno 
da noi usati giorno e notte incessan- 
temente, e riconsegnati nel di del 
giudizio; ci verrà ricompensato dal 
Signore con la mercede eh' Egli ha 
promessa i perocché occhio non vide, 
né orecchio intese^ né in cuor di 
uomo sorse mai quello che Dio ha 
preparalo a coloro che l'amano. * 

L'oflScina poi dove dobbiamo dili- 
gentemente lavorare intorno a queste 
cose, è il Chiostro del Monastero, 
e la stabilità in comune nella Con- 
gregazione. 



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DI S. BENEDETTO 27 

Dell'Obbedienza. 

GAP. 5.° 

11 primo grado di umiltà è l'obbe- 
dienza, ma pronta. Questa si esercita 
da coloro che, nulla ponendo innanzi 
a Cristo, per Tamore del divino ser- 
vizio che hanno professato, o pel ti- 
more dell'inferno, o per la gloria 
della vita etema, appena loro vien 
comandata qualche cosa dal Supe-' 
riore, come se fosse cenno di Dio, 
non mettono indugio all'eseguire. Dei 
quali dice il Signore: Appena udito 
mi obbedì. — E similmente dice ai 
maestri: Chi voi ascolta, me ascolta. — 
E questi tali, abbandonando tosto le 
cose loro, e rinnegando la propria 
volontà, subito lasciando imperfetto 
quello che avevano tra mani o che 
facevano, seguitano la voce di colui 
che domanda, prestando all'opera del- 
l'obbedienza rapido il piede: sicché 
coloro cui preme il desiderio di salire 



28 LA REGOLA 

a vita eterna, nella velocità del timore 
di Dio, quasi in un medesimo istante 
fanno veder compiuti il comando del 
maestro e l'esecuzione perfetta del 
discepolo. Perciò si attengono alla via 
stretta, come il Signore disse: Stretta 
è la via che conduce alla vita. — On- 
d'essi, non vivendo a loro talento, né 
chinandosi ai desiderii e alle voluttà, 
ma movendosi secondo il giudìzio e 
l'ordine altrui, vivendo nei chiostri, 
bramano che un Abbate a loro pre- 
sieda. Coloro senza dubbio si confor- 
mano a quella sentenza del Signore, 
che dice: Io non venni a fare la vo- 
lontà mia, ma di Colui che mi mandò.- 
Ma questa stessa obbedienza allora 
sarà accetta a Dio e soave agli uo- 
mini, se il comando sia seguito senza 
trepidazione, senza tardità, senza 
svogliatezza o mormorazione, e senza 
rifiuti; perchè l'obbedienza che si usa 
ai superiori, rendesi a Dio. E lui in- 
fatti che dice: Chi voi ascolta, mo 
ascolta. — E si convieue ai discepoli 



r 



DI S. BENEDETTO 29 

prestarla di buon animo; poiché Iddio 
ama il sincero donatore. Conciossia- 
chè se il discepolo obbedisce di malo 
animo, e se mormori, non che con la 
bocca, solo col cuore ; se bone adem- 
pia il comando, pure non sarà accetto 
a Dìo, il quale scruta ben dentro il 
cuore di chi mormora. Né poi di tale 
£a.tto acquista alcuna grazia; anzi 
incorre nella pena dei mormoranti, 
se non si emendi e faccia penitenza. 

Della Taciturnità, 

€AP. 6.^ 

Facciamo come cantò il Profeta: Io 
dissi, guarderò le mie azioni, per non 
cadere in difetto con la lingua. Posi 
nna guardia alla mia bocca; mi feci 
muto e mi umiliai, e mi tacqui anche 
sopra cose buone. — Qui il Profeta 
ci mostra, che se talvolta per amore 
della taciturnità, devesi anche ces- 
sare dai buoni discorsi, or tanto mag- 
giormente, per isfuggire la pena del 



30 LA REGOLA 

peccato, convien guardarsi dal cattivo 
parlare. Adunque, per serbare la gra- 
vità del silenzio, di rado si conceda 
ai perfetti discepoli licenza di parlare, 
ancora che di buone, sante ed edifi- 
canti cose; poiché sta scritto: Nel 
molto parlare nou isfuggirai il pec- 
cato. — E altrove: La morte e la 
vita sono in potere della lingua. — 
Giacché conviene al maestro il parlare 
e r insegnare, e al discepolo il tacere 
e l'ascoltare. Epperò se si ha da ri- 
chiedere qualcosa al Superiore, si 
faccia con ogni umiltà e soggezione e 
riverenza. Gli scherzi poi e le parole 
oziose e ridevoli vogliamo in tutti 
luoghi perpetuamente vietate, né a 
simile parlare permettiamo che il di- 
scepolo schiuda mai il suo labbro 

Beirumiltà. 

GAP. 7.° 

La Scrittura divina, o Fratelli, grida 
a nostro insegnamento, e dice : Chiun- 



DI S. BENEDETTO 3^1 

que si esalta sarà umiliato, e chiurrqiw 
si umilia sarà esaltato. — Nel dire 
dunque queste parole ci mostra che 
ogni esaltazione è una specie di su- 
perbia. Dalla qual cosa il Profeta 
e' indica doverci guardare, dicendo: 
O Signore, il mio cuore non si è esal- 
tato, né i miei occhi si sono levati in 
alto. Né ho camminato in sublime, né 
ìa vanità di me stesso. — Ma che ? — ' 
Se non ho sentito di me umilmente, 
ed ho anzi esaltata Tanirna mia ; mi 
son trovato poi come il fanciullo spop- 
pato di fresco. — Laonde, o fratelli, 
se vogliamo toccare la cima dell'ec- 
celsa umiltà, e velocemente giungere 
a queWa celeste esaltazione, a cui si 
ascende per l'umiltà della presente 
vita; e a condurre in alto le nostre 
azioni, fa d'uopo innalzare quella 
scala, che apparve in sonno a Gia- 
cobbe, per la quale si mostravano a 
lui gli Angeli scendere e salire. Quel 
discendere e salire, senza dubbio non 
va da noi inteso in altro modo, se nou 



L« #-.!kA.<. 



32 XA REGOLA. 

che si discende coiresal tarsi, si sale 
su coirumiliarsi. La stessa scala poi 
innalzata, è la nostra vita al mondo, 
la quale per chi si umilia nel cuore il 
Signore gliela indirizza al cielo. I lati 
di questa scala però diciamo essere il 
corpo e l'anima nostra, e in quei lati 
la vocazione divina appoggiò diversi 
gradi di umiltà o di disciplina, che noi 
dobbiamo salire. 

Il prin>o grado di umiltà pertanto 
è, che mettendosi sempre innanzi agli 
occhi il timore di Dio, si fugga del 
tutto l'ignavia. Il discepolo ognora si 
dee ricordare di tutto ciò che comanda 
Iddio, qualmente coloro «he lo disprez- 
zano, piombano per il peccato nell'in- 
ferno', e sempre rivolgere per la 
mente la vita eterna, che è preparata 
a coloro che Io temono. E guardandosi 
in ogn' istante dai peccati e dai vizii, 
sia pronto a soffocare i desiderii e i 
movimenti dei pensieri, della lingua, 
degli occhi, delle mani, dei piedi, del 
proprio volere, e molto pi ìi della carne. 



DI «. BENEDETTO 33 

'Consideri Tuomo eh' egli è sempre 
Bd ogni ora dal Cielo riguardato da 
Dio, e le sue azioni sono conte alla 
Divinità dovechessia, e riferite dagli 
Angeli a Dio in ogni momento. Questo 
ci espone il Profeta, quando ci de- 
scrive Iddio sempre presente ai nostri 
pensieri, dicendo: Iddio che scruta le 
reni e i cuori. — Ed anche: il Signore 
conosce i pensieri degli uomini. — E 
similmente dice: Tu intendesti i miei 
pensiera da lungi ;— e, Che il pensiero 
dell'aomo a te si svelerà da sé.— Onde 
Fumile fratello» per essere vigilante 
contro i suoi perversi pensieri, dica 
sempre in cuor suo: Io allora sarò 
immacolato dinanzi a Lui, quando mi 
sarò guardato dal mio peccato. — 

«Ci viene inoltre proibito di fare la 
propria volontà, mentre la Scrittura 
ci dic^: rivoltati dal tuo volere. — 
E così pure : Preghiamo Iddio nell'o- 
razione, onde sia fatta in noi la sua 
volontà. — Ora a buon diritto noi 
siamo ammaestrati a non fare la no- 



* 






34 LA REGOLA 

stra volontà, per isf uggire quello che 
dice la S. Scrittura: Sonovi alcune 
strade che sembrano agli uomini rette, 
e il fine di esse s'immerge nel pro- 
fondo deir inferno. — E cosi dobbiamo 
guardarci anche da quello eh' è scritto 
dei negligenti: Sono divenuti corrotti 
ed abominevoli nei loro voleri. — 
Crediamo poi che Dio ha sempre pre- 
sente qualsiasi nostro desiderio car- 
nale, mentre il Profeta dice al Si- 
gnore : Egli è dinanzi a te ogni mio^ 
desiderio. — 

Bisogna dunque perciò scacciare 
ogni pravo desiderio, perchè la morte 
dell'anima viene appresso all'entrata 
del diletto. Onde la scrittura comanda 
dicendo: Non andare dietro le tue 
concupiscenze. — Se dunque gli occhi 
del signore osservano e buoni e cat- 
tivi, e il Signore dal cielo sempre 
guarda ai figli degli uomini, per ve- 
dere se sia tra loro chi conosca e 
cerchi Dio; e se le nostre azioni ven- 
gono di continuo notte e giorno an- 



DI S. BENEDETTO 35 

nunzìate al nostro Creatore dagli 
Angeli per noi deputati; conviene 
dunque guardarsi ognora, o Fratelli 
(come dice il Profeta nel Salmo), 
àflSnchè talvolta Iddio non ci vegga 
inchinati al male e fatti inutili ; e per- 
donandoci in, questo tempo (perchè 
egli è pietoso, ed attende che ci rivol- 
giamo al megJio), non ci dica nell'av- 
venire : Tu operasti cosi^ ed io mi 
tacqui. — 

Il secondo grado di umiltà è, se al- 
cuno, non amando la propria volontà, 
non prende piacere di sodisfare ai suoi 
desideri!, ma si conforma nel fatto a 
quella voce del Signore che dice: Io 
non venni a fare la mia, ma la volontà 
di colui che mi mandò. — Similmente 
dice la Scrittura: La voluttà reca la 
pena, e la necessità partorisce la 
corona. — 

Il terzo grado di umiltà è, che uno 
si sottometta con ogni obbedienza al 
Superiore per amore di Dio, imitando 
il Salvatore, di cui dice l'Apostolo: 



L:.. 



36 LA. REGOLA 

Fatto obbediente ìnsino alla morte.— 
Il quarto grado dì umiltà, è che 
nello stesso obbedire in dure e contra- 
rie cose, ovvero nel ricevere ingiurie 
qualsiano, nel silenzio e nella pace 
della coscienza si abbracci la pazienza; 
e forte stando in essa,. non si lasci 
vincere da stanchezza o da fastidio; 
dicendo la Scrittura : Chi avrà perse- 
verato sino alla fine, questi sarà 
salvo. — Come pure: Si conforti il 
tuo cuore, e aspetta quel che piace al 
Signore. — E volendo mostrare, che 
la persona fedele ha da sopportare 
ogni contrarietà per amor del Signore, 
dice anche in persona dei tribolati: 
Noi per te siamo tratti a morte ogni 
giorno, e siamo reputati come pecore 
da sgozzare. — Epperò, certi nella 
speranza della divina retribuzione, 
proseguono lieti a dire : Ma in tutto 
questo riusciamo vincitori in grazia 
di Lui, che ci ha amato tanto. — E si- 
milmente altrove sta scritto: Tu ci 
hai provati, o Dio ; tu ci hai purgati 



1 



DI S. BENEDETTO 37 

col fuoco, come argento ; ci hai tratti 
presso al laccio ; hai poste le trihola- 
zionì sopra le nostre spalle. — E per 
mostrare che noi dobbiamo stare sotto 
al Superiore, conchiude dicendo: Tu 
hai imposto uomini sulle nostre te- 
ste. — Ma coloro che nelle avversità 
e negli oltraggi adempiono il precetto 
divino della pazienza, e percossi in 
una guancia porgono anche Taltra, e 
a chi loro toglie la tunica lasciano 
anche il pallio, e angariati per un mi- 
glio vanno oltre anche due miglia; 
costoro, a simìglianza dell'Apostolo 
Paolo, sopportano i falsi fratelli e le 
persecuzioni, e benedicono quelli che 
li maledicono. 

Il quinto grado di umiltà é, se tutti 
i cattivi pensieri che sorgono in cuore^ 
o il male nascostamente commesso, 
per umile confessione si palesino al 
proprio Abbate. A ciò ne esorta la 
Scrittura, quando dice: Svela al Si- 
gnore ì tuoi procedimenti, e spera in 
lui. — E similmente dice : Aprite le 



38 LA REGOLA 

anime vostre al Signore, perocché egli 
è buono, ed eterna è la sua miseri- 
cordia. — Come anche il Profeta: Io 
ti feci aperto il mio delitto, né celai 
le mie ingiustizie : ho detto, io esporrò 
contro me i miei peccati al Signore ; 
e tu mi rimettesti l'empietà del mio 
cuore. — 

Il sesto grado di umiltà è, che il 
monaco sia contento di ogni cosa vile 
e di ogni penuria; e giudichi sé come 
inetto e indegno operajo in tutto quel 
che egli è comandato, dicendo col Pro- 
feta: Io mi sono ridotto al niente, e noi 
seppi: son fatto come giumento al tuo 
servigio, e sempre sono con te. — 

Il settimo grado di umiltà è che 
non solo ci confessiamo con la bocca 
inferiori a tutti e i più dispregevoli, 
ma ancora il crediamo nell' intimo del 
cuore, umiliandoci e dicendo col Pro- 
feta: Io poi son verme e non uomo, 
obbrobrio degli uomini e feccia della 
plebe: io mi sono esaltato, e tu mi 
hai umiliato e confuso. — E simil- 



À 



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DI S. BENEDETTO 39 

mente: Buon per me, che mi hai umi- 
liato; affinchè io apprenda i tuoi 
comadamenti. — 

L'ottavo grado di umiltà e, che il 
monaco nulla faccia, se non quello che 
consiglia la comune regola del Mona- 
stero e l'esempio dei maggiori. 

Il nono grado di umiltà è, che il 
monaco vieti alla sua lingua il parlare; 
e serbando il silenzio, non parli se 
non interrogato, per non incorrere in 
quello che avverte la Scrittura: Che 
nel molto parlare non si sfugge il pec- 
cato; e che l'uomo chiacchierone cam- 
mina senza direzione sulla terra. — 

Il decimo grado di umiltà è, che il 
monaco non sia facile e pronto al riso, 
poiché sta scritto : Lo stolto nel ridere 
leva in alto la sua voce. — 

L'undecimo grado di umiltà è, che 
il monaco parli soave e severo, umile 
« grave, poco e con ragione, né sia 
giammai sfacciato nel tuono della 
voce; mentre è scritto: Il savio si 
distingue alle poche parole. — 



40 EA REGOLA 

Il duodecimo grado di umiltà é, cfi4^ 
il monaco non solo conservi Fiimilfà 
nel cuore, ma anche la dimostri sem- 
pre nel suo portamento a tutti quelli 
che lo veggono; cioè neiropera di Dio, 
neirOratorio, per il Monastero, nel- 
Torto, nella via, nel campo,, o dove- 
chessia, sedendo o camminando, o 
stando in piedi; e abhia sempre il capo 
chino, gli occhi al suolo, stimandosi 
ognora reo dei propri! peccati^ e in 
atto di presentarsi al tremendo giu- 
dizio di Dio; ripetendo sempre quell» 
che il pubblicano dell'Evangelo diceva 
con lo sguardo volto alla terra: G Si- 
gnore, non sono degno io peccatore di 
levare gli occhi miei al cielo. — Ed 
anche col Profeta: Io vo sempre curv» 
ed umile da pertutto. — 

Pertanto,, ascesi che abbia il monaco 
tutti questi gradi di umiltà, presto 
giungerà a quella carità di Dio, che 
quando è perfetta, manda via ogni 
timore: per mezzo della quale lutto 
ciò che prima ci faceva con qualche 



DI S. BENEDETTO 41 

trepidazione, rincomincerà a fare 
quasi naturalmente, per consuetudi- 
ne, senza veruna fatica, non per tema 
dell' inferno, ma per amore di Cristo, 
e per la stessa soddisfazione della 
virtù : E questa buona sodisfazione è 
appunto ciò che il Signore per lo Spi- 
rito Santo si compiacerà di far pro- 
vare al suo operajo mondo dai vizi! e 
dai peccati. 

Degli Offlcii divini di notte. 

CAP. 8.* 

Nella stagione invernale, cioè da) 
primo di novembre sino a Pasqua, per 
una ragionevole considerazione, si de- 
stino i monaci all'ora ottava della 
notte, sicché riposino appena un poco 
più di là della mezza notte, e si levino 
digeriti. Il tempo che resta dopo la 
veglia, si occupi nella meditazione e 
nel recitare qualche parte del salterio 
delle lezioni che fosse stata trala- 
sciata. 



42 LA REGOLA 

Da Pasqua poi sino al primo di no- 
vemb^e, Torà della veglia sia regolata 
in guisa, che lasciato un brevissimo 
intervallo ai fratelli on d'escano per 
le necessità naturali, subito si attacchi 
il mattutino, che dee cantarsi al primo 
apparire della luce. 

Quanti salmi si abbiano a dire 
nelVoffìcio di notte. 

GAP. 0.« , 

Nella stagione invernale, premesso 
primieramente il veiso: Deiis iti adju- 
iorium meum in tende ^Domine adadjì/r 
vandum me festina^ si dica tre volte : 
Domine làbia mea aperies, et os meum 
annuntiabit laudem tuam. A cui si 
dee aggiungere il terzo salmo, e il 
Gloria. Dopo questo, si canti con an- 
tifona il salmo nonagesimo quarto. 
Appresso pongasi Tlnno; e poi si re- 
citino sei salmi con le antifone. Finiti 
i quali, e detto il verso, TAbbate dia 
la benedizione. E sedendo tutti sulle 



DI. S. BENEDETTO 4*^ 

scranne, si leggano a turno dai fratelli 
nel codice sul leggio tre lezioni, cui 
s'intramezzino tre responsorii cantati. 
Dopo la terza lezione però, colui che 
canta dica il Gloria, E mentre il Can- 
tore incomincia a dirlo, subito tutti 
si alzino dalle scranne, per onore e 
riverenza della santissima Trinità. 

I Codici che si devono leggere in 
queste veglie, siano di autorità divina 
o del vecchio testamento o del nuovo, 
e cosi anche i loro commenti, fatti dai 
più rinomati Padri ortodossi e cat- 
tolici. 

Dopo queste tre lezioni e suoi re- 
sponsorii, sieguano altri sei salmi 
coWAllehija cantata. Quindi si dica a 
memoria la lezione dell'Apostolo, il 
verso, e la supplicazione della litania, 
cioè, Kyrie eleison; e cosi finiscano 
le Veglie della notte. 



44 LA REGOLA 

Come si deve t^egolare r officio 
di notte in tempo di estate, 

GAP. lO.o 

Da Pasqua sino al primo di novem- 
bre, si mantenga tutto il numero dei 
salmi, come si è detto; non però, at- 
tesa la brevità delle notti, sì leggano 
le lezioni nel codice : ma invece di 
esse tre lezioni, se ne dica a memoria 
una sola del vecchio testamento, cui 
si aggiunga il responsorio breve: e si 
faccia in tutto, come è stato detto, in 
guisa che nell'officio di notte mai non 
si dicano meno di dodici salmi, senza 
computare il terzo e il nonagesimo 
quarto. 

Come si dee regolare rofficio 
della notte nei giorni di Domenica. 

GAP. 11. <> 

Nel giorno di Domenica si sorga 
alle veglie più presto, e si tenga la 
stessa forma ; cioè, recitati (come so» 



DI S. BENEDETTO 45 

pra abbiamo stabilito) sei salmi e il 
Terso, sedendo tutti man mano e per 
ordine nelle scranne, si leggano nel 
codice (come già dicemmo) quattro 
lezioni coi loro responsorii, e solo al 
quarto responsorio si dica dal cantore 
il Gloria II quale appena cominciato, 
subito tutti si levino con riverenza. 
Dopo le dette lezioni, sieguano ordi- 
natamente altri sei salmi con le anti- 
fone, come i primi, e il verso. Quindi 
si leggano altre quattro lezioni coi 
loro responsorii nello stesso ordine. 
Poi dì nuovo si dicano tre cantici dei 
Profeti, che saranno stabiliti dall' Ab« 
bate; i quali cantici si recitino col- 
YAlleluja, Detto anche il verso, e data 
la benedizione dall'Abbate, si leggano 
altre quattro lezioni del nuovo testa- 
mento, come sopra. Dopo il quarto re- 
sponsorio, l'Abbate incominci l'Inno, 
Te Deum laudamus. Finito il quale, 
dica l'Abbate la lezione dell'Evangelo, 
stando tutti ritti con riverenza e tre- 
more. Ed essa compiuta, tutti rispon- 



46 LA REGOLA 

dano Amen. Subito T Abbate prosie- 
^ua a dire V inno : Te Decet laus. — 
E data la benedizione, s'incominci 
Tofficio del mattino. 

Quest'ordine delle Veglie sempre si 
mantenga lo stesso nei giorni di Do- 
menica, tanto di estate che d'inverno; 
se non forse (che mai non sia !) si de- 
stino i fratelli troppo tardi, e con- 
venga allora abbrevfare qualche cosa 
delle lezioni o dei responsorii. Ma 
però si badi che questo mai non acca- 
da. Che se pure accadesse, colui per 
cui negligenza accadde, ne renda a 
Dio degna sodisfazione nelTOratorio. 

Come si debba regolare il 
Mattutino solenne, 

GAP 12.« 

Neirofficio mattutino della Dome- 
nica, prima si dica il salmo sessagesi- 
mo sesto distesamente, senza antifona. 
Poi si dica il cinquatesimo coir-4//^- 
luja; e indi dicasi il centesimo decimo 



DI S. BENEDETTO 47 

settimo e il sessagesimo secondo. 
Vengon poi le benedizioni e le laudi, 
una lezione dell'Apocalisse a memo- 
ria, il responsorio, Tinuo, il verso, il 
cantico del Vangelo, le litanie; e si 
finisce. 

Come si debba regolare il Mattutino 
nei giorni feriali. 

GAP. 13.« 

Nei giorni feriali l'officio mattutino 
si regoli così, che si dica il salmo 
sessagesimo sesto senza antifona, al- 
lungandolo un poco (come anche la 
Domenica), affinchè tutti si trovino al 
cinquantesimo, che si dirà coiranti- 
fona. Dopo di che si dicano altri due 
salmi secondo il fissato; cioè, nella 
feria seconda, il quinto e trentesimo 
quinto ; nella terza feria, il quarante- 
simo secondo e il cinquantesimo se- 
sto; nella quarta feria, il sessantesimo 
terzo e sessantesimo quarto: nella 
quinta feria, l'ottantesimo settimo e 






48 LA REGOLA 

rottantesimo nono: nella sesta feria, il 
settantesimo quinto e il nonagesìmo 
primo: nel sabbato poi il centesimo 
quarantesimo secondo, e il cantico dei 
Deuteronomio, che si divideiÀ in du« 
Gloria. Ma negli altri giorni si dica ii 
cantico dei Profeti, appropriato a q«el 
giorno, come usa la Chiesa Ronuuia. 
Dopo dì ciò si dicano le laudi, e poi una 
lezione deir Apostolo, a memoria, il 
responsorio, V inno, il verso, il cantico 
del Vangelo, la litanie : e si finisce. 
L'officio del mattino e della sera 
non termini giammai, senza che si dica 
in ultimo dal Superiore, ascoltando 
tutti, Torazìone domenicale, a cagione 
delle spine degli scandali che sogliono 
nascere ; onde tutti i presenti, per la 
promessa di quell'orazione, con cui 
dicono, Rimetti a noi i nostri debiti 
come anche noi li rimettiamo ai nostri 
debitori, si purifichino da cosifatto vi- 
zio. Ma Tultima parte di questa ora- 
zione si reciti da tutti sicché ognuno 
risponda; Sed libera nos a malo. 



BI S. BENEDETTO 49 

Come si debba regolare V officio di 
notte nelle feste dei Santi, 

GAP. 14.» . 

Nelle festività dei Santi e nell'altre 
solennità, si regolerà Tofficio, com' è 
stato detto per la Domenica: tranne 
che si diranno i salmi, le antifone e 
le lezioni appropriate al giorno ; ma 
sempre con l'ordine detto di sopra. 

In quali tèmpi si debba dire 
VAlleluja. 

GAP. 15.° 

Dalla santa Pasqua sino alla Pente- 
coste, dicasi sempre VAlleiuja, tanto 
nei salmi quanto nei responsorii. 
Dalla Pentecoste poi sino al principio 
di Quaresima, dicasi solo ogni notte 
con i sei salmi del secondo notturno. 
Ogni Domenica poi fuor di Quaresima, 
il Mattutino, Prima, Terza, Sesta, e 



fc.ftf^.V. 



50 LA REGOLA 

Nona si dicano colV Alleluja. I Vespri 
però si dicano coU'antifona. I Reepon- 
sorii poi non si dicano mai co\Y Alle- 
luja, se non da Pasqua a Pentecoste. 

Come si abbiano a regolare gli 
officii divini nel giorno. 

GAP. 16.0 

Secondo che dice il Profeta: Sette 
volte al dì io ho detto le tue Lodi; cosi^^ 
noi adempiremo qneeto sacro numero 
settenario, se renderemo a Dio il de- 
bito della nostra servitù al tempo del 
Mattutino, di Prima, Terza, Sesta, 
Nona, Vespero e Compieta : perocché 
di queste ore diurne dice il Profeta: 
Sette volte al di io ho detto le tue 
lodi. — Ed anche della veglia notturna 
il Profeta dice il medesimo: lo mi 
levava a mezza notte per celebrarti. — 
Adunque rendiamo lode al nostro 
Creatore per i suoi giustissimi giud^zii 
in questi tempi diversi ; cioè, al Mat- 




DI S. BENEDKTTO 51 

tino, a Prima, a Terza, a Sesta, a 
Nona, a Vespro e a compieta; e di 
notte alziamoci a magnificarlo. 

Quanti salmi si debbano di7*e 
in dette ore. 

GAP. 17.^ 

Già abbiamo esposto l'ordine della 
salmodia deirofBcio della notte e del 
mattino : ora diciamo delle altre ore. 

A prima si dicano tre salmi distinti, 
e non sotto lo i stesso Gloria. L' inno 
di essa ora si dica dopo il verso Deus 
in adjutorium meum intende, avanti 
che s'incomincino i salmi. Finiti poi 
questi tre salmi, si reciti una sola le- 
zione, il verso, il Kyrie eleison\ e si 
finisce. 

A Terza poi, Sesta, e Nona si man- 
tenga lo stesso ordine ; vale a dire il 
verso, rinno di ciascheduna ora, tre 
salmi, la lezione, il verso, il Kyrie 
eleison, e si finisce. 

Se la comunità fosse numerosa, si 






52 LA RÈGOLA 

dicono i salmi colle antifone ; se pic' 
cola, si recitino di sèguito. 

L'officio del Vespro poi si compia 
in quattro salmi colle antifone ; dopo 
i quali si reciti la lezione, ìndi il rè- 
sponsorio, l'inno, il verso, il Cantico 
del Vangelo, la litania e l'orazione 
domenicale, e si finisce. 

La Compieta finalmente si termini 
colla recita di tre salmi. I quali salmi 
si dicano di sèguito e senza antifona. 
Poi vien l'Inno di quell'ora, la lezione 
unica, il verso, il Kyrie eleison, la 
benedzione., e si finisca. 

Con guai ordine si debbano dire 
i detti salmi. 

CAP. 18.^ 

In principio si dica il verso: Deus 
in adjutorium meum intende^ il Glo- 
ria^ e appresso l'Inno di ciascheduna 
ora. Poi a Prima della Domenica si 
dicano quattro parti del salmo cente- 
simo decimo ottavo. Nelle altre ore. 



DI S. BENEDETTO 53 

cioè a Terza, Sesta, e Nona, si dicano 
tre altre parti dello stesso salmo cen- 
tesimo decimo ottavo. A Prima della 
Feria seconda dicansi tre salmi, cioè, 
il primo, il secondo e il sesto ; e cosi 
ogni giorno, sino alla Domenica, di- 
cansi a Prima per ordine tre salmi, 
sino al decimonono ; in modo però che 
il nono e il decimosettimo si dividano 
in due Gloria; e questo è per inco- 
minciare sempre Tofficio di notte nella 
Domenica dal vigesimo salmo. A Ter- 
za poi, Sesta e Nona della Feria se- 
conda, si dicano le rimanenti nove 
parli del salmo centesimo decimo ot- 
tavo, tre per ciascun' ora. 

Espletato dunque il salmo cente- 
simo decimo ottavo in due giorni, cioè 
nella Domenica e nella-Feria seconda; 
nella Feria terza si recitino a tre a tre i 
nove salmi dal centesimo decimo nono 
al centesimo vigesimo settimo. 1 quali 
salmi si ripetano sempre ogni giorno 
sino alla Domenica nelle medesime 
ore, mantenendo ogni di una disposi- 



54 LA REGOLA 

zione uniforme circa gì' inni, le lezio- 
ni, e ì versi ; in modo che la Domenica 
si ricomìnci sempre dal centesimo 
decimo ottavo. 

Il Vespro poi si canti ogni giorno 
con la recitazione di quattro salmi. 
I quali s'incomincino dal centesimo 
nono, sino al centesimo quarantaset- 
tesimo; eccetto i salmi che sono presi 
per recitarsi nelle altre ore ; cioè dal 
centesimo decimo settimo sino al cen- 
tesimo vigesimo settimo, eccetto an- 
che il centesimo trigesimo terzo, e 
il centesimo quarantesimo secondo. 
Tutti gli altri si dicano a Vespro. 
E siccome mancano tre salmi, perciò 
si dividano i più lunghi tra essi; cioè 
il centesimo trigesimo ottavo, il cen- 
tesimo quadragesimo terzo, e il cen- 
tesimo quadragesimo quarto. Ma il 
centesimo decimo sesto, perchè è bre- 
ve, si unisca col centesimo decimo 
quinto. Esposto pertanto l'ordine dei 
salmi del vespro, nel resto, cioè le- 
zioni, responsorii, inni o cantici, si 



DI S. BENEDETTO 55 

faccia tutto come di sopra è detto. 
A Compieta finalmente si ripetano 
ogni giorno gli stessi salmi, cioè il 
quarto, il nonagesimo, e centotrente- 
simo terzo. 

Spiegato l'ordine della salmodia 
diurna, tutti i rimanenti salmi si di- 
stribuiscano egualmente per la veglia 
di sette notti, dividendo al solito quelli 
che fossero troppo lunghi: e cosi si 
assegnino dodici salmi per notte. 
Intorno a ciò particolarmente si av- 
verta, che se questa distribuzione di 
salmi non tornasse bene, si stabilisca 
altrimenti, se megtio sarà giudicato; 
purché in ogni modo si abbia riguardo 
a ciò, che in ogni settimana si reciti 
il Salterio di cento cinquanta salmi, e 
nell'officio di notte della Domenica si 
rincominci da capo. Perciocché troppo 
pigri si dimostrano al divino servizio 
quei monaci, che nel corso della set- 
timana recitano meno di tutto il Sal- 
terio, oltre i soliti cantici; quando 
leggiamo che i Santi Padri compie- 



56^ LA REGOLA 

rano in un giorno francamente quello 
che noi tiepidi (lo faccia il cielo) adem- 
piamo in una intiera settimana. 

Della disciplina del salmeggiare. 

GAP. 19.° 

Noi crediamo che Iddio è presente 
dapertutto, e che gli occhi del Signore 
ricercano in ogni luogo i buoni e i 
eattivi. Però senza verun dubbio si ha 
da credere che ciò sia massimamente, 
quando assistiamo all'officio divino. 
Perciò rammentiamoci sempre di quel 
del Profeta: Servite al Signore con 
timore. — E altrove: Salmeggiate 
sapientemente. — Ed anche; Io salmeg- 
gerò al cospetto degli Angeli. — Con- 
sideriamo pertanto, come ci convenga 
di stare alla presenza di Dio e dei suoi 
Angeli; e salmeggiamo in modo, che 
la nostra mente si accordi alla nostra 
voce. 



DI S. BENEDETTO 57 

Della riverenza nell'orazione. 

GAP. 20.« 

Se nel manifestare qualche cosa 
agli uomini potenti, non Tosiamo se 
non con umiltà e riverenza: quanto 
più nel supplicare il Signore Iddio 
dell'universo, bisognerà usare umiltà 
e purezza di devozione? e sappiamo 
bene, che non pel molto parlare, ma 
per la purità del cuore e la compun- 
zione del pianto noi siamo esauditi. 
Perciò l'orazione dev' essere pura e 
breve, se forse per effetto di divina 
ispirazione non si prolunghi. Ma l'ora- 
zione che si fa in comune, sia breve 
in ogni caso, e dato il segno dal supe* 
riore, tutti insieme si levino. 

Dei Decani del Monastero^ 

GAP. 21.'> 

Se la comunità è grande, si scelgano 
di essa alcuni fratelli di buon esempio 
e santa^viia, e si costituiscano Decani, 



58 LA REGOLA. 

per aver cura delle rispettive decanìe 
in tutto, secondo ì comandamenti di 
Dio e gli ordini dell'Abbate. Essi De- 
cani siano scelti tali, che sopra di loro 
possa sicuro l'Abbate appoggiare parte 
del suo peso. Né si devono scegliere 
per ordine, ma secondo il merito della 
buona vita e la cognizione della vera 
sapienza. 

Che se alcuno tra essi, per avven- 
tura gonfiato dalla superbia, sia tro- 
vato riprensibile; e ripreso una, due 
e tre volte non si emendi, sia dimesso; 
e nel posto di lui sia surrogato chi ne 
è degno. E il medesimo stabiliamo 
del Priore. 

Come debbano dormire i monaci, 

GAP. 22.« 

Ciascheduno dorma nel suo letto. 
Dispongano i Monaci i loro giacigli 
secondo il tempo della conversione, 
come TAbbate vuole. Se si può, tutti 
dormano in uno stesso luogo. C)ie se il 



DI S. BENEDETTO 59 

troppo numero noi consente, riposino 
a dieci o venti coi loro Deoani, che 
veglino sopra di essi. Nello stesso 
dormitorio arda il lume sempre sino 
al mattino. 

Dormano vestiti, e cinti ai lombi 
con cingoli o corde; e non abbiano, 
mentre dormono, le coltelle a fianco, 
onde per caso non si feriscano nel son- 
no. Così essi saranno sempre pronti ; 
e fatto il segno, levandosi senza in- 
dugio, si affrettino a gara di arrivar 
primi all'opera di Dio, ma con ogni 
gravità e modestia. I fratelli piìi gio- 
vani non abbiano i letti vicini l'uno 
airaltro, ma tra quelli de' più vecchi. 
Nel levarsi poi per andare all'opera 
di Dio, si eccitino vicendevolmente, 
ma con garbo, per non dare una scusa 
ai sonnolenti. 

Della scommunica per le colpe. 
GAP. 23.« 

Se qualche fratello sarà trovato pro- 
tervo, o disobbediente, o superbo, o 



60 LA REGOLA 

mormoratore, o contrario in alcuna 
cosa alla santa Regola^ e dispregia- 
tore de' comandamenti dei piU vecchi; 
costui, secondo il precetto del nostro 
Signore, sia ammonito una e due volte 
privatamente dai suoi Decani. Se non 
si emenderà, sia sgridato pubblica- 
mente alia presenza di tutti. Che se 
neanche cosi si correggerà, sia sotto- 
posto alla scommunica, se comprende 
la gravità della pena. Se poi è incor- 
regibile, sia punito con pene fcorporali. 

Qnale sia la pena della scommunica. 

GAP. 24.^ 

La pena della scommunica o della 
correzione deve commisurarsi alla 
gravezza della colpa; e il giudizio di 
ciò dipende dairarbitrio deirAbbate. 
Che se alcun fratello è trovato reo di 
colpe leggiere, non sia ammesso alla 
mensa comune. Or a colui che é pri- 
vato della mensa comune, sia questa 
legge, che non intoni salmo o antifona 



-? 



DI S. BENEDETTO 61 

neiroralorio, né reciti lezione, sino a 
che non abbia sodisfatto. Egli da solo 
prenda ristoro di crbo dopo la refe- 
zione dei fratelli: cosicché se, per 
esempio, i fratelli si ristorano all'ora 
sesta, esso il faccia a nona ; e se i fra* 
telli a nona, egli a respro ; fintantoché 
con una condegna sodisfazione non 
ottenga il perdono. 

Delle colpe più gravi. 

GAP. 25.^ 

Qael fratello poi, che si é fatto reo 
di più grave colpa, sia sospeso e dalla 
mensa e dall'oratorio : ninno dei fra- 
telli gli si avvicini o entri in discorso 
con lui. Stia in tutto solo al lavoro 
commessogli, perseverando in lutto di 
penitenza; memore di quel terribile 
detto delFApostolo : Uomo di tal fatta 
é come consegnato a Satanasso per la 
mortificazione della carne, onde lo 
spirito sia salvo nel di del Signore. -^ 
Solo anche prenda ristoro di cibo, in 






62 LA REGOLA • 

quella quantità e in quell'ora, che 
l'Abbate giudicherà competente. Né 
coloro che lo incontrano, lo benedi- 
cano; né il cibo che gli vien dato sia 
benedetto. 

Di coloro che senza il comandamento 

deW Abbate si uniscono agli 

scommunicati. 

GAP. 26.° 

Se qualche fratello presumerà, 
senza il comandamento dell'Abbate, 
di unirsi in qualsiasi modo a un con- 
fratello scommunicato, o parli con lui, 
gli dia una commissione, cada lui 
nella stessa pena di scommunica. 

Come debba essere sollecito l'Abbate 
cÌ7xa gli scommunicati, 

GAP. 27.° 

Gon ogni sollecitudine prenda cura 
l'Abbate dei fratelli delinquenti ; per- 
chè del medico non ha bisogno chi è 



DI S. BENEDETTO 63 

sano, ma chi è infermo. E perciò egli 
deve usar sempre come un bravo me- 
dico : spedire a lui, come secreti con- 
solatori, i pili saggi e vecchi fratelli, 
che quasi di soppiatto consolino il 
fratello vacillante, e lo conducano al- 
Tumiltà della sodisfazione. E lo con- 
fortino; affinchè non rimanga oppresso 
dal soverchio della tristezza. Ma, come 
dice r A postolo, sia accresciuta verso 
di lui la carità, e si preghi da tutti 
per lui ; perocché sommamente deve 
prendersi pensiero l'Abbate, e con 
ogni sagacità ed industria, delle pe- 
corelle a lui commesse, guardando 
che niuna se ne perda; dacché sa ben 
egli di aver tolto a curare le anime 
inferme, e non a tiranneggiare le sane. 
E tema la minaccia del profeta, per 
bocca del quale dice Dio: Voi vi pren- 
devate lutto ciò eh' era pingue, e git- 
tavate tutto ciò eh' era meschino. — 
Imiti l'esempio santo del buon pa- 
store; il quale, abbandonate le no- 
vantanove pecorelle sui monti, se ne 



1.-L'*-. 



04 Là regola. 

andò ÌQ traccia di quella sola eh* era 
smarrita: della coi miseria ebbe tanta 
compassione, che si- degnò mettersela 
sopra le sacre sue spalle, e così ri- 
portarla all'ovile. 

Di coloro che piìi mite corretti, non 
si saranno emendati, 

CAP. 28.° 

Se qualche fratello^ spesse Volte 
corretto per qualsivoglia delitto, ed 
anche scommunit;ato, non si sarÀ 
emendato, gli si applichi piìi aspra 
correzione; cioè si proceda contro di 
lui alla pena delle battiture. Che se 
neanche per tal modo si sarà conver- 
tito, ed anzi (che mai non avvenga 1) 
levatosi in superbia voglia anche di- 
fendere anche le sue azioni; allora 
l'Abbate operi da sapiente medico. 
Se porse lenitivi, unguenti di esorta- 
zioni, medicamenti di scritture divine, 
^ in ultimo il fuoco della scommunica 
o le ferite delle battiture, e già a 



M S. BENEDETTO 65 

niente vide tornare la sua industre ca- 
'rità; adoperi per lui anche, ciò eh' è 
maggior di ogni cosa, l'orazione sua e 
di tutti i Monaci; affinché il Signore, 
che è onnipotente, ridoni la salute 
air infermo fratello. Che se neppure 
per questo mezzo si sarà risanato, 
allora finalmente TAbbate usi il ferro 
del taglio, come dice l'Apostolo: Re- 
cidete da voi il maligno. — e Altrove: 
Se l'infedele ya via, se ne vada; af- 
finchè una pecora appestata non con- 
tamini tutta la greggia. 

Se debbano di nuovo riceverai 
i fratelli usciti di monastero, 

CAP. 29.'> 

Un fratello che per suoi vizii esce 
o è cacciato di monastero, se vorrà 
tornare, prometta in pria ia piena 
emenda da quei vizio, per cagion del 
quale si partì ; e cosi sia ricevuto nel- 
l'ultimo luogo, per provare con ciò 
l'umiltà di lui. Che se uscirà per la 



5 



66 LA REGOLA 

seconda volta, sino alla terza sìa rice-^ 
vuto. MO;^ sappia poi che gli sarà ne- 
gata ogni via di ritorno. 

Bel modo come si hanno a correggere 
% fanciulli. 

GAP. 30.O 

Ad ogni età ed intellingenza deve 
corrispondere una propria maniera di 
correzione. Perciò quante volte i fan- 
ciulli gli adolescenti, che non com- 
prendono la grave pena della scom- 
munica, cadono in mancamento, per 
risanarli, siano puniti o con lunghi di- 
giuni, raffrenati con aspre battiture. 

Del Cellerario del Monastero^ 
quale debba essere» 

GAP. 31.° 

Il Cellerario del monastero si scelga 
dalla comunità, savio, maturo di co- 
stumi, sobrio, non molto vorace, non 
prosonluoso, non turbolento, non in- 



DI S. BENEDETTO 67 

gì urlatore, non tardo, non prodigo; ma 
timorato di Dìo; il quale sia siccome 
un padre a tutta la comunità. Egli si 
prenda pensiero di tutto: senza il co- 
mando dell'Abbate non faccia mai 
nulla: mantenga quanto gli viene or- 
dinato; e non contristi i fratelli. 

Se qualche fratello chiede a lui 
alcuna cosa irragionevolmente, non 
però lo rampogni con disdegno; ma 
nieghi la cosa ragionatamente e con 
umiltà a chi male la chiede. Custodi- 
sca il Cellerario Tanima sua, memore 
sempre di quei precetto Apostolico: 
Che il buono amministratore si pro- 
caccia un gran merito. — Abbia cura 
con ogni sollecitudine degl'infermi, 
dei fanciulli, degli ospiti, dei poveri, 
sapendo che nel giorno del giudizio 
renderà conto di tutti costoro. Ri- 
guarcji tu}/ti ì vasi e le sostanze del 
monastero, come se fossero i vasi sacri 
deiraltare. Niuna cosa permetta che 
vada a male; non proceda da avaro, e 
non sia prodigo o dilapidatore della 



68 LA REGOLA 

sostanza del monastero; ma tatto 
faccia misuratamente e sotto gli or- 
dini deirAbbarte, 

Innanzi tutto abbia grande umiltà, 
e risponda dolcemente a colui al quale 
non ha che dare ; perocché sta scritto : 
Il parlare soave vale più di qualsivo- 
glia dono. — Tutte le cose che gli avrà 
commesse l'Abbate, egli le abbia in 
governo; e checché gli sarà proibito^ 
non ardisca di farlo. Somministri ai 
fratelli il cibo stabilito, senza parzia- 
lità e senza lyala grazia, per non dare 
occasione di peccato; ricord^ole della 
parola di Dio, che terribilmente mi- 
naccia a chi avrà scandalizzato uno di 
questi meschini: Meglio sarebbe se 
gli fosse sospesa al collo una macina 
da mulino, e fosse sprofondato in 
mare 1 — 

Se la comunità fosse grande, se gli 
diano degli ajuti ; dai quali sostenuto, 
egli equamente adempia l'officio com- 
messogli. Alle ore fissate diasi ciò che 
è da dare, e chiedasi ciò eh* è da 



DI S. BENEDETTO 69 

chiedere; onde iiiuno s^ìa, turbato o 
rattristato nella casa di Dio. 

Dei ferri e delle ròbe del Monastero, 

GAP 32.« 

L'Abbate provveda che alcuni fra- 
telli, della cui vita e dei costumi sia 
sicuro, prendano a custodire e racco- 
gliere, com' egli giudicherà utile, tutti 
i mobili del monastero; cioè ferri, 
robe altre cose che siano. Delle quali 
tutte, l'Abbate tenga un registro; 
affinché nel succedersi dei fratelli a 
vicenda in siffatta custodia, sappia ciò 
che dà, e ciò che riceve. Che se mai 
alcuno tratterà le robe del Monastero 
sconciamente o negligentemente, sia 
sottoposto alle pene regolari. 

Se debbano i monaci avere cosa 
alcuma di proprio, 

GAP. 33.° 

Sopra di ogni altro questo vizio sia 
estirpato sin dalle radici nel mona- 



70 LA REGOLA 

stero ; che niuno cioè ardisca né dare 
nò ricevere nulla senza il comando 
deir Abbate, né avere cosa alcuna di 
proprio, niente afiatto ; nò codice, nò 
tavolette, né stilo, nuUa in somma; 
come è giusto che non abbia siffatte 
cose chi non ha più balìa né della pro- 
pria volontà né del proprio corpo. 
Tutto quello però eh' è loro necessa- 
rio, debbono sperarlo dal Padre del 
monastero, senza mai ritenere nulla 
di ciò che l'Abbate non abbia dato o 
permesso. E tutte le cose siano comuni 
a tuiti, come sta scritto; e niuno dica 
o mai si creda che una cosa sia sua. 
Che se qualcuno fosse scoperto inchi- 
nare a questo pessimo vizio, venga 
ammonito una e due volte; e se non 
si sarà emendato, sia sottoposto alla 
correzione. 



,-i 



DI. S. BENEDETTO 71 



Che tutti debbano avere egualmente 
le cose necessarie* 

OÀP. 34.*> 

Sta scritto: Si distribuiva a cia- 
scuno secondo'^ il bisogno. Qui però 
non diciamo cbe si facciano particola- 
rità a persone (che Dio non voglia), 
ma che s'abbia riguardo alla debo- 
lezza. Laonde chi di meno abbisogna, 
renda a Dio grazia, e non si contristi. 
Chi poi di più abbisogna, si umilii 
della sua debolezza, e non insuper- 
bisca per la compassione che gli si 
usa: così tutte le membra saranno 
contente. 

Innazi a tutto, ni uno dimostri per 
qualsivoglia causa^ né in parole né in 
atti, il menomo che della maledetta 
mormorazione. Che se taluno sarà 
trovato reo di si gran male, sia sotto- 
posto alle pene più rigorose. 



k^ 



u. 



12 LA REGOLA 

Dei Setiimanarii di Cucina. 

GAP. 35.° 

I fratelli sì hanno da prestar ser- 
vizio Tun Taltro, in modo che ninno 
sia scusato dai serrizii della cucina, se 
non per malattia, o per essere occu- 
pati in cosa di più rilevante utilità : 
poiché, da ciò si ottiene maggior pro- 
fitto ed esercizio di carità. Ai deboli 
però, affinchè la fatica soverchia non 
li rattristi, si procaccino compagni, 
secondo il numero della comunità, e 
secondo la postura dei luogo. Se la 
comunità è grande, il Cellerario sia 
dispensato dal servizio di cucina; e 
cosi anche coloro che fossero occupati 
(come già dicemmo) in cose di piti 
rilevante utilità. Tutti gli altri si 
rendano servizio a vicenda, per amore 
della carità. 

Colui eh' esce di settimana, il sab- 
bato rimondi tutto. Lavi i panni coi 



m S. BENEDETTO 73 

qaali i fratelli si asciugano mani e 
piedi. E tanto lui che esce, quanto chi 
entra di settimana, lavino ì piedi a 
tutti. Riconsegnino al Cellerario i vasi 
del loro ufficio sani e mondi. E il Cel- 
lerario similmente li consegni a colui 
che entra, per conoscere quel che dà, 
e quel che riceve. 

I Settimanarii poi, un' ora prima 
della refezione, prendano un po' di 
vino e di pane, oltre lo stabilito; af- 
finchè all'ora della refezione possano 
servire ai loro fratelli senza mormo- 
razione grave fatica. Nei giorni so- 
lenni però aspettino sino alle fine 
della Messa. Gli Eddomadarii che en- 
trano ovvero escono di settimana, la 
Domenica, dopo l'Ufficio del mattino, 
s'inginocchino dinanzi a tutti, nell'O- 
ratorio, chiedendo che si preghi per 
loro. Quelli che escono di settimana 
dicano questo verso: Benedtctics es. 
Domine Deus^ qui adjuvisti me, et 
consolatus es me. — E detto che l'ab- 
biano tre volte, ricevano la benedi- 



JSi 



74 LA REGOLA 

zione. Venga appresso colui che entra, 
dica: Deus in adjutoHum meum 
intende ; Domine^ ad adjuvandum me 
festina, — E il medesimo tre volte si 
ripeta da tutti : e poi, ricevuta la be- 
nedizione, entri in ufficio. 

Dei fratelli infermi. 

GAP. 36.0 

Si dee aver cura degl infermi prima 
e sopra di ogni altra cosa, servendo 
ad essi, come se davvero si servisse a 
Cristo. Perciocché Egli disse: Fui in- 
fermo, e mi visitaste. — Ciò che fa- 
ceste ad uno di questi piccoli, a me lo 
avete fatto. — 

Ma gli stessi infermi considerino 
ancora, che si serve a loro per ri- 
guardo di Dio; e non rattristino con 
le loro indiscretezze i fratelli che li 
servono. I quali nondimeno si deb- 
bono comportare con pazienza, perché 
in tali casi si acquista più larga mer- 



DI S. BENEDETTO 75 

cede. Adunque l'Abbate abbia gran- 
dissima cura, onde gF infermi non 
patiscono per qualche negligenza. 

Ai fratelli infermi sia deputata una 
camera da ciò, e un servo timorato di 
Dio, diligente e pronto. L'uso dei ba* 
gni sia conceduto agl'infermi, ogni 
volta che convenga : ma ai sani, mas- 
simamente ai giovani, assai di rado 
si conceda. 11 mangiar carne però in 
ogni modo si permetta agi' infermi e 
ai molto indeboliti, affinchè ripiglino 
le forze. Appena poi si saranno rista- 
biliti, tutti, secondo il consueto, si 
astengano dalle carni. 

Eserciti infine l'Abbate somma vi- 
gilanza, affinché gì' infermi non siano 
negletti dai Oellerarii e dai servi : 
giacché a lui si ascrive ogni manca- 
mento dei discepoli. 



76 LA REGOLA 

Dei vecchi e dei fanciulli, 

GAP. 37.* 

Sebbene la stessa umana natura è 
da sé compassionevole verso queste 
età, dei vecchi, cioè, e dei fanciulli; 
pure anche Tautorità della Regola è 
utile che vi provveda. 

Abbiasi sempre mente alla loro de- 
bolezza, e per nessun modo si applichi 
ad essi la strettezza della Regola circa 
il cibo; ma si usi loro un riguardo di 
compassione, e non si stia alle ore 
stabilite. 

DelVeddomadario lettore. 

GAP. 38.« 

Alle mense dei fratelli, quando 
mangiamo, non mai dee mancare la 
lettura ; né uno, chiunque sia, pren- 
dasi cosi un codice, e ardisca di met- 
tersi a leggere: ma bensi cdui che 



DI S. BENEDETTO 77 

dovrà leggere tutta la settimana, entri 
al suo ufficio la Domenica. E nell'en- 
trare, dopo la Messa e la Comunione, 
chieda che tutti preghino per sé, 
affinchè Iddio tenga lungi da lui lo 
spirito di vanagloria. E dicasi neirO- 
ratorio da tutti tre volte, intonando 
lui, questo verso: Domine, lahia mea 
aperies; et os meum annuntiàbit lau- 
dem iìÀam; e cosi ricevuta la bene- 
dizione, entri in settimana per leg- 
gere. Si faccia a mensa un profondo 
silenzio, sicché non si ascolti nò bisbi- 
glio né voce di alcuno, se non di 
colui che ìei^^e, I fratelli però si pas- 
sino Tun l'altro a vicenda tutto ciò 
che è necessario per mangiare e per 
bere, onde ninno abbia bisogno di di- 
mandare cosa veruna. Se nondimeno 
vi sia necessità di chiedere qualche 
cosa, si faccia piuttosto con qualche 
segno convenuto, che con la voce. Nò 
ivi ninno ardisca ripetere alcun che 
della lettura, o dire altro, affinché si 
eviti l'occasione; eccetto che il Supe- 



78 LA REGOLA 

riore non volesse dire qualcosa bre- 
vemente a edificazione. 

Il fratello lettore ebdomadario però 
prenda, innanzi di leggere, un po' di 
vino annacquato, a cagion del digiuno 
fatto per la santa Comunione, affincbè 
non gli sia grave prò trarlo. Mangi poi 
con ì settimanarii di cucina e coi servi. 
Ma i fratelli non leggano secondo 
l'ordine di professione ; leggano bensì 
o cantino quelli che son atti a edifi- 
care chi ascolta. 

Della misura del cibo. 

GAP. 39.0 

Crediamo che due vivande cotte 
bastino alla refezione quotidiana in 
ogni dì, sì di Sesta come di Nona, e 
ciò per la diversità dei temperamenti: 
onde se per avventura alcuno non 
potesse mangiare dell'una, si ristori 
coll'altra. Adunque due vivande cotte 
bastino a tutti i fratelli. E se si potes- 
sero avere pomi o legumi, se ne ag- 



DI S. BENEDETTO 79 

giunga una terza. Una libbra pesata 
di pane basti ogni giorno a ciascuno, 
o che vi sia una sola refezione, o che 
due, cioè del pranzo e della cena. 
Quando si abbia a cenare, il Cellerario 
ritenga una terza parte di essa libbra 
di pane,per darla all'ora di cena. 

Che se per caso si fosse fatta più 
grande fatica del consueto, sarà in 
arbitrio e potestà dell'Abbate aggiun- 
gere qualche cosa, se sia espediente, 
purché sempre si scansi lo stravizio, 
e non mai il monaco sia preso da indi- 
gestione. Perciocché non vie cosa più 
contraria a ogni buon cristiano, che lo 
stravizio, siccome dice il nostro Signo- 
re : Guardate che non si aggravino i 
vostri sentimenti per lo stravizio. 

Ai fanciulli poi di minore età non 
diasi la stessa quantità, ma più pic- 
cola che agli adulti, conservando sem- 
pre la parsimonia. Dalle carni dei 
quadrupedi però tutti assolutamente 
si astengano, salvo solamente i deboli 
e gr infermi. 



80 LA REGOLA 

Della misura del bere. 

GAP. 40.*> 

Ognun ha un particolare dono di 
Dio, chi in un modo, chi in un altro. 
E perciò noi stabiliamo cosi minuzio- 
samente la misura del vitto a cia- 
scuno. Nulladimeno, riguardando la 
debolezza dei temperamenti, crediamo 
che una misura di vino al giorno 
basti a tutti. Quelli però cui Iddio 
dona la virtù dell'astenersi, sappiano 
che ne raccoglieranno particolar mer- 
cede. Che se la condizione del luogo 
o la fatica o il calore estivo richie- 
desse una quantità maggiore, resti in 
facoltà del Superiore ; avuto sempre 
riguardo che non si vada sino alla 
sazietà o all'ebbrezza ; giacché leggia- 
mo, ai monaci non convenire il vino. 

Ma poiché ai tempi nostri non si 
può fare osservare siffatta cosa; al- 
meno accordiamoci in questo, di non 



DI S. BENEDETTO 81 

bere mai sino alla sazietà, ma assai 
parcamente: poicchè il vino fa apo- 
statare anche i sapienti. 

Dove poi la natura del luogo fa si, 
che non si possa avere nemmeno la 
sopradetta misura, ma molto meno, 
ovvero niente affatto; coloro che si 
trovassero in tai luoghi, benedicano 
Iddio, e non escano in mormorazioni. 
E questo, prima di ogni altra cosa, 
raccomandiamo, che i fratelli vivano 
senza mai mormorare. 

A quali ore debbano refocillarsi 
i fratelli. 

CAP. 41. « 

Dalla Santa Pasqua sino alla Pen- 
tecoste, i fratelli si ristorino all'ora 
sesta, e cenino alla nona. Dalla Pen- 
tecoste poi per tutta Testate, se il la- 
voro dei campi o l'eccessivo calore 
non disturba i monaci, digiunino la 
quarta e sesta feria skio all'ora nona; 
negli altri giorni si desini all'ora 

6 



82 LA REGOLA 

sesta. E si mantenga sempre quest'ora 
sesta pel desinare, se avranno i mo- 
naci a faticare pei campi, o il calore 
estivo sìa soverchio: e sia lasciato alla 
prudenza dell'Abbate. Egli tutto mo- 
deri e disponga in modo che le anime 
dei fratelli battano la via della salute, 
e ciò che fanno, lo facciano senza la- 
mento. Dagl'idi di Settembre poi sino 
al principio di Quaresima, sempre si 
refocillino all'ora nona. Durante la 
Quaresima sino a Pasqua, si refocil- 
lino all'ora di Vespro. L'officio del 
Vespro però si dica a tale ora, che i 
monaci nel ristorarsi non abbiano 
bisogno di lucerne accese ; ma tutto 
si compia con la luce del dì. Simil- 
mente in ogni tempo l'ora del desi- 
nare e della cena sì moderi così, che 
il tutto sì faccia con la luce del giorno. 



DÌ S. BENEDETTO 83 

Che dopo Compieta ninno deve 
parlare. 

GAP. 42.« 

In ogni tempo i monaci devono 
guardare il silenzio, ma molto più 
nelle ore di notte. E perciò in ogni 
tempo, sia di digiuno, sia di doppio 
pasto, se avranno pranzato nella mat- 
tina, la sera, subito che si saranno 
alzati da cena, siedano tutti in uno 
stesso luogo, e uno legga le Colla- 
zioni yite dei Padri, o altro libro 
ch'edifichi gli ascoltanti: non però 
i sette libri storici o quelli dei Re. 
Perchè in quell'ora non sarebbe utile 
alle menti deboli udire quella Scrit- 
tura ; in altre ore però si leggano. Se 
poi fosse giorno di digiuno, detto il 
Vespro, dopo breve intervallo, vadano 
alla lezione delle Collazioni, come 
s' è detto; e leggansi quattro o cinque 
fogli, sin quanto basta che vengan 
tutti, intanto che dura Ja lezione ; e 



84 LA REGOLA 

ciò per il caso che fosse alcuno occu- 
pato nel lavoro commessogli. E cosi, 
ragunati tutti, dicano TofiScio di Com- 
pieta. Uscendo poi da compieta, a 
ninno più sia lecito parlare con chic- 
chessia. Che se si troverà alcuno pre- 
varicare contro questa regola di si- 
lenzio, sia sottoposto a gravi pene: 
salvo che sopravvenissero ospiti, o 
l'Abbate comandasse qualche cosa ad 
alcuno. Però anche in questo caso, 
tutto si faccia onestissimamente, con 
somma gravità e moderazione. 

Di coloro che giungono tardi 
air officio divino o alia mensa. 

CAP. 43.» 

All'ora del divino Officio, appena 
udito il segno, si corra con grande 
sollecitudine, lasciando tutte le cose 
che si avessero tra le mani ; ma con 
gravità, onde non si dia eccitamento 
alla ilarità. Nulla dunque mai si ante- 
ponga all'opera di Dio. Che se alcuno 



DI S. BENEDETTO 85 

arriverà all'ofRcio della notte dopo 
che si è detto il Gloria del salmo no- 
nagesimo quarto (che a questo oggetto 
vogliamo si reciti con pausa e lenta- 
mente), non pigli il suo posto in Coro, 
ma resti Tultimo di tutti, o in quel 
luogo che l'Abbate avrà destinato a 
simili negligenti separatamente; af- 
finchè sia da lui e da tutti veduto; 
e ciò, sino a che, compito l'officio di- 
vino, con questa pubblica soddisfa- 
zione mostri di pentirsi. Perciò infatti 
abbiamo deliberato che tali negligenti 
debbano stare nell'ultimo luogo o 
separati, onde cosi visti da tutti, come 
per loro stessa vergogna si emendino. 
Perocché se rimanessero fuori del- 
l'Oratorio, forse che taluno si ricori- 
cherebbe per dormire, ovvero più 
facilmente, seduto di fuori, attende- 
rebbe a ciance, dando così occasione 
al tentatore. Stia dunque dentro, per- 
chè non perda tutto, e si emendi per 
l'avvenire. 

Nelle ore diurne poi, chi giunge 



80 LA REGOLA 

airofficio divino dopo il verso e il 
Gloria del primo salmo, il quale salmo 
s' intona dopo il verso, stia nell'ultimo 
luogo, per quella legge che s* è detta; 
nò ardisca di accompagnarsi a quelli 
che salmeggiano in Coro, sino a che 
non ahbia dato soddisfazione ; se forse 
TAbbate non dia licenza col suo per- 
dono; intendendo però che pel reo 
questa sia la soddisfazione. 

All'ora della refezione anche, chi 
non arriva prima del verso, in modo 
che tutti insieme lo dicano e pre- 
ghino, e cosi tutti insieme si accostino 
alla mensa; quegli, dico, che per sua 
negligenza o vizio non sarà arrivato, 
ne sia ripreso sino alla seconda volta. 
Se poi non si emenderà, gli venga 
interdetto di partecipare alla mensa 
comune; ma, separato dal consorzio 
degli altri, si refocilli solo, toltagli la 
sua porzione di vino, sino a che non 
avrà soddisfatto e non si sarà emen- 
dato. Simile pena abbia colui che non 
sarà presente al verso, che si dice 
dopo il cibo. 



DI S. BENEDETTO 87 

E ninno ardisca prendere nulla di 
cibo o di bevanda prima o dopo del- 
l'ora stabilita. Ma se ad uno fosse of- 
ferto alcunché dal Superiore, e lo 
ricusasse, venendogliene desiderio in 
altra ora, non possa prendere né 
quello che prima aveva rifiutato né 
nuU'altro, sino a che non siasi emen- 
dato convenientemente. 

Del modo con cui gli scommunicati 
debbono soddisfare 

GAP. 44.^ 

Colui che per grave colpa viene 
scommunicato dall'Oratorio e dalla 
mensa, nel tempo che si celebrano i 
Divini Officii neirOratorio, giaccia 
prostrato davanti alla porta dell'Ora- 
torio, senza parlare; ma steso colla 
faccia per terra, stia curvato ai piedi 
di coloro ch'escono dairOratorio. E 
cosi faccia, sintanto che TAbbate non 
giudichi aver esso soddisfatto. E 
quando abbia avuto il cenno dell' Ab- 



88 LA REGOLA 

baie, vada a gittarsi ai piedi di essa 
Abbate, e poi a quelli di tutti i fra- 
telli, onde preghino per lui. Allora, 
se lo comandi l'Abbate, venga rice- 
vuto in coro nel posto che TAbbaie 
avrà decretato; ma però non ardisca 
d'intonare salmo o lezione o altro 
neirOratorio, senza un nuovo cenno 
dell'Abbate. E in tutte le ore, nel 
terminarsi Tofficio divino, si prosterni 
in terra nel luogo dove sta, e cosi 
soddisfaccia, sino a che l'Abbate di 
nuovo non gli comandi di cessare fi- 
nalmente da questa soddisfazione. 

Coloro poi che per colpe leggiere 
vengono scommunicati soltanto dalla 
mensa, soddisfacciano nell'Oratorio 
finché piacerà all'Abate ; e così pro- 
sieguano a fare, sino a che egli li 
benedica, e ordini che basti. 



DI S. BENEDETTO 89 

Di coloro che fallano 
neir Giratorio, 

GAP. 45.° 

Se alcuno, nell' intonare o salmo o 
responsorio o antifona o lezione, falla; 
se non si sarà ivi alla presenza di tutti 
umiliato per soddisfare , sia sotto- 
posto a maggior pena; come colui che 
non volle correggere con l'umiltà il 
peccato commesso per negligenza. 
Ma i fanciulli, per simiglianti colpo, 
siano battuti. 

Di coloro che fallano in altre cose. 

GAP. 46.0 

Se alcuno occupato in qualsivoglia 
lavoro, nella cucina, nella celleraria, 
nella dispensa, nel forno, nell'orto, in 
qualunque mestiere o in qualsiasi 
luogo, commette fallo, o rompe qual- 
cosa, o la perde, o cade in alcuno 



L 



90 LA RÈGOLA ^ 

anche lievissimo mancamento ; s' egli 
subito non va a soddisfare, svelando il 
suo fallo, innanzi airAbbate, o alla 
Comunità; conosciuto che sia ciò per 
altro modo, venga sottoposto a mag- 
giore ammenda. Che se il peccato 
dell'anima è secreto, lo manifesti solo 
all'Abbate o ai padri spirituali ; i quali 
sappiano curare le proprie ed altrui 
ferite, senza scoprirle e publicare. 

Come Vora dell'Opera di Dio 
dex> essere annunziata, 

CAP. 47.^ 

Sia a cura dell'Abbate annunziar 
lui l'ora dell'Opera di Dio e di giorno 
e di notte, ovvero commetterne il 
pensiero a un fratello così vigilante, 
che tutto sia adempiuto alle ore con- 
venienti. Quanto ai salmi e alle anti- 
fone, dopo dell'Abate le intonino co- 
loro che per ordine di lui saran chia- 
mati. Ninno poi ardisca di cantare o 
leggere, se non sia capace di compiere 



DI S. BENEDETTO 91 

un tale ufficio ; e ciò, perché restino 
edificati coloro che ascoltano. Il che 
si faccia con umiltà, gravità e trepi- 
danza, da colui cui TAbbate lo in- 
giungerà. 

Del lavoro giornaliero, 

GAP. 48.^ 

L'oziosità è la nemica deiranima. 
Onde in certi tempi hanilo i fratelli 
da occuparsi in lavori di mani, e in 
altri nella divina lettura. Perciò cre- 
diamo di ordinare cosi le une « le 
altre ^re: cioè, che dalla Pasqua sino 
al prinu) di Ottobre, uscendo la mat- 
tina da Prima, lavorino in quello eh' è 
di necessità, sin quasi all'ora quarta. 
Dall'ora quarta sin quasi a Sesta at- 
tendano alla lettura. Dopo Sesta, le- 
vandosi da mensa, si riposino nei loro 
letti in perfetto silenzio; o se per 
avventura qualcuno volesse leggere, 
legga ivi così, che nessuno ne sia di- 
sturbato. Si dica l'officio di Nona piìi 



92 , LA REGOLA 

presto, verso le ore due e mezzo; e 
poi di nuovo lavorino i fratelli in ciò 
che occorre sino al Ve^ro. Se poi la 
condizione o la povertà del monastero 
chiedesse che i monaci dovessero di 
per sé raccogliere le biade, non se ne 
lamentino: poiché allora son veri 
monaci, quando vivono col lavoro 
delle loro mani ; come fecero i nostri 
Padri e gli^postoli. Ma tutto si faccia 
moderatamente in riguardo di quelli 
che sono di piccolo cuore. 

Dal primo di Ottobre però sino al 
principio di Quaresi ma, attendano alla 
lettura sino alla seconda ora in punto. 
All'ora predetta dicano Terza, e poi 
sino a Nona tutti attendano al lavoro 
che vien loro ingiunto. Ma dato il 
primo segno di Nona, si spicchi cia- 
scuno dal suo lavoro, e stia pronto al 
battere del secondo segno. Dopo la 
refezione attendano o alle loro letture 
ai Salmi. 

Nella Quaresima, dal mattino sino 
a Terza in punto attendano alle loro 



DI S. BENEDETTO 93 

lettore ; e poscia sino alla decima ora 
sonata lavorino in ciò che è stato loro 
ordinato. Nei quali giorai di Quare- 
sima ognuno prenda un codice dalla 
Biblioteca, e lo legga tutto per intero 
da capo a fondo. Essi codici si distri- 
buiscano il primo giorno della Qua- 
resima. 

Sopra tutte queste cose siano de- 
stinati uno due Seniori, che vadano 
attorno pel monastero nelle ore in cui 
i fratelli attendono alla lezione; e 
veggano se mai vi fosse alcun fratello 
accidioso che se ne stesse in ozio, o 
fosse occupato in vane ciancio, anzi 
che accudire alla lettura ; e così non 
solo riuscisse inutile a sé, ma benan- 
che sobillatore degli altri. Se un di 
cotali (che mai non sia !) si trovasse, 
venga corretto una e due volte, e non 
emendandosi, sia sottoposto alle pene 
regolari ; e si fattamente, che gli altri 
n'abbiano timore. Né un fratello si 
unisca ad altro fratello in ore incom- 
petenti. Nella Domenica tutti atten- 



94 LA REGOLA. 

dano alla lettura, tranne quelli che 
sono destinati ai varii officii. E se 
vi fosse taluno tanto negligente ed 
ozioso, che non voglia o non possa 
meditare o leggere, gli si dia un la- 
l'oro a fare, onde noii^istia senza far 
nulla. Ai fratelli infermi o delicati 
s' imponga tale faccenda o lavoro, che 
fuggendo l'ozio non siano oppressi 
dalla soverchia fatica, e Tabhiano poi 
ad abborrire. Alla debolezza de* quali 
l'Abbate deve avere gran riguardo. 

Dell'osservanza dèlia Quaresima, 

GAP. 49.« 

Sebbene la vita del monaco in ogni 
tempo abbia da serbare l'osservanza 
quaresimale; pure, siccome pochi 
hanno questa virtU, così insinuiamo, 
che in questi giorni di Quaresima 
ciascuno custodisca la sua vita con 
ogni purezza; e similmente in questo 
panto tempo, ripari a tutte le negli- 
genze degli altri tempi. Il che allora 



DI S. BENEDETTO 95 

si fa degnamente, quando ci riteniamo 
da tutti i vizii, e diamo opera alFo- 
razione col pianto, alla lettura, alla 
compunzione del cuore e all'asti- 
nenza. Pertanto in questi giorni ag- 
giungiamo sopra di noi stessi qualche 
cosa all'usato peso della nostra ser- 
vitù: preghiere particolari, astinenza 
dal mangiare o dal bere: affinchè 
ciascuno offerisca a Dio, di propria 
volontà e con letizia di Spirito Santo, 
qualche cosa di più della misura a lui 
ingiunta. Tolga al suo corpo alcun 
che del cibo, della bevanda, del sonno, 
del parlare, del sollazzo, ed aspetti 
con gaudio di spirituale desiderio 
la Santa Pasqua. Quella stessa cosa 
però, che alcuno offerisce, la mani- 
festi all'Abbate, e si faccia col volere 
e coH'ajuto deirorazione di lui. Pe- 
rocché ciò che si fa senza il permesso 
del Padre spirituale, sarà imputato 
a vanagloria e a presunzione, non a 
mercede. Adunque tutto si faccia col 
beneplacito dell'Abbate. 



90 LA. REGOLA 



B€ fratelli che lavorano lungi 
dalV Oratorio o che sono in viaggio. 

GAP. 50.O 

I fratelli che sono occupati in la- 
vori lontani, e non possono accorrere 
ad ora giusta airOratorio, se l'Abbate 
sa che cosi è, recitino il divino Offlzio 
colà dove lavorano, piegando le gi- 
nocchia con tremore dinanzi a Dio. 
Così pure quelli che sono in viaggio, 
non lascino passare le ore stabilite; 
ma, come possono, adempiano il loro 
santo dovere, e non siano negligenti 
a rendere il tributo della loro servitù. 

De' fratelli che vanno non molto 
lungi. 

CAP. 51.° 

I fratelli che van fuori per qualche 
incombenza, e sperano di ritornare in 
quel giorno stesso al monastero, non 
ardiscano mangiar^ nulla fuori di 






I 

L 



DI S. BENEDETTO 97 

casa, ancora che ne fossero con grande 
istanza pregati da qualsiasi persona ; 
se non forse loro lo avesse comandato 
l'Abbate. Che se facciano altrimenti, 
siano scommunicati. 

Dell'Oratorio del monastero. 

GAP. 52.° 

L'Oratorio tal sìa, qaale è nomi- 
nato ; né quivi si faccia o pensi mai 
altra cosa veruna. Compiuto TOfflcio 
divino, tutti con sommo silenzio esca- 
no: e si usi rispetto alla casa di Dio, 
affinchè se un fratello vuole per av- 
ventura particolarmente fare orazione 
da sé, non sia impedito dall'altrui 
importunità. Ma se altri vuole per sé 
secretamente pregare, entri con sem- 
plicità di cuore, e preghi non a voce 
alta, ma con interna devozione e com- 
punzione. Epperò a chi non è per far 
questo, non gli si conceda di tratte- 
nersi nell'Oratorio compiuto l'officio 
divino, come si è detto; affinchè gli 
altri non vengano disturbati. 

7 



98 LA REGOLA 

Come si debbano ricevere gli Ospiti. 
CAP. 53.^ 

Tutti gli ospiti che arrivano, siano 
ricevuti come se fosse Cristo Signore; 
poiché egli dirà un giorno: Fui ospite, 
e voi mi riceveste. — Ed a tutti sia 
reso conveniente onore, ma molto più 
a quelli della nostra stessa Fede e ai 
pellegrini. 

Appena che dunque sarà stato an- 
nunziato un ospite, gli vadano incon- 
tro il superióre o i Fratelli con ogni 
espressione di carità; e primieramente 
preghino insieme, e così si accompa- 
gnino in pace con esso. Il qual saluto 
di pace non si dia, se non dopo l'ora- 
zione, per isfuggire le illusioni diabo- 
liche. Nello stesso saluto poi si mostri 
grande umiltà, sia neirarrivare sia nel 
partire ciaschedun' ospite. Col capo 
chino, con tutto il corpo prostrato in 
terra, si adori Cristo, il quale in per- 
sona di loro si riceve. Gli ospiti, cosi- 



DI S. BENEDETTO 99 

ricevuti, si conducono neirOratorio, e 
poscia sieda con essi il Superiore o chi 
sarà da lui destinato. Legigasi alla 
presenza dell' Ospite la santa Scrit- 
tura, per dargli edificazione; e quindi 
sia trattato con ogni umanità. U Su- 
periore rompa anche il digiuno per 
far compagnia all'ospite, salvo che 
non sia digiuno tanto speciale, da non 
potersi violare. I fratelli però osser- 
vino anche i digiuni di uso. L'Abbate 
dia l'acqua alle mani degli Ospiti; tutti 
poi, così l'Abbate come l' intiera Co- 
munità, lavino i piedi ad essi; e lavati 
che loro li abbiano, dicano questo ver- 
so: Suscepimus Deus mìsericordiam 
tuam in medio templi tui. — 

Principalmente si abbia grande e 
sollecita cura nel ricevere i poverelli 
e i pellegrini, perocché in essi massi- 
mamente si riceve Cristo. Infatti la 
potenza, nei ricchi, si procaccia onore 
da sé stessa. 

La cucina dell'Abbate e degli ospiti 
sia a parte; aflSnchè sopravvenendo in- 



I 



100 LA. REGOLA | 

certe tali ore gli ospiti, che non man- 
can mai nel monastero, essi non distur- 
bino i Fratelli. In questa cucina entri- 
no ad anno due fratelli, che siano al 
caso di adempiere un tale uffizio. Ad 
essi, secondo il bisogno, siano aggiunti 
compagni, perchè servano senza la- 
mentarsi. Air incontro, quando hanno 
piccola occupazione, escano, dove loro 
si comandi, al lavoro. 

E non solamente in questi, ma an- 
che in tutti gli altri impieghi del mo- 
nastero, si abbia questa considerazio- 
ne; che quando necessitano, siano ag- 
giunti compagni a chi fatica; e poi, i 
quando sono senza lavoro, facciano i 
lavori che son loro imposti. 

Similmente alla camera degli Ospiti 
sia assegnato un fratello, pieno V ani- 
ma del timore di Dio ; e vi siano letti 
convenientemente acconciati; e, còme 
nella casa di Dio, tutto sia sapiente- 
mente da persone sapienti ammini- 
strato. Ninno però, a cui non sia stato 
comandato, si accompagni o parli per 



DI S. BENEDETTO 101 

veruna guisa cogli Ospiti. Ma se s' im- 
battesse con loro oli vedesse, salutatili 
umilmente, come dicemmo, e chiesta 
loro la benedizione, passi oltre, di- 
cendo che a luì non è lecito parlare 
coirOspite. 

Se debba il monaco ricevere 
lettere o altro. 

GAP. 54.'» 

In verun modo sia lecito ai monaci 
ricevere o dare, senza il comando del 
loro Abbate, lettere, ricordi o qualsi- 
voglia donativo né dai proprii parenti, 
né da chicchesia, né darseli tra loro. 
Che se anche venisse loro diretta al- 
cuna cosa dai proprii genitori, non 
ardiscano di prenderla, senza averla 
prima mostrata all'Abbate. Che se 
questi comanderà che si accetti, resta 
tuttavia in suo potere di ordinare a 
chi si debba consegnare: e il fratello 
cui la cosa era diretta, non se ne rat- 



102 LA REGOLA 

tristi, per non dare occasione al de- 
monio. Chi poi allrimenti presumesse 
di fare, sia sottoposto alla pena re- 
golare. 

Delle vesti e delle calzature 
dei fratelli. 

GAP. 55.« 

Le vesti siano date ai fratelli secon" 
do la condizione dei luoghi dove abi- 
tano del clima; poiché nei paesi 
freddi ce n'è più di bisogno, e nei caldi 
meno. L'Abbate dunque abbia ciò 
alla mente. Quanto a noi, giudichiamo 
«he nei climi temperati bastino a ogni 
monaco la cocolla, che in inverno sìa 
pelosa ed in estate liscia o vecchia, la 
tonaca, e lo scapolare per il lavoro: ai 
piedi, scarpe e calze. Circa il colore o 
grossezza di tutte queste cose i mo- 
naci non si prendano pensiero, ma 
isian quali si trovano nel paese di loro 
dimora, o che costi meno. L'Abbate 
però provveda circa la misura, affin- 



i 



DI. S. BENEDETTO 163 

che le vesti non siano corte a chi deve 
usarne, ma aggiustate. Nel ricevere 
le vesti nuove, sempre subito resti- 
tuiscano le vecchie per riporsi come 
spoglie per i poveri. Imperciocché 
basta al monaco avere due tonache è 
due cocolle, per mutarsi la notte e 
poterle lavare. Ciò che fosse di più, 
come inutile va tolto- Anche le scarpe, 
o qualsivoglia cosa strutta, restitui- 
scano nel ricevere le nuove. Coloro 
che sono mandati in viaggio, pren- 
dano dalla stanza de* vestiarii le bra- 
che; e ritonati che siano, le restitui- 
scano lavate. Si abbiano altresì delle 
cocolle e delle tonache un poco mi- 
gliori di quelle che comunemente si 
usano; e le piglino dalla stanza dei 
vestiarii coloro ch'escono in viaggio, 
e tornando le restituiscano. 

Per i letti poi bastino il pagliericcio, 
la materassa, la coperta e il guanciale. 
E i letti siano spessi rovistato dall'Ab- 
bate, che non vi si trovi alcun che 
di particolare; e a chi si trovi cosa 



104 LA REGOLA 

che l'Abbate non abbia data, gli siano 
applicate le più gravi pene. E perchè 
questo vizio di proprietà sia estirpato 
sin dalla radice, l'Abbate dia a tutti 
quello eh' è necessario; cioè la cocolla, 
la tonaca, le scarpe, le calze, le bra- 
che, la coltella, lo stilo, Tago, la pez- 
zuola, le tavolette, per toglier di 
mezzo ogni scusa. L'Abbate però 
sempre consideri quella sentenza de- 
gli Atti degli Apostoli; cioè, che da- 
vasi a ciascuno ciò che gli occorreva.- 
E cosi dunque l'Abbate tenga di conto 
il bisogno dei deboli, e non il mal 
volere degl' invidiosi. E in tutti i suoi 
giudizii pensi alle retribuzioni di Dio. 

Della mensa delV Abbate, 

GAP. 56.0 

La mensa dell'Abbate sia ogni di 
cogli ospiti e coi pellegrini. Quan- 
do poi son pochi gli ospiti, sia in sua 
facoltà invitare quei fratelli che vuole. 



DI S. BENEDETTO 105 

Lasci però sempre uno o due seniori 
cogli altri fratelli per amore della 
disciplina. 

Degli artefici del Monastero. 
CAP 57.° 

Se vi sono nel monastero artefici, 
essi esercitino la loro arte con ogni 
umiltà, se l'Abbate vi acconsente. 
Che se alcuno di loro s' insuperbisse 
per la conoscenza della sua arte, per- 
chè gli sembra di dare qualche cosa 
al monastero, costui sia levato da 
quell'arte, e mai più non vi sia ri- 
messo; salvo che umiliatosi, l'Abbate 
non gliel comandi. 

Dovendosi poi vendere qualche la- 
voro degli artefici, si guardino coloro 
per le cui mani passerà la cosa, dal- 
l'adoperare la menoma frode. Si ri- 
cordino sempre di Anania e di Saffira, 
onde costoro e tutti quelli che froda- 
rono in qualche cosa il monastero 
non si procaccino la morte all'animar 
come quei ne furono colpiti nel corpo> 



106 LA REGOLA 

Cosi neirassegnare ì prezzi non si 
lascino trasportare dalla tentazione 
deiravarizia ; ma sempre si venda 
alquanto meno che dai secolari, affin- 
chè in ogni cosa sia glorificato Iddio. 

Della regola di ricevere i fratelli. 

GAP. 58.*» 

Venendo qualche persona nuova a 
convertirsi, non gli si conceda l'in- 
gresso tanto facilmente; ma, come 
dice l'Apostolo, si provino gli spiriti 
se vengono da Dio. — Adunque se 
colui che viene persisterà a picchiare, 
e, dopo quattro o cinque giorni mo- 
strerà di sopportare pazientemnate le 
iugiurie fattegli e le difficoltà di eu- 
trare, e starà saldo nella sua petizione, 
se gli conceda l'ingresso, e stia nel 
quartiere degli ospiti per pochi giorni. 
Di là passi al quartiere dei Noyizii, 
dove mediti, mangi, e dorma. E à lui 
sia destinato un seniore che sia adatto 



DI S. BENEDETTO 107 

a guadagnare le anime: il quale lo 
guardi con occhi scrutatori, e inve- 
stighi se veramente cerca Iddio, e se 
si mostra pronto all'opera di Dio, al- 
l'obbedienza, alle contumelie. Si an- 
nunzino a lui cose dure ed aspre; per 
le quali si va al Signore : e se avrà 
promesso di perseverare nella sua 
stabilità, dopo il giro di due mesi gli 
si legga questa Regola per intiero, e 
gli si dica; Ecco la legge sotto cui 
vuoi militare: se la puoi osservare, 
entra; ma se non puoi, libero ti 
parti. — Se tuttavia resterà, allora 
sia ricondotto nel sopradetto quar- 
tiere dei Novizii, e di nuovo sia pro- 
vato in ogni sofferenza. Dopo il giro 
di sei mesi gli sia riletta la Regola, 
perchè conosca a che egli si mette. 
E se ancora persiste, a capo di quattro 
mesi di nuovo gli sia riletta la stessa 
Regola. E se dopo aver seco delibe- 
Jito, prometterà di osservare tutto, e 
. legarsi a quanto gli verrà coman- 
ito, allora sia ricevuto in Comunità, 



i 



108 LA. REDOLA 

e sappia che egli è già sotto la legge 
della Regola, e non gli è piti lecito 
uscire dai monastero, né scuotere dal 
collo il giogo della regola, che in si 
lunga deliberazione poteva egli re- 
spingere abbracciare. 

Or colui che dev'essere ricevuto, 
prometta neirOratorio alla presenza 
di tutti la sua stabilità e la conver- 
sione de' suoi costumi e Tobbedienza, 
alla presenza di Dio e de' suoi Santi ; 
onde se mai diversamente operasse, 
sappia di cadere sotto la condanna dì 
Dio, che egli così sbeffa. Della qual 
sua promessa faccia petizione nel no- 
me dei Santi, le cui Reliquie ivi sono, 
e dell'Abbate presente. E scriva 
essa petizione di sua mano, o almeno, 
se è illetterato, altri a sua preghiera 
la scriva, ed ei vi faccia la croce ; e 
con le mani proprie la ponga sull'al- 
tare. Dopo che l'avrà posta colà, esso 
novizio incominci subito questo verso: 
Suscipe me, Domine^ secundum eh- 
quium inurrif et vivam; et non con- 



DI S. BENEDETTO 109 

fundas me ab expectatione mea, — 
E tutta la comunità ripeta questo 
verso tre volte, aggiungendovi il Glo- 
ria Patri. Allora il fratello novizio 
si prostri ai piedi di ciascuno, onde 
preghino per lui: e sin da quel giorno 
sia ricevuto nella Confunita. Se pos- 
siede qualche cosa, o prima la dispensi 
ai poveri, o facendone solenne dona- 
zione, la dia al monastero, niente 
riservandosi per sé ; come colui, che 
sa da quel giorno non aver potestà 
nemmeno sul proprio corpo. Subito 
dunque sia spogliato nell'Oratorio' 
delle sue robe, delle quali è vestito, 
e prenda Tabito monastico. Ma quelle 
vesti che gli son tolte, si ripongano 
nella stanza de' vestiarii, a conser- 
varsi ; onde se un giorno egli accon- 
sentisse al diavolo (che mai non av- 
venga I), e volesse uscire dal monaste- 
ro, sia spogliato dell'abito monastico, 
e venga espulso. Ma quella petizione, 
che l'Abbate avrà portata via di sopra 
l'Altare, non gii sia ridata; e si con- 
servi anzi in monastero. 



110 LA REGOLA 

Dei figli dei nobili o dei povetn 
che sono offerti, 

GAP. 59.^ 

Se per avventura alcuno de' Nobili 
offre un suo figlio a Dio nel monastero; 
se esso fanciullo e minorenne» i suoi 
genitori facciano la petizione detta di 
sopra, e involgano nella tovaglia del- 
l'altare insieme con l'oblazione la pe- 
tizione e la mano del fanciullo: e così 
l'offrano. Quanto alle sostanze, o pro- 
mettono nell'atto della petizione stes- 
sa, con giuramento, di non dargli giam- 
mai nulla né essi medesimi né per 
mezzo di altra persona o in alcun modo, 
e neanche porgergli destro di averne 
Ma, non volendo ciò fare, e piacendo 
loro offrire in elemosina al monastero 
qualche cosa come per mercede, fac- 
ciano donazione al monastero di quello 
che loro aggrada, riservandosene, se 
così vogliono, l'usufrutto, E ogni cosaf 



DI S. BENEDETTO 111 

sia cosi fermata, che non rimanga ve- 
runa idea in mente del fanciullo, per 
la quale ingannato^ che Dio non voglia, 
perda l'anima sua, come abbiamo per 
l'esperienza imparato. Facciano il so- 
migliante anche i più poveri. Quelli 
poi che assolutamente non hanno nien- 
te, facciano la sola petizione, e coll'o- 
blazione offeriscano il loro figlio alla 
presenza dei testimoni. 

Dei Sacerdoti che volessero abitare 
in monastero. 

GAP. 60.« 

Se alcuno dell'Ordine sacerdotale 
supplicherà di essere ricevuto in mo- 
nastero, neanche a lui si acconsenta 
tanto presto. Persistendo nulladimeno 
con ogni premura in essa supplica, se 
gli faccia noto, che dovrà osservare 
tutta la disciplina della Regola; né 
sarà per lui alleggerito il peso in ve- 
runa parte; affinchè sia per lui come sta 
scritto: Amico, perchè sei venuto? — 



112 LA REGOLA 

Gli venga concesso però di stare dopo 
r Abbate, e benedire e celebrare la mes- 
sa, se l'Abbate glielo comanderà. Al- 
trimenti, in nessuna guisa ardisca di 
far checchessia, sapendo ch'é soggetto 
alla disciplina regolare, e deve in tutto 
più degli altri dare esempio di umiltà. 
E se alcuno fosse nel monastero, o 
per celebrare i divini uffizi o per altra 
cagione, tenga quel luogo che gli si 
compete, secondo il tempo in cui ven- 
ne in monastero, non il posto che gli 
si concederebbe per riverenza al Sa- 
cerdozio. I Chierici poi, se alcun di 
loro per lo stesso desiderio volesse en- 
trare tra i monaci, siano collocati in 
posto mediocre; purché promettano 
l'osservanza della regola e la loro sta- 
bilità. 



I 



DÌ S. BENEDETTO 113 

Dei monaci pellegrini come si 
debbono ricevere, 

GAP. 61. <> 

Se sopravvenga qualche monaco 
pellegriao da lontano paese, e voglia 
abitare come ospite in monastero, 
adattandosi alle consuetudini del luo- 
go, e non turbando la comunità con le 
sue pretese, ma semplicemente con- 
tentandosi di quello che trova; sia ri- 
cevuto per quanto tempo brama. E se 
egli ragionevolmente e con umile <;a- 
rità trova da riprendere qualche cosa» 
ponderi bene T Abbate, se mai il Si- 
gnore glieravesse mandato a tal fine. 
Volendo però giurare la stabilità, non 
gli sia negato quel che chiede; sopra- 
tutto poi se nel tempo della sua ospi- 
talità si è potuto conoscere la sua vita. 
Che se nel tempo eh' ò stato ospite 
fosse stato trovato amante di supera 
fluita o vizioso, non solo non dovrà 
«ssere incorporato nel monastero, ma 

s 



114 tA RÉdÒLA 

anzi gli si dica in onesto modo^- c&e^ 
parta, onde non restino contaminati 
gli altri dalle sue miserie. Ma se non 
sarà meritevole dì essere scacciato, 
non solo sia ricevuto e aggregato alla 
Comunità, se lo chiede; ma si procuri 
altresì di persuaderlo a restare, perchè 
dal suo esempio vengano ammaestrati 
gli altri: perocché in qualsiasi luoge 
sì serve a uno stesso Bio, e si milita 
sotto lo stesso Re. Anzi sia lecito* al<- 
r Abbate di metterlo in un posto al"- 
quanto più elevato, se lo troverà de^ 
gno. Perocché l'Abbate può assegnare 
non solo al monaco, ma anche alle 
mentovate classi di sacerdoti e Cherici 
un posto più alto di quello del loro 
ingresso, c^i volta che vegga com- 
mendevoli i loro costumi. Si guardi 
però l'Abbate di ricevere mai ad abi- 
tare un monaco, che venga da altro 
monastero conosciuta, senza il con* 
senso le lettere commendatizie dei 
suo Abbate; giacché sta scritto:Non fare 
ad altri ciò che non vuoi sìa fatto a te» 



DI S. BENEDETTO 115 

Dei Sacerdoti del Monastero. 

GAP. 62.» 

Se qualche Abbate bramerà di fare 
ordinare an prete o un diacono, scelga 
tra i suoi chi sia degno di esercitare 
il Sacerdozio. Colui poi che sarà ordi- 
nato si guardi dall' arroganza e dalla 
superbia, né ardisca ingerirsi in nulla, 
se non in quello che gli è comandato 
dall'Abbate; e sappia, eh* egli deve 
essere molto più soggetto alla disci- 
plina regolare. Nò per causa del sacer- 
dozio si dimentichi dell* obbedienza 
alla Regola e della disciplinatezza; ma 
ogni di più profitti nella via del Signo- 
re. Egli poi tenga sempre il posto che 
ebbe nel tempo del suo ingresso in mo- 
nastero, salvo quando ministra all'al- 
tare; o che per elezione della Comu- 
nità e volere dell'Abbate si voglia 
promuoverlo in considerazione del 
merito della buona vita. Esso però 
sappia, che deve eseguire la Regola 



116 LA REGOLA 

prescritta dai Decani o dai Preposi ti. 
Che se diversamente avrà osato di 
fare, non. sia trattato come sacerdote, 
ma come ribelle; e se spesso ammonito 
non si sarà corretto, anche il Vescovo 
sia chiamato perchè vegga il tutto. 
E se neanche con questo mezzo si sarà 
emendato, venute in chiaro le di lui 
colpe, sia cacciato dal Monastero; se 
però sia tale la sua pertinacia che non 
voglia assoggettarsi ed obbedire alla 
Regola. 

DelV ordine della Comunità. 

GAP. 63.° 

Tutti 'serbino in monastero i loro 
posti, secondo che porta il tempo della 
conversione e il merito della vita, o 
quello che avrà deciso l'Abbate. Il 
quale però non conturbi il gregge a 
lui affidato, né quasi usando libera po- 
testà, disponga mai cosa alcuna ingiu- 
stamente; ma pensi ognora, che dovrà 
rendere ragione a Dio di tutU i suoi 



DI S. BENEDETTO 117 

giudìzii e delle opere sue. Adunque i 
Fratelli si accostino alla pace, alla co- 
munione, alla intonazione dei salmi, 
allo stallo del coro, secondo gli ordini 
loro, o secondo che avrà disposto l'Ab- 
bate. E sempre e in tutti i luoghi l'età 
non discerna e non progiudichi gli or- 
dini; poiché Samuele e Daniele, fan- 
ciulli, giudicarono i più vecchi. Per- 
tanto, tranne quelli che, come si disse, 
l'Abbate avrà nella sua sapienza in- 
nalzati a più alto posto, o degradati 
per qualche ragione, tutti gli altri 
prendano luogo secondo il tempo della 
conversione. Così, a cagione di esem- 
pio, chi sarà venuto in monastero alla 
seconda ora del giorno, si riconosca più 
giovane di colui che venne all'ora pri- 
ma, non ostante qualsiasi età o dignità. 
Su i fanciulli poi sia in tutto mante- 
nuta la disciplina da tutti. 

I più giovani adunque onorino i più 
anziani, e i più anziani vogliano bene 
ai più giovani. Anche nello stesso chia- 
mare a nome, a niuno sia permesso di 



118 LA REGOLA. 

chiamar Taltro pel semplice nome; 
ma i più anziani chiamino Fratelli ì 
piii giovani, e i più giovani chiamino 
Nonni i più anziani, il che significhi 
paterno rispetto. L'Ahhate poi, che è 
considerato far le veci di Cristo, sia 
chiamato Donno, e Ahhate, non per sua 
usurpazione, ma per onore e amore 
di Cristo. Egli quindi vi pensi, e tale 
si dimostri, quale uno che è degno di 
si grande onore. Dove che poi s'incon- 
trino i Fratelli, il più giovane chieda 
la benedizione al più anziano. Pas- 
sando un superiore, l'inferiore si levi, 
e gli dia luogo a sedere : né ardisca 
il più giovane di sedersi, se non glielo 
comandi il più anziano, per adempiere 
quello che sta scritto : Si prevengano 
in onore a vicenda. — I fanciufietti 
o garzonelli prendano regolamente i 
loro posti aU'Oratorio e alle mense ; 
fuor di questi luoghi o dovechessia, 
stiano sotto la custodia e la disciplina, 
ìnsino a che non siano pervenuti al* 
l'età della discrezione. 



m 8. BENEDÉTTO 119 

Dell'elezione deW Abbate, 

GAP- «4.« 

Neirelezìone dell'Abbate si abbia 
eempre qaesto di mira» che sia stabi- 
lito colui, che tutta la Comunità, 
scendo il timore di Dio, ovvero una 
parte di essa, ancorché piccola, ma 
con più savio consiglio, avrà scelto. 
Quegli che deve essere eletto, sia 
eletto per merito di vita e dottrina di 
sapienza, sebbene fosse l'ultimo nel- 
r^rdifle della Coimunità. Che se anche 
tutti della Comunità, di comune ac- 
cordo, avessero scelto una persona 
connivente ai loro viziì (che ciò mai 
avvenga!), e detti vizii fossero giunti 
in qualche modo a notizia del Vescovo 
nella cui Diocesi trovasi il luogo, o 
di Abbati o di buoni cristiani vicini, 
impediscano che trionfi il consenso 
dei malvagi, e stabiliscano essi un 
degno ministro della casa di Dio; ri- 
lùcordandoysii eh' essi ne ricev^anna 



120 LA REeaLA 

buona mercede, se ciò faranno incora 
rottamente e per zelo del Signore; 
come per lo contrario peccherebbero» 
se nulla facessero. 

L'Abbate eletto pensi poi sempre 
qual carico egli tolse a portare, e a 
ehi deve rendere ragione della sua 
amministrazione ; e sappia ehe a lui 
spetta piuttosto di giovare che domi- 
nare. Gonvien dunque eh' egli sia ad- 
dottrinato nella legge divina, affinchè 
sappia onde profferisca le cose della 
legge nuova e antica. E sia casto, 
sobrio, misericordioso, umile, e sem- 
pre metta innanzi la misericordia alla 
giustizia, per ottenere anche per sé 
il somigliate. Odii i vizii, ami i fra- 
telli. Anche nella stessa correzione si 
governi prudentemente, e in ninna 
cosa non ecceda; affinch^è per voler 
troppo radere la ruggine, non si rom- 
pa il vaso. E stia sempre guardingo 
sulla sua propria debolezza» e si ri- 
cordi che la canna fessa non si deve 
sj^ezzare. Con questo non diciamo giéi, 



DI S. BENEDETTO 121 

che permetta si alimentino i vizii, ma 
li tronchi con prudenza e carità, come 
meglio vedrà convenire a ciascuno^ 
secondo quello che già innanzi fu 
detto ; e si studii piti di essere amato, 
che temuto. Egli non sia turbolento e 
impaziente; non troppo esigente e 
caparbio; non sia geloso e troppo 
sospettoso, perocché non avrebbe mai 
pace. Nei suoi stessi comandi sìa pre- 
vidente e misurato o che si tratti deMe 
cose di Dio o del mondo. Le cose 
eh' egli ingiunge, le discerna e le mo- 
deri, ripensando alla diserezione del 
santo Giacobbe, che diceva: Se io farò 
troppo affaticare nel cammino le mie 
greggi, moriranno tutte in un gior- 
no. — Prendendo pertanto questi ed 
altri esempi di ogni virtù, temperi 
tutto così, che i vigorosi credano di 
poter fare anche dippìù, e i deboli non 
si traggano indietro. E sopra tutto 
osservi in ogni cosa la presente Re- 
gola: affinchè dopo che avrà bene 
amministrato i accolti dal Signore 



122 LA. REGOLA. 

quello che fa detto al servo buono, il 
quale dispensò a suo tempo il grano 
ai suoi compagni : Io vi dico in verità,, 
egli sarà costituito airamministra- 
2Ìone di tutti i beni del padrone. 

Del Preposito del Monastero. 

GAP. 65.* 

Spesso pur troppo avviene, che per 
l'elezione del Preposito, sorgano gravi 
scandali nei monasteri; perocché vi 
sono di essi, che, gonfiati dal cattivo 
spirito della superbia, si stimano di 
«ssere altrettanti Abbati, si arrogano 
un potere tirannico, fomentano .scan- 
dali, suscitano discordie nella comu- 
nità; e massimamente in quei luoghi, 
dove il Preposito viene scelto dallo 
stesso Sacerdote o dagli stessi Abbati 
ohe eleggono l'Abbate. Ciò facilmente 
si vede quanto sia strano ; giacchò gli 
si dà <sagione d' insuperbire sin dal 
principio dell'elezione, persuadendosi 
di Buo capo eh' egli sia sciolto dalla 



DI S. BENEDETTO 123 

soggezione del suo Abbate, perchè fu 
eletto da quelli stessi che eledone 
TAbbate. Indi le invìdie, le querì- 
monie, le detrazioni, le gelosie, le 
dìssenzionì e i disordini* E cosi nel- 
l'atto che r Abbate e il Proposito pen« 
sano diversamente, lion si può evitare 
che in tale discordia pericolino anche 
le loro anime. E mentre che quelli 
che son sotto di loro parteggiano per 
Funo o per Taltro, se ne vanno alla 
rovina. Or la colpa di sì gran danno 
si ascrive principalmente a coloro che 
furono i promotori di sì fatte elezioni. 
Perciò noi giudichiamo spediente 
alla conservazione della pace e della 
carità, che sia nell' arbitrio dell' Ab- 
bate l'ordinamento del suo monastero; 
e, se può farsi, come fu già stabilito, 
si tratti con i Decani quello ch'è utile 
al monastero, secondo che piacerà al- 
l' Abbate; affinchè commessa la cosa 
a più persone, uno non monti in su- 
perbia. Che se o il luogo lo richiede 
o la Comunità umilmente lo domandi 



124 LA BUGOLA 

con ragione, e l' Abbate Io trovi con- 
veniente, quello ponga per Proposito 
eh' egli avrà scelto col consiglio dei 
fratelli timorati di Dio. Il quale Pre- 
posito poi faccia con ogni soggezione 
quello che gli sarà comandato dal suo 
Abbate: e nulla mai faccia contro il 
volere e il cenno di esso Abbate; pe- 
rocché quanto più egli è posto al di 
sopra gli altri, tanto piU conviene che 
sia sollecito nelF osservare i precetti 
della regola. Che se il Proposito sarà 
trovato vizioso, o ingannato dai fumi 
della superbia, o conosciuto dispre- 
giatore della santa Regola, sia ripreso 
con parole sino alla quarta volta, e 
non emendandosi, sia corretto secondo 
la disciplina regolare. E se neanche 
per questo si emenderà, allora sìa 
tolto dal posto della preposìtura, e nel 
suo luogo sia chiamato un altro che ne 
sia degno. Dopo di che, se non sarà 
quieto e obediente in Comunità, si 
espella persino dal Monastero. Pensi 
però r Abbate, eh' egli dovrà a Dio 



DI S. BENEDETTO 125 

rendere ragione di tutti i suoigiudizii: 
affinchè non forse la fiamma dell' in- 
vidia e della contesa gli abbruci Ta- 
nima 

Dei Portinai del Monastero, 

GAP. mp 

Alla porta del Monastero sia posto 
un vecchio saggio, che sappia ricevere 
e riferire le ambasciate; e la maturità 
degli anni gì' impedisca di andar va- 
gando. Esso Portinaio deve avere una 
cella presso la porta; onde chi viene, 
troTi sempre chi gli risponda. E su- 
bito che alcuno avrà picchiato, o qual- 
che povero avrà chiamato, risponda, o 
benedica al Signore; e poscia solleci- 
tamente con ogni fervore di carità, e 
con ogni mansuetudine di timore di 
Dio gli risponda. Il qual portinaio, se 
ha necessità di aiuto, abbia quello di 
un fratello piti giovane. 

Il Monastero poi, per quanto si può, 
dev* essere costruito in modo, che ab- 



LA asaoLA 

tQtt« le cose necessarie, come 
DB, il tQuIino, l'orto, il forno e le 
■se arti, affinchè tutto si faccia 
X) del monastero; e cosi non ab- 
> necessità i monaci di andar va- 
di fuori, perchè questo noa ò 
utile alle anime loro, 
questo articolo di Regola Tc^lia- 
he sia letto spesso in Comunità, 
là niuno dei fratelli possa scn- 
, allegandone ignoranza. 

Fratelli che vanno in viaggio. 

GAP. 67.0 

•stelli che hanno da mettersi in 
pò, si raccomandino all' orazione 
Iti gli altri Fratelli o dell'Abbate; 
ipre, nell'ultima orazione dell'of- 
divino, si faccia memoria dì tutti 
jsenti. Ritornati poi dal viaggio, 
:elli nello stesso giorno dell' ar- 
in tutte le ore canoniche, alla 
dell' ofiìcio divino, prostrati in 
. nell' Oratorio, implorino pre- 



DI S. BENEDETTO 12? 

ghiere da tutti per le mancanze com- 
messe, se mai del viaggio 1* aver ve- 
duta o udita cosa turpe o il parlare 
ozioso avesse loro tolto dello spirito 
religioso. 

Nò alcuno ardisca riferire agli altri 
qual«asi cosa abbia veduta o ascoltata 
fuori del monastero ; perchè ne ven- 
gono gravissimi mali. Che se taluno 
abbia ardito di farlo, sia sottoposto 
alle pene della Regola. Similmente 
per chi avrà ardito uscire dal chiostro 
del monastero, o recarsi dovecchessia, 
o fare il menomo che senza comanda- 
mento dell'Abbate. 

Se a un Fratello sian comandate 
cose impossibili, 

GAP. 68.0 

Se venga ingiunta a un Fratello 
cosa per avventura grave o impossi- 
bile, accolga in ogni modo il comando 
con ogni mansuetudine e soggezione* 
Ma vedendo che la gravità del peso 



128 LA REGOLA, 

supera del tutto la misura delle sue 
forze, pazientemente a a tempo oppor- 
tuno, senza superbia o renitenza o 
contrasto, esponga al superiore le ra^ 
gioni della impossibilità. Che se dopo 
tale spiegazione il comandamento del 
Superiore sarà mantenuto tal quale ; 
sappia r inferiore che cosi gli è spe- 
diente, e per riguardo di carità, con- 
fidando nell'ajuto di Dio, obbedisca. 

Che in Monastero nessuno ardisca 
difendere un altro. 

GAP. 69.« 

Si guardi bene, che in nessun caso 
un monaco ardisca difendere un altro 
monaco nel monastero, o mostrar di 
proteggerlo, fossero pur essi parenti 
in qualsivoglia grado. E ciò in yerun 
anodo ardiscano di fare i Monaci : 
perchè ne può quindi sorgere gravis- 
sima oocasioae di scandali. Che se 
qualcuno avrà trasgredita questa re- 
gola, sia punito assai sevei^jnente. 



DI. d. SHMBDBTtO 12^ 

tJhenmno of^ékea percuoiete aìéruL 

A(i evìtATft Ufi ssKMiAatarQ og^i oc- 
c^smcì di arrogaoca» alabiliamo» chei 
a xawQi 9m kfi^ di soomEfittxuQai?* o 
lt8itt<Nr^ q(i«}e «ha sia dai spoi FraieUr, 
scatto «0Ìi« dia aa ^Jba il pfsjwria 
44U'AUiat^ I traa^eaeori pai siano 
fimpirayemlt a^ piFasenza di tiitU, 
oskda 9& aUri Aa praa^aoa Hanont 
I l^naiidti par^ mo al dÉeeima mainilo 
attn^ siano so^to la dtHg^&ta diaafc 
felina a la gaardia dfi totjbi; aaa 4ttaaÉD 
pur OQa ip».ada e. nusoia. Quanita yc» 
a ^fiaUi di maggtoi? eti^, sa alawo^ 
«enza il comandamajìiiio daH'AJibaÌ^> 
«à jeiapald^ t^ppo canteo di, io» o 
«coBj^Qk gii stassi gioi^aoiaiti» ita ìdIId* 
paafco sJle peiM della Reg^i; p^rohè 
istoi siatit jU) : No» &ra altrilì ciò dhMi 
ma TUQÌ sia &tto a te. 



130 LA. regoli: 

Che i fratelli debbano obbedirsi 
Vun Valtro. 

GAP. 71.0 

Il bene deirobbedienza non solo è 
da prestarsi air Abbate, ma anche i 
Fratelli si prestino eguale obbedienza 
tra di loro; eerti, che per questa 
strada dell'obbedienza andranno a 
Dìo. Premesso dunque il comanda 
dell'Abbate e dei Prepositi da lui 
stabiliti (al qual comando non per- 
mettiamo che si antepongano i ce* 
mandi de' privati); quanta al rima- 
nente, tutti i più giovani obbediscana 
ai più anziani di loro, con ogni carità 
e premura. E trovandosi qualcuna 
litigioso, sia corretto. 

Se poi un Fratello, per cagione 
piccola che sia, vien punito dall'Ab- 
bate o da qualsivoglia suo Superiore, 
come? che fosse ; ovvero si accorgerà 
per poco che l'animo di un suo Supe- 
riore è adirato o anche leggermente 
commosso contro dì lui, subito senza 



DI S. BENEDETTO 131 

indugio, prostrato in terra innanzi ai 
piedi di lui vi giaccia in segno di ri- 
parazione, fintanto che con la benedi- 
zione sia sanata queiragitazione. Che 
se alcuno disprezzerà di farlo, sia 
sottoposto a pena corporale, o, se sarà 
ostinato a non &rlo, sia scacciato dal 
monastero. 

Del zelo btAono che debbono avere 
i Monaci, 

CkP. 72.0 

Siccome vi è un zelo cattivo di 
amarezza che separa da Dio, e con- 
duce air inferno; cosi vi ò un zelo 
buono, che separa dai vizii, e conduce 
a Dio ed alla vita eterna. Questo zelo 
pertanto esercitino i Monaci con fer- 
vorosissimo amore: facciano cioè tra 
loro a gara a chi più renda onore al- 
l' altro. Pazientissimamente si tolle- 
rino i difetti sia di corpo sia di carat- 
tere; a gara si rendano obbedienza 
tra sé: ni uno tenga dietro al suo 



i 



132 LA REGOLA 

proprio utile, ina piU 9 quello degli 
altri: si usìoq carità ài £ratelli in 
casto a.getto: tem&no ÌE(}clia: ^ini^p. il 
loro Abbate 4i sincero ed umile amore: 
niente giammai preferiscano Sk Cristo, 
il quale tutti ci cpiidi^(^ insieme a^Jlà 
vita eterna. 

EPILOGO 

Come in qttesta Regpla non ogni 
osservanza di giuatizia sia stabilita. 

GAP. 73.0 

Noi abbiado sci;*itto qu^^t^ I^^ola^ 
a^nchè osseryandola nei moBastérl, 
nqi dìnfiofitriamo di avere alquanto' di 
onestà ne' postumi, o come un avyii^- 
mìento di cpnvérsioi^e^ Ma per qì^\ si 
afirett^ alla, peirf^zione dèlia vita^ y^ 
sqn.0 \e dottf ii^é dei Santi ÌPàdri, ìs^ cui 
osservanza, conduce ruQmQ'a}la cimi^ 
del}a perfezione. Qua! n^ai pagìi\a/p 
qù^l parpU ìspd^ta^ del Vecchio e del 
!^ uovo Testamento, non éivattiss^^^ 



m 8. BBNBDSTTO 133 

norma della vita dell'uomo? O qual 
libro dei Santi Cattolici Padri non 
rìsuona questo, cioè che si vada al 
nostro Creatore per la via diritta? 
E le conferenze dei Padri, e le istitu- 
zioni e le Vite loro, e la stessa Regola 
del Santo Padre nostro Basilio, che 
altro éono, se non esempi e istrumenti 
di TÌrtù di monaci veramente buoni 
e obbedienti? A noi pigri e di vita 
rilasciata tali cose ci èinno arrossire 
di vergogna. Ma chiunque tu sii che 
aneli di andare alla patria celeste, 
questa minima Regola che ho scritta, 
mettiti con Taiuto di Cristo ad osser- 
varla. E poi a quelle pìU eccelse cime 
di dottrina e di virtù dette di sopra, 
con la protezione di Dio tu certamente 
perverrai. 



Hi SAN10 SACRIFIZIO 



DELLA MESSA 



E LA COMUNIOIJE 



[^ -. « «_ _» . 



LA MES9A 

£ 

LA GOMUj^IONR 
L 

ISTITUZiONS 
BELtA. S& EÙCARÌSTIA 

Era il giorno precedente alla sua 
morte, quando Gesù, €cke aveva amato 
i suoi che eran nel inondo^ volle dare 
ad essi un attestato non dubbio eh' Ei 
gli amò sino alla fine. » Perciò, dopo 
di aver celebrata coi suoi discepoli la 
Pasqua e mangiato l'Agnello pasquale, 
esercitò verso di loro la più grande 
umiltà, con abbassarsi a lavare ad essi 
i piedi. Postosi nuovamente a sedere 
sobentre q^uelli mangiavano, « GesU 



B LA OOkÙKOlNB 137 

piftie dèi patie, 'rendè le graxie^ la 
tpezzòi e io diede fóro, dicendo: Pren- 
dete e fhanffiate: queHo è il nii'» 
eorpb» tshè iarà dato per voi: fate 
questo in fnenioria di me, — SitHU- 
mente prese anche il eàltee, fiàita che 
fa la cenai renette le grazie-, è Msse 
loro : Bevete di ^^tésto tutti ^ impérot- 
che i^^to è il sangue nvio dèi nUaeo, 
tmàmentOy il quale sarà sparso per 
voi e per fnoltiy per la remismne dei 
peccati; e tutte te wHe che vài lo &è- 
retCj fette questo in memoria di me>- 
Questo ò l'adempimento dì quella 
promesBa ehe e^li avera ftitta, di- 
cendo : Io sono il pane tioo disceso dal 
céelo: chi mangia di quésto pane non 
iHorirdineternóffeii pane che io darò 
è lei mia carnet che darò per la vtYa 
del mondo. In verità^ iti verità vi dico^ 
gè voi non mangerete la carne del Fi- 
gHusolù deitefomOi e non berete il suo 
gangmt ^t^ avrete la vita in voi. Chi 
iMKi^già H mia carne e beve il mio 
ManguCi ha là vita eterna^ ed io la 



ÌS8 LA. MBSSA. 

risusciterò nelVultimo giorno* Impe- 
rocche la mia carne è veramente ciboy 
e il sangue mio veramente bevanda: e 
chi mangia la mia carne e beve il mio 
sanguey abita in me^ ed io in lui. > 

Le parole della promessa son chia- 
re; e tali pur sono le parole della isti- 
tuzione: Prendete e mangiate, questo 
è il mio corpo: prendete e bevete, 
questo è il mio sangue. — Non basta. 
Questo ò il mio corpo che sarà dato 
per voi: il mio corpo, rotto e spezzato 
per voi. Questx) è il mio sangue che 
sarà sparso ,per voi. Cesi questo è il 
corpo medesimo che «i^à pesto di 
colpii 4.raf^t0 di piaghe, confitto in 
croce, e dato in preda aUa morte: 
questo è il sangue medesimo che sta 
per essere sparso nel pretorio di Pi- 
lato e sul Calvario. — 

L'Eucaristia, siccome ò adempi- 
mento e commemorazione del passato, 
è ancora una figura ed una prepara- 
zione dell'avvenire. Tutti gli antichi 
Patriarchi e Profeti figuravano e an- 



E LA COMUNIONE 1^9 

nufiuayano GesU Crìsto; e Gesù Cristo 
nello stato d'umiliazione, in cui non 
si vede in Lui se non Tuomo, annunzia 
e prepara Io stato suo di gloria, nel 
quale lo vedremo tale quale Egli è. 
Così pure tutti^i sacrifizi e tutte le 
comunioni dell'antica legge, nella 
quale il popolo fedele partecipava 
delle carni della vittima, erano una 
figura e una profezia di quel sacri- 
fizio e di quella comunione, in cui 
Gesù Cristo a noi si dona sotto le 
specie e la forma del pane e del 
vino. Quel sacrifizio e quella comu- 
nione, in cui Egli a noi si dona sotto 
il velo del Sacramento, è un principio 
ed una preparazione di quella comu- 
nione eterna, in cui Egli si darà a noi 
senza velo. Ond' è che dopo aver con- 
secrato il calice. Gesù soggiunse: <kOr 
io vi dico, che non berò d*ora in poi 
di qtiesto frutto della vitCy sino a quel 
giorno che io lo berò nuow con voi 
nel regno del Padre mio. » — 
Aspettiamo dunque codesto eterno 



140 ILA MÉSSA 

be^nòh^tto, in ciii (Mk datò «Vèltttft^ 
ménte 11 ^ane dògli Angioli, é daremo 
Itìébtìati e rapiti della i^olutta del 
Signore, 6 dell» ineffiubili ddlf2i« del- 
ì'BiìAot iMó; ma ad ottener questo, 
procuriamo di ronderoené dtdgni con 
preparassi a partecipare di questo 
grande ed inisflìbile mister. 

It. 

ÙISLL' iBUGA'ttlS'TIàL tiAOCtVJtiOy 
DÈLHiJ^ SÀKTA MÉSSA. 

L*Eacatistiai come Sacrifizio, è una 
offerta che Oesii Cristo & di sé stesso 
sotto 1« specie del pane e del Tiào, 
airEtèrno suo Padre, per mez20 dei 
sacerdoti suol ministri. Quésto sacri*- 
fl^ è lo stesso che qneDo of^tto da 
Lui BuUa croce: esso ò anzi là conti* 
nuazione e IK rinnovasfoné del m^de* 
Simo. OreÈìk Cristo è dui noétri aJtìurt 
in istato di vìttima, nell^a^parenza di 
morte; perchè, se bène sia vìtò e 



E LA COMUNIONE 141 

glorio^io, yi i^pp^isQe coi^^ io^ppiplftto; 
m&atjre per le parafe della co^sk^q^s^ 
zipQe il svtp corpo apparìsic^ s^pfiLrs^ta 
dal ^ngua; e questa sep^aziopte 4elle 
speeie è nvi^ viva z^s^ppreaen^zìpae 
della mòrte violenta ch*]^U patiCosi» 
tanio sballa Croce qufinto sui aoftri al- 
tari, èia Diedesin[ia vUtipia e ^o^^t^^so 
eacjpifìca^tpre, e iion vi coirre altrisi di- 
vérsiù, c\f nel i^ódo. ^^I^'Crpjse ii;k- 
fatt\ Egli ik QÈfi da ié ^tesso^ i^entre 
s^ noi^t^i 9Jt4^i si ofire pel minv^terp 
<le' 8%c^r4pti^ |uila <Croc^ si o^pì in 
Aii^a maniera ^ngainpleaiai m.pi'^^^P 
ré&l^eT^ie e r^i^lmeiite sf^rg^^ftdp U 
«^o i^i^ue ; mentre «ui no^^t^i altjE^i 
«i offro in una maniera incruenta e 
n^&torip^a. Qi^esto saerifizio si ctiiaj^^ 
Messa., e si o^rispe per ii vivi e per i 
morti : pon si p^erisipp cbe\^ Dìo solo; 
m^ vi si 1» memoria de* San t^ per 
oi^o^^rlj^ p^. ringraziare Iddio dei 
fj^Tfo^ (iftMyrp l?iia, fatti, e p^r pregarli 
cfi^ upì^^^ajjo le; pregh3,ere l^rp ^e. 
nostre. 



142 LA MESSA 

Nel divino Sacrifizio della Messa 
adunque si contiene, e senza spargi- 
mento di sangue si sacrifica sui nostri 
altari, sotto le specie del pane e del 
vino, lo stesso Gesù Cristo, il quale 
sul Calvario offri se stesso con eftn' 
sìone di sangue all'eterno Padre sul^ 
l'altare della Croce, come vittima di 
espiazione per i peccati nostri e per 
i peccati di tutto il mondo. E sebbene 
il principale Sacerdote offerente nel 
Sacrifizio della Messa sia Gesù Cristo 
nostro Salvatore, nondimeno la Chiesa 
Cattolica, cioè tutti i fedeli cattolici, 
come suo corpo mistico, e in particolar 
modo i circostanti, i quali con fede e 
divozione, con timore e riverenza as- 
sistono alla Santa Messa, offeriscono 
ancor essi questo Sacrifizio per le 
mani del Sacerdote ministro di Cristo. 

Perciò ogni fedele che assiste alla 
Messa, affine di ottenere il frutto e 
gli effetti di essa, deve formare la 
propria intenzione di offerire anch'esso 
questo Sacrifizio pel ministero del 



E LÀ COMUNIONE 14^ 

Sacerdote, a ]ode e gloria dì Dio, ad 
ottenere la contrizione del cuore, il 
perdono de' peccati commessi, e la 
remissione della pena dovuta per essi 
alla diTina Giustizia; a rendimento 
di grazie per gì' innumerevoli benefizi 
di natura e di grazia ricevuti da Dio; 
per impetrare le sue misericordie, la 
sua grazia trionfatrice, e il soccorso 
nelle proprie miserie spirituali e tem- 
porali, pubbliche, e private : e final- 
mente in suffragio delle anime del 
Purgatorio. 

n Sacrifizio della Croce, rinnovata 
sui nostri altari, manda al Trono di 
Dio l'adorazione più degna e più ec^ 
celiente del divin culto, l'adorazione 
e l'omaggio più glorioso che possa 
$^ire dalla terra al cielo; perocché 
porta con sé nel cospetto dell'Onni- 
potente la riconoscenza e Pattestato 
Ìol0nne della sovranità sopnt tutte le 
creature rappresentate e annichilate 
in qualche modo dinanzi all' impero- 
eli Dio nella gran vittima che si è im- 



144 Là m^&A 

molata per tqitp il hiqaìo: e fl nuoto 
cptipo di oaor^ dì lodo « d'i^Qit»? 
e^qne, che ùf ^e^itire ì^ vittima ^^r 
ti$ua^ ofilertA ^1 P»dr^ vioQe xofi^' 
t^iiaent^ gli omaggi ^ 1q feloriQ ^# 
gili tributano tuttfi \^ 9cì\mA 0€u Sia^tj 
e 4egU aiig^ i^ oifii^o, « 4^ |^,«9t^ 
sulla terr^. 

Il sojÌq cantico 4«1 W?rtfizte fiwatìr 
rtico RVi* ringi^ajje, ^ r^i\K£^ i On- 
nipoj^ente nel w^f o i^ p^u ^§g¥io c)^ 

i benefìd e i doni che ha s^p^^i^ jì <À0 
dÀ cp^^iw«^o ^p^i^^iiopr^ i!^ Wl^- E 
80 t^tte le W^IUQ,^ g^nw«ÌQiU «i prp* 
tra^sejiro B^r dar gkirià, ^nore e a^o^i 
dì grazie a C^ì^ cÌ^ ^ vìy^dl^ ncùi 

8(^00^, i ^CiTO oa^tìci BOB potC^l^d 

es^ATe, gyati a Pio i^ i^o^ si ^tzps^^Q 
tra i pw^jfwni. ^1 gijan Sa/sri^, n,^ 
qujale igi onrei un OJoiea,q^, e si portjA 
a^ì, pi.^di d^ divi^^ Troi^ u^ viijtinJftf 
die 8pl% può spdi6fi94?Q pi^r tUttU i 49ì^i 
di Dip. 
Più> la vitti^)^ i;^9^ UQsUTaUo ch# 



E LA C(»ITrN10NE 145 

^b9 radorasìoiM e prasenfta l'azimie 
di grazia devtHa alla sevraaillà e alla 
beseficeiiza infinita di Dio, impetra eà 
cttiene ancoFa la ppopiziazione e il 
«perdono dei nosta^i peccati, mettendo 
darranti alfetemo Pack^e la morte vo- 
lontaria alla quale si è sottomesso fi 
«no diletto Figlinolo per riconciliare 
I peoeatcHi; o pinltoste, mettendogli 
d«»ranti il soo Figliuole medesimo, 
sottia i segni ài ifoella morte eolla 
qnaie 11 Panlre-è stato placato. Così il 
saerìfiziodftlFaltaFe^ propieiat^rio per 
i peccati e per le pene d^ fedeli vivi 
e iéfatìH, sencia -die siano assoluta* 
mente esolosi gl'ìnledeM, gli eretici e 
gli soismaiìoi:; ed è meritorio dì tutte 
l^frropiciassione e le grafie, non però 
#9me seOesli Crìsto acquistasse nuovi 
meriti nel sacrificio de^lFaltare (il te- 
soro iiifinite de* suoi mefriti è stato 
acquistate nel sacrificio d^l la' Croce); 
ma per la virtù che ha il Sacrificio 
incruento; essendo quello un solo e 
medesimo saciTxflzio. 

10 



Ì4Q LA MESSA 

Questa propiziazione peròé mediata 
e per impetrazione; e il Sacrifizio 
dicesi impetratone, mentre la remis-^ 
sione dei peccati con tutti gli altri 
beni si ottengono con la yirtti che il 
Sacrifizio ha nei meriti di Gesù Cristo, 
per impetrare le grazie di conver- 
sione o di santificazione ; le quali ci 
dispongono ad ottenere^ mediante la 
costruzione col sacramento della pe- 
nitenza, la remissione dei peccati, 
Tabolìzione delle pene a quelli dovute, 
ed anche un aumento di grazie. Nel 
modo stesso questo sacrifizio vale 
anche a conseguire i beni temporali, 
la sanità e guarigione del corpo, i 
frutti della terra, la pace dei nostri 
giorni, la liberazione dai mali, e l'ac- 
quisto dei beni leciti ed onesti, i quali 
subordinatamente ai beni spirituali si 
possono cristianamente domandare e 
conseguire soltanto pei meriti di Gesti 
Cristo. 

E vero che le orazioni, le limosino 
• tutte le opere di religione e di piet4 



E LÀ COMUNIONE 147 

cristiana hanno esse pure la virtù di 
impetrare ogni sorta di grazia ; ma i] 
sacrifizio ha questa virtù di per sé 
stesso e per la vittima offerta; mentre 
quelle non Thanno che dalle buone 
disposizioni dei fedeli che le prati- 
cano. Sebbene però bisogna al tempo 
stesso confessare che anche nel Sacri- 
fizio la virtù impetratoria e propizia- 
toria, infinita iu sé stessa, è limitata 
neirèffetto e nell'applicazione; mentre 
non dipende cosi dalla quantità del- 
Fobblazione, cite non si misuri molto 
apcora sulla disposizione di chi Toffre 
e di quello per cui si offre, o almeno 
sempre secondo il disegno e benepla- 
cito di Dio, che conosce i bisogni e le 
disposizioni di tutti: e questo deve far 
riflettere alla ricchezza inestimabile 
delle grazie che otterrebbe nella 
Santa Messa quegli che sapesse pro- 
porzionare in qualche modo con il 
fervore la quantità e qualità sempre 
limitata delPaffetto alla quantità e 
qualità essenzialmente infinita del- 
Tcfferta. 



14S LA MESSA 



ni. 

0SL MODO DI AB8ZSTBRK 
AL S. SACRIFICIO DELLA HB8SA 

Se è vero danque che in questo 
divino inìstero Gesù Cristo, ftittosl 
vìttima e sacerdote, rende a Dio quel 
^usto tributo di adorazione e di lode 
che gli ò dovuto, ed intercede in no- 
stro favore ; e offerendbsì in eaorifizio 
s* interpone fra la collera di TMo e i 
nostri peccati colla realtà della sua 
presenza in un mistero che rapppe- 
senta la sua morte ; se tanto grandi e 
innumerabili sono i benefizi ohe dalla 
oblazione di questo divino olocausto 
possiamo ricavare, non dovremmo 
mancare di assistervi, se ci Ibsse pos- 
sibile, ogni giorno; ma più special- 
mente in quelli consacrati al servizio 
di Dio noi dobbiamo assistervi con tale 
littenzione, rispetto e devozione, da 



B LA COMUNIONE 149 

render manifesta la nostra Fede In 
qaei mistero. E come se fossimo stati 
presenti sul Calvario, quando il nostro 
Salvatore s* immolò snlla Croce per 
noi, saremmo stati penetrati di dolore, 
di compunzione e di amore a si toc- 
cante spettacolo; cosi dai medesimi 
sentimenti dobbiamo essere penetrati 
ogni qual volta assistiamo a questo 
sacrosanto sacrifizio del corpo e dei 
Sangue di G-esù Cristo; sacrifizio che 
Cristo medesimo e con lui tutta la 
Chiesa offre a Dio per tutti 1 fedeli 
vìventi, e per quelli che penano nel 
purgatorio. 

Coloro però i quali si sono allonta- 
nati da Dio con peccare gravemente» 
debbon riflettere, che la Chiesa nostra 
madre ò sempre stata talmente per- 
suasa della santità di questo divino 
Sacrifizio, che allorquando ne' primi 
tempi fiorivano nel fervore i suoi figh\ 
non permetteva essa l'assistere alla 
celebrazione di sì grandi misteri a co- 
loro i quali erano caduti in qualche 



150 LA MESSA 

grave colpa; e i penitenti medesimi, 
durante il tempo della loro pubblica 
penitenza, non potevano trovarsi pre- 
senti, se non a quella parte delia 
Messa che chiamavasi la Messa de' Ca- 
tecumeni. La disciplina della Chiesa 
è presentemente mutata, e vuole che 
assistano alla celebrazione del Santo 
Sacrifizio coloro anche i cui peccati 
dovrebbero escluderli almeno per 
qualche tempo. Se mutata però è la 
disciplina, lo spirito della Chiesa cat- 
tolica, che è quello di Dio, è sempre 
lo stesso. Essa vuole adunque che i 
peccatori penitenti i quali assistono 
alla santa Messa, si ricordino che son 
trattati con molta indulgenza e carità; 
che le cose sante sono pei santi, e che 
se essi si trovano esternamente me- 
scolati nel numero de' veri discepoli 
di Gesù Cristo, se ne debbono però 
considerare ' segretamente separati ; 
e per conseguenza debbono portarvi 
quei sentimenti df umiltà e di contri- 
zione, che altra volta apparivano anche 



E LA. COBIVNIONÈ 161 

«il di faori per la segregazione del 
luogo e per la veste di penitenza. 

Sapposte tali verità, il peccatore 
penitente, prima di presentarsi al 
Sacrifizio della Messa, dovrà purifi- 
carsi avanti al Signore per mezzo del 
sacrifizio di un cuore contrito ed umi- 
liato: si laverà nelle sue lacrime, 
Tinnnzierà di tutto cuore al peccato, 
«d userà con un santo e salutare ti- 
more dell' indulgenza che ora la Chie- 
sa gli accorda, di assistere al sacrifizio 
del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo, 
l'alleanza del quale ei profanò col 
peccare. E rivestendo le disposizioni 
'del pubblicano evangelico, il quale, 
penetrato da' sentimenti di una sin- 
cera umiltà, stavasi nel fondo del 
Tempio, né cui'diva di alzar gli occhi 
dal cielo, e percuotendosi il petto, pro- 
rompeva in queste umili parole : Si- 
gnore, sii propizio a me peccatore. — 
E cosi il peccatore penitente, immerse 
nella considerazione salutare delle 
proprie miseriei dovrebbe starsi bob 



152 Li WSS8A 

taoto TÌWI20 All'Altare, «agli e«chi 
Tolti «Jla terra, in Cristiano raceo^U- 
meato, i8 p renderà dalia propria co- 
scienza, oeiae da ^n lihi^ bene 
adattato per sé,, la formoK dette s«i» 
preghiere. 

IV. 

SoAo nel sacrìfìrao della Messa moltìe^ 
preghiere, òblassieiìi e oerimoaie, le 
quali Girono aggiunte parte dagli 
Apostoli e parte dai loro Bueeessori, 
tante per la maggior solennità di 
questo sacrifizio, quanto per eeritare 
la nostra deToziene, e me^io spiegare 
il mistero ebe rs^presenta, cioè la 
passione e la morte di Oesù Cristo 

L'Altare con i suoi eraamenti e il 
Crocifisso sopra di esso, ci rlchiai)uuai> 
alla mente il Monte Calvario, e Cri^ 
ivi crocjfififio. Il sacerdote co- suol pa- 
ramenti raunreaeota Cristo legato. 



K LA COMUNIONE 153? 

nell'orto, e beffeggiato in vesti di 
derifoone alle corti dì Pilato e d» 
Erode : la separata eonseerazione del- 
l'ostia e del YiDO rappresenta il sqo 
Corpo uoeiso, e il suo Sangue sparso t 
il silenzio durante il Càncuie significa 
la sua Crocifissione, la quale fece 
stupire e ammutolì tutta la natura i 
la elevazione deirostia e -del calice- 
per esser vedati e adorati dal popolo, 
fappresenta la sua elevazione sulla 
Croce : le diverse croci che sì fanno- 
dal sacerdote, son segni della sua 
pasnone ; e la comunione ò rappresen- 
tazione del suo spirar sulla croce e 
della sua sepoltura. 

Una spiegazione poi più particolaro 
di tutte le parti della messa ò la se- 
guente. Il sacerdote, per prepararsi al 
sacrifizio, comincia la Messa con un 
BtÀmo dì lode a Dio, che egli recita 
alternativamente col ministro, il quale 
rappresenta il popolo circostante, e 
oensaerificante col sacerdote. A questo 
tien dietro il Confiteor o confession)& 



154 XA MESSA. 

dei peccati davanti a Dio e ai suoi 
Santi, imperocché il peccato offende 
Lui e tutta la corte celeste. Dopo 
avere così umilmente chiesto perdono 
delle nostre offese, il sacerdote ascen- 
de Taltare, lo bacia, ed implora in- 
43ieme ool popolo misericordia da Dio, 
dicendo in greco ed in latino Kyrie 
élmon, Christe eleiso» ripetuto nove 
volte, cioè tre al Padre, tre al Figlio, 
e tre allo Spirito Santo. Quindi, cogli 
Angioli che scesero dal cielo alla na- 
scita di Nostro Signore, dice il Gloria 
in excelsis; cioè, Sia gloria a Dio nei 
^ieli, e pace in terra agli uomini di 
buona volontà. 

Dopo questo cantico viene la pre- 
ghiera o -Colletta del giorno, nella 
quale il sacerdote prega per tutto il 
popolo. A questa si aggiunge la Le- 
zione Epistola, presa dagli scritti 
dei Profeti o degli Apostoli^ perchè la 
nostra istruzione comincia primiera- 
mente dalla loro dottrina. L'Epistola 
è seguita dal GradualOi che significa 



B LÀ COMUNIONE 155 

ì nostri progressi nella vita spirituale. 
Ad esso tien dietro Y Alleluia che 
esprime gioia spirituale, e il Tratto, 
che esprime spirituale dolore ; i quali 
affetti debbono essere ispirati dalla 
precedente Dottrina. Ma siccome Gesù 
Cristo è la yerità incarnata, dalla qua- 
le i profeti, gli apostoli, i sacerdoti ed i 
popoli sono istruiti nella yia di perfe- 
zione, perciò il sacerdote, venuto in 
mezzo all'altare, dove fa un'ammirabi- 
le preghiera per purificare il suo cuore 
6 le labbra, si muov« a leggere un 
passo del vangelo : e prima di comin- 
ciare la lettura, segna con la croce il 
libro, e poi sé stesso in fronte, sulla 
bocca e sul petto, perchè Gesù Cristo 
crocifisso é l'oggetto primario che ci 
è presentato dal vangelo, e ci avverte 
che noi dobbiamo portar la croce con 
Lui, per esser fatti degni di ascol- 
tarlo e di eseguirlo. Dopo recita il 
Credo nelle Feste del Salvatore, della 
SS. Vergine, degli Apostoli e dei 
Dottori della Chiesa, dai quali è stata 






156 LA SCASSA 

propagata questa Fede, perchè è in 
taU feste ohe lì popolo fedele, ripieno 
d^l medesimo spirito, deve rinnovare 
in faccia ai santi altari la professione 
d'una medesima fede, e Tadorazione 
di tìitti i nostri misteri. 

Tale è la preparatiiond al Sacrifizio, 
o, compera chiamata anticamente, la 
Messa de' Catecumeni, alla quale era 
loro permesso d*èsser presenti, prima 
che avessero ricevuto il Battesimo. 
Quando il fedele è cosi preparato, al* 
lora segue i'Of^rtorio, la Consacra^ 
zione, e la Comunione. 

L'Offertorio consiste nelle oblazioni 
che fa il Sacerdote a Dio, pregando 
che si degni accettarle in favore dei 
popolo, che a lui si unisce in quel*- 
Tofferta : e dopo Toblazione e la bene^- 
dieione dei doni» li Sacerdote si lava 
le mani, con che esprime il rispetto 
per i divini misteri che ò per toccare, 
e la purità interiore con la quale bi>- 
sogna acccostai*si al Santo dd saAti^ 
Recita egli un salmo coùvébienle ^ 



B LA COMUNIONE 157 

questa azione, e poi ritorna in memo 
all'altare, e dirige uoa preghiera alia 
SS.^ Trinità, in cui per tutti i Q)isteri 
della vita di Gesù Cristo domanda la 
grazia di pi^qftttare di un sì prezioso. 
Sacrifizio: e yoltandosi al popolQ, lo 
esorta a pregare, dicendo : Oraie^ fra^ 
tre^i ed unirai con lui a chiedere a 
Dio che accolga favoreyolmeote! le 
ch'erte presen^tegll; perché i doni 
offerti da loro per }a gloria del suo 
nonie, siano utili a ciascuno per la 
propria salute.. 

La ConciaeraziioQe h preceduta dal 
Prefazio^ nel quale il sacerdote esorta 
ij popolo ad innalzare il cuore di Bio, 
ed unirsi divotanKOìte agli Angeli in 
eieloj a lodare la diviniti^ di QesU 
Cristo insieme ed Padre e con lo Spi- 
rato Santo, dicendo tre volte Santo, 
SawtOf Santo; e per lodare altresì la 
^ua umanità ripetendo coi fEMioinlli 
det) tf^mpio: «Osanna al figlio di Da- 
vid: bemdstto colui ck^ ^m^ nel nome 
4el Signore,)^ — Dopii di. questo co* 



158 ' LA MESSA 

mincìa il Canone^ che in lingua grega 
significa Regola: e meritamente, per- 
chè è la regola e la forma delle pre- 
ghiere della Chiesa pel Sacrifizio. 
Qaesto è molto antico e pieno dei più 
grandi sentimenti di religione. In esso 
il Sacerdote fa commemorazione di 
quello per cui viene offerto questo 
Sacrifizio, e in particolare della Chie- 
sa Cattolica, del Sommo Pontefice, 
del Vescovo, e di tutti quelli che vi 
assistono con devozione. Ciò vien se- 
guito dalla commemorazione dei Santi, 
affinchè i loro meriti e la loro inter« 
cessione inducane Dio ad accordarci 
grazia ed aiuto: e il sacerdote termina 
la sua preghiera, implorando dal Si- 
gnore che il Sacrifizio il quale sta per 
offrire, impedisca la dannazione, e sia 
ad eterna salvezza di coloro per cui 
è offerto. Questa parte della Messa è 
detta a voce bassa, perchè destinata 
ad una preghiera più raccolta ed in- 
teriore. Il Sacerdote fa frequenti segni 
di croce e sopra sé stesso, e sopra 



K LA COlkrUNlOKB lÒ9 

ìe cose offerte: la qual cerimoQis 
YÌen messa in burla dagli eretici come 
superstizione 1 Ma dovrebbero ricor- 
darsi quanto era ordinario e frequente 
un tal segno nella più remota anti- 
chità; mentre è naturalissima cosa 
rappresentare frequentemente Gesù 
Cristo Crocifisso in un'azione che è il 
memoriale di sua dolorosa morte, e 
in cui Egli dà a noi sé stesso per rin- 
novare continuamente il suo sacrifizio. 
Ma eccoci al momento della consa- 
crazione. Quanto è giunto il sacerdote 
al punto di consacrare, di cangiare 
cioè il pane e il vino nel Corpo e San- 
gue di Gesù Cristo, egli cessa di par- 
lare da uomo. Rivestito della possanza 
di Gesù Cristo, ne prende le parole, e 
non è più lui che parla, ma Gesù Cri- 
sto stesso che parla per di lui bocca. 
Né possiamo dubitarne, basati sul pre- 
cetto formale di Cristo medesimo, il 
quale disse: fate questo; cioè la cosa 
che Egli fece. Dopo le parole della 
consacrazione non v' ha più né pane 



160 LÀ MBSSA 

né vino : Gesù Cristo tPOYaai tutto in- 
tiero sotto ambedue le speoie^ perchè 
sebbene la specie del pane eoQteiig«i 
e sigaij6iehi la sua carne, e la specie 
del vino il suo sangue, e queste due 
specie «eparate rappresentino la ae- 
parazicHie violenta che del suo sangue 
e ddUa csirne aua avYemie sul Calva- 
Vio^ pure sappiamo che GesU Cristo 
dopo la sua risiurresiene non può più 
morire, e che nelle statio suo gkorteeo 
ed impassibile, il m^ CcH'po ed ili suo 
Sangue non potcebbem essare pifr se- 
parati realmente. Cosi ehi riQe¥e una 
delle due specie, i^ioeve iurtto €bes& 
Cristo, il suo Corpo cioè, E «uo San* 
gue, ranima e la DlV'ÌBÌtà> 

Essendo cosi disceso ^esjti Cnjsto 
suj i nostri i^tarì, secondo la sua pro- 
messa, il sacerdote piegando a term 
il suo ginocchio lo adora, o pei lo eJera 
per mostrarlo in tal moAo al popolo, 
che pros»Lrato esso puxie lo adora. ladl 
tutte le YoUe che discuopre il oafioe 
.0 io rieuopre, ei ri|)ete in 



la LA COMtJNOlNB 161 

di Luì le sue genuAessìoni. Tenendo 
in sim mano Gesti, il sacerdote dopo 
la consacrazione si scusa per avere 
osato di compiere un'azione cosi ec* 
celsa, allegando la sua obbedienza ai 
xìomando di Cristo ; e prega che questo 
«acri^^o sia accolto di buon grado, 
XM>mei sacrifizi di Abele, di Abramo, e 
di Melchisedee, e possa essere di prò- 
£tto agli offerenti: non solamente a 
quelli che attualmente ne mangiano o 
'vi partecipano, ma ai defunti ancora. 
E in ultimo prega per sé stesso, afSn- 
^hè Iddio si degni accordare a Lui, 
quantunque peccatore, qualche parte 
fra gii apostoli, 4 martiri e gli altri 
«antì, mediante l'immensità della mi- 
sericordia, dicendo: Nobis quoque 
peccatoriòiùs ; cioè, uncheper noipec- 
-catorù 

In seguito, pieno di gioia il sacer- 
dote alla vista di questo mistero, leva 
ia sua voce, e fa insieme con tutto il 
popolo quella divina preghiera che 
imparammo da Gesù Cristo mede» 

u 



102 LA BfESSA 

8Ìmo: Pater noster quies in coeli^y 
preghiera alla quale nessun*altra me- 
rita di esser posta a confronto, e nella 
quale dobbiamo riporre tutta la nostra 
confidenza, se non vogliamo fare in- 
giuria a Gesù Cristo. Terminata que- 
sta orazione, il sacerdote prende la 
specie del pane e la spezza, per signi- 
ficare che il corpo di Gesù Cristo fu 
spezzato e immolato per noi ; quindi 
mette una particella dell'ostia nel 
calice, per farci intendere la riunione 
del corpo suo col suo sangue nella sua 
trionfale risurrezione. 

A questo punto si avvicina la co- 
munione; e siccome quelli che rice- 
vono questo sacramento debbono es- 
sere in pace con tutti, il sacerdote» 
arrestando gli occhi suoi sulla specie 
del pane, ripete alla vista di Gesù. 
Cristo^ percuotendosi il petto, le pa- 
ròle che c^sse S. Giovanni Battista, 
quando vide il Figlio di Dio : Agnus 
bei... — Agnello di Dio che togli i 
jpeccati delmondOy abbi misericordia 



E LA COMUNIONE 163 

di noi, dacci la tua 'pace, — Quindi, 
recitale tre fervorose preghiere per 
chiedere a Dio il frutto del Sacrifizio, 
prima di comunicarsi riconoscesi in- 
degno, e si percuote tre volte il pelto, 
ripetendo quelle toccanti parole del 
Centurione: Domine, non sum digntts. 
E dopo aver mangiato il pane celeste, 
beve il sangue prezioso. Dovrem noi 
stupire che Gesù Cristo abbia voluto 
essere nostro cibo per incorporarsi a 
noi ? Prese la nostra carne per santi- 
ficarla, e per divenire Egli stesso in 
noi principio di vita eterna. Abbas- 
sandosi ora sotto Tapparenza di un 
alimento sì familiare, non può nulla 
perdere di sua eterna maestà ; e con 
colpire cosi i nostri sensi per mezzo 
di questa esteriore umiliazione, eser- 
cita a un tempo la nostra fede, e 
risveglia la nostra tenerezza. Così, 
quantunque si umilii, non si avvilisce 
perciò ; tutto ò degno di Lui in questo 
sacramento, continuazione delle sue 
bontà infinite. 



164 LA MESSA 

La ComunìoDd é seguita da due 
abluzioni, la prima per faxsilitare il 
passaggio delle specie sacramentali, 
la seconda per raccogliere con rispetto 
le particelle e le goccio preziose che 
potrebbero restare nel calice. 

Fatta la comunione, si conclude il 
tutto con un rendimento di grazie a 
Dio, che il sacerdote compie per sé e 
per il popolo, come dopo Fultima cena 
fece lo stésso divino Maestro prima 
di andare all'orto degli olivi : ed av- 
vertendo i circostanti che la Messa è 
finita, termina con dare la sua benedi- 
zione ai medesimi, desiderando loro 
ogni bene dal cielo. 



PREGHIERE 

PER LA CONFESSIONE E LA. 
COMUNIONE 

Prima della Oonfessione. 

Oreatore del cielo e della terra, 
Re de' re, Signore dei signori, che 
m' hai fatto dal niente a tua immagine 
e somiglianza, e m* hai riscattato col 
tno proprio sangue; Te, che io non 
sono degno né di nominare nò d" in* 
Yocare e né pur di pensare, suppliche* 
vole ed umiliato io prego, affinchè 
riguardi benignamente a me tuo inu- 
tile servo ; ed abbi pietà di me, poi 
che fosti pietoso alla donna Cananea, 
a Maria di Maddalo, e perdonasti al 
Pubblicano, e al Ladrone pendente 
dalla croce. A te confesso, o Padre 
clementissimo, i peccati miei ; ì quali, 
se volessi altrui nasconderli, a te noa 



166 LA CONFESSIONE 

potrei, Signore. Perdona, ó Cristo, 
a me, che pur ora e gravemente t'of- 
fesi in pensieri, parole, opere e in 
tutti i modi ond'io fragile creta e 
peccatore ebbi agio d'offenderti ; — per 
mia colpa, per mia sola colpa, per mia 
grandissima colpa. Nondimeno, o Si- 
gnore, io ti prego per quelFamore che 
ti trasse di cielo in terra, che ti fé' be- 
nigno al pentito Davidde, che ti mos- 
se a pietà pel peccato di Pietro, di 
perdonare anche a me, o Signore, di 
perdonarmi, o Cristo. Tu sei il mio 
Creatore, il mio Redentore, il mio 
Signore, il mio Salvatore, il mio Re, 
il mio Dio : tu sei la mia speranza, la 
mia fiducia, il mio maestro, il mio 
soccorso, la mia consolazione, la mia 
forza, il mio difensore, il mio libera- 
tore, la mìa vita, la mia salute^ la mia 
risurrezione, il mio lume, il mio de- 
siderio, il mio aiuto, il mio protettore. 
Io supplichevole ti prego: soccorrimi, 
e sarò salvo ; reggimi, difendimi, con- 
fortami, consolami^ rafforzami, ralle* 



j 



-É LA COMUNIONE 167 

^ramì, illumina e visita l'anima mia 
in questa distretta. Io son morto ; ma 
tu risuscitami, perché sono tua fattura 
ed opera delle tue mani. signore, 
non mi discacciare da te; perchè io 
sono il tuo servo, benché malvagio e 
indegno e peccatore: però qual che io 
sia, o buono o malvaggio, son sempre 
tuo. A chi correrò io per ajuto, se non 
a te? Se tu mi ributti, chi più vorrà 
accogliermi ? Se tu rivolgi da me la 
feccia, chi altro mi guarderà? Ricevi 
dunque benignamente quest'indegno 
ohe ricorre a te, se ben sia cosi vile e 
sudicio di peccato. Perocché s'egli è 
vile e sudicio, tu lo puoi mondare ; se 
cieco, tu gli puoi restituire la vista; 
se infermo, tu puoi sanarlo ; se morto 
e sepellito, tu puoi risuscitarlo : con- 
ciosachè la tua misericordia é maggio- 
re della mia iniquità; la tua pietà è 
maggiore delle mie scelleratezze ; e tu 
puoi rimettere più che io non ho com- 
messo di colpe, e perdonare più pec- 
cati che io non mi sono vergognato di 



I^ LA. CONFESSIONE 

fare. Adunque non mi respingere da 
te, SigBore, non guardare alla mol- 
titudine dcUe mie iniquità; ma, ee- 
eondo la moltitudine delle tue miseri- 
oordie, abbi pietÀ di me, e sii benigno 
a un peeeatore si grande eom' io son#. 
Di all'anima mia: La tua salute son 
io« — Perocché tu dicesti: Non To'^la 
morte del peccatore, ma più tosto ohe^ 
si oonyerta e che viva. «— Convertimi 
a te, e non t'aerare contro di me. lo 
ti prego, o Padre elementissimo, e 
per la tua misericordia ti supplico e 
chieggo, che tu mi conduca a buon 
fine, e mi tiri a vero pentimento, ed 
a fare una schietta confessione e una 
degna penitenza de' miei peccati r 
Così sia. 



(Pedo che avrai cosi pregato, esa- 
mina diligentissimamente & tua co- 
scienza, secondo gli ammaestramenti 
ricevuti; e considera che male h9i 



E LA COMUNIONE 169 

fatto peccando, e che ne hai per- 
dnto. — Sospira e duhita (com' è detto 
nel quarto libro deir Imitazione di 
Cristo) di essere ancora cosi carnale 
e mondano, tanto poco mortificate^ 
nelle passioni, tanto inchincTole agM 
stimoli della concupiscenza; si mal 
custodito ue^ sensi esterni, sì sovente 
smarrito in molte vane fantasie^ ȓ 
vago delle eose esteriori, si negligente 
éelle interiori ; tanto facile al riso ed 
alla dissipazione, tanto duro al pianto 
ed alla compunzione ; tanto pronto ai 
rìlassamenti e ai commodi del eorp»^ 
tanto mal disposto al rigore ed al 
fervore ; si curioso a sentir novellare 
e a rimirare cose aggredevoli, si lenta 
ad abbracciare le cose umili ed abjette^ 
8Ì cupido di posseder molto, sì parco 
sei donare, sì tenace a mettere in 
serbo ; sì sciolto nel parlare, sì incon- 
tinente nel tacere; tanto scomposto 
Be' modi, tanto petulante negli atti ; 
tanto ghiotto nel mangiare, tanto 
sordo alla parobi di Dio ; tanto soUe- 



170 LA CONFESSIONE 

<^ito del riposo, tanto svogliato al la- 
voro; tanto desto alle favole, tanto 
sonnacchioso alle cose sacre; tanto 
desideroso dì spacciarti, tanto svagato 
ad attendere; tanto negligente nelle 
preghiere, tanto arido d!affetto nel 
communicarti ; si &cile alle distra- 
zioni, si mal atto s, raccoglierti piena- 
mente in te stesso; tanto subito nel- 
r ira, tanto corrente a fàc dispiacere 
altrui ; si franco nel gìudìciure, si ri- 
gido nel riprendere; tanto 4Bpensierato 
nella buona, tanto smarrito nell'av- 
versa fortuna; si pronto a fare spesso 
di molti e buoni proponimenti, si 
rimesso nel metterli ad effetto. — Ri- 
pensa ai comandamenti di Dio, agli 
obblighi della carità, ai precetti della 
Chiesa, alle opere della misericordia 
spirituale e corporale, ai peccati capi- 
tali ; e vedi in che e come hai peccato 
in pensieri, in parole e in opere. 
Fa' in modo, come se cotesta fosse 
r ultima tua confessione, e poi avessi 
4i presente a morire. Puoi ancoi^i 



E LA COMUNIONE 171 

meditare sai novissimi, e recitare di- 
Totamente ì Salmi penitenziali, o sol- 
tanto quello che incomincia : Mùerere 
mei DeuSy Finalmente, prima di ac- 
costarti al confessore, prega Dio così ) 



Ricevi, o pietosissiiìio e clementis- 
simo Signor mio Gesù Cristo, speranza 
unica della salute dell'anima mia, 
la confessione che io fo della mie 
colpe ; e dammi, ti prego, compungi- 
mento nel cuore e lagrime negli occhi, 
perchè io pianga notte e di i peccati 
miei con umiltÀ e sincerità di affetto. 
Sia accolta la mia preghiera al tuo 
<;ospetto, Signore. Se tu sarai ancora 
adirato contro di me, a chi mi volgerò 
per i^uto? Chi avrà pietà delle mie 
6celeratezze ? Ricordati di me, o Si- 
gnore, che chiamasti la Cananea e il 
Pubblicano a penitenza, e ti commo- 
vesti ai pianto di Pietro. Signor» 
Iddio, accogli le mie preghiere. 



172 LA CONFESSIONE 

buQn Gesù, Salvatore del mondo, 
che ti offeristi a una morte si atroce 
per condurre a salvamento i pecca- 
tori, riguarda a me misero peccatore, 
che invoco il tuo Nome. Se io potei 
far tanto. per perdermi, tu niente per- 
desti di ciò che bisogna per salvarmi. 
Perdonami, dunque, o mio Salvatore, 
ed abbi pietà dell'anima mia pecca- 
trice. Scioglila delle catene; sanala 
delle sue piaghe. Signor mio Gesii, 
te io desidero, te cerco, te voglio : mo- 
strami la tua faccia, e sarò salvo. 
Pertanto, o pietosissimo Signore, pei 
merìli della purissima e immacolata 
tua Genitrice sempre Yergine Maria 
e de' tuoi Santi, diffondi la tua luce 
e la tua verità neiranima mia; affin- 
chè per esse io vi legga, e noti chia- 
ramente tutte le colpe che mi bisogna 
di confessare e che mi giova di spie- 
gare con dilingenza e contrizione di 
cuore al ministro tuo, o Signore, che 
vivi e regni ne' secali: Cosi ^ia. 



£ LA COMUNIONE 173 



Dopo della Oonfessione. 

Signore, io ti supplico pei meriti 
della beata sempre Vergine tua Geni- 
trice Maria e di tutti i Santi, di gra- 
dire ed accogliere questa mia confes- 
sione; e a tutto quello che ora ed altre 
volte mi è mancato di contrizione, di 
sincerità e di pienezza nella confes- 
sione, supplisca la tna pietà e miseri- 
cordia; secondo le quali degna tu di 
avermi pienamente e perfettamente 
come assoluto in cielo, o Dio mio, che 
vìvi e regni ne*secoli de'secoli:Cosi sia. 

(Procura di soddisfare prontamente 
alla penitenza imposta dal Confes- 
sore,) 

Prima della Oomnnione. 

Dice il Signore: 

Venite a me, tutti voi che vivete 
in travagli e siete aggravati; ed io 
vi ristorerò. 



174 LA C0NFB8SI0NE 

Il pane che vi darò, è la mia carne, 
fatta per dar vita al mondo. 

Prendete e mangiate: questo è il 
mio corpo, il quale sarà tradito per 
voi : Me ciò per memoria di me. 

Chi mangia la mia carne e hee il 
mio sangue, egli sta in me, ed io in luì. 
. O Signore, tu mi comandi che io 
venga a te confidentemente, se io 
vo' con te aver parte ; e dici : Venite 
a me. 

parola dolce ed amica all'orecchio 
del peccatore ; con la quale tu, o Si- 
gnore Iddio mio, inviti il meschino e 
il poverello alla Comunione del tuo 
santissimo Corpo! Ma chi sono io, o 
Signore, perchè osi di accostarmi a 
te ? Ecco, i cieli più alti non ti possonor 
capire, e tu dici : Venite a me tutti. — 
Se tu, Signore, non le dicessi queste 
parole, chi potrebbe crederle veraci ? 
E se tu non ci comandassi, chi sbarri- 
schierebbe d'accostarsi? 

invisibile Creatore del mondo, 
Iddio 1 quanto mirabilmente tu operi 



È LA COMUNIONE 175 

eon noi ! quanto soayemente e grazio- 
samente provvedi ai tuoi eletti, ai 
quali proferisci per cibo te stesso in 
Sacramento ! 

Io ti ringrazio, o buon Gesù, Pa- 
store eterno, che ti sei degnato di ri- 
storare noi poveri e sbanditi col corpo 
e col sangue tuo prezioso ; ed invitarci 
ancora di partecipare a questi lìiisteri 
con le parole della tua propria bocca, 
dicendo : Venite a me, tutti che vivete 
in travagli e siete aggravati, ed io vi 
ristorerò. — 

AfSdato, o Signore, alla tua bontà 
e misericordia infinita, io infermo mi 
accosto al Salvatore; affamato ed as- 
setato, al Fonte della vita ; mendico, 
al Re del cielo; servo^ al Signore; 
creatura, al Creatore. 

Ma che bene ho io, perchè tu venga 
a me ? Chi sono io, perchè tu mi offra 
in dono te stesso? Come ardisce il 
peccatore di venirti innanzi? E tu 
come ti degni di venire al peccatore? 
Tu conosci il tuo servo, e sai ch'egii 



176 LA CONFESSIONE 

non ha un tanto di bene, che tu cosi 
te gli dia. 

Adunque io confesso lamia viltà; 
riconosco la tua bontà, lodo la tua 
pietà, e ti ringrazio di codesta sovrab- 
bondante carità. Imperocché tu fai 
tutto questo per tua grazia, non per 
mìo merito ; ed affinchè la tua bontà 
mi sia più manifesta, e più m^accenda 
dell'amor tuo, ed a più perfetta umil- 
tà io sia persuaso, 

dolcissimo e benignissimo Gesù, 
quanta riverenza e quanti ringrazia- 
menti con perpetua lode ti si debbono 
per ricevere il tuo sacro Corpo, il cui 
valore nessun uomo al mondo è da 
tanto, che lo spieghi 1 . 

Ma che penserò io nel fare questa 
Comunione, nelFaccostarmi al mio Si- ' 
;gnore, che io non ho il potere di 
onorar degnamente, e nondimeno de- 
sidero di ricevere divotamente ? Che 
|>enserò di meglio e di più giovevole, 
se non umiliarmi profondamente in- 
Banzi a te, esaltcy^do la tua infinita i 



fi LA COMtJNIOKfi 17T 

bonUi Terso di mèi Pertanto io ti lodo^ 
^ mio Dio, e ti étìÈÀto in eterno. Di- 
apreseo me stesso, e a te m'étssoggetto 
nel profondo della mia viltà. 

Rallegrsiti, anima mia» e ringrazia 
Iddio p^i dono eosi nobile e pel con- 
Ibrto tavrio singolare ehe t' ha lasciato 
tu ^vmVA talle di pianto. Imperocché 
quante Vi4te tu M ricordanza dì que*- 
)Mo mistero, e riceri il Corpo di Cri- 
lAo, iaa^e tt>Ke ripeti Topini della taa 
l^etieione, e sei ftttta partecipe dei 
meriU di cristo. 



Ecco che io vengo a te, Signore, af- 
fitte in bene nrì sia il tuo <^o, e mi 
fMsfjtì nel t«K> santo «Kmvite, il qoale 
4€t hai, &io, imtMLndito al pNi>vereilo 
nella taa ddceÈza. Ecco che in te si 
trerva tiitto qnello <^e io posso e didg* 
T^ desiderare ; perchè tn sei la salnt^ 
la redenzione, la speranm, la fotte2S2a> 
12 dècòroela gtona mia. 



178 hA OÓNFESSIONS 

Rallegra, dunque, in questo di Yst- 
Bima del tuo servo ; perocché a te, o 
Signore Gesù, ho sollevato Tanima 
mia. 

. Or io desidero di riceverti divota- 
mente e riverentemente : anelo di ac- 
coglierti in casa mia, per meritare di 
essere da te benedetto siccome Zao 
cheo, ed annoverato tra i figliuoli d'À.- 
bramo. L'anima mia ò desiderosa del 
tuo Corpo, e il mio cuore arde di 
unirsi con te. Senza di te io non posso 
stare ; e senza la tua visita io non se 
come vivere. 



Ma poi che non si trova sacritelo 
piti degno nò satisfieudone maggiori 
per cancellare i peccati, dell'offer 
schietta e intera di sé stesso a Dio 
ncevi, o mio Dio e Redentore, ToiSe 
ehe io ti £o di me stesso. Onde, si 
me tu, o Signor mio Gesti Cristo^ 
iontariamente pei nostri peccati ti f 



E LA COMUNIONE 179 

feristi a Dìo Padre con le mani distese 
in croce e il corpo ignudo, sicché nien- 
te rimase in te, che non fosse offerto 
in sacrifizio per placare alla Divinità ; 
così io volontariamente oggi ti offeri- 
sco me stesso in sacrifizio paro e santo 
con tutte le forze e gli affetti miei, e 
come piii posso. 

Ma poiché, per detto tuo, chi non 
rinunzia a tutto non può essere tuo 
discepolo ; io ti ofierisco me stesso in- 
^1 tieramente: e siccome tu desti a me in 
m cibo il corpo e il Sangue tuo, io, prima 
.^\ di mangiare le tue carni, ti offerisco 
; tutte le cose mie, perché io sia tutto 
di te, e tu in me ti rimanga : e così io 
ti prego. 

Offerta. 

O Signore, tutte le cose che sono in 
cielo e in terra son tue. lo bramo di 
offerirti me stesso in sacrifizio volon- 
tario, e restar tuo per sempre. Signo- 
re, nella semplicità del mio cuore io 



180 LA CONFESSIONE 

ini ti do bggi etèr'ttàihèhté )^t se^Vo, 
in oisseqtiio e ^étìMìo ài pèì^pèìt^ 
lode. 

p Signoi^e, io ti òlBfeiiàièo lutti ! ^oè- 
^ti delitti miei, ehè cdmiiiìéi bel 
ieospetto tuo e dèi éànti ^ft^li tttoi 
tìal prì^o dì che M ih ^iMé di pé6^ 
eare, sino a questo punt<)^ àfflilché tu 
;^li abbruci e òòndum! tutti ift^iémè teol 
fuòco della tua carìlà, é scabdelli é^i 
Ìot*o macchia, e mondi là m\&cièfsU^é^ìta, 
dà ógni bì'Utturìa, è liii !^eètltu£^ la 
grazia tua, che, peccando, io ^èà^dei; 
concedendomi il perdono pili ^hb, è 
i»ìcevendómi benignàm^ente tee! badò 
della pace. 

Che posso io fare pe* miei pécèàti, 
se non confessarli umilmente, e pian- 
gerli, e invocar senza posa la tua mi- 
sericordia? Io ti prego di ascoltarmi 
benevolmetite, oi'a che ti ìstò innanzi, 
o mio Dio. "tutti i miei pèecàti ini la- 
cerano il cuo're d'titagoscià : non tbgiio 
mai piti commetteHi; ìn!a fi jf^fàn^b "é 
piangerò sempre fitìch*è vivrò, pianto 



B LA COMUNIONE 181 

a iarne pfipitenz^ ^ datene satìsfi^- 
zìqq^ con tutto il poter mio. Perdona- 
mi, Dio, perdopami ì miei peccati, 
pel pome tup sitato : aa}va quest'anima 
mia, che ti; hai riscatt?kt£^ cpl prezioso 
tuo Sangue. Ec<^ ch^ io m*affido alla 
tua piisericoriiia, e mi iqettQ pelle tue 
mani. Trattami secondo la tua bontà, 
non secopdp la piftli^^ia ^ 1* iniquità mia. 

Ti ojpTeriscQ altresì qi^nti ho di beni, 
con tptiQ chfi pQchi ed ipaperfetti ; 
affipQhò tu ii n^pndi.e santifichi, e ti 
sienp grati ed accettevoli, e sempre 
più li muti in meglio; ed affinchè tu 
conduca me, cosi pigro omicciattolo e 
da puUa, ^ ^pe Ipdevole e santo. 

^ ti oferiscp iinsieme tutti ì buoni 
dpsiderj de'pii, le necessità de'par 
repti, degli fumici, de^ fratelli, d^lìe 
sorelle e di tutti coloro che m} spn 
cari, e di eplpro phe fecero a pie o 
agii altpi up qu^Jchp bene per anior 
tugj ftfflpcbè tptti prpyinp J'ajuto dplla 
tua grwWt II tepopp 4e}l^ tu^ conso- 
lazione, la tua protezione nei perigli, 



182 LA CONFESSIONE 

la tua liberazione dai travagli ; ed af- 
finchè, sottratti a qualsivoglia male, 
lieti a te rendano le maggiori grazie. 

Ancora ti offerisco orazioni propi- 
ziatorie per coloro che m'hanno offeso 
o contristato o vituperato in qualche 
modo, o mi hanno recato alcun danno 
e gravezza ; e per coloro altresì che 
per avventura io ho punti comunque, 
soperchiati e scandolezzati in parole 
o in fatti, con animo deliberato o sba- 
datamente; afSnchè a tutti insieme 
tu perdoni i nostri peccati e le reci- 
proche offese. • 

S velli, Signore, dagli animi nostri 
ogni sospetto, sdegno, ira e contesa, 
tutto ciò che possa offendere la carità 
ed afSevolire la fraterna benevolenza. 

Abbi pietà, Signore, abbi pietà di 
coloro che a te gridano mercè : con- 
cedi la tua grazia a chi n'ha di biso- 
gno; e rendici tali, che siam degni di 
godere i tuoi favori, ed acquistare 
vieppiù all'eterna beatitudine: Cosi sia. 



E XÀ COMUNIOKB IS8 



dolcissimo ed amantissimo Si- 
gnore, che io dÌYotamente ora deside- 
ro dì riceverei tu sai la mia infermità 
e ie mie necessità onde sono trava- 
gliato; in quanti mali e vìzj io giaccio; 
come sovente io sono aggravato, ten- 
tato, smarrito e imbrattato di colpe ! 
Or io vengo a te per rimedio, e ti 
prego di consolarmi e di tormi questa 
soma di dosso. Parlo a chi tutto sa, a 
<$hì sono manifesti tutti i miei secreti, 
a ehi solo mi può in tutto consolare 
ed ajutare. Tu sai di che beni io abbia 
speciale bisogno, e quanto io sia sce- 
mo d*ogni virtù. 

Ecco che io ti sto davanti povero e 
nudo, per domandar grazia ed implo- 
rare misericordia. Ristora questo tuo 
mendico affamato; accendi la mia fred- 
dezza col fuoco del tuo amore; illu- 
mina la mia cecità con lo splendore 
4ella tua presenza. Fa'ishe mi sappii. 



184 lUL C0MF9S3IOICR 

amaro ogni terreno diletto, chMo sop- 
porti con pazienza ogni gravezza ed 
avrersità, che dimentichi ed abbia a 
vile ogni bassi^ creata eOsa. Solleva 
incielo a te il mio cuore, e fton eoxk- 
sentire die io mi svaghi tra lo w>]3h 
dane vanità. Dammi ebe io trovi i^ni 
dolcezza in te solo da oggi io ]poi ^im 
alla fine; perocdiè tu solo sei il mio 
cibo e la mia bevanda, l'amor mia • 
la mia gioja» la mia dolce^^sa ^ il mi^ 
bene supremo. 

Oh che sarebbe, se tu m'^eendesd 
tutto colla tua presenza^ e in te sta 
consumassi e mi trasfondessi sicché 
ip facessi con te un solo spirita p«r 
grazia d' intima unione e per istruggi* 
mento d'interno amore! Deh! mm 
soffi^ire che io mi parta da te digiuno 
e senz'affetto: ma fa' con me opera di 
misericordia, siccome spessa yolte &* 
cesti maravigliosamente coi Slatti 
tuoi. Oh che miracolo s^r^be questo» 
che io divampassi tutto d'amore per 
te e mi struggessi; essendo bea i\x 



V 



E LA G0MT7NI0NB 185 

fuooo che sempre ardi senza mai spe- 
gnerti, Mnore che purifichi i eoori e 
illamini Y intelletto 1 

(Intrattieniti in questi pensieri e 
affetti santi, e poi, nellìitto che s'ap** 
presta la Comunione, dì fra te isttessa 
col Ministro.) 

Io confesso a Dio onnipotente, a>la 
Beata Maria sempre Vergine^ al beato 
Michele Arcangelo, al beato Giovanni 
Battista, ai santi apostoli Pietro e 
Paolo, a tutti i Santi e a te, o padre^ 
che io ben assai ho peccato, in pent- 
sieri, in parole e in opere, per mia 
colpa, per mia colpa, per mia grandis- 
sima colpa. Laonde supplleo la beata 
Maria sempre Vergine, il beato Mi- 
chele Arcangelo, il beato Giovanni 
Battista, i santi apostoli Pietro e Pao- 
lo, tutti i Santi e te, o padre, di pre- 
gare per me il Signore Iddio nostro. 

L'onnipotente Iddio abbia pietà di 
noi ; -e, rimettendoci i no^tpi peccati^ 
ci coaduca alla vita eterna: Così sia. 

U Signore onnipotente e mi&eriogp* 



186 LA CONFESSIONE 

dìoso ci conceda rìndulgenza. Tasso- 
luzione e la remissione de' nostri 
peccati : Cosi sia. 

Ecco FAgnello di Dio, ecco Colui 
che scancella i peccati del mondo! 

Signore, io non son degno che tu 
entri nella mia casa ; ma di' soltanto 
una parola, e l'anima mia è salvata. 

Signore, io non son degno che tu 
entri nella mia casa ; ma di' soltanto 
una parola, e l'anima mia è salvata. 

Signore, io non son d>egno che tu 
entri nella mia casa; ma di' soltanto 
una parola, e l'anima mia è salvata. 

Il Corpo del Signor nostro Oesù 
Cristo custodisca l'anima mia per la 
vita eterna : Così sia. 

(Ricevi con umiltà e divozione il 
Corpo di Gesù Cristo, adoralo: poi 
di' con tutti gli affetti dal tuo cuore :) 

Dopo della Oomunione. 

Imprimi, o dolcissimo Signore Gesti, 
nel profondo dell'anima mia la soavis- 
skna e salutevole ferita dell' aoior 



R LA COMUNIONE 187 

tuo, e la vera, tranquilla ed apostolica 
santissima carità; affinché quest^anì- 
ma languisca e si strugga sempre per 
amore e desiderio solo di te ; te brami, 
ne' tuoi tabernacoli si consumi, ed 
aneli di svincolarsi ed essere con te. 
Fa che Tanima mia abbia fame di te, 
che sei il Pane degli Angeli, il ristoro 
delle anime buone, il nostro pane 
quotidiano soprassostanziale, in cui è 
ogni dolcezza e sapore ed ogni diletto 
di soavità : di te ognora io abbia sete, 
che sei fontana di vita, sorgente di 
sapienza e di dottrina, focolare di lu- 
me eterno, torrente di piacere, ric- 
chezza della casa di Dio : te ambisca 
di possedere, te cerchi, te trovi, a te 
intenda, a te pervenga, di te mediti, 
di te parli, e tutto faccia in lode e 
gloria dei tuo Nome, con umiltà e 
convenienza, con amore e contentezza, 
con facilità ed affetto, e con perseve- 
ranza sino alla fine. E sii tu solo e 
sempre la speranza mia, la mia fidu- 
cia, la mia ricchezza, il mio sollievo, 



188 LA C0KFES3IP^B 

la mia Wm^ lei! quiete e trfuiquUlità 
mia» la mia pace» la mìa goavità, i] 
mio odore, la mia dplcejsza, il mio eibo^ 
il mio ristarò, il mio ricoverp, il mio 
ajuto, la miasapiepza» l^ mia eredità, 
il mio domi^io^ ii mio tesoro, nel 
quale fia&ia e fermii e sapidamente ra^ 
dicati^ io abbiti 1^ mente e il cuore: 
Così sia. 

Or io ti riiigra^iO) o ^ignare Sa^to, 
Padre Onnipotente, Dio eterqo, di aver 
saziato me peccatore, indegnp tup ser< 
Yo, e npo pei meriti miei, ma per spia 
virth della tua pietà, col pressiosp 
Corpo e Sapgue del Figlio tpo e Si- 
gnor nostro QesU Cristo. E ti pr^go 
che questa santa Cpmunipue non mi 
venga imputata a colpa, m§^ v^ilgaml 
siccome saìute^re medis^trice di pej> 
dono, e mi 9ift fermatura di ifede e 

scudo di biiop* vpioQti^. i mm vi^ 
sìeao per ess» di$tr0ti; le damna^ 
del}^ cp.Qcupi^Q9;a e dellf^ liUdiixo 
spente; 1^ Qa^itft e h v^im^ l'ut? 
miltft e l'ubbidiei»*! e t\itte Maitre 



E LA OOMUKIONB 189 

tiriti In ine si^no ìsiòcrfesciute. Essa 
tal sia difòsà contro le ìtiBidie di tatti 
i n^ifìici tisibili ed itìViSlbili; lacqHoti 
le iaìé péÉéìohì cot*poraIi e i^pirituàli ; 
ini unisca sétldaihékil«/(i^te, Dio utio e 
tet»o, ié ini cDttdttcia fdlicom^nte al mio 
finiè. È ti pt^o anciDi*a di àècbglieire 
me póecàtwNj in qttelP infeflfebife coft- 
vitOi dòte tu ^ ttìo FlgHuoio e <30n 
lo SpVtì^ S^nto àei pei tuoi Binati 
ttal^è Itìiiie, ct)&t)dtiti> intimo, alle^ 
grezza d^mpitét^na, giocondità «bm- 
pitìte, é felicità perfetta : pei meriti di 
Gieéti tCi^Sto Sìgm)r nostro : Còsi sia. 
(Quésto è il niotftèntd opportuno, il 
tempo tlidllò miàèribo^die e delle gra- 
zie. Se il Signore ti ha dato sé stesso, 
qual cosa potrà ricusarti, se gliela 
chiedi ? Prega dunque il tuo Dio, come 
pregheresti un amico, affinchè soc- 
corra alle tue necessità temporali ed 
eterne, alla Chiesa, ai parenti, agli 
amici, agi' inimici, ai benefattori tuoi 
ed a tutti i Cristiani; e che dia agli 
uomini sanità, pace e giustizia. Pre* 



190 LA CONFESSIONE 

gaio pel bene della ina patria, pei 
ricchi e i poverelli, i potenti e gli 
umili, i giusti e ì peccatori, i sani e 
gr infermi, per tutti, uomini e donne 
di qualsiasi età e condizione. Poi hai 
da proporti di vivere santamente se- 
condo i precetti della carità, di &re 
in tutto la volontà di Dio, di soppor- 
tare con pazienza ogni avversità, e 
di comunicarti spesso per gloria di 
Dio e per tuo bene. E finalmente, 
potendo, aggiungi le seguenti ora- 
zioni : il salmo Benedictus Dòminus, 
e poi il Te Deum laitdamus, con le 
orazioni che vengon dopo; e la pace 
del Signore sia sempre con te.) 



INDICE 



Prologo, Pag. 3 

Cap. 1 Delle specie o della 

Tìta dei Monaci . . • > 11 
» 2 Quale debba essere 

l'Abbate ...... » 13 

» 3 Del valersi dei fra- 
telli a consiglio. . . > 20 

> 4 Qaali siano gli stru- 

menti delle buone 

opere. » 21 

» 5 Dell'Obbedienza . . » 27 
» 6 Della TacHuraità . » 29 

> 7 Dell'Umiltà . . r . » 30 
» 8 Degli Oflacii divini 

di notte > 41 

> 9 Quanti salmi si ab- 

biano a dire nell'Of- 

fieio di notte ^ . , , » 42 

> 10 Come si deve rego- 

lare l'OflScio di notte 

in tempo di estate . » 44 



192 

Cap. 11 Come si deve rego- 
lare r Officio della 
notte nei giorni di 
Domenica > 44 

» 12 Come si debba rego- 
lare il Matiiitiiio so- 
lenne ««....«• » 46 

» 13 Come si debba rego- 
lare il ]!i{at4tttifio nei 
giorni ierìM . % « , » 47 

» 14 Comes» debba régo- 
ìare rOffi^Oo di not- 
te nelle feste dei 
Santi 4 » 49 

» 15 In quali tempi ìsi 
debba dire l'Alte- 
luja > 49 

» 16 Come si abbib»o a 
regolare gli Offidii 
dirinl nel giorno . . » 50 

)► 17 Quanti salmi si debr 
bano dire in dette 
Ore » 51 

» 18 Coti qaàl oHineei 
delèono dire i detti 



i 



193 

' salmi » 52 

, Cap. 19 Della disciplina del 

salmeggiare > 56 

. » 2Q Della riverenza nel- 

, l'Orazione » 57 

: > 21 Dei Decani del Mo- 

i n?istero ....... » 57 

» 22 Come debbono dor- 
mire i Monaci ... > 58 
» 23 Della scomm unica 

pea» le colpe .... » 59 

» 24 Quale sìa la pena 
I della sqommunica . > 60 

» 25 Delle colpQ pitturavi » 61. 
f » 26 Di coloro che sen- 

za il Qomandamepto 
dell'Abbate si i^ni- 
soono agli ^com^xiu- 
niqati ........ » 62 

> 27 Come deibba ess^ere 
sollecitQ. r Abbate 
circa gli scommuni- 

cati » 62 

» 28 Di coloro che più 
volte, corretti, non si 

13 



194 

saranno emendati . > 64 
Gap. 29 Se debbono di nuo- 
vo riceversi i fratelli 
usciti di monastero. > 6& 

> 30 Del modo come si 

hanno a correggere 

i fanciulli » 66 

» 31 Del Cellerario del 
Monastero , quale 
debba essere .... » 66 

» 32 Dei ferri e deUe 

robe del Monastero. » 69 

» 33 Se debbono i Mona- 
ci avere cosa alcuna 
di proprio » 69 

» 34 Che tutti debbono 
avere egualmente 
le cose necessarie . » 71 

> 35 Dei Settimanarii di 

Cucina » 72 

» 36 Dei Fratelli infermi. » 74 
» 37 Dei vecchi e dei 

fenciulli » 7& 

» 38 Deir eddomadario 

lettore ..;.... » 75 



r 



f 



195 

Gap. 39 Della misura del 

cibo > 78 

» 40 Della misura del bere » 80 

» 41 A quali ore debba- 
no refocillarsi iFra- 
. telli ......... > 81 

» 42 Che dopo Compieta 

niuno deve parlare. » 83 

» 43 Di coloro che giun- 
gono tardi all'Officio 
divino o alla mensa. » 84 

» 44 Del modo con cui 
gli scommunicati 
debbono soddisfare. 

» 45 Di coloro che falla- » 87 
no nell'Oratorio . . » 89 

> 46 Di coloro che falla- 

no in altre cose. • » 89 
» 47 Come l'ora dell'O- 
pera di Dio dev'es- 
sere annunziata . . » 90 
# 48 Del lavoro giorna- 
liero « . > 91 

> 49 Dell'Osservanza del- 

la Quaresima .... » 94 



1 

] 
t 



196 

Gap. 50 De' PrateDi che la- 
vorano lungi dairO- 
ratorio, o che sono 
in viàggio pag. 96 

» 51 De'Pr&téllicheVan- 

no non molto lungi. » 96 

» 52 Deir Orai orlò del 

Monastero > 97 

» 53 Come fei debbano ri- 
cevere gli Ospiti . . » 98 

» 54 Se debba il Motìàco 
ricerere lettere 'o 
altro » 101 

» 55 Delle vesti e delle 
calzature de* Fra- 
telli . » 102 

» 56 Della mensa del- 

TAbbate » 104 

» 57 Degli artefici del 

Monastero » 105 

» 58 DeUa regola di ri- 
cevere i fratelli . . » 106 

» 59 Dei figli dei: nobili 
o dei poveri che sto- 
no offerti » 110 



f 

» 

F 

i 



197 

Cap. 60 Dei Sacerdoti che 
tolesséro abitare in 
Monastero > IH 

)» 61 Dei Monaci pellegri- 
ni come si debbono 
riccTere » 113 

» 62 Dei Sacerdoti del 

Monp.stero » 115 

» 63 Dell'ordine della Co- 

munita » 116 

> 64 Dell' elezione del- 

l'Abbate » 119 

« 65 Del Proposito del 

Monastero » 122 

> 66 Dei Portinai del 

Monastero » 125 

» 67 Dei Fratelli che Van- 
no in viaggio .... » 126 

» 68 Se a un fratello sian 
comandate cose im- 
possibili » 127 

» 69 Che in Monastero 
nessuno ardisca di- 
fendere un altro . . » 128 

» 70 Che ni uno ardisca 



198 

percuote* altrui. . » 129 
Gap. 71 Che i fratelli debba- 
no obbedirsi Y un 

l'altro » lao 

» 72 Del zelo buono che 
debbono avere i Mo- 
naci » 131 

)^ 73 Come in questa Re- 
gola non ogni osser- 
vanza di giustizia 
sìa stabilita. .... » 132 

LA MESSA E LA COMUNIONE 

1 Istituzione della SS.* Euca- 
ristia » 136 

2 Dell'Eucaristia Sacrifizio, o 
della Santa Messa. .,...» 140 

3 Del modo di assistere al San- 
to Sacrifizio della Messa . . » 148 

4 Le Cerimonie della Messa . > 152 

5 Preghiere per la Confessio- 
ne e la Comunione ....•» 165 






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