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LÀ REGOLA
DI
SAN BENEDEnO
MONTECASSINO
1902
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LA REGOLA
DI
SAN BENEDETTO
v()Ltata in italiano
DAL PADRE
D. FRANCESCO LEOP. ZELLI
ABATE ORDIN. DI S. PAOLO
E
PRESIDENTE DELLA CONGREa.
CASSINESE.
<5 /
TIPOGRAFIA DI MONTECASSÌNO
1901
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PROLOGO
ALLA RBGOLA
DI S. BENEDETTO
Ascolta, figlio, i precetti del
Maestro, e porgi le orecchie del tuo
cuore, e ricevi di buon volere Tav-
vertimento del savio padre, ed effi-
cacemente lo adempì; perchè con la
fatica dell'obbedienza tu a Lui ri-
torni, da cui coir inerzia della disob-
bedienza ti eri dilungato.
A te dunque ora si rivolge il mio
parlare, chiunque tu sii che, rinun-
ziando alle proprie voluttà, dai di
piglio alle fortissime e lucide armi
delFobbedienza, per militare sotto il
vero re Cristo Signore.
E primieramente, tu devi con in-
stantissima orazione chiedere da Lui,
284470
4 LA REGOLA
che perfezioni qualsiasi bene tu inco-
minci a fare ; ond' Egli, che si è già
degnato di contarci nel numero dei
suoi figli, non d«bba un giorno sde-
gnarsi delle nostre malvage azioni.
Epperò devesi così a Lui ubbidire
sempre intorno al bene, che non solo
da padrts irato non diseredi un giorno
i suoi figli, ma neanche da Signore
terribile, sdegnato per i nostri pec-
cati, condanni all'eterna pena i vilis-
simi schiavi, che non avranno voluto
seguirlo alla gloria.
Sorgiamo dunque una volta, se-
condo che ci scuote la parola divina,
dicendo: Ella è già ora di destarsi
dal" sonno. — E aperti i nostri occhi
al lume di Dio, con le orecchie tese
ascoltiamo checché ci avverta la voce
divina tuttodì esclamante: Oggi, se
udirete la voce di lui, non vogliate
indurire i vostri cuori. — E altrove:
Chi ha orecchie da udire, oda quello
che lo Spirito Santo dice alle Chiese.- .
DI S. BENEDETTO 5
E che dice. ^ Venite, o figliuoli, ascol-
tatemi: io V* insegnerò il timore di
Dio. Correte, mentre che avete il
lume della vita, perchè non vi colgano
le tenebre della morte. — E cercando
il Signore nella moltitudine del po-
polo a cui parla il suo operajo, in
altro luogo dice: Chi è Tuomo che
vuole la vita, e brama vedere i giorni
buoni? — Che se tu udendo, rispondi:
Son io; — Iddio ti dice: Se tu vuoi
avere la vera e perpetua vita, ritieni
la tua lingua dal male, e le tue labbra
non si schiudano ali* inganno : allonta-
nati dal male, e opera il bene : cerca
la pace, e seguila. E quando avrete
fatto tai cose, ì miei occhi saranno
sopra di voi, e le mie orecchie le avrò
intente alle vostre preci. E primachè
m'invochiate, dir^: Eccomi, io son
presto.
Che mai può essere a noi più dolce
di questa voce del Signore che sì
c'invita, fratelli carissimi? Ecco
che il Signore nella sua bontà ci mo'
6 LA REGOLA.
slra la via della vita. Adunque, suc-
cinti i nostri lombi, con la fedele
osservanza delle opere buone, dietro
la guida dell'Evangelio, battiamo le
strade di esso; afBnchè meritiamo di
vedere nel suo regno, Colui che ci ha
chiamati. Nella sede del qual regno,
a voler dimorare, se non che correndo
nelle buone opere, ffon si perviene.
Ma interroghiamo il Signore, con
le parole del profeta, e diciamogli:
Signore, chi abiterà nel tuo taberna-
colo, o chi si riposerà nel tuo santo
monte? — Dopo questa interrogazione,
ascoltiamo, o fratelli, il Signore che
risponde, e che ci mostra la strada
dello stesso tabernacolo, dicendo: Co-
lui che cammina in integrità, ed
opera la giustizia: Che parla la ve-
rità secondo il cuore ; che non bramò
inganni con la sua lingua: Che non
fece male al suo prossimo ; che non
iscagllò ignominia contro al suo si-
mile : Che respingendo dal suo cuore
il maligno diavolo che in alcun modo
s.
i
DI S. BENEDETTO 7
lo tentava, e le insinuazioni dì lui, lo
ridusse ai niente, e tenne in non cale
gì' inganni, e gì' infranse in Cristo :
Coloro infine, che, temendo il Si-
.gnore, non s'insuperbiscono della
loro rettitudine ; ma stimando questo
stesso bene non venir loro dalle pro-
prie forze ma da Dio, magnificano
il Signore che opera in loro, dicendo
quel del Profeta: Non a noi, o Si-
gnore, non a noi, ma al tuo nome dà
gloria. — Siccome anco l'Apostolo
Paolo nulla riferiva a sé della sua
predicazione, quando diceva: Gli è
per la grazia di Dio che io son quel
che sono. — E altrove il medesimo
scrive : Chi si gloria, nel Signore si
glorii- — E però il Redentore nel-
l'Evangelio dice : Chi ode queste mie
parole e le adempie, io lo rassomi-
glierò all'uomo sapiente, il quale
edificò la sua casa sulla pietra. Ir-
ruppero i fiumi, soffiarono i venti, e
infuriarono contro quella casa; ma
essa non cadde, poiché era fondata
8 LA REGOLA
sulla pietra. — A questo fine il Si-
gnore attende ogni di che noi corri-
spondiamo coi nostri fatti a co tali
suoi santi avvertimenti.
Perciò, ad emenda dal male, sono
a noi conceduti, siccome una tregua,
i giorni di questa vita, dicendo 1* Apo-
stolo: Forsechè ignori, che la pazienza
di Dio ti conduce a penitenza? Pe-
rocché il pietoso Signore dice: Io non
voglio la morto del peccatore, ma
eh' ei si converta e viva. — Avendo
dunque noi^ o fratelli, interrogato il
Signore^ circa T abitatore del suo
tabernacolo, abbiamo udito come si
ottenga di abitarvi. Onde, se adem-
piamo il debito di esso abitatore,
saremo eredi del regno dei cieli.
Adunque convien disporre i cuori e
le membra nostre alla milizia dei
precetti della santa obbedienza; e
pregare il Signore, che ci sia decre-
tato l'ajuto deJla sua grazia, per ciò
appunto, che la natura nostra non
può tanto in noi. E se vogliamo, evi-
DI S. BENEDETTO 9
tando le pene dell'inferno, pervenire
alla vita perpetua, mentre che ancora
è tempo, e siamo in questo corpo, e
tutto ciò si può adempire per questa
strada di l^uce ; ei ci bisogna correre
.ed operare di presente, quel che a
• noi sarà spediente per Teternità.
Si ha dunque da stabilire la pa-
lestra del servizio divino: nel quale
regolamento nulla speriamo imporre
né di aspro, né di grave. Che se, die-
tro il dettame di ragionevole equità,
ci terremo alcun poco ristretti, in
ordine all'emenda dei vizii e alla
conservazione della carità, non dar
subito le spalle, come colto da paura,
. alla strada della salute ; la quale non
si può se non per angusto adito in-
cominciale. Coll'andar poi della con-
versione e della fedeltà, con cuor
largo e indescrivibile dolcezza di
; amore, si batte la strada dei coman-
[ damenti di Dio. Cosi non mai dipar-
l tendoci dal magistero di lui, perseve-
i . rando nelle dottrine sue in monastero
10 LA REGOLA
sino alla morte, parteciperemo per
la pazienza ai patimenti di Cristo, e
potremo meritare di essere consorti
del suo regno.
INCOMINCIA LA REGOLA
DEL
SS. PADRE BENEDETTO.
Delle specie o della vita dei Monaci.
CAP. 1.*»
Egli è noto, che sono quattro le
specie dei monaci. La prima è dei'
Cenobiti, cioè monasteriali, militanti
sotto una Regola o un Abbate. Sie-
gue la seconda, degli Anacoreti, cioè
Eremiti ; che non per recente fervore
di conversione, ma per lunga pt'uova
di monastero, di già istruiti dal con-
forto di altri molti, appresero a com-
battere contro il Diavolo; e ben
muniti escono dal domestico combat-
timento alla singolare tenzone del-
reremo, di già sicuri, bastano, con
12 LA REGOLA
l'ajuto di Dio, senza l'altrui conso-
lazione, con la sola mano o il braccio,
a pugnare contro i vizii della carne
dei pensieri.
La terza specie poi, abominevolis-
sima, di monaci è dei Sarabaiti; i
quali né provati da regole né am-
maestrati dall'esperienza, come oro
nel crogioulo, ma ammolliti come
piombo liquefatto, ancora serbando
fede al secolo con le opere, veggonsi
. mentire innanzi a Dio per la loro
tonsura. Essi, a due, a tre, e talvolta
soli, senza pastore, non racchiusi, nel-
l'ovile del Signore ma*nel proprio,
hanno per legge la voluttà dei loro
desideri! ; perocché ciò che essi pensa-
no e scelgono, ciò dicono santo: e ciò
che non vogliono, ciò reputano illecito.
La quarta specie inf ne di monaci
è di quei che diconsi Girovaghi; i
quali passano tutta la loro vita ospi-
tando tre quattro giorni in varie
celle e paesi, sempre vagabondi e
non mai stabili, schiavi delle proprie
DI. S. BENEDETTO 13
voluttà e gozzoviglie, ed al tutto più
vili dei Sarabaiti. Della com piangevole
vita di tutti costoro meglio' è tacere
che parlare.
Lasciando adunque cosifatti mo-
naci, veniamo con l'ajuto di Dio, a
ordinare la fortissima specie de' Ce-
nobita
Quale debba essere V Abbate,
CAP. 2.«
L'Abbate che ò degno di presiedere
al Monastero, sempre si ha da ricor-
dare del nome che porta, e al nome
di superiore corrisporrdere eoi fatti.
Devesi però credere eh' egli faccia
nel Monastero le veci di Cristo, da-
poichè chiamasi con lo stesso appel-
lativo di Lui, dicendo l'Apostolo :
Voi riceveste lo spirito di figli adot-
tivi, pel quale esclamiamo Abba^
Padre. — Pertanto l'Abbate nulla,
che Dio guardi, deve o insognare o
stabilire comandare, fuor del pre-
14 LA REGOLA
cello del Signore. Anzi il comando
o l'insegnamento di lui sia sparso
nelle menli dei discepoli, come lie-
vito della divina giustizia.
Si rammenti sempre l'Abbate, che
nel tremendo giudizio di Dio saranno
messi a disamina così il suo insegna-
mento, come Tobbedienza dei disce-
poli. E sappia l'Abbate, che sarà
ascritto a colpa del pastore, tutto quel
meno di utile che il padrefamiglia
troverà nelle pecorelle. E allora, per
contrario, sarà libero, se da buon pa-
store avrà adoperato ogni diligenza
verso r inquieto e disobbediente greg-
ge, e prestato ogni cura alle debolezze
di esso. Onde per uscire assoluto dal
giudizio del Signore, dica a lui col
profeta : Io non ho celato nel mio
cuore la tua giustizia, ed ho annun-
ziato la tua verità e la tua salute:
ma essi non curanti mi disprezza-
rono. — Ed allora ultimamente alle
disobbedienti sue pecorelle sia pena
condegna la stessa morte.
r
DI S. BENEDETTO 15
Quando dunque alcuno prende il
nome di Abbate, deve soprastare ai
suoi discepoli con doppio insegna-
mento; cioè tutte le cose buone e
sante mostrare più con i fatti che con
le parole; sicché ai discepoli sagaci
proponga i comandamenti del Signore
con le parole, e ai duri di cuore e più
semplici, dimostri i divini precetti
con i suoi fatti. Tutto quello pòi che
avrà insegnato ai discepoli da fug-
girsi, indiclii col suo esempio non
doversi fare : affinchè predicando agli
altri, non si trovi lui reprobo, e il
Signore non abbia un giorno a dire
a lui peccatore: Come tu esponi le
mie giustizie, e ti metti in bocca
il mio insegnamento? Tu intanto
odiasti la disciplina, e ti gettasti
dietro le mie parole ! Or tu che ve-
devi la festuca nell'occhio del tuo
fratello, come non vedesti la trave
nel tuo ? —
Non si riguardi da lui a persona
nel monastero. Non ami uno più che
16 LA REGOLA
un altro, se non colui che avrà trovato
migliore nelle opere buone o neirob-
bedienza. Non si anteponga il libero
allo schiavo convertito, se forse altri-
menti non consigliasse grave ragione.
Ohe se, per dettame di giustizia, cosi
sembrasse bene all'Abbate, rispetto
a qualsiasi ordine, ed ei lo faccia:
altrimenti, tenga ciascuno il proprio
luogo. Perciocché o schiavo o libero,
tutti siamo eguali in Cristo Gesù, e
sotto uno stesso Signore, siccome
servi, portiamo il medesimo cingolo
militare; giacché non vi é riguardo
di persone davanti a Dio. Solo in
questo noi ci distinguiamo davanti a
Lui, se cioè più buoni degli altri
nella nostra vita e più umili saremo
trovati. Adunque usi l'Abbate eguale
carità con tutti, e offra a tutti la stessa
disciplina, secondo che conviene.
Imperocché l'Abbate deve nella sua
dottrina conservare sempre quella
forma apostolica, come sta scritto:
Riprendi, sgrida, supplica; cioè, a
DI S. BENEDETTO 17
seconda delle circostanze, accoppiando
ai terrore Tallettaraento, dia a dive-
dere il rigido affetto del maestro, e
il pietoso cuore del padre; vale a
dire, eh' ei deve più duramente ri-
prendere gl'inquieti e grndiscipli-
nati, supplicare poi gli obbedienti,
i mansueti e i pazienti, affinchè pro-
grediscano in meglio. Lo ammoniamo
infine a sgridare e riprendere i ne-
gligenti e non curanti. Né dissimuli
i difetti di coloro che falliscono, ma
subito come si vedono incominciare
a nascere, nella radice, com' é ne-
cessario, li tronchi; memore del caso
di Eli, Sacerdote di Silo. Le menti
I)iù composte e ragionevoli le ripren-
da con le parole nella prima o se-
conda ammonizione ; ma i malvagi e
duri di cuore e superbi e disobbe-
dienti anche sul primo incominciare
del peccato li raffreni con battiture
e castighi corporali, sapendo che sta
scritto : Lo stolto non si corregge per
le parole. — E altro%(?: Baiti il tuo
2
LA REGOLA 18
figlio con la verga, e libererai dalla
morte Tanima di lui. —
L'abate deve ognora ricordarsi di
ciò eh' egli è, ricordarsi del nome
che porta, e sapere, che a cui più si
commette, più si richiede. Conosca
quanto difficile ed ardua impresa ha
indossato col reggere le anime, e
acconciarsi al costume di molti. Ed
uno trattando colle lusinghe, un altro
con le persuasioni, secondo la qualità
e intelligenza di ciascuno, cosi a tutti
si conformi e si adatti, che non solo
non permetta il danno dei gregge a
lui commesso, ma anzi si rallegri nel-
r incremento delle buone pecorelle.
Innanzi a tutto si guardi, dissimu-
lando o tenendo da poco la salute
delle anime a lui affidate, dal pren-
dere troppa cura delle cose transi-
torie, terrene e caduche; ma sempre
pensi, eh' egli ha prèso a reggere
anime, delle quali dovrà rendere
conto. E perchè non si affligga per
avventura della pochezza dell'entrate.
rr-
DI S. BENEDETTO 19
abbia a mente che è scritto: Prima
cercate il regno di Dio e la sua
giustizia, e tutte le altre cose vi
saranno date di sopravvanzo. — Ed
anche: Nulla manca a coloro che
temono Dio. — E sappia, che chi ha
preso a reggere anime, deve prepa-
rarsi a renderne ragione. E quanto
sarà il numero de* fratelli che avrà
sotto la sua cura, si accerti che di
altrettante anime dovrà rendere conto
al Signore nel giorno del giudizio ;
aggiuntavi senza dubbio anche IV
nima' sua. E cosi ognora temendo la
futura disamina del Pastore circa le
pecorelle affidate^ se ha giusta tema
del giudizio che si farà di esse, sia
sollecito del giudizio che si farà di
sé. E nel porgere altrui la correzione
co* suoi avvertimenti, egli stesso si
fa mondo dai vizii.
20 LA RÈO OLA
Del valersi dei fratelli a consiglio.
GAP. 3.*
Ogni volta che si abbiano a trattare
nel monastero cose di particolare con-
siderazione, convochi l'Abbate tutta
la comunità, e dica lui di che si tratta.
Udito quindi il consiglio dei fratelli,
lo ripensi seco medesimo, e poi faccia
quello che avrà giudicato più utile.
Perciò dicemmo che si chiamino a
consiglio tutti ; perocché spesso il Si-
gnore rivela al più giovane quello
eh' è meglio. Ma i fratelli diano il
consiglio con ogni soggezione e umil-
tà, sicché non presumano di difendere
procacemente la loro opinione, ma
più tosto si dipenda dall'arbitrio del-
l'Abbate ; onde secondo che Egli avrà
giudicato più savio, tutti gli obbedi-
scano. Imperocché siccome è dovere
dei discepoli obbedire al maestro, cosi
sta a lui disporre ogni cosa provvida-
mente e giustamente. lutti adunque
DI S. BENEDETTO 21
in ttitto seguitino per maestra la Re-
gola, né alcuno temerariamente se ne
allontani.
Nessuno in monasteso seguiti il
proprio volere. Né ardisca veruno di
venire a proterva conlesa coir Abbate,
o dentro o fuori del monastero. Che
se l'abbia fatto, sìa sottoposto alla
pena della Regola. Esso Abbate però
faccia tutto con timore di Dio e osser-
vanza della Regola; sapendo eh' egli
fuor di dubbio dovrà rendere conto a
Dio giudice di tutti i suoi giudizii.
Se poi si avessero a trattare cose di
minor momento a utilità del monaste-
ro, l'Abbate usi solo del consiglio dei
seniori, come sta scritto: Tutto fa col
consiglio, e del fatto non ti pentirai.
•
Quali siano gli strumenti delle
bnone opere,
GAP. 4.^
1. Primieramante amare il Signore
Iddio con tutto il cuore, con tutta
l'anima, con tutta la forza.
i6 •-
22 LA REGOLA
. 2. E poi amare il prossimo come te
stesso.
3. E poi non ticcidere.
4. Non adulterare.
5. Non rubare.
6. Non concupire.
7. Non dir falso testimonio.
8. Onorare tutti gli uomini.
9. E ninno faccia agli altri ciò che
non vuole sìa fatto a lui.
10. Annegare sé stesso per seguire
Cristo.
11. Mortificare il corpo.
12. Non abbracciare le delizie.
13. Amare il digiuno.
14. Ristorare i poveri.
15. Vestire il nudo.
16. Visitare l'infermo.
17. Sepellire il morto.
18. Sovvenire gli altri nella tribo-
lazione.
19. Consolare Tafllitto.
20. Distaccarsi dalle opere del mondo.
21. Nulla mettere innanzi all'amore
di Cristo.
DI S. BENEDETTO 23
22. Non compiere l'ira.
23. Non serbare Y ira ad altro tempo.
24. Non tenere inganno nel cuore.
25. Non dare pace falsa.
26. Non abbandonare la castità.
27. Non giurare, perchè talora non
si spergiuri.
28. Portare nel cuore e nella bocca
la verità. •
29. Non rendere male per male.
30. Non fare ingiuria; ma fatta che
ci sia, pazientemente sopportarla.
31. Amare i nemici.
32. Non rimaledire a chi ci maledice,
ma anzi benedirlo.
23, Sostenere persecuzione per la
giustizia.
34. Non essere superbo.
35. Noli beone.
36. Non mangiatore.
j37. Non sonnolento.
38. Non pigro.
39. Non mormoratore.
40. Non detrattore.
41. Mettere in Dio la propria speranza.
' •
2^4 LA REGOLA
42. Bene che in se vegga, ascriverlcy
a Dio non a sé.
43. Il male però riconosca serapret
di averlo fatto, e a sé lo ascrira.
44. Temere il giorno del giudizio.
45. Tremar dell'inferno.
46. Bramare la vita eterna con ogni
spirituale desiderio.
47. Avere ogni di innanzi agli occhi
la morte, come fosse per venire.
48. Custodii>e ognora gli atti della
propria vita.
49. Accertarsi che Dio in ogni luogo
ci guarda.
50. Spezzare sulla pietra di Cristo i
cattivi pensieri, appena ci spun-
tano nel cuore.
51. Aprirsi al padre spirituale.
52. Custodire la bocca dal cattivo e
sconcio parlare.
53. Non amare il molto discorso.
54. Non dire parole vane o da riso.
55. Non amare il troppo e scomposto
ridere.
56. Udire volentieri le sante letture.
J
DI S. BENEDETTO 25
57. Frequentemente accudire alFora-
zione.
58. Ogni giorno confessare a Dio
nell'orazione con lacrime e ge-
miti i trascorsi peccati ; e per
l'avvenire emendarsene.
59. Non compiere i desiderii carnali.
60. Odiare la propria volontà.
61. Obbedire in tutto ai comandi del-
l'Abbate, anche se egli (che mai
non sia!) altrimenti taccia, me-
mori, di quel precetto del Si-
gnore; Fate quello che dicono,
né vogliate fare quello che fanno.
62. Non volere esser detto santo
prima di essere; ma prima esser-
lo, onde, dicasi più vero.
63. '•Adempiere ogni di i comandamen-
ti di Dio coi fatti.
64. Amare la castità.
65. Non odiare nessuno.
66. Non avere gelosia o invidia.
67. Non amare le coatese.
68. Fuggire la gonfiezza e la vana
gloria.
26 LA REGOLA
69. Venerare i Seniori.
70. Amare i più giovani.
71. Nell'amore di Cristo pregare pei
nemici.
72. Tornare in pace col litigante,
prima che il sole tramonti.
73. E della misericordia di Dio giam-
mai non disperare. .
Ecco, questi sono gli strumenti del-
l'arte spirituale; 1 quali se saranno
da noi usati giorno e notte incessan-
temente, e riconsegnati nel di del
giudizio; ci verrà ricompensato dal
Signore con la mercede eh' Egli ha
promessa i perocché occhio non vide,
né orecchio intese^ né in cuor di
uomo sorse mai quello che Dio ha
preparalo a coloro che l'amano. *
L'oflScina poi dove dobbiamo dili-
gentemente lavorare intorno a queste
cose, è il Chiostro del Monastero,
e la stabilità in comune nella Con-
gregazione.
j
r*
DI S. BENEDETTO 27
Dell'Obbedienza.
GAP. 5.°
11 primo grado di umiltà è l'obbe-
dienza, ma pronta. Questa si esercita
da coloro che, nulla ponendo innanzi
a Cristo, per Tamore del divino ser-
vizio che hanno professato, o pel ti-
more dell'inferno, o per la gloria
della vita etema, appena loro vien
comandata qualche cosa dal Supe-'
riore, come se fosse cenno di Dio,
non mettono indugio all'eseguire. Dei
quali dice il Signore: Appena udito
mi obbedì. — E similmente dice ai
maestri: Chi voi ascolta, me ascolta. —
E questi tali, abbandonando tosto le
cose loro, e rinnegando la propria
volontà, subito lasciando imperfetto
quello che avevano tra mani o che
facevano, seguitano la voce di colui
che domanda, prestando all'opera del-
l'obbedienza rapido il piede: sicché
coloro cui preme il desiderio di salire
28 LA REGOLA
a vita eterna, nella velocità del timore
di Dio, quasi in un medesimo istante
fanno veder compiuti il comando del
maestro e l'esecuzione perfetta del
discepolo. Perciò si attengono alla via
stretta, come il Signore disse: Stretta
è la via che conduce alla vita. — On-
d'essi, non vivendo a loro talento, né
chinandosi ai desiderii e alle voluttà,
ma movendosi secondo il giudìzio e
l'ordine altrui, vivendo nei chiostri,
bramano che un Abbate a loro pre-
sieda. Coloro senza dubbio si confor-
mano a quella sentenza del Signore,
che dice: Io non venni a fare la vo-
lontà mia, ma di Colui che mi mandò.-
Ma questa stessa obbedienza allora
sarà accetta a Dio e soave agli uo-
mini, se il comando sia seguito senza
trepidazione, senza tardità, senza
svogliatezza o mormorazione, e senza
rifiuti; perchè l'obbedienza che si usa
ai superiori, rendesi a Dio. E lui in-
fatti che dice: Chi voi ascolta, mo
ascolta. — E si convieue ai discepoli
r
DI S. BENEDETTO 29
prestarla di buon animo; poiché Iddio
ama il sincero donatore. Conciossia-
chè se il discepolo obbedisce di malo
animo, e se mormori, non che con la
bocca, solo col cuore ; se bone adem-
pia il comando, pure non sarà accetto
a Dìo, il quale scruta ben dentro il
cuore di chi mormora. Né poi di tale
£a.tto acquista alcuna grazia; anzi
incorre nella pena dei mormoranti,
se non si emendi e faccia penitenza.
Della Taciturnità,
€AP. 6.^
Facciamo come cantò il Profeta: Io
dissi, guarderò le mie azioni, per non
cadere in difetto con la lingua. Posi
nna guardia alla mia bocca; mi feci
muto e mi umiliai, e mi tacqui anche
sopra cose buone. — Qui il Profeta
ci mostra, che se talvolta per amore
della taciturnità, devesi anche ces-
sare dai buoni discorsi, or tanto mag-
giormente, per isfuggire la pena del
30 LA REGOLA
peccato, convien guardarsi dal cattivo
parlare. Adunque, per serbare la gra-
vità del silenzio, di rado si conceda
ai perfetti discepoli licenza di parlare,
ancora che di buone, sante ed edifi-
canti cose; poiché sta scritto: Nel
molto parlare nou isfuggirai il pec-
cato. — E altrove: La morte e la
vita sono in potere della lingua. —
Giacché conviene al maestro il parlare
e r insegnare, e al discepolo il tacere
e l'ascoltare. Epperò se si ha da ri-
chiedere qualcosa al Superiore, si
faccia con ogni umiltà e soggezione e
riverenza. Gli scherzi poi e le parole
oziose e ridevoli vogliamo in tutti
luoghi perpetuamente vietate, né a
simile parlare permettiamo che il di-
scepolo schiuda mai il suo labbro
Beirumiltà.
GAP. 7.°
La Scrittura divina, o Fratelli, grida
a nostro insegnamento, e dice : Chiun-
DI S. BENEDETTO 3^1
que si esalta sarà umiliato, e chiurrqiw
si umilia sarà esaltato. — Nel dire
dunque queste parole ci mostra che
ogni esaltazione è una specie di su-
perbia. Dalla qual cosa il Profeta
e' indica doverci guardare, dicendo:
O Signore, il mio cuore non si è esal-
tato, né i miei occhi si sono levati in
alto. Né ho camminato in sublime, né
ìa vanità di me stesso. — Ma che ? — '
Se non ho sentito di me umilmente,
ed ho anzi esaltata Tanirna mia ; mi
son trovato poi come il fanciullo spop-
pato di fresco. — Laonde, o fratelli,
se vogliamo toccare la cima dell'ec-
celsa umiltà, e velocemente giungere
a queWa celeste esaltazione, a cui si
ascende per l'umiltà della presente
vita; e a condurre in alto le nostre
azioni, fa d'uopo innalzare quella
scala, che apparve in sonno a Gia-
cobbe, per la quale si mostravano a
lui gli Angeli scendere e salire. Quel
discendere e salire, senza dubbio non
va da noi inteso in altro modo, se nou
L« #-.!kA.<.
32 XA REGOLA.
che si discende coiresal tarsi, si sale
su coirumiliarsi. La stessa scala poi
innalzata, è la nostra vita al mondo,
la quale per chi si umilia nel cuore il
Signore gliela indirizza al cielo. I lati
di questa scala però diciamo essere il
corpo e l'anima nostra, e in quei lati
la vocazione divina appoggiò diversi
gradi di umiltà o di disciplina, che noi
dobbiamo salire.
Il prin>o grado di umiltà pertanto
è, che mettendosi sempre innanzi agli
occhi il timore di Dio, si fugga del
tutto l'ignavia. Il discepolo ognora si
dee ricordare di tutto ciò che comanda
Iddio, qualmente coloro «he lo disprez-
zano, piombano per il peccato nell'in-
ferno', e sempre rivolgere per la
mente la vita eterna, che è preparata
a coloro che Io temono. E guardandosi
in ogn' istante dai peccati e dai vizii,
sia pronto a soffocare i desiderii e i
movimenti dei pensieri, della lingua,
degli occhi, delle mani, dei piedi, del
proprio volere, e molto pi ìi della carne.
DI «. BENEDETTO 33
'Consideri Tuomo eh' egli è sempre
Bd ogni ora dal Cielo riguardato da
Dio, e le sue azioni sono conte alla
Divinità dovechessia, e riferite dagli
Angeli a Dio in ogni momento. Questo
ci espone il Profeta, quando ci de-
scrive Iddio sempre presente ai nostri
pensieri, dicendo: Iddio che scruta le
reni e i cuori. — Ed anche: il Signore
conosce i pensieri degli uomini. — E
similmente dice: Tu intendesti i miei
pensiera da lungi ;— e, Che il pensiero
dell'aomo a te si svelerà da sé.— Onde
Fumile fratello» per essere vigilante
contro i suoi perversi pensieri, dica
sempre in cuor suo: Io allora sarò
immacolato dinanzi a Lui, quando mi
sarò guardato dal mio peccato. —
«Ci viene inoltre proibito di fare la
propria volontà, mentre la Scrittura
ci dic^: rivoltati dal tuo volere. —
E così pure : Preghiamo Iddio nell'o-
razione, onde sia fatta in noi la sua
volontà. — Ora a buon diritto noi
siamo ammaestrati a non fare la no-
*
34 LA REGOLA
stra volontà, per isf uggire quello che
dice la S. Scrittura: Sonovi alcune
strade che sembrano agli uomini rette,
e il fine di esse s'immerge nel pro-
fondo deir inferno. — E cosi dobbiamo
guardarci anche da quello eh' è scritto
dei negligenti: Sono divenuti corrotti
ed abominevoli nei loro voleri. —
Crediamo poi che Dio ha sempre pre-
sente qualsiasi nostro desiderio car-
nale, mentre il Profeta dice al Si-
gnore : Egli è dinanzi a te ogni mio^
desiderio. —
Bisogna dunque perciò scacciare
ogni pravo desiderio, perchè la morte
dell'anima viene appresso all'entrata
del diletto. Onde la scrittura comanda
dicendo: Non andare dietro le tue
concupiscenze. — Se dunque gli occhi
del signore osservano e buoni e cat-
tivi, e il Signore dal cielo sempre
guarda ai figli degli uomini, per ve-
dere se sia tra loro chi conosca e
cerchi Dio; e se le nostre azioni ven-
gono di continuo notte e giorno an-
DI S. BENEDETTO 35
nunzìate al nostro Creatore dagli
Angeli per noi deputati; conviene
dunque guardarsi ognora, o Fratelli
(come dice il Profeta nel Salmo),
àflSnchè talvolta Iddio non ci vegga
inchinati al male e fatti inutili ; e per-
donandoci in, questo tempo (perchè
egli è pietoso, ed attende che ci rivol-
giamo al megJio), non ci dica nell'av-
venire : Tu operasti cosi^ ed io mi
tacqui. —
Il secondo grado di umiltà è, se al-
cuno, non amando la propria volontà,
non prende piacere di sodisfare ai suoi
desideri!, ma si conforma nel fatto a
quella voce del Signore che dice: Io
non venni a fare la mia, ma la volontà
di colui che mi mandò. — Similmente
dice la Scrittura: La voluttà reca la
pena, e la necessità partorisce la
corona. —
Il terzo grado di umiltà è, che uno
si sottometta con ogni obbedienza al
Superiore per amore di Dio, imitando
il Salvatore, di cui dice l'Apostolo:
L:..
36 LA. REGOLA
Fatto obbediente ìnsino alla morte.—
Il quarto grado dì umiltà, è che
nello stesso obbedire in dure e contra-
rie cose, ovvero nel ricevere ingiurie
qualsiano, nel silenzio e nella pace
della coscienza si abbracci la pazienza;
e forte stando in essa,. non si lasci
vincere da stanchezza o da fastidio;
dicendo la Scrittura : Chi avrà perse-
verato sino alla fine, questi sarà
salvo. — Come pure: Si conforti il
tuo cuore, e aspetta quel che piace al
Signore. — E volendo mostrare, che
la persona fedele ha da sopportare
ogni contrarietà per amor del Signore,
dice anche in persona dei tribolati:
Noi per te siamo tratti a morte ogni
giorno, e siamo reputati come pecore
da sgozzare. — Epperò, certi nella
speranza della divina retribuzione,
proseguono lieti a dire : Ma in tutto
questo riusciamo vincitori in grazia
di Lui, che ci ha amato tanto. — E si-
milmente altrove sta scritto: Tu ci
hai provati, o Dio ; tu ci hai purgati
1
DI S. BENEDETTO 37
col fuoco, come argento ; ci hai tratti
presso al laccio ; hai poste le trihola-
zionì sopra le nostre spalle. — E per
mostrare che noi dobbiamo stare sotto
al Superiore, conchiude dicendo: Tu
hai imposto uomini sulle nostre te-
ste. — Ma coloro che nelle avversità
e negli oltraggi adempiono il precetto
divino della pazienza, e percossi in
una guancia porgono anche Taltra, e
a chi loro toglie la tunica lasciano
anche il pallio, e angariati per un mi-
glio vanno oltre anche due miglia;
costoro, a simìglianza dell'Apostolo
Paolo, sopportano i falsi fratelli e le
persecuzioni, e benedicono quelli che
li maledicono.
Il quinto grado di umiltà é, se tutti
i cattivi pensieri che sorgono in cuore^
o il male nascostamente commesso,
per umile confessione si palesino al
proprio Abbate. A ciò ne esorta la
Scrittura, quando dice: Svela al Si-
gnore ì tuoi procedimenti, e spera in
lui. — E similmente dice : Aprite le
38 LA REGOLA
anime vostre al Signore, perocché egli
è buono, ed eterna è la sua miseri-
cordia. — Come anche il Profeta: Io
ti feci aperto il mio delitto, né celai
le mie ingiustizie : ho detto, io esporrò
contro me i miei peccati al Signore ;
e tu mi rimettesti l'empietà del mio
cuore. —
Il sesto grado di umiltà è, che il
monaco sia contento di ogni cosa vile
e di ogni penuria; e giudichi sé come
inetto e indegno operajo in tutto quel
che egli è comandato, dicendo col Pro-
feta: Io mi sono ridotto al niente, e noi
seppi: son fatto come giumento al tuo
servigio, e sempre sono con te. —
Il settimo grado di umiltà è che
non solo ci confessiamo con la bocca
inferiori a tutti e i più dispregevoli,
ma ancora il crediamo nell' intimo del
cuore, umiliandoci e dicendo col Pro-
feta: Io poi son verme e non uomo,
obbrobrio degli uomini e feccia della
plebe: io mi sono esaltato, e tu mi
hai umiliato e confuso. — E simil-
À
r
DI S. BENEDETTO 39
mente: Buon per me, che mi hai umi-
liato; affinchè io apprenda i tuoi
comadamenti. —
L'ottavo grado di umiltà e, che il
monaco nulla faccia, se non quello che
consiglia la comune regola del Mona-
stero e l'esempio dei maggiori.
Il nono grado di umiltà è, che il
monaco vieti alla sua lingua il parlare;
e serbando il silenzio, non parli se
non interrogato, per non incorrere in
quello che avverte la Scrittura: Che
nel molto parlare non si sfugge il pec-
cato; e che l'uomo chiacchierone cam-
mina senza direzione sulla terra. —
Il decimo grado di umiltà è, che il
monaco non sia facile e pronto al riso,
poiché sta scritto : Lo stolto nel ridere
leva in alto la sua voce. —
L'undecimo grado di umiltà è, che
il monaco parli soave e severo, umile
« grave, poco e con ragione, né sia
giammai sfacciato nel tuono della
voce; mentre è scritto: Il savio si
distingue alle poche parole. —
40 EA REGOLA
Il duodecimo grado di umiltà é, cfi4^
il monaco non solo conservi Fiimilfà
nel cuore, ma anche la dimostri sem-
pre nel suo portamento a tutti quelli
che lo veggono; cioè neiropera di Dio,
neirOratorio, per il Monastero, nel-
Torto, nella via, nel campo,, o dove-
chessia, sedendo o camminando, o
stando in piedi; e abhia sempre il capo
chino, gli occhi al suolo, stimandosi
ognora reo dei propri! peccati^ e in
atto di presentarsi al tremendo giu-
dizio di Dio; ripetendo sempre quell»
che il pubblicano dell'Evangelo diceva
con lo sguardo volto alla terra: G Si-
gnore, non sono degno io peccatore di
levare gli occhi miei al cielo. — Ed
anche col Profeta: Io vo sempre curv»
ed umile da pertutto. —
Pertanto,, ascesi che abbia il monaco
tutti questi gradi di umiltà, presto
giungerà a quella carità di Dio, che
quando è perfetta, manda via ogni
timore: per mezzo della quale lutto
ciò che prima ci faceva con qualche
DI S. BENEDETTO 41
trepidazione, rincomincerà a fare
quasi naturalmente, per consuetudi-
ne, senza veruna fatica, non per tema
dell' inferno, ma per amore di Cristo,
e per la stessa soddisfazione della
virtù : E questa buona sodisfazione è
appunto ciò che il Signore per lo Spi-
rito Santo si compiacerà di far pro-
vare al suo operajo mondo dai vizi! e
dai peccati.
Degli Offlcii divini di notte.
CAP. 8.*
Nella stagione invernale, cioè da)
primo di novembre sino a Pasqua, per
una ragionevole considerazione, si de-
stino i monaci all'ora ottava della
notte, sicché riposino appena un poco
più di là della mezza notte, e si levino
digeriti. Il tempo che resta dopo la
veglia, si occupi nella meditazione e
nel recitare qualche parte del salterio
delle lezioni che fosse stata trala-
sciata.
42 LA REGOLA
Da Pasqua poi sino al primo di no-
vemb^e, Torà della veglia sia regolata
in guisa, che lasciato un brevissimo
intervallo ai fratelli on d'escano per
le necessità naturali, subito si attacchi
il mattutino, che dee cantarsi al primo
apparire della luce.
Quanti salmi si abbiano a dire
nelVoffìcio di notte.
GAP. 0.« ,
Nella stagione invernale, premesso
primieramente il veiso: Deiis iti adju-
iorium meum in tende ^Domine adadjì/r
vandum me festina^ si dica tre volte :
Domine làbia mea aperies, et os meum
annuntiabit laudem tuam. A cui si
dee aggiungere il terzo salmo, e il
Gloria. Dopo questo, si canti con an-
tifona il salmo nonagesimo quarto.
Appresso pongasi Tlnno; e poi si re-
citino sei salmi con le antifone. Finiti
i quali, e detto il verso, TAbbate dia
la benedizione. E sedendo tutti sulle
DI. S. BENEDETTO 4*^
scranne, si leggano a turno dai fratelli
nel codice sul leggio tre lezioni, cui
s'intramezzino tre responsorii cantati.
Dopo la terza lezione però, colui che
canta dica il Gloria, E mentre il Can-
tore incomincia a dirlo, subito tutti
si alzino dalle scranne, per onore e
riverenza della santissima Trinità.
I Codici che si devono leggere in
queste veglie, siano di autorità divina
o del vecchio testamento o del nuovo,
e cosi anche i loro commenti, fatti dai
più rinomati Padri ortodossi e cat-
tolici.
Dopo queste tre lezioni e suoi re-
sponsorii, sieguano altri sei salmi
coWAllehija cantata. Quindi si dica a
memoria la lezione dell'Apostolo, il
verso, e la supplicazione della litania,
cioè, Kyrie eleison; e cosi finiscano
le Veglie della notte.
44 LA REGOLA
Come si deve t^egolare r officio
di notte in tempo di estate,
GAP. lO.o
Da Pasqua sino al primo di novem-
bre, si mantenga tutto il numero dei
salmi, come si è detto; non però, at-
tesa la brevità delle notti, sì leggano
le lezioni nel codice : ma invece di
esse tre lezioni, se ne dica a memoria
una sola del vecchio testamento, cui
si aggiunga il responsorio breve: e si
faccia in tutto, come è stato detto, in
guisa che nell'officio di notte mai non
si dicano meno di dodici salmi, senza
computare il terzo e il nonagesimo
quarto.
Come si dee regolare rofficio
della notte nei giorni di Domenica.
GAP. 11. <>
Nel giorno di Domenica si sorga
alle veglie più presto, e si tenga la
stessa forma ; cioè, recitati (come so»
DI S. BENEDETTO 45
pra abbiamo stabilito) sei salmi e il
Terso, sedendo tutti man mano e per
ordine nelle scranne, si leggano nel
codice (come già dicemmo) quattro
lezioni coi loro responsorii, e solo al
quarto responsorio si dica dal cantore
il Gloria II quale appena cominciato,
subito tutti si levino con riverenza.
Dopo le dette lezioni, sieguano ordi-
natamente altri sei salmi con le anti-
fone, come i primi, e il verso. Quindi
si leggano altre quattro lezioni coi
loro responsorii nello stesso ordine.
Poi dì nuovo si dicano tre cantici dei
Profeti, che saranno stabiliti dall' Ab«
bate; i quali cantici si recitino col-
YAlleluja, Detto anche il verso, e data
la benedizione dall'Abbate, si leggano
altre quattro lezioni del nuovo testa-
mento, come sopra. Dopo il quarto re-
sponsorio, l'Abbate incominci l'Inno,
Te Deum laudamus. Finito il quale,
dica l'Abbate la lezione dell'Evangelo,
stando tutti ritti con riverenza e tre-
more. Ed essa compiuta, tutti rispon-
46 LA REGOLA
dano Amen. Subito T Abbate prosie-
^ua a dire V inno : Te Decet laus. —
E data la benedizione, s'incominci
Tofficio del mattino.
Quest'ordine delle Veglie sempre si
mantenga lo stesso nei giorni di Do-
menica, tanto di estate che d'inverno;
se non forse (che mai non sia !) si de-
stino i fratelli troppo tardi, e con-
venga allora abbrevfare qualche cosa
delle lezioni o dei responsorii. Ma
però si badi che questo mai non acca-
da. Che se pure accadesse, colui per
cui negligenza accadde, ne renda a
Dio degna sodisfazione nelTOratorio.
Come si debba regolare il
Mattutino solenne,
GAP 12.«
Neirofficio mattutino della Dome-
nica, prima si dica il salmo sessagesi-
mo sesto distesamente, senza antifona.
Poi si dica il cinquatesimo coir-4//^-
luja; e indi dicasi il centesimo decimo
DI S. BENEDETTO 47
settimo e il sessagesimo secondo.
Vengon poi le benedizioni e le laudi,
una lezione dell'Apocalisse a memo-
ria, il responsorio, Tinuo, il verso, il
cantico del Vangelo, le litanie; e si
finisce.
Come si debba regolare il Mattutino
nei giorni feriali.
GAP. 13.«
Nei giorni feriali l'officio mattutino
si regoli così, che si dica il salmo
sessagesimo sesto senza antifona, al-
lungandolo un poco (come anche la
Domenica), affinchè tutti si trovino al
cinquantesimo, che si dirà coiranti-
fona. Dopo di che si dicano altri due
salmi secondo il fissato; cioè, nella
feria seconda, il quinto e trentesimo
quinto ; nella terza feria, il quarante-
simo secondo e il cinquantesimo se-
sto; nella quarta feria, il sessantesimo
terzo e sessantesimo quarto: nella
quinta feria, l'ottantesimo settimo e
48 LA REGOLA
rottantesimo nono: nella sesta feria, il
settantesimo quinto e il nonagesìmo
primo: nel sabbato poi il centesimo
quarantesimo secondo, e il cantico dei
Deuteronomio, che si divideiÀ in du«
Gloria. Ma negli altri giorni si dica ii
cantico dei Profeti, appropriato a q«el
giorno, come usa la Chiesa Ronuuia.
Dopo dì ciò si dicano le laudi, e poi una
lezione deir Apostolo, a memoria, il
responsorio, V inno, il verso, il cantico
del Vangelo, la litanie : e si finisce.
L'officio del mattino e della sera
non termini giammai, senza che si dica
in ultimo dal Superiore, ascoltando
tutti, Torazìone domenicale, a cagione
delle spine degli scandali che sogliono
nascere ; onde tutti i presenti, per la
promessa di quell'orazione, con cui
dicono, Rimetti a noi i nostri debiti
come anche noi li rimettiamo ai nostri
debitori, si purifichino da cosifatto vi-
zio. Ma Tultima parte di questa ora-
zione si reciti da tutti sicché ognuno
risponda; Sed libera nos a malo.
BI S. BENEDETTO 49
Come si debba regolare V officio di
notte nelle feste dei Santi,
GAP. 14.» .
Nelle festività dei Santi e nell'altre
solennità, si regolerà Tofficio, com' è
stato detto per la Domenica: tranne
che si diranno i salmi, le antifone e
le lezioni appropriate al giorno ; ma
sempre con l'ordine detto di sopra.
In quali tèmpi si debba dire
VAlleluja.
GAP. 15.°
Dalla santa Pasqua sino alla Pente-
coste, dicasi sempre VAlleiuja, tanto
nei salmi quanto nei responsorii.
Dalla Pentecoste poi sino al principio
di Quaresima, dicasi solo ogni notte
con i sei salmi del secondo notturno.
Ogni Domenica poi fuor di Quaresima,
il Mattutino, Prima, Terza, Sesta, e
fc.ftf^.V.
50 LA REGOLA
Nona si dicano colV Alleluja. I Vespri
però si dicano coU'antifona. I Reepon-
sorii poi non si dicano mai co\Y Alle-
luja, se non da Pasqua a Pentecoste.
Come si abbiano a regolare gli
officii divini nel giorno.
GAP. 16.0
Secondo che dice il Profeta: Sette
volte al dì io ho detto le tue Lodi; cosi^^
noi adempiremo qneeto sacro numero
settenario, se renderemo a Dio il de-
bito della nostra servitù al tempo del
Mattutino, di Prima, Terza, Sesta,
Nona, Vespero e Compieta : perocché
di queste ore diurne dice il Profeta:
Sette volte al di io ho detto le tue
lodi. — Ed anche della veglia notturna
il Profeta dice il medesimo: lo mi
levava a mezza notte per celebrarti. —
Adunque rendiamo lode al nostro
Creatore per i suoi giustissimi giud^zii
in questi tempi diversi ; cioè, al Mat-
DI S. BENEDKTTO 51
tino, a Prima, a Terza, a Sesta, a
Nona, a Vespro e a compieta; e di
notte alziamoci a magnificarlo.
Quanti salmi si debbano di7*e
in dette ore.
GAP. 17.^
Già abbiamo esposto l'ordine della
salmodia deirofBcio della notte e del
mattino : ora diciamo delle altre ore.
A prima si dicano tre salmi distinti,
e non sotto lo i stesso Gloria. L' inno
di essa ora si dica dopo il verso Deus
in adjutorium meum intende, avanti
che s'incomincino i salmi. Finiti poi
questi tre salmi, si reciti una sola le-
zione, il verso, il Kyrie eleison\ e si
finisce.
A Terza poi, Sesta, e Nona si man-
tenga lo stesso ordine ; vale a dire il
verso, rinno di ciascheduna ora, tre
salmi, la lezione, il verso, il Kyrie
eleison, e si finisce.
Se la comunità fosse numerosa, si
52 LA RÈGOLA
dicono i salmi colle antifone ; se pic'
cola, si recitino di sèguito.
L'officio del Vespro poi si compia
in quattro salmi colle antifone ; dopo
i quali si reciti la lezione, ìndi il rè-
sponsorio, l'inno, il verso, il Cantico
del Vangelo, la litania e l'orazione
domenicale, e si finisce.
La Compieta finalmente si termini
colla recita di tre salmi. I quali salmi
si dicano di sèguito e senza antifona.
Poi vien l'Inno di quell'ora, la lezione
unica, il verso, il Kyrie eleison, la
benedzione., e si finisca.
Con guai ordine si debbano dire
i detti salmi.
CAP. 18.^
In principio si dica il verso: Deus
in adjutorium meum intende^ il Glo-
ria^ e appresso l'Inno di ciascheduna
ora. Poi a Prima della Domenica si
dicano quattro parti del salmo cente-
simo decimo ottavo. Nelle altre ore.
DI S. BENEDETTO 53
cioè a Terza, Sesta, e Nona, si dicano
tre altre parti dello stesso salmo cen-
tesimo decimo ottavo. A Prima della
Feria seconda dicansi tre salmi, cioè,
il primo, il secondo e il sesto ; e cosi
ogni giorno, sino alla Domenica, di-
cansi a Prima per ordine tre salmi,
sino al decimonono ; in modo però che
il nono e il decimosettimo si dividano
in due Gloria; e questo è per inco-
minciare sempre Tofficio di notte nella
Domenica dal vigesimo salmo. A Ter-
za poi, Sesta e Nona della Feria se-
conda, si dicano le rimanenti nove
parli del salmo centesimo decimo ot-
tavo, tre per ciascun' ora.
Espletato dunque il salmo cente-
simo decimo ottavo in due giorni, cioè
nella Domenica e nella-Feria seconda;
nella Feria terza si recitino a tre a tre i
nove salmi dal centesimo decimo nono
al centesimo vigesimo settimo. 1 quali
salmi si ripetano sempre ogni giorno
sino alla Domenica nelle medesime
ore, mantenendo ogni di una disposi-
54 LA REGOLA
zione uniforme circa gì' inni, le lezio-
ni, e ì versi ; in modo che la Domenica
si ricomìnci sempre dal centesimo
decimo ottavo.
Il Vespro poi si canti ogni giorno
con la recitazione di quattro salmi.
I quali s'incomincino dal centesimo
nono, sino al centesimo quarantaset-
tesimo; eccetto i salmi che sono presi
per recitarsi nelle altre ore ; cioè dal
centesimo decimo settimo sino al cen-
tesimo vigesimo settimo, eccetto an-
che il centesimo trigesimo terzo, e
il centesimo quarantesimo secondo.
Tutti gli altri si dicano a Vespro.
E siccome mancano tre salmi, perciò
si dividano i più lunghi tra essi; cioè
il centesimo trigesimo ottavo, il cen-
tesimo quadragesimo terzo, e il cen-
tesimo quadragesimo quarto. Ma il
centesimo decimo sesto, perchè è bre-
ve, si unisca col centesimo decimo
quinto. Esposto pertanto l'ordine dei
salmi del vespro, nel resto, cioè le-
zioni, responsorii, inni o cantici, si
DI S. BENEDETTO 55
faccia tutto come di sopra è detto.
A Compieta finalmente si ripetano
ogni giorno gli stessi salmi, cioè il
quarto, il nonagesimo, e centotrente-
simo terzo.
Spiegato l'ordine della salmodia
diurna, tutti i rimanenti salmi si di-
stribuiscano egualmente per la veglia
di sette notti, dividendo al solito quelli
che fossero troppo lunghi: e cosi si
assegnino dodici salmi per notte.
Intorno a ciò particolarmente si av-
verta, che se questa distribuzione di
salmi non tornasse bene, si stabilisca
altrimenti, se megtio sarà giudicato;
purché in ogni modo si abbia riguardo
a ciò, che in ogni settimana si reciti
il Salterio di cento cinquanta salmi, e
nell'officio di notte della Domenica si
rincominci da capo. Perciocché troppo
pigri si dimostrano al divino servizio
quei monaci, che nel corso della set-
timana recitano meno di tutto il Sal-
terio, oltre i soliti cantici; quando
leggiamo che i Santi Padri compie-
56^ LA REGOLA
rano in un giorno francamente quello
che noi tiepidi (lo faccia il cielo) adem-
piamo in una intiera settimana.
Della disciplina del salmeggiare.
GAP. 19.°
Noi crediamo che Iddio è presente
dapertutto, e che gli occhi del Signore
ricercano in ogni luogo i buoni e i
eattivi. Però senza verun dubbio si ha
da credere che ciò sia massimamente,
quando assistiamo all'officio divino.
Perciò rammentiamoci sempre di quel
del Profeta: Servite al Signore con
timore. — E altrove: Salmeggiate
sapientemente. — Ed anche; Io salmeg-
gerò al cospetto degli Angeli. — Con-
sideriamo pertanto, come ci convenga
di stare alla presenza di Dio e dei suoi
Angeli; e salmeggiamo in modo, che
la nostra mente si accordi alla nostra
voce.
DI S. BENEDETTO 57
Della riverenza nell'orazione.
GAP. 20.«
Se nel manifestare qualche cosa
agli uomini potenti, non Tosiamo se
non con umiltà e riverenza: quanto
più nel supplicare il Signore Iddio
dell'universo, bisognerà usare umiltà
e purezza di devozione? e sappiamo
bene, che non pel molto parlare, ma
per la purità del cuore e la compun-
zione del pianto noi siamo esauditi.
Perciò l'orazione dev' essere pura e
breve, se forse per effetto di divina
ispirazione non si prolunghi. Ma l'ora-
zione che si fa in comune, sia breve
in ogni caso, e dato il segno dal supe*
riore, tutti insieme si levino.
Dei Decani del Monastero^
GAP. 21.'>
Se la comunità è grande, si scelgano
di essa alcuni fratelli di buon esempio
e santa^viia, e si costituiscano Decani,
58 LA REGOLA.
per aver cura delle rispettive decanìe
in tutto, secondo ì comandamenti di
Dio e gli ordini dell'Abbate. Essi De-
cani siano scelti tali, che sopra di loro
possa sicuro l'Abbate appoggiare parte
del suo peso. Né si devono scegliere
per ordine, ma secondo il merito della
buona vita e la cognizione della vera
sapienza.
Che se alcuno tra essi, per avven-
tura gonfiato dalla superbia, sia tro-
vato riprensibile; e ripreso una, due
e tre volte non si emendi, sia dimesso;
e nel posto di lui sia surrogato chi ne
è degno. E il medesimo stabiliamo
del Priore.
Come debbano dormire i monaci,
GAP. 22.«
Ciascheduno dorma nel suo letto.
Dispongano i Monaci i loro giacigli
secondo il tempo della conversione,
come TAbbate vuole. Se si può, tutti
dormano in uno stesso luogo. C)ie se il
DI S. BENEDETTO 59
troppo numero noi consente, riposino
a dieci o venti coi loro Deoani, che
veglino sopra di essi. Nello stesso
dormitorio arda il lume sempre sino
al mattino.
Dormano vestiti, e cinti ai lombi
con cingoli o corde; e non abbiano,
mentre dormono, le coltelle a fianco,
onde per caso non si feriscano nel son-
no. Così essi saranno sempre pronti ;
e fatto il segno, levandosi senza in-
dugio, si affrettino a gara di arrivar
primi all'opera di Dio, ma con ogni
gravità e modestia. I fratelli piìi gio-
vani non abbiano i letti vicini l'uno
airaltro, ma tra quelli de' più vecchi.
Nel levarsi poi per andare all'opera
di Dio, si eccitino vicendevolmente,
ma con garbo, per non dare una scusa
ai sonnolenti.
Della scommunica per le colpe.
GAP. 23.«
Se qualche fratello sarà trovato pro-
tervo, o disobbediente, o superbo, o
60 LA REGOLA
mormoratore, o contrario in alcuna
cosa alla santa Regola^ e dispregia-
tore de' comandamenti dei piU vecchi;
costui, secondo il precetto del nostro
Signore, sia ammonito una e due volte
privatamente dai suoi Decani. Se non
si emenderà, sia sgridato pubblica-
mente alia presenza di tutti. Che se
neanche cosi si correggerà, sia sotto-
posto alla scommunica, se comprende
la gravità della pena. Se poi è incor-
regibile, sia punito con pene fcorporali.
Qnale sia la pena della scommunica.
GAP. 24.^
La pena della scommunica o della
correzione deve commisurarsi alla
gravezza della colpa; e il giudizio di
ciò dipende dairarbitrio deirAbbate.
Che se alcun fratello è trovato reo di
colpe leggiere, non sia ammesso alla
mensa comune. Or a colui che é pri-
vato della mensa comune, sia questa
legge, che non intoni salmo o antifona
-?
DI S. BENEDETTO 61
neiroralorio, né reciti lezione, sino a
che non abbia sodisfatto. Egli da solo
prenda ristoro di crbo dopo la refe-
zione dei fratelli: cosicché se, per
esempio, i fratelli si ristorano all'ora
sesta, esso il faccia a nona ; e se i fra*
telli a nona, egli a respro ; fintantoché
con una condegna sodisfazione non
ottenga il perdono.
Delle colpe più gravi.
GAP. 25.^
Qael fratello poi, che si é fatto reo
di più grave colpa, sia sospeso e dalla
mensa e dall'oratorio : ninno dei fra-
telli gli si avvicini o entri in discorso
con lui. Stia in tutto solo al lavoro
commessogli, perseverando in lutto di
penitenza; memore di quel terribile
detto delFApostolo : Uomo di tal fatta
é come consegnato a Satanasso per la
mortificazione della carne, onde lo
spirito sia salvo nel di del Signore. -^
Solo anche prenda ristoro di cibo, in
62 LA REGOLA •
quella quantità e in quell'ora, che
l'Abbate giudicherà competente. Né
coloro che lo incontrano, lo benedi-
cano; né il cibo che gli vien dato sia
benedetto.
Di coloro che senza il comandamento
deW Abbate si uniscono agli
scommunicati.
GAP. 26.°
Se qualche fratello presumerà,
senza il comandamento dell'Abbate,
di unirsi in qualsiasi modo a un con-
fratello scommunicato, o parli con lui,
gli dia una commissione, cada lui
nella stessa pena di scommunica.
Come debba essere sollecito l'Abbate
cÌ7xa gli scommunicati,
GAP. 27.°
Gon ogni sollecitudine prenda cura
l'Abbate dei fratelli delinquenti ; per-
chè del medico non ha bisogno chi è
DI S. BENEDETTO 63
sano, ma chi è infermo. E perciò egli
deve usar sempre come un bravo me-
dico : spedire a lui, come secreti con-
solatori, i pili saggi e vecchi fratelli,
che quasi di soppiatto consolino il
fratello vacillante, e lo conducano al-
Tumiltà della sodisfazione. E lo con-
fortino; affinchè non rimanga oppresso
dal soverchio della tristezza. Ma, come
dice r A postolo, sia accresciuta verso
di lui la carità, e si preghi da tutti
per lui ; perocché sommamente deve
prendersi pensiero l'Abbate, e con
ogni sagacità ed industria, delle pe-
corelle a lui commesse, guardando
che niuna se ne perda; dacché sa ben
egli di aver tolto a curare le anime
inferme, e non a tiranneggiare le sane.
E tema la minaccia del profeta, per
bocca del quale dice Dio: Voi vi pren-
devate lutto ciò eh' era pingue, e git-
tavate tutto ciò eh' era meschino. —
Imiti l'esempio santo del buon pa-
store; il quale, abbandonate le no-
vantanove pecorelle sui monti, se ne
1.-L'*-.
04 Là regola.
andò ÌQ traccia di quella sola eh* era
smarrita: della coi miseria ebbe tanta
compassione, che si- degnò mettersela
sopra le sacre sue spalle, e così ri-
portarla all'ovile.
Di coloro che piìi mite corretti, non
si saranno emendati,
CAP. 28.°
Se qualche fratello^ spesse Volte
corretto per qualsivoglia delitto, ed
anche scommunit;ato, non si sarÀ
emendato, gli si applichi piìi aspra
correzione; cioè si proceda contro di
lui alla pena delle battiture. Che se
neanche per tal modo si sarà conver-
tito, ed anzi (che mai non avvenga 1)
levatosi in superbia voglia anche di-
fendere anche le sue azioni; allora
l'Abbate operi da sapiente medico.
Se porse lenitivi, unguenti di esorta-
zioni, medicamenti di scritture divine,
^ in ultimo il fuoco della scommunica
o le ferite delle battiture, e già a
M S. BENEDETTO 65
niente vide tornare la sua industre ca-
'rità; adoperi per lui anche, ciò eh' è
maggior di ogni cosa, l'orazione sua e
di tutti i Monaci; affinché il Signore,
che è onnipotente, ridoni la salute
air infermo fratello. Che se neppure
per questo mezzo si sarà risanato,
allora finalmente TAbbate usi il ferro
del taglio, come dice l'Apostolo: Re-
cidete da voi il maligno. — e Altrove:
Se l'infedele ya via, se ne vada; af-
finchè una pecora appestata non con-
tamini tutta la greggia.
Se debbano di nuovo riceverai
i fratelli usciti di monastero,
CAP. 29.'>
Un fratello che per suoi vizii esce
o è cacciato di monastero, se vorrà
tornare, prometta in pria ia piena
emenda da quei vizio, per cagion del
quale si partì ; e cosi sia ricevuto nel-
l'ultimo luogo, per provare con ciò
l'umiltà di lui. Che se uscirà per la
5
66 LA REGOLA
seconda volta, sino alla terza sìa rice-^
vuto. MO;^ sappia poi che gli sarà ne-
gata ogni via di ritorno.
Bel modo come si hanno a correggere
% fanciulli.
GAP. 30.O
Ad ogni età ed intellingenza deve
corrispondere una propria maniera di
correzione. Perciò quante volte i fan-
ciulli gli adolescenti, che non com-
prendono la grave pena della scom-
munica, cadono in mancamento, per
risanarli, siano puniti o con lunghi di-
giuni, raffrenati con aspre battiture.
Del Cellerario del Monastero^
quale debba essere»
GAP. 31.°
Il Cellerario del monastero si scelga
dalla comunità, savio, maturo di co-
stumi, sobrio, non molto vorace, non
prosonluoso, non turbolento, non in-
DI S. BENEDETTO 67
gì urlatore, non tardo, non prodigo; ma
timorato di Dìo; il quale sia siccome
un padre a tutta la comunità. Egli si
prenda pensiero di tutto: senza il co-
mando dell'Abbate non faccia mai
nulla: mantenga quanto gli viene or-
dinato; e non contristi i fratelli.
Se qualche fratello chiede a lui
alcuna cosa irragionevolmente, non
però lo rampogni con disdegno; ma
nieghi la cosa ragionatamente e con
umiltà a chi male la chiede. Custodi-
sca il Cellerario Tanima sua, memore
sempre di quei precetto Apostolico:
Che il buono amministratore si pro-
caccia un gran merito. — Abbia cura
con ogni sollecitudine degl'infermi,
dei fanciulli, degli ospiti, dei poveri,
sapendo che nel giorno del giudizio
renderà conto di tutti costoro. Ri-
guarcji tu}/ti ì vasi e le sostanze del
monastero, come se fossero i vasi sacri
deiraltare. Niuna cosa permetta che
vada a male; non proceda da avaro, e
non sia prodigo o dilapidatore della
68 LA REGOLA
sostanza del monastero; ma tatto
faccia misuratamente e sotto gli or-
dini deirAbbarte,
Innanzi tutto abbia grande umiltà,
e risponda dolcemente a colui al quale
non ha che dare ; perocché sta scritto :
Il parlare soave vale più di qualsivo-
glia dono. — Tutte le cose che gli avrà
commesse l'Abbate, egli le abbia in
governo; e checché gli sarà proibito^
non ardisca di farlo. Somministri ai
fratelli il cibo stabilito, senza parzia-
lità e senza lyala grazia, per non dare
occasione di peccato; ricord^ole della
parola di Dio, che terribilmente mi-
naccia a chi avrà scandalizzato uno di
questi meschini: Meglio sarebbe se
gli fosse sospesa al collo una macina
da mulino, e fosse sprofondato in
mare 1 —
Se la comunità fosse grande, se gli
diano degli ajuti ; dai quali sostenuto,
egli equamente adempia l'officio com-
messogli. Alle ore fissate diasi ciò che
è da dare, e chiedasi ciò eh* è da
DI S. BENEDETTO 69
chiedere; onde iiiuno s^ìa, turbato o
rattristato nella casa di Dio.
Dei ferri e delle ròbe del Monastero,
GAP 32.«
L'Abbate provveda che alcuni fra-
telli, della cui vita e dei costumi sia
sicuro, prendano a custodire e racco-
gliere, com' egli giudicherà utile, tutti
i mobili del monastero; cioè ferri,
robe altre cose che siano. Delle quali
tutte, l'Abbate tenga un registro;
affinché nel succedersi dei fratelli a
vicenda in siffatta custodia, sappia ciò
che dà, e ciò che riceve. Che se mai
alcuno tratterà le robe del Monastero
sconciamente o negligentemente, sia
sottoposto alle pene regolari.
Se debbano i monaci avere cosa
alcuma di proprio,
GAP. 33.°
Sopra di ogni altro questo vizio sia
estirpato sin dalle radici nel mona-
70 LA REGOLA
stero ; che niuno cioè ardisca né dare
nò ricevere nulla senza il comando
deir Abbate, né avere cosa alcuna di
proprio, niente afiatto ; nò codice, nò
tavolette, né stilo, nuUa in somma;
come è giusto che non abbia siffatte
cose chi non ha più balìa né della pro-
pria volontà né del proprio corpo.
Tutto quello però eh' è loro necessa-
rio, debbono sperarlo dal Padre del
monastero, senza mai ritenere nulla
di ciò che l'Abbate non abbia dato o
permesso. E tutte le cose siano comuni
a tuiti, come sta scritto; e niuno dica
o mai si creda che una cosa sia sua.
Che se qualcuno fosse scoperto inchi-
nare a questo pessimo vizio, venga
ammonito una e due volte; e se non
si sarà emendato, sia sottoposto alla
correzione.
,-i
DI. S. BENEDETTO 71
Che tutti debbano avere egualmente
le cose necessarie*
OÀP. 34.*>
Sta scritto: Si distribuiva a cia-
scuno secondo'^ il bisogno. Qui però
non diciamo cbe si facciano particola-
rità a persone (che Dio non voglia),
ma che s'abbia riguardo alla debo-
lezza. Laonde chi di meno abbisogna,
renda a Dio grazia, e non si contristi.
Chi poi di più abbisogna, si umilii
della sua debolezza, e non insuper-
bisca per la compassione che gli si
usa: così tutte le membra saranno
contente.
Innazi a tutto, ni uno dimostri per
qualsivoglia causa^ né in parole né in
atti, il menomo che della maledetta
mormorazione. Che se taluno sarà
trovato reo di si gran male, sia sotto-
posto alle pene più rigorose.
k^
u.
12 LA REGOLA
Dei Setiimanarii di Cucina.
GAP. 35.°
I fratelli sì hanno da prestar ser-
vizio Tun Taltro, in modo che ninno
sia scusato dai serrizii della cucina, se
non per malattia, o per essere occu-
pati in cosa di più rilevante utilità :
poiché, da ciò si ottiene maggior pro-
fitto ed esercizio di carità. Ai deboli
però, affinchè la fatica soverchia non
li rattristi, si procaccino compagni,
secondo il numero della comunità, e
secondo la postura dei luogo. Se la
comunità è grande, il Cellerario sia
dispensato dal servizio di cucina; e
cosi anche coloro che fossero occupati
(come già dicemmo) in cose di piti
rilevante utilità. Tutti gli altri si
rendano servizio a vicenda, per amore
della carità.
Colui eh' esce di settimana, il sab-
bato rimondi tutto. Lavi i panni coi
m S. BENEDETTO 73
qaali i fratelli si asciugano mani e
piedi. E tanto lui che esce, quanto chi
entra di settimana, lavino ì piedi a
tutti. Riconsegnino al Cellerario i vasi
del loro ufficio sani e mondi. E il Cel-
lerario similmente li consegni a colui
che entra, per conoscere quel che dà,
e quel che riceve.
I Settimanarii poi, un' ora prima
della refezione, prendano un po' di
vino e di pane, oltre lo stabilito; af-
finchè all'ora della refezione possano
servire ai loro fratelli senza mormo-
razione grave fatica. Nei giorni so-
lenni però aspettino sino alle fine
della Messa. Gli Eddomadarii che en-
trano ovvero escono di settimana, la
Domenica, dopo l'Ufficio del mattino,
s'inginocchino dinanzi a tutti, nell'O-
ratorio, chiedendo che si preghi per
loro. Quelli che escono di settimana
dicano questo verso: Benedtctics es.
Domine Deus^ qui adjuvisti me, et
consolatus es me. — E detto che l'ab-
biano tre volte, ricevano la benedi-
JSi
74 LA REGOLA
zione. Venga appresso colui che entra,
dica: Deus in adjutoHum meum
intende ; Domine^ ad adjuvandum me
festina, — E il medesimo tre volte si
ripeta da tutti : e poi, ricevuta la be-
nedizione, entri in ufficio.
Dei fratelli infermi.
GAP. 36.0
Si dee aver cura degl infermi prima
e sopra di ogni altra cosa, servendo
ad essi, come se davvero si servisse a
Cristo. Perciocché Egli disse: Fui in-
fermo, e mi visitaste. — Ciò che fa-
ceste ad uno di questi piccoli, a me lo
avete fatto. —
Ma gli stessi infermi considerino
ancora, che si serve a loro per ri-
guardo di Dio; e non rattristino con
le loro indiscretezze i fratelli che li
servono. I quali nondimeno si deb-
bono comportare con pazienza, perché
in tali casi si acquista più larga mer-
DI S. BENEDETTO 75
cede. Adunque l'Abbate abbia gran-
dissima cura, onde gF infermi non
patiscono per qualche negligenza.
Ai fratelli infermi sia deputata una
camera da ciò, e un servo timorato di
Dio, diligente e pronto. L'uso dei ba*
gni sia conceduto agl'infermi, ogni
volta che convenga : ma ai sani, mas-
simamente ai giovani, assai di rado
si conceda. 11 mangiar carne però in
ogni modo si permetta agi' infermi e
ai molto indeboliti, affinchè ripiglino
le forze. Appena poi si saranno rista-
biliti, tutti, secondo il consueto, si
astengano dalle carni.
Eserciti infine l'Abbate somma vi-
gilanza, affinché gì' infermi non siano
negletti dai Oellerarii e dai servi :
giacché a lui si ascrive ogni manca-
mento dei discepoli.
76 LA REGOLA
Dei vecchi e dei fanciulli,
GAP. 37.*
Sebbene la stessa umana natura è
da sé compassionevole verso queste
età, dei vecchi, cioè, e dei fanciulli;
pure anche Tautorità della Regola è
utile che vi provveda.
Abbiasi sempre mente alla loro de-
bolezza, e per nessun modo si applichi
ad essi la strettezza della Regola circa
il cibo; ma si usi loro un riguardo di
compassione, e non si stia alle ore
stabilite.
DelVeddomadario lettore.
GAP. 38.«
Alle mense dei fratelli, quando
mangiamo, non mai dee mancare la
lettura ; né uno, chiunque sia, pren-
dasi cosi un codice, e ardisca di met-
tersi a leggere: ma bensi cdui che
DI S. BENEDETTO 77
dovrà leggere tutta la settimana, entri
al suo ufficio la Domenica. E nell'en-
trare, dopo la Messa e la Comunione,
chieda che tutti preghino per sé,
affinchè Iddio tenga lungi da lui lo
spirito di vanagloria. E dicasi neirO-
ratorio da tutti tre volte, intonando
lui, questo verso: Domine, lahia mea
aperies; et os meum annuntiàbit lau-
dem iìÀam; e cosi ricevuta la bene-
dizione, entri in settimana per leg-
gere. Si faccia a mensa un profondo
silenzio, sicché non si ascolti nò bisbi-
glio né voce di alcuno, se non di
colui che ìei^^e, I fratelli però si pas-
sino Tun l'altro a vicenda tutto ciò
che è necessario per mangiare e per
bere, onde ninno abbia bisogno di di-
mandare cosa veruna. Se nondimeno
vi sia necessità di chiedere qualche
cosa, si faccia piuttosto con qualche
segno convenuto, che con la voce. Nò
ivi ninno ardisca ripetere alcun che
della lettura, o dire altro, affinché si
eviti l'occasione; eccetto che il Supe-
78 LA REGOLA
riore non volesse dire qualcosa bre-
vemente a edificazione.
Il fratello lettore ebdomadario però
prenda, innanzi di leggere, un po' di
vino annacquato, a cagion del digiuno
fatto per la santa Comunione, affincbè
non gli sia grave prò trarlo. Mangi poi
con ì settimanarii di cucina e coi servi.
Ma i fratelli non leggano secondo
l'ordine di professione ; leggano bensì
o cantino quelli che son atti a edifi-
care chi ascolta.
Della misura del cibo.
GAP. 39.0
Crediamo che due vivande cotte
bastino alla refezione quotidiana in
ogni dì, sì di Sesta come di Nona, e
ciò per la diversità dei temperamenti:
onde se per avventura alcuno non
potesse mangiare dell'una, si ristori
coll'altra. Adunque due vivande cotte
bastino a tutti i fratelli. E se si potes-
sero avere pomi o legumi, se ne ag-
DI S. BENEDETTO 79
giunga una terza. Una libbra pesata
di pane basti ogni giorno a ciascuno,
o che vi sia una sola refezione, o che
due, cioè del pranzo e della cena.
Quando si abbia a cenare, il Cellerario
ritenga una terza parte di essa libbra
di pane,per darla all'ora di cena.
Che se per caso si fosse fatta più
grande fatica del consueto, sarà in
arbitrio e potestà dell'Abbate aggiun-
gere qualche cosa, se sia espediente,
purché sempre si scansi lo stravizio,
e non mai il monaco sia preso da indi-
gestione. Perciocché non vie cosa più
contraria a ogni buon cristiano, che lo
stravizio, siccome dice il nostro Signo-
re : Guardate che non si aggravino i
vostri sentimenti per lo stravizio.
Ai fanciulli poi di minore età non
diasi la stessa quantità, ma più pic-
cola che agli adulti, conservando sem-
pre la parsimonia. Dalle carni dei
quadrupedi però tutti assolutamente
si astengano, salvo solamente i deboli
e gr infermi.
80 LA REGOLA
Della misura del bere.
GAP. 40.*>
Ognun ha un particolare dono di
Dio, chi in un modo, chi in un altro.
E perciò noi stabiliamo cosi minuzio-
samente la misura del vitto a cia-
scuno. Nulladimeno, riguardando la
debolezza dei temperamenti, crediamo
che una misura di vino al giorno
basti a tutti. Quelli però cui Iddio
dona la virtù dell'astenersi, sappiano
che ne raccoglieranno particolar mer-
cede. Che se la condizione del luogo
o la fatica o il calore estivo richie-
desse una quantità maggiore, resti in
facoltà del Superiore ; avuto sempre
riguardo che non si vada sino alla
sazietà o all'ebbrezza ; giacché leggia-
mo, ai monaci non convenire il vino.
Ma poiché ai tempi nostri non si
può fare osservare siffatta cosa; al-
meno accordiamoci in questo, di non
DI S. BENEDETTO 81
bere mai sino alla sazietà, ma assai
parcamente: poicchè il vino fa apo-
statare anche i sapienti.
Dove poi la natura del luogo fa si,
che non si possa avere nemmeno la
sopradetta misura, ma molto meno,
ovvero niente affatto; coloro che si
trovassero in tai luoghi, benedicano
Iddio, e non escano in mormorazioni.
E questo, prima di ogni altra cosa,
raccomandiamo, che i fratelli vivano
senza mai mormorare.
A quali ore debbano refocillarsi
i fratelli.
CAP. 41. «
Dalla Santa Pasqua sino alla Pen-
tecoste, i fratelli si ristorino all'ora
sesta, e cenino alla nona. Dalla Pen-
tecoste poi per tutta Testate, se il la-
voro dei campi o l'eccessivo calore
non disturba i monaci, digiunino la
quarta e sesta feria skio all'ora nona;
negli altri giorni si desini all'ora
6
82 LA REGOLA
sesta. E si mantenga sempre quest'ora
sesta pel desinare, se avranno i mo-
naci a faticare pei campi, o il calore
estivo sìa soverchio: e sia lasciato alla
prudenza dell'Abbate. Egli tutto mo-
deri e disponga in modo che le anime
dei fratelli battano la via della salute,
e ciò che fanno, lo facciano senza la-
mento. Dagl'idi di Settembre poi sino
al principio di Quaresima, sempre si
refocillino all'ora nona. Durante la
Quaresima sino a Pasqua, si refocil-
lino all'ora di Vespro. L'officio del
Vespro però si dica a tale ora, che i
monaci nel ristorarsi non abbiano
bisogno di lucerne accese ; ma tutto
si compia con la luce del dì. Simil-
mente in ogni tempo l'ora del desi-
nare e della cena sì moderi così, che
il tutto sì faccia con la luce del giorno.
DÌ S. BENEDETTO 83
Che dopo Compieta ninno deve
parlare.
GAP. 42.«
In ogni tempo i monaci devono
guardare il silenzio, ma molto più
nelle ore di notte. E perciò in ogni
tempo, sia di digiuno, sia di doppio
pasto, se avranno pranzato nella mat-
tina, la sera, subito che si saranno
alzati da cena, siedano tutti in uno
stesso luogo, e uno legga le Colla-
zioni yite dei Padri, o altro libro
ch'edifichi gli ascoltanti: non però
i sette libri storici o quelli dei Re.
Perchè in quell'ora non sarebbe utile
alle menti deboli udire quella Scrit-
tura ; in altre ore però si leggano. Se
poi fosse giorno di digiuno, detto il
Vespro, dopo breve intervallo, vadano
alla lezione delle Collazioni, come
s' è detto; e leggansi quattro o cinque
fogli, sin quanto basta che vengan
tutti, intanto che dura Ja lezione ; e
84 LA REGOLA
ciò per il caso che fosse alcuno occu-
pato nel lavoro commessogli. E cosi,
ragunati tutti, dicano TofiScio di Com-
pieta. Uscendo poi da compieta, a
ninno più sia lecito parlare con chic-
chessia. Che se si troverà alcuno pre-
varicare contro questa regola di si-
lenzio, sia sottoposto a gravi pene:
salvo che sopravvenissero ospiti, o
l'Abbate comandasse qualche cosa ad
alcuno. Però anche in questo caso,
tutto si faccia onestissimamente, con
somma gravità e moderazione.
Di coloro che giungono tardi
air officio divino o alia mensa.
CAP. 43.»
All'ora del divino Officio, appena
udito il segno, si corra con grande
sollecitudine, lasciando tutte le cose
che si avessero tra le mani ; ma con
gravità, onde non si dia eccitamento
alla ilarità. Nulla dunque mai si ante-
ponga all'opera di Dio. Che se alcuno
DI S. BENEDETTO 85
arriverà all'ofRcio della notte dopo
che si è detto il Gloria del salmo no-
nagesimo quarto (che a questo oggetto
vogliamo si reciti con pausa e lenta-
mente), non pigli il suo posto in Coro,
ma resti Tultimo di tutti, o in quel
luogo che l'Abbate avrà destinato a
simili negligenti separatamente; af-
finchè sia da lui e da tutti veduto;
e ciò, sino a che, compito l'officio di-
vino, con questa pubblica soddisfa-
zione mostri di pentirsi. Perciò infatti
abbiamo deliberato che tali negligenti
debbano stare nell'ultimo luogo o
separati, onde cosi visti da tutti, come
per loro stessa vergogna si emendino.
Perocché se rimanessero fuori del-
l'Oratorio, forse che taluno si ricori-
cherebbe per dormire, ovvero più
facilmente, seduto di fuori, attende-
rebbe a ciance, dando così occasione
al tentatore. Stia dunque dentro, per-
chè non perda tutto, e si emendi per
l'avvenire.
Nelle ore diurne poi, chi giunge
80 LA REGOLA
airofficio divino dopo il verso e il
Gloria del primo salmo, il quale salmo
s' intona dopo il verso, stia nell'ultimo
luogo, per quella legge che s* è detta;
nò ardisca di accompagnarsi a quelli
che salmeggiano in Coro, sino a che
non ahbia dato soddisfazione ; se forse
TAbbate non dia licenza col suo per-
dono; intendendo però che pel reo
questa sia la soddisfazione.
All'ora della refezione anche, chi
non arriva prima del verso, in modo
che tutti insieme lo dicano e pre-
ghino, e cosi tutti insieme si accostino
alla mensa; quegli, dico, che per sua
negligenza o vizio non sarà arrivato,
ne sia ripreso sino alla seconda volta.
Se poi non si emenderà, gli venga
interdetto di partecipare alla mensa
comune; ma, separato dal consorzio
degli altri, si refocilli solo, toltagli la
sua porzione di vino, sino a che non
avrà soddisfatto e non si sarà emen-
dato. Simile pena abbia colui che non
sarà presente al verso, che si dice
dopo il cibo.
DI S. BENEDETTO 87
E ninno ardisca prendere nulla di
cibo o di bevanda prima o dopo del-
l'ora stabilita. Ma se ad uno fosse of-
ferto alcunché dal Superiore, e lo
ricusasse, venendogliene desiderio in
altra ora, non possa prendere né
quello che prima aveva rifiutato né
nuU'altro, sino a che non siasi emen-
dato convenientemente.
Del modo con cui gli scommunicati
debbono soddisfare
GAP. 44.^
Colui che per grave colpa viene
scommunicato dall'Oratorio e dalla
mensa, nel tempo che si celebrano i
Divini Officii neirOratorio, giaccia
prostrato davanti alla porta dell'Ora-
torio, senza parlare; ma steso colla
faccia per terra, stia curvato ai piedi
di coloro ch'escono dairOratorio. E
cosi faccia, sintanto che TAbbate non
giudichi aver esso soddisfatto. E
quando abbia avuto il cenno dell' Ab-
88 LA REGOLA
baie, vada a gittarsi ai piedi di essa
Abbate, e poi a quelli di tutti i fra-
telli, onde preghino per lui. Allora,
se lo comandi l'Abbate, venga rice-
vuto in coro nel posto che TAbbaie
avrà decretato; ma però non ardisca
d'intonare salmo o lezione o altro
neirOratorio, senza un nuovo cenno
dell'Abbate. E in tutte le ore, nel
terminarsi Tofficio divino, si prosterni
in terra nel luogo dove sta, e cosi
soddisfaccia, sino a che l'Abbate di
nuovo non gli comandi di cessare fi-
nalmente da questa soddisfazione.
Coloro poi che per colpe leggiere
vengono scommunicati soltanto dalla
mensa, soddisfacciano nell'Oratorio
finché piacerà all'Abate ; e così pro-
sieguano a fare, sino a che egli li
benedica, e ordini che basti.
DI S. BENEDETTO 89
Di coloro che fallano
neir Giratorio,
GAP. 45.°
Se alcuno, nell' intonare o salmo o
responsorio o antifona o lezione, falla;
se non si sarà ivi alla presenza di tutti
umiliato per soddisfare , sia sotto-
posto a maggior pena; come colui che
non volle correggere con l'umiltà il
peccato commesso per negligenza.
Ma i fanciulli, per simiglianti colpo,
siano battuti.
Di coloro che fallano in altre cose.
GAP. 46.0
Se alcuno occupato in qualsivoglia
lavoro, nella cucina, nella celleraria,
nella dispensa, nel forno, nell'orto, in
qualunque mestiere o in qualsiasi
luogo, commette fallo, o rompe qual-
cosa, o la perde, o cade in alcuno
L
90 LA RÈGOLA ^
anche lievissimo mancamento ; s' egli
subito non va a soddisfare, svelando il
suo fallo, innanzi airAbbate, o alla
Comunità; conosciuto che sia ciò per
altro modo, venga sottoposto a mag-
giore ammenda. Che se il peccato
dell'anima è secreto, lo manifesti solo
all'Abbate o ai padri spirituali ; i quali
sappiano curare le proprie ed altrui
ferite, senza scoprirle e publicare.
Come Vora dell'Opera di Dio
dex> essere annunziata,
CAP. 47.^
Sia a cura dell'Abbate annunziar
lui l'ora dell'Opera di Dio e di giorno
e di notte, ovvero commetterne il
pensiero a un fratello così vigilante,
che tutto sia adempiuto alle ore con-
venienti. Quanto ai salmi e alle anti-
fone, dopo dell'Abate le intonino co-
loro che per ordine di lui saran chia-
mati. Ninno poi ardisca di cantare o
leggere, se non sia capace di compiere
DI S. BENEDETTO 91
un tale ufficio ; e ciò, perché restino
edificati coloro che ascoltano. Il che
si faccia con umiltà, gravità e trepi-
danza, da colui cui TAbbate lo in-
giungerà.
Del lavoro giornaliero,
GAP. 48.^
L'oziosità è la nemica deiranima.
Onde in certi tempi hanilo i fratelli
da occuparsi in lavori di mani, e in
altri nella divina lettura. Perciò cre-
diamo di ordinare cosi le une « le
altre ^re: cioè, che dalla Pasqua sino
al prinu) di Ottobre, uscendo la mat-
tina da Prima, lavorino in quello eh' è
di necessità, sin quasi all'ora quarta.
Dall'ora quarta sin quasi a Sesta at-
tendano alla lettura. Dopo Sesta, le-
vandosi da mensa, si riposino nei loro
letti in perfetto silenzio; o se per
avventura qualcuno volesse leggere,
legga ivi così, che nessuno ne sia di-
sturbato. Si dica l'officio di Nona piìi
92 , LA REGOLA
presto, verso le ore due e mezzo; e
poi di nuovo lavorino i fratelli in ciò
che occorre sino al Ve^ro. Se poi la
condizione o la povertà del monastero
chiedesse che i monaci dovessero di
per sé raccogliere le biade, non se ne
lamentino: poiché allora son veri
monaci, quando vivono col lavoro
delle loro mani ; come fecero i nostri
Padri e gli^postoli. Ma tutto si faccia
moderatamente in riguardo di quelli
che sono di piccolo cuore.
Dal primo di Ottobre però sino al
principio di Quaresi ma, attendano alla
lettura sino alla seconda ora in punto.
All'ora predetta dicano Terza, e poi
sino a Nona tutti attendano al lavoro
che vien loro ingiunto. Ma dato il
primo segno di Nona, si spicchi cia-
scuno dal suo lavoro, e stia pronto al
battere del secondo segno. Dopo la
refezione attendano o alle loro letture
ai Salmi.
Nella Quaresima, dal mattino sino
a Terza in punto attendano alle loro
DI S. BENEDETTO 93
lettore ; e poscia sino alla decima ora
sonata lavorino in ciò che è stato loro
ordinato. Nei quali giorai di Quare-
sima ognuno prenda un codice dalla
Biblioteca, e lo legga tutto per intero
da capo a fondo. Essi codici si distri-
buiscano il primo giorno della Qua-
resima.
Sopra tutte queste cose siano de-
stinati uno due Seniori, che vadano
attorno pel monastero nelle ore in cui
i fratelli attendono alla lezione; e
veggano se mai vi fosse alcun fratello
accidioso che se ne stesse in ozio, o
fosse occupato in vane ciancio, anzi
che accudire alla lettura ; e così non
solo riuscisse inutile a sé, ma benan-
che sobillatore degli altri. Se un di
cotali (che mai non sia !) si trovasse,
venga corretto una e due volte, e non
emendandosi, sia sottoposto alle pene
regolari ; e si fattamente, che gli altri
n'abbiano timore. Né un fratello si
unisca ad altro fratello in ore incom-
petenti. Nella Domenica tutti atten-
94 LA REGOLA.
dano alla lettura, tranne quelli che
sono destinati ai varii officii. E se
vi fosse taluno tanto negligente ed
ozioso, che non voglia o non possa
meditare o leggere, gli si dia un la-
l'oro a fare, onde noii^istia senza far
nulla. Ai fratelli infermi o delicati
s' imponga tale faccenda o lavoro, che
fuggendo l'ozio non siano oppressi
dalla soverchia fatica, e Tabhiano poi
ad abborrire. Alla debolezza de* quali
l'Abbate deve avere gran riguardo.
Dell'osservanza dèlia Quaresima,
GAP. 49.«
Sebbene la vita del monaco in ogni
tempo abbia da serbare l'osservanza
quaresimale; pure, siccome pochi
hanno questa virtU, così insinuiamo,
che in questi giorni di Quaresima
ciascuno custodisca la sua vita con
ogni purezza; e similmente in questo
panto tempo, ripari a tutte le negli-
genze degli altri tempi. Il che allora
DI S. BENEDETTO 95
si fa degnamente, quando ci riteniamo
da tutti i vizii, e diamo opera alFo-
razione col pianto, alla lettura, alla
compunzione del cuore e all'asti-
nenza. Pertanto in questi giorni ag-
giungiamo sopra di noi stessi qualche
cosa all'usato peso della nostra ser-
vitù: preghiere particolari, astinenza
dal mangiare o dal bere: affinchè
ciascuno offerisca a Dio, di propria
volontà e con letizia di Spirito Santo,
qualche cosa di più della misura a lui
ingiunta. Tolga al suo corpo alcun
che del cibo, della bevanda, del sonno,
del parlare, del sollazzo, ed aspetti
con gaudio di spirituale desiderio
la Santa Pasqua. Quella stessa cosa
però, che alcuno offerisce, la mani-
festi all'Abbate, e si faccia col volere
e coH'ajuto deirorazione di lui. Pe-
rocché ciò che si fa senza il permesso
del Padre spirituale, sarà imputato
a vanagloria e a presunzione, non a
mercede. Adunque tutto si faccia col
beneplacito dell'Abbate.
90 LA. REGOLA
B€ fratelli che lavorano lungi
dalV Oratorio o che sono in viaggio.
GAP. 50.O
I fratelli che sono occupati in la-
vori lontani, e non possono accorrere
ad ora giusta airOratorio, se l'Abbate
sa che cosi è, recitino il divino Offlzio
colà dove lavorano, piegando le gi-
nocchia con tremore dinanzi a Dio.
Così pure quelli che sono in viaggio,
non lascino passare le ore stabilite;
ma, come possono, adempiano il loro
santo dovere, e non siano negligenti
a rendere il tributo della loro servitù.
De' fratelli che vanno non molto
lungi.
CAP. 51.°
I fratelli che van fuori per qualche
incombenza, e sperano di ritornare in
quel giorno stesso al monastero, non
ardiscano mangiar^ nulla fuori di
I
L
DI S. BENEDETTO 97
casa, ancora che ne fossero con grande
istanza pregati da qualsiasi persona ;
se non forse loro lo avesse comandato
l'Abbate. Che se facciano altrimenti,
siano scommunicati.
Dell'Oratorio del monastero.
GAP. 52.°
L'Oratorio tal sìa, qaale è nomi-
nato ; né quivi si faccia o pensi mai
altra cosa veruna. Compiuto TOfflcio
divino, tutti con sommo silenzio esca-
no: e si usi rispetto alla casa di Dio,
affinchè se un fratello vuole per av-
ventura particolarmente fare orazione
da sé, non sia impedito dall'altrui
importunità. Ma se altri vuole per sé
secretamente pregare, entri con sem-
plicità di cuore, e preghi non a voce
alta, ma con interna devozione e com-
punzione. Epperò a chi non è per far
questo, non gli si conceda di tratte-
nersi nell'Oratorio compiuto l'officio
divino, come si è detto; affinchè gli
altri non vengano disturbati.
7
98 LA REGOLA
Come si debbano ricevere gli Ospiti.
CAP. 53.^
Tutti gli ospiti che arrivano, siano
ricevuti come se fosse Cristo Signore;
poiché egli dirà un giorno: Fui ospite,
e voi mi riceveste. — Ed a tutti sia
reso conveniente onore, ma molto più
a quelli della nostra stessa Fede e ai
pellegrini.
Appena che dunque sarà stato an-
nunziato un ospite, gli vadano incon-
tro il superióre o i Fratelli con ogni
espressione di carità; e primieramente
preghino insieme, e così si accompa-
gnino in pace con esso. Il qual saluto
di pace non si dia, se non dopo l'ora-
zione, per isfuggire le illusioni diabo-
liche. Nello stesso saluto poi si mostri
grande umiltà, sia neirarrivare sia nel
partire ciaschedun' ospite. Col capo
chino, con tutto il corpo prostrato in
terra, si adori Cristo, il quale in per-
sona di loro si riceve. Gli ospiti, cosi-
DI S. BENEDETTO 99
ricevuti, si conducono neirOratorio, e
poscia sieda con essi il Superiore o chi
sarà da lui destinato. Legigasi alla
presenza dell' Ospite la santa Scrit-
tura, per dargli edificazione; e quindi
sia trattato con ogni umanità. U Su-
periore rompa anche il digiuno per
far compagnia all'ospite, salvo che
non sia digiuno tanto speciale, da non
potersi violare. I fratelli però osser-
vino anche i digiuni di uso. L'Abbate
dia l'acqua alle mani degli Ospiti; tutti
poi, così l'Abbate come l' intiera Co-
munità, lavino i piedi ad essi; e lavati
che loro li abbiano, dicano questo ver-
so: Suscepimus Deus mìsericordiam
tuam in medio templi tui. —
Principalmente si abbia grande e
sollecita cura nel ricevere i poverelli
e i pellegrini, perocché in essi massi-
mamente si riceve Cristo. Infatti la
potenza, nei ricchi, si procaccia onore
da sé stessa.
La cucina dell'Abbate e degli ospiti
sia a parte; aflSnchè sopravvenendo in-
I
100 LA. REGOLA |
certe tali ore gli ospiti, che non man-
can mai nel monastero, essi non distur-
bino i Fratelli. In questa cucina entri-
no ad anno due fratelli, che siano al
caso di adempiere un tale uffizio. Ad
essi, secondo il bisogno, siano aggiunti
compagni, perchè servano senza la-
mentarsi. Air incontro, quando hanno
piccola occupazione, escano, dove loro
si comandi, al lavoro.
E non solamente in questi, ma an-
che in tutti gli altri impieghi del mo-
nastero, si abbia questa considerazio-
ne; che quando necessitano, siano ag-
giunti compagni a chi fatica; e poi, i
quando sono senza lavoro, facciano i
lavori che son loro imposti.
Similmente alla camera degli Ospiti
sia assegnato un fratello, pieno V ani-
ma del timore di Dio ; e vi siano letti
convenientemente acconciati; e, còme
nella casa di Dio, tutto sia sapiente-
mente da persone sapienti ammini-
strato. Ninno però, a cui non sia stato
comandato, si accompagni o parli per
DI S. BENEDETTO 101
veruna guisa cogli Ospiti. Ma se s' im-
battesse con loro oli vedesse, salutatili
umilmente, come dicemmo, e chiesta
loro la benedizione, passi oltre, di-
cendo che a luì non è lecito parlare
coirOspite.
Se debba il monaco ricevere
lettere o altro.
GAP. 54.'»
In verun modo sia lecito ai monaci
ricevere o dare, senza il comando del
loro Abbate, lettere, ricordi o qualsi-
voglia donativo né dai proprii parenti,
né da chicchesia, né darseli tra loro.
Che se anche venisse loro diretta al-
cuna cosa dai proprii genitori, non
ardiscano di prenderla, senza averla
prima mostrata all'Abbate. Che se
questi comanderà che si accetti, resta
tuttavia in suo potere di ordinare a
chi si debba consegnare: e il fratello
cui la cosa era diretta, non se ne rat-
102 LA REGOLA
tristi, per non dare occasione al de-
monio. Chi poi allrimenti presumesse
di fare, sia sottoposto alla pena re-
golare.
Delle vesti e delle calzature
dei fratelli.
GAP. 55.«
Le vesti siano date ai fratelli secon"
do la condizione dei luoghi dove abi-
tano del clima; poiché nei paesi
freddi ce n'è più di bisogno, e nei caldi
meno. L'Abbate dunque abbia ciò
alla mente. Quanto a noi, giudichiamo
«he nei climi temperati bastino a ogni
monaco la cocolla, che in inverno sìa
pelosa ed in estate liscia o vecchia, la
tonaca, e lo scapolare per il lavoro: ai
piedi, scarpe e calze. Circa il colore o
grossezza di tutte queste cose i mo-
naci non si prendano pensiero, ma
isian quali si trovano nel paese di loro
dimora, o che costi meno. L'Abbate
però provveda circa la misura, affin-
i
DI. S. BENEDETTO 163
che le vesti non siano corte a chi deve
usarne, ma aggiustate. Nel ricevere
le vesti nuove, sempre subito resti-
tuiscano le vecchie per riporsi come
spoglie per i poveri. Imperciocché
basta al monaco avere due tonache è
due cocolle, per mutarsi la notte e
poterle lavare. Ciò che fosse di più,
come inutile va tolto- Anche le scarpe,
o qualsivoglia cosa strutta, restitui-
scano nel ricevere le nuove. Coloro
che sono mandati in viaggio, pren-
dano dalla stanza de* vestiarii le bra-
che; e ritonati che siano, le restitui-
scano lavate. Si abbiano altresì delle
cocolle e delle tonache un poco mi-
gliori di quelle che comunemente si
usano; e le piglino dalla stanza dei
vestiarii coloro ch'escono in viaggio,
e tornando le restituiscano.
Per i letti poi bastino il pagliericcio,
la materassa, la coperta e il guanciale.
E i letti siano spessi rovistato dall'Ab-
bate, che non vi si trovi alcun che
di particolare; e a chi si trovi cosa
104 LA REGOLA
che l'Abbate non abbia data, gli siano
applicate le più gravi pene. E perchè
questo vizio di proprietà sia estirpato
sin dalla radice, l'Abbate dia a tutti
quello eh' è necessario; cioè la cocolla,
la tonaca, le scarpe, le calze, le bra-
che, la coltella, lo stilo, Tago, la pez-
zuola, le tavolette, per toglier di
mezzo ogni scusa. L'Abbate però
sempre consideri quella sentenza de-
gli Atti degli Apostoli; cioè, che da-
vasi a ciascuno ciò che gli occorreva.-
E cosi dunque l'Abbate tenga di conto
il bisogno dei deboli, e non il mal
volere degl' invidiosi. E in tutti i suoi
giudizii pensi alle retribuzioni di Dio.
Della mensa delV Abbate,
GAP. 56.0
La mensa dell'Abbate sia ogni di
cogli ospiti e coi pellegrini. Quan-
do poi son pochi gli ospiti, sia in sua
facoltà invitare quei fratelli che vuole.
DI S. BENEDETTO 105
Lasci però sempre uno o due seniori
cogli altri fratelli per amore della
disciplina.
Degli artefici del Monastero.
CAP 57.°
Se vi sono nel monastero artefici,
essi esercitino la loro arte con ogni
umiltà, se l'Abbate vi acconsente.
Che se alcuno di loro s' insuperbisse
per la conoscenza della sua arte, per-
chè gli sembra di dare qualche cosa
al monastero, costui sia levato da
quell'arte, e mai più non vi sia ri-
messo; salvo che umiliatosi, l'Abbate
non gliel comandi.
Dovendosi poi vendere qualche la-
voro degli artefici, si guardino coloro
per le cui mani passerà la cosa, dal-
l'adoperare la menoma frode. Si ri-
cordino sempre di Anania e di Saffira,
onde costoro e tutti quelli che froda-
rono in qualche cosa il monastero
non si procaccino la morte all'animar
come quei ne furono colpiti nel corpo>
106 LA REGOLA
Cosi neirassegnare ì prezzi non si
lascino trasportare dalla tentazione
deiravarizia ; ma sempre si venda
alquanto meno che dai secolari, affin-
chè in ogni cosa sia glorificato Iddio.
Della regola di ricevere i fratelli.
GAP. 58.*»
Venendo qualche persona nuova a
convertirsi, non gli si conceda l'in-
gresso tanto facilmente; ma, come
dice l'Apostolo, si provino gli spiriti
se vengono da Dio. — Adunque se
colui che viene persisterà a picchiare,
e, dopo quattro o cinque giorni mo-
strerà di sopportare pazientemnate le
iugiurie fattegli e le difficoltà di eu-
trare, e starà saldo nella sua petizione,
se gli conceda l'ingresso, e stia nel
quartiere degli ospiti per pochi giorni.
Di là passi al quartiere dei Noyizii,
dove mediti, mangi, e dorma. E à lui
sia destinato un seniore che sia adatto
DI S. BENEDETTO 107
a guadagnare le anime: il quale lo
guardi con occhi scrutatori, e inve-
stighi se veramente cerca Iddio, e se
si mostra pronto all'opera di Dio, al-
l'obbedienza, alle contumelie. Si an-
nunzino a lui cose dure ed aspre; per
le quali si va al Signore : e se avrà
promesso di perseverare nella sua
stabilità, dopo il giro di due mesi gli
si legga questa Regola per intiero, e
gli si dica; Ecco la legge sotto cui
vuoi militare: se la puoi osservare,
entra; ma se non puoi, libero ti
parti. — Se tuttavia resterà, allora
sia ricondotto nel sopradetto quar-
tiere dei Novizii, e di nuovo sia pro-
vato in ogni sofferenza. Dopo il giro
di sei mesi gli sia riletta la Regola,
perchè conosca a che egli si mette.
E se ancora persiste, a capo di quattro
mesi di nuovo gli sia riletta la stessa
Regola. E se dopo aver seco delibe-
Jito, prometterà di osservare tutto, e
. legarsi a quanto gli verrà coman-
ito, allora sia ricevuto in Comunità,
i
108 LA. REDOLA
e sappia che egli è già sotto la legge
della Regola, e non gli è piti lecito
uscire dai monastero, né scuotere dal
collo il giogo della regola, che in si
lunga deliberazione poteva egli re-
spingere abbracciare.
Or colui che dev'essere ricevuto,
prometta neirOratorio alla presenza
di tutti la sua stabilità e la conver-
sione de' suoi costumi e Tobbedienza,
alla presenza di Dio e de' suoi Santi ;
onde se mai diversamente operasse,
sappia di cadere sotto la condanna dì
Dio, che egli così sbeffa. Della qual
sua promessa faccia petizione nel no-
me dei Santi, le cui Reliquie ivi sono,
e dell'Abbate presente. E scriva
essa petizione di sua mano, o almeno,
se è illetterato, altri a sua preghiera
la scriva, ed ei vi faccia la croce ; e
con le mani proprie la ponga sull'al-
tare. Dopo che l'avrà posta colà, esso
novizio incominci subito questo verso:
Suscipe me, Domine^ secundum eh-
quium inurrif et vivam; et non con-
DI S. BENEDETTO 109
fundas me ab expectatione mea, —
E tutta la comunità ripeta questo
verso tre volte, aggiungendovi il Glo-
ria Patri. Allora il fratello novizio
si prostri ai piedi di ciascuno, onde
preghino per lui: e sin da quel giorno
sia ricevuto nella Confunita. Se pos-
siede qualche cosa, o prima la dispensi
ai poveri, o facendone solenne dona-
zione, la dia al monastero, niente
riservandosi per sé ; come colui, che
sa da quel giorno non aver potestà
nemmeno sul proprio corpo. Subito
dunque sia spogliato nell'Oratorio'
delle sue robe, delle quali è vestito,
e prenda Tabito monastico. Ma quelle
vesti che gli son tolte, si ripongano
nella stanza de' vestiarii, a conser-
varsi ; onde se un giorno egli accon-
sentisse al diavolo (che mai non av-
venga I), e volesse uscire dal monaste-
ro, sia spogliato dell'abito monastico,
e venga espulso. Ma quella petizione,
che l'Abbate avrà portata via di sopra
l'Altare, non gii sia ridata; e si con-
servi anzi in monastero.
110 LA REGOLA
Dei figli dei nobili o dei povetn
che sono offerti,
GAP. 59.^
Se per avventura alcuno de' Nobili
offre un suo figlio a Dio nel monastero;
se esso fanciullo e minorenne» i suoi
genitori facciano la petizione detta di
sopra, e involgano nella tovaglia del-
l'altare insieme con l'oblazione la pe-
tizione e la mano del fanciullo: e così
l'offrano. Quanto alle sostanze, o pro-
mettono nell'atto della petizione stes-
sa, con giuramento, di non dargli giam-
mai nulla né essi medesimi né per
mezzo di altra persona o in alcun modo,
e neanche porgergli destro di averne
Ma, non volendo ciò fare, e piacendo
loro offrire in elemosina al monastero
qualche cosa come per mercede, fac-
ciano donazione al monastero di quello
che loro aggrada, riservandosene, se
così vogliono, l'usufrutto, E ogni cosaf
DI S. BENEDETTO 111
sia cosi fermata, che non rimanga ve-
runa idea in mente del fanciullo, per
la quale ingannato^ che Dio non voglia,
perda l'anima sua, come abbiamo per
l'esperienza imparato. Facciano il so-
migliante anche i più poveri. Quelli
poi che assolutamente non hanno nien-
te, facciano la sola petizione, e coll'o-
blazione offeriscano il loro figlio alla
presenza dei testimoni.
Dei Sacerdoti che volessero abitare
in monastero.
GAP. 60.«
Se alcuno dell'Ordine sacerdotale
supplicherà di essere ricevuto in mo-
nastero, neanche a lui si acconsenta
tanto presto. Persistendo nulladimeno
con ogni premura in essa supplica, se
gli faccia noto, che dovrà osservare
tutta la disciplina della Regola; né
sarà per lui alleggerito il peso in ve-
runa parte; affinchè sia per lui come sta
scritto: Amico, perchè sei venuto? —
112 LA REGOLA
Gli venga concesso però di stare dopo
r Abbate, e benedire e celebrare la mes-
sa, se l'Abbate glielo comanderà. Al-
trimenti, in nessuna guisa ardisca di
far checchessia, sapendo ch'é soggetto
alla disciplina regolare, e deve in tutto
più degli altri dare esempio di umiltà.
E se alcuno fosse nel monastero, o
per celebrare i divini uffizi o per altra
cagione, tenga quel luogo che gli si
compete, secondo il tempo in cui ven-
ne in monastero, non il posto che gli
si concederebbe per riverenza al Sa-
cerdozio. I Chierici poi, se alcun di
loro per lo stesso desiderio volesse en-
trare tra i monaci, siano collocati in
posto mediocre; purché promettano
l'osservanza della regola e la loro sta-
bilità.
I
DÌ S. BENEDETTO 113
Dei monaci pellegrini come si
debbono ricevere,
GAP. 61. <>
Se sopravvenga qualche monaco
pellegriao da lontano paese, e voglia
abitare come ospite in monastero,
adattandosi alle consuetudini del luo-
go, e non turbando la comunità con le
sue pretese, ma semplicemente con-
tentandosi di quello che trova; sia ri-
cevuto per quanto tempo brama. E se
egli ragionevolmente e con umile <;a-
rità trova da riprendere qualche cosa»
ponderi bene T Abbate, se mai il Si-
gnore glieravesse mandato a tal fine.
Volendo però giurare la stabilità, non
gli sia negato quel che chiede; sopra-
tutto poi se nel tempo della sua ospi-
talità si è potuto conoscere la sua vita.
Che se nel tempo eh' ò stato ospite
fosse stato trovato amante di supera
fluita o vizioso, non solo non dovrà
«ssere incorporato nel monastero, ma
s
114 tA RÉdÒLA
anzi gli si dica in onesto modo^- c&e^
parta, onde non restino contaminati
gli altri dalle sue miserie. Ma se non
sarà meritevole dì essere scacciato,
non solo sia ricevuto e aggregato alla
Comunità, se lo chiede; ma si procuri
altresì di persuaderlo a restare, perchè
dal suo esempio vengano ammaestrati
gli altri: perocché in qualsiasi luoge
sì serve a uno stesso Bio, e si milita
sotto lo stesso Re. Anzi sia lecito* al<-
r Abbate di metterlo in un posto al"-
quanto più elevato, se lo troverà de^
gno. Perocché l'Abbate può assegnare
non solo al monaco, ma anche alle
mentovate classi di sacerdoti e Cherici
un posto più alto di quello del loro
ingresso, c^i volta che vegga com-
mendevoli i loro costumi. Si guardi
però l'Abbate di ricevere mai ad abi-
tare un monaco, che venga da altro
monastero conosciuta, senza il con*
senso le lettere commendatizie dei
suo Abbate; giacché sta scritto:Non fare
ad altri ciò che non vuoi sìa fatto a te»
DI S. BENEDETTO 115
Dei Sacerdoti del Monastero.
GAP. 62.»
Se qualche Abbate bramerà di fare
ordinare an prete o un diacono, scelga
tra i suoi chi sia degno di esercitare
il Sacerdozio. Colui poi che sarà ordi-
nato si guardi dall' arroganza e dalla
superbia, né ardisca ingerirsi in nulla,
se non in quello che gli è comandato
dall'Abbate; e sappia, eh* egli deve
essere molto più soggetto alla disci-
plina regolare. Nò per causa del sacer-
dozio si dimentichi dell* obbedienza
alla Regola e della disciplinatezza; ma
ogni di più profitti nella via del Signo-
re. Egli poi tenga sempre il posto che
ebbe nel tempo del suo ingresso in mo-
nastero, salvo quando ministra all'al-
tare; o che per elezione della Comu-
nità e volere dell'Abbate si voglia
promuoverlo in considerazione del
merito della buona vita. Esso però
sappia, che deve eseguire la Regola
116 LA REGOLA
prescritta dai Decani o dai Preposi ti.
Che se diversamente avrà osato di
fare, non. sia trattato come sacerdote,
ma come ribelle; e se spesso ammonito
non si sarà corretto, anche il Vescovo
sia chiamato perchè vegga il tutto.
E se neanche con questo mezzo si sarà
emendato, venute in chiaro le di lui
colpe, sia cacciato dal Monastero; se
però sia tale la sua pertinacia che non
voglia assoggettarsi ed obbedire alla
Regola.
DelV ordine della Comunità.
GAP. 63.°
Tutti 'serbino in monastero i loro
posti, secondo che porta il tempo della
conversione e il merito della vita, o
quello che avrà deciso l'Abbate. Il
quale però non conturbi il gregge a
lui affidato, né quasi usando libera po-
testà, disponga mai cosa alcuna ingiu-
stamente; ma pensi ognora, che dovrà
rendere ragione a Dio di tutU i suoi
DI S. BENEDETTO 117
giudìzii e delle opere sue. Adunque i
Fratelli si accostino alla pace, alla co-
munione, alla intonazione dei salmi,
allo stallo del coro, secondo gli ordini
loro, o secondo che avrà disposto l'Ab-
bate. E sempre e in tutti i luoghi l'età
non discerna e non progiudichi gli or-
dini; poiché Samuele e Daniele, fan-
ciulli, giudicarono i più vecchi. Per-
tanto, tranne quelli che, come si disse,
l'Abbate avrà nella sua sapienza in-
nalzati a più alto posto, o degradati
per qualche ragione, tutti gli altri
prendano luogo secondo il tempo della
conversione. Così, a cagione di esem-
pio, chi sarà venuto in monastero alla
seconda ora del giorno, si riconosca più
giovane di colui che venne all'ora pri-
ma, non ostante qualsiasi età o dignità.
Su i fanciulli poi sia in tutto mante-
nuta la disciplina da tutti.
I più giovani adunque onorino i più
anziani, e i più anziani vogliano bene
ai più giovani. Anche nello stesso chia-
mare a nome, a niuno sia permesso di
118 LA REGOLA.
chiamar Taltro pel semplice nome;
ma i più anziani chiamino Fratelli ì
piii giovani, e i più giovani chiamino
Nonni i più anziani, il che significhi
paterno rispetto. L'Ahhate poi, che è
considerato far le veci di Cristo, sia
chiamato Donno, e Ahhate, non per sua
usurpazione, ma per onore e amore
di Cristo. Egli quindi vi pensi, e tale
si dimostri, quale uno che è degno di
si grande onore. Dove che poi s'incon-
trino i Fratelli, il più giovane chieda
la benedizione al più anziano. Pas-
sando un superiore, l'inferiore si levi,
e gli dia luogo a sedere : né ardisca
il più giovane di sedersi, se non glielo
comandi il più anziano, per adempiere
quello che sta scritto : Si prevengano
in onore a vicenda. — I fanciufietti
o garzonelli prendano regolamente i
loro posti aU'Oratorio e alle mense ;
fuor di questi luoghi o dovechessia,
stiano sotto la custodia e la disciplina,
ìnsino a che non siano pervenuti al*
l'età della discrezione.
m 8. BENEDÉTTO 119
Dell'elezione deW Abbate,
GAP- «4.«
Neirelezìone dell'Abbate si abbia
eempre qaesto di mira» che sia stabi-
lito colui, che tutta la Comunità,
scendo il timore di Dio, ovvero una
parte di essa, ancorché piccola, ma
con più savio consiglio, avrà scelto.
Quegli che deve essere eletto, sia
eletto per merito di vita e dottrina di
sapienza, sebbene fosse l'ultimo nel-
r^rdifle della Coimunità. Che se anche
tutti della Comunità, di comune ac-
cordo, avessero scelto una persona
connivente ai loro viziì (che ciò mai
avvenga!), e detti vizii fossero giunti
in qualche modo a notizia del Vescovo
nella cui Diocesi trovasi il luogo, o
di Abbati o di buoni cristiani vicini,
impediscano che trionfi il consenso
dei malvagi, e stabiliscano essi un
degno ministro della casa di Dio; ri-
lùcordandoysii eh' essi ne ricev^anna
120 LA REeaLA
buona mercede, se ciò faranno incora
rottamente e per zelo del Signore;
come per lo contrario peccherebbero»
se nulla facessero.
L'Abbate eletto pensi poi sempre
qual carico egli tolse a portare, e a
ehi deve rendere ragione della sua
amministrazione ; e sappia ehe a lui
spetta piuttosto di giovare che domi-
nare. Gonvien dunque eh' egli sia ad-
dottrinato nella legge divina, affinchè
sappia onde profferisca le cose della
legge nuova e antica. E sia casto,
sobrio, misericordioso, umile, e sem-
pre metta innanzi la misericordia alla
giustizia, per ottenere anche per sé
il somigliate. Odii i vizii, ami i fra-
telli. Anche nella stessa correzione si
governi prudentemente, e in ninna
cosa non ecceda; affinch^è per voler
troppo radere la ruggine, non si rom-
pa il vaso. E stia sempre guardingo
sulla sua propria debolezza» e si ri-
cordi che la canna fessa non si deve
sj^ezzare. Con questo non diciamo giéi,
DI S. BENEDETTO 121
che permetta si alimentino i vizii, ma
li tronchi con prudenza e carità, come
meglio vedrà convenire a ciascuno^
secondo quello che già innanzi fu
detto ; e si studii piti di essere amato,
che temuto. Egli non sia turbolento e
impaziente; non troppo esigente e
caparbio; non sia geloso e troppo
sospettoso, perocché non avrebbe mai
pace. Nei suoi stessi comandi sìa pre-
vidente e misurato o che si tratti deMe
cose di Dio o del mondo. Le cose
eh' egli ingiunge, le discerna e le mo-
deri, ripensando alla diserezione del
santo Giacobbe, che diceva: Se io farò
troppo affaticare nel cammino le mie
greggi, moriranno tutte in un gior-
no. — Prendendo pertanto questi ed
altri esempi di ogni virtù, temperi
tutto così, che i vigorosi credano di
poter fare anche dippìù, e i deboli non
si traggano indietro. E sopra tutto
osservi in ogni cosa la presente Re-
gola: affinchè dopo che avrà bene
amministrato i accolti dal Signore
122 LA. REGOLA.
quello che fa detto al servo buono, il
quale dispensò a suo tempo il grano
ai suoi compagni : Io vi dico in verità,,
egli sarà costituito airamministra-
2Ìone di tutti i beni del padrone.
Del Preposito del Monastero.
GAP. 65.*
Spesso pur troppo avviene, che per
l'elezione del Preposito, sorgano gravi
scandali nei monasteri; perocché vi
sono di essi, che, gonfiati dal cattivo
spirito della superbia, si stimano di
«ssere altrettanti Abbati, si arrogano
un potere tirannico, fomentano .scan-
dali, suscitano discordie nella comu-
nità; e massimamente in quei luoghi,
dove il Preposito viene scelto dallo
stesso Sacerdote o dagli stessi Abbati
ohe eleggono l'Abbate. Ciò facilmente
si vede quanto sia strano ; giacchò gli
si dà <sagione d' insuperbire sin dal
principio dell'elezione, persuadendosi
di Buo capo eh' egli sia sciolto dalla
DI S. BENEDETTO 123
soggezione del suo Abbate, perchè fu
eletto da quelli stessi che eledone
TAbbate. Indi le invìdie, le querì-
monie, le detrazioni, le gelosie, le
dìssenzionì e i disordini* E cosi nel-
l'atto che r Abbate e il Proposito pen«
sano diversamente, lion si può evitare
che in tale discordia pericolino anche
le loro anime. E mentre che quelli
che son sotto di loro parteggiano per
Funo o per Taltro, se ne vanno alla
rovina. Or la colpa di sì gran danno
si ascrive principalmente a coloro che
furono i promotori di sì fatte elezioni.
Perciò noi giudichiamo spediente
alla conservazione della pace e della
carità, che sia nell' arbitrio dell' Ab-
bate l'ordinamento del suo monastero;
e, se può farsi, come fu già stabilito,
si tratti con i Decani quello ch'è utile
al monastero, secondo che piacerà al-
l' Abbate; affinchè commessa la cosa
a più persone, uno non monti in su-
perbia. Che se o il luogo lo richiede
o la Comunità umilmente lo domandi
124 LA BUGOLA
con ragione, e l' Abbate Io trovi con-
veniente, quello ponga per Proposito
eh' egli avrà scelto col consiglio dei
fratelli timorati di Dio. Il quale Pre-
posito poi faccia con ogni soggezione
quello che gli sarà comandato dal suo
Abbate: e nulla mai faccia contro il
volere e il cenno di esso Abbate; pe-
rocché quanto più egli è posto al di
sopra gli altri, tanto piU conviene che
sia sollecito nelF osservare i precetti
della regola. Che se il Proposito sarà
trovato vizioso, o ingannato dai fumi
della superbia, o conosciuto dispre-
giatore della santa Regola, sia ripreso
con parole sino alla quarta volta, e
non emendandosi, sia corretto secondo
la disciplina regolare. E se neanche
per questo si emenderà, allora sìa
tolto dal posto della preposìtura, e nel
suo luogo sia chiamato un altro che ne
sia degno. Dopo di che, se non sarà
quieto e obediente in Comunità, si
espella persino dal Monastero. Pensi
però r Abbate, eh' egli dovrà a Dio
DI S. BENEDETTO 125
rendere ragione di tutti i suoigiudizii:
affinchè non forse la fiamma dell' in-
vidia e della contesa gli abbruci Ta-
nima
Dei Portinai del Monastero,
GAP. mp
Alla porta del Monastero sia posto
un vecchio saggio, che sappia ricevere
e riferire le ambasciate; e la maturità
degli anni gì' impedisca di andar va-
gando. Esso Portinaio deve avere una
cella presso la porta; onde chi viene,
troTi sempre chi gli risponda. E su-
bito che alcuno avrà picchiato, o qual-
che povero avrà chiamato, risponda, o
benedica al Signore; e poscia solleci-
tamente con ogni fervore di carità, e
con ogni mansuetudine di timore di
Dio gli risponda. Il qual portinaio, se
ha necessità di aiuto, abbia quello di
un fratello piti giovane.
Il Monastero poi, per quanto si può,
dev* essere costruito in modo, che ab-
LA asaoLA
tQtt« le cose necessarie, come
DB, il tQuIino, l'orto, il forno e le
■se arti, affinchè tutto si faccia
X) del monastero; e cosi non ab-
> necessità i monaci di andar va-
di fuori, perchè questo noa ò
utile alle anime loro,
questo articolo di Regola Tc^lia-
he sia letto spesso in Comunità,
là niuno dei fratelli possa scn-
, allegandone ignoranza.
Fratelli che vanno in viaggio.
GAP. 67.0
•stelli che hanno da mettersi in
pò, si raccomandino all' orazione
Iti gli altri Fratelli o dell'Abbate;
ipre, nell'ultima orazione dell'of-
divino, si faccia memoria dì tutti
jsenti. Ritornati poi dal viaggio,
:elli nello stesso giorno dell' ar-
in tutte le ore canoniche, alla
dell' ofiìcio divino, prostrati in
. nell' Oratorio, implorino pre-
DI S. BENEDETTO 12?
ghiere da tutti per le mancanze com-
messe, se mai del viaggio 1* aver ve-
duta o udita cosa turpe o il parlare
ozioso avesse loro tolto dello spirito
religioso.
Nò alcuno ardisca riferire agli altri
qual«asi cosa abbia veduta o ascoltata
fuori del monastero ; perchè ne ven-
gono gravissimi mali. Che se taluno
abbia ardito di farlo, sia sottoposto
alle pene della Regola. Similmente
per chi avrà ardito uscire dal chiostro
del monastero, o recarsi dovecchessia,
o fare il menomo che senza comanda-
mento dell'Abbate.
Se a un Fratello sian comandate
cose impossibili,
GAP. 68.0
Se venga ingiunta a un Fratello
cosa per avventura grave o impossi-
bile, accolga in ogni modo il comando
con ogni mansuetudine e soggezione*
Ma vedendo che la gravità del peso
128 LA REGOLA,
supera del tutto la misura delle sue
forze, pazientemente a a tempo oppor-
tuno, senza superbia o renitenza o
contrasto, esponga al superiore le ra^
gioni della impossibilità. Che se dopo
tale spiegazione il comandamento del
Superiore sarà mantenuto tal quale ;
sappia r inferiore che cosi gli è spe-
diente, e per riguardo di carità, con-
fidando nell'ajuto di Dio, obbedisca.
Che in Monastero nessuno ardisca
difendere un altro.
GAP. 69.«
Si guardi bene, che in nessun caso
un monaco ardisca difendere un altro
monaco nel monastero, o mostrar di
proteggerlo, fossero pur essi parenti
in qualsivoglia grado. E ciò in yerun
anodo ardiscano di fare i Monaci :
perchè ne può quindi sorgere gravis-
sima oocasioae di scandali. Che se
qualcuno avrà trasgredita questa re-
gola, sia punito assai sevei^jnente.
DI. d. SHMBDBTtO 12^
tJhenmno of^ékea percuoiete aìéruL
A(i evìtATft Ufi ssKMiAatarQ og^i oc-
c^smcì di arrogaoca» alabiliamo» chei
a xawQi 9m kfi^ di soomEfittxuQai?* o
lt8itt<Nr^ q(i«}e «ha sia dai spoi FraieUr,
scatto «0Ìi« dia aa ^Jba il pfsjwria
44U'AUiat^ I traa^eaeori pai siano
fimpirayemlt a^ piFasenza di tiitU,
oskda 9& aUri Aa praa^aoa Hanont
I l^naiidti par^ mo al dÉeeima mainilo
attn^ siano so^to la dtHg^&ta diaafc
felina a la gaardia dfi totjbi; aaa 4ttaaÉD
pur OQa ip».ada e. nusoia. Quanita yc»
a ^fiaUi di maggtoi? eti^, sa alawo^
«enza il comandamajìiiio daH'AJibaÌ^>
«à jeiapald^ t^ppo canteo di, io» o
«coBj^Qk gii stassi gioi^aoiaiti» ita ìdIId*
paafco sJle peiM della Reg^i; p^rohè
istoi siatit jU) : No» &ra altrilì ciò dhMi
ma TUQÌ sia &tto a te.
130 LA. regoli:
Che i fratelli debbano obbedirsi
Vun Valtro.
GAP. 71.0
Il bene deirobbedienza non solo è
da prestarsi air Abbate, ma anche i
Fratelli si prestino eguale obbedienza
tra di loro; eerti, che per questa
strada dell'obbedienza andranno a
Dìo. Premesso dunque il comanda
dell'Abbate e dei Prepositi da lui
stabiliti (al qual comando non per-
mettiamo che si antepongano i ce*
mandi de' privati); quanta al rima-
nente, tutti i più giovani obbediscana
ai più anziani di loro, con ogni carità
e premura. E trovandosi qualcuna
litigioso, sia corretto.
Se poi un Fratello, per cagione
piccola che sia, vien punito dall'Ab-
bate o da qualsivoglia suo Superiore,
come? che fosse ; ovvero si accorgerà
per poco che l'animo di un suo Supe-
riore è adirato o anche leggermente
commosso contro dì lui, subito senza
DI S. BENEDETTO 131
indugio, prostrato in terra innanzi ai
piedi di lui vi giaccia in segno di ri-
parazione, fintanto che con la benedi-
zione sia sanata queiragitazione. Che
se alcuno disprezzerà di farlo, sia
sottoposto a pena corporale, o, se sarà
ostinato a non &rlo, sia scacciato dal
monastero.
Del zelo btAono che debbono avere
i Monaci,
CkP. 72.0
Siccome vi è un zelo cattivo di
amarezza che separa da Dio, e con-
duce air inferno; cosi vi ò un zelo
buono, che separa dai vizii, e conduce
a Dio ed alla vita eterna. Questo zelo
pertanto esercitino i Monaci con fer-
vorosissimo amore: facciano cioè tra
loro a gara a chi più renda onore al-
l' altro. Pazientissimamente si tolle-
rino i difetti sia di corpo sia di carat-
tere; a gara si rendano obbedienza
tra sé: ni uno tenga dietro al suo
i
132 LA REGOLA
proprio utile, ina piU 9 quello degli
altri: si usìoq carità ài £ratelli in
casto a.getto: tem&no ÌE(}clia: ^ini^p. il
loro Abbate 4i sincero ed umile amore:
niente giammai preferiscano Sk Cristo,
il quale tutti ci cpiidi^(^ insieme a^Jlà
vita eterna.
EPILOGO
Come in qttesta Regpla non ogni
osservanza di giuatizia sia stabilita.
GAP. 73.0
Noi abbiado sci;*itto qu^^t^ I^^ola^
a^nchè osseryandola nei moBastérl,
nqi dìnfiofitriamo di avere alquanto' di
onestà ne' postumi, o come un avyii^-
mìento di cpnvérsioi^e^ Ma per qì^\ si
afirett^ alla, peirf^zione dèlia vita^ y^
sqn.0 \e dottf ii^é dei Santi ÌPàdri, ìs^ cui
osservanza, conduce ruQmQ'a}la cimi^
del}a perfezione. Qua! n^ai pagìi\a/p
qù^l parpU ìspd^ta^ del Vecchio e del
!^ uovo Testamento, non éivattiss^^^
m 8. BBNBDSTTO 133
norma della vita dell'uomo? O qual
libro dei Santi Cattolici Padri non
rìsuona questo, cioè che si vada al
nostro Creatore per la via diritta?
E le conferenze dei Padri, e le istitu-
zioni e le Vite loro, e la stessa Regola
del Santo Padre nostro Basilio, che
altro éono, se non esempi e istrumenti
di TÌrtù di monaci veramente buoni
e obbedienti? A noi pigri e di vita
rilasciata tali cose ci èinno arrossire
di vergogna. Ma chiunque tu sii che
aneli di andare alla patria celeste,
questa minima Regola che ho scritta,
mettiti con Taiuto di Cristo ad osser-
varla. E poi a quelle pìU eccelse cime
di dottrina e di virtù dette di sopra,
con la protezione di Dio tu certamente
perverrai.
Hi SAN10 SACRIFIZIO
DELLA MESSA
E LA COMUNIOIJE
[^ -. « «_ _» .
LA MES9A
£
LA GOMUj^IONR
L
ISTITUZiONS
BELtA. S& EÙCARÌSTIA
Era il giorno precedente alla sua
morte, quando Gesù, €cke aveva amato
i suoi che eran nel inondo^ volle dare
ad essi un attestato non dubbio eh' Ei
gli amò sino alla fine. » Perciò, dopo
di aver celebrata coi suoi discepoli la
Pasqua e mangiato l'Agnello pasquale,
esercitò verso di loro la più grande
umiltà, con abbassarsi a lavare ad essi
i piedi. Postosi nuovamente a sedere
sobentre q^uelli mangiavano, « GesU
B LA OOkÙKOlNB 137
piftie dèi patie, 'rendè le graxie^ la
tpezzòi e io diede fóro, dicendo: Pren-
dete e fhanffiate: queHo è il nii'»
eorpb» tshè iarà dato per voi: fate
questo in fnenioria di me, — SitHU-
mente prese anche il eàltee, fiàita che
fa la cenai renette le grazie-, è Msse
loro : Bevete di ^^tésto tutti ^ impérot-
che i^^to è il sangue nvio dèi nUaeo,
tmàmentOy il quale sarà sparso per
voi e per fnoltiy per la remismne dei
peccati; e tutte te wHe che vài lo &è-
retCj fette questo in memoria di me>-
Questo ò l'adempimento dì quella
promesBa ehe e^li avera ftitta, di-
cendo : Io sono il pane tioo disceso dal
céelo: chi mangia di quésto pane non
iHorirdineternóffeii pane che io darò
è lei mia carnet che darò per la vtYa
del mondo. In verità^ iti verità vi dico^
gè voi non mangerete la carne del Fi-
gHusolù deitefomOi e non berete il suo
gangmt ^t^ avrete la vita in voi. Chi
iMKi^già H mia carne e beve il mio
ManguCi ha là vita eterna^ ed io la
ÌS8 LA. MBSSA.
risusciterò nelVultimo giorno* Impe-
rocche la mia carne è veramente ciboy
e il sangue mio veramente bevanda: e
chi mangia la mia carne e beve il mio
sanguey abita in me^ ed io in lui. >
Le parole della promessa son chia-
re; e tali pur sono le parole della isti-
tuzione: Prendete e mangiate, questo
è il mio corpo: prendete e bevete,
questo è il mio sangue. — Non basta.
Questo ò il mio corpo che sarà dato
per voi: il mio corpo, rotto e spezzato
per voi. Questx) è il mio sangue che
sarà sparso ,per voi. Cesi questo è il
corpo medesimo che «i^à pesto di
colpii 4.raf^t0 di piaghe, confitto in
croce, e dato in preda aUa morte:
questo è il sangue medesimo che sta
per essere sparso nel pretorio di Pi-
lato e sul Calvario. —
L'Eucaristia, siccome ò adempi-
mento e commemorazione del passato,
è ancora una figura ed una prepara-
zione dell'avvenire. Tutti gli antichi
Patriarchi e Profeti figuravano e an-
E LA COMUNIONE 1^9
nufiuayano GesU Crìsto; e Gesù Cristo
nello stato d'umiliazione, in cui non
si vede in Lui se non Tuomo, annunzia
e prepara Io stato suo di gloria, nel
quale lo vedremo tale quale Egli è.
Così pure tutti^i sacrifizi e tutte le
comunioni dell'antica legge, nella
quale il popolo fedele partecipava
delle carni della vittima, erano una
figura e una profezia di quel sacri-
fizio e di quella comunione, in cui
Gesù Cristo a noi si dona sotto le
specie e la forma del pane e del
vino. Quel sacrifizio e quella comu-
nione, in cui Egli a noi si dona sotto
il velo del Sacramento, è un principio
ed una preparazione di quella comu-
nione eterna, in cui Egli si darà a noi
senza velo. Ond' è che dopo aver con-
secrato il calice. Gesù soggiunse: <kOr
io vi dico, che non berò d*ora in poi
di qtiesto frutto della vitCy sino a quel
giorno che io lo berò nuow con voi
nel regno del Padre mio. » —
Aspettiamo dunque codesto eterno
140 ILA MÉSSA
be^nòh^tto, in ciii (Mk datò «Vèltttft^
ménte 11 ^ane dògli Angioli, é daremo
Itìébtìati e rapiti della i^olutta del
Signore, 6 dell» ineffiubili ddlf2i« del-
ì'BiìAot iMó; ma ad ottener questo,
procuriamo di ronderoené dtdgni con
preparassi a partecipare di questo
grande ed inisflìbile mister.
It.
ÙISLL' iBUGA'ttlS'TIàL tiAOCtVJtiOy
DÈLHiJ^ SÀKTA MÉSSA.
L*Eacatistiai come Sacrifizio, è una
offerta che Oesii Cristo & di sé stesso
sotto 1« specie del pane e del Tiào,
airEtèrno suo Padre, per mez20 dei
sacerdoti suol ministri. Quésto sacri*-
fl^ è lo stesso che qneDo of^tto da
Lui BuUa croce: esso ò anzi là conti*
nuazione e IK rinnovasfoné del m^de*
Simo. OreÈìk Cristo è dui noétri aJtìurt
in istato di vìttima, nell^a^parenza di
morte; perchè, se bène sia vìtò e
E LA COMUNIONE 141
glorio^io, yi i^pp^isQe coi^^ io^ppiplftto;
m&atjre per le parafe della co^sk^q^s^
zipQe il svtp corpo apparìsic^ s^pfiLrs^ta
dal ^ngua; e questa sep^aziopte 4elle
speeie è nvi^ viva z^s^ppreaen^zìpae
della mòrte violenta ch*]^U patiCosi»
tanio sballa Croce qufinto sui aoftri al-
tari, èia Diedesin[ia vUtipia e ^o^^t^^so
eacjpifìca^tpre, e iion vi coirre altrisi di-
vérsiù, c\f nel i^ódo. ^^I^'Crpjse ii;k-
fatt\ Egli ik QÈfi da ié ^tesso^ i^entre
s^ noi^t^i 9Jt4^i si ofire pel minv^terp
<le' 8%c^r4pti^ |uila <Croc^ si o^pì in
Aii^a maniera ^ngainpleaiai m.pi'^^^P
ré&l^eT^ie e r^i^lmeiite sf^rg^^ftdp U
«^o i^i^ue ; mentre «ui no^^t^i altjE^i
«i offro in una maniera incruenta e
n^&torip^a. Qi^esto saerifizio si ctiiaj^^
Messa., e si o^rispe per ii vivi e per i
morti : pon si p^erisipp cbe\^ Dìo solo;
m^ vi si 1» memoria de* San t^ per
oi^o^^rlj^ p^. ringraziare Iddio dei
fj^Tfo^ (iftMyrp l?iia, fatti, e p^r pregarli
cfi^ upì^^^ajjo le; pregh3,ere l^rp ^e.
nostre.
142 LA MESSA
Nel divino Sacrifizio della Messa
adunque si contiene, e senza spargi-
mento di sangue si sacrifica sui nostri
altari, sotto le specie del pane e del
vino, lo stesso Gesù Cristo, il quale
sul Calvario offri se stesso con eftn'
sìone di sangue all'eterno Padre sul^
l'altare della Croce, come vittima di
espiazione per i peccati nostri e per
i peccati di tutto il mondo. E sebbene
il principale Sacerdote offerente nel
Sacrifizio della Messa sia Gesù Cristo
nostro Salvatore, nondimeno la Chiesa
Cattolica, cioè tutti i fedeli cattolici,
come suo corpo mistico, e in particolar
modo i circostanti, i quali con fede e
divozione, con timore e riverenza as-
sistono alla Santa Messa, offeriscono
ancor essi questo Sacrifizio per le
mani del Sacerdote ministro di Cristo.
Perciò ogni fedele che assiste alla
Messa, affine di ottenere il frutto e
gli effetti di essa, deve formare la
propria intenzione di offerire anch'esso
questo Sacrifizio pel ministero del
E LÀ COMUNIONE 14^
Sacerdote, a ]ode e gloria dì Dio, ad
ottenere la contrizione del cuore, il
perdono de' peccati commessi, e la
remissione della pena dovuta per essi
alla diTina Giustizia; a rendimento
di grazie per gì' innumerevoli benefizi
di natura e di grazia ricevuti da Dio;
per impetrare le sue misericordie, la
sua grazia trionfatrice, e il soccorso
nelle proprie miserie spirituali e tem-
porali, pubbliche, e private : e final-
mente in suffragio delle anime del
Purgatorio.
n Sacrifizio della Croce, rinnovata
sui nostri altari, manda al Trono di
Dio l'adorazione più degna e più ec^
celiente del divin culto, l'adorazione
e l'omaggio più glorioso che possa
$^ire dalla terra al cielo; perocché
porta con sé nel cospetto dell'Onni-
potente la riconoscenza e Pattestato
Ìol0nne della sovranità sopnt tutte le
creature rappresentate e annichilate
in qualche modo dinanzi all' impero-
eli Dio nella gran vittima che si è im-
144 Là m^&A
molata per tqitp il hiqaìo: e fl nuoto
cptipo di oaor^ dì lodo « d'i^Qit»?
e^qne, che ùf ^e^itire ì^ vittima ^^r
ti$ua^ ofilertA ^1 P»dr^ vioQe xofi^'
t^iiaent^ gli omaggi ^ 1q feloriQ ^#
gili tributano tuttfi \^ 9cì\mA 0€u Sia^tj
e 4egU aiig^ i^ oifii^o, « 4^ |^,«9t^
sulla terr^.
Il sojÌq cantico 4«1 W?rtfizte fiwatìr
rtico RVi* ringi^ajje, ^ r^i\K£^ i On-
nipoj^ente nel w^f o i^ p^u ^§g¥io c)^
i benefìd e i doni che ha s^p^^i^ jì <À0
dÀ cp^^iw«^o ^p^i^^iiopr^ i!^ Wl^- E
80 t^tte le W^IUQ,^ g^nw«ÌQiU «i prp*
tra^sejiro B^r dar gkirià, ^nore e a^o^i
dì grazie a C^ì^ cÌ^ ^ vìy^dl^ ncùi
8(^00^, i ^CiTO oa^tìci BOB potC^l^d
es^ATe, gyati a Pio i^ i^o^ si ^tzps^^Q
tra i pw^jfwni. ^1 gijan Sa/sri^, n,^
qujale igi onrei un OJoiea,q^, e si portjA
a^ì, pi.^di d^ divi^^ Troi^ u^ viijtinJftf
die 8pl% può spdi6fi94?Q pi^r tUttU i 49ì^i
di Dip.
Più> la vitti^)^ i;^9^ UQsUTaUo ch#
E LA C(»ITrN10NE 145
^b9 radorasìoiM e prasenfta l'azimie
di grazia devtHa alla sevraaillà e alla
beseficeiiza infinita di Dio, impetra eà
cttiene ancoFa la ppopiziazione e il
«perdono dei nosta^i peccati, mettendo
darranti alfetemo Pack^e la morte vo-
lontaria alla quale si è sottomesso fi
«no diletto Figlinolo per riconciliare
I peoeatcHi; o pinltoste, mettendogli
d«»ranti il soo Figliuole medesimo,
sottia i segni ài ifoella morte eolla
qnaie 11 Panlre-è stato placato. Così il
saerìfiziodftlFaltaFe^ propieiat^rio per
i peccati e per le pene d^ fedeli vivi
e iéfatìH, sencia -die siano assoluta*
mente esolosi gl'ìnledeM, gli eretici e
gli soismaiìoi:; ed è meritorio dì tutte
l^frropiciassione e le grafie, non però
#9me seOesli Crìsto acquistasse nuovi
meriti nel sacrificio de^lFaltare (il te-
soro iiifinite de* suoi mefriti è stato
acquistate nel sacrificio d^l la' Croce);
ma per la virtù che ha il Sacrificio
incruento; essendo quello un solo e
medesimo saciTxflzio.
10
Ì4Q LA MESSA
Questa propiziazione peròé mediata
e per impetrazione; e il Sacrifizio
dicesi impetratone, mentre la remis-^
sione dei peccati con tutti gli altri
beni si ottengono con la yirtti che il
Sacrifizio ha nei meriti di Gesù Cristo,
per impetrare le grazie di conver-
sione o di santificazione ; le quali ci
dispongono ad ottenere^ mediante la
costruzione col sacramento della pe-
nitenza, la remissione dei peccati,
Tabolìzione delle pene a quelli dovute,
ed anche un aumento di grazie. Nel
modo stesso questo sacrifizio vale
anche a conseguire i beni temporali,
la sanità e guarigione del corpo, i
frutti della terra, la pace dei nostri
giorni, la liberazione dai mali, e l'ac-
quisto dei beni leciti ed onesti, i quali
subordinatamente ai beni spirituali si
possono cristianamente domandare e
conseguire soltanto pei meriti di Gesti
Cristo.
E vero che le orazioni, le limosino
• tutte le opere di religione e di piet4
E LÀ COMUNIONE 147
cristiana hanno esse pure la virtù di
impetrare ogni sorta di grazia ; ma i]
sacrifizio ha questa virtù di per sé
stesso e per la vittima offerta; mentre
quelle non Thanno che dalle buone
disposizioni dei fedeli che le prati-
cano. Sebbene però bisogna al tempo
stesso confessare che anche nel Sacri-
fizio la virtù impetratoria e propizia-
toria, infinita iu sé stessa, è limitata
neirèffetto e nell'applicazione; mentre
non dipende cosi dalla quantità del-
Fobblazione, cite non si misuri molto
apcora sulla disposizione di chi Toffre
e di quello per cui si offre, o almeno
sempre secondo il disegno e benepla-
cito di Dio, che conosce i bisogni e le
disposizioni di tutti: e questo deve far
riflettere alla ricchezza inestimabile
delle grazie che otterrebbe nella
Santa Messa quegli che sapesse pro-
porzionare in qualche modo con il
fervore la quantità e qualità sempre
limitata delPaffetto alla quantità e
qualità essenzialmente infinita del-
Tcfferta.
14S LA MESSA
ni.
0SL MODO DI AB8ZSTBRK
AL S. SACRIFICIO DELLA HB8SA
Se è vero danque che in questo
divino inìstero Gesù Cristo, ftittosl
vìttima e sacerdote, rende a Dio quel
^usto tributo di adorazione e di lode
che gli ò dovuto, ed intercede in no-
stro favore ; e offerendbsì in eaorifizio
s* interpone fra la collera di TMo e i
nostri peccati colla realtà della sua
presenza in un mistero che rapppe-
senta la sua morte ; se tanto grandi e
innumerabili sono i benefizi ohe dalla
oblazione di questo divino olocausto
possiamo ricavare, non dovremmo
mancare di assistervi, se ci Ibsse pos-
sibile, ogni giorno; ma più special-
mente in quelli consacrati al servizio
di Dio noi dobbiamo assistervi con tale
littenzione, rispetto e devozione, da
B LA COMUNIONE 149
render manifesta la nostra Fede In
qaei mistero. E come se fossimo stati
presenti sul Calvario, quando il nostro
Salvatore s* immolò snlla Croce per
noi, saremmo stati penetrati di dolore,
di compunzione e di amore a si toc-
cante spettacolo; cosi dai medesimi
sentimenti dobbiamo essere penetrati
ogni qual volta assistiamo a questo
sacrosanto sacrifizio del corpo e dei
Sangue di G-esù Cristo; sacrifizio che
Cristo medesimo e con lui tutta la
Chiesa offre a Dio per tutti 1 fedeli
vìventi, e per quelli che penano nel
purgatorio.
Coloro però i quali si sono allonta-
nati da Dio con peccare gravemente»
debbon riflettere, che la Chiesa nostra
madre ò sempre stata talmente per-
suasa della santità di questo divino
Sacrifizio, che allorquando ne' primi
tempi fiorivano nel fervore i suoi figh\
non permetteva essa l'assistere alla
celebrazione di sì grandi misteri a co-
loro i quali erano caduti in qualche
150 LA MESSA
grave colpa; e i penitenti medesimi,
durante il tempo della loro pubblica
penitenza, non potevano trovarsi pre-
senti, se non a quella parte delia
Messa che chiamavasi la Messa de' Ca-
tecumeni. La disciplina della Chiesa
è presentemente mutata, e vuole che
assistano alla celebrazione del Santo
Sacrifizio coloro anche i cui peccati
dovrebbero escluderli almeno per
qualche tempo. Se mutata però è la
disciplina, lo spirito della Chiesa cat-
tolica, che è quello di Dio, è sempre
lo stesso. Essa vuole adunque che i
peccatori penitenti i quali assistono
alla santa Messa, si ricordino che son
trattati con molta indulgenza e carità;
che le cose sante sono pei santi, e che
se essi si trovano esternamente me-
scolati nel numero de' veri discepoli
di Gesù Cristo, se ne debbono però
considerare ' segretamente separati ;
e per conseguenza debbono portarvi
quei sentimenti df umiltà e di contri-
zione, che altra volta apparivano anche
E LA. COBIVNIONÈ 161
«il di faori per la segregazione del
luogo e per la veste di penitenza.
Sapposte tali verità, il peccatore
penitente, prima di presentarsi al
Sacrifizio della Messa, dovrà purifi-
carsi avanti al Signore per mezzo del
sacrifizio di un cuore contrito ed umi-
liato: si laverà nelle sue lacrime,
Tinnnzierà di tutto cuore al peccato,
«d userà con un santo e salutare ti-
more dell' indulgenza che ora la Chie-
sa gli accorda, di assistere al sacrifizio
del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo,
l'alleanza del quale ei profanò col
peccare. E rivestendo le disposizioni
'del pubblicano evangelico, il quale,
penetrato da' sentimenti di una sin-
cera umiltà, stavasi nel fondo del
Tempio, né cui'diva di alzar gli occhi
dal cielo, e percuotendosi il petto, pro-
rompeva in queste umili parole : Si-
gnore, sii propizio a me peccatore. —
E cosi il peccatore penitente, immerse
nella considerazione salutare delle
proprie miseriei dovrebbe starsi bob
152 Li WSS8A
taoto TÌWI20 All'Altare, «agli e«chi
Tolti «Jla terra, in Cristiano raceo^U-
meato, i8 p renderà dalia propria co-
scienza, oeiae da ^n lihi^ bene
adattato per sé,, la formoK dette s«i»
preghiere.
IV.
SoAo nel sacrìfìrao della Messa moltìe^
preghiere, òblassieiìi e oerimoaie, le
quali Girono aggiunte parte dagli
Apostoli e parte dai loro Bueeessori,
tante per la maggior solennità di
questo sacrifizio, quanto per eeritare
la nostra deToziene, e me^io spiegare
il mistero ebe rs^presenta, cioè la
passione e la morte di Oesù Cristo
L'Altare con i suoi eraamenti e il
Crocifisso sopra di esso, ci rlchiai)uuai>
alla mente il Monte Calvario, e Cri^
ivi crocjfififio. Il sacerdote co- suol pa-
ramenti raunreaeota Cristo legato.
K LA COMUNIONE 153?
nell'orto, e beffeggiato in vesti di
derifoone alle corti dì Pilato e d»
Erode : la separata eonseerazione del-
l'ostia e del YiDO rappresenta il sqo
Corpo uoeiso, e il suo Sangue sparso t
il silenzio durante il Càncuie significa
la sua Crocifissione, la quale fece
stupire e ammutolì tutta la natura i
la elevazione deirostia e -del calice-
per esser vedati e adorati dal popolo,
fappresenta la sua elevazione sulla
Croce : le diverse croci che sì fanno-
dal sacerdote, son segni della sua
pasnone ; e la comunione ò rappresen-
tazione del suo spirar sulla croce e
della sua sepoltura.
Una spiegazione poi più particolaro
di tutte le parti della messa ò la se-
guente. Il sacerdote, per prepararsi al
sacrifizio, comincia la Messa con un
BtÀmo dì lode a Dio, che egli recita
alternativamente col ministro, il quale
rappresenta il popolo circostante, e
oensaerificante col sacerdote. A questo
tien dietro il Confiteor o confession)&
154 XA MESSA.
dei peccati davanti a Dio e ai suoi
Santi, imperocché il peccato offende
Lui e tutta la corte celeste. Dopo
avere così umilmente chiesto perdono
delle nostre offese, il sacerdote ascen-
de Taltare, lo bacia, ed implora in-
43ieme ool popolo misericordia da Dio,
dicendo in greco ed in latino Kyrie
élmon, Christe eleiso» ripetuto nove
volte, cioè tre al Padre, tre al Figlio,
e tre allo Spirito Santo. Quindi, cogli
Angioli che scesero dal cielo alla na-
scita di Nostro Signore, dice il Gloria
in excelsis; cioè, Sia gloria a Dio nei
^ieli, e pace in terra agli uomini di
buona volontà.
Dopo questo cantico viene la pre-
ghiera o -Colletta del giorno, nella
quale il sacerdote prega per tutto il
popolo. A questa si aggiunge la Le-
zione Epistola, presa dagli scritti
dei Profeti o degli Apostoli^ perchè la
nostra istruzione comincia primiera-
mente dalla loro dottrina. L'Epistola
è seguita dal GradualOi che significa
B LÀ COMUNIONE 155
ì nostri progressi nella vita spirituale.
Ad esso tien dietro Y Alleluia che
esprime gioia spirituale, e il Tratto,
che esprime spirituale dolore ; i quali
affetti debbono essere ispirati dalla
precedente Dottrina. Ma siccome Gesù
Cristo è la yerità incarnata, dalla qua-
le i profeti, gli apostoli, i sacerdoti ed i
popoli sono istruiti nella yia di perfe-
zione, perciò il sacerdote, venuto in
mezzo all'altare, dove fa un'ammirabi-
le preghiera per purificare il suo cuore
6 le labbra, si muov« a leggere un
passo del vangelo : e prima di comin-
ciare la lettura, segna con la croce il
libro, e poi sé stesso in fronte, sulla
bocca e sul petto, perchè Gesù Cristo
crocifisso é l'oggetto primario che ci
è presentato dal vangelo, e ci avverte
che noi dobbiamo portar la croce con
Lui, per esser fatti degni di ascol-
tarlo e di eseguirlo. Dopo recita il
Credo nelle Feste del Salvatore, della
SS. Vergine, degli Apostoli e dei
Dottori della Chiesa, dai quali è stata
156 LA SCASSA
propagata questa Fede, perchè è in
taU feste ohe lì popolo fedele, ripieno
d^l medesimo spirito, deve rinnovare
in faccia ai santi altari la professione
d'una medesima fede, e Tadorazione
di tìitti i nostri misteri.
Tale è la preparatiiond al Sacrifizio,
o, compera chiamata anticamente, la
Messa de' Catecumeni, alla quale era
loro permesso d*èsser presenti, prima
che avessero ricevuto il Battesimo.
Quando il fedele è cosi preparato, al*
lora segue i'Of^rtorio, la Consacra^
zione, e la Comunione.
L'Offertorio consiste nelle oblazioni
che fa il Sacerdote a Dio, pregando
che si degni accettarle in favore dei
popolo, che a lui si unisce in quel*-
Tofferta : e dopo Toblazione e la bene^-
dieione dei doni» li Sacerdote si lava
le mani, con che esprime il rispetto
per i divini misteri che ò per toccare,
e la purità interiore con la quale bi>-
sogna acccostai*si al Santo dd saAti^
Recita egli un salmo coùvébienle ^
B LA COMUNIONE 157
questa azione, e poi ritorna in memo
all'altare, e dirige uoa preghiera alia
SS.^ Trinità, in cui per tutti i Q)isteri
della vita di Gesù Cristo domanda la
grazia di pi^qftttare di un sì prezioso.
Sacrifizio: e yoltandosi al popolQ, lo
esorta a pregare, dicendo : Oraie^ fra^
tre^i ed unirai con lui a chiedere a
Dio che accolga favoreyolmeote! le
ch'erte presen^tegll; perché i doni
offerti da loro per }a gloria del suo
nonie, siano utili a ciascuno per la
propria salute..
La ConciaeraziioQe h preceduta dal
Prefazio^ nel quale il sacerdote esorta
ij popolo ad innalzare il cuore di Bio,
ed unirsi divotanKOìte agli Angeli in
eieloj a lodare la diviniti^ di QesU
Cristo insieme ed Padre e con lo Spi-
rato Santo, dicendo tre volte Santo,
SawtOf Santo; e per lodare altresì la
^ua umanità ripetendo coi fEMioinlli
det) tf^mpio: «Osanna al figlio di Da-
vid: bemdstto colui ck^ ^m^ nel nome
4el Signore,)^ — Dopii di. questo co*
158 ' LA MESSA
mincìa il Canone^ che in lingua grega
significa Regola: e meritamente, per-
chè è la regola e la forma delle pre-
ghiere della Chiesa pel Sacrifizio.
Qaesto è molto antico e pieno dei più
grandi sentimenti di religione. In esso
il Sacerdote fa commemorazione di
quello per cui viene offerto questo
Sacrifizio, e in particolare della Chie-
sa Cattolica, del Sommo Pontefice,
del Vescovo, e di tutti quelli che vi
assistono con devozione. Ciò vien se-
guito dalla commemorazione dei Santi,
affinchè i loro meriti e la loro inter«
cessione inducane Dio ad accordarci
grazia ed aiuto: e il sacerdote termina
la sua preghiera, implorando dal Si-
gnore che il Sacrifizio il quale sta per
offrire, impedisca la dannazione, e sia
ad eterna salvezza di coloro per cui
è offerto. Questa parte della Messa è
detta a voce bassa, perchè destinata
ad una preghiera più raccolta ed in-
teriore. Il Sacerdote fa frequenti segni
di croce e sopra sé stesso, e sopra
K LA COlkrUNlOKB lÒ9
ìe cose offerte: la qual cerimoQis
YÌen messa in burla dagli eretici come
superstizione 1 Ma dovrebbero ricor-
darsi quanto era ordinario e frequente
un tal segno nella più remota anti-
chità; mentre è naturalissima cosa
rappresentare frequentemente Gesù
Cristo Crocifisso in un'azione che è il
memoriale di sua dolorosa morte, e
in cui Egli dà a noi sé stesso per rin-
novare continuamente il suo sacrifizio.
Ma eccoci al momento della consa-
crazione. Quanto è giunto il sacerdote
al punto di consacrare, di cangiare
cioè il pane e il vino nel Corpo e San-
gue di Gesù Cristo, egli cessa di par-
lare da uomo. Rivestito della possanza
di Gesù Cristo, ne prende le parole, e
non è più lui che parla, ma Gesù Cri-
sto stesso che parla per di lui bocca.
Né possiamo dubitarne, basati sul pre-
cetto formale di Cristo medesimo, il
quale disse: fate questo; cioè la cosa
che Egli fece. Dopo le parole della
consacrazione non v' ha più né pane
160 LÀ MBSSA
né vino : Gesù Cristo tPOYaai tutto in-
tiero sotto ambedue le speoie^ perchè
sebbene la specie del pane eoQteiig«i
e sigaij6iehi la sua carne, e la specie
del vino il suo sangue, e queste due
specie «eparate rappresentino la ae-
parazicHie violenta che del suo sangue
e ddUa csirne aua avYemie sul Calva-
Vio^ pure sappiamo che GesU Cristo
dopo la sua risiurresiene non può più
morire, e che nelle statio suo gkorteeo
ed impassibile, il m^ CcH'po ed ili suo
Sangue non potcebbem essare pifr se-
parati realmente. Cosi ehi riQe¥e una
delle due specie, i^ioeve iurtto €bes&
Cristo, il suo Corpo cioè, E «uo San*
gue, ranima e la DlV'ÌBÌtà>
Essendo cosi disceso ^esjti Cnjsto
suj i nostri i^tarì, secondo la sua pro-
messa, il sacerdote piegando a term
il suo ginocchio lo adora, o pei lo eJera
per mostrarlo in tal moAo al popolo,
che pros»Lrato esso puxie lo adora. ladl
tutte le YoUe che discuopre il oafioe
.0 io rieuopre, ei ri|)ete in
la LA COMtJNOlNB 161
di Luì le sue genuAessìoni. Tenendo
in sim mano Gesti, il sacerdote dopo
la consacrazione si scusa per avere
osato di compiere un'azione cosi ec*
celsa, allegando la sua obbedienza ai
xìomando di Cristo ; e prega che questo
«acri^^o sia accolto di buon grado,
XM>mei sacrifizi di Abele, di Abramo, e
di Melchisedee, e possa essere di prò-
£tto agli offerenti: non solamente a
quelli che attualmente ne mangiano o
'vi partecipano, ma ai defunti ancora.
E in ultimo prega per sé stesso, afSn-
^hè Iddio si degni accordare a Lui,
quantunque peccatore, qualche parte
fra gii apostoli, 4 martiri e gli altri
«antì, mediante l'immensità della mi-
sericordia, dicendo: Nobis quoque
peccatoriòiùs ; cioè, uncheper noipec-
-catorù
In seguito, pieno di gioia il sacer-
dote alla vista di questo mistero, leva
ia sua voce, e fa insieme con tutto il
popolo quella divina preghiera che
imparammo da Gesù Cristo mede»
u
102 LA BfESSA
8Ìmo: Pater noster quies in coeli^y
preghiera alla quale nessun*altra me-
rita di esser posta a confronto, e nella
quale dobbiamo riporre tutta la nostra
confidenza, se non vogliamo fare in-
giuria a Gesù Cristo. Terminata que-
sta orazione, il sacerdote prende la
specie del pane e la spezza, per signi-
ficare che il corpo di Gesù Cristo fu
spezzato e immolato per noi ; quindi
mette una particella dell'ostia nel
calice, per farci intendere la riunione
del corpo suo col suo sangue nella sua
trionfale risurrezione.
A questo punto si avvicina la co-
munione; e siccome quelli che rice-
vono questo sacramento debbono es-
sere in pace con tutti, il sacerdote»
arrestando gli occhi suoi sulla specie
del pane, ripete alla vista di Gesù.
Cristo^ percuotendosi il petto, le pa-
ròle che c^sse S. Giovanni Battista,
quando vide il Figlio di Dio : Agnus
bei... — Agnello di Dio che togli i
jpeccati delmondOy abbi misericordia
E LA COMUNIONE 163
di noi, dacci la tua 'pace, — Quindi,
recitale tre fervorose preghiere per
chiedere a Dio il frutto del Sacrifizio,
prima di comunicarsi riconoscesi in-
degno, e si percuote tre volte il pelto,
ripetendo quelle toccanti parole del
Centurione: Domine, non sum digntts.
E dopo aver mangiato il pane celeste,
beve il sangue prezioso. Dovrem noi
stupire che Gesù Cristo abbia voluto
essere nostro cibo per incorporarsi a
noi ? Prese la nostra carne per santi-
ficarla, e per divenire Egli stesso in
noi principio di vita eterna. Abbas-
sandosi ora sotto Tapparenza di un
alimento sì familiare, non può nulla
perdere di sua eterna maestà ; e con
colpire cosi i nostri sensi per mezzo
di questa esteriore umiliazione, eser-
cita a un tempo la nostra fede, e
risveglia la nostra tenerezza. Così,
quantunque si umilii, non si avvilisce
perciò ; tutto ò degno di Lui in questo
sacramento, continuazione delle sue
bontà infinite.
164 LA MESSA
La ComunìoDd é seguita da due
abluzioni, la prima per faxsilitare il
passaggio delle specie sacramentali,
la seconda per raccogliere con rispetto
le particelle e le goccio preziose che
potrebbero restare nel calice.
Fatta la comunione, si conclude il
tutto con un rendimento di grazie a
Dio, che il sacerdote compie per sé e
per il popolo, come dopo Fultima cena
fece lo stésso divino Maestro prima
di andare all'orto degli olivi : ed av-
vertendo i circostanti che la Messa è
finita, termina con dare la sua benedi-
zione ai medesimi, desiderando loro
ogni bene dal cielo.
PREGHIERE
PER LA CONFESSIONE E LA.
COMUNIONE
Prima della Oonfessione.
Oreatore del cielo e della terra,
Re de' re, Signore dei signori, che
m' hai fatto dal niente a tua immagine
e somiglianza, e m* hai riscattato col
tno proprio sangue; Te, che io non
sono degno né di nominare nò d" in*
Yocare e né pur di pensare, suppliche*
vole ed umiliato io prego, affinchè
riguardi benignamente a me tuo inu-
tile servo ; ed abbi pietà di me, poi
che fosti pietoso alla donna Cananea,
a Maria di Maddalo, e perdonasti al
Pubblicano, e al Ladrone pendente
dalla croce. A te confesso, o Padre
clementissimo, i peccati miei ; ì quali,
se volessi altrui nasconderli, a te noa
166 LA CONFESSIONE
potrei, Signore. Perdona, ó Cristo,
a me, che pur ora e gravemente t'of-
fesi in pensieri, parole, opere e in
tutti i modi ond'io fragile creta e
peccatore ebbi agio d'offenderti ; — per
mia colpa, per mia sola colpa, per mia
grandissima colpa. Nondimeno, o Si-
gnore, io ti prego per quelFamore che
ti trasse di cielo in terra, che ti fé' be-
nigno al pentito Davidde, che ti mos-
se a pietà pel peccato di Pietro, di
perdonare anche a me, o Signore, di
perdonarmi, o Cristo. Tu sei il mio
Creatore, il mio Redentore, il mio
Signore, il mio Salvatore, il mio Re,
il mio Dio : tu sei la mia speranza, la
mia fiducia, il mio maestro, il mio
soccorso, la mia consolazione, la mia
forza, il mio difensore, il mio libera-
tore, la mìa vita, la mia salute^ la mia
risurrezione, il mio lume, il mio de-
siderio, il mio aiuto, il mio protettore.
Io supplichevole ti prego: soccorrimi,
e sarò salvo ; reggimi, difendimi, con-
fortami, consolami^ rafforzami, ralle*
j
-É LA COMUNIONE 167
^ramì, illumina e visita l'anima mia
in questa distretta. Io son morto ; ma
tu risuscitami, perché sono tua fattura
ed opera delle tue mani. signore,
non mi discacciare da te; perchè io
sono il tuo servo, benché malvagio e
indegno e peccatore: però qual che io
sia, o buono o malvaggio, son sempre
tuo. A chi correrò io per ajuto, se non
a te? Se tu mi ributti, chi più vorrà
accogliermi ? Se tu rivolgi da me la
feccia, chi altro mi guarderà? Ricevi
dunque benignamente quest'indegno
ohe ricorre a te, se ben sia cosi vile e
sudicio di peccato. Perocché s'egli è
vile e sudicio, tu lo puoi mondare ; se
cieco, tu gli puoi restituire la vista;
se infermo, tu puoi sanarlo ; se morto
e sepellito, tu puoi risuscitarlo : con-
ciosachè la tua misericordia é maggio-
re della mia iniquità; la tua pietà è
maggiore delle mie scelleratezze ; e tu
puoi rimettere più che io non ho com-
messo di colpe, e perdonare più pec-
cati che io non mi sono vergognato di
I^ LA. CONFESSIONE
fare. Adunque non mi respingere da
te, SigBore, non guardare alla mol-
titudine dcUe mie iniquità; ma, ee-
eondo la moltitudine delle tue miseri-
oordie, abbi pietÀ di me, e sii benigno
a un peeeatore si grande eom' io son#.
Di all'anima mia: La tua salute son
io« — Perocché tu dicesti: Non To'^la
morte del peccatore, ma più tosto ohe^
si oonyerta e che viva. «— Convertimi
a te, e non t'aerare contro di me. lo
ti prego, o Padre elementissimo, e
per la tua misericordia ti supplico e
chieggo, che tu mi conduca a buon
fine, e mi tiri a vero pentimento, ed
a fare una schietta confessione e una
degna penitenza de' miei peccati r
Così sia.
(Pedo che avrai cosi pregato, esa-
mina diligentissimamente & tua co-
scienza, secondo gli ammaestramenti
ricevuti; e considera che male h9i
E LA COMUNIONE 169
fatto peccando, e che ne hai per-
dnto. — Sospira e duhita (com' è detto
nel quarto libro deir Imitazione di
Cristo) di essere ancora cosi carnale
e mondano, tanto poco mortificate^
nelle passioni, tanto inchincTole agM
stimoli della concupiscenza; si mal
custodito ue^ sensi esterni, sì sovente
smarrito in molte vane fantasie^ ȓ
vago delle eose esteriori, si negligente
éelle interiori ; tanto facile al riso ed
alla dissipazione, tanto duro al pianto
ed alla compunzione ; tanto pronto ai
rìlassamenti e ai commodi del eorp»^
tanto mal disposto al rigore ed al
fervore ; si curioso a sentir novellare
e a rimirare cose aggredevoli, si lenta
ad abbracciare le cose umili ed abjette^
8Ì cupido di posseder molto, sì parco
sei donare, sì tenace a mettere in
serbo ; sì sciolto nel parlare, sì incon-
tinente nel tacere; tanto scomposto
Be' modi, tanto petulante negli atti ;
tanto ghiotto nel mangiare, tanto
sordo alla parobi di Dio ; tanto soUe-
170 LA CONFESSIONE
<^ito del riposo, tanto svogliato al la-
voro; tanto desto alle favole, tanto
sonnacchioso alle cose sacre; tanto
desideroso dì spacciarti, tanto svagato
ad attendere; tanto negligente nelle
preghiere, tanto arido d!affetto nel
communicarti ; si &cile alle distra-
zioni, si mal atto s, raccoglierti piena-
mente in te stesso; tanto subito nel-
r ira, tanto corrente a fàc dispiacere
altrui ; si franco nel gìudìciure, si ri-
gido nel riprendere; tanto 4Bpensierato
nella buona, tanto smarrito nell'av-
versa fortuna; si pronto a fare spesso
di molti e buoni proponimenti, si
rimesso nel metterli ad effetto. — Ri-
pensa ai comandamenti di Dio, agli
obblighi della carità, ai precetti della
Chiesa, alle opere della misericordia
spirituale e corporale, ai peccati capi-
tali ; e vedi in che e come hai peccato
in pensieri, in parole e in opere.
Fa' in modo, come se cotesta fosse
r ultima tua confessione, e poi avessi
4i presente a morire. Puoi ancoi^i
E LA COMUNIONE 171
meditare sai novissimi, e recitare di-
Totamente ì Salmi penitenziali, o sol-
tanto quello che incomincia : Mùerere
mei DeuSy Finalmente, prima di ac-
costarti al confessore, prega Dio così )
Ricevi, o pietosissiiìio e clementis-
simo Signor mio Gesù Cristo, speranza
unica della salute dell'anima mia,
la confessione che io fo della mie
colpe ; e dammi, ti prego, compungi-
mento nel cuore e lagrime negli occhi,
perchè io pianga notte e di i peccati
miei con umiltÀ e sincerità di affetto.
Sia accolta la mia preghiera al tuo
<;ospetto, Signore. Se tu sarai ancora
adirato contro di me, a chi mi volgerò
per i^uto? Chi avrà pietà delle mie
6celeratezze ? Ricordati di me, o Si-
gnore, che chiamasti la Cananea e il
Pubblicano a penitenza, e ti commo-
vesti ai pianto di Pietro. Signor»
Iddio, accogli le mie preghiere.
172 LA CONFESSIONE
buQn Gesù, Salvatore del mondo,
che ti offeristi a una morte si atroce
per condurre a salvamento i pecca-
tori, riguarda a me misero peccatore,
che invoco il tuo Nome. Se io potei
far tanto. per perdermi, tu niente per-
desti di ciò che bisogna per salvarmi.
Perdonami, dunque, o mio Salvatore,
ed abbi pietà dell'anima mia pecca-
trice. Scioglila delle catene; sanala
delle sue piaghe. Signor mio Gesii,
te io desidero, te cerco, te voglio : mo-
strami la tua faccia, e sarò salvo.
Pertanto, o pietosissimo Signore, pei
merìli della purissima e immacolata
tua Genitrice sempre Yergine Maria
e de' tuoi Santi, diffondi la tua luce
e la tua verità neiranima mia; affin-
chè per esse io vi legga, e noti chia-
ramente tutte le colpe che mi bisogna
di confessare e che mi giova di spie-
gare con dilingenza e contrizione di
cuore al ministro tuo, o Signore, che
vivi e regni ne' secali: Cosi ^ia.
£ LA COMUNIONE 173
Dopo della Oonfessione.
Signore, io ti supplico pei meriti
della beata sempre Vergine tua Geni-
trice Maria e di tutti i Santi, di gra-
dire ed accogliere questa mia confes-
sione; e a tutto quello che ora ed altre
volte mi è mancato di contrizione, di
sincerità e di pienezza nella confes-
sione, supplisca la tna pietà e miseri-
cordia; secondo le quali degna tu di
avermi pienamente e perfettamente
come assoluto in cielo, o Dio mio, che
vìvi e regni ne*secoli de'secoli:Cosi sia.
(Procura di soddisfare prontamente
alla penitenza imposta dal Confes-
sore,)
Prima della Oomnnione.
Dice il Signore:
Venite a me, tutti voi che vivete
in travagli e siete aggravati; ed io
vi ristorerò.
174 LA C0NFB8SI0NE
Il pane che vi darò, è la mia carne,
fatta per dar vita al mondo.
Prendete e mangiate: questo è il
mio corpo, il quale sarà tradito per
voi : Me ciò per memoria di me.
Chi mangia la mia carne e hee il
mio sangue, egli sta in me, ed io in luì.
. O Signore, tu mi comandi che io
venga a te confidentemente, se io
vo' con te aver parte ; e dici : Venite
a me.
parola dolce ed amica all'orecchio
del peccatore ; con la quale tu, o Si-
gnore Iddio mio, inviti il meschino e
il poverello alla Comunione del tuo
santissimo Corpo! Ma chi sono io, o
Signore, perchè osi di accostarmi a
te ? Ecco, i cieli più alti non ti possonor
capire, e tu dici : Venite a me tutti. —
Se tu, Signore, non le dicessi queste
parole, chi potrebbe crederle veraci ?
E se tu non ci comandassi, chi sbarri-
schierebbe d'accostarsi?
invisibile Creatore del mondo,
Iddio 1 quanto mirabilmente tu operi
È LA COMUNIONE 175
eon noi ! quanto soayemente e grazio-
samente provvedi ai tuoi eletti, ai
quali proferisci per cibo te stesso in
Sacramento !
Io ti ringrazio, o buon Gesù, Pa-
store eterno, che ti sei degnato di ri-
storare noi poveri e sbanditi col corpo
e col sangue tuo prezioso ; ed invitarci
ancora di partecipare a questi lìiisteri
con le parole della tua propria bocca,
dicendo : Venite a me, tutti che vivete
in travagli e siete aggravati, ed io vi
ristorerò. —
AfSdato, o Signore, alla tua bontà
e misericordia infinita, io infermo mi
accosto al Salvatore; affamato ed as-
setato, al Fonte della vita ; mendico,
al Re del cielo; servo^ al Signore;
creatura, al Creatore.
Ma che bene ho io, perchè tu venga
a me ? Chi sono io, perchè tu mi offra
in dono te stesso? Come ardisce il
peccatore di venirti innanzi? E tu
come ti degni di venire al peccatore?
Tu conosci il tuo servo, e sai ch'egii
176 LA CONFESSIONE
non ha un tanto di bene, che tu cosi
te gli dia.
Adunque io confesso lamia viltà;
riconosco la tua bontà, lodo la tua
pietà, e ti ringrazio di codesta sovrab-
bondante carità. Imperocché tu fai
tutto questo per tua grazia, non per
mìo merito ; ed affinchè la tua bontà
mi sia più manifesta, e più m^accenda
dell'amor tuo, ed a più perfetta umil-
tà io sia persuaso,
dolcissimo e benignissimo Gesù,
quanta riverenza e quanti ringrazia-
menti con perpetua lode ti si debbono
per ricevere il tuo sacro Corpo, il cui
valore nessun uomo al mondo è da
tanto, che lo spieghi 1 .
Ma che penserò io nel fare questa
Comunione, nelFaccostarmi al mio Si- '
;gnore, che io non ho il potere di
onorar degnamente, e nondimeno de-
sidero di ricevere divotamente ? Che
|>enserò di meglio e di più giovevole,
se non umiliarmi profondamente in-
Banzi a te, esaltcy^do la tua infinita i
fi LA COMtJNIOKfi 17T
bonUi Terso di mèi Pertanto io ti lodo^
^ mio Dio, e ti étìÈÀto in eterno. Di-
apreseo me stesso, e a te m'étssoggetto
nel profondo della mia viltà.
Rallegrsiti, anima mia» e ringrazia
Iddio p^i dono eosi nobile e pel con-
Ibrto tavrio singolare ehe t' ha lasciato
tu ^vmVA talle di pianto. Imperocché
quante Vi4te tu M ricordanza dì que*-
)Mo mistero, e riceri il Corpo di Cri-
lAo, iaa^e tt>Ke ripeti Topini della taa
l^etieione, e sei ftttta partecipe dei
meriU di cristo.
Ecco che io vengo a te, Signore, af-
fitte in bene nrì sia il tuo <^o, e mi
fMsfjtì nel t«K> santo «Kmvite, il qoale
4€t hai, &io, imtMLndito al pNi>vereilo
nella taa ddceÈza. Ecco che in te si
trerva tiitto qnello <^e io posso e didg*
T^ desiderare ; perchè tn sei la salnt^
la redenzione, la speranm, la fotte2S2a>
12 dècòroela gtona mia.
178 hA OÓNFESSIONS
Rallegra, dunque, in questo di Yst-
Bima del tuo servo ; perocché a te, o
Signore Gesù, ho sollevato Tanima
mia.
. Or io desidero di riceverti divota-
mente e riverentemente : anelo di ac-
coglierti in casa mia, per meritare di
essere da te benedetto siccome Zao
cheo, ed annoverato tra i figliuoli d'À.-
bramo. L'anima mia ò desiderosa del
tuo Corpo, e il mio cuore arde di
unirsi con te. Senza di te io non posso
stare ; e senza la tua visita io non se
come vivere.
Ma poi che non si trova sacritelo
piti degno nò satisfieudone maggiori
per cancellare i peccati, dell'offer
schietta e intera di sé stesso a Dio
ncevi, o mio Dio e Redentore, ToiSe
ehe io ti £o di me stesso. Onde, si
me tu, o Signor mio Gesti Cristo^
iontariamente pei nostri peccati ti f
E LA COMUNIONE 179
feristi a Dìo Padre con le mani distese
in croce e il corpo ignudo, sicché nien-
te rimase in te, che non fosse offerto
in sacrifizio per placare alla Divinità ;
così io volontariamente oggi ti offeri-
sco me stesso in sacrifizio paro e santo
con tutte le forze e gli affetti miei, e
come piii posso.
Ma poiché, per detto tuo, chi non
rinunzia a tutto non può essere tuo
discepolo ; io ti ofierisco me stesso in-
^1 tieramente: e siccome tu desti a me in
m cibo il corpo e il Sangue tuo, io, prima
.^\ di mangiare le tue carni, ti offerisco
; tutte le cose mie, perché io sia tutto
di te, e tu in me ti rimanga : e così io
ti prego.
Offerta.
O Signore, tutte le cose che sono in
cielo e in terra son tue. lo bramo di
offerirti me stesso in sacrifizio volon-
tario, e restar tuo per sempre. Signo-
re, nella semplicità del mio cuore io
180 LA CONFESSIONE
ini ti do bggi etèr'ttàihèhté )^t se^Vo,
in oisseqtiio e ^étìMìo ài pèì^pèìt^
lode.
p Signoi^e, io ti òlBfeiiàièo lutti ! ^oè-
^ti delitti miei, ehè cdmiiiìéi bel
ieospetto tuo e dèi éànti ^ft^li tttoi
tìal prì^o dì che M ih ^iMé di pé6^
eare, sino a questo punt<)^ àfflilché tu
;^li abbruci e òòndum! tutti ift^iémè teol
fuòco della tua carìlà, é scabdelli é^i
Ìot*o macchia, e mondi là m\&cièfsU^é^ìta,
dà ógni bì'Utturìa, è liii !^eètltu£^ la
grazia tua, che, peccando, io ^èà^dei;
concedendomi il perdono pili ^hb, è
i»ìcevendómi benignàm^ente tee! badò
della pace.
Che posso io fare pe* miei pécèàti,
se non confessarli umilmente, e pian-
gerli, e invocar senza posa la tua mi-
sericordia? Io ti prego di ascoltarmi
benevolmetite, oi'a che ti ìstò innanzi,
o mio Dio. "tutti i miei pèecàti ini la-
cerano il cuo're d'titagoscià : non tbgiio
mai piti commetteHi; ìn!a fi jf^fàn^b "é
piangerò sempre fitìch*è vivrò, pianto
B LA COMUNIONE 181
a iarne pfipitenz^ ^ datene satìsfi^-
zìqq^ con tutto il poter mio. Perdona-
mi, Dio, perdopami ì miei peccati,
pel pome tup sitato : aa}va quest'anima
mia, che ti; hai riscatt?kt£^ cpl prezioso
tuo Sangue. Ec<^ ch^ io m*affido alla
tua piisericoriiia, e mi iqettQ pelle tue
mani. Trattami secondo la tua bontà,
non secopdp la piftli^^ia ^ 1* iniquità mia.
Ti ojpTeriscQ altresì qi^nti ho di beni,
con tptiQ chfi pQchi ed ipaperfetti ;
affipQhò tu ii n^pndi.e santifichi, e ti
sienp grati ed accettevoli, e sempre
più li muti in meglio; ed affinchè tu
conduca me, cosi pigro omicciattolo e
da puUa, ^ ^pe Ipdevole e santo.
^ ti oferiscp iinsieme tutti ì buoni
dpsiderj de'pii, le necessità de'par
repti, degli fumici, de^ fratelli, d^lìe
sorelle e di tutti coloro che m} spn
cari, e di eplpro phe fecero a pie o
agii altpi up qu^Jchp bene per anior
tugj ftfflpcbè tptti prpyinp J'ajuto dplla
tua grwWt II tepopp 4e}l^ tu^ conso-
lazione, la tua protezione nei perigli,
182 LA CONFESSIONE
la tua liberazione dai travagli ; ed af-
finchè, sottratti a qualsivoglia male,
lieti a te rendano le maggiori grazie.
Ancora ti offerisco orazioni propi-
ziatorie per coloro che m'hanno offeso
o contristato o vituperato in qualche
modo, o mi hanno recato alcun danno
e gravezza ; e per coloro altresì che
per avventura io ho punti comunque,
soperchiati e scandolezzati in parole
o in fatti, con animo deliberato o sba-
datamente; afSnchè a tutti insieme
tu perdoni i nostri peccati e le reci-
proche offese. •
S velli, Signore, dagli animi nostri
ogni sospetto, sdegno, ira e contesa,
tutto ciò che possa offendere la carità
ed afSevolire la fraterna benevolenza.
Abbi pietà, Signore, abbi pietà di
coloro che a te gridano mercè : con-
cedi la tua grazia a chi n'ha di biso-
gno; e rendici tali, che siam degni di
godere i tuoi favori, ed acquistare
vieppiù all'eterna beatitudine: Cosi sia.
E XÀ COMUNIOKB IS8
dolcissimo ed amantissimo Si-
gnore, che io dÌYotamente ora deside-
ro dì riceverei tu sai la mia infermità
e ie mie necessità onde sono trava-
gliato; in quanti mali e vìzj io giaccio;
come sovente io sono aggravato, ten-
tato, smarrito e imbrattato di colpe !
Or io vengo a te per rimedio, e ti
prego di consolarmi e di tormi questa
soma di dosso. Parlo a chi tutto sa, a
<$hì sono manifesti tutti i miei secreti,
a ehi solo mi può in tutto consolare
ed ajutare. Tu sai di che beni io abbia
speciale bisogno, e quanto io sia sce-
mo d*ogni virtù.
Ecco che io ti sto davanti povero e
nudo, per domandar grazia ed implo-
rare misericordia. Ristora questo tuo
mendico affamato; accendi la mia fred-
dezza col fuoco del tuo amore; illu-
mina la mia cecità con lo splendore
4ella tua presenza. Fa'ishe mi sappii.
184 lUL C0MF9S3IOICR
amaro ogni terreno diletto, chMo sop-
porti con pazienza ogni gravezza ed
avrersità, che dimentichi ed abbia a
vile ogni bassi^ creata eOsa. Solleva
incielo a te il mio cuore, e fton eoxk-
sentire die io mi svaghi tra lo w>]3h
dane vanità. Dammi ebe io trovi i^ni
dolcezza in te solo da oggi io ]poi ^im
alla fine; perocdiè tu solo sei il mio
cibo e la mia bevanda, l'amor mia •
la mia gioja» la mia dolce^^sa ^ il mi^
bene supremo.
Oh che sarebbe, se tu m'^eendesd
tutto colla tua presenza^ e in te sta
consumassi e mi trasfondessi sicché
ip facessi con te un solo spirita p«r
grazia d' intima unione e per istruggi*
mento d'interno amore! Deh! mm
soffi^ire che io mi parta da te digiuno
e senz'affetto: ma fa' con me opera di
misericordia, siccome spessa yolte &*
cesti maravigliosamente coi Slatti
tuoi. Oh che miracolo s^r^be questo»
che io divampassi tutto d'amore per
te e mi struggessi; essendo bea i\x
V
E LA G0MT7NI0NB 185
fuooo che sempre ardi senza mai spe-
gnerti, Mnore che purifichi i eoori e
illamini Y intelletto 1
(Intrattieniti in questi pensieri e
affetti santi, e poi, nellìitto che s'ap**
presta la Comunione, dì fra te isttessa
col Ministro.)
Io confesso a Dio onnipotente, a>la
Beata Maria sempre Vergine^ al beato
Michele Arcangelo, al beato Giovanni
Battista, ai santi apostoli Pietro e
Paolo, a tutti i Santi e a te, o padre^
che io ben assai ho peccato, in pent-
sieri, in parole e in opere, per mia
colpa, per mia colpa, per mia grandis-
sima colpa. Laonde supplleo la beata
Maria sempre Vergine, il beato Mi-
chele Arcangelo, il beato Giovanni
Battista, i santi apostoli Pietro e Pao-
lo, tutti i Santi e te, o padre, di pre-
gare per me il Signore Iddio nostro.
L'onnipotente Iddio abbia pietà di
noi ; -e, rimettendoci i no^tpi peccati^
ci coaduca alla vita eterna: Così sia.
U Signore onnipotente e mi&eriogp*
186 LA CONFESSIONE
dìoso ci conceda rìndulgenza. Tasso-
luzione e la remissione de' nostri
peccati : Cosi sia.
Ecco FAgnello di Dio, ecco Colui
che scancella i peccati del mondo!
Signore, io non son degno che tu
entri nella mia casa ; ma di' soltanto
una parola, e l'anima mia è salvata.
Signore, io non son degno che tu
entri nella mia casa ; ma di' soltanto
una parola, e l'anima mia è salvata.
Signore, io non son d>egno che tu
entri nella mia casa; ma di' soltanto
una parola, e l'anima mia è salvata.
Il Corpo del Signor nostro Oesù
Cristo custodisca l'anima mia per la
vita eterna : Così sia.
(Ricevi con umiltà e divozione il
Corpo di Gesù Cristo, adoralo: poi
di' con tutti gli affetti dal tuo cuore :)
Dopo della Oomunione.
Imprimi, o dolcissimo Signore Gesti,
nel profondo dell'anima mia la soavis-
skna e salutevole ferita dell' aoior
R LA COMUNIONE 187
tuo, e la vera, tranquilla ed apostolica
santissima carità; affinché quest^anì-
ma languisca e si strugga sempre per
amore e desiderio solo di te ; te brami,
ne' tuoi tabernacoli si consumi, ed
aneli di svincolarsi ed essere con te.
Fa che Tanima mia abbia fame di te,
che sei il Pane degli Angeli, il ristoro
delle anime buone, il nostro pane
quotidiano soprassostanziale, in cui è
ogni dolcezza e sapore ed ogni diletto
di soavità : di te ognora io abbia sete,
che sei fontana di vita, sorgente di
sapienza e di dottrina, focolare di lu-
me eterno, torrente di piacere, ric-
chezza della casa di Dio : te ambisca
di possedere, te cerchi, te trovi, a te
intenda, a te pervenga, di te mediti,
di te parli, e tutto faccia in lode e
gloria dei tuo Nome, con umiltà e
convenienza, con amore e contentezza,
con facilità ed affetto, e con perseve-
ranza sino alla fine. E sii tu solo e
sempre la speranza mia, la mia fidu-
cia, la mia ricchezza, il mio sollievo,
188 LA C0KFES3IP^B
la mia Wm^ lei! quiete e trfuiquUlità
mia» la mia pace» la mìa goavità, i]
mio odore, la mia dplcejsza, il mio eibo^
il mio ristarò, il mio ricoverp, il mio
ajuto, la miasapiepza» l^ mia eredità,
il mio domi^io^ ii mio tesoro, nel
quale fia&ia e fermii e sapidamente ra^
dicati^ io abbiti 1^ mente e il cuore:
Così sia.
Or io ti riiigra^iO) o ^ignare Sa^to,
Padre Onnipotente, Dio eterqo, di aver
saziato me peccatore, indegnp tup ser<
Yo, e npo pei meriti miei, ma per spia
virth della tua pietà, col pressiosp
Corpo e Sapgue del Figlio tpo e Si-
gnor nostro QesU Cristo. E ti pr^go
che questa santa Cpmunipue non mi
venga imputata a colpa, m§^ v^ilgaml
siccome saìute^re medis^trice di pej>
dono, e mi 9ift fermatura di ifede e
scudo di biiop* vpioQti^. i mm vi^
sìeao per ess» di$tr0ti; le damna^
del}^ cp.Qcupi^Q9;a e dellf^ liUdiixo
spente; 1^ Qa^itft e h v^im^ l'ut?
miltft e l'ubbidiei»*! e t\itte Maitre
E LA OOMUKIONB 189
tiriti In ine si^no ìsiòcrfesciute. Essa
tal sia difòsà contro le ìtiBidie di tatti
i n^ifìici tisibili ed itìViSlbili; lacqHoti
le iaìé péÉéìohì cot*poraIi e i^pirituàli ;
ini unisca sétldaihékil«/(i^te, Dio utio e
tet»o, ié ini cDttdttcia fdlicom^nte al mio
finiè. È ti pt^o anciDi*a di àècbglieire
me póecàtwNj in qttelP infeflfebife coft-
vitOi dòte tu ^ ttìo FlgHuoio e <30n
lo SpVtì^ S^nto àei pei tuoi Binati
ttal^è Itìiiie, ct)&t)dtiti> intimo, alle^
grezza d^mpitét^na, giocondità «bm-
pitìte, é felicità perfetta : pei meriti di
Gieéti tCi^Sto Sìgm)r nostro : Còsi sia.
(Quésto è il niotftèntd opportuno, il
tempo tlidllò miàèribo^die e delle gra-
zie. Se il Signore ti ha dato sé stesso,
qual cosa potrà ricusarti, se gliela
chiedi ? Prega dunque il tuo Dio, come
pregheresti un amico, affinchè soc-
corra alle tue necessità temporali ed
eterne, alla Chiesa, ai parenti, agli
amici, agi' inimici, ai benefattori tuoi
ed a tutti i Cristiani; e che dia agli
uomini sanità, pace e giustizia. Pre*
190 LA CONFESSIONE
gaio pel bene della ina patria, pei
ricchi e i poverelli, i potenti e gli
umili, i giusti e ì peccatori, i sani e
gr infermi, per tutti, uomini e donne
di qualsiasi età e condizione. Poi hai
da proporti di vivere santamente se-
condo i precetti della carità, di &re
in tutto la volontà di Dio, di soppor-
tare con pazienza ogni avversità, e
di comunicarti spesso per gloria di
Dio e per tuo bene. E finalmente,
potendo, aggiungi le seguenti ora-
zioni : il salmo Benedictus Dòminus,
e poi il Te Deum laitdamus, con le
orazioni che vengon dopo; e la pace
del Signore sia sempre con te.)
INDICE
Prologo, Pag. 3
Cap. 1 Delle specie o della
Tìta dei Monaci . . • > 11
» 2 Quale debba essere
l'Abbate ...... » 13
» 3 Del valersi dei fra-
telli a consiglio. . . > 20
> 4 Qaali siano gli stru-
menti delle buone
opere. » 21
» 5 Dell'Obbedienza . . » 27
» 6 Della TacHuraità . » 29
> 7 Dell'Umiltà . . r . » 30
» 8 Degli Oflacii divini
di notte > 41
> 9 Quanti salmi si ab-
biano a dire nell'Of-
fieio di notte ^ . , , » 42
> 10 Come si deve rego-
lare l'OflScio di notte
in tempo di estate . » 44
192
Cap. 11 Come si deve rego-
lare r Officio della
notte nei giorni di
Domenica > 44
» 12 Come si debba rego-
lare il Matiiitiiio so-
lenne ««....«• » 46
» 13 Come si debba rego-
lare il ]!i{at4tttifio nei
giorni ierìM . % « , » 47
» 14 Comes» debba régo-
ìare rOffi^Oo di not-
te nelle feste dei
Santi 4 » 49
» 15 In quali tempi ìsi
debba dire l'Alte-
luja > 49
» 16 Come si abbib»o a
regolare gli Offidii
dirinl nel giorno . . » 50
)► 17 Quanti salmi si debr
bano dire in dette
Ore » 51
» 18 Coti qaàl oHineei
delèono dire i detti
i
193
' salmi » 52
, Cap. 19 Della disciplina del
salmeggiare > 56
. » 2Q Della riverenza nel-
, l'Orazione » 57
: > 21 Dei Decani del Mo-
i n?istero ....... » 57
» 22 Come debbono dor-
mire i Monaci ... > 58
» 23 Della scomm unica
pea» le colpe .... » 59
» 24 Quale sìa la pena
I della sqommunica . > 60
» 25 Delle colpQ pitturavi » 61.
f » 26 Di coloro che sen-
za il Qomandamepto
dell'Abbate si i^ni-
soono agli ^com^xiu-
niqati ........ » 62
> 27 Come deibba ess^ere
sollecitQ. r Abbate
circa gli scommuni-
cati » 62
» 28 Di coloro che più
volte, corretti, non si
13
194
saranno emendati . > 64
Gap. 29 Se debbono di nuo-
vo riceversi i fratelli
usciti di monastero. > 6&
> 30 Del modo come si
hanno a correggere
i fanciulli » 66
» 31 Del Cellerario del
Monastero , quale
debba essere .... » 66
» 32 Dei ferri e deUe
robe del Monastero. » 69
» 33 Se debbono i Mona-
ci avere cosa alcuna
di proprio » 69
» 34 Che tutti debbono
avere egualmente
le cose necessarie . » 71
> 35 Dei Settimanarii di
Cucina » 72
» 36 Dei Fratelli infermi. » 74
» 37 Dei vecchi e dei
fenciulli » 7&
» 38 Deir eddomadario
lettore ..;.... » 75
r
f
195
Gap. 39 Della misura del
cibo > 78
» 40 Della misura del bere » 80
» 41 A quali ore debba-
no refocillarsi iFra-
. telli ......... > 81
» 42 Che dopo Compieta
niuno deve parlare. » 83
» 43 Di coloro che giun-
gono tardi all'Officio
divino o alla mensa. » 84
» 44 Del modo con cui
gli scommunicati
debbono soddisfare.
» 45 Di coloro che falla- » 87
no nell'Oratorio . . » 89
> 46 Di coloro che falla-
no in altre cose. • » 89
» 47 Come l'ora dell'O-
pera di Dio dev'es-
sere annunziata . . » 90
# 48 Del lavoro giorna-
liero « . > 91
> 49 Dell'Osservanza del-
la Quaresima .... » 94
1
]
t
196
Gap. 50 De' PrateDi che la-
vorano lungi dairO-
ratorio, o che sono
in viàggio pag. 96
» 51 De'Pr&téllicheVan-
no non molto lungi. » 96
» 52 Deir Orai orlò del
Monastero > 97
» 53 Come fei debbano ri-
cevere gli Ospiti . . » 98
» 54 Se debba il Motìàco
ricerere lettere 'o
altro » 101
» 55 Delle vesti e delle
calzature de* Fra-
telli . » 102
» 56 Della mensa del-
TAbbate » 104
» 57 Degli artefici del
Monastero » 105
» 58 DeUa regola di ri-
cevere i fratelli . . » 106
» 59 Dei figli dei: nobili
o dei poveri che sto-
no offerti » 110
f
»
F
i
197
Cap. 60 Dei Sacerdoti che
tolesséro abitare in
Monastero > IH
)» 61 Dei Monaci pellegri-
ni come si debbono
riccTere » 113
» 62 Dei Sacerdoti del
Monp.stero » 115
» 63 Dell'ordine della Co-
munita » 116
> 64 Dell' elezione del-
l'Abbate » 119
« 65 Del Proposito del
Monastero » 122
> 66 Dei Portinai del
Monastero » 125
» 67 Dei Fratelli che Van-
no in viaggio .... » 126
» 68 Se a un fratello sian
comandate cose im-
possibili » 127
» 69 Che in Monastero
nessuno ardisca di-
fendere un altro . . » 128
» 70 Che ni uno ardisca
198
percuote* altrui. . » 129
Gap. 71 Che i fratelli debba-
no obbedirsi Y un
l'altro » lao
» 72 Del zelo buono che
debbono avere i Mo-
naci » 131
)^ 73 Come in questa Re-
gola non ogni osser-
vanza di giustizia
sìa stabilita. .... » 132
LA MESSA E LA COMUNIONE
1 Istituzione della SS.* Euca-
ristia » 136
2 Dell'Eucaristia Sacrifizio, o
della Santa Messa. .,...» 140
3 Del modo di assistere al San-
to Sacrifizio della Messa . . » 148
4 Le Cerimonie della Messa . > 152
5 Preghiere per la Confessio-
ne e la Comunione ....•» 165
^
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