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Full text of "La Repubblica di Venezia e la Persia"

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945-311 
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I-I- IV  - 


LA 


REPUBBLICA  DI  VENEZIA 


E    LA 


PERSIA 


945,3 

^45  (  ; 


AVVERTIMENTO 


Nell'anno  1861  il  Governo  di  S.  M.  il  He  d'I- 
talia deliberò  d'inviare  una  missione  diploma- 
tica a  S.  M.  il  Re  di  Persia,  e  scelse  per  essa  il 
commendatore  Marcello  Cerruti,  in  allora  Mini- 
stro Residente,  ora  Inviato  Straordinario  e  Mi- 
nistro Plenipotenziario  Volendosi  dal  viaggio  in 
paese,  sul  quale  in  diversi  rami  di  scienza  tut- 
tora si  desiderano  notizie  meglio  esatte  e  com- 
plete, ottenere  altresì  vantaggio  di  studi  ad  in- 
cremento delle  cognizioni  universali,  il  Governo 
del  Re  destinò  pure  alcuni  distinti  naturalisti, 
matematici  ed  ufficiali  di  armi  diverse  ad  accom- 
pagnare il  commendatore  Cerruti.  La  spedizione 
italiana  partì  nell'aprile  dell'anno  1862  per  la 
via  di  Costantinopoli,  e  fu  di  ritorno  nel  dicembre 
successivo  per  quella  di  Pietroburgo. 

Durante  i  preparativi  della  spedizione,   e    nel 


545-794 


VI 

corso  della  medesima,  il  Governo  del  Re  più  volte 
mi  aveva  fatto  l'onore  di  chiedere  il  mio  avviso 
sulle  istruzioni  ad  impartirsi  per  le  utilità  del 
commercio,  e  sugli  studi  a  preferirsi.  Sottopo- 
nendo in  tali  argomenti  le  mie  opinioni ,  mi 
si  presentò  altresì  il  pensiero,  che  sarebbe  stato 
utile  di  cogliere  questa  circostanza  anche  per 
attivare  ricerche  negli  archivi  italiani,  onde  illu- 
strare la  storia  nazionale ,  mediante  la  pubbli- 
cazione delle  antiche  relazioni  diplomatiche 
delle  repubbliche  italiane  colla  Persia,  circa  le 
quali  non  erano  state  finora  date  alle  stampe  se 
non  incomplete  notizie.  A  questo  effetto  si  ordi- 
narono a  diversi  archivi  del  regno  indagini,  le 
cui  risultanze,  almeno  finora,  non  hanno  ben  cor- 
risposto alle  brame.  Ma  era  specialmente  negli 
archivi  di  Venezia  che  doveva  ritrovarsi  la  massa 
dei  documenti  di  maggiore  importanza,  perchè 
già  era  noto  che  nessuno  degli  Stati  italiani  aveva 
avuto  così  antichi  e  frequenti  rapporti  colla  Per- 
sia ,  quanto  la  repubblica  di  Venezia,  stante 
l'interesse  massimo  della  stessa  repubblica  di 
coltivare  l'amicizia  di  Stato  potente,  situato  alle 
spalle  di  Turchia,  ad  entrambi  nemica,  e  per  l'ec- 
cellente ordinamento  di  Venezia  nelle  diploma- 
tiche cose,  delle  quali  essa  fu  a  tutti  gli  Stati 
maestra.  E  poiché  vincoli  d'amicizia  e  di  stima  mi 
legavano  al   cav.    dott.  Guglielmo  Berchet ,   che 


VL1 

già  aveva  avuto  a  studente  di  legge  in  Padova, 
quand'io  era  colà,  ed  egli  aveva  dato  prove  ripe- 
tute di  somma  diligenza  ed  abilità  nel  raccogliere 
e  pubblicare  documenti  diplomatici  esistenti  nel- 
l'archivio dei  Frari,  così  mi  rivolsi  privatamente 
a  lui,  e  lo  pregai  di  voler  sospendere  per  qualche 
tempo  gli  altri  lavori  suoi  sulle  Relazioni  degli 
Ambasciatori  veneziani,  il  Commercio  delia  re- 
pubblica ,  e  le  Leggi  venete  monetarie,  e  di  favo- 
rirmi d'indagini  su  tale  argomento  pur  esso  di 
molto  interesse  italiano  e  di  onore  alla  sapienza 
della  sua  nobile  città.  Il  cav.  Berchet  aderì  vo- 
lentieri all'invito  dell'amicizia,  ed  al  proprio  desi- 
derio di  contribuire  ad  illustrare  la  storia  veneta, 
che  è  tanta  parte  dell'italiana,  ed  a  nessuna  delle 
europee  è  seconda  nella  gloria  dei  fatti;  ed  abile 
ed  indefesso  si  pose  alle  ricerche,  che  riescirono 
sommamente  felici.  Mi  ha  quindi  trasmesso  con 
lettera  espressiva  della  sua  benevolenza  per  me 
le  risultanze  delle  solerti  sue  indagini,  accom- 
pagnando le  copie  degli  originali  documenti  con 
una  elaborata  memoria,  la  quale  è  molto  oppor- 
tuna a  seguirne  la  serie,  ed  a  comprenderne  la 
colleganza  ed  il  valore. 

Venuto  così,  per  merito  altrui  di  esperienza  e 
sapere, al  possesso  di  scritti,  che  sono  fondamento 
e  luce  di  una  parte  di  storia  italiana  rimasta 
(ino  al  presente  alquanto  vaga  ed  oscura,  pai  ini 


Vili 

conveniente  di  consegnare  al  pubblico  il  frutto 
non  mio.  E  siccome  conosco  che  i  lavori  del  Ber- 
chet  sono  sempre  commendevoli  per  diligenza  e 
perizia,  così  mi  astengo  da  qualsivoglia  inser- 
zione di  frase  non  sua,  od  esclusione  di  alcuna 
scritta  da  lui.  Di  me  in  questo  caso  veramente 
può  dirsi  ciò  che  leggiamo  nel  sacro  codice  :  — 
Quid  habes  quod  non  accepisti? 

Spero  poi  che  il  cav.  Guglielmo  Berchet  mi 
vorrà  essere  cortese  d'indulgenza  quanto  mi  fu 
d'amicizia,  se  io  non  volli  che  l'utile  suo  lavoro 
avesse  ad  essere  fecondo  solamente  di  privata 
istruzione  per  me,  ma  col  dario  alle  stampe  ac- 
crebbi con  esso  il  patrimonio  delle  cognizioni 
comuni. 

Torino,  20  novembre  1801 


Cornili.  Nkcìri  Cristoforo. 


i\ 


cHuiòttc    cStoleòòotc    cb    obuiico    V^atiódiiuo, 


Poiché  ella,  ottimo  amico,  rammentando  i  nostri  antichi  col- 
loquii  sull'attuale  ufficio  delia  storia,  i  quali  assai  mi  giovarono 
d' istruzione  e  d'  incoraggiamento ,  ed  usando  cortese  bene- 
volenza ai  miei  sludi,  volle  chiedermi  se  ne  mici  lavori  sulle 
relazioni  diplomatiche  della  Repubblica  di  Venezia,  avessi 
raccolte  alcune  memorie  intorno  alle  cose  veneto-persiane,  e 
mi  espresse  il  desiderio  di  averne  notizia;  mi  adoperai  con 
ogni  cura  possibile  per  ordinare  alcuni  appunti  che  tenevo,  e 
per  completarli  con  una  serie  di  ricerche,  negli  archivi  di  questa 
città,  le  quali  riuscirono  fortunate  così,  che  io  oso  sperare  sia 
il  presente  lavoro  degno  di  esserle  presentato,  con  animo  grato 
alla  di  lei  gentile  fiducia. 

Io  mi  lusingo,  che  mentre  gli  sguardi  di  tutta  l'Europa 
sono  rivolti  all'Oriente,  per  escogitare  o  la  sorte  riservata  al- 
l'impero ottomano,  dalle  combinazioni  della  diplomazia  e  dal 
progresso  della  civiltà,  o  la  importanza  vera  che  acquisteranno 
Bollettino  Consolare,  Voi.  HI. 


X 

i  porti  del  Mediterraneo,  per  le  nuove  vie  che  si  aprono  alla 
navigazione  e  si  tentano  nel  continente  dell'Asia;  giovare  po- 
tranno, come  giustamente  Ella,  egregio  Commendatore,  mi  av- 
vertiva, questi  studi  documentati  intorno  alle  relazioni  diplo- 
matiche di  Venezia  colla  Persia,  i  quali  gettano  nuova  luce 
sugli  intendimenti  politici  e  sugli  interessi  commerciali  di 
quella  Repubblica,  che  fu  scudo  alla  civiltà  contro  le  invasioni 
turchesche,  ed  ebbe  per  gran  tempo  il  primato  nel  commercio 
dell'Asia. 

Fin  da  quando  la  Persia  cominciò  a  risorgere  nel  secolo 
XV,  la  Repubblica  di  Venezia,  che  dopo  la  conquista  di  Co- 
stantinopoli intraprendeva  per  istituto  e  per  necessità  le  lotte 
secolari  contro  la  Turchia,  mirò  costantemente  a  quella  re- 
gione, e  sopra  di  essa  posò  le  proprie  speranze  per  la  di- 
visione dell 'impero  ottomano ,  che  i  suoi  uomini  di  Stato  ri- 
petevano in  Senato:  non  potersi  ottenere,  se  non  mediante 
l'accordo  dei  principi  cristiani  colla  Persia,  situata  alle  spalle 
di  Turchia,  e  ad  essa  nemica  per  sentimento  religioso  e 
per  gelosia  di  dominio  nell'Asia. 

/  Veneziani  in  fatti,  prestarono  aiuto  ai  Persiani  nella 
guerra  del  1470-74  fra  Mohammed  e  Uzunhasan,  e  stabili- 
rono con  quest'ultimo  le  basi  di  una  divisione  dei  possessi 
turchi;  spinsero  gli  shàh  della  Persia  a  conquistare  il  La- 
ristan,  che  diede  loro  la  chiave  del  golfo  Persico  ;  li  anima- 
rono ad  impossessarsi  deWAsia  turca,  .  durante  le  guerre  di 
Cipro,  di  Candia  e  della  Morea. 

E  non  soltanto  a  questo  intendimento  precipuo  della  politica 
tradizionale  della  Repubblica  mirò  raccordo  continuamente  da 
essa  mantenuto  colla  Persia,  mediante  una  serie  di  missioni 
diplomatiche  pubbliche  e  secrete;  ma  eziandio  per  la  tutela 


xt 
e  svolgimento  del  reciproco  commercio  ,  e  per  conservare  o 
ristorare  verso  il  Mediterraneo  il  ricchissimo  traffico  dell  Asia 
interiore,  che  dopo  la  scoperta  del  capo  di  Buona  Speranza 
rivolgevasi  a  mezzogiorno. 

La  preziosa  raccolta  dei  documenti  relativi  alle  guerre  dei 
Veneti  nell'Asia  del  1470-74,  pubblicata  dal  chiarissimo  mio 
amico  Enrico  Cornet  in  Vienna  nel  1856,  e  la  celebre  colle- 
zione di  viaggi  fatta  dal  IUmusio  in  Venezia  nel  1 559,  mi  of- 
ferirono le  prime  basi  di  questo  studio,  che  ho  procurato  di 
rendere  possibilmente  compiuto,  attingendo  a  fonti  inedite  ac- 
creditate ed  a  documenti  ufficiali. 

E  poiché  ebbi  la  ventura  di  raccogliere  un  copioso  numero 
di  questi  documenti,  per  la  maggior  parte  tuttora  ignoti,  ho 
potuto  dare  al  lavoro  che  Le  presento  quell'ampiezza,  che 
senza  sorpassare  i  limiti  imposti  dall'argomento  è  dovuta  alla 
sua  importante  specialità;  e  con  quel  rigore  che  ora  chiedesi 
alla  storia,  chiamata  si  può  dire  a  rendere  ragione,  con  prove 
irrefragabili  di  ogni  singolo  fatto  od  asserzione,  giovare  alla 
precisa  intelligenza  di  quei  gelosi  negoziati  di  Persia,  che 
il  Foscarini  lamentava  non  essere  ben  conosciuti;  nonché 
della  condizione  del  traffico  veneto-persiano  ,  e  della  origine 
e  sviluppo  del  sistema  consolare  della  Repubblica  che  fu 
maestra,  a  chi  venne  di  poi ,  nei  metodi  di  protezione  dei 
propri  nazionali  e  dei  propri  interessi  nell'estero,  e  segna- 
tamente nell'Asia. 

Ho  diviso  pertanto  la  Memoria  in  due  parti,  cioè: 

Parte  prima:  Delle  Relazioni  diplomatiche  Ira  la  Repubblica  di  Ve 

nezia  e  la  Persia. 
Parte  seconda:  Delle  Relazioni  commerciali:  e  questa  in  due  sezioni. 

1.  Del  commercio  dei  Veneziani  colla  Persia, 


XII 

II.  Dei  consolati  veneti,  negli  scali  del  commercio  persiane 
Appendice:  Dei  viaggiatori  veneziani  nella  Persia,  e  delle  venete  de- 
scrizioni edite  ed  inedite  di  quella  regione. 

Questa  Memoria  precede  la  bella  serie  di  85  fra  i  più  im- 
portanti documenti  veneto -persiani,  ai  quali  essa  si  richiama; 
ed  alcuni  disegni  che  eziandio  voleranno  ad  illustrarla. 

Eccole,  pregiatissimo  amico,  quello  che  ho  potuto  fare  per 
corrispondere  al 'di  lei  desiderio-.  Questi  materiali,  ho  la  per- 
suasione che  potranno  nelle  di  lei  abili  mani,  riescire  di 
qualche  importanza  agli  studi  storici;  io  quindi  la  prego  di 
accoglierli  collantica  benevolenza  ,  e  di  tenerli  siccome  cosa 
sua  e  qual  pegno  del  mio  affetto  e  della  mia  devozione. 

Venezia,  il  30  febbraio  1864. 


Wc    iZa    (Srireaio-   U?ro/et 


yrey. 


GUGLIELMO    BERCHET. 


Ili 

INDICE 

PARTE   PRIMA 

Delle  relazioni  diplomatiche  tra  la  Repubblica  di  Venezia  e  la  Persia. 

1. 

Risorgimento   della  Persia  pel   valore  di  Hasanbei ,  detto  poi  Uzun- 

hasan  1460 Pag.  \ 

Rapporti  di  famiglia  tra  quel  re  e  la  repubblica  di  Venezia               »  ivi 

Relazioni  politiche-internazionali  dei  due  Stati                 .                ».  2 

Missione  di  Lazaro  Quirini  nella  Persia »'■  3 

Arrivo  a  Venezia  di  Mamenatazab  oratore  persiano                          »  ivi 

Alleanza  Veneto-Persiana  contro  la  Turchia      ....        »  Ivi 

Trattative  dei  Veneziani  col  messo  persiano  Kasam  Hasan        .        »  4 

Pratiche  di  pace  colla  Turchia  4470 »  5 

Ritorno  a  Venezia  di  Lazaro  Quirini,  insieme  all'oratore  persiano  Mi» 

rath,   1471 »  ivi 

Esposizione  fatta  dal  Quirini  e  dal  Persiano  nel  veneto  senato,  risposte 

e  deliberazioni »  6 

Arrivo  di  un  messo  persiano  diretto  a  Roma           ...»  ivi 

Nomina  di  Caterino  Zeno  ambasciatore  veneto  al  re  di  Persia        »  ivi 

Commissioni  date  dal  senato  allo  Zeno »  ivi 

Suo  arrivo  in  Persia  ed  accoglienze  ivi  ricevute       .        ,        .        »  7 
Legazione  persiana  a  Venezia.  Agì  Mohammed  reca  un  prezioso  dono 

alla  signorìa »>  s 

Arrivo  a  Venezia  del  medico  Isaach,  altro  messo  persiano,  e  delibe- 
razioni del  senato »  ivi 

Nomina  di  Giosafat  Barbaro  ambasciatore  in  Persia          .        .        »  9 

Commissioni  palesi  e  segrete,  date  al  Barbaro                 .        .  ■     »>  ivi 

Suo  viaggio  per  la  Persia »  H 

Soccorsi  ed  aiuti  dati  al  principe  di  Caramania        ...»  ivi 

Uffici  dello  Zeno  per  spingere  Uzunhasan  alla  guerra      .        .        »  12 

Nunzio  persiano  a  Costantinopoli  per  intimare  la  guerra         .        »  ivi 

Prime  mosse  dei  Persiani. >  13 

Esposizione  al  veneto  senato  di  un  nuovo  messo  persiano       .        »  ivi 

Battaglia  sull'Eufrate  vinta  dai  Persiani »  44 

Deliberazione  del  veneto  senato  di  far  assalire  Costantinopoli  .        »  ivi 

Vano  ricorso  all'imperatore  ed  al  re  d'Ungheria       ...»  ivi 


XIV 

Sconfitta  dell'esercito  persiano  a  Terdshan,  4473 
Commissione  data  da  Uzunhasan  a  Caterino  Zeno    . 

Viaggio  di  ritorno  dello  Zeno 

Elezione  di  due  oratori  in  Persia  :  Paolo  Ognibene  e  Ambrogio 

tarini 

Commissioni  palesi  e  secrete  date  ai  medesimi 

Esito  della  missione  dello  Zeno  presso  varii  sovrani  d'Europa 

Relazione  dell'ambasciata  del  Barbaro       .... 

Relazione  dell'Ognibene 

Relazione  del  Contarini 

Morte  di  Uzunhasan  e  pace  tra  Venezia  e  la  Turchia ,  1479 


Con- 


Pag.  14 

»  15 

»  ivi 

»  46 

»  17 

»  18 

»  ivi 

»  20 

»  ivi 

»  ivi 


II, 


Spedizione  nella  Persia,  di  Giovanni  Dario   segretario  della  repub- 
blica nel   4485 »  22 

Pratiche  di  alleanza  introdotte  tra  la  repubblica  ed  Ismail  sufi        »  23 

Relazioni  al  senato  dei  successi  di  Ismail  sufi  .        .        .        .       »  23 

Lettera  del  sufi  al  doge  e  monete  persiane  a  Venezia     .               »  24 

Arrivo  in  Venezia  di  oratori  persiani,  4508      .        ...»  25 

Scopo  ed  esito  della  loro  missione ivi 

Spedizione  al  Cairo  di  Domenico  Trevisan               ...»  27 

Interesse  della  Repubblica  nelle  guerre  turco-persiane     .        .        »  ivi 

Guerra  di  Cipro,  4574 »  29 

Missione  in  Persia  di  chogia  Ali  con  lettere  a  quel  re    .        .        »  ivi 
Commissione  a  Vincenzo  Alessandri  veneto  legato  allo  shàh  Thamasp»  ivi 
Suo  viaggio  in  Persia,  accoglienze  ivi  ricevute  ed  esito  della  sua  le- 
gazione  »  30 

Relazione  della  ambasciata  in  Persia  di  Vincenzo  Alessandri   .        »  37 

Pace  della  repubblica  colla  Turchia,  4572        .        ...»  38 

Arrivo  in  Venezia  di  chogia  Mohammed  inviato  persiano,  4580       »  ivi 

Scopo  ed  esito  della  segreta  missione  di  lui             .        .        .        »  39 
Nuove  lotte  fra  Turchi  e  Persiani  e  relazioni  presentate  al  veneto 

senato     .        .               »  40 


III 


Abbas  il  Grande  re  della  Persia  rinnova  l'antica  amicizia  colla  re- 
pubblica di  Venezia »  44 

Ritratto  di  lui,  letto  in  senato  dal  console  Malipiero,  4596  »  ivi 

Egli  è  spinto  dai  Veneziani  a  conquistare  il  Laristan       .        .  »  42 

Arrivo  in  Venezia  di  Efet  beg  oratore  persiano,  4600        .        .  »  43 

Esposizione  in  senato  di  Efet  beg  e  risposta  avuta          .        .  »  ivi 


Solenne  ambasciata  persiana  di  Felhy  bei,  Mio;}       .        .        .   Pag. 

Esposizione  in  senato,  doni  recali,  e  accoglienza  ricevuta 

Doni  latti  dalla  repubblica  al  re  persiano 

Quadro  commesso  a  Gabriele  Galiari  per  memoria  dell1?  ambasciata  d 

Fethy  bei 

Arrivo  in  Venezia  del  messo  persiano  Chieos,  1608 

Simile  del  chogia  Seder,  1610 

Nuova  ambasciata  persiana  a  Venezia,  1621,  come  accolla  e  licenziata 

Guerra  di  Candia  1645.  La  repubblica  ricorre  alla  Persia 

Invio  di  due  oratori  veneti  nella  Persia  per  diverse  vie  . 

11  re  di  Polonia  unisce  un  proprio  legato  al  veneto 

Viaggio  ed  esito  della  missione  veneto-polacca 

Relazione  presentata  al  senato  dai  due  oratori  veneti  al  re  della  Persia 

Pace  colla  Turchia 

Nuovi  messi  persiani  a  Venezia,  16*3 

Franchigie  accordate  ai  cristiani  nella  Persia  per  intercessione  dell 

veneta  signorìa 

Guerra  della  Morea  —  La  Repubblica  tenta  associarsi  la  Persia 
Carattere  dei  rapporti  internazionali  veneto-persiani  nel  secolo  de 

cimo-ottavo > 


xv 

44 
ivi 
46 

47 
ivi 
ivi 
49 
50 
ivi 
51 
ivi 
52 
53 


54 
55 


parte:  seconda 

Delle  relazioni  commerciali  tra  la  Repubblica  di  Venezia 
e  la  Persia. 


Del  commercio  dei  Veneziani  colla  Persia. 


Commercio  delle  spezie  delle  Indie  e  dei  prodotti  dell'Asia     .        »  59 

Via  che  tenevano  le  merci  dell'Asia,  verso  quali  porti  del  Mediterraneo  »  ivi 

Importanza  del  mercato  di  Tauris »  60 

Trattati  dei  Veneziani  per  facilitare  il  commercio  con  quella  piazza   »  61 
Come  sia  stato  favorito  il  commercio  della  Persia;  e  come  i  mercanti 

armeni  e  persiani.  Leggi  relative            ».  62 

Mercanzie  che  da  Venezia  si  importavano  nella  Persia     .        .        »  64 

Mercanzie  che  dalla  Persia  si  esportavano  per  Venezia    .        .       »  66 

Leggi  intorno  al  commercio  delle  sete  persiane        ...»  67 

Decadimento  del  commercio  dei  Veneziani  colla  Persia    .        .        »>  68 

Carovane  e  scali  del  commercio  persiano         .        ...       »  70 

Relazioni  ufficiali  della  condizione  del  commercio  colla  Persia        »  71 

Provvedimenti  pubblici  veneti  e  persiani  per  sostenerlo          .       »  73 


XV] 


Dei  consolati  veneti  negli  scali  del  commercio  colla  Persia. 


Loro  diritti  e  giurisdizioni 


Aulica  istituzione  dei  Consolati 
Baili  e  Consoli.  — 

Magistratura  dei  Consoli  dei  mercanti 
Magistratura  dei  Cinque  Savi  alla  mercanzia 
Luoghi  di  residenza  dei  consoli  veneti  negli  scali  del 
siano       ...... 

Memorie  di  quei  consoli    . 
Magistrato  del  Cottimo  di  Damasco 
Relazioni  consolari  presentate  al  senato 
Leggi  relative  ai  consolati  della  Sorìa 
Diritto  consolare  dei  Veneziani 
Vicende  del  consolato  di  Aleppo 


Pag.  76 

»  ivi 

»  77 

»  ivi 


commercio  per 


ivi 
78 
ivi 
79 
81 
84 
85 


APPENDICE 


Notizia  intorno  ai  viaggiatori  veneziani  nella  Persia,  ed    alle  descri- 
zioni edite  ed  inedite  di  quella  regione  .  .        .        » 


89 


DOCUMENTI 


PARTE  PRIMA 


I.  Dell'origine  di  Assanbei  sive  Ussun  Cassan,  breve  notatione        »     97 

II.  Deliberazione  del  veneto  senato,  2  dicembre  1463      .        .        »  402 

III.  Deliberazione  del  senato,  45  febbraio  4464        ...»  404 

IV.  Deliberazione  del  senato,  26  settembre  4464,  e  lettera  ducale  ad 
Uzunhasan  di  Persia »  405 

V.  Lettera  ducale  ad  Uzunhasan,  27  febbraio  4466  .        .        »  406 

VI.  Commissione  data  a  Caterino  Zeno  ambasciatore  veneto  in  Persia, 
4474  48  maggio »>  108 

VII.  Altra  commissione  allo  stesso,  4474  40  settembre     .        .        »  444 
Vili.  Credenziale  del  medico  Isaach  messo  persiano  a  Venezia,  4472       »  4  44 


xvii 

IX.  Commissione  data  a  Giosafat  Barbaro  ambasciatore  veneto  in  Per- 
sia, 28  gennaio  147* Pag.  H6 

X.  Commissione  segreta  allo  stesso,  11  febbraio  1473       .        .        >•  125 

XI.  Relazione  al  veneto  senato  di  Caterino  Zeno  ambasciatore  in  Per- 
sia, 27  luglio  1473 ...   130 

XII.  Relazione  della  battaglia  di  Terdshan,  18  agosto,  1473    .        »  135 

XIII.  Lettera  d'Uzunhasan  alla  veneta  signorìa,  16  ottobre  1473        »  137 

XIV.  Commissione  data  ad  Ambrogio  Contarini  ambasciatore  veneto 

in  Persia,  11  febbraio  1474 »   139 

XV.  Commissione  secreta  allo  stesso,  11  febbraio  1474  «  145 

XVI.  Altri  punti  secreti  allo  stesso,  11  febbraio  1474         .        .        »  148 


11 


XVII.  Dispaccio  10  luglio  1485  di  Giovanni  Dario  spedito  in  Persia  dal 
bailo  veneto  a  Costantinopoli »  150 

XVIII.  Altro  dispaccio  dello  stesso,  11  luglio  1485           .        .        »  152 

XIX.  Relazione  al  senato  fatta  da  Costantino  Lascari  spedito  in  Cara-  *— 
mania  ed  in  Persia,  14  ottobre  1502 »  153 

XX.  Altra  deposizione  dello  stesso,  16  ottobre  1502         .               »  156 

XXI.  Lettera  del  sufi  Ismail  al  doge  Leonardo  Loredano,  gennaio  1505  »  158 
XXII   Lettera  ducale  al  re  di  Persia,  27  ottobre  1570        .        .        »  ivi 

XXIII.  Commissione  data  a  Vincenzo  di   Alessandri  veneto  oratore 

in  Persia,  30  ottobre  1570 »  160 

XXIV.  Lettera  ducale  al  re  di  Persia,  30  ottobre,  1570    .        .        »  162 

XXV.  Dispaccio  25  luglio  1572  del  segretario  Alessandri         .        ».  163 

XXVI.  Relazione  letta  in  senato  da  Vincenzo  Alessandri  nel  1574        »  167 

XXVII.  Lettera  dello  shàh  di  Persia  Mohammed   Kodabend  alla  re- 
pubblica di  Venezia,  1°  maggio  1580 »  182 

XXVIII.  Relazione  segreta  fatta  dal  chogia  Mohammed  oratore  per- 
siano a  Venezia,  1»  maggio  1580 »  183 

III. 

XXIX.  Atto  verbale  della  presentazione    nell'Eco.  Collegio  dell'ora- 
tore persiano  Efet  beg,  8  giugno  1600          .        .        .        .        »  192 

XXX.  Lettera  dello  shàh  Abbas  il  Grande  al  doge  di  Venezia,  ricevuta 

l'8  giugno  1600 .         .        i)  193 

XXXI.  Lettera  ducale  al  re  della  Persia,  giugno  1600      .        .        »  195 

XXXII.  Lettera  di  Abbas  il  Grande  alla  repubhlica,  5  marzo  1603        »  196 

XXXIII.  Nota  dei   doni  recati  a  Venezia  dall'oratore  persiano  Fethy 
bei,  marzo  1603 »  197 

XXXIV.  Deliberazione  del  senato,  6  marzo  1603       ...»  198 

XXXV.  Lettera  ducale  al  re  di  Persia,  2  settembre  1603          .        »  199 


XVIII 

XXXVI.  Lettera  dello  shàh,  recata  al  doge  dall'armeno  Chiéos,  1607, 7%.  200 

XXXVII.  Dispaccio  2  settembre  1609  del  console  veneto  nella  Soria, 

F.  Sagredo »  201 

XXXVIII.  Atto  verbale  della  presentazione  in  collegio  del  messo  per- 
siano Seffer,  30  gennaio  1610 »  203 

XXXIX.  Lettera  alla  veneta  signorìa  dello  shàh  Abbas  il  Grande  rice- 
vuta nel  gennaio  1610 .        .        »  207 

XL.  Ricevuta  delle  robe  di  Fethy  bei  fatta  dal  chogia  Seffer  »  208 

XL1.  Lettera  ducale  al  re  di  Persia,  30  gennaio  1610  .  .  ■  »  209 
XLII.  Lettera  del  re  di  Persia,  recata  al  doge  dagli  oratori  Alredin 

e  Sassuar,  1  marzo  1613 »  210 

XLIII.  Atto  verbale  della  presentazione  in  collegio  del  messo  persiano 

Sassuar,  1°  febbraio  1621 »  212 

XLIV.  Lettera  del  re  di  Persia  alla  signorìa,  1°  febbraio  1621  »  214 
XLV.  Deliberazione  del  senato,p4  febbraio  1621  .  .  .  »  215 
XLVL  Rapporto  di  Domenico  Santi,  inviato  dai  Principi  cristiani  nella 

Persia,  26  giugno  1645         -.- »    ivi 

XLVII.  Lettera  ducale  al  re  della  Persia,  2  decembre  1645     .        »  216 

XLVIII.  Simile,  17  luglio  1646 »  217 

XLIX.  Lettera  del  re  di  Persia,  ricevuta  il  28  marzo  1649       .        »  218 
L.  Relazione  della  Persia  presentata  nell'Eco.  Collegio  dal  padre  An- 
tonio di  Fiandra,  veneto  legato,  allo  shàh  Abbas  II,  28  marzo  1649  »    ivi 
LI.  Relazione  spedita  al  senato  da  Domenico  Santi  messo  in  Persia, 

29  marzo  1649 »  225 

LU.  Lettera  ducale  al  re  di  Persia,  22  gennaio  1661  .  .  »  229 
LUI.  Offerta  dell'arcivescovo  armeno  Aranchies  di  trattare  la  lega  fra 

la  repubblica  e  ia  Persia,  10  giugno  1662  ....  »  230 
L1V.  Lettera  ducale  al  re  di  Persia,  10  giugno  1662  .  .  »  231 
LV.  Rapporto  al  senato,  intorno  alcuni   padri  domenicani  venuti  a 

Venezia  con  incarichi  dello  shàh  di  Persia,  19  luglio  1673  .  »  ivi 
LV1.  Lettera  dell'Arcivescovo  di  Nashirvan  alla  signoria,  19  luglio  1673  »  232 
LV1I.  Lettera  del  re  di  Persia  alla  repubblica,  19  luglio  1673  »  234 
LVIII.  Relazione  al  senato  intorno  ad  un  colloquio  secreto,   tenuto 

coi  messi  persiani,  19  luglio  1673 »  236 

L1X.  Ducale  al  re  della  Persia,  22  luglio  1673         .        .        .       »  239 

LX.  Idem,    4  giugno  1695 «  241 

LX1.  Lettera  dello  shàh  Abbas  al  doge  di  Venezia,  ricevuta  il  5  set- 
tembre 1669  >  242 

LX1I.  Ducale  al  re  di  Persia,  29  dicembre  1663  ...»  243 
LXIII.  Istanza  dell'arcivescovo  Aranchieli,  18  luglio  1669  »  244 

LXIV.  Litera  ducalis  ad  Persarum  regem,  20  julii  1669  .  »  245 
LXV.  Lettera  dello  shàh  Husein  al  doge  Silvestro  Valier,  1696  »  246 
LXVI.  Lettera  ducale  al  re  di  Persia,  15  marzo  1697  .  .  »  247 
LXVII.  Simile,    23  dicembre  1718 »    ivi 


XIX 
PARTE  SECONDA 


l. 


LXVIII.  Relazione  ai  Savjalla  Mercanzia,  intorno  le  spese  che  occor- 
rono sopra  le  merci ,  che  si  distaccano  da  Veietia ,  per  giungere 

in  Astrakan,  attraversando  la  Persia Pag.  248 

LXIX.  Lettera  del  re  di  Persia  al  nobiluomo  G.  F.  Sagredo,  1609   »  252 

LXX.  Simile,  1610 »  253 

LXXI.    Simile,  1611  »  254 

LXXII.  Manifesto  del  re  di  Persia   alla  onorata   turba  dei  mercanti 

venetiani,  1611 »  255 

LXXIII.  Lettera  del  re  di  Persia  alla  repubblica  di  Venezia,  1611    »  256 
LXXIV.  Lettera  dello   shàh  al  nobiluomo  Alvise  Sagredo,  1627  set- 
tembre   .  »>  257 

LXXV.  Ducale  al  re  della  Persia,  13  marzo  1629     .        .        .        »  259 


li. 

LXXVI.  Deliberazione  del  senato,  7  dicembre  1548  .        .        »  260 

LXXVII.  Istanza  di  Andrea  Benedetti  ai  Cinque  Savi  alla  mercanzia  »  261 

LXXV1I1.  Scrittura  dei  Cinque  Savi  al  senato,  23  dicembre   1762    <>  264^ 

LXXIX.  Decreto  del  senato,  29  dicembre   1762         .  268 

APPENDICE 

LXXX.  Lettera  di  ser  Donato  da  Leze  a  Zuan  Caroldo,  con  una  de= 

scrizione  della  Persia,  14  settembre  1514              .        .        .  »  269 

LXXXL  Simile,    7  ottobre  1514 «273 

LXXX1I.  Simile,  2  novembre  1514 ..275 

LXXX1II.  Relazione  della  Persia,  di  Teodoro  Balbi,  1570         .  •>  276 

LXXXIV.  Relazione  della  Persia,  1586 »  290 

LXXXV.  Relazione  per  li  viaggi  di  Persia,  1673              .  •>  293 

TAVOLE 

Sigillo  reale  (homajon)  dello  shàh  Husein,  1694       .        .        .  pag.  1 
Coppa  donata  da  Uzunhasan  alla  veneta  signorìa,  1470           .        »  8 
Quadro  dipinto  da  Gabriele  Caliari,  per  ricordare  l'ambasciata  per- 
siana a  Venezia  del  1603 »  47 

Lettera  dello  shàh  Abbas  il  Grande,  22  gennaio  1610      .        .        »  48 

Lettera  dello  shàh  Husein  al  doge  Silvestro  Valier,  1696         .        »  55 


PARTE  I. 


Delle  relazioni  diplomatiche 

tra 

la  Repubblica  di  Venezia  e  la  Persia. 


I. 


Scomparso  quasi  il  nome  della  Persia,  durante  il  periodo 
dei  califfati  (anno  652-1258),  soggiogata  e  divisa  quella  re- 
gione dagli  Arabi,  dai  Mongoli,  dai  Tartari  e  daiTurcomanni, 
cominciò  soltanto  nel  secolo  XV  a  risorgere  pel  valore  di 
Uzunhasan,  il  quale  potè  far  rivivere  col  nome  persiano  le 
gloriose  tradizioni  degli  Acmenidi  e  dei  Sassanidi. 

Nelle  lotte  delle  due  fazioni  turcomanne,  dell'ariete  nero 
(Karakojunlu)  e  dell'ariete  bianco  (Akkojunlu),  Hasanbei,  detto 
poi  Uzunhasan  (il  lungo),  capo  di  quest'ultima,  rimanendo 
vincitore,  occupò  gli  stati  e  le  castella  di  alcuni  potenti  signori 
suoi  vicini.  E  mossosi,  di  poco  varcata  la  metà  del  secolo  XV, 
contro  Gihan  shàh,  sovrano  dell'ariete  nero,  lo  vinse  nelle  cam- 
pagne di  Erzengian;  quindi ,  sconfìtto  Ebusaid  signore  del- 
l'Azerbeigian  ,  si  impadronì  di  tutta  la  Persia ,  fra  questi 
confini  :  a  levante  l'Indo  e  la  Tartaria,  a  ponente  la  Georgia, 
Trebisonda ,  la  Garamania ,  la  Siria  e  l'Armenia  minore  ,  a 
mezzogiorno  l'Arabia  ed  il  mare  dell'India ,  a  tramontana 
il  monte  di  Bakù  (1). 

Uzunhasan  sposò  la  despina  Teodora,  figlia  di  Giovanni  im- 
peratore di  Trebisonda,  il  quale  gliela  accordò  per  consorte 


(1)  Dei  Commentari  del  viaggio  in  Persia  di  Caterino  Zeno  il  Cavaliere, 
nella  Raccolta  del  Ramusio.  Venezia  1583,  voi.  II. 
1  Bollettino  Consolare ,  Voi.  III. 


2 

colla  condizione  che  ella  continuasse  a  vivere  nella  religione 
greca  (I). 

Quest'imperatore  ,  seguendo  l'esempio  di  altri  deboli  so- 
vrani trapezuntini,  che,  disposando  le  proprie  figlie  a  principi 
barbari,  si  assicuravano  la  loro  protezione,  credette  con  tale 
unione ,  e  coll'alleanza  conchiusa  col  nuovo  signore  della 
Persia,  di  difendere  il  proprio  trono  dalla  potenza  minacciosa 
di  Mohammed,  il  quale,  dopo  la  conquista  di  Costantinopoli, 
voleva  impadronirsi  di  quegli  ibridi  imperi  greci,  che  erano 
sorti  dalle  rovine  di  Bisanzio. 

L'imperatore  Giovanni  diede  in  isposa  l'altra  sua  figlia , 
sorella  della  despina  di  Persia,  al  duca  dell'Arcipelago  Nicolò 
Crespo ,  da  cui  nacquero  quattro  figliuole  maritate  con  al- 
trettanti gentiluomini  veneziani,  cioè  : 

Fiorenza  con  Marco  Cornaro  (2). 

Lucrezia  con  un  Priuli. 

Valenza  con  Giovanni  Loredano,  e 

Violante  con  Caterino  Zeno  (3). 

Ecco  relazioni  di  famiglia,  che,  oltre  agli  interessi  politici 
internazionali,  avvicinarono  la  signorìa  di  Venezia  alla  Persia. 
E  questi  ultimi  erano  della  massima  importanza. 

Il  grande  signore  di  due  mari  e  di  due  parti  di  mondo, 
titolo  che  Mohammed  si  diede  dopo  la  presa  di  Costanti- 
nopoli, non  sazio  di  nuove  conquiste,  mirava  ad  estendere 
i  confini  del  suo  impero  a  danno  dei  principi  suoi  vicini. 
Tra  questi ,  i  più  potenti  erano  dalla  parte  dell'  Europa: 
Venezia,  che  offeriva  alla  civiltà  l'antemurale  dei  suoi  pos- 
sedimenti in  levante  ;  dalla  parte  dell'Asia ,  il  nuovo  mo- 
narca persiano.  Venezia  quindi  e  la  Persia  dovevano  porsi 
d'accordo  contro  il  comune  naturale  nemico ,  dacché  la 
Provvidenza  destinava  principalmente  questi  due  stati  a 
frenare  l'ambizione  di  lui  in  occidente  ed  in  oriente. 

La  conquista  dell'impero  di  Trebisonda,  fatta  da  Moham- 
med nell'anno  1461;  la  guerra  mossa  ai  Veneziani  nella  pri- 
mavera del  1463,   che  cominciò    colf  improvviso  assalto  di 


(1)  Documento  I. 

(2)  Fu  poi  madre  della  regina  di  Cipro. 

(3)  Commentari  Zeno,  cit. 


3 

Argo;  e  le  spedizioni  contro  1  principi  di  Garamania,  protetti 
da  Uzunhasan ,  porsero  occasione  al  sire  persiano  ed  alla 
repubblica  di  Venezia  di  apprestare  d'accordo  le  armi  contro 
il  comune  nemico. 

A' 2  di  dicembre  1463  il  veneto  senato  ordinava  ad  Andrea 
Cornaro  di  offerire  al  principe  di  Garamania  Pir  Ahmed,  e 
ad  Uzunhasan  proposta  di  lega,  commettendogli  di  spedire 
a  questo  line  Lazaro  Quirini  nella  Persia,  qualora  egli  in 
persona  non  avesse  potuto  recarsi  colà  (l). 

Contemporaneamente  vince  vasi  in  senato  la  parte  di  man- 
dare ambasciatori,  Nicolò  Canal  in  Francia,  Marco  Dona  al 
duca  di  Borgogna,  altri  ai  re  di  Sicilia  e  di  Portogallo;  e  di 
scrivere  ai  re  d'Ungheria  e  di  Boemia,  per  invitarli  a  con- 
correre nella  lega  contro  il  Turco  (2),  della  quale  il  ponte- 
fice erasi  dichiarato  capo  e  banditore. 

Andrea  Cornaro  conchiuse  V  alleanza  col  principe  Cara- 
mano  (3);  e  mentre  Lazaro  Quirini  s'incamminava  per  la 
Persia,  arrivò  in  Venezia  a'  13  di  marzo  1461,  per  la  via  di 
Aleppo  e  di  Rodi ,  Mamenatazab  ambasciatore  di  Uzun- 
hasan (4). 

Espose  quegli  in  senato  :  «  che  era  spedito  dal  suo  si- 
»  gnore  per  bene  intendersi  contro  i  Turchi  ;  che  egli 
»  prometteva  di  mettere  in  campo  nella  prossima  prima- 
x  vera  un  esercito  di  60,000  cavalli;  che  l'albero  grosso  sta 
»  pur  forte  contro  i  venti,  tamen  se  un  piccolo  verme  entra 
»  a  rodere  il  tronco  da  basso,  lo  riduce  così,  che  il  vento 
»  facilmente  lo  atterra;  e  Uzunhasan  sarà  quel  verme  che 
»  roderà  questo  grand'albero,  e  mai  conchiuderà  pace  colla 
»  Turchia  senza  partecipazione  della  veneta  repubblica,  pur- 
»  che  anch'essa  dal  proprio  canto  ciò  prometta;  avendo  essa 
»  intenzione  di  muovere  sulle  rive  dello  stretto  verso  Galli- 
»  poli,  affinchè  la  veneta  armata  potesse  inoltrarsi  fino  a 
»  Costantinopoli  ». 

Questo  oratore  persiano  fu  assai  bene  accolto  dal  senato, 


(1)  Documento  li.  Col  Caramano  la  repubblica  avea  conchiuso  uu  trat- 
tato di  commercio  fino  dal  1453. 

(2)  Paolo  Morosini,  Hist.  Veneta,  lib.  XXIV. 

(3)  Documento  III. 

(4)  Marin  Sanudo,  Cronaca  ms.  nell'Archivio  Cicogna. 


4 

che  ordinava;  ai  26  di  settembre  1464,  gli  fosse  data  pel  suo 
re  una  lettera  ducale ,  colla  quale  accettando  la  proposta 
lega ,  lo  si  rendesse  avvertito  della  cooperazione  certa  del 
pontefice,  del  duca  di  Borgogna  e  del  re  di  Sicilia,  e  della 
guerra  sussistente  fra  i  Turchi  ed  il  re  d'Ungheria  ;  e  ani- 
mandolo a  muovere  gagliardamente  contro  l'Ottomano  lo 
si  assicurasse  che  ogni  acquisto  nella  terra  ferma  la  repub- 
blica lo  riterrebbe  interamente  di  lui  (1). 

Gonvenivasi  poi  a  voce  con  Mamenatazab,  che  ove  col  con- 
corso della  veneta  armata  si  acquistassero  coste  o  porti  di 
mare,  questi  resterebbero  della  repubblica  (2):  la  quale  più 
che  lontani  possessi  mirava  ad  ottenere  punti  strategici  od 
interessanti  al  commercio  ;  e  secondo  la  frase  del  Dandolo 
volle  i  popoli  piuttosto  amici  che  sudditi,  e  scali  al  suo  traffico, 
anziché  ampli  domimi,  ma  sempre  libero  il  mare. 

L'oratore  persiano  partì  da  Venezia  colle  galere  di  Beiruth, 
assai  soddisfatto  e  regalato,  portando  seco  oltre  alla  predetta 
lettera  ducale,  braccia  venti  di  panno  d'oro  da  offerirsi  in 
nome  della  veneta  signorìa  a  Uzunhasan.  Ed  arrivato  a  Rodi, 
il  capitano  generale  da  mar,  Mocenigo,  gli  fece  vedere  in  or- 
dinanza la  veneta  armata,  assicurandolo  che  l'avrebbe  impie- 
gata in  servizio,  e  per  secondare  i  disegni  e  le  imprese  ma- 
gnanime del  suo  re  (3). 

Nell'anno  seguente  arrivò  a  Venezia  un  altro  messo  per- 
siano chiamato  Kasam-Hasan,  con  lettere  di  Uzunhasan,  le 
quali  attestavano  la  sua  pronta  disposizione  a  far  la  guerra 
ed  eccitavano  la  repubblica,  e  per  di  lei  mezzo  i  principi  cri- 
stiani, a  muovere  di  comune  accordo  le  armi. 

Il  senato  rispose  ai  27  febbraio  1466  (4)  confermando  la 
deliberata  volontà  sua  di  continuare  gagliardamente  la  lotta, 
e  partecipando  le  conchiuse  leghe  e  le  speranze  che  te- 
nevansi:  quantunque  per  la  morte  di  Pio  II,  e  per  le  ge- 
losìe dei  principi  cristiani  verso  la  repubblica  veneta,  che 
trovavasi  all'apogèo  della  sua  potenza  pei   nuovi   acquisti , 


(1)  Documento  IV. 

(2)  Malipiero,  Annali  veneti,  Archivio  storico  italiano,  voi.  VII  e  Vili. 

(3)  Paolo  Morosini.  Hist.  ven.  cit,  pag.  579. 

(4)  Documento  V. 


5 

fosse  di  assai  minorata  la  energìa  colla  quale  davasi  dap- 
prima opera  a  tal  lega  contro  la  prepotenza  ottomana. 

Scriveva  in  fatti  il  senato  ai  proprii   oratori  a  Roma 

»  Et  propterea  omni  studio  et  efiìcatia  querite,  ut  ad  conclu- 
»  sionem  deveniatur ,  et  Sanctitas  Sua  si  quid  in  effectum 
»  collatura  est,  non  amplius  promittat  sed  conferat,  hoc  idem 
»  faciant  caeteri  et  omnes  recidile  conventus,  omnes  colla- 
»  tiones  non  soliim  dedecorosas,  sed  etiam  detrimentosas, 
»  quum  duna  hujusmodi  collationibus  et  consultationibus , 
»  tempus  territur,  Hannibal  Saguntum  oppugnat  (1)  ». 

Dopo  la  presa  di  Negroponte  (2),  dubitando  Mohammed,  che 
per  questa  nuova  ed  importante  sua  conquista ,  i  principi 
europei  si  decidessero,  nel  pericolo  comune,  ad  accorrere  effi- 
cacemente in  soccorso  della  repubblica,  mandò  a  Venezia  pro- 
posizioni di  pace,  per  mezzo  della  propria  m  atrigna  sorella 
del  despota  Zorzi  di  Servia;  laonde  il  senato,  che  da  qual- 
che tempo  mancava  di  ogni  notizia  delle  mosse  e  dei  pro- 
gressi di  Uzunhasan,  commise  a  Nicolò  Cocco  ed  a  Francesco 
Cappello  di  proporre  destramente  all'imperatore  la  restituzione 
di  Negroponte,  verso  il  pagamento  di  una  somma  che  ave- 
vano facoltà  di  portare  fino  a  ducati  d'oro  250,000  da  sod- 
disfarsi per  rate  in  5  anni,  rimanendo  però  alla  repubblica 
tutte  le  isole  che  allora  teneva  (3);  ma  tali  furono  le  pre- 
tensioni di  Mohammed,  che  ogni  trattativa  fu  dai  Veneziani 
disdegnosamente  respinta. 

Mentre  duravano  queste  pratiche  di  accomodamento,  ar- 
rivò dalla  Persia  in  Venezia  nel  febbraio  1471  Lazaro  Qui- 
rini,  insieme  ad  un  oratore  persiano  chiamato  Mirath  (4),  il 
quale  era  latore  di  una  lettera  del  suo  re  (5),  che  annun- 
ciava le  vittorie  da  esso  riportate  sopra  varii   principi  suoi 


(1)  Cornet,  Le  guerre  dei  Veneti  nell'Asia,  1 470-1474.   Vienna,  4856. 

(2)  L'isola  di  Negroponte  era  toccata  ai  Veneziani  nella  divisione  del- 
l'impero di  Romania.  Mohammed  la  occupò  nel  1469;  e  la  repubblica  che 
la  possedeva  da  264  anni,  consideravala  come  uno  dei  più  preziosi  sta- 
bilimenti che  avesse  nel  levante. 

(3)  Commissioni  27  novembre  1470  e  2  gennaio  1471.  Cornet,  op.  cit. 

(4)  Ducale  a  Vettor  Soranzo  in  Sicilia,  2  marzo  1471.  Ib. 

(5)  Pubblicata  negli  Annali  di  Malipiero.  Archivio  storico  italiano,  voi.  VII, 
pag.  68. 


6 

confinanti,  e  la  sua  intenzione  di  muovere  contro  la  Turchia 
col  concorso  della  veneta  armata. 

Il  serenissimo  principe  rispose  nel  giorno  7  di  marzo  al- 
l'oratore persiano:  che  si  sentivano  con  gioia  le  notizie  del 
suo  re,  e  si  teneva  assai  cara  la  sua  amicizia  dalla  repub- 
blica,  sempre  disposta  ad  assisterlo.  E  «  per  confermare  in 
perpetuo  quell'amicizia  e  stringerla  maggiormente  »  il  senato 
deliberava  nello  stesso  giorno:  di  mandare  un  solenne  amba- 
sciatore in  Persia,  eletto  fra  i  nobili,  con  stipendio  di  ducati 
mille,  incaricandolo  di  portarsi  colà,  insieme  all'oratore  per- 
siano Mirath,  un  notaio  ducale  e  cinque  famigliari.  La  parte 
fu  presa  in  Pregadi  con  148  voti  affermativi  contro  2  ne- 
gativi; e  furono  eletti  dapprima  ser  Francesco  Michele,  poi 
ser  Giacomo  Medin  che  rifiutarono ,  finalmente  Caterino 
Zeno  il  quale  accettò  (1). 

Frattanto  arrivava  pure  in  Venezia  un  altro  legato  di  U- 
zunhasan,  il  quale,  passato  il  mar  Nero  da  Trebisonda  a 
Moncastro  (2)  e  venuto  per  la  via  di  Polonia  insieme  ad 
un  ambasciatore  di  quel  re,  dirigevasi  al  sommo  pontefice 
per  sollecitare  col  suo  mezzo  il  concorso  dei  principi  cri- 
stiani. Il  senato  gli  rispose  opportunamente  «  conforti  per 
conforti  et  offerte  per  offerte  »  e  lo  accompagnò  con  lettera 
di  raccomandazione  all'oratore  veneto  in  Roma,  dove  fu 
vestito  ed  accarezzato  dal  pontefice,  e  rimandato  in  Persia 
con  un  legato  papale,  frate  di  S.  Francesco  (3). 

Caterino,  figliuolo  diDracone  Zeno  (4),  essendo  stato  molti 
anni  col  padre  in  Damasco  ,  e  qual  nipote  della  despina 
moglie  di  Uzunhasan,  si  giudicò  potesse  servir  bene  e  con 
profìtto  la  patria  in  questa  ambasceria  al  sovrano  della  Persia. 

Ai  18  di  maggio  1471  fu  allo  Zeno  rilasciata  dal  senato  la 
commissione  (5)  ;  ma  dietro  proposta  del  savio  agli  ordini 


(1)  Deliberazioni  segrete,  volume  XXV.  Cornet,  op.cit.  pag.  23. 

(2)  L'antica  Hermonassa  sulla  sponda  del  Niester,  scalo  della  Valacchia 
e  Moldavia. 

(3)  Ducali  a  Vettore  Soranzo,  22  aprile  e  25  ottobre  1471. 

(4)  Dracone  Zeno,  figliuolo  di  Antonio,  viaggiò  nel  1425  per  gran  parte 
dell'Asia,  dimorò  molti  anni  alla  Balsera,  alla  Mecca  ed  in  Persia,  e  morì 
a  Damasco. 

(5)  Documento  VI. 


7 
Pietro  Donato,  fu  differita  la  di  lui  spedizione,  fino  all'arrivo 
da  Costantinopoli  di  precise  notizie  sulle  incamminate  trat- 
tative di  pace. 

Le  quali,  poiché  furono  di  manifesta  e  decisa  rottura,  il 
senato  dava  allo  Zeno  una  seconda  commissione  a'  10  set- 
tembre 1471  (l). 

Con  queste  due  commissioni  veniva  incaricato  lo  Zeno  di 
andare  in  Persia,  per  la  via  di  Cipro  e  di  Caramania,  insieme 
al  legato  Mirath,  e  di  mostrare  a  quel  re  il  contento  della 
repubblica  per  la  sua  potenza,  e  la  perfetta  sua  disposizione 
di  concorrere  coll'armata  navale  in  pieno  accordo  e  lega 
con  lui.  Doveva  pure  lo  Zeno  giustificare  le  incamminate 
trattative  di  pace ,  accolte  dietro  domanda  del  Turco  e  in 
mancanza  di  ogni  notizia  dalla  Persia,  ma  con  lieto  animo 
opportunamente  a  tempo  reiette.  Gli  fu  ordinato  di  portar 
seco  un  dono  di  panni  d'oro  da  presentarsi  ad  Uzunhasan, 
e  di  visitare  la  regina,  nonché  il  signore  di  Caramania  ed 
il  re  di  Georgia.  Finalmente  egli  ebbe  incarico  di  rilevare 
e  descrivere  tutte  quelle  minute  informazioni  che  potesse 
avere  :  della  potenza  del  re  di  Persia,  della  sua  età,  valore, 
stato  ,  confini ,  vicinanze  ,  redditi ,  esercito  ;  nonché  della 
sua  disposizione  e  volontà  nella  guerra  contro  la  Porta,  e 
di  tutte  le  altre  cose  che  egli  riputasse  degne  di  essere  cono- 
sciute. 

Con  questi  ordini  pertanto  Caterino  Zeno  partitosi  da  Ve- 
nezia, passò  a  Rodi  pochi  mesi,  e  di  là,  entrato  nel  paese 
del  Caramano,  pervenne  dopo  molto  travaglio  in  Persia.  Ed 
annunciato  il  suo  arrivo,  fu  egli  da  quel  re  ricevuto  con  grandi 
dimostrazioni  di  onore,  quale  ambasciatore  di  una  repubblica 
potente  e  confederata  ;  e  avendo  poi  chiesto  di  presentarsi 
alla  regina,  ne  ebbe  per  grazia  speciale  il  permesso,  cosa 
insolita  a  concedersi  a  qualsiasi  persona,  dacché  non  era 
costume  in  Persia  che  le  donne,  e  particolarmente  le  regine, 
si  lasciassero  vedere. 

Laonde  condotto  lo  Zeno  innanzi  alla  despina  Teodora,  e 
datale  notizia  di  sé,  fu  accolto  e  ricevuto  come  caro  nipote, 
fu  alloggiato  nel  reale  palazzo,  e  presentato  ogni  giorno  (cosa 
riputata  di  molto  onore)  delle  stesse  vivande  della  real  mensa. 

(1)  Documento  VII. 


8 

Ed  udita  più  particolarmente  la  cagione  della  sua  venuta,  la 
regina  gli  promise  ogni  aiuto  e  favore,  riputandosi  parente 
della  signorìa  di  Venezia;  e  di  fatto  ella  contribuì  efficace- 
mente ad  indurre  Uzunhasan  a  muovere  le  armi  contro 
Mohammed  (1). 

Scriveva  quindi  lo  Zeno  il  30  di  maggio  1472  (2)  al  ca- 
pitano generale  Pietro  Mocenigo,  essere  egli  arrivato  in  Tauris 
al  30  aprile,  aver  trovata  la  più  liberale  accoglienza  dal  re 
e  dalla  regina,  e  la  migliore  disposizione  di  muovere  nella 
Caramania  e  verso  le  coste  contro  gli  Ottomani.  E  pregava 
il  capitano  generale  di  accordare  passaggio  ad  un  nuovo 
legato  persiano,  che  Uzunhasan  spediva  a  Venezia. 

Giunse  in  fatti,  alla  fine  di  agosto,  in  Venezia  1'  oratore 
agì  Mohammed,  per  chiedere  alla  repubblica  soccorso  di  arti- 
glierie, delle  quali  mancava  il  campo  persiano. 

Questo  oratore  recava  alla  signorìa  un  preziosissimo  dono, 
che  tuttora  si  conserva  fra  gli  stupendi  cimeli  del  tesoro  di 
S.  Marco.  Esso  consiste  in  un  catino  ricavato  in  una  sola 
turchese  di  smisurata  grandezza ,  avente  il  diametro  delle 
celebri  colonnette  della  cattedrale  di  Siviglia  (m.  0,228).  Sulla 
superficie  esteriore  stanno  intagliate  cinque  lepri,  e  nel  fondo 
le  parole  bar  allah,  interpretate  dal  Montfaucon  opifex  Deus, 
avvegnaché  opera  sì  straordinaria  e  preziosa  debba  riputarsi 
divina.  Il  catino  è  contornato  da  una  doppia  legatura,  entro 
e  fuori,  d'oro  finamente  cesellato  e  guernito  di  cinquanta 
gemme.  Il  Montfaucon  dichiara  che  nessun  altro  cimelio  gli 
ha  destato  maggior  meraviglia,  così  pure  il  Gicognara;  ma  lo 
Zanotto  ed  il  Durand  dubitano,  e  forse  a  ragione,  che  il  catino 
sia  invece  di  pasta  vitrea ,  la  cui  arte  era  perfettissima  in 
Persia,  d'onde  si  diffuse  per  la  civile  Europa  (3). 

Pochi  giorni  prima  di  agì  Mohammed  arrivava  per  la  via  di 
Caffa  un  altro  messo  persiano  (4),  «  spagnuolo  di  nascita  e  di 
fede  ebreo  »  il  quale  confermava  che  il  suo  signore  era  in 
viaggio  con  un  potentissimo  esercito,  e  risoluto  di  non  riti- 
rarsi dall'Asia  minore  senza  aver  prima  debellato  il  Turco. 


(1)  Commentari  del  viaggio  di  Caterino  Zeno,  cit. 

(2)  Annali  del  Malipiero,  cit. 

(3)  Secreta  XXV,  V.  Cornet,  op.  cit.,  e  la  tavola  qui  di  fronte. 

(4)  Documento  Vili. 


THl  U8MRY 
OF  THE 

UHIVEBSITY  OF  ILLINOIS 


Questo  messo  fu  consigliato  di  presentarsi  al  re  Ferdinando 
di  Napoli  ed  al  pontefice.  Dai  quali  ottenne  buone  parole 
e  scarse  promesse.  A  Roma  fu  con  due  famigliari  battezzato 
da  papa  Sisto,  che  gli  pose  il  suo  nome,  e  lo  regalò  di  molti 
doni. 

In  seguito  alla  domanda  di  agì  Mohammed,  deliberavasi 
in  senato  la  lettera  ducale  25  settembre  1472  al  re  della 
Persia  (1)  per  assicurarlo,  che  gli  sarebbero  spedite  le  chieste 
artiglierie,  e  che  ordinavasi  al  capitano  generale  da  mar  di 
porsi  intieramente  colla  veneta  armata  a  di  lui  disposizione. 

In  questo  senso  scriveasi  pure  il  27  settembre  allo  Zeno, 
che  ai  5  del  successivo  'gennaio  1473  (2)  si  rendeva  avvertito 
del  licenziamento  di  un  nuovo  oratore  turco,  venuto  per  ri- 
cercare la  pace,  mentre  il  senato  non  voleva  conchiuderla 
se  non  d'accordo  col  re  persiano,  incaricandolo  di  annunziare 
ad  Uzunhasan  il  prossimo  arrivo  delle  chieste  artiglierie  , 
condotte  da  uno  speciale  ambasciatore. 

Nel  medesimo  giorno  in  fatti  il  senato  eleggeva  oratore  in 
Persia,  collo  stipendio  di  1800  ducati  all'anno,  e  coll'accompa- 
gnamento  di  dieci  persone,  Giosafat  Barbaro,  il  quale  per 
essere  stato  console  veneto  alla  Tana  e  governatore  in  Scu- 
tari,  conosceva  perfettamente  le  lingue  orientali  (3). 

E  deliberava  nella  successiva  tornata  delli  11  gennaio  (4) 
che  si  mandassero  al  re  di  Persia  sei  bombarde  grosse  , 
dieci  di  mezza  grandezza  e  trentasei  minori.  Erano  le  bom- 
barde una  specie  di  mortaio  in  forma  di  tromba ,  nella 
cui  bocca  poneasi  in  luogo  di  palla  una  gran  pietra.  Inol- 
tre 500  spingarde ,  specie  di  grande  balestre ,  schioppetti 
e  polveri  quanti  più  se  ne  potessero  raccogliere,  pali  di  ferro 
300,  zappe  3000,  badili  4000,  e  finalmente  un  regalo  di  panni 
pel  valore  di  diecimila  ducati. 

Nella  relazione  del  suo  viaggio  in  Persia,  pubblicata  dal 
Ramusio,  il  Barbaro  narra  che  partì  da  Venezia  insieme  ad 
agì  Mohammed  con  due  galere  sottili,  seguite  da  due  grosse, 
cariche  di  bombarde  ,  spingarde,  schioppetti ,  polveri,  carri 


(4)  Secreta  XXV,  Cornet,  op.  cit.  p.  47. 

(2)  Secreta  XXV,  Cornet,  op.  cit.  p.  49  e  63. 

(3)  Verdiziotti,  Dei  fatti  veneti,  p.  572. 

(4)  Secreta  XXV,  Cornet,  op.  cit,  p.  65. 


10 

e  ferramenta  pel  valore  di  4000  ducati ,  e  con  200  schiop- 
pettieri  e  jDalestieri,  comandati  da  quattro  contestabili  e  da 
un  governatore  che  era  Tommaso  da  Imola;  e  che  li  doni 
per  Uzunhasan  consistettero  in  lavori  e  vasi  d'argento  del 
valore  di  ducati  3000,  in  panni  d'oro  e  di  seta  del  valore  di 
ducati  2500,  e  in  panni  di  lana  di  color  scarlatto  ed  altri  fini 
del  valore  di  ducati  3000. 

E  successivamente  colle  parti  5  novembre,  21  dicembre  1473 
e  22  gennaio  1474,  il  senato  ordinava  di  assoldare  Antonio 
di  Brabante  bombardiere,  e  di  mandarlo  ad  Uzunhasan  in- 
sieme ad  altri  500  schioppetti  e  100  spingarde.  Marino  Con- 
tarmi fu  incaricato  di  fare  questi  nuovi  acquisti  ;  ed  il  capi- 
tano generale  da  mar,  di  farli  giungere  nella  Persia  (1). 

Le  commissioni  a  Gìosafat  Barbaro  furono  due  :  una  pa- 
lese, data  il  28  gennaio  1473  (2),  l'altra  segreta  1*11  febbraio 
seguente  (3). 

Colla  prima  ordinavasi  al  Barbaro  di  andare  'oratore  so- 
lenne per  la  repubblica  in  Persia,  insieme  al  legato  persiano 
agi  Mohammed  ed  agli  ambasciatori  del  sommo  pontefice  e  dei 
re  di  Sicilia ,  allo  scopo  di  confermare  ed  animare  vieppiù 
Uzunhasan  nell'impresa  contro  i  Turchi ,  e  di  recargli  le 
chieste  armi  e  le  genti. 

Cammin  facendo  egli  doveva  eccitare  il  capitano  generale 
Mocenigo  a  fatti  importanti  nella  nuova  stagione  ,  visitare 
il  re  e  la  regina  di  Cipro ,  procurando  di  indurli  ad  unire 
la  loro  flotta,  e  finalmente  maneggiarsi  per  lo  stesso  fine  coi 
cavalieri  di  Rodi. 

Il  veneto  oratore  dovea  presentarsi  al  re  di  Persia  insieme 
a  Caterino  Zeno,  «  per  rendere  più  cospicua  e  solenne  la 
»  ambasceria;  ed  esporgli,  che  la  repubblica  da  dieci  anni 
»  era  in  guerra  col  Turco  deliberata  di  sostenerla  e  prose- 
»  guirla  d'accordo  colla  Persia  sino  all'ultimo  eccidio  del 
»  comune  nemico;  che  aveva  rifiutata  ogni  proposizione 
»  di  pace;  che  l'armata  veneta  e  la  collegata  aveano  già  in- 
»  festate  le  marine  dell'Anatolia,  ed  erano  pronte   a  nuove 


(1)  Registri  Senato  Terra,  tom.  VI,  pag.  186,  188,  191  ,  194.  Ardi, 
ven.  gen. 

(2)  Documento  IX. 

(3)  Documento  X. 


11 

»  e  più  importanti  imprese  nella  prossima  primavera;  e  fì- 
»  nalmente  che  egli  portava  seco  le  chieste  artiglierie  e  gli 
»  uomini  capaci  d'instruire  in  quell'arma  il  suo  esercito  ». 

Le  cose  espresse  nella  detta  commissione,  ebbe  il  Barbaro 
autorizzazione  di  comunicare  agli  ambasciatori  del  papa  e 
del  re  Ferdinando  che  lo  accompagnavano,  ma  non  quelle 
contenute  nella  commissione  segreta  che  gli  fu  data  ITI 
febbraio  1473. 

Questa  portava  le  istruzioni  particolari  ,  nel  caso  che  ad 
onta  degli  sforzi  del  veneto  oratore,  per  animarlo  alla  guerra, 
il  re  persiano  inclinato  avesse  alla  pace  : 

«  Essere  intenzione  della  repubblica  di  non  venire  mai  a 
»  pace  col  Turco,  se  non  qualora  quegli  acconsenta  di  ri- 
»  nunciare  in  favore  della  Persia  tutta  l'Anatolia  che  è  vi- 
»  scere  della  sua  potenza,  e  le  terre  al  di  là  dello  stretto, 
»  con  tutta  la  ripa  opposta  alla  Grecia,  ed  il  castello  dei 
»  Dardanelli,  ed  inoltre  si  obblighi  a  mai  più  fabbricare  al- 
»  cun  altro  castello  lungo  quella  spiaggia,  onde  possano  i 
»  Veneziani  aver  libero  il  mar  Nero  e  ristorarvi  gli  antichi 
»  traffici  e  commerci  ». 

Se  poi  la  conclusione  della  pace  avvenisse  da  parte  di 
Uzunhasan ,  doveva  il  Barbaro  impegnarlo  ad  includervi 
la  repubblica,  procurando  di  farle  restituire  la  Morea ,  Me- 
telino,  Negroponte,  od  almeno  Negroponte  ed  Argo. 

Con  queste  commissioni  pertanto  Giosafat  Barbaro  parti 
da  Venezia  a'  18  di  febbraio  1473,  e  per  Zara,  Lesina,  Corfù, 
Modone  e  Rodi  giunse  a  Famagosta  il  29  di  marzo  (1).  Ma  quan- 
tunque alla  repubblica  assai  importasse  il  sollecito  suo  viag- 
gio in  Persia,  egli  dovette  fermarsi  circa  un  anno  nell'isola 
di  Cipro,  essendo  tutte  le  coste  occupate  dagli  Ottomani. 

Quivi  egli  diede  prove  di  carattere  saldo  e  di  valentìa 
negli  affari  di  stato,  mantenendo  in  fede  il  Lusignano,  che 
per  ambizione  di  regno  era  più  tenero  degli  infedeli  che  dei 
cristiani,  e  provvedendo  col  generale  Mocenigo  in  aiuto  del 
principe  di  Caramania. 

Il  quale,  alleatosi  alla  repubblica  fin  dal  1464,  avendo  chie- 
sto a  Giosafat  Barbaro,  che  trovavasi  in  Cipro,  soccorso  per 

(1)  Lettere  al  Senato  di  Giosafat  Barbaro,  Vienna  1852,  dai  codici  Fo- 
scarini. 


12 

ricuperare  i  castelli  di  Sigimi,  Kurku  e  Selefke,  intorno  ai 
quali  stava  il  suo  campo,  ebbe  dal  Barbaro  e  dal  Mocenigo 
la  chiesta  assistenza;  perocché,  portatisi  colla  veneta  armata 
alle  marine,  essi  presero  a  viva  forza  Sighin  ed  ottennero  a 
patti  gli  altri  due  castelli,  che  il  Mocenigo  (1)  consegnò  aKasim 
beg  fratello  del  Garamano,  il  quale  ringraziatolo  del  possente 
aiuto,  lo  regalò  di  un  leopardo  e  di  un  superbo  destriero 
tutto  addobbato  con  fornimenti  d'argento  (2). 

Intanto  Caterino  Zeno  non  si  stancava  di  eccitare  la  re- 
gina di  Persia  perchè  persuadesse  il  marito  a  muovere  la 
guerra  a  Mohammed ,  acerrimo  nemico  in  particolare  di  lei, 
a  cui  avea  fatta  perire  tutta  la  famiglia;  per  le  quali  per- 
suasioni Uzunhasan,  che  era  di  già  infiammato  ad  abbas- 
sare la  potenza  ottomana  e  ad  innalzare  la  propria,  scrisse  al 
signore  dei  Georgiani  che  rompesse  da  quel  lato  la  guerra  (3), 
e  mandò  un  oratore  a  Costantinopoli  per  chiedere  Trebisonda 
ed  i  luoghi  usurpati. 

Questo  oratore  presentò  al  sultano,  secondo  il  costume 
orientale,  una  mazza  ed  un  sacco  di  miglio,  per  dimostrargli 
che  il  re  della  Persia  avrebbe  armato  esercito  potente  e  nume- 
rosissimo; ma  il  padishàh  lo  licenziava  facendogli  vedere  a 
mangiare  da  poche  galline  quel  miglio,  e  dicendogli:  «  Così 
«  imiei  giannizzeri  faranno  cogli  uomini  del  tuo  signore,  che 
«  sono  soliti  a  guardar  capre  e  non  a  guerreggiare  (4)  ». 

Allora  Uzunhasan  rivolse  ogni  sua  cura  a  raccogliere 
genti  ed  armi,  e  mandò  notizia  a  Venezia  della  sua  mossa, 
animando  la  repubblica  a  fare  altrettanto  dalla  sua  parte  ; 
con  lettera  recata  da  Sebastiano  dei  Crosecchieri  cappellano 
di  Caterino  Zeno,  nell'ottobre  1472  (5). 


(ì)  PietroMocenigofupoi  creato  doge  a'  16  dicembre  1474.  Morì  nel  1476 
e  gli  fu  posto  il  seguente  epitaffio:  «  Qui  Asia  a  faucibus  Hellesponti 
«  usque  in  Cyprum  ferro  ignique  vastata,  Caramanis  regibus  venetorum 
«  sociis,  Othomano  oppressis,  regno  restituto.... 

E  Nicolò  Tron,  che  fu  Doge  dal  1471  al  4473,  ebbe  per  epitaffio  :  «  Cum 
rege  Parthorum  contra  Turcum  socia  arma  coniunxit....»  e  per  breve: 
Hic  Thronus  aeteris  dux  est  demissus  ab  astris 
Ut  Persam  Veneto  iungeret  imperio. 

(2)  Coriolano  Cippico,  De  Bello  Asiatico,  Venetiis  1594. 

(3)  Commentari  Zeno,  op.  cit. 

(4)  Marin  Sanudo  nel  voi.  XXII,  Rerum  italicarum  scriptores. 
|5)  Pubblicata  negli  Annali  del  Malipiero,  cit. 


13 

Ai  15  di  dicembre  (1)  lo  Zeno  partecipava  le  prime  vit- 
torie di  Uzunhasan  ,  che  uditi  i  fatti  della  veneta  armata 
sulle  coste  della  Garamania,  ancorché  non  gli  fossero  ancora 
pervenuti  i  domandati  sussidii,  avea  dato  ordine  di  guerra, 
per  nulla  temendo  i  rigori  della  stagione  e  la  mancanza  di 
artiglierie. 

Il  veneto  oratore  seguì  l'esercito  persiano,  e  lo  passò  in 
rassegna  prima  che  entrasse  in  campagna.  Narra  lo  Zeno 
nella  sua  lettera  del  9  ottobre  1472  (2)  che  quello  era  com- 
posto di  100  mila  cavalli,  armati  in  parte  alla  maniera  che 
usavasi  in  Italia,  e  in  parte  coperti  da  fortissimi  cuoi  atti 
a  resistere  ai  grandi  colpi.  Gli  uomini  erano  vestiti  parte  con 
corazzine  dorate  e  maglie,  e  parte  in  seta.  Aveano  rotelle  in 
luogo  di  scudi,  e  scimitarre. 

Mentre  l'esercito  persiano  (ìopo  le  prime  vittorie  attese  nel 
verno  a  ristorarsi ,  Uzunhasan  spedì  un  nuovo  oratore  a 
Venezia,  il  quale  vi  giunse  per  la  via  di  Cipro  nel  mese  di 
febbraio  1473,  e  recò  la  notizia  della  presa  di  Malatiah  al- 
l'ovest dell'Eufrate,  e  dell'assedio  di  Bir  (3). 

Il  serenissimo  principe  accolse  il  legato  persiano  con  amo- 
revolezza; si  congratulò  seco  delle  vittorie  ottenute,  espri- 
mendo fiducia  che  il  Barbaro  si  sarebbe  recato  quanto  prima 
nella  Persia  colle  bombarde,  le  spingarde,  e  coi  maestri  di 
artiglieria,  spediti  da  quasi  un  anno.  Ed  egualmente  scri- 
veva ad  Uzunhasan  il  15  di  febbraio  (4),  annunziandogli  la 
venuta  del  Barbaro  con  efficaci  sussidii,  e  l'ordine  dato  alla 
veneta  armata  di  attaccare  le  coste,  tostochè  il  di  lui  eser- 
cito si  fosse  a  quelle  avvicinato.  Il  Barbaro  poi  lo  avvertiva 
da  Golchos  l'8  di  giugno  (5)  di  essere  con  potentissima  ar- 
mata e  cogli  ambasciatori  del  papa  e  del  re  Ferdinando  ed 
agì  Mohammed  a  di  lui  disposizione,  e  pronto  ad  attaccare 
la  stessa  Costantinopoli. 

Queste  lettere  empierono  di  allegrezza  e  di  speranze  U- 
zunhasan ,  il  quale   ne  fece  bandire  la  nuova  per  tutto  l'e- 


li) Annali  del  Malipiero  cit.  VII,  pag.  83. 

(2)  Ib.  pag.  82, 

(3)  Secreta  XXV,  Cornet,  op.  cit.,  pag.  83. 

(4)  Secreta  XXV,  Cornet,  op.  cit.,  pag.  84. 

(5)  Lettere  di  Giosafat  Barbaro,  cit. 


u 

sercito,  e  salutare  a  suon  di  trombette  e  zambalare  il  nome 
veneziano  (1). 

I  Turchi,  fatto  anch'essi  il  maggior  sforzo,  si  avvicinarono 
all'Eufrate  poco  lungi  da  Malatiah,  dove  sull'altra  riva  erano 
schierati  i  Persiani  in  ordinanza.  Quivi  si  incontrarono  i  due 
eserciti,  ed  azzuffatisi  vigorosamente,  prevalse  il  persiano.  Il 
sopraggiungere  della  notte  però  impedì ,  che  la  vittoria  dì 
Uzunhasan  riescisse  decisiva  e  finale. 

Rotti  pertanto  gli  Ottomani,  scriveva  a  Venezia  Luca  da 
Molino,  sopracomito  del  porto  di  S.  Teodoro»  (2):  che  era  vicino 
il  re  di  Persia,  che  il  Mocenigo  aveva  incominciate  le  ope- 
razioni marittime,  e  che  già  tutta  la  costa  erasi  assoggettata 
e  restituita  al  Garamano. 

Laonde,  elevati  gli  animi  alle  più  belle  speranze,  si  vinceva 
in  senato,  dietro  proposizione  di  Girolamo  da  Mula,  il  par- 
tito, di  scrivere  al  Mocenigo  che  penetrasse  con  tutta  l'ar- 
mata nello  stretto,  e  si  portasse  a  battere  immediatamente 
la  stessa  Costantinopoli,  qualora  però  fossero  stati  di  tale 
avviso  il  legato  papale  e  il  capitano  di  Napoli  (3). 

Ma  poco  stettero  le  cose  a  cangiare  d'aspetto.  Battuti  i  Tur- 
chi ,  fu  Uzunhasan  spinto  dai  suoi  ad  inseguirli  al  di  là 
dell'Eufrate ,  e  potè  raggiungerli  presso  Terdshan  nelle 
vicinanze  di  Erzengian,  alla  fine  di  luglio  del  1473.  Mentre 
il  suo  esercito  era  in  marcia,  mandò  1*  11  di  luglio  a  chia- 
mare lo  Zeno  e  gli  comandò  di  scrivere  all'imperatore  ed 
al  re  d'Ungheria  di  «  metter  a  foco  et  fiamma  il  paese  de 
«  l'Othoman  in  Europa,  perchè  essendo  esso,  con  l'aiuto*  di 
«  Dio,  per  aver  certissima  vittoria  contro  l'Othoman,  el  voi 
«  ch'el  sia  sfrachassado  da  ogni  parte,  che  più  noi  se  possa 
«  refar,  et  che  totalmente  sia  estinto  el  nome  suo  (4)». 


(1)  Documento  XI. 

(2)  Aghaliman,  il  4  giugno  1473;  Malipiero,  Ann.  pag.  87. 

(3)  Deliberazione  del  Senato,  25  giugno  1473.  Secreta  XXV,  pag.  19, 
Archivio  veneto  generale. 

(4)  Lettera  dello  Zeno,  13  luglio  1473.  Così  di  fatto  egli  scrisse  a  Fe- 
derico III,  il  quale  invece  cercò  di  ridurre  la  Dieta,  perchè  non  si  desse 
aiuto  alcuno  ad  Uzunhasan ,  onde  il  gransignore  prosperasse  contro  la 
repubblica.  E  scrisse  egualmente  al  re  Mattia,  che  trattò  invece  la  pace 
colla  Turchia. 


15 

Confidando  pertanto  nella  favorevole  sua  fortuna,  e  cre- 
dendo per  la  recente  vittoria  di  poter  ancora  facilmente  su- 
perare l'esercito  ottomano,  Uzunhasan  apprestò  a  battaglia 
le  sue  truppe,  appena  che  lo  ebbe  raggiunto  (1). 

Ma,  attaccato  invece  vigorosamente  e  disperatamente  dai 
Turchi,  egli  rimase  sconfìtto  per  modo  che  dovette  fuggire 
nelle  montagne  dell'Armenia,  abbandonando  il  campo  e  1(3 
salmerìe ,  mentre  invano  suo  figlio  Seinel  perdeva  la  vita, 
cercando  di  tener  testa  coi  pochi  rimasti  (2). 

Per  quella  stessa  opinione  che  Uzunhasan  teneva  di  es- 
sere invincibile,  si  avvilì  maggiormente  di  questa  sconfìtta; 
laonde  non  vedendo  altra  speranza  che  nel  soccorso  dei 
principi  cristiani,  ai  quali  le  sue  disgrazie  non  toccavano 
meno  che  a  lui,  spedì  Caterino  Zeno  come  proprio  amba- 
sciatore presso  ai  prìncipi  d'Europa:  con  incarico  di  domandar 
loro  quell'aiuto  che  richiedeva  il  pericolo  comune,  e  parti- 
colarmente dacché,  in  contemplazione  della  repubblica  di 
Venezia  e  degli  interessi  della  cristianità  ,  avea  preso  le 
armi.  Prometteva  poi  di  mettere  in  campo  per  la  ventura 
stagione  un  formidabile  esercito,  onde  continuare  nella  im- 
presa. 

Partitosi  lo  Zeno  dalla  corte  persiana,  si  diresse  alle  rive 
del  mar  Nero,  dove,  noleggiata  una  nave  genovese  di  Luigi 
Dal  Pozzo,  corse  pericolo  di  essere  tradito  e  consegnato  agli 
Ottomani,  se  Andrea  Scaramelli  di  notte  tempo  accostandosi 
secretamente  con  una  barca  alla  nave,  da  quella  non  lo 
avesse  levato,  e  condotto  incognito  a  Catfa,  insieme  ad  un 
di  lui  servo  chiamato  Martino. 

Quivi  trovandosi  lo  Zeno  spoglio  di  denari  e  di  ogni  cosa, 
e  non  potendo  essere  assistito  dal  povero  suo  liberatore , 
potè  una  seconda  volta  salvarsi  da  mal  partito  e  così  porsi 
in  grado  di  adempire  ai  suoi  incarichi,  per  la  fedeltà  del  suo 
servo  Martino  ,  che  tanto  lo  pregò  fino  a  che  egli  accon- 
discese di  venderlo  siccome  schiavo  per  provvedersi  di  denari 
pel  viaggio.   La  generosità  del  Martino  fu  poi   riconosciuta 


(1)  L'esercito  persiano  contava  300,000  uomini.  Lettera  dello  Zeno,  26 
luglio  1473. 

(2)  Documento  XII. 


16 

dal  veneto  senato  ,  che  lo  riscattò  e  lo  provvide  di  buona 
pensione  (1). 

Da  Gaffa  lo  Zeno  scriveva  alla  signorìa,  narrando  il  suc- 
cesso della  guerra  passata,  le  nuove  speranze  che  ancora  si 
avevano ,  e  lo  incarico  a  lui  affidato  da  Uzunhasan ,  del 
quale  spediva  una  lettera  al  doge  Nicolò  Tron  relucentissimo 
sultan  de  la  fede  cristiana,  cui  prometteva  di  esser  pronto  a 
tentare  di  nuovo  con  tutte  le  forze  della  Persia  la  fortuna 
delle  armi  (2). 

Queste  lettere  furono  assai  gradite  dal  senato,  che  inten- 
dendo non  essere  ancora  Giosafat  Barbaro  passato  nella  Per- 
sia, non  gli  parve  convenisse  alla  dignità  sua  di  lasciare  un 
re  affezionato  e  fedele  senza  un  ambasciatore,  dacché  lo  Zeno 
erasi  da  lui  dipartito. 

Laonde  il  consiglio  dei  Dieci  deliberava  di  spedirvi  Paolo 
Ognibene  (3)  albanese,  con  commissione  di  confermare  ad 
Uzunhasan  che  la  repubblica  intendeva  di  persistere  nella 
lega,  la  quale  non  avrebbe  mancato  di  fruttargli  il  possesso 
di  tutta  l'Asia  turca  ;  e  di  ponderare  allo  stesso  quanto  impor- 
tava all'impresa  che  egli  coll'esercito  passasse  l'Eufrate. 

Ali'Ognibene  non  venne  fissato  alcun  stipendio  ;  ma  gli  fu 
promesso  che  la  repubblica  non  mancherebbe  d'usare  verso 
la  sua  persona  e  famiglia  la  magnificenza  solita  verso  chi 
ben  la  serviva. 

Oltre  a  questa  spedizione  dell'Ognibene,  il  senato  delibe- 
rava nel  giorno  30  di  ottobre  dello  stesso  anno  1473  (4)  di 
eleggere  un  altro  oratore  solenne  ad  Uzunhasan  ;  ma  nomi- 
nato Francesco  Michele,  egli  rifiutò,  e  quanti  altri  venivano 
eletti  declinavano  tale  onore  per  cagione  del  viaggio  peri- 
colosissimo ;  laonde  furono  prese  le  parti  22  e  30  no- 
vembre che  stabilirono  pene  a  chi  si  rifiutasse,  e  che  au- 
torizzarono il  Consiglio  a  scegliere  l'ambasciatore  da  qua- 
lunque luogo  od  ufficio. 

Il  10  di  dicembre  1473  fu  eletto  Ambrogio  Contarmi, 
quondam  Bernardo,  che  accettò,  ed  il  20  scrivevasi  al  Bar- 


(1)  Commentari  dei  viaggi  dello  Zeno,  cit. 

(2)  Documento  XIII. 

(3)  Malipiero,  Annali  cit. 

(4)  Secreta  XXVI,  Cornet,  op.  cit. 


17 

baro,  che  sollecitasse  intanto  la  sua  partenza  da  Cipro  e 
per  qualunque  via  procurasse  giungere  al  più  presto  pos- 
sibile nella  Persia. 

Le  commissioni  date  dal  senato  ad  Ambrogio  Contarmi 
furono  due,  una  palese,  e  l'altra  segreta. 

La  prima  (I)  ordinava  al  veneto  legato  di  -abboccarsi  col- 
l'ambasciatore  di  Napoli,  di  cercar  notizie  di  Caterino  Zeno 
che  credevasi  a  Caffa,  e  di  Giosafat  Barbaro,  e  con  questi  e 
col  segretario  Paolo  Ognibene  concertarsi  per  la  miglior  riu- 
scita della  sua  missione. 

La  commissione  segreta  (2)  ricordava,  come  l'anno  prece- 
dente, ritenendosi  che  il  re  persiano  penetrasse  nell'Anato- 
lia, la  repubblica  avea  ordinato  al  capitano  generale  Moce- 
nigo  di  spingersi  vigorosamente  coll'armata  nello  stretto  fino 
a  Costantinopoli,  mettendo  a  ferro  e  fuoco  tutta  la  ripa, 
onde  il  nemico  vedendo  in  pericolo  la  propria  capitale  fosse 
costretto  a  ritirare  gran  parte  delle  sue  genti,  così  agevo- 
lando la  vittoria  al  re  di  Persia;  che  inoltre  la  repubblica 
aveva  mandate  le  chieste  artiglierie  e  gli  uomini  esperti 
a  maneggiarle  ;  per  le  quali  cose  doveva  Uzunhasan  con- 
vincersi della  buona  volontà  dei  Veneziani,  e  degli  sforzi  che 
sarebbero  sempre  pronti  a  fare  in  suo  favore  :  sia  eh'  egli, 
seguendo  il  parere  del  senato,  spingesse  la  guerra  per  terra, 
mentre  la  veneta  armata  penetrerebbe  nello  stretto;  sia  ch'e- 
gli preferisse  la  campagna  della  Sorìa:  purché  per  l'una  o 
per  ì'altra  di  queste  imprese  egli  muovesse  sollecitamente, 
il  tutto  consistendo  nella  celerità  delle  operazioni. 

Se  poi  il  veneto  oratore  avesse  trovato  il  re  disposto  a 
tregua  o  pace,  gli  si  ingiungeva  di  far  di  tutto  per  istornar- 
velo;  e,  non  riuscendo,  di  ottenere  che  alla  repubblica  fos- 
sero restituiti  Negroponte  ed  Argo,  od  almeno  ch'ella  fosse 
inclusa  nella  pace. 

Questa  commissione  segreta  ebbe  ordine  il  Contarmi  di 
imparare  a  memoria  prima  di  partire  d'Italia,  e  di  ritenerla 
col  mezzo  di  contrassegni  e  cifre  a  lui  solo  note,  con  ob- 
bligo assoluto  di  abbruciare  il  foglio  in  modo  che  non  pò- 
tesse  mai  essere  letto  da  alcuno. 

(1)  Documento  XIV. 

(2)  Documenti  XV  e  XVI. 

2        Bollettino  Consolare,  Voi    111. 


18 

Intanto  che  l'Ognibene  (1)  ed  il  Contarmi  si  dirigevano  verso 
la  Persia,  e  che  il  Barbaro  altresì  trovava  mezzo  d'incammi- 
narvisi,  Caterino  Zeno  proseguiva  il  suo  viaggio  di  ritorno 
a  Venezia,  eseguendo  le  commissioni  avute,  quale  ambascia- 
tore del  re  persiano. 

Trovò  egli  in  Polonia  il  re  Casimiro  in  guerra  cogli  Ungheri, 
ed  esponendogli  lo  incarico  avuto  da  Uzunhasan,  lo  esortò 
ed  indusse  a  conchiudere  la  pace,  per  lasciare  almeno  agli 
Ungheri  agio  di  unirsi  nella  lega  contro  i  Turchi. 

Dalla  Polonia  lo  Zeno  passò  in  Ungheria,  dove  ebbe 
grandi  promesse,  e  l'onore  del  cavalierato  il  20  aprile  1474. 
Finalmente  egli  arrivò  in  Venezia ,  e  riferita  in  senato  la 
commissione  avuta  dal  re  di  Persia,  fu  per  ciò  inviato  con 
altri  quattro  ambasciatori  al  papa  ed  al  re  di  Napoli  (2)-. 

Queste  legazioni  non  produssero  il  desiderato  effetto  e 
tornarono  vane.  I  principi  della  cristianità  si  erano,  secondo 
la  robusta  espressione  di  Giovanni  Sagredo  (3),  raffreddati, 
anzi  intirizziti.  Ritornato  in  patria  lo  Zeno,  fu  egli  nominato 
del  Consiglio  dei  Dieci,  a  grande  maggioranza  di  voti. 

Frattanto  il  Barbaro  col  solo  agì  Mohammed  ed  il  cancel- 
liere, travestiti  da  pellegrini,  senza  roba  e  senz'altra  famiglia, 
abbandonati  anche  dal  legato  papale  e  da  quello  di  Napoli, 
poterono  incamminarsi  per  la  Persia  FU  febbraio  1474  (4). 

La  relazione  del  viaggio  di  Giosafat  Barbaro  fu  pure  pub- 
blicata dal  Ramusio  ,  e,  tradotta  in  latino  dal  Geudero  ,  fu 
inserita  ne\Y Historia  rerum  persicarum  del  Bizarro. 

Narra  il  Barbaro  che  partitosi  finalmente  da  Cipro  sbarcò 
al  Kurku,  e  per  Selefke,  Tarsus,  Merdin,  Assankief  e  Sairt 
arrivò  al  monte  Tauro,  dove  nel  giorno  4  di  aprile,  assalito 
dai  Kurdi  e  spogliato  di  ogni  cosa,  egli  potè  a  stento  salvarsi 
fuggendo,  per  aver  sotto  un  buon  cavallo.  Ma  egual  sorte  non 
toccava  ad  agì  Mohammed  ed  al  cancelliere,  che  rimasero  da 
quegli  assassini  trucidati.  Le  disgraziate  vicende  del  viaggio 
del  Barbaro  non  si  limitarono  a  questa,  che,  giunto  a  Vastan 


(1)  L'Ognibene  sbarcò  a  Kurku  il  18  gennaio  4474,  ivi  condotto  dalla 
galea  Caterina,  e  per  la  via  di  Aleppo  andò  in  Persia. 

(2)  Commentari  Zeno,  cit. 

(3)  Memorie  storiche  dei  Monarchi  Ottomani. 

(4)  Lettere  del  Barbaro,  cit. 


19 

presso  Tauris,  e  richiesto  del  suo  nome  e  della  sua  mis- 
sione da  quei  Turcomanni  che  si  trovavano  alla  porta  della 
città,  avendo  egli  detto  di  tener  lettere  per  il  loro  re,  ma 
che  non  credeva  cosa  onesta  il  mostrarle,  fu  assai  maltrat- 
tato, e  colpito  dal  loro  capo  con  un  pugno  così  vigoroso 
nella  mascella,  che  per  quattro  mesi  gliene  durò  il  dolore. 

Arrivato  finalmente  il  veneto  legato  in  Tauris  ed  accon- 
ciatosi in  un  caravanserai ,  fece  sapere  ad  Uzunhasan  che 
desiderava  di  presentarglisi.  Il  re  mandò  per  lui  immedia- 
tamente la  mattina  appresso  ;  laonde  fu  condotto  alla  sua 
presenza  così  male  in  arnese,  che  «  quanto  avea  in  dosso  non 
potea  valere  due  ducati  ».  Fu  accolto  assai  cortesemente  dal 
persiano,  che  gli  promise  soddisfazione,  e  compenso  del  danno 
patito  (1). 

Il  luogo  del  ricevimento  fu  un  padiglione  del  magnifico 
palazzo  detto  Aptisti,  che  tenevasi  per  una  delle  meraviglie 
della  Persia.  Il  padiglione  giaceva  nel  mezzo  di  un  giar- 
dino a  trifoglio,  con  una  rigogliosa  fontana  d'innanzi  (2). 
La  loggia  era  decorata  a  grossi  mosaici  di  varii  colori  ;  a 
mano  sinistra  sedeva  il  signore  della  Persia  sopra  un  cu- 
scino di  broccato  d'oro,  con  un  altro  simile  dietro  %lle  spalle, 
ed  al  suo  lato  stava  un  brocchiero  alla  moresca  colla  sua 
scimitarra.  Uzunhasan  ricevette  il  veneto  ambasciatore,  cir- 
condato dai  grandi  del  suo  regno ,  e  mentre  varii  cantori 
facevano  sentire  dolci  concenti,  al  suono  di  arpe,  liuti,  cem- 
bali e  pive.  Il  giorno  dopo  mandò  al  Barbaro  due  vesti, 
uno  sciallo  di  seta,  una  pezza  di  bambagio  da  mettere  in 
capo,  e  ducati  20. 

La  relazione  del  viaggio  di  Giosafat  Barbaro  continua  nar- 
rando i  costumi,  le  ricchezze,  il  commercio,  i  prodotti  della 
Persia  confrontati  con  quelli  d'Italia,  e  descrive  l'esercito  e 
la  potenza  di  quel  re.  Dati  questi  importantissimi,  ma  che 
è  inutile  di  ripetere,  dacché  stanno  pubblicati  nelle  sopraci- 
tate collezioni,  insieme  ad  un'altra  non  meno  interessante 
descrizione  della  Persia  fatta  da  un  mercante  veneziano,  che 
ivi  dimorò  intorno  a  quel  tempo. 

Circa  l'esito  della  sua  missione,  il  Barbaro  dice:  che  quando 

(ì)  Viaggio  di  Giosafat  Barbaro  io  Persia,  Ramusio,  op.  cit. 

(2)  Viaggio  di  un  mercante  che  fu  nella  Persia,  Ramusio,  op.  cit 


20 

arrivò  in  Tauris,  correva  voce  che  Uzunhasan  fosse  deciso 
a  continuare  nella  lotta  contro  i  Turchi,  ma  che  le  conse- 
guenze della  infelice  giornata  di  Terdshan ,  la  ribellione  di 
Oghurlu  Mohammed,  e  la  tiepidezza  delle  corti  cristiane  resero 
impossibile  la  riscossa.  Egli  portò  invece  le  armi  contro  il 
re  di  Gorgora,  e  fatta  con  esso  la  pace,  si  ritirò  nei  propri 
stati,  ove  morì  il  giorno  dell'Epifanìa  dell'anno  1478. 

Dopo  la  morte  di  Uzunhasan  avvennero  nella  Persia  i  più 
gravi  sconvolgimenti,  che  portarono  finalmente  la  esclusione 
dal  trono  della  sua  dinastìa. 

Laonde  il  Barbaro  ,  presa  licenza ,  si  unì  ad  un  armeno 
che  recavasi  in  Erzengian,  ove  giunse  ai  29  di  aprile  1478. 
Quindi  con  una  carovana  andò  in  Aleppo  ed  in  Beiruth,  e 
con  una  nave  di  Gandia  si  portò  in  Venezia,  per  recare  al  se- 
nato le  notizie  della  sfortunata  sua  legazione. 

Ed  esito  simile  ebbero  pur  quelle  di  Paolo  Ognibene  e  di 
Ambrogio  Contarmi. 

Paolo  Ognibene  arrivava  dalla  Persia  il  17  di  febbraio  1475 
e  riferiva  nel  Consiglio  dei  Dieci:  che  entrato  nel  paese  del 
Caramano  si  era  unito  con  alcuni  Turchi  che  andavano  alla 
Mecca,  da»  quali  poche  miglia  fuori  di  Aleppo  si  dipartì 
fìngendo  di  avere  perduta  la  borsa,  e  così  avendo  potuto  ri- 
tornare in  quella  città,  prese  il  cammino  della  Persia.  Passato 
l'Eufrate,  egli  entrò  nel  paese  di  Uzunhasan,  e  presentatosi  a 
quel  re,  fu  accolto  amorevolmente  ed  udito  con  attenzione. 

Pochi  giorni  dopo  l'arrivo  in  Persia  dell'Ognibene  vi  giun- 
geva Giosafat  Barbaro  ,  laonde  Uzunhasan  incaricava  l'O- 
gnibene  di  ritornare  tosto  a  Venezia,  e  di  es-porre  alla  si- 
gnorìa, ch'egli  era  re  della  propria  parola,  e  che  nella  pros- 
sima primavera  avrebbe  allestito  un  poderoso  esercito. 

La  relazione  dell'Ognibene  fu  assai  grata  al  Consiglio  dei 
Dieci,  che  lo  premiava  colla  nomina  di  massaro  all'ufficio 
delle  Rason  vecchie,  collo  stipendio  annuo  di  ducati  400  (1). 

Anche  la  relazione  del  viaggio  e  dell'ambasciata  in  Persia 
di  Ambrogio  Contarini  fu  pubblicata  nelle  citate  collezioni. 
Partitosi  quell'oratore  da  Venezia  a' 23  di  febbraio  1473, 
andò  per  la  via  di  terra  a  Caffa,  ove  giunse  ai  26  di  aprile, 
passando  per  Norimberg ,  Postdam  e  la  Russia  bassa.  Im- 

(£)  Malipiero,  annali  op.  cit 


21 
barcatosi  sul  mar  Nero  ,  si  recò  alle  foci  del  Fasi  al  1°  di 
luglio,  e  per  la  Mingrelia,  la  Georgia  e  parte  dell'Armenia, 
giunse  al  4  di  agosto  nella  città  di  Tauris. 

Ma  siccome  il  re  di  Persia  trovavasi  in  Ispahan,  il  Con- 
tarmi si  diresse  a  quella  volta,  ove  incontrò  Giosafat  Barbaro 
che  lo  seguiva  in  qualità  di  legato  della  repubblica. 

Nel  giorno  4  di  novembre  1474  il  veneto  oratore  si  pre- 
sentò ad  Uzunhasan  ed  offerì  le  sue  credenziali.  Esposta  la 
commissione  avuta  dal  senato,  ebbe  affettuosissima  acco- 
glienza ,  ma  assai  breve  ed  ambigua  risposta.  E  ritornato 
poi  colla  corte  in  Tauris  ,  gli  fu  commesso  da  quel  re  di 
partire  per  Venezia,  e  di  recare  la  notizia  che  egli  era  pronto 
a  far  la  guerra.  Fu  il  Contarmi  regalato  di  due  vesti,  di  un 
cavallo  e  di  poche  altre  cose,  e  fu  incaricato  di  portare  alla 
signoria  alcune  spade  e  turbanti. 

Nel  28  di  giugno  1475,  quantunque  convinto  che  le  pro- 
messe di  Uzunhasan  difficilmente  sarebbero  state  mante- 
nute ,  il  Contarini  si  licenziò  da  quel  re  ,  e  per  la  via  del 
Caspio  e  della  Tartaria  si  diresse  a  Venezia. 

11  viaggio  di  ritorno  riesci  al  veneto  legato  oltremodo  fa- 
ticoso, avendo  dovuto  per  terre  barbare  ed  infestate,  viag- 
giare senza  o  con  pochi  danari.  Egli  portava  indosso  una 
casacca  tutta  squarciata,  foderata  di  pelli  d'agnello,  una  triste 
pelliccia,  e  un  berretto  pure  di  agnello.  Passato  il  gran  de- 
serto dell'asiatica  Sarmazia,  arrivò  in  Moscovia,  e  presen- 
tatosi a  quel  duca,  fu  assai  bene  accolto  e  regalato;  quindi 
per  la  Lituania,  la  Polonia  e  l'Aliemagna  giunse  a  Venezia  il 
9  di  aprile  1477,  e  riferito  in  senato  l'esito  della  sua  missione, 
corse  a  ringraziare  Iddio  di  averlo  preservato  da  tanti  pericoli 
e  di  avergli  conceduta  la  grazia  di  rivedere  la  patria. 

Colla  morte  di  Uzunhasan  terminava  per  Venezia  l'ul- 
tima speranza  di  appoggio  ;  laonde  nel  1478  la  repubblica 
fermò  pace  colla  Turchia,  e  pose  fine  ad  una  lotta  che  durò 
sedici  anni,  e  che  avrebbe  potuto  vendicare  il  1453,  in  cui 
compievasi  la  gran  vergogna  della  cristianità,  e  liberare  l'Eu- 
ropa da  una  causa  incessante  di  perturbazioni  e  di  guerre. 


;«  y  'i  ir  If. 

La  repubblica  di  Venezia  però  non  cessava  di  eonside- 
rare  con  grande  interesse  le  cose  persiane,  dacché  a  quella 
parte  stavano  ancora  rivolte  le  sue  speranze,  nel  quasi  totale 
abbandono  dei  principi  cristiani. 

Sembra  che  il  segretario  veneto  Giovanni  Dario,  spedito 
nell'anno  1478  alla  Porta  per  negoziare  la  pace,  avesse  poi 
incarico  nel  1485  dal  bailo  Pietro  Bembo,  di  recarsi  nella 
Persia,  per  attingere  notizie  sulla  condizione  di  quel  regno 
sconvolto  dopo  la  morte  di  Uzunhasan,  e  sulla  possibilità  di 
una  comune  riscossa.  Due  lettere  in  fatti  si  conservano  del 
Dario  (1),  le  quali  perù  narrano  solamente  l'accoglienza  ch'e- 
gli ebbe  nel  campo  persiano,  e  quella  fatta  agli  ambascia- 
tori dell'Ungheria  e  dell'India,  che  eransi  pure  in  quel  tempo 
recati  colà. 

Allorquando  poi  il  valoroso  Ismaìl,   capo  della  setta  cre- 

dente  in  Ali,  detta  dei  Ssufì  xS"*/^  (2),  approfittando  dell'en- 
tusiasmo religioso  s'insignorì  della  Persia,  il  veneto  senato 
non  solo  cercò,  col  mezzo  dei  suoi  rappresentanti  in  levante, 
ogni  particolare  notizia  sull'origine,  le  forze  ed  i  progressi  di 
lui,  ma  rottasi  la  pace  colla  Turchia  nel  1494,  introdusse  pra- 
tiche di  alleanza  con  esso  e  col  principe  di  Garamania. 

Un  gentiluomo  di  Costantinopoli,  abitante  in  Cipro  e  sud- 
dito veneto,  Costantino  Lascari,  spedito  a  questo  fine  nella 
Persia,  lesse  in  senato  al  suo  ritorno  in  Venezia  nel  1502, 
una  preziosa  relazione  del  sufi  (3),  dalla  quale  la  repubblica, 
se  ricavò  importanti  notizie  delle  vittorie  e  progressi  per- 
siani, dovette  però  convincersi  non  essere  possibile  di  risto- 
rare allora  l'antica  lega  con  Ismaìl ,  laonde  mancandole 
eziandio  i  soccorsi  chiesti  alla  Francia  ed  al  Portogallo,  con- 
chiuse la  pace  colla  Turchia,  che  fu  giurata  il  14  dicembre 
1502  dal  sultano,  e  il  20  maggio  1503  dal  doge. 


(1)  Documenti  XVII  e  XVIII, 

(2)  Benché  gli  etimologi  non  siano  d'accordo  intorno  alla  derivazione 
del  nome  sufi ,  adottiamo  questo  modo  di  scriverlo ,  dopo  le  preziose, 
considerazioni  dell'Hammer,  del  Marsden,  e  dei  moderni  orientalisti. 

(3)  Documenti  XIX  e  XX. 


$3 

Non  ismettevasi  tuttavolta  in  senato  il  pensiero,  che  fu 
poi  la  costante  politica  tradizionale  della  repubblica,  di  stu- 
diare le  occasioni  opportune,  per  frenare  la  prepotenza  ot- 
tomana ,  e  per  rilevare  in  levante  la  supremazìa  politica  e 
commerciale  dei  Veneziani. 

I  dispacci  dei  baili  a  Costantinopoli  riportati  dal  Sanudo, 
e  quattro  relazioni  che  in  quei  preziosi  diarii  sono  pure 
conservate  inedite,  fanno  di  ciò  piena  testimonianza.  La  prima 
è  una  deposizione  del  nunzio  Dell'Asta  fatta  alla  signoria 
nel  dicembre  1501,  intorno  al  nuovo  profeta  Ismaìl  (1);  la  se- 
conda una  relazione  7  settembre  1502  del  luogotenente  di 
Cipro  Nicolò  Priuli,  sui  progressi  del  sufi  e  della  sua  setta  (2); 
la  terza  una  deposizione  fatta  nell'ottobre  1503  intorno  ai 
successi  persiani,  da  un  Moriati  di  Erzerum  spedito  apposi- 
tivamente in  Tauris  dai  rettori  di  Cipro  (3);  la  quarta  final- 
mente è  una  lettera  di  Giovanni  Morosini  da  Damasco  del  5 
marzo  1507  (4),  la  quale  narrando  con  ogni  possibile  esattezza 
le  lotte  del  sufi  contro  Alidul  e  la  Turchia ,  rappresentava  \ 
al  senato  «  quello  essere  il  momento  opportuno  di  cospirare 
»  d'accordo  fra  i  principi  cristiani  e  la  Persia,  nella  santis- 
»  sima  impresa  di  scacciare  il  Turco  d'Europa».  La  lettera 
del  Morosini  termina  col  seguente  ritratto  dello  shàh  Ismaìl. 

«  Il  sophi  è  adorato  et  è  nominato  non  re  nò  principe , 
»  ma  sancto  et  propheta:  è  bellissimo  giovane  senza  barba, 
»  studiosissimo  et  doctissimo  in  lettere,  dicono  aver  con  sé 
»  tre  preti  armeni,  i  quali  per  otto  anni  continui  sien  stati 
»  suoi  precettori,  et  non  lascivo  al  solito  dei  Persi,  homo  de 
»  grande  justitia  et  senza  alcuna  avidità,  et  molto  più  liberal 
»  de  Alexandro,  anzi  prodigo  di  tutto,  perchè  come  gli  vien 
»  el  danaro  subito  lo  distribuisce  in  modo  che  el  par  un  Dio 
»  in  terra;  et  come  ai  templi  se  fanno  offerte  si  offeriscono 
»  a  lui  le  facultà,  et  hanno  de  gratia  che  tanto  si  degni  de 
»  acceptarle.  La  fede  veramente  che  el  tien  no  se  intende;  ma 
»  se  poi  conjetturare  che  el  sia  più  presto  cristiano  che  altro, 


(1)  Sanudo  Codd.  Marciani,  voi.  IV,  pag.  66.  Vedi  Brown,  Ragguagli 
sulla  vita  e  le  opere  di  M.  Sanudo. 

(2)  Sanudo  IV,  pag.  168. 

(3)  Sanudo  V,  pag.  137. 
â– (*)  Sanudo  VII,  pag.  407. 


n 

»  persuadendo  li  popoli  che  Dio  vivo  che  è  in  cielo  li  governa. 
»  Vive  con  amor  religioso  et  si  contenta  di  quanto  ha  minimo 
»  et  privato  homo.  L'ha  tamen  qualche  schiava  et  anchor  non 
»  legittima  mogliera  ;  noi  beve  vino  palese  né  occulto,  ma 
»  qualche  volta  el  mangia  certa  nerba  che  alquanto  aliena,  et 
»  allora  commette  qualche  severità;  et  tamquam  sanctus  par 
»  de  divination,  perchè  mai  si  consiglia  con  alcun;  et  per 
?  questo  tutti  crede  che  el  sia  ad  ogni  sua  operation  di- 
»  vinitas  in  ispirito.  El  tien  una  gatta  sempre  con  lui ,  et 
»  guai  a  chi  fasse  alcuna  offension  a  quella...... 

Questo  valoroso  principe  fondatore  della  dinastìa  dei  Sufìani, 
non  mostrava  minore  desiderio  del  veneto  senato,  a  strin- 
gere l'alleanza ,  e  ad  unire  le  proprie  armi  a  quelle  della 
repubblica. 

Scriveva  in  fatti  il  console  a  Damasco  Bartolomeo  Conta- 
rmi nel  novembre  dell'anno  1505  (1):  essere  a  lui  venuto  un 
chasandar  del  Garamano  con  una  lettera  del  sufi  di  Persia, 
scritta  in  lingua  agemina  (2),  al  soldan  dei  Veneziani,  colla 
quale  narrando  le  conseguite  vittorie  gli  partecipava  il  suo 
grande  amore  e  la  sua  speranza  di  presto  incontrarsi  con  lui. 

Questa  lettera  fu  ricevuta  a  Venezia  nel  gennaio  1605  (3) 
insieme  ad  alcune  monete  d'oro  e  d'argento  del  nuovo  si- 
gnore della  Persia,  le  quali  portavano  le  seguenti  iscrizioni 
così  ricordate  dal  Sanudo  nei  suoi  diarii  (4). 

Da  una  parte  : 

«.  Soldam,  Ladel,  Elchemel,  Elhadi,  Sainsa,  Elmoda,  Ismail 
»  Sain,  Ghaledule  Melche  (El  Signor  giusto,  compido ,  cor- 
»  redor,  re  dei  re,  el  victorioso  Ismail  mundo  et  puro,  Iddio 
»  fazi  el  so  regno  eterno)  ». 

E  dall'altra  parte  la  formula  religiosa  dei  Persiani  : 

«  Lailla,  Lhalla,  Mahumet  Resulhalla,  Uhalì,  Ulihalla  (Un 
»  solo  Dio,  un  solo  messo  Maometto,  un  sanctissimo  Ali)  ». 


(1)  Sanudo  VII,  pag.  168-173. 

(2)  Persiana,  da  agem,  nome  col  quale  gli  arabi  indicano  le  terre  ad 
essi  straniere,  ed  in  particolare  la  Persia. 

(3.)  Documento  XXI. 
($)  Voi,  VII,  pag.  194. 


25 

E  due  anni  appresso  Ismail  reso  ancor  più  potente  per 
felici  imprese,  e  nemico  a  Bajezid  per  la  diversità  della  reli- 
gione e  la  gelosia  del  dominio  nell'Asia,  mandò  formalmente 
oratori  a  Venezia  per  chiedere  alleanza,  conforme  a  quella 
che   Caterino  Zeno    aveva  conchiusa  con  Uzunhasan  (1). 

Ma  per  quella  fatalità,  che  ha  poi  sempre  impedito  la  ef- 
fettuazione del  grande  concetto  politico  dei  Veneziani ,  in 
quel  tempo  medesimo  i  principi  cristiani  congiurando  a 
Cambray  contro  Venezia ,  la  posero  nella  necessità  di  la- 
sciarsi sfuggire  la  vagheggiata  occasione. 

Il  senato  ricevette  il  primo  annunzio  di  questa  intenzione 
del  sufi  dal  console  a  Damasco  Gontarini ,  con  dispaccio  4 
marzo  1508  (2);  quindi  nel  settembre  dello  stesso  anno  il 
provveditore  di  Napoli  di  Romania  scrisse  ai  capi  del  Con- 
siglio dei  Dieci,  che  di  notte  secretamente  erasi  a  lui  pre^ 
sentato  un  messo  del  sufi  della  Persia  «  per  pregarlo  di 
»  informare  il  veneto  senato  che  il  suo  re  era  amico  dei 
»  cristiani ,  veniva  a  rovina  del  Turco ,  voleva  bene  a  san 
»  Marco  et  alla  signorìa,  ed  aveva  fatto  penetrare  il  suo  eser- 
»  cito  nell'Anatolia  (3)  ».  Finalmente  colla  nave  di  ser  Fran- 
cesco Malipiero  arrivarono  a  Venezia  due  oratori,  uno  per- 
siano ed  uno  caramano,  con  lettera  di  Ismail  tradotta  dal 
console  Pietro  Zeno,  la  quale,  accreditando  i  suoi  ambascia- 
tori, esprimeva  la  buona  amicizia  che  il  re  persiano  portava 
alla  repubblica,  ed  il  suo  desiderio  di  stringerla  maggior- 
mente e  più  efficacemente  (4).  Accolti  essi  cortesemente  dal 
senato,  furono  a  spese  pubbliche  alloggiati  nel  palazzo  Bar- 
baro a  s.  Stefano  dove  abitava  l'oratore  di  Francia. 

Pochi  giorni  dopo  si  presentava  in  collegio  il  solo  am- 
basciatore persiano,  colla  formale  domanda  d' Ismail:  che 
gli  fossero  mandati  dall'Italia  per  la  via  di  Soria  maestri 
che  gettassero  artiglierie  ;  e  che  la  veneta  armata  tenesse 
occupato  Baiezid  nella  guerra  di  mare  presso  alle  coste  della 
Grecia,  mentre  egli  lo  avrebbe  chiamato  a  battaglia  nell'Asia 
minore. 


(1)  Paolo  Giovio,  Hist.  di  Venezia,  lib.  XIII. 

(2)  Sanudo  VII,  pag.  425. 

(3)  Sanudo  VII,  pag.  508. 

(4)  Sanudo  VIII,  pag.  182. 


26 

Il  collegio  ricevette  onorevolmente  V  ambasciatore  per- 
siano ;  ma  gli  fece  rispondere  dai  savi  «  che  i  Veneziani  si 
ricordavano  molto  bene  la  buona  amicizia  e  la  lega  che 
avevano  stretta  col  re  di  Persia,  che  essi  erano  molto  contenti 
che  il  sufi  fosse  nemico  dei  Turchi,  avesse  pensato  di  comu- 
nicare alla  repubblica  l'interesse  della  guerra,  e  promet- 
tesse quelle  cose,  le  quali  se  Uzunhàsan  avesse  mantenute 
non  vi  sarebbe  forse  più  stata  occasione  di  muover  guerra 
agli  Ottomani;  ma  che  tali  erano  i  cambiamenti  delle  cose 
del  mondo  ,  che  siccome  in  quel  tempo  il  persiano  non 
pensò  o  non  potè  ritentare  la  sorte  delle  armi ,  così  ora 
la  repubblica  trovandosi  in  gravissima  condizione,  non  po- 
teva far  ciò  che  pure  ardentemente  desiderava,  avvegnaché 
era  occupata  in  una  importantissima  guerra,  mossale  dai 
più  potenti  sovrani  d'Europa  che  avevano  congiurato  a 
Cambray,  non  provocati  da  ingiuria  alcuna,  ma  solo  eccitati 
da  invidia  della  felicità  dei  Veneziani  ». 

E  però  si  commetteva  al  persiano  di  riferire  al  suo  re: 
che  la  repubblica  avrebbe  all'occasione  e  potendo  fatta  ogni 
opera  affinchè  il  sufi  conoscesse  ch'ella  non  aveva  cosa  al- 
cuna più  cara  dell'amicizia  dei  Persiani,  ne  maggior  desi- 
derio di  quello,  di  unire  alle  loro  le  proprie  armi,  per  frenare 
od  abbattere  la  prepotenza  ottomana  (1). 

L'ambasciatore  persiano,  cosi  licenziato,  partì  colle  galere 
di  Cipro,  arrivato  in  Gandia  ammalò  (2);  quindi  passato  nella 
Siria,  tenne  ragionamento  segreto  con  Pietro  Zeno  console 
veneto  in  Damasco  sulla  probabilità  di  un  prossimo  concorso 
della  veneta  armata  colle  forze  persiane. 

La  qual  cosa  essendo  venuta  a  cognizione  del  sultano  del 
Cairo,  egli  altamente  se  ne  adirò  ,  rispetto  particolarmente 
alle  minaccie  fattegli  da  Bajezid,  per  aver  tollerato  che  nei 
suoi  stati,  ministri  persiani  congiurassero  contro  di  lui; 
laonde  ordinava  la  immediata  carcerazione  dello  Zeno,  e  del 
console  veneto  in  Alessandria,  Contarmi. 

Scriveva  allora  il  senato  al  sultano  (3):  non  aver  avuto  la 
veneta  signorìa  alcuna  ingerenza  in  quei  discorsi,   che   se 


(1)  P.  Giovio,  Hist.  cit.,  pag.  321. 

(2)  Nel  settembre  1509.  Sanudo  IX,  pag.  135. 

(3)  Il  21  giugno  1511. 


27 

pur  fossero  stati  fatti  erano  di  carattere  meramente  privato, 
né  alcuna  notizia  di  que'nimzi...  «Se  questa  po'  è  causa  de 
»  romper  una  tanto  longa  amicizia  lo  lassemmo  al  savio 
»  parer  del  sultan.  No  giustifìchemo  cosa  alcuna,  solo  di- 
»  cerno  la  verità  (1)  ». 

Lo  Zeno  ed  il  Gontarini  tosto  furono  posti  in  libertà;  ma 
non  essendo  cessato  del  tutto  il  mal  animo  del  sultano  per 
la  venuta  in  Venezia  degli  oratori  persiani,  il  senato  com- 
metteva a  Domenico  Trevisan,  eletto  nel  22  dicembre  1511 
ambasciatore  straordinario  al  Cairo  per  affari  di  commercio, 
di  cercare  ogni  mezzo  e  via  di  calmarlo  «  rappresentan- 
»  dogli  che  la  loro  venuta  non  fu  ad  alcuno  male  efecto  , 
»  ma  solum  per  comunicare  le  occorrenze  et  li  successi  del 
»  loro  signor,  el  qual  mostrava  di  esser  affetionato  alla  si- 
»  gnorìa  nostra,  et  ai.  quali  fu  in  corrispondenza  con  parole 
»  generali  risposto,  com'è  costume  della  signorìa  nostra  de 
»  fare  con  tutti  (2)  ». 

Di  questa  ambasciata  Domenico  Trevisan  lesse  in  Pregadi 
a'24  di  ottobre  1512,  la  stupenda  relazione  riportata  dal  Sa- 
nudo  (3),  e  Pietro  Zeno  narrò  pure  lungamente  i  suoi  casi 
nel  gennaio  dell'anno  seguente  (4). 

E  quella  non  fu  la  sola  volta  che  i  Veneziani  nella  Siria 
mostrassero  troppo  chiaramente  lo  interesse  della  repubblica 
per  la  Persia,  mentre  si  ha  notizia  di  un  Andrea  Morosini, 
rinomatissimo  pel  vasto  negozio  di  mercatura  in  Aleppo,  che 
fu  fatto  morire  per  avere  nell'anno  1526  sovvenuto  di  da- 
nari e  di  cavalli  Roberto  ambasciatore  di  Carlo  V,  che  pas- 
sava in  Persia  (5). 

Posto  fine  colla  pace  di  Bologna,  1529,  alla  guerra  che  sleal- 
mente aveano  mossa  i  principi  cristiani  alla  repubblica, 
essa  ricominciò  a  guardare  all'  oriente  verso  il  naturale 
suo  nemico,  e  a  seguire  colla  più  viva  attenzione  le  vicende 
delle  guerre  che  ferveano  nell'Asia  fra  i  Turchi  edi  Persiani, 


(1)  Secreta  XLIV,  pag.  31.  Archivio  veneto  generale. 

(2)  Secreta  XLIV,  pag.  73.  Arch.  ven.  gen. 

(3)  Voi.  XV. 

(4)  Ib. 

(5)  Morana,  Relazione  del  commercio  di  Aleppo.  Venezia  1799.       \S 


28 

Riferiva  in  senato  a'  3  di  giugno  Daniello  Ludovisi  segre- 
tario, ritornato  da  Costantinopoli  (1),  che  quantunque  le  forze 
del  re  di  Persia,  limitate  a  cento  e  ventimila  cavalli,  non 
si  potevano  ritenere  in  caso*  di  contrastare  felicemente  col 
Turco,  la  gran  difesa  di  quel  regno  consisteva  nel  ritirarsi, 
spogliando  il  paese  di  ogni  sorta  di  vettovaglie;  ed  il  bailo 
Bernardo  Navagero  nel  1553  (2)  assicurava  che  il  sufi  era 
poco  meno  che  adorato  dai  suoi  sudditi  e  temuto  assai  dal 
Turco,  il  quale  non  potrà  avere  mai  nemico  maggiore  del 
re  di  Persia,  per  la  differenza  della  religione  e  per  la  con- 
dizione rispettiva  dei  loro  Stati. 

Daniele  Barbaro  presentava  nello  stesso  anno  1553  ,  una 
relazione  della  guerra  di  Persia  mossa  da  Suleiman  per 
vendicare  la  infelice  spedizione  del  1548;  la  quale  relazione, 
pubblicata  siccome  anonima  dall'Alberi  (3) ,  è  ricca  di  cu- 
riose ed  importanti  notizie;  bella  soprattutto  per  tre  minute 
descrizioni:  della  fine  miserabile  di  Mustafà  figliuolo  di  Su- 
leiman fatto  strangolare  per  ordine  del  padre;  della  città  di 
Aleppo  ;  e  della  pomposa  entrata  che  vi  fece  il  padishàh. 

Ricordava  il  bailo  Domenico  Trevisan  sul  finire  dell'anno 
1554  (4)  essere  il  sufi  l'unico  impedimento  al  gran  signore 
di  impadronirsi  di  tutta  l'Asia. 

Ed  Antonio  Erizzo  ritornato  da  Costantinopoli  nel  1557, 
narrando  i  particolari  della  guerra  turco-persiana  finita  colla 
pace  di  Amasia  nel  1555,  considerava  (5)  il  manifesto  peri- 
colo che  dalla  parte  della  Persia  sovrastava  alla  Turchia, 
ed  il  mal  animo  del  gransignore  contro  quel  re,  del  quale 
avrebbe  voluto  più  presto  la  rovina  che  di  qualsivoglia  altro, 
ancorché  cristiano. 


(1)  Relazioni  degli  ambasciatori  veneti  al  Senato  nel  secolo  XVI,  edite 
in  Firenze  da  Eugenio  Alberi.  Serie  III,  voi.  I,  pag.  21. 

(2)  Alberi.  Relazioni  venete  cit.,  serie  III,  voi.  I,  pag.  85. 

(3)  Serie  III,  voi.  I,  pag.  193.  Questa  relazione  porta,  in  una  copia  e- 
sistente  nell'Archivio  generale  del  regno  a  Torino,  il  nome  di  Daniele 
Barbaro;  e  nei  codici  Foscarini  a  Vienna  il  titolo:  Relatione  del  Sophi 
re  di  Persia,  di  Armenia,  di  Assiria  e  di  Media,  cogli  altri  Stati  suoi,  et 
successi  della  guerra  col  Turco. 

(4)  Alberi,  Relazioni  venete  cit.  Serie  III,  voi.  1,  pag.  166. 

(5)  Alberi,  Relazioni  cit.  Serie  III,  voi.  HI,  pag.  138. 


29 

Marino  Cavalli  nel  1560  riferiva  in  senato  (1)  che  il  gran- 
signore  assai  temeva  il  re  della  Persia  per  la  possibilità  sua 
di  sollevargli  alle  spaile  tutto  il  paese,  quando  egli  fosse  in 
guerra  coi  cristiani;  e  faceva  constare  che  soltanto  tre  cose  po- 
tevano condurre  a  rovina  l'impero  ottomano,  cioè:  I.  Le  divi- 
sioni ed  i  dissidii  interni.  II.  La  corruzione  del  governo  e  la 
vita  licenziosa,  avara  e  sensuale  di  quei  popoli.  III.  Un  re  di 
Persia  valoroso  che,  fatta  la  pace  coi  Tartari  suoi  confinanti, 
volesse  ricuperare  il  suo  ,  coll'aiuto  dei  principi  cristiani  : 
aiuto  che,  secondo  il  Cavalli,  avrebbe  dovuto  prestarsi  per 
almeno  cinque  o  sei  anni,  dacché  «  non  bisogna  pensar  di 
»  soggiogar  mai  i  Turchi,  nò  vincerli,  se  non  ammazzandoli, 
»  come  essi  fecero  dei  Mamelucchi,  e  questo  non  si  potrà 
»  fare  in  poco  tempo,  né  con  due  o  tre  battaglie  ». 

Finalmente  il  bailo  Marcantonio  Barbaro  sosteneva  in  se- 
nato: che  freno  alcuno  non  potea  maggiormente  domare  ogni 
insolente  pensiero  dei  Turchi,  quanto  il  conoscere  essi  la 
buona  intelligenza  fra  i  principi  cristiani  ed  il  re  della  Persia  (2). 

Per  queste  considerazioni  e  rispetti,  allorquando  Selino 
mosse  la  guerra  ai  Veneziani,  per  la  conquista  del  regno  di 
Cipro,  la  repubblica  deliberava  di  rivolgersi  a  Thamasp  re 
di  Persia,  eccitandolo  ad  unirsi  seco  nella  lega  per  vendicare 
le  antiche  e  le  recenti  ingiurie. 

II  Consiglio  dei  Dieci  consegnava  a  tal  fine,  nel  27  di  ot- 
tobre 1570  a  chogia  Ali  negoziante  di  Tauris,  che  trattenu- 
tosi a  Venezia  per  affari  di  traffico,  desiderava  di  ritornare 
nella  Persia,  una  lettera  ducale  a  quel  re  (3),  colla  quale 
annunciandogli  la  ingiusta  guerra  intrapresa  contro  la  re- 
pubblica da  Selino,  lo  eccitavasi  a  fare  un'importante  diver- 
sione nell'Asia,  che  avrebbe  paralizzate  le  forze  turchesche, 
accresciuta  gloria  al  suo  nome,  potenza  e  sicurezza  all'im- 
pero persiano.  E  tre  giorni  appresso  il  medesimo  Consiglio 
dei  Dieci  commetteva  al  segretario  del  senato  Vincenzo  degli 
Alessandri  (4),  uomo  peritissimo  nel  viaggiare  e  conoscitore 
delle  lingue  orientali  per  la  lunga  dimora  fatta  a  Costanti- 


li)  Alberi,  Relazioni  cit.  Serie  III,  voi.  1,  pag.  278. 

(2)  Nell'anno  1573.  Alberi,  relazioni  cit.  Serie  111,  voi  F,  pag.  33S1. 

(3)  Documento  XXII. 

(4)  Documento  XXIII. 


30 

nopoli,  di  recarsi  secretamele  nella  Persia  con  altra  let- 
tera ducale  a  quel  re  (1) ,  per  informarlo  a  viva  voce  dei 
grandi  apparecchi  che  si  favevano  da  tutti  i  principi  cristiani 
onde  assalire  con  eserciti  e  flotte  l'impero  turchesco,  e  per 
esortarlo  a  cogliere  la  favorevole  occasione  di  rompere 
dalla  sua  parte  la  guerra,  mentre  gli  Stati  ottomani  nell'Asia 
erano  spogli  delle  truppe  mandate  all'impresa  di  Cipro. 

Il  viaggio  del  veneto  oratore  nella  Persia  e  l'esito  della 
sua  missione,  furono  dallo  stesso  Alessandri  narrati  col 
dispaccio  ufficiale  24  luglio  1572,  che  qui  si  riporta  nella 
sua  integrità  (2). 

Serenissimo  Principe,  Illustrissimi  Signori. 

«Essendo  in  questo  ritorno  di  Persia  cascato  in  pericolosa 
disposizione  di  febbre  e  petecchie  in  Leopoli,  e  parendomi 
essere  alquanto  risanato ,  mi  posi  in  cammino  per  presen- 
tarmi a'  piedi  di  Vostra  Serenità,  né  avendo  ancora  avuto 
le  forze  per  poter  continuare,  essendo  molto  battuto  sì  dal 
lungo  viaggio  che  dalla  presa  malattia,  mi  sono  fermato  per 
qualche  giorno  in  questa  città,  e  comprendendo  quanto  può 
esser  caro  alla  Serenità  Vostra  saper  el  successo  del  negozio 
commessomi,  ancorché  da  Tauris  due  volte  abbia  inviato 
per  l'Armenia  lettere  a  Costantinopoli  all'illustrissimo  Bailo, 
le  dico:  che  dappoi  che  fui  spedito  da  questo  medesimo  Con- 
siglio a  Tamasp  re  di  Persia  con  lettere  e  con  commissione 
che  io  gli  dessi  conto  della  guerra  ingiustamente  mossale 
da  sultan  Selin,  delle  gran  preparazioni  di  armada  che  per 
difesa  de'suoi  stati  ed  offesa  di  sì  gran  inimigo  la  Serenità 
Vostra  aveva  fatto,  e  dell'unione  dei  principi  cristiani  mossi 
per  questa  causa,  che  dovessi  etiam  invitare  desso  re  a 
prender  l'armi  in  sì  venturata  occasion  contro  detto  Selin,  mi 
partii  con  quella  maggior  diligenza  che  fu  possibile  tenendo 
là  via  di  Germania,  Polonia  e  Bogdania,  discendendo  nel 
paese  del  Turco  a  Moncastro ,  città  sopra  le  rive  del  mar 
maggiore,  dal  qual  luogo  scrissi  alla  Serenità  Vostra  ai  19 
di  marzo  del  1571  e  le  diedi  avviso  del  cammin  che  avevo 
a  tenere,  ed  essendomi  alquanti  giorni  fermato  per  aspettar 

(1)  Documento  XXIV. 

(2)  Inedito  e  tratto  dal  codice  4762  dell'ardi.  Cicogna. 


*  34 

passaggio  che  mi  conducesse  in  Asia  ;  venuta  occasion  di 
nave,  mi  partii,  nò  potendo  per  venti  contrarii  arrivare  a 
Trebisonda,  com'era  intenzione  mia,  smontai  a  Sinope,  sebben 
per  quella  via  il  cammin  fu  lungo  e  di  molto  pericolo,  avendo 
dovuto  passare  per  la  città  di  Samsum,  Tokat,  Erzeugian, 
Derbent  ed  Erzerum  e  de  li  entrar  nella  Persia. 

»  Giunsi  nella  città  di  Tauris ,  metropoli  di  quel  regno, 
a'  17  di  luglio,  mi  fermai  alquanti  giorni  per  prendere  infor- 
mazione del  modo  del  negozio  di  là,  per  non  andar  del  tutto 
nuovo  ed  inesperto  a  Gasbin,  città  dove  il  re  già  da  molti 
anni  fa  la  sua  residenza.  Ed  essendomi  imbattuto  in  un 
gentiluomo  inglese,  el  qual  per  via  di  Moscovia  con  molta 
facultà  di  carisce  ed  altri  panni  era  venuto  per  il  fiume 
Volga  in  Persia,  con  nome  di  ambasciatore  della  regina  e 
con  lettere  di  credenza,  e  si  aveva  trovato  col  re  e  fatti  gran 
presenti  ed  ottenuti  comandamenti  di  poter  liberamente  con- 
trattare, condur  mercanzie  e  dal  paese  trarne  quella  quan- 
tità e  sorte  che  le  pareria  si  per  conto  suo,  come  di  altri 
mercanti  inglesi;  avendo  con  detto  gentiluomo  contratto  al- 
quanto di  amicizia,  intesi  il  modo  del  governo  e  come  sul- 
tan  Gaidar  Mirza,  terzo  figliuolo  del  re  e  luogotenente  del 
padre,  indirizzava  tutti  li  negozi;  con  queste  ed  altre  istru- 
zioni della  natura  del  re  mi  partii,  ed  ai  14  d'agosto  giunsi 
a  Gasbin,  essendo  venuti  a  trovarmi  alcuni  mercanti  armeni 
i  quali  avevano  mandati  li  loro  fattori  in  cotesta  inclita  città 
desiderando  sapere  alcuna  nuova,  li  dissi  che  la  Serenità 
Vostra  li  aveva  licenziati  già  molto  tempo  insieme  colle  loro 
robe  e  che  erano  partiti  prima  di  me,  alli  quali  domandai 
Fora  che  il  figliuolo  del  re  ammette  all'udienza;  mi  dissero 
per  ordinario  di  notte,  dicendomi  etiam  esser  signori  della 
loro  terra  chiamata  Diulfa  e  che  uno  risiedeva  lì  per  agente. 
Mostrando  essi  di  aver  facile  introduzione  li  dissi  che  io 
aveva  lettere  di  Vostra  Serenità  alla  maestà  del  re,  e  che 
mi  sarebbe  stato  caro  per  mezzo  loro  che  alla  corte  di  Mirza 
si  fosse  saputa  la  mia  venuta.  Questi  si  partirono  ed  aspet- 
tato che  detto  signor  uscisse  dal  padre,  il  quale  secondo  il 
costume  di  quella  corte  non  uscì  dal  consiglio  prima  che 
a  tre  ore  di  notte,  e  subito  giunto  al  suo  palazzo  li  diedero 
avviso;  ne  mettendo  tempo  di  mezzo  comandò  ad  alcuni  dei 
suoi  gentiluomini  che  venissero  per  me. 


32  # 

»  Giunto  io  a  lui,  si  partì  da  uno  delli  fratelli  ed  altri  signori 
con  li  quali  guardavano  alcuni  giochi  di  fuoco  e  solo  con 
un  suo  gentiluomo  si  ritirò  sotto  una  loggetta.  Introdotto 
che  fui  alla  sua  presenza  dissi:  che  se  la  Serenità  Vostra 
avesse  saputo  che  S.  A.  tiene  sì  degnamente  il  grado  di  Luo- 
gotenente del  re,  con  ispeciali  lettere  là  lo  avrìa  honorato, 
siccome  colle  presenti  lo  fa  alla  maestà  di  suo  padre.  Mirza 
con  grata  ciera  rispose  che  io  fossi  il  benvenuto,  e  che  li 
pareva  strano  il  mio  lungo  cammino  in  questi  tempi  per 
paese  degli  Ottomani.  Mi  domandò  se  aveva  presso  di  me 
la  lettera:  io  gli  mostrai  il  vasetto  di  stagno,  e  dissi  che  la 
era  là  dentro,  per  il  che  restò  pieno  di  meraviglia,  la  prese 
e  volse  in  un  fazzoletto  dicendo  di  presentarla  così  al  re; 
mi  domandò  se  v'era  altro  al  presente,  risposi  che  con  gran 
fatica  mi  avevo  potuto  solo  presentare  a  S.  A.  rispetto  l'esser 
venuto  per  mezzo  il  paese  de  nemici,  ma  che  con  occasione 
la  Serenità  Vostra  non  avrìa  mancato  di  onorare  la  maestà 
del  re  e  sua  signorìa  con  quei  degni  presenti  che  se  le 
conveniva.  Ringraziò  e  mi  dimandò  del  contenuto  della  let- 
tera, lo  gli  dissi  che  credevo  che  la  Serenità  Vostra  desse 
avviso  a  S.  M.  della  poca  fede  osservatale  da  sultan  Sehn, 
il  quale  con  solenne  giuramento  aveva  promesso  e  giurato 
in  nome  di  Dio,  delli  profeti,  e  per  le  anime  dei  suoi  pas- 
sati di  osservar  buona  e  sincera  pace  colla  Serenità  Vostra, 
ora  mosso  da  avido  desiderio  ,  sprezzando  ogni  onor ,  né 
curandosi  di  esser  tenuto  presso  i  principi  del  mondo  man- 
cator  di  parola ,  con  tutte  le  forze  sue  da  mare  e  da  terra 
aveva  fatto  sbarcare  eserciti  a  Cipro  per  impadronirsi  di 
quell'isola;  però  che  la  S.  V.  colla  sua  potentissima  armata 
di  molte  galere,  galeazze,  navi  ed  altri  vascelli  di  battaglia 
si  era  preparata  all'offesa  di  sì  crudel  tiranno,  e  che  desi- 
derava che  la  maestà  del  re  sapesse  che  siccome  poco  in- 
nanzi il  Turco  non  osservò  il  giuramento  fatto  all'  amba- 
ciatore  di  V.  S. ,  così  non  osserverebbe  le  promesse  fatte 
all'ambasciatore  di  S.  M.,  ed  avrebbe  cercato  quanto  prima 
pace  colla  S.  V.  per  cominciare  guerra  con  lui ,  come  per 
molti  esempi  delli  passati  imperatori  ottomani,  S.  A.  poteva 
di  ciò  esser  certa;  e  che  ora  in  sì  grande  e  quasi  certa 
occasione  di  vittoria,  la  S.  V.  mi  avea  mandato  per  invitar 
il  re   suo  padre  a  prender  l'armi ,    essendosi   mossi  già   li 


33 

maggiori  principi  cristiani;  e  che  solamente  bastava  che  S.  Al- 
col potentissimo  suo  esercito  si  muovesse  sia  per  riavere 
le  città  e  castelli  ingiustamente  toltigli  dalli  passati  signori 
ottomani ,  sì  per  la  molta  inclinazione  che  tutto  il  popolo 
dal  fiume  Eufrate  fino  alli  suoi  confini  gli  portava,  come  a 
re  giusto  et  loro  antico  naturale  signore.  Il  che  non  gli  saria 
stato  diffìcile,  rispetto  che  molti  bascià,  baglierhei  di  Natò- 
lia, di  Caramania  e  sangiacchi,  erano  andati  all'impresa  di 
Cipro,  avendo  lasciato  il  paese  privo  d'ogni  presidio  di  gente; 
oltrecchè  la  S.  V.  insieme  colli  principi  averia  in  modo  te- 
nuto oppresse  in  quelle  parti  le  forze  di  esso  Selino  ,  che 
non  saria  mai  stato  ardito  di  abbandonar  Costantinopoli  per 
passare  in  Asia. 

»  Mirza,  dopo  di  avermi  con  attenzione  ascoltato,  disse  che 
era  proprio  dei  signori  ottomani  il  primo  e  secondo  anno 
del  loro  imperio  romper  ogni  promessa ,  dicendo  esser  be- 
nissimo istrutto  della  loro  poca  fede ,  e  che  avria  data  la 
lettera  al  re  e  fattogli  sapere  le  cose  da  me  intese,  procu- 
rando di  farmi  avere  udienza  quanto  prima,  e  più  segreta- 
mente; perchè  in  tal  negozio  conosceva  esser  così  l'intenzione 
sua,  rispetto  che  l'ambasciatore  d'Inghilterra  già  poco  tempo 
avendole  baciato  pubblicamente  la  mano,  avea  messo  in  gran 
sospetto  li  bascià  delli  confini,  li  quali  fin  allora  dissero  che 
S.  M.  era  per  unirsi  colli  Franchi  ;  il  che  se  lo  farà ,  non 
vorrà  che  di  ciò  abbiano  avviso  alcuno,  nemmeno  occasione  di 
sospettare  sicché  coglierlo  potrà  alla  sprovvista;  dimandan- 
domi se  di  certo  la  lega  era  conclusa  e  quali  principi  erano 
più  potenti  in  mare.  Gli  dissi,  la  Serenità  Vostra,  la  maestà 
del  re  di  Spagna  ed  il  sommo  pontefice;  mi  domandò  se  il 
re  di  Portogallo  era  compreso  in  detta  lega ,  gli  dissi  che 
ancor  lui  era  per  entrare,  perchè  oltre  l'essere  congiunto  di 
stato  e  di  volontà  col  re  di  Spagna,  era  figliuolo  di  una 
sua  sorella  ;  mi  dimandò  etiam  del  re  di  Francia  :  risposi 
che  al  presente  non  aveva  galere;  e  qui  si  pose  fine,  par- 
tendomi accompagnato  dal  suo  maggiordomo  ,  il  quale  mi 
disse  che  Mirza  di  queste  nuove  sentiva  grandissimo  piacere, 
e  che  ogni  particolare  avria  riferito  al  padre. 

«  Stando  io  in  aspettazione  di  essere  chiamato  al  re ,  et 
passati  alcuni  giorni  dissi  alli  Armeni,  i  quali  del  continuo 
erano  alla  porla  di  Mirza,  che  mi  pareva   strano    non   aver 
•'*        Bollettino  Consolare,  Voi    III. 


34 

avviso  alcuno  di  essere  introdotto,  e  mi  sarebbe  stato  caro 
che  dal  maggiordomo  avessero  inteso  se  a  S.  M.  era  stata 
presentata  la  lettera  e  quello  che  l'aveva  comandato:  i  quali 
intesero  che  la  mattina  seguente  Mirza  gliela  avea  presen- 
tata in  quel  vasetto  ,  che  era  stato  in  lungo  ragionamento 
col  padre ,  ma  non  sapevasi  quello  avesse  ordinato.  Il  se- 
condo giorno  andai  dal  detto  maggiordomo  ,  il  quale  disse 
aver  inteso  da  Mirza  che  il  re  aveva  comandato  che  mi  fer- 
massi ,  e  fatta  tradurre  la  lettera  dal  dragomanno  che  fu 
dell'ambasciatore  d'Inghilterra,  il  quale  si  era  fatto  turco, 
e  visto  che  per  quella  accusava  una  antecedente  mandata 
da  V.  S.  per  un  chogia  Ali  mercante  di  Tauris,  però  voleva 
vedere  anche  quella ,  poi  mi  avria  spedito.  Gli  dissi  che 
detto  mercante  non  poteva  molto  tardare,  essendosi  partito 
da  Venezia  due  mesi  prima  di  me,  e  che  sebbene  la  S.  V. 
mi  aveva  imposto  diligenza,  mi  acquetava  col  volere  di  S.  M. 

»  In  questo  intervallo  di  tempo  cercai  di  istruirmi  di  ogni 
particolare,  si  della  persona  ed  animo  di  questore  e  figliuolo, 
come  dei  signori  da  loro  chiamati  sultani,  del  modo  di  go- 
verno di  quella  corte  e  regno,  delle  loro  entrate  e  spese  et 
etiam  della  qualità  e  numero  di  milizie  che  possono  fare,  come 
dalla  S.  V.  nell'ultimo  del  mio  partir  mi  fu  comandato  che 
io  avessi  ad  osservare ,  le  quali  cose  non  scriverò  al  pre- 
sente, si  per  non  attediar  colla  lunghezza  loro  la  S.  V.,  come 
per  non  essere  in  atto  di  poterlo  fare. 

»  Giunse  a'3  di  novembre  chogia  Ali  accompagnato  da  un 
gentiluomo  del  sultano  di  Tauris  parente  del  gran  cancelliere  al 
quale  fu  indiricciato,  e  subito  condotto  al  reprima  ch'io  sapessi 
la  sua  venuta,  il  quale  aspettai  che  uscisse  dal  palazzo,  e  ini 
riferi  che  S.  M.  gli  aveva  dimandato  dove  si  aveva  tratte- 
nuto tanto  tempo  e  che  era  molti  giorni  che  lo  aspettava 
e  avvicinandosegli  disse:  questo  è  di  quel  bel  panno  di  Ve- 
nezia, avendo  chogia  Ali  fatto  presente  di  tre  veste.  Gli  diede 
il  libro  dicendo  che  la  lettera  della  S.  V.  era  là  nella  co- 
perta, il  re  ordinò  al  nipote  figliuolo  di  Godabem  Mirza, 
primo  figliuolo  di  S.  M.  che  dovesse  portarle  dentro  alle 
donne;  gli  domandò  se  era  vero  della  lega,  e  se  a  Venezia 
era  carestia  di  grano,  rispose  esser  la  lega  conclusa  al  fermo, 
e  che  al  presente  vi  era  abundanzia  non  avendo  durato  la* 
carestia  se  non  che  ì  mesi,  domandò  seiu  detto  tempo  si  Lro- 


35 

vava  pane,  disse  che  ve  ne  era  quantità  grande  e  che  per  tulle 
le  piazze  si  vendeva  ma  era  caro;  rispose  il  re  di  ciò  poco 
importava  dicendo  questo  esser  contrario  agli  avvisi  che  da 
un  ciaus  di  Erzerum  li  furono  dati,  il  quale  disse  che  non 
si  trovava  pane  per  danari  e  che  perciò  moriva  molta  gente; 
domandò  se  il  signor  di  Transilvania  era   sollevato   contro 
il  Turco,  disse  di  sì,  e  che  essendo  in  Andrianopoli  passò 
Acmat  bascià,  il  quale  con  esercito  andava  contro  detto  si- 
gnore. 11  re  si  lontanò  alquanto  da  chogia  Ali,  e  disse  ai  sul- 
tani signori,  la  lega  di  certo  è  conclusa,  ed  il  Transiivano 
che  era  l'ala  destra  dell'esercito  degli  Ottomani  si  è  levato 
contro  loro.  Di  nuovo  S.  M.  domandò   se   aveva   vedute   le 
preparazioni  dell'armata  e  se  era  in  gran  numero;  disse  che 
aveva  contato  300  galere,  20  galere  grosse  e  molte  navi  di- 
cendogli ogni  particolare,  come  erano  armate  e  quanta  ar- 
tiglieria che  v'era  sopra,  e  che  aveva  inteso  esser  quelle  di 
Spagna  100  e  50  quelle  del  Papa  ;   e  volendo  incominciare 
a  parlare  del  negozio  della  lettera,  il  re  disse  che  ei  sapeva 
ogni  cosa;    così  restò,   e  rivolto  al  cancelliere,  replicando 
disse:  bene  bene,  fermandosi  per  un  poco;  poi  ordinò  ad  un 
Turco  che  con  diligenza  dovesse  andare  a  Shirvan  a  far  le- 
vare 28  pezzi  d'artiglieria  che  si  trovava  a   Sanbiachi   città 
vicina  al  gran  Caspio  e  condurli  nel  castello  di  Derbentalli 
confini  del  Turco,  e  che  etiam  fosse  condotto  dal  detto  luoco 
600  somme  di  camelli  di  armadura  vicino  a  Tauris. 

»  Dato  che  ebbe  S.  M.  questi  ordini,  presente  chogia  Ali,  li 
dimandò  se  era  vero  che  il  bascià  fosse  andato  all'impresa 
di  Gandia ,  il  quale  rispose  non  saper  di  certo  ,  ma  aver 
inteso  che  l'armata  di  V.  S.  dovrà  invernar  in  quelle  parti, 
e  che  se  fosse  andato  il  bascià  sopra  quell'isola  ,  al  fermo 
si  avria  incontrato  e  saria  seguita  battaglia,  domandò  che 
forma  aveva  il  galione  e  se  era  vero  che  sopra  vi  fosse  300 
bocche  da  fuoco.  Chogia  Ali  disse  che  tra  grandi  e  piccole 
passavano  questo  numero,  il  capitano  delia  guardia,  che  da 
loro  è  chiamato  dirsi  bassi,  disse  che  li  pareva  impossibile, 
il  re  rispose  che  in  materia  di  legni  armati  e  di  artiglieria 
tutto  quello  che  intendeva  dei  Veneziani  dovesse  crederlo, 
perchè  per  via  di  Aleppo,  di  Costantinopoli  ed  altri  luochi 
aveva  avvisi  conformi,  dicendo  che  chogia  Ali  dovesse  parlare 
o  dire  tutto  quello  sapeva.  Il  qual  rispose  aver  veduto  tante 


36 

cose  che  m  un  subito  non  le  poteva  dir  cosi  presto;  disse  il  re 
che  non  partisse,  ed  ordinò  che  si  fermasse,  ma  avendo  aspet- 
tato fin  ora  tarda  entro  alle  donne,  fu  licenziato.  Io,  desi- 
derando espedizione,  andai  da  sultan  Caidar  Mirza  e  dissi 
a  sua  signorìa  che  chogia  Ali  era  giunto,  e  che  io  deside- 
rava qualche  risposta  essendo  vicino  a  tre  mesi  ch'io  mi 
trovava  a  quella  corte  ;  mi  disse  che  l'aveva  veduto  a  par- 
lare col  re,  e  che  quanto  alla  espedizione  mia  con  la  venuta 
di  questo  facilmente  potrà  venir  a  memoria  a  suo  padre  ed 
espedirmi,  perchè  lui  conosceva  la  sua  natura  che  non  vo- 
leva gli  fosse  ricordata  cosa  alcuna,  e  che  però  bisognava 
aspettare. 

»  Di  ciò  consigliatomi  con  chogia  Ali ,  disse  avria  par- 
lato al  gran  cancelliere,  dal  quale  ebbe  risposta  che  questo 
negozio  era  indiricciato  con  Mirza  e  che  non  sapeva  come 
ricordarlo  a  S.  M.,  ma  che  bisognava  aspettar  uno  o  due 
anni  per  veder  prima  qualche  buon  progresso  di  questa 
guerra,  poi  averla  risposto,  che  questo  era  signor  prudente 
ed  in  simil  negozio  si  governava  coll'occasione  e  con  il  tempo, 
che  li  presenti  disturbi  del  Ghilan  impedivan  la  risoluzione 
di  altri  affari.  Chogia  Ali  disse  al  signor  segretario  che  la  S.  V. 
mi  aveva  imposto  diligenza,  e  che  però  instavo  espedizione, 
il  qual  rispose  che  a  gran  negozio  vi  voleva  gran  tempo  a 
risolvere.  Stando  io  in  molto  travaglio  di  animo ,  sia  per 
la  irresoluzione  loro,  come  perchè  li  denari  mi  erano  venuti 
a  manco,  mi  fu  arricordato  da  quelli  Armeni  che  mi  indi- 
rizzarono a  Mirza  che  dovessi  trovarmi  con  un  signore  chia- 
mato Eminlicbes  famigliarissimo  del  re ,  il  quale  trattava 
molti  importanti  negozi.  Andai  da  detto  signore  con  un  pic- 
ciol  presente  e  gli  diedi  conto  del  successo,  e  lo  pregai  ad  ìn- 
terponersi  alla  mia  espedizione,  il  qual  mi  promise  con 
l'occasione  di  farlo.  Due  giorni  dopo  mi  mandò  a  chiamare 
e  mi  disse  che  aveva  parlato  con  S.  M.  la  quale  aveva  visto 
il  tenore  delle  due  lettere,  che  Mirza  oltre  li  aver  parlatole 
a  viva  voce  di  tal  negozio,  lo  aveva  etiam  posto  in  scrittura 
tutto  quello  che  nella  prima  udienza  aveva  ragionato  con 
me,  e  data  essa  scrittura  al  re,  che  al  presente  non  poteva 
con  animo  riposato  far  rispondere  a  detta  lettera,  e  che  aveva 
comandato  che  essendo  qui  due  per  uh  effetto,  l'uno  fosse 
licenziato  e  l'altro  restasse  per  la  risposta.  Ringraziai  detto 


37 
signore  del  cortese  ufficio  e  mi  trovai  con  chogia  Ali  e  li  ri- 
ferii l'ordine  del  re,  il  quale  disse  che  lui  saria  restato  vo- 
lentieri, sì  perchè  aveva  già  venduta  la  sua  mercanzia  a 
tempo,  come  perchè  quella  promessa  che  dalla  S.  V.  li  è 
stata  fatta,  è  con  condizione  che  abbia  portar  risposta  della 
lettera  a  lui  data.  Io  vedendo  il  desiderio  suo  di  restare,  e 
sapendo  che  questo  caso  era  poco  servizio  di  V.  S.  che  più 
lui  che  io  per  tal  causa  restasse,  risolsi  di  partirmi  ed  il 
giorno  seguente  presi  licenza  da  sultan  GaidarMirza,  e  gli 
dissi  quanto  la  maestà  del  padre  aveva  comandato  ,  e  che 
con  buona  grazia  di  S.  A.  mi  volevo  partire.  Mi  disse  che 
gli  dispiaceva  che  io  forse  contro  il  volere  mio  avessi  tar- 
dato tanto  ;  ma  che  l' ordinario  dei  negozi  di  questa  corte 
portava  seco  lunghezza  di  tempo,  volendo  il  re  vedere  mi- 
nutamente ogni  cosa,  e  che  lo  raccomandassi  alla  S.  V. 
Ringraziai  S.  A.  e  dissi  che  la  V.  S.  nelle  occasioni  non  saria 
mancata  con  degni  affetti,  dimostrarli  grata  corrispondenza; 
e  nel  partire  il  suo  maggiordomo  mi  disse  che  l'aveva  mo- 
strato a  Mirza  li  tre  zecchini  che  nella  prima  udienza  io  gli 
aveva  donati,  i  quali  erano  coll'impronta  di  V.  S.,  e  che  li 
erano  molto  piaciuti  e  desiderava  di  darmi  moneta  di  quanti 
ne  aveva  io,  veramente  non  me  ne  trovava  più  che  12  nuovi, 
glieli  diedi,  né  volsi  in  cambio  altro  danaro. 

«  Mirza  mi  mandò  un  tappeto  di  seta  di  quattro  braccia, 

facendomi  dire  che  per  memoria  sua  lo  godessi,  perchè  in 

memoria  di  V.  S.  avria  tenuti  presso  di  lui  detti  zecchini; 

et  nella  buona  gratia  di  V.  S.  humilmente  mi  raccomando». 

Di  Cracovia,  alli  24  di  luglio  1574. 

Di  Vostra  Serenità, 

Humilissimo  Servitore 
Vincenzo  di  Alessandri. 


Cosi  l'Alessandri,  non  ammesso  all'udienza  del  re  Thamasp, 
convenne  ritirarsi,  e  tornato  a  Venezia  dopo  un  altro  fati- 
cosissimo   viaggio   (1)   lesse   nel    consiglio    dei   X   e   zonta 


(1)  Documento  XXV. 


38 

gli  II  di  ottobre  1572  la  relazione  di  questa  sua  ambasceria, 
nella  quale  sono  affermate  alcune  cose  per  verità  tanto 
straordinarie  che  fanno  credere,  come  pur  dubitava  il  Fo- 
scarini,  che  l'esito  poco  felice  della  sua  legazione  in  Persia 
lo  abbia  reso  proclive  ad  esagerare  le  non  buone  qualità  di 
quel  re  e  di  quel  governo.  La  relazione  dell'Alessandri  (1) 
contiene  notizie  sui  paesi  che  componevano  la  Persia,  sul 
loro  grado  di  civiltà  e  prosperità,  sulla  persona  del  re  e 
qualità  dello  animo  suo  e  dei  suoi  figliuoli,  sulla  corte,  i 
ministri,  il  modo  di  trattare  gli  affari  e  di  amministrare  la 
giustizia ,  insomma  su  tutto  ciò  ch'egli  riputò  degno  d'es- 
sere rappresentato. 

La  repubblica  di  Venezia  pertanto,  abbandonata  dai  prin- 
cipi della  lega  dopo  la  gloriosa  battaglia  di  Lepanto,  e  non 
assistita  dalla  Persia,  stipulava  nel  1572  la  pace  col  Turco, 
perdendo  un'altra  occasione  di  abbattere  la  costui  potenza, 
mediante  il  vagheggiato  accordo  colla  Persia;  il  quale  fa- 
talmente non  potò  mai  verificarsi,  perocché  le  vicende  poli- 
tiche ed  economiche  dell'uno  e  dell'altro  Stato,  non  per- 
misero che  nello  stesso  tempo  ambedue  si  trovassero  pronti 
contro  il  comune  nemico. 

Arrivava  in  fatti  a  Venezia  nell'anno  1580  chogia  Mohammed 
persiano,  uomo  di  80  anni,  latore  di  una  lettera  di  quel  re 
Mohammed  Khodabend,  che  dichiara  vasi  pronto  a  corrispon- 
dere all'invito  fatto  al  suo  predecessore  dall'Alessandri  (2). 
Il  legato  persiano  giustificava  il  reThamasp  di  non  avere  intra- 
presa la  guerra,  perchè  vecchio  ed  infermo;  ed  esponeva  che 
il  nuovo  re  era  in  campo  con  formidabile  esercito  nella  via 
di  Babilonia  contro  i  Turchi,  che  i  sultani  avevano  giurato 
di  non  deporre  le  armi  per  anni  15,  e  che  chiedevasi  alla 
repubblica  soltanto  di  dimostrare  in  qualche  maniera  il  suo 
morale  concorso. 

La  missione  di  Mohammed  fu  secretissima,  per  non  destare 
gelosie  ai  Turchi.  Accolto  in  casa  dell'Alessandri,  ebbe  egli  di 
notte  conferenza  con  due  secretarli  della  cancelleria  ducale, 
che  lo  invitarono  a  dettare  non  solo  quanto  gli  era  stato  com- 


(1)  Documento  XXVI. 

(2)  Documento  XXVII. 


39 
messo  dal  suo  re,  ma  tutte  le  particolari  notizie  delle  cose 
persiane  che  erano  a  sua  cognizione. 

Questa  relazione  fu  presentata  al  Consiglio  dei  X  (1),  ii 
quale  ai  13  di  giugno  deliberava  che  il  doge  ricevesse  se* 
cretamente  l'oratore  persiano,  e  gli  facesse  leggere  la  se- 
guente risposta: 

«  Per  l'affezione  grandissima  che  noi  portiamo  al  sereni s- 
»  simo  re  di  Persia,  havendo  la  Signoria  Nostra  sempre  avuto 
»  buona  amicitia  con  li  serenissimi  suoi  predecessori ,  ha- 
»  verno  veduto  gratamente  voi,  mandato  qui  per  ordine  di 
»  S.  IL,  ed  udite  volentieri  ,le  lettere  che  ci  avete  portate, 
»  et  in  risposta  vi  dicemo:  che  noi  desideriamo  intender 
»  sempre  felici  successi  di  S.  M.  come  di  re  giustissimo  e 
»  valorosissimo,  et  nostro  amico,  onde  avemo  pregato  et 
»  pregamo  di  cuore  il  signor  Dio  che  li  doni  Victoria,  et 
»  speriamo  che  cosi  sarà,  poiché  difende  una  causa  giusta 
»  et  comanda  ad  una  nazione  valorosissima  et  solita  ad  es- 
»  ser  sempre  victoriosa. 

»  Noi  non  vi  diamo  lettere  nostre  per  non  mettere  in  peri- 
»  colo  la  vostra  persona  che  ne  è  carissima,  per  la  prudentia 
»  che  conoscemo  essere  in  voi;  ma  riferirete  a  bocca  a  quei 
»  signori  che  vi  hanno  mandato,  ed  anche  a  Sua  Maestà  que- 
»  sta  nostra  buona  volontà,  nella  quale  continueremo  sempre, 
»  sperando  nel  Signor  Dio,  che  continuando  la  guerra  darà 
»  occasione  non  solamente  a  noi,  ma  anco  a  tutta  la  christia- 
»  nità,  di  mostrare  con  effetti  il  commi  desiderio  ;  et  per  segno 
»  che  vi  abbiamo  veduto  volentieri  vi  sarà  dato  dal  segretario 
)>  nostro  un  presente  che  goderete  per  memoria  nostra  (2)  ». 

Così  fu  licenziato  l'oratore  persiano  col  dono  di  300  zec- 
chini, perocché  non  parve  al  Consiglio  dei  X  di  rompere 
la  pace  testé  firmata  colla  Turchia,  mentre  le  agitazioni  della 
Persia  e  la  instabilità  di  quel  trono  non  potevano  assicu- 
rare un  vigoroso  e  durevole  concorso  da  quella  parte. 

Però  la  politica  dei  Veneziani  non  si  ristette  dal  mirare 
ancora  e  perseverantemente  alla  Persia,  come  a  naturale 
alleata  nel  momento  opportuno  di  tentare  di  nuovo  la  sorte 
delle  armi. 

(1)  Documento  XXVIII. 

(2)  Esp.  Princ.  Registri  anni  l:>80-83.  Ardi,  secreto  del  Collegio. 


40 

Fra  i  codici  del  conte  Manin  in  Venezia  si  conserva  un'ano- 
nima relazione  dell' imporo  dei  Turchi  e  dei  Persiani  del- 
l'anno 1575,  nella  quale  sono  ripetute  le  cause  naturali  e 
permanenti  dell'avversione  fra  quei  due  imperi  (1);  e  fra  i 
codici  del  cavaliere  Cicogna,  il  trattato  della  guerra  di  Per- 
sia del  1578  presentato  al  senato  dal  bailo  in  Costantino- 
poli ser  Nicolò  Barbarigo,  e  la  relazione  delle  turbolenze 
che  agitarono  la  Persia  sotto  Ismaìl,  scritta  a  quanto  pare 
dal  console  veneto  in  Soria,  Teodoro  Balbi,  nel  1582  (2). 

La  guerra  turco-persiana  è  poi  descritta  anche  nella  re- 
lazione del  console  Giovanni  Michele  1587  (3),  che  ne  indica 
le  cause,  cioè:  l'antica  dissensione  di  fede,  e  il  desiderio  am- 
bizioso di  Amurath  d'estendere  i  confini  del  suo  impero  a 
danno  della  Persia,  approfittando  delle  discordie  insorte  in 
quel  regno  dopo  la  morte  di  Thamasp  fra  i  partigiani  di 
Caidar  e  quelli  d*  Ismaìl. 

Continue  e  particolari  informazioni  sulla  guerra  di  Persia 
e  sulle  condizioni  di  quel  regno  pervennero  al  senato  colle 
relazioni  ufficiali  dei  consoli  in  Soria,  Andrea  Navagero  1574, 
e  Pietro  Michele  1584  (4),  e  dei  baili  Giovanni  Soranzo  1576, 
Paolo  Contarmi  1583,  e  Francesco  Morosini  1585  (5).  Quest'ul- 
timo ricordava  quanto  importasse  la  concordia  dei  principi 
cristiani  contro  la  Turchia,  che  dalle  loro  diffidenze  soltanto 
traeva  la  propria  forza  ;  e  come  a  farle  notabile  offesa , 
modo  più  facile  e  più  sicuro  non  v'era  che  d'irrompere  dalla 
parte  della  Russia  e  della  Persia,  mentre  un'armata  navale 
penetrasse  nel  Bosforo  ed  attaccasse  direttamente  i  castelli 
dell'arcipelago  «  con  che  poteasi  sperar  certo  di  scacciare 
lilialmente  i  Turchi  dall'Europa  », 

Ma  il  bailo  Lorenzo  Bernardo,  che  lesse  la  sua  relazione  in 
senato  nel  1592  (6),  opinava  che  la  dissoluzione  dell'impero  ot- 
tomano non  poteasi  sperare  se  non  che  dalla  corruzione  interna 
di  quel  governo  :  perocché  la  Persia,  unico  stato  che  avrebbe 


(1)  Raccolta  Svajer,  n.  878. 

(2)  Cod.  MDCCLXII. 

(3)  Alberi,  Relazioni  venete,  serie  III,  voi.  II. 

(4)  Relazioui  consolari  inedite,  presso  di  me. 

(5)  Alberi,  Serie  III,  voi.  H. 

(6)  Albóri,  ibid. 


41 

potuto  largii  concorrenza  o  raccoglierne  L'eredità,  restava 
abbattuta  dall'ultima  guerra  che  le  tolse  la  Media,  il  Korassan, 
parte  dell'Armenia  e  la  città  di  Tauris.  «  Le  cause  di  tanta 
»  perdita  e  rovina  dell'impero  persiano,  egli  disse,  sono  due: 
»  l'ima  intrinseca,  l' altra  estrinseca.  La  prima  è  stata  la 
»  discordia  insorta  fra  i  fratelli  del  re,  e  fra  il  re  ed  i  sul- 
»  tani  e  principi  di  quel  regno,  per  la  quale  esso  restò  di- 
y>  viso;  la  seconda,  la  guerra  promossa  da  Usbech  re  dei 
»  Tartari  e  signore  di  Samarcanda,  il  quale,  sia  per  secreta 
»  intelligenza  col  Turco,  sia  per  altre  cause,  attaccava  la 
»  Persia  dalla  parte  settentrionale,  e  le  toglieva  il  paese  di 
»  Korassan,  nello  stesso  tempo  che  ferveva  la  lotta  contro 
»  la  Turchia,  la  quale  ebbe  così  agio  di  toglierle  tanto  paese 
»  dalla  parte  di  occidente  e  di  mezzogiorno.  A  queste  cause 
»  particolari  si  aggiungano  le  generali  della  debolezza  della 
»  Persia,  cioè  la  forma  di  quel  governo,  l'organizzazione  di 
»  quella  milizia,  e  la  mancanza  d'artiglieria  ». 

Senonchò  lo  shàh  Abbas  il  grande,  salito  sul  trono,  re- 
staurava l'impero  persiano  con  splendide  vittorie  e  con  saggi 
ordinamenti,  e  stringeva  maggiormente  l'antica  amicizia  e 
la  buona  corrispondenza  colla  repubblica  di  Venezia. 


III. 


Questo  giovane  principe  salito  al  trono  nell'età  di  anni  ÌS, 
per  la  immatura  e  violenta  morte  del  fratello,  ebbe  la  ven- 
tura di  rimetterlo  in  onore,  e  di  ristorare  le  sorti  della  Persia. 
E  conoscendo  quanto  importava  a  quella  regione  la  ottima 
corrispondenza  colia  repubblica  di  Venezia,  pei  rispetti  del 
comune  nemico ,  e  per  quelli  del  traffico  che  minacciava 
dirigersi  tutto  per  la  nuova  via  aperta  alla  navigazione,  egli 
mandò  varii  oratori  a  Venezia  collo  scopo  di  dare,  come  si 
espresse  con  formula  singolare,  una  mossa  o  scoria  alla  ca- 
tena che  teneva  strettamente  congiunto  l'amor  suo  alla  re- 
pubblica, e  lo  interesse  reciproco  dei  due  Stati. 

Di  già  i  consoli  veneti  nella  Siria  ed  i  baili  a  Costanti- 
nopoli avevano  riferite  in  senato  le  gesta  e  le  virtù  di  Ab- 
bas, che  fu  meritamente  onorato  del  nome  di  grande,  ed  in 
particolare  Alessandro  Malipiero  nell'anno   1596  aveva  mi- 


42 

nutamente  informato  intorno  le  riforme  date  da  esso  ai  suoi 
stati ,  le  conquiste  fatte ,  e  le  sue  differenze  col  kan  dei 
Tartari  rispetto  .all'acquisto  del  Korassan,  le  quali  difficol- 
tarono le  sue  marcie  nei  paesi  ottomani  (1). 
Ecco  il  ritratto  di  Abbas,  letto  in  senato  dai  Malipiero  : 
«  Questo  principe  è  di  mediocre  statura,  di  corpo  ben 
»  disposto  e  proporzionato,  di  carnagione  bruna,  di  aspetto 
»  nobile  e  di  occhi  vivi  e  molto  spiritosi.  E  per  natura .  af- 
»  fabile,  molto  umano  e  tratta  con  ogni  sorta  di  persone 
»  domesticamente,  lontano  in  tutto  da  quella  tanta  gran- 
»  dezza  che  sogliono  ostentare  i  Turchi.  E  magnifico  e  molto 
»  liberale,  massime  coi  soldati,  i  quali  da  ogni  parte  con 
»  larghissimi  partiti  va  raccogliendo.  Ma  soprattutto  è  di 
»  mente  giustissima,  di  spirito  molto  capace  ed  intendente, 
»  risoluto  e  presto  in  tutte  le  azioni  sue.  Ha  gran  concetti 
»  nell'animo,  ed  aspira  a  rimettere  il  regno  di  Persia  nel- 
»  l'antica  sua  grandezza  ed  onore:  né  manca  altro  alle 
»  eroiche  sue  condizioni,  che  forze  corrispondenti  alle  qua- 
»  lità  del  suo  generosissimo  animo  ». 

Pietro  Della  Valle  poi,  nel  suo  raro  e  curioso  libro  Sulle 
condUionì  di  Abbas  re  della  Persia,  stampato  in  Venezia  nel  1 628, 
narra  che  la  conquista  del  Laristan ,  che  è  la  chiave  del 
golfo  Persico,  sia  stata  fatta  da  quel  re  per  eccitamento  dei 
Veneziani  che  dimoravano  alla  sua  corte,  e  dei  quali  alta- 
mente i  consigli  apprezzava.  «  Un  mercatante  venetiano, 
»  così  egli  dice,  era  andato  in  Ormus  pei  suoi  traffici,  e  da 
»  Bassorah  avea  ivi  condotta  una  giovane  Christiana  della 
»  quale  erasi  invaghito.  Seppe  egli  che  dai  ministri  eccle- 
»  siastici  portoghesi  voleasi  torgliergli  la  donna  sua;  laonde 
»  pensò  ricondurla  a  Bassorah ,  et  allestite  le  cose  sue, 
»  si  diresse  a  quella  città  attraversando  il  paese  di  Lar. 
»  Quivi  dominava  Ibraim  kan,  il  quale,  avute  nuove  di  quella 
»  giovane,  e  saputo  che  era  bella,  la  volse  per  se,  e  fecela 
»  con  violenza  rapire,  mandando  a  male  tutte  le  robe  del 
»  venetiano.  Questi  punto  atrocemente  nell'amore  e  nell'inte- 
»  resse  ,  pensò  di  ricorrere  al  re  Abbas ,  presso  il  quale 
»  sapeva  trovarsi  un  altro  veneziano,  allora  molto  favorito, 


M)  Relazione  inedita  presentala  in  senato  il  1G  febbraio  i59f>. 


43 

»  siccome  il  primo  europeo  che  era  capitato  a  quella  corte; 
»  e  col  suo  mezzo  fece  istanza  al  re  di  vendicare  gli  op- 
»  pressi:  considerandogli,  come  qualora  i  viaggiatori  patis- 
»  sero  per  quelle  vie  tali  ingiurie,  si  sarebbero  i  mercatanti 
»  stranieri  disanimati  a  far  quei  viaggi  con  detrimento  del 
»  commercio  persiano.  Altamente  Abbas  si  sdegnò,  e  chiesta 
»  inutilmente  ad  Ibraim  la  restituzione  della  donna  e  della 
»  roba  del  veneziano,  ordinò  all'esercito  di  Alla  hurdi  di 
»  penetrare  nel  paese  di  Lar  e  di  non  cessare  la  guerra 
»  fino  a  che  non  lo  avesse  soggiogato  del  tutto.  Così  in 
»  fatti  avvenne,  e  in  poco  tempo,  fatto  anco  prigioniero 
»  Ibraim  ,  potè  il  re  di  Persia  unire  ai  suoi  stati  il  paese 
»  di  Lar  ». 

Nel  giorno  1°  di  giugno  dell'anno  1600  si  presentò  nell'ec- 
cellentissimo collegio  il  dragomanno  Giacomo  Nores  (1)  per 
annunciare  l'arrivo  di  un  oratore  del  re  di  Persia. 

Il  messo  persiano  chiamavasi  Efet  beg,  persona  di  stima 
e  di  molta  grazia  appresso  quel  re.  Fu  egli  introdotto  l'8  di 
giugno  in  collegio,  e  fatto  sedere  vicino  ai  Savii  di  Terra- 
ferma, fece  la  sua  esposizione  con  alquante  parole  in  lin- 
gua persiana,  interpretate  dal  dragomanno  Nores,  in  signifi- 
cazione della  buona  volontà  del  sufi  verso  la  repubblica,  il 
cui  nome  era  non  solo  amato,  ma  riverito  grandemente  nella 
Persia,  ed  in  favore  del  reciproco  commercio  dei  due  Stati. 
Portatosi  quindi  a  baciare  la  mano  al  doge  gli  presentò  la 
lettera  di  Abbas  (2)  che  ricercava  favore  particolare  intorno  alla 
provvisione  di  alcune  merci,  e  si  estendeva  in  ufficii  di  con- 
firmazione  di  quella  buona  amicizia  che  aveva  sempre  sus- 
sistito tra  la  repubblica  di  Venezia  e  la  Persia. 

Ad  attestare  la  quale  portò  inoltre  il  persiano,  a  nome  del 
suo  re,  un  panno  tessuto  d'oro  e  di  velluto  rappresentante 
l'Annunciazione  di  Maria  Vergine,  fatto  fare  apposta,  in  mi- 
sura di  7  a  8  braccia  e  che  fu  riposto  nelle  sale  del  Con- 
siglio dei  Dieci  (3). 

Il  serenissimo   principe  assicurò  1'  oratore    persiano  ,  che 
la  repubblica  teneva  in  gran   conto  la  perfetta  corrispon- 
di Documento  XXIX. 

(2)  Documento  XXX. 

(3)  Libro  cerimoniali.  Arch.  gen. 


44 

denza  col  suo  re,  cui  augurava  ogni  prosperità,  e  ringra- 
ziandolo del  dono  recato,  gli  promise  favorevole  risoluzio- 
ne intorno  a  ciò  che  ricercava  la  lettera  dello  shàh.  Il  se- 
nato in  fatti  aderì  ad  ogni  inchiesta  del  persiano,  ed  ordinò 
che  gli  venissero  dati  pel  suo  re  alcuni  doni  del  valore  di 
ducati  d'oro  duecento,  ed  una  lettera  ducale  la  quale  at- 
testasse allo  shàh  Àbbas  «  che  mai  in  alcun  tempo  egli 
»  potrebbe  desiderare  migliore,  nò  più  ben  disposta  volontà 
»  di  quella  che  in  tutte  le  occorrenze  le  comproverebbe  il 
»  sincerissimo  animo  della  veneta  signorìa  (1)  ». 

Questo  oratore  precedette  di  poco  tempo  una  splendida 
legazione  pervenuta  dalla  Persia  in  Venezia  nell'anno  1603, 
ed  accolta  colle  più  solenni  formalità. 

Annunciata  dal  dragomanno  Nores  fu  la  legazione  persiana 
introdotta  a'  dì  5  marzo  1603  nella  sala  del  collegio  (2). 
La  componevano  Fethy  bei,  persona  di  alta  condizione,  ed 
agente  particolare  del  re  (3),  il  dragomanno,  sei  persiani  e 
tre  armeni  del  seguito,  ciascuno  dei  quali  portava  doni  per  la 
serenissima  signorìa. 

Posti  i  Persiani  a  sedere  a  destra  ed  a  sinistra  del  prin- 
cipe, rimase  in  piedi  dinanzi  al  tribunale  il  solo  Fethy  bei, 
che  nella  sua  lingua  interpretata  dal  dragomanno  disse; 
«  Che  si  rallegrava  di  veder  la  faccia  di  Sua  Serenità,  come 
»  quella  di  signore  giusto,  potente  e  glorioso  ». 

Ed  avendogli  il  doge  risposto  «  che  sentiva  di  ciò  pia- 
»  cere,  e  che  lo  vedeva  di  lieto  animo,  perchè  inviato  da  un 
»  principe,  grande,  potente  e  molto  amato  dalla  repubblica». 
Il  persiano  così  continuò  (4):  «  Sogliono  alle  volte  li  prin- 
»  cipi  grandi  visitarsi  l'un  l'altro  col  mezzo  di  lettere,  per 
»  continuare  ed  accreditare  di  questa  maniera  l'amicizia  e 
»  buona  corrispondenza  che  hanno  insieme  ;  laonde  il  mio 
j>  signore  che  onora  ed  ama  grandemente  la  repubblica,  mi 


(1)  Documento  XXXI. 

(2)  Cerimoniali  cit. 

(3)  Il  traffico  in  Persia  non  pregiudicava  alla  nobiltà  o  alla  condizione 
elevata  delle  persone.  Lo  stesso  re  aveva  agenti  che  mercatavano  nei 
paesi  lontani  per  suo  conto,  ancorché  investiti  di  distinto  carattere  pub- 
blico. Mss.  Dona. 

(4)  Esp.  Collegio. 


4o 

»  ha  accompagnalo  con  una  lettera  a  Vostra  Serenità,  per 
»  continuare  ed  accrescere  l'amicizia  e  la  buona  corrispon- 
»  denza  che  hanno  insieme  »  ;  e  poiché  eragli  stato  ordi- 
nato di  presentarla  nelle  proprie  mani  del  doge  ,  la  trasse 
dal  seno,  ove  la  teneva  riposta  entro  una  borsa  di  seta  rossa 
ricamata  in  argento,  la  baciò  ed  offerse  al  doge  (1):  aggiun- 
gendo, che  in  essa  il  re  raccomandava  inoltre  la  persona  sua 
e  la  spedizione  dei  suoi  affari,  che  consistevano  nell'acquisto 
di  archibugi  e  di  zacchi. 

Il  serenissimo  principe  Marino  Grimani,  presa  la  lettera 
rispose:  «  che  la  dimostrazione  cosi  continuata  di  amore  e 
di  ottima  volontà  del  re  di  Persia  verso  la  repubblica  era 
largamente  corrisposta  da  una  vera  e  sincera  affezione,  e 
che  a  suo  tempo  si  darebbe  al  suo  ben  accetto  oratore  la 
risposta,  assicurandolo  intanto  che  la  persona  sua,  come  rac- 
comandata da  S.  M.  sarebbe  stata  benissimo  trattata  ed  in- 
teramente soddisfatta  ». 

Allora  il  persiano,  offerendo  una  piccola  nota  scritta  nella 
sua  lingua  (2),  soggiunse  che  il  suo  re  presentava  alla  re- 
pubblica i  doni  ivi  indicati,  e  che  erano  portati  dai  nove 
uomini  del  suo  seguito,  e  pregò  il  doge  di  farseli  recare 
davanti. 

Così  fa  fatto.  E  per  primo  fu  spiegato  un  manto  tessuto 
d'oro.  «  Questo,  disse  il  persiano,  il  mio  re  ha  fatto  fab- 
»  bricare  apposta  per  la  Serenità  Vostra,  ed  ò  tutto  di  un 
»  pezzo  senza  cucitura,  e  lo  manda  a  Lei  in  particolare, 
»  acciocché  si  contenti  per  amor  suo  ed  in  memoria  di  S.  M. 
»  portarlo  Ella  stessa  in  dosso.  Ne  ha  fatto  fare  un  altro 
»  simile  a  questo,  e  lo  ha  mandato  a  presentare  al  re  di  Mogol 
»  suo  grande  amico  ». 

Fu  poi  spiegato  un  tappeto  di  seta,  tessuto  in  oro,  ed 
a  colori,  lungo  quattro  braccia,  e  largo  tre;  «  Questo,  disse 
»  il  persiano,  è  dei  più  belli  tappeti  che  si  facciano.  Il  mio 
»  re  avendo  inteso  che  ogni  anno  si  mette  fuori  il  tesoro 
»  di  S.  Marco,  tanto  famoso  per  tutto  il  mondo,  lo  manda 
»  alla  Serenità  Vostra,  perchè  si  contenti  ordinare  che  ogni 


(1)  Documento  XXXII. 

(2)  Documento  XXX11I 


46 

»  volta  che  si  esporrà  il  tesoro  sia  esso  esposto  sopra  que- 
»  sto  tappeto  (1)  per  la  sua  gran  bellezza. 

Quindi,  mostrato  un  panno  di  velluto,  colle  figure  di  Cristo 
e  di  Maria  tessute  in  oro,  lungo  7  braccia:  «  E  questo,  disse 
»  il  persiano,  il  re  manda  perchè  sia  presentato  alla  chiesa 
»  di  S.  Marco  ». 

Furono  inoltre  spiegate  sei  vesti  in  pezza,  cioè  tre  di  seta 
tessute  in  oro,  e  tre  altre  di  seta  leggiera  a  varii  colori. 

Il  serenissimo  principe  rispose:  che  aggradivasi  il  nobi- 
lissimo presente  ben  degno  di  re  così  grande,  e  tanto  amato 
ed  onorato  dalla  repubblica,  e  che  sarebbe  riposto  in  luogo 
degno,  a  perpetua  memoria  della  Maestà  Sua  (2). 

E  nel  giorno  seguente  ordinavasi  che  tutti  i  doni  re- 
cati dal  legato  persiano  t'ossero  consegnati  alla  chiesa  di 
S.  Marco,  commettendo  a  quei  procuratori  di  far  convertire 
le  vesti  in  tante  pianete,  e  di  esporre  il  tappeto  nei  giorni 
solenni  sullo  sgabello  del  doge  (3).  Ordini  che  furono  pun- 
tualmente eseguiti  (4).  Comandava  inoltre  il  senato  ai  G  di 
marzo  (5)  ed  ai  14  di  agosto  ,  che  si  spendessero  duecento 
ducati  in  rinfrescamenti  di  Fethy  bei ,  e  lo  si  regalasse  di 
alcune  vesti  di  seta  pel  valore  di  altri  ducati  duecento;  che 
a  ciascun  uomo  del  suo  seguito  si  donasse  una  veste  di 
panno  scarlatto  (6),  e  finalmente  che  si  spendessero  ducati 
mille  trecento  sessanta  nei  doni  pel  re  della  Persia,  i  quali 
furono:  un  bacile  con  ramino  d'argento  dorato  a  figure, 
ed  uno  simile  di  argento  puro,  un  catino  d'argento  con  oro 
e  brocca  simile,  due  fiaschi  d'argento  intagliati  col  vetro, 
un'armatura  completa,  due  zacchi  forniti  l'uno  verde  in  oro, 
l'altro  rosso,  e  quattro  archibugi  lavorati  in  radice  con  perle 
e  oro  (7).   Inoltre  il   legato  persiano  fu   favorito    nei   suoi 


(1)  Conforme  all'usanza  persiana. 

(2)  Iscrizioni  venete  del  Cicogna,  voi.  V,  pag.  645. 

(3)  Commemorale  XXVI. 

(4)  Ricevuta  9  marzo  1603  dalla  fabbriceria  di  S.  Marco,  in  atli  Guglielmo 
di  Mapheis,  notaio  dei  procuratori  de  supra.  Il  tappeto  tuttora  si  con- 
serva nella  sacristia  di  S.  Marco,  ma  in  cattivo  stato. 

fo)  Documento  XXXIV. 

(6)  Commemoriale  XXVI,  pag.  159. 

(7)  Deliberazione  del  Senato,  22  settembre  1603. 


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47 

acquisti  (l),  e  gli  fu  consegnata  una  lettera  ducale  pel  suo 
re,  colla  quale  ringraziandolo  della  missione  dell'ambascia- 
tore, lo  si  assicurava,  dell'ottima  disposizione  della  repub- 
blica verso  la  Persia,  e  del  desiderio  vivissimo  di  manifestarla 
al  mondo,  mediante  veri  effetti,  e  di  aumentarla  a  beneficio 
del  comune  commercio  (2). 

E  per  tramandare  la  memoria  di  cosi  splendida  amba- 
sceria ,  il  senato  commetteva  a  Gabriele  Caliari  di  dipin- 
gere la  presentazione  degli  oratori  persiani,  in  una  tela  die 
ancora  si  ammira  nella  sala  delle  quattro  porte  del  palazzo 
ducale,  ed  è  una  delle  migliori  sue  opere  (3). 

L'arrivo  di  Fethy  bei  a  Venezia,  oltrecchè  giovò  a  man- 
tenere quella  corrispondenza  tra  la  Persia  e  la  repubblica 
che  tanto  conveniva  agli  interessi  politici  e  commerciali  dei 
Veneziani  ;  destando  gelosie  al  gransignore,  lo  rese  così  dis- 
posto alla  pace,  che  rinnovò  ed  ampliò  gli  antichi  trattati 
colla  repubblica  (4). 

L'oratore  persiano,  nel  suo  ritorno  alla  patria,  trovò  accesa 
la  guerra  fra  il  suo  re  e  gl'Ottomani,  sicché  arrivato  nella  Siria 
gli  furono  sequestrati  tutti  gli  oggetti  che  portava  seco , 
parte  dei  quali  poterono  essere  posti  in  salvo  dal  console 
di  Venezia,  e  parte  in  questa  stessa  città  furono  rimandati. 

Laonde  poco  tempo  dopo  lo  shàh  Abbas ,  cui  era  impe- 
dito dall'esercito  ottomano  di  spedire  una  formale  legazione 
a  Venezia,  incaricava  l'armeno  Ghieos  di  presentare  una  sua 
lettera  al  doge  per  annunciargli  non  solo  la  guerra  che  al- 
lora fervea,  ed  esprimergli  il  suo  desiderio  di  unirsi  ai  prin- 
cipi cristiani  ed  in  particolare  alia  repubblica;  ma  eziandio 
per  chiedergli  notizie  deli'  ambasciatore  Fethy  bei  (5).  E 
quando  poi  egli  seppe  che  le  merci  ed  i  doni  della  veneta 
signorìa  erano  presso  il  console  della  Soria,  od  a  Venezia, 
qui  spedì  un  altro  suo  messo,  il  chogia  Seffer,  che  arrivava 
nel  gennaio  1610. 


(1)  Deliberazione  del  Senato,  22  agosto  1603,  particolarmente  sull'uscita 
dei  114  zacchi  che  egli  avea  comperati. 

(2)  Documento  XXXV. 

(3)  Vedi  la  Tavola  qui  riportata. 

(i)  Trattalo  7  marzo  160o,  presentato  dall'ambasciatore  Mocenigo. 
(5)  Documento  XXXVI. 


48 

Il  console  nella  Soria  Giovanni  Francesco  Sagredo,  rac- 
comandava questo  oratore  persiano  al  veneto  senato,  in  con- 
templazione della  potenza  acquistata  dallo  shàh  Abbas  ,  la 
cui  alleanza  potea  altamente  giovare  alla  repubblica,  e  per 
corrispondere  all'ottima  inclinazione  che  quel  re  sempre 
avea  addimostrata  al  nome  ed  agli  interessi  veneziani,  per 
modo  che  alla  sua  corte  qualunque  ancorché  di  bassa  con- 
dizione fosse  o  si  facesse  credere  veneziano,  era  accolto  e 
trattato  con  tale  famigliarità  e  cortesia  da  non  potersi  de- 
siderare di  più  (1). 

A'  30  di  gennaio  1610  il  chogia  Seffer  con  quattro  persone 
di  seguito,  vestite  tutte  alla  persiana,  si  presentò  nel  colle- 
gio, introdotto  dal  dragomanno  Giacomo  Nores  ;  espose  lo 
scopo  della  sua  venuta,  il  quale  era  di  attestare  alla  veneta 
signorìa  il  desiderio  vivissimo  del  re  di  Persia  di  perseve- 
rare nell'ottima  corrispondenza  ed  unione,  che  ab  antiquo 
sussisteva  fra  i  due  Stati  e  di  accrescerla  maggiormente  (2); 
e  presentando  una  lettera  involta  in  due  borse,  una  di  raso, 
e  l'altra  di  velluto,  chiuse  entro  una  scatola  coperta  di  ric- 
chissimo drappo,  soggiunse  :  «  che  con  quella  il  re  pregava 
»  eziandio  il  serenissimo  principe  ad  ordinare,  che,  al  suo 
»  messo  fossero  consegnate  le  robe  di  Fethy  bei,  che  erano 
»  ritornate  a  Venezia  (3)  ». 

Letta  dal  dragomanno  la  lettera,  il  doge  espresse  i  rin- 
graziamenti della  repubblica  all'onorevole  ufficio  dello  shàh 
di  Persia,  e  promise  di  corrispondere  al  desiderio  di  lui. 

Quindi  il  senato  deliberava  che  fossero  a  chogia  Seffer  con- 
segnati i  chiesti  oggetti  (4)  con  un  dono  in  danaro  di  ducati  200, 
ed  in  rinfrescamenti  di  ducati  100,  e  con  una  lettera  du- 
cale al  re  della  Persia  per  risposta  a  quella  recata  dal  suo 
oratore  (5). 

Gonchiusa  poi  la  pace  fra  la  Persia  e  la  Turchia,  perven- 
nero a  Venezia  nell'anno  1613,  accompagnati  da  una  lettera 


(1)  Documento  XXXVII. 

(2)  Documento  XXXVIII. 

(3)  Vedi  il  fac-simile  qui  posto ,  ed  il  documento  XXXIX,  che  ne  è  la 
traduzione. 

(4)  Documento  XL. 
('))  Documento  XLl. 


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49 

di  raccomandazione  dello  stesso  Nasuf  bashàh(l),  primo  visir 
a  Costantinopoli,  cine  inviati  persiani ,  Àlredin  e  Sassuar,  per 
annunciare  il  felice  evento  della  pace,  ed  attestare  che  il  re 
della  Persia:  «  nel  suo  puro  et  real  animo,  che  a  guisa  del 
»  sole  non  riceve  in  se  né  macchia,  né  menda  di  cattivi 
»  pensieri,  desiderava  di  continuare  nella  solita  amicizia  ed 
»  unione  colla  signorìa  di  Venezia,  avendo  inteso  con  grande 
»  soddisfazione  dell'animo  suo  la  stima  ed  il  conto  che  ne- 
»  gli  stati  della  repubblica  si  faceva  del  nome  persiano,  e 
»  bramava  che  si  ristorasse  la  pratica  ed  il  commercio  che 
»  sussisteva  prima  della  guerra,  assicurando  che  i  veneti 
»  mercanti  sarebbero  accolti  con  ogni  favore  nella  Persia, 
»  né  mai  molestati  da  alcuno  o  danneggiati,  per  quanto 
»  importa  un  minimo  capello  della  testa  (2)  ». 

Questi  oratori  persiani  furono  onorevolmente  accolti  e  fa- 
voriti. Recarono  essi  a  Venezia  50  colli  di  seta  e  molti  dia- 
manti, ed  esportarono  merci  preziose  di  vario  genere  che  lo 
shàh  aveva  loro  commesso  di  comperare,  con  un  memo- 
riale del  quale  sarà  fatto  cenno  nella  Parte  seconda,  siccome 
saggio  della  qualità  delle  merci  che  in  quel  tempo  la  Persia 
ricercava  a  Venezia. 

Sassuar  ritornò  poi  di  nuovo  a  Venezia,  quale  oratore 
persiano,  nel  1621,  per  migliorare  i  rapporti  internazionali 
dei  due  stati.  E  presentatosi  in  senato  al  1°  febbraio  1621 
insieme  ad  agì  Aivas  di  Tauris  (3),  offrì  una  lettera  dello  shàh 
Abbas  (4)  con  un  dono  di  4  tappeti,  25  pezze  di  giurini,  e 
25  di  lizari  d'India.  Benedetto  Tagliapietra  consigliere  an- 
ziano ricevette,  in  assenza  del  doge,  l'oratore  persiano  ,  e 
ringraziatolo  della  lettera  e  del  dono,  lo  assicurò  che  la  sua 
raccomandazione  sarebbe  stata  tenuta  in  gran  conto ,  molto 
importando  alla  repubblica  l'amicizia  del  suo  re,  ed  il  facile 
commercio  colla  Persia. 

I  preziosi  drappi  recati  da   Sassuar  furono  quindi  conse- 


(1)  Filza,  Atti  Turcheschi,  Misceli.  A. 

(2)  Documento  XLII. 

(3)  Documento  XLIII. 
(4;  Documento  XLIV. 

4        Bollettino  Consolare,  Voi.  II 


50 

guati  ai  procuratori  de  supra  per  essere  usati  nelle  pub- 
bliche cerimonie  della  chiesa  di  S.  Marco  (1). 

Allorquando  poi  la  repubblica  veneta  fu  minacciata  del- 
l' impresa  di  Candia ,  per  la  cui  difesa  sacrificò  e  sangue 
e  ricchezze,  invano  chiedendo  agli  Stati  europei  aiuto  pos- 
sente per  sostenere  in  quell'isola  l'antemurale  della  civiltà, 
non  mancò  di  dirigersi  eziandio  alla  Persia,  colla  speranza 
di  trovare  almeno  da  quella  parte  una  importante  diver- 
sione ,  che  le  lasciasse  agio  a  difendere  i  proprii  possedi- 
menti. 

Nell'anno  1645,  il  senato  mandò  all'ambasciatore  veneto 
in  Polonia  Giovanni  Tiepolo  (2)  una  lettera  pel  re  di  Persia, 
incaricandolo  di  spedirla  in  quel  regno  con  apposito  legato, 
e  di  pregare  il  re  di  Polonia  di  unire  anch'egli  un  suo  ora- 
tore per  lo  interesse  comune  della  cristianità,  minacciata  dalla 
prepotenza  ottomana.  E  commetteva  inoltre  a  Domenico  Santi, 
che  era  diretto  in  Persia  dal  papa ,  dall'imperatore  ,  dal  re 
di  Polonia  e  dal  gran  duca  di  Toscana  (3),  di  prendere  la 
via  della  Siria  e  di  recare  una  consimile  lettera  al  re  per- 
siano ,  per  eccitarlo  a  muovere  dalla  sua  parte  contro  la 
Turchia. 

Le  due  lettere  ducali  allo  shàh  della  Persia  portavano  le 
date  2  dicembre  1645  (4)  e  17  luglio  1646  (5). 

Ricordavano  esse,  come  l'Ottomano  avesse  più  volte  portate 
le  armi  contro  i  di  lui  predecessori,  per  rendere  più  vasta  e 
formidabile  la  sua  potenza.  Che  politica  tradizionale  della 
Persia  era  di  mirare  all'  indebolimento  di  lui,  e  che  ora  le 
si  offeriva  la  opportunità,  dacché  stavano  le  armi  ottomane 
impegnate  in  una  impresa  che  non  avrebbe  mancato  di  spin- 
gere tutti  i  principi  di  Europa  a  frenare  le  usurpazioni  della 
Turchia  ;  e  che  già  la  campagna  era  incominciata  coi  più 
lieti  auspich,  avendo  la  veneta  armata  assalita  e  danneg- 
giata la  ottomana  nello  stretto. 


(1)  Documento  XLV.  1  quattro    tappeti  si  conservano   tuttora  ,  ma   in 
cattivo  stato,  nella  chiesa  di  S.  Marco. 

(2)  Delti».  Senato,  2  deoembre  1645. 

(3)  Documento  XLVI. 

(4)  Documento  XLVH. 
5)  Documento  XLVII1 


51 
ìl  re  di  Polonia  aderì  alle  istanze  dell'ambasciatore  vene- 
ziano, ed  incaricò  il  nobile  polacco  Slich  di  recarsi  in  suo 
nome  nella  Persia,  insieme  al  veneto  legato  padre  Antonio 
di  Fiandra  domenicano,  cui  il  Tiepolo  avea  consegnata  la 
lettera  ducale  per  lo  shàh  e  le  credenziali. 

L'  ambasciata  veneto-polacca  partì  il  2  ottobre  1646  da 
Varsavia,  accompagnata  da  25  gentiluomini  polacchi,  e  per 
Mosca  e  Nishni-Novogorod  giunse  a  Casari  il  12  febbraio 
16 47,  ove  si  riposò  per  tre  mesi.  Partita  poi  da  Gasan  a'  3  di 
maggio  per  il  Volga ,  dopo  un  mese  di  procellosa  naviga- 
zione sul  Caspio  ,  approdò  alle  spiaggie  persiane  e  si  di- 
resse ad  Ispahan,  ove  giunse  soltanto  al  15  di  settembre, 
pei  disagi  sofferti  nel  viaggio  dall'ambasciatore  polacco.  Il 
quale  appena  arrivato  in  Ispahan  ammalò  gravemente  per 
modo,  che  non  potendo  eseguire  le  commissioni  del  suo  re, 
mandò  a  chiamare  uno  dei  principali  della  corte  persiana,  e 
presentandogli  il  veneto  legato,  consegnò  al  padre  Antonio 
le  lettere  e  le  credenziali  sue  proprie,  dichiarando  che  quegli 
soddisferebbe  alla  ambasciata  in  nome  del  re  di  Polonia  e 
della  repubblica  veneta.  E  pochi  giorni  dopo  egli  spirò,  e  fu 
sepolto  con  molto  onore  nella  chiesa  dei  Carmelitani  Scalzi. 
Introdotto  il  padre  Antonio  all'udienza  del  re  il  27  di  otto- 
bre, offerse  le  lettere  del  re  di  Polonia  e  della  repubblica , 
ed  ebbe  per  risposta  che  sarebbesi  con  lieto  animo  ricam- 
biata la  loro  amicizia.  Invitato  poi  a  stendere  in  lingua  per- 
siana i  punti  principali  della  sua  domanda,  egli  li  presentò  ;  ma 
ottenne  soltanto  una  vaga  assicurazione  che  il  re  avrebbe  assai 
volonlieri  cercato  occasione  di  corrispondere  efficacemente  ai 
desiderii  dei  principi  cristiani,  ed  una  lettera  in  questo  senso 
al  doge  di  Venezia,  affettuosissima,  ma  senza  impegni  (1). 
La  Persia  in  fatti  non  era  in  grado  di  corrispondere:  pe- 
rocché aveva  in  quel  tempo  mandato  un  esercito  nel  regno 
di  Conducar,  cogliendo  occasione  e  dalle  discordie  che  dopo 
la  morte  del  Gran  Mogol  erano  insorte  fra  i  di  lui  figli ,  e 
dalla  guerra  tra  la  Porta  e  Venezia,  per  ricuperare  quel  regno 
al  kan  dei  Tartari  Olbek ,  che  dal  Gran  Mogol  ne  era  stato 
spogliato. 
Ritornato  a  Venezia,  il  padre  Antonio  si  presentò  in  se- 
di Documento  XL1X 


52 

nato  a'  28  di  marzo  1049,  e  lesse  una  interessantissima  e  fi- 
nora inedita  relazione  della  sua  ambasciata,  distinta  in  tre 
parti,  cioè: 

1°  Il  suo  viaggio  in  Persia,  la  miglior  via  per  andarvi, 
e  le  accoglienze  e  gli  onori  ricevuti  quale  ambasciatore  cri- 
stiano; 

2°  Quello  che  ha  trattato  col  re  di  Persia; 

3°  Quello  che  si  poteva  sperare  dallo  shàh  in  aiuto  della 
repubblica;  conchiudendo  che  terminata  la  guerra  nel  Con- 
ducar,  potevasi  ritenere  che  il  giovine  e  valoroso  re  persiano 
avrebbe  rivolto  le  sue  armi  contro  i  Turchi  (1). 

Il  padre  Antonio  presentava  inoltre  una  scrittura  in  data 
di  Shangai  24  aprile  1648  dell'altro  legato  in  Persia  Do- 
menico Santi  (2). 

La  relazione  del  Santi  che  pure  trovasi  inedita  è  stillata 
in  lingua  italiana  frammista  di  alcuni  termini  castigliani, 
locchè  farebbe  credere  che ,  quantunque  egli  si  annun- 
ciasse suddito  della  repubblica  ,  fosse  o  nativo  di  Spagna 
o  avesse  ivi  gran  tempo  dimorato.  Narra  il  Santi  l'esito 
della  sua  missione  nella  Persia ,  conforme  a  quello  del 
padre  Antonio  di  Fiandra,  e  si  estende  nei  più  minuti  parti- 
colari intorno  al  disastroso  suo  viaggio,  alle  grandi  spese 
che  dovette  sostenere,  ed  alla  quantità  dei  doni  che  fu  ob- 
bligato di  presentare  al  re  ed  ai  ministri  per  ottenere  be- 
nevolo ascolto. 

Senonchè  peggiorando  le  condizioni  dei  Veneti  nell'  isola 
di  Gandia ,  la  repubblica  che  aveva,  si  può  dire ,  quasi  in- 
vano chiesti  sussidii  ai  principi  della  cristianità  ,  tentò  di 
nuovo  dopo  il  1660  di  ricorrere  alla  Persia,  dapprima  con 
lettere  dirette  a  quel  re  (3) ,  quindi  accogliendo  la  offerta 
segreta  dell'  arcivescovo  armeno  Aranchies  che  proponeva 
di  trattare  la  lega  coi  Persiani  (4),  e  finalmente  inviando  alla 
corte  dello  shàh  l'arcivescovo  di  Nashirvan.  Ma  pur  troppo , 
mentre  duravano  queste  pratiche  ,  il  regno  di  Gandia  andò 
perduto. 


(1)  Documento  L. 

(2)  Documento  LI. 

(3)  Documento  LI!. 

(4)  Documenti  LUI  e  LIV 


53 

La  repubblica  di  Venezia  dovea  anche  in  questa  terza  in- 
vasione ottomana  resistere  sola,  e  sacrificare  generosamente 
il  sangue  dei  suoi  figli  ed  i  propri  tesori  per  difendere  l'an- 
temurale della  civiltà.  Dopo  una  gloriosa  lotta  di  25  anni, 
che  rese  immortale  la  fama  dei  valore  e  della  costanza  dei 
Veneziani,  il  regno  di  Gandia  fu  occupato  dalle  truppe  ot- 
tomane, la  croce  lasciò  il  posto  alla  mezza  luna. 

Conchiusa  appena  la  pace  colla  Turchia,  arrivò  in  Venezia 
una  importante  missione  dalla  Persia.  La  componevano  due 
padri  domenicani:  Maria  di  S.  Giovanni  ed  Antonio  di  S.  Na- 
zaro,  incaricati  dall'arcivescovo  di  Nashirvan  di  presentare 
al  senato  la  relazione  dei  suoi  negoziati  colla  Persia,  e  la 
risposta  dello  shàh  agli  inviti  della  repubblica  (1).  Gli  atti 
di  questa  missione,  l'ultima  che  dalla  Persia  venisse  a  Ve- 
nezia ,  chiaramente  dimostrano  le  relazioni  internazionali 
dei  due  stati,  così  rispetto  alle  comuni  aspirazioni,  come 
agli  interessi  del  traffico  ed  alla  tutela  dei  cristiani  nell'Asia. 

Il  20  luglio  1673  i  padri  domenicani  presentarono  nel 
collegio  la  lettera  dell'arcivescovo  di  Nashirvan  (2)  e  quella 
del  re  di  Persia ,  esprimendo  in  idioma  turco  lo  incarico 
avuto  dallo  shàh  di  augurare  al  serenissimo  principe  le  mag- 
giori prosperità,  e  di  attestare  la  di  lui  stima  ed  osservanza 
alla  repubblica  (3). 

La  lettera  dell'  arcivescovo  esponeva  :  come  dopo  di  aver 
corsi  molti  pericoli  particolarmente  in  Erzerum  dove  fu  ac- 
cusato per  spia,  egli  giunse  in  Tspahan,  presentò  le  lettere 
ducali  allo  shàh  che  le  accolse  affettuosamente,  ed  a  cui  narrò 
colla  maggior  efficaccia  possibile  le  condizioni  della  guerra 
di  Gandia.  lire  della  Persia  ascoltò  attentamente  ogni  cosa,  di 
tutto  chiese  le  più  minute  notizie  e  promise  di  dare  pronta 
soddisfazione  alle  proposte  della  repubblica.  Ma  la  nuova 
sopraggiunta  della  resa  di  Candia ,  dal  re  con  sorpresa  e 
dolore  sentita,  mandò  a  vuoto  le  incamminate  trattative;  ed  il 
desiderio  dello  shàh  di  soddisfare  alle  richieste  del  veneto 
senato,  dovette  limitarsi  a  franchigie  e  protezioni  accordate 


(1)  Documento  LV. 

(2)  Documento  LVI 

(3)  Esp   Princ. 


Si 

ai  cristiani  nella  Persia,  le  quali  sono  attestate  nella  stessa 
lettera  del  monarca  persiano  (I),  né  poteansi  sperare  mag- 
giori: perocché  egli  avea  dato  ordine,  che  per  riguardo  alla 
veneta  signorìa  venissero  i  cristiani  rispettati  ed  onorati,  e 
godessero  privilegi  ed  immunità  in  tutte  le  città  e  terre  della 
Persia  ;  ed  anzi  in  qualsiasi  luogo,  dove  si  trovassero  ahi- 
tazioni  dei  cristiani,  le  immunità  loro  accordate  dovessero 
estendersi  a  tutti  gli  altri  abitanti  di  qualsivoglia  condizione 
o  setta  si  fossero.  Assicurava  inoltre  il  re  della  Persia ,  di 
essere  disposto  ad  accogliere  con  prontezza  e  di  dare  imme- 
diata esecuzione  a  ciò  che  alla  veneta  signoria  sembrasse 
opportuno  di  proporgli ,  rispetto  alle  novità  che  potessero 
insorgere  nei  suoi  rapporti  coll'iinpero  ottomano. 

Il  dragomanno  Fortis  presentava  quindi  al  senato  una  re- 
lazione di  un  colloquio  secreto  tenuto  per  ordine  dei  sa  vii 
coi  padri  domenicani,  i  quali  dissero  che  da  lungo  tempo  il  re 
persiano  nutriva  sentimento  di  vendetta  contro  gli  Ottomani; 
e  che  se  i  capitoli  della  tregua  di  Babilonia  e  la  guerra  nel 
Gonducar  l'avevano  finora  obbligato  a  simulare  l'odio  im- 
placabile contro  i  Turchi,  il  giovane  e  valoroso  monarca  de- 
siderava prossima  occasione  di  battersi  contro  di  loro,  d'ac- 
cordo colla  signoria  di  Venezia ,  il  granduca  di  Moscovia 
ed  il  re  di  Polonia,  persuaso  che  tali  alleanze  avrebbero  ba- 
stato per  finirla  una  volta  coll'impero  turchesco  (2).  Il  Fortis 
aggiungeva  nella  sua  relazione  particolari  notizie  intorno 
alla  condizione  dell'esercito  persiano,  ed  alcuni  suggerimenti 
opportuni  a  mantenere  per  diversi  scali  il  commercio  colla 
Persia,  durante  la  guerra,  insieme  ad  una  descrizione  delle 
vie  che  da  Venezia  con  ducevano  in  Ispahan. 

La  repubblica  fu  assai  lieta  di  questa  legazione,  ringraziò 
il  re  della  Persia  per  la  protezione  ed  i  beneficii  che  accor- 
dava ai  cristiani  nei  suoi  regni,  promise  reciprocanza  (3), 
regalò  splendidamente  i  padri  dominicani ,  il  contegno,  le 
pratiche  e  le  proposizioni  dell'arcivescovo  di  Nashirvan  alta- 
mente commendò  (4). 

(1)  Documento  LVI1. 

(2)  Documento  LVIII. 

(3)  Documento  LIX. 

(4)  Delib.  Senato,  22  e  28  luglio  1673. 


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58 

Onesta  in  l'ultima  occasione,  che  per  circostanze  fatali  la 
repubblica  di  Venezia  ha  perduta  ;  avvegnaché  rinnovatasi 
la  lotta  colla  Turchia  nel  1695,  essa  invano  tentò  di  asso- 
ciare ai  suoi  minacciati  destini  la  Persia  (1),  ed  allorquando 
nel  1714  il  divano  non  potendosi  adattare  alla  perdita  della 
Marea,  le  intimava  di  nuovo  la  guerra  siccome  violatrice  de- 
gli accordi  di  Carlovitz,  essa  non  più  ricorse  alla  Persia  che 
stava  impegnata  in  lotte  civili,  e  soscrisse  la  pace  di  Passa- 
rovitz,  che  pose  fine  alle  sue  speranze  in  oriente. 

Però  anche  durante  il  secolo  decimo  ottavo  le  relazioni 
internazionali  veneto-persiane  si  mantennero  nello  stesso  co- 
stante carattere  di  ottima  amicizia  e  corrispondenza. 

Quando  la  repubblica  si  avvide  di  non  poter  più  recare 
ad  effetto  l'idea  di  dividere  l'impero  ottomano  col  concorso 
della  Persia,  non  cessò  di  coltivare  i  buoni  rapporti  con  quel 
governo,  nella  mira  di  proteggere  gli  interessi  della  cristia- 
nità in  Asia. 

I  pochi  documenti  che  si  hanno  attestano  come  nei  1669  (2), 
in  seguito  a  spedizione  nella  Persia  di  Antonio  Doni,  quello 
shàh  dimostrasse  alla  repubblica  la  più  favorevole  dispo- 
sizione ad  incontrare  i  suoi  desiderii;  e  come  efficacemente 
proteggesse  ora  il  vicario  generale  padre  Fassi  raccomanda- 
togli dai  Veneziani  per  istanza  del  granduca  di  Toscana  (3), 
ora  il  padre  Arachidi  che  pei  cattolici  volle  edificare  una 
chiesa  in  Erivan  (4). 

Morto  Suleiman  nel  1692  e  succedutogli  Husein,  la  re- 
pubblica mandò  al  nuovo  re,  colle  lettere  di  congratulazione, 
le  più  vive  raccomandazioni  in  favore  dei  cristiani  che  abi- 
tavano nella  Persia;  le  quali  furono  riscontrate  con  termini 
di  adesione  e  di  ringraziamento,  e  con  espressioni  di  au- 
gurio pel  mantenimento  della  stretta  colleganza  fra  i  due 
Stati. 

Questa  lettera,  di  cui  diamo  nei  documenti  la  traduzione  (5), 
e  qui  il  fac-simile,  porta  in  luogo  della  sottoscrizione,  non 
conosciuta    dai   maomettani,  il  grande    sigillo    reale    detto 

(1)  Documento  LX. 

(2)  Documento  LXI. 

(3)  Documento  LXII. 

(4)  Documenti  LXII1  e  LXIV, 

(5)  Documento  LXV. 


oG 

Ihmajoii,  nulla  forma  elegante  che  usavasi  pei  trattati,  let- 
tere patenti  o  missive  all'estero,  e  il  cui  disegno,  quale  la 
fotografìa  potò  riprodurlo ,  ponemmo  in  fronte  al  presente 
volume  (l).  Esso  contiene  nel  centro  fra  un  bellissimo  in- 
treccio di  fiori  e  di  foglie  la  cifra  reale  Sultan  Husein  ben 
Suleiman  1106,  cioè  il  sultano  Husein  figlio  di  Solimano, 
anno  1694.  All'intorno  nelle  dodici  nicchie  dovrehbonsi  leg- 
gere i  nomi  dei  dodici  Imam,  e  al  disopra  la  solita  formula 
od  invocazione  religiosa  dei  Persiani. 

Nell'anno  1697  a' 13  di  marzo  si  presentò  in  collegio  il 
padre  Pietro  Paolo  Palma  arcivescovo  d'Andra  con  breve  di 
Innocenzo  XII  al  re  di  Persia  (2)  pregando  la  repubblica  di 
mediazione  in  favore  del  vescovo  d'Ispahan  e  di  quei  missio- 
narii  che  erano  stati  esiliati  dal  suo  regno.  Ed  il  senato  nella 
prossima  tornata  del  15  marzo  deliberava  di  rivolgersi  allo 
shàh,  al  patriarca  armeno  ed  al  gran  Mogol  (3). 

Finalmente  essendo  accaduta  nel  1718  la  spogliazione  della 
chiesa   dei   Cappuccini  a  Tiflis ,  il  veneto   senato   scriveva 


(i)  Vedi  la  tavola  al  frontispizio. 

(2)  Per  curiosità  ecco  un  saggio  dei  titoli  usati  dal  re  di  Persia  verso 
il  Pontefice  nel  1658  : 

«  Luna  del  cielo,  del  .dominio  della  gloria,  della  equità,  della  potenza, 
«  della  magnificenza,  della  perfezione  e  della  liberalità  papa  Clemente, 
«  sostenimento  convenevolissimo,  trono  della  fortezza  d'animo  e  della  for- 
«  tuna ,  di  sublime  maestà  come  Alessandro,  magnanimo  come  Dario, 
«  splendido  come  Gemsid,  d'intelletto  perspicace  come  Feriddum,  di 
<«  ingegno  sublime  come  il  re  Chiaus,  signore  della  giustizia  come  Nis- 
«  servan,  di  prudenza  singolare  e  di  costumi  rarissimi,  intelligente 
«  come  Aristotile  ,  di  mente  pura  come  Platone  ,  firmamento  degli 
«  astri,  via  e  corso  dei  medesimi,  diadema  del  sole,  luna  corrente,  lucido 
«  orione,  Giove  felice,  stabile  Saturno,  cjmpendio  d'ogni  ornamento  , 
«  di  animo  esemplare,  di  modestia  segnalatissima,  portatore  dello  sten- 
«  dardo  dei  beneficii  liberali,  possessore  di  autorità  reale  e  di  tutte  le 
<(  perfezioni,  onorato  e  riverito  dai  principi  cristiani,  rifugio  di  coloro 
«  che  credono  in  Gesù,magnificentissimo  come  Osdroe,  corona  della  maestà 
«  re  augustissimo  e  potentissimo,  di  sublime  grandezza  d'animo,  tesoro 
(i  delle  glorie  immense,  splendore  del  sole  fiammeggiante  ed  aurora  del 
«  mondo,  che  i  fini  de'  tuoi  desiderii  siano  conformi  al  tuo  volere  e  siano 
«  sotto  la  protezione  di  chi  li  concede  ».  Archivio  Cicogna, 

(3)  Documento  LXVI. 


THfc  LIRBARY 
OF  THE 

uaiVEBSirr  uf  iluhois 


57 
il  23  di  dicembre  (I)  al  re  della  Persia  pregandolo  «  di  por- 
»  gere  sollievo  agli  oppressi,  di  far  cessare  gli  insulti  e  le 
»  animosità,  di  restituire  la  religione  cattolica  alla  pristina 
»  quiete  ». 

Le  relazioni  internazionali  della  repubblica  di  Venezia 
colla  Persia,  furono  pertanto  in  tutti  i  secoli  improntate  della 
più  schietta  amicizia,  e  mantenute  costanti  da  eguali  ten- 
denze politiche  e  da  sentimenti  di  civiltà  e  di  religione. 

Oltre  a  ciò  un  altro  importante  rispetto  ,  pur  degno  di 
somma  considerazione,  stringeva  Venezia  alla  Persia:  quello 
del  commercio  ,  del  quale  trattasi  nella  seguente  Parte  se- 
conda. 


(i)  Documento  LXVII. 


59 
PARTE  Ifl. 


Delle  relazioni  commerciali 

tra 

la  Repubblica  di  Venezia  e  la  Persia. 

I. 
Dei  conimereio  dei  Veneziani  colla  Pesista* 

Oli  aromi  delle  Indie  orientali,  le  spezie,  le  merci,  le  sete, 
i  prodotti  e  le  manifatture  dell'Asia  furono  fino  dai  più  antichi 
tempi  primario  scopo  del  commercio  europeo,  e  le  nazioni 
che  poterono  averle  di  prima  mano  arricchirono  assai  e  si 
resero  tributarie  le  altre.  Nei  più  remoti  secoli,  ora  i  Fenici 
ricevendole  dal  golfo  Persico  e  dal  mar  Rosso,  le  portavano 
per  Tiro ,  Sidone  ed  Alessandria  nel  Mediterraneo ,  ora  gli 
Assiri  ed  i  Caldei  per  la  via  dell'Indo,  dell'Oxo  (Amou-daria) 
e  del  Caspio,  quindi  del  Ciro  e  del  Fasi,  o  del  Volga  e  del 
Tanai  (Don)  le  spingevano  nel  mar  Nero. 

In  mezzo  alle  irruzioni  dei  barbari,  perdutosi  l'uso  delle 
merci  di  levante,  1'  Europa  sofferendone  la  mancanza  abbi- 
sognò di  abili  navigatori  che  ne  la  provvedessero.  Si  pre- 
sentarono gli  Italiani,  e  dalle  sponde  del  mar  Nero  o  dalle 
coste  orientali  del  Mediterraneo  le  navi  di  Amalfi ,  di  Sici- 
lia, di  Pisa,  di  Genova  e  particolarmente  di  Venezia  reca- 
rono a  tutta  l'Europa  i  preziosi  prodotti  dell'Asia. 

Che  il  primato  del  commercio  asiatico,  benché  contrastato 
dai  Genovesi,  fosse  fino  dagli  esordii  della  repubblica  nelle 
mani  dei  Veneziani ,  che  Venezia  fosse  ,  come  la  disse  il 
Giogalli,  la  dogana  principale  delle  ricchezze  dell'Asia,  lo 
prova  la  famosa  lettera  di  Cassiodoro  dell'anno  528,  dalla 
quale  consta  che  essa  provvedesse  i  re  Goti  di  quanto  ab- 
bisognavano. Assicurano  le  cronache  che  nei  secoli  vii  e  vili 
le.  navi  della  repubblica  recavano  in  Europa  i  prodotti  e  le 


V 


60 

manifatture  dell'Asia;  la  cronaca  Dandolo  che  nell'anno  814 
i  Veneziani  commerciassero  in  Siria;  la  Cavense  che  nel  987 
caricassero  nel  porto  dì  Salerno  per  le  coste  asiatiche,  e  fi- 
nalmente dall'anno  971  incomincia  la  importantissima  serie 
dei  decreti ,  patti  e  privilegi  dei  Veneziani  relativi  al  com- 
mercio d'Oriente  che  ne  comprovano  la  ricchezza  e  la  pre- 
minenza (1). 

1  prodotti  dell'Asia  mettevano  capo  dapprima  ai  porti  della 
Siria  e  dell'Egitto;  quindi  nel  mar  Nero  alla  Tana  sullo 
shocco  del  Tanai,  a  Trebisonda,  e  ad  Ajazzo,  angolo  il  più 
orientale  fra  la  Gilicia  e  la  Siria,  secondo  le  vicissitudini  che 
sconvolsero  le  regioni  d'oriente. 

Giosafat  Barbaro  e  Ambrogio  Contarmi  narrano  nei  loro 
viaggi,  che  fino  dai  più  remoti  tempi  le  merci  dell'Indie 
e  quelle  dell'  interno  dell'Asia  navigavano  pel  fiume  Indo 
fino  all'  antica  Battriana,  donde  trasportate  per  terra  con 
cammelli  in  sette  giorni,  nell'Icaro  che  shocca  nell'Oxo,  si 
versavano  nel  mar  Caspio,  attraversando  i  ricchissimi  mercati 
di  Samarcanda  e  Buccara.  Quindi  dall'emporio  di  Astrakan 
rimontando  il  Volga  fino  all'incurvatura  del  Don  scendeano 
poi  per  la  palude  Meotide  nei  porti  del  mar  Nero,  impie- 
gando, siccome  narra  il  Contarini,  otto  giornate  da  Astrakan 
alla  Tana. 

Affermano  quegli  scrittori  che  la  Tana  fosse  il  più  antico 
emporeo  delle  merci  asiatiche,  ma  il  Foscarini  (2)  dimostrava 
che  i  porti  della  Siria  e  dell'Egitto  mantennero  il  traffico 
delle  Indie  qualche  secolo  prima  di  quelli  del  mar  Nero,  dove 
le  strepitose  vittorie  di  Gengiskan  e  la  distruzione  dell'im- 
pero crociato  condussero  il  commercio  dell'Asia;  e  Marco 
Polo  assicura  che  ai  suoi  tempi  pervenivano  principalmente 
ad  Ajazzo  le  merci  dell'oriente,  e  vi  si  cambiavano  con  quelle 
dell'occidente  recate  delle  navi  veneziane  e  genovesi,  e  de- 
stinate al  gran  mercato  di  Tauris. 

Le  merci  dell'Asia  orientale  venivano  portate  a  Campion 
{Cantcheu),  quindi  a  Balxian  (Badkhchan),  e  attraversando  il 
deserto  pervenivano  nella  Persia  a  Gasbin  Sultania  e  Tauris. 

(1)  la  gran  parte  pubblicati  di  recente  a  Vienna  nelle  Fontes  rerum 
austriacarum. 

(2)  Letteratura  veneziana. 


61 

Quelle  dell'Asia  meridionale  erano  portale  pel  golfo  Persico 
a  Bassorah,  dove  concorrevano  anche  le  mercanzie  dell'A- 
rabia e  delle  coste  di  Etiopia,  ed  operavasi  il  cambio  con 
quelle  della  Gina  e  dell'Asia  settentrionale ,  quindi  segui- 
tando il  corso  dell'  Eufrate  pervenivano  ai  fiorenti  mercati 
di  Damasco  e  di  Aleppo;  oppure  lungo  il  Tigri  attraversa- 
vano la  Persia  e  giungevano  esse  pure  al  grande  emporeo 
di  Tauri s  (1).  Da  questa  piazza  due  grandi  vie  commerciali 
si  partivano  l'ima  per  Erzerum  diretta  ad  Ajazzo,  scalo  prin- 
cipale nel  Mediterraneo  ,  l'altra  pure  per  Erzerum  a  Trebi- 
sonda  nel  mar  Nero. 

Il  commercio  di  Tauris  che  concentrava  quello  della  Persia 
e  dove  concorrevano  principalmente  le  produzioni  asiatiche 
fu  assai  vagheggiato  dai  Veneziani  (2).  Tauris,  l'antica  reggia 
dei  Medi,  fu  per  lungo  tempo  residenza  dei  sovrani  di  Per- 
sia; collocata  in  sito  salubre,  comodo  e  facile  al  traffico,  ed 
in  relazione  cogli  emporei  di  Samarcanda,  Bukara,  Bolkar 
ed  Otrar,  e  con  quelli  di  Bassorah  e  di  Ormus,  non  poteva } 
essere  in  posizione  più  favorevole  al  commercio.  Le  vie  del-  j 
l'Armenia,   di  Trebisonda  e  della  Siria  la  ponevano  in  co-' 
municazione  col  mar  Nero  e  col  Mediterraneo  ,   e   da  esse 
riceveva  in  cambio  le  merci  d'Europa.   Marino   Sanudo   af- 
fermava che  le  vie  dell'Armenia  e  della  Persia  erano  prefe- 
ribili a  quelle  dell'Egitto,  e  proponeva  nel  secolo  xiv  di  far 
passare  attraverso  quelle  regioni  una  gran  strada  commer- 
ciale per  l'India. 

Trascurar  non  potevano  i  Veneziani  emporeo  così  pre- 
zioso, e  per  favorire  il  commercio  con  quella  piazza  si  hanno 
precise  notizie  fin  dal  secolo  ix  di  trattati  conchiusi  dal  doge 
Pietro  Orseolo  coi  Saraceni,  quindi  co'  re  cristiani  di  Geru- 
salemme, i  soldani  d'Antiochia,  di  Tripoli,  di  Beruti,  i  re 
d'Armenia,  gl'imperatori  di  Nicea  e  di  Trebisonda,  i  sol- 
dani d'Aleppo,  di  Babilonia,  di  Rumili  e  gli  imperatori  dei 
Tartari  (3).  Flotte  veneziane  in  isquadre  chiamate  mude,  e 
comandate  dapprima  da  un  nobile  eletto  dal  maggior  con- 


(1)  A  partibus  Tartarorum  scilicet  a  Baldach  et  Thorisio  conducta  sunt 
uiorcimonia.  Marino  Sanuto,  Secreta  fidelium  crucis. 

(2)  Decreto  del  Senato  16  giugno  1332. 

(3)  Volumi  Pacta.  Ardi.  yen.  e  Fontes  c\ì 


62 

figlio,  quindi  dal  sonato,  con  ispecial  commissione  ve- 
leggiavano per  assicurare  la  libertà  del  commercio  intorno 
alla  Tauride  e  lungo  le  coste  di  Trebisonda,  di  Bitinia,  di 
Patagonia,  di  Gilicia  e  della  Soria.  Stabilimenti  e  Consolati 
Veneziani  nel  mar  Nero  si  ricordano  fin  dal  secolo  xiu;  viag- 
giatori veneziani  nelle  regioni  interne  dell'Asia,  i  Polo,  fin 
dal  1250;  ambasciatori  in  Tauris,  Marco  Gornaro,  nel  1319  (1), 
in  Armenia  Giorgio  Dolfm  (2),  a  Trebisonda  Nicolò  Quirini 
nel  1349  (3). 

I  mercanti  persiani  e  gli  armeni  che  facevano  il  com- 
mercio veneto-persiano,  eziandio  durante  le  guerre  colla 
Turchia,  erano  particolarmente  accetti  e  favoriti  dai  Vene- 
ziani. 

Senza  tener  conto  delle  tradizioni  che  si  hanno,  rispetto 
alla  via  di  Venezia  detta  ruga  Giuffa  ed  al  campo  dei  Mori, 
siccome  luoghi  ove  albergavano  Armeni  e  Saraceni,  tradi- 
zioni che  non  reggono  ad  una  critica  severa,  si  sa  che  fino 
dall'anno  1253  esisteva  a  san  Giuliano  in  una  casa  conce- 
duta da  Marco  Ziani,  ricchissimo  negoziante  nipote  del  doge 
Sebastiano,  un  ospizio  la  cui  istituzione  era  di  ricoverare 
qualunque  pellegrino  armeno  per  tre  giorni,  donando  però 
una  sola  cena  (4).  Allorquando  Uzunhasan  si  insignorì 
della  Persia  e  dell'Armenia,  e  conchiuse  alleanza  colla  re- 
pubblica negli  anni  1470-73  (5) ,  crebbero  i  favori  verso 
quelle  nazioni.  Nell'anno  1476  gli  Armeni  eressero  presso 
il  loro  ospizio  a  S.  Giuliano  una  chiesetta  che  fu  nel  1G91 
riedificata  a  spese  di  Grirocco  Mirmano  ivi  sepolto.  E  rifu- 
giatosi da  Costantinopoli  e  da  Modone  in  Venezia  l'abate 
Pietro  Mechitar  ottenne  nel  1718  di  edificare  nell'isola  di 
S.  Lazzaro  un  monastero  ed  un  collegio,  i  quali,  amplian- 
dosi e  fiorendo  sempre  più,  si  resero  benemeriti  per  uomini 
distintissimi  ed  operosi  a  diffondere  la  scienza  nei  loro  cor- 
religionarii  dell'Asia,  e  ad  unire  le  due  letterature  orientale 


(1)  Istrumenlo  di  quitauza,  nell'archivio  gerì. 

(2)  Decreto  del  Senato,  4  febbraio  $329. 

(3)  Gradenigo,  God.  ambasciatori. 

(4)  Minute  dell'opera  inedita  di  G.  Rossi  sul  costume  veneziano,  presso 
il  cav.  Cicogna. 

(3)  V.  Parte  I. 


63 

ed  occidentale.  Gli  Armeni  furono  interessati  a  scortare  e 
favorire  gli  oratori  ai  sovrani  della  Persia  e  i  mercanti  ve- 
neti in  quella  regione.  La  sopraintendenza  e  giudicatura 
della  loro  nazione  era  specialmente  raccomandata  al  magi- 
strato dei  cinque  Savii  della  mercanzia  (1)  ;  appositi  sensali 
con  particolari  discipline  vegliavano  affinchè  non  venissero 
defraudati  in  modo  alcuno  nei  loro  contratti  (2),  e  finalmente 
Armeni  e  Persiani  erano  esenti  del  pagamento  delle  tasse 
di  cottimi  e  di  bailaggi  (3). 

Molte  e  ricche  case  commerciali  armene  erano  stabilite 
a  Venezia,  ma  di  mano  in  mano  che  diminuiva  la  impor- 
tanza del  traffico  colle  regioni  dell'Asia  si  ritirarono,  ed  ab- 
biamo memoria  che  solo  fra  gli  anni  1732  e  1758  lasciarono 
questa  città  ben  dodici  case  armene  (4).  I  minori  nego- 
zianti però  fino  al  cadere  della  repubblica  continuarono  a 
vendere  le  loro  mercanzie,  sotto  certi  ombrelloni  dispiegati 
accanto  ai  tre  stendardi  della  piazza  di  S.  Marco,  e  l'ultimo 
di  quegli  Armeni  fu  Tommaso  Posa  che  continuava  a  ve- 
stir l'abito  orientale. 

Riguardo  ai  Persiani  esistono  vaghe  tradizioni  di  un  an- 
tichissimo fondaco,  situato  a  S.  Giovanni  Grisostomo  sul  rivo 
che  mette  al  canal  grande,  dirimpetto  al  fondaco  dei  Tede- 
schi, ma  anche  queste  tradizioni  non  reggono  ad  una  cri- 
tica severa.  Egli  è  certo  che  nel  secolo  xvn  i  Persiani  al- 
bergavano nel  fondaco  dei  Turchi  a  San  Giovanni  decollato, 
ma  separati  dai  sudditi  del  gran  signore.  Mediante  decreto  10 
giugno  1662  dei  cinque  Savii  alla  mercanzia,  furono  con 
tale  condizione  obbligati  i  Persiani  e  le  Persiane  a  passare 
nel  fondaco  dei  Turchi;  ed  il  successivo  decreto  16  giugno 
dello  stesso  anno  stabiliva  pene  di  bando  e  di  galera  a  quei 
Persiani  che  continuassero  a  soggiornare  in  case  private  e 
non  andassero  colle  loro  mercanzie  nel  fondaco. 

Gli  Armeni  ed  i  Persiani,  come  tutti  gli  orientali,  avevano 
in  Venezia  un  luogo  particolarmente  destinato  alla  loro  tu- 


fi) Decreto  0  maggio  1G76. 

(2)  Decreto  dei  cinque  Savii  26  decembre  1641  e  19  gennaio  1672. 

(3)  Decreti  del  Senato,  7  settembre  1022  e  6  luglio  1640,  riconfermati 
2  gennaio  1648. 

(4)  Libro  Tanse. 


Gì 

mutazione,  e  quando  erano  cristiani  nell'isola  di  S.  Giorgio 
Maggiore,  in  un  recinto  intorno  al  campanile.  Fino  a  questi 
ultimi  tempi  poteasi  vedere  qualche  lapide  con  caratteri  di 
quelle  nazioni,  ma  pur  troppo  molte  ne  andarono  seppellite 
nel  rifare  le  fondamenta  di  quel  campanile. 

La  famiglia  Sceriman  di  Djulfa  d'Ispahan  era  la  più  illustre 
e  ricca  delle  persiane  stabilite  a  Venezia;  e  nel  secolo  xvn 
la  sua  casa  commerciale  era  una  delle  più  considerevoli 
d'Europa.  E  la  famiglia  patrizia  Boldù,  illustre  per  fasti  mi- 
litari e  per  senno  civile,  è  pure  di  origine  persiana  (1). 

Merci  che  da  Venezia  si  importavano  nella  Persia  erano: 
panni  tessuti  d'oro,  d'argento  ed  a  varii  colori,  velluti,  da- 
maschi, stoffe  di  lana  e  di  seta,  fili  d'oro,  d'argento  e  gal- 
loni,  cera  lavorata,  zucchero  raffinato,  mercurio,  vitriolo, 
cinabro,  arsenico,  canfora,  cremor  di  tartaro,  teriaca,  casse 
di  noce ,  cordami ,  carte  da  giuoco  ,  moneta  buona  e  falsa 
(  scadente?),  armi,  acciai,  ferrareccie,  aghi,  carta,  stampati, 
chincaglie,  vetri,  specchi  e  conterie  (2). 

I  Veneziani  pel  continuo  traffico  e  relazione  coli' oriente 
avevano  tolto  il  costume  di  vestire  le  donne  con  panni  tes- 
suti d'oro  e  d'argento,  e  fin  dal  secolo  xin  si  ha  memoria 
di  una  magistratura  detta  dei  panni  d'oro  ,  che  soprainten- 
deva  a  quel  lavoro  rigorosamente  invigilandone  la  manifat- 
tura ed  il  commercio.  Quindi  le  genti  dell'Asia  mandavano 
ad  acquistare  in  Venezia  tali  preziose  drapperìe,  per  la  si- 
curezza che  aveano  di  non  rimanere  ingannati. 

Qui  si  fabbricavano  eziandio  per  il  commercio  asiatico  gli 
ormesini,  specie  di  drappo  di  seta,  così  nominato  da  Ormus, 
d'onde  venne,  e  ci  dà  testimonianza  della  celebrità  di  quelle 
fabbriche  il  nome  della  calle  degli  Ormesini  in  cannareggio. 
Il  commercio  della  carta  e  quello  degli  stampati  tuttora  fio- 
riscono. Quello  poi  delle  conterie  e  degli  specchi  si  mantenne 
prospero  fino  al  cadere  della  repubblica.  L'arte  vetraria,  e  par- 
ticolarmente quella  del  coloramento  alla  pasta  vitrea ,  si  ri- 
tiene da  molti,  che  i  Veneziani  apprendessero  nella  Persia  ; 

(1)  Mirza  Ipahan,  rifugiatosi  nel  Belgio,  prese  il  nome  di  Bois  le  due 
da  cui  derivò  quello  attuale  della  famiglia  Boldù. 

(2)  Relazione  inedita  del  console  in  Siria,  Alessandro  Malipiero,  1596. 
e  relazione  d'Aleppo  del  console  Morana  1793. 


65 

ma  se  anche  ciò  non  fosse,  è  però  vero  ch'essi  estesero  in 
quella  regione  ed  in  tutta  l'Asia  questo  commercio,  per  modo 
da  ingenerarvi  il  costume  di  adoperare  in  luogo  delle  coroncine 
di  cocco  usate  dagli  orientali,  coroncine  di  vetro  colorato  molto 
più  vaghe  ;  e  da  far  entrare  le  margherite  negli  abiti,  negli 
addobbi,  e  perfino  adoperarle  come  segno  di  dignità.  Ed  il 
costume  persiano  che  le  donne  portar  dovessero  in  dote  uno 
specchio  almeno,  di  Venezia,  dava  a  questi  un  grandissimo 
smercio. 

Siccome  saggio  delle  merci  che  ancora  nel  secolo  xvn 
la  Persia  ritraeva  da  Venezia ,  ecco  la  traduzione  fatta  dal 
dragomanno  Nores,  il  18  marzo  1613,  del: 

Memoriale  consegnato  dallo  shàh  di  Persia  Abbas  ai  suoi 
agenti  Alredin  et  Sassuar,  delle  cose  che  sono  obbligati  a  com- 
perare a  Venetia  d'ordine  del  re  (1). 

Zacchi,  che  siano  di  somma  bontà  e  di  maglia  minuta  et 
stretta. 

Rasi  boni  et  belli,  parte  negri  et  parte  a  colori. 

Tabini  boni. 

Ormesini  fatti  in  Venetia. 

Panni  venetiani,  che  siano  boni  e  fini  di  diversi  colori. 

Argenterie  di  diversa  sorte,  così  schiette  come  lavorate  a 
figure. 

Vetri  lavorati,  belli,  ben  fatti  et  indorati  la  maggior  parte. 

Lavori  di  cristallo  di  montagna  senza  alcune  vene. 

Specchi  di  cristallo  grande  ,  che  siano  netti  et  senza  casse. 

Specchi  mezzani  et  piccoli,  a  punta  di  diamante. 

Pietre  d'anelli  d'ogni   sorta,  con  figure  intagliate  sopra. 

Armi  da  guerra  d'ogni  sorta,  che  sieno  a  proposito  nostro. 

Occhiali  di  cristallo  fatti  a  diamante. 

Coltelli  et  forfè  (  forbici  )  di  buona  sorte  et  tempera. 

Cremisi. 

Instrumenti  da  lavorare  e  da  far  zacchi  (giacchi). 

Azzali  che  sieno  buoni  et  fini. 

Pugnali,  colli  sui  ferri  indorati,  senza  fodero. 

Non  porterete  né  archibusi,  né  orologi,  ne  cassette  di  cri- 
stallo, perchè  non  fanno  di  bisogno.  Orecchini  di  cristallo  di 
diverse  sorte  con  figure. 


Lo' 


(i)  Vedi  Parte  I,  pag.  49. 
5       Bollettino  Consolare ,  Voi.  III. 


66 

Portar  delle  cipolle  et  sementi  di  lìori  belli,  con  la  nota 
del  tempo  e  del  modo  come  si  piantano. 

Menar  tessitori  che  sappiano  far  velluti  et  rasi,  se  si  può. 

Instrumenti  ovver  ordigni  da  lustrare  i  panni  di  seta,  con 
la  nota  del  modo  come  si  fa. 

Maschere  di  diverse  sorta  da  trasvestirsi;  et  altre  cose  stra- 
ordinarie che  non  siano  state  qui  portate  o  poste  in  uso  , 
siano  di  che  prezzo  si  voglia. 

Et  così  eseguirete. 
col  sigillo  reale. 

Le  monete  veneziane  erano  accettate  dai  Persiani,  come  dai 
Mongoli,  Tartari,  Arabi  ed  Indiani.  In  Armenia  poi  i  Vene- 
ziani, per  privilegi  ottenuti  fino  dal  secolo  xm,  lavoravano  i 
dii-rhem  ed  altre  saracinesche  monete  di  un  gran  pregio  nella 
Persia.  Essi  associaronsi  inoltre  agli  Armeni  ed  ai  Persiani 
nella  fabbricazione  dei  cammellotti,  e  finalmente  goderono 
franchigia  per  le  mercanzie  che  tratte  da  Tauris  e  dalla  Persia, 
attraversavano  l'Armenia. 

Queste  mercanzie  consistevano  principalmente:  in  panni  di 
seta,  di  lana,  di  pelo  di  cammello  e  di  capra,  rasi  con  ri- 
cami tessuti  d'  oro,  tappeti  di  Persia  e  di  Caramania  ,  ri- 
putati da  M.  Polo  i  migliori  del  mondo,  cammellotti,  mussu- 
line,  particolarmente  da  Mussul  presso  Mardin,  abbondante 
di  cotoni,  cordovani  rossi  e  gialli  ed  altre  pelli  in  genere, 
pesce  secco  e  salato,  beluga  del  Caspio,  argento  ed  oro  in 
polvere  tratti  dai  fiumi  di  Bukaria,  rame  delle  miniere  di 
Tokat,  datteri  di  Bassorah ,  pepe,  tabacco,  indaco,  allume, 
zuccaro,  galla,  zenzero,  zafferano,  rabarbaro,  gomma,  miele, 
sale  di  Bukaria,  sale  ammoniaco,  bitumi,  tra  cui  il  nafta  ed 
il  celebre  mum,  droghe  diverse,  erbe  medicinali,  cera,  perle 
di  Ormuz,  lapislazzuli,  turchesi  ed  altre  pietre  preziose,  la- 
vori ed  intarsiature  alla  agemina,  così  detti  da  agem ,  nome 
col  quale  gli  Arabi  indicano  le  terre  ad  essi  straniere  ed  in 
particolare  la  Persia;  e  finalmente  la  seta  greggia  di  cui  in- 
comparabilmente abbondavano  le  provincie  persiane  situate 
sul  Caspio,  Àstrabad,  Mazanderan,  Schirvan  e  sopra  tutte 
il  Ghilan,  la  cui  seta  in  natura  ed  in  manifatture  era  ed  è 
riputata  la  migliore  di  tutta  la  Persia. 


67 

Il  commercio  delle  sete  persiane  fu  specialmente  regolato 
e  favorito  dal  magistrato  dei  Cinque  savii  alla  mercanzia, 
nei  cui  registri  trovansi  fra  le  altre  le  seguenti  disposizioni: 
Le  sete  persiane  doveano  passare  per  gli  scali  della  So- 
ria  ,  assoggettarsi  alla  visita  del  console  di  Damasco  e  di 
Aleppo,  e  soddisfare  una  tassa  di  favore,  fissata  colla  ta- 
riffa 5  marzo  1537;  quindi  venire  accompagnate  a  Venezia  da 
tratte  particolari  dei  provveditori  al  cottimo  (1).  E  diminuendo 
quel  traffico,  per  la  concorrenza  dei  mercanti  forestieri,  nella 
grave  proporzione  di  1000  a  100,  nel  principio  del  secolo  xvn, 
deliberava  il  senato  ai  2  di  maggio  1614  che  tutte  le  sete 
persiane,  che  per  gli  scali  della  Soria  venissero  condotte  a 
Venezia,  fossero  esenti  per  anni  sei  (  tempo  dappoi  indeter- 
minatamente prorogato)  dal  dazio  del  6  per  °/0,  semprecchè 
li  mercanti  che  le  portavano  per  la  via  di  Aleppo  certifi- 
cassero con  prove  irrefragabili  al  console  di  Soria  la  loro 
provenienza  dalla  Persia. 

11  console  in  Aleppo,  Girolamo  Morosini,  aveva  nell'anno 
precedente  sotto  la  propria  responsabilità  ridotto  quella  tassa 
dal  6  al  2  per  °/0,  onde  favorire  la  venuta  in  Venezia  dei  mercanti 
persiani  tanto  desiderati  dalla  repubblica;  e  nella  relazione  che 
lesse  in  senato  il  9  febbraio  1615  perorò  la  abolizione  in- 
tera della  tassa,  che  fu  stabilita.  E  per  favorirne  la  espor- 
tazione da  Venezia,  e  far  fronte  alla  concorrenza  straniera, 
il  senato  ordinava  ai  10  di  luglio  dello  stesso  anno,  che  per 
due  anni,  i  quali  furono  varie  volte  prorogati,  potessero  le 
sete  persiane  escire  dallo  stato  veneto  per  la  via  di  Pon- 
teba  esenti  da  dazio.  Finalmente  nel  1626  al  14  di  agosto 
deliberavasi  in  Pregadi  che  le  sete  persiane,  che  capitassero 
in  Venezia  con  mercanti  armeni  e  persiani,  fossero  esentate 
.dall'I  per  °/oChe  pagavasi  per  il  cottimo  e  del  2  per  il  bailaggio 
di  Soria,  acciocché  con  questo  ragionevole  vantaggio  si  incam- 
minino a  questa  piazza  (2). 

Anche  lo  shàh  della  Persia,  Abbas  il  Grande,  fermò  par- 
ticolarmente la  sua  attenzione  sul  commercio  serico.  Fra  le 
grandi  innovazioni  da  esso  adottate  per  ristorare  le  sorti 
economiche  del  suo  impero,  volle  che  gli  Armeni  trasmigrati 

(i)  Deliberazione  del  Senato,  29  dicembre  1539. 
(2)  Confermata  il  24  febbraio  1627. 


68 

in  Djulfa  d'Ispahan  ricevessero  dai  proprietari  le  sete,  e  si 
esercitassero  esclusivamente  in  quel  traffico,  nel  quale  di- 
vennero operosissimi. 

Ma  le  condizioni  politiche  ed  economiche  della  repubblica, 
e  le  vicissitudini  del  commercio  e  della  navigazione  delle  po- 
tenze europee,  andarono  togliendo  poco  a  poco  ai  Veneziani 
il  primato  nel  traffico  della  seta  e  di  tutte  le  merci  persiane. 

Dopo  l'invasione  dei  Mongoli,  che,  sorpreso  il  floridissimo 
emporeo  della  Tana  (1414),  vi  trucidarono  i  veneti  mercanti  e 
misero  a  ruba  i  loro  fondachi,  e  dopo  la  conquista  di  Costan- 
tinopoli (1453)  che  chiuse  il  mar  Nero  alla  navigazione  degli 
Europei,  i  Veneziani,  rinnovati  gli  antichi  trattati  coi  soldani 
di  Egitto,  ai  quali  era  soggetta  la  Palestina  e  la  Siria,  ave- 
vano ricondotto  nel  Mediterraneo  il  commercio  della  Persia 
e  delle  Indie,  fino  alla  scoperta  del  giro  del  capo  di  Buona 
Speranza. 

Questa  importante  rivoluzione  commerciale,  avvenuta  dopo 
l'acquisto  della  terraferma  veneziana  ,  e  seguita  dalla  lega 
di  Gambray,  e  dalle  lotte  contro  la  Turchia,  che  scossero 
profondamente  la  potenza  della  Repubblica  in  levante,  diede 
il  principal  crollo  al  commercio  dei  Veneziani  nell'Asia.  Essi 
conobbero  tosto,  che  la  impresa  di  Vasco  di  Gama,  devian- 
dolo a  mezzogiorno,  paralizzava  l'antico  e  ricchissimo  traffico, 
del  quale  erano  in  possesso. 

Le  più  serie  informazioni  intorno  alla  fortuna  dei  Porto- 
ghesi ,  il  re  dei  quali  tosto  assumeva  il  titolo  di  Signore 
della  navigazione  e  commercio  dell'Etiopia,  dell'Arabia,  della 
Persia  e  delle  Indie,  pervennero  al  senato  dai  suoi  oratori 
e  messi  secreti  a  Lisbona,  e  dagli  ambasciatori  presso  la 
corte  di  Spagna;  ma  i  deputati  al  commercio  dissuadendo 
i  Veneziani  dall'abbandonare  una  navigazione  antica,  viva, 
certa ,  per  seguirne  una  nuova ,  incerta ,  lontana  e  contra- 
stata da  molti  (1),  essi  guardarono  invece  all'Egitto,  e,  mentre 
spingevano  i  soldani  a  contrastare  nei  mari  dell'India  i  pro- 
gressi ai  Portoghesi  (2),  rinnovarono  con  loro  gli  antichi  patti 
e  ottennero  le  migliori  franchigie. 

(1)  Scritture  relative  al  commercio  dei  Veneziani,  presso  il  nob.  Alberti. 

(2)  Da  una  memoria  inedita  del  cav.  Giacomazzi  nell'archivio  Cicogna, 
parrebbe  che  i  Veneziani  avessero  prestato  ai  soldani  aiuto  effettivo  collo 


69 

Benedetto  Sanudo ,  ed  il  console  di  Damasco  Bartolomeo  \ 
Contarmi   ottennero   nell'anno    1502  dal  sultano  del  Cairo  I  , 
che  per   le   merci  aquistate  dai  Veneziani  nell'egizia  Sorìa  \  ; 
pagar  si  dovessero  solo  90  ducati  per  ogni  valore  di  mille,  in  I 
luogo  dei  100  che  pagavano  i  mercanti  delle  altre  nazioni,  / 
in  considerazione  che  il  commercio  veneziano  era  da  anticliis-j   ; 
simo   tempo   il   fondamento    di  tutti  gli  altri  (1).  E  venuto  a 
Venezia  nell'anno  1507  Tagri-Berdi,    oratore  del  sultano  di 
Egitto,  si  stabilirono  nuovi   capitoli  per  favorire  quel  com- 
mercio (2),  i  quali  poi  furono  ampiamente  confermati  nel  1508 
da  Domenico Trevisan  ambasciatore  della  repubblica  al  Cairo, 
rispetto  particolarmente  al  traffico  delle  spezie  (3).  Ed  allor- 
quando Selino  nell'anno  1517  sconfìsse  il  soldano  perla  as- 
sistenza data  ad  Ismaìl   sufi    di  Persia,  e  si  rese  padrone 
di  Aleppo,  di  Damasco  e  dell'egizia  Sorìa,  la  repubblica  gli 
mandò  cospicua  legazione  di  Luigi  Mocenigo  e  Bartolomeo 
Contarmi,  i  quali  ottennero   dal   conquistatore   la  rinnova- 
zione dei  privilegi   accordati   dai   sovrani  d'Egitto    ai   mer- 
canti veneziani. 

Senonchè  la  nuova  via  delle  Indie,  e  la  formazione  delle  gran- 
di compagnie  di  navigazione,  congiunte  alle  altre  fatali  e  ben 
note  circostanze  politico-economiche  della  repubblica,  fecero 
irresistibilmente  decadere  il  commercio  dei  Veneziani  colla 
Persia;  la  storia  del  quale  può  ricavarsi  dalle  preziose  re- 
lazioni consolari,  che  si  trovano  tuttora  per  la  maggior  parte 
inedite  negli  archivi  di  Venezia. 


spedire  alcune  navi  in  pezzi  ad  Alessandria,  le  quali  per  terra  traspor- 
tate sulle  coste  del  mar  Rosso  ed  ivi  allestite,  passassero  poi  nei  mari 
dell'India.  Nel  volume  II  dei  preziosi  diarii  del  Sanudo  leggesi  soltanto, 
in  data  24  novembre  1503,  che  el  Soldan  fa  fare  al  Cairo  fusto,  le 
guai  si  mandano  disfatte  in  Tlior,  ove  se  ficheranno  et  manderanno 
in  India  ,  perchè  dicono  in  India  quando  /laveranno  viste  quele 
fuste  queli  de  li  ne  sapranno  fare  anche  loro  a  quel  modo,  et  haverà 
marinai  assai  da  quelle  bande. 

(1)  Diarii  Sanudo,  voi.  II,  p.  744. 

(2)  Diarii  Sanudo,  voi.  Ili,  pag.  149,  1507  31  marzo.  Il  Tagri-Berdi 
andò  a  Firenze  ed  ivi  pure  conchiuse  trattato  di  commercio.  Vedi  la  pre- 
ziosa opera  del  comm.  M.  Amari ,  /  diplomi  arabi  dello  Archivio  fio- 
rentino. 

(3)  Gomra.  XIX. 


70 

Instituita  per  decreto  del  senato  15  febbraio  1507  la  ma- 
gistratura dei  Cinque  savi  alla  mercanzia,  ed  assoggettati 
ad  essai  consolati  e  gli  affari  del  traffico,  «  per  dare  migliore 
regola  e  svolgimento  al  commercio  »  fu  da  quella  proposto 
al  senato  di  trasferire  in  Aleppo  il  consolato  generale  ve- 
neto nell'Asia  (I),  dacché  in  quella  ricca  e  commerciale 
città,  dopo  la  deviazione  dell'Amur,  le  vittorie  di  Tamer- 
lano,  e  la  esclusione  dei  Veneziani  dal  mar  Nero,  conveni- 
vano le  merci  dell'Asia  e  particolarmente  le  persiane  ;  in 
quanto  non  si  volgevano  a  mezzogiorno  attirate  dalla  nuova 
via  insegnata  da  Vasco  di  Gama. 

Molte  carovane  andavano  e  venivano  regolarmente  da 
Aleppo.  Le  tre  principali  erano  quelle  di  Ormuz,  della  Per- 
sia e  della  Mecca  (2).  Le  più  ricche,  assicurava  il  console 
Morana,  portavano  valori   per  circa  8   milioni  di  piastre. 

Quelle  di  Ormuz,  partite  da  Aleppo  e  passato  il  deserto, 
si  recavano  a  Bagdad  e  di  là  a  Bassorah  navigando  sull'Eu- 
frate, e  da  quella  città  pel  golfo  Persico  si  portavano  in 
Ormuz.  Il  giro  del  capo  di  Buona  Speranza  colpì  principal- 
mente queste  carovane. 

Quelle  della  Persia,  partite  da  Aleppo,  e  passato  l'Eufrate 
andavano  in  Orfa,  quindi  a  Carahemit,  Tiflis  e  Tauris.  Da 
Tauris  si  recavano  a  Derdevil,  poi  a  Kasbin,  quindi  in  Ispahan. 
Ma  essendo  obbligate  a  passare  per  molte  città  cadute  in 
potere  della  Turchia,  venivano  da  quei  ministri  così  aggra- 
vate di  gabelle,  e  ritardate  nel  loro  cammino  con  tali  an- 
gherie, che  chi  avea  fatto  quel  viaggio  una  volta,  difficilmente 
era  allettato  tentarlo  una  seconda  (3). 

Le  carovane  finalmente  della  Mecca,  che  avevano  triplice 
scopo,  religioso,  politico  ed  economico,  recavano  i  pellegrini 
alla  città  santa.  Marino  Sanudo  (4)  riporta  una  lettera  da 
Damasco  del  7  aprile  1514,  la  quale  nota  fino  da  quel  tempo 
una  sensibile  diminuzione  nella  quantità  delle  spezierie  por- 
tate dalla  carovana  della  Mecca,  che  nel  giorno  4  di  quel 


(4)  Legge  19  decembre  1548. 
v    (2)  Relazione  inedita  del  console  Dandolo,  1602. 

(3)  Relaz.  Dandolo,  cit. 

(4)  Diadi,  Voi.  XVIII,  pag.  340. 


71 

mese  eia  passata  da  Damasco  con  sole  300  some  di  spezie, 
la  maggior  parte  zenzero,  ed  il  resto  cannella  e  garofani 
molto  cari. 

Le  navi  veneziane,  che  recavano  nei  porti  della  Siria  le  merci 
destinate  all'emporeo  di  Aleppo  e  ne  ritraevano  quelle  ivi  com- 
perate o  permutate  dai  mercanti  nazionali,  sbarcavano  or  in 
Tripoli  di  Soiia  ora  in  Alessandretta.  Da  principio  lo  scalo  pre- 
ferito era  quello  di  Tripoli;  ma  le  straordinarie  concussioni 
commesse  da  que'  ministri  turcheschi ,  i  quali  al  giungere 
delle  navi  veneziane  si  pigliavano  quanto  lor  tornava  di 
talento  senza  pagare,  lasciavano  per  vario  tempo  le  merci 
sballate  esposte  alle  pioggie  ed  ai  ladrocinii,  le  mescolavano 
con  quelle  di  altre  nazioni ,  e  poi  le  partivano  a  loro  ca- 
priccio, secondo  le  mancie  che  ricevevano,  e  senza  riguardo 
alcuno  al  possessore,  all'origine  ed  alla  loro  provenienza  (1), 
persuasero  il  console  Tommaso  Contarmi,  che  al  suo  arrivo 
in  Siria  nel  1590  trovò  quel  cottimo  aggravato  di  80  mille 
ducati ,  a  chiedere  alla  Porta  la  concessione  di  far  scalo 
invece  ad  Alessandretta,  nell'antico  golfo  di  Ajazzo.  Colla 
spesa  di  mille  zecchini  egli  ottenne  in  un  mese  il  firmano  (2). 
Proibì  alle  navi  venete  di  andare  a  Tripoli,  e  favorì  assai  la 
prima  che  sbarcò  in  Alessandretta,  e  fu  la  nave  Grattarola 
che  vi  guadagnò  di  nolo  16  mille  ducati. 

Nella  relazione  che  il  Coularini  lesse  in  senato  si  vantò 
di  avere  con  questo  cambio  migliorato  il  negozio  della  Sorìa 
di  più  di  40,000  ducati  annui  (3).  Ma  la  posizione  di  Ales- 
sandretta ,  spiaggia  paludosa,  con  esalazioni  pestifere  par- 
ticolarmente nell'estate,  circondata  da  monti,  senza  o  con 
pochissime  case,  e  con  incomodissimo  sbarco,  per  cui  i  ma- 
rinai erano  obbligati  a  star  nell'acqua  fino  alla  cintola  per 
scaricare  le  mercanzie,  la  minaccia  che  il  porto  stesso  an- 
dasse otturandosi  col  crescervi  sensibilmente  degli  scanni,  e 
finalmente  le  scorrerìe  dei  soldati  turchi  e  dei  ladri,  persua- 
sero i  consoli  della  Sorìa,  successori  del  Contarmi,  di  tornare 
allo  scalo  di  Tripoli,  dove  i  ministri  turchi  erano  stati  posti 


(1)  Relazione  del  console  Sa#redo,  1612,  inedita. 

(2)  13  febbraio  1592.  Arch.  Manin. 

(3)  Relazione  del  console  Tommaso  Contarmi,  1593,  inedita. 


72 

sotto  la  sorveglianza  di  un  beglierbei  mandato  a  governare 

quella  città  (1). 

Ma  il  ritorno  dello  scalo  principale  a  Tripoli  contribuì 
esso  pure  a  danneggiare  il  commercio  dei  Veneziani,  per  la 
distanza  da  quella  città  ad  Aleppo,  la  difficoltà  di  trovare  i 
cammelli,  e  la  molta  spesa  delle  condotte.  E  più  ancora  pel- 
le assai  gravi  cagioni,  che  si  trovano  così  enumerate  nelle 
preziose  relazioni  consolari  e  nelle  scritture  dei  Cinque  savi 
alla  mercanzia: 

I.  Le  guerre  colla  Turchia,  che  davano  occasione  ed  ac- 
crescevano fidanza  ai  corsari,  interrompevano  ed  infestavano 
il  commercio  marittimo  della  Repubblica. 

IL  La  perdita  di  Cipro,  scalo  principale  per  il  commercio 
dell'Asia ,  quella  di  Gandia  e  della  Morea  ,  e  la  esclusione 
dei  Veneziani  dal  mar  Nero. 

III.  Le  ribellioni  della  Siria,  e  le  guerre  turco-persiane. 

IV.  Gli  enormi  balzelli,  le  concussioni,  le  difficoltà  dei 
trasporti  per  terra  dagli  scali  in  Aleppo  e  nella  Persia,  che 
portavano  una  spesa  maggiore  del  valore  delle  merci  (2). 

V.  Lo  scemato  consumo  delle  pannine,  per  la  moda  in- 
trodotta nel  principio  del  secolo  XVII  dai  Persiani,  e  favorita 
dallo  shàh  Abbas  il  Grande,  di  vestire  di  imbottiti,  per  modo 
che  il  traffico  dei  panni  era  nel  1611  ridotto  ad  un  terzo 
dell'ordinario. 

VI.  L'aggravio  sulle  mercanzie  di  tutte  le  spese  di  cot- 
timo ,  bailaggi  e  consolati ,  le  quali  aumentavano  in  ra- 
gione inversa  della  quantità  delle  merci  che  si  importavano 
in  Asia. 

VII.  La  pessima  amministrazione  dei  fattori  ed  agenti. 

VIII.  La  introduzione  dell'arte  della  seta  in  Aleppo  e 
in  Damasco. 

IX.  La  concorrenza  dei  mercanti  inglesi,  francesi  e  fiam- 
minghi, ammessi  nei  porti  della  Turchia  sul  finire  del  se- 
colo XVI  (3).  Concorrenza  formidabile,  perocché  essi  erano 
favoriti  dai  Turchi  con  esenzioni  di  dazii  ;  portavano  in 
Asia  maggior  quantità  di  denaro,  così  facilitandosi  gli  acquisti 


(1)  Prima  relazione  di  G.  F.  Sagredo,  1611,  inedita. 

(2)  Doc.  LXVIII. 

(3)  Memoria  inedita  dello  storico  Francesco  Dona. 


73 

in  confronto  dei  Veneziani ,  che  per  lo  più  facevano  com- 
mercio a  permuta  ;  e  finalmente  vi  recavano  pannine  più 
vaghe  non  solo  ,  ma  più  leggiere  e  quindi  di  minor  costo. 
X.  I  trattati  e  le  guerre  russo-persiane,  che  deviarono  a 
settentrione  il  commercio  della  Persia. 

A  rianimare  il  commercio  coll'Asia,  il  senato  e  la  magi- 
stratura dei  Cinque  savi  migliorarono  il  sistema  doganale  ; 
favorirono  società  di  commercio  ;  accordarono  esenzioni  e 
soccorsi  di  danaro  ai  fabbricatori  di  navi  ;  tolsero  il  dazio 
sul  pepe  che  ì  navigli  veneziani  levavano  da  Beiruth  ;  sta- 
bilirono tasse  moderatissime  sugli  oggetti  da  permutarsi 
con  merci  asiatiche  ;  ordinarono  che  le  spezie  fossero  tras- 
portate soltanto  colle  navi  da  mercanzia,  vietandone  il  tras- 
porto sopra  legni  stranieri  (1),  così  offerendo  quasi  un 
modello  al  famoso  Act  of  navigation  inglese  del  secolo  XVII; 
diminuirono  le  tasse  di  consolati  e  di  cottimi  ;  regolarono 
l'amministrazione  consolare  nella  Sorìa;  e  per  l'ammaestra- 
mento di  giovani  da  impiegarsi  nelle  ambascerie,  consolati 
o  missioni  in  levante ,  instituirono  un  collegio  di  lingue 
orientali. 

Ed  eguale  desiderio  essi  incontrarono  particolarmente  nel 
sovrano  della  Persia  Abbas  il  Grande,  che  più  volte  mandava 
oratori  a  Venezia  per  dare  una  scossa  alla  catena  che  congiun- 
geva Vamor  suo  alla  repubblica,  e  per  migliorare  il  commercio 
reciproco.  Affidava  quel  re  al  console  veneto  nella  Siria 
G-.  Francesco  Sagredo,  lo  insigne  statista  e  scienziato,  amico 
del  Galileo,  la  protezione  dei  sudditi  persiani  nella  Siria, 
e  quindi  nell'anno  1611  lo  nominava  suo  console  e  procu- 
ratore generale  in  tutti  i  paesi  della  repubblica  (2),  offerendo 
le  maggiori  agevolezze  e  favori  ai  mercanti  veneti  nei  propri 
stati  (3). 

Invitava  egli  poi  alla  sua  corte  nel  1627  Alvise  Sagredo 
per  ragioni  del  traffico  particolarmente  della  seta  (4)  ;  al 
quale  invito  corrispondeva  il  senato,  per  la  costante  sua 
mira  di  ristorare  nel  Mediterraneo  il  commercio  persiano  (5). 

(1)  Decreto  del  senato,  aprile  1537. 

(2)  Documenti  LXIX,  LXX,  LXXI. 

(3)  Documenti  L\XII,  LXX1II. 

(4)  Documento  LXXIV. 

(5)  Documento  LXXV. 


74 

Se  lo  shàh  Abbas  avesse  potuto  trasmettere  ai  suoi  succes- 
sori le  grandi  sue  viste  di  prosperità  nazionale,  certamente 
la  Persia  sarebbe  divenuta  il  centro  delle  comunicazioni  che 
cominciavano  a  stabilirsi  fra  l'Europa  e  le  Indie. 

Lodovico  Gallo,  nel  suo  viaggio  da  Venezia  alle  Indie  (1), 
assicura  che  nella  Persia  bastava  essere  o  spendere  il  nome 
di  veneziano  per  aver  adito  aire,  venire  onorato  e  rispettato 
da  ognuno.  E  Pietro  della  Valle,  nella  sua  vita  di  Abbas  il 
Grande,  ci  narra  come  la  conquista  del  regno  di  Lar,  dive- 
nuto per  le  sue  possessioni  di  Gombrum  l'emporio  del  golfo 
Persico,  e  la  sede  principale  del  commercio  colle  contrade 
lungo  le  coste  del  Malabar,  sia  stata  fatta  dal  re  di  Persia 
per  eccitamento  dei  Veneziani  (2). 

Ma  ogni  provvedimento  fu  inutile  :  il  traffico  della  repub- 
blica andò  irresistibilmente  diminuendo  da  quel  sommo 
grado  ond'era  giunto  nel  secolo  XV. 

Il  Foscarini  scriveva:  non  rimanere  al  suo  tempo,  chela 
sola  tradizione  degli  antichissimi  commerci  dell'Asia;  e  tutte 
le  relazioni  che  si  hanno  comprovano  l'immenso  interesse  dei 
Veneziani  in  quelle  regioni. 

Nell'anno  1405  andarono  da  Venezia  alle  coste  della  Siria 
sei  cocche  cariche  di  merci  del  valore  di  320,000  zecchini  (3). 
Nel  1515  invece  notava  il  Sanudo  (4)  l'arrivo  a  Venezia  delle 
galere  di  Beiruth  a  suon  di  campane,  giusta  il  solito  ,  con 
un  carico  molto  povero,  cioè  di  1,200  colli  in  tutto,  e  pochi 
anni  appresso  solo  con  un  carico  di  800  colli.  E  mentre  prima 
della  scoperta  del  capo  di  Buona  Speranza  ascendevano  a 
40  le  case  commerciali  in  Aleppo  (5),  nell'anno  1596,  quan- 
tunque la  nazione  veneziana  superasse  le  altre  per  numero 
ed  importanza,  solo  16  case  principali  si  trovavano  in  Aleppo, 
trattando  ciascuna  dai  100  ai  200  mille  ducati  d'oro  all'anno. 
Tutto  il  traffico  dei  Veneziani  in  quell'epoca  ascendeva  a 
due  milioni.    Nel  tempo    del  consolato  Malipiero   (1593-96) 


(1)  Pubblicato  nello  Spettatore,  Firenze,  1857. 

(2)  Numisraatic  Chronicle,  februarj  4854,  London. 

(3)  Zennari,  Dell'antico  commercio  dei  Veneziani. 

(4)  Diarii,  voi.  XV  e  seg. 

(6)  Morana,  Relazione  consolare  cit.,  pag.  7. 


75 

furono  importate  nella  Soria  pezze  20,000  di  panni  di  lana 
e  braccia  200,000   di  panni   di    seta  delle   fabbriche   vene 
ziane  (1). 

Nel  primo  anno  del  consolato  Emo,  1597,  la  nazione  vene- 
ziana portò  nella  Siria  per  un  milione  di  merci  ed  uno  di 
contanti;  ma  due  anni  dopo  il  negozio  discese  ad  un  mi- 
lione e  mezzo  soltanto.  La  qual  somma  però  abbracciava  la 
metà  di  tutto  il  traffico  della  Siria,  da  parte  della  cristianità, 
che  ascendeva  a  tre  milioni  (2). 

Nell'anno  1614  i  Veneziani  portarono  in  Aleppo  ottocento 
in  novecento  mille  ducati,  in  pannine  per  150,000  ed  il  resto 
in  altre  mercanzie  da  fondaco.  I  Francesi  vi  spesero  tre 
milioni  di  reali  ;  i  Fiamminghi  un  milione  ;  e  gli  Inglesi 
mezzo  milione  (3). 

Nel  1625  le  case  commerciali  venete  in  Aleppo  si  ridussero 
solo  a  cinque  (4). 

Lamentavano  i  Savi  fino  dal  5  luglio  1616  la  diversione 
del  traffico  ,  e  la  navigazione  del  levante  essere  ridotta  in 
mano  di  pochi  rimasti,  che  potevano  però  ancora  mantenere 
un  discreto  commercio,  al  quale,  dicevano  in  senato  dissua- 
dendo la  guerra  contro  Solimano,  la  repubblica  deve  la  sua 
conservazione. 

Sopraggiunta  la  lunga  e  fatale  guerra  di  Gandia,  questa 
diede  agio  alle  altre  nazioni  di  dilatare  ed  assorbire  quasi 
interamente  il  commercio  persiano,  al  quale  aveano  atteso 
Leone  X,  il  cardinale  Richelieu,  il  duca  Federigo  d'Holstein, 
le  provincie  unite,  e  gli  zar  di  Moscovia.  E  succeduta  la  pace, 
ripigliarono  i  Veneziani  con  difficoltà  il  negozio  di  Aleppo, 
mentre  colà,  dove  nei  tempi  passati  poteansi  dire  cittadini, 
appena  si  riputarono  forestieri  (5). 

Nel  principio  del  secolo  scorso  risorsero  per  poco  tempo 
novelle  speranze.  Fu  ripigliato  il  progetto  di  riaprire  una 
comunicazione  per  la  Persia  coli'India,  ma  la  morte  di  Kuli 
khan  fece  tramontare  la  impresa.  Però  avendo  Pietro  il  Grande, 


(4)  Relazione  del  console  Alessandro  Malipiero,  4596,  inedita. 

(2)  Relazione  del  console  Giorgio  Emo,  4599,  inedita. 

(3)  Relazione  del  console  Girolamo  Morosini,  1644,  inedita. 

(4)  Relazione  del  console  Giuseppe  Civran,  1625,  inedita. 

(5)  Scrittura  dei  cinque  Savi,  48  aprile  4699. 


76 

che  mirava  ad  attirare  nel  suo  impero  il  commercio  asiatico, 
conchiuso  nel  1729  un  prezioso  trattato  colla  Persia ,  e  ri- 
storatosi poi  nel  mar  Nero,  aperto  finalmente  ai  Veneziani, 
il  commercio  del  Caspio,  la  repubblica  tentò,  mediante  l'E- 
rizzo  suo  ambasciatore  in  Vienna,  di  stabilire  d'accordo  col 
principe  Gallitz  in  un  trattato  colla  Russia,  pei  quale  le  merci 
del  Caspio  condotte  alle  rive  del  mar  Nero  fossero  con  fran- 
chigie ivi  levate  dalle  navi  veneziane  (1). 

Ma  fallito  il  tentativo  colla  Russia,  e  disertate  le  nuove 
speranze,  rimasero  insuperabili  le  gravi  cagioni  che  da  tre 
secoli  avevano  tolto  ai  Veneziani  la  superiorità  nel  com- 
mercio persiano,  il  quale  o  si  volse  per  Tiflis  ,  Oremburgo 
e  Nishni-Novogorod  nell'interno  della  Russia,  o  si  introdusse 
alle  Smirne  ed  a  Trebisonda,  dove  la  concorrenza  straniera 
superò  di  gran  lunga  la  residua  attività  commerciale  dei 
Veneziani. 


II. 


Dei  Consolati  veneti 
negli  scali  «lei  commercio  persiano. 

Il  commercio  dei  Veneziani  colla  Persia,  era  specialmente 
favorito  e  protetto  dai  consolati  veneti,  negli  scali  principali 
dell'Asia  anteriore. 

La  istituzione  dei  consolati  veneti  è  antichissima  e  si 
perde  nella  caligine  dei  tempi.  Negli  emporii  più  impor- 
tanti del  commercio,  e  nelle  più  remote  età  davasi  ai  con- 
soli il  nome  di  bailo,  che  significa,  secondo  il  Ducange, 
mercatorum  prsetor.  Il  bailo  o  console  era  capo  della  nazione 
nel  luogo  di  sua  residenza  e  giurisdizione,  ed  oratore  ordi- 
nario al  principe  ;  protettore  dei  sudditi  negozianti  e  viag- 
giatori ;  giudice  delle  civili  vertenze  ;  esattore  dei  pubblici 
diritti.  Dovea  provvedere  al  mantenimento  degli  scali ,  alla 
prosperità  e  regolare  amministrazione  delle  fattorìe  ;  ed  in 
qualche  paese  potea  giudicare  e  punire  i  delitti  capitali  e 
di  stato.  Un  bailo  di  1°  rango  doveva  tenere  un  cappellano 


(1)  Commercio  di  Moscovia.  Codici  Dona. 


77 
e  notaio,  due  camerlenghi,  un  medico,  quattro  servitori,  un 
dragomanno,  due  trombettieri  e  quattro  cavalli.  Veniva  no- 
minato dal  Maggior  Consiglio,  con  quattro  mani  di  elezione, 
doveva  esser  nobile,  e  riceveva  il  titolo  di  Magnifico  Messere. 

Ma  affinchè  l'autorità  del  bailo  o  del  consoie  non  dive- 
nisse arbitraria ,  erano  a  lui  destinati  ordinariamente  due 
nobili  come  consiglieri,  senza  il  voto  dei  quali  non  poteva  de- 
liberare ,  ed  in  alcuni  casi  di  maggior  importanza  egli  era 
obbligato  a  radunare  un  Consiglio  di  dodici  fra  i  più  di- 
stinti sudditi  della  repubblica  nel  luogo  di  sua  residenza. 

I  membri  di  questo  Consiglio  dei  XII,  il  quale  in  seguito 
divenne  permanente,  erano  sottoposti  ad  una  disciplina  as- 
sai rigorosa,  avvegnacchè  un  decreto  del  14  luglio  1492  di- 
chiarasse perfino:  che  se  taluno  di  loro  avesse  palesato  una 
deliberazione  consolare  o  qualunque  altra  cosa  a  danno  della 
repubblica,  fosse  bandito  colla  confisca  di  tutti  i  suoi  beni, 
e  nel  caso  di  suo  ritorno  gli  venisse  eziandio  tagliata  la  lin- 
gua. Il  Consiglio  dei  dodici  eleggeva  i  due  camerlenghi,  che 
dovevano  tenere  uno  la  cassa,  l'altro  i  registri  del  conso- 
lato ,  e  nominava  il  vice-console  nei  luoghi  più  importanti 
del  commercio. 

Circa  alla  metà  del  secolo  XIII  venne  istituita  la  magi- 
stratura dei  Consoli  dei  Mercanti,  composta  di  tre  cittadini 
estratti  dopo  il  1633  dal  corpo  di  uno  dei  Consigli  dei  XL. 
Gli  oggetti  di  mercatura  e  di  commercio  erano  suo  princi- 
pale attributo,  e  da  essa  dipendevano  i  consolati. 

Ma  dopo  la  creazione  del  magistrato  dei  Cinque  savi  alla 
mercanzia  istituito  col  decreto  15  febbraio  1507  ,  i  diritti  e 
le  attribuzioni  dei  Consoli  dei  mercanti  vennero  ristrette  a 
più  angusti  confini.  Questa  nuova  magistratura  era  di  grande 
importanza,  imperciocché  per  oggetti  di  commercio  teneva 
relazione  e  corrispondenza  colle  potenze  straniere  d'Europa, 
dell'Asia  e  dell'Africa,  e  cogli  ambasciatori  e  residenti  ve- 
neti. I  consolati  furono  a  lei  sottoposti.  Da  lei  i  capitani 
ricevevano  le  patenti  di  navigazione  ;  giudicava  per  singo- 
lare privilegio  i  sudditi  della  Porta  ottomana. 

Per  provvedere  agli  interessi  del  commercio  persiano,  che 
in  gran  parte  abbracciava  il  ricchissimo  dell'Asia ,  tennero 
ordinariamente  i  Veneziani  consolati  alla  Tana  ,  a  Trebi- 
sonda,  in  Acri,  Tripoli,  Beiruth,  Damasco  ed  Aleppo. 


78 

Prima  che  il  mar  Nero  fosse  negato  alla  navigazione  dei 
Veneziani  e  che  l'impero  di  Trebisonda  cadesse  nelle  mani 
di  Mohammed  li,  gli  scali  della  Tana  e  di  Trebisonda  erano 
della  massima  importanza:  dacché  a  quello  concorrevano  le 
merci  dell'interno  dell'Asia  pel  Caspio  ,  il  Volga  ed  il  Ta- 
rlai, ed  a  questo  quelle  dell'Armenia,  della  Georgia  e  della 
Persia.  Ma  dopo  che  le  vittorie  di  Tamerlano,  nel  principio 
del  secolo  XV,  deviarono  il  corso  stabilito  alle  merci  delle 
Indie,  le  quali  ripresero  l'antica  strada  del  Mediterraneo,  il 
commercio  dell'Asia  si  ridusse  per  gran  parte  nella  Siria. 

Negli  scali  del  mar  Nero  i  Veneziani  tenevano  un  console 
a  Soldadìa  prima  che  i  Genovesi  erigessero  Caffa  e  vi  po- 
nessero l'emporio  del  loro  traffico  (l),e  si  hanno  notizie  di 
consoli  veneti  alla  Tana  dell'anno  1349  al  1464,  ed  a  Tre- 
bisonda dal  1383  al  1450. 

La  più  antica  memoria  che  si  abbia  di  consoli  veneti  è 
relativa  a  Teofilo  Zeno,  bailo  in  Siria  nel  1217,  ed  a  Mar- 
silio Zorzi,  bailo  pure  in  Siria  nel  1243  (2);  quindi  si  hanno 
notizie  di  baili  in  Acri  dal  1256  al  1277,  e  finalmente  di 
consoli  in  Siria  dal  1384  al  1675  ed  alla  caduta  della  re- 
pubblica (3). 

Salita  la  Persia  ad  un  grado  d'importanza  per  le  vittorie 
di  Uzunhasan,  e  per  quelle  di  Ismail,  che  fondava  la  di- 
nastia dei  sufi,  nella  fine  del  secolo  XV  e  principio  del  se- 
colo XVI,  il  commercio  dei  Veneziani  con  quella  regione  si 
concentrò  nella  Siria ,  dacché  la  conquista  di  Costantino- 
poli e  la  caduta  dei  greci  imperi  di  Nicea  e  di  Trebisonda 
avevano  interdetto  alla  repubblica  il  commercio  del  mar 
Nero. 

Conoscendo  allora  il  senato  di  quanta  importanza  dive- 
niva il  negozio  nella  Siria  ,  creava  nell'anno  1497  il  magi- 
strato denominato  Cottimo  di  Damasco,  affinchè  con  partico- 
lare attenzione  invigilasse  alla   direzione   del    consolato  di 


(1)  Nel  libro  Zanetta  del  M.  C  si  trova  un  decreto  relativo  al  console 
di  Soldadìa  dell'anno  4237,  mentre  l'Olderico  confessa  che  il  primo  con- 
sole genovese  fu  Paolino  Doria  nel  1289. 

(2)  Fontes  Rerum  Austriacarum  cit.,  voi.  XIII. 
v    (3)  Libro  Reggimenti.  Codice  Marciano. 


r79 
Siria  allora  residente  in  Damasco,  e  suggerisse  tutti  i  prov- 
vedimenti opportuni  a  sostenere  quel  commercio  nello  stato 
di  floridezza  ed  a  ristorarlo  (1). 
Molte  furono  le  disposizioni  di  legge  stabilite  ,  le  regole 
prescritte  ai  consoli,  le  cautele  comandate  per  la  esazione 
dei  cottimi  ossiano  tasse  pei  diritti  consolari,  e  per  migliorare 
le  coste,  mantenere  i  fondachi  e  le  fabbriche;  le  quali  dis- 
posizioni andarono  poi  colle  vicende  politiche  e  commerciali 
del  mondo  cangiando   secondo   i  tempi  e  le  circostanze. 

Ma  la  legge  più  importante  e  più  singolare  relativa  ai 
consoli  veneti  è  quella  che  fino  dall'anno  1268  (2)  confer- 
mava la  sapientissima  pratica  dei  ministri  veneziani  all'e- 
stero e  nei  reggimenti,  di  leggere  in  senato,  al  ritorno,  la 
relazione  delle  osservazioni  fatte  durante  il  loro  ufficio  e 
delle  cose  degne  di  essere  riportate. 

Le  relazioni  degli  ambasciatori  veneti  sono  ora  per  la 
maggior  parte  di  pubblica  ragione  (3),  e  rendono  testimo- 
nianza dell'alta  stima  in  cui  furono  sempre  e  meritamente 
tenuti  questi  splendidi  monumenti  della  nostra  politica  na- 
zionale. 

Di  non  minore  importanza,  certamente,  sono  le  relazioni 
dei  consoli,  perocché,  se  per  avventura  non  raggiungono 
quella  delle  relazioni  d'ambasciata,  rispetto  alla  cognizione 
delle  tendenze  politiche  e  del  grado  di  potenza  degli  stati, 
toccano  colle  più  distinte  e  minute  particolarità  gli  interessi 
del    traffico  non  meno  degni  di  considerazione. 

La  più  antica  relazione  consolare  che  si  conosca,  è  ap- 
punto della  Siria ,  e  fu  presentata  nel  collegio  dal  bailo 
Marsilio  Zorzi  nel  mese  di  ottobre  1243.  Essa  è  in  lingua 
latina,  e  narra  la  condizione  dei  possessi  e  dei  privilegi  veneti 
in   Tiro ,  con  molte  curiose  ed  importanti  particolarità.  Fu 


(1)  Scrittura  dei  Cinque  savi  alla  mercanzia  28  aprile  1699  — Archivio 
Manin.  Cod.  Svajer  DCCXLIÌ. 

(2)  V.  Barozzi  e  Berchet ,    Relazioni  degli  ambasciatori  veneti  del  se- 
colo XVII,  Venezia,  185S;  Baschet,  La  Diplomale  venitienne,  Paris,  4862. 

(3)  Particolarmente  nella  collezione  dell'Alberi,  Firenze,  1844-63,  ed  io 
quella  Barozzi  e  Berchet  citate. 


80 

pubblicata  di  recente  nel  voi.  XIII  delle  Fontes  rerum  austria- 

carum. 

Da  quell'epoca  fino  alla  riorganizzazione  del  consolato  di 
Sorìa  (1548)  (1}  non  si  ha  alcuna  notizia  di  relazioni  con- 
solari; ed  anche  posteriormente  pare  che  non  siano  stati 
chiamati  a  leggere  in  senato  se  non  quei  consoli,  i  quali, 
per  l'importanza  delle  cose  che  avevano  a  riferire ,  erano 
per  ciò  specialmente  invitati  dal  magistrato  dei  Cinque  savi 
alla  mercanzia. 

Tre  sole  relazioni  consolari  sembra  che  finora  abbiano 
veduta  la  luce ,  cioè  :  quella  di  Lorenzo  Tiepolo,  ritornato 
dalia  Sorìa  nel  1560,  pubblicata  per  nozze  del  cav.  Cicogna 
nel  1857;  quella  di  Giovanni  Michele  fu  Giuseppe  ritornato 
nel  1587,  pubblicata  nel  Tesoro  politico,  e  dall'Alberi  sotto  il  ti- 
tolo di  «  Relazione  delli  successi  della  guerra  tra  il  turco  e  il 
«  persiano  dal  1577  al  1587  (2)  »  ;  e  quella  di  Giovanni  Antonio 
Morana,  agente  consolare  in  Aleppo  al  cadere  della  Repub- 
blica ,  pubblicata  in  Venezia  dall'Andreola  nel  1799.  Que- 
st'ultima non  fu  presentata  al  senato,  ma  invece  fu  dedicata 
al  nobil  uomo  Giustiniani,  imp.  reg.  consigliere,  deputato  al 
veneto  commercio. 

Oltre  a  queste,  dieci  altre  importantissime  relazioni  si  con- 
servano tuttavia  inedite  negli  archivi  di  Venezia,  cioè: 
w-     Relazione  di  Siria  del  console  Andrea  Navagero,        1575 
»  »        Pietro  Michele,  8  decembre  1584 

»  »        Tommaso  Contarmi,  11  decembre  1594 

»  »        Alessandro  Malipiero,  16  febbraio  1596 

»  »        Giorgio  Emo,  12  decembre  1599 

»  »        Vincenzo  Dandolo,  27  febbraio    1602 

»  »         Gio.  Francesco  Sagredo,  4  luglio  1611 

»  »         Stesso 15  maggio  1612 

»  »         Girolamo  Morosini,  9  febbraio    1614 

»  »        Giuseppe  Civran,  21  agosto  1625 

»  »        Alvise  Pesaro  1628 

Dispacci  del  console  Nicolò  Foscolo  dal  1636  al  1639. 

Le  quali  relazioni  sono  di  tanta  maggiore  importanza,  in 


(1)  Doc.  LXXVI. 

(2)  Alberi,  Relazioni  venete,  serie  III,  voi.  II,  pag.  256. 


81 

quanto  si  riferiscono  all'epoca  delle  guerre  persiane  e  delle 
ribellioni  della  Siria,  ed  avvisano  alle  cause  della  progres- 
siva diminuzione  del  commercio  dei  Veneziani  nell'Asia. 

Ogni  relazione  ordinariamente  è  divisa  in  tre  parti:  nella 
prima  tratta  delle  condizioni  del  commercio,  offerendo  pre- 
ziosi dati  statistici  e  suggerendo  i  rimedi  opportuni  a  ri- 
storarlo; nella  seconda  delle  condizioni  economiche,  politiche 
e  militari  della  Siria,  delle  rendite  e  forze  che  ne  ricava  la 
Porta,  e  delle  costei  relazioni  colla  Persia;  e  nella  terza  fi- 
nalmente dello  stato  del  regno  di  Cipro.  Venivano  lette  in 
senato,  e  depositate  nell'archivio  della  cancelleria  segreta. 

Diminuendo  il  commercio  coll'Asia  ed  aumentando  le  spese 
del  consolato  di  Damasco  ad  una  somma  annua  conside- 
revole a  peso  ed  aggravio  della  mercanzia  ,  il  senato  deli- 
berò TU  febbraio  1545  di  abolire  il  consolato  di  Damasco, 
e  di  trasportare  la  residenza  di  quel  console  in  Tripoli,  la 
quale  nell'anno  1548  fu  poi  ridotta  in  Aleppo,  emporio  prin- 
cipale del  commercio,  colla  facoltà  di  sostituire  vice-consolati 
nelle  spiagge  della  Sorìa. 

Molte  furono  le  deliberazioni  del  senato  e  dei  Cinque  savi 
alla  mercanzia  intorno  al  consolato  della  Sorìa.  Nei  preziosi 
diarii  di  Marin  Sanudo  ,  e  nell'epilogo  dei  Cinque  savi ,  si 
trovano  fra  le  altre  le  seguenti  : 

1424,  4  dicembre.  Non  possano  i  consoli,  né  i  loro  figli 
non  emancipati  esercitare  commercio  nel  luogo  della  loro 
residenza,  e  sieno  al  caso,  multati  di  ducati  1000. 

1503,  22  giugno.  L'autorità  del  console  di  Damasco  sia 
ampliata  in  personal  e  real,  per  la  poca  obbedienza,  che  gli 
vien  prestata. 

1513,  giugno.  Il  salario  del  console  di  Damasco  sia  por- 
tato da  500  ducati  che  aveva,  a  500  ashrafì. 

1524,  19  aprile.  I  consoli  di  Siria  formino  processo  con- 
tro i  Veneti,  che  avessero  corrispondenza  con  forestieri,  per 
mandare  le  loro  mercanzie  sopra  navi  venete. 

1526,  maggio.  Il  console  di  Damasco  sia  eletto  per  anni 
2  per  scrutinio  a  quattro  mani  di  elezione,  e  sia  nobile. 

Item.  Il  console  non  possa  scrivere  nel  suo  libro  alcuna 
partita  in  dare  ai  Mori,  se  prima  non  siano  notati  all'incontro 
i  loro  crediti,  sotto  pena  di  pagar  del  suo. 

1539,  23  maggio.  Tutte  le  sete  e  spezie,  eccettuato  il  pepe, 
6        Bollettino  Consolare,  Voi.  IH. 


1/ 


À 


I. 


8  2 

che  si  traggono  dalla  Sorìa  e  dall'Egitto,  venendo  a  Venezia 
da  diversi  luoghi,  paghino  il  4  per  °/0  da  applicarsi  al  paga- 
mento dei  debiti  del  cottimo  di  Damasco  e  di  Alessandria. 

1543,  9  luglio.  Non  si  possa  ridurre  in  Sofia  il  Consiglio 
dei  XII  in  assistenza  del  console,  nelle  più  gravi  delibera- 
zioni, senza  il  di  lui  intervento. 

1544,  4  luglio.  Si  procuri  di  ottenere  dalla  Porta  che  il 
console  di  Damasco  possa  stare  in  Tripoli  pel  governo  dei 
mercanti. 

1545,  11  febbraio.  Il  console  di  Damasco  trasporti  la  sua 
residenza  in  Tripoli  di  Sofia. 

1546,  17  luglio.  Venendo  a  morte  alcun  suddito  veneto, 
debbano  i  consoli  far  l'inventario  delle  robe  sue. 

1548,  19  decembre,  in  Maggior  Consiglio.  La  elezione  del 
console  in  Siria  sia  fatta  per  anni  3.  Porti  il  titolo  di  con- 
sole della  Sofia.  Sia  scritto  al  bailo  in  Costantinopoli  di 
ottenere  che  il  console  della  Sorìa  possa  risiedere  in  Aleppo, 
dove  sono  le  maggiori  faccende.  Abbia  il  console  di  salario 
600  ducati  da  venete  lire  6,4  l'uno,  oltre  ai  diritti  consolari 
di  Tripoli  di  Sorìa.  Il  vice-console  di  Tripoli  sia  eletto  ogni 
anno  dal  Consiglio  dei  XII,  sia  nobil  uomo,  e  debba  avere 
dal  cottimo  il  salario  di  ashrafì  270  all'anno.  L'esattore  del 
cottimo  e  delle  altre  tasse  alle  marine,  sia  eletto  dal  con- 
sole ,  che  dovrà  pagarlo  del  proprio ,  e  garantire  la  di  lui 
buona  amministrazione. 

1549,  11  gennaio.  Il  console  nominato  debba  immediata- 
mente recarsi  al  suo  posto,  sotto  pena  di  500  ducati. 

1574,  19  ottobre.  La  imposta  del  2  per  °/0  di  cottimo,  che 
si  riscuoteva  in  Siria  per  supplire  alle  spese  del  consolato, 
sia  per  minore  aggravio  presa  a  cambio  in  Venezia. 

1586,  5  marzo.  Non  si  possa  eleggere  od  approvare  alcun 
console  senza  speciale  informazione  del  magistrato  dei  Cinque 
savi  alla  mercanzia. 

1586 ,  1.2  giugno.  Sia  imposto  %  per  %  alle  merci  che 
verranno  di  Siria  per  la  espedizione  di  quel  console. 

1588,  3  luglio.  Sia  levata  la  arbitraria  gravezza  posta  dal 
console  della  Sofia  sui  mercanti  e  restituito  il  percetto  : 
«essendo pubblica  intenzione  di  accarezzare  i  mercanti  per 
»  non  deviare  il  commercio  ». 

1592,  11  settembre.  Tutte  le  merci  che  vengono  di  Sorìa 


83 

siano  tenute  a  pagare  V2  Per  cento  al  cottimo  di  Damasco, 
oltre  l'I  che  si  paga  presentemente,  e  ciò  per  estinzione  dei 
debiti  arretrati. 

1608,  28  luglio.  Sia  concesso  al  console  di  Sorìa  per  una 
volta  tanto  250  zecchini,  in  causa  della  carestia,  principal- 
mente del  vino,  che  bisogna  presentare  ai  signori  Turchi. 

1611,  13  gennaio.  Al  console  di  Aleppo  si  diano  per  viaggio 
da  Tripoli  alla  sua  residenza  mille  reali,  e  pel  ritorno  otto- 
cento, ed  inoltre  gli  siano  dati  200  zecchini  per  il  presente 
da  farsi  giusta  l'ordinario. 

1613,  1°  giugno.  È  proibita  al  console  della  Sorìa  la  pra- 
tica invalsa  di  non  permettere  il  passaggio  a  mercanti  esteri 
sulle  navi  venete. 

1624,  20  agosto.  Per  sollevare  i  trafficanti  colla  Sorìa  delle 
gravi  spese  sotto  varii  pretesti  introdotte ,  è  ordinato  : 

1°  I  consoli  non  debbono  vendere  cosa  alcuna  a  cottimo 
per  nome  loro. 

2°  Non  sieno  dati  ai  giannizzeri  più  di  700  ducati  di  buona 
valuta  all'anno. 

3°  Pel  viaggio  di  mare  e  di  terra  non  si  dia  al  console 
di  Aleppo  più  di  1000  lire  per  l'andata,  e  1000  pel  ritorno. 

4°  I  consoli  0  non  ricevano  presenti  dai  bashà ,  0  li 
ricambino  del  proprio. 

5°  I  consoli  andando  a  nozze  od  a  convito  paghino  ogni 
cosa  del  proprio,  senza  interesse  del  cottimo. 

6°  I  mercanti  non  siano  costretti  a  provvisioni  di  da- 
nari ,  se  non  per  spese  ballottate  nel  Consiglio  dei  X ,  nel 
quale  debba  intervenire  un  capo  di  ogni  casa  che  ha  negozio 
in  Aleppo. 

1670,  21  agosto.  Siano  rimessi  i  consoli  di  Aleppo,  come 
si  praticava  prima  della  guerra. 

1671,  8  giugno.  La  tassa  del  4  per  °/0  sia  ridotta  al  2,  e  desti- 
nata unicamente  al  pagamento  dei  debiti  di  cassa  del  cottimo. 

1675,  22  gennaio.  1677,  18  marzo.  1678,  17  giugno.  So- 
spesi i  consolati  d'Aleppo,  di  Alessandria  e  loro  vice-consoli. 

1680,  3  gennaio.  Sia  concesso  ad  Andrea  Negri  di  recarsi 
in  Aleppo  in  qualità  di  agente  dei  mercanti. 

1683,  9  ottobre.  Sia  stabilita  un'imposta  fìssa  di  400  reali 
per  ogni  nave  di  vela  quadra  veniente  dalla  Siria,  e  di  200 
per  ogni  nave  minore. 


81 

1639,  29  luglio.  Quelli  che  trarranno  robe  dalla  Sorìa  sieno 
obbligati  a  far  le  tratte  particolari,  naviglio  per  naviglio,  e 
mandarle  a  Venezia  segnate  dai  provveditori  al  cottimo  di 
Damasco. 

Il  diritto  consolare  dei  Veneziani  fu  soltanto  nell'anno  1786 
ridotto  a  disposizione  di  legge  generale,  e  compreso  nel  ti- 
tolo XII,  parte  I,  del  famoso  codice  per  la  veneta  mercantile 
marina,  che  è  uno  dei  più  preziosi  monumenti  della  sapienza 
civile  della  repubblica,  negli  ultimi  anni  della  sua  esistenza. 

Le  determinazioni  principali  del  codice  relative  ai  conso- 
lati erano  : 

Ogni  console  dovea  essere  suddito  veneto,  aver  compiuta 
l'età  di  25  anni,  godere  ottima  fama  di  onestà  e  di  intelli- 
genza nel  commercio,  essere  munito  delle  patenti  e  di  spe- 
ciali commissioni.  Appena  arrivato  al  luogo  di  residenza , 
egli  dovea  presentare  le  patenti  a  quelle  autorità  per  essere 
riconosciuto,  quindi  rispettato  ed  obbedito  dai  sudditi.  Il  suo 
impiego  durava  5  anni,  né  poteva  sostituire  alcuno,  senza 
espressa  permissione  del  magistrato  dei  Cinque  savi.  Con- 
seguiva gli  appuntamenti  e  i  diritti  consolari  nei  modi  e 
misure  fissate  da  apposita  tariffa  stabilita  dai  Cinque  savi, 
ed  esposta  nella  cancelleria  del  consolato  ,  con  proibizione 
di  esigere  di  più,  e  di  prender  danari  a  censo  o  mutuo  a 
debito  della  nazione.  Tenere  dovea  sopra  apposito  libro 
timbrato  la  nota,  giorno  per  giorno,  dei  veneti  bastimenti 
che  arrivavano  nel  suo  raggio  giurisdizionale,  colle  più  mi- 
nute indicazioni  del  carico,  del  capitano  e  dell'equipaggio, 
riscontrando,  mediante  apposito  esame,  le  polizze  di  carico, 
le  fedi  di  sanità  e  i  ruoli  degli  equipaggi.  Tutti  i  manifesti 
dei  carichi  e  le  notizie  più  importanti  relative  al  commercio 
ed  alla  navigazione,  egli  doveva  far  giungere  al  più  presto 
possibile  al  magistrato  dei  Cinque  savi. 

Il  console  eleggeva  il  suo  cancelliere,  del  quale  era  res- 
ponsabile in  via  civile.  Se  il  cancelliere  non  era  suddito  , 
la  nomina  dovea  essere  approvata  dai  Cinque  savi.  Nelle 
parti  del  levante  e  dell'Asia  dovea  il  console  tenere  un  cap- 
pellano di  rito  cattolico. 

Le  differenze  fra  i  sudditi  doveano  essere  composte  ed 
appianate  dal  console ,  che  avea  pure  autorità  di  arrestare 
e  punire   quelli  che  turbavano  la  regolarità  del  traffico ,   o 


85 

violavano  le  leggi  penali  ;  nei  casi  gravi  però  dovea  inviarli, 
colla  prima  opportunità,  alla  dominante. 

Il  console  erigeva  gli  atti  verbali  nei  casi  di  getto  ed  in 
tutti  gli  altri  nei  quali  veniva  richiesto  dai  sudditi;  eseguiva 
gli  inventari,  gli  atti  di  morte;  ricevea  testamenti;  e  dava 
forza  legale,  come  pubblico  notaio,  ai  contratti  stipulati  alla 
sua  presenza.  Il  cancelliere  poi  in  un  apposito  libro  dovea 
tenere  la  copia  di  tutte  le  deliberazioni  e  degli  atti  del  con- 
solato, di  tutte  le  polizze,  i  contratti,  gli  inventari,  i  testa- 
menti e  delle  altre  carte  che  pervenivano  alla  cancelleria. 

Nei  casi  di  naufragio  il  console  doveva  accorrere  per  sal- 
vare con  ogni  mezzo  possibile  i  naufraghi,  e  riceveva  poi  il 
2  per  °/0  di  premio  sul  netto  ricavo  delle  cose  ricuperate. 

Mancando  il  console  di  vita,  il  cancelliere  lo  doveva  so- 
stituire fino  alla  nomina  del  successore. 

I  consoli  dovevano  dar  piena  esecuzione  e  far  rispettare 
ed  obbedire  il  codice  della  mercantile  marina,  le  leggi  ge- 
nerali e  le  disposiziohi  dei  magistrati  e  degli  ambasciatori 
e  residenti  alle  corti,  aver  cura  perchè  fosse  mantenuta  la 
fede  nei  contratti .  la  esattezza  nei  pagamenti ,  la  quiete  e 
la  libertà  del  commercio. 

Per  le  spese  straordinarie  che  occorrevano  nei  consolati, 
il  console  dovea  convocare  il  Consiglio  dei  Dodici,  col  quale 
si  stabilivano  le  misure  necessarie,  gettando  una  tassa  sui 
capitali  dei  negozianti.  Che  se  però  le  spese  erano  molto 
rilevanti,  o  la  amministrazione  consolare  restava  in  debito, 
vi  provvedeva  il  collegio  dei  Cottimi  (1)  gettando  un'altra 
tassa  sopra  tutte  le  mercanzie;  la  quale  ascese  al  4,  al  6, 
e  talvolta  perfino  al  12  per  °/0  nella  Siria,  oltre  la  tassa  ordi- 
naria cui  quelle  erano  sottoposte  per  i  diritti  consolari  e  pel 
mantenimento  in  Venezia  della  magistratura  detta  Cottimi 
di  Damasco. 

Sopraggiunta  la  lunga  e  fatale  guerra  di  Candia,  il  vice- 
console nella  Siria  Alvise  Tartarello  ,  ripatriato  nel  1648  , 
dimostrò  in  senato  ascendere  il  debito  della  nazione  a  du- 
cati 66,652 ,   per  estinguere  il  quale  fu  imposta  una  tassa 


(4)  Composto  di  quattro  magistrature,  cioè:  Cinque  savi  alla  mercanzia 
-  Cottimo  di  Damasco  —  Cottimo  di  Alessandria    -  Cottimo  di  Londra. 


86 

del  4  per  °/0.  Con  questa  tassa  si  poterono  pagare  durante 
la  guerra  40  mille  ducati,  per  modo  che,  succeduta  la  pace, 
il  nuovo  console  Marco  Bembo  propose  di  saldare  la  resi- 
dua passività  del  cottimo  ,  riducendo  la  tassa  dal  4  al  2 
per  o/0. 

Ma  le  spese  del  consolato  Bembo,  per  quanto  si  raccoglie 
dalle  scritture  dei  capi  di  piazza,  ascesero  a  reali  32  mille 
circa,  per  cui  le  merci  furono  aggravate  del  10  per  cento 
in  conto  di  cottimo  ,  oltre  il  2  destinato  all'estinzione  del 
debito  precedente,  e  si  dovette  anzi  ricorrere  ai  negozianti 
per  un  prestito  di  reali  20,000. 

Fu  eletto  poi  console  nella  Siria  Francesco  Foscari  ;  ma 
sempre  più  diminuendo  il  traffico  dei  Veneziani  nell'Asia,  e 
particolarmente  colla  Persia  e  le  Indie,  per  le  gravi  cagioni 
enunciate  più  sopra,  il  senato  deliberava  a'  22  gennaio  1675 
di  togliere  quel  consolato ,  accompagnando  con  sentimento 
grave  la  notizia  circa  alla  mancanza  in  quello  scalo  del  ne- 
gozio dei  Veneziani ,  e  quanto  era  gravosa  la  continuazione 
del  consolato  di  Aleppo. 

Accordossi  allora  ai  pochi  sudditi,  che  ancora  negoziavano 
nella  Sorìa  e  coll'Armenia  e  la  Persia ,  di  rivolgersi  per  la 
protezione  a  quei  consoli  di  altre  nazioni  amiche,  che  essi 
nella  specialità  dei  casi  ritenessero  migliori;  ma  mal  volen- 
tieri tollerando  i  mercanti  questa  necessità,  oltre  le  ristret- 
tezze molto  considerevoli  dell'estenuato  negozio,  si  astennero 
finalmente  dallo  spedire  in  Sorìa  merce  alcuna. 

Laonde  Andrea  Benedetti,  che  in  qualità  di  agente  aveva 
sostituito  l'ultimo  console  Foscari,  dovette,  per  supplire  alle 
spese,  accrescere  il  debito  della  nazione  veneziana  e  portarlo 
alla  somma  di  40  mille  reali. 

Offertosi  poi  Andrea  Negri  di  andare  in  Aleppo  col  titolo 
di  agente  dei  mercanti ,  e  di  soddisfare  tutti  i  debiti  la- 
sciati dal  Benedetti ,  e  tutelare  gli  interessi  dei  Veneziani 
negli  scali  dell'Asia ,  verso  la  corrisponsione  di  una  tassa 
del  5  per  °/0  sulle  merci  di  ragione  dei  mercanti  veneti  che 
passavano  in  Siria,  il  senato  accolse  la  proposizione  ed  emanò 
conforme  decreto  il  3  gennaio  1680. 

Ma  non  bastando  la  preavvisata  tassa ,  fu  imposta  una 
contribuzione  fìssa  da  200  a  400  reali  per  ogni  nave,  secondo 
la  grandezza,  che  toccasse   i   porti  della  Sorìa,  e  furono 


87 
rimossi  come  inofficiosi  e  superflui  i  sette  ministri  del  Col- 
limo di  Damasco,  destinando  la  tassa  a  loro  favore,  in  pa- 
gamento invece  dei  debiti  nella  Siria. 

Tutte  queste  disposizioni  però  non  furono  sufficienti,  ed 
il  Negri  non  avendo  potuto  soddisfare  tutti  i  debiti  della 
nazione,  fu  arrestato  dai  Turchi,  ed  ebbe  appena  la  ventura 
di  fuggire  dalle  loro  mani  ,  lasciando  sequestrata  anche  la 
casa  consolare  da  un  Corrado  Kalchebrum,  mercante  fiam- 
mingo. 

Fu  allora  che  Andrea  Benedetti ,  suo  predecessore  nella 
sfortunata  agenzìa  di  Aleppo,  offerse  di  assumerla  di  nuovo, 
proponendo  ai  Cinque  savi ,  in  una  sua  particolareggiata 
scrittura  (l),  i  mezzi  per  riordinare  quell'amministrazione, 
ristorare  il  commercio  dei  Veneziani,  e  mantenere  il  decoro 
della  repubblica, 

11  senato  aderì  a  questa  proposizione;  e  le  saggie  misure 
prese  dal  Benedetti ,  il  progetto  di  riaprire  una  comunica- 
zione colla  Persia  e  colle  Indie,  i  trattati  di  Pietro  il  Grande 
colla  Persia,  e  l'essere  stato  schiuso  il  mar  Nero  alla  navi- 
gazione dei  Veneziani  ,  fecero  sorgere  più  che  mai  vive  le 
speranze  di  riattivare  sulle  coste  dell'Asia  e  del  mar  Nero  il 
commercio  persiano.  Laonde  i  savi  proposero  la  ristorazione 
del  consolato  di  Aleppo  (2),  che  fu  ordinata  col  decreto  29  di- 
cembre 1762  (3),   e  durò  lino  alla  caduta  della  repubblica. 


[{)  Documento  LXXVII. 

(2)  Documento  LXXVI1I, 

(3)  Documento  LXXIX. 


89 


APPENDICE 


Dei  Viaggiatori  veneziani  in  Persia 

e  delle  venete  Descrizioni  edite  ed  inedite 

di  quella  regione. 


Quantunque  intorno  ai  viaggiatori  veneziani  in  generale 
«abbiano  trattato  lo  Zurla,  il  Morelli,  il  Filiasi,  il  Foscarini, 
e  da  ultimo  il  Lazari,  reputasi  conveniente,  in  appendice  al 
presente  studio  storico,  di  riportare  quelle  notizie  particolari 
e  quei  nuovi  documenti  che  si  poterono  raccogliere  e  si  ri- 
feriscono a  viaggiatori  veneziani  nella  Persia,  ed  a  venete 
relazioni  di  quella  regione. 

La  conquista  di  Costantinopoli  (1201)  avea  dato  un  impulso 
gigantesco  alla  potenza  commerciale  dei  Veneziani.  Le  loro 
navi  cercavano  nei  porti  del  mar  Nero,  della  Siria  e  dell'E- 
gitto i  preziosi  prodotti  dell'oriente;  ma  non  si  ha  memoria 
di  alcuno  che  siasi  allora  addentrato  nelle  regioni  interne 
dell'Asia,  che  abbia  osato  di  tentare  peregrinazioni  per  quelle 
remote  contrade,  che  erano  involte  nella  più  fìtta  caligine, 
durante  l'impero  degli  Arabi. 

I  primi  che  intrapresero  viaggi  per  l'interno  dell'Asia  fu- 
rono i  veneziani  Matteo  e  Nicolò  Polo,  i  quali  mossero  nel- 
l'anno 1250,  al  tempo  di  Baldovino  imperatore,  da  Costanti- 
nopoli, e  inoltratisi  nel  mar  Nero  sbarcarono  nel  porto  di 
Soldadìa  vicino  a  Gaffa,  e  proseguendo  il  loro  cammino  per 


90 

terra  nella  Gumania  verso  Derbent,  via  che  facevano  i  po- 
poli circassi  per  andare  in  Persia,  passarono  il  Tigri  ed  il 
Deserto  fino  a  che  giunsero  nella  residenza  del  gran  khan  dei 
Tartari.  Ritornati  quindi  a  Venezia  dopo  un  così  lungo  e  stra- 
ordinario viaggio,  essi  trovarono  il  nipote  Marco,  il  quale 
invaghitosi  dalle  meravigliose  descrizioni  che  gli  zii  face- 
vano dei  luoghi  visitati  nell'Asia,  li  pregò  di  condurlo  seco 
loro  nella  seconda  spedizione  in  Tartarìa,  dove  avevano  pro- 
messo al  gran  khan  di  recarsi  di  nuovo. 

Marco  Polo  nel  suo  famoso  viaggio  (1)  per  le  regioni  di 
oriente,  dove  dimorò  ventisei  anni,  racconta  che  si  recò  in 
Armenia  nel  porto  di  Ajazzo,  nel  quale  ordinariamente  face- 
vano scalo  i  mercanti  di  Genova  e  di  Venezia;  e  descrive, 
fra  le  altre  regioni  di  quasi  tutta  l'Asia,  gli  otto  regni  che 
allora  componevano  la  Persia ,  le  condizioni  di  quegli  abi- 
tanti, i  prodotti  e  le  industrie  ,  avendo  attraversata  quella 
regione  nel  suo  ritorno  dalle  Indie,  ed  essendosi  presentato 
a  Gazan ,  uno  dei  migliori  principi  persiani ,  che  ebbe  pur 
relazione  col  papa  Bonifacio  Vili  (2). 

Da  quell'epoca,  per  due  secoli,  mancano  notizie  di  viag- 
giatori veneziani  penetrati  neh1'  interno  dell'Asia ,  tranne  i 
pochi  dati  che  ci  rimangono  di  un  Marco  Gornaro,  amba- 
sciatore in  Tauris  nel  1319,  i  quali  fanno  ritenere .  sussi- 
stessero fin  da  quel  tempo  relazioni  internazionali  veneto- 
persiane  (3),  ed  un  documento  del  1328,  scoperto  di  recente 
dal  chiarissimo  Thomas  negli  archivi  di  Vienna,  e  che  ap- 
punto si  riferisce  a  rapporti  commerciali  veneto-persiani. 

Nell'anno  1424  Nicolò  Conti  veneziano  partì  da  Damasco, 
e  attraversata  l'Arabia  Petrea,  andò  a  Bagdad,  quindi  a  Bas- 
sorah.  Imbarcatosi  nel  golfo  Persico  ,  veleggiò  per  Ormuz 
a  Gambaja,  d'onde  unitosi  con  alcuni  mercanti  turchi  e  per- 
siani attraversò  la  penisola  spingendosi  fino  alle  foci  del 
Grange.  Il  Poggio,  fiorentino,  lasciò  una  succinta  memoria 
dei  viaggi  del  Conti,  una  parte  della  quale  è  dedicata  alla 
descrizione  della  Persia  (4).  Intorno  a  quel  tempo,  si  ha  pure 

(1)  Il  Milione,  Venezia,  1847,  per  cura  di  V.  Lazarl, 

(2)  Lazari,  Marco  Polo,  p.  224,  414. 

(3)  Foscarini,  Della  Letteratura  veneziana,  lib.  IV. 

(4)  Ramusio,  Delle  navigazioni  e  viaggi,  voi.  II. 


91 

memoria  di  Bracone   Zeno  iìglio  di   Giovanni  che  dimorò 
molti  anni  alla  Balsera ,  alla  Mecca  ed  in  Persia  per  all'ari- 
di mercatura  (1). 

Allorquando  poi  Mohammed  II,  vincitore  di  Costantinopoli, 
minacciò  i  possesi  veneti  nel  levante,  e  la  repubblica  strinse 
alleanza  colla  Persia  contro  il  comune  nemico,  andarono  in 
quella  regione  i  veneziani  Lazaro  Quirini,  Caterino  Zeno, 
Giosafat  Barbaro,  Paolo  Ognibene  ed  Ambrogio  Contarmi, 
i  quali  nelle  loro  relazioni,  nei  dispacci  e  nelle  esposizioni 
fatte  al  senato  lasciarono  importantissime  descrizioni  dei 
luoghi  da  essi  visitati  (2). 

Oltre  alle  relazioni  dei  viaggi  del  Zeno,  del  Barbaro  e  del 
Contarmi,  il  Ramusio  pubblicava  nel  1559  quella  di  un  ano- 
nimo mercante  che  fu  in  Persia,  il  quale  si  dimostra  pale- 
semente essere  stato  un  veneziano  per  la  lingua  che  usa,  e 
pei  paragoni  dei  quali  si  serve  ;  ed  un'altra  di  Giovanni  Bat- 
tista Angiolello  vicentino  ,  intorno  alla  vita  ed  ai  fatti  di 
Uzunhasan,  re  di  Persia. 

Queste  descrizioni  vengono  a  formare,  come  giustamente 
osservava  il  Foscarini,  una  storia  seguente  delle  rivoluzioni 
persiane  dal  tempo  di  Uzunhasan  al  consolidamento  sul  trono 
della  dinastia  dei  Sufi,  la  quale  merita  d'essere  compiuta  colla 
pubblicazione  delle  interessanti  scritture  di  ser  Donato  da 
Leze,  amico  dell'Angiolello  (3),  i  dispacci  del  Dario  e  le  re 
lazioni  di  Giovanni  Lassari  (4). 

Luigi  Kancinotto  veneziano,  fattore  di  un  negozio  in  Ales- 
sandria del  patrizio  Domenico  Priuli,fu  in  Persia  nell'anno 
1532.  Egli  estese  la  relazione  dei  suoi  viaggi,  stampata  da  Aldo 
Manuzio  nel  1557  (5),  nella  quale  narra:  che  sentite  le  stu- 
pende cose  che  pubblicavansi  delle  nuove  scoperte  porto- 
ghesi gli  venne  volontà  di  viaggiare  e  di  riscontrarle  coi 
propri  occhi.  Quindi  scorse  l'Etiopia,  visitò  Calicut  e  andò 
in  Persia,  dove  fu  presente  alle  tre  legazioni  ivi  pervenute 


(1)  Morì  a   Damasco  nel   1425.  Capellari ,  Campidoglio  veneto,  ms. 
della  Marciana. 

(2)  Vedi  la  Parte  I  e  i  Documenti. 

(3)  Documenti  LXXX,  LXXXI,  LXXXII. 

(4)  Vedi  i  Documenti  XVII,  XVIII,  XIX,  e  XX. 

(5)  Viaggi  alla  Tana  in  Persia,  ecc. 


92 

(3 all'Arabia  Felice,  da  Sumatra  e  dalle  Molucche  per  implo- 
rare aiuto  a  Thamasp,  onde  porre  un  termine  ai  crudeli  trat- 
tamenti dei  Portoghesi. 

Allorquando  Selino  mosse  guerra  alla  repubblica  per  lo 
acquisto  del  regno  di  Cipro,  il  segretario  del  senato  Vincenzo 
Alessandri,  andato  in  Persia  per  trattar  lega  con  quel  re,  ci 
lasciò  nei  suoi  dispacci,  e  nella  relazione  che  lesse  in  Pre- 
gadi,  assai  preziose  notizie  di  quella  regione  (1). 

Teodoro  Balbi  trovandosi  console  nella  Siria  dall'anno  1578 
al  1582  dettò  una  relazione  della  Persia,  tuttora  inedita  e  che 
merita  di  essere  pubblicata  (2). 

Le  guerre  turco-persiane  di  quel  tempo  sono  poi  descritte 
nelle  due  relazioni  di  Giovanni  Michele  e  di  Daniele  Barbaro 
già  pubblicate  (3),  nonché  dal  bailo  Nicolò  Barbarigo  nel  suo 
Trattato,  che  giace  ancora  inedito  fra  i  codici  del  cav.  Cicogna; 
relazioni  che  giovarono  al  Minadoi,  mentre  stava  scrivendo 
in  Aleppo  la  sua  storia,  pubblicata  a  Roma  nell'anno  1586, 
e  due  anni  dopo  in  Venezia. 

Una  breve  relazione  del  viaggio  da  Venezia  alla  Persia  e 
di  quella  regione,  fatta  da  un  anonimo  veneziano  alla  fine 
del  secolo  XVI,  trovasi  fra  i  documenti  (4)  di  questo  lavoro, 
tratta  dai  nostri  codici. 

Secondo  il  Foscarini,  che  ne  deduce  la  notizia  dall'elogio 
funebre  di  Ottaviano  Bon,  scritto  dal  vescovo  Giovanni  Lol- 
iino,  pare  che  anche  il  Bon,  abbia  nei  primi  anni  del  secolo 
XVII  descritta  la  guerra,  che  i  Persiani  sostennero  contro 
Amurath  I,  ma  tale  relazione  ci  è  ignota. 

Tuttora  sono  poi  inedite  per  la  maggior  parte  le  pre- 
ziose relazioni  fatte  dai  consoli  veneti  nella  Siria,  le  quali 
tutte  discorrono  con  interessanti  particolarità  della  Persia, 
e  specialmente  quella  di  Alessandro  Malipiero,  16  febbraio 
1596,  e  la  terza  di  Giovanni  Francesco  Sagredo,  l'amico  di 
Galileo,  scritta  nel  1612  e  che  è  irreperibile  (5). 


(\).  Vedi  i  documenti  XXV  e  XXVI. 

(2)  Documento  LXXXI1I. 

(3)  Alberi,  Relazioni  venete,  serie  III,  voi.  II. 

(4)  Documento  LXXXIV. 

(5)  Ciò  si  deduce  dalle  altre  due  relazioni  del  Sagredo  che  si  conservano 
inedite. 


93 

Ambrogio  Bembo  trovandosi  insieme  ad  un  suo  zio  con- 
sole veneto  in  Aleppo,  intraprese  nel  1670  un  viaggio  alle 
Indie  orientali,  che  durò  quattro  anni.  —  La  relazione  di 
questo  viaggio,  della  quale  una  parte  è  dedicata  alla  Persia, 
trovasi  nel  Morelli  :  Dissertazione  sopra  alcuni  viaggiatori 
veneziani  poco  noti. 

Intorno  a  quel  tempo  arrivarono  pure  in  Venezia  alcuni 
padri  Domenicani  spediti  dal  re  della  Persia,  i  quali  in  se- 
guito ad  invito  del  senato  dettarono  una  Relazione  sulli 
viaggi  dì  Persia ,  che  per  decreto  del  1 673  fu  inserita  nei 
Commemoriali  (1). 

Finalmente  nei  dispacci  dei  veneti  ministri  in  levante  si 
incontrano  copiose  e  particolareggiate  le  notizie  delle  cose 
persiane,  Ghe  essi  apprendevano  da  appositi  inviati  in  quella 
regione:  avvegnaché  il  conoscere  le  intime  condizioni  della 
Persia,  pei  noti  rispetti  del  comune  nemico  e  del  reciproco 
commercio,  assai  importasse  alla  repubblica  di  Venezia. 


(1)  Documento  LXXXV. 


DOCUMENTI 


97 
DOCUMENTO   I. 


DELL'ORIGINE 

DI 

ASSANBEI    SIVE    USSUN    CASSAN 

Breve  Notatione. 

Nell'anno  1470,  riferisce  uno,  che  trovandosi  in  Persia  l'anno  1468, 
e  rasonando  con  li  mercanti  li  quali  nuovamente  vennero  di  Trebi- 
sonda,  tra  li  quali  fu  Domenico  Del  Carretto  che  usava  quel  viaggio, 
disse  che  veniva  nominato  questo  Ussun  Cassan,  et  che  in  quelli 
zorni  aveva  fatto  scorrerìa  in  Amasia  et  in  Angora  con  pochissime 
genti,  et  il  signor  soldan  Baiezit  fìol  di  Maumet  turco  ,  in  quel 
tempo  essendo  zovene,  temeva  affrontarsi  con  Ussun  prediclo,  et  si 
meravigliassimo  del  suo  temer.  Mi  disse  quel  Domenico  perchè  vi 
meravigliate?  io  vo'  narrar  di  questo  Ussun  Cassan  cose  incredibili. 
Costui  fu  fio  di  un  signor  abitante  nelle  montagne,  su  le  quali  ha 
alcuni  castelli  fortissimi ,  il  suo  paese  si  dice  Tactai ,  è  di  poco 
tegnir.  Essendo  quello  morto,  il  suo  fìol  Ussun  divenne  molto  vale- 
vole, savio,  audace  et  delli  più  belli  di  corpo,  che  da  gran  tempo 
si  sono  veduti,  grande,  spalluto,  tutti  i  membri  corrispondenti  a 
quella  bella  persona  come  se  fosse  dipinto,  et  il  suo  capo  siegue 
alla  grandezza  de  la  persona,  con  do  occhi  neri  che  è  un  terrore- 
ai  vederli:  et  quanto  è  valoroso,  tanto  è  liberale,  cortese,  benigno 
«ideo  dicitur  gratior  et  pulcherveniens  in  corporevirtus  ».Io  come 
mercadante  sono  stato  nel  suo  paese,  vidilo,  parlai  con  esso,  et  cosi 
come  è  grande,  similiter  il  suo  mangiar  è  estremo;  e  per  il  suo  ca- 
valcar ,  pochi  boni  cavalli  se  trova  a  portar  tanto  corpazzo.  Del 
1455  si  mostrò  con  3000  uomini  e  corse  nel  paese  di  Hasan  (1) 
e  danneggiavalo  molto,  si  che  mai  poteva  a  lui  resistere,  quamvis 
Hasan  fosse  signore  di  Zagatai,  né  poteva  averlo  in  le  man  perchè 
lui  era  sempre  sentiroso  et  apio  alle  insidie,  et  come  presentiva 

(1)  Hasan,  zio  di  Uzunhasan,  figlio  di  Karajuluk.  —  Hammer,  storia  del- 
l'impero Osmano.  Voi.  V,  pag.  192.  —  Genabi,  nella  biblioteca  imperiale 
di  Vienna,  pag.  228. 

7       Bollettino  Consolare,  Voi.  IH. 


la  venuta  di  Hasan  fugiva  in  le  montagne.  E  nota  che  Hasan 
vedendosi  grande  et  potente  signore,  et  Ussun  Gassan  un  signo- 
retto  che  ardiva  farli  tanti  insulti ,  molto  si  lamentò  verso  i 
suoi  baroni  dicendo  :  che  vai  la  mia  potenza  se  non  trovo  nessun 
barone  a  prendere  questo  ladroncello  e  condurmelo  morto  o  vivo, 
che  prometto  a  chi  mi  porta  la  sua  testa  di  dargli  una  città  di 
suo  contento.  E  di  tutti  li  baroni  nessuno  si  mosse,  salvo  uno  detto 
Acmat,  e  disse:  0  gran  Signore,  tojo  l'impresa  mi,  vu  intende  che  homo 
è  costui,  lasse  far  a  mio  modo,  et  in  pochi  dì  ve  lo  menerò  o  morto  o 
vivo,  et  Hasan  promise  a  suo  modo.  Questo  Acmat  si  mise  in  punto 
con  alcuni  pochi  electi  perseguitando  Ussun  continuamente  ;  et 
improvvisamente  trovatolo  al  pascolo  in  campagna  e  appresso  al 
monte  quello  assaltò,  et  avendo  messo  in  fuga  e  sparsa  quella  poca 
zente  che  era  fugita  per  li  monti,  il  dì  seguente  Ussun  si  trovò  a- 
dunati  4700  uomini  dicendo  a  quelli:  A  che  semo  più  boni?  da  questo 
Acmat  semo  assediai,  ne  potano  scampar  la  morte,  meglio  è  morir  vi- 
rilmente, che  tristamente  esser  pigliati.  Tandem  consejati  deliberarono 
assaltarli  alla  seconda  guardia,  et  premandati  esploratori  et  inteso  che 
riposavano  con  sue  mojer  e  fìoi,  allora  dito  e  fato  assaltano  quelli 
che  sono  drento  al  padiglione  di  Acmat;  e  la  fortuna  a  quei  de  Ussun 
andò  prospera  et  prese  quel  barone  salvo  con  grande  uccisiondi  nemici, 
e  quelli  vedendosi  rotti  et  el  so  capitano  preso,  a  poco  poco  se  inchina- 
rono ad  Ussun  et  domandaronoperdonanza.  Ussun  Gassan  cortesemente 
tutto  accettava  e  con  parole  lusingava  dicendo:  Vardè  fradei  cari,  ca- 
daun  che  conosce  elsuo,  voglia  el  suo,  del  vostro  mi  no  vogio  niente,  et 
etiam  le  vostre  donne  e  fameje,  io  pur  son  signor  e  fiol  de  signor,  e 
benché  sia  povero  Dio  è  grande. 

Vedendo  li  nemici  suoi  tanta  lealtà  ad  una  voce  li  fecero  grandis- 
sima laude,  e  vi  furono  di  quelli  che  li  dissero  che  voleano  restare  se  a 
lui  piaceva,  et  esso  allegramente  tutti  accettò  e  disseli:  Saremo  tutti 
fradei  insieme;  et  quel  pezzo  de  pan  che  havremo,  partiremo  tutti 
quanti. 

Dopo  l'acceptar  di  questi  fece  venir  davanti  quel  barone  Acmat 
preso  domandandoli  :  che  cazon  ti  ha  fatto  far  la  impresa  de  perse- 
guitarmi? Rispose:  Sapiè  che  lo  bando  che  fece  il  mio  Signore,  fu  a  chi 
attrovasse  di  dargli  la  vostra  testa  li  donava  una  città  et  facevalo  beato. 
Io  pensando  aver  la  vittoria  ho  tolto  tale  impresa.  Ussun  Cassan  rispose: 
Feste  voi  la  sententia,  e  quella  cercavi  per  mi,  farò  fare  a  voi,  e  comandò 
fosse  decapitato  e  mandato  il  capo  al  sultan  con  queste  parole:  Tolè 
signor  grande  el  presente  che  desideravi-,  facendoli  poi  aggiungere  :  Per- 


99 

che  mi  vai  perseguitando,  ti  è  signor  grande  e  mi  pur  son  fiol  de  signor, 
benché  non  sia  sì  potente;  tu  dici  che  sono  ladro  in  le  montagne,  ma  las- 
sime  venir  al  piano,  lassime  riposar,  che  ti  prometto  esser  con  te 
pacifico,  con  molte  altre  parole.  Soprazonse  poi  la  donna ,  fu  di  quel 
barone  con  alcuni  altri  che  ritornavano  alle  loro  case  e  non  vollero 
rimaner  con  Ussun,  et  a  quella  donna  ha  facto  restituir  el  suo,  et 
quella  con  buone  parole  confortava  et  pregava  volesse  restar  con  lui, 
promettendo  mandarla  con  suo  contento,  et  etiam  alcune  altre  che 
erano  in  sua  compagnia,  le  quali  non  volendo  rimaner,  quelle  fece 
accompagnare  alle  loro  case  con  boni  cavalli,  sopra  ponendo  questo  a 
quella  ambascieria. 

Di  presente  Hasan  vedendo  le  sue  dolci  parole  et  amore,  restò 
stupefatto  et  era  contento  di  non  lo  molestar.  Ussun  con  quella 
gente  che  a  lui  moltiplicava  non  volle  più  scorzisar  el  paese  di  Ha- 
san, ma  correva  sui  confini  di  Amasia  fin  in  Angora;  et  Baiezid  che 
abitava  in  Amasia  essendo  zovene  non  ardiva  affrontarsi  con  Ussun 
perocché  suo  padre  si  disdegnava. 

Et  nel  1459,  essendo  approssimato  al  confin  diTrebisonda,  Ussun 
se  ridusse  alle  sue  fortezze,  ma  sempre  correva.  Il  Turco  mandò  allora 
sui  ambasciatori  con  presenti  di  panni  d'oro  et  di  seta,  lavori  d'ar- 
gento e  cavalli  a  donar  ad  Hasan,  pregandolo  che  stringesse  dalla  sua 
banda  Ussun  Gassan  e  lui  dall'altra  a  metterlo  in  mezzo  et  prenderlo. 
Ma  egli  in  quel  tempo  non  si  mosse,  anzi  veniva  detto  che  Ussun 
Gassan  in  la  strada  aveva  fatto  prendere  quel  legato  dell'ottomano  che 
portava  li  presenti  ad  Hasan,  e  non  fu  vero,  né  possibile  lui  si  muo-  ' 
vesse. 

Nel  1450  l'imperatore  de  Trebisonda  guerreggiava  col  signor  Ar- 
menich  che  era  suddito  di  Ussun  Gassan ,  onde  l'imperatore  pre- 
parato l'esercito  con  poca  gente  per  andare  a  prendere  questo  Ar- 
menich  credendo  averlo  a  man  salva,  fu  come  intraviene  a  quello  che 
poco  stima  l'inimico,  preso  l'imperatore  da  Armenich,  il  quale  essendo 
suddito  di  Ussun  Gassan  a  quello  lo  presentò.  Essendo  l'imperatore 
alla  presenza  di  Ussun  Cassan,  li  richiese  fosse  fatto  tajar  del  so 
prezio,  che  provederia  de  redimersi,  onde  Ussun  Gassan  li  disse: 
Quello  che  io  desiderava  mi  vien  alle  mani,  io  danari  non  apprezzo,  mi 
fu  detto  voi  avere  una  fia  savia  e  da  ben,  dita  Teodora,  demela  per  mu- 
gier.  —  L'imperatore  rispose:  Come  potrà  farsi  questo,  essendo  noi 
christianie  voi  pagan?  Rispose  Ussun:  Non  curo  questo,  pure  intrave- 
gniria  cosa  del  nostro  contento  unanime  da  ella,  perchè  per  cristiana  la 
voglio  e  per  questo  l'apprezzo,  perchè  a  mi  donne  no  manca,  adunque 


100 

per  questa  caxon  me  muovo  et  a  voi  è  forza  farlo.  E  così  seguì  le  nozze 
et  datoli  la  fiola  per  questa  via,  et  have  quella  in  devotion  carissima. 
Avuta  madama  Teodora  per  moiera,  pare  che  la  fortuna  ad  Ussun 
Gassan  andasse  prospera,  et  ogni  dì  moltiplicava  in  seguito  de 
zente. 

Vedendo  Maomet  turco  moltiplicar  Ussun,  temendo  non  si  facesse 
grande,  fece  esercito  nel  1461  ed  andò  verso  Trebisonda,  acciò  Us- 
sun no  prosperasse  in  quello  impero. 

Vedendo  Ussun  no  poter  resistere  alla  potenza  del  turco,  li  fu  forza 
mostrarli  le  spalle,  e  ritornò  alli  monti  e  alli  suoi  castelli.  Il  turco  non 
volendo  Ussun  per  vicino,  aumentato  il  suo  esercito  andò  in  persona 
e  prese  Trebisonda,  nel  cui  esercito  fu  Nicolò  Sagondino  segretario 
della  Signoria  nostra. 

La  despota  Teodora  mojer  de  Ussun  Gassan  avendo  fatti  itoli,  et 
per  tal  matrimonio  essendo  arsa  d'amore  con  Ussun  Gassan  li  disse 
queste  parole  :  Signor  mio ,  ornai  di  voi  non  può  mancar  la  vita 
se  il  vostro  sangue  è  vita  e  sangue  di  vostra  fia,  et  è  el  ben  dei  vostri  fi- 
glioli, abbi  è  dunque  fede  dell'i  consigli  che  vi  darò.  Tolè  questa  crosetta, 
e  applichela  con  questa  catenella  al  vostro  collo  e  abbie  devotion,  et 
ogni  dì  per  mio  contento  mettela  sulla  fronte  e  basela  con  reverèntia,  e 
se  caso  v'intravegnisse  essere  in  battaglia  raccomandeve  con  zelo  e  fede 
a  questo  crocifisso;  e  se  voi  non  avrò  vittoria  riputeme  una  cattiva  et 
inimica  dei  vostri  fioli:  perchè  trovata  la  verità  di  quel  che  dico  avere 
occasion  de  volermi  tanto  più  ben.  Per  tal  suasion,  Ussun  Cassan, 
per  amor  della  donna  che  lo  costrinse,  o  fosse  permission  della  Di- 
vina grazia,  el  tolse  quella  crosetta  con  devotion  et  pace,  che  da 
quell'ora  venne  in  tanta  prosperità  che  dove  el  se  metteva  in  bat- 
taglia, etiam  ch'el  fosse  de  poca  potentia,  diventò  gran  signore:  et 
è  opinion  de  molti  che  segretamente  è  sta  convertito  alla  Christiana 
fede. 

In  questi  tempi  essendo  Maomet  turco  vicino  di  confine  ad  Us- 
sun Gassan  et  a  Hasan,  ed  essendo  Ussun  in  mezzo  Maomet  iterum 
aveva  ordito  intelligentia  con  Hasan  di  prendere  Ussun  Gassan,  et 
avvedutosi  di  tali  insidie  Ussun  si  pose  a  far  forte  in  una  valle  a 
pie  di  un  monte  et  fece  tajar  grandi  alberi  mettendo  quelli  per  tra- 
verso le  vie  et  fecesi  forte.  Aveva  il  turco  comanda  al  fìol  Bajezid 
di  Amasia  che  andasse  a  congiungersi  con  Hasan,  per  poter  pren- 
dere Ussun,  il  quale  essendo  avvisato  di  questo,  attendeva  a  farsi 
forte.  Accade  che  vedendo  Hasan  la  precauzione  facta  per  Ussun  , 
che  non  era  possibile  ottenir  la  sua  intenzione,  deliberò  tornar  in- 


101 

drio,  et  lasciar  l'impresa;  e  za  la  gente  del  suo  esercito  aveva  in 
gran,  parte  licentià.  Ussun  Gassan  avendo  presentito  che  Hasan 
aveva  licenziato  gran  parte  del  suo  esercito,  vedendo  occasione,  e 
modo  venutogli  di  far  egregio  assalto  a  Hasan,  una  notte  con  zente 
eletta  uscì  dalla  sua  fortezza  e  con  insidia  assaltò  Hasan,  e  quello  prese 
con  sua  masnada  e  feceli  tajar  el  capo  a  lui  et  al  so  fiol.  Il  capo  di  Ha- 
san mandò  a  presentare  a  Maomet.  turco,  il  capo  del  fiol  mandò  al 
sultan. 

11  soldan  have  gran  piacer  per  essere  amico  de  Ussun.  Il  turco 
el  contrario.  Et  il  turco  mandò  a  dire  ad  Ussun  Gassan  che  non  aveva 
fatto  bene  a  far  simili  atti  a  così  gran  signore.  Ussun  li  fece  ris- 
pondere: Mi  ho  fatto  con  la  spada  in  man,  quello  che  dovea  fare. 
Prosperando  in  stato  Ussun  Gassan  per  la  morte  di  Hasan,  e  sot- 
tomettendo il  suo  imperio  con  tanta  vittoria,  l'imperatore  dei  Tartari 
Zagatai  (1),  si  mosse  potentissimo  per  invidia  e  venne  contro  Ussun 
Gassan,  et  quello  assediò,  chi  dice  in  campagna  e  chi  in  città. 

Ussun  vedendosi  astretto  mandò  a  quello  ambasceria,  et  con  bone 
parole  lo  amaliò  mentre  la  notte  aveva  ordito  e  messo  in  punto  le 
sue  genti,  et  dopo  riposato  assaltò  li  tartari  e  mise  quelli  in  rotta. 
Prese  il  signor  dei  Tartari  Zagatai  e  feceli  tagiar  il  capo,  per  lo  che 
tutti  quei  popoli  s'inchinarono  a  lui;  et  a  questo  modo  si  fece  signor 
di  tutta  la  Persia  et  Media,  et  fu  nel  14-69. 

Dopo  avuta  la  vittoria  dei  Tartari  e  Zagatai,  mandò  suoi  amba- 
sciatori a  Maomet  turco  per  annunciarli  tanta  vittoria.  Il  suo  am- 
basciatore venne  a  cavallo  fino  a  Scutari,  et  annunziato  al  signor  turco 
el  suo  zonzer,  subito  fece  armar  una  fusta  et  lo  mandò  a  levar  e 
condur  a  Costantinopoli:  il  quale  si  appresentò  alla  Porta  dicendo  al 
Turco  come  il  signor  Ussun  Gassan,  con  bella  continenza  per  esser 
huomo  di  bella  maniera,  lo  mandava;  li  bassa  si  levorno  in  piedi  et 
andolli  incontro  per  accompagnarlo;  ed  appresentato  al  signore  le 
basò  le  man  et  li  disse  poche  parole  presentandoli  lettere  di  Ussun 
Gassan  di  tre  righe:  quello  che  era  scritto  nessuno  l'intese,  et  li  portò 
presenti:  un  uovo  di  struzzo  con  un  velo  sottile  et  un  altro  uovo 
con  una  veste:  e  che  questo  sia  vero  io  Zorzi  di  Fiandra  credente, 
ho  inteso  a  razonar  essendo  al  Cairo. 

Tornando  al  nostro  proposito  detto  ambasciator  de  Ussun  Gassan 
portò  etiam  a  donare  al  turco  uno  scacchier  lavorato  di  legno  aloe  el 
fornito  di  scacchi  molto  superbi,  et  una  spada  guernita,  et  quattro 

(1)  Ebusaid,  figlio  di  Miran  shàh,  nipote  di  Tinnir.  Genabi,  pag.  228. 


102 

armature  da  huomo  a  cavallo.  Fu  dato  sopra  tali  presenti  molta  si- 
gnification. 

11  sig.  Maomet  appresentò  al  detto  ambasciatore  aspri  30,000, 
panni  d'oro  et  altre  cose  stimale  valere  aspri  50  in  60  mille,  et  non 
permise  che  alcuno  gii  parlasse.  E  questo  fu  appunto  in  quel  giorno 
che  domino  Nicolo  da  Canal,  capitano  generale  della  Signorìa,  prese 
Lemno. 

E  dispacciato  dalla  Porta  detto  ambasciatore  fu  accompagnato  fino 
in  Russia.  Dopo  accade  che  in  ispazio  di  tempo  si  ribellò  un  fìol  di 
Hasan  con  tre  grandi  baroni  di  suo  padre.  Questi  baroni  lo  avevano 
rilevato  nei  paesi  di  Zagatai,  fortificandosi  adunava  di  quelle  zenli 
che  fu  di  suo  padre  Hasan.  Il  ditto  Ussun  Gassan  quelli  perse- 
guitava et  absediava,  et  tandem  li  prese  et  tagliò  il  capo  a  detti 
quattro,  et  a  questo  modo  venne  a  restare  assolutamente  signore  del 
paese  ;  et  per  la  comune  fama  et  opinione  di  tutti  questo  Ussun 
Gassan  non  ha  più  contrasto  di  alcun  vicino,  e  resta  in  li  suoi  confini 
un  altro  signore  di  Zagatai,  piccolo  signore,  tamen  suo  amico. 

Et  questo  con  brevità  ho  notalo  mi  Zorzi  de  Fiandra  scorrendo 
fino  al  di  odierno  1470. 

Cronaca  Sanudo,  mss.  nell'archivio  Cicogna. 

Questo  Zorzi  di  Fiandra  si  manifesta  se  non  veneziano,  certamente 
al  servizio  della  repubblica,  e  la  sua  scrittura  trovasi  inserita  fra  i  do- 
cumenti inediti  della  preziosa  Cronaca  di  Marino  Sanudo,  che  soltanto 
in  parte  fu  pubblicata  dal  Muratori,  Rerum  italic .  script.,  t.  XXII. 
La  detta  relazione  pare  però  che  non  fosse  sconosciuta  al  Ramusio 
ed  all'autore  dei  Commentarli  del  viaggio  in  Persia  di  Caterino  Zeno. 


nociJiriEitfTO  ii. 


1463,  die  2  Decembris. 

Quantum  conferre  possit  rebus  gerendis  contraTurcum,  quod  ma- 
gnus  Garamanus  ac  Uxonus  Gassanus  bellum  inferrant  huic  hosti: 
unusquisque  satis  intelligit  quam  propulsatus  etiam  ex  partibus  illis 
tenendum  erit  exterminium  suum,  multum  facile  secuturum  esse. 


103 
Et  vir  nobilis  Andreas  Cornano  valde  praticus  et  aptus  ad  res  istas,  de 
ordine  nostro  praticam  habuerit  cum  Garamano,  et  prò  quanto 
habetur  sperandum  est  negocium  istud  permanus  suas  votive  perfìci 
posse:  propterea  vadit  pars  : 

Quod  scribatur  eidem  Andreae:  Nos  esse  contentos,  quod  persona- 
biliter  quanto  celerius  esse  possit  se  eonferrat  ad  magnum  Carama- 
num  cum  nostris  literis  credentialibus  quod  sibi  miltantur  presen- 
tando dominationi  suae.  Apud  quam  commemorando  insolentiarum 
et  maxima  dominandi  libidinem  turci  communis  hostis  sui  et  nostri, 
quotque  provincias  et  regna  subegit  destructis  et  caesis  regibus  et 
principibus  suis.  Et  quod  sicut  videt  totum  orbem  nititur  deglutine 
omnem  operam  dare  debeat  per  illos  omnes  utiliores  et  meliores 
modos:  quos  noverit  expedire  inducendi  eum  ad  gerendum  bellum  , 
ex  illa  parte  contra  hostem  ipsum,  contra  quem  etiam  in  partibus 
Grecise  et  Europae,  et  nos  et  alii  domini  et  potentatus  facimus  et 
facturi  sumus,  quodquod  a  nobis  fieri  possit  ad  deprimendam  super- 
biam  tanti  hostis. 

Utque,  Ex.a,  ipsius  Garamani  intelligat  bonam  mentem  nostram 
in  honorem  et  commoda  sua  sumus  bene  contenti  mittere  sibi  libere 
et  nostris  impensis  galeas  sex  ex  nostris  armatas  et  bene  in  puncto, 
ad  agendum  bellum  a  parte  maris,  terris  et  locis ,  praefati  hostis, 
per  id  spacium  temporis  quod  exigentia  et  tempus  patient  et  quod, 
quidquid  acquiret,  sit  Ex.ae  illius  domini. 

Sumus  quoque  contenti  velut  affecti  ili.  dominationi  suae,  non 
devenire  ad  ullam  concordiam  seu  pacem  cum  Turco  nisi  in  ea  in- 
terveniat  et  includatur  una  nobiscum  ipse  dom.  Garamanus.  Gum  hoc 
etiam,  quod  sicut  honestum  est  Ex.a  sua,  ergo  nos  servare  et  facere 
debeat  istud  idem. 

Et  demum  comittatur  eidem  Andreas  quod  prò  obtinenda  hac  in- 
tentione  nostra  ,  omne  studium  et  diiigentiam  adhibere  debeat. 
Nihilque  praetermittere  ut  effectus  iste  sequatur,  dareque  conlinuam 
notitiam  per  literas  suas  nostro  dominio  ac  capitaneo  nostro  ge- 
nerali de  omnibus,  quae  sequentur. 

Miltantur  quoque  litene  nostrae  credentiales  ad  ipsum  Andream 
directive  Uxoni  Gassano  et  Turcomano,  sub  quibus  idem  Andreas  seu 
virnobilis  Lazarus  Quirino,  casu  quo  non  posset  accedere,  se  conferre 
debeat  ad  Uxonum  Gassanum,  vel  ad  ipsum  Turcumanum,  ad  ope- 
randum  similiter  modis  omnibus  et  inducendum  eos  ad  inferrendum 
bellum  turco. 

Verum  ex  nunc  captum  sit.  Quod  idem  Andreas  aut  alius  vel  alii 


404 

prò  eo  non  possint  facere  nec  fieri  facere  per  se  vel  alios  merca- 
tionum  alluminimi  aut  aliarum,  sub  pcena  ducatorum  mille,  exigenda 
per  advocatores  communis. 

Voti  de  parte  110. 
de  non  16. 
non  sinceri   3. 

Nota  quod  super  materia  suprascripta  facta  fuit  commisio,  viro 
nobili  ser  Marco  Cornano  militi. 

Confrontato  nell'Archivio  generale  dei  Frari,  Secreta  XXI,  p,  209. 


DOCUMENTO    III. 


Die  15  Februarii  (1463  m.  v.)  1464. 

Quia  vehementer  prò  commoditate  rerum  nostrarum,  Dominatio 
nostra  superioribus  mensibus  confederationem  et  intelligentiam  con- 
clusa cum  illustr.mo  Domino  Garamano,  medio  nobilis  viri  Andreae 
Cornano,  qui  dominus  vita  functus  est.  Sitque  optimum  factu,  eam 
cum  filio  suo,  qui  ei  successit,  juvene  et  animoso  redintegrare. 

Vaditpars  quod  per  collegium  mitti  debeat  unus  nuntius  ad  ipsum 
dominum  Caramanum,  cum  una  pecia  panni  aurei  valoris  ducatorum 
CC.  ipsi  illmo  domino  prò  mare  partium  ipsarum  danda.  Item  cum 
aliis  rebus  valoris  aliorum  ducatorum  CC.  donandis  primis  portae  s'uae 
siculi  collegio  videbitur.  Qui  nuntius  nostro  nomine  de  obitu  prin- 
cipis  suis  doleat,  deque  successione  Exasua  congratuletur,  curetque 
secum  omnia  capitula  confederationis  ipsius,  ipso  domino  presente 
cum  ili1"0  patre  suo  conclusa,  sua  cum  Exa  redintegrare  et  confirmare, 
sicuti  particularius  ei  per„collegium  in  mandatis  dabitur.  Et  repli- 
centurlitteraead  illustrissimumUssonumCassanumEx.  suae  superio- 
ribus mensibus  scriptae.  Deque  his  omnibus  detur  notitia  suprascripto 
ser  Andreae  Cornario  et  ser  Lazaro  Quirino,  qui  rem  ipsam  praticare 
et  iuvare  poterunt,  sicut  autem  fecerunt. 

Secreta  XXII,  p.  67. 


105 
DOCUMENTO    IT. 


1464 ,  26  Septembris. 

Quod  orator  domini  Ussoni  Cassani ,  qui  ad  presenliam  nostrani 
fuil,  q.  primum  expedire  debeat,  ut  cum  galeis  Baruli  ad  partes  Syriae 
se  transferat  et  inde  ad  Dominum  suum  reverti,  emique  et  donari 
debeant  oratori  predicto  brachia  veluti  cremisini  XII  et  brachia  VI 
scadati  prò  duabus  vestibus,  et  due.  G.  auri  uni  eius  fìlio  detur 
pannus  scarlatus  prò  una  veste,  et  famulo  pannus  viridus  et  due. 

IV,  fìlio  famulo  autem  duo.  Fiuntque  eis  expense  usque  quo  in 
terram  Syriam  descenderunt,  quas  solvat  dominium.  Et  fieri  eidem 
demonstratio.  Emanturque  et  dentur  dicto  oratori  bracbia  XX , 
panni  aurei  pulcherrimi,  quse  nostro  nomine  in  signum  amoris  nostri 
debeat  presentare. 

Qui  denari  accipiantur  de  deposito  et  de  omni  alia  ratione  unde... 
citius  poterunt. 

Domino  vero  Uxono  Cassano  scribatur  in  hac  forma  et  oretenus 
etiam  dicatur  eidem  oratori  legantur  q.  ejusmodi  litere  de  verbo  ad 
verbum. 

«  Nui  havemo  ricevuto  le  sapientissime  et  benevole  lettere  della 
IH.  S.  V.,  et  inteso  etiam  quanto  a  bocca  saviamente  ha  riferito  Ma- 
metanazab  vostro  secretano  et  ambassadore,  de  la  optima  disposi- 
zione e  mente  della  E.  V.  di  far  insieme  con  nui  contra  l'Othoman 
commun  et  accerimo  inimico;  et  molto  ne  ha  piaciuto  intender  questa 
opinion  e  mente  della  vostra  Gels.,  la  qual  è  de  signor  sapientissimo 
e  magnanimo:  perchè  l'Othoman  per  la  sua  superbia  et  ambizione 
non  studia  né  desidera  altro  con  tutti  i  so  pensieri  che  devorar  e 
oprimer  tutti  li  signori  del  mondo  et  specialmente  li  suoi  vicini.  Et 
quanto  poi  al  dicto  Othoman  va  disfacendo  ora  questo  ora  quest'altro, 
tanto  più  insaciabilmente  desidera,  e  se  sforza  destruger  ognuno  et 
accrescer  la  potentia  et  tirannia  sua.  Pertanto  se  convien  alla  Exc. 

V.  Signoria  animosa  e  sapientissima,  in  questo  tempo  che  nui  ed 
altri  principi  christiani  se  retrovamo  contro  de  lui  in  guerra,  dal 
canto  vostro  con  tutta  vostra  potentia  prestissimamente  movervi, 
e  venir  a  sua  disfazione  e  rovina  per  propria  vostra  salute  e  de  tutti 
altri,  perchè  remanendo  questo  Othoman  nelle  sue  forze  e  signorìa 
né  la  Vostra  Exc.  né  alcun  altro  signor  se  poi  reputar  signor  nel  stalo 


106 

suo.  El  novo  Pontefice  capo  e  principe  dei  christiani  fa  ed  è  per  far 
ogni  dì  più  a  rovina  del  detto  Othoman. 

Questo  medesimo  falò  ili.  ducha  de  Borgogna  et  molti  altri  principi 
e  signori  christiani.  Noi  come  senio  certissimi  già  havete  inteso, 
havemo  potentissima  armata  in  mar  et  esercito  terrestre  in  la  Morea 
et  Albania.  El  ser.  re  de  Ongaria  da  canto  suo  li  fa  acerbissima 
guerra.  Né  è  possibile  che  il  detto  Othoman  possi  per  modo  alcun 
farvi  alcun  ostacolo  e  resistenza.  E  però  quanto  più  presto  la  E. 
V.  se  moverà,  tanto  più  presto  e  facilmente  ottenirà  tutto  lo  stato  suo 
in  quelle  parti,  come  quella  sapientissima  semo  certissimi  che  otti- 
mamente intenda.  Et  fin  da  mo  (1)  semo  ben  contenti  che  tutto  quello 
che  aquisterà  la  V.  E.  liberamente  sia  suo.  Ne  avemo  più  partico- 
larmente parlado  con  el  sopradetto  ambassador  vostro,  el  qual  etiam 
de  tutte  cose  occorrenti  e  dei  progressi  dei  cristiani  contro  dito 
nemico  ordinatamente  informato,  tutto  seriamente  riferirà  alla  E.  V., 
le  qual  cosse  abbia  la  V.  Gels.  per  fermissime  e  verissime,  alla 
qual  in  ogni  sia  comodità  ed  exaltation  se  offerirne 

Et  de  adventu  preefati  oratoris  ad  presentiam  nostram  detur  notitia 
viro  Nobili  Marco  Cornano  militi,  et  mittantur  ei  copiae  literarum 
prsefati  domini  Uxoni  Gassani  ad  nos,  et  literarum  nostrarum  ad 
praefatum  dominum,  ut  opportune  providere  circa  hanc  materiam 
possit. 

Adviseturque  de  optimo  tractamento  per  nos  eidem  oratori 
facto. 

de  parte      84. 
de  non  0. 

non  sinceri    0. 

Secreta  XXII,  p.  89. 

DOC  UJJIE*TO    V. 

(1465,  m.  v.)  1466  27  Febbrajo. 

Illustri  Domino  Hasanbei  vid.  Ussun  Cassano. 

Accipimus  literas  Ex.  V.   quas  nobis  redidit  Cassanus  Azanus 
lator  praesentium,  ex  quibus  intelleximus  quaecumque  Ex.  V.  ad  nos 
scripsit  de  optima  dispositione  et  promptitudine  sua  faciendi  et  ma- 
fi)  E  fin  d'ora. 


107 
gnanime  belligerandi  contra  insolentissimum  Mahometem  regem 
turcorum,  inimicum  communem,  et  universi  fere  orbis  acerrimum 
hostem,  necnon  q.  fervenler  et  effìcaciter  nos  exortatur  ut  non  modo 
faciamus  potenter  et  hostem  nostrum  aggrediamur  validissimis  viri- 
bus,  sed  etiam  excitemus  ceteros  principes  christianos  ad  hoc  bel- 
lum  necessarissimum,  quo  pestis  hsec  et  pernicies  omnium  in  pace 
vivere  cupientium  perdatur  et  debellatur  ! 

Commemorando  singularem  benevolentiam  et  sinceram  amicitiam, 
qua  nobis  efficitur  Ex.  V.  quamobrem  respondentes  agimus  IH.  Do- 
minationi  vestrae  ingentes  gratias  prò  hujusmodi  suo  perhumano  et 
prudentissimo  scribendi  officio.  Quo  nihil  nobis  gratius  fieri  potuis- 
set,  et  certe  nunquam  explicareet  verbis  consequi  possemus  quanto- 
pere  amemus  et  charam  habeamus  benevolentiam  et  amicitiam  ve- 
stram:  atque  quam  maxime  nobis  cordi  sit  audire  et  intelligere  ista, 
quae  ad  nos  scripsistis  vehementer  pertinenza  ad  utriusque  nostram 
salulem.  Verum  ut  Ex.  V.  cognoscat  nos  quoque  promptissimos  et  pa- 
ratissimos  esse  faciendi  omnia  adversum  communem  hunc  hostem, 
nihilque  intentatomi  omittere  quo  omnino  debelletur.  Qui  non  con- 
tento^ fìnibus  suis  universum  fere  orbem  terrarum  subjicere  sibi 
conatur. 

Scitote  jam  nos  habere  potentissimam  classem  in  mari,  quam  ad 
paucissimas  dies  potentiorem  et  validiorem  reddemus  supra  XL  tri- 
remium  navium  complurimum.  Item  in  Amoream  mittimus  copias 
nostras  armigeras,  ut  firmum  exercilum  opponamus  hosti.  In  Alba- 
niam  quo  equites  et  pedites  ultra  illos  quos  habemus  in  magno  nu- 
mero transmittimus.  Habemus  praeterea  oratorem  nostrum  apud  re- 
gem Hungariae  qui  continue  horatur  et  instat  Maj .  Suam,ad  magnanime 
persequendum  bellum,  qui  jam  est  in  armis  potenter.  Summusque 
Pontifex  pater  et  caput  omnium  christianorum  nobiscum  sentit,  qui 
nihil  aliud  molitur,  nihil  aliud  parat,  quam  contundere  rabiem  hostis 
hujus  nostri  et  excitare  christianas  vires  in  eum. 

Restat  tantum  ut  111.  D.  V.  persequatur  magnanime  bellum  ut 
ccepit,  et  potenter  irruat  adversus  loca  et  provincias  hostis  atque  un- 
dique  eum  exagitet.  Nunc  quoque  est  tempus  optalum.  Nunc  offert  se 
occasio  ut  omnes  liberemur  continua  molestia  et  solecitudine  con- 
fracto  et  penitus  confecto  immanissimo  istodracone.  Et  ita  nos  hinc 
faciemus  nec  rei  ulli  parcemus  quantum  in  nobis  erit.  Gratissimum 
autem  nobis  erit  ut  V.  E.  nobis  soepius  scribat,  et  certiores  faciat  de 
progressibus  vestris,  et  mittat  litteras  ad  consulem  nostrum  Aleppi  qui 
celeriter  eas  mittet.  Et  ita  nos  per  illam  viam  faciemus  ut  alter  al- 


108 

terius  res  intelligat.  Rogantes  ad  extremum  ut  V.  E.  cohortari  pla- 
ceat  111.  Dominum  Garamanum  ad  faciendum  magnanime  et  bellum 
constanter  perseverandum,  quam  non  deerunt  sibi  omnes  nostri 
favores  possibiles. 

Scribantur  similes,  mutatis  mutandis,  ili.  Theodorae  domini  im- 
peratori Trapezundae  filiae  magni  conjugi  prsefati  Hassanbei ,  in 
responsionem  litterarum  suarum,  cum  gratiarum  actione  munusculi 
dominio  nostro  missi. 

De  parte      96. 

De  non  0. 

Non  sinceri    2. 

Secreta  XXII,  pag.  132. 


DOCUMENTO    VI, 


1*  Commissione  a  Caterino  Zeno,  delegato  oratore  veneto  in  Persia. 
(1471,  18  Maji) 

Quod  orator  illustrissimi  domini  Ussoni  Gassani  expediatur,  et 
cum  eo  insimul  vadat  nobilis  vir  Catarinus  Geno  orator  noster 
designatus  ad  ipsum  dominum  ,  et  vadat  cum  infrascripta  com- 
missione. 

Nos  Christophorus  Maurus  Dei  grazia  dux  Venetiarum,  etc.  Co- 
mittimus  tibi  dilecto  civi  nostro  Gatarino  Geno  designato  oratore 
nostro  ad  illustrissimum  dominum  Ussonum  Cassanum,  ut  insimul 
cum  oratore  ipsius  domini  eos  ad  presentiam  ejus,  dirigendo  et  te- 
nendo iter  tuum  prò  majore  celeritate  et  securitate,  siculi  delibe- 
rabitur  et  imponetur  tibi  per  collegium  nostrum. 

Gonstitutus  ad  presentiam  prefati  domini  et  presentata  literis 
nostris  credentialibus,  facies  salutationes  hortationes  et  oblationes 
convenientes  et  honorificas  prout  iudicaveris  convenire  honori  et  di- 
gnitati  illius  domini,  et  nostri  dominj,  utendo  omnibus  illis  ama- 
bilibus  et  honorabilibus,  et  omni  significatione  benevolentiae  plenis 
verbis  que  intelliges  prefato  domino,  et  moribus,  ac  nature  gentis 
grata  esse.  In  primis  autem  gratulaberis  cum  excellentia  sua  de 
omni  prosperitate,  felicitate  et  propagatone  persone  et  imperij  sui , 
que,  quanto  prosperiora  et  feliciora  splendidioraque  sunt ,  tanto 
majorem  voluptatem  capimus ,  ut  decet  veros  et  bonos  amicos  ac 


109 

studiosos  illustrissimae  domili  suae,  amplificando  et  ornando  par- 
tem  istam  sicut  noveris  convenire  —  Subsequenter  expones  celsi- 
tudini suae  quod  cum  venisset  ad  nos  orator  suus  una  cum  nobile 
cive  et  oratore  nostro  Lazaro  Quirino  excepimus  et  vidimus  eum 
libentissime ,  audivimusque  summa  cum  jucunditate  quaecumque 
nobis  retulit,  nomine  illustrissimae  dominationis  suae,  ultra  literas 
suas  nobis  scriptas ,  quas  legimus  attentissimo  animo.  Et  omnia 
fuerunt  nobis  gratissima,  tum  propter  nostram  in  excellentiam  suam 
affectionem  et  benevolentiam,  tum  etiam  quia  cognovimus  disposi- 
tionem  et  propositum  suum  sapientissimum  faciendi  magnanime 
contra  istum  Ottomanum  comunem  hostem  immanissimum,  et  fidei 
violatorem  atque  fractorem,  ob  rationes  et  causas  precedentissime 
memoratas  et  per  dictum  oratorem  suum,  et  per  literas  excelentiae 
suae,  quum  provocata  et  lacessita  illustrissima  dominatione  sua  par- 
tim  perfidia,  partim  immoderata  libidine  dominandi  universo  orbi 
ottomani  ipsius  vendicare  se  disponat.  Quibus  quidem  causis,  nos 
etiam  quamvis  nostris  fìnibus  semper  contenti  viximus,  precedentibus 
multis  injuriis  et  occupatione  cujusdam  loci  nostri  in  Amorea,  in- 
ducti  et  coacti  sumus  capere  arma  et  terra  et  mari  resistere  insa- 
lali appetitili  suo  perdendi  omnes.  Qui  non  est  dubium  ad  alium 
non  vigilat,  quod,  superatis  nobis,  posse  expeditius  et  liberius  sequi 
cogitationes  et  designa  sua  in  provinciis  asiaticis,  in  primis  contra 
illustrissimam  dominationem  suam  et  alios  dominios  asiaticos,  cum 
ipse  fedifragus  nemini  fìdem  servet,  aut  juramentum  tentai.  Quin 
imo,  spreta  omni  fide,  violatoque  juramento,  multos  dominios  per- 
didit,  et  poenibus  delevit.  Sed  speramus,  auctore  Deo  optimo  maximo, 
cui  displicent  talia,  ac  procedente  excellentìa  vestra  magnanimiter 
et  potenter  sicut  decrevit,  et  prò  amplitudine  imperii  et  magnitudine 
virium  suum  merito  potest,  cogitationes  et  designia  ipsius  Otto- 
mani frustrabuntur,  nec  succedent  sibi  ut  putat.  Nam  et  nos,  prò 
viribus  nostris  maritimis  et  terrestribus  quas  auximus,  et  quotidie 
magis  augemus,  provocati  et  lacessiti  tot  et  tantis  iniuriis,  facie- 
mus  simul  et  semel  omnem  conatum  nostrum.  Et  hoc  modo  co- 
actus ,  continebit  ac  retrahet  se  induceturque  potius  timendisibi, 
et  dubitandi  de  exterminio  suo,  quam  inquietandi  et  infestandi  alios  et 
universum  orbem  sibi  promittendi  ;  cohortando  et  inanimando  excel- 
lentiam prelati  domini  ad  hoc ,  ac  omni  effìcatia  verborum  deco- 
rando sibi  optimam  nostram  dispositionem  et  promptitudinem  ad 
liane  rem,  et  impresiam  aggrediendam  et  conficiendam  insimul,  et  ani- 
mis  conspirantibus  invicem.  Et  prò  majore  reputatone  rerum  nos- 


410 

strarum,  ac  prò  accendendo  magis  excellentiam  suam,  commemo- 
rabis  et  foedusetligam  nostrani  cum  serenissimo  domino  rege  Fer- 
dinando Sicilie,  etc. ,  prò  defensione  statuum  nostrorum  contra 
dictum  Ottomanum,  tangendo  etiam  ad  propositum  tuum,  quod  non 
deficient  etiam  nobis  favores  summis  patris  nostri  et  aliorum  po- 
tenlatum  Italiae,  et  boc  prò  sicnritate  sua,  cum  omnibus  minitetur 
draco  iste  et  insatiabilis  serpens  fidei  fractor  et  dominorum  eversor. 

Dictis  et  expositis  rebus  predictis,  subiungere  te  volumus,  quod 
fieri  potest  pervenisse  ad  noticiam  excellentiae  suae  nos  misisse  ora- 
tores  nostros  prefatum  ottomanum.  Et  ut  omnia  inotescant  illustris- 
simae  dominationi  suae  eidem  notificamus,  quod  ante  adventus  ora- 
toris  sui  ad  nos,  jam  expediveramus  et  miseramus  ipsos  oratores 
nostros  ad  predictum  Ottomanum,  suasi  et  exhortati  ad  pacem  per 
personas  medias.  Quia  nescimus  quem  fìnem  habitura  sit  et  quando 
tamen  dieta  pax  sequeretur ,  non  restabimus  nihilominus  esse  ille 
boni  amici  et  studiosi  omnis  exaltationis  et  felicitatis  excellentiae 
suae,  sicutsemper  fuimuset  sumus,  nec  fìdem  unquam  capiemus  de 
eo  sicuti  eccellentia  sua  sapientissime  nobis  dici  fecit,  excusabi- 
tisque  nos,  quia  si  prius  venisset  orator  suus  et  magnanima  voluntas 
sua  nobis  innotuisset,  suprasedendum  curassemus  in  mitlendis  dictis 
nostris  oratoribus. 

Ad  propositum  tuum  ubi  melius  tibi  occurret  dices  prefato  do- 
mino, quod  si  distulimus  expedire  oratorem  suum  factum  est  ex 
multis  nostris  occupationibus  in  preparando  classem  nostrani  nu- 
nerosiorem  et  majorem  solito, et  in  mittendo  trans  mare  copias  no- 
stras  armigeras  et  alia  multa  necessaria  sicut  fieri  solet. 

Volumus  preterea  ,  ut  sub  literis  nostris  credentialibus  visitare 
debeas  nomine  nostro  illustrissimam  dominam  consortem  praefati 
domini ,  utendo  verbis  onorifìcis  et  convenientibus,  ac  commemo- 
randi antiquam  et  bonam  amicitiam  quam  semper  habuimus  cum 
serenissimo  imperatore  olim  genitore  suo,  offerendo  nos  etc,  ac 
inanimando  excellentiam  suam,  ex  substantia  hujus  nostre  com- 
missionis,  ad  exortandum  illustrissimum  dominum  consortem  suum 
ad  istam  impresiam  contra  turcum  sicut  semper  fecit,  et  per  literas 
suas  alias  de  his  nobis  scripsit. 

Posteaquam  autem  exposueris  hec  nostra  mandata,  et  steteris  apud 
prefatum  illustrissimum  dominum  per  aliquod  dies  sicut  tibi  melius 
videbitur,  ac  desumpta  tota  Illa,  informatione  et  minutiore  quam  ha- 
bere  et  intelligere  poteris  de  potentia  prefati  domini,  etate,  valitu- 
dine,  habilitate,  statu,  situ,  redditibus .  exercitibus,  confinibus,  vi- 


411 

cinis,  ac  demum  de  disposinone  et  voluntate  ipsius  domini  ad  istam 
impresiam,  et  quibuscumque  aliis  rebus,  que  merito  nostra  cogni- 
(ione  digne  et  alicujus  momenti  et  extimationis  judicaveris,  ita  ut 
reditu  tuo  possimus  capere  certiludinem  de  rei  ventale,  et  labor  ac 
impensa  istius  tuae  legationis  non  videatur  omnino  inutilis,  sed  po- 
tius  per  tempora  futura  fieri  possit  constructus  aliquis  de  rebus 
istius  domini,  nostra  intentio  est  ut  accepta  bona  et  grata  licentia 
a  prefato  domino,  revertaris  ad  prasentiam  nostram  bene  et  comu- 
latissime  inslructus,  aut  per  illam  celeriorem  et  securiorem  viam  que 
libi  videbitur,  aut  si  haberes  modum  veniendi  usquam  ad  marittima 
loca  cum  exercitibus  prefati  domini  quos  mittere  contra  loca  Turci, 
que  via  judicio  aliquorum  et  telior  et  tutior  foret ,  in  hoc  casu 
te  gubernabis  cum  omni  diligentia  et  studio. 

Et  ex  nunc  capturn  sit,  quod  praefactis  domino  et  consorti  suae 
fieri  debeant  et  miti  per  ipsum  nostrum  oratorem  duo  exenia  de 
panno  aurato  prout  videbitur  collegio,  et  oratur  ipsius  domini  hic 
existens  vestiatur  de  veluto. 

De  parte         74 

De  non  2 

Non  sincere      4. 

Ser  Aloysius  Donato  sapiens  ordinum,  vult  quod  differatur  expe- 
ditio  dicti  oratoris  donechabeatur  ab  oratoribus  qui  suntadTurcum 
litere  de  successu  rerum. 

De  parte    61 

Secreta  XXV.  Edid.  Gornet.  Le  guerre  dei  Veneti  neir Asia. Vienna, 
1856. 


DOCUMENTO   VII. 


T  Commissione  a  Caterino  Zeno. 
(1471,  die  IO  Septembris) 

Quod  viro  nobili  Catarino  Geno  oratori  ad  illustrissimum  domi- 
num  Ussonum  Gassanum  fìat  commissio  in  hac  forma. 
Christophorus  Mauro  dei  gratia  dux  venetiarum,  etc. 
Gommittimus  tibi  nobili  viro  Catarino  Geno  dilecto  civi  et  fideli 


112 

nostro,  ut  cum  passaggio  quod  tibi  deputavimus  in  Cyprum  te  con- 
feras  una  cum  oratore  illustrissimi  Domini  Ussoni  Gassani  et  inde  per 
ditionem  Garamani  accedas  ad  presentiam  supra  scripti  domini  Us- 
soni ,  orator  noster.  Cui  presentatis  literis  nostris  credentialibus 
lactisque  prò  more  salutationibus  et  oblationibus  sub  illa  quam 
ampliori  et  accomodatiori  verborum  forma  que  tibi  visa  sit ,  con- 
gratulare ampie  et  copiose  de  omnibus  victoriis  et  prosperitatibus 
suis  etdeacquisitione  ainplissimorumregnorum  suorum;  postea  ex- 
pones,  redijsse  ad  nos  superioribus  mensibus  virum  nobilem  Laza- 
rum  Quirinum  quem  ad  excellentiam  suam  miseramus  nostrum  ora- 
torem, et  secum  venisse  etiam  oratorem  suum,  tecum  presentialiter 
regredientem,  quem  intuitu  celsitudine  sue  alacriter  vidimus  et  su- 
scepimus.  Et  per  utrumque  eorum  intelleximus  optimam  illius  illu- 
strissimi domini  erga  nos  benevolentiam  et  animum  atque  inten- 
tione  valide  faciendi  contra  comunem  inimicum  ottomanum,  cuius 
insaciabilis  dominandi  appetitus  notissimus  est  non  solum  dominan- 
tibus  in  Europa  sed  etiam  in  Asia,  ubi  omnes  quos  potuit  dominus, 
oppressit  et  extinxit  nemini  servata  fide,  et  nulla  usus  humanitate 
vel  respectu,  modo  aliena  rapere  et  occupare  potuerit  indifferenter 
et  sine  ullo  penitus  discrimine.  Et  prò  benevola  in  nos  affectione 
celsitudini  sue  gratias  agas  amplas  et  uberes,  affìrmeque  quod  pari 
nos  ipsam  excellentiam  suam  benevolentiam  et  cantate  prosequimur. 
Dispositionem  autem  et  magnanimam  illius  voluntatem  contra  comu- 
nem hostem  lauda  et  extolle  cum  verbis  pertinentibus;  subiunge  lamen 
quod  si  distulimus  expedire  predictum  oratorem  suum,  et  te  etiam  mit- 
tere  ad  presentiam  excellentiae  suae,  in  causa  fuere  multe  maximeque 
occupationes  nostre,  et  multi  motus  qui  inter  christianos  excitati  sunt 
prò  insurgendo  unite  et  valide  contra  supra  dictum  ottomanum,  et  hoc 
loco  explica  et  narra  conventum  Ratisbone  habitum  perimperatoriam 
Majestatem,et  reliquos  principes  germanos,  et  deliberationem  agendi 
et  educandi  potenter  exercitum,  et  dispositionem  serenissimorum 
dominorum  regum  Polonie  et  Hungarie ,  confedèrationem  prete- 
rea  totius  Italie  prò  illius  quiete  et  unite  insurgere  possit,  et  no- 
strani cum  regia  celsitudine  ligam  et  intelligentiam  per  quam  ha- 
bemus  potentem  in  mari  classem,  et  babituri  proximo  anno  sumus 
galearum  ultra  centum  et  magni  numerum  navium ,  electionem 
novi  pontificis  ad  expeditionem  generalem  christianorum,  et  ad 
totalem  ex  Europa  expultionem  predicti  inimici.  Que  cum  ita  di- 
sposta sinthortaberis  excellentiam  suam  nostro  nomine,  ut  hac  occa- 
sione uti  velit,  et  cum  suis  viribus  ex  parte  Asiae  veniat  potentissi- 


113 

mus  sives  mittat  in  oppressionem  preclicti  inimici  qui  utriusque 
oppressus  et  distractus,  utriquam  partium  resistere  non  poterit,  sed 
ab  utroque  facile  superabitur  et  in  hanc  partem  te  diffunde.  Hor- 
tare  insta  et  sollicita  ut  se  movat  et  descendat  sive  mittat  in  oppres- 
sionem predicti  hoslis,  quum  hic  est  totiustue  commissionis  effectus 
et  fructus  qui  ex  tua  profectione  sperari  potest. 

Et  illic  differ,  et  ad  nos  scribes  et  omnia  declara  que  fueris  ope- 
ratus  et  que  futura  illic  sperari  debeat,  et  expecta  mandatum. 

Praticam  pacis  quam  cum  ipso  turco  habuimus  justifìca  et  de- 
clara quod  invitati  ab  eo  et  requisiti  de  pace,  misimus  oratores 
nostros,  sed  cognita  illius  insanabili  et  perfìdiora  ambitione  omnia 
rapiendi  et  dominandi  ubique  terrarum,  aspirantis  et  citra  et  ultra 
mare  ad  imperium  omnium  gentium  et  omnium  nationum,  et  cognita 
dispositione  dominorom  quos  supra  memoravimus  ad  conculcandam 
tantam  rabiamet  seviciem,  et  se  liberandum  ab  ista  peste,  cum  eis  po- 
tius  in  comunem  salutem  concurrere  voluimus,  quam  secum  ad  pacem 
devenire,  et  oratorem  nostrum  pace  infecta,  revocavimus.  Sicque 
persuadere  nitaris,  ut  excellentia  sua  in  suo  quod  nobis  per  ejus  ora- 
torem et  literas  propositum  declaravit  perseveret,  et  cum  reliquis 
dominis  hosti  suo  infensis  a  latere  suo  concurrat  in  illius  extin- 
tionem,  et  opulentissimis  regnis  suis  inferiorem  Asiam  adiungat,  et 
universum  dominatum  hostis  sibi  gloriose  vindicet.  Que  res,  preter- 
quam  quod  excellentissima  per  se  sit  erit,  etiam  firmamento  et  sta- 
bilimento universi  imperii  sui,  depulsa  comuni  lue  et  omni  remoto 
offendiculo  ad  totius  orientis  imperium. 

Scripsit  ad  nos  summus  pontifex ,  deliberasse  mittere  nuntium 
quempiam  suum ,  et  nos  beatitudini  suae  respondimus  et  suasi- 
mus  talem  missionem  ;  si  ita  fuerit,  tu  eris  cum  predicto  pontifìcio 
nuntio  et  secum  omnia  procura  et  solicita. 

Et  ex  nunc  captum  sit,  quod  prò  expeditione  dicti  oratores,  accipi 
debeant  ducatos  2000  auri  de  omni  loco  et  officio,  sive  mutuo  cum 
obbligatione  necessaria  quorum  500  auri  sint  prò  illius  provisione 
et  reliqui  prò  impensis. 

Et  supra  donis  faciendis  atquevestiendis  ethonorandis  oratoribus 
prefati  domini,  collegium  habeat  liberlatem  providendi  sicut  ei  vi- 
sum  fuerit  et  accipiantur  pecuniae  ad  id  necessariae  ab  officio  ra- 
tionem  veterum. 

Cum  fueris  in  ditionem  Garamani  illum  visita  nostro  nomine,  sub 
literis  nostris  credentialibus,  et  suade  atque  orteris  ad  faciendum 

8        Bollettino  Consolare,  Voi    III. 


Ili 

contra  Turcum,  et  pete  ut  ad  tuum  securum  transitimi  prestare  tibi 
placeat  omnes  favores  et  omnem  possibilem  commoditatem. 

Preterea  sei  tempo  et  camin  le  servirà,  visiterai  el  serenissimo  re  de 
Zorzanìa,  sotto  nostre  lettere  de  credentia,  quale  te  havemo  fato  dar 
e  dapoi  le  convenienti  et  debite  salutationper  parte  nostra  facte,  lo 
exhorterai  et  Marnerai  con  quelle  parole  convenienti  et  idonee  che 
a  la  prudentia  tua  aparerà  a  questa  impreza. 

De  parte     ...     69 

Ser  Jacob  Lauredanus  procurator,  ser  sapientes  consilii,  ser  Fran- 
ciscus  Michael  sapiens  ordinum,  volunt  commissionem  per  totum, 
sed  loco  verborum  positorum  inter  duo  in  primo  capitulo,  volunt 
verba  infrascripta:  verum  transacto  yeme,  si  prefactus  dominus  se 
preparet  prò  veniendo  aut  mittendo  exercitum  contra  Turcum,  tu 
illic  differ  et  sollicita  expedictionem  et  scribe  atque  expecta  man- 
datum  ;  si  vero  postquam  ver  adveneris  videres  prefactum  dominum 
non  se  movere,  aut  aliter  rem  dispositam  quam  suaserit ,  tu  accepta 
bona  licentia  redeas  ad  presentiam  nostrani. 


De  parte    .     . 

.    49 

De  non      .     . 

.     11 

Non  sincere    . 

4 

Secreta  XXV.  Cornei.,  Op.  cit. 


DOCUMENTO    Vili. 


Magnarum  Provinciarum  caput,  et  Dominorum  Provinciarum  Prin- 
ceps,  ac  etiam  omnium  illustrium  dominationum,  Domino  magno.... 
augeat  felicitatem  tue  Serenitati  certum  et  manifestum  est  nec  po- 
test  aliquis  lantani  magnitudinem  tuam  exaltare ,  seu  extollere , 
quantum  decet  et  tibi  conveniens  est. 

Sumus  nos  tibi  amicitia  et  dilectione  conjuncti  nunc  et  propter 
ut  prius  etantea  eramus,  nec  aliquid  in  corde  nostro  fictum  aut  si- 
mulatimi cogitamus. 

Et  dignum  est Oratores  et  nuntii  tui  apud  nos  continue  esse 

debeant  et  de  occurrentibus  nos  teneant  certiores.  Vos  autem,  si  de 


115 

nobis cupistis,  adepti  sumusDei  gratia,  ea  que  numquam  animo 

cogitavimus,  nec  aliquo  modo  speravimus,  nisi  Provinciam  Babilo- 
niae,  Amasiae,  Adicabageis  et  omnia  quae  continentur  in  eis,  et  fe- 
cimus  nobis  ea  subjecta,  et  possidemus  usque  ad  parles  Romaniae 
seu  Greciae,  et  non  violentia  et  viribus,  sed  benignitate  et  equi- 
late,  et  omnes  perlìdos  inimicos  confundimus,  laus  et  gloria  altis- 
simo Deo. 

Eratunus  solum  qui  nobis  aliquantulum  adversabatur,  hi'c  etiam 
sponte  humiliatus  ad  nos  venit,  et  largiti  sumus  ei  dominium  de 
Corassan ,  laudetur  Deus,  incessanter.  Sultan  Cassan  Baicona  est 
nornen  istius  domini  Corassan.  Restat  nune  alius  secundus  Sultan 
Greciae  sive  Romaniae,  qui  inimicum  facundus  et  magnus,  presen- 
tim  super  Caramanos,  quibus  veteri  et  antiqua  amicitia  conjuncti 
sumus.  Ipsi  Garamani  venerunt  ad  nos  supplices  usque  ad  provin- 
ciam Azimie,  quibus  visis,  subito  venimus  in  Tauris,  inspeximus  super 
negotia  eorum,  et  cognovimus  quod  ipsi  proprii  malorum  suorum 
causa  fuere.  De  principio  nostre  lune  Rabemel  sive  Juli  1472  ad 
partes  eis  propinquiores  iter  faciemus.  Multa  et  alia  in  presenti 
dicere  sumiturus,  que  hic  medicine  Doctor  noster  ad  le  in  sermone 
prudens  mittimus ,  magnus  medicus  Isaac  fidelis  in  quem  magnam 
fidem  habemus  oretenus  tibi  omnia  de  mandato  nostro  sufficienter 
narrabit,  et  quecumque  pacta  intrinseca  et  secreta  cum  eo  tracta- 
bitis  et  ipsa  suum  habebimus  rata  grata  et  firma,  tamquam  si  ad 
componenda  ea  presentes  essemus, 

Datum  in  principio  lunae  Rabemel  sive  Julii,  anno  Maumethi  877 
secundum  cursum  nostrum. 

A  tergo. 

Magnarum  Provinciarum  domino,  et  principi  civitatum  venetorum 
testo  Deo  augeatur  felicitas  vestra,  magnitudo  vestra,  excellentia 
vestra,  q.  nota  est  omnibus  cum  sit  propter  famam,  et  hoc  dico  bono 
corde  propter  amicitiam  quam  habemus  et  sumus  nos  firmati  in 
aliquo  fundamento  vobiscurn  veteri  et  antiquo,  et  dignissimum  est 
quod  litera  tua  oratores  et  nuntii  apud  nos  continue  esse  debeant  ut 
de  occurentia  continue  avisemur. 

Copia  de  una  lettera  scripta  da  Uzunhasan  al  Doxe  nostro  nel- 
l'anno U72. 

Marino  Sanudo,  Cronaca  ms,  nell'Archivio  Cicogna. 


H6 

DOC11IKYTO    IX. 


Commissione  a  Giosafat  Barbaro,  ambasciatore  veneto  in  Persia. 
1473  (147-2  m.  v.)  28  Januarii. 

Quod  ser  Josaphat  Barbaro  oratori  designato  ad  ili. munì  domi- 
nimi Ussonum  Cassanum  fiat  haee  commissio. 

Nicolaus  Tronus  Dei  gratia  Dux  Venetiarum,  ect.  Commitimus  tibi 
nobili  viro  Josaphat  Barbaro  dilecto  civi  et  fìdeli  nostro,  ut  vadas 
orator  noster  ad  ill.mum  et  potentissimum  dominum  Ussanum  Cas- 
sanum, etcum  duobus  galeis  que  subito  expeclite  erunt,  insieme  cum 
lì  ambassadori  del  summo  pontefice  e  della  maestà  del  Re  e  cum 
Azimaemeth  ambassador  di  esso  ill.mum  Signor,  tu  te  parti  et  recta 
el  solicita  navigatone  te  conferissi  in  Cipri,  per  lo  principal  luogo 
dove  habiate  a  smontar,  per  intender  cum  verità  i  progressi  del  pre- 
dicto  Signor,  e  dove  la  persona  et  esercito  suo  se  trova,  per  pigliar 
più  certo  partito  al  seguro  transito  vostro  per  esser  alla  prexentia  soa. 

In  questa  andata  toa,  ritrovandote  cum  el  capitan  nostro  zeneral 
da  mar  et  proveditori  conferirai  cum  loro,  e  daragli  notitia  de  la 
cauxa  de  questa  ambassada  et  forma  de  questi  nostri  comandamenti, 
et  de  le  munition  et  altre  cosse  deliberate  mandar  per  nui  a  quel 
Signor  come  tu  sai  esser  nostra  volontà  con  effecto.  Non  te  tro- 
vando con  el  predecto  capitan,  lassa  al  nostro  rezimento  de  Modon 
la  copia  de  questa  commission  sigillata,  perchè  al  ritorno  li  del  ca- 
pitan la  ghe  sia  presentata  per  soa  perfecta  intelligentia. 

Zonto  in  Cipri,  visiterai  per  nostro  nome  et  soto  nostre  lettere 
de  credenza  quel  serenissimo  signor  re,  et  farai  le  consuete  e  be- 
nevoli salutation  et  ampie  offerte  come  si  convien  a  lo  amor  et  mu- 
tua nostra  convention  cussi  antiqua  cum  suo  ili. mi  progenitori,  come 
molto  più  strecta  et  valida  per  la  nova  parentela  et  affinità  contracta 
con  la  Signoria  nostra.  Visiterai  etiam  et  honorerai  la  serenissima 
regina,  con  lettere  de  credenza  et  con  ogni  significazione  de  nostra  di- 
lection  verso  de  quella  per  accresser  tanto  la  soa  reputation  appresso 
tutti  quando  da  tutti  sia  intexo  l'amor  et  extimation  nostra  de  quella 
et  del  suo  felice  zonzer  in  Cipro,  et  alégrate  cum  el  re  et  cum  lei.  Da 
poi  queste  bone  et  zeneral  parole  darai  al  predetto  re  avixo  de  la 
causa  de  la  andata  toa  e  de  li  altri  ambassadori  pontificio  et  regio 


t17 

al  signor  Usson  Cassan,  per  visitarlo  honorarlo  confermarlo  in  suo 
proposito  et  già  tolta  l'imprexa  contra  l'Ottoman  et  inflamarlo  a  se- 
guir sino  in  ultimo  exitio  del  soprascripto  comun  nimicho  ;  et  an- 
che li  significherai  che  la  deliberation  nostra  de  potentissima  ar- 
mata futura  molto  più  per  tempo  dell'uxalo,  et  cussi  nostra  come 
de  la  maestà  del  re,  et  non  se  dubita  che  el  summo  pontefice  farà 
anche  lui  prò  viribus  ampliando  questa  parte  d'armata,  modesta 
però  et  gravemente  sicché  l'appari  più  verità  che  ostentation.  Di- 
chiarali anche  el  mandar  che  nui  femo  de  bombarde  grosse  e  me- 
zane,  spingarde,  schiopeti,  polvere  et  altra  munition  et  artiglieria, 
bombardieri,  schiopeltieri  et  inzegnieri  per  satisfar  a  le  requisitioni  del 
prefato  signor,  et  ajutar  a  favorir  l'imprexa  soa.  Da  poi  queste  notifica- 
lion,  perchè  optimamente  te  servirà  el  proposito,  conforta  e  rechiedi 
efficaze  etinstantementela  predicta  maestà,  che  lui  armi  etexpedischi 
le  sue  galie  quante  più  lui  pò,  azochè  unite  con  le  altre  de'  cristiani 
e  separatamente  come  meglio  e  più  utile  dell'imprexa  fosse  indicato, 
possino  esser  preste  in  favor  de  cussi  utile  comune  e  salutifera  a 
tuti  expeditione,  facendoli  intender  questo  esser  el  tempo  et  unicha 
occaxion  de  soa  liberation  et  perpetua  tranquillità,  extinguendosi 
l'incendio  che  non  solamente  a  tulo  levante,  ma  tuti  cristiani  ma- 
nazava  ultima  consumptione,  e  da  li  amici  vicini  non  si  pò  spe- 
rar se  non  raxonevolmente  ogni  comodità  et  bene,  mancandoli  spe- 
cialmente el  modo  e  la  occaxion  dell'offender  tale  quale  ha  questo 
rabioxo  et  potentissimo  serpente  :  et  in  questa  per  inanimar  et  in- 
dur  la  predecta  maestà  ad  ogni  provision  et  sussidio  da  esser 
prestato  in  opposito  de  loinimicho  et  in  favor  del  sopra  scripto 
ill.mo  sig.  Usson  et  soi  adherenti,  fané  ogni  efficace  istantia. 

Capitato  a  Rhodi  visiterai  el  gran  maestro  sotto  nostre  lettere  de 
credenza;  et  post  generalia,  dali  avixo  de  la  caxon  de  l'andata  toa, 
deli  altri  ambasadori  ut  supra,  et  de  tutti  li  preparativi  predicti, 
suadi  et  indù  (muovi)  soa  reverendissima  signoria  a  lo  armar  le 
galie  quatro,  che  lui  è  obligato  per  vigor  de  la  liga  cum  la  maestà 
regia  et  cum  nui,  et  mandarle  al  capitan  nostro,  et  al  prestar  ogni 
subsidio  et  favor  a  F  imprexa  del  sopra  scritto  excellentissimo  si- 
gnor, per  comun  bene  de  tuti  cristiani  e  de  la  soa  reverendissima  si- 
gnoria e  soa  religion  che  sono  più  che  molli  altri  vicini  al  pericolo; 
e  bixognando  al  predecto  signor  alguna  sovention  de  bombarde  e 
munition  oltre  quelle  mandemo  nui,  li  piaqui  suvenirlo  perchè  si 
come  nui  li  avemo  per  più  lettere  scritto,  tutto  semo  contenti  re- 
stituirli. 


418 

Nui  non  podemo  indivinar  dove  se  ritrova  la  persona  et  exercito 
del  soprascritto  illustrissimo  signor,  né  in  che  termini  serano  le, 
cosse  al  zonzer  tuo  in  Cipro,  e  però  non  podemo  darte  in  coman- 
damento che  tu  faci  più  una  via  che  un'altra,  né  pigli  più  uno  par- 
tito che  un  altro  per  essere  a  la  presentia  soa,  ma  tolta  quella  infor- 
mation  dei  luoghi  cammini  e  muodi  de  lo  andar  che  necessario  sia 
1'  è  de  nostro  desiderio  et  intention  che  quanto  più  presto  sia  pos- 
sibile tu  te  si  trovi  à  la  presentia  de  soa  celsitudine,  e  se  per  la 
condition  de  le  vie  e  segurtà  de  lo  andar  potrai  condur  o  tuli  o 
parte  dei  prexenti  che  nui  avemo  deliberato  mandar  et  tuttavia  se 
preparano  et  serano  subitamente  dietro  de  ti  in  Cipro,  molto  ne 
sarà  grato  per  più  honorificentia  de  Pambassata  toa;  quando  ch'anno 
lassali  quelli  in  la  galia  in  Cipro  non  differir,  né  inspazar  per  que- 
sto l'andata  toa  anzi  più  presto  che  tu  poi  valene  et  zonto  con  l'a- 
juto  di  Dio  dove  sia  la  persona  del  soprascritto  ill.mo  signor  con- 
ferissi subitamente  con  el  nobil  homo  ser  Chatarin  Zen  ambas- 
sador  nostro,  e  da  lui  tuo  ogni  piena  information  e  distinto  avixo 
del  numero  de  lo  esercito  e  de  la  disposition  del  signor  e  de  le 
cosse  seguite  fino  quel  hora  che  a  te  non  fossero  note  et  de  ogni 
altra  occorrentia  et  cossa  pertinente  la  materia,  azochè  perfecta- 
mente  informato  più  apertamente  tu  possi  e  proponer  e  risponder 
e  parlar  quanto  sia  expediente. 

Serai  a  la  presentia  del  prefato  illustrissimo  signor  quando  pa- 
rerà à  la  soa  sublimità  de  udire  te,  e  porle  le  lettere  nostre  de 
credenza  e  i  prexenti  segondo  l'uxansaloro,  se  quelli  o  parte  come 
havemo  dito  di  sopra  tu  haverai  potuto  condur  cum  ti,  se  non 
farai  la  scuxa  necessaria  e  darai  modesto  avixo  de  la  partita  de 
quelli  e  del  esser  lassati  per  ti  in  Cipro  o  tuti  o  lo  resto  et  con- 
durase  a  la  presentia  soa  quando  per  la  condition  de  le  vie  se  pos- 
sino  condur.  Saluta  da  poi  conforta  et  offerissi  a  la  soa  sublimità, 
cum  ogni  amplitudine  e  reverentia  de  parole,  e  si  come  a  ti  è  ben 
noto  esser  de  consuetudine  de  simel  signori. 

Subzonzi  da  poi  esser  stato  a  la  presentia  nostra  i  mexi  passati 
Isach  hebreo  medicho  et  ambassador  del  prefacto  illustrissimo  si- 
gnor, che  vene  per  la  via  di  Caffa  e  molto  fo  longo  e  tardo  el  venir 
suo  per  le  difficoltà  e  impazi  occorsoli  in  chammino  si  come  lui 
expone,  e  per  soa  relation  intendesemo  la  magnanima  disposition 
volontà  de  la  prefata  celsitudine  del  moversi  evenir  contro  POlhoman 
comun  et  universal  inimicho  de  tuti,  per  vindicar  tante  inzurie  e 
spoglie  facte  injuste  et  inhumanamente  a  tanti  signori. 


119 

Questo  stesso  pochi  dì  dipoi  ci  confermò  lo  effecto  de  la  cossa 
eia  effectual  mossa  de  esso  excellentissimo  signor,  dechiarilane  per 
lettere  del  nostro  ambassador  ser  Ghatarino  Zen  et  per  relation  de 
agì  Mohamrned  ambassador  de  sua  sublimità,  e  pegli  elfecti  et  successi 
istessi,  la  qual  mossa  et  imprexa  come  degna  de  sempiterna  e 
immortai  laude  e  gloria  cussi  era  al  tuto  necessaria,  et  sera,  Deo 
bene  juvante,  fructuoxa  et  felicissima,  laudabile  et  glorioxala  fa  la 
grandeza  et  excelenza  de  quella,  necessaria  le  ambitiose  crudel  et  in- 
saciabel  condilion  et  appetiti  de  lo  inimicho  che  in  ogni  occasion  et 
comodità  li  fosse  intravenuta  non  haria  havuto  più  riguardo  a  la 
soa  sublimità  et  a  suoi  figlioli  de  quello  lui  ha  avuto  a  tanti  signori 
quanti  per  forza  parte  e  parte  per  ingano  e  perfìdia  ha  privi  de  stati 
suoi  e  facto  mal  capitar,  fructuoxa  per  lo  acquisto  de  nuovo  regno 
et  imperio  ampio  et  grande  per  se,  firmamento  e  stabilimento  de  li 
altri  già  acquistati  e  posseduti  regni  a  suoi  figliuoli  e  nepoti  in  per- 
petuum,  felicissima  sera  senza  dubio  perla  justicia,  bontà  etcomulata 
virtù  del  prefato  illustrissimo  signor,  el  qual  Dio  ha  electo  et  depu- 
tato repressor  de  tanta  tirrannide  et  vendicator  de  tante  injurie, 
spolie  e  crudeltà,  et  libertà  de  tanti  afflicti  signori  populi  e  zente. 
Et  già  ha  dimostrato  Dio  in  questo  principio  del  suo  mover  signo 
de  futuro  felice  exito,  imperocché  come  per  via  intrinseca  e  fami- 
gliar de  lo  inimico  semo  facti  certi  tanto  è  lui  e  tutta  soa  zente 
impaurita  et  spaventata,  che  per  ogni  modo  se  reputano  vinti  e 
superati  el  prefato  excellentissimo  signor  vincitor  et  dominator  , 
che  suol  esser  infallibel  argumento  e  segno  de  quello  de  esser 
uno  cussi  universal  presagio  e  quasi  certo  inditio  de  la  mente 
de  ognuno.  Con  queste  e  tutte  altre  parole  e  raxon  persuaxorie 
et  efficazi,  laudata  et  exaitata  la  sua  glorioxa  imprexa  et  proposito, 
quanto  più  tu  puoi,  cerca  de  confermarlo  et  inflamarlo  in  essa,  et 
così  nel  primo  congresso  et  audentia  come  a  la  zornata  in  tuli  li 
conferimenti  e  raxonari  te  occorrerà,  dove  accomodamente  et  in 
proposito  tu  possi  farlo. 

Dapoi  suzonzi  che  per  l'uno  e  l'altro  ambassador  de  soa  celsitu- 
dine, zoè  per  lo  primo  Isach  medicho  e  poi  per  agi  Mohamrned  nui 
semo  stati  richiesti  per  nome  de  soa  celsitudine  al  far  bona  guerra 
dal  canto  nostro  a  lo  inimicho.  perchè  così  lui  desponeva  de  far  e 
faria  dal  suo,  et  a  subvenir  e  favorir  V  impresa  soa  de  potente  ar- 
mata, de  bombarde,  bombardieri  che  quelli  sappia  far  et  exercitar, 
de  spingarde  e  schiopetti  et  altre  necessarie  munition  et  artiglierie, 
le  qual  tute  cosse  con  grandissima  soleciludine  havemo  disposto  et 


420 

preparato  de  far.  Et  comenzando  da  la  guerra  ricorda  a  soa  subli- 
mità, nui  esse  stati  in  quella  anni  X,  et  esser  continuamente  deli- 
berati de  proseguirla  et  sostenirla  insieme  con  lui,  fino  in  ultimo 
fine  et  exidio  de  lo  inimicho,  el  qual  come  qui  de  soto  diremo  ha 
cum  nui  cerchato  cum  multa  instantia  et  promesse  la  pace  e  nui 
per  far  come  havemo  dito  et  cercar  insieme  con  la  prefata  celsitu- 
dine havemo  refutata,  e  con  tutte  le  forze  nostre  non  solum  ma- 
ritime  ma  etiandio  terrestre  per  tutto  dove  con  lui  nui  confinemo 
lo  offendemo  e  guerrizemo,  e  più  che  mai  lo  faremo  confortando  et 
inducendo  luti  li  suo  vicini  ad  offenderlo  e  li  subditi  a  subleva- 
tion  et  rebellion. 

Da  mar  veramente  credemo  esser  venuto  a  noticia  del  prefato 
illustrissimo  signor  in  quanti  luoghi  questa  estate  passata  l'armata 
de'noslri  collegati  et  nostra  habia  infestato  tuta  la  marina  de  la 
Natòlia,  saccomanato  e  brusato  luoghi  assai,  aspeclando  lo  appro- 
ximar  de  la  soa  celsitudine  per  aiutarlo  a  lo  acquisto  dei  luoghi 
de  lo  inimicho;  l'inverno  veramente  essendo  uxanza  disarmar  buona 
parte  de  l'armata  per  manco  spexa  e  poi  a  tempo  novo  instaurarla; 
questo  inverno  sperando  -soa  sublimità  potesse  esser  più  vicina  a 
le  marine  per  poter  far  quanto  ne  ha  richiesto,  havemo  tenuto 
fuori  la  mazor  parte  de  quella,  e  de  novo  armato  e  multiplicato 
il  numero  de  le  galie  nostre,  e  lutavia  armemo  e  mandemo  fuori 
sì  che  molto'  più  per  tempo  del  uxato  quella  sarà  suxo  Timprexa 
presta  ad  ogni  favor  de  soa  celsitudine  dove  sia  più  necessario. 
L'armala  veramente  del  serenissimo  signor  re  Ferando  già  semo 
avixati  essere  per  la  più  parte  in  ordine  sicché  in  quello  istesso 
tempo  se  conzonzerà  con  la  nostra  et  similiter  non  dubitemo  farà 
el  sommo  Pontefice,  la  optima  mente  e  disposition  de  entrambi 
i  qual  intenderà  la  prefata  celsitudine  per  ambassador  de  loro. 

De  le  bombarde,  maestri  e  spingarde  e  tutte  altre  munilion  de- 
chiara al  prefato  excellentissimo  signor  el  numero  de  tutte  cosse 
e  de  li  maestri  e  schiopetieri  apti  et  experti  per  poter  mostrar 
a  de  li  suoi  che  se  adaptano  a  simil  exercitio,  che  prestamente 
se  comprende  et  impara,  et  in  pochissimi  zorni  tanti  se  ne  farà 
experti  et  apti  quanti  vorrà  soa  signoria,  bona  parte  de  le  qual 
cosse  havemo  voluto  che  vedi  l'ambassador  suo  agì  Mohammed  car- 
gar  sopra  la  galia  grossa,  che  per  condur  diete  munition  tutavia 
se  arma  e  subito  sera  driedo  de  vui  in  Gypro  e  con  quella  anche 
li  prexenti,  sicché  potrai  affirmar  al  soprascripto  signor  tutto  esser 
in  levante  a  suo  ordine  et  comando ,  e  non  esser  da   tardar  la 


121 

venuta  soa  a  le  marine  per    occupar   et   redur  in  soa  podestà  i 
luogi  de  lo  inimicho. 

Per  tute  queste  cosse  zoè  de  guerra  da  terra  et  armata  con- 
tinua grossissima  de  munition  preparate  et  mandate  dechiara,  nui 
non  esser  manchati  da  spexa  et  incredibil  summa  de  danari,  né 
esser  per  manchar  per  el  continuar  l'imprexa  a  far  tuto  quello 
pò  le  forze  nostre  in  le  cosse  soprascripte  per  satisfaction  compita 
de  luto  quello  che  per  l'uno  e  per  l'altro  de  suoi  ambassadori 
senio  stati   richiesti 

Isach  medicho,  primo  ambassador  suo,  ritornato  da  Roma  e  an- 
dato per  sua  deliberation  et  per  nostro  conforto  item  al  serenis- 
simo re  di  Hungaria  per  iterum  suaderlo  et  confortarlo  a  far 
animoxa  et  potentemente  contra  al  commi  inimicho,  apresso  el  qual 
re  imi  etiam  tenimo  uno  nostro  secretano  per  tal  effecto,  et  per 
instesso  Isach  li  havemo  scripto  et  commesso  intorno  a  zò  aperta- 
mente et  cussi  speremo  dicto  serenissimo  signor  re  esser  per 
fare,  la  gente  del  qual  che  sono  in  Belgrado  in  questi  proximi 
zorni  corseno  in  Servia  e  feceno  grandissima  preda  et  assaltate 
nel  ritorno  dal  presidio  del  inimicho  furono  alle  mani,  et  sono  roti 
et  tagliati  a  pezzi  la  major  parte  de  li  nemici,  parte  prexi  e  molto 
pochi  fugiti,  se  reduseno  i  Ongari  a  Belgrado  cum  la  preda  e 
cum  la  Victoria;  siche  lo  inimico  è  per  haver  da  ogni  canto  e  da 
ogni  parte  stimulo  e  molestia  tale  che  impossibel  al  tutto  li  sarà 
poter  resister  a  tanti.  E  descendendo  el  prefato  excellentissimo 
signor  cum  tanta  potentia,  se  po'  reputar  lo  inimico  doverli  più 
presto  occorrer  et  esserli  certissima  preda  cha  contrasto.  De  la 
qual  suo  ruina  avedendosene  lui  come  astuto  et  intelligente,  ha 
cum  nui  ricercata  la  paxe,  in  do  luoghi  di  nostri  mandalo  suo 
ambassadori,  l'uno  a  Gorphu  come  ve  è  noto,  l'altro  a  Settari 
persone  mollo  honorate  e  non  ha  havuto  per  inconveniente  né 
a  smachamento  de  sua  reputatane  et  cum  ampie  et  larghe  offerte 
de  optime  et  honorevol  condition  per  nui.  A  l'uno  e  a  l'altro  di 
quei  ambassadori  havemo  fatto  dar  licenlia  et  in  tuto  recusala  ogni 
sua  practica,  et  molto  più  ogni  conclusion  per  essere  cum  quello 
excellentissimo  signor,  cum  lo  qual  senio  collidati  uniti  e  streti 
per  la  sua  justizia,  bontà  et  virtù  per  le  condition  de  lo  inimicho 
comun,  et  indifferente  a  lui  et  a  nui  et  ad  ognun  a  chi  el  possi 
nuocer  per  l'insaciabel  suo  appetito,  per  la  condition  de  la  guerra 
et  aptitudine  de  farla,  lui  da  uno  canto  per  terra,  nui  principal- 
mente da  mar,  che  come  l'uno  da  l'altro  po'ricever  a  tal  imprexa 


\n 

grandissimo  favor  et  aiuto,  cussi  se  existima  impossibile  che  lo 
inimico  a  tutti  do'insieme  possi  resister,  e  non  li  sia  necessario 
sucumber  per  ogni  modo,  et  esser  come  havemo  dito  certissima 
preda  et  triumpho  del  prefacto  illustrissimo  signor. 

Non  ce  ha  parso  adonque  dar  orrechie  a  sue  proposte  et  offerte, 
perchè  el  non  se  perdi  retardi  o  impazi  la  perfection  de  la  vo- 
luntà  de  Dio,  de  la  qual  esso  illustrissimo  signor  è  veramente 
costituito  executor  et  ademptitor.  Questo  volemo  che  tu  dichiari 
a  soa  sublimità,  perchè  se  forsi  altramente  fosse  de  dieta  pratica 
divulgato,  lui  sapia  el  vero,  e  non  presti  fede  a  le  arti  ed  astucie 
del  inimicho,  el  qual  non  dubitemo  ponto  che  cum  el  re  d'Hun- 
garia  et  cum  altri  christiani  bavera  tentato  e  tenterà  de  apaxarsi 
e  componerse.  Ma  da  tutti  tenimo  sarà  repudiato  come  è  stato  da 
nui,  e  per  lo  exempio  nostro  e  per  esser  ognuno  erecto  contra  lui  et 
aspettar  la  opportunità  del  vindicar  le  ricevute  injurie  e  liberarse 
da  la  soa  continua  formidine.  E  benché  lui  habia  ricevuta  da  nui 
repulsa  e  così  credemo  riceverà  da  altri  per  le  raxon  predecte  niente 
de  mancho  astuto  e  malitioxo  ha  forsi  facto  e  farà  divulgare  l'oposito 
per  favorir  con  bosìe  el  facto  suo,  come  anco  dal  canto  nostro  lui 
fa  divulgar  essere  in  paclica  de  pace^cum  quel  signor  et  esser  in  sua 
libertà  haverla.  La  qual  cossa  nui  non  havemo  mai  creduta  ne  cre- 
demo per  niente  per  la  prudenlia  singulare  et  magnanimità  de  la 
celsitudine  sua  la  qual  non  vorrà  tuor  a  se  stesso  l'imperio,  e  desi- 
ster da  cussi  gloriosa  et  certa  Victoria  et  triumpho,  per  lassar  a  di- 
scretion  de  lo  inimicho  tutta  la  sua  posterità,  e  de  tal  inimicho  cru- 
delissimo et  immanissimo  che  mai  non  ebbe  né  servò  fede,  né  Im- 
manità ad  alcuno,  testimonii  tanti  signori  cazati,  lacerati  e  dissipati, 
el  qual  quanto  più  cresce  et  più  se  firma  in  la  potentia  et  dominio 
suo  tanto  è  più  a  tuti  formidolosa  e  più  pericolose  le  condition  de 
ogni  suo  vicino.  Questa  parte  nui  volemo  che  tu  esponi,  dechiari  et 
manizi  cum  ogni  dexterità  et  efficatia,  sì  che  la  serva  et  a  la  manife- 
stalion  de  la  verità  per  quanto  nui  havemo  facto  in  la  materia  de  la 
pace  come  el  Turco,  et  in  dissuader  et  abalienare  l'animo  de  esso 
signor  in  tutto  e  per  tutto  da  simil  mention  et  fantaxie  de  paxe. 

Tuta  questa  toa  exposition  et  ambassata,  ed  ogni  altra  cossa  oc- 
corrente fa  e  tracta  insieme  cum  el  nobel  homo  ser  Gatharin  Zen 
nostro  ambassador  essendo  lui  apresso  quello  illustrissimo  signor,  sì 
ch'el  pari  per  la  vostra  union  una  ambassata  e  non  più,  per  l'honor 
de  la  nostra  signoria  e  de  le  persone  vostre,  et  per  più  utilità  de  la 
materia,  quando  lui  fosse  lontano  fa  et  eseguisci  tu  solo. 


123 

Cum  li  ambassadori  pontifìcio  et  regio  comunicherai  et  questi 
nostri  comandamenti  et  per  zornata  ogni  occorrente  materia,  sì  che 
loro  a  ti,  e  tu  a  loro,  e  tuli  insieme  dagate  a  le  facendo  Christiane  et 
comune,  ogni  favor  caldo  et  reputalion. 

Zonti  veramente  in  Cypro  sei  predecto  illustrissimo  signor  fusse 
anchor  tanto  lonlan  da  le  marine,  e  le  vie  si  precluse  et  impedite, 
ch'el  passar  vostro  fosse  o  impossibile  opericuloso  et  però  tardo,  Tè- 
de nostra  intention,  che  per  quelli  miglior  modi  et  mezzi  che  a  ti  sia 
possibile  de  ritrovar,  et  per  el  mezzo  de  la  maestà  del  re  de  Cypro, 
e  per  ogni  altra  vìa,  tu  mandi  al  nobel  homo  Catharin  Zen  le  lettere 
che  nui  li  scrivemo  le  qual  te  havemo  fato  dar  multiplicate  perchè 
per  più  diversi  messi  tu  le  mandi  azò  che  malcapitando  alguno,  le 
altre  pervenghino  a  le  sue  mani,  e  tu  anche  per  quelli  istessi  messi 
scrivili  del  tuo  zonzer  in  Cypro  insieme  cum  li  altri  ambassadori,  e 
dali  particular  avvixo  de  tuti  i  preparamenti  fati  per  nui  e  mandati 
e  zonti  cum  ti  in  Cypro,  e  cussi  fa  che  agì  Mohammed  scriva  e  replica 
anche  lui  ingrossando  et  ampliando  ogni  cossa  per  ben  de  la  ma- 
teria e  perchè  quel  signor  se  inducili  a  presto  descender  et  poter 
uxar  le  munition  mandate  et  subsidii  li  sarà  per  dar  l'armata  Chri- 
stiana. E  se  quando  serai  cum  e^capetanio  nostro  zeneral,  lui  havesse 
de  mandar  qualche  uno  per  qualche  altra  via,  et  similiter  in  Rodi 
qualche  uno  altro,  volemo  ch'el  si  mandi,  et  che  anche  per  ti  se 
scrivi  come  è  dito,  e  facci  simel  ad  agì  Mohammed,  azò  che  per  ogni 
modo  el  predicto  illustrissimo  signor  habbia  avixo  del  zonzer  vostro 
e  dei  preparatorii  facti  et  spedicti  et  zonti  in  Levante  a  suo  ordine 
et  disposition.  Et  parendoti  mandarli  qualche  fidato  messo  o  messi 
senza  lettere  oltra  quelli  mandasti  cum  lettere  et  cum  qualche  con- 
segno de  parole  sì  che  ser  Catharin  cognoscesse  esser  veri  tui  nun- 
tii  e  potesse  darli  fede  per  la  notitia  del  consegno  che  satisfesse 
in  luogo  de  lettere  de  credentia,  volemo  che  tu  li  mandi.  Et  breviter 
fa  ogni  experientia  e  non  lassar  né  da  quanto  te  havemo  ricordato,  né 
che  a  ti  paresse  utile  et  possibile,  cosa  alguna  o  modoalgun  inexperto 
per  far  intender  a  quel  signor  el  vostro  esser  in  Cypro  cum  tute  le 
cosse  predicte,  e  l'armata  esser  prestissima  come  havemo  dito.  E 
perchè  solamente  questa  noticia  da  esser  data  per  le  messi  zudichemo 
utile  et  necessaria,  ma  etiandio  la  pubblica  fama  et  dimoslration  de 
le  cosse  predicte  perchè  per  quella  venga  anche  a  noticia  de  quel 
signor  e  de  li  amici  soi  Caraman  et  altri,  volemo  che  non  solamente 
ne  avixate  dicto  signor  Caraman  et  altri,  ma  cum  le  galie  a  vui  de- 
putate che  sono  do,  volemo  che  vui  ve  redugè  verso  i  luoghi  e  marina 


424 

del  dicto  Garaman  possandolo  far  seguramente  dandoli  avixo  del 
vostro  esser  lì  perchè  possando  cum  sua  scorta  e  favori  passate  al 
signor  Uzunhasan.  E  non  possando  per  esser  dal  Ottoman  occupati 
i  luoghi  da  marina,  facta  ogni  experientia  et  demostration,  retornate 
in  Cypro,  spaxate  messi  et  aspectate  la  occaxion,  el  modo,  et  inten- 
dando  che  possiate  haver  de  le  galie  del  serenissimo  signor  re  de 
Cypri  per  el  passazo  vostro,  quando  poreti  passar  licentiate  quelle 
do  che  ritornino  a  ritrovar  el  capitanio  nostro  zeneral,  ma  non  pos- 
sando haver  de  quelle  del  re,  retenete  le  suedicte  do,  fino  vi  siano 
necessarie  al  detto  passazo.  Se  veramente  le  vie  fosseno  expedite, 
smontati  vui  a  terra  et  prexa  la  deliberation  del  cammino,  licentia- 
tile,  che  cum  prestezza  ritornino  al  capetanio  nostro  zeneral. 

Passando  vui  per  la  dition  del  Garaman  visiterai  sua  signoria, 
conforterai  et  offerirai  sotto  nostre  lettere  de  credenza  sul  zeneral 
et  consueto,  et  li  dichiarerai  quanto  a  ti  appara  esser  expediente  e 
ben  de  le  cosse  ;  el  che  meglio  potrai  li  presente  intender  che  per 
nui  dartelo  in  comandamento,  et  per  servar  l'uxanza  et  per  più 
acharezarlo  prexentali  per  nostro  nome. 

Occorendo  ritrovarti  dove  sia  la  donna  del  prefato  signor,  fiola  che 
fu  del  imperator  de  Trapesonda,  visiteraila  cum  licentia  del  signor 
sotto  nostre  lettere  de  credenza,  et  usa  quella  forma  de  parole  che  a 
toa  prudentia  aparerà  convenirse  a  la  soa  dignità  et  anche  al  pro- 
posito della  materia,  e  ne  la  visitation  presentati  per  nostro  nome, 
et  se  più  de  una  de  le  done  sue  fosse  cum  sua  celsitudine,  visita 
anche  le  altre  che  da  lui  siano  amate  et  existimate,  et  prexentale. 

Visiterai  similiter  cum  nostre  letere  de  credenza  i  figlioli  de  quello 
illustrissimo  signor  etazaschadun  de  loroprexenta.  Dapoi  et  la  prima 
volta  et  visitation  de  assiduamente  che  tu  te  ritrovi  cum  loro  et  cum 
a  zaschadun  de  loro  suadili  et  inflaniali  a  la  prosecution  de  l'imprexa 
necessaria  al  suo  proprio  bene  et  exaltation  cum  le  raxon  dite  de  so- 
pra al  padre  et  cum  le  altre  che  te  occorrerano,  similiter  farai  sei 
te  occorrerà  el  modo  cum  l'imperatrice  de  Trapesunda  per  vendetta 
del  ingiuria,  spolie  et  morte  del  padre,  et  per  lo  acquisto  de  lo  impe- 
rio suo  de  Trapesunda. 

Visiterai  etiam  Omarbei  suo  principal  capitanio  e  quelli  altri  pare- 
rano  a  ti  solo  letere  de  credenza  molte  de  le  qual  ti  havemo  fato  dar 
senza  soprascripto  perchè  de  lì  lo  possi  far  et  uxarle  al  bixogno  et 
prexentalo. 

Perchè  come  tu  intendi  el  desiderio  nostro  è  grandissimo  de  in- 
tender i  progressi  del  sopradicto  illustrissimo  signor  et  ogni  occor- 


125 

rentia  in  quello  esercito  et  in  quelle  parte  sarai  solecito  et  diligente 
in  darne  solicito  et  continuo  avixo  de  ogni  cossa  che  tu  vedrai  al 
dirai  et  intenderai  cussi  del  numero  de  la  zente  come  de  i  pensieri  e 
desegni  e  de  i  cammini  delo  exercito  del  sopradicto  signor  et  brevemente 
de  ogni  cossa  che  raxonevolmente  tu  possi  intender  la  noticia  sua  es- 
serne grata;  et  non  sparagnar  nò  spexa  né  fatica,  né  pericolo  de 
messi,  replicando  per  ogni  via  possibile  sì  che  da  ti  habbiamo  spesse 
lettere  et  avixi.  Farai  lo  simile  de  Cypri  fina  serai  lì. 

Ben  chel  appari  che  in  principio  de  questa  nostra  commissione  ve 
comandemo  che  vui  andagà  in  Cypro  recta  navigatione,  intendete 
però  questo  proceder  perchè  nui  existimemo  quella  esser  più  idonea 
scala  al  passar  vostro  al  predicto  illustrissimo  signor  che  presupo- 
nerno  non  sia  ancor  disceso  a  le  marine.  Ma  se  altramente  fosse,  e 
quando  sereti  cum  el  capitanio  nostro  intendesti  cheldrizarvi  altrove 
fosse  più  a  proposito  de  la  presenta  esecution  de  questi  nostri  co- 
mandamenti lassemo  in  arbitrio  e  disposition  vostra  far  segondo  el 
conseio  e  parer  del  capitanio  nostro  et  vostra  prudentia,  et  prender 
quel  partilo  sia  più  idoneo  et  accomodato  a  la  satisfaction  del  grande 
nostro  desiderio  che  presto  vi  ritrovate  a  la  presentia  de  quel  illu- 
strissimo signor. 

Et  ex  nunc  captum  fuit  quod  dentur  suprascripto  oratori  du- 
cati 500  et  dandi  se  Gatarino  prò  illius  impensis. 

De  parte        157 

De  non  0 

Non  sincere       2 

Secreta  XXV.  Cornet,  op,  cit. 


DOCUMENTO   JL. 

Commissione  segreta  a  Giosafat  Barbaro. 

(1473,    Die  1!  Februarij). 

Ser  Josaphat  Barbaro  oratori  nostro 
ituro  ad  illustrissimum  dominum  Uzunhasanum. 

Ben  che  assai  sufficientemente  per  la  forma  della  toa  aperta  còtti- 
mission  tu  habi  intexa  l'intention  nostra  et  desiderio  che  lo  illu- 
strissimo signor  Uxon  proseguisca  la  guerra,  et  recercando  lo  ini- 


426 

mico  astuto  et  malitioxo  la  pace,  quella  refuti  come  cossa  al  stato 
suo  per  le  raxon  allegate  pernilioxa,  et  anche  qual  via  nel  proseguir 
la  guerra  sia  più  in  proposito  de  le  cosse  nostre,  videlicet  in  la  Natòlia 
dominio  et  viscere  de  lo  inimico,  ampuò  (tuttavia)  per  questi  nostri 
secreti  comandamenti  ne  ha  parso  parlar  intorno  a  l'una  e  l'altra 
de  lepredecte  do  cosse  più  particolare  e  destinctamente;  ne  de  questo 
qui  te  diremo,  volemo  che  tu  comunici  cum  li  ambassadori  che  sono 
in  to  compagnia,  né  cum  algun  de  loro.  Per  quanto  aspecta  a  la 
pace  nui  non  volemo  che  cum  questo  perfido  et  insaciabil  inimico  se 
possi  aver  pace  alcuna  che  possi  esser  né  segura,  né  durativa  senza 
queste  condition  che  lui  cedesse  in  tutto  e  per  tutto  la  Natòlia  a  que- 
sto illustrissimo  signor,  e  tuto  quello  lui  possiede  de  là  del  stretto 
cum  tuta  la  ripa  de  esso  strecto  opposita  a  la  Grecia,  sì  che  in  quella 
niente  omnino  li  restasse.  Questo  dicemo  cussi  per  lo  castello  del 
Dardanello  che  pervenisse  in  mano  et  podestà  del  prefacto  excellen- 
tissimo signor,  come  perchè  niuno  altro  più  ne  potesse  edificar  in 
locho  alcuno  de  quela  ripa,  et  conseguentemente  fosse  in  libertà  no- 
stra passar  suxo  per  el  strecto  etintrar  in  mar  Mazor  et  venir  a  Tra- 
pezonda  et  altri  luoghi  de  esso  excellentissimo  signor  per  instauration 
de  li  antiqui  trafìci  et  commercij,  per  beneficio  della  sua  celsitudine 
et  suoi  subdili  e  nostri.  A  nui  veramente  consignasse  la  Morea  e  l'ixola 
de  Metelino  e  restituisse  el  nostro  Negroponte;  et  ancor  cum  tute  que- 
ste condition,  considerata  la  rabia  et  rapacità  soa  existememo  saria 
pericoloxo  lasarli  tanti  regni  et  potentie  quante  lui  possiede  in  Europa, 
cum  le  qual  a  qualche  caxo  potria  esser  molesto  al  prefacto  illustris- 
simo signor,  a  suoi  figliuoli  et  a  li  amici  soi.  Ma  pur  quando  tu  ve- 
dessi la  celsitudine  soa  inclinasse  a  mention  de  pace  et  non  si  potesse 
per  te  ritrar  e  suader  in  contrario  ricorda  et  proponi  questa  condi- 
tione  nel  modo  nui  te  lo  dicemo. 

La  mente  adonque  nostra  et  nostro  desiderio  saria  la  prosecution 
de  la  guerra  fina  che  cum  le  arme  el  fusse  expulso  de  la  Natòlia  e  re- 
ducto  in  tal  termini  che  ogni  condiction  de  pace  se  potesse  raxone- 
volmente  sperare  e  poi  segondo  el  tempo  e  le  cosse  non  mancheria 
darli  quella  leze  apparisse  esser  per  tuli  do  nui  piùavanlaxosaet  fuzir 
ogni  practica  [in  questo  mezo,  perché  le  non  pò  se  non  grandissima- 
mente nuocer  a  le  comune  cosse  et  bene  del  prefacto  excellentissimo 
signor  et  nostro. 

Pur  quando  facta  per  te  ogni  possibel  experientia  et  conato  per  lo 
suader  el  refuto  de  ogni  paxe  e  la  prosecution  de  la  guerra  et  exter- 
minio  de  lo  inimico,  et  cum  le  universal  raxon  non  esser  da  darli  pace 


4  27 

niuna,  e  poi  cum  lo  ricordo  de  le  soprascripte  dure  difficil  condition, 
non  te  succedesse  né  Furia,  nò  l'ultra  via;  ma  quel  excellentissimo  si- 
gnor inesorabilmente  avanti  la  total  eversion  et  ejeclion  de  lo  inimico 
fuor  de  la  Natòlia  fosse  inclinato  a  la  pace  cum  la  restitution  de  i 
stati  de  i  signor  cazati  in  essa  provincia  o  altramente,  che  nui  ben 
podemo  considerar  ma  non  intender  perfectamente  tutte  cosse  : 
in  questo  caxo  sii  solicito  in  recordar  il  facto  nostro,  sì  che  a  nui 
anche  sia  resignala  la  Morea,  Metelin  e  reslituto  Negroponte,  e  non 
possando  tutte  queste  cosse  quella  più  parte  tu  puoi  obtenir.  Et  in 
fine  almancho  ne  sia  restituto  Negroponte  et  Argo  o  pur  siamo  in- 
sieme cum  el  predicto  illustrissimo  signor  inclusi  in  tal  pace 
come  suo  colligati  et  confederati  con  tutti  li  nostri  confederati  et 
adherenti. 

Possiamo  intorno  a  tal  materia  dirte  asai  raxon,  le  qual  tute  e  de 
le  altre  anche  segondo  el  tempo  e  la  qualità  de  la  materia  te  pò 
soccorrer  a  ti  stesso  che  sei  prudente  e  practico  uxa  la  tua  solicitu- 
dine  prudentia  et  diligentia  al  più  bene  et  al  maior  avantazo  et  be- 
neficio del  stado  nostro. 

A  l'altra  parte  che  è  della  via  de  far  la  guerra  tu  intendi  questi 
do  Stati  esser  proposti  suxo  questo  taoliero  per  dir  cussi  l'uno  quello 
del  Turcho,  l'altro  quello  del  Soldan.  E  ben  che  nui  existimemo  che 
al  tuo  zonzer  in  levante  el  prefato  excellentissimo  signor  già  sera 
drezato  per  quel  cammino  lui  deve  andar,  ampuò  in  ogni  caso  nui  te 
dichiariremo  el  concepto  nostro.  Se  per  ventura  tu  ritrovasti  soa 
excellenlissima  signoria  ancipite  et  suxo  l'uno  et  suxo  l'altro  partido, 
volemo  che  tu  lo  suadi  et  lo  couforti  a  la  via  della  Natòlia  e  ruina 
delOltoman  come  ad  imprexa  più  necessaria  et  più  glorioxa,  la  qual 
riuscita  non  li  resta  più  alcuna  difficultà  al  certo  impero  de  tuta  l'Asia. 
E  se  già  lui  si  fosse  drizato  a  questa  banda  del  Turcho,  mantienlo  tu 
in  tal  proposito  che  credemo  lo  farai  senza  difficoltà. 

Se  veramente  lui  fosse  intrato  in  Sorìa,  in  questo  caxo  perchè 
varie  pono  esser  le  condition  delle  cosse  non  ce  par  de  darte  alcun 
singular  comandamento  se  non  quanto  te  diremo  appresso,  non  in- 
tendando  che  possi  esser  utile  né  che  nocino  a  le  cosse  nostre  et  a 
le  persone  et  haver  de  li  nostri  merchatanti,  la  salute  e  ben  di  qual 
volemo  che  sia  el  tuo  bersajo  e  la  to  brocha  dove  tu  hai  a  drezar 
tuti  i  tuo  pensieri  studi  et  spiriti  per  la  loro  salute  e  liberazione. 
Volemo  che  per  ogni  modo  tu  passi  a  ritrovar  quello  excellentissimo 
signor  perchè  molto  meglio  appresso  lui  chedalalonga  potrai  aiutar 
et  favorir  la  salute  e  liberation  de  nostri,  che  stando  lontano,  anzi 


128 

stando  lontano  offenderesti  e  l'una  e  l'altra  parte  et  potria  questo  es- 
ser dopiamente  et  per  do  vie  la  extintion  de  li  nostri.  Tu  intendi  et 
cognosci  per  quanto  ve  stagi  le  persone,  el  mobile  che  se  ritrova  in 
levante  uxa  a  questa  volta  ogni  animo  ogni  distinction  et  ogni  raxon 
per  la  conservation  et  liberation  de  quelli  cum  lettere  et  messi  de 
quel  excellentissimo  signor,  cum  luxenghe,  manaze,  forze,  parole  et 
effecti  de  quello  a  quelli  luoghi  dove  se  ritrovano  i  nostri  mercadanti 
et  haver  suo  sì  che  tuto  se  salvi  per  quelle  vie  et  modi  che  tu  cre- 
derai meglio  e  più  certamente  poterlo  fare. 

Perchè  come  ne  ha  referito  questo  nuovo  ambassador  del  sopra- 
scripto  illustrissimo  signor,  la  despina  è  apresso  de  lui  in  grandis- 
simo amor  et  reputa tion  et  auctorità,  oltre  quello  nui  te  havemo 
commesso  in  l'altra  commission  toa  de  la  visiclation  et  prexenti,l'è 
anche  de  nostra  intentione  che  quanto  più  tu  poi  tu  la  honori  et 
exalti,  e  sì  te  forzi  de  renderla  a  tute  le  voglie  nostre  propitia  et  per 
tute  quelle  vie  e  mezzi  che  tu  intenderai  et  cognoscerai  poterlo  fare. 

E  dichiarali  lo  amor  nostro  et  observantia  in  quella  e  la  speranza 
che  nui  havemo  in  la  sua  sublimità,  e  mesedando  i  respecti  Chri- 
stian]' cum  i  nostri  e  l'odio  inextinguibile  lei  deve  haver  a  lo  inimico, 
la  dolzeza  de  la  vendetta  de  tante  ricevute  inzurie  nel  sangue  suo, 
fa  de  obtener  et  uxar  l'opera  et  favore  suo  al  ben  de  tutte  cosse  a  ti 
comesse. 

Visiterai  similiter  et  honorerai  et  prexenterai  la  madre  del  sopra- 
scripto  illustrissimo  signor  cum  forma  de  parole  a  la  soa  dignità 
conveniente  et  a  la  persecution  de  l'imprexa  quella  inanimerai  et  in- 
fiammerai per  lo  evidentissimo  beneficio  et  necessità  del  stado  de 
suo  figliolo,  deli  nepotie  descendenti  suoi  cum  quelle  parole  et  raxon 
che  alla  materia  et  a  la  persona  soa  convenga. 

Benché  nui  te  habiamo  dito  in  l'altra  commission  che  tu  comuni- 
chi ogni  cossa  cum  li  ambassadori  pontificio  e  regio,  sapi  ampuò 
esser  de  nostra  intention  che  tu  comunichi  le  cosse  comune  zeneral 
e  manifeste, non  questi  nostri  secreti,  né  altra  cossa  che  meritasse 
taciturnità  e  silentio;  tu  è  prudente  uxa  la  consueta  tòa  intelligentia 
et  practicha. 

Da  poi  la  prima  exposition  de  questo  ultimo  messo  del  soprascripto 
illustrissimo  signor,  lui  è  iterum  venuto  a  la  presentia  nostra  et 
hanc  exposto  chel  predicto  signor  Uxon  per  suo  sagramento  ha  pro- 
messo al  nobel  homo  Gatarinzen  nostro  ambassador  de  perseverar 
perpetuamente  cum  nui  in  amicitia  coniunction  et  union,  et  haver 
li  amici  nostri  per  amici  et  li  inimici  per  inimici.  E  questo  istesso 


129 

lui  ne  ha  offerto  et  promesso  de  affermar  da  bel  novo  cum  sagramento 
per  nome  de  quello  exeellenlissimo  signor:  però  nui  volemo  che  tu  le 
informi  di  questa  particularilà  dal  soprascripto  ser  Gatarin,  el  qual 
se  meravigliamo  che  se  cussi  è  non  ce  ne  habi  dato  notizia.  Et  es- 
sendo necessario  far  in  tal  materia  altra  solemnità  et  obligarne  la  fede 
de  quel  signor,  e  la  nostra  a  lui,  a  perpetua  soprascripta  union  et  intel- 
ligentia  contra  l'Olhoman,  specificatamente  semo  contenti  che  tu  ne 
ricevi  ogni  obligo,  et  al  incontro  oblighi  et  prometti  per  nui  sì  che 
dita  obligation  sia  mutua  et  equalinente  reciproca,  contra  però  l'Otho- 
man  come  havemo  dicto  e  non  contra  altri,  peri  pericoli  che  tu  in- 
tendi de  le  persone  ethaver  nostro  che  sempre  se  retrova  in  podestà 
del  soldan,  a  la  salvezza  de  le  qual  nostre  persone  et  bavere  habi 
semper  in  ogni  caxo  singular  et  precipua  cura  et  diligentia. 

Comunicherai  tutti  questi  nostri  comandamenti  e  sì  li  exeguirai 
insieme  cum  el  nobel  homo  ser  Gatarin  Zen  et  avixalo  che  tutto  te- 
gni  secretissimo  quanto  qua  se  comanda  per  nui,  sei  sera  lì,  et  es- 
sendo lontano  exeguissi  ti  solo  come  in  la  patente  commission  te 
havemo  dicto. 

E  perchè  per  do  letere  del  prefato  ser  Gatarin  nui  semo  avixati 
Quello  excellentissimo  signor  haverli  domandato  danari  ;  sei  occo- 
resse  chel  te  facesse  simel  domanda  a  ti,  volemo  che  cum  la  dichia- 
ration  de  le  incredibel  spexe  nostre  distinctamente  tochate  in  l'al- 
tra tua  commission  che  sono  honestissime  et  urgentissime,  et  cum 
tutte  le  altre  honeste  et  iuste  raxon  et  justifìcation  tu  honesti  la 
Signorìa  Nostra,  e  declina  quanto  tu  puoi  questa  materia. 


De  parte 
De  non 

146 
5 

Non   sincere 

6 

Secreta  XXV.  Gornet,  op.  cit. 


9        Bollettino  Consolare,  Voi.  III. 


130 


DOCUMENTO   XI. 


Copia  di  ima  lettera  scritta  per  D.  Catarin  Zen,  Orator  nostro 
al  Signor  Ussun  Cassati,  neWanno  1473,  addì  27  Lujo. 


Serenissime  Princeps  et  Excellentissime  Domine  etc.  Addì  14 
Jugno  scrissi  a  Vostra  Sublimità  dalle  campagne  di  Erzingan  a  ri- 
sposta di  una  di  V.  S.  in  data  addì  9  Zenerl473;  et  certo  dirò 
così  :  Serenissimo  Principe  quella  lettera  non  fu  lettera  ma  Spirito 
Santo,  se  detta  lettera  non  veniva  ovvero  la  fosse  stala  più  tarda  non 
so  come  fossero  passa  le  cose.  Questo  illustrissimo  signor  loleva  la 
volta  di  sopra  come  el  feva.  11  sommo  Dio  sia  ringraziato  il  quale  ha 
provisto  a  tutto.  Questo  illustrissimo  signore  come  scrissi  a  V.  S. 
ringrazia  molto  V.  Serenità  dell'esaltazione  che  feci  per  nome  di 
V.  Celsitudine  a  Lui,  per  essere  andà  magnanimamente  contro  l'Ot- 
toman. 

Lui  ha  prevenuto  la  V.  Sublimità  in  aver  fato  dar  commiazione  al- 
l'ambassador  dell'Ottomano,  et  questo  perchè  V.  Serenità  si  riputava 
za  essere  unita  et  conzunta  con  essa  ili. ma  sua  signorìa,  et  per  il  si- 
mile delle  bombarde  e  munizion,  maestri  ingegneri  et  de  schiopeteri 
e  dell'armata  mandata  da  V.  S.;  et  perciò  sua  ili. ma  signoria 
aveva  mandato  ,  come  saveva,  un  suo  schiavo  che  fu  Armirbei 
contro  l'Ottoman  con  cavalli  200,000.  Allora  sua  signoria  vo- 
leva mandar  suo  fio  Ourgulu  bei  con  cavalli  150,000  e  sua  cel- 
situdine voleva  venir  dietro  potentissimo,  et  dissimi  ancora  cosi 
come  Vostra  Serenità  aveva  posta  fede  in  non  far  pacecoll'Ottoman, 
ella  stasse  di  buon  animo  che  egli  non  farla  mai  pace  coll'Ottoman 
per  la  fede  che  aveva  porta.  Qualunque  cosa  Vostra  Serenità  inten- 
desse dairOttomari  non  lo  credesse  et  come  sua  ili. ma  signoria  vo- 
leva vegnir  prima  ad  Erzengian,  e  lì  adunar  tutte  le  sue  genti,  et 


131 

per  tutta  la  luna  di  luglio  voleva  andar  e  mandar  contro  POthoman 
per  amor  delle  biade  ;  e  come  in  quei  dì  essendo  venuto  un  am- 
bassatore  dell'Ottoman  a  questo  stesso  signore  per  fare  la  pace , 
lo  avesse  rimandato. 

Significai  ancora  a  V.  S.  tutti  li  progressi  che  aveva  fatti  questo 
signore  fino  a  quell'ora,  per  dita  mia  lettera. 

Scrissi  ancora  un'altra  mia  in  data  12  luglio  da  Erzengian,  per 
avvisarla  come  questo  ili. mo  signor  avea  fatto  cazzar  dito  ambascia- 
tore dell'Ottoman  senza  dargli  udienza  ;  e  come  a  certi  spioni  turchi 
ha  fato  tajar  la  testa  e  taccarla  al  collo  e  così  mandar  atl'Ottoman 
dicendogli  ch'el  vegna  presto  ;  et  come  pure  abbia  fatto  venir  me 
alla  sua  presenza  e  dissemi  :  Ambasciator,  tu  intendi,  VOttoman  vien 
con  tuto  el  so  poter  contro  de  mi,  et  ha  abandonà  tutti  li  luoghi  che 
tiene  in  ponente  per  venir  più  potente  contro  di  noi.  Scrivi  alla  tua 
illustrissima  Signorìa  ed  alVimperator  et  al  re  d'Ongheria,  che  fac- 
ciano tutto  el  so  poter  di  andar  a  distrugger  l'Otioman  in  Europa, 
perchè  in  questa  parte  d'Anatolia  vojo  andarlo  a  trovar,  et  coli' 'aiuto 
di  Dio  distrugerlo,  et  così  voglio  che  fac ci an  quelli  Signori  di  ponente 
acciò  el  dito  Ottoman  non  si  possa  più  refar,  et  che  totalmente  el  sia 
distrutto  et  che  il  suo  nome  no  se  abia  più  a  menzionar;  et  comandami 
scrivessi  alla  magnificenza  del  capitano  spazzasse  presto  una  ga- 
lia  per  dar  ricapito  a  ditte  lettere,  et  così  quamprimum  scrissi 
una  lettera  al  capitano  che  mandasse  uua  galia  in  Dalmazia,  et 
cosi  mandai  la  lettera  alla  Maestà  Cesarea  dell'Imperatore,  et  al  re 
d'Ongaria;  le  copie  delle  quali  mandai  a  Va  Serenità  et  altre  cose 
come  avrà  inteso  per  quella  mia. 

Addi  13  luio  ricevetti  lettere  dalla  magnificenza  del  capitano,  e 
di  mess.  Josafat  Barbaro  ambassatore  date  a  dì  3  jugno  in  Porlo 
di  S.  Teodoro,  et  con  quelle  lettere  direttive  a  questo  ill.mo  signore, 
et  al  signor  Garamano,  per  le  quali  fu  informato  della  magnificenza 
del  capitano,  come  Sua  Magnificenza  era  zonta  lì,  con  potentissima 
armata,  e  del  Sommo  Pontefice,  e  del  re  Ferdinando,  et  che  avea 
zente,  molle  bombarde,  munizion,  maestri  schiopettieri,  et  presenti 
per  essere  dati  a  questo  ill.mo  signore;  et  come  Sua  Magnificenza 
aveva  mandato  da  Vostra  Serenila  di  stare  ad  obbedienza  di  questo 
ill.mo  signore,  et  che  mollo  Sua  Magnificenza  desiderava  intendere 
li  felicissimi  progressi  di  questo  ill.mo  signore,  ed  aspettavalo  con 
gran  desiderio  alle  marine,  per  far  qualche  solenissimo  fatto  insieme 
con  lui  ;  et  che  intanto  avea  preso  et  consegnato  a  Kasim  bei  i  tre 
castelli  alle  marine.  Quamprimum  fui  alla  presenza  di  questo  ill.mo 


signore,  e  li  significai  quanto  Sua  Magnificenza  me  commetteva,  e 
li  apprestai  la  lettera  che  scriveva  la  magnificenza  del  capitano, 
et  il  Barbaro,  il  ditto  ill.mo  signore,  me  le  feze  lezere,  e  lette  che  le 
have,  subito  sua  signoria  ili. ma  feze  sonar  le  zambalare  per  tutto  el 
campo  in  onor,  gloria  e  trionfo  di  Vostre  Eccellenze,  e  della  ma- 
gnificenza del  capitano,  dicendo:  questi  sono  uomini  da  fatto,  e 
che  non  stanno  oziosi  con  tante  sue  galie.  11  ditto  ill.mo  signore 
molto  ringraziò  Vostra  Serenità  della  obbedienza  che  aveva  com- 
messo al  magnanimo  capitano,  e  delle  bombarde,  munizion,  maestri 
scoppetieri,  e  presenti  che  si  era  per  dare  a  sua  ili. ma  signorìa,  e 
ringraziò  molto  la  magnificenza  del  capitano  di  aver  consegnato 
per  suo  nome  a  Kasim  bei  li  tre  soprascritti  castelli. 

Sua  ili. ma  signorìa  mi  disse:  Ambassator,  intendo  il  tua  magna- 
nimo capitano  colle  zenti  di  Kasim  bei  sono  andati  al  Candeloro  e  sono 
huomini  molto  soleciti,  se  Dio  li  concede  grazia  di  avere  il  Candelaro, 
scrivi  al  tuo  magnanimo  capitano  noi  consegni  ad  alcuno  che  sei  tegni 
per  lui,  e  scriverli  che  non  si  parta  da  lì,  ovvero  dalle  terre  del  Cara- 
man,  perchè  col  nome  de  Dio  seguirò  loro  alle  marine  e  faremo  colla 
Dio  grazia  qualche  rilevata  cosa.  Questo  ill.mo  signor  come  ho  scritto 
di  sopra,  voleva  mandar  avanti  so  fio  contro  rOthoman  con  ca- 
valli 150,000;  ora  ha  deliberato  non  vada  avanti,  ma  sua  ili. ma  si- 
gnorìa vuol  andar  in  persona  con  tutto  l'esercito  a  trovar  l'Otho- 
mano.  Da  questo  campo  sono  300,000  cavalli  ben  in  ordine  armati, 
et  per  lo  simile  li  huomini  di  ora  in  ora  si  vanno  grandemente  im- 
passando. Questo  ill.mo  signor  ha  fatto  comandamento  a  tutti  li 
uomini  di  queste  montagne  che  vengano  in  campo ,  li  quali  di  ora 
in  ora  giungono.  Questo  ill.mo  signore  solecita  il  cammino  per  an- 
dar a  trovar  l'Othomano,  spero  in  Dio  non  sarà  troppi  zorni  si  toc- 
cheremo li  fianchi.  Pregherò  l'Altissimo  Iddio  per  sua  clemenza  ne 
doni  vittoria  ;  ogni  zorno  vien  persone  dell'Othoman ,  che  scampa 
per  questo  campo.  Questo  ill.mo  signore  li  vede  volentieri,  e  li  fa 
doni  e  veste;  oggi  son  venuti  signori  quattro  dall'Ottoman,  li  quali 
sono  fuzìti. 

Sono  stato  dal  signor  Garaman  al  quale  ho  data  la  lettera  che  gli 
scrive  la  magnificenza  del  capitano,  e  di  m.  Josafat  Barbaro  amba- 
sciatore, il  quale  mi  ha  fatto  lezere.  Sua  signorìa  ringrazia  molto  la 
Vostra  Signorìa  di  tanto  benefìcio  li  ha  fatto  la  magnificenza  dei  ca- 
pitano, lo  qual  sommamente  lauda,  e  dice  tutto  il  suo  stato  essere 
in  Vostra  Serenità,  et  di  quello  essa  disponga  come  del  suo  proprio. 

Delle  condizion  di  questo  ill.mo  sig.,  Tè  poco  tempo  che  sua  signorìa 


133 

non  aveva  altre  che  cavalli  30,000  et  presto  si  ridusse  in  cavalli  300,000, 
s'ingegnò  di  rubar  da  suo  fratello  una  terra  grande,  e  che  avea 
mura  belle  e  grosse  come  quelle  de  Costantinopoli.  Dopo  comenzò 
ad  aquislar  il  paese,  e  star  sempre  in  campagna  come  fa  al  presente. 
Là  el  mandò  domandare  molte  cose  in  tributo,  fra  le  quali  el  do- 
mandava 30,000  garzoni,  a  Gihan  Shah;  questo  ill.mo  signore  fu 
contento  darli  ogni  cosa,  eccetto  li  garzoni,  dicendo  non  poterlo 
far;  li  comenzò  a  romper  guerra,  e  mediante  la  Dio  grazia,  lo  vinse 
sora  Tauris,  et  havuta  Tauris  il  soldan  Baiesit  qual  era  di  sora  Tauris 
li  mosse  guerra.  Questo  ill.mo  signore  l'andò  a  trovare,  e  suo  fiol 
Ugorlom  bei,  il  quale  al  presente  è  qui  in  campo,  el  prese  e  conqui- 
stò tutto  il  paese  che  è  sora  Tauris  a  zornate  50  fino  al  mare  di 
India  ;  dall'altra  parte  tien  a  confini  de  Tartari  :  et  lien  paese  fino 
al  monte  di  Bakù,  da  quella  parte  di  sopra  tutto  è  pacifico,  et  nulla 
dubita.  E  come  scrissi  a  Vostra  Serenità  dì  42  ìujo  l'è  venuta  a 
questo  ill.mo  signore  una  solenne  ambassatadel  Tartaro,  et  ha  por- 
tato presenti  nove  ferri  da  taiar,  nove  scimitare,  una  sella,  una  brenna, 
do  fanali,  e  200  persone  cariche  di  peletterie,  zoè  martori,  zibel- 
lini, faine,  armellini,  dossi  vari  e  volpi:  et  ha  manda  a  dire  a  que- 
sto ill.mo  signore  come  el  pretende  stare  con  sua  signorìa  in  pace, 
come  l'è  sta  finora,  sicché  di  fora  delle  parti  di  levante,  per  la  Dio 
grazia  sta  sicurissimo ,  verso  tramontana  confina  col  re  di  Zorzanìa 
e  da  queste  parli  nulla  dubita,  e  sono  in  pace.  Dalla  parte  destra 
confina  con  Bagdad,  zoè  Babilonia  la  grande,  et  confina  con  Arabi, 
colli  quali  è  in  pace,  et  molti  sono  in  campo  con  questo  ill.mo 
signore.  Quando  l'andò  verso  Aleppo  tutti  li  Àrabi  si  movevan 
per  venir  in  favore  di  questo  signore,  sicché  da  parte  destra  nulla 
dubita.  Verso  ponente  confina  col  Soldan  e  con  l'Othoman  ;  col 
Soldan,  come  dirò  de  sotto,  credo  sarà  d'accordo,  nel  mezzo  del 
suo  paese  l'aveva  il  signor  di  Bitilis,  dove  el  mi  mandò  l'anno 
passato,  il  quale  aveva  castelli  20  et  assaissime  montagne  li  qual 
si  chiama  Kurdi ,  valorosissimi  huomini  et  dividono  il  paese  di 
questo  ill.mo  signore  indo  parti,  cominzando  da  un  luogo  chiamato 
Kirmanehà  che  va  fino  a  Tauris  ch'è  sotto  alle  montagne,  et  divide 
il  paese  in  do  parti,  da  confini  dell'Othoman  fino  a  Tauris.  Allora 
quel  signor  di  Bitelis  si  rese  con  tutti  li  castelli  e  genti ,  in 
modo  che  tutto  il  paese  s'è  ridotto  di  questo  ill.mo  signore,  con 
assaissime  città  e  tutte  ben  condizionate,  castelli  assaisshni,  le  quali 
città  e  castelli  molti  ho  visti,  per  essere  andà  per  mezzo  del  paese  di 


134 

Tauris,  e  da  Tauris  ho  circonda  tutto  il  paese,  come  per  altre  mie 
ho  scritto  a  Vostra  Serenità. 

Questo  illustrissimo  signor,  se  voi,  el  farà  un  milion  de  huomini  ; 
da  suoi  signori  ha  una  grandissima  obbedienza;  li  principali  si- 
gnori ha  di  grazia  andare  al  suo  padiglion,  avanti  al  quale  stanno 
sentadi  in  terra,  et  essendo  nel  padiglion  niuno  osa  parlare,  et 
il  Signor  parla,  e  quel  sua  ili. ma  signoria  dice  tutti  conferma, 
et  nullo  li  basta  l'animo  di  dirli  contro  di  quello  el  dice  di  che 
l'ha  un'obbedienza  grandissima.  Questo  campo  pare  un  santuario, 
nullo  si  lamenta.  Questo  ill.mo  signor  non  ha  far  altro  se  non  atten- 
dere all'Olhoman,  perchè  da  tutte  le  altre  parti  l'è  benissimo  condi- 
zionato. Per  tutto  questo  paese  sono  Armeni  cristiani  assaissimi, 
fanno  chiese  a  suo  piacere,  il  signore  li  concede  in  un  luogo  chia- 
mato Galguch  sia  fatta  una  chiesa  di  Nostra  Donna  in  volto:  ha  co- 
perto do  chiese,  una  di  Simeon  Apostolo,  l'altra  di  S.  Zuan  Battista 
con  tre  cappelle,  et  li  dà  il  modo  di  farle  al  modo  italian,  e  cosi 
hanno  fatto. 

Delle  sue  entrate  non  posso  bene  intendere:  tol  la  decima  di  tutte 
le  entrade;  gli  Armeni  pagano  uno  ducato  per  testa  che  sono  grandis- 
simo numero.  Li  signori,  a  beneplacito  di  questo  signore,  li  mette 
e  dismette  alle  sue  zenti  e  castelli,  li  quali  secondo  la  signorìa  che 
hanno,  quando  il  signor  li  chiama  sono  obbligati  di  venir  con  certo 
numero  di  cavalli  et  huomini  secondo  le  sue  rendite,  e  così  vengono; 
le  zente  d'armi  sono  pagate  a  ragion  di  anno,  et  hanno  le  paghe  di 
mesi  sei  in  mesi  sei,  et  da  per  homo  col  cavallo  da  ducati  40  fin 
a  60  secondo  lihomini,  all'anno;  et  benché  dica,  Serenissimo  Prin- 
cipe, che  questo  illustre  signore  potrà  fare  un  milione  di  huomini  et 
al  presente  abbia  in  campo  homini  300,000,  di  questo  la  non  la  si  me- 
ravigli :  perchè  come  ho  detto  la  lettera  di  V.  Serenità  de  9  Fevrer 
1473  non  fu  lettera,  ma  fu  lo  Spirilo  Santo.  Questo  ill.mo  signore 
non  pretendeva  per  lui  venir  zoso,  ma  andar  alla  volta  di  levante; 
et  ho  saputo  per  buona  via  da  principali  signori,  che  questo  il- 
lustrissimo signore,  la  venuta  del  veneto  ambassador  reputava 
un  sogno ,  per  essere  il  paese  della  Signorìa  lontanissimo ,  et 
dopo  che  venne  questa  santissima  lettera,  il  signore  che  avea  al- 
lora persone  100,000,  veduta  la  ditta  lettera,  la  quale  ricevè  addi  12 
jugno,  si  deliberò  di  venire  contro  l'Olhoman. 

In  questi  zorni  è  venuto  un  ambassator  del  Soldan  a  Ongurlu 
bei  fio  di  questo  ill.mo  signore,  et  al  signor  Garaman,  ad  esortar 
quelli  s'interpona  con  questo  ill.mo  signore  di  far  paze  col  Soldan, 


135 

e  vuol^far  tutto  quello  piace  a  questo  ill.mo  signore,  l'ha  manda  al 
Soldan  un  suo  ambassatore  per  questa  facenda  per  quel  che  mi 
dice  il  Garaman,  ma  temo  la  pace  non  seguirà.  Nec  alia.  Alla  grazia 
di  Vostra  Serenità  mi  raccomando.  Data  nel  felicissimo  Campo  di 
Ussun  Gassan  in  le  campagne  di  Erzignan  addi  27  luio  1473.  Ex- 
cellentissimae  Dominationis  vestre,  Gaterinus  Zeno. 

Cronaca  Sanudo.  Ms.  Cicogna. 


UOCU9IENTO    X.II. 


Relazione  della  battaglia  di  Terdshan. 

Magnifici  et  generosi  domini  postcommendationem,  etc.  Le  ultime 
mie  scritte  a  Vostre  Mag.  fo  de  XXVII  lujo,  per  le  quali  significai  a 
quelle  come  questo  ill.mo  signore  andava  in  persona  a  trovar  l'Ottoman, 
e  che  non  sarìa  tropi  zorni  che  i  sariano  a  le  mano.  A  hora  significo 
a  Vostre  Mag.  come  a  dì  primo  avosto  questo  ill.mo  signore  se  acostò 
alo  exercito  de  l'Ottoman,  et  el  detto  Ottoman  era  con  persone  da 
cavalo  e  a  piedi  450m,  ben  in  ordene  de  diari,  bombarde  e  schiopetieri 
e  fanterie.  Questo  ill.mo  signore  haveva  da  persone  a  chavalo  300, 
e  lasò  con  el  suo  chariazo  de  le  done,  putì  e  suo  haver,  da  persone 
100m.  El  ditto  Ottoman  visto  esserli  venuto  arente,  dubitando,  serò 
tuto  el  campo  suo  con  chari  e  bombarde.  Questo  ill.mo  signore  com- 
menzò  subito  principiarla  bataglia,  e  sempre  era  vincilor,  e  fo  morto 
de  l'oltoman  Asmorat  bassa  de  la  Romania,  e  Amirbei  capetanio  de  la 
Morea  fo  prexo:  l'Ottoman  mandò  uno  suo  subaschi  a  questo  signore 
per  far  pace.  Questo  ill.mo  signore  per  niente  volse  pace,  per  la  fede 
el  me  aveva  dado  per  nome  de  la  nostra  Ill.ma  Signoria.  Questo  signore 
mandò  Ugurlonbei  suo  figlio  con  el  signor  Gharaman  de  sopra  el 
campo  de  l'Ottoman  con  gran  numero  di  chavali,  mandò  ancor  l'altro 
figlio  suo  nominado  Seinel  beg  da  una  banda  del  campo  de  l'Ottoman 
e  Bajandur  beg  dall'altra  banda  con  gran  numero  de  chavali. 
Questo  ill.mo  signore  romase  a  lo  incontro  de  sotto  da  l'Ottoman 
con  grande  exercito,  in  modo  che  lo  exercito  de  l'Ottoman  era 
tuto  circonda  da  la  zente  de  questo  ill.mo  signore.  Questo  ill.mo 
signore  voleva  strenzer  l'Ottoman;  l'Ottoman  vedendose  circonda 
cercava  de  voler  con  lo  exercito  fuzir ,   e  mosesi  per  do  fiade. 


136 

A  dì  X  volendo  fuzir  l'Ottoman,  questo  ill.,u0  signore  volonteroso  de 
esser  a  le  mano  in  questo  dì  X,  a  hora  de  nona  montò  a  chavalo,  e 
commenzò  ad  intrar  contra  l'Ottomano  e  sempre  venzando,  et  essendo 
l'Ottoman  in  fuga,  fono  da  una  parte  e  dall'altra  molti  et  assaissimi 
morti,  e  per  questo  ill.mo  signore  fo  presi  de  quelli  dell'OUoman  e 
morto  Duranamet  fio  de  Amirbei  capetanio  de  la  Morea,  Agybey, 
Guzuxenan,  Penzin,  Enzingalar,  uno  principal  signore  haveva  l'Ot- 
toman in  Costantinopoli  è  stato  morto,  el  qual  era  christiano  et  el 
fradel  de  Mamut  bassa,  tutti  i  soprascripti  grandissimi  capetanj  fram- 
bulari  da  50;  e  accostandose  questo  ill.mo  signore  a  H  chari  de  l'Ot- 
toman, l'Ottoman  comenzò  a  cargar  a  dosso  a  questo  ill.mo  signore 
con  bombarde,  spingarde  e  con  molta  fantaria,  con  schiopeti  in  modo 
che  le  zenti  de  questo  ill.mo  signore  comenzò  fuzir.  Intanto  che  tuti 
fuzino,  etlassono  tuti  i  pavioni  e  gambeli,  i  quali  fono  tuti  tolti  per 
quelli  de  l'Ottoman,  e  tuto  el  bazaro,  e  questo  campo  fo  rotto.  Mi  che 
sempre  seguiva  el  signore,  miracolosamente  Dio  per  sua  misericordia 
me  ha  salva,  al  qual  rendo  immortalissime  gratie.  Questo  ill.mo  signore 
fuzì  e  tute  le  sue  zente  per  le  montagne,  e  tuti  son  reduti  dove  i  las- 
sorno  i  pavioni  de  le  loro  done,  putì  e  suo  haver.  El  signore  è  salvo, 
e  do  suo  fioli  e  el  signore  Charaman  e  Baiandurbey. 

Non  par  da  conto  de  questo  ili  mo  signore  sia  manchà  alcuno,  tute 
le  zente  sono  redute.  Questo  ili. m0  signore  è  in  pè,  e  su  la  reputation 
e  non  par  rotto.  L'ha  manda  in  Syras  che  è  mexe  uno  de  zornade 
sopra  Tauris  per  el  fìol  grande,  el  qual  è  potentissimo,  chel  debi 
vignir  zoso  con  tuto  el  suo  poder,  et  ha  fatto  commandamento  per 
tuti  suoi  luoghi  che  tuti  se  meta  in  ordene.  Questo  ill.mo  signore  va 
ordenando  el  paexe  suo,  e  va  verso  Tauris,  e  dice  che  a  tempo  novo 
el  voi  andar  contra  l'Ottoman,  el  qual  torna  nel  suo  paexe. 

A  dì  VII  de  questo,  vene  in  campo  do  ambassadori  del  serenissimo 
signor  re  de  Hungaria  ,  con  i  qual  fui  a  la  presentia  de  questo 
ill.mo  signore,  et  udita  la  sua  ambassada,  dissi  a  la  sua  ili. ma  signorìa 
voleva  mandar  uno  mio  homo  a  la  mag.  del  capetanio  zeneral,  e 
quel  piacesse  commandar  a  sua  ill.ma  signoria  che  la  commandasse. 
Sua  serenità  me  disse  non  mandar  el  tuo  homo,  ma  voglio  tu  vadi  da 
la  lo  ill.ma  signoria  insieme  con  questi  ambassadori  del  serenissimo 
re  de  Hungaria.  Mi  come  tuti  i  miei  sano,  haveva  deliberado  remagnir 
infma  uno  altro  anno  ad  intender  e  veder  quello  era  per  far  questo 
ill.mo  signore.  Habiandome  dà  licentia  questo  signore  non  posso 
far  manco  de  non  me  partir,  et  in  nel  nome  di  Dio ,  con  questi 
mag.  ambassadori  del  re  de  Hungaria  toro  el  mio  chamin.  Priego 


4  37 

Dio  me  condugi  a  Venexia  a  salvamento  per  seguir  mio  debito  ho 
scripto  questa  a  Vostre  Mag.  aziò  quelle  de  tuto  sia  informade  de 
quanto  è  seguido.  Priego  Vostre  Mag.  a  tutti  me  arecomandati.  — 
Nec  alia. — Data  nel  campo  de  Ussun  Gassan  zornade  quatro  lonzi 
d'Erzingan  die  XVIII,  Augusti  MCGCCLXX1II. 


Catharinus  Geno  Orator. 


A  latevi 


Magnificis  et  generosis  viris,  dominis  Petro  Mozenico  procuratori, 
capit.  generali  maris,  ac  provisoribus  classis,  nec  non  Josaphat  Bar- 
baro oratori  IH. mi  DD.  Venetiarum  ad  111. munì  D.  Ussonum  Cassanum 
dignissimis. 

Dai  Godici  Foscarini, 


DOCUMENTO  XIII, 


f  Jesus  MCCCCLXXHI  die  XVI  Octobris  in  civitate  Caffé. 

In  nomine  Domini  amen.  Haec  est  quaedam  tranlatio  de  lingua 
persica  in  lingua  latina  seu  italica,  cuiusdam  literae  magni  et  poten- 
tissimi Àssanbech,  directe  ili.  dominationi  venetiarum,  translata  de 
dictis  linguis  vid.  arabica  et  persica  in  idiomate  italico,  de  mandato 
spectabilis  domini  Christophori  de  Calle,  honor.  consulis  mercatorum 
venetorum  in  civitate  Gaffe.  Instante  ac  requirente  magnifico  domino 
Catarino  Zeno  veneto  oratore  111.  D.  Venet.  ad  prefactum  dominum 
Àssanbech  ac  oratore  prefacti  domini  Àssanbech  ad  Summum  Pon- 
tificem,  ad  Ser.mum  imperatorem  Romanorum,  ad  Ser.mum  Ferdi- 
nandum  regem  Siciliae,  ad  Ser.mum  dominum  Gassimirum  regem 
Poloniae,  ser.  D.  Haitiani  regem  Hungariae,  nec  non  ad  prefactum 
III. munì  dominum  Venetiarum  per  me  Gonstantinum  de  Sarra  artium 
liberalium  magistrum,  et  specialiter  ad  hoc  negotium  cancellarium 
electum  per  prefactum  dominum  consulem,  tamquam  suum  confì- 
dentem,  de  verbo  ad  verbum  et  verbura  prò  verbo,  nihil  addito  vel 
mutato  quod  mutet  sensum,  aut  variet  intellectum,  nisi  forte  forent 
alique  dictione  in  illis  linguis:  quae  per  propriam  italicamdictionem 
non  possent  transferre,  quas  dictiones  exposui  prò  propinquiorem 


138 

diclionem,  quae  potuit  confirmari  tali  arabicae,  sive  persicae  dictioni. 
Quae  translatio  facta  fuit  interpretante  Choza  Goti  armeno  docto  viro 
et  perito  in  dictis  linguis,  ipso  interpretante  et  me  transferrente  me- 
diante patre  Giorgio  de  ordine  unitorum  perito  in  lingua  armenica  et 
tartarica,  verba  illa  mihi  exponenti  in  lingua  italica. 

Et  q.  littera  habet  signa  sex  rotunda  ,  videlicet  unum  in  fine 
litterae  a  parte  interiori  etreliqua  quinq.  etiam  in  fine  litterae  a  parte 
exteriori. 

Quae  translatio  talis  est,  scripta  fcamen  per  alium  mihi  confidentem. 

In  nomine  omnipotentis  Dei,  litteris  aureis. 

Unus  Deus,  litteris  aureis.  Haec  sunt  verba  risplendentis  atquefor- 
tissimis  Assan,  litteris  nigris. 

Grandissimo  honorandissimo  Gran  Signor,  Signor  de  grandi  Signori, 
relucentissimo  signor  Sultan  su  la  fede  Christiana  Nicola  Tron  doxe 
di  Venexia,  cum  la  man  a  la  gola  me  inchino  e  a  le  bone  parole  non 
torno  in  driedo:  ma  anchora  me  inchino.  —  Ahora  ve  fasso  assaper 
come  sultan  Othomanpermalfarvegniva  suxo  el  mio  paese:  e  l'è  ve- 
gnudo  a  le  contrade  de  Erzingan:  et  nui  a  pocho  a  pocho  semo  venuti 
al  intorno  del  detto  Erzingan.  Pochi  delli  nostri  huomeni  sono  scon- 
tradi  cum  quelli  a  volto  a  volto  :  cum  la  nostra  benediction  adosso  i 
nostri  nemici  li  avemo  superati  de  cinquanta  sei  milia  homeni  de  quelle 
deH'Othoman  avemo  tagliati  a  pezzi,  et  cento  e  cinquanta  subaschi  et 
trentacinque  capitanii  grandi  havemo  prexi  vivi.  Dentro  de  questi  xe 
Ahsmorat.  L'Othoman  de  queste  cose  ha  fatto  gran  pensamento,  et 
tuto  intorno  avea  facto  fossi,  et  haveva  grande  pensieri  el  fundamento 
so  è  de  gran  signor.  Ma  alquanto  sono  tornado  in  driedo,  et  quelo 
l'altro  zorno  è  tornado  in  driedo  a  la  parte  del  so  paese  ha  dato,  el 
suo  volto,  et  nui  asì  havemo  seguido  driedo.  Tanto  havemo  seguido 
apresso  che  presto  l'è  uscito  fuora  del  nostro  paese.  Da  poi  alquanti 
zorni  andassimo  alla  volta  della  caza  et  andar  a  tanfaruzo  per  el  tornar 
fece  indriedo  queli,  havemo  cavalcado,  et  una  parte  dei  miei  huomeni 
senza  la  mia  parola  cazete  intorno  de  quelli  et  fece  battaglia.  Pocho 
de  rota  n'ha  facto  mancamento  come  cossa  fortuita.  I  Othomani  de 
simil  cossa  se  han  fatto  per  lor  grande  favore  et  nome.  Et  sono 
lornadi  indriedo.  Nui  semo  in  riposo  in  nostro  paexe  in  paze.  Dentro 
el  mio  spirito  zorno  et  nocte  è  che  questo  primo  tempo,  cum  la  vostra 
union  et  con  la  volontà  de  Dio ,  cavalcheremo  addosso  a  l'Otho- 
man,  et  non  sapiate  altramente  perchè  questo  è  el  mio  voler.  Io  ho 
manda  sul  mio  paexe  Irach,  Fars,  sin  a  la  porta  de  Gondustam, 
e  mio  paexe  Taharsam,  Masanderam,  Ghilam,  Sarahath,  Aderbigian, 


139 

Bagdad.  Questi  tutti  miei  paexi  et  in  tuti  miei  luoghi  dove  sono  zente 
d'arme,  e  quando  comandarò  tuti  serano  a  mi.  Sapiè  non  sarà  altra- 
mente. Bixogna  queste  cose  non  metter  in  dubio,  perchè  la  mia  parola 
xe  una,  e  la  vostra  disposition  senza  l'alo  avviseme,  et  che  le  vostre 
lettere  no  manchi,  de  quel  vui  deliberò  et  che  me  fassa  assaver,  che 
non  manchi  che  li  vostri  homeni  venga  a  mi  de  continuo  et  d'ogni 
cossa  savarè  de  Gatharin  Zen  ambassador.  Data  a  la  nostra  porta  dei 
primo  lune  mensis  augusti  MCGGGLXXIII. 

Nos  Ghristophorus  Galle  per  la  nostra  S.  S.  de  Venexia  consolo  in 
la  presente  Città  de  Gaffa  de  la  prenominata  inclita  natione,  affìrmamus 
omnia  suprascrita;  et  ad  robur  omnium  premissorum  vissimus  has 
sigillo  gloriosi  evangelistae  Sancti  Marci  impressione  muniri  manu 
propria. 

Ego  Constantius  de  Sarra,  artiumliberalium  magister  et  pubblicus 
imperiali  autoritate  notarius,  tamquam  confìdens  praefacti  domini  con- 
sulis,  suprascriptam  literam  transtulit  ut  supra,  et  ad  ventate  proe- 
missorum,  signum  meum  notarj  apposui  consuetum. 

Commemoriale  XVI y  p.  27.  Arch.  ven.  gen. 


DOCUMENTO  XIV, 


1474,   11   Febbraio.   Commissione  ad  Ambrogio  Contarinif 
ambasciatore  veneto  in  Persia. 

Nicolaus  MarcellusDei  gratia  dux  Ventiarum  etc.  -  Gomittimo  a  ti, 
nobel  homo  Ambrosio  Gontareno  dilecto  cittadin  et  fedel  nostro  , 
che  tu  vadi  ambassador  nostro  al  illustrissimo  signor  Uxon  Gassan, 
et  quanto  più  presto  te  sia  possibile  per  via  de  terra  vadi  a  Gaffa 
e  di  lì  passi  el  mar  Mazor  e  desmonli  in  quel  luogo  che  tu  intende- 
rai esser  più  apto  e  più  vicino  a  le  provincie  et  dominio  del  pre- 
facto  illustrissimo  signor. 

La  via  toa  de  qui  a  Caffa  zudegemo  più  segura  per  Polonia,  per 
esser  le  provincie  più  pachate,  et  anche  perchè  cum  el  favor  de  quei 
serenissimo  signor  re  del  paexe  suo  fino  a  Gaffa  sarà  più  tuto  l'an- 


no 

dar  tuo,  et  in  la  terra  propria  più  riguardado  et  reservado  che  altra- 
mente per  la  autorità  et  reverentia  ha  sua  maestà  et  per  lo  paexe  è 
in  la  terra. 

Zonto  adunque  in  Polonia  te  conferirai  a  quella  città  o  luogo  dove 
intenderai  esser  la  regia  sublimità,  a  la  qual  te  presenterai  e  porte 
le  nostre  lettere  de  credenza  e  fate  le  consuete  et  observante  salu- 
tation  et  offerte,  et  prexentato  el  don  et  prexente  li  mandemo  per 
ti,  dirai  a  la  maestà. predicta  ti  esser  mandato  da  nui  per  esser  al 
cospecto  del  soprascripto  illustrissimo  signor  per  animarlo,  persua- 
derlo, et  ridurlo  a  l'imprexa  contra  elTurcho,  come  coloro  che  cum 
tuti  i  nostri  pensieri  e  forze  ricerchemo  la  liberazion  de  la  fede  et 
religion  Christiana  dal  pericolo  de  questo  immanissimo  inimico  di 
Ghristo,  et  non  cognoscemo  niun  più  accomodato  rimedio  che  la 
ritornata  del  soprascripto  potentissimo  signor  a  l'imprexa ,  el  qual 
ritornando  sera  a  christiani  facilcosa  spinzerlo  de  l'Europa,  et  molto 
più  facile  al  soprascripto  signor  opprimerlo  in  l'Asia,  et  per  questo 
modo  liberar  el  mondo  de  questa  peste  et  pernicie.  Et  sapendo  nui 
la  autorità  e  reverentia  grande  che  necessariamente  ha  la  prefacta 
regia  sublimità,  cussi  per  tuto  el  paexe  fino  a  Gaffa  come  anche  in 
la  terra  propria,  et  ricordevoli  de  la  singoiar  benevolentia  et  amor 
che  dieta  maestà  ci  porta  et  de  la  observantia  et  culto  nostro  in 
quella,  havemo  prexo  questa  confidentia  de  mandarte  a  la  presentia 
soa  e  richieder  e  pregarla  che  in  benefìcio  de  le  cosse  Christiane 
et  in  nòstra  precipua  compiacenza  el  te  faci  accompagnar  et  scor- 
zeremo a  quella  città,  et  per  mezo  de  suo  proprio  nuntio  o  letere 
efficacissime,  anche  in  quella,  et  al  passar  de  lì  te  presti  ogni  pos- 
sibel  favor  et  ajuto,  declarando  ti  esser  suo  proprio  ambassador  man- 
dato 'per  sua  regia  sublimità  al  predicto  potentissimo  signor ,  la 
qual  cosa  a  ti  sarà  de  grandissimo  comodo  et  segurtà  et  a  la  maestà 
predicta  non  potrà  esser  se  non  grandemente  honorevole. 

Impetrato  adonque  tutto  quello  favor  e  de  quella  qualità  potrai  ob- 
tener,  spazandote  prestissimamente  de  Polonia  prosiegui  el  tuo  cam- 
mino a  Gaffa,  e  de  li  oltramar,  nel  qual  passazo  e  camino  non  te 
demo  più  uno  comandamento  che  un  altro,  perchè  bixogna  che  per 
zornata  tu  prendi  i  partiti  siano  a  più  tuo  seguro,  et  anche  prestis- 
simo andar  per  ritrovarte  a  la  presentia  del  soprascripto  potente 
signor.  Nui  te  dicemo  de  Gaffa  e  de  passar  al  mar  perchè  existimemo 
che  tal  via  et  transito  sia  apto  et  idoneo  per  information  havemo, 
ma  se  alguno  miglior  partito  te  occorresse  o  per  ricordo  et  favor 
del  soprascripto  serenissimo  signor  re,  o  altramente,  volemo  che 


144 
sia  però  in  tua  libertà  prender  quel  partito  sia  più  accomodato 
presto  e  seguro,  perché  el  nostro  final  desiderio  è  che  tu  gli  vadi,  e 
sia  per  qual  via  se  vegli,  pur  che  là  te  conducili. 

Et  per  tuo  avixo  nui  havemo  mandato  per  quella  propria  via  el 
prudente  cilladin  nostro  Polo  Ognibene,  et  havemo  indrizzato  a  la 
prefata  maestà  sua  cum  prexente  de  uno  cavezo  de  panno  d'oro  in 

restagno  molto  bello,  de  braza Investiga  cum  diligentia  et  anche 

modestia  sei  dicto  Polo  è  capitalo  e  fato  el  prexente  nostro,  e  come 
in  tute  cosse  lui  ha  facto  et  obtenuto  da  quel  serenissimo  signor  re, 
ogni  cosa  potrai  dimandar  apertamente  età  la  maestà predecta  et  ad 
altri;  ma  del  presente  fa  de  intenderlo  quanto  più  cautamente  et 
honestamente  poi,  et  danne  avixo  de  tuto  e  del  dì  del  suo  partir  de  lì 
per  Caffa,  e  cusì  del  tuo  zonzer  come  anche  del  partir  tuo. 

L'unico  nostro  pensiero  et  desiderio  è  che  lo  illustrissimo  signor 
Usson  Cassan  ritorni  questo  anno  o  quanto  più  prestamente  sia  pos- 
sibile a  l'impresa  centra  el  Turcho,  e  questa  è  la  principal  causa 
de  l'andata  toa  et  del  mandar  anche  de  tuti  altri  messi  et  letere  no- 
stre; et  prima  chel  seguisse  la  bataglia  fra  el  prefacto  excellentissimo 
signor  et  el  Turcho,  pur  per  tenerlo  suxo  l'impresa  li  mandasemo  el 
nobel  homo  Josaphat  Barbaro  cum  prexenli  e  munitimi,  el  qual  non 
ha  mai  per  la  via  de  la  Sorìa  potuto  passar,  et  anchora  se  ritrova  in 
Cypro  cum  tute  le  soprascripte  prexenti  e  munition. 

Zonto  adonque  in  cospecto  del  soprascripto  potentissimo  signor,  li 
presenterai  le  letere  a  lui  directive  che  sono  narrative  de  tuto  questo 
proprio  efìecto,  et  in  fine  la  credentiale  in  toa  persona  come  nostro 
ambassador  come  per  la  copia  la  qual  te  havemo  facto  dar  vedrai,  et 
volemo  che  quelle  te  siano  instruction  e  doctrina  alsuader  el  sopra- 
scripto  ill.mo  signoria  ritornata  et  prosecution  de  la  gloriosa  impresa 
soa,  dichiarandoli  veramente  per  esse  letere  la  singularfama  et  im- 
mortai gloria  acquistata  per  lui  per  la  mossa  et  magnanima  imprexa 
soa  predichila  facilità  de  laoppression  de  lo  inimicho,  li  singular  et 
inenarabel  beneficij  lui  ne  ha  a  ricever,  la  necessità  grande  del  pro- 
seguirla, et  de  accelerarla  per  non  dar  a  lo  inimicho  de  riposo  et 
de  reassumer  le  forze,  perchè  più  duro  e  più  difficile  sarìa  poi  el 
vincerlo.  Et  cum  tutte  quelle  raxon  che  in  diete  letere  se  contimi, 
da  poi  factele  conveniente  salutation  cum  le  parole  e  modi  se  serve 
cum  tal  signor,  procurerai  cum  ogni  tuo  ingegno,  studio  e  diligen- 
tia, chel  prefato  signor  per  ogni  modo  questo  anno  se  movi  e  torni 
a  l'imprexa,  che  impossibel  è  che  l'inimicho  se  li  opponi  per  esser 
stato  da  lui  grandemente  frachassato  et  morto  el  fior  de  la  zente  sue, 


142 

et  impoverito  et  desperato  tuto  el  suo  paexe.  La  qual  cossa  cogno- 
scendo  tutti  li  principi  christiani  sono  tati  erecti  et  aspectanolafama 
de  la  ritornata  del  soprascripto  ill.mo  signor  a  l'imprexa  per  spin- 
gerlo et  opprimerlo  ognuno  dal  canto  suo ,  et  a  questo  nui  conti- 
nuamente li  tenimo  inanemati  et  solicitati  per  nostri  messi  et  am- 
bassadori.  Nui  veramente  cum  l'armata  nostra  piùinstructa  che  mai, 
cum  tute  nostre  munition  et  instrumenti  bellici  mandati  l'anno  pas- 
sato et.  che  da  novo  nui  manderemo  saremo  molto  per  tempo  a  quelle 
marine  o  dove  intenderemo  drezarse  el  soprascripto  illustrissimo  si- 
gnor, per  poterli  porzer  non  solamente  in  mare,  ma  anche  in  terra  i 
favori  nostri.  Al  qual  etiam  dichiarerai  che  cum  i  nostri  presidii 
seranno  anche  quelli  del  serenissimo  signor  re  Ferdinando  nostro 
confederato,  come  dal  suo  ambassador  quello  intenderà,  et  similiter 
elsummo  pontefice  et  cum  le  proprie  forze  et  cum  el  concitar  e  mo- 
ver tutti  cristiani  in  forma  che  non  si  pò  né  crederne  stimar  altra- 
mente, ma  che  tranne  lo  inimicho  per  ogni  modo  habia  ad  esser 
preda  et  triumpho  de  quel  sublime  signor,  a  chi  Dio  per  suo  iusticia 
et  singular  bontà  et  virtù  ha  per  ogni  modo  promissa  questa  glorioxa 
Victoria  in  exaltation  soa  et  in  vendeta  de  tante  tirannie,  oppression  et 
crudeltà  commesse  et  che  ogni  dì  commette  el  prediclo  inimicho. 
Tute  queste  cosse  e  de  le  altre  più  difuxamente  narremo  in  diete 
letere  che  in  questa  commission,  tu  le  anderai  amplificando  a  tuo 
proposito  per  persuadere  et  indur  dicto  potentissimo  signor  a  l'im- 
prexa. Questo  è  in  eflecto,  quello  nui  desideremo  et  cerchemo  come 
cossa  sopra  tutte  altre  salutar  al  soprascritto  ill.mo  signor  et  a  nui, 
però  tu  niente  lassa  intentato  et  non  cerchato  dicto  o  facto,  che 
per  ti  far  sia  possibile  per  obtener  quanto  di  sopra  te  imponemo. 

El  serenissimo  signor  re  Ferando  nostro  confederato  manda  an- 
che lui  el  magnifico  cavalier  misser  Lanciloto zentilomo  napole- 
tano, costumata  e  virtuoxa  persona,  suo  ambassador  al  soprascripto 
signor  illustrissimo,  cum  lo  qual  tu  hai  qui  conferito,  cercha  la  via  e 
modo  de  lo  securo  e  presto  andar  vostro  o  divixi  per  diverse  vie,  o 
in  diversi  zorni,  o  uniti  parte,  e  parte  divixi,  che  de  questo  lassamo 
a  vui  prender  el  miglior  partito.  Ma  zonti  ambidui  cum  la  gratia  de 
Dio  in  corte  del  soprascripto  ill.mo  signor  conferirete  insieme,  et 
insieme  tuto  procurarete  et  farete  unita  et  conformamente  per  nome 
de  ambeduo  i  signori  vostri,  azò  in  ogni  andamento  vostro  et  opera 
apparati  et  siati  conformi  et  uniti.  E  se  tu  zonzesti  prima  che  lui, 
avixane  el  soprascripto  illustrissimo  signor  de  la  venuta  del  sopra- 
cripto ambassador,  e  cusì  cum  lui  intendeti  de  qui,  che  zonzendo  lui 


143 

prima,  ne  avixi  elido  signor  de  la  toa  venuta  del  compagno,  el  qual 
venuto  moltiplichi  poi  l'instantia  et  efficacia  de  compagnia. 

Et  ex  nunc  capium  sit  quod  presens  commissio  ante  discessum 
oratoris  ostendatur  oratori  regio,  sicut  de  commissione  ser  Josaphat 
Barbaro  factum  fuit  cum  altero  oratore  regio  et  oratore  summi  pon- 
ti fi  cis. 

Del  nobel  homo  Gatharin  Zen  el  qual  da  poi  partito  da  quello  il- 
lustrissimo signor  è  zonto  a  Catta  niente  più  avemo  sentito  de  lui, 
per  el  che  non  semo  senza  qualche  dubio  de  la  persona  soa,  impos- 
sibel  è  che  tu  per  strada  o  non  lo  scontri  se  è  sano  e  libero,  o  vera- 
mente in  Polonia  non  senti  da  lui  qualche  cosa,  o  almancho  in  Cafla 
dove  pur  è  zonto.  Se  tu  lo  scontri  per  ventura,  informate  da  lui  de 
ogni  cossa  necessaria  perchè  meglio  sappi  quanto  tu  hai  a  far  per  bona 
e  votiva  execution  de  i  nostri  comandamenti,  etanche  del  tuo  cammino 
qual  quelo  habi  ad  esser  da  Caffa  in  là,  informati  molto  bene.  E 
zonto  al  signor  Usson  dali  avixo  che  al  tuo  partir  decto  ser  Catarin 
non  era  zonto  a  nui  e  cusì  havendo  de  lui  sentito  o  non  sentito  cossa 
alguna,  avixane  la  sua  sublimità,  perchè  se  forse  non  li  respondesamo 
a  qualche  particularità  commessa  da  esserne  riferita  per  decto  ser 
Gatharin,  essa  celsitudine  non  prendi  admirationo  sdegno.  Et  anche 
avixa  esso  ill.mo  signor,  che  algune  lettere  che  da  Gaffa,  el  pre- 
decto  ser  Gatharin  ne  scriveva  mandate  per  lui  per  via  de  Costanti- 
nopoli a  la  mano  del  capitanio  nostro  zeneralda  mar  et  per  lui  anni, 
in  mar  sono  perite  cum  el  grippo,  sì  che  nui  semo  rimasti  senza  de- 
siderata information  de  quelle  cosse. 

El  potria  occorrer,  che  insieme  cum  ti  se  ritrovasse  el  nobel  homo 
Josaphat  Barbaro,  et  qualchun  altro  nostro  zentiluomo  mandato  per 
la  via  de  Sorla,  et  anche  Polo  Ogniben  che  nui  havemo  intitolato 
nostro  secretano.  Ritrovandole  cum  questi  o  cum  alguno  de  loro, 
conferite  insieme  et  habiatevi  ambassadori  per  ambassadori,  et  Polo 
in  suo  grado,  et  unitamente  fate  quello  se  convien,  sì  che  tutti  appa- 
riate corno  sete  mandali  da  uno  inslesso  signor  et  per  una  instessa 
cossa,  per  ben  de  la  materia  et  per  più  honor  nostro,  et  per  quanto 
aveti  chara  la  gratia  nostra,  non  mostrate  fra  vui  algun  segno  de  di- 
scordanza. I  messi  anche  che  nui  havemo  mandati  Martin  Pin  e  uno 
Polo  albanexe  et  altri  mandati  per  el  capitanio  nostro  zeneral  cum 
letere  desimel  consonantia  al  soprascripto  signor,  habiatili  e  tracta- 
tili  per  nostri  nuntii,  et  expediteli  a  nui  cum  vostre  lettere,  separati 
l'uno  da  l'altro  et  per  diverse  vie. 

Oìtra  questi  o  se  questi  non  fusseno  capitati,  spazatene  deli  altri 


144 

et  siate  solertissimi  in  scriverne  e  de  ogni  successo  distincto  avixo 
per  ogni  via  ,  e  de  Sorìa  e  de  Gharmania ,  et  per  ogni  altra  via , 
e  non  guardate  a  sparagno  né  de  persone  nò  di  dinari,  che  ben  sa- 
pete el  desiderio  nostro  de  esser  cum  diligentia  et  frequentia  avixati 
de  ogni  deliberation  et  progresso  del  soprascritto  excellentissimo 
signor. 

Visiterai  quando  potrai  anche  quello  excellentissimo  signor  la  mo- 
glie la  despina,  la  qual  intendemo  esser  in  gratia  sopra  ogni  altra 
persona  del  soprascripto  signor,  ethacauxade  esser  implacabel  ini- 
micha  del  turco  per  la  morte  del  padre  e  spoliation  del  sangue  suo 
del  suo  stato  et  imperio  deTrapexonda.  E  come  nui  intendiamo,  che 
è  optirna  Christiana  e  sempre  a  nui  ha  mostrato  benivolentiaet  amor, 
messedando  tuti  questi  respecti  et  cauxe  ad  insieme,  etpresertim  le 
proprie  soe  e  le  Christiane,  procura  de  inflamarla  in  questa  opinion 
et  voler  chel  soprascritto  illustrissimo  signor  prosiegui  la  comen- 
zata  imprexa,  et  possi  dir  Victoria  soa,  perchè  reducto  lo  inimicho 
ne  i  termini  presenti  se  li  pò  ben  dir  esser  vincto  e  superato. 
ml  figlioli  del  soprascripto  illustrissimo  signor  similiter  visiterai, 
e  dextra  et  acconzamente  a  chiascun  de  loro  ricorda  conforta  e 
suadi  chel  signor  suo  padre  proseguì  l' imprexa  soa,  et  dimostra 
anche  a  loro  la  facilità  e  certezza  de  la  Victoria ,  la  necessità  che 
li  de'indur  a  cusì  desiderar  i  fructi  inenarabili  non  solamente  cum 
amplication  del  stato  e  dominio  che  è  guadagno,  ma  cum  stabili- 
mento de  quello  già  possedono  et  dominano,  che  è  segurtà  e  con- 
vation  del  proprio  imperio,  che  vivendo  el  Turco  e  rassumendo  per 
riposo  le  forze,  sempre  sarà  da  lui  insidiato  e  cercato  de  poner  in 
peri  culo. 

Cum  el  signor  Garaman  e  cum  quelli  altri  signori  se  ritroverano 
in  corte  de  quel  signor,  cazati  per  lo  Turcho  fa  anche  assiduamente 
l'officio,  inanimali  e  solicitali,  che  questa  prexente  occaxion  non  si 
perdi,  mostrando  anche  a  loro  la  facilità  anzi  certeza  de  la  Victoria. 

Serenissimo  autem  domino  regi  Poloniae  mittantur  dono  per  eun- 
dem  oratorem  brachia  XVI  campi  auri  pulcherimi,  ducat.  circa  X 
prò  quolibet  brachio,  sicut  melius  fieri  per  deputandos  ab  collegio 
videbitur. 

Spazata  questa  commission  toa,  l'è  zonta  una  nave  da  Gaffa  per 
la  qual  havemo  ricevuto  le  copie  de  le  letere  che  quello  illustris- 
simo signor  ne  scrive,  e  quelle  lui  scrive  al  papa  e  al  re,  et  ha- 
vemo intexo  la  cauxa  de  la  indugia  de  Gatarin  in  Gaffa,  et  al  so- 
prascripto potentissimo  signor  havemo  per  più  vie  risposto  a  diete 


145 

suo  letere  et  per  ti  anche  replichemo  quelle  instesse,  et  havemoti 
fato  dar  una  copia  per  che  ti  anche  olirà  la  lelera  exponi  et  operi 
quello  medesimo.  Et  quello  più  oltra  sentirai  in  camino  de  dietó 
Gaterin,  ne  avixerai  come  de  sopra  havemo  dicto  el  soprascripto 
excellentissimo  signor. 

De  parte     147 
De  non  0 

Non  sincere    0 

Secreta  XXVI.  Cornet,  op.  cit. 


DOCUMENTO   XV. 


1473.  Die  11  Februarij. 
Comissione    segreta  ad  Ambrogio  Contarmi. 

Ser  Ambrosio  Contar eno 
oratori  ad  illustrissimum  dominum  Ussonum  Cassanum. 

Per  la  patente  tua  commission  te  havemo  imposto  quello  che  general- 
mente rechiede  la  materia  e  che  se  convien  a  la  comunication  havrai 
a  far  cum  l'ambassador  regio.  Qui  nui  te  parleremo  alquanto  più  par- 
ticularmente  cussi  de  la  guerra  come  de  la  pace,  et  è  nostra  intention 
che  tutto  questo  appresso  de  ti  sia  secretissimo  per  quella  forma 
te  sarà  comandato,  zoè  che  prima  che  tu  parti  de  Italia,  tu  impari 
molto  ben  e  tengi  a  memoria  cum  quelli  contrasegni  e  zifre  parerà 
a  ti,  questo  foglio  in  tutto  brusi  et  consumi,  siche  mai  possi  esser 
veduto  per  alguno. 

Existimando  nui  questo  anno  passato,  che  quello  serenissimo  si- 
gnor fusse  per  intrar  in  la  Natòlia  et  venir  a  la  extintion  del  Othoman, 
havevamo  dato  comandamento  al  capitanio  nostro  zeneral  da  mar, 
che  cum  tuta  l'armata  vigoroxamente  intrasse  nel  Streto  e  penetrasse 
fino  a  Costantinopoli  mettendo  a  focho  e  consumando  tuto  da  l'una 
e  dal  altra  ripa,  per  el  che  seria  stata  forza  a  lo  inimico  remandar 
10       Bollettino  Consolare,  Voi   III. 


Hi 

bona  parte  de  le  gente  suo  a  difexa  de  la  propria  caxa  et  sedia  soa, 
e  tanto  seria  stato  mancho  potente  contra  el  potentissimo  exercito 
de  la  soa  sublimità,  cum  grandissima  confusion  et  perturbation  de 
tuto  el  stato  suo,  per  la  intersecation  e  division  de  ogni  comodità  sì 
de  victuarie,  come  de  ogni  altra  cossa  de  la  Grecia  in  la  Natòlia,  et  cum 
certo  sollevamento  et  rebellion  de  molte  sue  provincie  e  luoghi  de  la 
banda  de  la  Grecia  che  poteria  facilmente  esser  la  ultima  ruina  de 
tuto  el  stato  suo  in  l'una  et  in  l'altra  provincia. 

Intexo  dapoi  per  letere  del  nobel  homo  Gatarin  Zen  nostro  am- 
bassador,  quello  excellentissimo  signor  haver  facto  altra  delibera- 
tion  e  drizarsi  ad  altro  cammino,  aviassemò  cum  celerità  verso  le  ma- 
rine del  Garaman  le  munition,  artiglierie  et  homeni  al  manizarle  ex- 
perti ,  richiesti  per  soa  celsitudine,  le  qual  ancora  se  ritrovano  in 
Cypro  et  ritrovase  anche  l'ambassador  nostro  cum  i  presenti  che  nui 
mandèmo  per  honorar  sua  illustrissima  signoria. 

El  capitanio  veramento  nostro  che  come  havemo  dicto  aspectava 
de  intrar  in  Strecto,  havendo  da  nui  oltra  el  primo  quello  anche  re- 
servato et  exceptivo  comandamento  de  far  in  tuto  e  per  tuto  quanto 
comanderia  quel  potentissimo  signor,  havendo  ricevuto  lettere  dal 
signor  Caraman  et  cussi  da  ser  Gatarin  Zen  nostro  ambassador,  che 
dichiariva  la  intention  et  voler  del  soprascripto  illustrissimo  signor 
esser,  che  cum  l'armada  se  conferisse  a  le  marine  del  predecto  si- 
gnor Caraman  et  quello  aiutasse  a  lo  acquisto  del  suo  stato,  cussi 
fece  conferendosi  lì  cum  l'armata  e  tute  munition,  et  acquistò  et  re- 
stituì a  quel  signor  quelle  castelle  et  luoghi  sape  (che  sa)  la  sublimità 
sopradicta,  aspectando  sempre  la  venuta  de  quella  o  de  la  scorta  per 
assegurarli  et  assignarli  le  artigliane  predicte,  e  lo  ambassador  no- 
stro per  venir  a  la  presentia  soa  per  honorar  quello  come  deside- 
riamo. 

Successe,  stando  in  questa  expectatione,  la  battaglia  fra  la  celsitu- 
dine soa  et  l'Othoman,  per  la  qual  è  lo  inimicho  reducto  in  grandis- 
simo extermio,  licenziatele  reliquie  del  suo  esercito,  le  qual  non  ponno 
non  confessarla  loro  extrema  et  incedibel  strage  e  ruina,  e  ritrovase 
el  paexe  et  dominio  suo  desperato  et  consumato  et  cum  continua 
angossa  e  paura  della  ritornata  a  suo  ultimo  excidio  del  soprascripto 
illustrissimo  signor. 

Queste  cosse  volemo  che  tu  dichiari  a  do  fini:  l'uno  perchè  questo 
passato  anno  dicto  illustrissimo  signor  intendi  et  cognossi  el  vero 
successo  de  le  cosse  dal  canto  nostro  e  de  la  speranza  conceputa  per 
lui  de  i  presidij  nostri ,  se  reputi  satisfacto  da  nui  et  siane  anche 


147 

certo  in  lo  avenire  per  ogni  imprexa  che  la  soa  subblimità  deliberi 
prender. 

L'è  ben  vero  che  per  lo  desiderio  nostro  vossamo  (vorremmo) 
e  judichemo  sarìa  più  in  proposito  proseguir  totis  viribus  contra 
l'Othoman,  soa  sublimità  per  terra,  e  nui  nel  Streto  come  de  sopra 
havemo  dicto,  che  come  havemo  già  dicto  è  pessimamente  conditio- 
nato, per  non  aspectar  checum  el  tempo  si  resumi  e  fortifichi,  per- 
chè vincto  et  estincto  costui,  ninna  più  diffìcultà  resta  ad  esso  ec- 
cellentissimo signor  a  la  monarchia  de  tuta  l'Asia.  Ma  quando  pur 
sua  celsitudine  a  la  Sorìa  più  presto  fosse  disposta  per  parerli  più 
facilitar  et  meglio  disponerl'impresa  nostra  contra  l'Othoman  el  qual 
per  niente  è  da  lassar  in  riposo,  dichiarali  anche  che  ad  essa  imprexa 
lui  è  per  haver  niente  mancho  l'armata,  munition,  favori  et  presidii 
nostri  tuti,  come  de  coloro  che  cum  sua  sublimità  se  reputemo 
conjuncli  et  uniti  in  partecipation  de  ogni  fortuma. 

De  parte         50 
De  non  13 

Non  sincere     6 


Aggiunta  proposta  dai  savi  agli  ordini. 

Se  per  ventura  tu  ritrovassi  el  soprascripto  illustrissimo  signor 
suspexo  e  tardo  al  moversi  et  presertim  contra  l'Olhoman,  e  le  raxon 
già  diete  de  la  facilità,  utilità,  gloria  et  necessità  non  lo  persuadesse, 
et  anche  per  se  medesimo  a  l'imprexa  de  la  Sorìa  ti  paresse  star  in 
dubio,  perchè  essendone  per  se  incitarlo  et  volunteroxo  basta  che  tu 
l'offeriscili  quanto  de  sopra  havemo  dicto,  in  tal  caxo  per  persua- 
derlo e  moverlo  per  qualche  modo,  facla  ogni  experientia  de  la  Na- 
tòlia, e  non  si  movando,  tu  suadili  la  Sorìa  reame  di  tante  victualie, 
intrade  e  tute  altre  commodità  inenarabile  ,  al  vincer  veramente 
niuna  diffìcultà,  domata  continuamente  et  desiderata  per  lo  inimico, 
la  qual  unita  ale  forze  del  soprascripto  illustrissimo  signor  insupe- 
rabile per  se  medesime,  et  havendo  in  sua  disposizione  el  mare  per 
tnezo  de  l'armata  nostra,  per  lo  qual  po'  ricever  soa  sublimità  ogni 
necessario  favore  e  lo  inimico  ogni  danno  et  ogni  disconzo,  come 
questi  do  superior  anni  per  nui  soli  li  avemo  facto,  cossa  indù- 


148 

beatissima  è  che  l'Othoman  in  spacio  brevissimo  et  senza  difficultà 
convegni  esser  per  se  medesimo  suppresso  et  extincto  et  quello 
excellentissimo  signor  libero  dominator  de  tuto. 

Queste  cosse  proponile,  et  sforzate  de  farle  molto  ben  gustar  et 
intender,  che  o  per  l'una  o  per  l'altra  de  queste  imprexe  la  subli- 
mità predicta  se  movi,  l'una  vincla,  l'altra  è  necessariamente  obte- 
nuta,  e  non  può  fallir  che  cussi  non  sia.  Tutto  consiste  nel  celere 
moto  de  quel  signor,  essendo  tutte  cosse  al  suo  favor  disposte  più 
che  mai  fusseno  o  potesseno  esser  per  le  allegate  raxon:  si  che  ve- 
nendo non  gli  è  dubietà  e  difficultà  alcuna,  che  soa  celsitudine  non 
abbia  ad  esser  el  secondo  Alessandro,  et^lassar  in  simel  stato  la  soa 
posterità. 

De  parte  74. 

Secreta  XXVI.  Cornet,  op.  cit. 


DOCWJtlElVTO  ULTI. 


Altri  punti  segreti  ad  Ambrogio  Contarmi.  —  1473,  11  Febbraio. 

Capitulum  distincte  scribendum  et  imponendum  oratori  secretius 
una  cum  aliis  secretioribus  et  non  comunicandum  cum  regio 
oratore. 


Se  tu  sentisti  o  nel  tuo  zorzer  o  da  poi  alguna  practica  trava- 
mento o  mention  de  pace  o  triegua  fra  el  prefato  illustrissimo  signor 
et  il  signor  Turcho,  tu  quella  dessuadi  et  desturba  quanto  più  tu 
poi,  ricordando  el  pericolo  che  per  tal  pace  e  triegua  pò  adevenir 
al  stato  del  soprascripto  illustrissimo  signor,  perchè  per  quelle  si 
dà  tempo  e  commodità  a  lo  inimico  de  reassumer  le  forze  al  pre- 
sente debilitate  et  exauste,  e  de  offender  et  opprimer,  dove  hora  pò 
senza  molta  difficultà  esser  lui  offeso  et  oppresso.  Ricorda  tuti  i 
regni  e  provincie  lui  ha  occupato,  esser  occupati  per  questi  mezi 
de  ritrovar  condition  de  pace  o  triegua  quando  lui  è  stato  da  la 
parte  del  desavantazo  come  hora  è,  et  instaurate  le  forze,  non  ha 


149 

servato  mai  fede  ad  alguno,  et  però  non  è  da  esserli  dato  tempo 
ne  riposo.  Ma  questo  è  el  tracto  e  la  occasion  de  estinguerlo  et 
assecurarse  in  perpetuo  de  sue  avare  et  pericolose  condition  et 
voglie.  Se  veramente  facta  per  ti  ogni  possibel  experientia  e  conato 
de  disuader  et  romper  ogni  simel  practica,  e  te  accorzesti  l'animo 
del  soprascripto  illustrissimo  signor  inrevocabiliter  a  lo  acordo 
esser  disposto,  in  questo  caxo  perche  semo  certissimi  che  quello 
excellentissimo  signor  vorà  dicto  accordo  cuin  ogni  avantazo  et 
segure  condition  et  deturbation  de  la  potentia  de  lo  inimico  e  vorà 
che  a  lui  sia  restituito  Trapesunda,  et  al  Garaman  et  ad  altri  signori 
spogliati  e  cazati  del  stato  loro,  per  nui  tu  anche  ricorda  e  di- 
manda chel  ne  sia  restituito  Negroponte  nostro  et  Argos,  o  almancho 
Negroponte  non  possendo  obtenir  tuti  do ,  dechiarando  a  quello 
excellentissimo  signor  l'importantia  de  l'ixola  predicta  per  le  cosse 
da  mar,  la  qual  essendo  in  nostra  podestà,  sempre  tute  quelle  forze 
maritime  sono  ad  ogni  proposito  commodità  et  voglia  de  esso  excel- 
lentissimo  signor  cum  singular  sua  gloria  et  exaltation.  Fa  adunque 
quanto  tu  poi  et  sai,  che  venendosi  a  pace  o  accordo  quello  sia  cum 
li  soprascripti  avantazi.  Da  poi  facto  ogni  cossa,  se  pur  pace  o 
triegua  hano  necessariamente  a  seguir  a  chavo  a  chavo  senza  avan- 
tazi, procura  anche  che  in  quelle  insieme  cum  el  serenissimo  signor 
re  Ferando  siamo  nominati  comprexi  et  inclusi  per  la  parte  del 
soprascripto  exellentissimo  signor,  come  suo  confederati  et  partecipi 
cusì  della  guerra  come  de  la  pace  e  de  ogni  altra  sorte  d'acordo, 
insieme  cum  li  adherenti  e  recomandati  nostri  e  de  chiaschun  de 
nui.  Ma  questa  sia  l'ultima  cossa  che  tu  dimandi  e  cerchi,  dapoi  che 
tentato  ogni  cossa  per  ti  non  fosse  possibel  far  altramente.  Et  se  al 
tuo  zonzer  la  pace  per  ventura  fosse  facta  o  triegua  ne  le  qual  de 
nuj  doi  non  fosse  sta  facta  mention,  tu  modestamente  recorda  la 
conjunction  et  union  nostra  e  la  nostra  constantia  et  refuto  facto 
de  ogni  pace  offertane  da  lo  inimicho  e  fede  et  speranza  nostra  in 
soa  sublimità,  a  qual  tu  pregherai  che  in  dieta  pace  o  triegua  ce 
vogli  includer  cum  quanta  miglior  condition  sia  possibile,  purché 
cum  soa  sublimità  in  ogni  condition  o  fortuna  siamo  uniti,  insieme 
cum  i  nostri. 

De  parte  .  .  .  147 
De  non  ...  0 
Non  sincere   .     .        0 

Secreta  XXVI.  Gornet,  op.  cit. 


150 

DOCUMENTO  XVII. 


Carteggio  del  veneto  segretario  Giovanni  Dario, 
spedito  in  Persia  dal  bailo  a  Costantinopoli,  nel  1485, 


Magnifìce  et  generose  Domine.  Partecipo  a  Vostra  Magnificenza, 
come  ho  già  fatto  con  altra  lettera  che  mandai  al  console  nostro  in 
Adrianopoli,  che  questa  mattina  fu  fata  porta  solenne  per  accettar 
l'ambasciatore  del  soldano,  e  anche  io  andai  per  vedere  cose  nuove, 
e  subito  presentandomi  in  quel  cerchio  che  era  intorno  li  signori, 
per  sua  grazia  mi  fecero  chiamare  e  sentare  sopra  uno  scagno  in- 
contro di  loro,  arente  i  deflerdari,  e  venne  da  mi  un  ambasciatore  di 
questi  Ungheri,  che  venne  ultimamente  con  una  bella  compagnia 
alla  quale  mandarono  un  tappeto  fuora  del  pavion.  E  poi  per  buon 
spazio  cominciarono  a  venire  li  presenti  del  sultano,  e  fu  in  prima  : 
un  animale  grande  come  un  lion  con  varie  macchie,  negro  del  capo 
fino  alla  coda,  che  era  una  terribilità  a  vederlo;  di  poi  vennero  sei 
corsieri  bellissimi,  el  primo  con  una  sella  e  briglia  d'oro  e  con  barda 
di  lame  all'azimesca,  e  i  altri  corsieri  poi  disfornidi.  Drio  vennero 
tre  cammelli  corridori  con  tre  selle  e  cossinelli  di  panno  di  seta,  e 
coverte  a  lor  modo  ;  e  drio  di  questi  vennero  presenti  minudi  :  tre 
pappagalli  bellissimi  con  gabbie,  e  quattro  garzoni  eunuchi  neri,  e 
due  spade  fornide  e  quattro  disfornie.  Doi  mazze  di  ferro  bellis- 
sime, doi  accette  con  la  cima  un  suo  fornimento,  elmi,  brochieri  di 
azzai,  e  drio  questo  furono  molte  selle,  sanibaffì,  centure,  lizari, 
panni  di  seda  che  in  verità  a  doi  pezze  per  uomo  erano  più  di  ot- 
tanta per  sorte  che  le  portavano.  Dietro  li  presenti  venne  l'amba- 
sciatore con  una  berretta  in  testa  e  una  veste  damaschina  verde  e  le 
maniche  di  ricamo  d'oro,  e  tutta  la  sua  schiena  fino  in  terra  era 
coperta  di  zibellini.  E  subito  ch'el  se  appresentò  in  quel  cerchio  li 
signori  uscirono  dal  pavione  con  loro  seguito  e  li  andarono  in- 
contro ;  dopo  la  salutatone  lo  menarono  sotto  il  pavione,  ed  es- 
sendo di  sotto  il  Daut  bassa ,  ed  in  mezzo  agli  altri  sentati ,  e 
ragionando  per  buon  pezzo  furono  chiamati  dal  signore  e  andarono 


154 

li  tre  bassa  con  l'ambasciatore  e  quel  suo  dottor  grande  che  venne 
di  Costantinopoli.  Et  entradi  dal  signore,  stettero  manco  de  un 
quarto  d'ora  ed  escirono  fuori,  e  tornarono  a  senlare  sotto  il  pa- 
vione,  e  portarono  fuori  un  gran  rotolo  di  scritture,  le  quali  fecero 
tagliare,  e  le  lesse  il  dottor  grande,  e  fu  lunghissima  lettura. 

Da  poi  letto,  portarono  il  desinare  e  messe  molte  vivande  davanti 
li  bassa  e  altri  che  sentavano  con  loro.  Da  poi  il  desinare  fu  messo 
avanti  li  defterdari  e  da  poi  furono  messi  otto  piatti  di  porcellana 
avanti  di  me  con  diverse  cose.  E  chiamato  lo  ambasciatore  unghero, 
sedette  sotto  di  me  e  mangiassimo  di  quel  che  vi  era  cadauno. 
Levati  i  piatti  vennero  i  deputati  e  dissero  all'ambasciatore  unghero 
ch'el  tornasse  fora  al  suo  primo  luogo,  e  così  fece,  ed  ebbe  del  sole 
quanto  ne  ha  voluto,  ed  io  rimasi  sopra  il  mio  scagno,  ed  ogni 
uomo  ha  giudicato  che  la  persona  mia  sia  stata  molto  onorata  in 
questa  giornata  alla  corte.  E  Dio  sia  di  tutto  ringraziato. 

Domani  si  dice  che  anderà  l'ambasciatore  d'India,  ed  io  faccio 
conto  di  riposare.  Ma  Luca  Sofrano,  portadore  di  questa  è  stato 
alla  presente  solennitade.  Di  nuovo  el  sarà  anche  a  quella  di  do- 
mani, e  narrerà  tutto  alla  Magnificenza  Vostra  e  tuorrà  a  mi  la 
fadiga  de  scriver,  che  in  verità  stando  scomodo  come  sto,  con  gran- 
dissimo caldo  sotto  di  questo  padiglione  non  mi  vien  voglia  di  far 
niente  di  ben,  né  mai  in  vita  mia  ho  visto  più  strano  solazzo  di 
questo  che  non  avevo  pur  aqua  fresca  da  bere.  Ricevo  per  altro 
grandissima  cortesia,  ma  ritardi  e  struzi  inesplicabili,  avendo  anche 
alle  spalle  gli  ambasciatori  di  tre  città  e  se  ne  aspettano  degli  altri, 
e  ognuno  vorria  essere  spacciato  dal  dire  e  fare  le  cose  sue.  E 
questa  corte  contrapesa,  e  con  tanti  ambasciatori  è  occupatissima. 
Io  peno  di  mezzo,  e  in  verità,  come  altre  fiate  ho  scritto,  non  bi- 
sogneria  metter  tanta  carne  al  fuoco,  né  creder  ad  un  giovine  che 
non  sa  niente  e  che  ha  riferido  cosa  non  vera  e  poste  le  cose  nostre 
in  pericolo.  Prego  Dio  me  dia  grazia  che  possa  riescir  con  onore  e 
alla  Magnificenza  Vostra  mi  raccomando. 

Dat.  in  Kasbin  in  Persia,  li  10  luglio  1485. 

Archivio  Cicogna,  cod.  MDCCXCVI. 


152 

DOCUMENTO  XVIII. 


Magnifice  et  generose  domine.  Hieri  scrissi  a  Vostra  Magnificenza 
come  l'ambasciator  del  soldano  era  andato  alla  corte,  e  le  cosse 
seguite,  e  mandai  la  lettera  al  detto  nostro  console  la  quale  credo 
l'averà  ben  recata.  Questa  mattina  doveva  andare  l'ambasciatore 
d'India,  e  io  desiderava  di  riposare  e  aveva  anche  tolto  un  poco  de 
medicina ,  e  temporeggiando  così  sul  mio  stramazzo  sentii  venire 
un  chiaus  el  qual  me  domandò  da  parte  da  questi  signori  sultani 
che  io  andasse  a  questa  solennità;  e  così  mi  vestii  e  andai  alla 
Porta  accompagnato  da  quel  medesimo  chiaus,  e  presentandomi 
davanti  il  loro  pavione  fui  chiamato  e  introdotto  sotto,  e  sentai  in 
quel  scagno  preparatomi  secondo  usanza,  e  dietro  de  mi  per  tre  o 
quattro  passi  fora  del  pavione  erano  sentati  tre  di  quei  signori 
ungheri,  e  dietro  di  loro  due  servitori,  e  avevano  del  sole  quanto 
volevano.  Dopo  buon  pezzo  venne  l'ambasciatore  indiano,  il  quale 
fu  accettato  honoratamente  e  sento  sotto  Daut  in  mezzo  delli  altri 
signori  ;  e  averte  le  casse  delli  presenti  li  sultani  hanno  voluto 
vedere  el  pugnai  e  la  cima  che  venivano  presentate  al  signore,  e 
portate  avanti  di  loro,  mi  chiamarono  che  anch'io  andassi  a  vedere, 
e  sentando  avanti  di  loro,  me  fu  messo  in  mano,  et  era  la  vagina 
tutta  d'oro,  e  la  guardia  di  fora  di  rubini,  cioè  in  mezzo  vi  erano  22 
grossi  rubini,  e  dalle  bande  rubinetti  piccoli,  ed  in  alcuni  luoghi 
qualche  turchese ,  e  nella  cima  della  vaina  una  perla  grossa  ;  e 
mentre  vedevo  et  esaminavo  detto  pugnale  furono  chiamati  e  an- 
dorno  dal  signore.  E  la  corte  e  tutto  quel  campo  erano  pieni 
d'uomini,  che  portavano  suoi  presenti  e  sono  2600  lizari  e  por- 
cellane, code  di  cavalli,  lanze  di  canna,  uno  bellissimo  papagallo 
rosso  ed  altre  gentilezze  indiane,  e  parve  miracolo  a  vedere  in 
un  tratto  tanti  presenti.  E  li  signori  sultani  sentando  così  e  ve- 
dendo me  mandarono  a  dire,  che  tenissi  bene  a  mente  per  fare  e 
simile  anca  mi  verso  il  signore.  Et  io  risposi  che  valeva  più  al  loro 
signore  il  buon  amore  dei  miei  signori,  che  non  valeva  tutte  le  cose 
del  mondo.  E  così  se  voltarono  da  mi  tutti  insieme,  e  mi  fecero  atto 
che  avevo  risposto  molto  bene.  Fu  portato  il  desinare  e  avanti  de 
mi  solo  fu  portate  diverse  bandigioni.  E  alli  ongheri  fu  dato  di  fuora, 
e  mangiando  quei  signori ,  me  invitarono  che  mangiassi ,  ed  io 
lor  facevo  dire,  che  anco  volevo  bevere  ;  e  mangiammo  molto  bene  e 


153 

appetito  e  allegramente,  e  prometto  alla  Magnificenza  Vostra  che  tra 
quelle  bandigioni  vi  era  una  minestra  con  sugo  de  limone  che  mi  ha 
saputo  molto  buona,  e  di  questa  sola  ho  desinato.  E  dicto  pasto  mi 
fu  portato  in  piatti  di  porcellana,  la  vivanda  era  buona,  ma  mi  averla 
piuttosto  bevuto  una  tazza  di  vino.  Partito  poi  l'ambasciatore  in- 
diano anch'io  tolsi  licenza,  e  me  ne  venni  al  mio  alloggiamento.  Ed 
in  tutto  ciò  è  stato  presente  Luca  Sofrano,  e  potrà  ragionarle  di- 
stintamente. Ne  me  accade  altro  che  raccomandarmi  alla  Magnifi- 
cenza Vostra. 

Dat.  in  Gastris  regis  Persiarum  11  luglio  1485. 

Giovanni  Dario. 

Archivio  Cicogna,  cod.  MDCCXCVI. 

DOCUMENTO   XIX. 


Copia  di  una  relatione  facta  per  doni.  Costantin  Laschari,  stalo  al 
Charaman  per  nome  della  Signorìa  Nostra,  narra  delle  cosse  del 
Sophì,  le  quali  furono  lette  in  Collegio  ed  in  Pregadi. 

Ser.moedill.mo  principe,  et  excell. mi  signori,  post debitas  comen- 
dationes  io  Costantin  Laschari  bon  servidor  di  questa  signorìa,  per 
obedir  a  quella,  che  dovessi  diponer  in  scriptura  zercha  ale  cosse 
imposte  per  Vostra  Serenità  de  le  cose  del  sig.  Caraman  de  inde  del 
sig.  Sophì  el  qual  è  principe  de  tuta  la  Persia,  chel  ser.mo  impe- 
radorUxon  Cassan  dominava:  et  prima  zonto  a  Tarsus  che  fo  adì  16 
marzo,  subito  mandai  uno  messo  a  Tauris  al  sig.  Garaman  con  le- 
tere  di  V.  S.  facendoli  intender  tanto  quanto  per  questa  signorìa 
me  està  imposto,  de  lo  qual  sig.  ebbi  aviso,  siccome  alla  S.  V.  io 
ho  scrito,  et  subito  mi  partii  de  Tarsus  per  andar  a  trovarme  con 
el  dito  sig.  el  qual  trovai  in  Astankief  lontan  da  Tauris  zornate  15 
con  circa  cavalli  300;  fate  le  debite  revisitation  da  parte  de  Vostra 
Serenità  narandoli  quanto  questa  signoria  era  disposta  a  darli 
ogni  favor  et  ajuto  contro  il  Turco,  azò  potesse  esser  ritornato  in 
suo  stato,  de  che  sua  sig.a  ne  ricevette  grandissima  consolation  et 
insieme  cavalchassemo  in  verso  Aleppo,  in  la  qual  terra  stessemo 
insieme  zorni  5,  et  dapoi  molti  consulti  e  rasonamenli  fatti  insieme 
la  sua  sig.a  deliberò  mandar  uno  ambassador  in  Cypro  a  le  exel- 


154 

lentie  de  quelli  rectori  de  V.  S.,  i  qual  invero  i  ha  fato  bona 
acoglientia  al  dito  amb.  et  della  promessa  fatta  al  suo  signor  de 
artelaria  et  galie,  che  ne  altra  cossa  desiderava  questo  signor  ;  et  tanto 
più  chel  signor  Sophì  li  comesse  che  dovesse  vegnir  verso  la  Cara- 
mania  che  etiam  lui  li  veniva  drieto  per  metterlo  in  signoria,  lo  qual 
sig.  Garaman  et  da  tuta  la  sua  zente  fu  certificato  aver  cavalcato  in- 
sieme col  sig.  Sophì  tre  zornade  in  verso  alo  paexe  del  Turco,  con 
tuto  lo  suo  exercito  per  esser  el  primo  per  discaziar  quel  si- 
gnor, el  qual  è  debilissimo  e  no  pò  far  5000  combattenti  gente 
inesperta  et  mal  in  ordine  in  arme,  et  poi  quanto  sera  in  Amasia 
farà  deliberation  per  qual  strada  debba  entrar  in  Garamania  per 
esser  tre  et  quattro  passi  ;  la  potentia  del  qual  signor  Sophì,  è  de 
combattenti  80m.  tra  a  cavalo  e  a  piedi,  zente  persiana  di  gran  expe- 
rientia  de  guerra,  ben  armadi  de  armadure  per  loro  e  per  li  ca- 
vali, però  chel  fior  de  armadure  che  son  al  Gayro  per  li  schiavi  se 
trazeno  de  la  Persia  de  una  cita  che  se  chiama  Siras,  de  che  Se- 
renissimo Principe  me  ho  voluto  ben  far  certo  non  tanto  del  si- 
gnor Caraman  quanto  de  tute  le  sue  gente  come  etiam  d'altre  per- 
sone venute  da  Persia,  che  tute  si  acordano  de  questa  potentia  et 
esser  cussi  ben  in  ordine,  però  che  andava  contro  la  casa  otto- 
mana come  heretichi  dalla  fede  macometana ,  et  usurpatori  del 
stato  di  molti  signori  macometani,  et  che  se  intendeva  con  quella 
ili. ma  signoria,  et  per  lui  chel  dito  sig.  Garaman  narandoli  quanto 
per  vostra  Serenità  li  avea  dechiarito;  praeterea  el  dito  signor  Sophì 
havanti  che  partisse  de  la  Persia  per  ogni  rispeto  et  per  tolerse 
davanti  li  occhi  tutti  li  sospetti  che  poteva  haver,  preseno  con  le 
sue  forze  tuti  quelli  signori  che  erano  in  la  Persia  di  n<>  80  in  90, 
et  feceli  tagliar  la  testa  e  a  tuti  i  soi  figlioli  fin  in  terzo  grado,  la 
qual  cosa  piasete  a  tutti  li  popoli  per  le  gran  tirannie  che  fevano 
et  mazimamente  ali  merchadanti  insuper  al  signor  Soldano  del  qual 
non  hanno  niun  favor  ;  et  trovandomi  in  Aleppo  ie  le  vidi  tornar  dal 
Gayro  con  25  cavali  e  andar  in  verso  Amasia  per  trovarse  con  quello 
altro  signor  molto  mal  contento;  et  quanto  questi  doi  signori  in- 
sieme zoè  d'Amasia  et  de  Tauris  con  tutti  li  favori  che  possano  mai 
aver  non  porano  far  cavali  7  in  8m;  ben  è  vero  ser.mo  principe 
chel  Gran  turco  avea  mandato  nuovo  fìolo  con  potente  hoste,  chi  di- 
ceva di  30  mille,  chi  di  40  miile,  in  soccorso  de  questi  do  signori 
che  per  el  parlar  dil  signor  di  Garamania  et  de  altre  zente  che 
venivano  de  Persia  el  signor  Sophì  con  lo  suo  exercito  gera  più 
potente  di  quello  che  se  stimava,  et  ben  in  ordine  e  tanto  più  quanto 


1 55 

l'andava  per  la  fede  contra  questi  eretici  ottomani  di  poca  fede, 
usurpadori  de  molto  stato,  et  che  senza  alcun  dubio  li  teniva  aver 
vitoria.  Ser.mo  Principe  sopra  tutte  le  altre  cosse  ho  voluto  aver  bona 
information  de  questo  sig.  Sophì:  esso  è  in  ordine  di  danari,  de  che  de 
cadaun  me  fu  certifichato  aver  grandissima  ricchezza,  prima  pel  il 
gran  paese  che  possiede  preterea  aver  tolto  gran  facilità  di  questi  si- 
gnoriche  ha  fato  morir,  et  esser  signor  di  gran  justizia  et  liberal 
con  tutti,  homo  de  anni  20  in  22  molto  prospero,  ha  uno  suo  fra- 
delio  de  anni  11  in  12  lassato  a  Tauris,  et  una  sorella  chel  prome- 
teva  darla  per  mojer  al  sig.  Garaman.  Questo  signor  Sophì  è  molto 
afezionato  a  questa  sua  setta  che  è  una  certa  religione  catholica  a 
lor  modo,  in  discordantia  de  la  opinion  del  suo  propheta  Maco- 
metto  et  Omar ,  che  fo  suo  discipulo ,  et  questo  Sophi  aderisse 
ala  opinion  de  Ali  che  fu  pure  discipol  del  profeta.  Tamen  in  ar- 
ticulo  di  loro  fede  erano  dissidenti  come  se  poi  dir  fosseno  al  tempo 
di  san  Piero  et  de  altri  pontifici  gli  Ariani,  che  benché  cristiani, 
tamen  erano  eretici  ;  concludo  Ser.mo  Principe  che  a  juditio  mio  se 
la  persona  del  Gran  turco  con  potentissima  hoste  et  lui  in  persona 
non  vien  a  scontrarse  con  questo  Sophì  vedo  in  pericolo  esser 
discaziato  de  la  Caramania  et  a  tempo  nuovo  andar  più  oltra.  Apresso 
ali  altri  favori  di  questo  Sophì  se  atrova  in  lo  paexe  del  Turcho 
gran  copia  di  gente  di  la  opinion  di  questo  Sophì,  che  son  certo 
che  si  acosteranno  a  lui.  Ser.mo  prencipe  non  voglio  restar  con 
ogni  debita  reverentia  dir  che  atrovandomi  in  Tarsus  a  questo  mio 
viazo,  da  molti  et  molti  subditi  del  signor  Garaman  fui  certificato 
veramente  chel  fiolo  del  Gran  turco  primogenito  che  si  trova  in 
Caramania  in  la  terra  de  Gogno,  havendo  suo  padre  mandò  per 
lui  por  averlo  suspeto  non  volse  andar,  anzi  quando  el  Garaman 
ala  prima  volta  venne  in  quel  paexe  el  fugì  e  abandonò  el  paexe  et 
lassò  chel  Garaman  fesse  el  suo  corso  ;  et  dapoi  chel  Garaman,  per 
non  se  poder  mantegnir  contra  la  gente  ottomana,  e  fu  ritornato 
a  la  Caramania  del  dito  locho  de  Gogno,  et  al  continuo  ha  scrito 
al  sig.  Garaman  che  debba  vegnir  che  lui  è  contento  chel  toglia  el 
paexe  et  se  fassa  signor,  et  etiam  el  fradelo  che  è  in  Amasia  ha 
fato  la  experentia  per  metter  le  man  addosso.  Ser.mo  prencipe  se  la 
Vostra  Ser.tà  parlando  sempre  reverentemente  non  desprezia  questo 
mio  parlar,  perche  io  ho  gran  famigliarità  con  questo  fiolo  del 
Turco,  che  avanti  questa  guerra  el  mio  exercitio  jera  de  andar 
marchadante  in  quelle  parte ,  e  più  volte  parlando  de  la  Vostra 
Signoria  me  motteggiò:  che  se  questa  signorìa  di  Venetia  vorà  me  ne 


4  56 

anderò  a  trovarla  perche  congosco  che  mio  padre  e  miei  fradeli 
zercha  de  metterme  la  man  adosso  per  farme  morir,  aziò  che  dapoi 
come  primo  genito  non  abia  reame  et  qualche  volta  ho  parlato  di 
questo  in  Cypro  ala  bona  memoria  di  ms.  Marin  Malipiero.  È  vero 
Ser.mo  Prencipe  che  questo  signor  è  homo  forte,  e  mandava  spesse 
volte  in  Cypro  per  toler  porchi,  che  lui  mangiava  che  è  contra  la  fede 
macomelana,  et  ultimamente  suo  padre  feze  impichar  sei  subaschi, 
et  molti  altri  signori  de  la  sua  porta  che  consentiva  questa  cossa, 
suplicando  di  summa  gratia  che  la  vostra  ser.tà  me  debia  despazar 
presto  a  cazone  che  possa  tornar  in  casa  mia  o  veramente  dove 
me  comanda  vostra  ser.tà;  et  cussi  me  voglia  aver  per  riccomandato 
et  guardar  me  con  l'occhio  di  la  pietà  a  tanti  pericoli  che  ho  corso  per 
quest'impresa  per  avanti,  etmaximamente  in  questo  viazo,  de  perder 
la  vita  et  esser  scortigato,  et  son  cargo  di  fioli,  et  per  queste  guerre 
in  Turchia  ho  avuto  gran  danno  et  romaxi  povero  et  mendico,  ala 
gratia  di  la  qual  come  bon  servitor  me  raccomando  (  scrita  adì  14 
octob.  1502  in  Venetia)  humilissimo  servitor  di  la  Sig.a  Vostra, 
Costantino  Lascari. 

Diarj  Sanudo.  Codd.  Marciani. 


DOCUMENTO  XX. 


Copia  de  una  altra  depositione  del  ditto. 

Ser.mo  Prencipe  et  domino  meo,  post  debitas  comendationes  etc. 
Avendo  io  Constantin  Laschari  data  in  scriptum  ala  Vostra  Se- 
renità circha  le  cosse  del  signor  Caraman  etc.  etiam  del  signor 
Sophì,  me  pare  de  voler  ajonger  a  questa  altra  scriptura  e  voler 
dechiarir  questo  signor  Sophi  inimico  capital  de  la  casa  otu- 
mana ,  la  qual  inamicizia  è  ab  antico  et  non  principia  a  hora, 
de  che  essendo  questa  religion  di  Sophì  dal  principio  de  la  fede 
macometana  fin  a  hora  nel  paexe  di  la  Persia,  Caramania,  Turchia 
et  per  Soria  sempre  porta  gran  odio  a  questa  caxa  otumana, 
et  per  tenirla  come  eretica  di  la  fede,  ne  mai  ha  manchà  che  in  ogni 


157 

tempo  questa  religion  de  Sophì  ha  fato  guerra  a  questa  caxa  otu- 
mana  ala  parte  de  Trapesonda  et  brasò  quella  terra  di  Trape- 
sonda  dove  hanno  castelli  et  qualche  cita  non  de  gran  conto , 
niente  de  manco  per  lo  suo  naturai  sono  signori  et  di  sangue 
de  signori.  Questo  signor  Sophì  è  nato  di  una  neza  de  Usun- 
caxan,  dove  con  questo  parentà  se  ha  fato  signor  in  la  Persia  etfatose 
imperador,  et  non  senza  gran  fondamento  è  mosso  adaquistar  tanto 
paexe,  deinde  haver  tanto  seguito  de  li  populi,  sì  per  esser  signor 
naturai  come  etiam  per  la  gran  justitia  et  liberalitate  sua,  et  per 
esser  signor  de  gran  ricchezza.  —  Serenissimo  Prencipe,  havendo 
visto  in  sì  breve  tempo  questo  signor  haver  tanto  prosperado  me 
pareva  cosa  incredibile,  e  de  qui  è  processo  che  ho  voluto  cauta- 
mente domandar  a  Persiani  et  a  molte  altre  nation  in  el  paexe  dove 
son  stato  fin  a  Astankief ,  e  di  tutti  universalmente  son  sta  certi- 
ficato prima  la  sua  progenie  sempre  è  sta  signori  et  fioli  di  signori, 
de  inde  son  stati  sempre  persone  de  valor.  Serenissimo  Prencipe 
ho  voluto  far  questa  dechiaration  perchè  da  molti  e  molti  son  interro- 
gato se  questo  Sophì  sia  propheta  et  persona  relevata  parendo  le 
cosse  miracolose,  et  da  quelle  persone  che  m'ha  parso  di  qualche 
ingenio,  io  li  ho  risposto  esser  signor  naturai  et  soi  antecessori  et 
parentato  de  imperio  de  Persia,  el  è  vero  che  questo  Sophì  se  tien 
intro  la  sua  fede  molto  cattolico  ;  non  dirò  altro  che  ali  piedi  di 
V.  S.  mi  raccomando  suplicandola  che  mi  voglia  presto  expedir  et 
averme  per  racomandalo  per  esser  povero  gentiluomo  da  Costanti- 
nopoli de  casa  Delascari,  habitante  in  Cypro  circha  anni  XX  in  tra 
li  boni  parentadi  di  quel  regno,  et  con  mojer  et  cargo  de  fioli,  adì  16 
octobre!502  in  Venetia. 


Humil  servitor  de  la  Serenità  Vostra 
Costantino  Laschari. 


Diarii  Sanudo.  Coda.  Marciarti. 


158 

DOCUMENTO  XXI, 


Copia  de  una  letera  del  signor  Sophi,  mandata  al  serenissimo  principe 
nostro  messer  Leonardo  Loredano  doxe  de  Venezia,  ricevuta  in 
Zener  1505. 

Ismail  Sophi  soldam,  che  Dio  fazi  el  suo  regno  eterno:  al  soldam 
de'Venitiani  grande  amicho  nostro,  che  Dio  fazi  el  so  dominio  per- 
petuo. Le  lingue  non  potriano  expriiner,  né  penna  potria  scriver, 
né  intelletto  potria  comprender  lo  amor  che  vi  portemo.  Havemo  gran 
sete  e  gran  desiderio  de  veder  la  signoril  persona  vostra,  speremo 
nella  misericordia  de  Dio;  e  in  quello  che  apre  e  serra  il  tutto,  che 
presto  se  vederemo  e  saremo  boni  amici.  Ve  avisemo  che  havemo 
conquista  tuto  el  paese  della  Azimia  con  gran  prosperità,  e  spe- 
remo nella  omnipotenza  de  Dio  che  perseveremo  ogni  dì  in  mazor 
vittoria,  perchè  Dio  è  onnipotente  et  misericordioso,  et  nella  for- 
tezza del  suo  brazo  speremo  che  haveremo  Victoria  contro  li  inimici 
nostri. 

(Questa  fu  translatada  cussi). 

Diarii  Sanudo,  voi.  VL  Codd.  marciani. 


DOCCnttENTO    *JL*l 


1570,  27  ottobre. 

Serenissimo  et  Excellentissimo  Domino  Sciali  Thamasp  filli  Sciah 
Ismail  Imperatori  Persarum,  Atribeigian,  Sirvan,  Hirach,  Corasan, 
Ghilan,  et  aliorum  regnorum,  patri  victoriarum ,  justitiae  amatori, 
et  Regi  Regum  Orientalium  Invictissimo. 

Aloysius  Mocenigo  Dei  Gratta  Dux  Venetiarum  etc.  salutem  et  honoris 
ac  gloriae  f elida  incrementa: 

Per  quella  antiqua  et  candida  amicitia,  che  ha  sempre  tenuta  e 
tiene  la  signoria  nostra  con  la  imperiale  Maestà  Vostra,  noi  havemo 
deliberato  di  mandarle  un  nostro  ambasciator  per  farle  intender 
le  cose  che  sono  scritte  qui  a  basso  ;   ma  il  conoscer  che  le  strade 


159 

tutte,  per  le  quali  si  può  venire  alla  Maestà  Vostra,  sono  guardate  con 
gran  diligenza  dei  Turchi,  ne  ha  fatto  ritardare,  ma  non  mancheremo 
di  farlo  se  sarà  possibile.  Fra  tanto  il  sig.  Dio  ne  ha  mandato 
avanti  un  altro  mezzo,  che  è  l'onorato  chogia  Ali  di  Tauris,  suddito 
della  Maestà  Vostra,  il  quale  si  attrovava  in  questa  città  con  un  gros- 
sissimo  cavedal  (capitale)  et  fu  intrattenuto  con  tutta  la  soa  roba  per 
causa  della  presente  guerra  mossane  tanto  ingiustamente  dal  sig. 
Turco;  ma  avendo  noi  inteso  questo  esser  suddito  fedele  di  Vostra 
Maestà,  l'abbiamo  fatto  metter  in  libertà  e  rilassarli  tutte  le  robe  sue, 
per  quel  singolare  amor  e  respetto  che  portamo  all'imperiale  Maestà 
Vostra.  Questo  chogia  Ali  ne  ha  detto  che  desidera  tornar  a  casa  soa, 
et  si  è  contentato  di  portar  le  presenti  lettere  nostre  per  Vostra 
Maestà:  la  quale  saprà  che  essendo  noi  in  pace  col  sig  sultan 
Soliman  passato  imperatore  di  Costantinopoli,  conservata  per  molti 
anni,  morto  lui  il  presente  sig.  sultan  Selim  suo  figliuolo  la  con- 
firmò con  solenissimo  giuramento,  ma  da  poi  senza  alcuna  causa  ne 
ha  rotta  la  detta  pace  et  mandato  contro  di  noi  la  sua  armata,  quale 
è  andata  per  far  l'impresa  del  regno  nostro  de  Cipro,  et  ha  man- 
dato anco  le  genti  sue  de  terra  in  Dalmatia  contro  le  nostre  città. 
Ma  noi  con  la  gratia  de  Dio  havemo  fatto  preparazione  di  una  grande 
et  potente  armata  et  de  gente  de  pie  et  de  cavallo;  et  oltre  delle 
nostre  forze  li  principi  christiani  hanno  fatto  preparativi  per  con- 
giungersi con  noi  contro  questo  comune  inimico,  tanto  che  l'anno 
presente  et  anco  quelli  che  veniranno  si  farà  animosamente  la 
guerra ,  et  non  si  vorrà  più  la  pace  con  questo  sig.  poiché  si 
vede  che  el  non  osserva  la  fede  ;  e  se  la  Maestà  Vostra  imperiai  la 
qual  ha  forze  così  grande  et  tremende  alli  Turchi,  con  questa  occa- 
sione si  moverà  contro  di  questo  suo  inimico,  il  qual  non  le  ha  mai 
osservato  cosa  che  li  abbi  promesso,  si  pò  tener  per  sicuro  che 
combattendolo  noi  con  li  altri  christiani  da  questa  parte  et  la  Maestà 
Vostra  dalla  sua,  ella  potrà  ricuperar  quel  paese  che  esso  le  ha  ingiu- 
stamente occupato,  e  romperli  quei  disegni  che  l'ha  d'andar  mole- 
stando et  infestando  ora  un  principe  et  ora  l'altro  senza  conservar 
amicitia  con  alcuno,  se  non  in  quanto  le  serve  per  farli  star  quieti 
sino  che  el  combatte  con  un  altro.  Vostra  Maestà  è  piena  di  pru- 
denza et  valor,  e  siamo  certissimi  che  non  la  lascerà  passar  questa 
occasione  di  batter  questo  suo  inimico  :  il  che  oltra  l'obbligo  gran- 
dissimo che  noi  li  averemo,  apporterà  immortai  gloria  al  suo  nome, 
ampliazonc  al  suo  impero ,  et  una  sicurtà  perpetua  che  questo 
signor  non  sia  in  qualche  tempo  per  darli  molestia,  secondo  che 


160 

per  molti  effetti  ha  mostrato  di  haver  in  animo,  se  ben  al  presente 
simula,  di  voler  star  in  amicizia  con  lei,  ma  non  aspetta  altro  che 
tempo  comodo  a  poterlo  offender,  cosa  che  non  può  far  ora  per  la 
guerra  che  ha  con  la  cristianità.  Noi  dunque  la  pregamo  a  muoversi 
con  generoso  animo  contro  di  lui,  et  promettemo  a  Vostra  Maestà 
in  fede  di  vero  principe,  che  noi  con  li  altri  cristiani  dal  canto  nostro 
faremo  ogni  sforzo  per  batter  in  mare  et  in  terra  questo  universale 
inimico  di  tutti.  Non  saremo  più  lunghi,  perchè  cpnfidamo  che 
Vostra  Maestà  coglierà  la  occasione  che  li  manda  il  sig.  Dio,  il  qual 
pregamo  che  li  doni  felice  e  longa  vita. 

Parti  Secrete;  fra  i  nostri  Codd. 


DOCUMENTO  XXIII, 


1570,  30  ottobre,  in  Zonta. 

Che  al  fedelissimo  nodar  estraordinario  della  cancelleria  nostra 
Vincenzo  di  Alessandri  sia  commesso  in  questa  forma: 

Vincenzo  !  Sperando  noi  ricever  da  te  ottimo  servitio ,  per  l'espe- 
rienza che  hai  delle  cose  turchesche  e  delli  dispareri  che  sono  tra 
il  sig.  Turco  et  il  signor  Sophì,  abbiamo  deliberato  col  Consiglio 
nostro  dei  X  e  Zonta ,  di  mandarti  in  Persia  a  quel  serenissimo 
signor  con  lettere  nostre  per  eccitar  Sua  Maestà  a  muoversi  contro 
il  sig.  Turco  ;  però  col  nome  de  Dio  ti  metterai  in  cammino,  sol- 
lecitandolo quanto  ti  sarà  possibile,  et  giunto  a  quel  signor,  dopo 
presentate  le  nostre  lettere,  et  facta  certa  Sua  Maestà  della  sincera 
amicitia  che  tenemo  con  lei,  le  dirai  che  avemo  voluto  mandarti  per 
darle  conto  della  guerra  che  con  tanta  ingiustizia  ne  ha  mossa  il 
sig.  Turco,  contro  la  sua  parola  et  giuramento,  senza  che  da  noi 
gli  ne  sia  sta  data  alcuna  causa,  del  che  anco  li  avemo  dato  aviso 
con  altre  lettere  nostre  che  li  saranno  portate  da  un  suo  suddito. 
Et  così  le  narrerai  il  modo  tenuto  da  quel  signor  in  romperne  la 
pace,  et  come  con  tutte  le  sue  forze  da  mar  e  da  terra  è  venuto 
contro  di  noi,  talmente  che  ha  abbandonato  tutti  quei  paesi  di  là 
in  arbitrio  e  poter  di  Sua  Maestà  se  non  vorrà  perder  l'occasione  ; 


161 

poi  seguirai  che  noi  gagliardemente  se  difendcmo  et  per  mar  et  per 
terra  :  e  che  li  altri  cristiani  si  congiungono  con  noi  a'danni  di 
questo  comune  inimico,  et  che  siamo  per  continovar  la  guerra  :  di 
modo  che  tenendolo  noi  travagliato  da  questa  parte,  se  Sua  Maestà  se 
muoverà  dalla  sua,  farà  quei  maggiori  progressi  che  possa  desiderar, 
sì  perchè  ha  potentissime  forze  come  perchè  li  popoli  sono  devoti 
del  suo  nome  ;  et  li  potrai  dir  che  essendo  tu  stato  per  molti  anni  in 
Costantinopoli,  li  puoi  far  fede  del  mal  animo  che  ha  quel  signor  contro 
Sufi  Maestà,  ma  che  al  presente  lo  dissimula  per  causa  della  guerra 
che  ha  contro  i  cristiani,  temendo  che  quando  Sua  Maestà  si  mo- 
vesse contro  di  lui  fosse  con  suo  grandissimo  danno;  et  qui  li  pon- 
dererai come  per  la  guerra  che  detto  sig.  Turco  fece  ultima- 
mente in  Ungheria  si  sono  molto  debilitale  le  sue  forze.  Con  queste 
et  altre  ragioni  che  el  sig.  Dio  te  metterà  avanti,  procurerai  di 
eccittare  Sua  Maestà  a  rompere  col  sig.  Turco ,  promettendoli  j 
sempre  che  noi  da  questa  parte  faremo  gagliardemente  la  guerra 
insieme  colli  altri  cristiani:  e  le  dirai  che  ella  non  può  aver  maggior 
occasione  di  aquistarsi  oltre  la  ampliazione  del  suo  imperio  un  nome 
immortale,  e  di  obbligarsi  in  perpetuo  la  Signorìa  Nostra  con  tutta 
la  cristianità.  Questo  negolio  se  non  potrai  trattarlo  con  Sua  Maestà, 
lo  farai  col  suo  primo  ministro,  facendogli  intender  che  con  prima 
occasione  se  mostreremo  gratissimi  del  favor  che  ne  haverà  fatto 
Sua  Maestà;  e  ne  escuserai  se  non  avemo  mandato  li  onorati  pre- 
senti che  si  convengono  et  a  Sua  Maestà  Imp.  et  a  Sua  Magnificenlia: 
perchè  hai  convenuto  andar  incognito  et  senza  impedimento  per 
poter  liberamente  passar  per  li  paesi  del  sig.  Turco,  et  procu- 
rerai di  avere  la  resoluzione  et  risposta  alle  nostre  lettere,  con  la 
quale  te  ne  ritornerai  a  noi. 

Ti  abbiam  fatto  dar  per  le  spese  del  viaggio  de  andata  et  ritorno 
ducali  1200  delti  quali  non  sei  obbligato  mostrar  conto  alcuno. 

De  parte        24 
De  non  0 

Non  sinceri     1 

Parti  secrete;  ibid. 


11        Bollettino  Consolare,  Voi.  HI. 


162 

DOCUMENTO   XXIV. 

1570,  30  ottobre. 

Al  Serenissimo  Imperator  dei  Persiani. 

Sapendo  noi  quanto  dispiaccia  alla  Maestà  Vostra  le  cose  ingiuste, 
e  che  un  principe  manchi  di  fede  all'altro  senza  alcuna  causa, 
havemo  voluto  con  queste  lettere  e  con  la  viva  voce  del  fedelis- 
simo secretano  nostro  Vincenzo  de  Alessandri  apportatore  di  esse, 
far  sapere  a  Vostra  Maestà  come  il  presente  imperatore  dei  Turchi 
in  Costantinopoli  sultan  Selim,  havendo  con  solennissimo  giuramento 
con  firmata  la  pace  che  per  molti  anni  ha  avuta  la  signorìa  nostra 
con  il  signor  suo  padre  :  non  havendo  alcun  rispetto  de  romper  la 
sua  parola,  ne  ha  mossa  la  guerra  con  mandar  la  sua  armata  e 
molta  gente  da  terra  a  combatter  il  regno  nostro  de  Cipro,  et  altre 
genti  in  Albania  et  Dalmatia,  contro  le  nostre  città;  et  questo  senza 
averne  avuto  pur  una  minima  causa.  Noi  all'incontro  havemo  fatto 
una  grande  armata,  e  messe  insieme  genti  da  piedi  e  da  cavallo 
per  difendersi  gagliardamente  con  l'ajuto  di  Dio  ,  e  li  altri  prin- 
cipi christiani  ancora  se  preparano,  et  già  il  pontefice  et  il  re  di 
Spagna  hanno  congiunte  le  loro  forze  con  le  nostre  talmente  che 
si  farà  la  guerra  a  questo  comune  inimico,  qual  non  osserva  fede 
ad  alcuno;  et  tanto  conserva  l'amicitia  con  uno,  quanto  li  torna 
a  proposito  per  batter  un  altro,  siccome  fa  al  presente,  che  si- 
mula di  esser  amico  di  Vostra  Maestà  per  poter  combatter  con 
noi  christiani  senza  aver  timor  delle  vittoriosissime  armi  di  Vo- 
stra Maestà,  ma  l'animo  suo  è  cattivo  contro  di  lei,  et  quando 
non  fosse  travagliato  dalle  forze  dei  christiani  cercheria  di  trava- 
gliar li  sudditi  di  Vostra  Maestà,  la  qual  essendo  prudentissima,  et 
conoscendo  molto  bene  l'animo  che  ha  questo  signor,  de  inimico, 
non  manco  contra  di  lei  che  contro  di  noi,  saprà  ben  prender  l'oc- 
casione, hora  che  detto  signor  è  occupato  con  le  sue  forze  in  queste 
nostre  bande,  di  far  dalla  sua  parte  quei  acquisti  che  li  saranno 
facilissimi,  si  perchè  il  sig.  Turco  non  potrà  resistere  alle  poten- 
tissime forze  di  V.  M.,  massimamente  a  questo  tempo  che  è  com- 
battuto dalle  armi  Christiane,  sì  perchè  la  maggior  parte  dei  sud- 


163 

diti  di  esso  Turco  sono  devotissimi  al  nome  della  imperiai  Maestà 
Vostra.  Noi  con  le  forze  degli  altri  principi  Christian'],  faremo  dal 
canto  nostro  una  gagliarda  guerra,  in  modo  che  movendosi  anco 
la  Maestà  Vostra  si  pò  esser  certi  da  ogni  parte  aver  vittoria,  et 
che  sarà  con  perpetua  gloria  del  potentissimo  suo  nome,  con  gran- 
dezza et  ampliamone  del  suo  impero,  et  la  Signorìa  nostra  insieme 
con  tutta  la  cristianità  resterà  obbligatissima  alla  imperiai  Maestà 
Vostra,  secondo  che  più  ampiamente  le  narrerà  il  predetto  fedelis- 
simo secretano  nostro,  alle  parole  del  qual  la  si  degnerà  prestar 
fede  come  farebbe  a  noi  medesimi.  Et  li  anni  soi  sieno  longhi  et 
felicissimi. 

De  parte     21 

De  non  0 

Non  sincere  1 

Parti  secrete;  ibid, 


IÃŒOCUJMEIVTO  XXV. 


Serenissimo  Principe,  111. mi  Signori, 

A' 12  di  novembre  mi  partii  dalla  corte  del  re  di  Persia  ,  et  sa- 
pendo non  poter  giunger  in  tempo  di  passar  il  mar  Maggiore  perchè 
l'inverno  mi  aveva  sopragiunto;  ed  essendo  informato  che  il  Mosco- 
vita non  concede  il  passo  a  niuno  de  lì  per  il  suo  paese  che  voglia 
passar  in  Polonia,  né  trovandomi  ben  l'andar  in  Ormuz  rispetto  la 
lunga  navigazione,  ed  il  non  esser  solito  di  partir  nave  per  il  Porto- 
gallo prima  che  a  mezzo  marzo,  resolsi  fermarmi  a  Tauris  per  lasciar 
passare  alquanto  dell'inverno  fin  che  fosse  venuto  tempo  d'inviarmi 
per  l'Armenia  maggiore,  et  il  paese  dei  Giorgiana  non  potendo  ritor- 
nare per  la  strada  che  io  era  andato,  essendomi  stato  affermato  che 
il  bassa  di  Erzerum  mandò  dietro  per  me  tre  ciaus  sino  a  Erivan 
nella  Persia,  li  quali  dimandarono  a  un  mercante  armeno  se  mi  aveva 
veduto,  dandogli  segni  dei  vestimenti  et  persona;  il  qual  disse  non 
saper,  ancoraché  un  giorno  prima  avesse  parlato  meco,  né  mi  cono- 
scendo per  cristiano,  rispetto  che  nel  passare  d'Erzerum   io  era  in 


161 

abito  di  armeno,  et  subito  giunto  ai  confini  di  Persia  mi  vestii  di  al- 
tri panni  alla  turchesca,  et  ciò  per  correr  manco  pericolo  di  assas- 
sini da  strada  ,  i  quali  sono  in  quelle  parti  in  grandissima  quantità  ; 
in  fine  detto  mercante  mi  trovò  in  Casbin,  e  mi  raccontò  come 
li  ciaus  si  trattennero  due  giorni  per  aver  qualche  nuova  ,  li  quali 
dissero  come  un  uomo  che  era  al  mio  servigio  si  era  trovalo  a  Erze- 
rum  con  alcuni  suoi  paesani,  ed  avendo  bevuto  più  dell'ordinario , 
dissero  alcune  parole  che  diedero  sospetto  che  io  fossi  italiano  ed 
uomo  pubblico;  ma  non  essendo  stati  bene  informati,  facevano  giudi- 
zio da  per  loro,  et  ragionando  con  altri  di  tal  cosa  dopo  il  mio  par- 
tire fu  riferito  al  subaschi,  il  quale  li  prese  e  condusse  al  bascià 
interrogandoli  sopra  quello  che  avevano  ragionato.  Negarono  ogni 
cosa,  furono  posti  in  prigione,  et  con  diligenza  mandarono  dietro 
per  me,  onde  per  fuggire  così  evidenti  pericoli  fui  forzato  passar 
per  strade  non  usate  e  deserte,  allontanandomi  quanto  più  poteva  da 
delti  confini.  Partii  da  Tauris  alla  fine  di  febbraio  e  passala  l'Arme- 
nia maggiore  entrai  nelli  confini  dei  Georgiani,  mi  trovai  con  gran 
quantità  di  soldati  a  cavallo  che  andavano  ad  Erivan,  nel  qual  luoco 
essendomi  pochi  giorni  trovato  vidi  che  el  sultan  faceva  gran  prepa- 
ration  di  genti  da  guerra  per  ordine  del  re ,  né  si  sapeva  così  pub- 
blicamente le  cause  sebben  lutti  dicevano  esser  contro  Turchi. 

Giunsi  a  Pazagan,  terra  dei  Georgiani,  nel  qual  loco  vi  era  un  gran 
moto,  e  si  erano  mezzo  sollevati.  Due  giorni  dappoi  il  sangiacco  di 
Sasset  sottoposto  a  sultan  Selim  mi  fece  chiamare  e  mi  dimandò  si 
sapeva  in  che  parte  l'esercito  del  re  di  Persia  era  per  andare;  io  li 
dissi  non  sapere  perocché  non  veniva  da  Persia,  ma  dal  proprio  paese 
dei  Georgiani. 

Partitomi  di  là  per  condurmi  al  mar  Maggior,  entrai  in  deserte  ed 
asprissime  montagne,  nelle  quali  passai  estremi  disagi  di  fame,  aven- 
domi convenuto  per  sei  giorni  nutrire  di  alcune  radici  di  erbe,  le 
quali  sono  come  cardi  selvatici,  né  essendovi  acque  perchè  erano  ag- 
ghiacciate, mi  bisognava  disfar  la  neve  per  bevere,  ed  aggiunto  lo 
andar  a  piedi  a  tanti  mali,  et  ciò  perché  sopra  dette  non  vi  può  pas- 
sar cavalli,  sì  per  l'altezza  ed  asprezza  loro,  come  perchè  non  vi  saria 
da  nutrire  li  animali,  oltre  il  pericolo  di  leoni,  orsi  ed  altre  fiere  sel- 
vatiche che  in  esse  vi  sono.  Giunsi  coll'aiuto  di  Dio  alla  fine  di  marzo 
in  Cogna  città  alle  rive  del  mar  Maggiore,  nel  qual  luogo  mi 
fermai  per  non  essere  alcun  passaggio  in  pronto ,  et  intesi  che 
li  christiani  Circassi  erano  venuti  con  24  vascelli,  et  avevano  per 
300  miglia  di  paese  a  marina,  abbrucciato  e  depredato  le  ville  e  ta- 


166 

gliatele  vigne  dei  Turchi  ed  ammazzato  gran  quantità  di  loro,  e  che 
avevano  portato  via  le  donne  e  putti  e  le  robbe,  per  il  che  si  dubita- 
vano che  bonacciato  il  mare  non  venissero  sopra  detta  città. 

Giunsero  daTrebisonda  sei  galere  armate  per  la  guardia  di  quel  loco, 
con  ordine  di  sultan  Selim  di  non  si  partire  dal  porto,  ma  guardar  so- 
lamente la  terra,  perchè  dubitava  che  detti  Circassi  non  avessero  cre- 
sciuto il  numero  di  detti  vascelli.  Partitomi  con  una  barca,  a  marina  a 
marina  giunsi  a  Rissa,  nel  qual  luoco  mi  abbattei  in  un  ciaus  venuto  da 
Samsum  per  canevi,  il  quale  non  ne  avea  potuto  trovare  per  600  mi- 
glia di  paese  che  avea  scorso  più  di  130  cantari,  e  li  aveva  pagati 
con  200  aspri  il  cantaro,  che  prima  li  aveva  per  80,  e  mi  disse  che 
non  era  filo  da  poterne  far  per  una  gomena,  et  avea  comandamento  di 
andare  in  Georgia  e  Circassia ,  ma  per  dubio  di  quelli  corsari,  si  ri- 
tornò. 

Io  imbarcatomi  sopra  il  suo  caramussali,  mi  condusse  fino  a  Trebi- 
sonda,  dal  qual  intesi  le  espedizioni  e  preparazioni  fatte  per  nuova 
armata;  disse  che  nella  Grecia  erano  stati  spediti  ciaussi  con  coman- 
damento che  si  facessero  galere  e  si  lavorassero  a  quelle  scale  , 
conforme  a  quello  mi  aveva  detto  il  ciaus  ;  dal  qual  luoco  parti- 
tomi sopra  una  nave  di  Greci,  giunto  a  Sinope,  presi  porto  non 
avendo  avuto  vento  da  buttarmi  al  mare  per  passare  in  Europa, 
smontai  e  vidi  6  galere  pronte  alla  vela  le  quali  partirono  due 
giorni  dopo  per  Costantinopoli,  essendone  la  settimana  innanzi  par- 
titone 24  per  quanto  mi  fu  affermato  dai  Greci ,  vi  erano  anche 
due  corpi  di  galere  grosse  nelle  quali  si  lavorava ,  perchè  nel 
principio  non  le  erano  state  date  le  debite  misure;  essendo  ti- 
rate lunghissime  e  datali  tanta  larghezza  che  per  gran  navi  sarebbe 
stata  troppa,  però  aspettavano  da  Costantinopoli  un  proto  si  per 
tirar  quelle  a  buona  forma  come  per  farne  delle  altre.  Le  maestranze 
sono  state  licenziate  fino  all'invernata  acciò  navicassero  e  conducessero 
oltracciò  a  Costantinopoli  ed  altri  luochi  quello  bisognava,  conti- 
nuandosi però  con  ogni  diligenza  a  condur  legnami  per  Tanno 
venturo  e  già  ne  era  preparata  grandissima  quantità;  ed  essendo 
li  conduttori  stentati  nelle  paghe ,  disse  uno  di  loro  all'  emir 
che  bisognava  andare  a  farsi  pagare  dalli  Franchi  ,  perchè  pi- 
gliando le  galere  ad  istanza  loro  si  affaticavano.  Io  innanzi  al 
partir,  per  esser  loro  di  qualche  importanza,  presi  un  poco  di  di- 
segno del  sito  della  città  e  del  castello,  e  scandagliai  Tacque,  per- 
chè in  tre  luochi  vi  sono  porti,  sei  miglia  lontano  l'uno  dall'altro, 
e  l'uno  mezzo  miglio  vicino  alla  città,  nel  qual  si  lavora  le  galere, 


466 

e  li  due  lontani  miglia  cinque  e  mezzo.  Il  medesimo  feci  a  Tre- 
bisonda  avendosi  due  volte  la  nave  allargata  in  mare  per  passare 
alle  altre  rive,  essendo  da  venti  contrarli  ributtata,  si  risolse  il  pa- 
drone essendo  sua  la  nave  ed  il  carico  che  era  vino,  senza  far 
motto  ad  alcuno,  di  tenersi  a  costa  di  terra  e  con  buonissimo 
vento  in  tre  giorni  arrivammo  alla  bocca  di  Costantinopoli;  nel 
qual  luoco  per  buona  sorte  trovai  nave  che  stava  per  andar  al 
Danubio  per  formento,  la  qual  si  trattenne  dieci  giorni  innanzi  il 
partire.  Li  marinari  andavano  ogni  giorno  a  Costantinopoli;  dai  quali 
intesi  che  Ulularli  capitano  di  mare  era  per  partire  alli  primi  di 
giugno  con  12  galere  per  guardia  delli  castelli,  e  che  non  aveva 
voluto  levar  spahi  né  giannizzeri ,  ma  uomini  marittimi  tutti  con 
archibusi  da  sette  spanne,  perchè  conosceva  le  forze  far  poco  ef- 
fetto contro  gente  armata.  Non  si  faceva  altro,  giorno  e  notte,  a 
Costantinopoli,  che  buttar  di  detti  archibusi;  ne  resterò  di  dire  alla 
Serenità  Vostra  un  effetto  grandissimo  ed  incredibile  che  per  causa 
di  una  voce  sparsa  per  tutte  le  rive  del  mar  Maggiore,  è  successo  : 
dico  che  sopra  la  moschea  di  S.  Sofìa  e  sopra  quella  di  Sultanié 
alla  parte  di  Andernopoli  sono  comparse  due  croci  le  quali  giorno 
e  notte  si  vedono,  per  il  che  li  cristiani  da  questi  luochi  comin- 
ciando fin  a  Costantinopoli  tutti  universalmente  tengono  questo  per 
fermo,  né  aspettano  altro  che  piccola  occasione  per  levarsi.  Questa 
nuova  è  passata  tanto  innanzi  che  li  Turchi  medesimi  la  credono, 
esser  il  fine  dell'  impero  ottomano,  e  che  loro  speran  che  passando 
ai  Franchi  il  tributo  li  abbiano  a  lasciare  nel  paese. 

Partitomi  da  Costantinopoli  giunsi  al  Danubio,  ed  entrato  per  la 
bocca ,  chiamata  san  Giorgio ,  arrivai  per  mezzo  la  Bogdania  ,  e 
dallo  scrivan  dell' ernir  intesi  come  Bogdan  vaivoda  si  era  ri- 
bellato ,  e  che  sultan  Selim  avea  mandato  Giano  vaivoda  per 
signor  di  quel  paese ,  il  quale  ricercava  che  li  sangiacchi  di  Si- 
listria,  Bendir  e  di  Achirman  andassero  in  suo  ajuto  perchè  Bog- 
dan era  per  entrar  nel  paese  dei  Polacchi.  Gli  fu  risposto  che 
detto  soccorso  non  gli  si  poteva  dare ,  perchè  il  sangiacco  di 
Silistria  avea  ordine  di  cavalcar  verso  Adrianopoli  e  li  altri  di 
guardar  li  loro  confini.  Entrato  che  fu  nella  Bogdania  vidde  l'eser- 
cito di  quel  signore  il  qual  poteva  essere  di  20m.  uomini  a  cavallo, 
tutti  contadini  disarmati  d'ogni  sorta  di  arme  da  difesa  con 
spade,  mannerini,  e  pochi  con  lance,  li  cavalli  non  da  guerra  ma 
ronzini. 


167 

Il  giorno  che  giunsi  a  Yassy  terra  ove  il  signor  la  residenza  fu  tagliata 
la  testa  in  publico  a  sette  gentiluomini  della  fazion  di  Bogdan  vaivoda,  i 
quali  volevano  la  notte  seguente  ammazzar  Giano  vaivoda  :  però  vive 
con  gran  timore,  rispetto  che  né  da  gentiluomini  né  dal  popolo  è 
amato,  e  questo  per  la  troppa  tirannide  che  usa  ai  popoli;  per  il  che 
il  primo  signor  è  al  presente  da  ognuno  desiderato,  il  quale  se  bene 
è  qui  in  Polonia,  si  trova  a  sua  instantia  in  Bogdonia  la  fortezza  di 
Gottin,  castello  in  detto  paese  nel  confine  della  Polonia,  né  aspetta 
altro  per  entrar  di  nuovo  contro  il  detto  Giano  che  il  tempo  del 
raccolto,  convenendo  li  villani  in  detto  tempo  levarsi  dal  campo  per 
andare  a  tagliare  i  grani  e  far  i  loro  altri  affari.  In  Leopoli  si 
faranno  preparazioni  grandi  di  guerra,  e  già  sono  ridotti  infiniti 
signori  e  gentiluomini,  ne  si  sa  per  che  parti  ;  et  in  buona  grazia 
della  Serenità  Vostra  mi  raccomando. 
Di  Cracovia  a  XXV  luglio  MDLXXII. 

Di  Vostra  Serenità 

Humilissimo  servitor 
Vincenzo  di  Alessandri. 

archivio  Cicogna,  cod.  1762. 


DOCUMENTO    XXVI. 


Relazione  presentata  al  Consiglio  dei  Dieci  il  24  settembre  1572  e  letta 
V11  ottobre  da  Vincenzo  Alessandri,  veneto  legato  a  Thamasp  re  di 
Persia. 

Dovendo  io,  secondo  il  comandamento  fattomi  ultimamente  da 
Vostre  Signorìe  Eccellentissime,  mettere  in  scrittura  tutto  quello  che 
(oltre  quanto  per  mie  lettere  ho  scritto  nel  corso  di  ventini  mesi 
passati,  dal  dì  ch'io  mi  partii  dai  piedi  di  Vostra  Serenità  per  an- 
dare in  Persia,  fino  al  mio  ritorno)  ho  diligentemente  osservato; 
non  bisogna  che  s'aspettino  da  me,  poco  atto  in  tal  professione,  né 
quella  maniera  di  dire,  né  quell'ordine  che  per  avventura  ricer- 
cheriano  le  cose  che  narrerò;  ma  che  si  contentino  che,  come 
meglio  io  potrò ,  e  secondo  che  mi  verranno  a  memoria ,   io  le 


168 

esplichi  in  carta:  essendo  per  dar  conto  delli  paesi  e  regni  che  si 
trovano  nella  Persia,  dell'abbondanza  e  mancamento  di  essi,  della 
natura  dei  popoli,  della  persona  del  re  e  qualità  dell'animo  suo, 
de'suoi  figliuoli,  del  governo,  della  corte,  del  modo  ed  ordinamento 
di  consigliare  e  risolvere  le  cose  di  stato  e  d'amministrar  giustizia, 
delle  entrate  e  spese  del  regno,  del  numero  e  qualità  di  quei  sul- 
tani, che  non  vuol  dir  altro  che  signori  principali  della  milizia,  ed 
in  somma  di  tutto  quello  che  mi  ricorderò,  o  che  giudicherò  degno 
della  sua  notizia,  rendendo  certe  le  Signorìe  Vostre  Illustrissime  ch'io 
non  dirò  cosa  che  non  abbia  veduta,  o  che  da  relazione  di  diversi 
uomini  degni  di  fede  non  mi  sia  stata  detta  con  verità. 

E  per  cominciare  dal  re  di  Persia,  Elle  hanno  da  sapere,  come 
come  questo  re,  nominato  Tamasp,  viene  per  linea  retta  da  Ali,  ge- 
nero che  fu  di  Maometto  profeta.  Fu  figliolo  d'Ismaele  I,  il  padre  del 
quale  si  addimandava  Gaider,  uomo  di  gran  bontà  e  dottrina,  e  da 
loro  tenuto  per  santo ,  dicendo  aver  predetto  molti  anni   innanzi 
come  il  figlio  doveva  esser  re,  sebbene  esso  Ismaele  s'impadronì  del 
regno  con  poco  timor  di  Dio  facendo  tagliar  la  testa  al  figlio  del  suo 
re  ;  in  che  sebben  la  fortuna  gli  fu  favorevole  e  prospera,  ebbe  però 
nel  corso  degli  anni  del  suo  regnare  molti  travagli  dagli  imperatori 
Ottomani,  quali  al  suo  tempo  cominciarono  a  metter  piede   nelle 
fortezze  principali  del  suo  regno,  come  fece  sultano  Selim  padre  che 
fu  di  sultano  Solimano,  il  quale  s'impadroni  di  Carahemit,  città  di 
grandissima  importanza  e  abbondante  di  tutte  le  cose  necessarie, 
popolatissima  e  piena  di  molti  artefici,  e  posta  in  bellissimo  silo,  sì 
che  dove  prima  per  natura  era  forte,  ora  per  industria  degli  Otto- 
mani è  fatta  fortissima:  nella  quale  vi  si  tiene  un  bascià  di  grande 
importanza,  dependendo  da  detto  luogo  molte  terre  e  castelli,  i  quali 
erano  tutti  di  detto  Ismaele  nel  paese  chiamato  Diarbech.  Ebbe 
Ismaele,  oltre  il  presente  re,  che  fu  il  primogenito,  tre  figli,  cioè 
Elias  Mirza,  Janus  Mirza  e  Bairan  Mirza.  Elias  fu  uomo  di  gran  va- 
lore e  di  grande  ardire,  e  nel  tempo  che  si  trovò  in  pace  col  re, 
prese  Baracan,  re  di  Servan,  e  le  sue  città  e  paesi,  il  qual  regno  è 
grande  e  d'importanza,  ed  è  alle  rive  del  mar  Caspio.  Restò  questo 
regno  tutto  nelle  mani  del  re  suo  fratello,  il  qual  non  avendo  fatto 
niuna  grata  dimostrazione  per  l'acquisto  di  tanto  paese  verso   di 
lui,  fu  causa  che  se  gli  inimicò,  e  si  congiunse  con  gli  Ottomani,  e 
con  grandissimo  esercito  levò  sultan  Solimano  a  danni  del  fratello, 
prendendogli  molti  paesi  e  principalmente  la  città  di  Irun,  allora 
principal  fortezza  di  Persia,  lontana  da  Tauris  sei  giornate;  perla 


169 

qual  cosa  il  detto  re  lo  lece  ammazzare,  come  fece  anco  di  Janus 
Mirza,  secondo  fratello,  dubitando  che  ancor  egli  non  si  sollevasse, 
essendo  il  terzo  per  innanzi  morto  di  morte  naturale:  del  quale  è 
solo  restato  un  figlio,  il  quale  ha  il  suo  stato  in  India  ;  e  desiderando 
il  re  dargli  una  delle  sue  figliuole,  il  fece  chiamare;  ma  li  popoli  non 
vollero  mai  acconsentire  che  andasse  a  Gasbin,  dubitando  che  ad 
esso  ancora  non  si  facesse  qualche  dispiacere. 

Li  figliuoli  di  esso  re  Tamasp  in  tutti  sono  undici  maschi  e  tre 
femmine,  generati  con  diverse  donne.  Il  primo  si  addimanda  Co- 
dabend  Mirza,  di  anni  quarantatre,  buono,  di  natura  quieta,  né  si 
cura  molto  delle  cose  del  mondo,  contentandosi  di  un  piccolo  stato 
datogli  dal  re  nel  regno  di  Corassan;  ed  ha  tre  figli,  il  maggior  dei 
quali  è  di  età  di  quattordici  anni,  di  bellissimo  aspetto  e  di  alto 
spirito  e  caramente  amato  dal  re,  sì  per  le  sue  virtù,  sì  per  non 
aver  dai  figli  altro  nipote  che  questo.  Ismael,  secondo  figlio,  è  di 
età  di  anni  quaranta,  di  natura  robusto,  di  altissimo  animo,  di  gran 
cuore  e  desideroso  di  guerra,  avendo  in  molte  occasioni  dimostrato 
il  valor  suo  contro  gli  Ottomani,  e  particolarmente  contra  il  bascià 
di  Erzerum,  poiché  con  poco  numero  di  cavalli  ruppe  l'esercito  di 
esso  bascià,  ch'era  in  gran  numero,  e  se  presto  non  si  fosse  ritirato, 
si  sarebbe  anco  impadronito  della  città  ;  e  questa  ritirata  fu  poiché 
Mirza  Bech,  primo  consigliere  del  re,  ed  mimicissimo  d'Ismaele, 
disse  al  re  che  conosceva  essere  nella  mente  di  questo  giovine  troppo 
alti  pensieri,  avendo  senza  la  licenza  del  principe  radunato  esercito, 
ed  essendo  entrato  nel  paese  degli  Ottomani  :  in  tempo  di  pace,  pa- 
rendogli questi  segni  di  poca  obbedienza,  mostrando  anche  al  re 
alcune  lettere  mandate  alli  sultani  per  le  provincie,  invitandoli  a 
sollevarsi  alla  guerra  contro  detti  Ottomani ,  per  il  che  si  risolse 
il  re,  a  persuasione  di  costui,  di  metterlo  incastello  con  guardia  di 
sultani  e  molti  soldati,  onde  è  già  13  anni  e  più  che  si  trova  pri- 
gione, e  sebbene  quest'anno  se  gli  sono  levate  le  guardie,  non  è 
però  licenziato  lui.  11  re  più  volte,  per  gratificarlo,  gli  ha  mandato 
donne  bellissime,  acciò  che  si  trattenga,  né  mai  ha  voluto  assentire, 
dicendo  che  lui  con  pazienza  sopporta  l'esser  prigione  del  principe, 
ma  che  gli  saria  stato  di  troppo  gran  peso  vedere  anco  li  figliuoli 
suoi  prigioni,  e  che  a  schiavi  non  si  convengono  donne. 

È  il  detto  Ismaele  sopra  modo  amato  dal  principe;  ma  il  timore 
è  grande  vedendo  esser  lui  ardentissimamente  desiderato  per  signore 
da  tutto  il  popolo,  ancorché  li  sultani  mostrino  essi  ancora  di  te- 
merlo molto  per  la  sua  troppo  fiera  natura.  Per  il  che  si  fa  giudizio, 


170 

che  succedendo  al  regno,  egli  potria  riformare  gran  parte  dei  capi 
della  milizia,  e  levarsi  dinanzi  tanto  numero  di  fratelli,  che  gli 
hanno  occupato  gran  parte  del  regno. 

Sultan  Caidar  Mirza,  terzo  figlio  del  principe,  è  di  età  d'anni 
sedici,  di  piccola  persona,  ma  di  bellissima  faccia  e  franco  sì  nel 
parlare  come  nel  conversare,  e  nel  vestire  e  cavalcare  attillatissimo, 
e  soprammodo  amato  dal  padre.  Si  diletta  di  sentir  ragionare  di 
guerra,  ancorché  mostri  non  esser  molto  atto  a  tale  esercizio,  per  la 
troppo  delicata  e  quasi  femminile  sua  complessione.  Fa  prova  d'am- 
mazzare animali  colle  sue  proprie  mani,  e  molle  volte,  ancorché  le 
spade  siano  di  eccellente  lama,  non  gli  può  passar  la  pelle,  avendolo 
io  veduto  a  fare  di  simili  prove  e  di  poi  restare  pieno  di  vergogna, 
ed  arrossire  e  prendere  scusa,  ora  che  le  spade  non  tagliavano,  ora 
che  per  compassione  non  gli  ammazzava.  È  di  buon  intelletto,  e 
per  quell'età  è  assai  grave  :  mostra  intendere  le  cose  di  governo,  e 
sapere  come  si  reggono  gli  altri  principi  del  mondo.  Sultan  Mustafà, 
Emirkhan,  e  Gemet  Mirza,  sono  tutti  tre  tra  li  quattordici  e  quindici 
anni:  sono  di  buona  indole,  e  mostrano  grande  ingegno;  gli  altri 
sono  fra  li  dieci  e  undici  anni,  e  stanno  a  Gorassan  ad  imparar  let- 
tere, da  un  piccolo  in  poi  di  età  di  quattro  anni,  il  quale  è  appresso 
il  re,  per  esser  secondo  quell'età,  accorto  e  molto  piacevole.  Le 
figliuole  sono  tutte  maritate  in  parenti  con  dote  di  gran  stati. 

Il  re  è  in  età  di  sessantaquattro  anni,  e  del  suo  imperio  cin- 
quantuno, essendo  stato  eletto  di  tredici  anni.  È  di  statura  me- 
diocre, ben  formato  di  corpo,  di  faccia  alquanto  scura,  di  gran 
labbri  e  barba,  ma  non  molto  canuto,  di  complessione  piuttosto 
malinconica  che  altrimenti,  conoscendosi  ciò  per  molti  segni,  ma 
principalmente  per  non  essere  uscito  del  palazzo  in  dieci  anni  pur 
una  volta,  né  a  caccia,  né  ad  altra  sorte  di  piaceri,  il  che  è  di  molto 
mala  soddisfazione  al  popolo,  il  quale  secondo  l'uso  di  quel  paese 
non  vedendo  il  suo  re,  non  può  se  non  con  estrema  difficoltà  dire  i 
suoi  gravami,  né  possono  esser  suffragati  nelle  cose  di  giustizia:  per 
il  che,  giorno  e  notte  gridano  ad  alta  voce  dinanzi  alle  porte  del 
palazzo,  quando  cento  e  quando  mille  alla  volta,  che  gli  sia  fatto 
giustizia,  ed  il  re  sentendo  le  voci  comanda  per  l'ordinario  che  siano 
licenziati,  dicendo  esser  nel  paese  li  giudici  deputati  che  faranno 
giustizia,  non  considerando  che  quelle  querele  sono  contro  li  giudici 
tirannie  contro  li  sultani,  i  quali  per  l'ordinario  stanno  alla  strada 
ad  assassinare  la  gente,  come  per  molti  casi  da  me  veduti  e  uditi  mi 
sono  accertato;  e  come  la  Serenità  Vostra  è  per  intendere. 


171 

Nella  città  di  Massinuan  furono   presi  alcuni  assassini,  i  quali 
avevano  ammazzati  alcuni  mercanti,  e  toltogli  le  robe;  i  presi  furono 
menati  alla  giustizia.  11  giudice,  venuto  in  luce  del  tradimento,  si  fece 
portare  il  furto,  poi  licenziò  li  delinquenti,  tenendo  una  parte  delle 
robe  per  lui,  e  l'altra  mandando  a  Gasbin  ad  alcuni  sultani  in  pre- 
senza dei  padroni  di  esse  robe.  E  andando  io  alla  corte  ogni  giorno, 
li  vedevo  a  stracciarsi  i  panni,  montar  gridando  per  le  mura  del 
palazzo  e  dire  ad  alta  voce  al  re  che  cosa  egli  faceva,  e  da  che  causa- 
vasi  che  egli  non  volesse  rimediare  a  tanta  ingiustizia.  Per  il  che 
furono  molte  volte  ben  bastonati,  e  con  le  pietre  fatti  saltar  giù  dalle 
mura,  né  mai  fu  loro  possibile  essere  uditi.  Oltre  di  questo,  nella 
città  di  Tauris,  sedici  ladri  armati  con  archibusi  scalarono  di  notte 
il  principal  fondaco  di  quella  città,  il  quale  si  chiama  Kan  del  siT 
gnore,  dove  vi  erano  da  quaranta  mercatanti  ;  e  sapendo  i  ladri  che 
tra  gli  altri,  Achmet  celebre  mercante  d'Algeri  si  trovava  buona 
quantità  di  danari  contanti,  ruppero  le  porte  della  camera  del  detto 
Achmet,  e  lo  ammazzarono,  pigliando  trenta  tomani,  che  fanno  sei 
mila  scudi,  oltre  alcune  verghe  d'argento  e  altre  robe;  ed  essendosi 
mossi  li  mercanti  per  la  difesa  del  fondaco,  furono  colle  archibu- 
giate  fatti  ritirare  nelle  stanze.  Pochi  giorni  dopo,  vicino  alla  casa 
dove  io  ero,  fu  dalli  medesimi  ladri,  la  notte  con  lanterne,  assaltata 
la  casa  di  un  Armeno,  e  toltigli  quattro  colli  di  seta,  e  per  quello  si 
disse  fu  veduta  la  detta  seta  in  casa  del  sultano  di  Tauris;  e  seb- 
bene di  tutte  queste  cose  se  ne  siano  fatte  querele  alla  corte  e  tro- 
vati li  ladri,  non  si  è  perciò  proceduto  per  via  di  giustizia  contra  di 
loro,  mostrando  il  re  di  non  curarsene  punto.  Oltre  di  questo,  un 
mercante  Turco,  chiamato  Kara  Seraferin,  usato  anco  a  venire  in 
Venezia,  essendo  in  Gasbin  in  un  fondaco,  ed  avendo  inteso  i  Kurdi, 
i  quali  sono  quelli  che  guardano  la   persona  del  re,  essere  detto 
mercante  ricchissimo,  presero  occasione  di  fargli  un  pasto,  e  trat- 
tenerlo tanto,  che  li  compagni,  li  quali  aveano  tolta  una  bottega 
affitto   contigua  a  detto  fondaco,  ruppero  il  muro ,   ed   entrorno 
dentro,  e  gli  rubarono  dodici  mila  ducati  conlanti.  Il  detto  mer- 
cante tornato  alla  stanza  subito  si  avvide  del  fatto,  ed  andò  alla 
porta  del  palazzo,  ed  avendo  amicizia  di  molti  sultani,  fu  introdotto 
dal  re;  e  querelando  i  detti  Kurdi  che  lo  avevano  invitato,  come 
consapevoli  di  questo  fatto,  il  re  fece  chiamar  li  Kurdi,  li  quali  ne- 
gorno  ;  ed  instando  il  mercante  che  fossero  messi  in  prigione,  e 
preso  il  loro  costituto  separatamente,  il  re  disse  che  l'averia  fatto  per 
contentarlo,  ma  caso  che  detti  colpevoli  non  avessero  confessalo, 


172 

avria  poi  fatto  tagliar  la  testa  a  lui;  il  quale,  di  ciò  dubitando,  non 
volle  altrimenti  continuare  l'espedizione  della  causa.  Ma  pochi  giorni 
dopo,  coll'occasione  di  un  giovine  avendo  scoperto  come  delti  Kiirdi 
avevano  fatto  il  furto,  fece  il  mercante  esaminare  li  testimoni  per  il 
giudice  della  città  di  Casbin,  e  presentò  il  loro  detto  al  re  con 
quattrocento  ducati  di  dono ,  acciò  fosse  spedito  presto  da  sua 
maestà.  Il  re  mandò  per  li  detti  Kurdi,  ai  quali  furono  trovati  li 
danari  avendone  spesi  pochi,  e  comandò  che  detto  denaro  fosse 
posto  nel  tesoro ,  ordinando  che  il  detto  Gara  Seraferin  non  gli 
fosse  più  introdotto  innanzi.  Questo  fatto  diede  grandissima  occa- 
sione a  tutte  le  genti  di  ragionare,  e  di  dolersi  della  poca  giustizia 
del  re,  benché  ogni  dì  si  veda  seguire  di  simili  effetti,  curandosi 
egli  poco  di  sentire  i  suoi  sudditi  per  tal  causa  lamentarsi;  ed  un 
giorno  il  re  disse  ad  un  vecchio  Kurdo  suo  buffone,  quale  dormiva 
nell'anticamera,  d'aver  quella  notte  dormito  assai  bene,  avendolo 
sentito  cantare;  al  che  il  buffone  rispose  che  non  sapeva  che  il 
suo  canto  avesse  forza  di  addormentare  sua  maestà,  perchè  quando 
l'avesse  saputo  non  averia  mai  aperto  la  bocca,  acciocché  anche 
ella  stesse  svegliata  a  sentire  li  pianti  e  lì  lamenti  che  tutta  la  notte 
facevano  li  poveri  suoi  sudditi,  per  cagione  degli  assassinamenti 
fattigli  per  le  strade  e  per  le  terre  proprie,  dicendo  che  nel  libro 
delle  querele  da  otto  anni  in  qua  vi  eran  scritte  più  di  diecimila 
persone,  ch'erano  state  ammazzate.  Questo  dispiacque  molto  al  re, 
il  quale  con  alterazione  d'animo  disse,  che  bisognava  prima  fare 
appiccar  lui  e  li  suoi  compagni,  dalli  quali  venivano  tutti  li  mali, 
intendendo  delli  Kurdi;  e  ciò  non  è  maraviglia  perchè  non  gli 
dando  le  loro  paghe,  sono  forzati  andare  alla  strada,  e  fare  di  si- 
mili altri  effetti,  tanto  più  quanto  che  vedono  che  in  materia  delle 
cose  di  giustizia,  come  ho  detto,  il  re  non  prende  alcuna  cura, 
o  pensiero.  Da  ciò  avviene  che  per  tutto  quel  regno  sono  mal  sicure 
le  strade,  e  nelle  case  si  corra  anco  di  gran  pericoli,  e  li  giudici 
quasi  tutti  dalla  forza  del  denaro  si  lasciano  vincere. 

Con  verità  si  può  anche  dire,  che  mai  questo  re  abbia  avuto  in- 
clinazione alle  cose  della  guerra,  ancorché  secondo  il  loro  termine 
ne  discorra  con  eccellenza,  essendo  uomo  di  pochissimo  cuore;  e 
se  pure  in  qualche  occasione  si  è  mostrato  di  entrare  in  campagna, 
non  lo  ha  fatto  perchè  la  natura  lo  invitasse,  ma  sforzatamele,  non 
essendo  mai  stato  ardito  di  mostrar  la  faccia  all'inimico,  anzi  con 
infinito  suo  biasmo  ha  perso  in  suo  tempo  tanti  luoghi,  che  fariano 
assai  ad  un  gran  principe.  Ma  quello  che  sopra  tutto  gli  è  piaciuto, 


173 

e  piace  al  presente,  sono  le  donne  e  li  danari,  le  quali  donne  hanno 
messo  tanto  possesso  nell'animo  di  questo  re,  che  molti,  non  sa- 
pendo altro  dire,  affermano  che  l'abbiano  affatturato,  stando  la 
maggior  parte  del  tempo  con  esse  ragionando,  e  consigliandosi  con 
esse  anche  delle  cose  di  stato,  buttando  figure  di  chiromanzia  sopra 
le  cose  del  mondo,  scrivendo  eziandio  li  sogni,  e  quando  taluni 
vengono  ad  effetto,  le  donne  gli  ricordano,  ch'egli  è  profeta  di  Dio; 
delle  quali  adulazioni  egli  ne  sente  grandissima  contentezza,  e  seb- 
bene è  per  natura  avaro,  con  queste  donne  si  può  dire  che  sia  pro- 
digo, donandole  di  gioie,  danari,  e  altre  cose  in  gran  quantità. 
Sogliono  però  esse  donne,  con  licenza  del  re,  alle  volte  uscire  del 
serraglio,  quelle  però  che  hanno  figliuoli,  sotto  pretesto  di  andarli  a 
vedere  in  caso  di  malattia  :  ed  io  vidi  uscire  la  madre  di  sultan 
Mustafà  Mirza,  il  quale  era  alquanto  indisposto,  poco  dopo  mezzo- 
giorno, col  capo  coperto  con  un  caffetano  di  panno  negro,  caval- 
cando come  fanno  gli  uomini,  accompagnata  da  quattro  schiavi  e  sei 
uomini  a  piedi. 

Usa  esso  re  molti  elettuarj  per  fomentar  la  lussuria,  ed  a  questo 
tiene  gente  apposta,  ed  a  quelli  che  li  fanno  migliori  dà  gran  premj. 
Suole  anche  dare  in  serbo  le  schiave  donzelle  alle  sultane  per  non 
ci  spendere  intorno,  e  quando  comanda  che  siano  menate  a  lui, 
esse  le  ornano  con  gioie,  ed  altri  ricchi  ornamenti. 

Ora  sebbene  dalle  cose  dette  chiaramente  si  può  conoscere  l'ava- 
rizia di  questo  re,  pure  non  resterò  di  dire  alla  Serenità  Vostra  al- 
cuni particolari,  li  quali  daranno  maggior  certezza  di  questo. 

Manda  esso  re  nel  paese  di  Konducar  per  turbanti  e  borac- 
cini,  in  Corassan  per  velluti,  rasi  ed  altri  panni  di  seta  ,  ed  in 
Aleppo  per  panni  di  lana;  e  di  tutte  queste  robe  fa  far  drappi,  che 
dà  in  pagamento  alli  soldati,  ponendogli  a  conto  quel  che  vale  uno, 
dieci.  Piglia  ogni  sorte  di  presenti  per  piccoli  che  siano,  né  all'in- 
contro si  cura  di  corrispondere;  ed  io  vidi  un  vassallo  del  Turco 
venuto  di  Aleppo,  con  intenzione  di  farsi  Persiano,  il  qual  baciò  il 
piede  al  re,  e  gli  presentò  un  mulo  e  dodici  ducati  d'oro.  Tolse  il 
re  li  dodici  ducati ,  e  gli  disse  che  gli  restituiva  il  mulo ,  pren- 
dendo il  suo  nome  in  nota,  come  si  suol  far  di  quelli  che  vengono 
dal  paese  degli  Ottomani,  e  mostrano  tener  conto  de' Persi. 

Di  più  si  racconta  quanto  appresso  :  un  soldato  prese  in  tempo  di 
guerra  un  figlio  di  un  signore  Usbech,  uno  dei  maggiori  nemici  di 
questo  re,  il  quale  è  di  tanto  seguito  nei  confini  di  Corassan,  che  il  re  è 
forzato  di  dargli  quaranta  tomani  all'anno,  che  fanno  ottomila  du- 


174 

cati,  acciocché  non  dia  molestia  alle  carovane  che  vengono  dalle 

Indie:  e  volendo  un  altro  soldato  donare  al  predetto  soldato  per 

causa  di  tal  prigionia,  un  villaggio  e  mille  ducati,  che  glielo  desse, 

esso  volle  presentarlo  al  re  pensando  di  aver  maggior  premio  ;  ma 

egli  non  gli  donò  altro  che  un  cavallo  in  ricompensa  di  così  gran 

prigione. 

Mostra  egli  è  vero  questo  re  grandissima  liberalità  nel  dar  prov- 
visione a  molti,  sebbene  faccia  l'assegnazione  in  luoghi  che  non 
vengono  mai  pagate,  se  non  hanno  gran  favori,  o  non  fanno  do- 
nativi. Libera  ogni  giorno  per  l'anima  sua  molte  terre  dalli  tributi 
ed  angarìe,  ma  per  il  più  passali  due  o  tre  anni  li  vuol  poi  tutti 
in  una  volta,  come  ha  fatto  nel  tempo  che  io  mi  trovava  alla  corte 
nella  terra  di  Tulfa,  abitata  tutta  da  uomini,  i  quali  erano  stati 
esenti  per  sei  anni  dal  tributo,  ed  in  una  volta  il  volse  tutto  del 
tempo  passato  con  danno  e  rovina  di  quei  poveri  cristiani ,  oltra 
lo  aver  mandato  Cariambeg  maestro  di  casa  di  sultan  Caidar  Mirza, 
luogotenente  del  re,  a  riscuoter  detti  danari  con  venticinque  some 
di  drappi  e  scarpe  da  vendere:  usando  esso  re,  ogni  giorno  mu- 
tarsi cinque  volte  di  vestimenti  i  quali  sono  distribuiti  a  quei  popoli, 
ponendogli  a  conto  quel  che  vale  uno,  dieci,  non  bisognando  però 
che  alcuno  si  mostri  renitente  a  pigliare  dette  robe,  anzi  aver  per 
grazia  grande  il  poterne  avere.  Il  medesimo  fu  fatto  nel  paese  di 
Alingria ,  abitato  tutto  da  Latini ,  sebben  non  usino  altra  lingua 
che  turca  ,  persiana,  ed  armena;  i  quali  oggi  dalli  Persiani  sono 
chiamati  Franchi. 

L'arcivescovo  di  quel  luogo  si  chiama  l'arcivescovo  di  Erivan,  il 
quale  due  volte  è  venuto  qui  a  Venezia,  come  dalle  patenti  fatteli, 
Tuna  sotto  il  serenissimo  Girolamo  Priuli  di  febbraio  1561,  l'altra 
sotto  il  serenissimo  Loredan  1569,  avendole  io  vedute  e  lette  per 
essere  stato  in  quel  luogo  quarantacinque  giorni,  per  fuggir  di  es- 
sere perseguitato  dalli  ciaussi  che  dal  bascià  di  Erzerum  mi  furono 
mandati  dietro. 

Vende  esso  re  spesso  gioje  ed  altre  mercanzie ,  comprando  e 
vendendo  con  quella  sottilità  che  farla  un  mediocre  mercante. 
Egli  è  vero,  che  già  sei  anni  egli  ha  fatto  un  effetto  piuttosto  ma- 
gnanimo che  altrimenti,  avendo  levato  ogni  sorte  di  dazj  che  si  trovano 
nel  suo  regno,  i  quali  erano  i  maggiori  che  fossero  in  tutto  il  mondo  : 
poiché  di  mercanzia,  od  altro,  di  sette  parti  ne  pigliava  una,  oltre 
quello  che  lì  ministri  toglievano.  Vien  però  affermato  che  di  ciò 
furono  causa  alcune  visioni  che  gli  vennero  in  sogno,  dicendo  che  gli 


175 
angioli  l'avevano  preso  pel  collo  e  dimandatogli  se  ad  un  re  che  ha 
nome  di  giusto  ,  e  che  viene  dalla  casa  di  Ali ,  si  conveniva  con 
rovina  di  tante  povere  genti  comportar  dazj  sì  crudeli,  e  che  però 
gli  comandavano  di  liberare  le  genti.  Si  svegliò  esso  re  pieno  di 
paura,  e  comandò  che  per  tutti  li  paesi  del  suo  regno  fossero  le- 
vati li  dazj.  Ma  di  questo  fatto  si  comprende  chiaramente  dagli  ef- 
fetti, che  di  giorno  in  giorno  egli  pare  esserne  pentito,  e  deside- 
rare di  accumular  danari  con  mille  e  mille  operazioni  indegne  di 
uomo,  non  che  di  re;  le  quali  non  racconterò  così  particolarmente 
alla  Serenità  Vostra  per  non  l'attediare  con  la  lunghezza  loro,  sa- 
pendo che  le  cose  antecedentemente  narrate ,  basteranno  per  far 
conoscere  l'animo  suo. 

Passerò  perciò  a  parlare  della  sua  corte,  la  quale  è  divisa  ve- 
ramente sotto  due  capi  ;  cioè  il  servizio  del  re,  e  il  consiglio  di 
stato. 

Il  servizio  del  re  è  diviso  in  tre  sorte  di  gente;  in  donne,  in 
figliuoli  di  sultani ,  e  in  schiavi  comprati  dal  re  o  avuti  in  doni 
dal  caramè,  che  così  da  loro  è  chiamato  il  serraglio  dove  stanno  le 
donne.  È  da  esse  servito  quando  dorme  di  dentro,  e  sono  tutte 
schiave  circasse  e  georgiane;  quando  dorme  di  fuori  è  servito  nelli 
servizi  bassi,  come  nel  vestirsi  e  dispogliarsi,  dagli  schiavi,  de'quali 
ne  ha  da  quaranta  o  cinquanta.  Questi  tengono  anche  all'ordine  le 
cose  di  dispensa.  La  terza  sorte  di  gente  che  lo  servono,  sono  nobili 
figli  di  sultani,  i  quali  non  slanno  nel  palazzo  regio,  ma  vengono 
mattina  e  sera  dalle  loro  case  al  servizio,  e  sono  ora  più,  ora  meno, 
ma  per  l'ordinario  sono  al  numero  di  cento.  Vien  servito  a  vicenda 
da  loro  nel  dare  l'acqua  alle  mani,  nel  presentargli  le  scarpe,  e  nello 
andargli  dietro  quando  cammina  perii  giardini. 

La  ricompensa  che  il  detto  re  dà  agli  schiavi  che  lo  servono,  da 
quindici  sino  all'età  di  venticinque  in  trenta  anni,  sempre  con  le 
barbe  rase,  è  l'imprestar  loro,  a  chi  trenta,  a  chi  cinquantamila 
ducati,  al  venti  per  cento,  a  chi  per  dieci,  ed  a  chi  per  venti  anni,  ri- 
cercandone egli  però  il  frutto  d'anno  in  anno.  Essi  poi  prestano  a 
sessanta  e  ottanta  per  cento  ai  signori  della  corte  che  stanno  in 
aspettazione  di  aver  dal  re  gradi  e  governi,  con  buone  cauzioni  di 
possessioni  e  stabili,  e  caso  che  quelli  che  hanno  preso  il  denaro 
nel  fine  dell'anno  non  si  compongano  con  quelli  che  l'hanno  dato 
del  capitale  o  del  prò,  senza  altro  protesto  gli  vendono  le  case  o 
possessioni,  né  vi  è  altro  rimedio  a  riaverle. 

La  ricompensa  del  servizio  de'  nobili  sono  i  gradi  della  corte, 


176 

come  centurioni  e  capitani  alla  guardia  del  re,  e  sultanati  che  s'in- 
tendono essere  governi  delle  provincie.  Questo  è  quanto  appartiene 
al  servizio  della  persona  del  re. 

Il  consiglio  veramente  è  un  solo  nel  quale  non  vi  è  altro  presi- 
dente che  esso  re,  con  intervento  di  dodici  sultani,  uomini  di  espe- 
rienza e  d'intelligenza  nelle  cose  e  governo  di  stato  ;  sebbene  questo 
numero  è  alternato  da  quei  sultani  che  di  tanto  in  tanto  vengono 
alla  corte,  ed  entrano  tutti  in  consiglio  ogni  giorno,  eccetto  quando 
il  re  va  al  bagno  e  quando  si  taglia  le  unghie.  L'ora  del  ridursi,  sì 
l'estate,  come  lo  inverno,  è  dalle  ventidue  ore  in  poi,  e  stanno  ri- 
dotti secondo  le  materie  che  si  trattano,  fin  tre,  quattro,  cinque, 
sei,  e  sette  ore  di  notte.  Siede  il  re  sopra  un  divano  non  molto  alto 
da  terra,  e  dietro  alle  sue  spalle  siedono  li  figliuoli  quando  si  tro- 
vano alla  corte,  alla  quale  ordinariamente  interviene  sultan  Gaidar 
Mirza,  che  è  come  luogotenente  del  re,  né  si  parte  da  esso.  All'in- 
contro della  faccia  di  esso  re,  siedono  li  sultani  consiglieri  per  età, 
e  dalla  parte  destra  e  sinistra  siedono  li  quattro  grandi  consiglieri 
da  loro  chiamati  visiri.  11  re  propone  le  materie  e  sopra  esse  di- 
scorre, dimandando  il  parere  dei  sultani  ad  uno  ad  uno,  e  secondo 
che  dicono  le  loro  opinioni  si  levano  dal  loro  luogo,  e  vengono  ap- 
presso il  re,  e  siedono,  parlando  con  voce  alta,  di  modo  che  possino 
essere  intesi  dagli  altri  sultani ,  e  nel  corso  del  ragionamento,  il 
re,  se  sente  qualche  ragione  che  gli  piaccia,  la  fa  notare  alli 
gran  consiglieri  e  molte  volte  la  nota  di  mano  propria;  e  così  a 
mano  a  mano  secondo  che  il  re  chiami  i  Sultani  vengono  a  dire 
le  loro  opinioni.  11  re  ora  risolve  le  cose  del  primo  consiglio  , 
quando  non  ha  dubbio  delle  materie  che  si  trattano,  ora  si  fa  por- 
tare le  ragioni  di  tutto  il  consiglio,  e  da  lui  le  considera  e  poi  si 
risolve.  Nel  numero  di  questi  sultani  del  consiglio  entra  anco  il  ca- 
pitano della  guardia  del  re,  che  sebbene  non  è  sultano,  è  però  no- 
bile, ed  uscendo  di  quel  grado  entra  sultano.  Li  gran  consiglieri  non 
hanno  voce,  né  ricordano  cosa  alcuna,  se  dal  re  non  sian  dimandati  ; 
li  quali  sebben  sono  onorarissimi  e  molto  stimati ,  non  possono 
però  ascendere  al  grado  di  sultani,  né  di  altri  servizj  pertinenti  alla 
guerra  ancorché  fossero  nobilmente  nati.  La  carica  veramente  è 
piuttosto  di  genere  virtuosa  che  nobile.  Mentre  che  il  consiglio  sta 
ridotto  ogni  notte,  vi  stanno  anco  le  guardie  di  trecento  Kurdi  ar- 
mati, li  quali,  licenziato  il  consiglio,  non  si  partono,  ma  dormono  lì 
per  guardia  del  re. 

Parendomi  aver  sin  qui  detto  a  sufficienza  della  corte  di  questo 


177 
re,  parlerò  ora  della  grandezza  del  suo  stato, e  qual  sia  il  modo  del 
governo  delle  provincie  e  regni  che  in  esso  si  trovano,  considerando 
le  metropoli,  e  come  è  amato  esso  re  dai  popoli  abitanti  nel  suo 
paese.  Confina  il  paese  posseduto  dal  re  di  Persia  da  levante  con 
l' India,  ch'è  tra  il  fiume  Gange  e  Indo;  da  ponente  col  fiume  Tigri, 
che  divide  la  Persia  della  Mesopotania,  ora  detta  Diarbech,  il  qual 
fiume  correndo  sino  alli  confini  di  Babilonia,  entra  nell'Eufrate,  ed 
uno  istesso  alveo  corrono  tutti  due  per  Bassora,  e  sboccano  nel 
mar  Persico  verso  il  mezzodì;  da  tramontana  col  mar  Caspio  e 
colla  Tartaria  del  gran  Khan  del  Catai. 

Nel  detto  paese  vi  sono  numero  cinquantadue  città,  e  le  princi- 
pali di  esse  sono  :  Tauris,  metropoli  dì  tutto  il  regno,  Casbin,  Erivan 
ed  altre,  le  quali  ad  una  ad  una  non  nominerò,  ma  dirò  solo  che 
non  ve  n'e  pur  una  in  tutto  il  regno  che  sia  murata,  ma  tutte  sono 
aperte  ;  le  fabbriche  sono  bruttissime,  e  le  case  tutte  di  loto,  cioè 
fango  e  paglia  tagliata  mescolata  insieme,  né  vi  sono  moschee  né  altro 
che  possa  render  vaghe-  dette  città,  ancorché  per  l'ordinario  i  siti 
siano  bellissimi.  Le  strade  sono  brutte  per  la  quantità  della  pol- 
vere, e  malamente  vi  si  può  andare,  e  conseguentemente  l'inverno 
vi  sono  fanghi  estremi. 

Vi  è  grandissima  abbondanza  di  grani  per  l'ordinario,  ancorché 
non  piova  se  non  rare  volte;  ma  usano  di  condur  l'acqua  a  bagnare 
i  campi  una  settimana  in  una  parte,  ed  una  settimana  in  un'altra;  ed 
a  questo  modo  vengono  a  dar  tant'acqua  alle  biade  e  vigne  quanto 
basta.  E  nelle  ascese,  ed  altri  luoghi,  dove  le  acque  non  ponno 
esser  tirate,  se  ne  servono  di  prateria.  Vi  è  anco  quantità  grande 
di  carnaggi,  e  sopra  tutto  di  castrati,  e  di  tutta  grassezza,  ed  io  ho 
veduto  in  Tauris  più  volte  pesar  le  loro  cosce  dieci  buttuarie,  che 
sariano  quaranta  delle  nostre  libbre.  Contuttociò  sono  assai  care 
rispetto  alla~'quantità  grande  chefve  n'è,  incredibile,^  tacche  non 
pare  che  debba  mai  spedirsi,  eppure  si  vende;  e  ciò  avviene  perchè 
non  credo  che  sia  nel  mondo  nazione  che  mangi  più  delli  Persiani: 
essendo  ordinario  che  tutti  i  vecehi  non  che  li  giovani,  mangino 
quattro  volte  al  giorno,  e  ciò  per  causa  dell'acque,  che  essendo 
perfettissime,  ajutano  la  digestione. 

Sono  li  Persiani  piuttosto  genti  povere  che  altrimenti.  Nelle  città 
e  ville  non  usano  molti  adornamenti.  Dorme  ognuno  in  terra,  e 
quelli  che  sono  in  qualche  condizione^usano  lo^stramazzo  sopra  tap- 
peti, gli  altri  un  feltro  semplice.  Le  donneano  per  l'ordinario  tutte 
brutte,  ma  di  bellissimi  lineamenti  e  nobili  cere,  sebbene  i  loro 
12        Bollettino  Consolare,  Voi    III. 


178 

abiti  non  sono  così  attillati  come  quelli  delle  Turche.  Usano  però 
di  vestire  di  seta,  portando  in  testa  il  caffetano,  lasciandosi  veder 
la  faccia  a  chi  esse  vogliono,  e  a  chi  non  vogliono  l'ascondono,  e 
portano  sopra  la  testa  perle  ed  altre  gioje;  e  di  qui  avviene,  che 
le  perle  sono  in  gran  prezzo  anco  a  quelle  parti,  non  essendo  mollo 
tempo  che  si  sono  cominciate  ad  usare. 

La  riverenza  e  l'amore  che  da  tutto  il  popolo  di  questo  regno 
vien  portato  al  re,  non  ostante  le  cose  già  dette  per  le  quali  pare 
dovrebbe  essere  odiato,  è  incredibil  cosa:  perchè  essi,  non  come  un 
re,  ma  come  Dio  lo  adorano,  e  ciò  procede  perch'egli  viene  dalla 
linea  di  Ali,  loro  santo  principale;  e  quelli  che  si  trovano  in  ma- 
lattia o  altra  disgrazia,  non  chiamano  tanto  in  ajuto  il  nome  di 
Dio,  quanto  fanno  il  nome  del  re  ,  facendo  voti,  o  di  portargli  qual- 
che dono  o  di  venire  a  baciar  la  porta  del  suo  palazzo,  e  si  tien 
felice  quella  casa  che  può  aver  qualche  drappo  o  scarpe  di  esso  re, 
o  dell'acqua  dove  esso  si  è  lavato  le  mani,  usandola  contro  la  feb- 
bre; per  tacere  altre  infinite  cose  che  si  potriano  dire  in  questo  pro- 
posito. Dirò  bene  che  non  pure  li  popoli,  mali  figliuoli  stessi  e  sul- 
tani ordinariamente  quando  parlano  con  lui,  parendogli  non  poter 
tenere  epiteti  convenienti  a  tanta  altezza,  gli  dicono  :  tu  sei  la  no- 
stra fede,  e  in  te  crediamo.  Così  si  osserva  nelle  città  vicine  sino  a 
questo  segno  di  riverenza  ;  ma  nelle  ville  e  luoghi  più  lontani  molti 
tengono  che  egli,  oltre  avere  lo  spirito  profetico,  risusciti  ì  morti,  e 
faccia  di  altri  simili  miracoli,  dicendo  che  siccome  Ali  loro  santo 
principale  ebbe  undici  figli  maschi,  che  così  anco  questo  re  ha  avuto 
dalla  maestà  di  Dio  la  medesima  grazia  di  undici  figli  come  Ali. 

Vero  è  che  nella  città  di  Tauris  non  vi  è  tanta  venerazione  come 
negli  altri  luoghi,  e  per  questo  si  dice  ch'egli  si  sia  partito  di  là  e 
andato  a  stare  a  Gasbin,  vedendo  di  non  essere  secondo  il  genio  suo 
stimato,  per  rispetto  che  la  detta  città  è  divisa  in  due  parti,  le  quali 
si  chiamano,  una  Kamitai,  e  l'altra  Ermicai  ;  nelle  quali  fazioni  sono 
nove  capi  di  sestieri,  cinque  in  una  e  quattro  nell'altra,  dai  quali 
dipendono  tutti  li  cittadini,  Queste  fazioni  per  il  passato  erano  molto 
discordi,  ed  ogni  giorno  si  ammazzavano,  né  bastava  al  re  ed  altri 
il  rimediarvi,  per  esser  fra  esse  parti  discordia,  ed  odio  antico  di 
più  di  trecento  anni,  e  certo  si  può  dire  che  piuttosto  essi  capi  di 
sestieri  siano  signori  di  detta  città,  che  il  re  proprio.  Ora  sono  in 
pace  e  uniti;  ed  a  questo  proposito  non  voglio  lasciar  di  dire  alla 
Serenità  Vostra,  che  essendo  nel  principio  della  loro  quaresima  mon- 
tate le  carni  un  poco  più  del  prezzo  ordinario,  andorno  questi  capi 


179 
al  palazzo  del  sultano,  ed  ammazzorno  tutti  li  ministri,  e  se  il  sul- 
tano avesse  fatto  moto  alcuno,  sarebbe  anch'egli  stato  ammazzato, 
e  per  quei  ministri  che  non  si  trovorno  presenti,  andorno  li  sol- 
levati alle  case  loro,  gettando  le  porte  a  terra,  e  gli  ammazzarono  e 
portorno  le  teste  sopra  il  palazzo,  non  curando  far  questa  opera- 
zione più  di  giorno  che  di  notte,  né  a  ciò  si  può  rimediare  rispetto 
all'umor  loro.  Vero  è  che  da  essi  non  si  è  mai  sentito  che  sia  nata 
alcuna  cosa  inonesta  contro  il  particolare  ;  e  solo  per  il  passato 
hanno  ammazzati  delli  sultani,  per  conservare  una  certa  loro  libertà 
ed  alcuni  loro  privilegi  antichi.  E  per  esser  detta  città,  come  ho 
detto,  metropoli  di  tutto  il  regno,  parmi  di  dire  alcuna  altra  cosa 
di  essa. 

È  posta  essa  città  per  dir  il  tutto  della  medesima,  sopra  una  gran 
pianura,  poco  lontana  da  alcuni  monticelli,  essendogli  vicino  un 
colle  dove  anticamente  vi  era  un  castello,  come  si  vede  dalle  mine 
che  vi  sono  al  circuito.  Questa  città  ancorché  non  abbia  muraglia, 
è  di  quindici  miglia  e  più,  ed  è  in  forma  lunga,  onde  che  da  un 
luogo  che  si  addimanda  Nassar  fino  all'uscir  della  città  verso  Gasbin, 
vi  è  quasi  una  piccola  giornata  di  cammino  e  vi  sono  però  infiniti 
giardini,  e  luoghi  vacui.  Le  contrade  sono  quarantuna  e  per  ogni 
contrada  vi  è  un  bazaro,  di  modo  che  si  può  dire  che  in  ogni  con- 
trada vi  sia  una  piccola  terra  abbondantissima,  ma  sopra  tutto  di 
cose  magnative.  L'aeree  felicissimo,  sì  d'inverno  come  di  estate.  Li 
frutti  superano  di  bontà  e  di  bellezza  quelli  di  qualsivoglia  altro 
paese.  La  città  è  mercantile,  concorrendo  in  essa  le  merci  e  cara- 
vane  d'ogni  parte  del  regno  ;  ma  ora  il  negozio  della  mercanzia  pa- 
tisce molto,  rispetto  alle  cose  della  guerra  che  la  Serenità  Vostra  ha 
con  il  Turco,  perchè  dove  due  colli  di  seta,  della  quale  il  paese  è 
abbondantissimo,  valevano  quattrocento  e  più  zecchini,  si  vendono\ 
meno  di  duegento.  Le  spezie  che  vengono  per  via  di  Ormuz,  non  j 
vi  è  persona  che  le  guardi,  perchè  il  suo  corso  ordinario  era  in  J 
Aleppo;  ora  non  vi  essendo  in  che  contrattarre,  restano  abbando- 
nate da  qualche  parte  in  poi,  che  vengono  condotte  a  Costantinopoli 
stessa,  e  di  là  in  Bogdania,  spargendosi  per  la  Polonia,  e  di  là  in 
Danimarca,  Svezia  ed  altri  luoghi;  ma  sono  tanto  grandi  le  spese, 
che  li  guadagni  riescono  piccolissimi ,  se  però  non  vi  si  perde  ; 
avendone  fatta  la  prova  alcuni  Armeni  ch'io  vidi  in  Tauris  ;  e  tanto 
più  si  verranno  a  raffreddare  tutti  i  negozi,  quanto  che  un  gen- 
tiluomo inglese  addimandato  il  signore  Tommaso  da  Londra,  venuto 
in  detta  città  con  molte  facoltà  di  pannina  per  via  di  Moscovia , 


180 

sotto  nome  di  ambasciatore  della  regina,  essendo  venuto  a  morte,  il 
sultano  di  Shirvan  gl'intertenne  tutte  le  robe,  per  il  che  li  compagni 
ch'erano  con  lui  convennero  spendere  gran  quantità  di  danari  per 
riaverle,  sicché  per  questa  causa  non  si  deve  sperare  che  da  quelle 
parti  le  faccende  abbiano  a  continuare.  Nel  regno  di  Gorassan  si 
lavora  di  panni  di  seta,  e  specialmente  di  velluti,  li  quali  possono 
stare  al  paragone  delli  genovesi  e  d'altri  luoghi.  Lavorano  delli  rasi 
e  damaschi  con  quella  bellezza  e  polizia  che  si  sogliono  fare  in  Italia 
e  sono  a  buon  mercato. 

Nel  detto  paese  di  Persia  non  vi  sono  merci  d'oro,  né  d'argento, 
né  di  rame ,  ma  solamente  di  ferro  ;  però  quelli  che  conducono  ar- 
genti di  Turchia  in  Persia  guadagnano  venti  per  cento,  e  dell'oro  da 
quaranta  in  cinquanta  per  cento ,  e  delli  rami ,  quando  dieci  e 
quando  venti  e  più  per  cento.  Vero  è  che  vi  sono  gravi  spese  per 
esser  proibito  il  portar  dei  metalli  nel  predetto  paese. 

Ora  venendo  alle  forze  di  questo  re,  parmi  considerar  prima  e 
principalmente  l'entrate. 

Ha  questo  re  come  cosa  principale,  contra  l'ordinario  di  tutti  li 
regni  che  sogliono  cavar  l'entrate  loro  dalli  dazi ,  il  costume  di 
prendersi  una  parte  delli  frumenti,  biade  ed  altre  cose  che  produce 
la  terra,  e  delle  vigne  e  praterie  si  paga  d'ogni  mille,  il  valore  di 
sessanta  archi,  che  sono  alcune  loro  misure,  che  dieci  fariano  la 
misura  di  un  campo  ;  di  tasse,  dalle  case  de'cristiani  cava  cinque 
percento  di  tributo;  in  alcune  parti  cinque  ducati  per  casa,  e  in 
alcune  altre,  sette  e  otto  secondo  la  fertilità  e  bontà  del  paese.  Degli 
animali,  per  ogni  quaranta  pecore  quindici  bisti  all'anno,  che  sono 
tre  ducati  di  nostra  moneta,  e  per  ogni  vacca  dieci  bisti  all'anno, 
che  degli  animali  maschi  non  si  paga.  E  questi  sono  li  dazi  del  re  e 
le  sue  entrate  ;  le  quali  dicono  al  presente  che  ascendono  alla  somma 
di  tre  milioni  d'oro. 

Le  spese  poi  ch'escono  dal  tesoro  di  sua  maestà  sono  veramente 
pochissime  per  quanto  si  vede;  perchè  esso  re  non  è  in  obbligo  di 
pagare  altro  che  cinquemila  soldati,  chiamati  da  loro  Kurdi,  che 
sono  la  guardia  della  sua  persona,  scelti  fra  la  miglior  gente  e  la  più 
bella  che  sia  in  tutto  quello  stato  ;  né  manco  a  questi  dà  paga  in 
contante,  ma  in  quel  cambio  dà  loro  vestimenta  e  anelli,  ponendoli 
a  quel  prezzo  che  gli  pare.  Vero  è  che  ha  undici  figliuoli  come  ho 
detto,  e  che  ognuno  di  loro  tien  corte  separata  ed  onorevole;  ma 
non  si  sa  quello  dia  loro. 

Di  sultani,  come  si  è  detto,  sonvene  da  cinquanta,  de'quali  si 


181 

forma  tutta  la  milizia  di  questo  re,  lenendo  diviso  in  cinquanta  parti 
lo  stato  suo,  oltra  quello  che  tiene  lui  e  li  suoi  figliuoli,  il  quale  non 
è  sottoposto  a  cura  di  nessun  altro.  Detti  sultani  hanno  in  condotta 
da  cinquecento  fino  a  trecento  uomini  a  cavallo  per  ciascuno ,  i  quali 
separatamente  cavano  dalle  regioni  a  loro  assegnate,  tanta  entrata 
che  possono  mantenere  dette  genti  e  cavalli,  e  far  fare  le  mostre 
spesse  volte;  sicché  in  occasione  di  guerra  non  ha  altro  pensiero, 
che  spedire  alli  sultani  un  corriere  uno  o  due  mesi  innanzi,  che, 
per  esser  sempre  all'ordine,  vengono  senza  difficoltà  dove  sono  chia- 
mati, e  possono  ascendere  in  tutti  al  numero  di  sessantamila,  benché 
la  voce  sia  di  molti  più.  Sono  genti  per  l'ordinario  di  bello  aspetto, 
robuste  e  ben  formate,  e  di  gran  cuore,  e  desiderose  di  guerra. 

Usano  costoro  per  armi  da  difesa  la  corazza  e  la  targa,  e  vi  sono 
anco  molti  elmi,  e  da  offesa  la  freccia  e  gli  archibusi,  il  quale  non 
vi  è  soldato  che  non  l'usi  ;  ed  è  ridotta  quest'arte  in  tanta  eccellenza, 
che  quanto  alla  perfezione  superano  i  loro  archibusi  quelli  di  ogni 
altro  luogo,  ed  anco  quanto  alla  tempra  eccellente  che  gli  danno  : 
sono  le  canne  di  detti  archibusi  per  l'ordinario  sette  spanne  di  lun- 
ghezza, e  portano  poco  manco  di  tre  onci  e  di  palla,  gli  usano  con 
tanta  facilità,  che  non  li  impedisce  punto  la  spada,  la  quale  tengono 
attaccata  all'arcione  del  cavallo  per  adoprarla  quando  bisogna. 
L'archibuso  se  lo  accomodano  dietro  la  schiena  con  tanta  facilità, 
che  l'una  cosa  non  impedisce  l'altra. 

Li  cavalli  sono  ridotti  in  tanta  eccellenza  di  bellezza  e  di  bontà 
che  non  han  più  bisogno  di  farne  condur  da  altre  parti,  e  questo 
dalla  morte  di  sultan  Bajazet  in  qua,  perchè  detto  signore  venne  in 
Persia  con  bellissimi  cavalli  caramani,  e  cavalle  arabe  eccellenti,  i 
quali  furono  donati  nel  passare  ;  e  di  poi  che  dal  presente  re  fu  fatto 
ammazzare,  gli  restorno  dieci  mila  tra  cavalli  e  cavalle  dalle  quali  è 
riuscita  al  presente  una  razza  così  bella,  che  gli  Ottomani  non  ne 
hanno  una  tale.  Restarono  poi  anche  di  detto  Bajazet  trenta  pezzi  di 
artiglieria,  oltre  li  danari  ed  altre  spoglie. 

Oltre  le  forze  dette,  ha  il  re  di  Persia  quella  di  aver  fatto  disertare 
li  paesi  verso  li  confini  del  Turco  da  ogni  parte  per  sei  e  sette  gior- 
nate di  cammino,  e  rovinar  quei  castelli  che  v'erano,  per  assicurarsi 
sempre  più  da  detti  Ottomani,  che  non  gli  venga  volontà  d'impadro- 
nirsene  e  tenerseli. 

Parendomi  avere  abbastanza  detto  a  Vostra  Serenità  delle  fortezze 
di  questo  re,  parlerò  ora  delle  pertinenze  ed  intelligenze  che  ha  con 
gli  altri  principi  vicini. 


182 

Ha  esso  re  pretensioni  sopra  li  paesi  toltigli  dall'imperatore  Ot- 
tomano, cominciando  dal  fiume  Eufrate  da  quella  banda  sino  a 
Babilonia,  e  verso  ponente  sopra  il  paese  di  Diarbek  e  Armenia  mi- 
nore. Ha  esso  re  intelligenza,  e  da  lui  dipende  un  principe  cristiano, 
signore  de'Giorgiani,  ed  è  suo  tributario  di  venti  mila  ducati  all'anno, 
ed  ha  il  suo  stato  vicino  al  mar  Caspio  ;  il  qual  principe  in  occasione 
di  guerra  contra  Ottomani  potrebbe  servire  con  dieci  mila  uomini  a 
cavallo,  tutta  gente  florida  e  valorosa. 

Vi  sono  anco  alcuni  signorotti  turchi,  Kurdi,  quali  stanno  sopra 
certe  montagne  tra  l'Armenia  minore  (verso  quella  parte  dei 
Giorgiani,  che  è  posseduta  dal  Turco)  e  il  mar  Maggiore,  sopra 
le  quali  montagne  essendo  io  passato,  ed  avendo  veduto  io  in  Erivan 
preparazioni  di  genti,  detti  signori  tenevano  per  fermo  che  fosse 
contra  sultano  Selim,  onde  mostravano  di  sentir  grandissima  con- 
tentezza, e  facevano  preparazioni  per  mettersi  all'ordine  alla  guerra; 
ed  essi  tutti  uniti  potriano  fare  tre  in  quattro  mila  cavalli  di  rara 
bontà. 

Ora  non  mi  pare  di  dovere  più  tediare  Vostra  Serenità,  massima- 
mente avendole  io  con  mie  lettere  dato  conto  di  mano  in  mano  del 
mio  negoziato  e  del  mio  viaggio.  Nel  qual  viaggio  fui  crudelmente 
battuto  sotto  la  pianta  dei  piedi  in  Erzerum,  e  mille  volte  a  pericolo 
di  crudelissima  morte,  cercato  da  tre  ciaussi  di  Ali  pascià,  di  Er- 
zerum, che  mi  aveva  per  spia;  e  dopo  essere  scampato  dalle  loro 
mani,  corso  in  infiniti  altri  pericoli  e  disagi.  In  premio  di  che  non 
addimando  alla  Serenità  Vostra  altro  che  la  sua  buona  grazia,  ed 
occasioni  di  poterla  sempre  servire. 

L'originale  fu  di  recente  scoperto  nelV archivio  dei  Frari  dal  signor 
Pasini.  Colla  scorta  di  quello  si  potè  riscontrare  la  presente  re- 
lazione, già  pubblicata  daZ/'Albèri,  nel  voi.  II,  serie  IH,  Relazioni 


venete. 


DOCUMENTO    XXITII. 


Dopo  molte  onorate  et  degne  salutationi,  che  a  così  gran  signori 
se  li  conviene,  li  desideramo  stato  felice  fino  al  finimento  del  mondo. 
Si  fa  sapere  all'Altezze  Vostre  per  bocca  di  khan  Mehemet  e  di  Emi- 
rissè  sultan  nostri  buoni  e  cari  amici,  come  siamo  pronti  a  quanto 
ne  invitaste  per  lo  passato,  e  più  che  mai  continuiamo  nel  medesimo 


183 
volere,  però  se  ancor  voi  siete  dello  stesso  parere  lo  farete  intendere. 
Chogia  Mehemet  è  nostro,  el  quale  per  aver  avuto  amicizia  in  Venezia 
con  Vincenzo  che  fu  in  Tauris,  è  slato  introdotto  in  questo  negotio 
con  il  mezzo  di  chogia  Cabibulà:  al  quale  Mehemet  abbiamo  com- 
messo che  con  gran  prestezza  si  debba  trasferire  a  voi,  e  darvi  conto 
che  siamo  in  campagna  con  200  mille  persone,  se  incaminiamo  verso 
le  parti  di  Babilonia.  Però  di  gratia  espedirele  il  detto  chogia  Mehemet, 
et  sano  lo  inviarete  dandoli  boni  avvisi,  facendo  passare  con  se- 
gretezza. 

Espositioni  Principi  1580. 


DOCUMENTO  XXVIII. 


1580  al  1°  di  maggio. 

Essendo  tornato  il  Serenissimo  Principe  dal  Gran  Consiglio  et  ri- 
dotto nella  sua  anticamera,  con  li  clarissimi  messer  Zuane  Donato 
consigliere  e  messer  Alvise  Foscari  capo  dell'Illustrissimo  Consiglio 
dei  X,  secondo  l'ordine  posto  nell'eccellentissimo  collegio,  comparve 
il  fedelissimo  Vincenzo  de  Alessandri,  nodaro  ordinario  della  cancel- 
leria ducal,  et  con  lui  un  persiano  huomo  dieta  d'intorno  alli  ottanta 
anni,  il  quale  appresentatosi  molto  humilmente  a  S.  Serenità  espose 
la  sua  ambasciata,  e  diede  due  lettere  una  scritta  in  persiano  e  l'altra 
in  turco,  la  prima  fu  letta  da  esso  persiano,  la  seconda  dal  predetto 
Alessandri,  et  perchè  nelle  espositione  e  nelle  lettere  erano  molti  par- 
ticolari che  difficilmente  si  sariano  potuti  raccordare  per  poterli  met- 
tere in  scrittura  comodamente,  fu  posto  ordine  che  questo  si  facesse 
in  casa  del  predetto  Alessandri,  dove  si  poteva  andare  sicuramente, 
per  essere  la  sua  casa  posta  in  tale  luogo  che  non  si  saria  veduto  da 
alcuno;  et  così  alli  tre  del  medesimo  ridotti  noi  Antonio  Milledonne, 
e  Domenico  Vico  segretari  et  humilissimi  servitori  di  Vostra  Serenità 
alla  casa  suddetta  alle  ore  10,  ritrovassimo  il  suddetto  persiano  che 
aspettava,  al  quale  facessimo  dire  per  il  detto  Alessandri  che  S.  Se- 
renità gli  faceva  intendere  che  se  aveva  bisogno  di  qualche  favore, 
se  lo  faria  prontamente;  qual  rispose  «  come  haverei  io  ardimento  di 
dimandare  alcuna  cosa,  essendo  suo  schiavo?  Si  passò  poi  a  dire  che 


essendo  stato  grato  a  S.  Serenità  quanto  esso  le  aveva  esposto,  et 
però  desiderando  di  averlo  in  scrittura  eravamo  venuti  qui  per  udirlo 
un'altra  volta  da  lui  medesimo,  che  però  fosse  contento  di  dirlo  a 
parte  perchè  si  scriveria  il  tutto;  il  qual  rispose  «  volontieri  sta  ben  » 
et  disse: 

Che  essendo  il  re  di  Persia  in  Kasbin,  già  sei  mesi  circa  disse  alli 
suoi  sultani  del  sangue:  che  già  qualche  anno,  fu  a  suo  padre  un  huomo 
mandato  da'Venetiani,  et  dimandò  se  vi  fosse  qualcuno  che  si  ricor- 
dasse di  quel  fatto,  perchè  lui  a  quel  tempo  se  trovava  in  Korassan:  che 
però  vorria,  che  se  non  lo  si  sapeva  da  loro,  si  mandasse  in  Tauris  da 
Mehemet  khan,  che  è  principal  sultan  et  del  sangue  per  intendere  da 
lui  come  passò  la  cosa.  Et  così  fu  mandato  in  Tauris,  et  Mehemet  khan 
mandò  a  chiamare  chogia  Gabibulà  che  è  un  vecchio  ed  onorato  mer- 
cante, che  è  stato  altre  volte  a  Venezia  insieme  a  chogia  Succurlà  che 
è  visir,  il  qual  secondo  il  costume  del  regno,  quando  bolla  le  lettere 
le  bolla  con  tre  bolli,  che  è  quanto  il  bollo  del  re,  perchè  gli  altri 
sultani  bollano  con  un  bollo  solo. 

Il  predetto  chogi  Gabibulà,  essendo  chiamato,  portò  a  presentare 
(secondo  l'uso  del  paese,  che  ognuno  che  è  chiamato  da'  sultani  del 
sangue,  porta  presenti)  una  vesta  di  panno,  una  fessa  da  testa,  ed 
un  gottonin,  et  andò  al  detto  Mehemet  khan  et  disse  quello  che  il  co- 
mandava. Gli  domandò  il  sultan  :  se  conosceva  quelli  che  furono 
mandati  da  Venetia  al  re  vecchio;  lui  rispose:  cognosco.  Gli  diman- 
darno  del  nome,  disse  che  non  sapeva  il  suo  nome,  ma  bensì  che 
erano  venuti,  et  che  si  trovava  in  Tauris  chogia  Mehemet  il  quale  in 
Venezia  aveva  avuta  cortesia  da  quello  che  fu  in  Tauris,  che  forse  sa- 
pria  dir  il  nome;  et  così  mandarno  a  chiamar  me  che  sono  il  sopra- 
detto chogia  Mehemet. 

Io  andai  insieme  con  chogia  Gabibulà,  et  narrai  come  fui  preso  al 
tempo  della  guerra  dalla  galea  Trevisana,  che  mi  tolsero  in  fallo  per 
turco,  se  ben  aveva  patente  del  Zaguri  console  in  Ragusa  e  da  quei 
signori  di  Ragusa,  e  toltami  la  roba  ;  ma  che  li  signori  venetiani  mi 
liberarono,  et  fecero  restituir  la  roba;  et  fu  causa  di  questo  favor, 
quell'huomo  che  fu  in  Tauris,  et  che  il  collegio  di  Venetia  viste  le 
patenti  mi  fece  espedire.  Chogia  Gabibulà  mi  disse  :  che  lui  aveva 
visto  queU'huomo,  et  che  el  glie  aveva  insegna  la  strada  de  ritornar 
a  Venezia,  ma  che  el  no  saveva  el  so  nome;  et  che  il  sultan  glie  lo 
domandava;  che  però  se  '1  savesse  ghe  '1  dovessi  dir.  Io  risposi  ch'el 
saveva,  et  che  l'aveva  nome  Vincenzo,  et  così  tolsero  il  nome  in  nota. 
Io  trovandomi  alla  presentia  dei  sultani  sopradetti,  mi  dissero:  dapoi 


185 

che  tu  conosci  quel  Vincenzo  e  che  sei  stato  altre  volte  a  Venezia, 
volemo  che  lu  vi  torni  a  portarvi  alcune  lettere.  Io  dissi  che  sono 
vecchio  di  78  anni,  come  vuol  sua  signorìa  che  vada?  Non  ardii  di  dir 
altro  alli  sultani, ma  ritirato  con  chogia  Calibrila,  mi  escusai  che  non 
avria  possuto  per  la  mia  età  far  questo  viaggio  ;  ma  lui  mi  disse:  non 
dir  così,  perchè  bisogna  far  quello  che  comanda  l'imperatore,  e  questo 
è  il  suo  comandamento. 

Intendendo  li  sultani  la  mia  escusazione,  per  consolarmi  et  acciò 
potessi  fare  il  viaggio  mi  concessero  20  case  di  una  villa  con  li  suoi 
terreni,  et  mi  fecero  e  bollarono  la  patente  della  concession  et  della 
esenzione.  Io  non  potei  mancare  di  adempire  il  comandamento  del  re 
dettomi  dalli  sultani;  mi  messi  in  ordine  per  partire:  et  fu  detto  che 
dovessi  fare  il  servizio  secretissimamente. 

Da  poi  fui  chiamato  et  mi  diedero  due  lettere,  et  mi  dissero  che 
dovessi  dire  alli  signori  di  Venetia,  che  loro  stavano  nel  medesimo 
proposito,  che  li  mandarno  a  dire  ;  ma  che  allora  non  si  potè  effettuar 
perchè  viveva  il  re  vecchio  il  quale  haveva  molte  indispositioni;  ma 
che  tutti  li  sultani  aveano  giurato  per  Ali,  che  al  presente  non  vole- 
vano deponer  le  armi  per  anni  15,  fino  a  che  non  debellavano  i  Turchi 
ovvero  non  erano  essi  debellati;  et  che  dovessi  aggiungere  che  se  li 
signori  Veneziani,  haveranno  il  medesimo  proposito,  che  si  conti- 
nuerà ancor  più  lungo  tempo  la  guerra;  ma  che  se  li  mandi  un  segno 
della  sua  volontà  :  perchè  noi  non  volemo  da  loro  suoi  eserciti,  ma 
solamente  la  volontà,  et  che  nelle  sue  chiese  secondo  la  forma  della 
sua  religione  faccino  dire  delle  oration  per  noi  ;  et  che  il  re  del  Por- 
togallo che  comanda  in  Ormuz  dove  sta  un  persiano,  come  saria  a 
dir  bailo,  aveva  dato  ordine  che  siano  mandati  in  Persia  20000  zec- 
chini et  quel  più  che  facesse  bisogno  perla  guerra.  Che  i  Turchi  ave- 
vano mossa  questa  guerra  ingiustamente,  senza  causa,  come  credono 
che  si  sappia;  et  però  loro  aveano  posti  in  ordine  li  suoi  eserciti,  et 
che  si  erano  ridotti  insieme  alcuni  re  del  sangue,  che  sono  verso  la 
India,  nominati  Baìram  Mirza  fìol  d'un  fratello  di  Thamasp  re  vecchio, 
Sciam  Mirza,  Eleas  Mirza,  Siringuineat  Mirza  et  sultan  Gaidar  ;  che 
questi  fanno  un  consiglio  creato  di  nuovo,  e  che  così  il  re  li  chiamò 
tutti  e  li  disse  :  sono  tre  anni  che  questi  infedeli  ne  molestano,  biso- 
gna far  una  buona  risoluzione  che  o  noi  li  vinciamo  loro  o  essi  ne 
vinca  noi  ;  et  essi  sultani  risposero  che  era  ben  onesto,  perchè  li 
Turchi  li  avevano  tolti  molti  paesi,  che  era  vergogna  cheli  tenessero, 
però  bisogna  armarsi  e  ricuperarli,  perchè  i  Turchi  avevano  mancato 
della  fede  e  rotti  li  capitoli ,  et  che  non  temevano  Dio,  ma  che  osser- 


186 

vavano  li  loro  giuramenti  quanto  solamente  lor  metteva  conto.  Che  li 
sopradetti  re  messero  insieme  per  aiuto  del  re  di  Persia  70  mila  per- 
sone, li  quali  vennero  per  la  parte  delle  Indie  che  si  chiama  Konducar. 
Che  il  re  di  Persia  oltre  questi,  ha  80  mila  persone  delle  sue.  Che  el 
re  di  Lar,  qual  è  tributario  del  re  di  Persia  e  gli  paga  5000  tomani 
(che  un  toman  è  da  circa  20  scudi),  questi  gli  ha  dato  15  mila  uo- 
mini a  cavallo  armati.  Che  Sanabat  re  dalla  parte  di  Ghilan,  ancor 
esso  tributario,  ha  dato  10  mila  archibusieri.  Che  el  re  di  Ghilan 
nominato  Sciempsi  khan,  ha  dato  10  mila  uomini  tutti  a  cavallo  armati; 
che  el  re  di  Persia  ha  tolto  per  donna  una  figliuola  di  Abdulà  khan  re 
dei  Tartari.  Che  dei  signori  Georgiani  fratelli,  nominati  uno  Simon 
e  l'altro  Davit,  che  cristiani  loro  sono,  il  re  di  Persia  conoscendoli 
valorosi  ha  data  a  Simon  una  sua  figliuola,  et  lui  s'è  fatto  persiano, 
restando  il  suo  fratello  cristiano;  questi  li  danno  20  mila  gentiluomini, 
che  sono  tutti  cristiani. 

Domandato  come  sapeva  questi  particolari,  rispose:  questa  cosa 
è  pubblica  in  Tauris,  ma  li  sultani  me  l'hanno  detto  di  bocca  propria, 
perchè  lo  riferisca  alli  signori  Venetiani,  et  mi  hanno  anco  detto 
come  è  distribuito  l'esercito;  et  poi  disse  da  se:  mi  meraviglio  che 
tu  mi  dimandi  queste  cose,  perchè  l'armata  che  è  a  Venezia  no  se 
sala  a  Padova  e  in  tutte  queste  bande?  Questo  non  è  un  pomo  che  se 
tegna  ascoso.  Gli  fu  detto  che  non  si  meravigliasse  se  ghe  vien  do- 
mandato qualche  cosa,  perchè  si  fa  per  poter  chiarir  meglio  il  tutto,  e 
non  perchè  non  si  creda  quello  che  lui  dice;  rispose  che  questo  non 
importava  niente,  e  gli  fu  detto  che  dicesse  la  divisione  dell'esercito. 

Disse  che  50  mila  persone  erano  sotto  la  custodia  di  BairamMirza, 
verso  la  parte  di  Babilonia,  il  quale  è  andato  per  guardar  et  rovinai 
quel  paese  :  che  altri  50  mila  erano  sotto  la  custodia  del  fìol  di  Scìani 
Mirza,  el  quale  è  andato  nel  paese  di  Soresul  et  ha  preso  quel  bascià 
et  ammazzato  con  ruina  di  quelle  genti  de'  quali  ne  furono  menati  da 
300  vivi  a  Kasbin.  Ghe  Beram  Mirza,  con  50  mila  ancor  esso  è  an- 
dato contro  Ustret  bascià  verso  Van  ;  et  che  el  resto  dell'esercito  è 
rimasto  col  re;  dicendo  che  el  se  haveva  scordato  dire  che  el  fìol  del 
re  nominato  Emir  khan  Mirza  con  Jocmat  sultan,  et  gran  parte  delle 
genti  erano  all'incontro  de  Mustafà.  Ghe  quel  fìol  del  re  è  generale 
dell'esercito,  et  quello  che  sostenta  la  guerra.  Dimandato  del  nome 
del  re  di  Persia  rispose:  Koda-Bendè.  Dimandato  se  questo  successe 
immediato  al  padre,  ovvero  altri  prima.  Bispose.  Morto  Schà  Tha- 
masp  una  parte  voleva  per  re  sultan  Caidar  Mirza,  che  era  terzo  fi- 
gliuolo che  governava  al  tempo  del  padre,  mala  maggior  parte  voleva 


187 
Ismaìl  el  secondo;  onde  si  attacarno  insieme;  ma  presto  si  sciolsero, 
poiché  fu  morto  Gaidar  et  electo  Ismaìl,  qual  fece  tagliar  la  testa  a 
molti  sultani,  che  gli  erano  stati  contrari,  onde  ancor  lui  fu  assassi- 
nato. Successe  poi  questo  che  regna  che  è  il  primo  figliuolo,  e  si 
trovava  a  Korassan,  il  quale  è  huomo  di  47  anni  in  circa,  che  non  si 
parte  mai  da  Kasbin  ;  ha  avuto  mal  de  occhi,  ma  li  medici  lo  hanno 
guarito;  et  soggiunse:  io  ho  pur  assai  cose  scritte  nel  cuore  delli  suc- 
cessi della  guerra  et  specialmente  di  Shirvan,  de  onde  Mustafà  partì 
nudo;  ma  ho  paura  de  attediar,  se  volete  che  dica,  dirò.  Gli  fu  detto 
che  el  dica,  el  disse: 

Che  quando  se  intese  la  partita  di  Mustafà  con  l'esercito  di  Co- 
stantinopoli ognuno  si  meravigliò  per  esser  lui  uomo  vecchio,  e  mas- 
simamente Tocmatsultan  il  quale  lo  conosceva  mollo  bene  per  essere 
stati  ambidue  a  Costantinopoli.  De  che  sorte  fosse  l'esercito  turco 
non  lo  starò  a  dire  perchè  voi  lo  sapete  bene;  ma  essendo  lui  partito 
da  Esdrun  verso  la  Persia  fino  ad  un  luogo  che  si  chiama  il  Gars,  il 
che  inteso  da  sultan  Tocmat,  mandò  a  presentargli  160  some  di  risi, 
di  meloni  et  altri  rinfrescamenti,  et  li  mandò  un  uomo  suo  a  doman- 
dare a  che  effetto  era  venuto  tanto  avanti  nel  paese  persiano,  Mustafà 
mandò  a  rispondere  per  un  suo  uomo,  con  presente  di  10  cavalli, 
vesti  di  seta,  e  rinfrescamenti  :  che  l'era  venuto  per  sottometter  li 
Georgiani  li  quali  erano  soliti  per  avanti  a  dar  tributo  al  sig.  Turco, 
e  par  che  Tocmat  sultan  le  aveva  fatto  dire  che  el  paese  di  Gars  era 
il  confìn,  et  che  se  l'era  venuto  per  prender  quel  paese,  sopra  ogni 
sasso  si  lasceria  una  testa  dicendo  :  Gars  è  un  luogo  rovinato  che  di- 
vide el  paese  del  Turco  dai  Persiani.  Mustafà  rispose  che  Dio  guarda, 
ma  che  l'era  venuto  per  Georgiani  come  di  sopra.  Che  sultan  Tocmat 
li  fece  anco  dire,  che  lui  non  credeva  che  fosse  mente  del  suo  signor 
di  romper  li  capitoli  che  erano  fatti  ;  perchè  li  giuramenti  passano 
da  un  re  all'altro,  che  questo  saria  con  danno  dell'anima  dei  morti, 
ed  anco  di  quei  che  vivono  ;  et  che  se  lui  veniva  per  fabbricar  Cars 
che  lo  rifabbricherieno  con  tante  teste  dei  Turchi. 

Che  lui  Mustafà  in  Persia  non  poteva  far  cosa  alcuna,  ma  ben 
che  loro  Persiani,  passeriano  nel  paese  dei  Turchi  fino  a  Tokat,  ta- 
gliando ed  abbruciando  di  tutto,  che  saria  con  danno  non  delli 
grandi,  ma  delli  piccoli;  che  però  non  volevano  questo  cargo  sull'a- 
nima; ma  cha  lui  era  servitore  del  suo  re  e  Mustafà  del  suo,  che 
però  tra  loro  due  combattessero  e  definissero  le  querele.  Mustafà 
rispose  con  inganno  et  falsità,  che  non  era  venuto  per  il  paese  di 
Persia,  onde  sultan  Tocmat  li  diede  il  passo,  ma  ben  sempre  te- 


188 

nendo  gli  occhi  aperti,  et  essendosi  spinto  avanti  Muslafà  fino  a 
certa  acqua  che  si  chiama  Canacaburi,  che  è  la  strada  certa  di  an- 
dar nel  Shirvan,  vedendo  sultan  Tocmat  che  era  ingannato,  disse 
costui  ne  inganna,  et  esortò  le  sue  genti  et  diede  alla  coda  dell'  e- 
sercito,  e  ne  tagliò  fino  a  30  mille,  et  li  tolsero  parte  delli  cariaggi 
e  quasi  tutti  i  danari  che  aveva  con  lui;  ma  li  sopraggiunsero  altre 
genti:  onde  Tocmat  si  ritirò  colla  preda  e  Mustafà  passò  allo  Shir- 
van. Tocmat  sultan  mandò  la  preda  al  re,  et  li  fece  intendere  che 
Turchi  avevano  rotta  la  fede  e  che  li  sariano  addosso,  et  che  però 
si  mettesse  all'  ordine.  Mustafà  frattanto  penetrò  nel  paese  del 
Shirvan,  fino  ad  una  terra  che  si  domanda  Aras,  e  la  prese  e  si 
fermò  in  quel  luogo  28  giorni,  et  per  il  cattivissimo  aere  che  vi  è 
si  ammalò  l'esercito,  ond'ebbe  maggior  danno  dalle  infermità  che 
non  aveva  avuto  dalla  spada.  Mustafà  in  questo  tempo  mandò  spioni 
per  il  paese  ad  intender  quello  che  favevano  i  Persiani,  parte  dei 
quali  spioni  furono  presi,  et  da  loro  intesero  Persiani,  che  Mustafà 
era  in  Aras  con  parte  dell'esercito,  con  la  mortalità  che  ho  detto 
di  sopra,  e  che  Osman  bassa  con  un'  altra  parte  era  ad  un'  acqua  in 
un  certo  sito  forte.  Quei  spioni  che  non  furono  presi  tornarono  a 
Mustafà  e  li  dissero  che  Persiani  erano  all'ordine  per  darli  adosso. 
Onde  esso  consigliò  Iman  ed  altri  bassa,  e  disse  che  avendo  la  in- 
fermità che  veniva  dal  cielo  non  si  potevano  effettuare  i  suoi  di- 
segni, che  bisognava  far  meglio  che  si  poteva  per  non  perder  quel 
paese  che  avevano  acquistato  con  tanta  fatica  e  spesa;  che  però 
Osman  si  valesse  di  30m.  persone  per  guardar  Samachi,  che  è  la 
metropoli  di  quel  paese,  e  lo  fece  serraschiere  che  vuol  dir  capi- 
pitanio-generale,  et  fece  anco  sotto  di  lui  altri  bascià ,  perchè  l'a- 
veva questa  libertà  dal  gran  signore  di  così  fare;  et  lui  se  ne  fuggì 
per  la  parte  dei  Georgiani,  per  un  paese  detto  Seventberg,  e  per  la 
fuga  così  presta  davano  cinque  gambelli  per  due  pani,  et  in  questa 
fuga  ebbero  grandissimo  danno  dai  Georgiani  cristiani,  non  essendo 
ancor  giunti  li  Persiani;  e  che  con  poche  genti  che  non  credo  arri- 
vassero a  20,000  persone  si  ritirò  in  Erzerum;  che  partido  Mustafà 
Sopraggiunsero  Persiani,  e  la  prima  cosa  che  facessero  ricupe- 
rarono Aras  dove  i  Turchi  avevano  fatto  un  castello  di  frasche  e 
fango,  et  postovi  l'artilleria;  ammazzarono  il  bassa  detto  Gaidar  e  le 
genti  et  tolsero  l'artilleria  in  numero  di  200  pezzi,  e  la  mandorno  al 
re,  poi  andarono  a  Samachi  e  lo  circumdarono  tutto,  ma  soprag- 
giunse in  aiuto  dei  Turchi  8000  tartari  per  via  di  Gaffa,  il  che 
intendendo  i  Persiani,  una  parte  si  levò  dall'  assedio  et  andò  ad  in- 


189 
contrarli;  ed  in  questo  tempo  Osman  bassa,  fuggì  da  Samachi;  i 
Tartari  furono  tutti  tagliati  a  pezzi,  ed  esso  Osman  si  salvò  in  un 
castello  dei  Circassi  detto  Derbent,  dopo  la  fuga  del  quale  i  sul- 
tani entrarono  per  tutte  terre  a  man  salva  et  ritornarono  in  tutti  li 
suoi  governi,  avendo  ritrovato  anco  in  Samachi  artiglieria,  e  preso 
tutto  l'aver  di  Osman;  et  questo  fu  al  fin  dell'anno.  L'anno  seguente 
Mustafà  rinforzò  l'esercito  al  numero  per  quanto  si  diceva  di  250 
mille  persone,  e  conoscendo  il  danno  che  aveva  avuto  in  Persia, 
cercò  di  ricuperare  in  qualche  modo,  e  si  avviò  a  Gars  per  fabbri- 
carlo, dove  venne  anco  l'esercito  dei  Persiani,  et  combatterono  con 
grande  effusione  di  sangue  da  una  parte  e  dall'altra,  tanto  che  ap- 
pena è  credibile;  pur  Mustafà  restò  superiore  e  fabbricò  il  Gars. 
Fra  questo  tempo  li  Tartari,  che  sapevano  che  Osman  era  in  quel 
castello,  lo  andorno  a  levare  et  si  ridussero  in  campagna  da  una 
parte  del  paese  di  Shirvan,  i  quali  erano  al  numero  di  30,000.  I 
Persiani  si  risolsero  di  mandare  una  parte  contro  li  sopradetti 
Tartari,  e  l'altra  parte  si  ritirò  da  Gars,  et  così  Mustafà  lo  fab- 
bricò; ma  sopraggiunto  l'inverno,  che  è  molto  aspro  in  quelle  parti 
lo  lasciò  presidiato  e  si  ritirò  in  Erzerum,  licenziando  parte  dell'e- 
sercito, qual  era  mal  satisfatto  et  Mustafà  anco  molto  afflitto.  Li 
Tartari,  et  li  Persiani  che  si  erano  all'incontro,  stavano  caduno 
dalla  sua  parte  sopra  l'avvantaggio,  fino  a  che  venne  l'inverno,  il 
quale  sopraggiunto,  li  Tartari  che  sono  mezzi  nudi  convennero  ri- 
tirarsi ,  con  la  quale  occasione  i  Persiani  ne  tagliarono  molti  a 
pezzi,  et  Osman  bassa  convenne  tornare  a  salvarsi  nel  castello  so- 
pradetto di  Derbent.  I  Persiani  poi,  che  sono  più  atti  alla  fatica  che 
Turchi,  e  che  non  hanno  bisogno  di  tante  comodità,  perchè  bene 
spesso  stanno  40  giorni  con  una  camisa,  et  menano  sempre  con 
loro  un  cavai  vodo  quando  vanno  in  fazion  ,  per  averlo  sempre 
fresco,  tornarono  a  Gars,  ma  non  avendo  artigliere  da  batter,  perchè 
quella  che  presero  l'haveano  disfatta,  et  fatto  bagattini,  non  la  avendo 
loro,  né  avendo  il  modo  di  adoperarla,  non  potendo  però  prender 
Gars,  hanno  rovinato  il  paese  intorno  ,  che  non  vi  è  restata  ap- 
pena la  herba ,  onde  se  vogliono  soccorso  bisogna  lo  aspettino  da 
Erzerum,  perchèadesso  vi  sono  delle  munizioni  che  vi  lasciò  Mustafà, 
stando  tuttavia  assediati  dai  Persiani. 

Dimandato  in  che  modo  vien  mantenuto  tanto  tempo  così  grande 
esercito,  rispose  :  l'imperatore  è  molto  grande  ed  ha  tesori  ;  ma  l'eser- 
cito si  vale  dell'abbondanza  del  paese,  et  delli  danni  che  fanno  ai 
Turchi,  et  delli  tesori  che  si  hanno  guadagnati  ;  e  poi  anco  quando 


190 

tutlo  manca  se  ne  tuoi  ad  imprestito,  et  quei  re  che  ho  detto  di  sopra 
lutti  aiutano  ;  et  come  ho  detto  questo  è  il  terzo  anno  che  li  sultani 
hanno  giurato  di  continuar  la  guerra  et  di  non  lasciar  la  spada  per 
15  anni.  Dimandato  quello  che  si  intende  di  Mustafà ,  rispose  che 
si  diceva  che  il  sig,  Turco  li  aveva  mandato  sei  capigì,  perchè  el  vo- 
leva che  el  rendesse  conto  che  avendogli  lui  persuasa  la  guerra  et 
partitosi  con  un  esercito  così  florido  e  con  tanti  tesori  et  tanta  ar- 
tilleria,  quello  che  ha  fatto  et  in  che  modo  ha  impiantato  Osman 
bassa  in  quel  paese  di  Gircassia.  Che  Mustafà  avendo  inteso  oltre  que- 
sto cheel  suo  signor  voleva  mandar  un  altro  in  luogo  suo  disse  :  che 
quanto  alli  tesori  se  sono  andati ,  saranno  andati  del  suo  ;  et  per- 
chè l'era  chiamato  a  Costantinopoli  pregava  ch'el  si  lasciasse  ancora 
un  anno  perchè  el  non  voleva  morir  d'altra  spada  che  de'  Persiani. 
Dimandato  se  in  questi  tempi  è  stata  mai  trattazione  alcuna  de  pace, 
rispose:  che  essendo  stato  persuaso  al  re  di  Persia  da  Mustafà  a 
mandar  persone  per  trattare  la  pace,  mandò  un  suo  uomo  in  quel 
tempo  che  successe  la  morte  di  Mehemet  bassa,  il  quale  arrivò  a 
Scutari,  et  fece  intendere  ad  Achmet  bassa,  che  el  suo  re  a  richiesta 
de  Mustafà  l'aveva  mandato  a  dirgli ,  che  li  pareva  cosa  ingiusta 
continuare  a  spander  tanto  sangue  di  monsulmani:  che  però  quando 
gli  fosse  restituito  il  suo  passo  esso  leveria  le  offese  ;  et  questo 
huomo  fu  scacciato  via  dai  Turchi,  et  che  lo  volevano  anco  offen- 
dere, et  che  Achmet  disse  che  ambasciator  no  porta  pena,  onde  fu 
scacciato  via. 

Fo  data  la  lettera  scritta  in  persiano  ad  esso  chogia  Mehemet  et 
li  fu  detto  che  el  dica  chi  scrive  questa  lettera.  Rispose:  Emir  khan 
che  un  signore  in  Tauris  come  saria  a  dir  viceré,  signata  dal  suo 
segretario.  Gli  fu  poi  detto  che  la  traducesse  in  turco,  così  presala 
e  lettala  cominciò  a  dire: 

«  Molti  saluti  a  voi ,  gran  signori  di  Venetia.  Quello  che  fu 
»  mandato  da  vostre  altezze ,  chogia  Gabibulà  lo  ha  conosciuto  , 
»  cosi  noi  abbiamo  mandato  alla  vostra  felicità  chogia  Mehemet  per 
»  significarvi,  come  noi  continuiamo  nelle  promesse  et  nella  fede  che 
»  dessimo,  così  desideramo  che  ancor  da  voi  ne  venga  un  segnale; 
»  piacendo  alla  Maestà  di  Dio,  solo  signor  del  inondo,  speramo  di 
j>  castigar  quei  scellerati,  né  li  lasceremo  per  il  corso  di  20  anni  fuori 
»  delle  nostre  mani,  et  con  lasciarvi  con  perpetue  salutazioni  ». 

Dimandato  che  el  dia  el  giorno  della  lettera,  rispose:  che  può  es- 
sere da  sei  mesi,  ma  che  nella  lettera  non  si  trova  il  tempo.  La  let- 
tera in  turco  fu  lasciata  all'Alessandri,  che  la  traduca  con  corno- 


191 

dita  (1)  per  esser  ormai  l'ora  tardissima.  Et  fu  domandato  il  detto 
Mehemet  del  modo  con  il  quale  aveva  portate  dette  lettere  rispose  : 
Dopo  che  io  baciai  le  mani  a  quei  signori  che  mi  diedero  le  lettere, 
mi  messi  in  una  carovana  di  200  persone,  et  feci  la  via  di  Van,  ha- 
vendo  legato  le  lettere  nei  mazzi  di  seta.  Venni  a  Tokat,  e  da  Tokat  in 
Brussa,  dove  giunto  trovai  che  le  sete  valevano  assai,  et  però  io  le 
vendetti  là  et  salvai  il  solo  collo  che.  aveva  le  lettere,  et  tornai  a  ca- 
vallo con  diligenza  a  prenderne  delle  altre.  Et  dimandato  perchè  si 
messe  a  pericolo  di  discompiacer  al  re  col  perder  tanto  tempo 
rispose:  l'ho  fatto  perchè  li  miei  compagni  tutti  vendevano,  et  se 
non  l'havessi  fatto  avriano  detto:  che  vuol  dir  che  costui  non  le 
vende,  potendo  avanzar  tanto;  e  poteva  entrar  sospetto,  lo  incon- 
trai altri  che  venivano  per  il  medesimo  viaggio,  et  comperai  da  loro 
le  sete,  con  le  quali  sono  venuto  a  Gallipoli,  et  da  Gallipoli  passato 
per  la  via  di  Narenta  a  Venezia  ;  et  disse  che  a  Sarnizza  furono 
aperte  alquante  balle  di  seta  della  carovana,  per  vedere  se  vi  era 
alcuna  cosa  dentro,  et  non  li  trovarono  alcuna  cosa,  et  non  ha- 
vendo  trovalo  niente  gli  mangiorno  20  talleri.  Interrogato  se  ha 
compagni  con  lui,  rispose  che  ha  un  figliuolo  di  suo  fratello,  et  che 
sono  5  uomini  computato  il  servitore  ;  ma  che  nessuno  né  anco 
suo  nipote  sa  alcuna  cosa  perchè  li  va  la  sua  testa.  Dimandato  dove 
sono  alloggiati  rispose  in  una  corte  a  san  Zuanne  Novo  nelle  case 
di  cna  Zen.  Dimandato  se  essendo  la  guerra  in  Persia  lasciano  an- 
dar le  mercanzie  su  e  giù  rispose:  a' mercanti  da  nessuna  delle 
parti  viene  facta  ingiuria  ne  nelle  persone,  né  nelle  robe;  et  ve- 
dendo che  erimo  per  licenziarsi  si  levò  in  piedi  et  fece  oration,  se- 
condo il  suo  uso,  et  disse:  Io  son  venuto  qua  per  servitio  del  mio  re, 
et  prego  Dio  per  la  sua  felicità  et  anco  per  la  vostra;  al  che  gli  fu 
risposto,  che  se  gli  userìa  in  questa  città  ogni  cortesia  et  favore; 
et  esso  ringratiò  che  el  se  avesse  fatto  venir  in  questo  luoco  secre- 
tissimo  «  perchè  essendo  condotto  in  palazzo  alla  presentia  del 
»  principe  a  dir  quelle  poche  parole  che  dissi,  me  tremava  le 
»  gambe  ». 

Espositioni  Ambasciatori  1580-83. 
(1)  Vedi  il  Doc.  precedente. 


192 


1600,  8  giugno. 

Avendo  il  Nores  dragomano  della  lingua  turca,  fatto  sapere  che 
era  giunto  in  questa  città  un  Persiano  con  sei  ovvero  otto  in  com- 
pagnia, soggetto  di  stima  e  di  molta  grazia  appresso  quel  re,  e  che 
desiderava  far  riverenza  a  S.  S.tà  fu  dato  ordine  che  per  oggi 
fosse  introdotto  nell'ecc.  Collegio  dove  venuto  fu  fatto  sedere  sopra 
gli  ili. mi  sig.  Savj  di  Terraferma;  ed  interpretando  lo'  stesso  Nores 
disse  il  persiano  :  che  il  suo  potentissimo  re  lo  aveva  mandato  in 
questa  nobilissima  gran  città,  e  commessogli  di  presentar  le  lettere 
sue  e  baciar  la  mano  a  S.  S.,  la  qual  inteso  questo  tanto  rispose: 
che  la  sua  persona  era  ben  veduta  e  che  si  sentiva  piacere  del  suo 
salvo  arrivo  dopo  così  lungo  viaggio,  e  che  le  lettere  si  riceverieno 
con  gratissimo  animo ,  desiderandosi  ogni  bene  al  suo  signore. 
Replicò  il  Persiano  che  rendeva  molte  grazie  della  amorevole  volontà 
che  se  gli  mostrava,  e  che  essendo  il  nome  veneziano  non  solo 
amato,  ma  riverito  grandemente  nel  suo  paese,  abbracciandosi  e  fa- 
vorendosi in  tutte  te  cose  li  mercanti  che  vi  capitano,  desiderava  il 
suo  signore  che  continuassero  ad  andarvi,  e  che  all' incontro  fos- 
sero protetti  e  favoriti  quelli  che  venissero  di  là.  Disse  S.  S.  che 
si  era  ben  certi  dell'ottima  volontà  del  suo  re  verso  le  cose  della 
Repubblica,  che  se  ne  teneva  molto  conto  con  una  perfetta  corris- 
pondenza e  con  vivo  desiderio  di  ogni  sua  prosperità,  onde  poteva 
ognuno  rendersi  sicurissimo  che  li  sudditi  di  sua  maestà  saranno 
sempre  ben  veduti.  Allora  il  Persiano  soggiunse:  che  essendo  venuto 
con  diverse  robe  del  suo  re,  per  contrattarne  e  comperarne  altre 
in  questa  città,  come  quello  che  ha  la  cura  principale  di  provvedere  le 
molte  cose  per  servigio  della  casa  sua,  desiderava  due  grazie:  Puna 
che  avendo  bisogno  per  lo  stesso  servizio  di  far  tingere  certi  panni 
di  alcuni  colori  che  si  usano  in  Persia,  e  per  quanto  intende  sono 
proibiti  in  Venezia,  supplicava  gli  fosse  concesso  di  farli  tingere  a 
modo  suo,  e  l'altra  che  avendo  fatta  elezione  di  due  senseri  per 
smaltire  le  suddette  sue  robe  e  comprarne  d'altre,  desiderava  che 


193 

questi  fossero  chiamati,  ed  ordinatoli  che  procedessero  con  diligenza 
e  sincerità  affinchè  egli  potesse  spedirsi  presto. 

Il  ser.mo  gli  rispose  che  desiderava  fargli  cosa  grata,  e  che  questi 
signori  secondo  la  forma  del  governo  sarebbero  insieme,  per 
dargli  risoluzione  sopra  di  ciò  con  la  risposta  alle  lettere  del  suo  re. 

Mostrò  il  Persiano  dì  restar  soddisfatto,  e  disse  che  non  avendo 
altro  il  suo  signore  da  mandar  in  segno  dell'amore  che  porta  a 
questa  serenissima  Repubblica  ,  le  mandava  a  donare  un  panno 
tessuto  d'  oro  e  di  velluto  con  figure,  fatto  far  apposta  per  questo 
effetto. 

Di  che  essendo  stato  ringraziato  da  Sua  Serenità,  egli  prese  licenza 
e  partì. 

Espositioni  Ambasciatori. 


DOClLÃŒIEVfO  XXX. 


1600,  8  giugno. 

Al  famoso  e  celeberrimo  principe  e  signore  d'alta  e  felice  prosapia, 
dominatore  di  paesi  e  di  provincie,  amministratore  della  giustizia, 
fondatore  del  vero  modo  e  forma  di  governo,  singolare  fra  i  principi 
della  nazione  cristiana,  ornato  di  virtù,  valor  e  potenza,  pieno  di 
pompe,  maestà,  grandezze,  il  famosissimo  giudice  e  signore  di  Ve- 
nezia, il  cui  fine  sia  prospero  e  felice. 

Dopo  li  molti  ed  onorati  saluti  che  si  convengono  alla  sua  dignità 
e  grandezza,  i  quali  se  ne  vengono  accompagnati  dalla  sincera  ami- 
cizia ed  amore  che  derivano  dall'intima  parte  dell'animo  nostro  de- 
sideroso di  ogni  suo  bene,  se  gli  fa  colla  presente  regal  lettera 
amichevolmente  sapere:  che  essendo  nostro  desiderio  e  principale 
oggetto  di  conservare  sempre  sincera  amicizia  e  confederata  unione 
colli  principi  famosi  e  gran  signori  cristiani,  ed  essendo  il  solito  dei 
gran  re  e  principi  per  confermazione  e  stabilimento  dell'amore  ed 
amicizia,  rinnovare  bene  spesso  tra  di  essi  la  memoria  dell'affezione 
e  benevolenza,  et  visitarsi  l'uno  con  l'altro  per  via  di  amorevoli  ed 
amichevoli  lettere,  mentre  che  non  si  possi  fare  ciò  presenzialmente 
13        Bollettino  Consolare,  Voi.  III. 


494 

e  colle  proprie  persone,  valendosi  anco  uno  dell'altro  nelle  sue  oc- 
casioni ed  occorrenze,  come  noi  desideriamo  che  Ella  se  ne  vagli  di 
noi  e  conservi  la  nostra  amicizia  in  quello  stesso  modo  che  conser- 
viamo noi  la  sua  ;  pertanto  coll'occasione  della  venuta  del  valoroso  e 
lìdelissimo  nostro  uomo  Efet  beg  agente  e  negoziatore  della  riverita 
nostra  corte,  il  quale  è  stato  spedito  e  mandato  in  quella  parte  per 
alcuni  servigi  della  propria  nostra  regal  persona,  non  abbiamo  vo- 
luto restare  con  la  presente  nostra  gioconda  lettera  di  dare  una 
mossa  e  scorlo  alla  catena  che  tiene  fra  di  noi  congiunto  e  catenato 
l'amore  e  l'amicizia,  e  per  dar  anco  occasione  a  lei  di  seguitare  lo 
stesso  uso,  tenendo  sempre  aperta  la  porta  agli  uffici  e  complimenti 
et  alla  comune  pratica  e  commercio.  Onde  giunto  che  sarà  il  sud- 
detto nostro  onorato  e  stimato  uomo,  desideriamo  che  Ella  sia 
contenta  di  commettere  alli  suoi  ministri  ed  agenti  pubblici,  che 
dovendo  egli  fare  alcuni  servigi  in  quella  parte  di  ordine  e  commis- 
sione nostra,  vogliano  detti  suoi  ministri  ed  agenti  prestare  ogni  suo 
favore  ed  aiuto  nelle  sue  occorrenze,  acciocché  possa  egli  con  il 
mezzo  della  protezione  ed  aiuto  loro,  spedirsi  tosto  delli  suoi  negozi, 
ed  adempiere  quel  tanto  che  gli  è  stato  commesso  per  poter  poi 
quanto  prima  fare  ritorno  a  questo  paese,  nel  quale  se  occorrerà 
alla  sua  felice  persona  cosa  alcuna,  ne  la  farà  liberamente  e  senza 
alcun  rispetto  sapere,  che  dalla  benignità  e  munificenza  nostra  sarà 
volontieri  adempito  ogni  suo  desiderio  e  richiesta. 

Del  resto  desideriamo  che  la  felicità,  grandezza  e  potenza  sue  sieno 
perpetue  e  senza  fine. 

Senza  data.  —  La  sottoscrizione  in  stampa  dentro  del  bollo  regio, 
con  il  quale  è  solito  di  bollarsi  solamente  le  lettere  che  si  scrive  alli 
re  e  principi  posta  abbasso  nel  fine  della  lettera,  dice  prima  nel  capo 
del  bollo:  Dio,  Maometto  et  Ali,  et  poi  più  abbasso  in  mezzo  del  bollo 
dice:  serenissimo  Shàh  Abbas  re  di  Persia. 

E  nel  principo  della  lettera  in  alto  è  scritto  con  lettere  d'oro  : 
Iddio  puro  et  altissimo. 

Tradotta  per  me  Giacomo  deNores  interprete  pubblico. 

Filza  11,  Esposizioni  Principi. 


195 
DOCUMENTO  WXI. 


1600,  giugno. 

Al  serenissimo  re  di  Persia. 

Le  lettere  di  V.  M.  portateci  dal  valoroso  Efet  beg,  ne  sono  state 
per  ogni  rispetto  molto  care,  e  gratissimo  tutto  ciò  che  ella  si  è 
compiaciuta  di  significarci,  per  espressioni  del  suo  cortese  animo 
verso  la  nostra  Repubblica,  la  quale  avendo  conservata  sempre  antica 
e  sincera  amicizia  colla  sereniss.  sua  corona ,  riceve  al  presente 
singolare  contento,  che  dalla  M,  V.  le  sia  corrisposta  con  queste 
dimostrazioni  amorevoli,  da  noi  largamente  meritate,  per  il  desiderio 
che  tenemo  di  darle  maggiormente  a  conoscere  che  la  stessa  buona 
amicizia  resterà  in  ogni  tempo  dal  nostro  canto  fermamente  stabilita 
sopra  un  sincerissimo  affetto  verso  di  lei,  et  accresciuta  dall'amore- 
vole protezione  dei  sudditi  suoi  che  capitano  in  questa  città,  dove 
sogliono  essere  così  ben  veduti  e  trattali,  che  possono  loro  medesimi 
renderle  indubitato  testimonio,  quanto  riesca  a  noi  di  consolazione, 
che  li  nostri  siano  all'incontro  favoriti  da  lei,  onde  il  commercio 
abbia  ad  ampliarsi  a  maggior  benefìzio  dei  comuni  sudditi;  ed  a  per- 
fetto stabilimento  della  nostra  buona  amicizia  ed  intelligenza,  la  quale 
siccome  già  vedemo  conservarsi  dalla  M.  V.  perchè  con  abbondanza 
del  suo  affetto  chiaramente  espresso  in  esse  lettere,  ha  voluto  com- 
plir  ad  un  tratto  a  tutti  gli  uffici,  che  per  la  distanza  del  paese 
non  possono  esser  tra  noi  molto  frequenti:  così  la  pregamo  di  esser 
certa  di  non  dover  in  alcun  tempo  mai  desiderare  migliore,  nò  più 
ben  disposta  volontà  di  quella,  che  avremo  di  comprobarle  in  tutte 
le  occorrenze  la  ottima  corrispondenza  del  nostro  sincerissimo  animo; 
e  gli  anni  di  lei  siano  molti,  accompagnati  da  continue  prosperità 
e  da  ogni  altro  felice  avvenimento. 

Nella  Miscellanea  atti  turcheschi.  Ardi.  Gen. 


196 

DOCUMENTO  XXXII. 


Traduzione  fatta  da  me  Giacomo  de  Nores  interprete  della  ser.  Rep.  di 
ima  lettera  scritta  in  lingua  persiana  daShàh  Abbas  re  di  Persia, 
portata  da  Fethy  bei  suo  agente  e  servo,  Di  sopra  della  lettera  è 
scritto  con  oro  : 

Dio  immacolato  e  altissimo. 
Et  poi  comincia  di  sotto. 

Al  famoso  ed  eccelso  principe,  e  signore  di  alto  stato,  domina- 
tore di  paesi  e  di  provincie,  amministratore  della  giustizia,  osser- 
vatore del  vero  modo  di  governo,  eletto  tra  i  principi  grandi  della 
nazione  cristiana,  unico  tra  i  potenti  della  generazione  credente  il 
Messia,  ornato  di  gloria  onor  e  potenza,  pieno  di  pompe  prospe- 
rità e  grandezze,  il  famoso  ed  eccelso  principe  di  Venezia  le  sue 
grandezze  durino  sempre.         *• 

Dopo  li  onorati  e  sinceri  saluti,  che  procedono  dalla  buona  ami- 
cizia, amore  ed  unione  d'animo,  che  è  fra  di  noi,  le  si  fa  colla 
presente  nostra  real  lettera  amichevolmente  sapere,  che  essendo  co- 
stume del  nostro  reale  animo  di  augurare  sempre  prosperità  e  gran- 
dezze alli  nostri  buoni  amici,  prima  d'ogni  altra  cosa,  preghiamo 
con  questa  nostra  che  le  sue  azioni  sieno  conformi  alla  volontà  di 
Dio,  e  che  abbino  buon  e  felice  fine.  Da  poi  le  dicemo  che  per 
l'inclinazione  e  desiderio  che  noi  abbiamo  di  stabilire  l'amicizia  ed 
amore  con  tutti  li  principi  grandi  e  signori  della  cristianità,  ed  in 
particolare  colla  sua  eccelsa  persona  come  principe  famoso  e  po- 
tente, tenemo  sempre  le  porte  aperte  a  tutti  quelli  che  vengono  da 
quei  loro  paesi  e  massime  da  Venezia,  i  quali  sono  da  noi  ben  ve- 
duti e  favoriti,  ed  ognuno  se  ne  ritorna  contento  e  soddisfatto  della 
reale  cortesia  e  buoni  trattamenti  che  gli  si  usa. 

Ora  dunque  confidando  noi  che  all'incontro  lei  ancora  per  la 
stima  che  fa  della  nostra  amicizia  sincera  ed  amore,  debba  fare  il 
medesimo  con  li  nostri,  acciò  che  si  continui  tanto  maggiormente 
la  pratica  ed  il  commercio  fra  li  mercanti  dell'una  e  l'altra  parte, 
abbiamo  voluto  mandare  ora  a  quel  paese  l'onorato  agente  nostro 
e  servo  nominato  Fethy  bei  per  alcune  cose  necessarie  al  nostro 
real  servigio  e  specialmente  per  provvedere  di  alcune  armi  archi- 
busi  e  zacchi  fini  che  gli  abbiamo  commesso  per  servizio  proprio 


197 

ed  uso  della  nostra  real  corte.  Pertanto  desideriamo  dalla  sua  ec- 
celsa persona,  che  per  amor  nostro  egli  sia  visto  con  occhio  be- 
nigno e  protetto  in  ogni  sua  occorrenza  e  bisogno,  commettendo 
inoltre  olii  suoi  onorati  ministri  e  servi,  che  dovendo  il  suddetto 
Fethy  bei  nostro  onorato  servo  ed  agente  comperare  le  suddette 
armi  archibusi  e  zacchi  di  nostra  commissione,  debbano  essi  mi- 
nistri prestargli  ogni  favore  ed  aiuto  per  trovare  cose  che  sieno 
onorate  e  degne  della  nostra  real  persona,  acciocché  ben  servito 
di  ogni  cosa  se  ne  possa  egli  ritornare  presto  alla  nostra  felice 
corte.  E  se  all'incontro  occorrerà  alla  sua  eccelsa  persona  cosa  al- 
cuna, delle  cose  preziose  che  si  trovano  in  questi  paesi,  ne  la  farà 
come  buoni  amici  sapere  confidentemente,  che  sarà  adempito  ogni 
suo  desiderio  e  mandato  tutto  quello  le  farà  di  bisogno.  Del  resto 
desideriamo  che  osservando  le  condizioni  dell'amicizia,  voglia  esser 
contenta  di  visitarci  qualche  volta  con  sue  onorate  lettere  come 
faremo  ancor  noi  colle  nostre.  E  per  fine  preghiamo  che  le  sue 
grandezze  e  prosperità  e  onori  sieno  perpetui,  e  con  lo  aiuto  ce- 
leste si  termini  in  bene  ogni  suo  desiderio. 

Senza  data. 

In  luogo  della  sottoscrizione  è  posto  affine  della  lettera  il  si- 
gillo grande  del  re  qual  dice:  Shàh  Abbas  servo  del  miracoloso 
uomo  Ali  protettore  del  regno. 

Iscrizioni  veneziane,  del  Cicogna. 
DOCUMENTO  XXXIII. 


Tradutione  della  Nota  del  presente  del  re  di  Persia, 
bollata  con  il  suo  proprio  bollo. 

Nota  del  presente  che  si  manda  da  parte  di  S.  M.  potentissima, 
al  famoso  et  eccelso  principe  di  Venetia  con  Fethy  bei  suo  ho- 
norato  servo  et  agente. 

Un  manto  tessuto  d'oro 

Un  tappeto  di  velluto  tessuto  con  oro,  et  argento 

Un  panno  di  velluto  tessuto  in  oro,  con  figure  di  Cristo  et  di 
sua  madre  Maria 

Tre  cavezzi  tessuti  in  oro 

Tre  schietti  tessuti  con  seta. 

Esp.  Principi. 


198 


DOCUMENTO  X1LXIY 


1603,  6  marzo  in  Pregadi. 


Essendo  a  proposito  deliberare  cosa  alcuna  intorno  li  strati  che 
il  serenissimo  re  di  Persia  ha  mandato  a  donar  a  Sua  Serenità 
l'anderà  parte: 

Che  il  suddetto  strato  qual  sarà  qui  sottosegnato  sia  juxta  la 
legge  mandato  alla  chiesa  di  S.  Marco.  E  da  mo,  sia  commesso  alli 
procuratori  di  detta  chiesa  che  debbano  far  convertire  le  vesti  in 
tante  pianete  e  paramenti  come  loro  piacerà  meglio;  et  il  tappeto 
sia  conservato  in  detta  chiesa  da  essere  nei  giorni  solenni  quando 
il  serenissimo  principe  va  in  cappella  accomodato  su  -lo  sgabello 
dove  se  inginocchia  Sua  Serenità: 
Un  manto  tessuto  d'oro 

Un  tappeto  di  seda  tessuto  d'oro,  lungo  braccia  4  alto  3 
Un  panno  di  seta  ed  oro  a  figure,  lungo  3  braccia  circa  con 
14  figure 

Tre  veste  di  seta  ed  oro  a  figure,  lunghe  braccia  2 
Tre  altre  veste  di  panni  di  seta  senza   oro  o  figure,  di  lun- 
ghezza braccia  3,7  circa. 


Et  da  mo  che  dell'i  danari  della  Ser.  Rep.  siano  spesi  fino  alla 
somma  di  ducati  100  in  tanti  rinfrescamene,  come  parerà  al  col- 
legio nostro,  per  presentarli  parte  a  parte  al  persiano  che  ha  por- 
tato il  suddetto  presente. 


De  si         173 

No  2 


Non  sinceri  10 

Commemoriale  XXVI. 


199 
DOCUMENTO  JL*XV. 


4603,  2.  settembre  in  Pregadi. 
Al  Serenissimo  re  di  Persia. 


Se  ne  ritorna  al  presente  a  Y.  M.  l'onorato  e  valoroso  agente 
suo  Fethy  Bei,  espedito  intieramente  di  tutti  li  negozii,  per  i  quali 
fu  egli  inviato  da  lei  in  questa  città ,  essendo  stato  gratamente  ve- 
duto ed  accarezzato  da  noi,  e  favorito  ancora  in  tutto  quello  che 
ricercava  il  bisogno  ,  colTaver  in  particolare  comandato  ai  nostri 
ministri  di  indirizzarlo  in  maniera  che  nella  provvisione  delle  armi, 
zacchi  ed  archibugi  a  lui  concessa,  et  a  noi  dalla  Maestà  vostra 
con  sue  lettere  officiosissime  raccomandata  ,  egli  ne  riportasse  , 
come  fa,  cose  onorate  et  degne  della  sua  real  persona.  Et  ci  è 
riescita  gratissima  sopramodo  questa  sua  amorevole  confidenza,  la 
quale  conosciamo  derivar  da  una  sincera  affezione  che  vostra 
Maestà  porta  alla  Repubblica  nostra,  perla  occasione  dieci  ha  pre- 
stata di  dimostrare  nella  persona  di  questo  agente  l' ottima  dispo- 
sizione dell'  animo  nostro  verso  di  Lei  ;  il  che  non  tralasciamo  in 
alcun  tempo  di  manifestare  al  mondo  con  veri  effetti,  usando  ogni 
amorevole  trattamento  a  tutti  li  sudditi  di  V.  M.  che  capitano  in 
questa  città  nostra,  per  corrisponder  a  quei  cortesi  termini  che  lei 
conforme  alla  grandezza  del  real  animo  suo  usa  verso  li  sudditi  e 
mercanti  nostri,  che  se  ne  vengono  in  quelle  parti.  Il  qual  mezzo  è 
sopra  ogni  altro  altissimo,,  non  solo  per  stabilire  ma  stringere  et 
augumentare  maggiormente  a  beneficio  del  comune  commercio  quella 
perfetta  amicizia  et  ottima  corrispondenza,  che  per  lunghissimo  e 
continuato  corso  d'anni  si  è  mantenuta  tra  quella  potentissima  co- 
rona e  la  Repubblica  nostra,  e  che  dal  canto  nostro  sarà  conser- 
vata con  ogni  termine  di  ufficio  verso  la  serenissima  sua  persona. 
Alla  quale  auguriamo  accrescimento  di  grandezza  con  perpetuo 
corso  di  gloria  e  felicità. 

Et  da  mo:  sia  preso  che  per  corrispondere  all'onoratissimo  pre- 
sente mandato  dal  re  di  Persia  per  il  predetto  agente  suo  alla  si- 
gnorìa nostra,  sieno  spesi  delli  danari  del  deposito  perle  occorrente, 
dalli  officiali  nostri  alle  rason  vecchie  fra  ducati  1300  in  quelle  robe 


200 

e  gentilezze  che  parerà  al  collegio  nostro  per  mandar  a  quella  Mae- 
stà, insieme  colle  lettere  pubbliche  da  esser  consignate  al  predetto 
agente  suo.  Al  qual  sieno  parimenti  donate  in  nome  della  signorìa 
nostra  tante  vesti  di  seta  di  quella  sorte  che  parerà  ad  esso  collegio 
per  il  valor  di  ducali  200;  ed  alli  8  uomini  che  sono  in  sua  com- 
pagnia sia  dato  una  veste  di  panno  scarlatto  per  cadaun,  da  esser 
dette  vesti  pagate  colli  medesimi  danari  del  deposito  per  le  occor- 
rentie. 

De  si  133. 

De  no  2. 

Non  sinceri       9. 

Cicogna  Iscrizioni,  e  Delib.  Senato,  Arch.  gen. 


DOCUMENTO  XXXVI. 


Al  famoso  ed  eccelso  fra  i  principi  della  nazione  cristiana,  eletto  fra 
i  potenti  e  grandi  signori  che  vivono  nella  legge  del  Messia,  domi- 
natore di  paesi  e  di  provincic,  administratore  della  giustizia,  or- 
nato di  virtù  valor  e  prudenza ,  il  potentissimo  Doge  di  Venezia , 
a  cui  il  Signor  Iddio  alimenti  lo  stato  e  la  potenza. 

Dopo  molti  onorati  saluti  che  si  convengono  alla  sua  dignità  e 
grandezza,  ed  alla  buona  amicizia  et  amor  che  è  fra  noi,  le  si  fa  colla 
presente  nostra  real  lettera  amichevolmente  sapere:  che  essendo  no- 
stro particolar  desiderio  di  continuar  sempre  nella  buona  amicizia 
ed  unione  con  tutti  li  principi  famosi  della  cristianità,  ed  in  parti- 
colare colla  sua  alta  e  felice  persona,  come  principe  giusto,  savio 
e  potente,  abbiamo  voluto  con  questa  nostra  regal  lettera  visitarla 
e  salutarla  ora  di  nuovo,  certificandole  detta  buona  volontà  ed  affe- 
zion  che  portiamo  alle  sue  alte  persone  ed  a  tutta  la  sua  eccelsa 
repubblica;  e  perchè  lei  sa  la  contesa  e  la  guerra  che  vertisce  ora  tra 
noi  ed  il  re  dei  Turchi,  il  quale  facendo  per  ciò  prender  a  Costan- 
tinopoli ed  altrove  tutti  li  mercanti  nostri  sudditi  e  dipendenti  ha 
fatto  confiscare  le  robe  ed  ogni  altra  cosa  che  essi  portavano  per 
uso  e  servizio  della  nostra  real  corte;  onde  essendoci  levala  l'occa- 
sione di  poter  mandare  costì  delli  nostri  proprii  uomini  di  corte, 


201 

per  esser  impedito  e  vietato  il  passo  ,  abbbiamo  determinato  di 
mandar  ora  costì  l'onorato  fra  i  pari  e  simili  suoi  cbogia  Ghieos 
mercante  cristiano  zulfatino ,  così  per  fare  questo  complimento 
a  lei,  come  anco  per  fornirsi  di  là  di  alcune  robe  e  merci  che 
fanno  bisogno  per  uso  della  nostra  real  corte  ;  però  deside- 
riamo che  sia  da  lei  commesso  ed  ordinato  alli  suoi  onorati  mi- 
nistri ed  agenti  chevoglino  per  amor  nostro  favorirlo  ed  ajutarlo 
in  ogni  sua  occorrenza,  affinchè  egli  possa  spedirsi  presto  e  bene 
delle  sue  faccende,  e  ritornarsene  qui  quanto  prima  può  con  le  robe 
che  gli  sono  state  da  noi  commesse  ed  ordinate.  Con  questa  occa- 
sione non  resteremo  anco  di  pregarla  di  darci  qualche  avviso  di 
questi  nostri  agenti  che  vennero  già  costì  per  nostro  servizio,  ed 
anco  delle  loro  robbe  ed  effetti  quello  ne  è  successo;  desiderando 
noi  che  siano  da  lei  per  pietà  ajutati  e  favoriti  in  ogni  luoco  per 
amor  nostro;  e  se  all'incontro  avrà  bisogno  anche  lei  di  cosa  al- 
cuna in  queste  nostre  parti  ne  le  faccia  con  sue  lettere  confiden- 
temente sapere  come  si  conviene  tra  buoni  e  veri  amici,  che  sarà 
da  noi  eseguito  prontamente  il  suo  desiderio  in  tutto  quello  che 
le  sarà  qui  di  bisogno  ;  e  per  fine  desideriamo  che  le  sue  forze  e 
grandezze  siano  sempre  in  aumento. 

Senza  data  — In  luogo  di  sottoscrizione  è  posto  nel  rovescio  della 
lettera  il  bollo  regale  che  dice  :  Shàh  Abbas  servo  di  Ali  protettore 
del  regno. 

Filza  Atti  turcheschi. 


DOCUMENTO  XXXVII. 


Serenissimo  Principe, 

Havendo  il  ser.mo  re  di  Persia  date  in  diversi  tempi  a  diverse 
persone  sete  da  vender  qui,  è  avvenuto,  parte  pel  mal  governo  di 
coloro  chele  avevano,  e  parte  per  altri  accidenti,  che  si  sia  perduta 
quasi  ogni  cosa.  Ha  perciò  la  maestà  sua  espedito  cìiogia  Seffer  ar- 
meno portator  di  queste  per  la  ricuperazione  di  quanto  si  ritroverà 
di  sua  ragione  in  codeste  parti.  In  raccomandazione  di  questo,  ho 
avuto  lettere  efficacissime  da  due  miei  corrispondenti  che  si  trovano 
in  Persia,  e  principalmente  da  uno  chiamato  Giacomo  Nava  di  Salò, 


205 

il  quale  viene  trattenuto  dal  re  come  pieggio  di  un  Angelo  Grade- 
nigo  figliuolo  di  un  ebreo  fatto  cristiano,  che  ebbe  da  S.  M.  circa  50 
balle  di  seta;  e  qui  ancora  il  padre  di  esso  chogia  Seffer ,  che  è 
sensale  nostro  di  casa  mi  ha  con  indicibile  affetto  raccomandato 
questo  negozio,  perchè  dal  buon  esilo  di  questo  dipende  tutto  l'esser 
e  la  fortuna  del  suo  figliuolo  e  tutta  la  sua.  Io  nondimeno  ad 
istanza  di  questo  non  intendo  molestar  la  Serenità  Vostra,  ben  mi 
persuado  che  per  rispetto  di  chi  lo  manda,  sia  per  accarezzarlo  e 
favorirlo  quanto  più  sarà  possibile,  in  modo  che  il  re  conosca  la 
stima  che  ella  fa  della  M.  S.  la  quale  all'incontro  è  tanto  inclinata 
al  nome  veneziano,  che  qualunque  dei  nostri  il  quale  si  trasferisca 
alla  sua  corte  ancorché  di  bassissima  condizione,  tratta  seco  con 
tanta  famigliarità  e  riceve  tanti  comodi  e  cortesie  che  più  non  è 
possibile  a  credere  ;  non  pure  essendo  egli  quel  gran  re  che  è, 
ma  ancora  se  fosse  solamente  conte  di  un  piccol  castello:  onde  po- 
trebbe essere  che  egli  si  persuadesse  che  lo  stesso  dovesse  fare 
con  questo  suo  agente  la  Serenità  Vostra,  alla  quale  riverentemente 
ho  voluto  far  saper  questo,  non  perchè  creda  che  si  convenghi  a 
lei  far  soverchio  orlare  a  questo  chogia  Seffer  (il  quale  manco  è  atto 
a  discernere  e  conoscere  certi  termini  ),  ma  solo  perchè  se  gli  mo- 
stri molto  affettuosa  e  amorevole  verso  i  suoi  negozi  ;  ond'egli  possi 
ancora  far  testimonianza  alla  M.  S.  di  avere  da  lei  ricevuto  favori  e 
cortesie  molto  apparenti. 

Questo  re  presume  di  se  stesso  molto,  ben  sì  per  la  corona  che 
egli  ha  della  Persia  ,  ma  più  ancora  per  gli  acquisti  fatti  da  lei , 
avendo  sottomessi  li  re  del  Ghilan  e  di  Lar  ed  impadronitosi  del 
regno  loro,  e  quasi  del  tutto  disfatti  li  Tartari  Usbecchi,  ai  quali  ha 
preso  la  grandissima  provincia  del  Korassan ,  oltre  il  paese  ricupe- 
rato dalle  mani  dei  Turchi  fino  sotto  Van,  e  avendo  ridotto  alla  sua 
devozione  li  principi  Georgiani  e  buona  parte  dei  Kurdi:  crede  per- 
ciò dover  essere  stimato  dal  mondo  molto  più  dei  suoi  prede- 
cessori. 

Per  questi  rispetti  adunque,  io  per  la  parte  mia  non  ho  mancalo 
ricevere  con  allegra  fronte  esso  chogia  Seffer  ed  usargli  tutte  le 
cortesie  che  ho  saputo,  ed  in  particolare  gli  ho  prestati  200  e  più 
zecchini  con  mio  incomodo  e  danno,  essendomi  contentato  di  rice- 
verli da  lui  costì  senza  niun  benefìcio  di  cambio,  ancorché  egli  me 
lo  abbia  offerto  maggiore  del  corso  ordinario;  e  di  più  molto  pron- 
tamente ho  dato  ordine  che  sieno  condotti  in  questa  città  e  conse- 
gnati a  suo  padre  e  ad  un  altro  persiano  di  conto,  alcuni  cassoni  di 


203 

vetri  che  in  Alessandrelta  si  ritrovavano  consegnati  in  cancelleria  di 
ragione  del  suo  re,  in  modo  che  essendo  rimasti  tutti  questi  soddi- 
sfattissimi di  tanta  mia  prontezza,  hanno  fatta  in  Persia  un'amplis- 
sima informazione  della  cortesia  ricevuta  dal  console  di  Venezia,  e 
della  speranza  che  ho  loro  data  che  costì  chogia  Sefler  sia  per  rice- 
vere da  Vostra  Serenità  molta  maggiore  grazia,  ecc. 
In  Aleppo  2  settembre  1609. 

Gio.  Francesco  Sagredo. 

Presentata  nel  collegio  il  22  gennaio  1610  da  chogia  Seffer  colle 
lettere  del  re  persiano. 

Esp.  Principi,  Filza  18. 


DOCUMENTO   XXXVIII. 


1609  (1610)  30  gennaio. 

Venne  li  giorni  passati  il  fedelissimo  Giacomo  Nores  interprete 
pubblico,  alle  porte  dell'eco.  Collegio,  a  dar  conto  dell'arrivo  in  questa 
città  di  un  armeno  suddito  del  serenissimo  re  di  Persia,  e  della 
istanza  che  questo  li  aveva  mandato  a  fare  per  alcuni  della  sua  nazione, 
acciò  lo  andasse  a  trovare  al  suo  alloggiamento  a' ss.  Apostoli  in  ca- 
mera locante  •  ma  non  aver  voluto  il  detto  Nores  muoversi  senza  sa- 
puta et  comandamento  di  Sua  Serenità,  dalla  quale  disse  che  atten- 
derebbe quell'ordine  che  le  fosse  piaciuto  darle,  che  tanto  egli  avria 
puntualmente  eseguito. 

Li  fu  commesso  di  andare  da  detto  armeno,  e  come  da  se,  intendere 
ogni  particolare  del  suo  viaggio,  e  notar  la  causa  della  venuta  sua  in 
questa  città,  e  di  riferir  poi  il  tutto  all'ecc.  Collegio. 

Ritornato  il  Nóres  riferì  in  questa  sostanza  : 

Io  sono  stato  all'alloggiamento  dell'armeno  in  ordine  a  quanto  mi 
fu  commesso,  e  mi  sono  abboccato  con  lui.  Questo  è  giovane  di  32 
anni  in  circa,  parla  bene,  e  nelli  suoi  ragionamenti  si  mostra  molto 
sensato  e  discreto  ;  disse  essere  stato  alquanto  da  figliuolo  in  corte 
del  re,  ed  esser  al  presente  cameriere  di  S.  M.  Che  sono  10  mesi 
che  manca  di  Persia;  che  è  capitato  in  cristianità  per  via  di  Sorìa, 
dove  si  imbarcò  sopra  un  vascello  francese  che  lo  condusse  a  Mar- 
siglia; di  là  passò  a  Genova,  a  Livorno,  a  Fiorenza,  di  dove  s'è  poi 


204 

condotto  in  questa  città.  Ha  lettere  del  re  per  la  Serenità  Vostra,  e  me 
le  ha  mostrate  e  sono  senza  borsa  e  senza  sigillo,  la  contenenza  delle 
quali  peruna  breve  scorsa  che  io  ne  feci  è  la  buona  amicizia  di  quella 
corona  con  questa  Serenissima  Repubblica  ed  il  desiderio  e  pronta 
disposizione  di  continuarla  dal  canto  di  S.  M.,  e  che  si  mandò  de 
lì  questo  chogia  Seffer  nominato  suo  agente ,  per  la  recuperazion  di 
quelle  robe  che  si  trovano  in  questa  città  riportate  da  Sorìa,  che  furono 
condotte  in  quelle  parti  dall'agente  di  quel  re  che  fu  qui  nelli  anni 
passati  e  che  nel  ritorno  fu  dilapidato  da' Turchi.  Io  presa  occasione 
dalla  qualità  del  negozio  suo,  giudicai  a  proposito,  come  da  me  consi- 
derargli, che  il  proprio  luoco  era  di  indirizzare  le  sue  trattazioni 
non  con  Vostra  Serenità,  ma  cogli  ili. mi  signori  V  Savj  alla  mercan- 
zia, che  è  un  magistrato  di  senatori  principali  al  quale  sono  racco- 
mandati tutti  gli  affari  di  quelle  parti  orientali,  pertinenti  ai  mercanti. 
A  che  egli  rispose  che  farebbe  quanto  fosse  consigliato;  ed  aggiunse, 
che  fornito  qui  il  suo  negozio  ritornerà  a  Firenze,  poi  a  Roma,  quindi 
in  Spagna,  per  ritornarsene  in  Persia  da  quella  parte;  che  tiene  let- 
tere del  suo  re  per  quei  principi,  colle  quali  li  esorta  a  muoversi  con- 
tro il  Turco.  Ho  veduto  anco  una  lettera  diretta  al  signor  Bartolomeo 
del  Galese  scrittagli  da  un  Giacomo  Nava  che  si  trova  in  Persia  ed  al 
presente  è  tenuto  come  prigione  per  pieggio  di  quell'Anzolo  Gradenigo 
che  gli  anni  passati  ebbe  una  quantità  di  sete  di  ragione  di  quella 
Maestà,  per  contrattarle  in  Venezia,  ed  ha  malmenato  il  capitale. 

Ho  anco  veduto  un  piego  di  lettere  dirette  a  questo  monsignor 
Nuncio  del  Pontefice,  scritte  per  quanto  mi  ha  narralo  esso  armeno 
da  un  certo  frate  scalzo,  che  dice  risiedere  in  Persia  presso  il  suo  re, 
spendendo  nome  e  titolo  di  ambassadore  di  S.  Santità,  e  due  altre 
lettere  scritte  dal  medesimo  frate  una  al  padre  generale  dei  Carme- 
litani, l'altra  ad  un  segretario  del  pontefice.  Questi  diceche  al  partir 
suo  dalla  corte,  lasciò  il  re  con  tutti  tre  i  suoi  figliuoli  a  Tauris,  che 
aveva  diviso  il  suo  esercito  in  due  parti,  e  mandatane  una  sotto  Van, 
con  quel  numero  di  ribelli  che  s'erano  accostati  a  S.  M.,  e  si  in- 
tendeva aver  preso  un  castello  vicino  a  Van  in  sito  molto  forte,  di 
dove  stringevano  talmente  quella  fortezza  che  speravano  doverle  ca- 
pitar presto  nelle  mani  :  che  l'altra  parte  dell'esercito  aveva  il  re 
mandato  alla  impresa  di  Babilonia,  sotto  il  comando  di  un  valorosis- 
simo capitano.  E  questo  è  quanto  ho  potuto  sottrarre  del  suo  viag- 
gio e  del  suo  negozio;  avendomi  inoltre  narrato  i  molti  favori  e  cor- 
tesie che  ha  egli  ricevuti  in  Aleppo  dal  console  di  Vostra  Serenità ; 
delle  quali  mi  disse  aver  dato  conto  con  sue  lettere  particolari  alla 


205 
maestà  del  suo  re,  lodandosi  sopra  modo  dei  buoni  trattamenti  che 
gli  erano  stati  usati  dal  predetto  console. 

Fu  consigliato  sopra  la  relazione  del  Nores  nell'eco .  Collegio,  e 
commessogli,  che  andato  di  nuovo  all'armeno  lo  ricercasse  come  da 
se  della  risoluzione  che  aveva  preso  intorno  il  presentar  la  lettera 
del  suo  re,  o  nell'eco.  Collegio,  o  nel  magistrato  dei  V  Savj  alla  mer- 
canzia, perchè  sarebbe  stato  nell'una  o  nell'altra  via  gratificato. 

Ed  avendo  il  Nores  fatto  l'ufficio  riportò  questa  risposta:  che  esso 
armeno  avrebbe  desiderato  presentar  la  lettera  a  Sua  Serenità,  per- 
chè altrimenti  facendo,  crederia  commettere  grande  errore  e  manca- 
mento, ed  essere  grandemente  ripreso  da  ognuno,  che  essendo  stato 
mandato  in  questa  città  con  lettera  del  suo  re,  fosse  egli  partito  senza 
vedere  la  faccia  di  Sua  Serenità,  alla  quale  vorria  presentare  esse  let- 
tere per  essere  da  lei  raccomandato  alli  signori  V  Savj. 

Onde  fu  stabilito  di  deputargli  l'audienza  per  venerdì  22  del  pre- 
sente e  farlo  seder  sopra  gli  ili. mi  signori  savj  di  Terraferma. 

Di  più  disse  il  Nores,  che  ragionando  esso  armeno,  del  suo  viaggio 
gli  ha  narrato  che  l'intenzione  sua  era  di  passare  da  Sorìa  addiritura 
in  questa  città,  ma  il  mancamento  dei  passaggi  lo  aveva  necessitato 
ad  imbarcarsi  in  un  vascello  francese  che  lo  condusse  a  Marsiglia 
dove  prese  una  barca  con  animo  di  venire  in  questa  città  ;  ma  per 
che  a  Nizza  ed  a  Monaco  si  ebbe  sospetto  che  fosse  spia,  fu  neces- 
sitato palesarsi  essere  agente  del  re,  per  non  essere  offeso;  e  conti- 
nuando li  tempi  cattivi,  fece  risoluzione  di  licenziare  la  barca  ed 
andar  per  terra  a  Genova,  essendo  stato  accarezzato  e  molto  ben  ve- 
duto da  quei  signori:  che  di  là  si  transferì  a  Livorno  per  barca,  e 
da  quel  governatore,  per  sospetto  pure  che  fosse  spia,  fu  mandato  a 
Fiorenza:  che  il  segretario  Vinta  fu  a  vederlo,  al  quale  diede  conto 
di  se  e  del  suo  viaggio,  e  per  farsi  conoscere  agente  del  re  procurò 
di  essere  ammesso  alla  udienza  del  signor  granduca,  ma  non  volendo 
S.  A.  darle  audienza  e  riceverlo  nel  pubblico  palazzo,  gli  fu  fatto  sa- 
pere, che  dovesse  in  una  mattina  ritrovarsi  in  una  chiesa  a  messa 
dove  saria  stata  anche  la  A.  S.,  siccome  egli  fece,  e  le  diede  la  lettera 
del  suo  re  che  portava  per  S.  A.,  benché  avesse  disegnato  di  presen- 
tarla solo  al  suo  ritorno  da  questa  città. 

Averle  detto  inoltre  esso  armeno,  che  li  signori  ambasciatori  di 
Francia  e  di  Spagna  ed  anco  monsignor  Nunzio,  gli  hanno  mandato 
a  dire  che  desiderano  vederlo,  ma  che  egli  si  è  scusato  per  ora  colle 
sue  molte  occupazioni. 

Venerdì  mattina  venne  esso  chogia  Seffer  armeno,  con  quattro  ser- 


206 

vitori  vestiti  alla  persiana  nell'eco.  Collegio,  e  seduto  sopra  li  signori 
savi  di  Terraferma ,  parlò  in  questa  sostanza  così  interpretando  il 
Nores: 

Ringrazio  l'Altissimo  Iddio,  che  mi  ha  fatto  degno  di  vederla  faccia 
di  Vostra  Serenità  principe  giusto,  savio  e  potentissimo,  il  cui  nome 
è  onorato  e  celebrato  per  tutto  l'universo,  ed  in  particolare  alla  corte 
del  mio  re,  il  quale  ama,  stima  ed  onora  per  questi  rispetti  grande- 
mente Vostra  Serenità;  e  desiderando  continuar  nella  buona  amicizia 
amore  et  union  di  animi  con  questa  eccelsa  Repubblica,  è  parso  a 
S.  M.  mandar  me  suo  umile  servo  con  una  sua  regal  lettera,  per  si- 
gnificar a  Vostra  Serenità,  questa  buona  volontà,  e  l'affezione  grande 
che  ab  antiquo  porta  a  questo  felicissimo  e  potentissimo  dominio. 

Rispose  sua  Serenità  :  che  era  da  rallegrarsi  del  giunger  suo  sano 
e  salvo  in  questa  città  da  così  lungo  viaggio  :  che  si  vedeva  volontieri 
la  persona  sua  per  rispetto  del  suo  potentissimo  e  valorosissimo  re, 
da  S.  Ser.  e  da  tutta  la  Repubblica  grandemente  amato  ed  osservato, 
col  quale  si  conserva  quella  sincera  amicizia  e  benevolenza,  che  per 
il  passato  si  ha  tenuto  con  quella  corona  ;  che  avendo  lettere  di  S.  M. 
le  poteva  presentare  ,  perchè  si  farieno  Jeggere,  ed  intesa  la  conti- 
nentia  di  quella,  si  potria  forse  darle  a  bocca  qualche  risposta. 

Ciò  detto,  si  levò  l'armeno  da  sedere  e  accostatosi  alla  sedia  di 
Sua  Serenità  le  baciò  la  veste,  e  presentò  in  mano  propria  una  let- 
tera del  carissimo  console  in  Aleppo,  ed  immediate  uno  dei  suoi  uo- 
mini presentò  una  scatola  lunga,  coperta  di  panno  di  Bursa,  involta  in 
un  fazzoletto  vergado,  nel  qual  era  una  lettera  posta  in  due  borse  una 
di  raso  sguardo,  e  l'altro  di  velluto  verde,  involta  in  un  altro  fazzoletto. 

Ed  il  Nores  spiegata  essa  lettera,  la  lesse  ad  alta  voce,  poi  la  in- 
terpretò con  gran  prontezza  e  con  piena  soddisfazione  di  tutto  l'ec- 
cellentissimo Collegio. 

Dopo  letta  essa  lettera,  il  Serenissimo  Principe  ringraziò  S.  M.  del 
suo  amorevole  ufficio,  e  della  ottima  volontà  sua  verso  la  Repubblica, 
dalla  quale  è  ricambiato  di  vera  affezione  ed  osservanza.  Quanto  al 
negozio  disse  non  aver  a  memoria  se  siano  venute  di  Sorìa  in  questa 
città  robe  di  quell'agente  di  S.  M.,  che  nondimeno  si  chiameranno 
i  Magistrati,  e  da  loro  si  prenderà  informazione  ,  ed  essendovi  cosa 
alcuna  non  si  mancherà  di  dar  ordine  che  gli  sia  consegnata. 

E  l'armeno  non  replicando  altro  prese  licenzia,  accompagnato  a 
casa  dal  medesimo  Nores  che  lo  aveva  levato  ed  accompagnato  al  pa- 
lazzo. 

Registro  Esp.  Principi,  pag.  J35. 


207 
DOCUMENTO  \X\!Ì. 


Alli  famosi  e  celeberrimi  fra  i  principi  e  signori  grandi  della  nazione 
cristiana,  eletti  fra  i  più  savi  e  nobili  della  generazione  credente  al 
Messia,  dominatori  di  paesi  e  di  province,  amatori  di  giustizia,  or- 
nali di  virtù,  valor  e  prudenza,  e  pieni  di  gravità  e  di  grandezza:  li 
signori  di  Venezia,  ai  quali  il  sig.  Dio  augmenti  le  forze  e  la  po- 
tenza. 

Dopo  molti  amorevoli  ed  onorevoli  saluti,  che  si  convengono  alla 
loro  dignità  e  grandezza,  ed  alla  buona  amicizia,  amor  et  unione  d'a- 
nimo che  è  tra  noi,  le  si  fa  amichevolmente  sapere,  che  desiderando 
noi  di  continuare  con  tutti  li  principi  e  signori  grandi  della  cristia- 
nità, ed  in  particolare  colle  vostre  eccelse  persone,  nella  buona  intel- 
ligenza ed  unione  d'animo  abbiamo  voluto  visitarle  e  salutarle  ora, 
colla  presente  nostra  regal  lettera,  significandole  l'amore  eia  affezion 
grande  che  le  portiamo  ed  il  desiderio  che  abbiamo  di  vedere  le 
cose  loro  in  buono  e  felice  stato,  come  di  signori  savi,  giusti  e  pru- 
denti: ai  quali  non  si  resterà  con  questa  occasione  di  dire  anco,  che 
avendo  noi  mandato  già  a  Venezia  uno  delli  nostri  onorevoli  agenti 
nominato  chogia  Fethy  bei  per  comperare  alcune  cose  necessarie 
alla  nostra  regal  corte,  il  quale  ritornando  qui  da  noi  con  molte  e 
diverse  robe  di  valore,  giunto  che  fu  in  Sorìa,  avendo  trovata  la 
guerra  principiata  fra  noi  e  il  re  dei  Turchi,  furono  da  quelle  genti 
inumane  dilapidate  e  malmenate  tutte  quelle  robe  che  egli  portava, 
eccettuando  una  parte  di  esse  che  fu  di  nuovo  ritornata  e  rimandata 
a  Venezia,  e  che  si  ritrova  al  presente  siccome  abbiamo  inteso  cu- 
stodita e  conservata  interamente,  come  si  conviene  alla  buona  ami- 
cizia et  amore  che  è  fra  noi.  Però  venendo  ora  costì,  con  questa 
nostra  regal  lettera,  l'onorato  fra  pari  e  simili  suoi  chogia  Seffer  fi- 
gliuolo di  chogia  Iadigar  cristiano  zulfatino,  nostro  fidato  agente,  de- 
sideramo  dalle  loro  eccelse  persone,  che  sieno  contenti  di  fare  con- 
segnare tutte  quelle  robe  che  ritrovano  costi  di  nostra  ragione  al  sud- 
detto chogia  Seffer  nostro  agente,  bollate  ed  inventariate  per  mano 
delli  loro  onorati  ministri  ed  agenti,  acciocché  vengano  da  lui  con- 
dotte qui  sane  e  sicure,  insieme  con  tutti  quelli  mercanti  nostri  sud- 
diti che  saranno  ricoverati  nei  loro  paesi;  et  pertanto  le  pregamo  a 
voler  prestar  per  amor  nostro  ogni  favore  et  aiuto  al  nostro  inviato 


208 

nelle  sue  occorrenze;  e  se  all'incontro  avranno  bisogno  ancor  essi  di 
cosa  alcuna  qui  nel  nostro  paese,  ce  lo  faranno  con  loro  lettere 
confidentemente  sapere ,  che  si  adempierà  volontieri  il  desiderio 
loro;  e  di  più  l'esortiamo  a  scriverci  e  visitarci  spesso  colle  loro 
lettere,  come  si  conviene  a  buoni  e  veri  amici;  acciocché  rinnovan- 
dosi tra  noi  sempre  più  l'amore  e  l'affetione,  si  stabilisca  tanto  mag- 
giormente il  fondamento  della  nostra  amicizia. 

Senza  data,  et  senza  sottoscrizione;  ma  nel  rovescio  della  lettera  è 
posto  il  bollo  del  re,  qual  dice:  Shàh  Abbas  servo  del  miracoloso 
uomo  Ali  protettore  del  regno. 

Tradotta  per  me  Giacomo  de  Nores  interprete  della  Serenissima 
Signoria. 

Esp.  Principi,  Filza  18. 


»OCUJflENTO    IL  SU 


1609  (1610)  a'17  febbraio. 

Ricevo  io  chogia  Seffer  figliuolo  di  chogia  Iadigar,  armeno  zulfa- 
tino.  agente  del  serenissimo  re  di  Persia,  dall'ufficio  degli  eccellen- 
tissimi Cinque  savi  sopra  la  mercanzia,  tutte  le  robe,  vestimenta  e 
merci,  contenute  nel  seguente  inventario,  a  cao  per  cao,  sorte  per 
sorte,  insieme  con  la  cassella  d'argento  legata  con  cristalli  di  mon- 
tagna, il  bacìi  d'argento  col  suo  ramino,  un'armatura  intiera,  arco- 
busi,  zacchi  et  altro,  come  è  particolarmente  dichiarato  nel  presente 
inventario,  et  di  più  in  contanti  lire  521,12. 
Io  Giacomo  Nores  fui  presente  alla  consignation  come  sopra. 
Io  Ismail  zulfatino,  testimonio  della  detta  ricevuta. 
Io  Codis  armeno,  testimonio  come  sopra. 
L'inventario  descrive  partitamente  vari  oggetti  di  vestiario,  bacili, 
rasoi,  spille,  ventagli,  pugnali,  coltelli,  forbici  ed  altri  ferri,  carta, 
luci  di  cristallo  con  e  senza  foglia,  e  nove  quadri  ad  olio  così  in- 
dicati : 

Un  presepio. 

Una  Madonna. 

Un  Salvador. 

Una  donna  nuda,  che  si  mette  la  camisa. 


209 

La  Maddalena  in  ordine. 

La  Maddalena  nuda. 

La  regina  di  Cipro. 

Una  donna  veneziana. 

Una  donna  a  lunghi  capelli,  o  Cassandra. 

Esp.  Amb.  Filza  19. 


DOCUMENTO   XJLI. 


,    1609  (1610),  30  gennaro,  in  Pregadì. 

Al  Serenissimo  re  di  Persia. 

Ci  sono  state  per  ogni  rispetto  molto  care  le  lettere  di  V.  M.  por- 
tateci dall'honorato  chogia  Seffer  armeno  agente  suo;  et  gratissimo 
tutto  ciò  che  ella  si  è  compiaciuta  di  significarne  per  espressione 
del  suo  cortese  animo  verso  la  Repubblica  Nostra,  la  quale  riceve 
ora  singolare  contento  di  vedere  dal  canto  della  M.  V.  così  amorevol 
corrispondenza,  all'antica  et  perfetta  amicizia  che  tenemo  con  quella 
corona. 

Et  siccome  ci  siamo  grandemente  compiaciuti  della  presente  oc- 
casione, che  ci  ha  data  V.  M.  di  rinnovare  nella  sua  memoria  l'ottima 
disposizione  del  suo  sincerissimo  animo  verso  di  lei,  così  in  maggior 
dichiarazione  di  essa,  abbiamo  commesso  che  sieno  prontamente 
consignate  al  detto  chogia  Seffer,  il  quale  è  stato  da  noi  gratamente 
veduto  ed  accarezzato,  quelle  poche  robe  che  furono  ritornate  in 
questa  città  colle  nostre  navi  gli  anni  passati,  quando  seguì  all'a- 
gente di  V.  M.  chogia  Fethy  bei  il  mal  incontro  nella  Sorìa,  et  sono 
state  conservate  esse  robe  di  ordine  nostro  dal  magistrato  che  ne  ha 
la  cura,  per  consegnarle  a  chi  le  poteva  legittimamente  ricevere  per 
nome  di  V.  M.  La  quale  desideriamo  che  resti  persuasa  della  pron- 
tezza che  sarà  sempre  in  noi  di  conservare  et  aumentare  maggior- 
mente con  ogni  termine  di  ufficio  quella  sincera  amicizia  et  ottima 
corrispondenza,  che  per  lunghissimo  corso  d'anni  si  è  mantenuta 
tra  quella  potentissima  corona  e  la  Repubblica  Nostra.  Con  che  au- 
guriamo alla  valorosissima  persona  di  V.  M.  accrescimento  di  gran- 
dezza, con  perpetuo  corso  di  gloria  e  di  felicità. 

Arch.  Dona  Misceli. 
14        Bollettino  Consolare,  Voi    HI. 


210 

DOCUMENTO    XXII. 


Il  regno  è  di  Dio. 

Al  famoso  ed  eccelso  fra  i  principi  e  signori  grandi  della  nazione  cri- 
stiana, eletto  fra  i  più  sublimi  e  potenti  della  generazione  vivente 
nella  legge  del  Messia,  dominator  di  paesi  e  di  provincie,  ammini- 
stratore della  giustizia,  ornato  di  virtù  valor  e  prudenza,  pieno  di 
gravità  e  di  grandezza,  il  principe  di  Venezia,  al  quale  V Altissimo 
Dio  sia  propizio  e  favorevole. 

Dopo  molti  onorati  e  sinceri  saluti  che  si  convengono  alla  sua 
dignità  e  grandezza,  ed  all'amore,  amicizia  ed  unione  d'animo  che  è 
tra  noi,  le  si  fa  con  questa  nostra  real  lettera  amichevolmente  sa- 
pere che  per  grazia  dell'altissimo  Iddio  le  cose  nostre  passano  fin  qui 
prosperamente  mediante  le  orazioni  dei  nostri  buoni  e  sinceri  amici, 
che  con  puro  e  sincero  animo  desiderano  l'aumento  della  nostra 
felicità  e  grandezza,  ed  in  questo  onorato  numero  crediamo  ferma- 
mente che  siano  tutti  li  principi  cristiani,  ed  in  particolare  la  vostra 
magnanima  ed  eccelsa  persona:  onde  abbiamo  determinato  nel 
nostro  puro  e  real  animo  chea  guisa  del  sole  non  riceve,  in  sene 
macchia  né  menda  di  cattivi  pensieri,  di  continuar  con  tutti  i  principi 
ed  in  particolare  colla  sua  onorata  e  felice  persona,  come  principe 
grande,  potente  e  giusto,  nella  solita  buona  amicizia  ed  unione  d'a- 
nimo, e  tanto  maggiormente  quanto  che  per  relazione  di  tutti  li 
nostri  agenti  e  dipendenti  che  sono  slati  in  quelle  parti  e  che  sono 
ritornati  qui  a  salvamento  abbiamo  con  soddisfazion  dell'animo  nostro 
intesa  la  stima  e  conto  che  si  fa  in  tutto  il  suo  stato  e  paese  della  na- 
zione e  del  nome  persiano  per  amor  nostro,  ed  anco  delli  buoni  trat- 
tamenti e  cortesie  che  sono  stati  usati  così  da  lei  come  dalli  ministri 
della  sua  eccelsa  ed  onorata  corte,  all'i  suddetti  nostri  agenti,  i  quali 
sono  perciò  ritornati  alla  nostra  felice  corte  contenti  e  soddisfatti 
laudando  molto  la  sua  buona  ed  onorata  giustizia  e  l'amor  grande 
che  ella  ci  porta  :  e  però  desiderando  noi  che  per  maggiore  confer- 
mazione di  essa  amicizia,  che  siano  sempre  tra  noi  aperte  le  porle  ai 
negozi  e  pratiche,  e  che  tra  li  sudditi  dell'una  e  dell'altra  parte  si 
continui  amichevolmente  nel  commercio  e  traffico  come  si  faceva 
prima  che  succedessero  questi  ultimi  moti  di  guerra,  abbiamo  voluto 


211 
destinar  ora  costì  alcuni  nostri  agenti,  così  per  provvedersi  di  alcune 
cose  necessarie  alla  nostra  real  corte,  come  anco  per  rinnovar  la 
pratica  ed  il  commercio  e  per  dar  animo  ed  esempio  alli  mercanti 
del  suo  paese  di  far  il  medesimo.  Però  giunti  che  saranno  essi  a 
salvamento,  desideriamo  che  sieno  da  lei  raccomandati  alli  suoi 
onorati  ministri,  acciò  che  siano  da  loro  protetti  e  favoriti  nelle  loro 
occorrenze  e  massime  nel  contrattare  e  comperare  quelle  cose  che 
le  sono  state  da  noi  espressamente  ordinate,  ed  in  particolare  delli 
zacchi  di  maglia  che  sieno  di  somma  bontà  ed  eccellenza,  perchè  ne 
fanno  grandemente  di  bisogno  per  essere  noi  quasi  sempre  in  guerra 
ed  in  contesa,  con  li  ostinati  e  temerari,  che  cercano  di  contrapporsi 
a  noi  e  alle  nostre  forze  e  di  perturbare  il  nostro  reale  animo.  In- 
,  somma  desideriamo  che  per  amor  nostro  gli  sia  dato  ogni  aiuto  e 
indirizzo  necessario  acciocché  eseguendo  essi  bene  le  nostre  com- 
missioni possano  ritornare  qui  con  buona  espedizione  delli  loro 
negozi. 

E  se  li  mercanti  cristiani  delle  sue  città  e  paesi  si  disponeranno  di 
venire  qui  per  traffico,  la  assicuriamo  che  saranno  da  noi  ben  veduti 
e  ben  trattati,  dandoli  autorità  di  fornirsi  di  tutte  quelle  robe  e  mer- 
canzie che  le  faranno  bisogno,  e  si  partiranno  tutti  di  qui  contenti  e 
consolati.  Non  permettendo  noi  che  siano  essi  molestati  d'alcuno, 
over  danneggiati  per  quanto  importa  un  minimo  capello  della  testa;  e 
oltre  di  ciò  occorrendo  particolarmente  cosa  alcuna  qui  per  uso  o 
servizio  della  sua  felice  persona,  ne  la  facci  sapere  che  sarà  da  noi 
adempito  ogni  suo  desiderio  ;  e  sopra  il  tutto  la  esortiamo  a  scri- 
verci e  visitarci  spesso  con  sue  lettere  come  che  faremo  anche  noi  ; 
acciocché  rinnovandosi  tra  noi  sempre  più  l'amore  e  la  benevolenza 
si  stabilisca  tanto  più  il  fondamento  della  nostra  amicizia;  e  per 
fine  desideriamo  che  le  sue  grandezze  sieno  perpetue. 

Senza  data;  in  luogo  della  sottoscrizione  il  sigillo. 

Filza  atti  turcheschi. 


212 

DOCUMENTO   V  1,1  II. 


1621,  lo  febbraio. 

Venuti  questa  mattina  nell'eccell.  Collegio  alcuni  persiani  ultima- 
mente capitati  in  questa  città  con  le  galere  di  mercanzia,  uno  di  essi 
che  è  il  principale  chiamato  Sassuar  disse  che  aveva  lettere  del  suo 
re  da  presentar  a  S.  S.,  come  agente  suo  per  negozi  mercantili  era 
capitato  in  queste  parti,  il  che  avendo  esposto  il  dragomanno  Nores, 
fu  il  sopradetto  fatto  sedere  sopra  gli  ili. mi  sig.  savj  di  terraferma 
e  presentata  la  lettera  che  fu  data  al  Nores  da  tradurre,  disse  in  so- 
stanza : 

Che  il  felicissimo  e  potentissimo  Abbas  re  di  Persia  suo  signore 
mnndava  molte  affettuose  ed  onorevoli  salutazioni  a  S.  S.  ed  a  tutti 
gli  altri  signori  del  governo,  che  aveva  espressa  commission  di  Sua 
Maestà  di  significare  a  viva  voce  la  buona  volontà  ed  affezione  che 
portava  a  questa  eccelsa  Repubblica,  e  la  stima  grande  che  fa  di  essa 
per  la  fama  che  nel  mondo  era  sparsa  della  sua  buona  e  retta  giu- 
stizia, della  prudentissima  et  esemplar  maniera  del  suo  ottimo  go- 
verno, commendato  grandemente  da  S.  M.  ed  ammirato  da  tutta  la 
nation  persiana.  Che  il  suo  re  amava  tutti  li  cristiani,  ma  particolar- 
mente portava  grandissima  affezione  a  quelli  della  nazion  veneziana. 
Che  quando  capitano  in  Persia  sudditi  veneti  erano  dal  suo  re  acca- 
rezzati, ed  usato  verso  dì  loro  ogni  buon  e  cortese  termine,  non 
inferiore  a  quello  che  ben  sapeva  usarsi  verso  la  nazion  persiana 
in  questa  città. 

Rispose  rill.mo  signor  Renetto  de  ca  Taiapiera,  consigliere  di 
maggior  età  in  absenza  di  S.  S.,  che  si  riceveva  con  particolare 
contento  da  cadauno  di  questi  SS.  EE.  le  lettere  che  egli  aveva  por- 
tate per  nome  del  serenissimo  re  di  Persia,  amato  dalla  Repubblica  e 
tenuto  in  quella  stima  che  conveniva  al  suo  gran  merito  e  degnis- 
sime condizioni  di  principe  così  grande  come  era  la  M.  S.;  che  si 
aveva  ricevuta  soddisfazione  grande  del  loro  venire  in  questa  città,  né 
si  avrìa  tralasciato  cosa  che  avesse  potuto  comprobare  cogli  effetti 
quella  buona  volontà  che  si  portava  a  tutta  la  nazion  persiana,  e  che 
si  avrìa  dato  ordine  al  magistrato  dei  V  savj  alla  mercanzia,  ac- 
ciocché dove  li  occorresse  il  bisogno,  fossero  giustamente  favorite  le 
cose  loro. 


213 

Rese  umilissime  grazie  il  persiano  suddetto  delle  cortesi  esibi- 
zioni che  li  erano  fatte,  delle  quali  nelle  occorrenze  si  sarebbe  valso: 
disse  poi  che  il  suo  signore  aveva  voluto  accompagnare  la  sua  onorata 
lettera  con  un  nobil  presente  a  S.  S.,  et  fece  introdurre  alcuni  per- 
siani, quattro  dei  quali  avevano  un  tappeto  per  cadauno,  e  due  altri 
l'uno  con  25  pezze  di  giurini,  l'altro  con  25  lizari  d'India,  e  sog- 
giunse che  uno  dei  sopradetti  tappeti  era  stalo  donato  dal  suore 
da  quello  di  Magor,  e  che  S.  M.  lo  aveva  stimato  degno  di  Sua  Se- 
renità. 

Fu  dall'ili. mo  sig.  consigliere  de  ca  Taiapiera  suddetto  ringraziata  la 
M.  S.  di  così  cortese  dono,  e  detto  che  si  avrìa  tenuto  dalla  serenissima 
Repubblica  e  conservato  per  degna  ed  onorata  memoria  del  cortese 
affetto  di  S.  M.  verso  di  lei;  e  dopo  alcune  parole  di  reciproco  com- 
plimento, si  levò  il  persiano  ed  unito  con  dei  suoi  principali  volse 
far  reverenza  a  cadauno  degli  ecc. mi  signori  cons.,  capi  dei  XL,  savi 
del  Consiglio,  savj  di  T.  F.  e  savj  agli  ordini,  e  sceso  i  scalini  del 
tribunale  disse  che  si  teneva  obbligato  riferire  e  ringraziare  di  Sua  Se- 
renità del  buon  trattamento  che  aveva  ricevuto  a  Spalato  per  lo  spa- 
zio di  5  mesi  tra  il  far  la  contumacia  ed  aspettar  le  galee,  che  era 
seguito  per  così  lunga  dimora  con  molto  patimento,  nel  quale  era 
stato  sollevato  da  quell'ili. mo  sig.  console  con  infiniti  comodi  e  cor- 
tesie, onde  perciò  li  restava  grandemente  obbligato,  ed  il  medesimo 
le  era  stato  fatto  nella  città  di  Zara  da  quelli  ili. mi  sig.  rettori,  ed 
anco  nel  viaggio  di  mare  dall'  ill.mo  sig.  capitano  delle  galee  che 
hanno  accompagnato  quelle  di  mercanzia;  e  che  con  questa  occa- 
sione non  voleva  restar  di  dire  per  l'amore  e  riverenza  che  portava 
a  questa  ser.ma  Repubblica  che  sarìa  di  molto  comodo  ai  mer- 
canti e  maggiormente  frequentata  quella  scala,  e  condottevi  da  lon- 
tanissime parti  mercanzie  di  gran  rilievo,  se  le  galere  che  vi  sono  de- 
stinate andassero  più  sollecitamente  a  quel  viaggio  e  con  maggior 
comodo  dei  mercanti,  senza  dubio  sarìa  se  una  sola  vi  andasse  e 
l'altra  ritornasse,  per  accomodar  di  questo  modo  così  quei  mercanti 
che  vengono  in  questa  città  come  quelli  che  partono  di  qua  per  le 
case  loro;  ed  essendogli  detto  che  si  averla  avuto  considerazione  a 
questo  suo  prudente  ed  amorevole  raccordo,  licenziati  partirono  li 
persiani  sopradetti. 

Commemoriale  XXVIII. 


214 

DOCUMENTO  XMV. 


In  nome  di  Dio  vero  re  e  imperator  del  mondo. 

Al  famoso  ed  eccelso  re  di  Venezia,  dominator  di  paesi  e  di  Pro- 
vincie, osservator  della  buona  e  retta  regola  di  governo,  ornato  di 
bontà,  gravità,  e  grandezza,  pieno  di  equità,  giustizia  e  clemenza,  a 
cui  lo  Altissimo  Dio  sia  sempre  propizio  e  favorevole. 

Dopo  molti  onorevoli  e  sinceri  saluti  che  si  convengono  all'amore 
ed  amicizia  ed  alla  buona  intelligenza  unione  e  corrispondenza  d'a- 
nimo che  è  tra  noi,  le  si  fa  colla  presente  nostra  real  lettera  ami- 
chevolmente sapere,  che  essendo  sempre  stato  nostro  real  costume 
di  conservar  buona  sincera  amicizia  con  li  re  e  principi  grandi  della 
cristianità,  ed  in  particolare  colli  re  e  signori  di  Venezia,  antichi 
amici  ed  amatori  di  questo  nostro  felicissimo  regno,  avendo  perciò  noi 
sempre  tenutele  porte  aperte  alle  ambascerie  ed  alli  traffici  e  mezzi 
mercantili,  concedendo  libera  pratica  alli  loro  sudditi  e  vassalli  in 
ogni  luogo  del  nostro  amplissimo  regno,  abbiamo  voluto  ora,  che 
sono  aperte  le  strade,  mandar  costà  uno  delli  nostri  onorati  agenti 
chiamato  Sassuar  in  compagnia  di  agì  Aivas  da  Tauris ,  ed  altri 
nostri  sudditi,  così  per  confirmare  la  buona  amicizia  con  la  sua  ec- 
celsa persona,  e  rinnovare  la  pratica  ed  il  commercio  colli  sudditi 
dell'una  e  l'altra  parte,  come  per  fornirsi  anco  di  diverse  cose  ne- 
cessarie per  uso  e  servizio  della  nostra  real  corte. 

Però  giunti  che  saranno  essi  a  salvamento,  desideriamo  che  sieno 
da  lei  raccomandati  con  ogni  efficacia  alli  suoi  onorati  ministri , 
acciocché  mediante  la  loro  protezione  ed  ajuto,  eseguendo  la  nostra 
volontà  e  commissione,  debitamente  possine  ritornare  qui  quanto 
prima;  e  medesimamente  occorrendo  cosa  alcuna  qui  nel  nostro 
stato  per  uso  e  servizio  della  sua  felice  persona  la  preghiamo  ad 
accennarci  confidentemente,  che  sarà  prontamente  adempito  ed  effet- 
tuato ogni  suo  desiderio. 

Del  resto  desideriamo  che  le  sue  grandezze  sieno  sempre  in  au- 
mento. 

Senza  data. 

In  luogo  di  sottoscrizione  è  posto  a  tergo  della  lettera  il  bollo 
regale  che  dice  : 

Servo  del  re  dei  re  Shàh  Abbas. 
(Espositioni  Principi). 


215 
DOCUMENTO    XXV. 


4621,  4  febbraio,  in  Pregaci!. 


Che  li  quattro  tappeti  portati  a  donar  alla  S.  N.  per  nome  del 
serenissimo  re  di  Persia  dai  persiani  ultimamente  stati  nel  Collegio 
nostro,  e  le  25  pezze  di  giurini  e  le  altre  25  dei  lizari  d'India  sieno 
fatti  consegnare  alli  Proc.  de  supra  perchè  se  ne  abbino  a  valere 
ad  onore  del  Signor  Dio,  nella  chiesa  nostra  di  S.  Marco  e  nelle  pub- 
blicne  cerimonie.  E  ne  sieno  fatte  le  note,  dove  e  come  sarà  di  bi- 
sogno. 

Delib.  Senato. 


DOCUMENTO    ULTI. 


Serenissimo  Principe, 

Mentre  io  Domenico  de  Santi  q.m  Luca  suddito  e  servo  umilis- 
simo della  Serenità  Vostra,  era  pronto  per  imbarcarmi  sopra  la  nave 
Tomaso  Bonaventura  inglese  per  Sorìa,  ed  indi  per  andarmene  in 
Persia,  con  lettere  del  sommo  pontefice ,  della  sacra  M.  Cesarea, 
della  maestà  di  Polonia  e  dell'altezza  ser.ma  di  Toscana,  tutte  di- 
rette al  re  di  Persia,  per  occasione  dei  presenti  moti  della  cristia- 
nità, e  con  certa  istruzione  del  pontefice  al  padre  maestro  Paolo 
Pietromali  dominicano  assistente  in  Persia  per  detti  principi,  fui 
fatto  chiamare  nell'ecc.mo  Collegio,  e  poi  subito  fatto  uscire  con  or- 
dine che  prima  di  partire  dovessi  farne  motivo  alle  E. E.  V.V.  Ma  più 
non  avendo  avuto  chi  mi  introduca  ed  essendo  frattanto  la  predetta 
nave  partita,  ora  che  si  trova  lesta  la  nave  Margarita  Costante  per 
fare  fra  4  giorni  il  medesimo  viaggio,  colla  quale  disegno  imbar- 
carmi, vengo  conforme  all'ordine  predetto  e  alla  mia  riveritissima 


216 

osservanza  verso  la  Ser.  Vostra  a  darle  notizia  di  ciò,  prontissimo 
di  eseguire  ogni  cenno  che  mi  sarà  dato  con  l'ossequio  ben  dovuto 
alla  mia  fedelissima  devozione. 

1646,  26  giugno. 
Che  sia  rimessa  ai  Savi  dell'una  e  l'altra  mano. 

6  Cons. 

Pisani  Pier  Corner 

Antonio  Venier  Ser.0  Dolfin 

Benedetto  Polani  Lorenzo  Draghi. 

Fran.  Verdizotti  Segretàrio . 


Filza  secr.  1646,  pag.  97. 


DOCUMENTO    XXVII. 


1645,  2  decembre. 
Al  re  di  Persia. 

Grandemente  sempre  ha  incontrate  la  Repubblica  le  occasioni  di 
rendere  veri  segni  a  vostra  Maestà  ed  a'  potentissimi  precessori  suoi 
di  affetto  e  di  stima.  Nella  stessa  valida  sincera  costituzione  d'animo 
se  le  confermeranno  in  ogni  tempo  avvenire  colle  opere  le  nostre 
ottime  intenzioni.  Già  saranno  pervenute  alla  Maestà  vostra  le  gra- 
vissime emergenze  che  passano,  le  quali  meritano  il  riflesso  di  ogni 
principe,  potendo  gli  incendj  delle  armi  turchesche  coll'ardire  e  coi 
progressi  molto  diffondersi  e  turbare  ogni  confine.  In  questo  stato 
di  cose  li  generosi  concetti  di  vostra  maestà  saranno  dricciali  alle 
più  degne  risoluzioni  a  comune  profitto.  Ed  intanto  preghiamo  il 
Signor  Dio  guardi  vostra  Maestà  con  continui  incrementi  di  felicità 
e  di  salute. 

Voti  Affermativi    109. 

Negativi  0. 

Non  sinceri       2. 

Valerio  Antelmi  Segretario. 
Senato  Corti. 


217 
DOCUMENTO  XXVIII. 


1646,  17  luglio. 
Al  Re  di  Persia. 

Sarà  a  quest'ora  pervenuto  all'orecchio  diV.  M.  l'ostilità  ingiusta- 
mente ed  in  sprezzo  di  parola  e  di  fede  promossa  a' Stati  della  nostra 
Repubblica  dall'impero  Ottomano.  Proviene  il  motivo  del  Turco  da 
sete  inestinguibile  di  rapire  or  all'una  or  all'altra  parte  l'altrui,  e  di- 
latando la  sua  grandezza  rendersi  infine  oppugnatore  e  dominatore 
dell'universo.  Così  a  danno  dei  potentissimi  predecessori  di  V.  M. 
ha  mosse  più  volte  l'armi,  e  col  manto  di  amicizia  e  di  pace  agevola- 
tisi furtivamente  i  più  notabili  acquisti.  Come  vasta  e  formidabile 
sempre  più  si  va  formando  quella  potenza,  deve  comunemente  sve- 
gliare i  riflessi  ed  accrescere  le  gelosie.  Se  dalla  riconoscenza  del 
fatto  e  dalle  prudentissime  massime  dei  progenitori  è  eccitata  V.  M. 
alla  depressione  di  quell'orgoglio,  altrettanto  l'invita  ad  imprese  glo- 
riose l'opportunità  della  presente  occupazione  di  quelle  armi  da  que- 
sto canto,  e  la  certezza  di  essere  secondata  e  seguitata  dagli  altri 
principi. 

Costantissima  è  la  Repubblica  di  conservarsi  e  difendersi  col 
petto  esposto  dei  cittadini  e  con  la  profusione  dei  tesori,  eli  già  dai 
nostri  vascelli  datosi  il  buon  principio  della  presente  campagna,  as- 
salita ed  in  gran  parte  dannificata  vicino  ai  Dardanelli  l'armata  del- 
l'inimico. 

Valeranno  però  le  presenti  a  testimonio  non  meno  di  confidenza, 
che  dell'affetto^  e  nostra  osservanza  sempre  sincera  versola  M.  V., 
e  del  pubblico  desiderio  ardentissimo  di  vederla  con  i  dovuti  riacqui- 
sti coronata  di  nuove  glorie,  ed  a  V.  M.  auguriamo  in  fine  lunghis- 
simi e  felicissimi  gli  anni. 

Affermativi  102 
Negativi  0 

Non  sinceri      0 


Fran.  Verdizotti  seg.o 


Senato  corti  1646. 


218 

DOCUMENTO    XXI*. 


Iddio  immacolato.  Iddio  eccelso. 


Al  comandante  dello  Stato  Veneto  ,  che  S.  D.  M.  gli  conservi  ed 
esalti  il  dominio  con  prosperità  e  felicità,  prestatele  salutazioni  e  be- 
nedizioni che  provengono  da  stima  e  vagliono  per  segni  di  onore  e  di 
pregio,  offerte  da  una  pura  sincerità  al  possessore  della  magnificenza 
e  signoria,  vigilante  nell'amministrazion  di  giustizia,  scelto  fra  i  si- 
gnori imperanti ,  stimato  fra  i  potentati  retti  nella  religione  del 
Messia,  e  principe  fra  cristiani  di  alto  stato  e  condizione  sublime,  il  cui 
fine  Iddio  termini  in  bene,  con  le  benedizioni  del  cielo,  ed  accresci  in 
grandezza  ed  augumento  il  suo  posto  reale  con  disposizioni  del  cielo 
adattate  ad  una  prosperità:  quello  però  che  se  le  porta  a  cognizione 
è  che  la  lettera  inviataci  con  amichevole  contenuto,  perla  quale  resta 
innovato  il  vincolo  di  amicizia  e  di  amorevolezza,  è  stata  come  si  con- 
viene aggradita  e  corrisposta  con  termini  di  osservanza  amichevole 
dovuti  a' Principi  grandi  e  potentati  di  cristianità,  che  pure  anco  in 
avvenire  saranno  d'impulso  alla  continuazione  per  discendenza  e 
apriranno  l'adito  alla  comunicanza  di  lettere. 

Nel  resto,  continua  esaltazione  etc. 

Commemoriale  XXIX. 


DOCUMENTO    li. 


1649,  28  marzo. 

Questa  mattina  ritornato  il  padre  domenicano  alVecc.  Collegio,  e  fatto 
introdurre,  disse  essersi  partito  di  Persia  già  un  anno  in  circa,  aver 
avuto  da  quel  re  la  lettera  presentata ,  e  parimenti  da  Domenico 
Santi  che  colà  si  ritrovava  un'altra  che  consegnò;  e  dimandatogli  da 
Sua  Serenità  alcune  particolarità  rispose  nel  tenore  appunto  che  si 
contiene  nella  scrittura  che  poi  ha  dato,  ed  è  la  seguente: 

Serenissimo  Principe, 

Desiderando  io  l'esaltazione  della  santa  Fede  Cristiana  e  di  questa 
Serenissima  Repubblica,  che  con  tanto  valore  tanti  anni  sono  si 


219 
impiega  combattendo  contro  il  comune  nemico ,  non  ho  perdonato 
a  fatica  alcuna  nell'andar  da  Polonia  in  Persia  e  venire  di  Persia  a 
Venezia,  a  portare  lettere  di  quel  re  di  Persia  a  Vostra  Serenità;  e 
per  obbedire  ai  suoi  comandamenti  di  por  in  carta  alcuna  relazione  di 
quello  che  ho  potuto  fare,  dirò  a  Vostra  Serenità  tre  cose  : 

Primo:  il  viaggio  in  Persia  e  come  si  può  ivi  per  la  più  breve  e 
facile  via  andare,  e  li  onori  che  nel  viaggio  come  ambassadore  dei 
Cristiani  mi  furono  fatti. 

Secondo:  quello  che  ho  trattato  col  re  di  Persia. 

Terzo:  quello  che  si  può  sperare  da  quel  re  in  nostro  aiuto. 

10  mi  ritrovavo  in  Polonia  nel  tempo  che  ivi  era  il  signor  Tiepolo 
Giovanni  ambasciatore  a  quella  corona ,  il  quale  oltre  a  quello  che 
aveva  negoziato  con  quel  re  e  fattolo  armare  ,  ha  anche  fatto  che 
inviasse  un  ambasciatore  al  re  di  Persia,  e  subito  egli  spedì  uno  che  si 
dimandò  Slich  nobile  polacco,  per  invitarlo  a  muover  la  guerra  con- 
tro i  Turchi,  e  destinò  ed  elesse  S.  M.  me  per  suo  compagno  nella 
ambasceria,  e  ci  furono  date  dall'ili. mo  Giovanni  Tiepolo  lettere  di 
Vostra  Serenità  al  suddetto  re  di  Persia. 

Si  inviassimo  dunque  con  25  nobili  polacchi  a  quella  volta.  Li  2 
ottobre  1646  partii  da  Varsavia,  per  compagno  del  detto  ambascia- 
tore e  giunsimo  a  20  decembre  in  Mosca  città  metropoli  e  resi- 
denza di  quel  granduca.  Ricevuti  con  grandissimo  onore  ed  affetto, 
li  23  fossimo  introdotti  alla  udienza  pubblica. 

Li  12  gennaro  partissimo  provvisti  di  cavalli,  soldati  ed  ogni  altra 
cosa  necessaria  dal  suddetto  granduca  pel  nostro  viaggio  in  Persia. 
Li  18  giunsimo  a  Vladimiria  città  anticamente  sedia  delli  granduchi 
di  Moscovia.  Li  21  a  Murom,  li  24  a  Nisni  Novogorod  città  bellissima 
e  grande. 

11  primo  di  febbraio  a  Cosma  e  Damiano,  li  12  giunsimo  in  Cazan 
città  bella  e  mercantile,  dove  siamo  svernati  per  li  gran  freddi  che 
vi  erano  e  li  pericoli  delli  tartari  calmuchi. 

Li  3  di  maggio  provvisti  di  barche  e  di  uomini  ed  ogni  altra  cosa 
necessaria  per  la  navigazione,  ci  imbarcassimo  per  la  Volga  fiume 
grandissimo,  e  li  22  giunsimo  in  Astracan  città  bella  e  grande,  ben 
munita  di  presidio,  ove  stassimo  fino  alli  7  di  giugno  che  si  imbar- 
cassimo, provvisti  di  comitiva  e  di  ogni  cosa  necessaria  dal  granduca 
per  il  mar  Caspio ,  nel  quale  fossimo  un  mese  con  grandissimi 
pericoli. 

Li  4  di  luglio  sbarcassimo  in  Nizova ,  spiaggia  di  Persia,  li  22 
partissimo  di  là  per  Sciamachia ,   città  capitale  della  provincia  di 


no 

Schirvan.  Li  25  giunsimo  colà  ove  fossimo  ricevuti  con  grandissimo 
onore  dal  Khan  di  quella  città. 

Li  3  agosto  partimmo  per  Ardebilla  città  bella  e  grande  onorata 
dal  sepolcro  del  re  Saladino  quale  tengono  per  gran  santo.  Vi  è  quivi 
un  ospitale  fondato  dal  detto  re  che  sostenta  ogni  giorno  500 
persone. 

Li  18  partimmo  da  questa  città  e  giunsimo  in  Zenghian  città,  e 
di  là  a  Sultaniè,  da  Sullaniè  a  Com  città  molto  bella ,  e  quivi  si 
ammalò  il  signor  ambasciatore.  Di  Gom  addì  5  settembre  giun- 
simo in  Gascian  città  bellissima  e  ricca  dove  si  lavorano  molto  belli 
panni  di  seta. 

Li  10  partimmo  e  li  15  giunsimo  in  Ispahan  sedia  e  residenza  di 
S.  M.  di  Persia.  Fossimo  incontrati  da  molti  cortigiani  e  signori 
spediti  da  S.  M.  per  introdurci  dentro  la  città,  ì  quali  ci  condussero 
ad  un  bellissimo  palazzo  preparato  per  nostro  alloggio,  la  seraS.  M. 
ci  mandò  la  cena  preparata  in  piatti  d'oro  ed  altri  vasi. 

Poco  si  passò  che  s'ammalò  il  signor  ambasciatore  gravemente  e 
non  gli  fu  possibile  di  andare  all'udienza;  crescendo  il  male,  fece 
chiamare  uno  dei  principali  cortigiani  di  S.  M.  al  quale  disse: 

Giacché  così  piace  al  signor  Iddio  di  chiamarmi  ad  altra  vita,  e 
che  non  posso  pienamente  adempire  la  volontà  del  re  e  della  sere- 
nissima Repubblica  veneta  in  questa  ambasceria;  questo  presente 
signor  padre,  datomi  dal  mio  re  per  compagno  dell'ambasciata,  sod- 
disferà intieramente  a  quella.  Perciò  in  presenza  dello  stesso  signor 
persiano  mi  consegnò  l'istruzione,  le  lettere  ed  ogni  cosa,  e  li  7  di 
ottobre,  munito  dei  nostri  ss.  Sacramenti,  rese  l'anima  sua  al  crea- 
tore, e  fu  sepolto  il  giorno  seguente  con  gran  pompa  nella  chiesa  dei 
padri  M.  R.  Carmelitani  scalzi. 

Li  17  io  fui  introdotto  all'udienza  pubblica  del  re,  accompagnato 
da  molti  sì  persiani  come  franchi,  e  salutato  che  ebbi  S.  M.  da  parte 
del  serenissimo  re  di  Polonia  ed  anco  da  parte  della  serenissima  Re- 
pubblica di  Venezia,  gli  resi  le  lettere.  S.  M.  mi  fece  sedere  e  per  molto 
tempo  mi  trattenne  interrogandomi  della  salute  e  stato  delli  serenis- 
simi re  e  principi  cristiani:  io  risposi  conforme  a  quello  stato  che 
avevo  saputo  nella  mia  partenza. 

Li  31  io  fui  invitato  da  parte  di  S.  M.  alla  loro  pasqua  che  chia- 
mano Bairan  :  risposi  che  molto  volontieri  avrei  servito  S.  M. 
mentre  ciò  non  seguisse  in  mio  pregiudizio  col  cedere  il  luogo  ad  al- 
tri ambasciatori  che  si  ritrovassero  ivi,  mi  risposero  che  per  certo  non 


221 

mi  sarebbe  fatto  pregiudizio  né  torto  veruno.  Il  dì  seguente  vennero 
a  levarmi  con  cavalli  di  S.  M.  per  me  e  per  tutta  la  mia  gente. 

Giunto  a  palazzo  feci  riverenza  a  S.  M.  e  mi  fu  dato  luogo  conve- 
niente. 

Durarono  i  giuochi  ben  due  ore  dove  si  videro  diversi  combatti- 
menti ;  quindi  si  fece  un  banchetto,  nel  quale  S.  M.  e  tutti  mangia- 
rono in  terra  ed  io  ad  una  tavoletta  alta  un  piede  sedendo  sopra  una 
seggiola  bassa.  Finito  il  pranzo  mi  ritirai  all'alloggiamento  nostro. 
Il  giorno  dopo  mandò  S.  M.  un  principal  della  sua  corte  da  me  a 
dirmi,  che  mettessi  in  carta  in  lingua  persiana,  come  usasi  colà, 
quanto  desiderava  il  serenissimo  re  di  Polonia  e  la  serenissima  Repub- 
blica di  Venezia.  Io  subito  mandai  a  chiamare  li  padri  carmelitani 
scalzi  che  mi  tradussero  in  lingua  persiana  e  scrissero  li  punti  se- 
guenti : 

1.  Universo  mundo  bene  est  notum  turcarum  imperatores  preci- 
pue presentem  esse  fìdei  fracturam,  nulliq.  regi  convicino,  non  solum 
non  tenere  iuramentum  viro  sub  amicitiae  pretexta  ferro,  igneq. 
occupare  dictiones. 

2.  Guius  sacramenti  fragium,  non  volentes  christiani  reges  susti- 
nere  :  volenterque  eius  tantam  superbiam  reprimere,  Ghristi  invo- 
cato auxilio,  omnes  suas  vires  ac  potentiam  terra  mariq.  conver- 
terunt. 

3.  Et  quia  serenissimi  regis  nostri ,  Reipublicaeq.  venetorum 
dictiones ,  confinibus  illius  sunt  viciniores  ob  idque  gravius  sen- 
tiunt  eius  insullus;  quam  alii  monarchae  christiani,  quibus  prò 
muro  quodam  modo  sunt,  per  Dei  voluntatem  serenissimum  regem 
nostrum  prò  supremo  duce  suo ,  omnes  unanimi  consensu  dele- 
gerunt. 

4.  Qui  huic  tam  sanclo  operi  lubens  humeros  submisit,  desiderans, 
etalios  monarchas  quibus  cum  ab  antiquis  saeculis  amicitìa  fuit  ad 
tollendum  tam  comunem  inimicum  ad  similia  vota  excitare,  me  ad 
regiam  maieslatein  tuam  expedivit. 

5.  Quoniam  vero  contra  hunc  inimicum  uter  non  solum  anteces- 
sores  maiestatis  tuae ,  verum  etiam  ipsa  tua  maiestas,  magnam 
causam  sustinet ,  non  sibi  persuadet  serenissimus  rex  noster  nec 
non  omnes  alii  reges  ac  principes  christiani  maiestatem  tuam  hanc 
occasionem,  otio  praetermissuram.  Guius  gratia  antecessores  maie- 
statis tuae,  tanta  sanguinis  effusione  plura  possedermi. 

6.  Hoc  itaque  regia  maiestas  tua,  iusta  ponderando  non  parcat 
ancipiti  gladio   ne  antecessorum  suorum  tantorum   heroum  ,  qui 


222 

etiarn  in  fiorente  sua  aetate  nullis  laboribus  pepercerunt ,  alte  im- 
pressa vestigia  properantur  ac  tot  tantiq.  reges  et  principes  spe  sua 
in  tuae  maiestatis  persona  fraudentur ,  nec  hoc  cum  gratia  legato 
ad  ipsos  destinato  comitari  dignetur. 

I  quali  punti  presentai  a  S.  M.,  e  lettili  rispose  che  molto  volen- 
tieri avrebbe  soddisfatto  alla  amicizia  dei  principi  cristiani. 

In  quel  tempo  ivi  era  un  ambasciatore  del  Gran  Mogol,  il  quale  era 
stato  trattenuto  due  anni  per  alcune  lettere  quali  avea  scritto  al 
suo  re  e  furono  intercetle. 

Scriveva  che  il  serenissimo  re  di  Persia  era  ancor  giovinetto  e 
non  poteva  trattar  con  esso,  e  quando  chiedeva  audienza  dal  re  se 
gli  rispondeva,  che  il  re  era  ancor  troppo  giovane  e  che  aspettasse  il 
tempo.  S.  M.  il  re  di  Persia  era  d'anni  18  quando  giunsimo  noi  in 
Persia,  giovane  grazioso  affabile,  e  come  era  detto  da  tutti  era  per  rie- 
scire  un  altro  shàh  Abbas  suo  avo,  continuamente  a  cavallo  e  nelli 
esercìzii  militari;  la  sua  ava  moglie  del  detto  shàh  Abbas  reggeva  e 
governava,  ma  ora  lui  essendo  d'anni  19  governava  lui  stesso.  Ha 
per  moglie  una  senza  figliuoli  ma  si  diceva  che  era  gravida.  La  mo- 
glie è  figlia  di  un  certo  Surcolano  qual  abita  in  Daghestand,  ben- 
ché di  donne  ne  abbia  molte,  quella  è  la  principale. 

II  suo  cancelliere  gran  Visir  si  chiama  Dauleto ,  uomo  molto  os- 
servante della  sua  legge,  e  non  troppo  amico  dei  cristiani;ha  per  mo- 
glie una  sorella  del  re  di  Persia,  ha  5  figliuoli  ed  a  tutti  gli  fece  cavar 
gli  occhi,  acciò  non  si  sollevassero  arrivati  che  fossero  in  età. 

S.  M.  mandò  un  corriere  a  Costantinopoli  per  sapere  se  i  principi 
cristiani  facevano  guerra,  e  per  questa  occasione  ci  trattenne  11  set- 
timane, sin  tanto  che  il  corriere  ritornasse  da  Costantinopoli,  e 
quando  cercavo  respedizione  mi  rispondevano  che  mi  riposassi  che 
quanto  prima  ci  spedirebbe. 

Il  16  novembre  il  serenissimo  re  mi  mandò  le  vesti,  quali  è  solito 
dare  agli  ambasciatori,  ed  il  giorno  seguente  fui  chiamato  di  nuovo 
all'udienza  ove  mi  diede  l'espedizione,  cioè  lettere  per  il  serenissimo 
re  di  Polonia  e  perla  serenissima  Repubblica  di  Venezia,  di  sua  pro- 
pria mano,  salutandoli  e  pregandoli  felicissimi  successi,  promettendo 
di  soddisfare  alla  amicizia. 

Di  là  ad  alcuni  giorni  partii  d'Ispahan  e  per  il  nostro  ritorno  ac- 
compagnato da  25  soldati  persiani,  e  provvisti  di  cavalli  e  d'ogni  cosa 
necessaria  pel  viaggio,  ritornassimo  per  la  istessa  strada  che  eravamo 
venuti. 

Li  20  gennaio  giunsimo  in  Sciamachia  città  principale  della  prò- 


223 

vincia  di  Schirvan,  come  ho  detto  di  sopra,  furono  mandati  dallo 
stesso  Khan  molti  persiani  per  incontrarci  e  condurci  al  nostro  al- 
loggio ove  fossimo  benissimo  trattati  da  esso,  ed  ivi  ci  fermassimo 
sino  alli  29  di  aprile. 

Più  volte  ci  invitò  il  Khan  nel  suo  palazzo  e  particolarmente  una 
volta,  che  fu  il  giorno  di  S.  Tomaso  d'Aquino,  li  7  di  marzo:  molte 
cose  allora  ci  riferì  particolarmente  dell'armata  veneta  che  faceva 
grandissimi  progressi  contro  l'armata  turchesca,  delle  galere  che 
erano  slate  fracassate  dalla  armata  veneziana  di  Smirne  e  di  Scio  e 
minutissimamente  di  ogni  cosa.  Di  più  disseci  che  di  Babilonia  erano 
fuggiti  200  turchi  spahi  in  Persia,  e  promettevano  al  serenissimo  re 
di  Persia,  che  se  volesse  inviare  solo  12  mille  uomini  la  città  si  sa- 
rebbe resa,  perchè  era  sprovveduta  di  presidio,  eia  miglior  soldatesca 
era  stala  levata  dal  Gran  Signore,  e  li  più  peggiori  gente  inesperta 
era  restata.  Di  più  disse  che  il  serenissimo  re  aveva  ordinato  che  il 
Khan  Solimano  qual  sta  non  molto  lontano  di  Babilonia,  stesse  appa- 
recchiato, e  lo  stesso  a  quello  di  Erivan,  di  Tauris,  di  Sciamachia  ed 
altri  che  stassero  lesti.  Disse  di  più  che  il  gran  Signore  scrisse  al  se- 
renissimo re  di  Persia,  per  genti,  ma  la  S.  M.  non  si  contentò.  Ogni 
dì  ci  mandava  a  riferire  minutissimamente  quanto  faceva  la  serenis- 
sima Repubblica. 

Di  più  il  lyian  ci  disse  che  S.  M.  mandava  un  esercito  verso  il  re- 
gno di  Conducar  per  ricuperarlo  unito  insieme  col  gran  Khan  di 
Tartaria  Olbeco  qual  fu  scacciato  dal  suo  paese  dal  re  Gran  Mogol, 
ma  con  l'aiuto  del  re  di  Persia  lo  ricuperò  cacciando  di  nuovo  gl'In- 
diani, ed  in  quel  tempo  morì  il  re  di  Mogol  ed  il  regno  si  divise 
in  quattro  figliuoli;  ed  il  minor  nato  è  il  più  vivace,  più  belli- 
coso degli  altri  fratelli  e  più  amato  e  riverito ,  non  si  contentò 
della  parte  lasciatagli  dal  re  Mogol  suo  padre,  levò  l'armi  contro  il 
suo  fratello  maggiore,  come  ancor  fece  contro  il  suo  padre  vivendo; 
il  che  vedendo  il  redi  Persia  si  risolse  tentar  di  ricuperare  quel  re- 
gno insieme  unito  con  il  gran  Khan  Olbeco,  vedendo  gli  figliuoli 
del  Gran  Mogol  disuniti,  molti  anni  sono  che  cercava  questa  oc- 
casione tanto  più  vedendo  che  il  gran  Signore  aveva  che  fare  colla 
serenissima  Repubblica,  perchè  quando  lui  voleva  andare  sopra  il  detto 
regno  il  gran  Turco  gli  dava  addosso,  e  quando  voleva  ricuperar  Ba- 
bilonia il  gran  Mogol  gli  dava  ancor  lui  addosso,  e  cosi  non  potea 
né  l'uno  né  l'altro  ricuperare.  Ma  avendo  l'occasione  tanto  per  la 
morte  del  gran  Mogor,  quanto  per  la  guerra  che  aveva  il  gran  Turco 
contro  la  serenissima  Repubblica,  si  deliberò  di  tentar  la  fortuna,  ma 


credo  come  dicevano  i  Persiani  che  quella  guerra  finirebbe  presto,  e 
tutti  e  particolarmente  li  grandi  dicevano  che  col  ritorno  dell'eser- 
cito da  quella  parte  dell'India  andrebbe  per  ricuperare  i  luoghi  oc- 
cupati dal  gran  Turco. 

Li  29  aprile  partissimo  per  la  marina  e  vi  giunsimo  li  5  di  maggio; 
ci  trattenessimo  dalli  5  di  maggio  alli  12  giugno,  allora  ci  imbarcas- 
simo, li  25  facessimo  vela  verso  Astracan,  ma  volendo  così  la  Divina 
Maestà  fossimo  costretti  a  ritornar  al  luogo  dove  eravamo  partiti  pel- 
li venti  contrarli  e  poco  mancò  che  non  s'affogasse  la  barca.  Li  28 
per  grazia  di  Dio  facessimo  di  nuovo  vela  e  giunsimo  li  6  di  luglio 
all'acqua  dolce,  ed  in  detta  acqua  navigassimo  5  dì.  Io  mandai  il  mio 
interprete  con  un  nobile  polacco  in  Astracan,  al  palatino  di  detta 
città,  e  lui  ci  mandò  2  barche  piccole  perchè  la  barca  grande  non 
poteva  andare  per  esservi  poca  acqua. 

La  domenica  mattina  29  ci  vennero  incontro  molti  nobili  moscoviti 
e  soldatesca  che  quivi  si  ritrovava  in  Astracan  ;  li  29  partissimo  di 
delta  città  provvisti  di  ogni  cosa  necessaria  al  viaggio  come  barca  e 
soldati  per  la  Volga,  60  leghe  da  Astracan.  Li  15  agosto  giunsimo  in 
Saricina  città  sopra  la  Volga,  70  leghe  da  Astracan.  L'istesso  giorno  par- 
tissimo per  Saraton,  20  leghe  da  Saricina,  ivi  giunsimo  li  29,  e  li  13 
di  settembre  giunsimo  in  Samaria  dove  siamo  stati  molto  ben  trat- 
tati dal  Palatino  di  quella  città.  Di  Samaria  a  Simbir,  #a  Tetiuschi, 
li  4  di  ottobre  a  Gazan  e  li  6  partissimo  e  giunsimo  li  14  di  ottobre  a 
Cosma  e  Damiano  e  Vailgoroda  li  19.  Li  25  giunsimo  a  Nisni  No- 
vogorod  che  fu  domenica,  li  3  di  novembre  giunsimo  in  Murorn  e  li 
8  a  Vladimiria  e  li  19  giunsimo  a  Mosca  residenza  e  sedia  del  gran- 
duca di  Moscovia,  ove  fui  ricevuto  con  grandissimo  onore  ed  affetto, 
visitandomi  li  due  cancellieri  da  parte  del  granduca  offerendomi 
quello  m'era  necessario. 

Li  5  di  dicembre  partissimo  di  detta  città  e  giunsimo  in  Smolensco 
città  del  serenissimo  re  di  Polonia,  ove  mi  fermai  tre  settimane  per 
li  pericoli  delli  Cosacchi.  Li  8  di  gennaio  partissimo  per  Cracovia  ove 
giunsimo  li  8  di  febbraio,  e  li  13  ebbi  udienza  da  S.  M.  il  re  di  Polo- 
nia e  resi  le  lettere  del  serenissimo  re  di  Persia. 

La  strada  più  breve  per  andar  in  Persia  di  qua  è  per  la  via  di 
Aleppo,  ovvero  pel  mar  Nero  imbarcandosi  a  Caffa  per  laMingrelia, 
non  trovandosi  comodità  per  imbarcarsi  in  Caffa  per  Mingrelia  si  tro- 
verà per  Trebisonda.  Di  Mingrelia  nel  stato  del  re  di  Persia  in  tre 
settimane  si  può  entrare  per  la  Moscovia.  Bisogna  aspettare  il  tempo 
opportuno  perchè  il  fiume  nella  primavera  è  troppo  grande  ,  d'in- 


verno  è  congelato,  e  gravi  sono  i  pericoli  dei  tartari,  mongoli,  e  dei 
cairn u eh i ,  inimici  comuni  delli  moscoviti:  all'andar  sarebbe  facile 
ma  al  ritornar  diffìcile.  Questo  è  quanto  per  la  brevità  del  tempo 
posso  narrare  a  Vostra  Serenità  circa  il  mio  viaggio. 

Di  Vostra  Serenità 

Devotissimo  Servitore 


Espositioni  Secreto . 


Fra  Antonio  di  Fiandra  Domenicano. 
Sta  a  ss.  Giovanni  et  Paolo. 


I» OC UJIIEUTT O  1*1. 


29  marzo  1649. 

Serenissimo  Principe  , 

Espedito  che  fui  dalla  Serenità  Vostra  con  lettera  ed  ordini  per  la 
reale  Maestà  di  Persia  ,  per  procurare  da  lui  la  guerra  in  Babilonia 
contro  l'Ottomano,  conforme  alla  mia  promessa,  con  lui  ho  operato 
molto  efficacemente  sì  per  l'ordine  avuto  da  S.  S.  come  da  Vostra  Se- 
renità, ed  anco  per  zelo  della  mia  patria,  che  più  caldamente  mi  ha  spinto 
con  ogni  vigore  e  seguito  durante  il  mio  viaggio  per  Sorìa.  Giunto  in 
Aleppo  mi  sono  infermato  di  grave  malattia,  che  mi  ha  tenuto  ag- 
gravato per  lo  spazio  di  mesi  5  con  pericolo  della  vita;  ma  con  l'aiuto 
del  signore  Iddio  rilevatomi  e  convalescente  ho  seguito  il  mio  viaggio 
e  per  nuova  strada  non  frequentata  mi  sono  condotto  alle  frontiere  di 
Persia  ,  con  le  mie  robe  per  il  presente  ,  onde  mi  ha  costato  grande 
spesa,  acciò  non  fossero  aperte  e  vedute  dette  robe,  e  speso  alla 
somma  di  1430  reali  da  otto,  a  condurmi  fino  in  Ispahan. 

Ora  entrato  nella  terra  del  detto  rey,  alle  frontiere  mi  fu  subito 
domandato  dal  duque  di  quelli  paesi  chi  io  era  e  di  dove  venivo 
e  dove  volevo  passare,  non  essendo  costume  per  tal  strada  simili 
persone  e  tali  robe  venire.  Li  risposi  esser  mandato  di  cristia- 
nità, da  quattro  monarchi  potentissimi  cristiani,  con  lettere  dirette 
alla  maestà  di  Persia,  onde  il  detto  le  volse  vedere,  lo  mostratele,  ini 
fece  grande  onore  ,  trattenendomi  3  giorni ,  e  intanto  espedita  una 
15        Bollettino  Consolare,  Voi    III. 


226 

staffetta  al  rey,  dandole  conto  come  un  tale  veniva  con  tali  negozi,  e 
di  poi  mi  lasciò  passare  con  una  persona  sua  che  mi  accompagneria 
al  detto  rey,  essendo  così  il  costume.  Però  bisognò  che  io  li  fassi  il 
suo  presente,  il  quale  fu  alla  somma  di  reali  n.  350  tra  lui  e  suoi 
grandi,  perchè  così  è  costume  per  tutta  la  Persia  e  Turchia  a  cam- 
minar con  li  presenti,  come  credo  che  la  S.  V.  sarà  bene  infor- 
mata di  ogni  cosa. 

Seguitò  il  mio  viaggio  onde  mi  condussi  in  Ispahan,  e  per  la  nuova 
che  era  andata,  me  viene  ad  incontrar  tutti  li  franchi  che  la  estano, 
e  mi  condussero  in  città  con  molto  onor.  Onde  il  visir  mi  mandò  il 
capo  di  mehemendar  a  dimandare  se  era  vero  che  io  avessi  tali  lettere 
e  se  avevo  presenti  para  el  rey.  Io  le  risposi  non  aver  cosa  niuna 
mandata  da  niuno,  ma  avendo  alcune  galanterie  io  comperate  per 
queste  parti  che  gliele  presenterìa  volentieri.  Lui  rispose  che  bene, 
e  che  sarebbe  andato  a  dar  nuova  di  tutto  a  detto  granvisir.  E  cosi 
mi  mandò  subito  il  vitto  della  tavola  del  rey  nelli  vasi  d'oro,  per  el 
spazio  de  8  giorni;  dapoi  mandò  reali  450  dicendomi  che  mi  espe- 
sassi da  me,  e  mi  disse  che  mi  mettessi  in  ordine  che  un  di  questi 
giorni  sarebbe  venuto  a  levar  me  all'udienza,  e  che  preparassi  il 
presente  che  avevo  da  fare  al  rey,  e  che  facessi  copiar  le  lettere  che 
aveva  da  presentare  in  scritto  persiano.  Questo  fu  gran  favore  di  Dio 
che  el  me  ordinasse  a  me,  perchè  se  le  riceveva  così  e  le  avesse  man- 
date ad  altri  franchi  per  interpretare,  li  erano  tali  che  altro  non  de- 
sideravano perchè  la  coda  di  Francia  arriva  fin  qui ,  e  quelli  che 
manco  si  eslimano  e  che  paiono  sancti  sono  quelli  che  estano 
qui,  para  avvisar  il  tutto  ,  come  volevano  fare  volendo  corrom- 
pere il  mio  mullà,  sive  escrivano  persio,  che  li  dasse  le  copie  del 
tutto.  Maio  accortomi,  operai  tanto  sicuro  e  cauto  che  non  hanno 
avuto  il  loro  intento. 

Tutte  le  lettere  che  io  avevo  degli  altri  principi,  il  principe  fece  che 
io  le  presentassi  essendo  lui  insieme  con  me,  questo  per  non  aver 
lui  con  chi  poterle  accompagnare  essendo  in  grandissima  calamità  e 
miseria;  e  qui  dando  lettere  bisogna  anco  le  si  porti  in  compagnia.  Le 
presentai  colla  istruzione  del  pontefice  insieme  tutto  in  scripto,  es- 
sendo la  udienza  in  pubblico,  e  per  non  aver  tanto  a  parlare,  così  si 
fece  onde  passò  bene  tutto  il  negozio. 

A  cabo  di  altri  8  giorni  il  detto  mehemendar  mi  venne  a  levare  e 
condurre  davanti  al  rey  in  udienza,  e  comparso  le  presentai  in  mano 
del  proprio  rey  tutte  le  dette  lettere  ed  istruzione,  insieme  con  il 
presente,  il  quale  era  portato  da  24  uomini  essendo  pel  valore  di 


227 

4500  reali.  Fui  ben  visto  dal  rey  e  dal  gran  visir  e  da  tutti  li  grandi 
della  corte,  e  con  cortesi  parole  disnando  in  sua  tavola  con  lui  e  visir 
e  grandi  del  regno,  disse  a  me  poi  che  altra  volta  mi  avrebbe  chia- 
mato all'udienza  e  convito  in  questo  tempo.  Seando  la  audienza  del 
visir,  con  il  presente  suo,  qual  era  della  summa  de  trescientos  eses- 
centa  reali  in  circa,  ed  un'altra  copia  dell'istruzione,  acciocché  anche 
lui  a  parte  potesse  veder  e  saper  el  tutto,  sebbene  egli  fa  tutti  li  negozi 
del  reino,  essendo  il  re  giovane  di  anni  18  in  circa.  Qui  anco  si  ebbe 
cortese  risposta,  si  diede  il  suo  presente  al  suo  partir  acciò  si  potesse 
aver  l'ingresso  libero,  avendo  a  trattare  più  volte  con  il  detto  visir. 

A  cabo  di  altri  15  giorni  in  circa  el  rey  mi  mandò  a  casa  il  mio 
presente  per  il  mehemendar  il  quale  era  in  danaro  750  reali  ed  alcune 
pezze  di  seta  con  oro  ed  altre  senza  ed  alcuni  telami,  le  quali  robe 
diceva  il  detto  mehemendar  valere  settecentos  et  cincuenta  reali,  sic- 
•  che  il  tutto  tra  roba  e  soldi  sommava  1500  reali;  ma  volendo  io  ven- 
dere la  roba  per  bisogno  di  denari  per  le  spese  fatte,  non  mi  davano 
la  metà  di  quello  diceva  il  mehemendar.  Di  che  le  conservai  e  me 
ne  servii  per  altri  presenti  che  avevo  a  fare,  e  non  ne  tirai  niun  pro- 
fitto de  le.  Mi  mandò  anco  insieme  la  ghalata  regia,  cioè  veste,  e 
disse  che  fra  pochi  giorni  mi  verrebbe  a  levare  all'udienza;  e  da  li 
a  5  giorni  mi  chiamò  all'udienza  del  rey,  gli  portai  un  altro  pre- 
sente del  valore  di  reali  225;  mi  diede  le  risposte  dicendo  che  rive- 
risci le  EE.  VV.  da  sua  parte;  mi  dimandò  poi  per  quale  strada 
volevo  partire,  io  gli  risposi  non  aver  altra  strada  che  per  Mosco- 
via,  ovvero  India,  ora  la  più  breve  era  per  Moscovia,  onde  al  detto 
principe  chiesi  per  favore  lettere  pel  granduca  di  Moscovia,  e  lui 
cortesemente  mi  rispose  volentieri;  ma  in  questo  darmi  la  detta 
lettera  e  passaporto  passarono  altri  due  mesi,  per  cagione  di  al- 
cuni emuli  che  portarono  ogni  risposta  e  spedizione  a  mesi  4, 
avendo  fatta  molta  spesa  per  il  vitto  di  mia  tavola  per  detti  mesi, 
reali  480  presente  per  il  detto  mehemendar,  reali  230  per  altra  spesa 
di  servitori,  e  quello  che  portò  il  vitto  del  rey  con  el  mio  presente 
e  la  ghalata,  il  mio  dragomano,  mullà  sive  escrivano  persico,  ed  altri 
che  son  molto  lungo  mettere  in  carta  mi  andò  reali  620.  Per  ca- 
valli, tappeti,  pavoni,  ed  altra  spesa  per  il  mio  viaggio  me  andò  460; 
onde  avendo  fatta  tanta  spesa  ed  essendo  con  pochi  denari  e  viaggio 
lungo  da  fare  avendo  10  cavalli,  chiesi  al  rey  alcun  viatico  onde  mi 
mandò  altri  750  reali,  ma  questi  non  è  bastanti  al  viaggio  che  finora 
ho  fatto,  oltre  ad  alcuni  vestimenti  fattomi  per  comparir  all'audienza 
pel  valor  di  470  reali,  per  un  presente  fatto  a  colui  che  mi  condusse 


228 

in  Moscovia,  e  spesi  altri  220  reali  pel  viaggio  da  Ispahan  fin  ora  pre- 
sente, e  pel  mio  vitto  reali  450  che  è  stato  questo  el  corso  di  mesi  7. 
Sicché  mi  trovo  di  sotto  da  7000  reali  in  circa,  ma  al  capo  di  4  giorni 
dalla  mia  partenza  da  Ispahan  mi  incontrai  in  un  tale  Giorgellis  am- 
basciatore della  sacra  maestà  di  Polonia,  che  Dio  volesse  non  avessi 
mai  veduto  per  essermi  stato   di  notabilissimo  danno,  e  da   Sua 
Maestà  medesima  ne  avrà  V.   S.  informazione  del  tutto,  perchè  io 
glielo  scritto,  e  poi  con  la  mia  venuta  più  oltre  saprà  ogni  cosa;  ora 
rivolto  addietro  accompagnatolo  in  Ispahan  con  ogni  onore,  si  per  la 
maestà  di  Polonia  come  per  aver  seco  una  lettera  del  serenissimo  de- 
funto Enrico,  dipoi  rivolto  il  mio  viaggio  venni  fino  la  porta  sopradetta 
di  Moscovia,  ma  per  alcun  negozio  scoperto  sono  tornato  addietro  es- 
sendo stata  data  mala  informazione  alli  Moscoviti,  ed  essendo  zente  so- 
spettosa perfida  e  mal  fida ,  non  mi  hanno  permesso  il  passaggio 
per  la  sua  terra.  Onde  ritorno  per  via  d'India  la  quale  sarà  per 
lo  spazio  di  15  mesi  in  circa  con  mio  grandissimo  dispendio  oltre 
il  speso.  Questo  io  non  dico  per  essere  rimborsato  di  alcuna  cosa, 
ma  lo  dico  solo  acciocché  sappi  la   Serenità  Vostra   che  li  sdn 
buon  suddito,  e  quello  che  li  ho  promesso  per  amor  della  patria  e 
per  mantenere  l'onore  ed  il   decoro   di   Vostra   Serenità  e    della 
cristianità  ho  fatto,  ed  osservato  la  mia  parola,  e  la  manterrò  se 
dovessi  vender  la  camicia  e  me  stesso  ancora,    e  con  il  mio  ar- 
rivo in  patria  vederà  il  tutto  che  io  avrò  operato,  ma  anco  avanti 
sentiranno  le  nuove  come  sarà  eseguito  ogni  cosa,  e  con  altra  mia 
per  altra  via  significherò  più  volte  a   Vostra  Serenità  il  tutto  e 
per  fine  riverentemente  genuflesso  le  bacio  il  manto  d'onore. 

Di  Sciangai  il  dì  24  aprile  1648. 

Supplicherò  riverentemente  V.  S.  far  noto  il  tutto  alla  Santità 
di  N.  S.  acciocché  lui  ancora  sappia  quanto  si  opera  in  questa 
corte  conforme  li  suoi  ordini,  senza  preterire  niun  punto  anzi  con 
il  mio  dispendio  ho  sostenuto  e  mantenuto  la  riputazione  ed  onore 
che  a  Sua  Beatitudine  si  conveniva,  traendone  dal  tutto  frutto  e 
profitto  buonissimo,  che  fra  poco  tempo  per  quanto  si  parla  qui 
lo  vederà,  e  con  altra  mia  per  altra  via  sarà  di  ogni  cosa  informato,  e 
poi  al  mio  arrivo  molto  più  oltre.  E  riverentemente  me  inchino. 
Di  Vostra  Serenità 

Umilissimo  et  devotissimo  servitore  et  schiavo 
Domenico  De  Santi  q.m  Luca. 
Esfos.  Principi  secreta. 


229 
H01?l *  MENTO    SLI1. 


1661  (1860  m.  v.)  22  gennaro. 

Al  re  di  Persia. 

Agli  ingiusti  travagli  che  tuttavia  ci  fanno  risentire  i  Turchi,  re- 
siste la  Repubblica  nostra  con  costanza  generosa,  e  prepara  per  la  vi- 
cina ventura  campagna  ogni  vigorosa  provisione,  particolarmente  per 
la  parte  di  mare,  mirando  ad  occupare  con  la  necessaria  prevenzion 
il  posto  importantissimo  dei  Dardanelli  con  buon  numero  di  navi. 
V.  M.  da  tutti  tanto  stimata,  non  solo  per  la  propria  potenza,  ma  per 
il  valore  delle  sue  armi,  aquisterebbe  appo  il  mondo  un  merito  sin- 
golare e  gloria  insigne  al  suo  nome,  se  con  le  sue  forze  si  disponesse 
ad  abbattere  l'Ottomano  comune  nemico.  Molte  buone  congiunzioni  e 
la  pace  universale  già  segnata  in  cristianità  aprono  la  strada  a  for- 
tunati successi  ed  a  grandi  vittorie,  mentre  sono  tutti  i  principi 
disposti  a  secondarle.  Abbiamo  voluto  portare  alla  M.  V.  queste 
notizie,  acciò  comprenda  la  buona  opportunità  che  se  le  offerisce  di 
abbattere  così  fieri  nemici;  confìrmandole  con  tale  incontro  la  nostra 
antica  osservanza,  e  la  confidenza  che  si  tiene  di  riportare  dalla  sua 
gran  mano  ogni  più  valida  assistenza:  sicura  la  M.  V.  della  memoria 
grata  e  perpetua  che  sarà  per  conservargli  la  Repubblica  con  desi- 
derio di  corrispondergli  con  sinceri  testimoni  di  stima,  augurando 
intanto  alla  M.  V.  il  colmo  di  ogni  grandezza  e  prosperità. 

De  si  79 

De  no  0 

Non  sinceri  3 

Senato  Corti.  R.37 . 


230 

DOCUMENTO  LUI. 


1662,  10  giugno. 
Serenissimo  Principe , 

Io  Aranchies  Vartapiet,  arcivescovo  d'Armenia  maggiore,  racco- 
mandato alla  S.  V.  ed  a  tutti  i  principi  cristiani  nel  passaporto  del- 
l'em.mo  Chigi,  essendomi  stato  illuminato  il  cuore  nel  conoscimento 
della  vera  fede,  e  però  andato  a  Roma  a  confessarla  nelle  mani  del 
sommo  Pontefice,  desiderando  colle  opere  di  confessarla  e  cono- 
scendo la  Serenissima  Vostra  Repubblica  di  Venezia  religiosissima,  e 
ehe  più  di  tutti  li  principi  cristiani  con  la  confessione  e  con  le  armi 
la  sustenta,  humilmente  espongo: 

Con  l'occasione  che  supplico  passaporto,  dovendo  passare  per  la 
Persia,  ed  avendo  stretta  intelligenza  con  quella  Maestà,  se  fosse  con- 
ferente agli  interessi  della  S.  V.  di  trattar  lega  con  quel  re  a  danni 
dell'Ottomano,  mi  offerisco  di  praticarla,  assicurando  la  Maestà  di 
certa  lega  ed  unione  colla  Ser.  Rep.,  supplicandola  di  secretezza  in 
questo  affare,  perchè  li  Armeni  che  sono  in  Venezia  inimici  degli 
Armeni  cattolici  ed  a  me  mimicissimi,  a  quale  hanno  l'occhio,  per 
esser  persona  la  prima  dopo  il  patriarca  d'Armenia,  onde  se  sapes- 
sero alcuna  cosa  avviserebbero  e  mi  leverebbero  la  vita  per  strada. 
Benché  mi  sarebbe  caro  di  perderla  per  la  fede  e  per  la  Ser.  Rep., 
le  sicurezze  che  io  ho  e  l'inclinazione  del  re  di  Persia  a  questa  lega 
mi  certificano,  e  le  espressioni  a  me  fatte  mi  necessitano  della  sicu- 
rezza del  fine. 

Nel  passaporto  supplico  la  S.  V.  raccomandarmi  a  tutti  e  special- 
mente al  suddetto  re.  Ricevendo  la  S.  V.  la  mia  esibizione,  si  com- 
piaccia farmi  dar  braccia  sei  di  soprarizzo  d'oro  per  donar  al  re, 
perchè  da  questo  conosca  quella  Maestà  le  commissioni  delle  S.  V. 
e  un  poco  di  danaro  per  far  il  viaggio.  Le  difficoltà  che  si  hanno 
per  passar  nel  paese  dell'Ottomano  sono  benissimo  note.  Io  non  ho 
difficoltà  alcuna  del  passaggio,  e  se  paresse  alla  suprema  prudenza 
della  S.  V.  far  che  alcuno  si  accompagni  con  me  con  commissioni 
più  secrete,  sarà  sicurissimo. 

Protestando  al  sig.  Dio  e  alla  S.  V.  che  in  questo  viaggio  questo 
affare  avrà  buon  fine  o  morirò  martire  per  la  santa  fede  e  per  questa 
Ser.  Repubblica. 

Filza  Corti,  66. 


231 
DOCUMENTO  MV. 


4662,  10  giugno  in  Senato. 

Al  re  di  Persia. 

È  in  cammino  per  queste  parti  Aranchies  Vartapiet  arcivescovo 
d'Armenia  maggiore,  e  presentandosi  occasione  di  rinnovare  la  me- 
moria a  V.  M.  del  pubblico  cordiale  affetto,  mancheressimo,  non  fa- 
cendolo, all'ardore  dello  stesso  desiderio  che  nutrisce  verso  di  lei  la 
nostra  Rep.  sempre  con  sentimenti  particolari  di  stima  grande  e  di 
amicizia  vera.  Udrà  dalla  viva  voce  di  lui  quello  che  dai  nostri  cuori 
ha  potuto  ritrar  più  al  vivo  nel  discorso.  Sieno  però  le  presenti  a 
ritratto  di  un'ottima  disposizione;  e  se  combattuti  noi  da  gran  ne- 
mico, più  si  cimentamo,  giusti  mantenitori  del  dominio  nostro,  vaglia 
ciò  per  pegno  al  mondo  di  una  sincerissima  volontà,  ed  a  lei  queste 
lettere  di  una  immutabile  osservanza  che  nei  presenti  tempi  brame- 
ressimo  poterle  avvicinare  con  altrettante  prove,  quanto  uniti  se  le 
trovamo  sempre  coll'anima  e  coll'affetto,  pregando  a  V.  M.  per  fine 
lunghezza  d'anni  e  felicità  di  avvenimenti. 

Affermativi    113 

Negativi  1 

Non  sinceri      2 

Verdizotti  Segretario. 

Colla  parte  del  Senato  10  giugno  1662  fu  poi  stabilito  che  si  des- 
sero all'arcivescovo  oltre  alla  presente  lettera  zecchini  50  per  una 
volta  tanto,  per  spese  di  viaggio,  stante  la  molta  sua  povertà,  e  per 
contrassegno  di  conosciuto  merito. 

Filza  Corti,  66. 


DOCUMENTO    I/%\ 


1673,  19  luglio. 

Per  comando  delle  Eccellenze  Vostre  trasferitomi  io  Pietro  Fortis, 
dragomanno  pubblico,  nel  convento  dei  santi  Giovanni  e  Paolo,  dove 
si  attrovano  li  padri  domenicani  venuti  di  Persia,  nominati  Maria  di 


232 

san  Giovanni,  e  Antonio  di  san  Nazaro,  parlando  in  turco,  ai  quali 
dissi  di  aver  le  Eccellenze  Vostre  inteso  il  loro  arrivo  in  questa  città 
con  qualche  commissione  del  re  di  Persia,  che  saranno  ben  veduti, 
desiderando  Sue  Eccellenze  d'intendere  quali  sieno  gli  ordini  che 
tengono.  Risposero  render  umilmente  ed  ossequientissime  grazie 
alla  Maestà  pubblica,  che  si  è  compiaciuta  degnarsi  di  ricercar  di 
loro,  et  dissero  essere  tre  anni  che  sono  partiti  dalla  presenza  del  re 
di  Persia,  con  lettere  dirette  al  ser.mo  principe  di  Venezia,  tre  per 
la  sede  apostolica,  una  pel  re  cristianissimo,  ed  una  pel  granduca  di 
Fiorenza.  Essere  partiti  per  via  di  Moscovia,  ma  per  le  guerre  d'al- 
lora aver  convenuto  fermarsi  nel  viaggio  22  mesi,  che  poi  liberatosi 
il  paese  continuarono  il  loro  viaggio,  e  passando  per  la  Germania  ca- 
pitorno  qui  dopo  un  lungo  e  disastroso  viaggio. 

Ricercati  da  me  se  hanno  qualche  cosa  da  dire  oltre  alle  predette 
lettere,  dissero  che  già  4  anni  fu  spedito  dalla  sede  apostolica  con 
i itolo  di  ambasciador  di  S.  Santità.  Matteo  arcivescovo  di  Naschiwan 
dell'ordine  di  san  Domenico  con  lettere  al  medesimo  re,  alle  quali  ri- 
sponde, come  pure  ebbe  lettere  di  Sua  Serenità  al  medesimo  re,  e 
quelle  che  s'attrovano  avere,  sono  le  risposte.  Mi  dissero  non  aver 
d'avvantaggio,  rimettendosi  alle  lettere  e  supplicando  bene  Vostro  Ec- 
cellenze delle  risposte  che  così  hanno  commissione  dal  re,  perchè 
continui  la  buona  corrispondenza  colla  Ser.  Rep.  instando  d'esser 
spediti  con  celerità. 

Aver  nel  viaggio  così  lungo  patito  molto  e  con  un  dispendio  sopra- 
grande, su  di  che  si  raccomandano  alla  somma  benignità  delle  Eccel- 
lenze Vostre:  instando  pure  di  essere  provveduti  perchè  possino  far 
il  viaggio  per  Fiorenza,  che  di  là  poi  si  porteranno  a  Roma  e  Parigi. 

Tanto  ho  ricavato  dai  medesimi,  in  ordine  ai  comandi  delle  Eccel- 
lenze Vostre, 

Esp.  Principi. 


DOC'UUIEXTtfl    I/VI 


Serenissimi  Signori , 

Richiedevano  le  mie  obbligazioni  che  in  propria  persona  fossi  ve- 
nuto a  render  le  dovute  grazie  a  questo  ecc.mo  senato,  ma  la  mia 
senile  età,  la  lunghezza  del  viaggio,  li  gravissimi  pericoli  che  si  in- 


233 

contrailo,  mi  impediscono  e  la  soddisfazione  del  mio  debito  e  la 
esecuzione  del  mio  desiderio.  Glie  però  quel  tanto  non  mi  è  per- 
messo far  di  persona  vengo  a  farlo  colla  penna,  significandogli, 
come  dopo  gravissimi  pericoli  e  di  mare  e  di  terra,  singolarmente 
in  Erzerum  dove  fui  accusato  per  spia,  giunsi  in  questa  mia  pro- 
vincia e  da  qui  poi  mi  trasferii  in  Ispahan,  dove  ritrovai  appunto 
giunto  l'ambasciatore  di  Polonia.  Per  molti  affari  del  re  fu  ad  am- 
bidue  procrastinata  l'udienza  per  tre  mesi.  Venuto  poi  il  tempo  pre- 
sentai le  lettere  delle  Vostre  Signorie  Eccellentissime  quali  furono 
affettuosamente  ricevute,  et  poi  con  la  maggior  efficacia  possibile 
esposi  la  mossa  della  guerra  contra  del  turco  Ottomano  conforme 
l'impostomi  dalle  Eccellenze  Vostre  e  fui  benignamente  ascoltato.  Mi 
domandò  poi  il  re  minutamente  di  tutti  i  principi  cristiani,  del  loro 
numero,  grandezza  e  potenza  ;  e  di  codesta  Ser.  Rep.  dissi  quel  tanto 
che  in  verità  si  doveva  che  non  era  ad  altri  inferiore.  Per  ottenere 
poi  l'espedizione  sono  stato  trattenuto  sette  mesi.  La  causa  di  tanta 
dilazione  fu  la  nuova  che  sopraggiunse  della  resa  di  Gandia  dal  re 
sentita  al  maggior  segno,  che  mi  disse  queste  parole: 

Come!  principi  cristiani  m'invitano  alla  guerra  col  turco,  mentre 
essi  hanno  resa  una  piazza  tanto  tempo  difesa,  quasi  che  temano  della 
loro  propria  potenza  ? 

Non  mancai  far  ogni  sforzo  per  giustificar  questo  fatto,  procu- 
rando di  renderlo  capace  nel  miglior  modo  fosse  possibile. 

Circa  agli  interessi  della  mia  provincia  ho  ottenuto,  mercè  l'inter- 
cessione di  Vostra  Serenità,  quanto  per  addosso  desideravo.  È  ben 
vero  che  assai  più  avrei  ottenuto  se  non  fosse  stato  l'accennato  di- 
sturbo di  Candia.  Intorno  al  negozio  della  guerra  non  mi  ha  dato 
risposta  alcuna  a  bocca,  dicendomi  che  nelle  lettere  risponsive  si 
contenevano  li  suoi  sentimenti;  che  però  consegnatemi  le  lettere  di- 
rette a  questo  ecc.mo  senato,  insieme  colle  altre  dirette  al  sommo 
pontefice,  mi  comandò  che  per  due  dei  miei  frati  a  posta  le  inviassi, 
acciò  avessero  sicuro  recapito,  e  che  colle  scritture  non  toccassero  i 
passi  dell'Ottoman,  ma  che  si  inviassero  per  la  strada  di  Moscovia, 
e  che  si  accompagnassero  con  il  suo  ambasciatore  quale  egli  inviava 
al  re  di  Polonia.  Tanto  appunto  eseguisco  inviando  per  i  miei  frati  alle 
Signorìe  Vostre  Eccellentissime  l'accennate  lettere  con  affezionalissimo 
rendimento  di  grazie,  promettendomi  dalla  loro  benignità  ogni  pos- 
sibile aiuto,  in  ogni  altra  occorrenza  e  bisogno  di  questi  poveri  cat- 
tolici, posti  nel  mezzo  di  tanti  voracissimi  lupi  di  scismatici  ed  in- 
fedeli, che  fanno  del  continuo  ogni  sforzo  per  divorarli.  E  però  le 


234 

mie  forze  non  sono  sufficienti  per  difenderli  se  non  vengo  aiutato 
dalla  pietà  dei  cristiani  principi,  e  singolarmente  da  codesta  Ser.  Rep. 
che  in  pietà  ogni  altro  eccede.  Raccomando  alla  vostra  benignità 
questi  due  padri,  che  invio;  mentre  per  fine  profondissimamente  me 
le  inchino  augurandogli  dalla  Divina  Maestà  ogni  bramata  pro- 
sperità. 

Da  Naschirvan  provincia  dell'Armenia  maggiore  10  agosto  1670. 
Delle  Vostre  Signorìe  Serenissime 

Umilissimo  ed  obbedientissimo  servo 
Fra   Matteo   Avanisens 
Arcivescovo  di  Naschirvan. 
Esp.  Princ.  Filza  Sì '. 


DOCUMENTO    IìVII. 


Laudato  sia  il  grande  e  onnipotente  Iddio. 

Potentissimo  ,  maestosissimo  ed  altissimo  principe ,  padrone  e 
possessore  del  vasto  dominio  veneziano,  signore  e  monarca  di  gran- 
dezza, maestà,  giustizia  e  magnanimità,  serenissimo  possessore  del 
manto  della  gloria,  potente  dominatore  fra  li  re  cristiani,  di  carità 
e  di  equità  che  non  ha  pari,  qual  s'assomiglia  all'oceano  che  non 
ha  paragone  nella  immensità,  essendo  nota  a  tutto  l'universo  la  sua 
grandezza  e  potenza. 

Dopo  di  che  le  portiamo  colla  presente  che  avendo  la  Serenità 
Vostra  inviate  sue  da  noi  stimatissime  lettere,  per  mano  di  Matteo 
vescovo  di  Naschirvan,  dirette  alla  felice  memoria  del  potentissimo 
nostro  padre  che  ora  gode  stanze  serene  e  gloriose  nel  paradiso  ; 
quali  lettere  sono  state  invece  di  lui  a  noi  presentate,  ed  intesone 
il  contenuto,  alle  quali  si  è  fatta  quella  stima  che  meritano  le  gran- 
dezze cospicue  di  chi  le  ha  inviate. 

E  sopra  il  motivo  della  raccomandazione  perii  popoli  cattolici,  della 
credenza  di  Gesù  che  si  attrovanonel  nostro  dominio,  acciò  godino  tutte 
le  immunità  e  privilegi,  abbiamo  comandato  che  pertutte  le  città,  ca- 
stelli, terre  e  villaggi  dove  vi  sono  abitazioni  sieno  rispettati  ed  ono- 
rati, comminando  che  non  li  sia  inferita  molestia  alcuna:  anzi  per 
maggiormente  far  palese  la  stima  che  facciamo  delle  raccomanda- 


235 

zioni  di  Vostra  Serenità,  abbiamo  comandato  che  attivandosi  in  qual 
si  sia  castello  e  villaggio  alcuno  dei  sopradetti ,  molti  o  pochi  dei 
sudditi  cattolici  in  molto  o  poco  numero,  a  causa  di  loro  restino 
anco  immuni  tutti  gli  altri  di  qualsivoglia  condizione  o  setta,  e  ciò 
per  esservi  colà  abitanti  cattolici;  e  questo  perchè  si  veda  la  nostra 
intenzione  che  è  sempre  per  incontrare  nelle  soddisfazioni  di  un 
principe  così  a  noi  amico,  al  quale  professiamo  osservanza  non  or- 
dinaria. Ma  nonostante  le  immunità  ed  esenzioni  da  noi  concesse  ai 
popoli  non  solo  cattolici,  ma  anco  agli  altri  abitanti  in  quelle  terre  e 
castelli,  hanno  essi  voluto  colla  direzione  del  suddetto  vescovo  Matteo 
contribuire  un  semplice  segno  di  ricognizione  al  mio  erario  come 
dominante,  e  questo  per  goder  perpetuamente  le  concessioni  da  noi 
fatteli ,  dove  per  consolarli  abbiamo  così  confermato.  Onde  con 
questo  decreto  restano  immuni  da  qualsivoglia  altra  contribuzione, 
cui  per  l'avanti  soccombevano, non  solo  all'erario  regio,  ma  anco  alli 
rappresentanti  che  colà  si  attrovano  e  che  per  l'avvenire  vi  saranno; 
quali  dovranno  in  tutta  puntualità  adempire  ed  eseguire  i  nostri  co- 
mandi nel  ben  governarli,  proteggerli  e  difenderli  da  qualsivoglia 
molestia,  i  quali  popoli  potranno  a  loro  piacere  e  con  sicurezza  atten- 
dere ai  loro  negozi.  Abbiamo  avuto  notizia  come  la  guerra  che  ver- 
tiva  sopra  l'isola  di  Candia  con  l'Ottomano  resti  ora  cessata,  ed  il  tutto 
aggiustato  con  la  pace  stabilita  e  convertita  in  buona  amicizia,  ed 
attrovarsi  al  presente  la  predetta  isola  di  Candia  in  potere  del  mede- 
simo Ottomano  e  restate  sopite  tutte  le  differenze.  Nonostante  però  se 
nell'animo  della  Serenità  Vostra  insorgesse  altro  di  nuovo  sopra 
ciò,  la  preghiamo  che  senza  alcun  rispetto  o  riguardo  si  compiaccia 
darci  avviso  e  manifestarci  l'animo  suo,  assicurandola  di  una  pron- 
tezza nell'abbracciare  e  poner  in  esecuzione  quanto  ci  dirà  e  quanto 
desidera. 

Nel  resto  le  preghiamo  dal  Signor  Dio  tutte  le   felicità,  prospe- 
rità e  grandezze  maggiori. 

Sigillo  del  re  di  Persia  Suleiman. 

Pietro  Fortis 
Dragomanno  pubblico. 
Esp.  Princ.  Filza  40. 


236 

DOCUMENTO  LVIII. 


Relazione  presentata  al  senato  dal  dragomanno  Fortis  intorno  al  col- 
loquio da  esso  tenuto  coi  padri  domenicani  venuti  dalla  Persia. 

Serenissimo  principe , 

Avendo  fatta  istanza  i  padri  domenicani,  venuti  dalla  Persia,  a  voler 
conferire  con  me  Pietro  Fortis,  alcuni  particolari  da  portarsi  alla 
notizia  di  Vostra  Serenità,  ne  diedi  parte  agli  ecc.  Savj  dai  quali 
comandato  di  riferire  tutto  ciò  che  dai  medesimi  sarà  rapportato, 
dissero: 

Che  il  viaggio  loro  benché  sia  stato  lungo,  ad  ogni  modo  questi 
tre  anni  non  sono  stati  spesi  sempre  nel  cammino,  ma  bensì  per 
esser  stati  fermati  nelli  confini  della  Persia  e  Moscovia  22  mesi  con- 
tinui, per  causa  delle  guerre  con  alcuni  ribelli  del  moscovita,  e  che 
fu  comandato  alli  medesimi  padri  dallo  stesso  re  con  ordine  espresso 
di  non  progredire  il  viaggio  se  prima  non  ricevevano  altre  commis- 
sioni ,  dubitando  che  arrestati  o  svaligiati  in  qualche  parte  per  le 
turbolenze  insorte  potessero  perdersi  le  lettere  che  tenevan  per  la 
Serenità  Vostra  e  per  altri  principi. 

Furono  fermati  medesimamente  in  Polonia  più  di  tre  mesi,  non 
permettendoli  di  passar  oltre  quei  comandanti,  e  ciò  per  non  aver 
lettere  del  re  di  Persia  dirette  a  quelli;  ma  capitato  poi  l'ambasciatore 
Polacco,  si  levarono  di  là  e  proseguirono  il  loro  cammino. 

Nel  discorso  che  tenne  il  medesimo  re  di  Persia  con  l'arcivescovo 
di  Naschirvan  prima  della  loro  partenza,  fu  sopra  ogni  altro  principe 
della  cristianità  esaltato  il  nome  della  Serenissima  Repubblica  di 
Venezia,  riguardevole  a  tutto  il  mondo,  ma  particolarmente  per  aver 
sola  contro  la  potenza  dell'  ottomano  imperio,  non  solo  sostenuti 
gli  incontri  tanti  anni,  ma  desertati  tanti  paesi,  ed  ottenute  tante 
vittorie  contro  il  medesimo,  colla  distruzione  delle  sue  armate  ma- 
rittime, il  che  ha  reso  stupore  a  tutto  l'universo.  Dagli  avvisi  che  ca- 
pitarono in  Persia  si  seppe  la  pace  seguita,  e  sebbene  l'isola  di 
Gandia  rimase  in  potere  del  Turco,  fu  però  col  cambio  di  altri  Stati 
e  particolarmente  di  alcune  piazze  invece  dell'isola  predetta,  rimaste 
sotto  il  comando  della  Repubblica.  Ma  che  però  la  pace  non  poteva  sus- 
sistere stantechè  i  principi  cristiani  avrebbero  mosse  le  armi  al 


237 

Turco  per  la  ricupera  del  detto  regno.  Esser  molto  tempo  che  il 
Persiano  nutrisce  stimoli  di  vendetta  contro  l'Ottomano;  ma  la  tre- 
gua seguita  fra  loro  nella  presa  di  Babilonia,  di  30  anni,  con  giura- 
mento solenne  lo  obbligava  all'osservanza.  E  benché  spirata  setto 
anni  or  sono,  furono  tante  le  cause  di  ambe  le  parti  che  si  prorogò  da 
se  stessa;  perchè  il  Persiano  occupato  nella  guerra  con  il  Magor  per 
la  contesa  di  Gonducar,  fortezza  di  considerazione  nei  loro  confini, 
ed  il  Turco  impegnalo  in  quella  di  Gandia,  fu  cagione  che  ambidue 
simularono  l'odio  implacabile  che  verte  tra  queste  due  nazioni;  ma 
l'assunzione  al  trono  del  regnante  re  d'età  d'anni  28,  con  desiderio 
di  riavere  il  perduto  e  restituire  al  nome  persiano  l'antico  splendore, 
che  sempre  nei  tempi  andati  fu  superiore  al  Turco,  lo  stimula  ad 
una  generosa  risoluzione,  annuendo  pure  alla  sua  inclinazione  i  go- 
vernatori delle  provincie,  nelle  quali  sono  investiti  dalli  re  in  forma 
di  feudo  e  vi  continua  la  successione  nei  loro  pos'teri,  non  come  i 
bassa  dell'Ottomano  che  di  niente  e  senza  meriti  vengono  innalzati 
al  comando  il  quale  appena  principiato  svanisce,  e  finisce  senza  me- 
moria e  senza  posterità. 

Vive  dunque  nella  Persia  la  brama  di  cimentare  le  armi  contro  il 
Turco,  e  si  andava  disponendo  l'armamento  con  gran  coraggio, 
essendo  capitati  avvisi  ai  detti  padri  in  Polonia  della  mossa  di 
60,000  cavalli  con  altri  ancora  che  si  attendevano  dalle  provincie 
più  lontane,  oltre  la  provisione  che  si  faceva  di  fanteria,  benché  lo 
sforzo  di  quella  milizia  consiste  nella  cavalleria.  Essersi  già  pub- 
blicamente promulgata  la  intenzione  del  Persiano,  disponer  Y  armi 
contro  Y  Ottomano  ;  essere  seguite  alcune  fazioni  nei  confini  di 
Erivan.  La  ribellione  di  un  bassa  turco ,  ricoveratosi  sotto  il 
Persiano,  e  mediante  quella  di  un  comandante  persiano  portatosi 
nello  stato  del  Turco  colle  continue  scorrerie  che  si  fanno  in  quei 
confini,  come  pure  la  invasione  dei  cosacchi  con  saiche  nelle  paludi  del 
mar  Nero  verso  la  Tana,  che  obbligava  il  Turco  a  spedir  colà  l'armala 
di  galere.  L'unionepoi  del  Moscovita  e  del  Polacco  contro  del  medesimo 
Ottomano,  lo  potrà  metter  in  grande  apprensione,  poiché  l'invasione 
che  possono  far  nel  marNero,  con  il  mezzo  dei  cosacchi  con  le  saiche  in 
forma  di  barche  armate  con  70  o  80  soldati  armati  per  ciascheduna 
può  opprimerlo  molto,  mentre  lo  sforzo  dell'  alimento  di  Costanti- 
nopoli d'altra  parte  non  gli  è  permesso,  che  da  quel  mare,  poco 
d'altrove  avendone  rispetto  al  bisogno  di  una  così  grande  e  po- 
polosa città.  Le  qual  saiche  possono  con  facilità  impedire  alli 
vascelli  che  transitano  per  quel  mare  F  ingresso  nel  canale  di  Co- 


238 

stantinopoli  come  altre  volte  è  seguito,  e  che  pose  in  gran  costerna- 
zione il  Turco;  sicché  invaso  nel  mar  Nero,  molestato  per  terra  nelle 
Provincie  di  Valacchia,  Moldavia  e  Transilvania,  possono  senza  diffi- 
coltà gii  aggressori  inoltrarsi  fino  a  Costantinopoli,  non  vi  essendo 
fortezze  né  passi  che  lo  impediscano,  per  aver  anco  uniti  al  loro  par- 
tito buona  parte  di  quei  tartari  che  non  obbediscono  al  gran  Khan 
di  Tartaria  e  che  solo  mirano  al  loro  provecchio  colla  speranza  di 
gran  bottino. 

L'esibizione  del  re  di  Persia  fatta  alla  Serenità  Vostra  non  es- 
sere senza  gran  fondamento,  mentre  stimate  da  lui  queste  forze 
nella  cristianità  maggiori  di  qualsiasi  altro  principe,  si  prefigge  che 
possono  far  molto  per  mare  e  reprimere  qualsivoglia  tentativo  del 
medesimo,  perchè  oppresso  per  terra  dall'esercito  polacco  e  mo- 
scovita, invaso  dai  medesimi  nel  mar  Nero,  che  sarebbe  un  trafig- 
gerlo nelle  viscere  più  interne,  assalito  dal  Persiano  nell'Asia,  e  lon- 
tano dalli  soccorsi,  combattuto  nel  mar  Bianco  dalle  armi  di  Vo- 
stra Serenità  ,  portandosi  le  armate  fino  ai  castelli  dello  stretto, 
caderà  inevitabilmente  quella  potenza  che  con  tirannide  possedè 
tanti  regni  e  che  va  occupando  alla  giornata  li  Stati  altrui. 

Essere  il  Persiano  propenso  molto  nell'incontrare  le  soddisfazioni 
della  Serenissima  Repubblica,  e  va  meditando  il  modo  di  far  cono- 
scere il  suo  desiderio  e  di  impiegare  le  sue  armi  a  prò  di  questa , 
facendo  gran  capitale  della  medesima,  per  il  beneficio  che  ponno 
ricevere  con  tale  unione  gli  interessi  di  quella  corona,  come  pure  la 
Serenità  Vostra. 

Ma  perchè  quel  principe  non  è  come  gli  altri  più  vicini,  e  che  si 
internano  cogli  avvisi  nel  comprendere  lo  stato  degli  altri,  sarebbe 
molto  giovevole  agli  interessi  di  Vostra  Serenità  e  della  cristia- 
nità tutta,  che  si  compiacesse  spedire  qualche  persona  pratica  a  quel 
re  colla  istruzione  di  quello  che  ricerca  lo  stato  presente  delle  vi- 
cende che  corrono  :  perchè  né  il  vescovo  suaccennato,  né  altri  di 
quel  paese  non  avendo  il  filo  e  la  notizia  delle  cose  d'Europa,  e  di 
quello  ricerca  il  bisogno  non  ponno  e  non  sanno  rappresentare  a 
quel  re,  benché  istrutti,  una  minima  parte  di  quello  che  farebbe  una 
persona  versata  in  affari  simili,  perchè  al  sicuro  indurrebbe  quel 
rea  deliberazioni  molto  giovevoli  alla  cristianità  e  sarebbe  gradita 
al  maggiore  segno,  essendo  stato  già  in  altri  tempi  fatta  simile  spe- 
dizione dalla  Serenità  Vostra,  come  pure  capitarno  qui  ambasciatori 
di  quel  re. 

E  perchè  la  mossa  delle  armi  persiane  contro  il  Turco  può  cau- 


239 

sare  che  resti  preclusa  la  via  al  commercio  per  la  Turchia  delle 
merci  che  capitano  a  questa  piazza  dalla  Persia,  si  potrebbe,  come 
il  re  lo  desidera,  avere  reciproco  concorso  colle  flotte  da  Ormuz  o 
d'altra  scala  in  fìnoMoscovia,  e  di  là  poi  con  le  carovane  per  terra  per 
la  Polonia  e  la  Germania  la  condotta  delle  sete  e  d'altre  merci  pre- 
ziosissime, le  quali  si  porteranno  dai  medesimi  Persiani  in  questa 
città  con  più  sicurezza,  per  mutarle  in  tante  pannine  d'oro  e  di  seta 
e  d'altre  merci,  come  si  praticava  prima  simile  condotta  con  le  navi 
d'Aleppo  o  d'altro  scalo  delle  Sorìe;  perchè  se  gli  Olandesi  e  gli  In- 
glesi ne  vorranno,  capiteranno  in  questa  città  a  comprarne  ,  e  non 
avranno  per  l'avvenire  quelle  forme  così  vantaggiose  da  loro  prati- 
cate nella  compreda  delle  medesime  sete  a  loro  piacimento,  per  non 
saper  quei  popoli  altrove  esitarle,  e  lo  facevano  a  vilissimo  prezzo. 

Tanto  mi  dissero  di  portare  alla  notizia  delle  EE.  VV.  in  ordine  a 
quello  è  stato  loro  comandato. 

Reg.  Esp.  Princ.  pag.  43. 


DOCUMENTO  LI*. 


1673,  23  luglio,  in  Pregadi. 

Al  re  di  Persia. 

Dai  padri  domenicani  in  Europa  spediti  da  monsignor  reverendo 
arcivescovo  di  Naschirvan,  ci  sono  state  rese  in  questi  giorni  lettere 
di  V.  M.  ricevute  da  noi  con  quel  contento  che  può  esser  ben  con- 
cepito dalla  conoscenza  della  stima  rispetto  ed  affettuosa  osservanza 
professata  sempre  dalla  Repubblica  nostra  alla  sua  serenissima  casa, 
e  continuala  alla  sua  imperiale  persona,  seeondo  l'istituto  dei  mag- 
giori nostri,  dell'assunzione  della  quale  al  trono  colle  più  cordiali 
espressioni  dei  nostri  cuori,  ce  ne  rallegriamo;  come  alla  perdita 
della  Maestà  del  padre,  contribuimo  affettuoso  sincero  compatimento, 
consolandosi  nel  vederla  compensata  colla  successione  di  sì  degno 
erede,  d'ogni  più  squisita  prerogativa  adornato.  Li  favori  dalla  M.  V. 
impartiti  nei  suoi  felicissimi  Stati  a  monsignor  vescovo  di  Naschirvan  ed 
ai  cattolici  con  il  riguardo  di  esimerli  da  ogni  aggravio,  che  da  tenue 
volontario  solo  all'imperiai  cassa,  è  degno  effetto  della  sua  generosità, 
che  obbligando  noi  a'più  sinceri  ed  efficaci  rendimenti  di  grazie , 


2iO 

impetrerà  dal  grande  Iddio  alla  degnissima  persona  e  casa  di  V.  M. 
la  affluenza  d'abbondanti  concorsi  di  prosperi  eventi,  al  singoiar 
merito  che  la  adorna  corrispondenti  ed  adequati.  A'  sudditi  però 
di  codesto  serenissimo  imperio  saran  nei  stati  nostri  sempre  e  per 
propension  propria  nostra,  e  per  corrispondere  alle  cortesissime  de- 
liberazioni sue,  prestato  ogni  miglior  trattamento,  assistiti  li  mer- 
canti nei  loro  negozi,  e  fattegli  godere  tutte  le  prove  di  affetto  e 
dilezione,  e  quanto  più  abbondante  sarà  il  loro  concorso  sarà  tanto 
maggiore  il  nostro  godimento,  di  poter  con  più  copiosi  efletti  far 
conoscere  la  stima  che  per  Vostra  Maestà  havemo,  ed  il  desiderio  di 
comprobargliela  con  effetti.  Con  grandissimo  sentimento  si  ricevono 
pure  li  cortesi  sensi  della  M.  V.  verso  le  cose  pubbliche,  che  ad 
ogni  occorrenza  saran  sempre  corrisposti  dalla  Repubblica  nostra 
con  pari  affetto  e  propensione  alle  grandezze  e  vantaggi  del  suo 
serenissimo  dominio. 

Terminando  le  presenti  col  pregar  a  V.  M.  copiose  prosperità  e 
grandezze  con  incremento  di  gloriosi  successi  e  lungo  corso  di 
anni  felici. 

E  da  mo  sia  preso:  che  nel  darsi  nel  collegio  le  lettere  ai  padri 
domenicani  pel  re  di  Persia,  sian  dal  Serenissimo  Principe  spese 
parole  che  indicando  la  stima  delle  lettere  e  persona  reale,  dichia- 
rino soddisfazione  e  godimento  per  le  loro  espedizioni  verso  mon- 
signor vescovo  di  Naschirvan  che  li  ha  mandati. 

Sia  pur  deliberato  che  a' padri  predetti  che  sono  due  con  li 
compagni  sia  pagato  il  viaggio  sino  a  Fiorenza  che  imporla  ducati 
cinquanta.  Edalli  stessi,  delti  danari  della  Signorìa  nostra  sien  dati 
in  dono  scudi  d'argento  cento  per  una  volta  tanto,  che  doveran  es- 
serli fatti  capitar  dalli  Savi  del  collegio  con  la  notizia  del  deliberato 
per  il  viaggio,  come  meglio  loro  parerà. 

De  parte        148 
De  non  0 

Non  sinceri       2 

Padavin  Seg. 

Senato  Corti. 


241 
DOCUMENTO    ML. 


1695,  4  giugno. 

Al  re  di  Persia. 

Quanto  ha  sempre  la  Repubblica  nostra  tenuto  in  considerazione 
di  veri  amici,  e  quanto  ha  professato  di  affetto  e  di  particolarissima 
stima  a  tutti  li  degnissimi  progenitori  della  M.  V.,  altrettanto  conosce 
opportuno  e  convenevole  nella  esaltazione  di  sua  persona  presente- 
mente al  dominio  di  codesto  celebre  regno,  portargliene  un  pieno  te- 
stimonio con  esprimergliene  il  contento  del  Senato  di  veder  appog- 
giata la  mole  del  governo  alla  grande  sua  direzione,  che  tale  viene  a 
ripeterlo  il  mondo  tutto  per  le  doti  singolari  che  la  adornano  e  che 
sono  universalmente  acclamate. 

A  questo  sentimento  di  nostra  sincera  inalterabile  osservanza,  non 
potemo  non  unire  quelli  delle  speranze  che  giustamente  concepimo, 
nella  costanza  e  nel  vigore  coi  quali  da  noi  si  versa,  con  profusioni 
d'oro  e  di  sangue,  per  far  argine  alle  vaste  immagini  della  potenza 
ottomana  di  predominare  l'universo  intiero,  veder  anco  dal  canto 
della  M.  V.  date  le  mosse  ai  proprii  vittoriosi  eserciti  contro  si  po- 
tente inimico,  per  tener  abbassato  non  solo  il  di  lui  fierissimo  orgo- 
glio, ma  per  restituire  a  codesta  corona  quei  stati  che  con  violenta 
ed  ingiusta  usurpazione  gli  sono  stati  dal  medesimo  smembrati,  onde 
vagliano  le  glorie  di  V.  M.  a  divertire  le  vessazioni  comuni,  augu- 
rando noi  al  suo  grande  merito  li  avvenimenti  più  fortunati  e  le  feli- 
cità più  desiderabili,  congiunte  con  lunghezza  d'anni. 

De  parte        125 
De  non  0 

Non  sinceri       1 

Senato  Secreta. 


16        Bollettino  Consolare,  Vo!    ìli, 


242 

DOCUMENTO     MLI. 


Sia  lodato  il  grande  Iddio, 

Sia  sempre  benedetto  il  nome  del  potente  Iddio, 

Sia  lodato  e  salutato  il  profeta  Macometto  et  suoi  seguaci. 

Al  sublime,  eccelso,  magnanimo  signore,  imperatore  e  monarca, 
supremo  duce,  glorioso,  trionfante,  cospicuo  tra  i  più  grandi  impera- 
tori. A  voi  che  siete  il  re  più  potente  fra  i  nazareni  credenti,  ed  ar- 
bitro degli  affari  tra  i  più  maestosi  principi  della  religion  del  Messia 
e  di  tutto  l'imperio  della  cristianità,  quello  che  porta  sopra  il  capo 
la  corona  universale  e  possiede  la  fortuna  di  Alessandro  Magno,  pos- 
sessore del  manto  della  gloria  concessa  ab  eterno  dalla  maestà  del 
sommo  e  potente  Dio,  signore  che  viverà  in  tutti  i  secoli  glorioso  e 
trionfante,  che  così  le  viene  da  noi  augurato  con  tutta  la  credenza 
maggiore. 

Si  porta  li  più  sinceri,  amichevoli,  cordiali  ed  affettuosi  saluti 
quali  possono  derivare  dalla  corrispondenza  pronta  di  buon  amico. 
Dopo  di  che  si  notifica  alla  S.  V.  e  grandezza  esserci  perve- 
nuta una  lettera  scritta  dalla  sua  magnanimità  e  presentataci  in  ora 
propizia  da  Antonio  Doni,  il  quale  ha  in  tutti  i  numeri  adempiuto  il 
comando  che  dalla  sua  sublimità  gli  è  stato  commesso,  e  dal  quale  ci  è 
stata  con  tutte  le  forme  più  efficaci  rappresentata  la  buona  disposi- 
zione che  la  grandezza  sua  si  compiace  conservare  verso  di  noi. 

In  quanto  a  quello  si  pratica  in  questo  stato  intorno  al  succedere 
all'eredità  delle  facoltà  dei  fratelli,  cioè  quando  un  armeno  abbracci 
la  legge  maomettana,  è  costume  sempre  mai  continuato  e  però  tale 
essendo  non  si  può  alterare  la  legge  antica:  così  lo  rappresentiamo 
alla  sua  notizia  poiché  costà  non  può  esser  cosa  alcuna  a  lei  nasco- 
sta; tuttavolta  per  levare  qualsisia  inganno  o  pregiudizio  dei  mede- 
simi si  daranno  ordini  espressi  ai  giudici  cui  spetta,  acciò  questa 
nazione  non  abbi  a  soggiacere  ad  alcuna  molestia,  ma  solo  a  quello 
comandano  le  leggi  antiche,  e  ciò  sarà  fatto  e  intanto  se  ci  sarà  dato 
il  modo  di  manifestare  sempre  più  la  nostra  cordiale  e  sincera  ami- 
cizia colla  Ser.  V.  capitando  qui  alcuno  dei  suoi  sarà  in  tutti  i 
numeri  ben  visto,  se  li  somministrerà  ogni  aiuto  e  si  procurerà  di 
fare  il  possibile  acciò  si^adempisca  la  volontà  della  sua  grandezza. 
Tanto  desideriamo  di  corrispondere  alle  sue  cordiali  espressioni  che 


243 

si  è  compiaciuta  darcene  nelle  sue  lettere,  le  quali  da  noi  al  maggior 
segno  sono  desiderate,  acciò  sempre  resti  ferma  e  radicata  questa 
buona  corrispondenza,  che  come  tale  viene  da  noi  sempre  promessa, 
e  per  il  resto  il  grande  Iddio  sii  quello  che  prosperi  e  rendi  fortunato 
il  suo  stato  ed  imperio. 

Sigillo:  //  servo  di  Dio,  Abbas  re  di  Persia. 

Liber  dominorum,  Arch.  gen.,  la  sola  traduzione. 


docuhi eira-i»    Ijxii. 


1663,  29  decembre. 

Al  re  di  Persia. 

Fra  le  glorie  più  insigni  della  M.  V.  quella  particolarmente  ri- 
splende della  bontà  colla  quale  si  degna  di  riguardare  ed  anidre  li 
proprii  sudditi;  né  essendo  li  cattolici  commoranti  sotto  il  felice 
suo  impero  nientemeno  divoti  ed  affezionati  alla  di  lei  corona  di 
quello  sieno  gli  altri,  a  ragione  si  persuadono  e  promettono  ogni 
favore.  Di  qui  è  però  che  dovendo  la  M.  V.  essere  supplicata  dal 
padre  fra  Antonio  Fassi  domenicano  vicario  generale  in  Oriente  di 
una  grazia  a  favore  dei  medesimi,  come  essi  se  la  persuadono 
dalla  generosità  del  di  lei  animo ,  così  la  Repubblica  nostra,  che 
professa  grande  osservanza  verso  il  suo  cospicuo  nome  e  che  tiene 
tanta  parte  nel  vantaggio  del  cristianesimo  ,  viene  ad  intercedere 
con  tutta  la  sua  svisceratezza  dell'animo  perla  medesima,  il  che  non 
anderà  disgiunto  dai  riguardi  del  vantaggio  della  sua  corona,  e 
sommamente  obbligherà  la  Repubblica  stessa,  la  quale  brama  che 
dalla  M.  V.  sia  prestato  cortese  l'orecchio  al  padre  suddetto  in  ciò 
che  le  rappresenterà  in  ordine  alla  suddetta  istanza.  E  qua  alla 
M.  V.  bramando  gli  incrementi  delle  maggiori  felicità,  gli  auguriamo 
felice  e  prospero  il  corso  degli  anni. 

De  parte  125 

De  non         1 

Non  sinceri   2 

Tommaso  Tizzoni  Seg. 


Questa  raccomandazione  è  stata  chiesta  dal  granduca  di  Toscana 
per  mezzo  del  suo  residente  a  Venezia  Celesi;  il  quale  fatto  venire 
in  collegio  nel  29  decembre  ebbe  oltre  questa  lettera  un'altra  pel 
granduca ,  acciò  il  padre  Fassi  per  incarico  di  quello  sostenesse 
in  Persia  gli  interessi  della  causa  comune,  rispetto  agli  impegni 
colle  armi  turchesche  in  Ungheria,  invitando  lo  shàh  a  coglier  l'oc- 
casione di  riacquistare  alla  propria  corona  l'antico  patrimonio. 

Senato  Corti,  Reg.  40  e  Filza  59. 
DOCUMENTO  libili. 


18  luglio  1669. 

Serenissimo  Principe, 

Quelle  insegne  gloriose  che  tiene  spiegate  la  Serenità  Vostra  a  di- 
fesa della  cattolica  religione  sono  tante  ali  della  fama,  che  pubbli- 
cano le  glorie  di  questa  Ser.  Rep.  anco  nelle  più  remote  parti  del 
mondo.  Di  qui  è  che  per  interceder  l'alto  patrocinio  di  V.  S.  sin 
dalla  Persia  son  qui  venuto  ;  io  Arachidi  arcivescovo  armeno  servo 
umilissimo  di  Vostra  Serenità. 

Fiorisce  in  quelle  parti  tra  le  spine  del  maomettanismo  la  cattolica 
religione,  e  quei  poveri  cristiani  bramano  .erigere  nella  città  di 
Erivan  una  chiesa,  e  la  pietà  del  sommo  Pontefice  è  concorsa  a  scri- 
vere al  re  di  Persia  perchè  permetta  questa  erezione.  Il  stesso  breve 
pontificio,  accompagnato  da  molti  testimoniali  di  quello  eminentis- 
simo  porporato,  humilio  alla  Serenità  Vostra  per  comprobazione  del 
tutto,  e  la  supplico  col  solito  di  sua  cristiana  carità  accompagnarmi 
anch'essa  con  sue  lettere  al  re  di  Persia,  acciò  mediante  le  alte  in- 
tercessioni della  Serenità  Vostra  più  facile  riesca  la1  permissione  della 
erezione. 

Humiliato  pure  imploro  gli  effetti  della  pubblica  real  munificenza, 
che  valgano  a  sovvenirmi  in  un  così  lungo  e  disastroso  viaggio,  ac- 
certando la  Serenità  Vostra  che  così  io  nei  miei  sacrifici,  come  tutti 
quei  poveri  cristiani  porgeremo  fervide  le  preci  alla  Divina  Maestà, 
perchè  conceda  vittorie  e  palme  alle  armi  gloriose  della  Serenità 
Vostra.  Grazie. 

Senato  Corti,  SS. 


245 
DOCUMENTO  IiULIV. 


4669,  20  julii  in  Senatu. 

Ad  Persarum  Regem. 

Pietatis  impulsu  digne  excitatus  venerabilis  archiepiscopus  Ara- 
chielis  armenus  prolixo  piane  despecto  itinere  Romam  adiit,  ubi 
humanilate  ac  virtute  emicans  vir  habuit  consequi  apud  Maiestatem 
Vestram  officiosas  ac  enixas  summi  Pontificis  commendatitias,  ut 
generose  ac  perlibenter  ipsi  eadem  largiatur  facultatem  construendi 
ecclesiam  in  civitatem  de  Erivan  in  cultum  erga  Deum  et  in  Christi 
fidelium  solatium  qui  illic  incolunt.  Eundem  ergo  huc  perventum 
comiter  excipimus  cum  suavitatis  et  honesti  grafia  ingenii  causa,  tum 
honoris,  quo  ipsum  idem  summus  Pontifex  suarum  lilterarum  com- 
menta prosecutus  est,  et  ipsi  Archiepiscopo  nostrarum  ibidem  com- 
mendationum  cupiditate  flagranti,  grato  animo  condescendimus,  eas 
perlibenter  concedendo,  presertim  ob  sic  nobis  oblatam  opportunita- 
tem  in  Majestatis  Vestrae  memoriam  redigendi  veterem  nostrani 
observantiam.  His  igitur  enixe  rogamus,  ut  benigne  de  erectione 
eiusdem  templi  sua  regia  voluntas  assentiatur,  quam  ipse  Archiepi- 
scopus suppliciter  implorabit,  non  temere  credentes  Maiestatem 
Vestram  consueta  mira  clementia  imperturam  hoc  gratiae  ;  quod 
certo  fiet  non  absque  sui  nominis  praeclarissimi  gloria  quae  ab  avec- 
lione  divini  cultu  sibi  emanavit,  et  inde  magnus  ad  sua  pristina  erga 
nos  studia  cumulus  accedet.  Hoc  interitu  a  Deo  summopere  petimus 
ut  satis  longum  vitae  spatium  M.  V.  peragat  et  omnia  sibi  feliciter 
eveniant. 

E  da  me  sia  preso  che  del  danaro  della  Signorìa  Nostra  sia  dato  in 
dono  per  una  volta  tanto  ducati  cento  buona  valuta  al  sopradetto  ar- 
civescovo armeno. 

+   81 

—  0 

—  3 

Lodovico  Franceschi  Segretario. 
Senato  Corti,  83. 


246 


Sia  glorificato  il  nome  di  Dio. 


Silvester  Valeria  sy 

Adorno  di  felicità,  principe  confederato  e  grande  di  Venezia  e 
delli  stati  Bergamasco,  Gremasco,  Bresciano,  Veronese,  di  Padova, 
del  Polesine,  del  Gadorin,  dell'Istria,  della  Dalmazia,  d'Epiro,  Lesina, 
Corfù  ,  Cefalonia ,  Zante,  Gerigo,  Candia,  Micone,  del  Vicentino, 
del  Trevisano,  Feltrino,  Bellunese,  Cherso,  Arbe,  Ghersoneso,  ecc. 
Siccome  colle  espressioni  fregiate  dell'amicizia  e  buona  corrispon- 
denza mi  portate  le  notizie  ripiene  di  congratulazione  e  testimonianza 
di  affetto  per  la  assunzione  mia  disposta  dalla  divina  Provvidenza  al 
trono  monarcale  ed  ornamento  del  mondo,  così  bramo  di  accudire 
in  questo  tempo  con  diligenza  acciò  possa  riescir  bello  e  fruttifero  il 
fine;  e  che  un  albero  piantato  di  primavera  faccia  confidare  un  buon 
autunno  nella  raccolta  dei  suoi  desideri. 

Si  dissiparono  poi  in  un  istante  le  nubi  ai  raggi  luminosi  della  pace 
ed  amicizia  con  la  partecipazione  favorevole  del  vostro  ben  stare  ed 
abbondante  del  genio  vostro  sincero  verso  di  me,  assieme  con  le 
vaste  idee  che  nutrite  per  l'avanzamento  a  gradi  maggiori  che  io  ve 
lo  prego  dal  creatore,  ed  assicuro  che  dal  mio  canto  si  avrà  sempre 
riguardo  a  quello  concerne  alla  grandezza  e  dominio  del  mondo. 

Intanto  vi  desidero  un  fine  propizio  ed  una  vita  coronata  di  vit- 
torie ed  aiuto  eterno,  come  pure  la  continuazione  della  vostra  colle- 
ganza. Ed  augurando  al  vostro  dominio  e  governo  potenza  e  fine  for- 
tunato, prego  Dio  vi  concedi  il  suo  perdono. 

Con  tali  caratteri  invia  e  rappresenta  la  dichiarazione  della  sua 
sincerità  il  servo  dell'Altissimo. 

Sigillo  —  Sultan  Huseim  Monarca  universale 
figlio  di  Suleiman. 

Questa  traduzione  è  del  dragomanno  Fortis;  l 'originale  ed  il  sigillo, 
fotografati,  stanno  a  pag.  1  e  55  della  presente  memoria. 


247 
noe  l 'niKvro    Ma1L\w. 


1697,  d5  marzo,  in  Pregadi. 

Al  re  di  Persia. 

Passa  negli  stati  felici  di  V.  M.  mons.  rev.  fra  Pietro  Paolo  Palma 
carmelitano  scalzo  arcivescovo  d'Andra,  per  affari  incaricatigli  dal 
nostro  sommo  pontefice,  e  sebbene  siamo  certi  che  per  le  distinte 
condizioni  di  virtù  e  di  merito  che  adornano  questo  degno  soggetto, 
sarà  benignamente  accolto  coi  suoi  compagni  dalla  bontà  della  Maestà 
Vostra,  non  lasciamo  di  raccomandarglielo,  come  pure  li  suoi  ne- 
gozi che  anderà  maneggiando,  e  stessamente  monsignor  Elia  pure 
carmelitano  scalzo,  e  tutta  questa  esemplar  religione. 

Confidiamo  nell'animo  invitto  e  grande  di  Vostra  Maestà  che  queste 
nostre  raccomandazioni  saranno  gradite  dal  suo  molto  stimato  af- 
fetto, mentre  noi  siamo  pronti  a  dare  alla  Maestà  Vostra  in  tutti  gli 
incontri  vere  prove  dell'osservanza  nostra  sincera  verso  la  reale 
persona  di  Vostra  Maestà,  a  cui  bramiamo  incrementi  sempre  mag- 
giori di  gloria  in  anni  lunghi  di  felicissima  vita. 
Affermativi  112 
Negativi  0 

Non  sinceri        0 

L.  S. 
Michel  Marino  Segretario. 
Filza  Roma  ordinaria,  1697 . 


DOClJIttEtfT©     IiXVII. 


1718,  23  decembre,  in  Pregadi. 
Al  re  di  Persia. 

Dal  cuore  magnanimo  dei  gloriosi  predecessori  di  Vòstra  Maestà 
e  dall'imperiale  benignità  sua,  protetta  sempre  egualmente  la  catto- 
lica religione  nei  suoi  felicissimi  stati,  riesce  alla  stessa  tanto  più 
sensibile  il  vedersi  perturbata,  quanto  più  lontani  dalla  regia  sua 
mente  son  li  disordini  arrivati  a  Tiflis  in  Georgia  ad  istigazione  del 


248 

patriarca  armeno  e  di  un  cerio  Minas  Vartutier,  con  danno  per- 
sonale dei  cappuccini  missionari  e  d'altri  armeni  cattolici  e  collo 
spoglio  della  loro  chiesa. 

Quanto  degno  è  l'oggetto  di  presentarsi  all'animo  retto  e  pietoso 
di  Vostra  Maestà  per  esigere  gli  effetti  della  sua  imperiale  giustizia, 
altrettanto  forte  è  il  motivo  che  move  gli  animi  del  senato  ad  avan- 
zarle le  proprie  premure,  onde  con  ogni  maggiore  efficacia  pre- 
ghiamo la  Maestà  vostra  a  degnarsi  di  porger  sollievo  agli  oppressi 
cogli  ordini  opportuni,  affinchè  cessino  gli  insulti  e  le  animosità,  e 
sia  restituita  la  cattolica  religione  nella  sua  pristina  quiete.  Mentre 
però  in  favor  della  istanza  parla  con  vigor  sufficiente  l'equità,  ed 
essendo  certo  il  senato  che  questa  titolo  sarà  motivo  bastante  per 
meritarsi  l'imperiai  sua  protezione  :  così  non  ci  resta  che  ravvivare 
con  tale  incontro  alla  Maestà  Vostra  l'antica  stima  ben  distinta  e  la 
osservanza  affettuosa  che  la  Repubblica  nostra  professa  alla  serenis- 
sima sua  casa  ed  imperiale  persona,  e  pregare  il  grande  Iddio  che 
sopra  di  essa  diffonda  le  grandezze  e  prosperità  più  copiose,  con 
incremento  di  gloriosi  successi,  e  che  il  giro  degli  anni  della  Maestà 
Vostra  sia  lungo  e  ricolmo  di  ogni  più  desiderabile  felicità. 

De  si  96 

De  no  1 

Non  sinceri  0 

Giovanni  Maria  Vincenti  Segretario. 
Senato  Corti,  Registro  95. 


DOCUMENTO  MLVIII. 


Illustrissimi  ed  Eccellentissimi  Signori  V  Savi  alla  Mercanzia, 

Incaricata  dal  comando  delle  EE.  VV.  l'umilissima  persona  mia, 
di  renderle  informate  di  quali  e  quante  spese  occorrono  sopra  le 
mercanzie,  le  quali  si  distaccano  da  questa  dominante  per  giungere 
in  Astrakan,  porto  in  ora  dipendente  dall'imperio  di  tutte  le  Russie 
e  situato  alle  bocche  del  Volga,  per  mezzo  delle  quali  esso  gran  fiume 
si  scarica  nel  mar  Caspio,  non  ho  creduto  di  poterlo  adempiere  in 
modo  migliore  che  con  quello  di  rassegnare  a  VV.  EE.  l'inserto  conto, 


249 

il  quale  con  chiarezza  e  preciso  dettaglio  dimostra  ogni  e  qualunque 
spesa  non  solo,  ma  quale  è  altresì  la  strada  per  cui  le  mercanzie  da 
queste  lagune  presentemente  giungono,  traversando  li  mari  Adriatico 
e  Arcipelago,  li  stati  Ottomani,  il  regno  di  Persia  ed  il  mar  Caspio 
fino  alle  foci  del  Volga. 

Dalla  nota  stessa  rileveranno  le  EE.  VV.  che  sopra  colli  61  di  libbre 
500  sottili  cadauno,  in  conseguenza  pesanti  fra  tutti  libbre  30,500, 
composti  per  la  maggior  parte  di  specchi ,  conterie  ,  robe  ,  allume  , 
panni  ad  uso  di  Francia  e  carta  tutte  manifatture  venete,  come  pure 
di  qualche  porzione  d'oro  cantarin  ,  aghi  e  (il  di  citra,  lavori  germa- 
nici ascendenti  al  costo  di  L.  45,193  piccole,  comprese  le  loro  spese 
sino  a  bordo,  nonché  le  sicurtà  sopra  veneta  nave  sino  in  Alessan- 
dretta,  rileveranno  dico,  che  montarono  le  spese  del  loro  distacco 
da  questo  porto  sino  al  loro  giungere  per  Aleppo  in  Babilonia  a  lire 
20,313  piccole. 

Nel  caso  poi  che  si  avesse  voluto  far  tradurre  questi  stessi  colli  61 
di  merci  sino  in  Astrakan  per  mezzo  del  Tigri  e  Bassora,  indi  per  il 
seno  Persico  e  Buscir  ad  ispahan,  poi  nel  Ghilan  e  finalmente  per 
il  Caspio  in  Astrakan,  osserveranno  che  la  aggiunta  delle  spese  al 
proseguimento  di  un  tal  viaggio  rileva  oltre  L.  41,310,15;  sicché 
unite  queste  alle  precedentemente  accennate  spese  da  Venezia  in 
Babilonia  di  L.  20,313  sommano  assieme  L.  61,623,15,  che  seco 
portano  L.  45,193  di  costo  di  mercanzie  in  peso  di  libbre  30,500. 

Le  spese  adunque  sopra  le  merci  da  Venezia  sino  a  Babilonia 
montano  a  15  °/0  sopra  il  loro  capitale  ed  a  soldi  14  per  ogni  libbra 
di  peso  veneto  sottile,  e  giungendo  poi  esse  merci  sino  in  Astrakan 
arriverebbero  le  spese  al  30  °/0  sopra  il  loro  costo,  ed  a  soldi  40  per 
ogni  libbra  del  loro  peso. 

Oltre  alla  accennata  strada  per  la  parte  meridionale  della  Persia, 
avvi  per  l'altra  parte  settentrionale  di  quel  regno  l'altra  via  di  Tauris 
con  cui  si  può  passare  dalli  stati  Ottomani  nelli  Russi,  traversando  li 
stati  Persiani;  ma  quantunque  questa  sii  strada  più  breve  ed  anco 
meno  costosa,  ciò  non  ostante  praticata  non  viene  attesi  li  gravi  pe- 
ricoli che  incontrerebbero  le  merci  e  i  loro  condottieri  attraversando 
il  deserto,  denominato  deserto  nero. 

Ho  l'onore  di  esponere  tutti  questi  fatti,  ed  asserirli  per  indubi- 
tati o  per  propria  mia  pratica  o  per  asserzione  non  dubia  degli  Ar- 
meni miei  compatriotti,  li  quali  al  presente  a  questa  parte  si  trovano 
dopo  averne  incontrate  leproveessimedesimi.  Possiamo  poi  assicurare 
noi  tutti  con  costanza  a  questo  gravissimo  Magistrato,  che  intanto 


250 

limitatissimo  si  è  il  commercio  tra  questa  dominante  e  la  Persia  con 
il  Volga,  che  fanno  gli  Armeni  qui  domiciliati,  come  pure  quelli  che 
di  continuo  viaggiano  trasferendosi  dagli  uni  agli  altri  stati,  in  quanto 
che  le  spese  sopra  le  merci  dell'esporto  e  dell'introduzione,  come  le 
EE.  VV.  rilevano,  sono  maggiori  del  capitale,  ed  inoltre  perchè  a  co- 
modo delle  differenti  vetture  del  viaggio,  ora  con  cammelli,  che 
portano  sino  a  libbre  1000,  ora  con  muli  capaci  di  libbre  600  solo,  e 
qualche  volta  di  altri  animali  da  soma  che  non  possono  levare  se  non 
il  peso  di  libbre  300,  delle  quali  differenti  vetture  è  necessità  di  ser- 
virsi, conviene  più  di  una  volta  disfare  e  rifare  li  colli,  ed  assogget- 
tarsi bene  spesso  alle  ruberie,  e  per  la  difficoltà  poi  e  lunghezza  del 
viaggio  soggiacere  a  rotture,  le  quali,  massime  nelli  specchi  e  robe 
di  allume  lavoro  di  questo  metropoli,  sono  assai  significanti.  Per  altro 
qualora  tutti  questi  ostacoli  non  si  incontrassero,  ed  il  cammino  per 
giungere  dall'Adriatico  nel  Caspio  potesse  riuscire  più  facile  e  più 
breve,  anziché  limitato  quale  in  oggi  egli  è  per  le  difficoltà  esposte, 
abbondantissimo  e  quasi  immenso  riescirebbe  un  tal  traffico,  tanto 
per  ogni  genere  di  prodotti  e  di  manifatture  che  da  questi  stati  si 
tradurrebbero  nell'Asia,  quanto  delli  effetti  dell'Asia  stessa  che  a  que- 
sta parte  giungerebbero. 

Umilmente  esposto  quant'era  a  mia  cognizione  e  quanto  di  vero 
ho  potuto  rintracciare  da  pratiche  persone  nel  proposito  ho  l'onore 
di  inchinarmi  e  di  baciare  le  loro  vesti.  Grazie. 

Li  seguenti  colli  61  merci  diverse  spedite  per  via  di  Alessandretta 
in  Babilonia  costano  posti  a  bordo  L.  45,193    » 

Avvertendo  che  ogni  collo  pesava  libbre  500  sottili  com- 
presa la  cassa  pel  comodo  del  trasporto  da  Alessandretta 
in  Babilonia  sopra  cammelli. 

Seguono  le  spese  occorse  ai  colli  suddetti  da  Alessan- 
dretta sino  in  Babilonia,  secondo  il  rispettivo  loro  conte- 
nuto cioè  : 

N.  2.  Gasse  Luci  dall'Ebreo  con 

foglia   .        .         .     Pezze    155  50 

»     1 .  Cassa  detti  senza  foglia     »        74  20 

»     6.  Casse  rubini  n.  1  e  n.  2  »      410  34 

»     1.  Cassa  aghi  gialli     .        »        68  32 

»     1 .  Cassa  fil  di  citra       .        »        79  08 

»    2.  Casse  oro  cantarino  .        »      152  16 


Da  riportarsi  Pezze  939  60  L.  45,193    » 


251 
Riporto  Pezzo  939  60  L.  45,193     » 

N.  4.  Balle  panni  ad  uso  di  Francia  327  63 
»  2.  Gasse  rubini  n.  3  .  »  143  02 
»  3.  Gasse  olivette  nere  n.  2  »  217  58 
»  3.  Casse  coralli  falsi  .  »  289  90 
»  2.  Gasse  di  aghi  da  cucire  «  170  91 
»  3.  Gasse  conteria  diversa  »  145  04 
»  1 .  Gassa  carta  dorata  .  »  57  21 
»  30.  Ballotti  carta  bianca  »   1,241  89 

Pezze  3,534  04  fanno  L.  20,315    » 


L.  65,508 

Vi  sono  poi  le  altre  spese  da  Babilonia  fino  in  Astra- 
kan, le  quali  sebbene  ai  suddetti  colli  non  sieno  occorse 
per  non  essere  in  detto  luogo  passati,  non  ostante  spe- 
dendoli però  sono  le  seguenti,  cioè  : 

Da  Babilonia  a  Bassora  per  acqua  sul  Tigri 
P.  5'/2  per  °/0  •        •        •    Pezze    335  50 

A  Bassora,  dogana  di  sortita  2  */2 
per°/0  .         .        .        »      240     » 

Da  Bassora  a  Buscir,  pel  seno  Per- 
sico, a  pezze  0  per  collo         .        »      306     » 

A  Buscir,  porto  della  Persia ,  do- 
gana di  entrata  a  2  °/0  .        .        »      240     » 

Da  Buscir  a  Shiraz  sono  giorni  do- 
dici di  cammino  a  4  °/0  .        »    1,404     » 

Si  avverte  che  a  Buscir  conviene 
disfare  li  colli  e  formarli  di  L.  250 
l'uno,  sottili,  perchè  vanno  a  schiena 
di  cavalli  e  muli,  e  non  più  a  cam- 
melli, e  qualche  volta  per  mancanza  di 
cavalli  e  muli  convien  farli  condurre  / 
a  schiena  di  somari,  e  per  questi  si  de- 
vono formare  li  colli  di  L.  120  circa 
sottili  ;  e  qualche  volta  oltre  lo  smar- 
rimento e  patimento  delle  mercanzie 
vi  è  la  spesa  del  disfare  e  far  di  nuovo 
le  casse  suddette  che  non  è  indiffe- 
rente. 

Da  riportarsi  Pezze  2,045  50  L.  05,508 


252 

Riporlo  Pezze  2,645  50  L.  65,508    » 

A  Schiraz,  dogana  a  2^/2  per  °/0 
sopra  la  stima       ...»       300     » 

Da  Schiraz  ad  Ispahan  giorni  12  a 
P.  16  per  collo  di  libbre  500  sottili»      976     » 

A  Ispahan  dogana  a  2  -*/2  per  °/0 
sopra  la  stima      .        .        .        »      300     » 

Da  Ispahan  a  Ghilan  giorni  25  a 
P.  20  per  collo  di  500  libbre  sottili  »   1 ,220     » 

A  Ghilan  dogana  a  5  "*/6  sopra  la 
stima »      600     » 

Da  Ghilan  in  Astrakan  per  nave  a 
P.  6  per  collo  di  libbre  500   .        »      366     » 

In  Astrakan  dogana  7  °/0  sopra  la 
stima  di  P.  12  .        .        »      840     » 

Pezze  7,247  50  fanno  L.  41,310  15 
L.  106,818  15 

Ascendendo  l'importo  delle  suddette  mercanzie  qui  fino  a  bordo 
L.  45193,  quindi  le  spese  che,  come  sopra,  di  poi  occorrono,  le  ag- 
gravano di  più  di  35  per  °/0  circa. 

Si  avverte  che  da  Babilonia  può  andarsi  in  Astrakan  per  la  via  di 
Tauris,  passando  per  il  deserto  negro,  e  sono  le  spese  all'incirca 
come  sopra,  e  forse  meno  qualche  cosa,  ma  per  altro  la  strada  è  più 
pericolosa. 

Archivio  Cicogna,  codice  MDCCXCVII,  fra  le  carte  che  apparte- 
nevano al  senatore  storiografo  Francesco  Dona, 


DOCUMENTO    I/XXX, 


Lettera  scritta  dal  re  di  Persia  air  ili. mo  signor  Giovanni  Francesco 
Sagredo,  console  veneto  inAleppo,  tradotta  dal  persiano  in  italiano. 

Signore  illustrissimo.  Il  desiderio  mio  ,  Re  di  Persia ,  da  voi 
ill.mo  signor  console  veneto  nella  Sorìa,  degnissimo,  onoratissimo, 
mentissimo  e  giustissimo  giudice,  il  quale  io  molto  amo,  è  che 
V.  S.  111.  abbia  per  raccomandati  li  miei  dipendenti,  che  vanno  e 
vengono  del  continuo  per  coteste  parti,  e  li  favorisca,  siccome  io 


253 

per  il  passato  ho  fatto,  e  per  l'avvenire  farò  a  tutti  i  suoi,  che  capi- 
teranno in  queste  parti,  alli  quali  resterò  con  obbligo  di  favorire  per 
amore  di  V.  S.  111.  e  del  serenissimo  senato,  stantechè  tutti  li  miei 
predicano  molto  bene  del  favore  che  del  continuo  ricevono.  Però 
per  l'avvenire  V.  S.  per  amor  mio  non  manchi  di  fare  il  medesimo, 
che  io  come  affezionato  alli  cristiani  non  mancherò  per  l'amor  suo 
di  fare  lo  stesso  in  questi  miei  paesi  :  e  così  come  V.  S.  è  stata 
dal  suo  principe  sostituita  costì,  così  anco  nel  mio  regno  ha  la 
medesima  autorità  e  potestà  ;  et  inoltre  in  ogni  altro  che  ella 
desideri  da  me  in  suo  contento,  me  ne  faccia  consapevole  che  sarà 
soddisfatta.  Et  in  fine  etc. 

1608  —  //  Archivio  Dona.  Miscellanee. 


DOCUUIEtfTO     IiXX, 


A  Giovanni  Francesco  Sagredo  console  veneto  nella  Sorta. 

D'ordine  della  maestà  regia  fo  sapere  a  voi,  onorato  giudice  e 
console  della  nazione  cristiana ,  che  avendo  noi  inteso  da  tutti  li 
nostri  messi,  ambasciatori  ed  uomini  che  vanno  e  vengono  di  lì, 
li  buoni  trattamenti  e  le  cortesie  che  voi  li  usate,  e  li  favori  che  ci 
prestate  per  amor  nostro,  siamo  restati  di  voi  e  delle  opere  vostre 
grandemente  soddisfatti ,  e  però  giudicandovi  degno  dell'amore  e 
grazia  nostra  ,  abbiamo  voluto  con  questa  regal  carta  darvi  segno 
della  buona  volontà,  ed  affetto  verso  di  voi,  che  è  concepito  in  noi 
verso  la  vostra  persona,  la  quale  affezione  anderà  di  giorno  in  giorno 
crescendo  nella  real  nostra  persona,  sì  come  anderete  voi  crescendo 
con  questa  volontà  e  amore  nella  divozione  verso  la  nostra  real 
corte,  che  sarà  anche  causa  di  accrescere  maggiormente  l'amore  e 
la  affezione  che  portiamo  alla  razza  cristiana.  E  pertanto  farete  conto 
di  risiedere  lì  non  solo  per  il  vostro  altissimo  e  potentissimo  prin- 
cipe di  Venezia,  ma  anco  per  noi  e  per  li  nostri  sudditi  persiani, 
ai  quali  non  resterete  di  prestar  favore  ed  aiuto  nelle  occorrenze, 
e  se  da  qui  havete  bisogno  di  cosa  alcuna,  lo  farete  senza  alcun 
rispetto  sapere  alla  nostra  alta  corte,  che  sarete  da  lei  gratificato  ed 
esaudito  prontamente;  così  sappiate  e  prestate  fede  a  questa  nostra 
regal  lettera. 

1810,  Filza  Atti  turcheschi. 


254 

UOCUMENTO    LX\I( 


//  regno  è  di  Dio. 

All'onorevole  e  prudente  fra  li  seguaci  principali  della  nazione  cri- 
stiana, eletto  fra  i  più  nobili  della  generazione  credente  al  Messia 
Giovanni  Francesco  Sagredo,  il  cui  valore  sia  in  aumento. 

Dopo  molti  amorevoli  ed  amichevoli  saluti  che  si  convengono  alle 
onorate  sue  qualità  e  condizioni,  le  si  fa  sapere  con  questa  nostra  re- 
gai  lettera  che  sono  state  da  noi  ricevute  per  mano  dell'onorato  fra 
i  sapienti  della  religione  cristiana  fra  Vincenzo  carmelitano  le  sue 
lettere  piene  di  amore  ed  osservanza  verso  la  nostra  regal  corte,  in- 
sieme coll'onorato  presente  che  le  è  parso  di  mandarci,  il  quale  è 
stato  da  noi  ricevuto  ed  accettato  volontieri,  perchè  pervenuto  dalle 
mani  di  persona  che  da  noi  è  amata  molto  per  la  sua  prudenza 
e  buona  disposizione  che  ha  mostrato  sempre  in  ogni  occorrenza 
del  nostro  rea!  servizio  in  Siria.  Però  ringraziandola  molto  le  diremo 
di  aver  presentemente  inteso  da  esse  sue  lettere  il  servizio  presta- 
toci nel  custodire  ed  inviare  qui  quelle  robe  che  si  ritrovavano 
costì  di  nostra  ragione,  e  li  favori  e  le  cortesie  usate  alli  nostri 
mercatanti  ed  agenti  in  quelle  parti,  la  qual  cosa  avendo  portato 
molto  piacere  e  contento  al  nostro  real  animo  è  stata  cagione  di 
accrescere  in  noi  la  buona  volontà  ed  affezione  verso  la  sua  per- 
sona ed  il  desiderio  che  abbiamo  di  gratificarla  in  ogni  occorrenza  : 
intanto  augurando  noi  buono  ed  onorato  fine  alle  sue  azioni  e  pro- 
sperità maggiore  alla  sua  casa,  l'abbiamo  ora  per  segno  di  questa 
nostra  buona  volontà  ed  affezione,  come  amico  et  curatore  della 
nostra  inclita  eccelsa  corte,  eletto  nostro  procuratore  generale  nella 
città  e  stato  di  Venezia,  volendo  che  tutti  li  nostri  agenti  e  mercanti 
che  capiteranno  in  quelle  parti  sieno  ricevuti  ed  accettati  da  lei  e 
fatti  spedire  delli  loro  negozi  e  faccende,  ed  in  particolar  di  quelli 
così  che  si  saranno  da  noi  commessi  ad  uso  della  nostra  regal  corte; 
e  offerendoci  ancor  noi  pronti  di  far  presfare  dalli  nostri  qui  ogni 
aiuto  e  favore  alli  suoi  agenti  e  dipendenti  che  verranno  nella  Per- 
sia: desiderando  noi  che  siano  sempre  aperte  le  porte  fra  l'una 
e  l'altra  parte  alli  negozii  e  commerci  per  servizio  ed  utilità  comune 
di  ambedue  li  stati;  ed  occorrendo  particolarmente  cosa  alcuna  qui 
in  questa  provincia  per  uso  della  sua  persona  ne  la  faccia  sapere  che 
sarà  da  noi  adempito  ogni  suo  desiderio,  e  la  si  assicuri  del  nostro 
amore  in  ogni  tempo. 

Dato  nella  luna  di  ... .  dell'anno  del  nostro  Profeta  1020.  (1611). 

Filza  Atti  turcheschi. 


255 
DOCUMENTO    l,XXII. 


//  regno  è  di  Dio. 


Con  questa  real  carta  si  fa  sapere  a  Voi,  onorata  turba  di  mer- 
canti venetiani,  a' quali  il  signor  Dio  sia  sempre  propitio  e  favore- 
vole, che  avendo  noi  avuto  sempre  particolar  mira  di  favorire  et 
accarezzare  nel  nostro  florido  regno  tutti  li  mercanti  forestieri,  sia 
di  che  grado  et  conditione  esser  si  voglia,  et  in  particolar  quelli 
della  natione  cristiana  amata  et  stimata  da  noi  molto,  non  abbiamo 
mancato  di  procurare  in  ogni  tempo  di  dar  così  a  quelli ,  come  a  que- 
sti, et  più  a  questi  che  a  quelli  ogni  possibile  satisfazione,  acciò  che 
ognuno  di  essi  ritornasse  alla  sua  patria  et  paese  contento  e  satisfatto 
delti  nostri  buoni  et  onorati  trattamenti,  siccome  potranno  far  di  ciò 
fede  tutti  li  mercanti  della  nazione  franca  et  armena  che  sono  stati 
finora  in  questa  provincia  ;  nò  avendo  mai  permesso,  nò  consentito 
che  niuno  delli  nostri  sudditi  e  vassalli  li  possi  far  alcuna  minima 
offesa  et  oltraggio,  né  meno  dargli  danno  che  possi  importar  tanto 
quanto  importa  un  semplice  capello  della  testa  sua. 

Ma  nondimeno  vedendo  noi  che  per  tema  e  rispetto  di  questi 
presenti  moti  di  guerra  ,  li  mercanti  cristiani  non  ardiscono  di 
venire  così  liberamente  qui  in  questi  paesi,  come  fanno  tutti  gli  altri, 
abbiamo  voluto  colla  presente  nostra  esortarli  ed  invitarli  a  voler  fre- 
quentare senza  alcun  rispetto  questo  nostro  amplissimo  regno,  et 
continuar  con  animo  libero  et  franco  nelli  soliti  negotii  et  faccende, 
per  servizio  ed  utilità  comune  delli  sudditi  di  ambedue  le  parti,  che 
saranno  da  noi  ben  veduti  ed  accarezzati  in  ogni  città  et  loco  del 
nostro  stato ,  dandoli  libertà  di  poter  comperare  e  condur  fuori  del 
nostro  regno  seta  et  ogni  altra  mercanzia  senza  tema  di  essere  mo- 
lestati od  impediti  da  alcuno  :  siccome  abbiamo  anco  di  ciò  scritto 
all'onorato  fra  i  grandi  e  principali  della  nazione  cristiana  Giovanni 
Francesco  Sagredo  che  è  stato  da  noi  eletto  commesso  generale 
nella  città  et  stato  di  Venezia,  il  quale  facendo  consapevole  di  questa 
nostra  buona  volontà  e  desiderio  tutti  li  onorati  mercanti  di  Vene- 
tia,  farà  ad  ognuno  di  loro  palese  questa  nostra  reale  patente. 

Data  nella  luna  di  Rabilsan  dell'anno  del  nostro  propheta  1020, 
cioè  nel  1611. 

Fra  i  nostri  Codici. 


256 


Il  regno  è  di  Dio. 

,4/  famoso  et  eccelso  fra  i  Principi  et  signori  grandi  della  nazion 
cristiana,  sublime  fra  i  più  nobili  e  potenti  del  popolo  vivente  nella 
legge  del  Messia,  ornato  di  virtù,  valore  et  prudenza,  pieno  di  gra- 
vità, pompe  e  grandezze  il  Principe  di  Venezia  et  altri  onorati  si- 
gnori et  giudici  della  Repubblica  veneziana:  che  il  Signor  Dio 
conduca  a  fine  ogni  loro  buono  et  onorato  desiderio. 

Dopo  molti  honorati  et  affettuosi  saluti  che  derivano  dall'amore 
ed  affezion  grande  che  portiamo  alla  sua  eccelsa  persona,  et  a  tutta 
la  sua  famosa  Repubblica,  le  facciamo  sapere,  con  questa  nostra 
real  lettera,  come  abbiamo  ricevuto,  per  mano  dell'honorato  et  scien- 
tifico padre  fra  Vincenzo  carmelitano,  le  sue  onorate  lettere,  con 
le  quali  avendoci  fatto  sapere  la  buona  e  sincera  volontà  et  affe- 
zion grande  che  lei  e  tutti  li  signori  della  sua  Repubblica  portano 
a  questa  nostra  sublime  corte ,  hanno  accresciuto  nel  nostro  real 
animo  la  stima  che  facciamo  della  loro  buona  amicizia,  tanto  mag- 
giormente che  abbiamo  da  esse  sue  lettere  intesoli  favori  prestati, 
le  cortesie  usate  costì  alli  nostri  agenti,  et  anco  la  buona  espedi- 
zione delli  loro  negozi,  seguita  mediante  la  loro  honorata  prote- 
zione et  aiuto.  Del  che  restando  noi  grandemente  satisfatti,  le  augu- 
riamo all'incontro  da  Dio  felice  avvenimento  in  ogni  loro  azione, 
et  aumento  di  maggiore  prosperità  et  potenza  conforme  al  loro  de- 
siderio. E  le  facciamo  di  più  saper  con  questa  nostra  real  lettera, 
che  essendo  da  noi  e  dalla  nostra  sublime  corte  osservate  perfet- 
tamente le  condizioni  della  buona  e  sincera  amicizia  e  confedera- 
zione con  tutti  li  principi  e  signori  grandi  della  cristianità,  sic- 
come per  le  continue  legazioni  ed  ambascerie  che  sono  state  man- 
date e  ricevute  fìn'ora  d'ambedue  le  parti  s'ha  potuto  chiaramente 
vedere,  così  desideriamo  che  facendo  ancor  loro  il  medesimo  con 
noi  e  con  la  nostra  eccelsa  corte,  non  voglino  mancare  di  darci 
segno  di  questa  loro  sincera  volontà  et  affezione  in  ogni  occasione, 
che  le  si  rappresenterà  concernente  il  suo  reale  servizio  et  inte- 
resse; e  sopra  il  tutto  desideriamo  di  vedere  spesso  loro  lettere 
per  segno  della  continuazione  et  perseveranza  loro  netla  suddetta 


,      257 

buona  volontà  et  amicizia:  pome  ebe  non  mancheremo  di  far  anco 
noi  il  medesimo  dal  canto  nostro,  esortandoli  a  comandar  libera 
monte  alli  mercanti  et  sudditi  (IH  loro  stato  che  debbano  frequentar 
sicuramente  con  li  loro  traffichi  el  mercanzie  il  nostro  custodito 
paese,  perchè  saranno  benissimo  veduti  et  accarezzati  in  ogni  città 
et  luoco  del  nostro  stato,  j)  come  possono  far  di  ciò  fede  tutti 
quelli  mercanti  et  altri  della  nazion  franca,  che  l'hanno  veduto  et 
esperimentato;  et  noi  li  assicuriamo  da  ogni  molestia,  et  travaglio, 
dandogli  autorità  di  comprar,  trager,  et  condur  fuori  dal  nostro 
stato  seta'et  ogni  altra  mercanzia  cheli  parerà  ;  et  saranno  sempre 
honorati  et  stimati  meglio  di  ogni  altra  nazione  et  anco  delti  me- 
desimi sudditi  mussulmani  ;  e  se  tanto  per  suo  uso,  che  della  ec- 
celsa Repubblica  ,  occorresse  cosa  alcuna  qui  nella  Persia ,  ce  4o 
faccia  sapere  che  sarà  da  noi  adempito  volontieri  ogni  loro  onorato 
desiderio,  come  si  conviene  alla  buona  amicizia  et  unione  d'animo 
che  è  tra  noi,  la  quale  desideriamo  che  sia  sempre  in  augumento. 
Dato  nella  luna  di  Rabilsan  dell'anno  di  Macometto  1020,  cioè 
nel  1611. 

Archivio  Dona,  Misceli. 


DOCUMENTO    LXXIV. 


Lettera  del  re  di  Persia  al  nob.  Alvise  Sagredo. 

Giunta  che  sarà  al  glorioso,  nella  religion  del  Messia,  Alvise  Sa- 
gredo gentiluomo  del  Consiglio  dell'Eoe.  Signorìa  di  Venezia,  questa 
nostra  regia  lettera,  sia  noto  come  dal  canto  nostro  regio  gli  deside- 
riamo ogni  onore,  e  che  le  nobilissime  sue  azioni  sieno  sempre 
sublimate;  e  che  sono  capitate  nell'Eccellentissima  nostra  Corte  molte 
sue  lettere  scritte  al  padre  Taddeo,  dalle  quali  siamo  stati  raggua- 
gliati dell'allegrezza  da  lei  sentita  per  le  nostre  gloriosissime  vittorie, 
avvisategli  da  Alvise  Parente  uomo  grande  fra  i  suoi  pari  :  il  che 
ha  fatto  maggiore  la  nostra  benevolenza  verso  di  lui. 

Quello  che  scrive  poi  circa  al  mandar  detto  Parente  in  questo  nostro 
17       Bollettino  Consolare.  Voi.  ili. 


258 

regno,  per  comprar  le  nostre  sede  e  per  trattar  con  noi  importan- 
tissimi interessi,  gli  dicemo  che  non  può  far  se  non  bene,  perchè  fi- 
nora tutti  quelli  che  sono  venuti  nelli  nostri  paesi,  così  li  uomini 
come  le  mercanzie,  espediti  che  hanno  li  suoi  affari  se  ne  ritornano 
contenti  alle  patrie  loro,  e  potendo  ognuno  venire  ed  andare  a  suo 
piacimento,  tanto  maggiormente  potranno  farlo  li  agenti  suoi,  li 
quali  così  nelle  compere  come  nelle  vendite  saranno  sempre  pro- 
tetti e  favoriti,  né  mai  riceveranno  molestia  alcuna.  Scriveressimo 
volontieri  nostre  lettere  all'Eccellentissimo  ed  Eminentissimo  Prin- 
cipe di  Venezia,  signore  dei  popoli  cristiani,  ma  non  avendo  noi 
sentita  nuova  alcuna  di  Sua  Serenità  stimiamo  superfluo  il  farlo; 
speriamo  però  in  Dio  Altissimo  di  doverne  ricevere,  ed  allora  poi 
non  mancheremo  di  corrispondere  a  quella  Repubblica  in  confor- 
mità della  buona  amicizia  che  tenemoseco,  ed  è  quanto  si  conviene 

Già  molto  tempo  Riza  agà,  uomo  delli  grandi  della  nostra  Corte, 
ha  mandato  a  quella  volta  con  i  suoi  agenti  30  in  40  some  di  sete 
delle  nostre  regie  entrate,  e  quelle  ivi  giunte  sono  state  vendute  , 
come  dalle  lettere  del  console  veneto  in  Aleppo  siamo  avvisati,  e  che 
anco  per  il  buon  governo  di  quella  città  sono  stati  custoditi  li  re- 
tratti nella  zecca  dove  tuttavia  s'attrovano.  Pertanto  è  convenevole  che 
giunto  che  sarà  in  quella  città  Mehemet  Ali  servitore  del  gran  mini- 
stro sopradetto  abbi  lui  cura  in  conformità  della  buona  amicizia  che 
tiene  con  la  nostra  regia  persona  di  farli  aver  il  tratto  a  esse  nostre 
sete,  procurando  che  il  detto  Mehemet  con  li  agenti  e  servitori  pre- 
detti, pervenghino  sani  e  salvi  con  la  sopradetta  facoltà  nella  nostra 
eccelsa  Corte.  Del  resto  se  lei  potesse  venirsene  con  licenza  dei  suoi 
superiori  in  questo  nostro  regno,  proverà  favori  tali  che  maggiori  non 
saprà  desiderarne,  e  tratteressimo  negozi  di  gran  rilievo  per  servizio 
di  ambe  le  parti.  Venga  dunque  allegramente  che  sarà  sempre  ben 
veduto  e  trattato  e  farà  esperienza  dell'amore  che  le  portiamo. 

Data  nel  mese  di  settembre  1627. 


Archivio  Cicogna,  codice  MDCCXCV1. 


259 
OOClTflttEtfTO    Ii*XV. 


1B29,  13  marzo  in  Pregadi. 

.4/  Serenissimo  re  di  Persia. 

Quanto  maggiore  il  desiderio  della  Repubblica  nostra  che  fra  li 
sudditi  di  Vostra  Maestà  eli  nostri,  passi  reciproca  buona  intelligenza 
e  traffico  mercantile,  utili  ad  ambi  li  stati,  altrettanto  ne  riesce  caro 
tutto  ciò  che  viene  dirizzato  a  questo  fine.  Per  tanto  carissimo  ci  è 
stato  quello  che  abbiamo  inteso  dalle  lettere  della  Maestà  Vostra 
scritte  al  diletto  nobile  Alvise  Sagredo,  soggetto  da  noi  per  le  sue 
ben  degne  condizioni  grandemente  amato,  conducendosi  nella  Persia 
a  negozio  mercantile  sarà  ricevuto  con  quel  candido  e  sincero  animo 
che  viene  da  lei  espresso  nelle  medesime  lettere,  con  la  confirmazione 
in  esse  della  buona  disposizione  della  Maestà  Vostra  verso  la  Nostra 
Repubblica;  e  consolati  rimanemo  grandemente  del  buon  zelo  che  vi 
(iene  Vostra  Maestà.  < 

Noi  ancora  dóve  conosceremo  poter  riescire  profittevoli  ai  suoi, 
mercanti  ed  al  comune  interesse  non  mancheremo  di  porgere  l'o- 
pera nostra,  con  quella  prontezza  vivezza  ed  affetto  che  avemo  sempre 
fatto,  e  ne  può  essere  stato  riferto  da  suoi  essendone  grandemente  a 
cuore  la  libertà  del  negoziare  nel  stato  nostro  a  tutte  le  nazioni,  special- 
mente alli  Persiani;  e  siccome  ricevemo  a  favore  ogni  testimonio  che 
provenga  da  lei  a  maggior  espressione  della  sua  buona  volontà  verso  il 
predetto  diletto  nobile  nostro,  così  insieme  col  ringraziamela  di  vivo 
cuore,  venimo  a  renderla  certa  che  tutte  le  volte  che  ne  sarà  dato 
modo  non  mancheremo  con  veri  affetti  di  corrispondere  a  così  graziosa 
dimostrazione  e  di  conservare  la  nostra  sincera  cordialissima  osser- 
vanza e  comprobazione  della  buona  amicizia  che  abbiamo  tenuto 
sempre  colli  Serenissimi  suoi  Precessori  ;  e  che  conserviamo  e 
conserveremo  sempre  sincerissima  colla  Maestà  Vostra  affettuosa 
volontà  verso  le  sue  soddisfazioni,  desiderandole  sempre  ogni  mag- 
gior prosperità  e  contento  ;  e  gli  anni  di  Vostra  Maestà  sieno  lunghi 
e  felicissimi 

De  parte  114 

De  non         4 

Non  sinceri  7 

Alberto  Zuntani 
Nodaro  Ducal. 
Archivio  Manin,  codice  MGCGhVlh 


-260 


Copia  di  capitolo  contenuto  nella  parte  dell' eccellentissimo  senato 
7  dicembre  1548. 

L'anderà  parte  :  che  salve  e  riservate  tutte  le  parti  prese  a  questa 
non  repugnanti,  sia  per  l'autorità  di  questo  consiglio  preso  et  etiam 
confirmato  nel  nostro  M.  G.  che  l'elezione  del  nuovo  console  et 
successori,  se  faccia  per  anni  3  in  loco  de  anni  2  che  stanno  ora,  e 
il  titolo  suo  sia  Console  della  Sona,  il  qual  console  star  debba  in  quel 
luoco  della  Soria  che  per  questo  Consiglio  sarà  deliberato  più  co- 
modo alli  mercadanti  et  mercanzia,  e  che  sia  di  minor  spesa  al 
cottimo;  il  quale  console  aver  debba  de  salario  ducati  600  all'anno 
a  v.  1.  6,4  per  ducato,  netti  da  ogni  angaria  per  sue  spese,  et  etiam 
habbi. tutti  li  consulagi  di  Tripoli  e  della  Sorìa,  il  che  sarà  di  buona 
utilità  al  predetto  console  per  esser  compita  la  concessione  facta  per 
'il  Consiglio  nostro  dei  X alli  figliuoli  del  n.  h.  Angelo  Michel  come 
avevano  loro  giusta  la  parte  presa  in  questo  Consiglio  sotto  li  2  zu- 
gno  1544,  e  debba  cessar  alli  detti  consoli  la  utilità  che  aveano  dal 
cottimo  delli  5  p.  0/0,  per  iscoder  li  3  p.  0/0  ed  ora  li  2  da  marine 
permessi  a  detti  consoli  fino  a  che  compiva  detta  concession  dei 
Micheli ,  giusta  el  tenor  della  predetta  parte.  Intendendo  che  la 
elezion  del  console  di  Tripoli  sia  fatta  per  il  Consiglio  dei  XII  per 
anno  uno,  e  così  di  anno  in  anno  s'abbia  a  continuar;  et  esso  vice- 
console sia  nobile  nostro  né  altrimenti  possino  far ,  ed  il  vice- 
console che  sarà  eletto  ut  supra  debba  dal  cottimo  aver  il  salario 
solito  a  darsi  di  asraffì  270  all'anno  da  grossi  5  per  asraffo.  Quanto 
veramente  al  scoder  li  3  p.  0/0  ed  ora  due  di  cottimo  et  altre  an- 
gherie alle  marine,  il  console  nostro  sia  obbligato  lui  far  elscoditor, 
el  qual  console  si'  intendi  piezzo  e  servador  di  buona  administrazion 
del  danaro  che  si  scoderà  a  dette  marine,  il  qual  scoditor  sia  pa- 
gato delli  danari  di  esso  console,  e  perciò  il  cottimo  non  abbia  spesa 
alcuna  come  porta  il  dover. 

Preterea,  detto  console  sia  eletto  con  li  modi  della  regolazion  fatta 
per  li  Savi  nostri  sopra  la  mercanzia  e  provvigioni  di  tutti  li  cottimi 
nelle  revision  delle  spese,  che  hanno  fatte  juxta  la  imposition  fatta 
alli  predetti,  per  la  parte  presa  in  questo  consiglio  sotto  dei  11  feb- 
braio 1545.  In  reliquis  vero,  sia  con  tutti  li  modi,  autorità,  giuris- 
dizioni et  utilità  che  sono  tra  li  altri  consoli  e  che  è  al  presente. 


264 

Et  acciocché  si  ottenga  il  detto  console  stii  dove  stanno  li  merca- 
danti,  e  dove  si  trattano  le  faccende  che  è  in  Aleppo,  però  sia  preso 
che  sia  data  commission  alli  Baili  nostri  overo  Oratori  nostri,  over 
altro  che  paresse  comodo  et  atto  a  far  tal  officio,  che  debba  tentar 
con  ogni  mezzo  la  permission  che  detti  consoli  abbino  la  sua  ferma 
sede  in  Aleppo,  con  que'modi,  forme  e  virtù  per  li  Savi  nostri  sopra 
la  mercanzia  e  provvigioni  di  cottimi  sarà  accordato,  per  benefìcio  del 
cottimo  e  mercanti  nostri. 

1548  die  19.  Die.  In  majori  Consilio  posita  fnit  suprascripta  pars, 
et  capta  fnit. 

Giacomo  Augusto  Pretti 
Nodaro  dncal. 
Archivio  Manin,  Codice  Svaier,  n.  LVIH. 


DOCUMENTO   IìXXVII, 


Ill.mi  ed  Eccell.mi  signori  Savi  alla  Mercanzia, 

Avendo  io  Andrea  Benedetti  servo  e  fedel  suddito  del  mio  prin- 
cipe serenissimo,  ed  umilissimo  delle  Eccellenze  Vostre  arricordato 
alli  signori  capi  di  piazza  alcuni  affari  appartenenti  al  negozio  della 
Sorìa  e  Palestina,  trovo  anco  dovuto  presentare  alle  Eccellenze  Vo- 
stre i  seguenti  capitoli  ;  ciò  per  la  lunga  pratica  di  quelle  parti  per 
avervi  dimorato  circa  anni  undici  con  privati  e  pubblici  impieghi, 
dei  quali  circa  61/2  come  vice-console  in  Tripoli  di  Sorìa  e  Palestina, 
istituito  dall'eccelLmo  signor  Marco  Bembo  e  confermato  dall'eccell.mo 
signor  Francesco  Foscari ,  furono  ambidue  consoli  in  Aleppo.  Nel 
qual  loco  chiamato  dall'eccell.mo  Foscari,  fui  obbligato  a  restare  in 
sua  vece  per  interveniente  della  nazione  veneta,  dove  vi  ho  dimorato 
anni  3,  mesi  6  e  giorni  13,  come  dalle  carte  quali  con  la  presente 
saranno  sotto  il  riflesso  dell'Eccellenze  Vostre,  sino  a  che  il  sig.  Gio- 
vanni Andrea  Negri  entrò  in  mia  vece  che  fu  li  5  agosto  1681. 

Dove  stimolato  da  zelo  di  vedere  rindrizzato  quell'importante  ne- 
gozio di  questa  piazza,  e  incoraggire  li  signori  mercanti,  offerisco  ai 
piedi  delle  Eccellenze  Vostre  la  mia  persona  per  intraprendere  gli 
affari  medesimi,  e  sacrificare  quando  occorresse  la  propria  vita  con 
più  dimorarvi  anni  6,  o  quanto  parerà  alle  Eccellenze  Vostre,  sino 


che  sieno  quelli  affari  ben  stabiliti,  il  che  non  può  essere  se  non 
colla  lunghezza  di  tempo  e  con  la  mutazione  di  quei  bassa  e  grandi 
che  sogliono  essere  dalla  Porta  mandati  al  governo  di  quei  paesi,  che 
confidando  in  S.  D.  M.  in  tale  affare  spero  ogni  buon  successo. 

I.  Per  sollevare  il  negozio  ed  estinguere  i  debiti  è  necessario 
scansare  le  gran  spese,  che  si  sogliono  fare  in  Aleppo  ai  grandi  ed 
altri  turchi  del  paese,  e  quelle  che  si  va  civanzando  resti  a  diffalco 
dei  debiti,  il  che  sarà  con  il  far  trasportare  la  carica  da  Aleppo  in 
Tripoli  di  Sorìa,  e  sarà  facile  nel  primo  ingresso,  maggiormente  che 
nelle  capitolazioni  stabilite  l'anno  1670  non  si  fa  menzione  di  Aleppo, 
ma  solo  di  Tripoli  e  Beiruth. 

/  Nei  tempi  andati,  il  console  abitava  in  Damasco,  ma  per  le  gran 
spese,  d'ordine  dell'eccelLmo  senato  l'anno  1545  11  febbraio  portò 
la  residenza  in  Tripoli  per  sollievo  del  negozio,  e  per  l'essere  alle 
marine  per  il  cottimo  di  entrata  ed  uscita  e  perchè  il  negozio  dei 
veneti  in  quei  tempi  era  florido  ed  opulento,  ora  al  tutto  diverso, 
l'eccell.mo  senato  decretò  l'anno  1548  7  decembre  che  il  console 
dovesse  andare  ad  abitare  in  Aleppo  invece  di  Tripoli. 

Essendo  dunque  stato  trasportato  il  console  di  Damasco  in  Tripoli 
e  da  Tripoli  in  Aleppo,  non  sarà  diffìcile  il  trasportare  di  nuovo  da 
Aleppo  in  Tripoli,  conservando  quella  casa  consolare  per  abitazione 
a  suo  tempo  del  console  nobile,  che  sarà  quando  il  cottimo  sarà  sol- 
levato dai  debiti  presenti,  tanto  più  che  molte  volte  hanno  fatto  li  si- 
gnori mercanti  tanto  nazionali  quanto  forestieri  passare  le  loro 
mercanzie  da  Aleppo  in  Tripoli,  per  caricare  sopra  navi  venete  per 
Venezia. 

II.  Quando  io  venghi  graziato  e  istituito  in  carica  in  Tripoli  di 
Sorìa  in  luogo  di  Aleppo,  con  quel  titolo  che  parerà  alle  Eccellenze 
Vostre,  ricerco  che  mi  sia  fatto  sicuro  assegnamento,  acciò  non  sieno 
molestati  gli  effetti  dei  signori  mercanti  e  che  con  onore  del. mio 
principe  possa  decorosamente  sostenere  quella  carica,  annualmente, 
di  paga  e  panattica  dalle  Eccellenze  Vostre  con  l'assenso  dei  signori 
mercanti  se  così  li  piace  senza  poder  pretender  qualsisia  altra  cosa, 
e  sia  tenuto  con  esso  assegnamento  fare  tutte  le  spese  al  bassa,  cadì, 
musalem,  kachia,  agà  dei  gianizzeri,  agà  di  marina,  doganieri,  e  ad 
altri  turchi,  sì  pure  ad  altri  del  paese,  tanto  ordinarie  quanto  estraor- 
dinarie, con  più  salario  di  cancelliere,  di  dragomano,  giannizzeri,  ca- 
pellano,  cera  per  la  capella,  affitto  di  casa,  vino  ed  aceto  che  si 
dispensa  ai  turchi,  fattori  di  marina  dove  approdano  le  navi  con 
bandiera  di  San  Marco  per  gli  interessi  del  cottimo  ed  altra  servitù, 


che  il  decoro  della  carica  richiede,  il  Lullo  io  debba  fare  coll'assc- 
gnamento,  senz'altro  aggravare  il  collimo.  L'ancoraggio  delle  navi 
dover  esser  pagato  dalli  capitani  o  interessati  di  quelle,  il  quale  è 
stato  moderato  e  non  pagano  come  prima.  E  le  avarìe  che  cadessero, 
che  Dio  non  voglia,  benché  nel  corso  di  anni  11  oltre  ultimi  anni  3 
che  io  per  particolari  affari  dimorai  in  Tripoli  di  Barberia,  da  me  mai 
provate,  né  alla  nazione  fatte  sentire,  quelle  vadino  a  conto  di  cot- 
timo, o  di  chi  ne  fosse  l'autore,  come  le  Eccellenze  Vostre  ordi- 
neranno. 

III.  Che  appresso  di  me  sieno  eletti  due  mercanti  della  nazione 
per  deputati,  uno  dei  quali  debba  esser  per  mesi  6  cassiero  e  finito 
quel  tempo  debba  far  la  consegna  delle  chiavi  al  successore,  che 
sarà  d'una  cassa  nella  quale  si  ponerà  il  danaro  di  entrata  ed  uscita 
del  cottimo  che  dalle  mercanzie  s'anderà  scuotendo  :  così  pure  li 
libri  e  scritture  appartenenti  al  medesimo,  qual  cassa  doverà  esser 
custodita  appresso  il  rappresentante,  serrata  con  due  chiavi. 

IV.  Tutte  le  polizze  e  tratte  d'entrada  e  d'uscita  doveranno  essere 
viste  da  me  e  dai  suddetti  deputati,  e  tenuta  nota  distinta  sopra  li 
libri,  che  saranno  segnati  con  il  solito  san  Marco,  che  dalle  Eccel- 
lenze Vostre  colle  tratte  e  tariffe  mi  verrà  consegnato,  ciò  dal 
scontro  del  cottimo  per  cauzione  delti  stimatissimi  mercanti,  i  quali 
libri  doveranno  di  tempo  in  tempo  essere  sottoscritti  per  cauzione 
ut  supra. 

V.  Che  non  sieno  permesse  nella  Sorìa  e  Palestina  tratte  di  navi 
forestiere  per  Venezia,  ancorché  volessero  pagare  li  soliti  diritti  del 
cottimo,  ciò  per  non  levare  il  traffico  alle  nostre  navi. 

VI.  Che  tutte  le  mercanzie  che  saranno  state  caricate  nelle  scale 
della  Sorìa  e  Palestina  da  Veneti  o  da  loro  fatte  passare  sotto  nome 
supposto,  del  che  venendo  in  cognizione  siano  per  Livorno  od  altra 
parte,  e  poi  quelle  fatte  passare  in  questa  dominante  a  dazi  del 
cottimo,  sieno  quelle  mercanzie  obbligate  al  pagamento  di  20  p.  0/0 
di  pena  conforme  alla  tariffa,  qual  dalle  Eccellenze  Vostre  irremissi- 
bilmente verrà  fatta  levare,  la  metà  di  qual  pena  dovrà  essere  tras- 
messa in  Sorìa,  dove  risiederà  la  carica  di  Aleppo  per  i  bisogni 
di  quel  cottimo,  e  l'altra  metà  come  le  Eccellenze  Vostre  deter- 
mineranno. E  tanto  si  intendi  di  tutte  quelle  mercanzie  che  dalle 
scale  medesime  della  Sorìa  ut  supra  fossero  fatte  passare  con  nave 
o  barche  in  Cipro  senza  aver  pagato  il  cottimo. 

VII.  Quando  il  debito  di  cottimo  preso  sopra  di  se  il  signor  Gio- 
vanni Andrea  Negri  non  sia  stato  da  lui  soddisfatto  con  il  ricavare 


dalla  tansa  di  3  p.  O/O,  el  qual  nel  principio  della  sua  carica  in 
anno  uno  e  mezzo  gli  è  capitato  a  quelle  scale  17  navi,  oltrecchè 
dovea  riscuotere  il  cottimo  e  tansa  della  nave  san  Giovanni  Bat- 
tista, che  sotto  di  me  partì  per  Venezia  senza  tratte,  verranno  li 
creditori  in  Tripoli,  con  li  quali  et  con  li  deputati  si  potrà  con  van- 
taggio aggiustare  come  sarà  dalle  Eccellenze  Vostre  stabilito. 

Vili.  Che  con  ogni  convoglio  o  almeno  ogni  anno  siano  mandati 
al  Magistrato  delle  Eccellenze  Vostre  note  distinte  di  quello  sarà 
entrato  in  cassa  di  cottimo  e  pagato  per  cauzione  ahi  signori  mer- 
canti. 

IX.  Quando  le  Eccellenze  Vostre  terminassero,  che  io  dovessi  ri- 
siedere in  Aleppo  e  non  in  Tripoli  di  Soria  pure  mi  esibisco  nella 
conformità  del  II  capitolo.  Con  che  genuflesso  alle  Eccellenze  Vo- 
stre mi  inchino. 

Andrea  Benedetti. 
Archivio  Manin,  Codice  Svaier  n.  DCCXLII. 


»OCOIEJV.rO    Il&XVJII. 


Serenissimo  Principe, 

Nella  sollecitudine  in  cui  siamo  di  mantenere  e  coltivare  per  ogni 
modo  il  veneto  commercio,  e  procurar  da  esso  i  possibili  vantaggi, 
abbiamo  fatto  nostro  singolare  studio  per  ravvisare  quali  traffici  e 
quali  profitti  derivino  alla  nostra  nazione  solita  a  commerciare  colla 
piazza  di  Aleppo. 

Riconoscemmo  in  fatto  che  riaperto  di  presente  il  traffico  con  la 
Persia,  molto  contribuisce  allo  smaltimento  delle  merci  e  manifat- 
ture, che  da  questa  a  quella  piazza  si  spediscono,  il  libero  passaggio 
che  da  non  molto  tempo  hanno  le  carovane  di  Bassora  (prima  scala 
delle  Indie  nel  golfo  Persico)  e  Bagdad  per  Aleppo  e  Damasco,  nelle 
quali  i  sudditi  negozianti  stabiliti  in  Aleppo  spediscono  per  arbitrio 
in  dette  due  piazze  merci  di  Germania,  robe,  allume,  perle  false,  cor- 
niole e  diverse  conterie. 


265 

Gli  stessi  Arabi  conduttori  delle  carovane  fanno  considerabili 
provviste  di  detti  generi  per  contanti,  ciò  che  rende  un  riguardevole 
profitto,  ossia  perche  i  ritorni  che  ricevono  quei  veneti  negozianti 
consistono  per  lo  più  in  droghe  diverse,  capo  di  essenzial  commercio 
di  questa  piazza,  ossia  perchè  gli  Arabi  suddetti  comperando  in 
Aleppo  per  contanti  le  sopradette  merci  e  manifatture  provvedono  li 
mercanti  delle  spezie  ,  onde  possarìo  adempiere  alle  commissioni  o 
tratte  che  lor  vengono  ingiunte  dalli  loro  corrispondenti  proprietari. 

Utile  pertanto  e  per  noi  vantaggioso  ravvisando  questo  commercio, 
ci  siamo  perciò  applicati  nel  cercare  quale  protezione  venga  nella 
detta  scala  di  Aleppo  donata  al  nostro  traffico ,  e  rilevassimo  per  il 
fatto  essere  presentemente  appoggiati  questi  affari  ad  una  ditta 
ebrea,  e  ciò  fino  a  che  si  trasferisce  a  quelle  parti  la  suddita  per- 
sona di  Domenico  Serioli  in  qualità  di  deputato,  dipendente  questo 
dal  veneto  console  in  Cipro,  nella  di  cui  scala  doveva  per  decreto  di 
Vostra  Serenità  10  aprile  1770  risiedervi  in  figura  di  console  nostro 
Girolamo  Brigadi  che  attualmente  ne  sostiene  il  carico.  Sembrando 
a  noi  nelle  già  esposte  circostanze  di  questo  commercio  non  adattata 
la  figura  di  un  deputato,  perciò  chiamati  i  capi  del  Consorzio  di  E- 
gitto  e  pur  quelli  di  Cipro  e  Sorìa,  ed  eccitati  a  porre  in  scritto  che  a 
pubblici  rispetti  rassegniamo  se  convenisse  unire  li  2  Consorzi  e  le 
di  loro  rispettive  casse,  se  più  utile  fosse  a  quel  commercio  desti- 
narvi colà  un  console  o  pur  bastasse  lasciarvi  un  deputato,  final- 
mente se  la  persona  che  avesse  a  sostenere  il  carico  in  Aleppo  po- 
tesse soffrire  l'annuo  aggravio  di  piastre  600  da  corrispondersi  al 
veneto  console  in  Cipro;  mostrarono  anzi  la  necessità  di  trascegliersi 
un  console  in  Aleppo,  indipendente  da  quello  di  Cipro,  di  sollevarlo 
dall'annua  contribuzione  delle  accennate  piastre  600,  e  perfino  di 
unirei  due  Consorzii  e  le  casse. 

Ed  infatti  essendo  li  Consorzi  stessi  di  Cipro,  di  Egitto  e  di  Sorìa 
composti  di  un  numero  di  negozianti  che  per  lo  più  negoziapo  del 
pari  nell'uno  e  nell'altro  luoco,  ne  diviene  che  le  viste  dell'interesse 
sieno  comuni  e  che  questi  due  corpi  abbiano  ad  essere  diretti  colle 
stesse  massime  e  con  gli  stessi  principii. 

Ben  è  vero  però,  che  la  pratica  fin'oggi  corsa  nel  metodo  del  pa- 
gamento dei  consolati  è  stata  eseguita  in  modo  differente.  Ma  è  vero 
altresì  che  questi  rispettivi  consoli  si  mantengono  con  li  diritti  con- 
solari che  si  ricavano  dalle  merci  andanti  e  venienti  da  quelle  scale , 
con  questa  diversità  però  che  il  Consorzio  d'Egitto  corrisponde  al 
suo  console  generale  un  annuo  ed  idoneo  assegnamento,  ed  egli  in- 


266 

vece  esige  per  cassa  nazionale  a  questa  parte  tutti  i  diritti  consolari  ; 
ma  il  Consorzio  di  Cipro  e  di  Sorìa,  che  non  tiene  cassa  nazionale,  as- 
segna alli  suoi  rispettivi  consoli  in  moneta  turca  tutti  i  diritti  conso- 
lari sopra  il  valore  delle  merci  andanti  e  venienti,  che  risultano  in 
ragione  di  2  per  100  delle  stime  delle  dogane  turchesche,  e  mercè 
di  tali  esborsi  viene  la  nazione  protetta  e  resa  immune  da  ogni  altro 
aggravio.  —  Ora  pertanto  che  la  esperienza  delle  cose  corse  e  l'in- 
dole delle  presenti  ci  documenta,  sembra  perciò  che  convenga  al 
rispettivo  interesse  dei  commercianti  ed  alla  buona  disciplina  del 
commercio  l'unione  di  questi  Consorzi  nella  parte  che  tende  al  pa- 
gamento dei  consolati,  da  farsi  sempre  da  ognuno  indistintamente  a 
Venezia,  onde  andrà  a  passare  tutto  il  soldo  in  una  cassa  nazionale. 
Olire  il  ravvisarvi  per  le  importanti  viste  di  quel  commercio  neces- 
saria la  residenza  di  un  console  in  Aleppo  dalli  medesimi  negozianti 
che  là  vi  trafficano  come  abbiamo  accennato,  altro  riflesso  ancora 
persuase  di  aderirvi,  mentre  essendo  stala  eletta  per  lo  innanzi  la 
figura  di  deputato  nella  supposizione  che  risparmiar  potesse  molte 
spese,  non  sussiste  per  il  fatto  la  stessa  supposizione  poiché  i  Turchi 
soliti  a  ricever  regali  dalla  figura  colà  residente  per  la  dovuta  prote- 
zione delle  rispettive  loro  nazioni,  li  professano  inalterabilmente  e 
senza  alcuna  diminuzione,  né  potrebbero  minorarsi  senza  molta  dis- 
piacenza di  quei  comandanti,  i  quali  non  distinguendo  deputato  da 
console,  riguardando  si  l'uno  come  l'altro  come  rappresentante  la 
nazione,  allorché  essi  non  rimanessero  contenti,  ne  succederebbe  ine- 
vitabilmente una  rovinosa  conseguenza  pei  mali  trattamenti  che  ri- 
ceverebbe la  nazione  e  chi  la  rappresenta,  con  pericolo  e  danno  del 
nostro  commercio. 

Se  in  Aleppo  pertanto  devesi  per  gli  addotti  motivi  destinare  un 
console,  che  per  le  informazioni  prese  e  perle  asserzioni  scritte  dagli 
stessi  capi  delli  due  rispettivi  Consorzii ,  il  più  utile  ed  il  più  oppor- 
tuno non  sappiamo  riconoscere  se  non  se  il  veneto  suddito  Domenico 
Serioli  persona  di  tutta  probità  e  cognizione,  avendone  già  dati  saggi 
nell'esercizio  del  vice-consolato  di  Cipro  con  molta  sua  laude  e  nostra 
approvazione  sostenuto;  indebita  perciò  comparisce  l'annua  corres- 
ponsione delle  piastre  600  verso  il  Briganti  console  in  Cipro:  sì 
perchè  tal  sottrazione  gli  toglierebbe  il  modo  di  potersi  mantenere;  sì 
perchè  lo  stesso  Briganti,  lorchè  risiedeva  in  Aleppo,  considerando 
non  bastevoli  i  proventi  consolari  che  senza  alcuna  diminuzione  esi- 
geva, supplicò  in  seguito  che  gli  fossero  aggiunti  i  dritti  per  le  mer- 
canzie che'  andassero  e  venissero  da  Alessandretta,  Cipro,  Acri   ed 


Ì67 
altre  scale;  sì  perchè  finalmente  il  ricavalo  di  alquante  merci  che 
dalla  dominante  colà  si  spediscono  passano  con  cambiali   in  danaro 
in  Cipro  e  nelle  coste  della  Sorìa  per  la  provvista  dei  cotoni  e  di  altri 
generi  necessari  al  carico  delle  venete  navi  di  ritorno  a  questa  parte. 
—  Quando  pertanto  dall'  eccellentissimo  senato  venga  adottata  la 
massima   di    desti-nar  questo    console  ad  Aleppo  indipendente  da 
quello  di  Cipro,  vorrà  pertanto  V.   S.  precisamente  stabilire  che  il 
Serioli  abbia  da  rimanere  sollevato  da  tal  contribuzione  tanto  per  il 
passalo  che  per  l'avvenire.  E  che  sì  l'uno  che  l'altro  debbano  conse- 
guire un  annuo  certo  ed  idoneo  assegnamento,  da  esser  loro  corris- 
posto dalla  cassa  nazionale  che  dovrà  tenersi  in  questa  parte  ed  in 
cui  avranno  ad  affluire  tutti  i  diritti  consolari  spettanti  alli  sopradetti 
due  consoli,  come  si  accostuma  per  quello  del  Cairo.  Ma  siccome 
per  deficenze  dei  lumi  non  si  può  ora  fissare  il  preciso  annuo  quan- 
titativo, così  si  sono  eccitati  i  capi  delli  sopradetti  due  Consorzi  a 
denotarci  qual  provisionale  assegnamento  stabilir  si  potesse  a  do- 
vuto mantenimento  di  ambedue  questi  consoli,  sopra  il  qual  punto 
non  avendo  essi  per  ora  esibiti  i  loro  pensamenti,  ci  riserbiamo 
perciò  di  produrre  il  reverente  nostro  parere  in  altra  scrittura. 
Avendo  la  particolarità  di  questo  consolato  somministrato  a  noi  ar- 
gomento di  riconoscere  nella  generalità  dei  consoli  singolarmente  del 
levante,  la  inosservanza  eia  indisciplina  anco  riguardo  alla  esazione 
dei  cottimi  e  delle  avarìe,  faremo  pertanto  nostro  impegno  il  rin- 
tracciarne i  disordini,  per  quindi  rilevati  portarne   distinte  le  rela- 
zioni all'eccellentissimo  senato  per  gli  opportuni  rimedi  e  compensi. 
Ma  poiché  tale  importante  argomento  esigerà  qualche  dilazione  di 
tempo,  così  vorrà  intanto  la  sovrana  autorità  rinnovare  la  tanto  utile 
e  salutar  legge,  che  i  consoli  abbiano  coi  metodi  soliti  e  praticati  ad 
ogni  quinquennio  ad  essere  ammessi  alla  ballottazione  o  per  la  loro 
riconferma,  o  per  la  dimissione  dal  servizio,  a  norma  delle  loro 
direzioni.  Grazie. 
Data  dal  Magistrato  dei  V.  Savi* alla  Mercanzia  li  23  decembre  1762. 


arc antonio  trevisan  —  l.  andrea  da  rezze 
Gabriel  Marcello  —  Alvise  Contarini 
Savi  alla  Mercanzia. 


Senato  Mar.,  Filza  1110. 


968 

DOCUMENTO    I/XX1X. 


1762,  29  decembre  in  Pregadi. 


Sollecito  il  benemerito  magistrato  dei  Cinque  Savj  alla  mercanzia 
in  riconoscere  i  traffici  e  le  utilità  derivanti  alla  veneta  nazione  dal 
commercio,  che  ella  esercita  con  la  piazza  di  Aleppo,  rappresenta 
nella  diligente  scrittura  ora  letta,  che  riapertasi  di  presente  la  co- 
municazione con  la  Persia,  molto  contribuisce  allo  smaltimento  dei 
generi  nostri  il  libero  passaggio  delle  carovane  di  Bassora  e  Bagdad 
per  Aleppo  e  Damasco,  e  quindi  descrive  i  vantaggi  che  ne  colgono 
i  sudditi  negozianti  dalle  spedizioni  che  fanno  in  dette  piazze  di 
merci  di  Germania,  di  robe,  allume,  perle  false ,  conterie  ed  altre 
nazionali  manifatture. 

Dalla  descrizione  di  un  così  utile  e  vantaggioso  commercio,  pas- 
sando a  riflettere  alla  figura  non  addattata  di  un  veneto  deputato , 
stabilito  col  decreto  10  aprile  1760,  riferisce  il  magistrato  stesso  le 
commissioni  che  dietro  a  tale  prudente  considerazione  ha  creduto 
di  dare  ai  capi  del  consorzio  di  Egitto  e  a  quelli  di  Cipro  e  Sorìa, 
per  li  riflessi  dei  quali  si  vede  risultare  ad  evidenza  la  necessità  di 
doversi  stabilire  in  avvenire  un  consolato  in  Aleppo  indipendente 
da  quello  di  Cipro,  di  sollevar  nel  frattempo  il  deputato  dalla  con- 
tribuzione di  piastre  600  all'anno  imposte  a  favore  del  console 
Brigadi  (di  Cipro),  e  finalmente  di  unire  li  due  consorzi  e  casse, 
fissando  ai  rispettivi  due  consoli  quell'annuo  assegnamento  che  sia 
conveniente  ai  rispetti  e  convenienze  dell'  uno  e  dell'  altro  con- 
solato. 

Utili  riconoscendosi  dalla  maturità  di  questo  Consiglio  tali  sug- 
gerimenti, si  assente  a  buon  conto  in  via  di  massima  allo  stabili- 
mento del  console  in  Aleppo,  indipendente  da  quello  di  Cipro  in 
luogo  della  deputazione;  e  che  debba  assegnarsi  all'uno  e  all'altro 
un  congruo  stipendio,  con  l'oggetto  che  il  pagamento  dei  consolati 
abbia  a  farsi  a  questa  parte  come  si  pratica  per  quelli  di  Egitto; 
mentre  per  quello  sia  alla,  proposta  unione  dei  consorzi  e  casse  e 
rispettivi  assegnamenti  dovrà  il  magistrato  stesso  ricercare  ai  capi 
predetti  se  nel  proposto  espediente  vi  sia  pure  concorsa  la  volontà 
dei  rispettivi  consorzi,  con  tutto  il  di  più  che  tiene  rapporto  alla 
materia. 


269 

Al  giungere  di  tali  riferte,  che  colla  maggiore  sollecitudine  porterà 
il  magistrato  alla  cognizione  del  senato,  si  (isserà  parimenti  quel- 
l'annuo stipendio  dovrà  assignarsi  ai  consoli  di  Aleppo  ed  a  quello  del 
Cairo,  sospendendosi  la  contribuzione  delle  piastre  600  che  dal  Serioli 
doveano  corrispondersi  al  Brigadi. 

Nel  rimarcarsi  infine  con  sensibile  rammarico  quanto  accenna  il 
magistrato  rispetto  all'innosservanza  e  indiscipline  dei  consoli,  sin- 
golarmente del  levante  nella  esazione  dei  cottimi  ed  avarie,  attenderà 
questo  Consiglio  le  premesse  relazioni ,  per  quindi  addattarvi  gli 
opportuni  rimedii,  unitamente  a  quanto  prescrivono  le  leggi  e  i  de- 
creti sul  generale  dei  consolati  e  ciò  a  lume  delle  più  convenienti 
deliberazioni. 

De  si  82 

De  no  3 

Non  sinceri  3 

Cesare  Vignola  Segretario, 
Fra  i  nostri  Codici. 


DOcuariENi'o   ml**. 


Copia  de  una  letera  copiosa,  scrita  per  ser  Donado  da  Leze  q.  ser 
Priamo  da  Padova,  a  dì  14  settembre  1514  ,  drizzata  a  Zuan 
Jacomo  Caroldo  secretano. 

Come  per  sue  lettere  è  avisato  esser  avisi  da  Costantinopoli  del 
progresso  che  aveva  fatto  il  signor  Turco  contra  le  genti  del  Sophì 
quali  erano  ritirate  e  el  signor  era  intrado  nel  paexe  4  zornate  et  che 
lo  exercito  del  dito  signor  Turco  essendo  in  certe  montagne  havea 
patido  de  vituarie  e  che  da  poi  per  via  di  Trabisonda  sono  sta  soc- 
corsi, et  era  venuto  14  mille  Giorgiani  sul  campo  Turchesco  li  quali 
se  oferivano  de  darli  vituarie  per  il  campo  e  che  il  signor  Sophi 
non  se  sapea  dove  fosse  et  il  signor  havea  deliberato  andar  in 
Tauris;  a  le  qual  nuove  risponde  a  parte  a  parte  licet  non  habi  le 
scripture  lì,  et  tutavolla  essendo  aiutado  da  domino  Zuan  Maria  An- 
zolello  citadin  vicentino  qual  siete  con  l'avo  de  questo  signor  ani  20, 


270 

e  se  ritrovò  quando  el  dito  signor  andò  contra  Ussum  Gassam  sempre 

nel  campo  si  che  scriveva  cossa  che  li  piaceva,  ecc. 

Sempre  che  el  Turco  voi  far  exercito  per  andar  in  levante  se 
aponta  cum  quello  in  mezzo  della  Natòlia  paese  atto  a  nutrir  li 
exerciti  nel  cjual  loco  andò  Baiezid  signor  Turco  contra  Tamerlan 
et  li  fo  roto  e  preso  e  messo  in  una  gabia  di  ferro  dove  morite 
e  cusì  fece  Maumetho  avo  del  presente  signor  quando  l'andò  contra 
dito  Usson  Gassam  si  che  questo  sarà  el  principio  del  camino  che 
ha  tegnudo  el  presente  Selim.  E  qual  camin  tolse  verso  Amasia 
che  è  partendosi  dal  loco  de  Andra  per  greco  a  man  manca  et 
è  zornattì  sei  da  campo.  Da  questo  loco  de  Ancira  a  banda  destra 
per  ostro  se  va  al  Gogno  per  sirocho  alla  Garamania  e  per  sirocho  a  le- 
vante se  va  alla  Gazaria.  Ma  torniamo  in  Amasia  seguitando  il  viazo 
nostro.  Amasia  è  una  città  grande  murata  quale  era  sedia  del  sol- 
dati Achmash  posta  fra  colli  ha  uno  castello  alla  parte  di  tramontana, 
sopra  uno  monte,  passa  per  la  dita  citade  una  fiumana  la  qual  nasse 
nelle  montagne  del  Tochat  et  come  la  pasa  dita  cita  per  miglia  10, 
ìe  volze  per  maistro  andando  per  vallade  tra  montagne  grandissime 
buia  in  mar  mazor  avente  Sinope  cita  nominata.  Data  cita  di  Amasia 
per  due  zorni  de  campo  se  va  al  Tochat  terra  murada  dove  se  fan 
pani  da  seda  assai  et  chi  se  partisse  da  questo  locho  et  chi  andasse 
per  grego  per  100  mìa  anderia  in  Trapesonda;  lassamo  questo  ca- 
min che  viene  al  proposito  nostro.  Dal  Tochat  per  dieci  zorni  da 
campo  se  va  a  Sivas  casal  grande  e  l'ultimo  del  paese  del  signor 
Turco,  lontan  dal  qual  per  miglia  cinque  passa  una  fiumana  grande 
la  qual  nasse  nelle  montagne  apresso.  Trapesonda  discore  Cazaria 
et  si  mette  in  lo  Eufrales.  Sopra  della  strada  partendosi  da  Sivas 
per  passar  el  dito  fiume  v'ò  un  ponte  de  piera  grande,  questa  è 
la  strada  principal  e  più  comoda  a  tutti  quelli  che  voleno  andar 
in  Tauris  passato  dito  ponte  intrase  nel  paexe  de  Erzingan  qual  è 
parte  de  la  Armenia  minore  et  è  del  signor  Sophi  paese  montuoso 
circumdato  da  due  parte  da  montagne  grandissime,  da  tramontana 
in  parte  montagne  de  Trapesonda  ed  in  parte  da  la  terra  de 
Giorgiani,  da  levante  le  montagne  che  divide  la  Armenia  mazor  e 
menor  le  qual  principia  da  li  monti  dei  Giorgiani  e  va  per  ostro 
fino  a  lo  Euphrates  sopra  le  qual  le  gente  del  paexe  fuze  quando 
li  vien  invasion  alcuna  come  ha  fato  al  presente.  Ma  perchè  si  dice 
chel  Sophis  è  retrato  e  non  se  trova,  scrive  lui  tien  certo,  el  non  se 
trovi  a  quelle  bande  perchè  come  el  scrisse  lui  feva  gran  guerra  nel 
paese  de  Zagathay  et  haveva  da  far  non  solum  con  li  fioli  del  signor 


271 

de  dito  looo  ma  havevn  etiam  al  inconlro  uno  barbaro  di  diti  fioli 
quale  uno  do  li  7  soldani  della  Tartaria,  si  elio  tien  lui  non  sia  stato 
a  questo  bande  si  potria  dir  ohe  gente  sono  queste  che  ha  fato 
mover  il  signor  Turco  avvisa  el  signor  Sophì  per  voler  ajutar  sol- 
tani  Murath  havea  mandato  comito  a  li  paesi  soi  che  confina  con  il 
Turco.  Tutti  obedisse  al  dito  Murath  e  lui  haveva  fatto  exercito  do 
gente  comandato  a  nostro  modo,  però  sono  retrati  e  questo  sarà 
il  vero.  Passando  el  fiume  Lys  se  intra  nel  paese  de  Erzingan  el 
primo  loco  che  si  ritrova  se  chiama  Niessier  posto  sopra  un  monte 
lontan  dal  fiume  Lys  mìa  do  a  banda  mancha  del  dito  locho  an- 
dando per  monte  se  trova  uno  altro  castello  :  e  da  questo  per  una 
/ornata  dessendendo  in  capo  del  monte  dove  se  fa  lume  de  rodi  a, 
loco  murato  e  forte,  e  questo  è  quello  che  in  le  lettere  si  chiama 
Cussari  è  paexe  sterilissimo,  e  quando  al  signor  Mahumeth  fo  li, 
el  suo  exercito  patì  grandemente  come  ha  fato  al  presente  Selim, 
da  questo  loco  per  zorni  doi  per  campagna  e  coline  se  va  in 
Erzingan  e  le  dite  campagne  è  dette  de  Erzingan,  questo  locho 
non  è  murato ,  ma  hanno  castello  quando  vi  andò  el  signor  Ma- 
humetho  avo  de  questo  signor  fo  trovato  pocha  gente  perchè 
tulli  eran  fugiti  a  la  montagna,  fo  trovato  in  una  chiexa  de  ditto 
caxal  un  vecchio  qual  aveva  assai  libri  intorno  et  essendo  andatti 
dentro  molti  Turchi  dimandato  chi  l'era  non-  respondendo  fo  morto. 
Da  poi  se  intese  che  l'era  gran  philosopho  el  signor  Mahumeth  se 
ne  dolse  assai  di  questa  tal  morte. 

Partendosc  de' Erzingan  per  miglia  10  se  ritrova  una  fiumana 
grande  la  qual  nasce  nelle  montagne  che  divide  la  Armenia  mazot 
da  la  menor  ;  passato  detto  fiume  se  entra  in  un  paexe  qual  dura 
due  zornate  fino  al  fiume  Euphrate  dove  è  el  passo  solito  a  passai 
le  gente  che  vano  in  Tauris,  qui  il  fiume  è  larghissimo,  fa  de  molti 
polexeni  dentro  giarosi.  Quivi  se  apresentò  el  signor  Mahumetho 
cum  lo  exercito  suo  per  voler  passar,  dal  altra  banda  del  fiume 
se  ritrovava  le  gente  de  Ussum  Cassan.  El  signor  Turco  volse  far 
experientia  de  dover  passar  se  anegò  Asmurath  bassa  della  Ro- 
mania et  assai  altri,  sì  che  tra  annegati,  presi  et  morti  se  perse  de 
le  persone  12  mille.  El  signor  Turco,  visto  non  poter  far  altro,  lassò 
la  impresa  del  passar  et  andò  cum  l'exercito  seguitando  el  fiume 
verso  levante  per  zorni  due  e  mezo.  Dapoi  voltatosi  per  maistro  ab- 
bandonato el  fiume  intrò  in  algune  ville  dove  el  retrovò  esser  pas- 
sato Ussum  Cassan  a  traverso  di  quelle  montagne  fumo  a  le  mani  el 
fu  rota  a  la  gente  de  Ussum  Cassan  et  morto  Ezeniel  suo  fiol  prese  li 


272 

cariazì  e  pavioni  e  le  gente  furono  fugate  dopo  de  questo  el  dito  si- 
gnor Mahumetho  se  redusse  a  le  sue  terre  e  messo  lo  exercito 
intorno  in  termine  di  17  zorni  l'ebbe  a  patti,  questo  è  quanto 
operilo  el  dito  signor  Mahumetho  contra  Ussum  Gassan  el  qual  non 
havea  la  mila  del  poder  che  ha  al  presente  el  signor  Sophi,  si  che 
questa  è  la  conclusione  et  opinion  nostra  che  più  altro  non  pas- 
serà de  quello  fece  suo  avo.  E  si  el  passera  el  camin  che  aveva  a  far 
dito  signor  per  andar  in  Tauris  e  questo  passato  che  l'averà  lo 
Euphrate  troverà  do  strade,  una  verso  levante,  l'altra  verso  ostro  e 
sirocho;  quella  verso  levante  è  strada  inusitata  per  esser  mal  habi- 
tala  passando  Palu  che  uno  castello  sopra  un  monte,  sotto  del  qual 
passa  lo  Euphrate  se  ritrova  campagne  cho  produce  giunchi  e  non 
se  habita,  salvo  a  pe  di  monti,  siche  qua  exercito  non  pò  andar.  La 
strada  in  ostro  e  sirocho  è  quella  che  è  usitata  dove  vanno  caravane, 
siche  partendose  dal  fiume  per  pocho  spatio  se  trova  montagne  nel 
principio  dele  qual  è  uno  castello  andando  per  valle  et  monti  se 
ritrova  Angora  per  due  zornate  et  per  due  altre  pur  vallade  e 
/monti  se  discende  in  una  pianura  dove  è  Amith,  questa  è  città  mu- 
rata et  ha  un  castello  sopra  un  monte,  qua  se  fa  grandissime  mar-, 
chatantie  sì  per  la  Soria  come  per  la  Persia.  Dal  dito  loco  de  Amith 
per  garbin  se  va  per  6  zorni  in  Alepo.  Qui  stanzia  el  capetanio  zeneral 
del  signor  Sophì;  da  questo  loco  per  andar  in  Tauris  ghè  do  strade 
le  qual  vanno  a  una  cita  nominata  Tiflis  la  quale  è  posta  fra  due 
montagne  et  è  passo  fortissimo  sì  per  el  sito  del  loco  come  per  la 
fiumana  che  fa  forte  el  dito  passo.  Quivi  ne  sarà  da  far  assai. 

Da  Amith  per  sirocho  se  va  a  Mardin  che  ò  passo  sopra  un  monte 
et  è  zorni  cinque,  da  Mardin  per  zorni  do  per  levante  se  va  in  Aska- 
ranchief,  qui  se  ritrova  da  la  banda  da  levante  del  dito  locho 
una  fiumana  grandissima  che  quella  che  vien  per  Amith,  questa  fiu- 
mana è  profonda  et  ha  le  rive  altissime,  siche  minato  el  ponte  che 
passa  dito  fiume  è  impossibile  che  exercito  alcun  passa  da  el  dito 
locho  de  Askanchief,  per  3  zorni  pur  per  levante  se  va  a  Tiflis, 
hor  partendose  de  Amith  per  levante  se  va  per  una  vallada  larghis- 
sima et  abitatissima  per  zornade  10  se  ariva  a  Tiflis  e  nel  mezo  del 
camin  se  ritrova  una  piccola  terra  de  un  signor  el  qual  non  volea 
dar  obedienzia  al  Sophi  e  glie  mosse  el  campo  el  bave  per  forza  e 
tagliò  tutti  a  pezi,  al  presente  è  tuto  rovinato.  Quando  se  parte  da 
Tiflis  per  levante  per  3  zorni  declinando  uno  poco  a  la  mancha  se 
trova  Van  la  quale  è  in  principio  de  un  lago  chiamato  dello  stesso 
nome,  el  qual  è  longo  miglia   100  largo  20,  l'acqua  sua  è  salsa 


m 
e  non  é  poca  maraveglia  perdio  essendo  dello  lago  in  mezzo  de 
la  Armenia  sia  salso.  El  se  ritrova  uno  altro  lago  arente  Tauris 
dozornade  lo  qual  è  salso  et  è  grande  più  de  20  miglia,  longo  se 
chiama  Salamas  del  quale  se  traze  sai  assai  de  la  qual  se  fornise  la 
Media,  Persia,  Armenia  et  Mesopotamia. 

El  lago  dito  de  Variar  ha  tre  insule  dentro,  una  è  desabitata 
e  le  altre  due  habitale,  la  principal  se  chiama  Santa  Groxe,  l'altra 
Santa  Maria,  quella  di  Santa  Groxe  è  miglia  do  lontan  da  terra  da 
la  banda  de  ostro  del  lago,  la  qual  insula  ha  uno  monasterio  dove 
sta  un  patriarcha  con  100  monaci ,  in  questo  monasterio  Jacub 
signor  de  Tauris  lìol  de  Ussum  Gassam  fece  custodir  sua  sorella 
major  che  fo  de  Shàh  Aider  padre  del  signor  Sophi  insieme  cum 
el  fìolo  qual  stete  7  anni  ei  quando  fo  messo  ne  haveva  nove 
morto  Jacub  andò  nel  paexe  del  padre  e  fecesi  signor,  del  qual  al 
presente  non  se  dirà  altro,  ma  andando  a  Van  dal  dito  loco  suso  per  el 
lago  per  una  zornata  se  trova  altri  casali,  fino  che  dopo  10  giorni, 
se  arriva  a  Tauris.  Tauris  è  in  pianura  et  è  in  sul  confin  de  la 
Media  et  de  la  Armenia,  volge  mìa  tre  murato  de  terra  dove  è  la 
stanzia  di  signori  de  la  Persia,  avanti  che  diti  signori  l'avvesseno 
dito  Iodio  de  Tauris  la  stanzia  sua  era  in  Susa.  Resta  a  dir  de'Gior- 
giani  ma  per  non  esser  al  proposito  a  questo  cammino  non  se  dirà 
altro. 

Mariti  Sanudo,  God.  Marciarli,  voi.  XIX. 


IMICWJIIENTO    Ii*X*I. 


Sumario  de  una  lettera  de  ser  Donato  da  Leze  scfitd  a  Zuan  Giacomo 
Garoldo,  secretano  ducal,  a  dì  7  octubris  J5J4.  ^ 

Et  quanto  a  la  parte  de  venir  le  spetie  in  Trapesunda  per  el 

seno  Persico,  qui  soto  noterò  il  modo  se  solea  tenirse  neli  temp 
passati,  essendo  l'impero  de  Costantinopoli  ne  le  man  dei  Greci.  L\ 
navili  che  venivano  dall'India  cum  spetie  non  solevano  andare  nel 
mar  Rosso,  ma  tutti  venivano  nel  seno  Persico,  nel  qual  golfo  è  uno 
porto  dove  buta  l'Eufrate,  qjivi  entrava  li  navili  e  si  conduceva  alla 
18        Bollettino  Consolare,  Voi.   III. 


274 

cita  de  la  Balsera ,  la  qual  è  sopra  la  riva  del  dito  fiume,  mìa  50 
Ioutan  dal  mar.  Parte  de  le  qual  specie  si  conduceva  in  Trabesonda 
el  parte  in  Erzingan  e  de  lì  alla  terra,  da  poi  essendo  el  deto  paese 
in  guerra,  rote  le  strade  fu  l'orza  ai  mercanti  condurle  nel  seno  Ara- 
bico come  tanno  al  presente. 

La  cita  della  Balsera  è  grande  e  mercantesca  ,  dove  se  fa  faccende 
assai,  come  de  fide  degni  armeni  ho  inteso,  et  è  situata  ne  la  pro- 
vincia de  Babilonia.  Da  questo  loco  in  Trabesonda  sono  giornate  XXX 
a  mìa  XXV  per  zornata.  Sicché  tanta  strada  (èva  dita  mercanzia  e 
lungo  saria  narrar  li  lochi  dove  capitavano,  e  de  Trabesonda  con  na- 
vigli se  conducevano  a  Costantinopoli.  L'altra  strada  che  è  Astrakan, 
punendosi  dalla  Balsera  e  fuori  per  tramontana  al  fiume  Eufrate  fina 
do.ve  se  congiunge  Tigris  che  è  zornate  8,  e  de  lì  a  Cazan  cita  sopra 
e!  Tigri  giornate  4,  poi  se  passa  pur  per  tramontana  molle  zornate 
de  ca ravana  fino  a  la  gran  cita  de  Schamachi,  e  da  detto  luoco  fina 
in  Bachu  che  è  posta  sopra  il  mar  Caspio  zorni  4.  Quivi  è  una  cita 
dove  se  fa  gran  fazende,  da  la  qual  è  ditto  mare  de  Bachù.  In  questo 
loco  se  cargava  le  spetie  sopra  li  navigli  e  se  conduceva  in  Astrakan 
iena  dei  Tartari  posta  sopra  il  fiume  Volga  e  de  qua  per  8  zorni  chi 
volesse  andar  alla  traversa  se  andarla  alla  Tana  per  la  campagna  che 
per  esser  disabitada  se  va  suso  per  el  fiume,  poi  se  traversa  al  dicto 
loco  de  la  Tana  in  zorni  16.  Quivi  venia  le  galere  de  Venezia  e  levavano 
diete  spetie  come  è  scritto  nell'itinerario  di  Messer  Josafat  Barbaro. 

Marin  Sanudo,  Cod.  Marciarli,  voi.  XIX. 
ÌÌOCWHIEOTO  L.XX*II. 


Copia  de  ima  letera  de  ser  Donado  da  Leze,  podestà  e  capitano  a  Ro- 
vigo, scrila  a  Zumi  Jacomo  Garoldo,  secretano.  Data  a  Rovigo  adì  2 
novembre  1514. 

Per  lettere  vostre  de  ultimo  del  passato  son  avvisado,  esser  nove 
importantissima  venuta  al  clarissimo  Gritti  da  Raglisi,  comeel  signor 
turco  Selim  a  di  23  agosto  su  la  campagna  de  Choi  ha  fatto  zeneral 
battaglia  col  signor  Sophì  con  crudelissima  strage  dell'esercito  suo. 
Tandem  era  restato  victorioso  et  era  fcigito  detto  signor  Sophì  e  lo 


275 

signor  Selim  dovea  andar  rn  Tauris,  pregandomi  che  io  vogli  far 
risposta  sopra  di  ciò.  Io.  desideroso  di  satisfar  al  voler  vostro,  an- 
dior  che  sii  occupatissimo  in  diverse  cose  et  alti  dei  gran  fastidi 
in  questo  Iodio,  non  resterò  che  io  notifichi  li  lochi  et  sili  che  po- 
lla andar  detto  Selim,  et  dove  si  potrà  ritrager  el  detto  Sophi,  per 
ritornare  iterum  a  la  campagna  ;  ben  ve  dirò  questo  che  Selim  è 
entrato  troppo  dentro,  che  da  Ghoi  dove  me  scrivete  esser  sta  la 
battaglia  (in  al  principio  del  so  paese  sono  giornate  25,  et  avendo 
avolo  una  tal  rotta  qual  me  scrivete  non  potendose  refar  per  esser 
el  paese  tutto  per  el  signor  Sophì  non  so  come  el  farà  se  iterum  un 
altro  esercito  adosso  li  venirà,  nonostante  questa  vittoria,  facio  mal 
jnditio  del  fato  suo  come  qui  soto  intenderete. 

Ghoi  è  uno  casale  grande  sopra  la  campagna,  non  è  murato  e  da 
questo  luoco  fin  in  Tauris  sono  sei  zornate.  In  tuta  campagna,  se 
ritrovano  due  loci  grandi,  due  zornate  lontani  l'uno  dall'altro  chia- 
mati Moriam  et  Sophiam,  come  vedrete  ne  le  mie  lettere  per  avanti 
scritteve.  Siche  dicto  signor  Turco  anderà  in  Tauris,  et  sono  certo 
che  li  se  affìrmerà,  perchè  el  signor  Sophì  s'era  lontano  da  lui,  et 
volendo  andar  a  trovarlo  vorrà  del  tempo.  S'el  Sophì  sera  vivo  potrà 
far  gran  numero  di  zente  et  presto  in  diverse  provincie  come  è  nella 
Persia,  Kerman,  Eri,Ghan,  Fars,  et  Shirvan.  Tutti  questi  paesi  sono 
abbondantissimi  de  uomini.  Accostato  a  qual  voi  di  questi  loci  con 
q nelle  poche  zente  se  ritrova  ritornerà  iterum  alla  campagna  e  sera 
alla  condizione  di  Antheo  che  reassumeva  le  forze  tante  volte  quante 
la  terra  toccava.  Et  acciò  intendiate  li  paesi  scripti  de  sopra  : 

Tauris  è  in  li  confini  de  la  Media  et  Armenia,  guardando  dal  dicto 
Iodio  di  Tauris  verso  levante  a  banda  destra  è  la  Persia,  Cherman 
Irak.  La  principal  cita  de  presente  della  Persia  è  Schraz,  la  quale  è 
lontana  da  Tauris  per  levante  e  scirocco  zornate  20,  e  da  lì  in  Kar 
altre  20.  Shiraz  è  di  sotto  da  questo  verso  ostro  per  mezzo  l'isola 
de  Ormus.  Da  tutte  queste  tre  provincie  se  poi  trazer  una  gran  quan- 
tità de  zente  et  massime  de  Schiraz  et  Persia.  La  dieta  cita  de  Schraz 
fa  200,000  -anime  ed  è  murata.  Altre  volte  ribellò  a  Ussun  Cassai! 
de  volontà  de  un  suo  figliuolo  che  voleva  farse  signor ,  sicché  da 
questi  loci  potria  esser  tratto  esercito  potentissimo ,  ma  tengo  non 
andrà  a  questa  banda,  ma  anderà  ad  altra  parte  verso  tramontana 
per  aver  li  Georgiani  con  lui,  quali  sono  mìmicissimi  col  Turco  an- 
cor che  venissero  nel  suo  campo.  Questo  farieno  per  non  se  lo  re- 
tirar adosso  per  confinar  loro  con  Trapesonda. 

Or  torniamo  a  Tauris  ;  partendosi  de  li,  andar  per  greco  per  7 


276 

giornate  se  trova  Ardevil,  confina  ila  ponente  con  el  paese  de  Shir- 
van  dove  è  la  gran  cita  de  Schiamachi.  Et.il  paese  de  Schirvan  con- 
fina con  li  Giorgiani  verso  maistro  dove  è  Emircapi  dieta  e  porte 
de  ferro,  et  da  questa  banda  potrà  aver  soccorso  numeroso  sì  dai 
Giorgiani  come  da  quelli  altri  paesi  nominati.  Puoi  aver  etiam  soc- 
corso grande  de  Azerbigian  che  confina  da  levante  col  paese  de 
Ardevil,  et  etiam  de  Sara  che  è  sopra  el  mar  Caspio.  Se  potria  dir 
che  el  potesse  trager  zente  assai  dal  paese  de  Gorassan,  ma  per 
esser  novi  sotto  el  suo  dominio  non  credo  che  vorrà  di  quelle. 
Se  potria  anco  servir  di  bona  zente  de  Ispaan  et  altri  paesi  che 
sono  in  la  Media.  Sicché  per  concludere  tengo  farà  grandi  eserciti 
per  esser  ben  voluto  da  tutti  e  libéralissimo.  Sta  che,  come  ho  dicto 
di  sopra,  mi  dubito  assai  del  fatto  de  Selim. 

Marin  Sanudo,  Cod.  Marciarli,  voi.  XIX. 


DOCUMENTO  I/KXXIH. 


Relazione  di  Persia,  del  clarissimo  messer  Teodoro  Balbi 
console  veneto  nella  Siria  dall'anno  1578  al  1582. 

Serenissimo  Principe , 

Dalla  guerra  di  Persia,  nella  quale  con  numerosissimo  esercito  e 
con  gran  spargimento  di  sangue  contendono  insieme  due  potentis- 
simi re  del  mondo,  non  mi  ha  parso  poter  avere  informazione  della 
quale  la  Serenità  Vostra  possa  in  parte  rimanere  soddisfatta,  se  non 
colPaver  minutamente  in  leso  se  fé  forze  del  presente  esercito  come 
di  ogni  altra  particolarità  con  cui  si  possa  far  giudicio,  come  il  re 
persiano  sia  per  resistere  alli  assalti  turcheschi,  e  con  che  ordine  e 
fondamento  possa  muoverle  armi  contro  un  tanto  forte  inimico.  Così 
mi  sono  andato,  con  più  certezza  che  ho  potuto,  informando  delle 
entrate  e  spese  di  detto  re,  della  milizia  che  egli  ha,  dell'ordine  del 
guerreggiare  e  stipendiar  li  soldati,  dell'obbedienza  che  gli  porta  il 
suo  popolo,  di  molti  altri  successi  nelli  tempi  passati  nella  creazione 
di  re,  dalla  quale  si  può  comprender  la  durazione  di  quell'imperio, 
e  di  molte  altre  cose  pertinenti  alle  forze  e  poter  suo  ;  le  quali  tutte 
ho  voluto  far  sapere  alla  Serenità  Vostra  con  questa  mia  scrittura.. 


277 
non  aspettando  di  farlo  personalmente  nel  mio  ritorno  a  Venezia,  per 
sapere  quanto  più  ora,  che  si  la  questa  guerra  famosa  appresso  tutti 
li  principi  del  mondo,  erano  desideralissimi  tali  avvisi,  di  quello  sarà 
di  qui  a  tre  anni,  quando  forse  sarà  compido  il  guerreggiare  in 
quelle  parli.  Supplico  intanto  Vostra  Serenità  che  in  questa  mia  re- 
lazione attenda  più  alla  volontà  e  desiderio  con  che  io  la  faccio,  che 
è  di  darle  quanto  più  per  me  di  sua  soddisfazione;  perchè  del  resto 
sono  sicuro  che  per  la  mia  poca  esercitazione  nel  dire  non  sarà 
degna  del  suo  cospetto,  e  per  non  essere  stato  io  nella  Persia,  né 
aver  ragionato  con  persone  maggiormente  istrutte  di  quel  regno,  po- 
trà parere  in  molte  parti  imperfetto. 

È  postala  Persia  sotto  il  clima  stesso  di  Venezia  e  dell'Europa, 
e  nella  parte  di  tramontana  dove  è  il  mar  Caspio  è  montuosa  e  fred- 
dissima ,  da  quella  di  mezzogiorno  è  pur  anco  montuosa  ma  ferti- 
lissima e  calda.  Ha  molte  fontane  e  fiumi,  e  dove  è  il  golfo  d'Ormuz 
è  dal  mare  perfino  bagnata.  Confina  coi  Tartari  e  con  altri  re  ido- 
latri. Dove  è  la  città  di  Vaslan  ed  altre  città  dalla  parte  di  po- 
nente confina  con  Turchi  e  Georgiani. 

Ebbe  questo  imperio  molti  re,  dei  quali  siccome  è  stato  scritto 
copiosamente  da  molti  scrittori,  così  ora  non  tocca  a  me  ragionare 
che  di  quelli  che  della  legge  maomettana  in  qua  hanno  regnato. 

Il  primo  dei  quali  fu  Ismail  Gioneid  che  seguendo  la  legge  di  Ali 
et  per  questa  cagione  perseguitato  dai  Turchi  fuggì  in  queste  regioni 
nella  città  di  Ardevil,  dove  vivendo  vita  esemplare  e  da  tutti  i  cir- 
convicini tenuto  per  santo,  venne  in  tanta  reverenza  appresso  cia- 
scuno che  ridusse  molti  di  quei  popoli  alla  fede  di  Ali,  essendo  da 
loro  tenuto  per  capo.  Così  visse  mollo  tempo  e  dopo  la  sua  morie 
successe  Haider,  il  quale  non  stette  molto  che  in  guerra  fu  morto 
restando  suo  erede  Ismail  che  dopo  gli  idolatri  di  Nembrod  fu  il 
primo  che  ebbe  titolo  di  re  della  Persia,  e  quasi  di  tutta  se  ne  fece 
padrone  sottomettendola  al  suo  impero  con  molti  regni  e  ducati  di 
fede  turca.  Combattè  con  sultan  Selino,  e  per  causa  delle  artiglierie 
fu  rotto.  Fu  uomo  libéralissimo  e  sopratutto  coi  soldati  spendeva 
quanto  aveva,  e  la  sua  morte  ne  diede  il  segno  che  pochissimo  oro 
se  gli  ritrovò.  Fu  bellicoso  e  sopramodo  si  dilettò  della  caccia. 
Fabbricò  una  gran  moschea  nella  città  di  Ispahan,  morì  ad  Ardevil, 
dove  era. andato  a  visitare  la  tomba  di  suo  padre  l'anno  1523, 
avendo  xv.  anni  con  assai  buona  fortuna  amministrato  il  regno. 

11  figliuolo  per  nome  chiamato  shàh  Thamasp  padre  del  presente 
re  successe  nel  regno  in  età  di  11  anni  e  ne  regnò  50.  Guerreggiò  con 


278 

Selim  quantunque  non  volesse  mai  seco  venire  a  giornata,  per  la 
esperienza  che  ebbe  dai  padre  dell'artiglieria  ;  prese  Tauris  città 
principale  di  quel  regno  e  di  nuovo  la  riacquistò,  fece  la  pace  con 
detto  Turco  e  promise  di  mai  rompergli  guerra,  siccome  fu  veduto 
nelli  capitoli  fatti  tra  loro,  né  fu  dettò  che  la  fortezza  di  Kars  fosse 
gittata  a  terra,  e  che  per  8  miglia  da  una  parte  e  dall'altra  fosse 
fatto  deserto  affinchè  in  niun  tempo  potesse  nascer  mai  fra  circon- 
vicini dissensioni.  Così  mai  l'uno  contro  l'altro  mosse  le  armi,  anzi 
in  occasion  di  bisogno  si  promisero  soccorso.  Il  detto  shàh  Thamasp 
andando  contro  un  re  georgiano  a  questo  e  quello  inimico  cosìfece) 
e  lo  vinse  a  tempo  che  d'ogni  altra  cosa  pensava  che  alla  guerra  per 
esser  l'invernata  e  d'ogni  intorno  la  neve,  ed  oltre  il  sacco  e  bollino 
che  fece  menò  un  30  mille  anime  fra  uomini  e  donne  da  15  fino 
ai  30  anni. 

E  perchè  si  trovavano  del  re  morto  24  figliuoli  tutti  in  diverse 
città  del  regno  divisi ,  che  intendendo  la  perdita  del  padre  e  della 
città  regia,  nissuno  se  ne  fece  padrone  chiamandosi  re  di  quelle, 
e  ne  restò  il  regno  in  14  parti  diviso.  Uno  di  questi  fratelli  è  Sim- 
bes  che  è  quello  che  l'anno  passato  era  in  poter  del  re  di  Persia 
e  che  prometteva  andar  ad  infestar  li  passi  e  non  lasciar  andar 
niuna  cosa  all'esercito  dei  nemici,  ed  acciocché  gli  fosse  data  cre- 
denza si  fece  turco-persiano.  Siccome  scrissi  a  Vostra  Serenità  è 
uomo  di  grandissima  stima,  e  tanto  che  in  qualcuno  è  animo  che  se 
questi  è  da  parte  dei  Persiani,  basti  lui  a  metter  in  gravissima  ne- 
cessità i  nemici.  Son  tutti  i  suoi  georgiani  soldati  veterani  dati  a 
vita  comoda,  che  non  hanno  alcun  pensiero  né  cura  della  cavalleria. 
Dicono  discender  da  una  figliuola  di  Salomone.  Tengono  altari  e 
chiese  come  le  nostre  con  figure  del  Salvatore  e  della  Beata  Vergine. 
La  sua  sede  è  ora  a  Tiflis  che  rende  tributi  al  regno  di  Persia. 

Fu  quel  Shàh  Thamasp  il  primo  che  andò  ad  abitare  Kasbin  ed 
ivi  poner  la  sedia;  e  quella  città  era  per  avanti  antica  villa  suddita* 
del  re  di  Ghilan,  il  territorio  della  quale  per  lunghezza  è  18  leghe 
e  per  larghezza  14,  situata  in  mezzo  di  alte  montagne  dalla  parte  di 
tramontana,  dove  la  neve  in  ogni  tempo  dell'anno  si  trova  ;  e  questo 
fece  per  sicurtà  e  per  esser  in  mezzo  del  suo  regno  in  sito  fortis- 
simo ,  e  di  essa  ne  ha  fatto  una  città  principalissima.  Si  chiama 
questa  villa  Kasbin  che  in  sua  lingua  non  vuol  dir  altro  che  ca- 
stigo, perchè  a  quel  tempo  in  essa  erano  rilegati  tutti  i  malfattori 
che  non  erano  giudicati  a  morte  ;  ed  ora  è  città  nobilissima  adorna 
di  grandissime  fabbriche  e  giardini  di  molta  spesa,  fra  li  quali  ve 


279 

n'ò  uno  del  proprio  re,  ili  spesa  di  più  di  1°2,000  ducati,  per  la  cui 
bellezza  lo  chiamano  reesl  che  in  lingua  loro  intendono  paradiso. 
È  città  popolarissima  che  dicono  che  ad  ogni  richiesta  del  re  gli 
sono  sempre  pronti  30,000  cavalli,  il  circuito  della  quale  è  intorno 
a  leghe  tre.  Ebbe  il  suddetto  shàh  Thamasp  dal  re  dei  Tartari  il  re- 
gno di  Candar  in  dono  per  l'aiuto  e  soccorso  che  egli  diede  per 
rimetterlo  in  stato  al  tempo  che  fu  rotto  nel  regno  di  Gambaia. 

Fu  questo  shàh  Thamasp  crudel  tiranno,  che  chi  vedeva  ricco  e  di 
qualche  autorità  nel  suo  regno  lo  privava  della  roba,  e  se  non  gli 
toglieva  la  vita  gii  faceva  cavare  gli  occhi  ;  di  niuno  suo  capitano  o 
cavaliere  si  fidava,  ne  d'alcuno  voleva  consiglio;  era  avarissimo  e 
per  accumular  danari  mandava  perfino  al  bazar  le  proprie  vesti, 
tratteneva  il  soldo  che  prometteva  ai  soldati,  per  il  che  15000  e  più 
abbandonarono  la  Persia  facendosi  vassalli  dei  Tartari  ed  altri  re 
delle  Indie,  per  non  esser  sottoposti  a  un  tanto  tiranno.  Usava  d'anno 
in  anno  rinnovar  la  moneta  facendola  fare  di  metà  valor,  e  non  si 
stampava  dell'altra,  proibendo  quella,  e  quasi  tutta  la  colava  nella 
zecca,  e  di  questa  ragione  nelle  altre  città  del  regno  cavava  danaro 
grandissimo,  che  non  si  mette  in  computo  delle  sue  rendite.  Alla 
sua  morte  gli  fu  trovato  fra  oro  argento  e  gioie,  cosa  che  par  impos- 
sibile, nondimeno  mi  è  stata  confermata  da  più  bocche  più  di  80  mi- 
lioni di  ducati,  tra  li  quali  v'erano  17  milioni  battuti  a  maidini  d'oro. 
Lasciò  fra  cavalli,  cavalle  e  cammelli  al  n°  di  100,000.  Morì  del  157G 
ai  11  maggio,  avendo  regnato  50  anni.  Poche  ore  avanti  conoscesse 
la  sua  morte,  ordinò  il  suo  testamento,  e  avanti  che  nel  suo  regno 
succedesse  shàh  Ismail  suo  figlio  secondogenito,  per  trovarsi  il  pre- 
sente Mohammed  Kodabende  dedicato  alle  cose  della  sua  legge  e 
per  aver  corta  vista  :  e  si  fidò  pur  di  4  suoi  capitani  che  essi  chia- 
mano sultani,  il  nome  dei  quali  sono:  sultan  lbraim  mirza,  suo  ni- 
pote che  si  trovava  in  alcuni  suoi  castelli  discosti  da  Kasbin  6  in  7 
giornate  dalla  parte  di  levante,  al  qual  fece  intender  venisse  con 
quante  più  forze  potesse,  così  fece  venendo  con  12  mille  cavalli  : 
mettendosi  nella  casa  regale,  e  datogli  dal  detto  re  autorità  del  go- 
verno, e  fattolo  camerier  principale  con  autorità  di  portar  la  spada 
che  a  niuno  è  concessa  ;  il  secondo  era  mirza  Ali  sultan  ;  il  terzo 
Absalon  bey;  e  del  quarto  non  si  è  potuto  aver  il  nome,  e  solo  per 
il  tratto  intendeva  andar  attorno  dal  Derogi  che  a  loro  usanza  vuol 
dir  governatore  del  regno,  il  quale,  era  quarto  visir  creato  di  più 
dell'ordinario,  già  per  avanti  trattava  di  far  morir  shàh  Thamasp  e 
sin»  figliuolo  shàh  Ismail  per  metter  in  sedia  sultan  Aider  altro  figlio 


280 

di  shàh  Thamasp  e  di  madre  georgiana,  sol  perchè  lui  saria  stato, 
sopraintendente  di  tutto  il  maneggio  del  regno. 

Sapendo  adunque  shàh  Thamasp  questo  disegno  del  governatore 
consultò  coi  sultani,  di  tor  di  vita  sultan  Aider  figliuolo  suo,  e  lo 
mandò  a  chiamar  con  fargli  dire  che  avanti  chiudesse  gli  occhi  desi- 
derava vederlo  e  farlo  suo  successore,  alla  qual  richiesta  fu  il  figliuolo 
obbediente,  e  giunto  al  cospetto  del  padre  disse  il  re  ad  un  suo  capi- 
tano chiamato  Absalombey  che  facesse  il  suo  ufficio  ;  per  il  che  fu  il 
figliuolo  legalo  e  posto  in  catena  in  una  stanza  con  sicurissima 
guardia.  Mancato  il  re  fu  tenuta  detta  morte  secreta  facendo  serrar 
tutte  le  porte  del  palazzo.  Il  che  vedendo  il  terzo  giorno  che  fu  li  8 
detto,  il  governatore  ribelle  non  volse  più  tardare  che  Aider  non 
fosse  pronunziato  re,  corse  armata  mano  alla  casa  regale  con  15000 
fanti  suoi  seguaci,  gettando  a  terra  la  prima,  seconda  e  terza  porta 
gridando  a  loro  usanza  Aider  suo  re.  Questo  vedendo  li  sultani  che 
erano  alla  custodia  del  palazzo,  mandarono  nella  stanza  dove  era 
Aider  serrato,  Samai  bey  di  sangue  circasso  e  fecero  che  gli  troncasse 
la  testa  ;  e  troncata  che  l'ebbe  la  portò  in  mano  gettandola  dalle  scale 
del  palazzo  a  piedi  del  cavallo  del  governatore  nemico,  che  pur  atten- 
deva a  gridar  Aider  re:  dicendogli,  piglia  la  testa  del  tuo  re  con 
molte  parole  vituperose.  Ed  essendo  ancor  essi  provvisti  di  gran 
banda  di  gente  e  soccorsi,  attaccarono  la  zuffa,  tagliandone  quanti 
ne  trovavano  che  ascesero  al  numero  di  4  mille  e  più,  non  lasciando 
in  vita  né  grande,  né  piccolo,  né  dell'uno,  né  dell'altro  sesso  della 
sua  prole,  mettendo  a  sacco  le  case  loro  e  dispianandole  fino  alle 
fondamenta  ;  e  lui  togliendo  la  fuga  con  non  più  di  2000  cavalli 
se  ne  uscì  fuori  della  città,  e  per  necessità  di  fame  ed  altri  di- 
sagi fu  abbandonato  nel  viaggio  dalle  sue  genti,  e  dal  proprio  fi- 
gliuolo che  si  ricorse  nella  città  di  Kom  a  Sultania  madre  di  Ismail 
e  del  presente  re  di  nazione  turcomanna  zia  di  Emerkan,  il  quale 
al  presente  è  capitano  generale,  ed  è  detto  per  sopranome  Spada 
di  Persia,  sperando  che  per  mezzo  di  lei  gli  fosse  salvata  la  vita  ; 
ma  non  gli  riuscì  perchè  de  li  a  poco  fu  morto  insieme  con  sei 
altri  fratelli.  E  vedutosi  detto  governator  abbandonato  da  ognuno 
si  vestì  da  medico  in  alcune  montagne  fuggendo  per  venirsene  al 
Turco,  fu  da  alcuni  cacciatori  inviati  da  Absalon  bey  suo  nemico, 
conosciuto  e  preso  e  condotto  ad  esso  e  tenuto  fino  alla  venuta  di 
ismail  che  lo  fece  morire,  siccome  dirò  più  abbasso.  E  perchè 
per  le  rapine  e  morti  che  si  facevano  nella  città,  per  non  vi  es- 
sere il  re,  pochi  erano  sicuri  nelle  case  proprie,  il  giorno  17  Ab- 


281 

salon  bey  ed  alcuni  capitani  del  re  morto,  con  gran  banda  di  gente 
andarono  per  la  città  e  per  li  bazari  assicurando  e  dando  animo 
a  ciascuno  che  tornasse  ai  suoi  negozi:  dicendo  che  il  re  Ismail 
non  poteva  far  che  ogni  ora  non  comparisse  :  mandando  bandi  at- 
torno che  sotto  pena  della  vita  ninno  avesse  ardire  di  molestare 
né  cosa,  né  persona  della  città  ;  e  dove  si  trovava  un  malfattore 
gli  erano  troncale  le  mani  e  i  piedi  o  tagliata  la  testa  siccome 
pareva  meritasse  il  delitto,  ponendola  sopra  le  lande  e  portandola 
attorno  per  la  città  e  bazari,  e  con  questi  mezzi  fecero  cessare  il 
spavento  ed  assicurare  l'animo  di  ognuno.  Facevano  al  mezzogiorno 
e  alla  sera  che  fossero  sonate  gnacchere,  e  fatta  allegrezza  con 
gridi  altissimi  che  il  re  era  vicino ,  e  questo  solo  per  tenere  il 
freno  a  qualcuno  che  avesse  animo  di  perseverar  nelle  stesse 
rapine. 

11  giorno  dietro  che  fu  alti  18  fu  pubblicato  shàh  Ismail  re, 
nella  moschea  grande,  e  di  subito  tutti  li  capitani  e  soldati  che 
erano  alla  custodia  della  città  e  di  tutte  le  circonvicine,  andarono 
a  levare  il  re  che  ancora  si  trovava  in  un  castello  sottoposto  alla 
città  di  Ardevil  discosta  da  Kasbin  giornale  dieci  dalla  parte  di 
tramontana,  dove  fu  dal  padre  relegato,  per  il  mal  animo  che  lui 
credeva  avere  contro  i  Turchi,  et  per  esser  di  natura  feroce  du- 
bitava calasse  alli  confini  e  fosse  cagione  di  romper  la  guerra  col 
Turco,  e  per  questo  lo  tenne  in  quella  fortezza  appresso  anni  se- 
dici. E  giunti  in  vista  di  detto  castello  cominciarono  a  gridar  shàh 
Ismail  che  vuol  dire  re  Ismail.  facendo  molti  segni  d'allegrezza  ; 
al  che  però  da  lui  non  fu  dato  ascolto  ne  manco  dal  capitano  che 
era  in  sua  custodia  congiunto  di  sangue  col  governalor  ribelle,  e 
diceva  voler  combatter  con  loro  ;  ma  fu  da  Ismail  ordinato  che  non 
facesse  motto  alcuno  perchè  in  breve  la  visita  si  sapria,  sì  come 
fu  che  non  stettero  molto  che  da  ogni  luoco  vedeva  comparir  genie 
ed  empiersi  le  campagne  di  soldati  che  gridavano  colle  stesse  voci 
Ismail  re.  Del  che  fatto  certo  discese  dalla  fortezza,  ed  il  capitano 
che  primamente  non  volse  credere  fu  il  primo  a  baciargli  il  piede, 
e  dimandargli  perdono  con  la  spada  legala  al  collo  se  l'aveva  of- 
feso, perchè  tutto  aveva  fatto  per  non  esser  disobbediente  al  re 
morto  padre  suo,  che  già  tanti  anni  glielo  -ivea  dato  in  custodia; 
e  così  gli  perdonò,  anzi  concesse  ad  un  suo  figliuolo  il  governo 
di  Tauris  ;  e  di  poi  gli  corse  ognuno  a  baciare  il  piede  :  e  veduto 
che  già  si  erano  adunati  più  di  85  mille  cavalli  con  forse  5  mille 
padiglioni  deliberò  incamminarsi  verso  Kasbin  ed  a  mezzo  cani- 


482 

mino  fu  incontrato  da  sultan  Mirza  suo  germano  da  parte  di  padre 
e  cognato,  e  smontato  da  cavallo,  volse  il  re  fare  il  medesimo  ab- 
bracciandolo e  raccogliendolo  caramente,  e  dopo  molte  parole  di 
complimento  lo  creò  suo  capitan  generale,  confirmandolo  nella  stessa 
dignità  la  quale  il  padre  gli  aveva  data,  ordinando  che  il  suo  pa- 
diglione fosse  posto  all'incontro  dell'i  reali  ancorché  ciò  non  fosse 
solito  a  farsi  in  niun  tempo.  E  giunto  alli  14  luglio  alla  vista  della 
città  di  Kasbin,  ivi  si  accampò  ed  alli  15  gli  fu  menato  in  catena  per 
il  capitano  Àbsalon  bey  il  governatore  ribelle,  e  da  esso  re  gli  furono 
dette  molte  parole  come  conveniva  alla  sua  infedeltà,  e  se  lo  scacciò 
davanti  serbando  la  sua  morte  a  pochi  giorni.  Dopo,  lui  stette  fino 
li  17  facendo  molte  giustizie  crudeli.  Venne  fino  alle  porte  delia 
città  sopra  12  cavalli  cavalcando  or  sopra  l'uno  or  sull'altro,  per 
segno  delli  12  figliuoli  di  Ali  suo  profeta  ;  e  per  timore  non  gli 
fosse  tirata  qualche  archibugiata  e  fosse  morto,  con  20  suoi  più 
fidali  si  mise  in  una  strada  dove  non  era  aspettato  e  per  la  porta 
del  giardino  ascosamente  se  ne  andò  nel  palazzo  reale,  facendo  che 
il  suo  capitano  generale  andasse  sotto  l'ombrello  per  la  strada  ove 
tutto  il  popolo  stava  aspettandolo. 

Non  stette  molto  che  divenne  crudele  sopra  ogni  altro  non  perdo- 
nando ad  alcuno  della  stirpe  del  governatore  ribelle,  nemmeno  al 
cognato  creato  da  lui  capitano  generale  che  tutti  fece  morire  insieme 
con  dieci  fratelli,  chi  di  veleno  e  chi  strangolandoli,  fuori  che  il 
presente  re  il  quale  si' trovava  in  Schiraz  discosto  da  Kasbin  due 
giornate  che  non  lo  potè  aver  mai  in  così  poco  tempo  che  regnò  ;  ma 
bensì  il  suo  figliuolo  con  due  suoi  germani  e  tutti  li  principali  sultani 
che  erano  nella  corte  del  padre  ;  et  soleva  dire  che  non  si  potevano 
sostentar  i  padiglioni  reali  con  corde  vecchie,  e  con  le  sue  proprie 
mani  ne  ammazzò  infiniti,  dicendo  voler  vedere  se  la  sua  spada  ta- 
gliava, e  per  il  computo  fatto  delli  morti  di  mano  sua  e  di  suo  ordine 
ascesero  al  numero  di  dodici  mille,  senza  quelli  che  in  così  breve 
tempo  che  regnò  privò  degli  occhi  e  scacciò  in  esilio.  Fu  di  pensiero 
per  qualche  suo  fine  di  lasciar  la  fede  di  Aly  e  pigliar  quella  di  Omar, 
e  ne  diede  segno  col  cavar  gli  occhi  ad  un  suo  califfo  persona  prin- 
cipal  della  fede  ;  e  con  far  molte  altre  offese  ed  insulti  a  molti  altri 
suoi  santoni  ;  il  che  pressentito  da' principali  che  restarono  nel  regno 
fecero  congiura  insieme  con  una  sua  sorella  alla  quale  lui  aveva  fatti 
molti  oltraggi  e  toltigli  200,000  ducati  e  più  che  si  trovava  eli  schiavi 
e  schiave,  facendola  star  in  vita  ristretta  e  piena  di  disagi  ;  donna  di 
30  anni  astuta  e  prudente  e  che  dal  padre  suo  era  stimata  e  si  fidava 


28;* 
di  lei;  e  cosi  insieme  ordinarono  il  veleno  ponendolo  in  alcune  palle 
di  teriaca  che  soleva  mangiare,  e  postato  in  una  bustela  ohe  soleva 
portare  il  figlinolo  di  un  suo  capitano  confidente  die  sempre  gli  stava 
a  lato;  egli  al  solilo  ne  prese  e  la  notte  seguente  restò  morto,  (>±~ 
sondo  in  età  di  44  anni  e  fu  all'i  24  novembre  1577,  la  vigilia  di  santa 
Gatterina  avendo  regnato  solamente  1  anno  7  mesi  e  0  giorni,  morto 
a  tempo  che  disegnava  far  pubblicarla  legge  che  voleva  Ormare  all'ul- 
timo del  suo  Ramadan,  e  diceva  pubblicamente  che  avria  fatto  doni 
e  tenuti  in  sua  grazia  tutti  quelli  i  quali  l'avessero  seguitalo  ed  altri 
che  avessero  voluto  star  ostinati  nelle  sue  opinioni  gli  avria  fatti 
andar  a  li  1  di  spada  ;  e  per  non  lasciar  andar  più  avanti  questo  suo 
disegno  gli  fu  dato  il  veleno.  Fu  tenuta  dalla  detta  sorella  la  morto 
del  re  secreta,  mandando  a  chiamar  li  capitani  principali  complici 
della  morte  del  detto  re,  e  lor  disse  che  nelle  sue  mani  stava  quell'ab- 
bondantissimo regno,  e  se  volevano  essi  con  gli  odi  particolari  ve- 
derle il  fine  facevano  gran  peccato  ;  ma  che  allora  era  tempo  di  ri- 
mettere ogni  malanimo  che  avessero,  l'uno  contro  l'altro,  e  non  dar 
questa  allegrezza  ai  Turchi  e  Tartari  che  dall'una  e  dall'altra  banda 
confinano  che  goderiano  di  bcverli  il  sangue,  e  di  veder  la  desola- 
zione di  quell'impero,  e  quello  diceva,  lo  diceva  per  loro  e  suoi 
successori  non  per  lei  che  ne  aveva  la  minor  parte,  essendo  donna  e 
di  sangue  regio  che  da  qualche  banda  avria  pur  avuto  un  pezzo  di 
pane  ;  e  non  voler  che  tante  fatiche  del  padre  ed  avolo  suo  rimanes- 
sero distrutte  per  le  lor  dissensioni  in  questo  momento,  e  fusse  an- 
nullata la  casa  del  suo  profeta,  e  con  parole  assai  maggiori ,  cosa 
insolila  in  una  donna  e  massime  in  quelle  parti,  e  con  tanta  eloquenza 
che  fece  risolver  ogni  malanimo  che  era  tra  loro  ed  aquietar  l'uno  e 
l'altro  alla  sua  presenza,  facendo  loro  dopo  giurare  sopra  il  suo  mufli 
di  conservare  il  regno  per  il  fratello. 

Fu  per  questi  sparsa  voce  per  la  città  che  il  re  fosse  morto  e  fu 
dal  popolo  levato  tumulto,  il  quale  andando  alla  casa  reale  e  gri- 
dando voler  vedere  il  suo  re,  la  sorella  con  li  capitani  deliberarono 
di  far  comparire  uno  vestilo  cogli  abiti  regali  sopra  una  terrazza 
eminente,  intonando  la  voce  come  Ismail  era  solito  fare,  mostrando 
colle  mani  segni  di  comandare  ai  suoi,  e  diede  a  creder  al  popolo 
che  quello  fosse  il  re  e  lo  aquetò  ed  ordinò  di  subito  che  tutta  la  mi- 
lizia fosse  posta  sotto  quei  capitani  che  erano  sette  e  che  cadauno 
avesse  cura  delti  sottoposti,  ed  a  detta  signora  furono  fatti  venire 
tutti  li  capitani  in  loro  lingua  sultani,  dicendoli  sotto  che  banda  di 
capitano  volevano  slare,  perchè  il  re. .era  morto  e  bisognava  tenere 


284 

il  regno  senza  confusione  fino  a  che  venisse  il  fratello.  Tutti  assen- 
tirono e  nominarono  il  capitano,  cui  volevano  essere  sottoposti  colle 
sue  genti  fra  li  7  antedetti;  ed  ordinata  la  città  in  sette  quartieri  ed 
a  cadaunoconsegnato  il  suo  con  li  soldati  sottoposti,  spedirono  quante 
più  genti  poterono  sì  di  Kasbin  come  delle  città  circonvicine  con 
padiglioni  ed  altre  cose  necessarie  per  levare  il  nuovo  re  che  era 
pure  in  Schiraz. 

Così  venne  a  far  l'entrata  ai  25  di  gennaio  1577  essendo  di  età  di 
anni  41,  tutto  canuto  ancor  che  si  tinga  la  barba;  di  bella  faccia,  e 
proporzionata  persona,  impedito  della  vista  e  non  vede  niente  a 
basso,  ma  guardando  all'aito  vede  così  ben  come  ciascuno  ;  ma 
avanti  venisse  a  Kasbin,  mandò  a  dimandar  al  zio  della  sorella,  come 
quello  che  l'amava,  dubitando  che  al  disegno  avea  fatto  di  farlo 
morir  questo  suo  zio  non  se  li  opponesse  con  vederla  difender;  e 
perciò  non  gli  nascesse  tumulto, ed  essendo  questo  buon  capitano  ed 
amato  sopra  ogni  altro  dai  suoi  soldati  ed  era  chiamato  Samahal 
sultan,  il  quale  andò  se  ben  con  timore,  ed  avea  fatto  per  avanti 
andar  la  nipote  sorella  del  detto  re  a  casa  sua,  avendo  fortificato  be- 
nissimo il  suo  palazzo,  e  messovi  grandissimo  numero  di  gente  colla 
guardia  e  donatogli  quanto  aveva  d'importanza,  acciocché  in  ogni  oc- 
casione fossero  pronti  a  morir  con  lui;  dove  dal  re  fu  accollo  cara- 
mente e  non  mostrando  segno  di  animo  cattivo,  anzi  confermatolo 
gran  cancelliere;  siccome  era  stalo  fatto  dal  fratello  ;  avendo  ordinato 
prima  che  fosse  strangolato,  subito  fosse  partito  da  lui,  come  fu  ese- 
guilo spedendo  di  subito  a  far  morir  la  sorella  a  compiacenza  della 
prima  moglie  di  shàh  Jsmail  fratello  del  marito;  ma  più  per  l'in- 
vidia chele  portava  per  esser  donna  accorta  e  prudentissima  facendo 
anco  far  il  medesimo  ad  Ali  sultan  uno  dei  7  capitani  che  gli  conser- 
varono il  regno,  sol  perchè  trovandosi  lui  governatore  per  avanti 
dove  lui  abitava  gli  usò  molte  stranezze  e  per  esser  stato  molto  amico 
del  fratello  morto,  e  che  teneva  ancora  un  suo  figliuolo  di  mesi  4  in 
governo  che  lo  fece  anche  morire.  Entrò  nella  città,  fece  doni  libé- 
ralissimi di  centinaia  e  migliaia  di  ducati;  i  banditi  fece  venir  nella 
città  e  restituir  loro  le  dignità,  fece  di  subito  liberare  gli  ambascia- 
lori  dei  Tartari  che  si  trovavono  in  un  castello  postivi  dal  fratello,  e 
con  doni  e  cortesi  parole  gli  dimostrò  il  dispiacere  che  sentiva  del  mal 
procedere  loro  usalo,  e  che  lui  era  prontissimo  di  conservar  la  stessa 
amicizia  che  li  usò  il  padre  suo;  e  si  partirono  soddisfattissimi  da 
lui.  Fece  il  medesimo  a  molti  ambasciatori  di  re  delle  Indie  e  ciaus 
turchi  che  si  trovavano  in  Bagdad  e  Caraemil  che  in  tutto  erano 


88J5 

ulto,  e  li  fece  consegnare  a  4  di  quei  capitani  principali  acciò  li 
custodissero  fino  ad  altro  suo  ordine.  E  questo  per  li  moti  che  già 
erano  stati  sentiti  al  tempo  del  fratello  che  i  Turchi  volevano  man- 
dare a  fortificar  Kars  e  che  intendevano  voler  il  kasnadar  e  facoltà  a 
loro  modo  lasciate  in  quel  regno  alla  morte  di  sultan  Rocafir  , 
fuggito  in  Persia  al  tempo  di  sultan  Selim  suo  padre,  che  lo  perse- 
guitava per  farlo  morire  per  la  discordia  e  disamore  che  le  venne 
coi  fratelli,  e  che  alfine  di  ordine  di  sultan  Soliman  fu  morto  nella 
Persia  in  un  banchetto  che  shàh  Thamasp  gli  fece,  e  non  per  altro 
che  per  non  voler  romper  la  guerra  col  Turco  secondo  la  fede  pro- 
messa, facendo  anche  morire  insieme  col  padre,  due  suoi  figliuoli  e 
tutta  la  corte  che  ascendevano  al  numero  di  2000  persone;  e  resta- 
figli  17  pezzi  di  artiglieria  minuta,  uno  di  50  e  gli  altri  di  21,  con 
numero  grande  di  archibugi,  che  aveva  seco,  del  che  sultan  Amu- 
rath  al  presente  re  dei  Tartari,  gli  mandò  a  ricercar  dette  facoltà, 
ovvero  come  essi  dicono  tesoro,  ed  anco  perchè  fino  l'anno  avanti 
al  tempo  di  shàh  Ismail  era  concertato  di  aver  Shirvan  a  tradi- 
mento colli  propri  terrieri,  avendo  veduta  una  lettera  che  promet- 
teva alli  detti  di  Shirvan  di  mandargli  50,000  archibugi,  se  loro  si 
contentassero  d'accettarlo  per  loro  re;  la  quale  ebbe  per  mezzo  di 
un  proprio  di  Shirvan  con  industriale  se  ne  fuggì  al  re  suo,  nar- 
randogli particolarmente  quanto  era  allora  seguito,  e  per  questo  si 
diede  voce  di  guerra,  e  tanto  più  era  tenuta  per  certa,  quanto  che 
Ismail  era  in  pensiero  di  andar  a  cingersi  la  spada  e  far  le  solile 
cerimonie  siccome  fecero  li  suoi  predecessori  in  Babilonia;  del  che 
essendo  morto  e  successo  il  presente  re  nominato  Mohammed  Kho- 
dabende  e  trovati  gli  umori  alterati ,  le  opinioni  di  Amurath  di 
voler  fortificare  Kars,  anzi  che  tuttavia  lo  fortificava  (  fortezza  che 
per  li  capitoli  del  padre  sultan  Soliman  con  il  suo  shàh  Thamasp  non 
poteva  ad  alcun  modo  fare),  commesse  a  quei  sangiacchi  vicini  che 
non  permettessero  che  tal  fortificazione  andasse  avanti,  d'onde  per 
necessità  ne  seguirono  scaramuccio  e  danni  all'uno  e  all'altro  nelle 
città  e  castella  vicine;  e  furono  mandati  da  una  parte  e  dall'altra  per 
propria  difesa  gente  e  soldati  con  sangiacchi  ed  altri  venendo  in 
questo  modo  a  guerra  odiosa  ed  a  scoperta  battaglia.  Fu  per  questo 
spedito  in  diligenza  da  Costantinopoli  Mustafà  che  se  ne  andò  con 
potentissimo  esercito  verso  quelle  bande,  nò  per  altro  sono  venuti 
questi  due  barbari  e  potentissimi  re  a  definizione  di  armi,  ancorché 
alcuno  voglia  che  tutto  sia  nato  più  per  causa  della  fede  che  per  altro. 
Ma  le  cause  sono  state  le  sopradette  che  furono  prima  origine  di 


286 

tante  guèrre.  Questo  è  quanto  alle   condizioni  delli  re  che  fino  al 

tempo  presente  hanno  avuta  la  Persia. 

Li  regni  sottoposti  a  questa  corona  sono  Korassan,  Gandar,  Shir- 
\an,  kuhistan,Gurdislan,  Ghilan,Laristan,  Avaz  e  il  regno  di  Ormuz, 
ma  questi  tre  ultimi  gli  rendono  solo  tributo,  e  la  sede  è  posta  in 
/  Kasbin.  Ma  dalla  parte  di  ostro  le  città  Kom,  Kashan  che  è  la  princi- 
pal  di  mercanzia,  Jepaham,  Shiraz,  che  anticamente  era  la  sedia  del 
legno  di  Kars  e  che  fu  fabbricata  da  un  pastore,  dal  qual  portò  il 
nome,  divenne  città  grandissima,  e  per  causa  delli  suoi  cittadini  che 
non  volsero  accettar  il  suo  re  che  fuggiva  per  una  rotta  che  ebbe 
dai  suoi  nemici,  fu  da  lì  a  poco  tempo  da  lui  rovinata  fino  alli  fon- 
damenti, le  sono  situale  attorno  più  ville  e  moltissimi  castelli;  se- 
guono la  città  di  Ardistan  Abircà,  la  quale  fu  rovinata  da  Ismail  primo 
per  la  poca  obbedienza.  Dalla  parte  di  tramontana  è  posta  Tauris 
che  prima  era  la  sedia  reale  discosta  dieci  giornateda  Kasbin,  Ardevi!, 
che  era  già  loco  dove  si  dava  sepoltura  alli  re,  la  città  di  Erzengian, 
Naschivan,  Shirvan  ed  altre.  Da  levante  tiene  il  regno  del  Korasan  con 
molte  città  e  castelle.  La  città  di  Mohamedsal,  così  chiamata  per  il 
nome  del  suo  profeta,  in  cui  vi  è  una  moschea,  nella  qual  dicono  es- 
sere un  grandissimo  tesoro  ammassato  d'oro  e  d'argento,  che  è  di 
^  scosto  da  Kasbin  giornale  24;  inoltre  Bistam,  Sistan.  Dalla  parte  di 
ponente  ha  un  regno  di  Kurdi  nell'i  confini  di  Bagdad,  il  cui  re  si  di- 
manda Bustan  ed  ha  per  moglie  una  figliuola  che  fu  di  shàh  Thamasp 
re  di  Persia  e  mette  in  campagna  12000  cavalli.  Questo  rende  tributo 
e  non  si  sa  di  quanto,  tiene  anco  alcune  città  di  Georgiani  sebben  ora 
si  sono  ribellate  al  Turco;  gli  è  anco  reso  tributo  a  Lar  che  è  regno 
'  discosto  5  giornate  da  Ormuz;  ha  più  abbasso  la  città  di  Bursa  che 
è  sedia  di  un  re  d'Arabi  nelli  confini  della  Balsera  appresso  il  fiume 
}  Tigri  che  d'ogni  intorno  la  bagna,  il  re  della  quale  gli  rende  tributo 
di  20  fra  cavalli  e  cavalle  di  pregio  grandissimo.  Ma  ora  si  è  ribel- 
lalo da  lui  e  datosi  ai  Turchi,  che  è  quello  che  per  avanti  scrissi, 
confina  con  Babilonia  da  una  banda,  e  dall'altra  con  Mossili  ancor 
città  della  Persia  e  molte  altre  città  e  castella. 

Le  entrate  del  regno  suddetto,  ancorché  non  si  abbiano  potuto 
aver  particolarmente  di  provincia  in  provincia,  nondimeno  si  diranno 
succintamente  in  somma,  la  quale  molti  vogliono  che  ascenda  a  4  mi- 
lioni e  *fa  d'oro.  Ma  la  più  parte  dice  che  ha  4  milioni  soli  all'anno; 
se  bene  non  doveriano  arrivarci  di  gran  lunga,  ma  per  la  tirranide 
dei  re  loro,  che  di  uno  ne  traggono  cinque  finché  viene  a  questa 
somma, 


287 

Oltre  di  questo  ha  una  infinità  grande  di  ville  <i  castella  tutte  ap- 
plicate a  stipendi  della  cavalleria,  che  il  minor  salario  che  dà,  è  di 
di  ducati  100.  Ma  perchè  essi  le  fanno  lavorare  non  cavano  d'ognuno 
tre;  a  questo  modo  ha  anco  parie  della  fanteria  pagala  che  tiene  alla 
sua  guardia;  se  tutto  questo  danaro  le  venisse  nel  suo  Kasnada  avria 
grandissima  quantità  d'oro,  avendo  oltre  la  cavalleria,  come  la  S.  V. 
intenderà  alla  sua  guardia  G000  gentiluomini,  li  quali  sono  pagali 
per  li  4000,  come  ci  ha  detto,  in  ville  ed  assegnatoli  da  300  fino  a 
3000  ducati  l'anno,  e  per  il  resto  delli  2000  entra  nella  spesa,  siccome 
dirò:  questo  è  quanto  ho  potuto  sottrarre  delle  rendite  del  regno  di 
Persia. 

La  spesa  che  fa  e  tiene  dirò  alla  Serenità  Vostra  con  la  medesima 
brevità:  ha  70  sultani  che  sono  deputati  al  governo  delle  città  pa- 
gati de  proprio  kasnà  con  partito  di  10  fino  a  30000  ducati  al- 
l'anno per  uno,  con  obbligo  di  tener  chi  3  chi  4  chi  5  cento  fra  ca- 
valli e  pedoni  li  quali  tutti  sieno  pronti  ad  ogni  servizio  del  re. 
Paga  li  due  mille  Turchi  della  sua  guardia  da  100  a  160  ducati  al- 
l'anno per  uno,  fino  a  tanto  che  nasce  occasione  di  premiarli  in  ville 
come  dissi  sopra  e  la  maggior  parte  dell'arcobugieria  è  pagata  dallo 
proprio  kasnà,  e  queste  sono  le  maggior  spese  che  ha  quella  corona. 

Le  dignità  e  gradi  che  sono  appresso  il  re  sono  queste:  la  prima 
è  Mirza  che  vuol  dir  principe,  e  si  dà  solo  a'fìgliuoli  e  nipoti  regii. 
Segue  la  dignità  di  Kan  e  questi  sono  adoperati  solamente  per  capi- 
tani generali  nelli  negozi  principali  del. regno;  tiene  anco  una  specie 
di  viceré  che  tiene  cura  di  tutte  le  cose,  così  in  pace  come  in  guerra. 
Oltre  questo  sono  tre  visiri,  uno  delli  quali  attende  a,  riscuoter  l'en- 
trada;  il  secondo  ha  carico  delle  scritture;  il  terzo  ha  il  governo  del 
Kasnadar,  cioè  del  denaro  della  corona.  Ha  un  Gurchi  bassi  che  è 
capo  della  guardia  dei  6000  curchi:  come  anco  ha  un  capo  dei  porti- 
nari,  che  ascendono  al  n.  di  700.  Ha  due  gran  Kan  che  uno  dei  quali 
porta  sempre  il  bollo  reale  detto  homajon  appeso  al  collo.  Seguono 
poi  li  sultani  cioè  capitani,  e  di  questi  se  ne  serve  il  re  olire  il  tener 
la  gente  ad  essi  sottoposta  all'ordine  e  [ironie  in  mandarli  al  governo 
di  città  e  provincie.  Vi  sono  anco  molti  altri  gradi  e  dignità  che 
per  non  tediar  Vostra  Serenità  lascio  da  parte. 

La  dignità  pontificale  è  chiamata  da  loro  Mugietéed  ,  che  vuol  dire 
papa  della  legge;  il  qual  titolo  sebbene  è  nella  persona  delli  propri 
re,  nondimeno  è  conferito  in  altre  persone  per  non  occuparsi  egli  in 
tal  negozio.  Tiene  il  Califfo  che  è  persona  sacerdotale  che  ha  il  ca- 
rico di  poner  il  corno  al  re  ed  a  tutti  quelli  che  sono  fatti  degni  da 


28N 

esso  re  del  corno.  Vi  è  il  cadì  che  attende  alle  cose  civili  e  cri- 
minali della  città,  e  che  col  tempo  poi  ascende  alle  dette  due  dignità. 

La  milizia  che  tiene  il  suddetto  re  è  di  100,000  cavalli  pagati  come 
avanti  ho  detto;  tutta  gente  conosciuta  ed  esercitata  nell'armi,  e  fe- 
delissima al  loro  re  e  potrà  anco  valersene,  siccome  intendeva,  pa- 
gandola. Ha  pedoni  in  grandissimo  numero,  che  dicono  che  ad  ogni 
bisogno  ne  caveria  200,000,  ed  anco  250  mille  è  questo,  è  affermato 
per  cosa  certa  che  non  ha  100,000  archibugii,  i  quali  in  parte  sono 
pagati  in  ville  e  castello,  ma  la  più  parte  dal  kasnà  del  proprio  re. 

L'arme  che  usa  la  cavalleria  sono  la  lancia  non  più  lunga  di  5 
braccia;  l'arco  e  la  scimitarra,  della  quale  fanno  professione  sopra 
ogni  altra  nazione  e  la  slimano  principal  arma  sopra  tutte  che  usano. 
Per  difesa  usano  camicie  di  maglia,  alcune  corazze  a  similitudine 
delle  nostre  corazzine  ;  portano  il  braccio  destro  armato  di  braz- 
zaletto  come  fa  il  cavalleggiero,  e  questo  per  sicurtà  nell'adoperare 
la  spada.  Li  cavalli  sono  armati  di  piastre  ,  groppa  ,  testa,  petto 
e  collo,  ma  dicono  che  sono  lame  sottili  e  che  la  frecciata  li  of- 
fende, e  di  questi  non  ne  ha  che  pochi  armati.  La  fanteria  porta 
la  scimilarra  e  l'arco,  gli  archibugieri  lo  schioppo  e  la  scimitarra, 
alcune  calale  a  foggia  di  corona  con  12  stringhe  attorno  per  me- 
moria dei  12  profeti  coi  quali  morendo  dicono  che  vanno  in  pa- 
radiso, ed  altri  portano  certe  catenelle  in  vece  di  calate  e  di  queste 
calate  e  catenelle  ne  porta  anche  la  cavalleria. 

11  modo  che  tiene  a  ponejf  in  battaglia  è  questo:  alla  parte  destra 
per  uso  antico  pone  20,000  cavalli  della  stirpe  che  adesso  la  chia- 
mano del  traditore  per  il  già  detto  governatore;  alla  banda  sinistra 
vanno  10,000  della  stirpe  di  quelli  che  dicono  esservenuti  da  Damasco; 
mettono  poi  anco  altri  i8,000  della  gente  tenuta  in  minor  conto,  com- 
partiti sotto  due  capi  uno  con  18  mille  a  banda  sinistra  e  l'altro 
con  10,000  a  banda  destra.  Nel  corpo  della  battaglia  sta  il  So- 
vrano che  è  sempre  solilo  andar  cogli  eserciti:  se  ben  questo,  per 
quanto  dicono,  non  andava  per  causa  della  vista,  ma  mandava  un 
suo  figliuolo  di  anni  14  che  questo  anno  ha  fatto  cose  notabili 
per  quella  sua  età,  e  che  vivendo  riescirà  un  gran  cavaliere.  In 
tutto  si  stima  che  potrà  metter  in  campagna  200,000  cavalli. 

Nel  regno  vi  sono  cavalli  da  soma  eccellenti  di  prezzo  di  1000 
(ino  2000  ducati  l'uno ,  assuefatti  al  maneggio  a  loro  usanza  che 
sono  il  galloppar,  correre  e  volgersi  all'una  e  l'altra  mano,  e  sono 
sotto  l'uomo  ferocissimi  e  pare  che  niuno  possa  domarli. 

Il  popolo  persiano  era  a  tempo  di  shàh  Thamasp  popolo  obbe- 


289 
diente,  il  che  nasceva  per  la  disunione  che  era  fra  li  sultani 
principali;  ma  dopo  che  la  principessa  prudentemente  accompagnò 
e  congiunse  in  matrimonio  quelle  famiglie  ,  par  che  sia  ridotto 
sotto  miglior  obbedienza  e  non  seguano  più  quelle  rivolte  che  erano 
solite  a  nascere:  che  quanto  al  re,  quando  mandava  qualche  sultan 
alle  città,  se  le  sottometteva  in  breve  tempo  come  cosa  propria,  si 
opponeva  al  re,  donde  nascevano  le  morti  e  provvisioni  di  roba 
che  esso  shàh  Thamasp  quasi  prudentemente  per  questo  capo  a 
quei  tali  usava. 

Sono  li  Persiani  uomini  dediti  alla  fatica,  e  nella  milizia  gente 
che  combatte  fino  alla  morte,  persone  ben  disposte,  di  bella  faccia, 
e  con  comparazione  in  questa  superiore  alla  gente  turca  ;  che  se 
non  avessero  il  timore  che  hanno  della  artiglieria,  poco  stimeriano 
quelle  forze  nemiche.  Le  donne  sono  bellissime,  cavalcano  molte 
di  esse  meglio  degli  uomini,  credono  agli  augurii  e  nel  giorno  che 
se  ne  presenta  qualcuno  non  vogliono  far  ninna  cosa  fino  alla 
sera,  essendo  in  questo  assai  superstiziose. 

Questo  regno  non  ha  mai  fatto  lega  con  altri,  perchè  di  altri 
non  si  fida;  ma  se  pur  avesse  da  domandar  aiuto  e  di  fidarsi  di 
qualcheduno  lo  faria  col  governo  di  Ormuz  per  aver  comodo  di 
vascelli  e  andar  per  mare  alla  Balsera  e  di  lì  poi  a  Babilonia;  te- 
nendo con  lui  tal  confidenza  che  mai  in  alcun  tempo  le  saria  negato. 

Questo  mi  parve  di  doverle  riferire.  Ed  alla  Serenità  Vostra 
mi  raccomando. 

Arch.  Cicogna.  Cod,  MDCCLXH. 


DOCUMENTO    li*  XXIV. 


Di  Persia  l'anno  1586-87,  nel  qual  tempo  il  signor  Turco 
acquistò  Tauri*. 

Da  Venezia  in  Alessandria  d'Egitto,  quindi  al  Cairo,  di  dove  attra- 
versando l'Egitto  arrivai  in  Sorìa,  passando  per  mezzo  la  città  di  Da- 
masco e  di  Aleppo,  e  di  là  passando  oltre  al  fiume  Eufrate  giunsi  in 
Caraemit  città  posta  sopra  la  riviera  del  fiume  Tigri  e  di  quindi  per 
19       Bollettino  Consolare,  Voi.  III. 


290 

l'Armenia  maggiore  pervenni  in  Van,  ultima  fortezza  dei  Turchi,  fron- 
tiera de' Persiani,  di  onde  passai  in  Tauris. 

Sultania  è  città  di  Persia,  lontana  da  Tauris  8  giornate  e  da  Kas- 
bin  sei.- 

Gengie  città  di  Persia  non  molto  lontana  dal  mar  Caspio  e  da  Tauris 
giornate  sei  incirca. 

Turcoman  castello  dei  Turchi  posto  sulla  strada  tra  Tauris  et 
Kasbin. 

Da  Tauris  a  Kasbin  et  poi  attraversando  la  Persia,  et  passando  per 
le  principali  città  Kashan,  Ispahan,  Schiraz,  etc.  pervenni  ad  Ormuz. 
Sono  città  di  deboli  fortezze. 

Le  armi  dei  Persiani  sono  solamente  in  certa  qualità  di  gente  chia- 
mata ehisilbaschi,  che  viene  a  dir  testa  rossa  perchè  sogliono  portare 
in  testa  una  cuffia  rossa;  ma  non  sono  comunemente  nelli  popoli.  Li 
quali  teste  rosse  godono  terreni  pubblici  assegnati  loro  per  paga,  et 
sono  circa  30,000  non  compresi  quelli  di  Gorassan  o  di  Sciraz.  Nelli 
quali  si  armerieno  altri  30,000.  Il  qual  numero  è  considerabile  per- 
chè 30  mille  sanno  far  gagliarda  resistenza  a  100,000.  È  militia 
quasi  tutta  da  cavallo  di  forte  nerbo  et  valorosa  con  la  spada  con  la 
lancia  et  con  l'arco.  Archibusi  non  usano  perchè  non  li  curano,  non 
perchè  non  avessero  modo  da  farne  quanti  volessero.  Artiglierie  non 
hanno,  né  uomini  da  fortification  e  da  espugnation. 

Il  re  è  anzi  povero  che  no  di  danari.  Non  riscuote  dazio  di  roba 
alcuna.  Ma  le  arti  contribuiscono  un  tanto  per  uno,  e  la  rendita  sua 
è  di  terreni  propri  di  certa  contribuzione  fatta  dalli  possessori  dei 
beni  stabili,  e  dal  ricavato  dalle  miniere  di  stagno,  di  ferro  et  di  rame 
che  vi  sono  ricche,  e  da  miniere  di  turchesi  e  lapislazzuli  da'  quali 
si  fa  l'azzuro  e  l'oltremarino  da  noi  tanto  stimati. 

Il  regno  di  Persia  è  diviso  in  sette  regni  principali,  e  ciascuno  di 
essi  in  molto  più  piccoli  regni  :  come  veggiamo  il  regno  di  Gastiglia 
haver  sotto  di  sé  Granata,  Toledo,  Lione,  Murcia  et  simili. 

L'uno  è  detto  Irak  di  cui  è  capo  la  città  di  Ispahan  dal  quale  di- 
cono che  cava  il  re  trentacinque  mille  tomani  che  è  700,000  ducati. 

L'altro  è  chiamato  Agiem  di  cui  è  capo  Sciraz  ed  è  el  proprio  regno 
di  Persia,  da  cui  ha  preso  il  nome  tutto  il  paese,  come  la  Francia  da 
quella  parte  ove  siede  Parigi,  et,  questo  dicono  che  è  della  medesima 
entrata. 

Il  terzo  è  Gorassan  di  cui  è  capo  Herat  grande  et  famosissima  città. 

Il  quarto  Aderbigian  di  cui  è  capo  Tauris.  Et  questi  due  sono  di 
maggior  rendita  che  li  due  primi. 


291 

Gli  altri  tre  chiamati  Mazendaran,  Shirvan  e  Ghilan,  di  cui  è  capo 
Taberistan,  possono  essere  tanto  più  ricchi  come  quei  due  primi,  in 
modo  che  a  quella  rendita  possono  l'uno  per  l'altro  agguagliar. 

E  dicendo  che  quel  re  abbia  in  tutto  di  rendita  in  tempo  di  pace 
5  milioni  di  poco  si  può  errar. 

Le  spese  sono  molto  piccole,  perchè  la  militia  è  pagata  de'  terreni 
come  s'è  detto,  et  la  corte  ancora  è  di  poco  costo.  Perchè  li  signori 
che  vi  stanno  sono  alli  governi  dei  regni  ed  alle  città,  quando  uni 
quando  altri,  lasciando  alli  governi  loro  luogotenenti  che  vivono  da 
certi  terreni  pubblici  et  utili,  che  dà  l'ufficio.  Tal  che  della  sua  corte 
non  viene  a  pagare  altro  che  i  cortigiani,  che  servono  la  sua  persona, 
né  questi  sono  di  molto  numero. 

Resta  la  spesa  del  mangiar  et  del  vestir,  et  questa  anchora  è  pic- 
cola, essendo  in  quel  paese  poco  deliziosi  et  molto  parchi  nell'uno  et 
nell'altro.  Talché  quel  re,  quando  non  corre  guerra,  può  parere  di 
starsi  assai  ricco. 

Li  confini  di  quel  reame  sono  dalla  parte  di  Persia,  verso  tramon- 
tana i  Tartari  che  sono  della  stessa  religione  che  li  Turchi.  Da  po- 
nente stendendosi  verso  mezzogiorno  il  re  di  Spagna  col  regno  di 
Ormuz.  E  da  levante  verso  tramontana  il  re  delle  Indie  da  noi  detto 
il  Gran  Mogol,  che  finora  non  si  mostra  al  Persiano  ne  amico  né 
inimico.  Ma  da  questo  lato  si  trammezza  il  piccolo  regno  di  Gonducar 
posseduto  parimenti  da  questo  re.  E  da  ponente  e  tramontana  non 
molto  lontan  dal  mar  Caspio,  stanno  in  un  angolo  i  Georgiani,  cri- 
stiani di  religione,  valorosissimi  soldati  et  devotissimi  alla  corona  di 
Persia  se  ben  sono  signori  liberi.  Questi  han  fatto  in  suo  servitio  et 
tuttavia  fanno  dai  lor  confini,  mortai  guerra  col  sig.  Turco,  con  per- 
dita di  qualche  parte  del  loro  stato  et  della  loro  più  principale  for- 
tezza detta  Tiflis  (1587). 

La  città  di  Ormuz  è  capo  non  solo  di  quel  piccolo  regno  che  nel 
golfo  di  Persia  si  contiene,  ma  con  la  sua  riputazione  lo  mantiene. 
Perchè  qui  è  la  fortezza,  qui  stanno  li  soldati,  qui  abitano  li  porto- 
ghesi e  di  qui  si  cavano  le  rendite  che  vengono  al  fisco.  Il  rimanente 
come  di  poca  importanza  e  di  meno  considerazione  si  lascia  quasi 
sotto  la  cura  di  quel  re  moro,  re  solo  di  nome  vano  et  senza  soggetto, 
perchè  egli  di  quelle  rendite  viva  et  abbia  qualche  sembianza  di  go- 
vernare. 

Questa  città  per  piccola  che  ella  sia  è  popolosa  e  ricca  di  danari, 
sendo  la  più  mercantile  del  mondo. 

È  posta  in  una  piccola  isoletta  tanto  sterile  ed  infelice  che  solo 


292 

pare  cosa  maravigliosa  a  dire,  perchè  cosi  essendo  sia  pur  abitala. 
Poiché  non  produce  non  solo  cosa  alcuna  al  vivere  necessario,  fuori 
che  saie,  ma  ne  anche  una  gocciola  d'acqua  si  ritrova.  Ne  fin  óra 
hanno  trovato  modo  de  far  cisterne  o  conserve  per  servirsi  di  quella 
che  piove;  come  che  una  sola  conserva  sia  nella  fortezza,  la  quale  per 
ogni  occorrente  necessità  sogliono  tener  piena. 

Ma  questo  si  tien  per  certo  che  in  tempo  di  battaglia  si  aprirebbe 
per  il  trono  delle  artiglierie.  Et  per  questo  Mattia  de  Alburcherch 
capitano  di  quella  città,  ha  in  quel  cambio  alcune  tine  di  legno  rime- 
dio poco  bastante,  et  di  qualche  incomodo  come  dicono  alcuni. 

Questo  elemento  con  tutti  gli  altri  elementi,  sono  condotti  dalla 
costa  di  Persia,  che  tutta  gli  è  amica  e  da  alcun  altro  luogo  sotto  la 
sua  giurisditione.  Et  ancora  che  di  quivi  gli  siano  somministrate 
vettovaglie  tuttavia  molto  spesso  ne  hanno  grandissima  carestia  et 
dell'acqua  massimamente  nelli  mesi  di  giugno,  luglio  et  agosto  che 
soffiano  per  lo  più  venti  contro  la  costa,  di  onde  gli  viene  la  migliore 
e  la  più  dolce.  Onde  bisogna  che  si  vada  a  torre  con  le  spade  et  a 
comperarla  col  sangue. 

E  la  gente  bassa  e  la  maggior  parte  dell!  habitatori  se  ne  passano 
in  terraferma,  né  si  trova  in  quella  città  artigiani  o  gente  meccanica 
che  facciano  alcun  servitio. 

Questo  esempio  mostra  chiaramente  che  ciascuna  volta  che  sarà 
ad  Ormuz  vietata  la  costa  di  Persia,  esso  non  sarà  più  Ormuz.  Et 
posto  che  per  qualche  mese  si  sofferisse  questo  disagio  a  lungo  andar 
bisognerebbe  disabitarlo  o  darlo  senza  spada  in  mano  di  chi  lo  vo- 
lesse. Alche  aspira  il  sig.  Turco  per  la  comodità  delle  mercanzie  et 
per  esser  questo  il  vero  passo  donde  si  traghetta  alla  India.  Et  perchè 
nella  costa  di  Persia  havrebbe  comodità  di  fabbricar  galere ,  che  og- 
gidì li  costano  come  se  si  facessero  d'argento. 

Da  Tauris  in  Ormuz  ci  sono  cinquanta  giornate  di  carovana.  Ma  la 
vittoria  fa  adito  a  tutti. 

11  regno  di  Persia  è  pieno  di  ribelli,  et  è  tutto  posto  in  iscompiglio; 
et  i  popoli  stanchi  della  guerra  e  della  spesa,  e  dal  non  poter  attender 
a'  negozi. 


Fra  i  nostri  Codici. 


293 
DOCUMENTO  IiXXXV. 


Relazione  per  li  viaggi  di  Persia. 
1673,  20  luglio. 

Il  viaggio  da  Venezia  (ino  in  Ispahan,  dove  s'attrova  il  re  di  Persia 
facendolo  per  via  di  Germania  si  arriva  a  Vienna  in  14  o  45  gior- 
nate e  di  là  in  Varsavia  in  20  giornate  o  poco  più,  ed  altrettante  fino 
a  Mosca  ove  risiede  il  Granduca.  È  necessario  poi  attrovarsi  nel 
tempo  della  partenza  da  Mosca  nelli  mesi  di  maggio,  giugno,  luglio 
e  agosto,  perchè  dovendosi  imbarcare  nel  fiume  Volga,  nel  qual  si 
cammina  per  lo  spazio  di  40  giorni  sopra  barconi  senza  remi  con 
le  sole  vele  ed  in  tempo  di  bonazza,  vengono  remorchiati  da  marinari 
coll'alzana.  In  altra  stagione  non  si  naviga  quel  fiume  perchè  in  ot- 
tobre si  gela  e  dura  così  gelato  fino  alla  metà  di  aprile. 

Nel  terminar  detto  fiume  si  arriva  alla  città  di  Astrakan,  for- 
tezza di  considerazione  custodita  dalli  Russi  sotto  il  comando  del 
moscovita.  Si  sbarca  colà  e  con  altri  vascelli  più  grandi  si  entra  nel 
mar  Caspio,  nel  quale  navigando  intorno  a  20  e  30  giornate  al  più 
si  arriva  nella  città  di  Derbent  del  Persiano.  In  questo  cammino  na- 
vigando con  vascelli  grossi  si  sta  lontano  dalla  terra,  perchè  in  alcuni 
siti  vi  sono  genti  di  mal  affare  che  tendono  alle  rapine  e  che  non 
conoscono  alcuna  superiorità.  Arrivati  nel  Derbent  termina  la  navi- 
gazione e  viaggiando  di  là  per  terra,  per  paese  montuoso  e  sassoso 
lo  spazio  di  8  giornate  si  capita  a  Shumachia,  città  dove  vi  sta  un 
provveditore  generale  del  Persiano,  e  di  là  poi  nel  progresso  di  un 
mese  di  cammino  si  arriva  ad  Ispahan  dove  risiede  il  re  e  metropoli 
della  Persia,  facendosi  d'ordinario  le  giornate  di  4  o  5  leghe  da  5 
miglia  l'una  e  talvolta  fino  8  leghe  per  poter  giungere  alla  posata.  In 
questo  viaggio  vi  si  cammina  sempre  per  pianura,  eccetto  che  3  o  4 
giornate  di  montuoso,  ma  non  però  tanto  malagevole.  Sicché  tutto  il 
viaggio  da  Venezia  alla  città  dominicale  di  Persia  Ispahan,  con  il 
continuo  cammino  vi  potrà  esser  lo  spazio  di  mesi  5  o  6. 

Vi  è  quello  poi  che  si  fa  per  la  Turchia.  Da  Ispahan  fino  a  Erivan 
si  va  in  40  giornate  per  terra,  ma  vi  bisogna  l'unione  di  molti  per 
formare  le  carovane,  e  convengono  aspettare  lo  spazio  di  2  o  3  mesi 
e  talvolta  4  per  la  mossa  ,  stantechè  vi  sono  truppe  di  centinaia  di 
Sciti  che  vivono  di  rapine. 


294 

Da  Erivan  in  Erzerum  si  può  arrivare  in  20  giornate,  ma  però 
colle  medesime  provvisioni  unendosi  almeno  2  o  più  mille  persone, 
perchè  arrivati  in  Erzerum  ciascuno  si  incammina  pel  paese  de- 
stinato. 

Da  Erzerum  a  Tokat,  che  sono  tutte  due  città  grandi  e  popolate, 
si  giunge  in  20  giornate,  e  di  là  a  Bursa  città  mercantile,  metropoli 
della  Bitinia,  in  30  giorni,  ed  in  5  a  Costantinopoli  e  continuando  il 
viaggio  per  Adrianopoli  con  le  carovane  ,  al  più  in  2  mesi  si  ca- 
pita a  Spalatro,  con  l'ordinario  cammino  di  4  o  5  leghe  di  5  mi- 
glia al  giorno.  Onde  calcolando  il  cammino  per  la  Germania,  Po- 
lonia e  Moscovia  si  arriva  in  Persia  tra  5  -*/2  in  6  mesi;  e  quello  per 
Costantinopoli  in  altrettanto.  Da  tutte  due  le  parli  vi  sono  i  peri- 
coli: per  quella  di  Costantinopoli,  l'invasione  dei  Sciti  che  svali- 
giano i  viandanti,  quando  non' sono  numerosi  per  resisterli;  per 
quella  di  Moscovia  vi  sono  le  fortune  del  mar  Caspio,  ed  il  rischio 
che  si  corre  di  cader  nelle  mani  di  quei  popoli  nelle  rive  del  mar 
medesimo,  i  quali  tendono  alle  rapine,  quando  non  sono  provveduti  di 
assistenza. 

Commerciali ,  1673-74. 


FINE 


295 
NOMINE  E  DISPOSIZIONI  CONSOLÀRI 

(dal  15  ottobre  al  15  dicembre  1864). 


Personale  di  V  Categoria. 

Assensio  y  Ximenes  Rodrigo,  vice-console  di  2*  classe  in 
Alessandria,  addetto  temporariamente  al  ministero  (Decreto 
ministeriale  5  novembre). 

(iresti  Nobile  Avv.  Oddone,  applicato  volontario  a  dispo- 
sizione, destinato  a  f.  f.  di  vice-console  in  Alessandria  (De- 
creto ministeriale  suddetto). 

Uffizi, 

Lilla.  Eretto  un  consolato  in  Lilla  con  giurisdizione  nei  di- 
partimenti del  Nord,  Passo  di  Galais,  Ardennes  e  Somma, 
che  vengono  perciò  staccati  dal  distretto  del  consolato 
all'Hàvre  de  G-ràce  (R°  decreto  11  dicembre  1864). 

Con  Decreti  ministeriali  19  novembre  furono  create  le 
seguenti  Delegazioni  consolari: 

SJ  Nazaire,  sotto  la  dipendenza  del  R° consolato  inNantes. 

Louisville  (Kentucky)  id.  New- York. 

San  Giovanni  di  Terranuova  id.  Gaspé  Basili. 

Personale  di  2a  Categoria. 

Lamouroux  Fortunato,  nominato  console  a  Calcutta  (R°  De- 
creto 23  ottobre). 

De  la  Revilla  R.  Giovanni,  nominato  console  a  Santander 
(R°  Decreto  30  ottobre). 

Scala  Giovanni  Battista,  console  a  Lagos,  dispensato  da 
ulteriore  servizio  (R°  Decreto  6  novembre). 

Favarcq  Farnese,  nominato  console  a  Lilla  (R°  Decreto  11  di- 
cembre). 


296 


Con  Decreti  ministeriali  22  ottobre, 

3,  7,  10,  26  novembre 

e  7  dicembre  furono  autorizzate 

le  ; 

nomine  dei  signori: 

Nicholas  Nicolò  a  delegato 

consolare 

5  hvLouisville. 

Mathieu  Alberto 

id. 

Gartagena. 

Aubré  Giovanni  Pietro 

id. 

S.1  Nazaire. 

Bayly  Giacomo 

id. 

San  Giovanni  di 
Terranuova. 

Priaulx  Nicola  Michele 

id. 

Southampton. 

Garratt  Enrico 

id. 

Portsmouth. 

Datody  Nicola 

id. 

Acri  e  Caiffa. 

Valaoriti  Senofonte 

id. 

Santa  Maura.