VITTORIO SPINAZZOLA
L'AETE ED IL SEICENTO
IN NAPOLI
(alla Certosa di S. Martino)
THE GETTY RESEARCH INSTITUTE LIBRARY
Halsted VanderPoel Campanian Collection
NAPOLI
VITO MORANO, EDITORE
40, Via Roma, 40
1905
^Vl.
F.OI GENNARO ft A. MORANO -NAPOLI
THE GETTY RESEARCH
INSTITUTE LIBRARY
I. Fino al '300;
IL II '600;
III. La pittura non napoletana del '600;
lY. La pittura napoletana del 600;
V. La scultura.
VI. APPENDICE. Einnovazione della Certosa.
Della -storia dell' arte nel mezzogiorno d' Italia , di quella di
Napoli che ad essa così strettamente si lega e che , per tanta
parte di storia, dovette, anzi, esserne il centro più importante,
non sono ancor tracciate le linee principali , e, tanto meno, si
sou segnati i caratteri, le note essenziali, quelle per cui questa
fu diversa da tutte le altre espressioni d' arte , nel mondo. Ha
essa, attraverso i secoli, monumenti di arte? Ha essa, cioè, non
oj)ere che imitino o copino o mettano meccanicamente Insieme
elementi di arte estranea , ma opere sue , in cui elementi noti
come parole note si uniscano in un insieme di arte nuova , e-
spi-essione unica di una intuizione unica? È possibile seguire,
dalle apparizioni della nuova arte nelle nostre catacombe , at-
traverso la prevalenza bizantina e il rosseggiante solco della
meteora musulmana, oltre il bel Ducato napoletano e le vicende
normanne e le Sveve , una traccia di arte che ci conduca sino
alPai)parire dei grandiosi monumenti toscani del 300 e del 400
ed alla fioritura della nostra grande arte nel seicento nostro? E,
fermandosi ai due secoli in cui si elevarono le cattedrali e le
chiese più maestose di Nai)oli e se ne cosparsero cappelle e cro-
ciere di grandiosi monumenti funerari , è possibile , in questa
arte del 300 e del 400 napoletano, discernere se elementi nuovi,
al contatto di questo mondo, gli artisti stranieri ne introdusse-
ro o se elementi propri i gli artisti naiioletani che vi lavorai"ono
portarono in essi ? Vi fu una scuola patria, un giorno, che tutto
ama.va attribxiire ad artisti patrii. E, quando non se ne trova-
vano i nomi, non sembrò indegno crearli. Vi è una scuola non
patria, oggi, chu tulio ;iiua attribuire ad artisti stranieri, o non
napoletani, insomma. È possibile, alla fine, ristabilitasi un po'
della serenità necessaria soprattutto alla ricerca, e calmatasi la
fregola d'andar rintracciando le somiglianze delle opere d'arte,
di cui nessuna mai fu ne più facile né più oziosa, Vedere, nelle
opere d'arte, di quei secoli, attribuite, un giorno, ai napoleta-
ni , attribuite oggi ai toscani , qual parte potettero avervi gli
uni e quale gli altri, quando i documenti ci hanno rivelalo die
e gli uni e gli altri lavorarono ad essi?
Dopo un'arte tutta meridionale, fatta di tradizioni locali, di
derivazioni artistiche viciue e lontane, di elementi diversi, in-
somma, né tutti bene noti, né tutti bene valutati ancora, dalla
Toscana specialmente una corrente di arte, sempfe rinnovantesi,
è venuta e si è fatto strada in Napoli portata dagli stessi ar-
tisti onde emanava , in sui primi anni del 300. Vi fu Gioito
stesso « Inter familiares » di Re Roberto, e se ancora si vanno
cercando le opere sue, non poche certo egli ne fece e non jioca
scuola dovette qui seguirlo. Nello stesso tempo Giovanni e l'ac-
cio, fiorentini, lavoravano in Santa Chiara al sepolcro sontuoso
e solenne che ancora ne adorna il fondo, esempio tra i più gran-
diosi di scoltura sepolcrale , non in Napoli solo , ma in Italia.
Faccio scolpiva, anch^ nel 1325 , le colonne del chiostro di S.
Martino , tutte forse scomparse , mentre Tino , senese, operava
insieme con Gagliardo Primario napoletano la tomba della re-
gina Maria in Dounaregina e , sempre insieme con un napole-
tano, Francesco de Vito, costruiva sul colle di S. Elmo la Cer-
tosa di S. Martino, Sorgeva , i)er opera di Andrea da Firenze,
in fondo alla navata di S. Giovanni a Carbonara, il monumento
di Ladislao e, in Dounaregina come da i)er tutto, schiere di ar-
tisti dipingevano intere pareti di affreschi ed altri incidevano
per la real zecca ed altri operavano cose minori.
Più tardi, appaiono nella storia dell'arte iu Napoli, i j^randi
nomi del Donatello , di Giuliano da S. Gallo , di Giuliano da
Majano, dei Rossellino , del Sansovino , dell' AmmannaHi e di
cento altri. Il Donatello lascia qui la sua orma potente nel se-
polcro di 8. Angelo a Nido e lavorano con lui Michelozzo Mi-
chelozzi fiorentino e Pagno di Lapo Portigiani di Fiesole. 1
Donzello decorano il palazzo di Poggioreale per la regimi Gio-
vanna. Sorge, per opera di artisti lombardi e toscani l'arco «li
Alfonso d' Aragona e Giuliauo tla Majano scolpisco la grande
porta Capuana e Rossellino i bassorilievi di Monteoliveto e Sau-
sivino e l'Ammannati il bel sepolcro del Sannazaro.
Ma, accanto a questo, che pel trecento e pel quattrocento,
rappresenta il letto del gran fiume artìstico che , partendo da
Firenze, discese in queste contrade , assai importante sarebbe
per noi seguire il rivo patrio nella grande corrente e segnarne
il cammino e sapere qual parte gli artisti, gli operatori, i mor-
morari, i maestri del legno ebbero nelle opere di cui Napoli si
andò adornando. Maestro Gagliardo, ad esempio, operò con Tino
al sepolcro della regina Marra in Donnaregina e Tommaso de
Vivo napoletano alla certosa di S. Martino. Non è indifferente
:iè per l'arte né per noi il sapere quello che Puno e l'altro por-
tarono di nuovo nell'arte di Tino, se qualcosa vi portarono di
jiuovo come non. appar dubbio , o quel che il loro intervento
.segnò nell'opera d'arte, se alcun segno essi v' impressero, che
non è possibile non sia. E questa è ricerca, oltre che di critica
storica, di critica estetica, di esame estetico dell'opera d'arte.
Nei lavori di S. Martino, oltre Tommaso de Vivo , lavorò con
Tino Senese Mazzeo di Malotto anche di Napoli che diresse e
•soprassedette piìi immediatamente, lavori che, anzi, il primo ha,
condo i documenti del tempo, un compenso annuale maggiore
di Tino, un. terzo circa , ed ha sempre il passo sul senese ar-
chitetto e può, come lui , scegliere gli operai e decidere delle
spese da fare. Che traccia lasciò egli nell'opera che ne risultò ?
Nella costruzione del chiostro, l'artista Fanzago bergamasco con-
tinuò un' opera, che da un documento e da altri inizii, ajipare
già intrapresa dai monaci certosini sotto la guida di un loro
architetto, il napoletano Giov. Giacomo Conforto, autore della
bella mole del campanile del Carmine. Qual parte gli si può o
iili si deve fare nella mirabile opera, alta quadrata eretta su hian-
■ke colonne polite, che esercita tanto fascino , nel silenzio del-
l'alta Certosa ?
Ma io non ho voluto che di sfuggita accennare a una que-
stione, ad una ricerca, anzi, che tanto interessa la storia del-
l'arte in Naiioli, poi che, alla Certosa di S. Martino, non è^ l'arte
<lel trecento né quella del quattrocento che bisogna cercare e,
pei secoli seguenti, tutto vi è, tranne che pel chiostro , abba-
.-stauza chiaro e preciso. Qual costrutto, qual parola trarre utile
alla storia dell'arte da quel che resta del treceuto che io, fiual-
meute, ho rintracciato dall' antica costruzione di Tino e di De
Vivo e di Marreo de Malotto ? Gli archi acuti del pronao , poi
tutto rifatto , e quello della porta , la grande volta a cordoni
della navata, anche se piìl tardi in qualche parte rammodernata,
le finestre acute, di cui restano appena le tracce nel lato nor-
dico, con lo stemma dal leone ramjiante di Niccolò Acciaioli ,
uua colonnina , forse di maestro Faccio , ed una croce ed im
nome, ecco quanto resta della magnifica opera trecentesca. Ma,
ciò interessa lo studioso assai più che il visitatore. La fac-
ciata col suo finestrone centrale , col suo frontone donde soii ,
spariti gli archetti, col suo pronao tutto rammodernato da Fau-
zago, ricorda appena le linee fondamentali di quell'epoca: sulla
loggia, che copre il pronao, dovevano esser collocate , secondo
il concetto del Fauzago, delle statue, ma esse non vi furon po-
ste mai e se ne serba appena il ricordo nei documenti dei Cer-
tosini, che, ad incominciare dalla metà del cinquecento, intra-
presero la trasformazione completa della Chiesa e del Chiostro,
di tutta la parte monumentale, cioè, della loro Certosa.
Del cinquecento , infatti , ò quasi tutto 1' adattameuto archi-
tettonico della chiesa , clie , nella seconda metà di quel secolo,
era quasi interamente compiuto, se potè intraprendersene la de-
corazione pittorica e l' arredamento. Del cinquecento ne è dun-
que 1' architettura dovuta all' architetto Giov. Antonio Dosio, »•
della fine di quel secolo la decorazione di (juattro almeno delle
capi)elle laterali, dovute ad artisti carraresi. Gli elementi estra-
nei ne sono visibili, come i medaglioni del Bottiglieri, ad esem-
pio, della cappella di S. Ugo, quelli dell'altra cappella di S. Gen-
naro, orribili nella esecuzione sebbene perfettamente inqua-
drati nella decorazione. Le decorazioni marmoree degli altari
sono, invece, di un cinquecento ricco, elegante e non lezioso.
E della stessa arte pono i bellissimi festoni di frutta della cai>-
pella di S. Ugo e quelli pih modesti della cappella di S. Gio-
vanni Battista. Della fine del cinquecento sono lo belle tarxie
della «acreniia, opera di una riccliezza, di un lavoro di mosaico,
di uua fantasia singolarissime. E ad esse fanno da cornici inta-
gli di un gusto sobrio e fine, certamente di diversa mano , ma
egualmente eseguite in quel tempo, come i documenti, oltre che
l'arte, dimostrano. Porte, cassettoni, spalliere, tutta questa mi-
rabile stanza è decorata di tali tarsie e dalla ricchezza di que-
gli intagli: e porte , e cassettoni fermano e chiudono ferrature
di squisito lavoro ed a disegni bellissinii, ricche e fini come fa-
sce di corali , o come borchie di cofanetti suntuosi , ed alcune
di esse portano inciso: Arn: s ExRlCUS de UtrechA. D. 1598,
segnando Panno in cui l'opera fu compiuta. Anche di quel pe-
riodo di tempo sono i ricchi battenti della chiesa , inosservati
sino a me, e perchè non ricordati dal Tufari e perchè nascosti
dietro una bianca porta messa loro innanzi. La maniera ne è
grandiosa; ma sorprende soprattutto .la purezza ed il sentimento
delle figure, che tengono il centro di ciascun riquadro, un po'
rigide e come di un artista d'un più intenso animo.
Ma, così come essa è, la chiesa è oggi il più bel museo di arte
del 600 italiano che esista nel mondo. Senza averla veduta non è
possil)ile parlare di tutto quel secolo di arte , come non si po-
trebbe parlar del primo rinascimento italiano senza aver veduto
Pisa o del 500 senza aver visitato Firenze e il Vaticano. Il 600
del Bernini ha troppo adombrato ogni altra manifestazione di
arte di quel secolo , e dove non ha quella grandiosità regale,
esso ci appare o pesante o vuoto o sopraccarico o scomposto.
In generale è pocliissimo noto, niente affatto studiato, leggeris-
simamente inteso, e dalla condanna complessiva e dal giudizio
sommario è gran fatica se si salva qualche più grande artista
o qualche grande monumento, gli uni e gli altri non ben cono-
sciuti anch'essi, poco cercati dai visitatori, e dagli studiosi di-
rei quasi evitati. La servitù, lo spagnolismo, il vuoto degli spi-
riti avrebbero prodotto questa arte fiacca , boriosa , vuota, che
è ricchezza , come dice il Settembrini , non è bellezza. Ed è il
giiulizio dei più, fatto di frasi ormai viete e come inappella-
bili, né vagliate, né controllate in ciascun monumento, per cia-
scuna opera d'arte di questo secolo, che ne produsse assai più
che molti altri uniti assieme. Il mal vezzo di raccoglier le note
comuni dei secoli di arte, di far ricorso ai costumi e alla sto-
ria iier darne le ragioni, di giudicar un periodo artistico con i
criterii e la misura di un altro, ha qui più che mai sviata la
critica dell' arte. In Roma , la grande produzione di Lorenzo
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Borninl ha come tolto ogiii voglia di cercarne altra. In Napoli,
dove il 600 si trovò come a casa sua, la disgraziata ricchezza
barocca di alcuni monumenti, i più visibili, ha allontanato gli
studiosi dal considerarne i migliori e più riposti. Oltre a che
è avvenuto un più singolare caso. I maggiori lavori del 600
hanno , il jiiù delle volte , trasformate antiche chiese del 300.
«quando non pure anteriori, talvolta riccliissirae e belle, talvolta
brutte e modeste. Quelle 80vrapi>08Ìzioni appaiono oggi sacrile-
ghe, e possono bene esser tali , in alcuni casi. Ma in altri na-
scondono mediocri opere di uno stile non nostro , non proprio
di questa regione , non , anzi , proprio di artisti napoletani, ni'
sempre o di gran valore o di pura bellezza. La ricerca , le ri-
costruzioni lontane, le viete frasi di uno stilo che ha in sé un
maggior sentimento religioso e di un altro che ne ha meno o
non ne ha alcuno, hanno fatto condannar sommariamente qu<;-
gli aggiustamenti seicenteschi , spesso di una inarrivabile .sa-
pienza, più spesso di una originalità indiscutibile , sempre più
nostri , più intimamente rispondenti alla nostra regione ed al
nostro costume ed al nostro genio artistico. Non ci slam con-
tentati di deplorare , nelle linee generali , che si sien masche-
rate antiche architetture, pel loro valore storico e per l'iniziai»
organismo, degue di esser così conservate; ma, nella forza di
tal giudizio , non si è poi guardato alle sostituzioni così quali
esse sono, talvolta per sé stesse magnifiche e magistrali , sem-
pre non indegne di essere considerate. Che, anzi, si è oggi per-
venuti a tale fatua critica dell'arte da consigliar che si distrug-
gano aggiustamenti di regale magnificenza .seicentesca tutta no-
stra, per far venir fuori qualche scalcinata parete o qualche ]m-
lone, simile a centomila altri, del trecento angioino.
Il seicento nostro risponde a un momento dello spirito nostro,
risponde ad un l)isogno che oltrepassa, anzi, un momento deter-
minato dello spirito nostro, poi che ha ragioni profondo nella
coscienza ; nel carattere, nella forma che assume il sentimento
religioso fra noi , in popoli di una razza che ha fondo greco,
che ebbe per secoli coltnra e costumo greco, che ha mobilitsì .
sentimento greco della plastica, che sente il bisogno del caloi.
vivo nel suo vivo e luminoso cielo, che anni le liV)ere e tumul-
tuose espressioni dei gesti come della lingua , come del seguo.
Ht' noi voirliMiii ]>t'i)s:ti-o ad mia ('«pì-cssioin- <!' iirtf clic ]>iii si
— 11 —
avvicini , che più manifesti i' anima meridionale, noi non iien-
seremo certo alle nude cattedrali gotiche o a Santa Maria del
Fiore o alla solenne maestà di S. Petronio. Il miracolo di S.
Gennaro in S. Maria del Popolo o nel bel S. Giovanni è un
non senso; e non è possibile immaginar le parenti di quel santo
che gli sputino in faccia , come fanno in Napoli, e gli gridino
contro tra i bei marmi bianchi del Duomo di Pisa.
Il seicento — e noi adoperiamo questa parola accettandone
der un momento il significato corrente — portava in Napoli due
elementi, anzi assai piìi elementi che ne erau 1' espressione: la
ricchezza degli ornati, onde i popoli del mezzogiorno, in gene-
re , sentono il bisogno , e questi della Magna Grecia assai più
che gli altri; la policromia che è una necessità della decorazio-
ne architettonica in questa colorazione straordinaria del cielo,
del mare, delle cose; la larga grandiosit.à amplificante e sovrab-
bondante di cui ha bisogno la religione tutta plastica e mate-
riata di magnificenza dei meridionali, la parola tutta immagini
ed eccessiva, la vita tutta esteriore , api)ariscente, grandezzosa,
come dicono con assai bella parola i Napoletani. L' arte greca,
come la normanna, come la gotica, tutte, assunsero qui un tal
carattere che non fu, dunque, dato alla regione, ma che da essa
lo ricevettero. È notissima hi grandiosità che nella Magna Gre-
cia raggiunse l'architettura religiosa; ed ancora oggi ne fanno
fede i potentissimi colonnati infranti di Pesto come di Meta-
ponto, del Capo Lacinio, come di Seliuunte; ed era tutta ricca
di colori, com'è noto; e più grande e più vistosa di ornati e di
colori che non fosse nella madre patria. È noto di qual ricchez-
za di ornati e colori e di figure si coprirono i vasi greci in
questa arte locale della Lucania e delle Puglie , e quali colos-
sali proporzioni raggiunsero , obbedendo allo stesso intimo ed
eterno bisogno.
Nella chiesa dei Museo di S. Martino , che è modello senza
possibili paragoni del genere, tutto ciò è contenuto in tali no-
bili confini, e l'esuberante spirito dell'arte napoletana raggiun-
ge un così armonico equilibrio d'insieme e di parti che ricchez-
za e bellezza sono in essa la stessa cosa. Le proporzioni non
sono vastissime , le linee non sono torturate, i colori non sono
stridenti , gli ornati non sono ingombranti , la ricchezza non è
lnuiale. Architettura , decorazione , arredamento sono organica-
meuttì uuiti. Il ciuciueceuto o i>er meglio dire la line di quel se-
colo le ha dato la sua giustezza composta delle linee e delle sa-
gome architettoniclie; ma il seicento tutta la sua calda ricchez-
za ornamentale. Del primo reniennio del seicento sono infatti gli
stalli della sala del Capitolo , dovuti ad un tal Bruschettà, ed
alquanto inferiori per fattura, non per spirito, agi' intagli della
sacrestia; e ad artisti del seicento, infine, se anche vi operarono
nella fine del secolo precedente, si deve tutta l'altra opera di de-
corazione, di pittura e di scoltura che ora si ammira in quel mo-
numento, sacro all' arte ed alla pace indisturbata delle sue crea-
zioni. Belisario Corenzio, Lanfranco, il cavalier d'Arpino, Guido
Keni, Caravaggio, Maratta, Ribera, sono nomi assai noti fra gli
artisti del seicento, e tutti hanno qui opere vaste ed importanti.
Ma pochi sanno che, per le epoche in cui qui operarono, per la
emulazione onde furono animati , essi hanno lasciato in questo
volte e su queste pareti le pih belle e piìi felici opere loro. .Si
narra del cavalier d'Arpino, che tornato dopo assai tempo a veder
queste sue opere della Certosa, dicesse che non pensava di aver
mai potuto far cose così belle, e, in verità, egli, per la compa-
razione delle altre cose sue, diceva il vero. Del Ribera non si
può dir di conoscerlo senza aver viste queste sue mirabili cose,
e molti pure sentenziano di lui, senza averle cercate. Di Beli-
sario Corenzio si i>uò dir che pochi freschi egli abbia operati che
valgano l'Adultera e assai pih i Miracoli di S. Ugo, l'uno nella
«ala del Capitolo, gli altri nella cappella del Sauto. Ma, accan-
to a questi ed accanto alle opere loro , per mille versi fra le
l)iù importanti che essi abbiano mai dipinte, altri nomi ed altre
opero compaiono, ignote del tutto, che riempiono di stupore, «■
che vanno notate insieme con quelle altre dei grandi maestri.
che formano, tutte insieme, in questa Certosa, una vera galle-
ria d' arte del seicento, ed una , anche più rara , dell' arto del
seicento in Napoli. Ippolito Borghese , Andrea Vaccaro, Massi-
mo Stanzioni e Paolo Finoglia, ecco dei nomi piti modesti, al-
cuno anche del tutto Hconosciuto oltre questa cinta di mura. Ma
la cui oi)era non è perciò meno jiotevole, o meno spirituale, <>
meno intensa, anche e tanto più so paragonata, in questa mostra
perenne di arto, a quella dei maggiori o di maggior rinomo. Cer-
carli ed additarli, visitando la cliiesa di S. Martino mipra Xcapo-
lim, è un dovere ptjr uno studioso, è un godimento jicl visitatore.
13 —
Le scuole , qui come altrove , nel 600 , nou è facile rintrac-
ciarle. Non si può parlare , qui come altrove , in quel secolo
della più assoluta libertà artistica, se non di artisti. E gli uni,
per le qualità del loro spirito e del loro pensiero, cercano e ten-
dono alla maniera di Kattaello, ed altri a quella dei Caracci, o
del Caravaggio , e non sempre né in tutti i loro quadri sono
anche chiare e ben definite queste loro tendenze. Noi possiamo
dividerli in artisti che nacquero ed operarono fuori di Napoli,
artisti che in Napoli cljbero il loi-o massimo sviluppo e trascor-
sero la maggior parte della loro vita, ed altri che qui nacquero
o ntj confini del euo regno ed ebbero in essa scuola e vita ar-
tistica. Dei primi è Simone Vouet, un francese che si educò in
Roma e, salito in grande riuomanza, ebbe in patria ogni sorta
di onori e ricchezze. Dipinse molto in Roma e moltissimo nella
sua patria. Il quadro della chiesa di S. Martino, che ha la sua
segnatura, Simone Vouet rarisien pinxit lìomae 1620, è uno della
sua età più vigorosa — fu dipinto in sui 38 anni — , e ne ha
le qualità di grazia e di colore. Vi è evidente la maniera raf-
faellesca ; ma il fare è un po' lezioso e privo di energia, defi-
cienze che sono qui messe anche in maggior rilievo dalle pit-
ture che lo circondano, di cui alcune, come le lunette del Fi-
noglia , scure e rudi , ma energiche e severe. Gli Heredi PauU
Caliari Veronensìs hanno nel coro una Istituzione dell'Eucaristia,
interessante per la storia delParte, ma di scarso valore artisti-
co. E così Carlo Maratta, un pittore di grido , un caposcuola,
anzi , dell' arte romana , che ha, nella cappella di S. Giovanni
Battista, il S. Giovanni dell'aitar maggiore, di puro disegno,
ma vuoto , liscio, senza colore, senza anima, insignificante. In
<iuella stessa cappella, nelle lunette, Massimo Stanzioni ha di-
l)into la Decollazione di S. Giovanni e Salome che ne porta la te-
sta recisa ad Erode. Non sono fra le migliori cose del maestro;
ma che difterenza di visione pittorica, di originalità di campo-
sizione, di sentimento e di grazia composta ! La figura di Erode
e quella dell'uomo ammantato della Decollazione sono concepite
energicamente, e magistralmente disegnate e dipinte con un ri-
— 11 —
lievo che fa vivo coutrasto co», le tìgiire piatte e convcuzioiiali
del maestro romano, tauto più noto ili lui.
Ma opere di beu altro valore hanno in questa chiesa di S.
Martino Giovanni Lanfranco, della scuòla dei Carracci; il cava-
lier d'Arpino che seguì la maniera di Raffaello, e sebbene napo-
letano visse la maggior parte della sua vita in Roma ; Guido
Reni, principe degli artisti del suo tempo, e Mielielangelo da Ca-
ravaggio, nn artista tutto personale che ebbe la gloria di avere
fra gli alunni il Riberà, poi che egli dipinse nell'nlrinio quarto
del 500.
Si può dire del Lanfranco e del cav. D' Arpino che .essi
nulla hanno iirodotto che superi questi freschi di S. Martino.
Il Lanfranco è vissuto ed ha molto dipinto in Napoli, dove son
di sua mano la cupola del Gesù Nuovo e molte opere nella
chiesa dei SS. Apostoli, in S. Gennaro, in S. Chiara. Ne ha
preso un fare largo, più libero, un po' trascurato, che unisce
ad una certa armonia di linee o di colori propria del Correggio,
che egli volle imitare, una spigliatezza, un ardimento negli
scorci, un movimento nelle azioni, una certa rozzezza del con-
torno che par gli venga tutta da Napoli e dalla siui arte. La
unità della composizione, nell'affresco della vAlta rappresentante
Gesù che sale al cielo, è assai bene ottenuto, e così il rilievo
delle figure sull' azzurro, che traspare dalle grandi luci aperte
nel cielo, e nel, quale si librano cori di angeli, patriarchi, pro-
feti, e, sulla chiave dell' arco, il primo uomo in un magnifico
scorcio. Ma ò un artista vuoto, sebbene grandioso e largo, come
mostra meglio la Crocifisaione della lunetta del coro, una grande
composizione, in cui non potrebbe esser maggiore nò la sapienza
degli scorci né l'energia del disegno. Qui il colore è un po' ci-
nereo (l'affresco è anche danneggiato dall'umido), ma nella vòlta
è brillantissimo e vivace. I frati lo accusarono di aver dipinto
a secco, ma, in verità, i secoli e la fresca colorazione così ben
conservata della grande pittura danno ])iena ragione all'artista:
non un intenso artista, ma che sapeva mirabiluieute il fatto
suo. In fondo, è proprio questa sicurezza dell'opera loro, questa
maestria del disegno, questa padronanza assoluta del colore che
fprma il maggior pregio di questi maestri dell'arto dell'affresco.
Il cav. D'Arpino è un mediocre pittore di quadri e S. Martino
ne Ija tino, sulla porta della sacrestia, clie <> una -povera e vuota
cosa, una Croce fissione. Ma i varii compartimenti della vAlta in.
quel monumento di arto che è la sacrestia dei Certosini, i fre-
schi con le storie dèi nuovo testamento, come 1 tondi con le
Virtìi, e 1 putti con i segni della passione, sono un vero mira-
colo di gu.sto, di sobrietà e di armonia di mezzi pittorici. La
freschezza del colore è pari alla purezza del disogno e alla grazia
e perfezione degli scorci ; l' invenzione è ricca ed originale ; lo
aggiustamento decorativo dei più felici nella sua straordinaria
profusione di purissimo oro. Dagli scuri armadi ricoperti di
mosaici in legno, alle pareti ornate, fra pilastrini dorati, di
quadri, mediocri ma calmi, del Bisancioni (?), alle figure ma-
schili ed energiche dei triangoli, agli spigoli dalla tinta gial-
letta con le allegorie ferainili della sacra scrittura, alla corona
di putti coi segni deUa Passione nuotanti in un vivo azzurro,
ai quadri, piccoli e grandi, dell'antico testamento -e della pas-
sione di Gesti, è un insieme di decorativo , dove tutti gli ele-
menti di architettura e di colore, di concezione e di arte sono
armonicamente fusi in una ricchezza che non è frastuono, in
una ricchezza che è anche bellezza, ed è soprattutto amore e
sentimento vivo policromatico della decorazione. In fondo, sul-
l'arco, un altro artista che possiamo considerar come romano,
Viviano Codagora , ha dipinto , evidentemente sotto la dire-
zione di Massimo Stanzioni, una doppia scalinata che, salendo
dai due lati dell'arco, finisce su di esso in un ripiano, che è la
loggia di Pilato. È un miracolo di prospettiva, poi che quello
artista non dipingeva altro, ma è anche un aggiustamento ed
una idea genialmente trovata, poi che in quello si)azio dell'arco
nulla si desidera e il quadro è completo. Che cosa manca a
queste pitture del cav. D'Arpino o che cosa esse hanno di
troppo ? Non è di ciò, né in questo luogo che dobbiamo discor-
rerne. Egli non è un' anima profonda, e non ha la visione di
una profonda bellezza, e non guarda al vero ed alla natura
donde solo e sempre emana la vita, e il colore non è per lui
l'espressione di interno affanno o di commozione interna. È un
artista vuoto e sereno, che sa tutto il mestiere suo per felicità
innata: e vede il colore e i suoi effetti, e sa il disegno, e le
forme delle cose, e l'uno e l'altro armonicamente compone per
bene appresa sapienza di facile temperamento artistico. Queste
qualità sono evidentissime in S. Martino; ma non altrettanto.
— Ili —
ad esempio, nella gran sala ilei Cauii)iiloglio, dove i grandiosi
soggetti romani scovrono troppo la vacuità della sua anima, se
bene anch' essi ne rivelino 1' orgoglioso saper fare di cavaliere
arpinate. Ma, al di sotto del grandissimo quadro del cavaliere,
tra esso e la porta di entrata, vi è un capolavoro dell'arte, un
gioiello che può passare inosservato fra tanta ricchezza, Pietro
che rinnega Gesù, .di Michelangelo da Caravaggio. In Dresda,
questo rude, questo solitario, questo ribelle della pittura lia un
quadro di maggiore eifetto e assai più noto, nella real qua-
dreria, i Giocatori. Ma la nobiltà del soggetto, il sentimento che
egli ha voluto rendere ed ha reso nella testa magnifica del San
Pietro, nella espressione straordinariamente profonda degli occhi
suoi che mentiscono, fanno di questo ^quadro della Certosa uno
dei maggiori capolavori ed un capolavoro di tutti i tempi. Quasi
accanto, nella stanza vicina, è un suo contemporaneo, di altra
terra ma cresciuto sotto le istesse influenze e nella visione degli
stessi maestri, un altro seicentista, un altro spirito, un bolo-
gnese pieno di grazia. Guido Reni. La critica aprioristica ed
esteriore ha trovato, come è suo costume, per lui ora lodi fuori
misura, ora una ingiusta e sommaria condanna ; ed oggi è la
volta di questa. Ma, in simili momenti, il ricordo dell' Aurora
di palazzo Rospigliosi, quando non della Fortuna del Campido-
glio o del iS'. Michele dei Cappuccini e così via, dovrebbe ricon-
durre sulla giusta via. Fu il pittore della grazia, d' una com-
I)08ta bellezza che l'arte stessa gli aveva rivelata, non la vita,
d'un colore che le altrui tavolozze gli avevan riccamente e fe-
licemente insegnato, non la stessa natura. Ma fu pittore d*
questa grazia e di questa bellezza vivamente sentita. Non po-
tette esser Correggio, ma Correggio gli aveva rivelato quanto
poteva di sé, come, più che molti altri, mostra questo gran-
dioso quadro della Certosa, nel quale 1' imitazione della Nati-
vità di Gesù del Correggio è evidentissima, sebbene ne sia assai
più ingombro di figure il piano. È un quadro rimasto incom-
pleto e certe trascuratezze non volute danno maggior rilievo
alle parti in luce e compiute. L' idea di far partire dal ]>argolo
la luce, cosi coiue nel quadro del suo maestro, gli dà modo di
illuminare or di faccia or di fianco ì volti delle molte figure,
e fra ([uelle che compaiono dalle ombre ve n' ha di <lolce e
.s(iiiisita grazia. È quanto egli poteva dare ; ma era (|ucsta una
così sincera dote della sua natura che, trasfusa nella sua vasta
opera, piacque al mondo in cui visfft) e piace. Certo, la sua vi-
cinanza, in questo coro di S. Martino, a un colosso dell' arte
napoletana, avvia lo spirito del riguardante a considerazioni di
altro genere. Ma non è di ciò che 1' esame critico si sia finora
occupato, e se esso e in^niisto col Reni è addirittura cieco con
l'arte nostra.
La scuola napoletana — diciamo pure così (j^uaudo amerei
meglio dire semplicemente i napoletani — è rappresentata in San
Martino dal Borghese, dal Caracciolo dal Siciliano, dal Coren-
zio , da Micco Spadaro , dai Vaccaro, dal Finoglia , dal Ri-
bera , dallo Stauziaui, da Luca Giordano, dal De Matteis, dal
De Mura. Non guardiamo alla patria, essi sono napoletani e,
vivendo in Napoli, e, respirando quest'aria e guardando questo
cielo, chi ha seguito una, chi un' altra maniera conforme al
genio personale. Belisario Corenzio , un greco di origine, un
violento, come si sa, nella vita, ha dipinto molto in S. Martino
e vi ha, forse, le migliori sue cose, la vòlta della sala del Ca-
pitolo con l'affresco dell'Adultera, gli affreschi della cappella di
S. Gennaro e quelli, notevolissimi, della cappella di S. Ugo,
per disgrazia molto danneggiati. Non è uno spirito originale,
ed è meu composto e grazioso del cav. D'Arpino; ma ha una
maggiore energia di disegno, un maggiore studio del vero, un
contatto più immediato con la natura, che svela però anche più
chiaramente la maniera in molta e più gran parte della sua
pittura. Nel quadro di mezzo della sala del Capitolo, Gesù che
caccia i profanatori dal tempio, in alcune parti dell'affresco A&l-
V Adultera, in molte degli affreschi di S. Ugo, questo studio del
vero, questo più sostanziale contenuto è visibile, ma non così
costante che se ne illumini tutta la sua pittura. La sua com-
posizione è, però, macchinosa, il colore vivo, la sicurezza dèi
dipingere grande e la ricerca dell'effetto pittorico è, come nel-
l'affresco della Canonizzazione di S. Ugo, molto genialmente ot-
tenuto. Tiiitoretto non era passato invano nella sua vita d'arti-
2
— If^ —
sta, gli ardimenti caravaggeschi vi avevau lasciato anche essi
uua traccia, e i napoletani dipingevano ormai di lor sicura ma-
niera. Per breve tempo e^l» in modesta misura anche Raftaello
aveva qui trovato i suoi segnaci, Andrea Sabbatini da Salerno e,
fra i minori, Ippolito Borghese. Ma il Sabbatini ha una sua per-
sonale maniera tutta contrasti e tutta vita che appena in qual-
che opera lascia vedere l' influenza raffaellesca (il Melaui adduce
non a proposito le pitture del Museo Nazionale), e Ippolito
Borghese resta quasi isolato e trascurato, mentre è, nella vòlta
del piccolo passaggio alla sala del Colloquio, addirittura deli-
zioso, un raffaellesco puro sangue, natura di artista raffaellesco,
non meccanico di quell'arte. I^' Adorazione dei Maggi e l'Annun-
zio ai pastori in quei piccoli freschi del cupolino hanno una
grazia di colore, d' invenzione e di diseguo che non possono
sfuggire. Quando si tratta di questi minori, perchè non cercare
fra essi quelli, anche se vissero lontani dal maestro, che meglio
ne accolsero la parola ? Ma in Paolo Finoglia, in Micco Spa-
daro, in Massimo Stanzioni, in Luca Giordano ed in Giuseppe
Ribera, il seicento napoletano ha, in questo tempio dell'arte, i
suoi pili grandi rappresentanti.
Domenico Gargiulo, detto Micco Spadaro, non è un felice af-
freschista e i suoi quadri ad olio sono superiori ai suoi freschi
quasi sempre molto deperiti come quelli di S. Martino, che sono
molto ritoccati. Può anche non piacere, e la decorazione in cui
ha messi i suoi arazzi, negli affreschi del Coro dei conversi, non
piace. Ma ha una così larga visioue del paesaggio, ha, nel ren-
dere figure e paese, una maniera così propria e cosi spirituale,
si è così allontanato da tutti gli altri, nella espressione di uno
spirito pronto, in diretta comunicazione col vero, anche quan-
do non ne sa rendere tutta la forza, che egli deve essere con-
siderato come il primo paesista di una scuola veramente napo-
letana. E non metto in conto il tempestoso e magnifico Salvator
Rosa, poi che egli ebbe maniera troppo personale e disse trop-
pe cose del suo spirito, nei suoi paesi non imitabili, né imitati.
Egli, il Gargiulo, guardò anche e ritrasse la vita, anzi il tu-
multuare della vita napoletana, in modo addirittura miracoloso
nei due quadri del Museo Nazionale, la Rivoluzione di Masaniello
e la Peste di Napoli: ma questa chi<^sa non ha nulla che egua-
— lo-
gli (pici (lue capilavori, fra i quali e l'arte fiamminga di quel
genere non è stato ancora istituito il confronto, che pur var-
rebbe la pena di fare. Da Milano giungeva a Napoli la voce e
1' Ai'te del Caravaggio, non più che a Venezia, od a Bologna,
od a Roma; ma là nascevano il Reni, Tiepolo, Dolci, il Dome-
nichino, o Pietro da Cortona, o il Maratta, e qui Domenico
Gargiulo, Aniello Falcone, Ribera, Finoglia, Giordano, Stanzioni.
Ecco quel che bisognerebbe spiegare. Giuseppe Ribera, detto
Io Spagnoletto, ha nella chiesa di S. Martino le sue maggiori
tele, di cui alcune quasi del tutto ignote. Non può dire di co-
noscere l'opera sua chi non ha visto il suo qua<lro del coro,
La Comunione degli A})08toli, il noto suo capolavoro La deposi-
zione della Croce, la tela raffigurante // profeta Elia e i Dodici
profeti dei triangoli, miracoli dell'arte sua. fja comunione degli
Apostoli è un quadro eccezionale in tutta la produzione del Ri-
bera. E', prima di tutto, un quadro di grandiosa composizione
di figure grandi piìl del vero, di un colorito pieno di luce, bril-
lante ed armonioso come quello di un veneziano. Non figure
stecchite — come la storia critica da strapazzo ama solo attri-
buire al Ribera — , ma immagini di nobile bellezza come quella
del Cristo che offre l'ostia, o di solenne gravità come quelle
degli apostoli che lo circondano nel gruppo centrale, di fattura
straordinaria: le mani del Cristo sono inarrivabili, viventi, di-
vine cose. La testa di Gesù, dolce e pura, è di bellissimo ef-
fetto suU' azzurro vivo e l' argento luminoso del cielo: dall'alto
guarda una nuvola di angioli di squisita fattura: in un angolo
è il discepolo che tradirà, e poggia nella mano il capo, ed ha
gli occhi chiusi come nel sonno, spiacente e forte persona viva.
Neil' ultima e più riposta sala della chiesa, nel Tesoro, è la
Deposizione del Cristo, come a riassumere questo mondo d'arte.
Ma esso è troppo noto caiiolavoro perchè io o vi insista o vi
descriva, mentre ignoti del tatto sono i profeti dei triangoli, nella
navata della chiesa. Sono dodici tele triangolari le quali riem-*
j)iono gli angoli non vasti che gli archi fanno coi pilastri sa-
lienti e la cornice che posa su di essi, e sono tredici visioni di
intensa e potente vita.
Non è a dire come le grandi figure riempiano gli spazi an-
gusti e come si adagino in essi : vi si direbbero nate ad un mo-
mento solo e come couuaturate. Alcuni sono di prospetto e pog-
giano le teste illuminate e le vaste fronti nelle nobili mani,
mentre sono intenti sui volumi squadernati; uno è tutto di fianco
ed ha il mento nella mano dritta, che solleva il volto attento
^ chiuso al libro che gli posa dinanzi: uno indica col dito vi-
goroso un punto del volume; mentre la fronte si corruga; un
altro, ravvolto in un manto variegato, volge tutto il viso bar-
bato e duro a chi guarda, mentre pare che voglia col pensiero
oltrepassare la parola che gli è dinanzi. Verità di atteggiamenti
e di particolari, perfezione di forme e vigoria di colore, forza
di espressione ed elevatezza di pensiero, contenuto profondo «•
sobrietà di manifestazione sono espressioni non atlequate ai no-
bilissimi soggetti. Sono i capilavori del Ribera e fra le massime
opere d' arte del '600 , che non altro ha prodotto di così in-
tenso e completo. Dopo Michelangelo, non furono mai animate
figure così grandi, ne è necessaria molta ermeneutica per com-
prendere ciò senza cousigli ausiliatori. Paolo Fiuoglia , un pit-
tore nato e cresciuto in Napoli, si ispirò al suo maestro nel di-
pingere i Fondatori di ordini delle sue lunette nella sala del Ca-
pitolo, e la maniera di lui è in esse evidente. Ma in quelle teste
di santi eremiti, negli aggiustamenti di quelle ascetiche figure
vi è uno spirito personale, un' anima che accetta la maniera
senza prendere da altri la ispirazione, un artista che farà da s»
e che in «luesta chiesa nella cappella di S. Martino, fra gli al-
tri freschi minori ma potentissimi della volta, ha un'opera che
è un vero miracolo dell' arte napoletana. Il trasporto del corpo
di S. Martino. Nella verità di (luelle figure e dei volti di coloro
che reggono il pallio, rivolti allo spettatore ; nella magistrali
sicurezza del disegno largo e vero ; nella luce che avvolge
e circonda le persone; nella scelta dei tipi, dei colori, dei con-
trapposti è tutto l'insieme delle qualità che, un giorno, alcuni
secoli dopo, distingueranno l'arte napoletana. E' in questo al-
fresco che, nel 1600, non ha molti rivali ; è in alcune doti clit-
rilevano alcuni pittori contemporanei o di poco posteriori, conn-
Mattia Preti, Bartolomeo Passante, Francesco de Mura che son
chiare, assai più che nel napoletano Luca Giordano, un artista
personale, vario, versatile, pieno di grazia, le note dominanti
dell'arte nax>oletana. Queste figure, quelle del gruppo dei dot
— 21 —
tori, magnifico uel disuguale quadro che il De Mura ha uella
sala del Capitolo, sono le annxinziatrici di quello che chiamerei
il secondo rinascimento napoletano. Ma un altrp artista. Mas-
simo Stauzioni, ha qui la più bella sua pagina. Sulla porta di
ingresso egli ha una Deposizione della Croce, molto danneggiata
ma da tutti guardata, e da tutti, sebbene non ne sia facile- il
giudizio, ripetutamente lodata, ed ha pure collaborato al pas-
saggio nella caiìjìella del Tesoro. Ma avete voi mai, in una cap-
pella ombrosa di questo bel S. Martino, veduto l'altro suo qua-
dro quasi ignoto, S. Bruno che dà la regola al Certosim * Sono
otto figure di monaci, di monaci anche di umili condizioni; sono
otto cappe bianche; sono otto teste rase. E nel mezzo se ne le\ ;i
una e fa un movimento semplice, poi che tiene nella mano un
libro squadernato. Ma quali volti e quali espressioni in quelle
pure fronti, in quei puri occhi, in quelle pure mani, in quei
j)uri atteggiamenti. L' arte nuova è in queste obliate tele, mes-
savi, tre secoli or sono, dai grandi maestri napoletani, per igno-
ranza o per mal volere disconosciuti. Ma noi abbiamo descritte
opere d' arte di denso contenuto e di nobili forme, e non ab-
biam pensato che questo si chiama, nel mondo dell' arie, il '600!
La scultura ha jiochi monumenti nella chiesa di S. Martino
che possano additarsi come grandi opere d' arte ; essa vi com-
pie un ufficio di pura decorazione e, per di jiiù, un ufficio, ne
la decorazione, del tutto secondario. Quasi interamente trascu-
rata uell' esame di tanta ricchezza d' architettura, di mosaici
policromi di marmi e di legni, di tele e di affreschi, essa però
ha qui alcune opere di notevole importanza, degne di essere co-
nosciute così pei nomi dei loro scultori che son quelli dei Ber-
nini, del Finelli, di Girolamo Santacroce, del Naccherino, come
per 1' intrinseco merito loro. Naturalmente, anche per la scul-
tura si desiderano invano le opere che il monumento dovette
contenere del trecento in cui sorse ; ed io non ne ho trovato
che un modestissimo ricordo in due figurine che dovettero far
parte di iin monumento sepolcrale o di un jiortale. Stavano in^
fi.sse in due spigoli a capo di una scala interna del monas^tero,
e, tolte di là, sono ora nella raccolta dei marini : troppo ivjca
cosa perchè ci dicano nulla dell' arte di (iuel tempo nella Cer-
tosa. Anche le pietre tombali e gli altri monumenti del quat-
irovento e del cinquecento sono stati rimossi negli adattamenti
posteriori della chiesa, come può arguirsi da quel che ne lascia
intendere il d' Eugenio ; ma i due rimastivi, anch' essi fuori
posto, sono begli esemplari di scoltura napoletana di quei se-
coli XV e XVI. Il primo è il marmo di Beatrice de Ponciaco
fabbricato ora nel muro di passaggio dalla cappella dell'Assunta
a quella di S. Nicola; il secondo 1' ornato sarcofago che Giro-
lamo Santacroce scolpì per Carlo Gesualdo. La lapide è della
prima ;metà del quattrocento. La donna è adagiatsi su un letto
di cui non è visibile che il cuscino scolpito a grande rilievo
con rabeschi di ricchissimo lavoro. Due colonnine si levano lun-
go il suo corpo da un lato e dall'altro con fantastici capitelli,
e sorreggono uu frontocino in cui è inscritto un arco acuto : p
nell' arco sono degli ornati con uno stemma sotto la chiave (falc«'
lunare), e fra 1' arco e le linee del frontocino due altri stemmi
Degli acroterii a rosoni coronano questa specie di nicchia o edi-
coletta in cui è adagiata la morta e sull' angolo del frontone *•
un giglio. Tutto ciò è a basso rilievo, tinemente lavorato, «mI
imita un sepolcro quattrocentesco dell' epoca durazzesca. Con-
sueto motivo pel resto di simili lapidi tombali. La donna ha sui
capo un manto che le scende in pieghe eguali sulle spalle, e di
sotU) al manto circonda l'ampia fronte un pizzo fine tutto pie-
ghettato ad onde , ed un altro è su questo. Un bianco lino
stringe e nasconde il mento ed il collo, e cede in pieghe a som-
mo del petto, contenuto come in una guaina dalla veste ch«
scende sino ai piedi con pieghe rigide ed eguali. Una cintura
di cuoio ornata di borchiette e con una semplicissima fìbbia cin-
ge i fianchi. Le mani sono incrociate sul grembo rigidamentt-
e una lunga fila di bottoncini chiude ai polsi le maniche : un
manto, a pieghe profonde e diritte, cade dalle spalle ai piedi.
Intorno, la lapide rettangolare porta soritto in caratteri franchi:
HIC. lACET I CORPV8. MAGNIFICE. DOMINE. MVUERI8. BEATRICIS.
DE I PONCIACO. QVE. OBIIT | ANXO. DM. MILESIMO. CCCCXXIII.
OCTAVA. IVNII. r.ME. IND.
Il monumento di Carlo Gesualdo, unico della prima metà dei
— 23 —
cinquecento che qui si trovi , dovette essere iu una delle cap-
pelle di S. Martino, come ricorda il D'Eugenio ; ma ora è a si-
uietra dell'aitar maggiore nella chiesetta delle donne. È una bella
opera di Girolamo Santacroce che ne ha moltissime in Roma ed
in Napoli, di fine gusto, di delicata esecuzione , di quella ma-
niera nn po' secca ma così vicina al vero, ingenua e gentile che
fu propria al Santacroce anche piti che a Giovanni Merliano da
Nola. Sventuratamente il monumento non è rimasto quale il San-
taeroce lo aveva ideato per la chiesa di S. Martino. Ciò parmi
indubitabile e parmi anche chiarissimo che tali adattamenti siano
stati fatti nel trasportarlo e collocarlo nella chiesetta ove ora
si trova. Uno studio delle varie parti mi ha condotto alle con-
clusioni che solo il basamento ed il sarcofago siano del Santa-
croce. Il basamento è formato da un dado rettangolare su cui
Bon figurati ad alto rilievo due putti che additano e guardano
una grande targa, contenente l'iscrizione e sostenuta per le anse
da fasce che formano un ornato sobrio ed elegante, quasi rigi-
do, sulla iscrizione. I putti hanno il capo reclinato, le pupille
tinte di nero , il modellato elegante e deciso nella espressione
della loro struttura, un carattere, nei piccoli menti acuti e nelle
bocche un po'taglienti, tutto personale. Sul basamento, che ha
una cornice molto semplice, posa il sarcofago adorno di baccel-
lature fini e di due festoni di frutta e fiori tenuti nel mezzo da
una targhetta della più grande sobrietà, ed eleganti. Su di esso
e sur un lenzuolo è adagiato Carlo Gesualdo, calvo, con un bel
volto emaciato ma nobile e sereno, che egli poggia sulla mano
sollevata dall'elmo come sur un cuscino. È interamente vestito
delle sue armi e volto tutto sul lato destro , verso chi guarda :
sotto la maglia ha un forte contrassegno che è certo quello del
male onde morì. Ora, su questo semplice e nobile monumento è
un grande ovale di bardiglio circondato da una larga cornice di
marmo bianco e da altra fascia anche di bardiglio a linea con-
torta e terminata in alto da un ampio ornato barocco. Nel mezzo
dell'ovale sono a rilievo, poggiati come sur una mensola di mar-
mo bianco, riccamente sagomata , due putti che si appoggiano
ad uno stemma (leone rampante circondato da gigli) ed hanno
faci capovolte nelle mani. L' arte di questi putti , il marmo e
tvitto l'insieme di questo aggiustamento non lascian dubbio sulle
aggiunzioni, sebbene costituiscano col monumento del Santacroce
Tiu insieme nou del tutto armonico ma non ])erò spiacéQte. L'i-
scrizione che vi si legge è questa :
KAKOLO Jes VALDO STKENVO KiiVlTl
PBIMI ORDIXIS HIER080LYMITAK0
EX PROCERVM REGNI NEAPOLITANI
VETVSTA Je.SVALOOKVM ILLUSTKItJ
FAMILIA l'LEXA HOXORIBVS VITA
I>EFUCTO QUI MESSAXAE COGNITA
OBSESSAE A TVRCI8 RHODI QVO
LATVRV8 OPEM NAVIGABAT DEDITIONK
NKAPOLIM REDIKNS CLIMACTERICO
AN. MDXXIII EXTINCTVS EST
MAXENTIL'.S JeSVALDVS FRATRI
AMANTI8.S. HENEQ. MER.
Ma anche per la scoltura, nella certosa di S. Martino nou l)i-
sogua cercare che l'arte del '600 o di quegli artisti che segnano
il passaggio dal '500 al '600, e lìuthe per la scultura queste esa-
me non ci sarà privo di insegnamenti d' ordine generale per la
storia dell'arte, oltre che assegnerà ad alcuni artisti certamen-
te, ad altri con molta verosimiglianza alcune delle opere loro.
Frattanto è da notare che sono rappresentati nella Certosa i nomi
insigni di Pietro e Lorenzo Bernini, di Michelangelo Naccherino,
principe degli scultori napoletaui nella seconda metà del '500 e
di Giuliano Fiuelli, uno fra gli scolari più forti del Bernini. Un
errore molto grave di Stanislao Fraschetti va sul>ito notato. Si
conserva nel museo di S. Martino , in un corridoio che mena
ora alla collezione delle arti applicate alle industrie, un magni-
fico gruppo rappresentante la Vergine col piccolo Gesù e S. Gio-
vanni. Esso è così evidentemente dell'arte di Pietro Bernini, chi-
lo stesso Fraschetti è costretto a dire: « certo, quel fare contorti)
e secco è proprio allo scultore fiorentino e si rivede a meravi-
glia in un lavoro suo posteriore, il gruppo di Enea ed Anchisc,
veramente condotto insieme col figliuolo». L'attrihuzione, dunquo.
cosi precisa a Pietro ed a Lorenzo Bernini trova un perfetti)
riscontro nella maniera di quell'artista che ha una caratterìsti( a
specialissima, quel tagliente modo di drappeggiare cosi che li-
pieghe paion di grossa seta e uua «Uirezza contorta che uoii è
del tvitto sgraziata. Ma , poi che un documeuto parla di una
Vergine lavorata per la certosa di S. Martino da uno scultore
a nome Antonio Perasco, il Fraschetti non esita ad attribuirgli
questo grupI)o e il ragionamento è questo : La maniera è dun-
que a meraviglia quella di Pietro Bernini , anzi di Pietro Ber-
nini aiutato dal figliuolo. « Ma nell' archivio del monastero di
S. Martino esiste un documento che rivela come uno scultore
a nome Antonio Perasco lavorasse a punto, nell' epoca in cui
Pietro era in Napoli , una Madonna di marmo pel monastero
medesimo. Ora, come non si può immaginare che in S. Martino
si dessero nel tempo stesso due allegazioni di un lavoro mede-
simo, e come d'altronde non si ha memoria di un'altra Vergine
di marmo nell' eremo napolitano , così si può stabilire che nel
documento accennato si parli esclusivamente dell' opera attri-
buita all'artista fiorentino». La premessa è errata; il dato di
fatto è errato; ed è, quindi, errato tutto il ragionamento. Dai
documenti risulta invece precisamente il contrario. Oltre quello
del Faraglia clie attribuisce una Vergine della Certosa al Pe-
rasco , un altro documento è noto in cui la vedova di Miche-
langelo Naccherino, Lelia Vitale, insieme con suo fratello Fran-
cesco vendono al monastero di S. Martino, oltre un Cristo di
marmo della resurrezione, un gruppo similmente di marmi che
fanno tre statue. L' identificazione con la Vergine , il piccolo
Gesù e il S. Giovanni è, per questo documento, chiarissima; ma
un altro ne ho io trovato tra le carte dei Monasteri soppressi
(Arch. di Stato, voi. 21.54) che toglie ogni dubbio, se potesse
osservare alcuno : « In detto apprezzo dell'anno 1864 », cosi si
dice nella bozza da me trovata, « si apprezza un gruppo di tre
figure per ducati 808 (fol. 151), quello visto et considerato da
noi », sono gli apprezzatori che parlano, « non è opera del Ca-
valiere. Et di più portano li P.dri una scrittura da chi l'hanno
comprata che si chiama Lelia Vitale », e vi si aggiunge che
anche il piedestallo è vecchio. Il gruppo proviene dunque dallo
studio del Naccherino e da casa Vitale , che fu di architetti e
di scultori.
E non ha nulla a vedere con la Madonna del Perasco , poi
che non è esatto che il monastero non abbia un' altra Vergine
col bambino e che di essa non si trovi traccia, essendo a vista
di tutti la bella Madouua col putto che adorna il centro d' un
dei lati del chiostro, quello di oriente. Ma quella Madonna uè
può essere del Naccherino, né del Vitale, né del Finelli che fu
imparentato ed essi. Nessuna meraviglia, invece, che nello sta-
dio del Vitale o del Naccherino che collaborò con Pietro Ber-
nini ad un'opera come quella della fontana di Piazza del Po-
polo si rinvenga un' altra opera dell' amico scultore, di cui ha
la cosi chiara impronta. È un po' contorta e la fattura è rigida
e tagliente; ma la grandiosità dell'insieme, l'espressione del bel
volto della Vergine e dei putti ne fanno una notevole opera de!
padre del grande scultore, che venne qui di buon'ora e vi ap-
prese quel fare onde così gran fortunji dovevagli venire in Roma.
Ma alcune altre opere ci richiamano ancora a questa famigli:i
di artisti. Il documento pubblicato dal Faraglia e da noi rife-
rito alla Ma<ìonna del Bernini fa parola, oltre che del gruppo
di tre stsitue, di « un Cristo di marmo della resurretione e due
figure abbuzzate di marmi », venduti con lo stesso atto ai Pa-
dri di S. Martino. Il Cristo risorto è del cornicione del chio-
stro, nel centro del lato di occidente. Ha il bel volto caratte-
ristico che il Naccherino diede alle sue rappresentazioni di Gesù;
leva in alto la mano dritta t^^ndendo il dito al cielo; ed il corpo
ne è puro e gentile, ben modellato e fine. Ma quali furono lo
altre «due figure abbuzzate di marmi?». Una è certament»-
quella del S. Giovanni Battista. E nel centro del lato meridio-
nale del chiostro e, sebbene non compiuta dallo scultore, mo-
stra tutto il suo fare, ed il volto così simile a quello di Gesù,
e quel trattamento dei capelli così caratteristico a tali sculture
del Naccherino. L' altra è forse il S. Martino, dal ricco manto
a grandi pieghe e dalla barba fluente. Poche opere lo scultore
fiorentino ha in Napoli ed altrove che valgano questo Gesù ri-
sorto della Certosa. Alunno del Giambologna , vissuto «juando
l'arte della scultura aveva «ini rappresentanti come Pietro Ber-
nini, egli ebbe, invece, un fare semplice, sincero, elegante, una
s(iuisita delicatezza di fattura, una ricercata purità di linee, uik
sentimento non profondo ma gentile. Merliano da Nola e Giro-
lamo Santacroce gli erano stati maestri anche più che Giambo-
logna o il secolo in cui visse ; ed egli fu, nella scultura , così
seicentista come Btanzioni nella pittura. Non ebbe del pittore
napoletano la profonda idenlifà «Iti vero : ma cercò con gusto
educato e line una sua via, come la Vergiue di Castroreale, il
Crocifisso di S. Carlo alPAreua, la Pietà uel cortile del Banco
e questo Gesù della Certosa mostrano con evidenza. Del Fiiielli,
uno scultore nato in Carrara ma vissuto gran parte della sua
vita in Napoli e venuto qui fanciullo presso suo zio Vitale , è
senza dubbio la statua rappresentante la Purità, in una nicchia
del coro.
Anche Giuliano Finelli visse nel seicento, anzi accanto a Ber-
nini, e fra i suoi cari discepoli. Ma il dolce artista, a Roma
come a Napoli, sentì il bisogno di esprimere forme semplici, e
contenne il suo spirito in un ideale di arte corretta, piena di
certa signorile dignità e distinzione. Questa Purità che leva gli
occhi in alto ed ha i capelli redimiti di fiori, e si avvolge nel
manto che la covre sino ai piedi con partito di pieghe solenne
e semplice come di scalpello romano, ne è una prova notevole
ed un'opera d'arte fra le più interessanti di quello scultore, che
ebbe madre, parenti, casa, scuola in Napoli e alla maniera del
Naccherino cercò un' ispirazione più conforme alla sua natura.
Il resto delle scaltrire, tranne l'altra del coro, attribuita a Pie-
tro Bernini e rappresentante l'Obbedienza, non valgono certo
gran cosa. Se ne salva pel settecento Giuseppe Sammartino
che non pare vi abbia altra opera se non quella dei putti che
sono nei medaglioni delle cappelle di S. Martino e dell'Assunta,
felicissimi per grazia d'insieme e delicata morbidezza di model-
lato. Tutte le altre di Lorenzo e Domenicantonio Vaccaro, del
De Cuccinis romano e del Battiglieri napoletano , sono medio-
crissime opere; ma stanno nella decorazione al loro posto senza
richiamar V attenzione e senza disturbare , che è , del resto, il
segreto di tutta quest'arte raccolta In S. Martino. La scultura
non vi prenda il sopravvento e non appaia la pittura o la co-
lorazione ricchissima dei marmi. Se l'attenzione vostra non fosse
richiamata da altri , voi non guardereste neppure qual vasto
tappeto a disegni così svariati e chiari che è il pavimento della
chiesa fatto di marmi contesti, tanto ne è modesta, uniforme,
calma P intonazione generale ; ne il lavoro della magnifica ba-
laustra. Ma poi l'occhio segue ogni particolare. Il marmo tem-
pestato di lapislazzuli e fasciato di alabastro si spiega come un
merletto di finissimo trapunto a formar un balaustra dell'aitar
maggiore ; i riquadri di verde antico , di gial letto , di marmi
— 28 —
dalle lento tinte or gravi or tenere cingono le cornici dove lince
e colori e disegni d' ornato sono della più singolare maestria ,
del gnsto piti sicnro e squisito ; gli altari mostrano i loro pa-
liotti a mosaici di chiare tinte sfumanti ingemmati di pietre
preziose, agate od ametiste; e la sapienza di un tale insiemi-
di decorazione e di arte riempie di sorpresa e di ammirazione
dopo, come, a prima vista, di una non disturbata meraviglia.
Tale è il '600 nella chiesa e nella certosa di S. Martino 8upr<i
NeapoUm.
APPENDICE I.
I LAVORI DI lUNNOVAZIONK DELLA CHIESA IXCOMI>fCIANO AVAN-
TI IL 1591. L'architetto è G. Antonio Ì)osio. Gli segur
G. Iacopo Conforto.
Protocollo di NOTAR AsiELLO KosAxovA, 1590-91-&2, p. 226.
Conveutio et proraissio patri? dou lustino de Urso per mous.
S.ti Martini.
Die septimo mensis lunii 4. e ind.is 1591 Neap. mastro Rayino
Bregantino , Felice de Felice et Fabritio de Guido de Carrara
magistri marmorari in solidam atque R. Padre don lusti-
uo de Urso de Neap. Promettono consignare dicto nionasterio
Sancti Martini tutte le marmore scranno nicessarie per la ec-
clesia di detto moiiasterio et quelle lavorare di loro lavoro
a sodisfatioue del molto R.o p.re Priore del detto moiiasterio et
del.... Gio. Antonio Dosio architetto in detto monasterio atque
si debiano assettare et ponere a spese di detto monasterio et
quanto prima si potranno finire non levando mani da detto la-
voro per nisHiiua causa et questo per prezzo convenuto: il scor-
niciato a ragione di carlini sette il palmo etc. etc. Et de più
ditti mastri declarano avere receputo da detto monastero in di-
verse partite insino a questo dì d.ti novecento cinquautaotto tari
quattro e gr. tre per polize etc... quali detti mastri in solidum
promettono di computarli al prezzo di detta opera de marmo
lavorato per loro promesso consignare ut s.a e che si abia a fare
— 30 —
bono a detti mastri tutto il lavoro di marmo per loro fatto nella
Biicrestia, cioè nel altare, li dui piedestalle con le base de mar-
mo stano sotto le colonne de studio a scalpello de marmo et si-
inilemente li doi altari fora la chiesa a l'atrio comp.so piedi-
stalli et ornamenti et così anco la manefattnra de sette porte
et due fenestre grande et un'altra piccola fatte nella cella del
dicto P. Priore de pietre de massa etc. e si pagano per conto
loro a Cesare Bascape milanese marmoraro d.i centosettantano-
Te per tante marmore vendute a detti mastri etc.
APPENDICE li.
I LAVORI DEL CHIOSTRO DAL 1623 AL 1631. CONTRATTO FRA
D. Petro Odorisio e Cosmo Fansago scultore k Nicola
Botto scarpellixo. Il disegno è stabilito da ambedii.
LE PARTI. L'architetto del monastero k G. Iacopo Con-
forto.
I.
Protocollo di woTAB Fkancksco Positano, 1623, p. HÀH
Couventio et promissio Inter Sacrum Monasterum S.ti Martini
et Cosmum Fansago et Nicolaum Botti die 6 Tbris 1632.
Die sexto m.s septembris 7.e ind.s 1523 tra D. Petro Odori-
sio Priore etc. etc. « Cosmo Fansago de Bergamo scultore et
Nicolao Botti de Carrara scarpellino sociis ad iir. Neapolim coiii-
morantibus ».
Imp.is detti Cosmo et Nicola et ciascuno di loro in solidum
ut 8. a s'obligano et promettono finire d.o claustro fra il ter. ne
di tré anni numerandi dalli quindici del presente mese di set-
tembre 1623 avanti conforme al disegno stabilito per esse parti:
qual disegno s'haverà da sottoscrivere dall'una et l'altra parte
fra otto giorni da boggi, et aflinchè «letta opera se continui sen-
za esser tralasciata do Cosmo promette ponete d.i duecento d<
suoi proprii dinari per compra di marmi nella prima barca clif
verrà carica et ([uelli lavorare et far lavorare in d. Claustro
et fatto che sarà il primo arco si bavera da misurare, et il <1
Monasterio si debba tenere in mano tanta manifattura quanto
— 31 —
ascenderà alla suraiua de d.ti dueceuto, et fatto detto primo ar-
«o il d. Monasterio pagherà a d.o Cosmo li detti d.i dueceuto
che lui bavera sborzato per compra di detti marmi. Ben vero,
d.o Mouasterio si tenera in mano tanta manifattura di d. p.mo
arco, che imiwrterà la aumma di d.i ducento , et così sempre
continuerà sin che sarà intieramente finito d.o Claustro di te-
nersi in mano d.o Monasterio la manifattura che imi)ortarà la
summa di detti d.i duecento.
2. Detti Cosmo et Nicola et ciascuno di loro in solidum ut
s.a s' obligano et promettono di dare al d.o Mouasterio tutti li
marmi che saranno necessari per 1' opera di d. Claustro sopra
il Molo di questa fidelissima città di Napoli condotti a spese
d'essi etc. etc. etc.
3. Che d.o Mouasterio sia obligato di pagare a d.o Cosmo
il prezzo delli marmi che farà venire per l'opera di d.o Clau-
stro, quali consignerà sopra il molo e di fare condurre a sue
spese detti marmi dal d.o molo di Napoli insino dentro il cor-
tiglio di d.o Monasterio dove si haveranno da lavorare.
4. Che tutti li marmi lavorati et corniciati cosi dritti come
storti s' abbiano da pagare a d.o Cosmo a grana trenta il pal-
mo, inclusa la secatura in d.a misura etc.
5. Che il Cornicione et Cimasa di sopra s'habbia da misura-
re primo il scorniciato quale s'abbia da pagare a rag:ue di car-
l.ni tre il palmo et il piano del Cornicione che non sarà scor-
niciato si habbia da pagare a grana ventidue e mezzo il palmo.
6. Che le colonne che s'haveranno da ponere in d.o Claustro
debbono essere di palmi undici e mezzo di lunghezza et la gros-
sezza di palmo uno et oncie nove et si debbiano misurare alli
due terzi nella parte di sopra et quelle colonne che si trova-
ranno de una oncia e mezza di più d' uu palmo et nove oncie
se li faccia buono a detto Cosmo.
7. Che detti Cosmo et Nicola, et ciascuno di loro in solidum
ut s.a siano obligati come promettono fare l' archi di quattro
pezzi con la sua cartellina in mezzo et tutti detti quattro pezzi
debbiano essere d'una medisma misura; oltre d.a cartellina.
8. Che detti Cosmo et Nicola et ciascuno di loro in solidum
ut s.a siano obbligati come iiromettono far venire uu pezzo di
marmo sano quatro, dal quale si possano cavare tre pezzi torti
quali haveranno da servire per gli archetti sopradetti etc. etc.
— S2 —
y. Che (letti Cosmo et Nicolsi et ciascuno di loro in solidmn
ut 8. a siano obligati fare tutto d'un pezzo quello che va so])ra
il Capitello domandato il trino, da «[uale si piglia la volta ih-
due <trchi.
Segnano patti per In buona CHecitzionc non importanti.
14. Che il d.o Monasterio sia obligato ad ogni richiesta di
detti Cosmo et Nicola darli calce, ferri et fune <iuali haveran-
no da servire per l'opera di detto Claustro solamente.
Altri capi pei ferri , i pagamenti agli operai, hi coniinnitò del-
l'opera.
19. Che mancando d.o Cosma et Nicola di continuare il la-
voro di d.o Claustro et quello perfectionare per il d.o tempo di
tre anni nel modo come di s.a. In tal caso sia lecito al Mona-
sterio seuz' altra richiesta pigliare altri maestri per far tinire
d.a opera a tutti danni spese et interessi di detti Cosmo et Ni-
cola et di ciascuno di loro in solido, delli quali danni, spese et
interessi siano tenuti come promettono starne alla semplice pa-
rola delli R.di P.ri di d.o Monasterio — senz'altra prova etc.
20. Di pili detti R.di P.dri, Cosmo et Nicola dichiarano che
non ostante esso Nicola in solidnm con d.o Cosmo si sia obli-
gato a benef.o di d.o Sacro Mon.rio fare il sodetto Claustro nel
modo ut s.a nulla di meno il capo della sudetta opera è il d.o
Cosmo.
Sottoscrivono il priore , il vicario e i monaci « in pectore man
religioso ». Cosmas et Nicolaas, tactis scripturis, unde etc.
Index Erancisco Vitaliano de Reapoli regio a<l contractos, lie-
lisario Corenzio, Roderico Miranda, hispano. Iacinto de Angelo.
Clemente Basile et Gaspare Tornei lucchese.
II.
Monasteri soppressi, 2154
1. J (Il 8 di gennaio 16 2H.
Al Sig.r Cav. Cosimo Fanzago nostro partitario delli lavori di
marmi per servizio del Clausiro del nostro Monasterio et per lui
a M.ro Andrea Lazzaro suo complimentario.
2. A Kì di Xhre 1625.
Il Sig.r Cosimo Fanzago e Nicola Botti hanno fatto un rea»-
— 33 —
sunto (li tutto il lavoro e veudita de niaiuii con misura fatta
dal I. Gio. Giacomo di Conforto archUetto di S.to Martino a
(inel tempo con li prezzi fatti dal d.o architetto come ai>pare nel
libro del d.o Procu.re etc.
APPENDICE III.
Paktita saldata coi. cav. Fanza<;«) il lt521 a 28 makzo k
ISTRUMENTO FRA IL MONASTERO DI S. MaKTIXO K DETTO t'A-
VALIERK dell' ANNO 1656.
Partita saldata il 1651 a 28 marzo, venerdì.
Al Monastero di S. Martino seicento trenta tré Vg e per esso
con polizza di D. Macario Monno Priore di d.o Mouast.o e per
esso al cav.r Cosmo Fanzago à compim.to de d.ti tredici milia
seicento, e tre, t.i tre, attiso l'altri d.ti 13403.3 l'have ricevuti
in più volte di contanti e per tutto li 20 di febraro pass.to 1631
quali d.ti 13603.3 se li pagano, cioè d.ti 6664.2.10 per la fat-
tura del lavoro , e ponitura in opera del suo nuovo Claustro,
misurato di esperti eletti da tutte due le parti. L'opere fatte,
e misura alla ragg.e convenuta, e stabilita nell' Instr.o se ne
stipulò l'anni iiassati, cioè il lavoro scorniciato importante pal-
mi 21.128 e onze quattro a rag.e di gr. 30 il palmo, et il La-
voro piano solerà il cornicione importante palmi 1449 et onze 10
à grana 22 V2 *1 palmo, d.ti 240 per fattura delli riscontri in-
tagliati in contro le colonne , che sono n. 60 a d.ti 4 l'una =
■56.2, per le borutte picciole intagliate nelli posamenti dell'Arco
di dentro e di fuori, che sono n.o 1881 a carili 3 1' una = 270
per le menzole intagliate nelli serragli dell' archi di n.o 60 a
rag.e d.ti 4.2.10 l'una, = d.ti 252, per li fiori di pardiglio com-
messi nelli piedi dell' archi sopra li capitelli, e l' altri sopra li
serragli dell'archi che sono n.o 120 à car.ni 21 l'uno, d.ti 56
per le borghie commesse nel fregio di pardiglio n.o 56 a car.ni
10 l'una. d.ti 128 , per li vasi sopra il cornicione n. 32 a d.ti
4 l'una. d.ti 100 per le due basi o jiosamenti l'uno sotto la sta-
tua grande di n.ro sig.re resuscitato e l'altro sotto la statua
della Madonna Santiss.a. d.ti 240, per l'altri 6 posamenti delle
sei altre statue poste tutte sopra il cornicione del d.o Claustro
— 34 —
a d.ti 40 l'uno, d.ti 20(0) , per otto cautara con le pietre per-
tusate poste sopra l' astreco del d.o Claustro per dove va l'ac-
qua alla Cisterna, d.i 3000, per le sette porte grande fatte Del-
l' angoli del d.o Claustro senza le mezze statue , che verranno
nelli nicchi, d.ti 16, per li 4 strafuri uelli portilli della Cisterna
nuova, d.ti 40, per due fonti di acqua santa di marmo pardi-
glio poste nello cap.lo delli Monaci, d.ti 24, per la fonte di i>ar-
diglio fatta nel Refettorio, d.ti 200, per li 4 vasi con lo zoccole
l>08ti sopra li frontispìtij delle due cappelle vicino l'altare ma-
g.re, e di dui cartilloni con le croci in mezzo di d.i front isjtitij
e cartille vicino alli Cai'tilloni tutti commessi, d.ti 35, per ba-
vere ritagliate le jiunte dell' Altre 7 poste nelli pavimenti del
Cap.lo e Colloquio e aggiustatile, e ritoccatile iu opra, d.ti 100,
per fattura di diversi residij fatti per casa apprezzati per d.ti
123.2.10 e pagatine solam.e s. d.ti 100. d.ti 308.4.5, pei diver-
si lavori scorniciati fatti per casa , inclusivo la porta grande
quando si sale al Colloquio, e le finestre con le Cancellate vi-
cino la porta del P. Priore misurata pel palmi 617 ed once 8l'
à car.ni cinque il i)almo. d.ti 77.3.2, per fattura di diversi la-
vori piani fatti jier Casa misurati per palmi 334, et ouze 82 a
gr. 22 il palmo, d.ti 68.1.7 t., per tutte le liste di pardiglio
fatte nel pavimento del Cap.lo, e Colloquio, et in altre parti
misurate pel palmi 147 et ouze sei à car.ni 4 '/^ il palmo, d.ti
83.2.16 , per tutto il lavoro scorniciato fatto et posto iu oiwra
nelle due cappelle vicino l'Altare niag.re e che sono palmi 12^
a car.ni 6 il palmo, d.ti 2t0.2 per fattura delli 16 portille po-
ste e da ponerse in ojìcra nelle due cappelle vicino 1' Altari-
mag.re e nelle due altre iu mezzo la Chiesa misurate per palmi
416 e car.ni 62 il palmo, d.ti 446.3, per tutti li lavori de qua-
dri de miaco posti e da ponersi iu quattro cappelle , cioè due
in mezzo la Chiesa, misurata per palmi 406 h car.ni 11 il i>al-
mo d.ti 92, i)er quattro boifettini senza li piedi, per d.e due
cappelle vicino l'Altare mag.re così apprezzate, d.ti 15, per dui
risaldi fatti sopra li membretti di d.e due cappelle, che manca-
vano, d.ti 8, per 16 cartelline intagliate, che mancavano uelli
lati delli quadroni di mischi di d.e duo Cappelle finite , e d.ti
800 jHjr tré statue fatte intiere e poste sop.a il cornicione del
Claustro, cioè S. Bruno, 8. Martino, e 8. Pietro, e tré altre fi-
nite, eli' erano al)bo/zatf . ciot' N.<> ^•■j'.r" resiiscitnfo , !^. Gio.
— 35 —
Batt.a e S. Paolo, et un'altra di S. Lucia, che l'iiave iiolita, e
fattocc uua mano, come il tutto ap^iare dell'apprezzo, e misura
fatta per com.ni esperti moderata in alcuno cose , et altro le-
vatole in tutto di consenso di d.o Cav.r Cosmo, restando intie-
ram.e sodisfatto di quanto potisse pretendere per li lavori men-
tionati in d.a iioliza , et altri non nominati fatto sino à 2 del
p.nte , eccetto 1' opere del Cimiterio , pavim.to del Claustro, e
quella i)arte del lavoro fatto nelle due Cappelle di mezzo della
Chiesa non nominato in d.a polizza e per esso h Giusepi^e Moz-
zillo per altrettanti seti 333.3.
Noi Governatori del Banco di S. lacovo e Vittoria facciamo
fede etc.
La copia è del 28 di settemire 1655.
Dopo del qual tempo il d.o Cav.r Cosmo ha fatto similm. e per
eervitio di d.o Monasterio l'infra altre opere, e lavori, cioè conf.e
hoggi si ritrova, il lavoro della nave della Chiesa, conf.e al p.nte
si ritrova, la cappella di S. Bruno, il pavim.to delle camere del
P. Visit.re con finestre e con porte di pietre di massa , il pa-
vim.to delle 4.tro navi del nuovo Claustro, il pavimento della
Cai)pella di S. Martino, il lavamano del Choro de frati, l'Arco
della Sacristia, la porta del Capitolo, la porta della Maddalena,
la grada dell'Aitar Mag.re del Choro, la porta di marmo del P.
Vis. re, che va alla parte dì fuori, il nicchio del Choro, il pa-
vim.to del tisoro, il pavim.to del Choro, li sei piedi delli tavo-
lini, le spallare dell'atrio della Chiesa , il cartillone del Pozzo
delta porta di mezzo, il pavimento sopra la grada del Capitolo,
li lavori fatti nella Chiesa di fuora delle Donne , cento venti
rose fatte da d.o Cav.r Cosimo , j)arte di esse jjoste nel nuovo
pavim.to della Chiesa, le cinque statue sopra le porte nel nuovo
Claustro, quali opere e lavori come di sopra fatti sono stati tra
esse parti valutati d.ti quarantanno milla e cinquanta quattro ,
come appare dalla lista firmata di propria mano di d.o P.re Priore
e Cv.r Cosimo, quale si unisce originalmente nel p.nte contratto
ed è del tenor sequente v.l.
Segue la nota, poi la nota dei diversi pagamenti pei' 48,234,415 1
la differenza si computa a conto del Fansago.
Si dichiara di piìi che oltre li sud. ti D.ti 42,234 t.ri J,15 di-
scritti nell'inserto bilancio d.o Cav.r Cosmo ricevi in tempo della
pr.ta fabrica del d.o K.mo P.re Vis.re D. Andrea Cancelliero
— ;>(» —
«l.ti settecento in conto de quali esso Cav.r Cosmo consignò a
»l.o Keal Monast.o due giarre di tìori di ricami, uno «piadro della
uegation di Pietro di mano de Caravaggio, quale sta lioggi po-
sto sopra la porta della Sacristia, o dui altri quadri di mano del
Ri vera, quali due quadri del Rivera si restituirono ad esso Cav.r
Cosmo, di modo che d.o Real Monast.o per saldo di dtti sette-
cento restu creditore di d.o Cav.r Cosmo in d.ti quattrocento
così d'accordo fra esse parti.
Di piìi d.o Cav.r Cosmo oltre la pr.ta quantità ha similm.e
ricevuto dal d.o Real Monasterio altri d.ti 150 per lo banco del
Spirito Santo in conto di d.ti lavori, quale somma etc. etc.
In oltre si dichiara che d.o Cav.r Cosmo ha ricevuto dal d.o
Reat Monast.o libre 36 di lapis lazuli quali ha da restituire ò
nel med.o lapis lazoli à lui consignato, ò vero psigarli il prezzo
à quella media rag.e che d.o Mon.io 1' ho comprato , essendosi
così esso Cav.r Cosmo obligato, come per sua ricevuta appare.
e come che nel sud.o saldo fatto dell' anno 1631 fra l'altro vi
fu incluso, e rimase à carico di d.o Cav.r Cosmo di far le por-
tine delle Cappelle della Chiesa di Marmi scorniciati , conf.e
«luelli che sono nelle Cappelle di S. Martino, et della Madonna,
come appare nella praeinserta partita, perciò si dichiara che del
jtrezzo di d.e p(»rtille d.o Cav.r Cosmo ne resta debitore al d.o
Monast.o, e cosi anco in tutie quelle altre opere incluse in d.a
jiartita quali non si trovassero sin hoggi perfettionate , ò pure
«■ssendono fatte fossero state pagate dal d.o Monast.o dopo d.
saldo dell'anno 16.51.
Si dichiara ancora che quando saranno finite le statue di 8.
Geronimo e di S. Gio. Batta , havendo esso Cav.r Cosmo l'in-
combenza di ritoccarli dovrà conseguire ]>er l'intiero jirezzo di
d.o lavoro d.ti 300.
Similm.te si dichiara clic d.o Cav.r Cosmo resta creditore di
d.o Real Monaster.o in d.ti centododici e t.ri 3 per complini.ti
delli stucchi della Cappelpi di S. Gennaro.
^^M-(^(z■^
Volumetti pubblicati
H, 1. F. DE S^NCTIS- Un Viaggio elettoralet
parte 1,
» 2. F. DE S/INCTIS - Un Viaggio elettorale»
parte Jl.
» 3. li. SETTEMBRINI - Una protesta'del po-
polo del regno delle Due Sicilie-
4. B. CROCE - Leggende napoletane, serie I.
» 5. V. IMBRllflNI - Mastr' Impicca, fiaba,
> 6. V. SPlWZZOIift-li'iArte e il Seicento
in Napoli (alla Certosa di S. Martino).
Prossimo numero
B. CiflPi^SSO - La Casa di Masaniello.
J)irigersì Xi'bren'a
VITO /WORANO
NAPOLI -Via Roma 10