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Full text of "La tirannide borghese"

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PIETRO  ELLERO 


BOLOUNA 

TIPOGRAFIA.   FAVA    E  UAIIAGNAM 

1879 


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univer:ity 

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PEOPRIBTÌ  UCTTKaABIA 


QUESTO  VOLUME 


RUVIDO  ED  ASPRO 


DEDICO  A  TE 


ANTONIA  ELLERO  BRASCUGLIA 


RACCOMANDANDOLO 


ALLA  TUA  GENTILEZZA  DI  DONNA 


E  INDULGENZA  DI  SORELLA 


INDIZI  DELLA  BORGHESIA 


I.  Introdusione. 

Un  modo  assai  facile  di  perdere  le  altrui  simpatie  è  soventi 
fìate  quello,  con  cui  malavvedutamente  si  studia  di  accattarle:  il 
parlare  di  sé  medesimi.  Non  ignorando  io  il  qual  pericolo,  con- 
viene, che  la  vanità  sia  rimasta  vinta  da  più  forte  passione,  se 
tuttavia  delibero  di  affrontarlo.  Perchè,  a  dir  vero,  le  cose  mie 
sono  cotanto  umili  e  oscure,  da  non  mi  occorrere  molta  accor- 
tezza per  capire,  come  a  ninno  piaccia  di  saperle.  Pur  d'altra 
parte  la  efficacia  d' un  libro  è  maggiore  o  itiigliore ,  quando  la 
figura  dell'autore  traspare  dalle  pagine.  Il  lettore,  veggendosi 
innanzi ,  non  un  semplice  volume  di  carta ,  ma  un  essere  vivente, 
nel  segreto  de'  cui  pensieri  è  posto ,  può  cribrargli  e  ponderargli 
per  bene.  E  tanto  più  diviene  utile  e  direi  quasi  necessario  il  con- 
cedergli tale  intimità ,  a  costo  di  divenir  segno  a'  suoi  strali ,  quanto 
gli  si  debba  manifestare  idee  molto  lontane,  e  anzi  del  tutto  dal 
comune  opinare  aliene.  In  tal  caso  è  troppo  giusto,  eh'  egli ,  aven- 
done uno  sfavorevole  concetto,  desideri  conoscere  l' essere  strano, 
che  osa  pensare  diversamente  dalla  comune,  e  disfldare  con  inau- 
dita temerità  l' universo.  Laonde  io  mi  sono  avventurato  ad  espor- 
re la  mia  persona;  e  qui  per  sino  in  sul  principiare,  svelando 
la  eausa,  che  mi  move  à  scrivere.  A  proposito  della  quale  pre- 
metto, com' io  pei  recenti  avvenimenti,  che  riunirono  l'Italia, 
e  la  vendicarono  dal  giogo  straniero  e  dalle  infami  signorie 


-6  - 

interne,  ho  al  pari  di  ogn' altro  onesto  cittadino  esultato.  Nondi- 
meno questo  giubilo  contristavano  i  poco  felici  auspìcii,  con  cui 
il  sospiro  de'  secoli  avveravasi;  e  le  opere,  che  tosto  seguirono, 
anche  meno  felici.  Fin  che  i  danni  mi  parvero  sopportabili,  e 
possibile  la  loro  emenda,  fui  però  nel  rammaricarmi  trepidante 
e  sommesso,  avvegnaché  assiduo  e  perseverante.  Sperava,  noi 
correggessimo  colle  virtù  i  vizi  di  un  riscatto,  in  gran  parte  de- 
bito alla  fortuna;  e  col  senno  quelli,  che  naturalmente  accompa- 
gnano ogni  mutazione  di  stato.  Ma,  giunti  que' danni  al  colmo, 
e  perduta  ogni  speranza  nel  ravvedimento  di  coloro,  che  gli  com- 
mettevano, non  ebbe  più  conforti  il  mio  dolore.  Di  maniera  che, 
sfiduciato,  e  convinto,  co' principii  e  co' sistemi  vigenti  non  si 
poter  far  niente,  tranne  il  male;  primieramente  dimisi  il  carico 
di  deputato  al  parlamento  della  nazione,  ed  altri  cotali  uflici, 
che  mi  avrebbero  reso  complice  di  errori  e  strumento  di  colpe, 
cui  detestava.  E  poscia  mi  sono  affatto  da  opi  sorta  di  vita  pub- 
blica condannato  ad  una  volontaria  interdizione;  e  quasi  postomi 
in  contumacia  e  al  bando  di  una  generazione,  con  cui  sentiva 
non  palpitare  più  il  mio  cuore. 


II.  SpettMolo  da'  mali  d' Italia. 

Essendo  obbligo  del  cittadino  servir  la  patria  sin  nelle  più 
ingrate  guise ,  cui  la  tristizia  de'  tempi  consente ,  non  nego ,  la 
mia  risoluzione  essere  stata  assai  grave.  Altri  anzi  potrebbe,  senza 
troppo  perfidiare,  attribuiine  l'origine  alla  misantropia,  al  tedio, 
alla  inettitudine  comprovata,  all'  ambizione  delusa ,  e  ad  altri  co- 
tali  sentimenti,  che  non  mi  farebbero  guari  onore.  Ma  io  vera- 
mente, consultando  la  mia  coscienza,  me  ne  reputo  scevro;  seb- 
bene disposto  a  concedere,  che  qualche  passione  non  disonore- 
vole stenda  sulla  serenità  del  giudizio  un  tenue  velo.  Può  darsi 
cioè,  ch'io  pure  condivida  quello  inganno,  cui  soffrono  di  solito 
i  mortali,  non  appena  raggiunta  una  felicità  lungamente  attesa, 
di  non  trovarla  in  fatto  tale,  quale  se  l'erano  dianzi  col  pensiero 
figurala.  E  che,  avendo  io  della  patria  adorato  un  ideale,  che 
non  poteva  mai  essere  reso  reale  ;  nemmanco  s' ella  si  fosse  riz- 
zata dal  sepolcro  bella  e  fulgente  come  un'  iddia ,  ne  sarei  stato 
pago.  Ma,  pur  tenendo  di  ciò  conto,  veggomi  innanzi  cotanta 
copia  e  cotanto  orrore  di  guai,  che  ne  rimango  atterrito  e  sgo- 


—  7  — 

mento.  Or,  se  non  si  trattasse,  che  de'  comuni  vizi,  che  procedono 
dagr istituti  e  dalle  persone,  e  sopra  tutto  in  un  nuovo  stabili- 
mento politico,  non  vi  sarebbe  da  meravigliare.  Il  peggio  è,  ch'es- 
si hanno  invaso  fmo  alle  più  intime  latebre  la  nostra  società,  e 
minacciano  di  darla  tutta  in  preda  allo  sfacelo.  E  die  di  giunta 
r  ItaUa  non  è  solamente  misera  e  afflitta  ;  ma  cosi  inferiore  a  sé 
medesima,  e  diversa  da  quella,  che  doveva  essere,  da  non  sem- 
brare più  dessa.  Di  conseguenza  il  mio  partito  fu  preso:  abban- 
donare collo  spirito  quesf  Italia  falsa  e  guasta ,  vituperata  da'  fac- 
cendieri e  assassinata  da' pubblicani ,  per  serbarmi  fedele  all'Italia 
legittima  e  santa ,  vaticinata  da'  profeti  e  benedetta  da'  martiri. 


lU.  IHBsimiilaiione  degnali  d'Italia. 

Ciò  non  ostante  mi  si  può  chiedere:  posto  che  si  sia  caduti 
io  cosi  immensa  calamità,  oh  com'è,  che  ninno  se  ne  accorge? 
—  Primieramente,  rispondo  io,  se  si  volesse  interrogare  l'univer- 
sale, vedrebbesi ,  non  già  pochi  uomini  scontenti  e  abbiosciati ,  ma 
tutta  la  nazione  travagliare  e  struggersi.  Che,  s'ella  non  fa  udire 
i  propri  rammarichi  e  lai,  la  ragione  è,  che  non  sa  ancora  espri- 
mergli altrimenti ,  se  non  col  mesto  silenzio  e  col  pauroso  stupo- 
re. E,  s'anco  piagnesse  forte,  una  turba  di  gridatori,  ligi  a  clii 
la  strazia ,  con  tale  strepito  ci  assorda ,  che  la  non  potrebb'  es- 
sere udita.  Ma  poi  non  è  arduo  a  comprendere,  quando  i  pati- 
menti di  un  popolo  sieno  estremi,  non  vi  sia  più  alcuno,  che 
tenti  crucciarsene,  e  né  quasi  in  grado  di  avvertirgli.  Di  cosa  in 
cosa  in  cosa  ogni  flagello  si  sopporta,  prima  creduto  impossibile; 
abituando  visi  grado  a  grado,  e  perdendo  sino  il  risentimento  e 
il  decoro.  Allora  chi  ardisce  dire,  che  si  sta  malamente,  é  svil- 
laneggiato da'  tribolati ,  a  cui  turba  il  sonno ,  non  meno  che  da' 
gaudenti,  di  cui  amareggia  il  trionfo.  E  tutti  costoro  a  gara  gli 
si  a\'ventano  contro,  e  lo  tacciano  di  pessimismo:  dandosi  cotal 
nome  ora  al  giusto  sdegno,  che  suscita  il  male,  nello  indomato 
anelito  del  bene.  Che  importa  dunque,  se  gli  elTetti  più  enormi 
e  gr  indizi  più  evidenti  d' una  perversione  e  dissoluzione  morale, 
che  non  ha  più  freno  o  ritegno,  si  manifestino  cotidianamente ? 
Se  i  migliori,  nauseati  e  avviliti,  si  ritraggano  dalla  palestra 
d¥ile,  e  un  languore  e  un'ignavia,  cui  non  si  sa  come  descri- 
voe,  s' impossesàno  di  tutti  gli  animi.  Se  vecchi  agitatori  ed 


-8~ 

emeriti  demagoghi,  giunti  ad  avere  lo  scettro  abbandonato  in 
sorte,  d' un  baleno  si  tramutino  in  rigidi  conservadori  e  in  pro- 
vetti cortigiani?  Se  di  cinquecentosettantrè  teste  umane  si  ban- 
disca il  prezzo  e  Y  incanto;  e  si  celebri  il  trofeo  e  V  omaggio 
delle  sozze  armi  d' un  masnadiero  ucciso,  come  delle  opime  spo- 
glie d' un  re  vinto?  Se  nel  lasso  di  pochi  mesi  due  tra'  più  fer- 
mi reggitori  dello  stato  cadano  a  un  soiBo  d' imputazioni  ingiu- 
riose ;  alle  quali  io  non  credo,  ma  credettero  coloro,  che  gli  fecer 
cadere?  Se  due  illustri  municipio,  a  uno  de'  quaU  può  tutto  il 
genere  umano  invidiar  la  rinomanza,  immemori  di  tanti  secoli 
di  nobiltà,  stieno  per  fallire  spensieratamente,  o  sieno  già  quasi 
falliti  ?  Se  poeti  laureati  stampino  rime  da  bordello,  e  compilatori 
di  grido  prosa,  il  cui  intento  è  di  glorificare  il  vizio,  vilipendere 
la  virtù  e  dileggiar  V  innocenza  ?...  Mentre  tutto  questo  accade , 
0  si  racconta  almeno,  e  sintomi  cosi  spaventosi  di  depravazione 
e  degradazione  generale  si  scorgono,  non  una  parola  di  sorpresa 
0  di  diniego.  L' ulcera  è  resa  così  insensibile ,  che ,  s' anco  di- 
mani una  turba  di  briganti  o  di  camorristi  sforzasse  qualche  città, 
0  un  dotto  sostenesse  lecito  Y  omicidio,  e  giustificato  dalla  lotta 
per  resistenza,  parrebbe  la  cosa  più  semplice  e  naturale  del 
mondo.  Vero  è,  che  gli  spiriti  eletti  dovrebbero  dalla  indifferenza 
comune  andare  immuni;  e  in  particolare  gli  autori  della  nostra 
rendenzione  protestare  :  non  esser  questa  Y  Italia ,  che  volevano. 
Ma,  per  non  dire,  che  già  molti  sono  o  spenti  o  stanchi;  ^li 
altri,  paghi  di  aver  visto  riunita  e  vendicata  la  patria,  e  per 
sopra  più  ricerca  e  riverita  al  di  fuori,  chiudono  ora  gli  ocelli, 
quasi  temendo  il  dileguarsi  d'un  dolce  sogno.  Né  pensano,  che 
conveniva  inoltre  renderla  grande  e  gloriosa,  e  degna  di  sé  me- 
desima; né  che  la  corruttela  e  la  viltà  contaminano  già,  quant' ei 
fecero  e  patirono  colla  probità  e  col  valore.  E  così  eghno  per 
ansiosa  tenerezza,  e  i  più  pel  quieto  vivere,  imitano  Pomponio, 
acconciandosi  a  un  andazzo  di  cose,  che  non  va  loro  a  genio; 
ma  contro  cui  non  reputano  più  possibile  alcim  rime<tio. 


IV.  lM8Bt9  dell' tptra  premte. 

Tito  Pomponio  Attico,  cavalier  romano,  fu  a'  giorni  suoi  uomo 
molto  famoso ,  e  che  a'  nostri  meriterebbe  di  esserlo  mille  volte 
più.  Navigando,  calmo  e  abile  piloto,  fra  le  più  terribili  procelle 


-  9- 

delh  saa  patria  e  del  mondo,  destreggiossi  in  modo  fra  le  sirti 
delle  dittature  perpetue,  delle  proscrizioni  «  delie  guerre  civili  e 
(inalroente  della  pace  d'Augusto,  che  tutti  F ebbero  ugualmente 
accetto.  Non  disgustatosi  né  con  Mario,  né  col  costui  formidato 
avversario,  né  colle  rispettive  fazioni,  fu  nel  medesimo  tempo 
affine  a  Sulpizio,  e  vezzeggiato  da  Siila.  Prestò  danari  a  Cicero- 
ne, al  cui  fratello  impalmò  la  propria  sorella;  di  cui  fìi  amico, 
ne'  cui  dialoj^  e  nelle  cui  epistole  onorato,  e  tra  cui  ed  Ortensio  -^ 
come  conciliatore  ed  arbitro  stette.  Non  parteggiando  per  Pom- 
peo, ma  soccorrendo  i  pompeiani  con  le  sue  robe  di  nascoso,  si 
fé'  grato  a  Cesare  con  la  neutralità  palese.  Commensale  e  ban- 
chiere di  Bruto,  protesse  del  pari  e  sovvenne  Antonio,  alla  cui 
moglie  Fulvia  concesse  sicurtà  e  credenza.  Talmente  che,  quando 
gU  antoniani  prevalsero,  fu  rispettato  e  riverito:  e  potè  appresso 
imparentarsi  con  Agrippa,  addomesticarsi  con  Ottavio  e  divenir 
quasi  nonno  di  Tiberio.  Giunse  così  placidamente  a'  settantasette 
anni,  occupandosi  di  greco  e  di  genealogia  tra  que'  funerali  della 
vita  antica,  ragranellando  e  ponendo  a  buon  frutto  i  dodici  mì- 
Uooi  di  sesterzi  avuti  in  varie  eredità,  e  campando  con  tremila 
assi  il  mese.  Finalmente ,  trovandosi  entro  il  corpo  un  nemico  in- 
sidioso e  mortale,  contro  cui  per  ventura  non  valeano  più  blan- 
dizie e  sotterfugi  (cioè  un  morbo  occulto  e  incurabile),  pensò 
ahneno  fargli  frodo.  E,  chiamati  intomo  al  suo  letto  i  congiunti, 
volle  il  loro  consenso,  per  non  aver  brigbe;  e  si  lasciò  morire 
d*  inedia ,  forse  per  risparmiare  le  spese  del  veleno ,  o  per  non 
essere  sorpreso  col  coltello  da'  triumviri  capitali.  Prototipo  vera- 
mente sublime  di  tutt'  i  politici  e  letterati  cauti ,  e  di  tutti  gU 
uomini  contenti  della  terra,  benché  romanamente  meno  abietto 
de' moderni;  e  capostipite  amplissimo  41  tutt'i  Pomponii,  che 
poi  seguirono  e  che  fanno  oggi  fortuna  !  Ma ,  quantunque  ei  fosse 
per  tali  meriti  posto  da  Cornelio  Nipote  o  da  qualche  amanuense 
nelle  Vite  degli  eccellenti  comandanti  (XXV),  e  la  sua  discen- 
denza goda  ognora  il  vanto  di  ottima;  io  non  conosco,  dopo  i 
commettitori  del  male,  schiatta  più  funesta  di  costoro,  che  gli 
rilasciano  regolare  quitanza.  E  per  questo,  in  onta  alY  ottimismo 
di  tanta  brava  gente,  io  quapto  a  me,  preferisco  di  esser  detto 
uggioso  e  bisbetico;  ma  di  proseguire  la  lotta  col  male.  Anzi, 
ripigliando  la  mia  confessione,  poiché  io  aveva  preso  il  partito 
leste  accennato,  il  proseguirla  diveniva  per  me  obbligo  impre- 
leribile.  Perocché  appunto,  correndo  obbligo  al  cittadino  di  ser- 


—  10  — 

vire  la  patria  in  tutf  i  modi,  se  io  non  credeva  di  potere  co'  pub- 
blio uffici,  doveva  almeno  con  qualche  spontaneo  ministero  od 
olocausto*  consacrarmele  o  sacrificarmele.  L' avrei  altrimenti  ab- 
bandonata, perchè  infelice;  e,  senz'essere  Achille,  mi  sarei  ap- 
partato presso  le  navi  de'  mirmidoni ,  pur  di  mantenere  il  mio 
broncio  e  di  sfogare  il  mio  dispetto.  Se  per  tanto  al  di  fuori  de' 
principii  e  de'  sistemi  vigenti ,  fossevi  stata  alcuna  forza ,  su  cui 
poter  contai*e,  io  avrei  dovuto  subito  darmi  all'azione.  Ma,  per 
maggiore  sciagura  mancando  tln  questa,  e  trovandomi  nel  mio 
modo  di  pensare  o  di  sentire  isolato,  non  mi  restava  altro  mezzo 
di  adempiere  a  queir  obbligo,  tranne  l' apostolato  o  il  supplizio 
della  verità.  Ed  ecco  come  io  mi  sono  fatto  scrittore;  ed  ecco 
8<q[Nra  tutto  l'origine  di  queste  pagine,  che  a  voi,  cari  concitta- 
dini, presento. 


V.  6iii8tifloasione  dell'  opera  presente.       ^ 

Premesse  le  quali  avvertenze,  io  tuttavia  ho  bisogno  dì  giu- 
stificarmi presso  coloro,  che  reputassero  vana  la  mia  impresa,  o 
me  inadatto  a  condurla,  o  sprovveduto  di  ragioni  per  assumerla. 
Certamente  io  so,  essere  la  fortuna  de'  grossi  volumi  assai  dub- 
bia a  questi  tempi;  se  per  fin  quella  di  un  breve  articolo,  cui 
non  assecondi  il  capriccio  universale  e  non  raccomandi  il  plauso 
deUe  insigni  combriccole,  è  incerta,  l^e  alcun  poco  |K)nno  gio- 
vare, non  foss'  altro  scuotendo  i  dormenti  o  sferzando  gF  iniqui, 
e  suscitando  qualche  lampo  d'  amore  o  d' ira.  A  peggio  andare 
varrebbero  come  documento  a'  posteri,  o  come  testamento  d' un'  ani- 
ma sconsolata,  che  si  rifugia  dal  mondo  nel  sacrario  delle  pro- 
prie adorazioni.  Ma  inoltre,  fin  che  si  abbia  la  più  languida  lu- 
singa di  fare  opera  buona,  non  dee  ritrarre  dal  cimento  il  timo- 
re della  sua  inutilità.  Che  spesso  casi  ìmpreveduli,  e  forse  Y  ar- 
dore e  r  incrollabilità  de'  propositi,  con  cui  una  causa  si  difende, 
possono  dar  la  vittoria.  Parimenti  so,  essere  io  assai  poco  atto  a 
difenderla,  non  avendo  pulito  adeguate  air  ardore  e  all'  incrol- 
labiUtà  la  grazia  e  la  valentia  dello  scrivere.  Mentre  general- 
mente si  dettano  libri  tanto  |)er  comporgli,  e  si  escogitano  temi 
per  isvolgergli,  io  non  ho  mai  vergato  una  riga  per  sem- 
plice diletto  0  per  procacciarmi  il  sostentamento  o  la  lode;  ma 
unicamente  per  compiere  un  dovere,  e  perchè  incitato  da  un  se- 


-  11  - 

greto  impulso.  Ed,  essendo  proprio  stato  un  caso,  eh'  io  mi  sia 
messo  a  scrivere  le  opere,  cui  non  potea  fare,  non  mi  ci  sono 
mai  preparato,  e  ignoro  V  arte  di  scriverle  affatto.  Onde ,  se  i 
miei  critici  le  trovassero  zeppe  di  strafTalcioni  ed  anche  di  sgram- 
maticature, non  r  avrei  a  male;  siccome  non  me  ne  adonto,  quan- 
do le  dicono  ferree  e  rugginose.  Perchè  è  vero,  eh'  io  cerco  per 
quanto  posso  di  usare  la  materna  lingua  :  ma  si  per  la  mia  con- 
versazione co'  morti,  e  si  per  la  mia  professione  quasi  di  peda- 
gogo, non  le  so  rendere  spighate  e  leggiadre,  come  si  conver- 
rebbe. E,  dovendole  altresì  prolungare  di  troppo,  per  ispiegare 
le  tante  cose,  cui  vo  dicendo,  e  superare  i  tanti  ostacoli,  che  mi 
si  frappongono ,  io  rendo  vie  più  il  peso  di  leggerle  grave.  Non- 
dimeno, dopo  vent'  anni  di  costanti  e  indicibili  sforzi,  sono  giun- 
to ad  avere  un  centinaio  di  lettori,  parte  spontanei  e  parte  anga- 
riati, parte  per  piacere  e  parte  per  cortesia;  de'  quali  mi  accon- 
tento. Che,  se  di  più  non  ne  posso  per  ora  avere,  e  se  a  tutti 
gli  altri  i  miei  sermoni  riescono  sgraditi;  nemmanco  la  mia  im- 
potenza, poiché  altri  tace,  mi  può  distorre  dal  sostenere  quel  tri- 
bunato letterario^  a  cui  mi  sono  dedicato  e  votato.  Quanto  alla 
terza  obbiezione,  che  io  non  avessi  per  ventura  i  titoli  di  eserci- 
tarlo (quantunque  per  l' abdicazione  de'  migliori  e  come  posses- 
sione abbandonata  ognuno  ne  lo  potrebbe  occupare),  o  s' intende 
del  diritto  in  genere  o  di  una  speciale  autorità.  Se  del  diritto, 
essendo  io  per  grazia  de'  numi  italiano,  per  quanto  umile  e  oscu- 
ro mi  sia,  ho  non  solamente  facoltà  ;  ma  dovere,  come  dianzi  ho 
detto,  di  parlare,  se  non  in  nome,  certo  a  servigio  della  patria 
mia.  Se  invece  di  una  speciale  autorità,  confesso  e  deploro,  non 
godere  io  quella,  che  dalle  dignità,  da'  negozi  e  sopra  tutto  da'  me- 
riti civili  procede.  Ma,  oltre  che  al  postutto  il  valore  delle  cose 
dette  stia  nel  pregio  loro,  e  non  nel  prestigio  di  chi  le  dice;  an- 
ch' io  posso  addurre  un  segno  estrinseco,  che  le  mie  parole  suf- 
fraghi. D  testimonio  de'  fatti,  i  quali  avverarono  quelle  dette  in 
passato  talmente,  che  chi  volesse  considerare  i  miei  scritti  di 
quattro  lustri,  troverebbe  aver  io  appunto  predetta  la  sorte,  a  cui 
r  Italia  presentemente  soggiace.  Questa  voce  adunque  non  curata 
aUora,  questa  voce  ingigantita  e  inselvatichita  nella  solitudine  e 
nella  dimenticanza,  elevasi  ora  fiera  e  solenne.  Ma  non  per  com- 
piacermi empiamente  d'  un  trionfo,  cui  ho  in  abominio  :  si  bene 
per  protTerire  piamente  quell'ultimo  grido  di  angoscia  e  di  spe- 
ranza, che  salvi  tutti,  se  è  possibile,  i  buoni  e  i  rei. 


12  - 


VI.  PrapMito  di  dire  la  Torità  aperta. 

Se  non  che,  sendo  giunti  (e  non  certo  per  mia  colpa)  i  mali 
al  colmo,  io  non  posso  più  adoperare  quel  riserbo  e  quella  esi- 
tanza, che  in  passato  usai.  Allora  incorava  e  consigliava,  scusa- 
va e  compativa,  sospirava  e  pregava:  ora  si  tratta  di  fremere  e 
di  riprovare.  E  naturalmente,  dovendo  chiamare  le  cose  co'  pro- 
prii  nomi,  per  questo  solo  le  svelo  oscene  e  ributtanti;  né,  per 
quanto  io  cerchi  di  esser  mite  e  clemente,  posso  non  parere 
crudele  e  inesorabile.  A  certuni  la  voce  della  verità  desta  appun- 
to il  medesimo  spavento,  che  il  tuono  udito  da'  fuggiaschi  ebrei 
nel  deserto  di  Sinai.  1  quali  supplicavano  Mosè:  «  parla  tu  con 
noi  e  noi  ascolteremo  ;  e  non  parli  Iddio  con  noi,  che  talora  noi 
non  muoiamo.  »  {Esodo,  XX,  19).  Ma,  se  nel  momento  del  pe- 
ricolo, schivasi  d' ascoltare  la  voce  della  verità,  oh  in  che  dun- 
que si  ripone  fidanza  ?  La  calunnia  del  resto  mormora,  bisbiglia, 
cinguetta,  quando  air  accusa  mettesi  il  bavaglio;  e  giova  meglio 
a'  colpevoli  essere  da  chi  possegga  un  senso  profondo  di  eciuità 
e  un  abito  costante  di  gentilezza  ammoniti,  prima  che  da'  torbidi 
istinti  e  dalle  cieche  furie  del  volgo  travolti.  D'  altra  parte  io 
non  intendo  valermi  della  prerogativa  d'accusare,  come  che  insita 
e  inseparabile  dalla  mia  qualità  di  cittadino;  quanto  della  libertà 
di  parlare,  promessami  dalle  leggi,  e  molto  innanzi  dalla  natura 
largitami.  Parlerò  quindi  come  uomo,  che  dagU  avventurati  e 
da'  potenti  d' oggi  non  ha  niente  a  temere,  né  a  desiderare  ;  e  di 
cui  sprezza,  non  meno  de'  castighi,  i  premi.  Ma  non  solamente 
senz'  alcun  odio  privato,  e  non  razzolando  dal  trivio  quelle  ciarle 
e  quelle  detrazioni,  con  cui  si  si  atteggia  a  Catoni  oggidì,  e  nii 
sdegnano  i  pari  miei  :  si  bene  col  più  riverente  ossequio  alle  leg- 
gi. Chieggo  per  altro  a'  miei  lettori  di  praticare  verso  me  que'  pre- 
cetti almeno,  che  le  medesime  ingiungono  ai  giudici  del  crimina- 
le. Di  badare  cioè,  non  al  «  valore  dei  termini  isolati  »  e  al  «  sen- 
so più  0  meno  lato  »  de'  medesimi  ;  ma  a  <c  quale  effetto  abbia 
prodotto  suir  animo  loro  il  cx)mplesso  dello  scritto  »  {Editto  sul- 
la stampa  de'  26  marzo  1848,  LXVIII).  Avvegnaché,  s' ei  mi 
giudicassero  da  qualdie  frase  o  da  qualche  idea  presa  a  volo, 
preterendo  dallo  spirito,  che  informa  tutto  il  mio  scritto,  e  fin 
dalla  retta  intenzione;  mi  avrebbero  prima  condannato,  che  in- 


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teso.  Ma  parimenti  gli  avverto,  che  tutta  quella  libertà,  cui  le  leg- 
gi stesse  consentono,  tutta  quanta  io  la  vuo'  usare,  palesando  là  ve- 
rità senza  reticenze  e  senza  ambagi;  poicbò  a  tanto  mi  astringe 
il  bene  della  patria.  Né  debbono  punto  paventarne  :  conciossiachè 
0  le  cose,  ch'io  dico,  sono  savie,  e  allora  è  bene  le  sappiano; 
0  non  lo  sono ,  e  (ìano  tenute  in  quel  conto,  che  se  dette  da  un 
folle.  £  tanto  più  ei  ponno  vivere  tranquilli,  eh'  io  esprimo  un 
pensiero  puramente  individuale  e  universalmente  rejetto;  e  che 
sono  solo,  solo,  solo;  e  non  ho  pure  un  complice  nella  mia  spi- 
ritual ribellione. 


VII.  Causa  maagima  delle  odierne  soflérense. 

Ora,  s' io  mi  limitassi  a  scovrire  le  nostre  piaghe,  ciò  non  sa- 
rebbe senza  beneficio;  perchè  almeno  si  potrebbe  da  altri  prov- 
vedere alla  guarigione.  Nondimeno  sarebbemi  mancato  il  corag- 
gio di  compiere  la  prima  impresa,  se  anche  non  mi  fossi  sentito 
in  grado  di  compiere  la  seconda.  Perchè  il  contristare  senza  rac- 
consolare, il  ferire  senza  rimmarginare  e^  il  distruggere  senza  rie- 
diiìcare,  avrebbe  non  solamente  presso  altrui  ingenerato  il  sospet- 
to, eh'  io  il  facessi  per  voluttà  feroce  o  per  tetra  fantasia;  ma 
lacerato  il  mio  cuore.  E  cosi  ho  deliberato  di  adempiere  all'  uno 
e  all'  altro  intento;  profferendo,  siccome  ho  detto,  un  grido,  che 
fofise,  oltre  che  dì:  angoscia,  di  speranza.  Se  non  che,  la  materia 
sendo  naolto  ampia,  e  non  potendola  io  restringere  in  un  solo  vo- 
lume, debbola  in  due  partire  :  l' uno  de'  quaU  tratti  de'  maU,  e 
r  altro  de'  rimedi.  Serbandomi  adunque  di  dare  alla  luce,  ovve- 
ramente  al  crepuscolo,  quest'  altro,  tosto  dopo  il  presente,  sicco- 
me congiunti  tra  loro  da  un  comune  disegno,  ed  anzi  parti  indis- 
solubili d'  una  medesima  opera;  nel  presente  io  non  mi  occupe- 
rò, che  de'  mah.  Ma  qui  subito  si  affaccia  la  cardinale  questio- 
ne, sul  determinare  il  compendio  o  la  generazione  di  codesti  mah. 
Dappoiché,  a  sentire  certuni,  la  odierna  disavventura  d' ItaUa  non 
viene,  che  dall'  essere  o  non  questo  o  queir  uomo  proposto  alla 
cosa  pubblica,  o  da  un  dato  provvedimento  preso  o  pretermesso, 
0  da  una  fazione  soverchiante  o  soprafatta.  Chi  si  querela  de'  bal- 
zelli, de' debiti  e  degli  sperperi;  e  clii  delte  languenti  industrie, 
de'  costosi  prezzi  e  degl'  infruttuosi  travagli.  £  queUi,  che  vanno 
più  a  fondo  nella  diagnosi  della  grande  infermità,  onde  si  va  con- 


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sumando  il  neonato  regno,  credono  aver  colto  un  gran  punto, 
sentenziandola  tabe  monarchica.  In  vece  io  penso,  che,  se  tuttM 
mali  stessero  qui,  sarieno  cosi  poco  temibili  e  così  di  leggieri  cu- 
rabili, che  non  varrebbe  quasi  la  pena  di  antivenire  F  opera  del 
tempo.  Ma,  che  si  tratti  d' una  infermità  mille  volte  peggiore,  di 
cui  quelli  non  sono,  che  sintomi,  e  nemmanco  i  più  gravi.  Or 
ecco  come,  poiché  io  medesimo  mi  sono  lunga  pezza  dibattuto 
prima  d'  esserne  reso  chiaro  e  certo,  ecco  come  pervenni  a  co- 
noscerla. 


Vili.  Tirannide  borglioae. 

Sin  da  fanciullo  ho  provato  un'  indefinibile  avversione  pel  se- 
colo, di  cui  doveva  poi  esser  ribelle;  trovandovi  un  non  so  che 
di  fiacco  e  d' ignobile,  di  cupido  e  d' abietto,  che  urtava  di  trop- 
po con  certe  velleità  plutarchesche,  che  mi  frullavano  pel  capo. 
Cresciuto  cogli  anni,  la  maturità,  V  assuefazione  e  V  esperienza 
non  avendo  valso  a  riconciliarmi  cogli  ammaestramenti,  cogli 
esempi  e  coi  bisogni  della  vita;  mi  confortava  per  altro,  sognan- 
do, che  r  astro  dell'  Italia  risorta  avrebbe  fugato,  come  spettri 
notturni,  questi  odiosi  fantasmi.  Ma,  vistigli  per  contrario  dopo  la 
sua  apparizione  diffondersi  e  moltiplicarsi  air  infìnito,  e  ottenebra- 
re e  conturbar  Y  aria;  giunsi  a  quella  crisi  psicologica,  che  dian- 
zi accennai,  e  che  accadde  precisamente  nel  cosi  detto  anno  di 
grazia  1869.  E  allora  mi  sono  chiesto:  mo  non  sarebbe  un  ghi- 
ribizzo questo  cruccio  co'  miei  contemporanei,  se  il  nostro  piane- 
ta avesse  sempre  girato  e  dovesse  girare  a  im  modo?  In  si  fat- 
ta maniera,  disputando  e  negando,  compresi  la  ragion  vera,  per 
cui  eglino  ed  io  non  e'  intendiamo,  e  la  causa  massima  de'  pre- 
senti guai.  Avvegnaché,  sebbene  in  buona  parte,  non  tutti  però 
sieno  lo  strascico  dell'  anteriore  servitù  :  tutti,  senza  quella  mas- 
sima causa,  non  sariano  stati  prodotti,  o  sariano  dalla  Ubertà  an- 
nientati. Ebbene,  perché  una  coorte  di  sensali  e  di  appaltatori, 
come  stormo  di  corvi  e  di  avvoltoi,  si  é  precipitata  sul  campo  di 
battaglia  a  spogliare  i  cadaveri  degli  eroi  e  a  s<itollarsi  delle  lor 
carni?  Perchè  tanto  tesoro  di  affetti  e  di  sacrifici  si  è  violato  e 
dissipato;  e  il  mercimonio  e  il  guadagno,  la  menzogna  e  la  fur- 
beria, lo  scetticismo  e  il  cinismo  ne  occupano  il  luogo?  Perché 
lino  r  amor  di  [utria  é  diventato  una  malinconia  da  vecchi  riin- 


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bambiti,  e  le  attrattive  sublimi  della  grandezza  e  della  gloria 
vezzi  da  sgualdrine  sfatte  ?  Perchè  il  popolo  ebbe  lo  sfratto  dallo 
stato  stesso,  cui  aveva  creato  ;  e  lo  si  alloppia  e  dissangua  e  scar- 
nifica ognora  senza  oìisericordia?  Perchè  non  si  parla  in  tanta 
sua  nùseria  d'  altro,  che  di  opulenza  e  di  prosperità,  d'  economia 
e  di  finanza,  di  baratti  e  di  cambi;  e  le  lettere  e  le  arti,  pie- 
gando il  capo  per  vergogna  e  smorzando  le  faci,  mandano  un 
ultimo  bagliore  livido  e  sinistro  ?  Donde  in  somma  sono  proceduti 
tutti  codesti  abominii,  che  io  descriverò  qui  entro  in  più  centinaga 
di  capitoli;  da  quale  antro  e  da  qual  mostro  d'averno?  —  La  ri- 
sposta a  tali  inchieste  è  riassunta  in  due  vocaboli,  e  sta  precisa- 
mente nel  titolo,  ch^  posi  in  fronte  a  questo  volume.  Io  cioè  ho 
considerato,  soffrire  ogni  età  i  suoi  dolori,  avendo  la  società  umana 
sin  qui  sempre  patito  or  questa  or  quella  maniera  di  speciale  op- 
pressione. Ne'  secoli  andati  tal  volta  prevalse  la  casta  de*  guer- 
riai;  e  ogni  cosa  prendeva  un  atteggiamento  militare,  dispensan- 
do la  violenza  i  meriti  e  le  ricompense.  Tal  volta  quella  de' sa- 
cerdoti ;  e  il  terror  de'  numi  comprimeva  gli  animi,  santificando 
la  frode.  Ora  prevale  queUa  del  ceto  industre;  e  di  tutto  si  fa 
mereatatufiaj  e  la  bottega  e  il  banco  sostituiscono  il  tempio  e 
U  trono.  Di  guisa  che,  se  un  giorno  dovesse  Y  infima  turba  la- 
boriosa prevalere,  Y  officina  avrebbe  Y  impero,  e  lo  eserciterebbe 
cogr  istinti  ruvidi  deUa  manualità  e  cogli  stimoli  rabbiosi  della 
fame.  Onde  la  tirannide  borghese^  che  non  è  altro,  se  non  la 
befiiarda  e  avida  signoria  del  predetto  ceto,  costituisce  la  speciale 
oppressione  del  periodo  storico,  in  cui  viviamo;  la  fase  sociale, 
cui  attraversiamo,  e  la  fonte  suprema  de'  nostri  odierni  mali.  I  quali 
tutti,  siccome  io  ne  darò  la  dimostrazione  e  la  prova,  tranne  certe 
reliquie  delle  precedenti  tirannidi,  si  generarono  appunto  da  quel- 
la, e  in  queUa  si  compendiano. 


IX.  Sentore  della  tirannide  boifieee» 

Veramente  mi  si  può  osservare,  come  la  scoperta,  che  io 
ìDleodo  aver  fatta,  non  meritava  vemre  annunciata  con  tanta  pro- 
sopopea: giacché  tanti  altri  dicono  il  medesimo;  e  in  ispecie  i 
novatori  o  mestatori,  e  le  plebi  indignate  o  delfre.  Ma  anzi  tut- 
to, sebbene  ammettasi,  oggidì  il  dominio  spettare  alle  cosi  dette 
classi  medie]  la  generale  persuasione  è,  che  sia  un  giusto  do- 


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minio.  E  si  è  cosi  lungi  dal  riconoscere  la  sua  vera  natura,  che 
i  caporali  stessi  della  democrazia  sbutTano  a  udire  queste  voci  di 
tirannia  e  di  borghesia,  eh'  io  ho  appiccicate  assieme  ;  e  gridai» 
attoniti  e  trasognati  :  oh  dove  sono  e  chi  dunque  questi  borghesi 
e  questi  tiranni?  Quanto  a  coloro,  che  ne  hanno  qualche  sentofe, 
esaltandogli  o  denigrandogli,  non  sanno  come  sorsero,  in  che 
stiano,  che  si  facciano,  cosa  vogliono  e  come  finiranno.  £  del  pari 
le  grame  moltitudini  (come  quelle,  che  più  duramente  ne  soppor- 
tano le  ofTese),  non  appena  informate  o  sobillate,  naturalmente 
gli  accusano  autori  delle  loro  disgrazie.  Ma,  senza  pur  conoscer- 
gli; e,  imbrattate  del  resto  dal  loro  stesso  fango,  procacciando 
di  rovinare  la  società  umana  e  sé  medesime,  pur  di  strìtolarglL 
Noto  quindi  una  volta  per  sempre,  che,  tranne  il  desiderio  di  re- 
dimere queste  moltitudini  da  senno,  e  cioè  in  un  modo  afiEatto 
opposto  a  quello,  che  usano  i  loro  falsi  campioni,  io  non  ho  nien- 
te di  comune  co*  loro  disperati  consigli.  Sebbene  anzi,  prenden- 
do di  mira  Y  identico  nemico,  possa  parere,  eh'  io  tragga  Y  is{H- 
razione  da'  loro  pregiudizi  o  mi  faccia  Y  eco  de'  loro  rancori,  re- 
spingo gli  uni  e  gU  altri  da  me  con  tutte  le  forze  dell'  anima  mia. 
E,  per  mostrare  quale  abisso  mi  separi  da'  promotori  di  novità  so- 
cialistiche e  di  tumulti  servili  ;  basti  notare,  come  costoro  vorreb- 
bero universalizzare  e  sublimare  la  cupidigia  e  1'  abiezione,  che 
precisamente  costituiscono  la  quintessenza  della  tirannide  borghe- 
se; rovesciare  gli  ordini  costituiti,  e  im  la  patria  esecrare.  Io  in 
vece  mi  propongo  d' infiammare  all'  annegazione  e  all'  eroismo, 
di  afforzare  ogni  ordine,  e  di  ripristinare  della  patria  l' antico  san- 
tissimo culto.  Ma,  qualunque  sia  il  sottil  filo,  che  congiunge  la 
mia  impresa  piuttosto  ai  segni,  che  ai  conati  del  tempo,  quanti 
diversità  non  vi  è  mai  tra  un  confuso  intuito  e  un  vago  sospetto, 
e  la  inquisizione  severa  e  la  descrizione  completa,  che  della  pre- 
detta tirannide  andrò  io  facendo? 


X.  nwMmia  della  tinuudde  borglieaa. 

Importa  dunque  assai  scuoiare  e  nolomizzare  questo  laido  mo- 
stro, prima  che  sia  riposto  nel  museo  della  storia ,  ove  i  posteri  lo 
guarderanno  con  ribrezzo  e  con  raccaprìccio.  E,  siccome  il  compen- 
dio e  la  generazione  de'  mali  presenti  stanno  precipuamente  in  esso, 
«ì  questi  anzi  non  sono,  che  le  sue  deformità  e  le  sue  perver- 


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sita  ;  cosi ,  inquircDdolo  e  descrìvendolo ,  io  gli  avrò  svelati ,  e 
avrò  interamente  fornito  il  mio  prìmo  assunto.  Per  tanto,  comin- 
ciando dal  definirlo  (poiché  Tho  testé  appena  adombrato),  s'io 
dicessi ,  eh'  é  la  dominazione  esclusiva  del  terzo  ceto ,  ossia 
de'  trafficanti ,  successo  a  quelli  de'  gentiluomini  e  de'  preti  ;  ne 
avrei  dato  una  nozione  meramente  estrìnseca.  Della  quale,  seb- 
bene si  si  possa  accontentare ,  tuttavia  per  riconoscerne  meglio 
l' intrìnseca  indole  è  d' uopo  soggiungere ,  eh'  é  il  predominio  o- 
busivo  dette  ricchezze.  Di  guisa  che,  quand'osso  funesta  la  ter- 
ra ,  il  monopolio  di  alcuni  sull'  universale  non  yien  già  meno  ;  ma 
in  luogo  de'  facinorosi  e  degli  astuti  si  pongono  gli  avarì ,  e  la 
masserìzia  sta  in  vece  di  prodezza  e  d' ingegno.  I  beni  di  fortuna 
non  si  acquistano  più  colle  pi*ede  o  colle  ciurmerle,  colle  rìmu- 
nerazìoni  pubbliche  o  colle  largizioni  devote  ;  ma ,  da  mezzi  can- 
giandosi in  fini,  coir  intendere  unicamente  alle  basse  cure  e  ai 
sordidi  esercizi ,  che  le  procacciano.  Acquistati ,  costituiscono  un 
titolo  di  stima  e  di  potere  ;  e  si  pregiano  e  onorano  tanto ,  e  tal- 
mente usurpano  ogni  ragione,  che  la  proprietà  schiaccia  a  dirit- 
tura tutti  gli  altri  stabilimenti  sociali.  Tutto  cade  nella  loro  or- 
bita e  nel  loro  vortice,  e  tutto  prende  un'aria  e  un'afa  di  bot- 
tega e  di  banco.  L' economia  doventa  una  scienza ,  un'  arte  poU- 
tica,  un  sistema  morale,  una  religione;  e  il  dicastero  della  fi- 
nanza il  supremo  areopago.  D'altro  non  si  parla,  che  di  listini  di 
borsa  e  di  tariffe  di  dogana ,  di  compagnie  e  di  mostre  indu- 
strìali,  d'emporì  e  d'opificii  grandiosi,  e  d'imprese  e  d'affari 
lauti.  I  magistrati  sono  reputati  vampiri  del  bilancio,  parassiti  i 
soldati ,  pazzi  i  filosofi ,  malfattorì  i  poverì  :  e ,  mentre  i  savi  e  i 
valorosi  come  oziosi  e  vagabondi  si  cacciano  allo  spedale,  gli 
osorai  e  i  giudei  si  creano  baroni  e  ministri  di  stato.  Non  vi 
sono  per  le  menti  altrì  consigU,  che  di  utilità,  altrì  battiti  pei 
euorì,  che  di  tornaconto;  e  si  farebbe  anche  bottoni  delle  ossa 

amane ,  pur  di  trame  profitto Ma ,  poiché  il  proseguire ,  tanto 

sarebbe  come  anticipare  quello,  che  in  seguito  debbo  esporre, 
tale  idea  sommaria  parmi,  possa  per  ora  bastare.  E  in  seguito 
appunto  si  parrà,  se  questi,  cui  io  accenno,  sieno  temi  rettori- 
ci,  asserzioni  gratuite,  vane  declamazioni,  bieche  supposizioni: 
oppure  (atti  incontrovertibili  e  innegabili. 


-  18  - 


XI.  Compito  della  tirannide  borglieee. 

Ma,  pure  ammesso  ciò,  non  potrebbe  darsi,  che  sempre  le 
cose  fossero  ite  a  questa  stessa  maniera,  e  che  le  vadino  bene; 
0  che  almeno,  oltre  la  nostra  contrada,  aflliggano  vasta  parte 
del  mondo  ?  —  Che  le  non  sieno  sempre  ite  cosi ,  io  V  ho  già 
Uevemente  accennato  :  ma  lo  dimostrerò  e  proverò  tosto  con  tal 
sorta  di  argomenti,  che  si  vedrà  in  vece,  essere  altre  volte  acca- 
duto precisamente  il  contrarlo.  0  cioè,  que'  consigli  e  que'  cal- 
coli, che  ora  si  hanno  in  conto  di  ottimi,  essere  stati  reputati 
pessimi:  e  poco  meno,  che  di  vili  servi,  la  casta,  che  ora  trion- 
fa. Quanto  air  essere  stato  un  bene ,  che  codesta  casta  dei  vai- 
siij  0  codesto  ceto  de'  trafficanti,  trionfasse,  in  un  senso  assoluto 
0  astratto  non  si  può  per  fermo  ammettere.  Imperocché ,  se  fu 
giusto,  che  costoro  da'  bramini  e  da'  csatrii  si  emancipassero, 
0  da'  pontefici  e  da'  patrizi,  più  giusto  sarebbe,  che  anche  i 
sudrì ,  0  (  tralasciando  codeste  indiche  denominazioni  )  i  lavoranti 
si  emancipassero  da  tutti.  Ma,  se,  oltre  che  della  semphce  e- 
mancipazione ,  si  tratta  della  oppressione  di  un  ordine  di  persone 
sugU  altri  ;  per  essere  questa  oppressione  più  distesa  e  men  chiu- 
sa, non  c^ssa  di  esser  tale.  E  questo  certamente  non  è  bene, 
siccome  non  è  bene  tutto  quel  male ,  eh'  ella  va  commettendo.  In 
un  senso  però  relativo  e  concreto  concedo ,  che  fosse  logico  e 
provvidenziale  si  fatto  allargamento  od  accostamento  de'  mezzi  di 
signoreggiare.  Onde  coloro,  che  mi  rimproverassero  di  non  cu- 
rarmi degU  avanzamenti  della  storia ,  di  non  considerare  le  lar- 
ghezze e  le  agevolezze  maggiori,  che  oggi  si  godono,  e  di  ma- 
ledire a'  portati  del  tempo ,  avrebbero  un  gran  torto.  Io  sono  d  ac- 
cordo con  loro ,  che  si  sono  fatti  alcuni  passi  innanzi  in  questa  via 
di  accomunare  i  vantaggi  del  civile  convivio.  £  che  anche  oggi 
vanno  ai  mah  commisti  molti  beni,  senza  di  die  il  mondo  torne- 
rebbe al  caos.  Ma  io  non  mi  occupo  qui ,  ripeto ,  che  de'  mali  ; 
e  addito  e  oppugno  quelli  del  mio  secolo.  Nel  quale ,  trovata- 
mi di  fronte  la  borghesia,  combatto  la  medesima,  come  in  altri 
tempi  avrei  combattuto  il  clero  e  la  nobiltà  ;  e  combatterei  il  pro- 
letariato, se  pure  questo  tentasse  a  sua  volta  d'opprimere.  Con- 
ciossiachè  il  concetto  della  libertà  e  della  giustizia ,  eh'  io  mi  for- 
mo ,  è  bene  all'  in  fuora  da  ogn*  idea  di   sopratTazione  e  cU  ri- 


-  19  - 

vincita  d' un  ceto  soli'  altro ,  le  quali  hanno  per  naturale  conse- 
goenza  la  soggezione  e  la  vendetta.  E  cosi  pure  senza  ragione 
vorrebbermi  corre  in  fallo,  notando  la  grande  infermità  da  me 
dianzi  indicata  non  essere  speciale  d'Italia;  ma  comune  a  quasi 
tutto  r  occidente  od  alla  cosi  detta  cristianità.  Anche  in  ciò  sono 
d' accordo  con  loro  ;  e  il  dissi  testé ,  dichiarando  essere  la  eiH- 
demia  propria  del  momento ,  cui  la  nostra  contrada  soffre  insie- 
me con  tanta  parte  di  mondo.  Ma  io ,  non  mi  occupando ,  che 
della  patria  mia,  non  ne  ragiono  e  non  ne  debbo  ragionare,  se 
non  con  riferimento  alla  medesima.  Il  che  non  vieta  per  altro, 
che  parecchie  cose ,  cui  andrò  dicendo  d' Italia ,  si  possano  anche 
ad  altre  nazioni  applicare,  e  sopra  tutto  alla  Francia:  né  che  tutte 
non  ne  possano  trar  giovamento. 


XII.  Idee  antiche  della  tirannide. 

C!onviene  nondimeno  ora  spiegare  anche  i  due  termini ,  che , 
come  danno  il  titolo,  cosi  offrono  alla  presente  opera  argomento.  E , 
cominciando  dal  primo ,  poiché  ho  detto  e  ripeterò  spesso,  la  domi- 
nazione del  terzo  ceto  essere  tirannica,  e  questa  parola  non  può  non 
eccitare  ne'  jmù  accorti  un  falso  sdegno  e  ne'  meno  accorti  un'  inge- 
nua meravi^a ,  debbola  giustificare.  «  Tiranno ,  dicea  frate  Oero- 
nimo  Savonarola,  é  nome  di  uomo  di  mala  vita,  e  pessimo  tra 
gli  altri  uomini,  che  per  forza  sopra  tutti  vuol  regnare,  massime 
quello  che  di  cittadino  si  é  fatto  tiranno.  Perché  prima  é  neces- 
sario dire  che  sia  superbo ,  volendo  esaltarsi  sopra  i  suoi  eguali , 
anzi  sopra  i  migliori  di  sé  e  quelli  a'  quali  piuttosto  meriteria 
di  essere  subieito.  E  però  é  invidioso ,  e  sempre  si  contrista  della 
gloria  degli  altri  uomini ,  e  massime  de'  cittadini  della  sua  città, 
e  non  può  patire  di  udire  lodar  altri,  benché  molte  volte  dissi- 
muli ,  e  oda  con  crociato  di  cuore  :  e  si  rallegi*a  dell'  ignominia 
del  prossimo  per  tal  modo ,  che  vorria  che  ogni  uomo  fosse  vi- 
tuperato, acciocché  egU  solo  restasse  glorioso.  Così  per  le  gran 
fiuitasie  e  tristizie  e  timori,  che  sempre  lo  rodono  dentro,  cerca 
dilettazioni ,  come  medicine  delle  sue  afflizioni  :  e  però  si  trova 
rare  volte ,  o  non  forse  mai ,  tiranno ,  che  non  sia  lussurioso  e 
dedito  alle  dilettazioni  deUa  carne.  E  perché  non  si  può  mante- 
nere in  tale  stato,  né  darsi  i  piaceri,  che  desidera,  senza  mol- 
titudine di  denari,  segue  che  inordinatamente  appetisca  la  roba: 


-  20  - 

onde  ogni  tiranno,  quanto  a  questo,  è  avaro  e  ladro,  peroccbè 
non  solamente  ruba  il  principato,  che  è  di  tutto  il  popolo,  m 
ancora  si  usurpa  quello  che  è  del  comune,  oltre  le  cose  che  ap- 
petisce e  toglie  a'  particolari  cittadini  con  cautele  e  vie  occulte, 
e  qualche  volta  manifeste.  E  da  questo  segue ,  eh'  '1  tiranno  ab- 
bia virtualmente  tutti  i  peccati  del  mondo  »  (Trattato  circa  U 
reggimento  e  governo  della  città  di  Firenze,  I,  1).  Or,  se  i 
tiranni,  di  ch'io  favello,  sieno  macchiati  di  superbia,  invidia, 
lussuria,  avarizia  e  di  tutti  gli  altri  peccati  del  mondo,  che  il  bravo 
predicatore  accocca  al  suo  ;  lascio  considerare  a'  sudditi  loro  9 
che  gli  possono  molto  agevolmente  osservare.  Ma  non  in  questo 
si  dee  riporre  la  tirannide  :  perchè  alcuno  può  essere  nella  privaU 
vita  un  mostro  di  nequizia ,  senza  cessar  d'essere  giusto  signore; 
e  viceversa  un  angiolo,  essendo  tiranno.  E,  dovendosi   quindi 
dalla  pubbUca  vita  de'  potenti  giudicare ,  0  per  dir  meglio  dalla 
pubblica  azione  ;  rammento ,  come  i  greci  chiamassero  tiranni 
quegli  stessi,  che  i  romani  e  noi  chiamiamo  re.  Avvegnaché ^ 
secondo  il  classico  pensiero  non  vi  possa  essere  altra  sostanxa 
di  reggimento  e  governo,  se  non  quella,  che  al  popolo  spetta^ 
Onde  Cicerone  avvertiva  appunto,  che  per  buona  etimologia 
«  la  cosa  pubbUca...   è  la  cosa  del  popolo  »  (RepìMAica,  \y 
25).  E  Guicciardini ,  benché  ministro  d' iniqui  signori ,  soggiun- 
geva :  (c  tutti  U  Stati ,  chi  bene  considera  la  loro  origine ,  sono 
violenti;  né  ci  é  podestà  che  sia  legittima,  dalle  repubbliche  in 
fiiora ,  nella  loro  patria  e  non  più  oltre  »  (Ricordi  politici  e  ci- 
vili, CCGXVII  ). 


XIII.  Elementi  eesensiali  della  tirannide. 

Ma ,  lasciando  da  parte  queste  austere  teorie  antiche ,  die 
le  si  lasciano  sepolte  entro  le  polverose  biblioteche  per  una  qual- 
che ragione;  dico,  gli  elementi  e  i  caratteri,  da  cui  la  tirannide 
si  forma  e  si  riconosce,  secondo  il  parere  di  lutti  i  savi,  essere 
questi.  Primamente ,  che  lo  stato  sia  in  dominio  di  qualche  per« 
sona ,  collegio  0  moltitudine  ;  secondo ,  che  contro  il  comune  con- 
senso si  possegga;  terzo,  che  si  amministri  per  proprio  conto: 
e  quarto,  che  non  abbia  freno  al  male.  I  quali  elementi  e  ca- 
ratteri sono  di  tanta  forza  e  significanza ,  elio  uno  solo  di  essi, 
rome  cosa  contraria  al  diritto,  basta  a  costituire  f  a  s\ elare  la 


-  21  - 

liraoDide  senz'  altro.  Di  tal  guisa ,  che  Guicciardini  lasciò  pure 
scritto:  «  come  uno  principe  non  ha  più  rispetto  a'  populi,  non 
è  |»ù  principe ,  nia  tiranno  »  (CCGXIV).  E  Cicerone  :  «  giudico 
ÌQ  primo  hiogo ,  che  non  sia  popolo . . . ,  se  non  quello  che  si  regga 
pel  consentimento  del  diritto  :  tolto  il  quale  consentimento ,  que- 
sto popolo  cosi  riunito  non  è  meno  tiranno ,  che  possa  esserlo  un 
sol  uomo  »  (IH ,  26).  Ma  Savonarola ,  premettendo ,  che  il  buono 
stato  si  chiama  «  governo  civile ,  perchè  appartiene  a  tutti  i  cit- 
tadini » ,  soggiunge  :  «  e  quel  governo  è  cattivo ,  che  lascia  il 
beo  comune,  ed  attende  al  suo  bene  particolare,  non  curando 
delle  virtù  degli  uomini,  né  del  ben  vivere,  se  non  quanto  è  un- 
tile al  suo  ben  particolare  ;  e  tale  governo  si  chiama  tirannico  » 
(1, 1).  Con  che  egli  del  resto  non  fa,  che  aderire  alla  sentenza 
di  Aristotile ,  pregna  di  verità ,  secondo  la  quale  la  degenerazione 
de' governi  sta  neir  usufruire  gli  stati  a  fini  privati.  Se  non  che 
Alfieri,  che  merita  in  tale  argomento  esser  citato,  ripone  per 
contrario  la  essenza  della  tirannide  nella  malefica  forza,  dicendo, 
che,  sebbene  i  moderni  diano  nome  di  tiranni  «  a  quei  soli  prin- 
cipi, che  tolgono  senza  formalità  nessuna  ai  lor  sudditi  le  vite , 
gli  averi  e  T onore  »,  debbonsi  chiamar  taU  tutti  coloro,  principi 
0  cittadini ,  pochi  o  molti ,  «  che  hanno ,  comunque  se  Y  £d)biano, 
Qoa  facoltà  illimitata  dì  nuocere  »  (Tirannide,  1,1).  Onde  non 
occorre  un  nocumento  effettivo ,  né  alcuna  efferatezza  ;  della  quale 
BOQ  vi  potrebbe  esser  bisogno  ,  dacché ,  egli  nota ,  la  mansue- 
todioe  de'  tiranni  moderni  non  ha  altra  causa,  tranne  la  man- 
Knetodine  éet  nnxlerni  schiavi  (1,  6):  ma  basta  solamente,  che 
b  balia  di  nuocere  vi  sia. 


XIV.  Tirannide  ooUettdTa. 

Co' quali  lunù  andando  in  traccia  de' viventi  Tarquinii,  é 
prima  di  tutto  dovere  di  por  fuori  di  contesa  la  speciale  forma 
politica,  con  cui  lo  stato  nostro  presentemente  si  regge.  Non  per- 
chè siavi  alcuna  cosa  indiscutibile  sulla  terra,  sendo  la  verità  un 
diritto  inviolabile  :  ma  perché  appunto  alla  verità  é  d'  uopo  ren- 
dere ossequio.  In  fatti  é  a  dubitar  forte ,  se  que'  monarchi ,  a  cui 
la  borghesia  consente  gU  appellativi  e  le  insegne  della  maestà , 
per  mascherare  altra  specie  di  regno,  sieno  in  sul  serio  monar- 
chi: ma  certo  non  sono  ovunque  tiranni.  E,  quanto  alla  monar- 


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chia,  che  mi  so  io,  compenetrata  nel  popolo,  fondata  e  sorretta 
dal  suo  suiTragio,  indivisa  d' interessi  e  di  danni  con  esso ,  ed  in 
ogni  forma  dalle  leggi  e  da'  costumi  vincolata  ;  non  cade  eerto 
in  alcuno  di  que'  quattro  estremi ,  per  cui  sarebbe  un  governo 
incivile.  Che,  s'ella  nel  modo,  in  che  venne  costituita,  non  po- 
tesse la  felicità  della  patria  procacciare,  sarebbene  incolpevole 
chi,  senza  propria  libertà  e  responsalità ,  deve  in  cotal  modo 
appunto,  e  sotto  inflessibili  oligarghi  e  caparbi  mallevadori,  custo- 
dire il  deposito  avuto.  Anzi,  incombendo  ad  altre  podestà  il  prov- 
vedere, a  che  lo  stato  con  migliori  ordini  si  regga,  tutta  la  re- 
ligione di  quello  si  sta  nel  serbare  incolumi  gli  ordini  vigenti, 
a  costo  di  perire  col  vessillo,  che  gli  venne  affidato,  e  pel  patto, 
cui  ha  giurato,  l^er  tanto  (lo  rammentino  bene  quegli  amiflapo- 
poli,  che  non  avrebbero  nemmanco  un  millesimo  di  tanta  lealtà 
e  sofferenza),  debbonsi  i  tiranni  altrove,  che  su  certi  moderni 
troni  rinvenire.  Che  spesso  ne  hanno  d'intorno  una  caterva,  e. 
forse  lo  sono  eglino  medesimi:  e  non  so  ne  avveggono.  Anzi 
Roma  ne  ebbe  in  una  volta  dieci,  e  Alene  trenta:  ma  oggi  col 
progresso  e  col  lusso  sono  in  aumento  e  a  buon  mercato  anebe 
costoro;  e  più  frequenti  e  caserecci,  che  i  re  nelle  fiabe.  E  però, 
^  lasciando  i  principi  ed  anche  i  senati  da  canto,  e  volgendosi  a 
rintracciar  la  tirannide  su  più  larga  base,  non  faccia  meravi- 
glia, se  una  nidiata  di  tirannelli  senza  corona  ne  Ha  dato  sco- 
vare. Per  ({uesto  solamente ,  che  una  parte  del  |)0|)olo  opprimesse 
l'altra,  avrebbesi  la  tirannide:  e,  per  essere  cotal  parte  più  lar- 
ga, si  dirà  la  costei  tirannide  meno  ristretta,  non  già  meno  gra- 
ve. Che  forse  a  servire  un  solo  Pisislralo  o  un  solo  Dionigi  avreb- 
bero i  popoli  miglior  destino,  che  a  scr>irne  più  schiere.  Anzi, 
sebbene  un  principe  o  un  senato  tiranneggianti  posseggano  più 
veemente  e  rapida  forza  malefica  (per  la  unità  della  risoluzione 
e  della  esecuzione,  nel  bene  e  nel  male  più  efficace  e  pronta), 
i  ceti  tiranneschi  la  |)osseggono  più  irruente  e  durevole.  Concios- 
siacchè  le  tirannidi  solitarie  non  possano  per  via  di  generazione 
perpetuarsi;  e  trovino,  se  non  altro,  negU  eredi  degeneri,  ne' mi- 
nistri infidi  e  ne'  sudditi  riottosi  mille  difTicoltà.  Mentre  le  com- 
pagnevoli si  rinnovellano  di  continuo  e  senza  interruzione,  e  si 
valgono  di  milioni  di  cervelH  e  di  braccia:  né  si  si>ossano  e  stre- 
mano, né  trovano  ostacoli  nelle  sanzioni  e  nelle  consuetudini,  cui 
esse  medesime  hanno  creato;  e  nemmanco  in  (]uella  opinione 
pubblica,  di  cui  sono  autrici.  Vero  é,  che  un'ingiusta  signoria 


-23- 

coDettìva  si  suole  con  voce  propria  addimandare  oligarchia,  quan- 
do ad  alcuni,  e  ochcrasda,  quando  a  parecchi  pertiene.  Nondi- 
meno questi  sono  i  nomi  delle  specie;  siccome  quello  di  auto- 
erojBia  o  di  despotismo,  quand'ella  è  angolare:  ma  non  resta 
men  varo,  die  il  nome  del  genere  è  quello  di  tirannide.  La  quale 
DOD  vuol  dire  altro,  se  non  una  signoria  ingiusta,  per  causa  dei 
quittro  vizi  organici,  che  ho  indicato,  od  anche  di  un  solo  de' 
medesimi.  Di  modo  che ,  se  vi  fosse  nel  regno  d' Italia  un'  accolta 
d'aomìni  (pognamo  pure,  che  la  più  ragguardevole  e  la  più  or- 
revole), la  quale  signoreggiasse  come  un  suo  feudo  lo  stato,  di 
proprio  arbitrio,  per  proprio  vantaggio,  e  senza  vincoli  nelle  san- 
zioDi  e  nelle  consuetudini,  ne'  sentimenti  nobili,  negl'  ignobili,  e 
De  manco  nell'invidia,  che  suole  essere  alle  altre  tirannidi  col- 
leuive  freno;  converrà  pure,  quell'aborrito  nome  darle.  Ora  io 
mi  propongo  di  dimostrare  e  di  provare  (  giacché  vi  accorgerete, 
0  pazienti  lettori ,  che  non  affermerò ,  cosa  alcuna  a  vanvera  e 
a  capriccio,  dovessi  abusare  della  pazienza  vostra),  come  la  bor- 
ghesia anche  in  altri  luoghi  d'  Europa  e  d'America  ;  ma  qui  in 
particolare  abbia  fondato  un  dominio  quadruplicemente  vizioso,  e 
quindi  quadruplicemente  tirannico.  E ,  siccome  scopo  mio  non  è 
ponto  di  aonestare  un  vocabolo ,  e  né  tanto  di  rivelare  un  male 
in  potenza,  quanto  di  avversare  un  male  in  atto;  cosi  non  mi 
restringerò  a  dimostrare  e  a  provare,  che  la  dominazione  bor- 
ghese abbia  i  quattro  vizi  sopraddetti ,  come  a  dire ,  teorici.  SI 
b^  aggiungerò  la  pratica  conferma ,  eh'  ella  ha  effettivamente 
esercitato  ed  esercita  la  tirannia ,  ed  alla  patria  va  recando  incom- 
inensu^abili  danni  ed  onte. 


XV.  Tirannide  impersonale. 

Ma,  perché  non  sia  franteso  il  mio  pensiero  e  il  mio  intento, 
prima  di  venire  a  si  terribili  argomenti,  ho  pur  mestieri  di  se- 
parare affatto  la  discussione  de'  principii  e  de'  sistemi  da  quella 
degl'istituti  e  delle  persone;  contro  cui,  ripeto,  non  mi  move 
odio  alcuno.  Sia  per  tanto  detto  una  volta  per  sempre ,  e  nella 
più  solenne  guisa  :  che  la  temerità  degU  uni  e  la  scaltrezza  ^egU 
^  potranno  le  mie  parole  a  un  senso  e  le  mie  azioni  a  uno 
scopo  ritorcere ,  che  non  hanno  ;  ma  io  ho  impugnato  la  penna 
per  debellare  un  mostro  onninamente  astratto.  Se  quindi  per  ne- 


-  24  - 

cessila  della  favella,  e  sopra  tutto  del  favellar  breve  e  forte,  debbo 
di  tirannidi  e  di  tirannie ,  e  di  tiranni  e  di  tirannelli ,  e  d' im- 
prese tiranniche  e  d' arti  tirannesche  discorrere ,  io  tUudo,  ri- 
peto, sempre  a  prìncipii  e  sistemi;  e  mai  a  istituti  e  persone 
determinate.  Imperocché  so,  che  le  leggi  si  debbono  osservare 
e  riverire  dal  cittadino,  quanto  dal  pensaUnre  a  libera  censura 
sottoporre  (  appunto  perchè  le  doventino  vie  jàb  di  osservana  e 
di  riverenza  degne);  e  che  senza  piegare  il  capo  a  si  snto 
giogo  non  è  possibile  la  libertà  vera.  E  del  pari,  I9  concordii 
civile  essere  un  tanto  bene ,  e  un  fondamento  s)  necessario  alb 
feUcità,  all'unità  e  air  integrità  della  repubblica,  che  il  fire 
scisma  0  r  eccitare  pur  di  lontano  rancori  0  dissapori  è  deDi 
patria  stessa  tradimento.  Non  dunque  per  dividere  gli  animi;  01 
per  riconciliargli  tutti  innanzi  al  tribunale  della  etema  giustizia  e 
all'ara  de' comuni  iddii,  e  per  commuovere  anche  ì  rei,  e  pef 
accendere  d'  un  medesimo  amore  buoni  e  rei,  mi  adoprerò.  Cbèi 
s' io  non  dovessi  chiamare  il  corpo  e  i  soggetti  attivi  della  00* 
dema  tirannide,  borghesia  e  borghesi,  e  la  nequizia  palesarne 9 
e  pungere  con  mille  tratitture  i  cuori  induriti;  oh  come  dovr^ 
le  cose  e  gli  uomini  appellare,  e  come  contenermi?  Dichiarando» 
senz'  ambagi  e  senza  reticenze ,  che  non  penso  «  non  voglio  rif^ 
rirmi,  se  non  ad  un  ente  impersonale;  benché  non  mi  sapes^ 
spiegar  bene,  posso  io  dire  di  più?  Itìmproveratemi  adunque,  s'iO 
mi  vo  esprimendo  male  :  ma  concedetemi ,  che  senza  vocaboli  noi* 
avrei  potuto  parlare ,  né  senz'  armi  di  sorte  alcuna  combattere 
Anzi,  se  voi,  lettori  miei,  sarete  cosi  benigni  meco,  quali  io  sper^ 
(che  senza  benignità  grande  non  avreste  cercato  pagine,  coi  i 
cospirati  silenzi  ricacciano  volta  per  volta  nelF  obbUo  );  concede^ 
rete  altresì,  avere  io  quasi  superato  l'impossibilità.  Dappoiché 
ho  condensato  in  un  grosso  volume  un  infinità  di  torti,  senz^ 
pur  designare  i  colpevoli  né  con  nomi,  né  con  cenni;  eccetto  in 
pocliissime  inezie,  di  cui  eglino  medesimi  pubbhcamente  inorgo^ 
gliscono.  E ,  rassomigliando  io  a  clii  sovra  il  lìlo  d' una  lima 
d' acciaio  tentasse  attraversare  le  onde  ruggenti  dell'  oceano;  aoK 
za  un  sentimento  incrollabile  di  moderazione  e  di  l)enevolenza. 
non  avrei  ()Otuto  tenermi  fermo. 


-«25  — 


XVI.  B«rg]i6da  ettainieoa  •  fénaale. 

Inteso  per  tanto,  che  V  oste  formidata,  con  cui  appicco  batta- 
glia,  è  un  essere  puramente  ideale,  da  vincersi  non  ne' corpi, 
ma  negli  spiriti  ;  passiamola  ora ,  come  ne'  poemi  epici ,  in  rasse- 
gna. Nei  riconoscere  gli  ascritti  alla  contraria  milizia,  due  me- 
todi si  ponno  tenere ,  secondo  che  trattasi  di  desumere  da  condi- 
zioni estrinseche,  o  da  intrinseche,  chi  sia  borghese.  Il  quale 
appellativo,  sotto  il  primo  aspetto,  qualche  cosa  esprime;  poiché 
in  altri  tempi  valse  a  indicare  coloro,  che  aveano  le  prerogative 
di  città  0  di  borgo;  e  che  d' ordinario  alle  arti  maggiori  od  alle 
professioni  venali  attendevano.  Ned  io  posso  dispensarmi  dall'  usar- 
lo, quantunque  in  italiano  siagli  preferibile  Y  altro  di  cittadino; 
poiché  quello,  non  ignoto  del  resto  agli  scrittori,  che  fanno  testo, 
è  oggidì  più  generalmente  inteso.  E  d' altra  parte  questo  meglio 
è  di  restituirlo  al  prisco  e  classico  significato  di  qualsivoglia  or- 
dine di  persone,  partecipi  della  repubblica.  Siccome  adunque  le 
dette  prerogative  importavano  privilegi  politici  ed  economici ,  cosi 
b  cittadinanza  o  la  borghesia  formava  allora  un  ordine,  da' 
vassalli  0  da'  contadini  distinto.  £ ,  in  quanto  avea  sopra  di  sé  i 
ceti  cavalleresco  o  feudale,  e  sacerdotale  o  ecclesiastico,  ebbe 
quella  denominazione  dì  terzo  ceto  o  di  terzo  stato,  col  quale 
suolsi  pure  indicare.  Se  non  che ,  venuti  meno  que'  privilegi ,  non 
ie  rimane  oggidì ,  che  l' antica ,  se  mi  Uce  dire ,  vocazione  :  vale 
a  dire  l' accudire  in  prìncipal  modo  agU  esercizi  lucrosi.  Onde 
oggidì  borgliese,  secondo  le  condizioni  estrinseche,  é  colui,  che 
direttamente   o   indirettamente,  manifestamente  o  larvatamente 
esercita  ogni  specie  di  mercatanzia.  Cioè  anche  prestando  dana- 
ri, fondando  censi,  allogando  lavori,  facendo  endiche,  prendendo 
arrende,  assumendo  provvedigioni ,  acquistando  carature  nelle  im- 
prese industriali  e  negli  accatti  camerali  ;  e  partecipando  inoltre , 
s^nza  esporsi ,  a'  più  sottili  e  segreti  misteri  del  cambio.  E ,  in 
^  senso  più  largo,  chiunque  giunto  a  una  certa  agiatezza,  dan- 
<tosi  come  a  peculiare  occupazione ,  e  non  per  le  sti'ingenti  ne- 
<^tà  del  vivere,  ai  predetti  esercizi  lucrosi.  Ma,  posto  tale  cri- 
i^rio,  di  quanti  capi  sarebbe  lo  stuolo  siguoreggiante  tra  noi? 


-  26  - 


XVii.  Vo¥6ro  de'  borglieti  in  Itiaia. 

Se  si  prende  per  dato  il  numero  degli  elettori,  supponendosi 
in  media,  che  ognuno  formi  colla  consorte  e  configli  una  fami- 
glia di  quattro  capi,  e  moltiplicandosi  quindi  605,044  per  quat- 
tro, avrebbesi  il  prodotto  di  2,420,176.  Ma,  benché  tale  prodotto 
rappresenti  per  fermo  la  classe  favorita  del  popol  nostro,  ossia 
Tunica  in  possesso  almen  virtuale  del  diritto  di  cittadinanza;  non 
si  può  dire,  che  sia  con  la  borghesia  tutfuna  cosa,  quantunque 
in  clientela  della  medesima,  l^erocchè  quella  in  gran  parte  si 
compone  d' abitanti ,  che  non  hanno  nemmanco  una  relativa  agia- 
tezza e  ovunque  sparsi  ;  mentre  questa  principalmente  dimora  ne' 
centri  urbani  e  versa  ne'  tradìci.  Onde  conviene  piuttosto  pren- 
dere per  indice  della  medesima  quel  titolo,  su  cui  ella  fonda  la 
sua  preminenza.  Vale  a  dire  la  somma  de' suoi  averi  ;  per  quanto 
si  può  da  lei,  che  non  ama  palesargli,  risapere.  E  considerare 
come  suo  libro  d'  oro  quegli  Elenchi  de'  contribuenti  cUT  im^ 
posta  sulla  ricchezza  mobile,  che  i  proposti  al  real  ministero 
delle  finanze  neir  anno  1872  stamparono  in  due  colossali  volumi; 
dando  cosi  a  divedere  quanto  stesse  loro  a  cuore  il  proteggere 
i  nostri  studi  e  il  perpetuare  i  nostri  fasti.  Or  da  tali  elenchi 
appare,  che  i  «  redditi  sui  quali  la  imposta  si  esige  per  rite- 
nuta »  sommano  a  582,076,654  lire,  e  i  «  redditi  imponibili  » 
a  473,625,965:  ambo  le  quali  cifre  rappresentare  dovriano  la 
«  ricchezza  mobile  »  italiana,  capace  di  gravezza.  I  redditi  im- 
ponibili si  ripartiscono  in  quattro  categorie  cosi  :  circa  180  mi- 
Uoni  sul  capitane,  199  sul  capitale  e  sul  lavoro,  75  sul  lavoro,  e 
18  sulla  innominata  mercede  degF  «  impiegati  comunali  e  provin- 
ciali ».  E  i  contribuenti  poi  sono  631,  580:  ma,  pe'  redditi  mag- 
giori di  KXX)  lire,  83,372;  e,  per  quelli  maggiori  di  2500,  sola- 
mente 17,597.  A  rigore  dunque  non  si  potriano  prendere  a  cal- 
colo, se  non  i  redditi  delle  due  prime  categorie  e  i  contribuenti 
della  ultima  s})ecie.  Poiché  vuoisi  pure  poco  o  molto  di  capitale 
per  esser  borghesi,  e  almeno  due  migliaja  e  mezzo  di  annui 
lucri,  per  poter  comechessia  dirsi  agiati.  In  tal  caso,  computan- 
dosi i  membri  delle  famiglie  rispettive,  ma  moltiplicando  per  tre  e 
non  p<T  (|uattro  (  laiche  già  oonipresevi  quelle  donne  e  que'  minori , 
che  [Kìgano  tributo),  i  borghesi  d  Italia  sarieno  appena  52J9I. 


-  27  - 

[1  che  è  dire ,  probabilmente  in  minor  numero  de'  gentiluomini  : 
)ssia  di  que'  cittadini ,  i  cui  casati  erano  sul  finire  dello  scorso 
^colo  ascrìtti ,  come  nobili ,  ne'  consigli  de'  mille  nostri  comuni. 
E  per  verità  credo,  ei  soli  formino  Yalta  borghesia:  ma,  do- 
lendosi pure  tener  conto  de'  pro[»ietari  di  beni  immobili ,  e  de' 
pubUici  feneratori  e  ufficiali,  la  cui  gabella  si  riscuote  nel  sacco 
o  (  come  dicesi  oggi  in  lingua  jonadattica)  «  per  ritenuta  »,  e  so- 
pra tutto  considerando,  che  i  predetti  redditi  imponibili  sono  lon- 
tani dall' appressarsi  alla  realtà  delle  cose  o  (come  dicesi  nella 
predetta  lingua)  «  inesatti  »;  le  prerogative  di  borgo  si  ponno 
estendere  ad  una  popolazione ,  che  equivalga  al  numero  de'  pre- 
detti contribuenti  della  specie  mezzana  e  de'  loro  attinenti.  Ognuno 
in  fatti  deve  ammettere,  che  tutt'i  631,580  aggravati  dalla  im- 
posizione sulle  merci  e  su'  guadagni  tra  noi  non  sono,  nemmanco 
per  modo  di  dii'e,  borghigiani.  Avvegnaché,  mentre  il  «  reddito 
medio  »  loro  di  750  lire,  e  quindi  di  250  per  testa,  non  basta 
per  fermo  a  vivere  civilmente;  i  più  di  loro,  provvisionati,  riven- 
ditori e  artefici  minuti,  hanno  un  reddito  inferiore.  E  molti  pon- 
no dirsi  a  dirittura  proletari  ;  il  cui  braccio,  in  difetto  di  sostanze, 
potè  dal  fisco  essere  ingabellato.  Non  resta  dunque ,  che  la  specie 
mezzana  degli  aggravati,  aventi  un  reddito  imponibile  di  almen 
1000  lire.  Non  grande  certamente  :  ma  che  si  può  forse  più  d' una 
voha  raddoppiare;  come  nella  celebre  pubblicazione  ministeriale 
surricordata,  a  cui  non  piacevano  in  questo  affare  le  sineddochi 
e  le  altre  ligure  rettoriche  de'  padroni ,  con  poca  riverenza  de' 
medesimi  è  detto.  E  in  tal  caso,  moltiplicando  il  numero  di  co- 
storo per  tre ,  i  grassi  popolani  d' Italia ,  maschi  e  femmine ,  adulti 
e  fcinciulli,  sarieno  250,116,  compresavi  la  maggior  parte  de' 
35,356  così  detti  isrc^liii.  Il  qual  numero,  poiché  nelle  campagne 
'H>n  \i  è  quasi  borghesia  punto,  e  anche  nelle  città  sonovi  parec- 
chi, che  ne  hanno  i  requisiti  di  censo;  ma  per  nobiltà  di  nasci- 
^  0  di  professione  o  d' animo  si  raggruppano  intorno  a  miglior 
gonfalone,  potrebbesi  di  nuovo  assottigliare.  Tuttavia,  temendo 
*j  concedere  troppo  poco  alla  verità,  io  lo  accetto  approssima- 
^Waraente  per  buono.  E  concludo:  che  i  nostri  signori,  tanto  di 
^Ua  giudaica  come  di  cristiana ,  sono  pressoché  un  quarto  di 
elione;  i  quali  hanno  di  sotto  e  di  contro  oltre  ventisette  mi- 
^i  d' uomini. 


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XVUl.  Borghesia  iatrinseoa  e  aostaiiiUle. 

Il  novero  premesso,  se  giova  a  constatare  in  quanta  minorìii 
si  trovi  la  classe,  che  osa  chiamarsi  popolo,  ooo  ha  del  resto 
guari  impoitanza  pel  tema  propostomi.  Benché  io  detesti  il  colto 
di  Mammona  (  dio  ignoto  di  certa  razza ,  di  cui  peggiore  è  il 
dio  noto),  e  né  anche  senta  molta  divozione  per  Pluto  e  per  Mer- 
curio, ai  ricchi  e  a  chiunque  procaccia  onesti  profìtti  con  lode- 
vole alacrità,  professo  la  debita  stima,  che  ad  ogni  altro  ordine 
di  cittadini.  E ,  per  escludere  affatto,  eh'  io  mi  abbia  in  partico- 
lare verso  que'  mercadanti ,  cui  dovrò  sferzare ,  alcuna  ingiusti 
prevenzione;  basti  dire,  Tuomo  più  probo,  ch'io  conobbi  e  ve- 
nerai ,  essere  stato  mercadante  e  mio  padre.  L' essenziale  dunque 
per  me  sta  nel  riconoscere  chi  abbia  le  condizioni  intrinseche 
per  esser  borghese:  che,  quanto  alle  estrinseche,  se  non  erro, 
le  posseggo  anch'  io.  Una  persona  può  essere  in  fatti  faeoltosis- 
sima,  ed  altra  entro  un  fondaco  rannicchiata,  senza  per  questo 
avere  né  Funa,  né  T  altra  il  genio  o  il  demone  della  borghesia. 
E  viceversa,  taluno  essere  letterato  e  talaltro  artista;  e  tuttavia, 
invasi  da  codesto  demone,  e  mettendo  a  prezzo  le  muse  e  le 
grazie,  adorarlo  e  servirlo.  Anzi  quegli  stessi,  che  esercitano 
professioni  liberali,  come  cattedratici,  causidici  e  giornalisti; 
ma  con  non  altri  calcoli,  che  di  utilità  e  di  tornaconto,  e 
sopra  tutto  accontandosi  quali  precettori,  procuratori  e  mezzani 
presso  altri,  dati  a  più  sordide  e  a  più  proficue  occupazioni, 
sono  borgliesi.  E  tali  per  fino  quegli  affannoni,  a  cui  la  fortuna 
non  arride  ancora ,  né  forse  arriderà  mai  ;  ma  cui  tuttavia  la  me' 
desima  avidità  de'  fortunati  infiamma  e  riarde.  Di  modo  che  bor- 
ghesi  in  questo  più  intimo  senso  sono  tutti  coloro,  che  non  ri* 
cercano  e  conservano  gli  averi  per  le  semplici  occorrenze  della 
vita,  pei  comuìodi  e  piaceri  plausibili,  pei  nobili  diietti  e  con* 
forti,  tra  cui  massimo  il  beneficare:  ma  gli  averi  pegli  averi, 
E  non  veggono  altro,  che  (juesto  nel  mondo;  né  altro  fine  daiH 
no  alla  |)ropria  esistenza,  die  il  tesoreggiare.  Indifferenti  verso 
la  beltà,  impassibili  verso  la  sventura,  inaccessibili  a  qualunque 
sentimento  gentile  ed  elevato;  quasi  immemori  di  avere  entro  il 
petto  un  soffio  divino,  cui  non  interrogano  mai  in  tanta  ressa  di 
f;)rren(lo  e  in  tanta  somma  di  ruimeri  :  delle  rose  tutte  non  fniar- 


-  29- 

(laoo,  se  non  il  Iato  economico  e  finanziario.  Sembrano  addor- 
mentati: ma  annunciate  loro  questo  o  quell'alare  vantaggioso, 
e  eh'  è  messo  air  incanto  il  tal  possesso,  o  data  in  appaltOi  la 
tal  regia,  o  cresciuta  d'  un  punto  la  rendita  pubblica  consolidata; 
ed  eccogli  spalancar  gli  occhi  e  anelare.  Gli  ravvisate  alla  ciera 
stupida  e  contenta ,  ed  a'  modi  triviali  e  insolenti  :  eccetto  i  più 
famosi  di  loro  e  i  clandestini  principi,  che  hanno  quella  sparuta 
e  contrita,  e  questi  incerti  e  dimessi.  E  i  quali  fuggono  gli  assem- 
bramenti e  i  rumori ,  vestono  di  regola  panni  sudici ,  camminano  a 
sghembo  e  un  passo  addietro,  favellano  piano  e  balbettando;  e, 
se  altri  alza  la  voce,  tosto  allibbiscono  e  si  raggomitolano.  Natu- 
ralmente clii  ebbe  dal  destino  queste  attitudini,  si  dà  di  prefe- 
renza a  quegli  esercizi,  mercè  cui  le  possano  meglio  svolgersi 
e  fruttificare.  £  però  accade,  che  alcune  volte  ricorrano  nella 
medesima  persona  i  requisiti  essenziali  e  gli  accidentali  della  bor- 
ghesia. Ma,  ripeto,  costoro  in  quanto  hanno  tali  attitudini ,  e  non 
già  perchè  esercitino  questo  o  quel  mestiere,  sono  i  borghesi, 
di  cui  io  intendo  scoprire  e  smascherare  V  ingiusto  dominio. 


ORIGINI  DELU  BORGHESIA 


XIX  Ceud  sterìd  ni  oetL 

Dopo  tali  prenozioni  entrando  in  argomento,  seguirò  nel  trai* 
tarlo  un  ordine ,  e  nelle  materie  una  partizione ,  che  mi  pare  pre- 
scritta dalla  buona  logica.  Dirò  cioè  prima  delle  origini  della 
borghesia:  poscia  delle  opere  sue  in  Italia  riguardo  allo  stato, 
al  reggimento,  all'amministrazione,  alla  giustizia,  alla  religione, 
alla  moralità,  alla  coltura  e  alla  prosperità  pubbUca;  e  in  fine 
de' suoi  arcani  di  regno  e  de' suoi  destini  futuri.  Ma,  facendomi 
dalle  origini,  facile  è  capire,  ch'io  non  posso  narrarle,  senza 
discorrere  in  genere  sulla  storia  della  civiltà,  e  sopra  tutto 
della  progressiva  affrancazione  dei  ceti,  un  cui  stadio  è  la 
odierna  supremazia  borghese.  Premendomi  inoltre  di  far  risal- 
tare come  il  terzo  o  medio  ceto  si  emancipasse  da'  due  mag- 
giori, e  come  il  quarto  o  infimo  aspetti  ugual  ventura;  debbo 
pure  gli  antichi  conati  per  la  redenzione  delle  plebi  ricordare. 
E ,  mentre  cosi  il  tema  rendesi  vie  più  arduo  e  vasto ,  d' altra 
parte  debbo  restringerlo  e  alleviarlo,  quanto  più  è  possibile;  non 
essendo  questo  un  lavoro  di  fredda  erudizione,  né  occorrendomi 
de'  fatti  passati  toccare ,  se  non  quanto  è  alla  retta  intelligenza 
de' presenti  necessario.  Per  la  qual  ragione  altresì  quelli  acca- 
duti nelle  stranie  contrade  accennerò  appena:  tanto  per  dare  un 
contorno  o  uno  sfondo  al  quadro  degU  accaduti  in  Italia,  che 
più  c'interessano;  e  che  del  resto,  quantunque  obbliati,  sono 
capitaU  non  solamente  per  noi,  ma  per  tutte  le  altre  nazioni. 
Ora ,  eh'  io  adempia  codesto  assunto  con  troppa  brevità  e  fors'  an- 
co con  troppa  negligenza,  spero,  mi  fia  di  leggieri  perdonato.  E 
cosi  pure,  s'io,  menzionando  in  proposito  alcuni  autori  tedeschi, 
non  gli  menzionerò  tutti.  Sebbene  a  questi  lumi  di  luna  gli  autori 
iiaUani  rischino  di  aver  sempre  torto:  perchè  o  non  si  valgono 


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degli  sludi  loro,  e  sono  ignoranti;  o  se  ne  valgono,  e  senza  i 
loro  ajuti  non  possono  le  cose  proprie  conoscere.  Piuttosto  io 
temo,  anche  cosi  circoscritta  e  monca ,  che  questa  mia  narrazione 
degr  inizi  e  delle  vicende  della  borghesia  rechi  tedio  a'  miei  cento 
lettori.  Ad  alcuni  de'  quali  forse  non  parrà  acconcio  schierare  in- 
nanzi ,  d' improvviso  e  in  sul  principiare ,  una  filatessa  e  un  visi- 
bilio di  popoli  e  di  avvenimenti,  di  usi  e  d' istituti,  di  nomi  e  di 
date.  Confesso  anzi,  che  questo  timore  mi  angustia  assai:  per- 
chè ,  s' io  fossi  dall'  enunciazione  dell'  odierna  tirannide ,  passato 
tosto  ad  esporre  com'  essa  occupasse .  la  repubbUca  e  che  atti  vi 
comntettesse ,  gli  avrei  meno  distolti  dall'  argomento  e  meno  assi- 
derati. Ma  io  ho  trovato  anche  a  ciò  un  rimedio,  invitandogli  a 
lasciare  questo  arido  racconto  a'  piii  pazienti ,  ed  a  venire  senz'  al- 
tro a  quelle  pagine ,  in  cui  descrivo  lo  stato  borghese.  Purché  per 
altro  eglino,  sfuggendo  qui  la  noja,  non  reputino  appresso  una 
fisima  dello  scrittore  il  convincimento ,  che  i  trafficanti  non  hanno 
semiH'e  signoreggiato,  né  sempre  signoreggieranrio  il  mondo. 


XX.  Caste  orientali. 

Dico  adunque,  cominciando,  la  causa,  ond' ebbero  origine  i 
eeti,  essere  stata  primieramente  la  conquista;  per  cui  un  popolo, 
invadendo  le  ten*e  e  usurpando  le  ragioni  di  altro,  ponevalo  in 
ooodizione  inferiore,  quando  non  preferiva  cacciamelo  o  truci- 
darlo. E  cosi ,  per  più  invasioni  e  usurpazioni  dovendo  più  popoli 
nella  medesima  sede  convivere  Y  uno  all'  altro  sovrapposti ,  le 
caste  antiche  si  formarono.  Le  quali  altro  non  sono,  se  non  essi 
popoli  sovrapposti ,  e  le  quali  poscia  si  trasformarono  ne'  presenti 
C€<j.  Perchè  di  regola,  ove  le  genti  incalzantisi  e  accavallantisi  fu- 
rono parecchie,  di  diversissimo  sangue  e  di  disparatissime  qualità, 
e  patirono  insieme  una  dinastica  oppressione ,  le  caste  spuntarono 
e  si  mantennero.  Ove  per  contro  due  o  tre  solamente,  quasi  con- 
sanguinee, dì  poco  dissimile  civiltà  e  feUcitate  da  ordini  Uberi 
(onde  poterono  lentamente  fonderei  e  contemperarsi),  i  ceti.  E 
di  regola  gU  abitanti  primitivi  soggiacquero  a  tanto  peggiore  sor- 
te, quanto  più  antichi  e  da  più  irruzioni  e  occupazioni  flagellati: 
degradandosi  mano  a  mano  da  padroni  in  soci,  in  fattori,  in 
inquilini  e  in  lavoratori  de'  sopraggiunti  ;  fin  che  altro  loro  non 
rimanesse,  che  il  senire.  La  qual  sorte  appena  poterono  schivar 


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quelli,  che,  possedendo  nella  debolezza  un  gi*an  tesoro  di  col- 
tura ,  formarono  la  casta  sacerdotale.  Negli  orientali  imperi  quindi 
non  vi  sono  propriamente  ordini  di  cittadini,  né  cittadini  affatto: 
ma  despoti ,  satrapi  e  schiavi  ;  a'  quali  ultimi  le  funzioni  economiche 
rimangono  devolute.  Tuttavia  in  alcun  luogo  il  despotismo  viene 
dalle  due  caste  maggiori,  de' sacerdoti  e  de' guerrieri,  moderato: 
siccome  in  queir  Egitto,  che  del  resto,  tosto  dopo  il  re  Mende, 
sofferse  per  cinque  secoli  un  giogo  di  pastori.  V  ordinamento 
castale  più  vigoroso,  e  ancor  superstite ,  è  nondimeno  quello  del- 
l'India;  la  cui  società  resta  divisa  in  coipi  ereditari  e  chiusi, 
tra  cui  non  possono  esser  promiscue  né  le  nozze,  né  le  pro- 
fessioni, né  altre  facoltà.  La  prima  casta  formasi  da' drammi 
0  sacerdoti ,  la  seconda  da'  csatrii  o  guerrieri ,  la  terza  da'  vai9ii 

0  agricoltori ,  artefici  e  mercadanti ,  e  la  quarta  da'  sudri  o  servL 

1  quali  vaisiì,  già  si  comprende,  sono  i  precursori  della  borghe- 
sia; ma  gravati  di  balzelli  e  sconsiderati,  e  cioè  l'opposto  della 
medesima  ora.  I  sudri  non  solamente  da  ogni  onore  e  diritto 
esclusi  ;  ma  sin  da'  numi  e  da'  libri  sacri  delle  caste  precedenti. 
Ultima  specie  di  servi  e  quasi  di  belve,  i  bruni  e  disgraziati 
paria,  discendenti  dagli  originari  abitatori  e  legittimi  padroni 
del  suolo:  e  pur  reputati  cotanto  immondi,  ch'ei  debbono  fug- 
gire i  luoghi  abitati  e  contaminano  chi  appena  gli  guarda.  Ma 
conforta  in  mezzo  a  taU  orrori  l'indico  Budda,  di  sangue  regio, 
che  sei  secoli  prima  del  galileo  Gresù  predica  l' uguaglianza  di 
tutti  gli  uomini,  il  comun  debito  d'amore  e  di  pietà,  e  il  finale 
etemo  loro  riposo  nella  morte. 


XXI.  Demoeraiia  ebraica  e  borghesia  fenioia. 

Due  popoli  ne'  piii  remoti  tempi  storici  danno  luogo  per  altro 
a  una  grave  eccezione  nell'  assetto  castale  asiatico  :  gli  ebrei  e  i 
fenici.  Anche  i  medi  e  i  persiani,  prima  che  famosi  capitani 
fondassero  immense  dominazioni  miHtari,  furono  probabilmente 
popoli  semplici  e  pastorali,  e  insieme  valorosi  e  liberi.  Ma,  se- 
condo le  istituzioni  mosaiche,  non  vi  erano  caste  affatto,  né 
simili  differenze  di  stato  tra'  posteri  di  Giacobbe;  benché  a'  leviti, 
oltre  il  sacro  ministero,  spettassero  l'istruzione,  la  giurispru- 
denz;i  e  la  medicina,  siccome  agli  anziani  delle  altre  tribù  il 
governo  della  (mbblic^i  cosa.  Nel  riparto  del  paese,  conquistato 


-33- 

con  tanta  crudeltà,  ebbero  quindi  i  due  figli  e  i  dieci  fratelli  di 
Giuseppe,  delle  dodici  porzioni  una,  per  ciascheduno:  ma  Levi 
solamente  certe  città  e  le  decime.  E,  poiché  in  codesta  demo* 
Grazia  patriarcale  e  teocratica,  negli  anni  saòatici  il  terreno 
restava  incolto  e  i  (rutti  naturali  ricadevano  a'  poveri ,  e  ne'  git^ 
bilei  i  fondi  alienati  ritornavano  a'  primi  possessori  ;  vedesi  un 
duro  sforzo  per  mantenervi  V  assoluta  uguaglianza  di  beni.  Né 
anche  i  fenici ,  a  quel  che  pare ,  ebbero  vere  caste  :  i  quali  (con- 
federati in  più  città,  rette  a  governo  misto  di  re,  patrizi  e  pon- 
tefici) primi  navigarono  e  mercatarono.  E  primi  diffusero  molte 
e  lontane  co?<mt6,  a  somiglianza  delle  greche  e  romane,  e  i  traf- 
fici e  la  civiltà  con  esse.  Eglino  adunque,  e  sopra  tutto  i  cartai 
ginesi  loro  più  celebrati  coloni,  come  repubbliche  di  navigatori 
e  di  mercatori ,  fiorenti  per  opulenza  e  potenza ,  neir  evo  antico 
arieggiano  i  nostri  comuni  del  medio.  Ed  anzi ,  avendo  eglino  già 
soprafatto  gU  altri  ordini  civili ,  e  dato  un  carattere  venale  a  ogni 
cosa  e  manifestati  què'  perfidi  istinti ,  di  cui  rimase  nella  punica 
fede  ricordo,  debbonsi  come  i  primi  fondatori  di  dominii  borghesi 
considerare.  Ma  eccoci  alle  due  alme  penisole,  dove  lo  sviluppo 
delle  condizioni  sociali  ebbe  un  sì  precoce  e  possente  impulso, 
che  tuttavia  desta  stupore. 


XXII.  Ceti  nella  sooietà  ellenica. 

Nella  Grecia  i  pelasgi,  probabilmente  oriundi  e  pacifici  abita- 
tori, vennero  soggiogati  dagli  elleni,  prodi  di  nazione  aflìne,  e  divisi 
nelle  tre  stirpi  de'  dorii,  jonii  ed  eolici ,  che  poi  tra  loro  si  azzuffa- 
rono, spogliandosi  delle  rispettive  sedi  a  vicenda.  In  Argo,  Corinto 
e  Sicione  gli  achei  furono  con  pari  diritti  nella  medesima  comu- 
nità dorica  raccolti.  Ma,  peregrinando  i  dorii  nel  Peloponeso,  gli 
jonii,  che  non  vollero  loro  sottomettersi,  trasmigrarono  altrove,  e 
colonizzarono.  Gli  altri,  che  si  sottomisero  spontanei,  divennero 
Iributari,  conservando  la  libertà  e  la  proprietà,  e  perdendo  i  di- 
ritti di  città  (a  Sparta  pericci)  ;  e  i  sottomessi  per  forza,  servi  o 
schiavi  (iloti).  Giusta  gli  ordinamenti  di  Licurgo  (anni  884  avan- 
ti Cristo)  le  novemila  famiglie  di  spartani^  o  di  dorii  peregri- 
nati nella  Laconia,  ebbero  ciascuna  ugual  porzione  di  terreno; 
uguale,  quantunque  minore,  le  trentamila  di  perieci,  e  niente  na- 
turalmente gr  iloti.  Attendevano  i  irtìccì  alla  mercatura  ed  alle 

3 


-  34  - 

industrie  utili  (borghesia),  lavorando  gV  iloti  le  terre  de'  dorii  ; 
e  questi  ultimi  esercitavano  esclusivamente  i  magistrati  e  le  armi, 
né  altra  occupazione  aveano,  fuor  di  tale  monopolio  politico  e  nù- 
litare  (nobiltà).  Sparta  quindi  era  tutt'  altro,  che  democratica:  ed 
anzi  la  gran  gara  tra  essa  e  Atene  fu  in  sost^mza  tra  aristocra- 
zia e  democrazia.  Onde  quella  impose  a  questa  i  trenta  patrizi 
per  reggitori  o  tiranni,  e  questa  poi  fieramente  se  ne  affranca- 
va (403).  Si  fatta  aristocrazia  nondimeno  basavasi  sovra  una 
perfetta  parità,  giuridica  e  per  sino  economica,  tra' dorii;  benché 
a  gravi  stenti  e  con  aspri  mezzi  mantenuta.  Agide  III  e  Gleome- 
ne,  dopo  alcun  secolo  trovando  la  proprietà  stabile  in  poche  ma- 
ni ristrettasi,  che  uniche  reggevano  lo  stato  (mentre  gli  altri  cit- 
tadini, miseri  e  falliti,  rimanevano  interdetti),  cercarono  restaurar- 
ne la  costituzione.  Al  quale  uopo  proposero,  si  abolisse  F  eforato , 
le  scritture  de'  debiti  si  annullassero,  i  beni  nuovamente  si  ripar- 
tissero, e  i  precetti  e  gU  ordini  ruvidi  della  età  di  Licurgo  si  ri- 
chiamassero in  vigore.  E,  non  ostante  che  Agide  fosse  da' nemi- 
ci deposto  e  morto,  il  buon  re  Cleomene  riusci,  ma  per  poco,  a 
vincere.  Giacché  tosto  appresso  alcuni  re  facinorosi,  proscrivendo 
e  spegnendo  i  più  riputati  e  doviziosi  cittadini,  quella  caserma  di 
soldati  cangiarono  in  covo  di  masnadieri  (220).  Anche  Atene,  tosto 
dopo  la  morte  di  Codro,  come  poi  Roma  tosto  dopo  la  cacciata 
de'  Tarquinii,  ebbe  aristocratico  il  reggimento.  Ma  colà  il  demo  o 
popolo,  forse  dagli  antichi  vinti  disceso,  lottò  contro  più  volte,  co- 
me poi  la  romana  plebe,  e  ridusse  lo  stato  agli  estremi.  Sino  a 
che  da  Solone  ricevette  quelle  leggi  scritte,  che  assicurarne  do- 
veano  il  trionfo.  Questi  lo  divise,  secondo  V  annua  rendita  de'  pos- 
sessi in  quattro  ordini^  dando  alla  popolar  concione  la  podestà 
suprema;  ma  serbando  per  altro  al  primo  ordine  de'  possessori 
il  privilegio  di  essere  arconti  e  areopagiti.  E  sanci  la  seisaehtia 
0  discarico:  pel  quale  a'  più  poveri  venne  rimessa  una  parte 
de'  debiti,  abolita  la  schiavitù  de'  debitori,  e  fin  sciolta  da'  vin- 
coli la  proprietà  pignorata  (624).  Nondimeno  la  democrazia^  a 
cui  debbonsi  le  glorie  insuperate  delle  arti  e  delle  lettere,  e  le 
vittorie  immortali  di  Maratona  e  di  Salamina,  non  importò  subito 
in  Atene  e  nelle  altre  città  greche  1'  umiliziazione  del  patriziato. 
Ma  sol  dopo  la  signoria  di  alcuni  c^pi  popolari,  tra  cui  Pisistra- 
to,  detti  tiranni  (510).  Pericle  poi,  quantunque  di  cospicua  e 
ricca  prosapia,  fautore  della  plebe,  volle,  che  ogni  cittadino,  mi- 
litando 0  votando,  ricevesse  stipendio.  Largì  donativi  agi'  indi- 


-  35  ~ 

genti,  istituì  feste,  e  protesse  le  arti  e  le  lettere  in  guisa,  che  ogni 
cittadino  potè  esser  atto  a'  pu))blici  uffici ,  e  questi  per  sorte  si 
poterono  distribuire  (447).  Cosi  la  popolarità  divenne  colà  il  reg- 
gimento più  frequente  e  più  illustre,  quantunque  non  senza  in- 
tervalli di  licenza  demagogica  e  di  reazione  oligarchica.  L'  ulti- 
timo  de' quali  cessò,  quando  il  popolo  costrinse  Focione,  fautor 
d'  ottimati,  a  ber  la  cicuta;  rachetandos)  poscia,  e  precipitando 
ognor  più  nella  corruzione  e  nella  viltà  (317). 


XXIII.  Antiohe  stirpi  italiolie. 

Anche  in  Italia  la  genesi  de'  ceti  alti  e  bassi  .è  a  rintracciarsi, 
come  altrove,  nella  sovrapposizione  violenta  di  una  ad  altra  gente. 
Ma,  benché  ella  fosse  sin  da'  più  remoti  tempi,  quanto  di  biade, 
rancissima  d'  uomini  ;  onde  e  come  questi  da  principio  venisse- 
ro, e  quanti  e  quaU  fossero,  rimane  ancora  in  folta  caligine  av- 
volto. Secondo  uno  storico  nostrale,  molto  stimabile,  ma  che  non 
ha  fama  presso  gli  stranieri,  ai  naturali  della  nostra  penisola 
(nati  dalla  terra  secondo  Dionisio  d' AUcarnasso  o  dalle  dure  quer- 
cie  secondo  VirgiUo,  naufraghi  della  sommersa  Atlantide  o  dal- 
l' Asia  naviganti)  diedero  gli  antichi  il  nome  d'  aborigeni  ;  indi- 
cando con  tal  nome  almeno  un'immemorabile  e  impenetrabile 
antichità.  Costoro,  che  forse  erano  la  medesima  cosa  cogU  oscij 
vissero  prima  in  istato  selvatico  e  anzi  ferino,  senza  leggi  e  con-, 
nubi,  entro  gli  antri  e  di  ghiande.  Ma  Saturno  e  Giano,  sommi 
iddii  e  padri  della  nazione  italiana  (forse  i  primi  immigranti,  di 
razza  nobile  e  di  professione  ieratica),  ammaestrarongli  nell'  agri- 
coltura e  insieme  nella  vita  civile.  Di  che  rimase  nel  prisco  no- 
me della  terra  nostra ,  Saturnia ,  e  ne'  satumaU  ricordo.  E  cala- 
roDO  quindi  eglino  da'  monti  ai  piani  e  ai  liti,  diramandosi  co'  riti 
religiosi  e  le  siicre  primavere^  mano  a  mano  che  moltipUcava- 
DO.  A  detta  dello  stesso  Dionisio  i  pdasgi,  originari  della  Tracia 
e  sbanditi  dagli  cileni,  sarieno  pure  qui  giunti,  donde  furono  poi 
respinti  e  dispersi  (1700).  Ma,  preterendo  da  questa  fugace  e 
misteriosa  apparizione,  le  prime  rivoluzioni  storiche,  che  qui  si 
menzionano,  sono  quelle  de' siculi,  indigeni  del  Lazio;  dagli  um- 
bri in  lega  cogli  osci  e  co'  pelasgi  cacciati  in  SiciUa,  ove  distrus- 
sero 0  soggiogarono  i  sicani.  I  quali  umbri,  di  vetustissima  ori- 
gine itaUca,  dal  centro  della  penisola  distendendosi  intorno,  fon- 


-se- 
darono una  prima  confederazione  e  potenza  italiana.  Ed  ebbero 
città  murate,  avanti  gli  etruschi  ;  e,  co'  medesimi,  templi  e  sacri- 
fici comuni.  Ma  furono  da  costoro  sopraffatti,  a  cui  dovettero  ce* 
dere  trecento  oppidi,  parte  restrìngendo  le  sedi,  e  parte  rimaneii- 
dosi  tra  raccomandati  e  compagni.  Sebbene  del  resto  Erodoto  deri- 
vasse dalla  Lidia  codesti  etruschi  o  tirreni,  Dionisio  gli  reputa 
oriundi  d' Italia  ;  e  certo  le  più  antiche  memorie  di  essi  giungono 
a'  tempi  favolosi  d'  Ercole  e  degli  Argonauti,  degli  dei  e  degli 
eroi.  Dimoravano  tra  Arno  e  Tevere:  ma  in  seguito,  aggiungen- 
do alla  vecchia  due  nuove  Etrurie,  particolarmente  a  danno  de- 
gli umbri,  fondarono  una  seconda  confederazione  o  potenza  ita- 
liana (1250).  La  più  schietta  e  virtuosa,  forte  e  libera  schiatta 
d' Italia,  la  sabellica,  era  pure  antichissima  e  nativa;  e  forse 
d'  umbri,  che,  scendendo  dal  superiore  Abruzzo,  tolsero  agli  ab<y- 
rigeni  la  montuosa  regione  apcnninica  dal  Piceno  al  I^azio.  E 
forse  i  latini  prischi  non  furono,  se  non  i  predetti  aborigeni, 
che,  diloggiando,  occuparono  il  piccolo  e  glorioso  suolo,  su  cui 
Roma  sorse.  Ned  erano  probabilmente,  non  ostanti  le  greche  fole, 
che  manipoli  di  aborigeni  o  di  umbri  tutti  quegli  altri  popoli, 
che  dalle  vette  delle  Alpi  all'estrema  punta  delFApennino  si  as- 
sisero;  quali  i  liguri,  i  veneti,  gli  ausonii,  gli  enotri  e  gli  japigi 
(Micali,  Italia  avanti  il  dominio  dei  romani,  I,  1-20  e  II,  4). 


XXIV.  Fusione  delle  anticlie  stirpi  italiche. 

In  un  modo  alquanto  diverso  un  più  recente  ed  ora  più  re- 
putato autore  ricostruisce  la  nostra  nazionale  genealogia.  Secondo 
il  quale,  sebbene  nel  campo  morale  intimo  profondamente  diver- 
si, i  greci  e  gì'  itali  sono  tra  loro  fratelli,  e  cugini  ai  celti,  ai 
tedeschi  e  agli  slavi.  Av\'egnachè  i  prischi  italici  idiomi  tre  stir- 
pi rivelano,  procedenti  dal  gran  ceppo  indogermanico,  tutt'  e  tre 
per  altro  strettamente  congiunte;  e  tra  cui  prima  gli  japigi^  pri- 
mitivi abitatori  discacciati  a  mezzodì.  Seconda  gli  etruschi  ^  la 
cui  favella  di  diverso  stipite  dalle  itnlogroche  non  si  può  ancora 
conoscere;  ma  che  vennero,  come  gli  altri  itali,  da  settentrione 
e  per  terra,  e,  innanzi  che  nella  propria  Etruria,  fissarono  intor- 
no al  Po  le  stanze.  E  terza  gV  itali  in  istretto  senso,  consideran- 
do per  tali  anche  i  latini  e  gli  umbri;  e  per  umbri  i  sabelK 
od  osci  e  le   costoro  propaggini,  che  probabilmente  migrarono 


-  37  - 

più  tardi.  Sino  a  che,  perduto  il  settentrione  e  Y  occidente  d' Ita- 
lia, si  accalcarono  codesti  umbri  presso  e  quasi  addosso  a'  latini. 
Ma,  mentre  così  il  più  di  essi  soggiacque  alla  prevalenza  delle 
altre  genti,  il*  ramo  loro  de'  sàbeUi,  cercando  negli  Apennini  ri- 
covero per  isfuggire  agli  etruschi,  ai  latini  e  ai  greci,  si  rese 
forte  come  di  macigno.  E  ne  uscirono  i  più  possenti  e  degni  emu- 
li di  Roma:  i  sabini^  i  sanniti  e  i  marsi;  e  quegli  altri  prodi, 
che  le  contesero  la  primazia  nella  patria  e  \  impero  nel  mondo 
[Mommsen,  Storia  romana^  I,  2,  8  e  9).  In  seguito,  le  san- 
guinose turbolenze  dopo  la  guerra  iliaca  fecero  andare  molti 
greci  raminghi;  e  particolarmente  gli  achei  del  Peloponeso  e  i 
dorii,  parte  nelF  Asia,  e  parte  ip  Calabria,  Japigia,  Campania  e 
Sicilia.  Popolarono  per  tanto  costoro,  nel  lasso  di  quasi  cinque  se- 
coli, di  portentose  colonie  le  nostre  riviere:  dove  Cuma  fu,  a 
quei  che  pare,  il  primo  stabilimento,  nel  secondo  secolo  dopo  di- 
strutta Troja  (1150-600).  Ultimi  in  fine  calarono  i  galli  \  la  cui 
prima  invasione  sotto  Belloveso  accadde  a'  tempi  di  Tarquinio 
prisco,  rompendo  gli  etruschi,  nella  Insubria;  e  la  quinta  ed  ul- 
tima, quella  de' senonì,  sino  al  centro  d' Italia  si  spinse  (600-391). 
E  così  dierono  il  nome  alla  Gallia  cisalpina,  nella  quale  del  re- 
sto accamparono  incolti  e  fieri,  aborrendo  i  luoghi  fortificati  e 
murati;  sebbene  da  un  luogo  di  Strabone  sembri,  che  quelli  alla 
destra  del  Po  conservassero  di  etruschi  e  d' umbri  molte  colonie. 
Onde  r  antica  popolazione  d' Italia,  che  probabilmente  noverava 
presso  che  trenta  milioni  d'  abitanti,  rimase  mista  di  cinque  san- 
gui; ma  con  grande  prevalenza  de'  tre  primi.  E  lingue  principali 
erano  1'  osca,  X  umbra  e  X  etnisca,  se  non  tutte,  certo  le  due  pri- 
me d'  un'  indole  comune  e  con  parecchi  vocaboli  identici  :  quasi 
dialetti  d'  un  medesimo  idioma,  eh'  è  forse  più  del  latino  il  le- 
gittimo padre  dell'  odierna  lingua  itaUana.  Il  qual  latino  del  resto, 
che  gli  degradò  senz'  annientargli  (benché  poscia,  ripulito  e  am- 
modernato dal  grecismo,  cangiasse  in  modo,  che  il  Carme  de'  fra- 
telli arvali  non  si  può  quasi  più  ora  capire),  da  principio  loro 
assomigliava. 


XXV.  Ceti  nella  sooietà  itaUoa. 

Io  mi  sono  testé  arrestato  sulle  origini  nostre   nazionali; 
perchè  la  notizia  del  nostro  alto  lignaggio,  oltre  giovar  molto 


-38- 

per  quanto  poscia  dirò,  importa  assaissimo  per  conoscere  le 
sorgeotì  de'  ceti  tra  noi ,  e  in  complesso  gli  oggetti  delle  pre- 
senti ricerche.  Sebbene  usisi  oggidì  i  primi  passi  del  progresso 
umano  ricercare  nelle  selve  teutoniche,  e  per  fino  il  nido  della 
borghesia  tra  que'  merli  feudali ,  io  posso  ad  ogni  modo  essere 
scusalo,  ricercandogli  nella  patria  mia.  Dove  qualche  decina  di 
secoli  innanzi,  e  molto  maggiormente,  le  più  stupende  evoluziom 
sociali ,  come  tosto  vedremo,  ebbero  luogo.  Riguardo  dunque  alla 
condizione  di  questi  nostri  progenitori,  nota  Teodoro  Mommsen, 
come  c(  non  trovandosi  in  Italia  una  schiatta  precedentemente 
stanziala  d' inferiore  attitudine  civile ,  cui  soggiogassero  gY  immi- 
granti latini,  mancasse  la  precipua  occasione,  che  fé' nascere  le 
caste  indiche,  laconiche,  tessaliche  e  in  genere  la  nobiltà  elle- 
nica, e  fors'anco  i  ceti  germanici  »  {Storia  romana,  1,5}.  Né 
questo  è  tutto:  ma  più  circostanze  concorrono  ad  attestare,  che 
fossero  i  predetti  arcavoli  nella  massima  parte  Uberi  e  guerrieri; 
e  assai  più  ferma  tra  loro  la  parità,  che  cruda  la  servitù.  E, 
sebbene  in  quo'  remoli  tempi  questa,  che  pure  indica  un  primo 
alto  di  misericordia  verso  i  vinti,  sussistesse;  pur  non  poteva 
sussìstere,  se  non  limitata  e  tenue.  Dappoiché  i  vincitori  stessi 
usassero  preferibilmente  associarsi,  che  sottomettersi  i  vinti;  ed 
erano  o  pastori  o ,  come  i  non  degeneri  romani ,  dell'  aratro  or- 
gogliosi. E  d'  altra  parte  cosi  umani ,  come  le  istituzioni  del  /a- 
mulato  e  della  clientela  manifestano.  Tranne  anzi  gli  etruschi, 
più  tardi,  non  ebbero  eglino,  a  (juel  che  pare,  servi  domestici: 
ma  rustici  solamente,  e  benignamente  trattati.  E  gli  etruschi 
medesimi  del  resto  posero  si  i  vinti  itali,  che  aveano  centra  loro 
pugnato  da  valorosi,  in  grado  inferiore;  ma  lasciandogU  agricol- 
tori e  soldati.  Onde  piuttosto,  che  una  distinzione  tra  liberi  e 
servi  in  (|iiella  primordiale  società,  é  da  notarsi  l'altra  tra  padri 
e  famoli,  patroni  e  clienti,  patrìzi  e  plebei.  Avvegnaché  quegli 
uomini  erranti ,  dice  Giambattista  Vico,  che ,  atterriti  dal  fulmine 
e  richiamati  al  |>ensiero  religioso,  sostarono  e  fondarono  con  le 
prime  famiglie  t;il  società ,  dessero  come  padri  principio  al  patri- 
ziato. Ma,  accogliendo  appresso  gU  altri,  rimasti  pri>i  di  sedi, 
come  lavoratori  delle  loro  possessioni  o  famoli,  diedero  pari- 
menti principio  alla  plebe.  <(  Le  famiglie  non  posson  essere 
wState  delle  con  proprietà  d'  origine  altronde,  che  da  questi  famoli 
de'  padri  nello  stato  allor  di  natura....  Tali  si  trovano  i  veri  soci 
degli  eroi,  che  poi  furono  i  plebei  delle  eroiche  città,  e  final- 


mente ìe Provincie de^ popoli  principi  ».  L'asilo  stesso  di  Romolo 
venne  aperto  anche  per  codesti  padri ,  che  conducevano  i  loro  ri- 
fuggiti 0  clienti,  in  qualità  di  lavoratori.  I  quali  ultimi  non  in- 
cominciarono, se  non  con  la  legge  di  Servio,  a  tramutarsi  da 
fisimoli  in  cittadini,  e  da  coloni  in  possessori  per  dominio  boni- 
tario  de'  fondi  de'  padri.  E ,  benché  con  le  Dodici  tavole  otten- 
nessero  anche  il  quiritario,  pur  non  furono,  se  non  coi  connubi 
(  cui  per  ciò  Modestino  defmisce  «  comunicazione  d' ogni  divino 
e  umano  diritto  »),  pareggiati  a  quelli,  e  resi  della  piena  citta- 
dinanza partecipi.  Imperocché  con  queste  nozze  solenni  ottennero 
gli  auspica ,  fonte  d'  ogni  diritto ,  e ,  pei  medesimi ,  la  patria 
podestà ,  la  suità ,  ¥  agnazione ,  la  gentilità ,  le  successioni ,  i  te- 
stamenti e  le  tutele.  Ed  indi  nella  ragion  pubblica  il  consolato  e 
il  pontificato  e  la  cognizione  delle  leggi:  mercè  cui  la  repub- 
blica da  eroica  in  popolare  tramuiossi  {Principj  della  scienza 
nuova,  I). 


XXVI.  Indole  della  società  italica. 

La  costituzione  organica  sociale  de'  prischi  itali,  e  fin  de'  pe- 
lasgi,  stette  nelle  città:  vale  a  dire  negli  stanziamenti  locali  di 
genti  0  tribù.  Le  quali  città  ^  anche  di  turbe  raccogUticce ,  vi- 
veano  autonome  :  ma  in  confederazioni  tra  loro ,  di  cui  note 
r  umbra ,  l' etrusca ,  la  latina ,  la  sabina  e  la  sannitica.  Ed  bawi 
anche  memoria  di  un  nesso  reUgioso  tra  alcune  di  esse;  siccome 
tra  umbri  ed  etrusclii,  e  nelle  feste  della  dea  Feronia  tra  sabini 
e  latini.  Il  reggimento  delle  medesime  da  principio  era  misto  di 
moQarchia,  ottimati  e  popolarità:  sebbene  i  lucumoni  e  impera- 
tori etruschi,  i  meddici  osci  e  i  re  e  dittatori  latini  fossero 
piuttosto  generaU  o  capi  di  repubbliche,  che  tiranni  ;  e  questi,  se 
mai  spuntavano,  non  potessero  durare.  Ma  si  trasformò  poi  di- 
rettamente, quasi  nel  medesimo  tempo  che  nella  propria  e  nella 
magna  Grecia,  in  repubbUca  tra  aristocratica  e  democratica.  Onde 
in  ogni  città  o  corpo  politico  la  somma  de'  poteri  risiedette  in 
un  senato;  i  cui  membri,  tratti  dalle  grandi  famiglie  di  una  no- 
biltà ereditaria ,  possedeano  gli  augurii ,  i  sacrifici ,  le  leggi ,  le 
magistrature  e  le  scienze.  E  famosa  era  quella  de'  larti  in  Etru- 
ria,  proceri  e  aruspici  nel  medesimo  tempo.  Conciossiacchè  in 
Italia,  non  meno  che  in  Roma ,  non  ci  avesse  ordine  distinto  ed 


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esclusivo  di  sacerdozio;  il  patriziato  ed  indi  il  popolo  tutto  te- 
nendo nelle  medesime  persone  l'infuiae  Tasta  ognora  congiunte. 
Il  che  non  solamente  impedì  il  sorgere  d'una  casta  sacerdotale 
e  d'una  dominazione  teocratica:  ma  rese  tutt'  una  cosa  sublime 
la  religione  e  la  repubblica ,  ed  anzi  la  prima  non  altro,  se  non 
un  istituto  della  seconda.  La  plebe  inoltre  sempre  partecipava , 
come  alle  imprese  belliche ,  così  al  poter  sovrano  co'  suffragi.  E 
la  introduzione  de'  collegi  delle  arti  per  opera  di  Numa  in  Ro- 
ma,  mostra,  che  questa  istituzione,  come  quasi  tutte  le  romane, 
venne  da'  popoli  (initimi  tratta.  La  qual  circostanza ,  e  un  antico 
trattato  commerciale  di  Roma,  quand'era  semplice  cittaduzza  la- 
tina, con  Cartagine  ;  la  grande  nimistà  punica,  dagli  etruschi  per 
cause  marittime  ed  economiche  ereditata,  e  il  liore,  in  cui  la  na- 
vigazione e  la  mercatura,  le  manifatture  e  le  dovizie  tra  greci  ed 
etruschi  salirono,  danno  ad  argomentare,  che  già  una  potente  bor- 
ghesia italica  sin  dal  decimo  secolo  innanzi  l' era  volgare  esistesse. 
Certo  i  greci  nella  bassa  Italia  ebbero  città  d'indescrivibile  opulenza, 
quali  Taranto  e  Siracusa,  numerose  llotte,  e  democrazie  arieggianti 
r  attica.  Ma  gU  etruschi,  che  diedero  il  nome  a'  due  mari  nostri, 
non  furono  guari  loro  inferiori.  I  quali  anzi,  per  isprofondarsi  troppo 
nella  ricchezza,  nel  fasto  e  nella  voluttà,  caddero  poi,  al  pari  de- 
gli umbri,  nella  mollezza  e  nell'  ignavia.  Eglino,  tra'  rottami  forse 
d'  un  impero  umbro,  riaccostarono  a  sé  le  schiatte  germane,  cui 
diedero  un  assetto  pacifico,  fondato  su  buoni  ordini  militari,  buone 
leggi,  ed  opere  edilizie  ed  agrarie  meravigliose.  Di  Tarconie, 
fondator  di  città,  e  di  Tagete,  creatore  della  scienza  augurale, 
e  de'terribili  libri  fulgurali  e  acherontici,  de'  carmi  saturnini  e  de' 
canti  fescennini,  e  delle  tube  tirrene  e  delle  tibie  eburnee  rimane 
appena  qualche  vaga  reminiscenza.  Ma,  non  ostante  X  ingrato  sforzo 
de'  romani,  sedotti  ed  ingannati  da'  greci,  per  estinguerne  la  me- 
moria, la  raffinata  loro  civiltà  è  indubitabile.  I  romani  del  resto 
trassero  da  loro,  come  la  sedia  curule,  i  fasci  de'  littori,  la  toga 
di  porpora  e  le  altre  insegne  della  suprema  dignità;  cosi  i  riti 
religiosi,  le  divinazioni,  le  scuole,  e  parecchi  usi,  costumi  e  isti- 
tuti. La  loro  ()Otenza  durò  ti*a  gli  anni  1 187  e  587  innanzi  la  pre- 
detta era  veramente  volgare  :  e,  sebbene  già  al  sorgere  di  Roma 
la  discordia  funestasse  i  parlamenti  di  Voltumna ,  mentre  aveano 
contro  romani,  sanniti,  galli,  cartaginesi  e  greci,  per  cinque  se- 
coli anche  di  poi  fecero  prodigi  di  resistenza.  E  di  tal  guisa  gli 
elementi,  che  costituirono  la  nazione  itaUana,  vengono  ad  ^ser 


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compiuti.  Ma  resta  ora,  che  Y  etema  città,  formata  ella  stessa  di 
tre  stirpi  cognate,  gli  rifonda  e  gli  uniiìclii. 

XXVII.  Siftigio  deUe  genti  rejette  in  Bonuu 

Secondo  lo  storico  tedesco  dianzi  citato,  non  sarebbe  vero,  clie 
Roma  procedesse  da  una  mischianza  di  genti  italiche,  né  da  un 
rifiuto  0  rifugio  delle  medesime.  Ma  sarebbe  stata  un  ridotto  o 
mercato  comune,  e  indi  colonia  di  tre  distretti  rurali  del  Lazio 
(i  Ramni,  i  Taziensi  e  i  Lucori);  e  conseguentemente,  da  al- 
cun elemento  sabeUico  in  fuora,  tutta  di  sangue  latino.  Pure, 
quantunque  questo  sangue  (forse  misto  d'umbri,  di  pelàsgi  e  di 
cileni)  vi  prevalesse,  ed  essa, da  principio  alla  lega  latina  si  ad- 
dicesse; non  vi  è  ragione  plausibile  per  negarle  quelle  umili  origini, 
cui  essa  anche  nel  massimo  suo  orgoglio  non  ripudiò.  Secondo  le 
quali  adunque  il  mitico  Romolo,  duce  di  turbe  raccogliticce, 
avrebbe  sul  Palatino  innalzato  poche  capanne,  e  aperto  ad  altri 
pastori,  debitori  e  servi  fuggitivi  un  asilo.  Cosi  la  futura  capitale 
del  mondo  da  una  rivolta,  da  una  rivendicazione  e  da  una  riabi- 
litazione di  ceti  oppressi  ebbe  i  fatidici  natali.  E,  poiché  tosto  al 
villaggio  latino  sul  Palatino  aggregaronvisi  uno  sabino  sul  Capi- 
tolino ed  uno  etrusco  sul  Celio,  da  tre  diverse  stirpi  (753).  In 
breve,  altro  maggior  numero  di  sabini,  duce  Tazio,  s' incorporò  : 
ma ,  prim'  ancora  che  contraesse  co'  medesimi  società ,  avea  su 
loro  conquistato  ti'e  terre ,  toltone  un  terzo  de'  poderi  e  traspor- 
tatovi abitatori.  II  che  fu  inizio  delle  leggi  agrarie  e  delle  co- 
lonie e  del  successivo  interminabile  ampliamento  della  città,  de- 
stinata ad  assimilarsi  tutte  le  nazioni.  È  anche  memoria,  che 
Àppio  Claudio  sabino,  discorde  dagli  altri,  nemici  a  Roma,  e  ri- 
coveratosi in  questa,  venisse  fatto  patrizio;  e  lo  stuolo  de' suoi 
clienti  ascritto  al  popolo.  Ad  ogni  modo  codesti  originari  cit- 
t<idin%,  0  per  dir  meglio  conditori,  formarono  appresso  quel  pa- 
triziato,  che  mano  a  mano  che  la  città,  seguendo  il  suo  fato, 
cresceva  di  aggregati ,  soci  e  deditizi ,  quasi  giustamente  per  la 
comunione  a  costoro  delle  proprie  prerogative  contese.  E  di  tal 
guisa  la  graduale  e  progressiva  comunione  di  tali  prerogative,  se 
così  lice  esprimermi,  d' or/^inaWdd,  prima  internamente  a' nuovi 
abitatori  e  indi  esternamente  ai  vinti,  forma  il  nodo  della  romana 
storia.  La  quale  merita  ora  di  essere  particolarmente  considerata  ; 


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poiché  sui  sette  colli  appunto  si  anticipò ,  e  si  fissò  la  vocazione 
de'  secoli  futuri  e  dell'  uman  genere. 

XXVIII.  A^rgregaiione  de' Tinti  alla  romana  oompaffnia. 

A  quest'  uopo ,  e  mentre  prima  degF  itali  non  sì  conosceva 
quasi  altro  sistema  verso  i  popoli  debellati,  che  di  spegnergli  o 
d'incatenargli,  giova  anzi  tulio  notare  i  due  sistemi  italici,  cui 
tenne  Roma,  oltre  le  colonizzazioni,  per  ricongiungersegU.  E  cioè, 
se  propinqui,  di  trarnegli  tra  le  sue  mura  :  e,  se  lontani,  di  ren- 
dergli suoi  commilitoni  minori  e  federati  inuguali  o,  come  allor 
si  diceva,  soci.  Nel  primo  de'  quali  modi  i  nuovi  abitatori  forma- 
rono, insieme  co'  clienti  degli  anticbi ,  la  plebe.  E  primi  vi  ven- 
nero dalla  distrutta  patria  gli  albani ,  scampati  all'  eccidio ,  otte- 
nendovi domicilio  e  serbando  tenui  poderi;  ma  senza  partecipare 
a' diritti  di  città  (625).  Ad  Alba,  e  in  massima  ai  comuni  di  poi 
incorporati,  giusta  il  costume  d'  altri  popoli  italici  e  in  appresso 
de'  germanici,  si  tolse  un  terzo  del  territorio,  che  diventava  agro 
pubblico y  0  fondo  comunale.  E  una  parte  di  questo,  poscia  og- 
getto tra  patrizi  e  plebei  di  secolari  lotte ,  addicevasi  all'  erario  : 
suir  altra  deducevansi  le  colonie,  d' accosto  e  tal  volta  entro  i  me- 
desimi recinti  degli  indigeni.  Colla  caduta  d' Alba,  metropoli  delle 
trenta  comunità  latine  collegate,  colla  pace  allora  stipulata  e  colla 
unione  difensiva  tra  loro  intei*venuta,  Roma  divenne  capo  del  Lazio. 
E  da  principio  tale  unione  era  quasi  pari:  ma  naturalmente,  serban- 
do i  romani  la  decisione  e  la  capitananza  della  guerra,  la  egemonia 
mutarono  grado  grado  in  signoria.  Le  loro  durezze  per  altro  coi 
consanguinei  non  incominciano,  che  per  necessità,  e  in  seguito  a 
fellonia,  e  come  per  giusto  castigo  :  poiché  di  regola  nella  prima 
e  lìn  nella  seconda  volta  dolcemente  gli  assoggettano.  Cosi  eglino 
sotto  Tarquinio  prisco  i  latini  sottomessi  si  associano;  e  ai  me- 
desimi ,  ribellatisi  ne'  conati  dell'  ultimo  Tarquinio  per  ricuperare 
il  trono,  perdonano,  rinnovando  la  lega,  che  die  origine  al  fa- 
moso gius  latino  (496).  Pretendendo  poi  costoro  di  non  ricono- 
scere più  Roma  a  capo,  e  in  uno  di  essere  ammessi  al  consolato, 
al  senato  e  agli  altri  uflìci  ;  essi  e  i  vicini  volsci,  equi  ed  ernici, 
con  estremo  sforzo  e  col  sacrificio  del  primo  Decio  abbattuti, 
sempre  come  alleati  e  con  proprio  governo  obbligano  a  servire 
ne'  loro  eserciti  (338).  I  vejenti  in  vece,  espugnati  dopo  un  lungo 


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e  memorabile  assedio,  furono  parte  trucidati  e  parte  venduti  al- 
l' asta  :  e  dalla  ruinata  patria  trasportati  in  Roma  col  simulacro 
di  Giunone  e  degli  altri  dei ,  supplicati  e  assenzienti  (390).  Ma 
ai  capuani,  ricevuti  in  volontaria  dedizione  della  nobiltà,  che 
chiamato  avea  contro  il  popolo  in  soccorso  quella  fiera  progenie 
di  Marte,  si  mantenne  il  particolare  senato,  le  immense  ricchezze 
e  le  locali  franchigie  (342).  Ai  campani  lutti  accordossi  la  citta- 
dinanza senza  suffragi  :  ai  privernati ,  che  avean  chiesto  di  esser 
liberi  0  morti,  la  cittadinanza  perfetta;  agli  umbri  e  agli  etru- 
schi, imponendovi  molte  colonie ,  il  gius  italico.  Del  pari  dopo 
le  terribiU  giAerre  sanniiiche ,  questi  forti  nemici  (  coi  collegati 
umbri,  etruschi  e  galli  senoni)  vennero  sl> domali;  ma  solamente 
costretti  a  militare  come  aiuti  nelle  legioni  romane  (290).  E  in 
genere,  tranne  le  crudeU  eccezioni  di  Alba  e  di  Vejo,  forse  da 
supremo  timore  ispirate,  i  popoli  finitimi  sono  benignamente  trat- 
tati, e  ricevuti  appunto  nel  predetto  grado  di  soci  o  compagni. 
I  soci  kUini  (e  tali  erano  anche  gli  ernici,  equi,  volsci  ed  au- 
nmci  )  serbavano  adunque  le  istituzioni,  le  leggi  e  le  milizie  pro- 
prie, divenute  ausiliari:  godendo  oltracciò  i  maggiori  loro  magi- 
strati la  cittadinanza  romana ,  e  tutti  la  facoltà  d'  acquistarla  a 
certe  condizioni.  I  soci  italici j  spogliati  d'  una  parte,  e  proba- 
bilmente d' un  terzo  del  territorio,  gravati  di  tributo  e  di  un  con- 
tingente miUtare,  serbavano  tuttavia  propri  ordini  militari,  ed  an- 
che della  romana  cittadinanza  alcune  prerogative.  Onde  le  città 
confederate  o  municipii  (diverse  dalle  colonie,  che  aveano  or- 
dini, e  dalle  prefetture,  che  rettori  romani)  si  poteano,  oltre  che 
autonome ,  considerar  libere  e  quasi  indipendenti.  Era  di  giunta 
invalso  r  uso ,  sebbene  poscia  si  proscrivesse ,  che  gf  italici  si 
tramutassero  nel  Lazio,  per  impetrarvi  le  prerogative  latine;  e 
quinci  i  latini  in  Roma,  per  acquistani  la  cittadinanza  romana. 
Se  non  che,  contro  codesto  gius  sociale  o  federale,  proprio  della 
nostra  alma  penisola,  cominciarono  allora  per  esempio  straniero, 
e  sopra  tutto  cartaginese,  a  manifestarsi  più  aspri  modi  di  assog- 
gettamento. 


XXIX.  Chierra  sodale. 

Dopo  la  resa  di  Taranto ,  seguendo  la  conquista  di  tutta  la 
panta  meridionale  del  continente  italiano,  dovettero  le  città  greche 


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riconoscere  la  supremazia  de'  conquistatori ,  parie  come  confede- 
rate ;  ma  parte  come  suddite ,  e  parte  anche  soggiacendo  a  una 
occupazione  di  coloni  con  autorità  sui  natii  (  272  ).  La  Sicilia,  la 
Sardegna ,  la  Corsica  e  la  Gallia  cisalpina ,  a  cui  pur  si  uni  la 
Venezia,  furono  le  prime  poste  in  quella  condizione,  in  cui  poscia 
le  nazioni  oltramontane  e  oltraraarine,  non  divenute  regni  tribu- 
tari 0  vassalli.  Vale  a  dire,  in  condizione  di  suddite,  e  sotto  il 
governo  di  pretori  ed  indi  di  proconsoli;  o,  come  allor  si  dicea, 
di  Provincie  (222).  In  peggior  sorte  cadde  Capua,  ribellatasi 
perfidamente  dopo  la  rotta  di  Canne,  i  cui  nobili  vennero  truci- 
dati, e  i  plebei  tratti  in  senitù  (208).  E  in  genere  tutta  la  ma- 
gna Grecia:  i  cui  municipii,  perduta  la  prerogativa  del  ^tf^  ita- 
lico, vennero  a  un  commissario  della  capitale  sottoposti,  o  a  pre- 
fetture ridotti.  Ma  era  già  per  ventura  iniziato  un  moto,  mercè  il 
quale  dalla  società  andavasi  alla  civilità  romana ,  e  questa  '  dal- 
l'Italia  dilatavasi  all'orbe  conosciuto.  Roma  assai  più  lottò  per 
domare  i  vicini ,  che  per  calcare  V  angusto  pianeta  ;  né  potè  do- 
margli, se  non  dopo  trasfuso  nelle  sue  legioni  tutto  il  sangue 
e  tutta  la  virtù  de'  popoli  congiunti.  I  soci  latini  davano  circa  un 
terzo  del  numero  totale  alla  santa  romana  milizia,  e  Y  altro  terzo 
gl'italici:  gli  uni  e  gli  altri  comandati  da  propri  capitani,  e  par- 
tecipi de'  vantaggi  alquanto.  Ma,  siccome  questi  non  erano  equa- 
mente riparlili,  e  col  tempo  furono  quelli  con  disprezzo  e  quasi 
come  provinciali  trattati  da'  trop|)0  superiori  commilitoni ,  si  ri- 
bellarono. E,  strettisi  in  lega  marsi,  piceni,  vestini ,  lucani ,  ap- 
puli,  e  sopra  tutto  sanniti,  rivolsero  contro  Roma  le  armi:  non 
tanto  per  esserne  divisi ,  quanto  per  esservi  parificati.  «  Alle 
quali,  dice  Vellejo  Patercolo  (Istoria  Romana,  II).  quanto  fu 
ingiusta  fortuna,  altrettanto  ne  fu  giusta  la  causa.  Perciocché  di 
quella  città  addomandavan  la  civilità  gì'  italiani,  il  cui  imperio 
coir  armi  difendevano,  ed  a  cui  in  ogni  anno,  ed  in  ciascheduna 
guerra  somministravan  doppio  numero  di  cavalh  e  di  fanti;  ed 
era  dolente  cosa  i  dritti  di  cittadino  negarsegli  da  coloro,  i  quali 
essendo  \¥tv  essi  a  si  gran  possanza  pervenuti,  dimeutichevoli  al- 
lora del  comun  sangue  ed  origine  dimostrandosi,  come  strani  gli 
dispregiavano  ».  1  collegati  elessero  Corlìnio  a  capitale  ;  crearono 
due  consoli  o  imperatori  e  un  senato  di  cinquecento;  armarono  eser- 
citi pari  nel  valore ,  nel  comando  e  nella  disciplina  ai  romani , 
coniando  monete  col  santo  nome  d' Italia  e  col  toro  sannite,  che 
schiaccia  la  ronmlea  lupa.  Si  aggiunsero  quindi  a  loro  gU  etru- 


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schi  e  gli  umbri:  ma  (la  maggior  parte  di  costoro  e  i  latini,  ri- 
masti fedeli,  e  gli  altri,  che  si  ritraevano  dalla  lotta,  avendo  a  un 
tratto  ottenuta  la  cittadinanza  di  Roma  )  si  divisero  d' interessi  e 
d'animi.  Con  la  qual  divisione  Roma,  e  armando  i  liberti,  potè 
abbattere  i  sanniti ,  ultimi  loro  campioni.  Ma  non  senza  che  pe- 
rissero in  questo  supremo  olocausto  per  la  libertà,  che  fu  detto 
guerra  sociale  o  italiana ,  più  di  trecentomila  giovani  del  nobi- 
lissimo nostro  sangue  antico.  ^  d' altra  parte  erano  tali  i  nemici 
abbattuti,  ch'ella  credette  alla  fine  di  dover  concedere  anche  a 
questi  la  cittadinanza ,  incorporando  pe'  suffragi  tutti  gr  italiani 
nelle  sue  trentacinque  tribù  :  il  che  accrebbe  e  rese  di  poi  la  sua 
plebe  prepotente  (88).  Di  tal  guisa  Y  Italia  legale  ebbe  per  con- 
fini la  Magra  e  il  Rubicone:  ma  non  molto  tempo  appresso  an- 
che al  di  là,  prima  ai  galli  cispadani  e  quindi  ai  traspadani,  die- 
dersi  i  suffragi.  E  in  codesto  modo  non  i  singoli;  ma  tutte  le 
terre  e  le  genti  nostrane  (cessata  la  specialità  di  soci  e  provinciali, 
di  municipii,  colonie  e  prefetture)  formarono  una  sola  nazione.  Se 
non  che,  quando  in  seguito  Augusto  fino  alle  naturali  frontiere 
d' Italia,  e  Caracalla  fino  agli  estremi  limiti  deir  impero  estesero 
la  romana  cittadinanza ,  questa  non  era  più ,  che  un  nome. 


IXX.  Patrìaìato  e  plebe  in  Roma. 

Cosi  dunque  pria  colla  conquista  si  differenziarono ,  e  poscia 
nella  cittadinanza  si  uguagliarono  tutti  coloro ,  sopra  cui  stese  il 
suo  scettro  la  prole  di  Quirino.  Ma  occorre  soggiungere,  come  si 
distinguessero  i  cittadini  stessi:  il  che  più  propriamente  ai  ceti 
ci  riconduce.  Or,  sebbene  si  facesse  distinzione  onoriflca  tra' cit- 
tadini originari  e  avventizi  (genti  maggiori  e  minori )j  non  vi 
ebbero  naturalmente  caste.  Né  da  principio  quasi  ceti  diversi; 
giacché  quasi  tutti  i  cittadini ,  sendo  quiriti  (cioè  astati  o  armi- 
geri) e  padri  0  patrizi,  possedeano  i  requisiti  militari  e  gentilizi 
per  partecipare  ugualmente  allo  stato.  Questo  venne  tanto  pe'  suoi 
elementi ,  quanto  per  la  sua  forma ,  sopra  tutto  fondato  sulle  fa- 
miglie (dieci  delle  quali  formavano  di  regola  una  gente]  siccome 
dieci  genti  una  curia ,  e  dieci  curie  una  tribù),  E  anzi  primie- 
ramente costituito  a  dirittura  da  codesti  consorzi  domestici  :  di 
cw  il  senato  stesso  altro  non  era ,  se  non  un  consiglio  de'  capi 
r^hiivi;  0  meglio  de'  membri  delle  prime  famiglie,  ch'erano  state 


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ceppi  di  genti.  I  patrizi  soli,  in  cui  forse  prevaleva  il  sangue  e- 
li'usco,  come  ordine  religioso,  possedeano  gli  augurii  e  i  sacer- 
dozi; ne'  quali  comprendevasi  la  dottrina  delle  leggi,  i  legittimi 
imenei,  il  legittimo  dominio  e  in  genere  il  legìttimo  diritto  pri- 
vato, oltre  la  forma  esclusiva  di  render  valido  ogni  atto.  Ma  coi 
liberti  e  clienti ,  ospiti  e  inquilini  di  ogni  maniera  e  di  ogni  re- 
ligione, che  fra'  sette  colli  convennero,  massime  dalle  atterrate 
0  incorporate  città  laziali,  sorse  di  fianco  al  popolo  de'  patrizi, 
esclusivamente  fornito  delle  civiche  e  quasi  anco  delle  giurìdiche 
prerogative,  una  plebe  che  n'era  sfornita.  La  quale  per  altro, 
già  a'  tempi  di  Numa,  istitutore  delle  corporazioni  degli  artefi- 
ci ,  dovè  colle  occupazioni  venaU  saUre  a  qualche  importanza  : 
siccome  poi  colle  medesime  affermarsi  nello  stato.  Il  censo  di 
Servio,  che  noverò  circa  venti  migliaja  di  cittadini  possidenti  e 
atti  alle  armi,  non  sostituì  veramente  tosto  una  dominazione  per 
beni  ad  una  per  sangue.  Ma  pure  ne  iniziò  l'avvenimento;  giac- 
ché ,  sebbene  le  centurie  fossero  istituite  pel  debito  della  milizia, 
erane  il  suffragio  naturai  conseguenza.  Ad  ogni  modo  cominciò 
egli  a  dar  basi,  se  non  di  democrazia,  certo  di  timocraeia  al 
regno;  prima  ordinando  i  plebei  della  città  e  del  distretto  in  trenta 
tribù  con  presidi  e  comizi  propri.  E  indi  dividendo  in  classi  e 
in  centurie  i  censiti ,  e  ripartendo  tra  loro  diversamente ,  secondo 
gli  averi,  le  gravezze,  le  armi  e  i  voti.  Ma,  siccome  una  sesta 
classe ,  di  proletari ,  era  dal  tributo  e  dalla  milizia  esente ,  e  al- 
tresì del  suffragio  poco  meno  che  priva ,  e  sebbene  i  più  ricchi 
avessero  obbligo  di  servire  nella  milizia  pesante. a  proprie  spese, 
pur  questi  ebbero  maggior  favore.  Onde  il  re  benigno,  attiratosi 
l' odio  de'  patrizi  offesi ,  fu  ucciso  dal  re  superbo  (534). 


XXXI.  Ck^ntensioni  tra  patrisiato  e  plebe. 

Del  resto  nella  elezione  de'  principi  e  nella  deliberazione 
delle  leggi  ebbe  sempre  parte  il  popolo,  almeno  ne'  comizi  ca- 
riati: poiché,  secondo  la  ragione  italica,  sino  da'  più  vetusti  tempi 
non  è  legittimo  altro  impero,  se  non  questo.  Però,  anche  quando 
ne'  comizi  ceniuriati  e  ne'  comizi  tributi  (organi  della  sua  po- 
tenza) i  suoi  suffragi  ebbero  maggiore  estensione  ed  efficacia, 
oweramente  all'  antico  popolo  il  nuovo  si  aggiunse  ;  restavagli 
assai  più  d'acquistare.   Dopo  la  cacciata  de'  re,  cadendo  la  pò- 


-  47  — 

desta  suprema  ne'  due  consoli  e  nel  senato ,  benché  questo  acco- 
gliesse nel  suo  seno  alcuni  plebei  col  nome  di  padri  coscritti  e  con- 
fermasse i  decreti  del  popolo  e  proponessegli  i  magistrati ,  ma  i  più 
de*  quali  da  eleggersi  tra'  patrizi;  rimase  vie  più  a  costoro  la 
prevalenza  (533 j.  Costoro  anzi ,  già  dal  monopolio  delle  cose  sa- 
cre e  delle  formule  legali  e  da  tante  altre  circostanze  favoriti, 
oe  abusarono  tanto,  anclie  nella  sfera  degli  interessi  materiali, 
che,  assicuratisi  definitivamente  da'  conati  monarchici,  e  non  a- 
vendo  più  niente  a  temere,  colle  leggi  de'  debiti  oppressarono 
i  plebei  crudamente.  E  questi ,  dovendo  servire  nello  esercito  senza 
soldo ,  armarsi  del  proprio ,  pagar  le  gravezze  su'  miseri  tenimen- 
ti,  e  insieme,  standosi  al  campo,  lasciarnegli  incolti ,  s' indebita- 
rono. Né  potendo  poscia  riscattarsi  del  capitale  e  dell'  usura ,  che 
giungeva  sino  all'otto  e  al  dieci  per  cento,  doveano  con  tutti  i 
propri  beni  e  col  proprio  corpo  pagare;  divenir  servi  del  credi- 
tore e ,  se  costui  vendevagli ,  schiavi.  Determinaronsi  per  tanto  alla 
ritirata  sul  monte  Sacro ,  col  proposito  di  cercare  una  novella 
e  meno  ingratii  patria.  Ma,  intercedendo  Menenio  Agrippa,  otten- 
nero colle  leggi  sacrate  per  loro  tutori  il  più  stupendo  istituto 
umano ,  i  tribuni.  I  quali ,  pria  cinque  e  indi  dieci ,  sacri  appunto 
e  inviolabiU ,  ebbero  in  breve  facoltà  di  porre  il  veto  a'  consulti 
del  senato  ed  a'  provvedimenti  de'  consoli,  che  recassero  al  po- 
polo detrimento  ;  e ,  se  ciò  non  giovasse ,  d' interdire  la  leva  dei 
soldati  e  la  esazione  de'  tributi  (494).  Poco  appresso  bandirono  i 
plebei  Coriolano ,  che  cercava  di  strappare  a  loro  con  la  fame  l' a- 
boUzione  del  tribunato  (490).  E  dovettero  pure  incominciar  tosto 
una  seconda  contesa ,  che  accompagnar  doveva  sino  alla  fine  la 
repubblica ,  e  procacciarne  la  mina.  Imperocché,  sebbene  la  proprie- 
tà deir  agro  pubblico  spettasse  allo  stato ,  concedeasene  l' usufrutto 
a'  pau-izi,  che  il  cedevano  a'  propri  clienti  e  liberti  a  coltivare, 
osandosi  pel  pagamento  del  canone  reciproca  indulgenza.  Chiesero 
adunque  di  quando  in  quando  i  plebei  d' esser  fatti  partecipi  di 
questo  comune  pati^imonio,  formato  (come  già  dissi)  da'  terreni 
in  comune  conquistati.  Ma  per  molto  tempo  inutilmente  :  e  Spu- 
rio Cassio,  console,  ed  uomo  molto  benemerito  e  illustre,  che 
primo  propose  codesta  universale  partecipazione ,  e  cioè  le  leggi 
orarie  j  venne  dalla  rupe  Tarpea  precipitato  (486). 


-  48  - 


XXXII.  Riscatto  della  romana  plebe. 

Meglio,  che  in  queste  due  alTrancazioni  economiche ,  prose- 
gui poi  r  inclita  romana  plebe  nelle  affrancazioni  politiche  s),  da 
potere  con  le  medesime  adeguarsi  al  patriziato.  Amministrando  que- 
sto la  giustizia ,  con  un  diritto  riservato  e  consuetudinario  arbitra- 
riamente, chiese  primieramente  quella  leggi  scritte.  E,  benché 
i  dieci  patrizi,  deputati  a  compilarle,  tiranneggiando,  costrìnges- 
serla  di  nuovo  a  ritirarsi  sul  monte  Sacro ,  ottenne  le  dodici  ta- 
vole y  vangelo  giuridico  del  mondo  (448).  Ottenne  poscia  del  pari 
la  comunione  delle  nozze,  ma  non  anche  tosto  del  consolalo: 
in  luogo  del  quale,  poiché  i  tribuni  suoi  interdicevano  la  leva 
de'  soldati ,  per  alcun  tempo  si  crearono  da'  due  ordini  i  trOnmi 
de'  militi  con  podestà  consolare  (442\  Tuttavia,  dopo  la  partema 
de'  galli,  la  plebe  scorala,  in  vece  di  riedificare  i  patri  abitnrii 
voleva  passare  a  Vejento.  Onde  il  patriziato,  per  non  perdere  i 
diritti,  fissi  in  quegli  abituri,  la  trattenne ,  demolendo,  disertando 
e  sconsacrando  la  rivai  città.  Pretese  di  poi  questo  gli  antichi  pri- 
vilegi, e  fin  di  ripristinare  le  viete  leggi  de'  debiti.  Né  valse  a 
Marco  Manlio,  che  assunse  il  patrocinio  degli  oppressi,  di  avere 
innanzi  salvo  il  Campidoglio  con  tanta  virtù.  Fu  egU  pure ,  come 
tiranno ,  precipitato  dalla  rupe  Tarpea  ;  atterratane  la  casa ,  e  im- 
precatane la  memoria  (383).  La  sua  morte  nondimeno  ebbe  ven- 
dicatori Licinio  Stolone  e  Lucio  Sestio ,  tribuni  della  plebe ,  che 
proposero  (luosti  tre  famosissimi  partiti.  Ne'  debiti ,  sbattuto  quanto 
si  era  pagato  a  conto  d'interesse,  il  residuo  capitale  in  tre  rate 
annuali  e  uguaH  si  estinguesse.  Nessuno  più  di  cinquecento  jugerì 
dell'agro  pul)bHco  possedesse,  dividendosi  in  minute  parti  e  a 
sorte  il  resto  :  e  fosse  uno  de'  consoli  plebeo.  I  quali  partiti,  dieci 
anni  contrariati,  furono  alla  per  fine  come  legge  approvati.  Di 
guisa  che,  (piando  più  tardi  anche  gli  altri  magistrati  e  i  sacer- 
dozi vennero  alla  plebe  accomunati ,  ne  s(*gul  tra'  due  ordini  la 
parità,  e  tra'  cittadini  la  concordia  (3C(1).  E  cosi  il  secolo,  in  cui 
]HÙ  splendettero  la  virtù  e  la  felicit;)  romana,  é  circa  il  quinto 
dalla  fondazione:  (luello,  in  cui  i  due  ordini  vissero  paride 
concordi  i  citUìdini. 


-49- 


XXXin.  Basa  borghesia  in  Bona. 

Poiché  il  popolo,  oltre  gli  ufiSci  comuni,  aveva  di  proprio 
W  tribanato  (al  quale  non  poteano  i  patrizi  accedere  senza  ini- 
plebearsi  ),  e  ne'  suoi  frequenti  e  frementi  comizi  statuiva  le  leg- 
gi ,  creava  i  magistrati ,  deliberava  della  guerra  e  dblla  pace  e 
fìn  sentenziava  sulle  appellagioni  ;  di  leggieri  si  capisce ,  esservi 
stato  un  momento,  in  cui  esso  divenne  politicamente  piuttosto 
maggiore,  che  uguale  alla  nobiltà.  Anzi,  durante  Y  invasione  d'An- 
nibale, quasi  in  tutte  le  città  della  media  e  bassa  Italia  la  ciur- 
maglia, autrice  della  vituperevole  loro  ribellione  ai  romani  di 
faccia  allo  straniero,  despoteggiava.  Ma  quinci  appunto  principia, 
sopra  tutto  colle  incette  e  cogli  approvigionamenti  per  questa  ti- 
tanica repulsione ,  la  esaltazione  d' una  popolesca  e  danarosa  oli- 
garchia. Imperocché,  obbligando  i  plebisciti  ambo  gli  ordini,  e 
cangiandosi  poi  la  costituzione  stessa  del  senato,  si  pub  dire, 
che  allora  in  Roma  la  vera  aristocrazia  avesse  cessato.  Primiera- 
mente né  la  nobiltà  reputavasi  più  prerogativa  de'  soli  patrizi  (sendo 
Ja  Livio  e  da  Sallustio  dimandate  nobili  la  famiglia  Porcia  ed 
altre  colali  del  popolo ,  antiche  e  nuove  );  né  più  il  senato  era 
nnicamente  un  consesso  di  patrizi.  Dappoiché  da' censori  vi  si 
ascrivevano  mano  a  mano  que'  popolani ,  che  stati  fossero  edili 
<^«nili,  pretori,  tribuni  o  consoU.  E  negli  ultimi  tempi  della  re- 
pubblica (  fatto  non  abbastanza  avvertito  )  menzionavasi  piuttosto 
bordine  senatorio j  che  un  patriziato:  del  qual  ordine  erano 
partecipi  coloro,  i  cui  maggiori,  sebben  popolari,  fossero  slati 
senalori.  Ma  ad  ogni  modo,  spettando  l'imperio  al  popolo,  e 
Questo  potendo  colla  intercessione  de'  tribuni  sin  1'  azione  del 
senato  moderare ,  il  reggimento  divenne  popolare.  Colai  voce  per 
altro  è  a  intendersi  già  in  senso  ristrettissimo,  ed  equivalente  a 
Twlla  odierna  di  borghese.  Sopra  tutto  in  causa  de'  comizi  cen- 
turiati,  ne' quali  il  popolo  censito  manifestava  la  sua  volontà;  e 
06' quali  un  ceto  di  popolani  grassi  e  di  nobili  nuovi,  che  non 
sono  più  i  patrizi  antichi ,  prevaleva.  Mediante  il  censo  in  fatti , 
cbe  ad  ogni  cinque  anni  rifacevasi,e  con  cui  davasi  o  toglievasi 
tale  0  tale  stato  a'  cittadini  ;  questi  senza  distinzione  di  patrizi  e 
plebei,  erano  in  due  ordini  divisi,  l'equestre  e  il  pedestre,  giu- 
^  che  militare  doveano  a  cavallo  o  a  piedi.  Erano  i  primi  in 

4 


—  50- 

diciotto  centurie ,  e  i  secondi  in  sei  classi  di  centosettantasei  cen- 
turie descritti  :  e ,  valendo  i  voti  d' una  centuria  per  uno  ne'  ge- 
nerali squittini,  sembrava,  che  tutti  fossero  uguali.  Se  non  che, 
siccome  T  appartenere  piuttosto  ad  una,  che  ad  altra  sezione, 
dipendeva  dal  possedere  gli  eqtitti  almen  centosessantamila  se- 
sterzi, i  pedoni  della  prima  classe  quarantamila,  e  cosi  via  via 
digradando;  e  siccome  le  centurie  e  quindi  i  voti  erano  tra  loro 
in  modo  ripartiti,  che  più  ne  avessero  i  più  abbienti,  i  quali 
sono  in  minor  numero  ;  in  effetto  Y  ordine  e  la  classe  Iort>  con- 
tavano assai  più,  che  quelle  de' meno  abbienti.  Anzi  T  ultima 
classe  de'  censiti  o  de'  non  abbienti ,  nomati  appunto  per  ciò  capi- 
tecensi,  non  avendo,  che  una  centuria  e  un  voto,  benché  con 
romana  giustizia  dal  tributo  e  dalla  milizia  esenti ,  si  può  aggiun- 
gere che  nulla  contassero.  E,  siccome  le  centurie  e  i  voti  de' 
fanti  della  prima  classe  erano  ottanta,  chiaro  si  vede,  come  ba- 
stasse il  loro  accordo  co'  cavalieri  per  dar  luogo  a'  maggiori  suf- 
fragi: nel  qual  caso  non  vi  era  pur  bisogno  di  chiederne  altrì. 
Onde  un  ceto  facoltoso  o,  come  or  si  dice,  la  borghesia  rapi 
allora  e  per  un  certo  lasso  lo  stato  ai  più  rozzi  quiriti. 


XXXIV.  Alta  borghesia  in 

La  Legge  Licinia  adunque,  e  le  seguenti  riforme,  che  in 
men  d'un  secolo  acx;omunarono  la  censura,  la  pretura,  l'edili- 
tà, l'augurato  e  il  pontificato,  annientarono  la  nobiltà  dinastica, 
0  il  patriziato  antico,  quale  corpo  sovrano.  Ma,  mentre  davano 
poi  luogo  a  un'  aristocrazia  avventizia ,  non  soUevavano  le  angu- 
stie del  popolo;  né  tra' ricchi  e  poveri  cx)lmavano  il  profondo 
abisso.  Le  Leggi  Valeria,  Puhhlia  e  Ortensia,  rendendo  le 
deliberazioni  de'  comizi  tributi  vaHde  al  pari  di  quelle  de'  cen- 
turiati  (  tranne  nelle  elezioni  principali  e  nelle  altre  materie  a 
questi  esclusivamente  devolute),  favorirono  per  verità  un  largo 
reggimento.  Ma  in  onta  a  ciò,  se  potè  in  appresso  spuntare  la 
demagogia ,  non  potè  una  democrazia  perfetta  consolidarsi  ;  sendo 
la  parità  pohtica  de' ceti  vinta  dall  imparità  economica ,  e  n  prin- 
cipio dal  fatto.  Erasi  appunto  formata  allora  una  nobiltà  nuowi, 
e  anch'essa  ereditaria,  da' plebei  ammessi  pel  tramite  delle  ma- 
gistrature niruli  in  senato,  da'  loro  discendenti  e  da'  cavalieri  per 
censo.  La  (piale,  ripetendo  i  suoi  titoli  dalla  fortuna,  non  profiegni 


—  51  — 

verso  il  popolo  diseredato  in  quel  sistema  di  regolata  accondi- 
scendeoza  deir  antico  patriziato ,  che  gli  ripeteva  dal  valore.  E 
cosi  inasprì  le  cose  in  nnxlo,  che  le  guerre  civili  e  gli  altri  mo- 
stri, che  indi  spensero  la  romana  libertà,  non  furono  tanto  da 
un  conflitto  politico,  quanto  economico  tra'  ceti ,  e  propriamente 
da  ciò,  coi  oggidì  si  suol  chiamare  questione  sociale ,  ingenerati 
Lo  sviluppo  in  fatti  della  economia  senza  limiti  aveva  come  og- 
gidì, ma  in  due  naodi  alquanto  diversi,  resa  la  sorte  del  popolo 
predetto  ins(^portabile.  Prima  la  pecunia  aveva  colle  usure  latto 
guerra  mortale  alla  proprietà  prediale,  e  alla  per  flne  ingoiatala. 
Poscia  questa  medesima  proprietà ,  raccozzata  dalle  usure ,  con- 
densandosi ne' Iati  fondi ,  e  surrogando  T  opera  schiavesca  alla 
libera  (naturale  risultato  di  un  movimento  non  raffrenato  delle 
ricchezze),  sommerso  nella  miseria  le  persone.  Dilatato  inoltre 
r  imperio,  scemato  V  amor  patrio,  perduti  gli  antichi  austeri  costu- 
mi, tra  la  sete  de' piaceri,  il  lusso,  la  crapula,  T  incredulità  e 
tutti  gli  altri  maleficii  della  corruzione  greca  e  orientale;  divenne 
anche  in  Roma  la  caccia  agli  averi  la  suprema  aspirazione  degli 
animi.  La  nobiltà  nuova  co'  proconsolati  e  le  propreture ,  e  colle 
rispettive  malversazioni  e  concussioni  (  borghesia  emerita  );  e  l' or- 
dina equestre,  colle  endiche  e  cogli  appalti  delle  gabelle  (borghesia 
pobblicana)  non  miravano  ad  altro  nelle  Provincie,  che  a  quella 
caccia.  E  le  estorsioni  giunsero  al  punto,  che  le  insurrezioni  e 
iodi  le  guerre  lusitanica  e  numantina  non  ebbero  altro  movente, 
che  la  di^razione  de'  popoli  angariati.  Ma  anche  in  Italia  la  no- 
biltà nuova ,  oltre  il  monopolio  de'  lucrosi  uffici  dello  stato,  aven- 
do grado  grado  racquistato  quello  dell'  agro  pubblico ,  e  sin  colla 
violenza  i  predi  privati ,  ridusse  il  ceto  de'  liberi  coltivatori  al 
niente.  Altre  volte  fondamento  della  repubblica,  e  fonte  di  pro- 
bità, di  operosità,  di  fierezza  e  di  tutte  le  belliche  e  civili  virtù, 
cedeva  esso  il  luogo  a  masnade  servili  ;  e  vagava  per  la  penisola 
0  nella  capitale  accalcavasi ,  torbido  e  abietto.  Cosi  da  questo 
ceto,  e  da  tutt'i  cittadini  impoveriti  e  da'  clienti  poveri,  cui  la 
vecchia  aristocrazia  gentiUzia  contrappose  alla  nuova  aristocrazia 
borghese ,  emerse  la  nuova  plebe.  E  il  solenne  atto,  che  la  rico- 
nobbe, fii  quella  riforma  de  comizi  centuriati,  che  tolse  a' cava- 
lieri la  precedenza  nelle  votazioni,  die  probabilmente  a  ogni  classe 
di  fanti  ugual  numero  di  voti ,  e  rese  pari  i  libertini  agi'  ingenui. 


~  52- 


XXXV.  Sorte  del  proletariato  romano. 

Fra  tali  circostanze  ebbe  nascimento  e  alimento  la  sventu- 
rata e  pur  cotanto  nobile  impresa  j  che  fu  detta  la  sedizione  éU^ 
Gracchi  (133-121).  La  giustizia  della  quale  io  non  so  in  qual 
miglior  modo  potrebb'  essere  testimoniata ,  che  da  queste  consi- 
derazioni ,  cui  uno  scrittore  di  tanti  secoli  discosto  da  queste  pre- 
senti e  supposte  ubbie  del  quarto  ceto,  reca.  «  Di  tutte  le  terre, 
dice  Plutarco  (  Vita  di  Tiberio  e  Cajo  Oracchi  ),  che  acqui- 
stando andavano  colla  guerra  i  Romani  da'  confmanti ,  ne  ven- 
deano  una  parte,  e  rendean  T  altra  di  ragione  del  pubbUco,  e 
distribuivanla  ai  cittadini  indigenti  e  mendici,  che  ne  pagavano 
una  moderata  contribuzione  all'  erario.  Ma  incominciato  avendo  i 
doviziosi  ad  esibire  contribuzioni  maggiori ,  e  in  tal  maniera  scac- 
ciando egUno  i  poveri,  fatta  fu  legge  la  qual  proibiva  il  posse- 
dere più  di  cinquecento  jugeri  di  terreno:  e  una  tale  determinsH 
zione  represse  per  alcun  poco  di  tempo  V  avidità  de'  ricchi ,  e 
diede  soccorso  a'  poveri ,  che  si  rimanean  ne'  poderi  ad  esso  loro 
allogati,  e  godeansi  i  proventi  di  quella  porzione  che  da  prima 
stat'  era  ad  ognuno  assegnata.  Ma  in  progresso  poi  di  tempo  tra- 
sferendo i  doviziosi  confìnanti  in  sé  medesimi  col  mezzo  dì  sup- 
positizie persone  quelle  allogagioni ,  e  alla  fine  tenendone  già  pa- 
lesemente moltissime  sotto  il  proprio  lor  nome,  i  poveri  che  se 
ne  vedevano  espulsi,  più  non  si  portavano  di  buona  voglia  alle 
guerre,  né  più  si  prendean  cura  di  allevare  i  figliuoli;  di  modo 
che  r  Italia  tutta  era  per  essere  ben  tosto  spopolata  in  gran  parte 
d' uomini  liberi ,  e  ripiena  in  vece  di  schiavi  barbari ,  col  mezso 
de'  quali  i  ricchi  lavorar  facevan  le  terre ,  donde  scacciati  aveano 
i  lor  cittadini  ».  Il  primo  adunque  de' due  santissimi  tribuni,  figli 
di  Cornelia  e  nipoti  del  grande  Africano,  oltre  che  di  estendere 
la  civilità  a  tutti  gì'  italiani ,  si  propose  nel  medesimo  tempo  di 
rifare  quel  ceto  de'  Uberi  coltivatori  (  veramente  medio,  e  non  quale 
oggidì  si  vanta  essere  il  terzo  ceto  ),  eh'  era  stato  primo  fattore 
della  grandezza  italica  e  romana.  Al  quale  uopo,  ritogliendo  le 
terre  demaniali  a'  privati ,  che  se  Y  erano  usurpate ,  e  contro  le 
quaU  non  decorrea  prescrizione,  ribsciavane  loro  sino  a  doque- 
cento  jugeri,  e  davano  trenta  in  enfiteusi  a'  concittadini  ed  a'  con- 
federati. Non  piacque  allora  la  sua  causa,  e  indi  quella  del  fra- 


—  53  - 

(elio  C^'o  e  di  Livio  Dniso  agi'  iddii ,  ed  a  tutti  coloro,  che  re- 
putano sempre  colpevoli  i  riprovati  dalla  fortuna.  Ma  tuttavia  pri- 
ma delle  moderne  viltà  non  vi  avea  chi,  pur  coudannandogli , 
Don  gli  ammirasse;  siccome  del  resto  non  vi  ebbe  mai  tra  gli 
tatichi  chi  non  ammirasse  ambo  i  Bruti.  E  in  prova  cedo  la  pa- 
rola ad  un  antico  storico,  niente  meno  che  devoto  a  Tiberio  Ce- 
sare e  fido  a  Sejano;  e  il  quale,  anche  dove  gli  biasima,  non 
sa  quanto  gli  onori.  , 


XXXVI.  easta  trilnuiiiia  da'  Bn^obì. 

«  Tiberio  Gracco...,  dalla  plebe  eletto  tribuno,  sebbene  di 
costumi  purissimi ,  di  fiorito  ingegno  e  di  orrevoli  concetti ,  e  di 
ogni  specie  di  virtude  adorno ,  nondimeno  s' incattivi  ;  ed  a  tutta 
Italia  la  cittadinanza  promettendo ,  e  leggi  agrarie  agli  amanti  di 
novità,  ed  a  poveri  cittadini  sempre  accettissime  promulgando, 
in  rovine ,  ed  in  perigli  la  repubblica  immerse.  Deponendo  quindi 
dal  tribunato  il  collega  Ottavio,  perchè  a  ben  fare  disposto,  la 
divisione  delle  terre ,  e  la  condotta  delle  colonie  a  sé  stesso  affi- 
di,  congiungendosi  il  consolare  Àppio  suo  suocero,  e  suo  fra- 
tello Gracco  ancor  giovane.  Ma  Publio  Scipione  Nasica . . . ,  rag- 
gruppatasi al  sinistro  braccio  la  toga,  e  sopra  i  più  alti  gradini 
delh  parte  superiore  del  Campidoglio  salito,  a  seguitarlo  esortò 
chi  la  repubblica  salva  desiderava.  Allora  gli  ottimati,  il  senato, 
la  maggiore ,  e  più  scelta  parte  de'  cavalieri ,  ed  i  pletei  da  con- 
sigli perfidi  non  travagliati  fecero  empito  contro  Gracco,  che  in 
piazia  sen  stava  tra  le  torme  de'  suoi ,  la  moltitodìne  di  quasi 
tutta  Italia  infiammando.  Egli  fuggi ,  e  dal  colle  ^^pitolino  seen- 
deado,  colpito  da  un  troncone  di  banco,  con  immatura  morte  pone 
fine  alla  vita,  che  avria  possoto  samnamefite  render  glorìoput 
Fvoo  queste  le  prime  anni,  che  RmBa  ride  impow^meote  lorde 
di  sangue  duadioeseo.  Da  iodi  it  poi  daBa  fioirza  il  dritto  oppres^ 
sossi,  i  più  arditi  ebber  potsanza ;  e  le  cìyìS  ifefiordje,  die  pria 
co'  patti  tominar  si  soieaaO;  col  ferro  6mm  <fe«iMr  ;  e  la^m/J^  Oh 

giooi ,  e  per  priviti  fini  mtre  m  kttm f  Mfi  anmi  Af^  h 

nme  di  Tiberio  Gracco.  Cajo  di  U  iralHIo,  dalb  ^^mn  («ria 
b  iavaso.  Per  iagegno  e  («r  4^0iffKmiz  4»  mm  hm^  Mip^tMure  a 
liberk),  neOe  limitaci  nrla.  «  4tf^  <M  MM»  lo  mmamtjmx 
K  posMado  pacifir  MM Hi?  csfatrr  i  fnm  Mb  «eioàit^  Jerinterto 


-.54  — 

di  vendicar  la  morte  del  fratello ,  o  di  prepararsi  un  regio  domi- 
nio lo  sospingesse,  fatto  tribuno,  concetti  più  smisurati,  e  pia 
odiosi  sul  di  lui  esempio  dispiegando  :  accordava  a  tutta  Italia  li 
civilità,  fino  quasi  all'Alpi  estendendola:  dividea  le  campagne: 
proibiva,  facendo  rivivere  la  legge  Licinia,  che  niun  cittadino 
più  di  cinquecento  jugeri  possedesse  :  nuove  gabelle  inventava  : 
nuovi  coloni  affollava  nelle  Provincie  :  concedeva  a  cavalieri  in 
luogo  del  senato  il  dritto  di  giudicare  :  stabiliva  il  frumento  da 
distribuirsi  alla  plebe  :  e  tutto  infine  ravvolgendo  sossopra ,  avea 
la  pace ,  e  la  tranquillità  bandite  dalla  città  ;  prorogandosi  perfino 
da  per  sé  il  tribunato.  Ma  armatosi  Lucio  Opimio  consolo,  il  quale 
pretore  distrutto  avea  Fregeila,lo  spense  insiememente  a  Fulvio 
Fiacco,  uomo  adorno  di  consolato,  e  trionfo,  a  malvagi  consigli 
eziandio  inchinato,  e  cui  egli  nel  regio  potere  associando,  trium- 
viro nomato  avea  in  luogo  di  Tiberio.  Isconciamente  solo  Opi* 
mio  operò  nel  prezzolare,  e  mettere  a  peso  d'oro  la  testa  di 
Csgo ,  nel  quale  il  cittadino  romano  rispettar  si  dovea.  Fiacco  in- 
fiammando i  suoi  scherani  alla  punga,  in  suir  Aventino  col  mag- 
gior suo  figliuolo  fu  ucciso.  Gracco  fuggendo ,  e  quasi  sopragiunto 
da'  gherri  di  Opimio,  porse  il  collo  ad  Euporo  servo,  il  quale 
il  braccio  prestato  avendogli,  coraggiosamente  quindi  contro  sé 
stesso  il  ferro  ritorse  »  (Istoria  romana  di  Vellejo  Paterco- 
lo,  II). 


XXXVll.  Wta&Bne  popolesca  di  Mario. 

L' aristocrazia  borghese  per  tanto  non  solamente  è  colpevole 
di  non  avere  alle  giuste  ragioni  del  popolo  ceduto;  ma  di  avere 
per  la  prima  usato  la  violenza ,  spregiato  i  plebisciti ,  infranto  la 
costituzione ,  e  posto  le  mani  addosso  alle  persone  de'  tribuni ,  per 
legge  sacre  e  inviolabili.  Dopo  di  che  imbaldanzì ,  e  non  avendo 
più  contrappesi ,  sprofondò  nelle  bassezze  talmente ,  che  Giugurta 
potè  contare  sulla  sua  connivenza  prezzolata  per  commettere  ogni 
scelleratezza,  e  fin  per  far  passare  sotto  il  giogo  un  romano  esercito. 
Indignato  quindi  il  popolo,  creò  console  Cajo  Mario,  uomo  di  na- 
scita vile  e  di  ruvidi  costumi;  ma  spregiatore  de'  grandi,  e  sol- 
dato severo  e  valente  all' antica ,  che ,  oltre  la  guerra  giugurtina, 
vinse  la  cimbrica  e  la  teutonica.  Sotto  il  sesto  consolato  del  qua- 
le, giunto  il  popolo  al  colmo  della  fortuna ,  il  tribuno  SatumiAO 


—  55  — 

propose,  che  si  distribuisse  grano ,  e  nelle  Gallie  e  in  Africa 
terre,  ai  [hu  mescbioi.  Se  non  che,  pel  disordine  e  pel  tumulto, 
rimase  da'  giovani  patrizi  superato.  Poco  appresso  il  nobilissimo 
e  virtuosissimo  Livio  Druso ,  parimente  tribuno ,  tentò  forse  il  più 
savio  e  onesto  sperimento.  Interponendosi  paciere,  colla  restitu- 
zicoe  de'  giudizi  e  degli  altri  onori  al  senato,  propugnò  pure  il 
ripristino  delle  leggi  agrarie,  la  distribuzione  di  grano  e  di  terre 
lontane,  e  il  conferimento  della  cittadinanza  agl'italiani.  £  stava 
per  vincere,  se,  contrariato  dal  senato  medesimo,  invido  e  venale, 
Qoo  fosse  stato ,  di  ritorno  dal  foro  e  tra  l' immensa  turba ,  ucciso 
a  tradimento  (100).  Sin  qui  il  popolo  romano,  che  nelle  sue  me- 
ste e  pietose  secessioni  non  avea  pur  tocco  un  fil  d' erba ,  e  an- 
che di  poi  non  erasi  mai  macchiato  delle  crudeltà  e  degU  ecces- 
si ,  ciie  usano  le  briache  e  forsennate  turbe  d' oltre  monti  nelle 
lor  rivolte  ;  sin  qui ,  nella  graduata  rivendicazione  de'  suoi  diritti 
luogo  i  secoli ,  questo  santissimo  popolo  con  soiTerenza  e  mansue- 
tudine si  contenne.  Da  questo  punto  in  vece ,  poiché  tutte  le  fu- 
rie della  nequizia  del  mondo  erano  in  Roma  convenute  ;  da  que- 
sto punto  la  carità  di  patria  e  fin  V  umano  sentimento  tace  tra  le 
(azioni  :  la  democrazia  degenera  in  demagogia  affatto ,  per  cedere 
iodi  il  seggio  alla  dominazione  infame  de'  cesari. 


XXXYIII.  enerre  dviU. 

Mentre  adunque  Lucio  Cornelio  Siila ,  capo  della  fazione  ari- 
stocratica ,  accumulava  in  Asia  trofei  ;  il  capo  della  fazione  po- 
polana ,  reduce  dalle  mine  di  Cartagine ,  Mario ,  unitosi  con  bande 
tumultuarie  a  Cinna  e  Sertorio ,  caporali  della  marmaglia  (quarto 
ceto) ,  entra  per  forza  in  Roma ,  e  dà  cominciamento  alla  prima 
guerra  civile.  I  suoi  corrono  la  città,  traendone  bottino  e  mas- 
sacrando i  patrizi  :  ma  egli ,  fattosi  elegger  consolo  la  settima  vol- 
ta, non  sazio  ancor  di  sangue,  muore  (86).  Tornato  Siila  col  fa- 
vor de'  patrizi ,  scanna  nel  circo  quattromila  tra'  seguaci  di  quello  e 
sanniti  ribelli.  Né  pago  delle  centomila  vittime,  già  alla  discor- 
dia immolate ,  pubblica  contro  i  mariani,  affinchè  fossero  spogUati 
e  morti ,  le  famose  tavole  di  proscrizione.  Le  quali ,  rompendo 
i  legami  del  sangue  e  della  pietà,  eccitando  la  delazione,  la  cu- 
pidigia, il  sospetto,  lo  spavento,  finiscono  di  logorare  tutto  quel, 
<^he  restava  della  romana  virtù  antica.  E,  nominato  dittatore  a 


-  56  - 

tempo  indeterminato,  promulga  le  famose  Leggi  Comelie;  mercè 
cui  restituiva  al  senato  V  autorità ,  sopprìmeva  la  podestà  tribuni- 
zia, e  riordinava  la  giustizia  e  i  vettigali  (78).  Sopravviene  la 
congiura  di  Catilina ,  uomo  di  casato  illustre  e  d' animo  fiero  ; 
ma,  come  gli  odierni  impari  imitatori,  carco  di  debiti  e  di  vizL 
Il  quale ,  con  altri  ribaldi  suoi  pari  (di  cui  forse  complice  il  divo 
Giulio,  altrettanto  indebitato  e  vizioso),  intendeva,  usurpando  i 
magistrati  coir  aita  de'  veterani  di  Siila  e  de'  plebei ,  ammazzare 
i  consoli,  abbruciare  la  città,  prodigare  gli  averi  e  sovvertire  lo 
stato.  Scoverti  da  Cicerone,  fuggono  i  congiurati  in  Etruria:  do- 
ve ,  pugnando  contra  consolari  eserciti ,  cadono  morti  romanamente 
tutti  (62).  in  seguito  Pompeo,  delta  fazione  sillana,  e  quindi  so- 
stenitore del  patriziato ,  vinti  nella  Spagna  gli  ultimi  mariani ,  dove 
sotto  Sertorio  voleano  fondare  altra  repubblica  ;  sale  di  vittoria  in 
vittoria  alla  fama  di  magno.  Ma  l'emulo  suo.  Udivo  Giulio,  seb- 
bene già  seco  lui  e  con  Crasso  congiunto  nel  primo  triumviro- 
io ,  elevaglisi  al  rincontro  come  capo  della  fazione  popolana ,  ognor 
più  degradata.  E ,  mentre  il  furore  delle  fazioni  con  rapine  e  stragi 
funesta  Roma,  accesa  egli  la  seconda  guerra  civile,  e  debellati 
i  pompeiani ,  occupa ,  dittator  perpetuo,  la  repubblica  (44).  Il  pu- 
gnale, che  lo  trafigge,  venne  per  verità  impugnato  dalla  parte 
aristocratica.  Ma  questa  almeno,  rimasta  repubblicana,  finisce 
gloriosamente  ;  e  cou  Catone  e  con  Bruto  rifulge  di  tale  uno  splen- 
dore ,  che  irradia  ancora  come  un  faro  perpetuo  l'oceano  de'  se- 
coli (31).  La  fazione  demagogica,  o  cesariaua  in  vece,  che  più 
non  merita  esser  detta  popolana,  trionfando  indegnamente,  e  nel 
secondo  triumvirato  di  Ottavio,  Antonio  e  Ispido  proscrivendo 
i  più  illustri  senatori  e  cavaUeri,  finisce  nell'impero;  ed  ha  in 
Augusto,  Caligola  e  Nerone  i  suoi  ultimi  orridi  tribuni.  Onde  ri- 
manga ai  posteri  ammonimento,  come  tanta  repubblica  cadesse 
per  codesta  tenzone  tra  patrizi  e  plebei,  o  per  dir  meglio  tri 
ricchi  e  poveri ,  non  composta  a  tempo  secondo  equità  e  giusti- 
zia, siccome  da  principio  si  usava.  Imperocché  l'ostinazione  de- 
gh  uni  e  r  esagerazione  degli  alui ,  prorompendo  negU  urbani 
dissidi  prima  e  nelle  guerre  civili  poi,  fecero  tutf  a  due  gli  or- 
dini sotto  la  più  mostruosa  tirannide  soccombere.  E ,  dopo  un  se- 
colo di  patimenti  e  di  fui^,  il  bisogno  della  pace  si  senti  in 
guisa,  che  parve  tale  il  sonno  della  morte;  né  gravoso  il  sacri- 
fizio deUa  libertà ,  massimo  l>ene  de'  mortali. 


-  57  — 


XIXIX.  OmidiiioBe  de'  serfi  in  Bobul 

Se  i  sudditi  per  pareggiarsi  a'  cittadini ,  e  i  plebei  a'  patri- 
zi ,  ebbero  i  contrasti  dianzi  accennati  ;  anche  i  servi  per  dive- 
nir liberi  contrastarono,  come  che  con  disuguale  ventura.  L'at- 
titudine di  aver  diritti  presso  i  romani  denorainavasi ,  com'  è  no- 
to, eap{icità  civile.  La  quale,  oltre  i  rapporti  intermedi  di  società 
e  di  gentilità,  comprendeva  tre  stati  o  capi:  libertà,  città  e  fa- 
miglia; la  cui  perdita,  detta  per  ciò  diminuzione  di  capo,  in 
massima,  media  e  minima  differenziava.  Pei  rapporti  famigliari 
sofferìvano  tale  differenza  di  stato ,  e  diminuzione  minima  di  ca- 
po, le  donne  e  i  figli  Uberi,  sottostanti  alla  podestà  de'  mariti  e 
de'  genitori.  I  liberi ,  che  soli  si  reputavano  persone ,  distingue- 
Tansi  in  cittadini  e  peregrini  ;  e  sotto  un  altro  aspetto  in  inge- 
nui ,  se  nati  da  romana  libera ,  e  libertini ,  se  da  giusta  servitù 
manomessi.  La  prima  di  codeste  distinzioni  cessò,  dopo  che  Ca- 
racalla,  per  interesse  fiscale,  accordò  a  tutt'  i  liberi ,  abitanti  nel- 
r impero,  la  cittadinanza;  sebbene  anche  di  poi  appagano  liberti 
non  cittadini.  Ma,  quanto  alla  seconda,  giova  ricordare,  se  i  ro- 
mani conobbero  la  servitù  (del  resto  universale  allora,  e  non  an- 
cor cessata  in  buona  parte  del  mondo) ,  fra'  tanti  estranei ,  eh'  c- 
glino  accolsero  tosto  nel  loro  ricetto,  esservi  stati  anche  i  ser- 
vi, 0  fuggitivi  0  da  loro  stessi  affrancali.  E  la  manomissione^ 
siccome  la  famigliare  adozione  e  la  civica  aggregazione,  essere 
stati  per  loro  istituti  principali,  ed  essenziali  cotanto,  e  si  di 
frequente  usati,  che  i  loro  stessi  nomi  gentilizi  non  indicavano 
punto  né  1'  unità  dell'origine,  né  l'identità  del  sangue.  Eglino 
ÌDoltre,  non  conoscendo  nel  miglior  tempo  guari  la  servitù  ru- 
stica, poiché  aravano  colle  proprie  mani  i  campi;  trattavano  i 
servi ,  cui  reputavano  per  verità  cose ,  se  peggio  de'  posteriori 
germani  e  slavi ,  megho  degli  odierni  americani  (Storia  d^l  di- 
rUto  romano  di  Gustavo  Hugo ,  CCGVllI  ).  Quando  del  resto  con- 
cedevano la  libertà ,  allora  i  manomessi ,  divenuti  liberti  ^  totmàr 
vano  in  certo  modo ,  co'  liberatori  o  patroni  una  più  larga  fa- 
miglia. 11  vincolo  de'  quali ,  de'  loro  discendenti  e  de'  rispettivi 
schiavi  affrancati  co'  patroni  e  co'  costoro  discendenti,  e  di  altri 
liberi  poveri  e  deboli ,  dava  luogo  a'  clienti.  Su  codesto  mutuo 
rapporto  di  protezione  e  di  osservanza  si  fondò  appunto  la  pò- 


-58- 

tenza  del  patriziato.  Ma ,  non  saputosi  poi  in  tanto  vantata  frater- 
nità evangelica  de'  popoli  sopravvenuti  imitare ,  era  nondimeno 
tutto  ciòcche  di  più  nobile  e  di  più  eflQcace  si  potesse  immagi- 
nare, per  incitare  e  cautare  il  transito  dalla  schiavitù*  alla  libertà. 


XL.  G«erre  senrilL 

Se  il  genio  e  i  costumi  della  primitiva  Italia  si  fossero  se- 
guiti, la  servitù,  che  avea  già  cosi  deboli  sostegni,  avrebbe  do- 
vuto in  breve  dileguarsi.  Gritaliani,  anche  caduti  in  tanta  scia- 
gura, pur  serbavano  tanta  virtù,  che ,  avendone  Roma  armati  nella 
seconda  guerra  punica  parecchi;  ella  giudicò  doversi  loro  resti- 
tuire quella  hbertà,  di  cui  si  dimostrarono  col  valore  e  colla 
fede  meritevoli.  Ma,  pel  contaggio  de'  vizi  degli  altri  popoli,  in 
vece i  servi  crebbero  smisuratamente;  e,  non  più  itaUani,  ma  stra- 
nieri. Anche  quegl' italiani  mal  sopportavano  del  resto  il  collare 
immeritato  :  e  Livio  narra ,  come  nell'  anno  294  dalla  fondata 
città  quattromilacinquecento  tra  banditi  e  servi ,  guidati  da  Appio 
Erdonio  sabino,  occupassero  il  Campidoglio  e  la  rocca,  chiamas- 
sero gli  altri  a  libertà  ;  e  fossero  in  breve  presi  e  giustiziati  Ma 
i  servi  stranieri ,  di  cui  Y  Italia  riboccò  nel  VI  e  VII  secolo  di 
Roma ,  per  Y  abuso  sopra  notato  delle  ricchezze  lasciate  in  balla 
di  sé  medesime  ;  moltiplicarono  a  segno ,  che  non  più  semplici 
cospirazioni  e  ammutinamenti  commettevano ,  ma  a  dirittura  falli 
d' armi  :  né  si  poteano  sedare ,  se  non  tagUandogli  a  pezzi.  D  nu- 
mero di  costoro  non  si  potè  mai  sapere  preciso ,  poiché  un  com- 
puto non  si  osò  mai  fare  :  ma  era  immenso ,  e  forse  in  certi  mo- 
menti superava  quello  de'  liberi.  E  così,  come  il  diniegare  la 
cittadinanza  a'  compagni  die  luogo  alla  guerra  sociale,  e  il  sol- 
lievo a'  plebei  alle  guerre  civili;  il  diniegare  a  costoro  la  libe- 
razione die  luogo  a  tre  guerre  servili.  Nella  più  famosa  delle  quali 
settanta  gladiatori  fuggiti  di  Capua,  chiamando  a  libertà  i  servi 
e  raccozzandone  settantamila,  duce  Spartaco,  cercarono  prima 
di  redimersi ,  e  poscia  malamente  di  vendicarsi.  Divisi  per  alut> 
dalla  discordia,  dopo  sconlìtti  due  eserciti  e  atterrita  la  capita- 
le, furono  sbaragliati,  torturati,  massacrati  (71). 


-59- 


XLI.  Ceti  Mtto  V  inpvro. 

Delìneaodo  ora  in  breve  quadro  le  condizioni  sociali  a'  tempi 
degl'imperatori:  il  patriziato,  oltre  spaurito  e  invilito,  era,  pei 
tanti  capi  mozzi  e  supposti  da  costoro ,  si  stremato  e  contraffatto , 
da  non  potersi  più  riconoscere.  Claudio,  che  presumeva  appunto 
di  restaurarlo,  siccome  narra  Tacito  (Annali ,  XI,  25),  «  di- 
chiarò patrizi  i  senatori  più  vecchi,  o  discesi  d'uomini  chiari: 
restandovi  pochi  di  quelle  famiglie  che  Romolo  appellò  della  gente 
maggiore,  e  di  quelle  che  Lucio  Bruto  della  minore,  e  cosi  delle 
arrote  da  Cesare  dettatore  per  la  legge  Cassia,  e  da  Augusto  per 
la  Senia  ».  E  di  tal  guisa  nella  capitale  alcune  prosapie  senatoriali , 
opulente  e  fastose ,  e  i  più  insigni  gabellieri  e  i  più  ladri  finanzieri 
[tra  cui  Narciso  e  Fallante,  liberti  e  ministri  del  predetto  Clau- 
dio, e  prototipi  degli  odierni  sopracciò  della  plutocrazia  o  re  da 
danari)  spiccavano,  pel  lusso  e  per  la  insolenza  almeno,  tra  al- 
cuni milioni  di  miserabili.  Una  minima  parte  di  costoro,  stranieri 
e  affirancati ,  attendevano  alle  arti  minute  coir  opera  degli  schiavi 
[bassa  borghesia):  la  maggiore  ne' bagni  e  ne'  teatri  oziava.  Lo 
stesso  a  un  di  presso  avea  luogo  anche  nelle  altre  città  ;  e  nelle 
caoqttgiie,  che  si  andavano  mano  a  mano  spopolando,  prima  di 
liberi  e  d' indigeni ,  e  poscia  anche  di  schiavi  e  di  coloni.  U  censo 
d' Augusto  avendo  noverato  4 ,  170 ,  000  cittadini ,  la  massima 
parte  naturalmente  italiani  ;  si  calcola ,  che  la  popolazione  franca 
della  penisola  superasse  allora  appena  i  dodici ,  e  la  servile  i  sei 
milioni  d'abitanti;  e  cioè  fosse  ridotta  alla  metà  circa  di  quella 
de' migliori  tempi  anteriori.  Ma,  fra  tanti  disastri  e  stragi,  colle 
colonie  militari  e  co'  terreni  rapiti ,  e  indi  venduti  e  dati  a  col- 
tivare a  barbari  prigionieri ,  la  generazione  de'  contadini  nativi , 
insieme  colla  prosperità  comune ,  andò  vie  più  sparendo.  Nel  quarto 
s^lo  dell'  era  volgare ,  i  decurioni ,  che  cominciansi  a  chia- 
mar cariali ,  non  formano  più  del  resto  soli  V  aristocrazia  de'  mu- 
oicipii;  stando  sopra  di  loro  oltre  il  clero,  già  commodamente 
adagiatosi,  gli  onoraci ,  o  usciti  da  funzioni  principesche,  e  i 
possessori y  dalla  servitù  curiale  immuni.  Se  non  che,  acciò  in 
^ta  esultanza  d'averno,  non  vi  fosse  quasi  più  alcuno  perfetta- 
mente libero ,  mentre  codesti  nobili  la  curialità ,  gì'  ignobili  af- 
^Uggeva  il  colonato.  Avvegnaché ,  fin  da'  primordi  dell'  impero , 


-60- 

oltre  gli  uHici  delle  curie  o  de'  senati  municipali  (divenuti  pura- 
mente onerosi  e  coattivi),  anche  i  servigi  relativi  si  erano  resi 
ereditari.  Onde ,  come  nelle  città  i  plebei  in  iscuole  eserciCavano 
i  mestieri,  vincolati  al  comune;  cosi  nelle  campagne,  vincolati 
a'  padroni ,  lavoravano  le  terre  i  coloni.  Sorsero  costoro  parte  da' 
liberi  proprietari  e  fittuari  degradati ,  parte  da'  servi  divenati  in- 
nanzi semiliberi,  e  parte  (specialmente  a'  tempi  di  Marco  Auro- 
lio  )  da  barbari  prigionieri  ;  formando  il  nocciolo  della  popolazio- 
ne. Ed  erano  rispetto  alle  persone  liberi,  e  anzi  di  sedito  citta- 
dini romani,  conlraendo  matrimonio  vero  e  possedendo  vera  pro- 
prietà. NuUameno ,  non  potendo  di  questa  disporre,  ed  essendo 
di  giunta  addetti  ed  affissi  al  suolo,  e  sottoposti  al  patrocink)  de' 
bili ,  trovavansi  pure  in  una  dipendenza ,  che  arieggiava  la 
vitù  della  gleba. 


XLII.  Vooaiione  nmaiiitaria  di  Basa. 

Già  par  di  vedere  T  ultimo  fiato  di  spirito  abbandonar  V  iai- 
pero,  e  l'Italia  tramutarsi  in  un  deserto,  sparso  di  cadaveri  e  di 
macerie.  Ma,  sebbene  questa  si  ritenga  oggi  naturai  cataatnife 
dell'antica  civiltà,  fatto  è,  che  proprio  daUa  nuova  procedette  (ae 
pur  puossi  tal  nome  darle);  dalla  nuova,  che  spuntava  suìsciando, 
e  che  oggi  si  ritiene  aver  salvo  il  mondo.  Quantunque  la  prohm- 
gazione  de'  comandi  militari  ne  desse  agevolezza,  e  la  contenoone 
deUe  leggi  agrarie  forma,  F  intima  causa  della  caduta  della  ro- 
mana Ulicrtà  è  stata  per  contrario  lo  arrestarsi  in  quel  moia  di 
universalizzazione^  o  di  progressiva  morale  espansione,  in  oà 
sta  il  segreto  della  grandezza  e  (a  mio  credere)  il  fato  immortale 
di  Roma.  Proseguendo  nel  qual  molo ,  già  iniziato  dal  divo  Qbh 
rino,  ella  doveva  senza  le  guerre  sociafi,  civili  e  servili  (e  cioè 
ne'  modi  usati  anteriormente  )  estendere  ad  ogni  diseredato  noi* 
r  umana  famigUa  i  beneficii  del  consorzio  civile.  Ed  ella  per  fer- 
mo avrebbe  fatto,  e  nella  sua  forza  di  unificcufiane  potuto  fer 
questo,  siccome  l'esperienza  di  cinque  secoli  ne  aiOda^se  il 
genio  e  i  suoi  costumi  avesse  ognora  seguito.  Che  non  vi  Ai 
popolo  più  sobrio,  più  casto,  più  grave,  più  austero,  più  equa- 
nime, più  giusto,  più  religioso  di  quello,  a  cui  Numa  diede  le 
istituzioni  de'  sabini  e  forse  degli  altri  popoli  italici.  Talmenle  die 
la  verecondia  e  la  continenza  pregiava  a  segno,  da  giudicarle 


-Bi- 
che da  un  frivolo  affetto  o  da  un  innocente  abbandono  otTese  ;  e 
la  povertà  e  il  lavoro,  da  gloriarsene  anche  i  consoli  e  i  ditta- 
tori. Non  solamente  i  mimi  e  gV  istrioni  reputava  infami  ;  ma  per 
sino  contrarie  al  suo  decoro  quelle  arti  e  que'  giuochi,  in  che  i 
greci ,  por  cotanto  degni  suoi  congiunti ,  riponevano  il  maggior 
vanto.  Né  atto  alcuno  della  vita  pubblica  o  privata  intraprendeva , 
senz*  invocare  il  consiglio  o  V  assenso  de'  numi  ;  supplicandogli  in 
ogni  sventura,  espiando  ogni  vero  o  creduto  torto ,  e  attribuendo  a 
loro  d'ogni  vittoria  le  laudi  e  le  spoglie.  Colle  quali  virtù,  divenute 
lunghe  e  indiscutibili  abitudini,  non  era  certo  a  dubitare,  ch'esso 
popolo,  debellando  i  superbi  e  perdonando  ai  soggetti,  non  perse- 
verasse in  quella  moderazione  e  in  quella  magnanimità ,  che  rima- 
sero del  resto  sempre ,  anche  quando  perdute ,  il  suo  orgoglio. 


XLDI.  loiéiioiie  delle  luame  straniere* 

Se  non  che  all'  impuro  contatto  della  corruzione  aliena ,  con- 
Ut)  cui  lottò  ben  due  secoli ,  prode  atleta ,  rimase  alla  per  fine , 
e  quanto  più  era  stata  innanzi  vergine  e  vigorosa  la  sua  natura, 
contaminato.  Già  alcun  che  di  freddo  e  di  crudele  nella  sua  con- 
dotta traspira ,  tosto  che  ebbe  pratica  co'  cartaginesi ,  ucciditori 
de'  propri  mercenari  inquieti  e  de'  propri  generali  sfortunati.  Ma 
que'  vizi,  che  principalmente  lo  tuffarono  nel  fango,  da'  greci  della 
bassa  Italia  e  maggiormente  da'  greci  originari ,  gli  uni  e  gli  al- 
tri affatto  tralignati  e  incancreniti ,  apprese.  Or ,  che  non  sapesse 
t  tanta  seduzione  e  a  tanto  inganno  resistere ,  chi  pensa ,  come 
ifimi  a  grecizzare  fossero  i  Marcelli,  gli  Scipioni  e  i  Flaminii, 
i  più  incliti  spiriti  dell'  umanità ,  pub  scusarlo.  E  per  fermo  me- 
rita indulgenza ,  se  dal  fascino  della  greca  gentilezza  e  dall'  osse- 
quio alla  beltà  greca,  gentilezza  e  beltà  senza  rivali  nel  mondo, 
si  lasciò  allettare  e  disarmare.  Pur  gli  furono  tanto  funeste ,  che 
venm  castigo  avrebbegli  potuto  l' ira  de'  patrii  iddii  abbandonati 
ìDfliggCTe ,  pari  a  questa  vendetta,  che  gì' inflissero  i  vinti.  L'ine- 
sorabile sentenza  di  Catone  maggiore  contro  Cartagine  fu,  quanto 
ingiusta ,  perniciosa ,  togliendo  alla  corruttela  l' ultimo  freno ,  che 
veniva  dal  pericolo.  Ma  i  suoi  sforzi  per  contrappoi*si  al  grecismo 
possono  essere  condannati ,  perchè  inutile  lo  andar  contro  da  soli 
a  UD  general  delirio  de'  contemporanei  e  alla  china  fatale  delle 
cose  :  non  perchè  V  unico  modo  non  costituissero  di  salvar  Roma. 


-62  - 

Di  fatti  non  solamente  quelle  empietà  e  quelle  lascivie  ;  ma  sopra 
tutto  quella  filosofia  e  quella  rettorica  il  genio  e  i  costumi  pre- 
detti di  Roma  pervertivano.  La  quale ,  quando  cominciò  a  vergo- 
gnarsi de' propri  numi  dì  creta,  autori  di  tanti  prodigi,  e  dei 
rozzo  sermone,  e  a  ripudiare  T  etnisca  e  fin  T  italica  parentela, 
per  adottare  F  ellenica;  quando  i  suoi  figli  ebbe  educati,  non  più 
da' propri  capitani,  ma  da  attici  schiavi,  cominciò  aHMinto  la 
propria  declinazione.  La  Siria  quindi  e  l'Egitto  vi  aggiunsero, 
come  lue  pestilenziale,  una  depravazione  immane  e  stillata  da' 
secoli,  da  metter  spavento.  E  in  vano  poi  Catone  minore,  san- 
tissimo uomo,  cercò  in  sé  medesimo  offerire  l' esempio  dell'  an- 
tica e  unica  virtù;  e  in  vano  egli  e  Bruto  restaurar  la  r^iiiiUMi- 
ca.  Aveva  allora,  come  oggidì,  la  virtù  ceduto  i  suoi  incanti  al 
vizio;  e  i  loro  concittadini  preferivano  in  vece  vendere  i  suffragi, 
depredare  le  provincie ,  profondere  nelle  pompe ,  imbrattarsi  nelle 
sozzure  ed  empiersi  il  ventre.  Quando  un  popolo  giunge  a  tanta 
infamia ,  è  necessario  e ,  sto  per  dire ,  è  giusto ,  eh'  esso  patisca 
la  servitù.  Onde  è  vero,  che  la  repubblica  pe'  motivi  anzi  detti 
minò  ;  ma  questi  senza  l' ellenica  e  V  orientale  infezione  sareb- 
bero mancati ,  o  non  avrebbero  potuto  niente.  E ,  in  onta  a'  me- 
desimi, queir  agonia  della  repubblica  stessa  durata  quasi  due  se- 
coli, cosi  grande,  cosi  tremenda,  cosi  portentosa,  svela  quanto 
la  romana  fibra  fosse  gagliarda. 


XUV.  Potemialità  dvila  di  Boayu 

Ciò  non  ostante  in  quella  classica  civiltà,  benché  tanto  decre- 
pita, vi  erano  tali  mezzi  ancora  di  rinfrancarsi,  e  sopra  tallo 
nella  etema  città  tal  palladio,  che,  se  questa  non  avesse  dovalo 
subire,  insieme  con  un  nuovo  e  veramente  poderoso  a\'yersario, 
una  nuova  e  veramente  poderosa  infezione,  avrebbe  in  sé  mede- 
sima a'  suoi  mali  trovato  rimedio.  Certo  ella  mostrò  di  potere 
colle  proprie  forze  riaversi;  dappoiché,  fin  sotto  i  più  perversi 
cesari ,  parecchi  suoi  figliuoli  furono  prodigiosamente  virtuosi  Né 
del  resto  le  sue  stesse  legioni  veniano  meno  in  pugnare  secondo 
gli  antichi  auspicii,  e  in  estendere  altresì  per  qualche  altro  secolo 
r  impero.  E  questo,  sotto  i  Flavi  e  gli  Antonini ,  quando  l' ammi- 
nistrazione pubblica  raggiunse  un  assetto,  e  fin  sul  trono  splen- 
dettero savi  ed  eroi,  che  destano  ancor  oggi  meraviglia;  queslo 


-  63  - 

medesimo  impèro  potè  sotto  imperatori,  capitani  e  giureconsulti 
pagani,  con  istituti,  costumi  e  spiriti  pagani,  emendarsi  e  pro- 
sperare. Vero  è,  che  i  barbari  ne  lo  distrussero:  ma  quanti 
sciami  di  costoro  non  aveva  esso  dinanzi  messi  a  fil  di  spada ,  o 
ammansati?  In  breve  aveano  assunto  ordini  e  forme  romane;  e, 
degli  stessi  germani,  anche  dopo  la  rotta  di  Varo,  parte  erano 
stati  respinti ,  e  parte  assoldati  nella  guardia  pretoriana ,  collocati 
sofle  frontiere  o  ridotti  per  sino  in  condizione  civile.  I  primi ,  che 
ìTmppeTO  dal  settentrione,  quali  i  vandali  e  gli  eruli,  i  visigoti 
e  gli  ostrogoti,  e  fmo  a  un  certo  punto  i  franchi,  si  romanizza- 
rono. Ma,  se  poi  contro  a  tutti  ed  al  comune  loro  farnetico  di 
dissoluzione  civile,  non  potè  Roma,  divenuta  madre  delle  genti, 
proseguir  le  vittorie;  la  ragione  appunto  fti,  che  una  civiltà  di- 
versa, 0  per  dir  meglio  una  nuova  depravazione,  dall' anteriore 
agevolata,  soffocavala  ed  esinanivala.  Come  la  Grecia  erasi  ven- 
dicata della  sconfitta,  pervertendone  il  genio  e  i  costumi;  cosi 
TAsia,  0  per  dir  meglio  la  Palestina,  vendicavasi  ora,  ributtando 
nel  di  lei  seno  un  aspide,  che  ne  doveva  fiaccare  il  polso  e  to- 
gliere il  senno.  Fra  que'  siri  ed  egizi ,  che  capitavano  nella  città , 
tramutata  in  sentina  de'  vizi  del  mondo,  e  sopra  tutto  tra  que' 
giudei,  che  sin  d'allora  sparpagliavansi  qui  e  colà,  e  massime 
in  Antiochia  e  Alessandria ,  co'  loro  banchi  e  sinagoghe  ;  i  più 
irrequieti  e  fantastici  erano  certuni,  che  le  dottrine  frantese  e 
falsificate  di  un  essere  incomparabile  e  adorabile,  da  loro  posto 
a  morte,  seguivano,  detti  cristiani.  Per  non  mentovarne  tutte  le 
rabbiose  dispute  e  le  orride  stravaganze  (  cui  del  resto  può  ognu- 
no ne'  cosi  detti  padri  della  chiesa  leggere  ),  le  più  essenziali 
massime  di  costoro,  se  buone  per  la  vita  mistica,  erano  del  tutto 
alla  vita  profana  contrarie.  I  quali  non  solo  la  intolleranza,  la 
indolenza,  la  ignavia,  l' abiezione  e  la  viltà  predicavano;  ma  sopra 
tutto  l'odio  e  lo  sprezzo  della  medeshna  civiltà,  e  il  gaudio  e 
la  voluttà  della  morte.  E ,  lungi  d'  arrotare  i  brandi  contro  i 
larlari,  che  calavano  infuriati  ;  dopo  avere  divisa  e  prostrata  la 
patria ,  gongolavano  e  tripudiavano  ora  dell'  imminente  flagello  e 
del  sospirato  finimondo.  Tanto  che ,  ed  io  cito  un  lodatore  e  ve- 
Dcrator  de'  medesimi ,  «  quando  Roma  fu  presa  dai  Goti ,  il  mon- 
do cristiano  esclamò  esser  vendicato  il  tanto  sangue  de' martiri; 
e  da  molti  discorsi ,  anche  di  sant'Agostino,  trapela  una  specie 
di  contentezza  per  questa  grande  giustizia  »  (Cantò ,  Storia  deUa 
k^eraiura  latina,  XV). 


-  64  ^ 


XLV.  Inetiitadiiie  del  cristiamniBio  a  rediaere  gli  tppr— i 

Cosi  adunque,  come  la  repubblica  per  la  greca  e  orientale, 
così  r  impero  per  questa  giudaica  corruzione  cadde,  che  gittoUo 
tramortito  e  indifeso  in  preda  alla  barbarica  furia.  Or,  che  nella 
cosi  detta  civiltà ,  susseguita  dall'  accoppiamento  del  giudaismo 
colla  barbarie^  e  non  ostante  che  corretta  per  ventura  dal  risor- 
gimento della  precedente  e  vera,  si  avessero  beneflcii  inestima- 
bili; 0  che  almeno  i  deboh,  i  poveri,  i  puri,  i  sempUci  e  gli 
sventurati  sieno  stati  secondo  le  promesse  ristorati  ed  esaltati; 
questa  è  cosa  da  ninno  ancora  veduta.  Ma,  che  importa,  se, 
nel  silenzio  de'  morti  e  nella  gazzarra  de'  becchini,  la  si  ripete 
e  la  si  crede  da  tanti  secoli  e  da  tante  generazioni?  Il  fabbro 
di  Nazaret  per  fermo  mirava  a  sciogUere  da  ogni  ceppo  e  da 
ogni  laccio  V  umana  famiglia,  tutelandola  colla  reciproca  innocenza 
e  felicitandola  colla  reciproca  benevolenza.  E  profetizzando  quel 
trionfo  del  quarto  ceto,  che  i  suoi  seguaci  gerosoUmitani ,  apo- 
calittici, ebioniti,  nicolaiti,  chiliasti  eccetera  aspettarono  poi  lunga 
pezza  in  vano.  Ma ,  comunque  il  sistema  evangelico  sia  veramente 
una  divina  rivelazione ,  considerato  ne'  più  intimi  e  arcani  pene- 
trali della  coscienza;  maggior  prova  della  sua  inettitudine  asso- 
luta alla  vita  mondana,  e  della  sua  impotenza  a  produr  niente 
quaggiù  negli  ordini  civili,  non  avrebbe  potuto  dare,  che  il  suo 
fallire  appunto  in  quell'  intento,  che  gU  doveva  esser  precipuo. 
Avendo  cioè  predicato  la  fraternità  umana ,  e  avendo  sotto  il  per- 
fido Costantino  la  romana  potenza  e  indi  le  nordiche  monarchie 
a' suoi  piedi;  se  vi  era  cosa,  ch'esso  dovesse  per  prima  pro- 
porsi, e  in  cui  prima  dimostrare  la  propria  efficacia,  era,  non 
vi  ha  dubbio,  l'emancipazione  degli  schiavi.  E  questa  appunto 
(  benché  il  contrario  si  ripeta  e  si  creda  universalmente  ),  non 
che  raggiunta,  fu  in  vece  da  esso,  come  in  seguito  racconterò, 
tardata.  Imperocché  tutto  nella  Roma  pagana  accennava  a  una 
cessazione  graduale  e,  sto  anche  per  dir,  prossima  della  schiavi- 
tù; cui  da  un  lato  le  conquiste  rallentate  tralasciavano  d' aumen- 
tare, e  dall'altro  le  manomissioni  prodigate  fin  quasi  eccessiva- 
mente ne' testamenti ,  nelle  mercedi  e  in  altre  tah  occasioni,  iva- 
no assottigliando.  E,  se  nella  capitale  già  a'  tempi  di  Nerone  la 
maggior  parte  de'  liberi  erano  Uberti  o  libertini  (Tacito,  Ann4Ui, 


-65  - 

XIII 9  27  );  e  se  dì  poi ,  come  testé  vìdesi ,  fin  ne*  contadi  i  bar- 
bari i»igiomeri  elevavansi  alla  condizione  di  coloni,  facile  è  im- 
magioare,  in  breve  corso  di  secoli  a  che  si  sarebbe  giunti.  Or 
cosa  sia  in  vece  seguito  nella  famosa  era  di  redenzione,  quanto 
a  lungo  durassero  gli  schiavi,  che  poca  pena  si  prendesse  la 
stessa  chiesa  di  affrancargli,  come  popoli  cristiani  in  un  nuovo 
moDdo  scoperto  ne  moltipUcassero  sterminatamente  il  numero,  e 
come  si  tardasse  o  si  tardi  ancora  a  redimergli,  si  vedrà  appres- 
so. £  si  vedrà  anche ,  che  i  rinnovati  conati  per  parificare  i  ceti 
e  rialzare  le  plebi,  alle  classiche  e  romane  reminiscenze  si  deb- 
bono. Non  alla  cristiana  rassegnazione  ;  e  non  a  que'  barbari ,  che , 
portandoci  di  proprio  il  sistema  feudale ,  ci  costrinsero  dopo  infi- 
niti patimenti  a  rifarci  da  capo. 


XLYI.  LiTaaioni  da' barbari. 

De*  quali  barbari  dovendo  ora  discorrere,  giovi  rammentare, 
come  gr  imperatori  ne  avessero  già  col  nome  di  leti  per  debo- 
lezza 0  per  difesa  accolti  nelle  frontiere,  e  loro  assegnato  stanze 
e  possedimenti.  Tanto  che,  quando,  straripando,  si  presero  qui 
il  terzo  delle  terre,  imitarono  il  sistema  di  acquartieramento  ne' 
bassi  tempi  de'  soldati  nostri ,  che  si  faceano  colà  d'  un  terzo  delle 
abitazioni  ospiti.  Erano  quelU  inoltre  da  lunga  pezza  agli  stipendi 
dell'  impero  ;  sul  quale  poi  si  rovesciarono,  violando  la  fede,  piut- 
tosto per  la  loro  efferatezza  e  rapacità ,  che  pei  vantati  liberi  sen- 
si. E  ad  ogni  modo  per  molto  tempo  le  loro  sollevazioni  e  scor- 
ribande lasciavano  in  piedi  il  medesimo  impero  occidentale,  che 
veramente  sin  sotto  Odoacre  e  Teodorico  deesi  ritener  prolun- 
gato. Certo  gli  eruli  e  i  goti  ne  conservarono  la  costituzione; 
non  formando  in  certa  maniera  essi ,  se  non  Y  esercito  della  re- 
pubblica, di  cui  i  re  loro  erano  i  dud.  Sebbene  Teodorico,  oltre 
che  de*  suoi ,  si  facesse  capo  di  quella ,  e  di  fianco  ai  canti  ro- 
mani ponesse  i  conti  goti ,  per  decidere  nelle  querele  tra'  due 
popoli  conviventi.  Gli  eruli  del  resto  tolsero  un  terzo  de'  fondi 
(  non  de'  frutti ,  come  la  prima  volta  di  poi  i  longobardi  );  nel 
qual  terzo  succedettero  i  goti.  Il  che  non  era  ti'oppo  grave,  con- 
siderando, come  i  predi  costituissero  allora  vastissime  unità  cata- 
stali e  agrarie,  che  si  dividevano,  come  gli  assi  di  una  eredità, 
in  onde  o  in  quote  parti.  Cosi  nel  regno  di  Teodorico,  principe 

5 


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degnamente  illustre,  sopra  la  colluvie  de' coloni  e  de' servi,  quasi 
due  caste,  o  due  ceti  etnici,  stavano  per  formarsi:  da*  romani,  che 
attendevano  ai  magistrati  e  alle  arti  della  pace,  e  dsi'goii,  che 
esclusivamente  al  presidio  e  alle  armi  (  anni  47&-489  dopo  Cristo). 
Se  non  che  le  invasioni  degh  eruU  e  de'  goti ,  come  più  tardi 
quelle  degli  arabi  e  de'  normanni ,  non  si  potendo  per  la  loro 
tenuità  considerare  vere  migrazioni ,  e  non  essendosi  quindi  fissate 
0  non  avendo  di  molto  inquinato  il  nostro  sangue  e  la  nostra 
società,  non  meritano  ulteriore  considerazione.  Bensì  occorre  più 
a  lungo  ristarci  su'  loro  successori ,  i  longobardi ,  che  effettiva- 
mente la  compage  romana  disfecero,  e  furono  qui  i  ministri  del- 
l' ira  de'  numi  (568). 


XLVn.  Ceti  presso  i  germani. 

La  costituzione  sociale  primitiva  de'  popoli  teutonici  com- 
prendeva quattro  ceti:  i  nobili,  i  liberi,  ì  semiliberi  e  i  servi. 
Né  si  alterò,  quando  passarono  in  Italia  e  nelle  Provincie;  tranne 
che  aggiungendovisi  il  quinto  ceto  de'  romani,  che  si  rimase  affatto 
da*  quattro  primi  separato.  La  condizione  de'  liberi  non  s' inten- 
deva in  un  senso  negativo;  ma,  quaU  partecipi  della  città,  posi- 
tivo: e  veniva  dall' esser  guerrieri,  ossia  compresi  nella  leva  mi- 
litare 0  noli'  eribanno.  I  liberi  franchi  chìamavansi  buonomini  o 
rachimburgi,  ed  esercitali  o  arimanni  i  longobardi  liberi:  seb- 
bene poi  con  questo  nome  si  designasse  un  ceto  distinto  fra  i 
liberi,  ed  alla  fine  anche  un  ceto  aggravato.  Prerogativa  de' quali 
liberi  e  guerrieri  era  l'esser  giudici  ciascuno:  sebbene  questa  poi 
si  restringesse  ad  alcuni  eletti  o  scabini,  che  formarono  come 
un  ordine  dello  stato;  e  che,  presieduti  in  ogni  distretto  da  un 
conte,  ebbero  giurisdizione  su  quelli.  La  proprietà  legittima  pure, 
quale  un  gius  quiritario,  era  loro  inerente;  e  dinotavasi  col  nome 
in  Francia  di  (erra  salica  e  in  Italia  con  quello  d' arimannia, 
die  significava  in  origine  la  società  de'  Uberi  invasori.  Ma  ella 
venne  a  mancare ,  prim'  ancora  dello  stato  d' uom  libero ,  pel 
sopraggiunto  istituto  de' feudi.  Quanto  a' longobardi  in  partico- 
lare ,  essi  co'  gepidi ,  bulgari ,  sarmati ,  svevi  e  norici  formavano 
un  sol  popolo  e  un  solo  diritto  :  quello  de'  liberi.  Si  distinguevano 
tra  loro  i  nobili  o  edcliìigi;  e  venivano  dopo  di  loro  i  semiliberi 
0  aldii,  e  da  sezzo  i  servi  massai  e  rusticanL  Essi  Dondimeoo, 


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come  gli  altri  germani,  noD  conosceano  da  princìpio  servitù  do- 
mestica: e,  quando,  valicate  le  alpi,  si  compiacquero  d' aver  servi 
ministeriali,  gli  trattarono  bene,  equiparandogli  a' semiliberi.  Ri- 
mane per  altro  da  constatare  la  sorte  da  loro  serbata  a  quel 
quinto  ceto  de'  romani ,  dianzi  accennato  ;  e  sulla  quale  pende 
tuttavia  incerto  il  giudizio.  Conciossiachè  eglino  per  fermo  si  po- 
sero in  luogo  de'  grandi  e  dignitari  dell'  impero  (nobiltà  indigena) 
e  de'  curiali  e  possessori  delle  città  (  borghesia  indigena  ),  pur 
dianzi  accennati;  a  cui  prestavano  dati  censi  que' coloni,  che  abi- 
tavano allora  la  maggior  parte  del  suolo  italico,  avvintivi  indis- 
solubilmente. Ma  come  trattarono  codesti  nobili  e  borghesi,  e  i 
medesimi  coloni;  e  in  somma,  che  cosa  fecero  eglino  degli  avi 
nostri? 


XLVni.  Sottopodsioiie  degP  itaUani  a'  longobardi 

Tra  r  opinione  di  Lupi  (Codice  diplomatico  hergomense), 
che  i  romani ,  fuori  di  poca  gente  minuta ,  fossero  tutti  da'  lon- 
gobardi distrutti;  e  quella  di  MaiTei  (Verona  illustrata),  che, 
sendo  questi  pochissimi,  il  sangue  di  quelli  rimanesse  in  gran 
parte  incontaminato,  la  seconda  è  tanto  più  preferibile,  che  la 
razza  e  la  lingua  superstiti  1'  av^^alorano  in  un  modo  irrefraga- 
bile. Ma  il  mistero  da  svelare  è ,  s' ei  permanessero  in  libertà  o 
cadessero  in  servitù  ;  non  avendo  noi  in  proposito,  che  due  passi 
di  Paolo  Diacono  {Fatti de' longobardi,  II,  32  e  III,  16),  sulla 
cui  interpretazione  contendesi  tuttavia  tra'  dotti.  Ultime  parole 
davvero  d' un  testimonio ,  che  narra ,  inorridito  e  balbettando ,  il 
freddo  e  codardo  assassinio  d'un  popolo  spogliato  e  disarmato! 
n  primo  de' quali  dice:  che  dopo  la  morte  del  re  Clefi  «  molti 
de' nobili  romani  furono  per  cupidigia  trucidati:  i  rimanenti,  as- 
segnati agli  ospiti ,  acciocché  la  terza  parte  de'  frutti  pagassero 
a' longobardi ,  si  fecero  tributari  ».  E  l'altro:  che  i  duchi  diedero 
al  re  Autari  la  metà  de'  loro  averi  (  probabilmente  quella  già 
regia,  che  si  erano  nell'interregno  usurpata);  «  ma  i  popoH  ag- 
gravati dagli  ospiti  longobardi  si  partirono  ».  Onde,  pur  dato 
che  la  prima  volta  i  nostri  dovessero  cedere  agi'  invasori  un  terzo 
deUe  rendite;  non  si  sa  la  seconda,  se  la  perdita  anche  del  terzo 
de'  beni ,  o  qual  peggior  partizione  sofferissero.  A  meno  che 
un'  identica  sorte  la  prima  volta  i  soli  maggiorenti  avessero  sof- 


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ferto/e  la  seconda  tutt'i  cittadìDi.  Federigo  de  Savigny  (Storia 
del  diritto  romano  nel  medio  evo,  I,  5)  opina,  che  rimanessero 
le  co$e  come  avanti  ;  e  che  anzi ,  mutandosi  il  canone  del  terzo 
in  uno  spossessamenlo  del  terzo ,  colF  infrazione  de'  vincoli  del- 
l' aborrita  ospitalità  migliorassero.  Carlo  Hegel  in  vece  (  Storia 
della  costituzione  dei  munidpii  italiani ,  III ,  2  ),  che  i  romani 
conservassero  una  proprietà  vincolata  e  una  libertà  dimezzata, 
addetti  alle  schiatte  dominanti,  e  privi  di  proprie  leggi  e  istituzio- 
ni: quantunque  per  alcun  tempo  con  differenze  ne*  diritti  personali, 
siccome  nella  favella  e  nel  costume.  La  quale  libertà  dimezzata, 
stato  di  mezzo  tra'  Uberi  e  servi ,  oltre  che  de'  manomessi  colla 
riserva  del  mundio  e  della  successione  a'  patroni ,  era  propria 
degli  aldii  predetti ,  in  cui  conseguentemente  si  sarebbero  tramu- 
tati i  romani.  Ma  Lupi,  Fumagalli,  Leo,  e  sopra  tutti  Carlo  Troja 
(Condizione  de*  romani  vinti  da'  longobardi)  sentenziano  più 
rigorosamente:  che  venissero  spossessati  di  tutto  a  dirittura,  e 
alGssi,  quali  aldii,  alla  gleba.  Alla  qual  sentenza,  considerando, 
che  in  progredire  di  tempo  non  si  ode  più  delle  sorti  barbariche, 
delle  terze  e  de'  terziatori  parlare ,  se  non  in  senso  improprio  ; 
e  che  nelle  leggi  longobardiche  non  h^wi  guidrigildo  o  compo- 
sizione (  e  non  quindi  prezzo  alla  vita  e  non  riconoscimento  della 
personalità)  pei  romani,  di  cui  si  fa  appena  menzione,  vi  sono 
gravi  ragioni  per  aderire.  Tanto  più,  che  non  si  sa,  come  avreb- 
bero codesti  barbari  e  armigeri  rispettato,  e  neppure  compreso 
una  classe  di  liberi  e  proprietari  più  numerosa  di  loro,  e  priva 
si  de'  diritti  politici  ;  ma  pareggiata  ne'  civiU ,  ed  esente  in  uno 
dalle  gravezze  e  dalla  milizia. 


XLIX.  Ceti  degr  italiani  sotto  la  franca  dominailoiie. 

Per  altro  non  tutt'i  romani  caddero  nella  servitù  aldionale: 
ma  soli  que'  maggiorenti  e  que'  cittadini  della  superiore  e  di  quasi 
tutta  la  media  Italia,  che,  risparmiati  da' longobardi ,  non  si  ri- 
fuggirono nella  rimanente.  E  tranne  anche  quelli ,  che ,  divenendo 
gasindi  o  convitati  del  re,  o  guargangi  o  forestieri  aggregati, 
0  accorrendo  ausiliari,  o  patteggiando  combattenti,  o  nelle  città 
murate  addicendosi  a'  pubblici  ministeri ,  si  fusero  tosto  cogl'  in- 
vasori. Probabilmente  poi  que'  coloni  romani ,  che  non  si  salva- 
rono nella  predetta  servitù,  pure  stato  di  semilibertà,  degrada- 


-  69  - 

ronsi  in  servi  massai  ;  rìmaneDdo  su'  campi  i  vecchi  servi  rustici 
di  prima.  Ma  dal  secento  in  giù ,  grazie  alla  conversione  de'  lon- 
gobardi ariani  al  cattolicesimo,  ed  alle  affrancazioni  condizionate , 
che  nelle  disposizioni  d' ultima  volontà  e  nelle  donazioni  a  favore 
delle  chiese  dall'  ottocento  spesseggiano  ;  tra  la  libertà  perfetta  e 
r  aldionato,  si  frammise  un  ceto  rurale  nuovo ,  libero  e  non  guer- 
riero, di  livellari.  Vale  a  dire  di  aldii  e  di  servi  affrancati,  o 
IMX)genie  de' medesimi;  affrancati,  dico,  coli' onere  di  certi  canoni 
e  di  prestazioni  personali.  Nelle  leggi  inoltre  di  Liutprando  ve- 
desi  già  un  ceto  non  possidente  ;  e  in  quelle  di  Astolfo  uno  urba- 
no e  mercantile,  ragguardevole  e  probabilmente  dagli  originari 
romani ,  che  si  riavevano ,  e  da'  longobardi  impoveriti  emerso.  Il 
quale  era  pure  libero  e  per  sino  esercitale  (cioè,  come  libero  lon- 
gobardo, obbligato  alla  milizia  );  e  il  quale ,  co'  maestri  comacini 
e  altri  tali  artefici,  dir  si  può,  che  desse  a  una  terza  borghesia 
italica  principio.  Se  non  che ,  soprarrivando  i  franchi,  ìlfeudor 
lisfno  (i  cui  germi  del  resto  già  preesistevano)  é  la  ministeria- 
ÌUà  alte'rai'ono  i  vecchi  e  crearono  nuovi  rapporti  (794).  Ne  sorse 
un  nuovo  ceto  superiore,  o  la  nobiltà  feudale  de'  cattani  e  valvas- 
sori, tratto  principalmente  da'  nobiU  longobardi  e  franchi:  ma  anche 
di  meri  liberi  e  da  romani.  Ed  anzi,  in  seguito,  degU  antichi  ceti 
degl'  invasori  non  rimase  più ,  siccome  (  per  esempio  )  nelle  leggi 
personali ,  che  qualche  privilegio  e  qualche  rimenibranza.  Coli'  a- 
dozione  in  fatti  de'  feudi ,  che  furono  una  concessione  territoriale 
e  giurisdizionale  de'  principi  transalpini  a'  lor  leudi  e  antrustioni, 
0  comiti  e  fedeli ,  verso  il  debito  dell'  omaggio  e  1'  obbligo  della 
milizia  (  resa  ereditaria  da  un  capitolare  di  Carlo  il  calvo  dell'  an- 
no 877);  anche  in  Italia  i  liberi  delle  campagne  vennero  in  bre- 
ve tempo  novellamente  a  mancare.  Perocché,  sebbene  entro  i  li- 
miti del  feudo  gli  abitatori  si  distinguessero,  giusta  che  uomini 
del  signore  o  servi,  oppur  soggetti  solamente  alla  sua  giuiisdi- 
zione;  venne  tempo,  in  cui  non  ci  ebbe  più  salvezza,  che  addi- 
cendosi entro  e  fuori  tutti  alla  feudalità.  Trovandosi  cioè  i  pos- 
sessori, quanto  più  i  poveri  precipitavano  nella  servitù,  esposti 
anch'  essi  al  medesimo  pericolo,  cercarono  porsi  nella  condizione 
àe' signari,  offerendo  i  loro  allodi  a  un  vassallo  maggiore,  e 
riavendogli,  quali  minori  vassalli j  col  nesso  feudale.  E,  quanto 
a' poveri,  non  avendo  niente  da  offerire,  tranne  la  loro  opera  o 
la  loro  persona,  si  fecero  in  varie  guise  commendati  alle  chiese 
0  ad  altri  potenti  ;  formando  alla  fine  la  classe  servile  degli  anga- 


-70  — 

rici  0  degli  aggravati.  Alla  quale  quasi  interamente  ne'  secoli  X 
e  XI  della  cosi  detta  era  di  redenzione  il  popolo  rusticano  si 
ridusse.  E  cosi  nel  vassallaggio  e  neir  accommandigia  finivano, 
sotto  i  famosi  nordici  introduttori  della  libertà  personale,  le  ulti- 
me reliquie  della  medesima  nel  mondo,  se  la  conculcata  romanità 
non  rialzavasi. 


L.  Ceti  degl'italiani  al  sorgere  de'oomnnL 

Tra  regione  e  regione  d'Italia  deesi  certamente  distinguere: 
dappoiché,  mentre  le  città  soggette  alla  dizione  bisantina  rima- 
sero meno  imbarbarite,  il  reame  di  Napoli,  e  maggiormente  la 
Sicilia  e  il  Friuli,  funestati  più  da' baroni,  si  ebbero  colle  con- 
trade straniere  sin  troppi  punti  di  rassomiglianza.  Nel  Friuli  (  per 
esempio)  solamente  i  castellani  partecipavano  al  parlamento 
della  patria,  ed  ebbero  appena  le  comunità  libere  un  tardo  e 
fioco  albore.  Spuntarono  queste  da'  consorzi  tra  gli  abitatori  no- 
bili delle  castella,  vicini,  aldi!  ed  emancipati,  che  corrisponde- 
vano la  viària  o  tributo  alla  cliiesa  aquilejese.  E  ne'  primordi 
da  arringhi  di  capi  di  famiglia,  e  più  taidi  da  consiglietti  di 
gentiluomini  e  borghesi ,  prevalendo  per  altro  sotto  la  veneta  ari- 
stocrazia i  gentiluomini ,  si  governarono.  Ma  pure  V  Italia  ha  il 
vanto  di  avere  da  prima  gì'  invasori,  se  non  all'atto  annicliiUto,  certo 
nella  sua  propria  vigorosa  complessione  assorbito;  e  poscia  ria- 
perto alla  democrazia  gli  anticlii  fulgidi  orizzonti.  Non  debbo  io 
qui  (sublime  tema)  raccontare  per  disteso  come  tanto  prodigio 
col  risorgere  de' comuni  accadesse.  I  (juali,  agevolati  forse  dal- 
l' accostarsi  de*  longobardi  a'  romani  negli  urbani  recinti  di  que- 
st'  ultimi ,  e  indi  favoriti  da  Ottone  I ,  a  cui  le  cronache  grate 
ne  attribuiscono  le  più  vetuste  franctiigie;  certamente  al  comiiH 
ciare  dell'  XI  secolo,  in  cui  vi  è  cenno  di  leghe  e  di  guerre  co- 
munaU,  cominciano  ad  esistere.  Dovendo  per  altro  dire  de' ceti 
a  quel  tempo,  noto,  che  già  nel  secolo  XI  si  scernono  nelle  città 
le  due  classi  de'  nobili  e  de'  cittadini  ;  e  che  questi  anzi  a  Mila- 
no per  alcun  tempo  cacciarono  quelli.  Alla  metà  poi  del  XII  la 
popolazione  delle  città  lombarde  è  distinta  in  tre  ordini:  i  can- 
toni (alta  nobiltà),  i  valvassori  (bassa  nobiltà)  e  i  cittadini  (bor- 
ghesia). I  due  primi  procedevano  dalla  nobiltà  feudale  predetta, 
e  casiituirono  la  nobiltà  cavalleresca,  nel  fondo  di  origine  lon- 


—  71  - 

gobarda;  oomechè  con  alcune  fanr)iglìe  romane,  e  molte  franche 
e  tedesche.  Il  terzo  nella  minor  parte  da'  decaduti  arimanni  lon- 
gobardi j  e  nella  maggiore  da'  romani  liberi ,  dati  alle  arti  e  alla 
mercatura;  tra  cui  vi  è  già  indizio  di  una  specie  di  nobiltà 
civica. 


LI.  Ordine  oittadineioo  Be'  comuni. 

Il  corpo  di  tali  cittadini,  detti  anche  popolari,  fuor  del 
quale  erano  i  servi,  componeva  in  senso  ristretto  il  comune; 
fornito  della  sovranità  e  di  una  rappresentanza  nel  consigUo  ge- 
nerale :  ove  la  nobiltà ,  specialmente  per  Y  inurbarsi  de'  maggiori 
e  minori  vassalU  delle  campagne ,  predominava.  L' universaUtà 
de' cittadini,  in  lato  senso,  del  resto  non  si  adunava,  che  rade 
volle  e  in  modo  straordinario;  siccome  per  riformai*  lo  stato  o 
per  riconciUar  le  parti.  Ma  la  giurisdizione  e  la  elezione  de'  pro- 
pri rettori ,  non  mai  affatto  perdute  dalle  città ,  avean  già  cessato 
di  essere  subordinate  a'  conti;  il  cui  officio  o  direttamente,  o  per 
mezzo  de' vescovi  indirettamente ,  era  passato  ne' consoli.  Questi, 
dì  vario  numero  e  scelti  fra'  tre  ordini ,  spuntano  fuor  dell'  Esar- 
cato al  finire  dell' XI  secolo,  si  generalizzano  al  principiare  del 
XII  ;  e  doventano  precipuo  oggetto  della  lotta  per  le  regalie  col- 
l'imperadore  Federigo  I.  Se  non  che,  quantunque  la  pace  di  Co- 
stanza (1183)  avesse  riconosciuto  la  libertà  della  loro  elezione, 
cui  già  vantavasi  antica,  cedono  tosto  à' podestà;  tratti  di  fuora, 
forse  più  per  necessità  di  fiaccare  i  grandi,  che  di  pacificar  le 
fazioni.  Imperocché ,  durando  la  lega  lombarda ,  non  vi  è  più  cen- 
no in  Milano  de'cattani,  valvassori  e  cittadini  come  ordini  di- 
stinti :  ma  si  di  una  milizia  equestre  e  pedestre.  E ,  poiché  quella 
anche  di  ricclii  borghesi  componevasi,  un  ceto  di  nobiltà  tra 
feudale  e  cittadinesco  già  esisteva.  Onde  il  contemporaneo  Ottone 
di  Frisinga  (Gesta  di  Federigo  I)  se  ne  meraviglia;  ed  anzi 
da  buon  tedesco  inorridisce ,  che  i  signori  rurali  avessero  dovuto 
cedere  alle  città.  E  che  in  queste  «  gente  di  vile  origine  e  data 
ad  arti  meccaniche,  respinta  come  peste  altrove,  assuma  il  cingolo 
de'  cavaUeri  e  le  alte  dignità  ».  Di  fatti  dopo  la  pace  suddetta 
anco  i  vassalli  delle  campagne,  o  debellati  o  spontanei,  vennero 
alle  città  aggregati.  Compresivi  que'  possenti  marchesi ,  che  sin 
d'allora  accennano  a  formare  signorie  indipendenti:  ma  recan- 


-  72  — 

dovi  le  discordie,  le  brighe  e  le  violenze.  I  nobili  nondimeno, 
particolarmente  di  sangue  germanico,  che  aveano  da  prima  pre- 
valso, e  tanto  operato  per  la  rivendicazione  dal  Barbarossa;  in- 
nanzi al  ridestamento  de'  plebei ,  particolarmente  di  gentil  sangue 
latino,  avean  perduto  terreno.  La  classe  de' semiliberi,  divenuta 
potente  colle  arti,  e  unitasi  ai  liberi  non  nobili,  avea  nel  XIII 
secolo  con  le  proprie  corporazioni  e  magistrature  fondato  un  nuovo 
comune,  E  poscia  anche  distrutto  con  la  propria  la  politica  liber- 
tà, creando  capi  delle  repubbliche,  per  fiaccare  vie  più  i  grandi, 
que'  capitani  del  popolo,  che  generalmente  nel  XIY  si  cangiano 
in  tiranni. 


LII.  Gondiidoiie  de'mstid  a' tempi  de'ooaiiBL 

I  rustici  si  assisero  ultimi  al  banchetto  della  libertà:  né  altri- 
menti (  se  non  s'  inui*bavano  ),  che  mutando  grado  grado  la  terra 
servile  in  enfiteolica,  questa  in  feudale,  e  questa  in  allodiale.  In 
generale  sotto  i  germani  la  servitù  si  raddolcì;  rassomigliando  i 
loro  servi  piuttosto  a  famigli,  che  agli  schiavi  yerìyO  mancipii, 
de'  romani.  Nondimeno  i  nomi  usati  in  Italia  lungo  il  medio  evo 
verso  gh  agricoltori  di  ospiti,  terziatori,  pertinenti,  massai,  ma- 
nenti ,  villani ,  ascrittizi ,  oblati ,  commendati . . . ,  ricordano  pur 
troppo  codesti  servi  o  servidori,  chiamati  in  Francia  tagliabili. 
Ma  nella  seconda  metà  del  secolo  XIII,  imponendosi  loro  una 
tassa  pel  riscatto,  si  moltiplicarono  gli  statuti  e  i  provvedimenti 
per  alTrancarnegli.  Ed  era  regola,  che  i  servi  fuggitivi,  stati  un 
anno  e  un  giorno  entro  le  cerchie  cittadine,  acquistassero  la 
dolce  lil)ertà.  Celebri  in  tal  proposito  le  due  leggi  di  Bologna  e 
di  Firenze:  la  prima  delle  quaU,  dell'anno  1256,  affrancogli  a 
spese  del  comune,  rendendogli  lavoratori  fumanti  e  braeenti. 
La  seconda,  dell'anno  1289,  cinquantasette  giorni  dopo  la  bat- 
taglia di  Campaldino,  ogni  sorta  di  servaggio  o  colonato  proscrìs- 
se; ingiungendo  le  emancipazioni,  e  divietando  il  comperare  e 
il  vendere  diritti  d'  angheria.  Una  bolla  papale  del  1260  dichiara 
liberi  i  servi  di  masnada  della  Marca  trivigiana,  per  isferrargli 
vie  più  contro  gli  EcccUini,  prima  che  Cunizza  gli  manomettesse 
con  testamento  del  1265.  E,  sebbene  questo  nome  di  servi  di 
masnada  perdurasse  ne' loro  discendenti,  essi  dallo  sterminio  di 
que'  tiranni  in  poi ,  si  cangiarono  in  censuari  o  livellari ,  e  prò- 


-73- 

babOmente  del  quarto  de'  frutti.  Nondimeno ,  ove  la  gerarchia  o 
i  principati  imperavano ,  codesto  movimento  d' affrancazione  non 
fu  altrettanto  generoso  e  sollecito.  Di  guisa  che  la  schiavitù  non 
cessò  intieramente  in  Italia ,  se  non  nel  XTV  secolo  ;  ed  anzi  della 
servitù  della  gleba  e  del  traffico  degli  schiavi  stranieri  rimasero 
fin  qualche  secolo  appresso  vestigia. 


LIO.  Lunga  durata  della  servitù  nel  oristianesinio. 

L' empio  dominio  sugli  esseri  umani  fu  più  tardo  a  scompa- 
rire su' beni  ecclesiastici,  non  si  potendo  (già  si  sa)  alienare  i 
divini  diritti;  ed,  anche  nello  scomparire,  lasciava  dietro  a  sé 
qualche  addentellato.  Onde  nel  Friuli  la  chiesa  aquilejese,  pur 
alIi*ancando  i  servi,  conveitivagli  in  diesmani,  o  in  ministeriali 
obbUgati  a  prestare  ossequio  e  alcun'  opera.  Né  tuttavia  la  ser- 
vitù cessò  ivi  del  tutto,  se  non  qualche  anno  '  dopo  la  dedizione 
a'  veneziani ,  a  mezzo  il  XV  secolo  ;  rimanendovi  più  a  lungo  av- 
vinti i  villaggi  di  orìgine  e  nome  slavico  sulla  ripa  sinistra  del 
Tagliamento.  Peggio  per  altro  avvenne  a  pie  delle  opposte  Alpi, 
in  quella  regione  per  le  fisiche  condizioni  simile  alla  porta  orien- 
tale d' Italia ,  e  pegU  esotici  flagelli  parimenti  infeUce.  Quivi  so- 
lamente nel  1561  il  duca  Emanuele  FiUberlo  ordinò,  si  Uberas- 
sero  i  tagUabiU ,  Ugi ,  manoìnorte  ;  e  appena  ne'  secoh  XYII  in 
Piemonte,  e  XVIII  in  Savoja,  le  ultime  catene  servih  s'infran- 
sero (Cibrario,  Schiavitù  e  servaggio,  I,  5).  In  tutta  Italia  per 
altro  la  servitù  domestica,  qualora  cadesse  su  pagani  o  su  sara- 
ceni, tardò  più  della  rustica  a  dileguarsi.  Che,  quantunque  dalla 
seconda  metà  del  milletrecento  non  si  trovino  più  servi  gene- 
rati in  casa,  tuttavia  anche  di  poi  si  comperavano.  Schiavi  case- 
recci  anzi  di  razza  cristiana  dal  millecento  in  poi  probabilmente 
non  ve  ne  furono  più;  si  bene  tartari,  turchi,  barbareschi  ed 
etiopi.  Ma  le  ultime  traccio  della  servitù  domestica  di  uomini  com- 
penti ,  in  ItaUa  (  e  cioè  sotto  gli  sguardi  e  le  benedizioni  de'  papi  ), 
durano  sino  al  finire  del  XVI  secolo:  quando  il  traffico  vene- 
ziano degli  orientali  schiavi  svanì ,  e  cominciò  la  cristiana  tratta 
degli  africani  per  l'America.  E  vi  sono  documenti,  che  la  pro- 
vano indubbiamente  sussistente  ancora  negli  anni  1405,  1441, 
1498,  1531,  1537  e  1566  (Zamboni,  Eezelini,  Dante  e  schia- 
vi ).  Nondimeno  l' ItaUa  precedette ,  come  in  tutte  le  altre  cose , 


-74  ~ 

anche  in  questa  le  altre  nazioni:  non  esclusavi  quella  famige- 
rata Francia,  che  sin  quasi  a  Luigi  XVI  vide  sussistere  nel  suo 
seno  la  servitù  della  gleba.  Neir  anno  1834  contavansi  ancora 
in  Russia  ventidue  milioni  di  schiavi;  né  in  altri  punti  d'Europa 
certe  gravezze  servili  (curvate  o  robote)  erano  del  lutto  sparite. 
Continuate  in  alcuni  domimi  austriaci  sino  al  1849;  in  Poioma 
solamente  nel  1864,  domata  Y  ultima  sollevazione,  furono  da  Ales- 
sandro II  abolite.  Questi,  che  già  avea  dopo  la  sconiitta  nella 
penisola  taurica  emancipato  neir  ampio  impero  i  servi  della  gle- 
ba; mutò  allora  colà  i  livellari  in  proprietari,  gravandogli  d*una 
sovratassa  per  indennità  agli  spropriati.  Con  che  egli,  facendo 
pel  ceto  più  miserevole  quello,  che  i  magnati  poloni  non  aveano 
saputo  (  e  fu  gran  danno);  e  insieme  parificando  agU  altri  sudditi 
gU  ebrei,  ripromettevasi  di  avere  amico  il  gregge  pasciuto,  e 
devoti  gr  inseparabili  mugnitori.  Le  ultime  leggi  europee  contro 
la  servitù  della  gleba  sono  del  1708  in  Prussia,  del  1761  in 
Danimarca ,^  del  1798  in  Svizzera,  del  1807  in  Polonia,  del  1808 
in  Baviera,  del  1832  in  Sassonia  e  del  1863  in  Russia.  Dal  qoal- 
r  ultimo  anno  1863  data  anche  la  legge ,  che  proscrisse  la  schia- 
vitù de'  negri  negli  Stati  uniti  d'America ,  si  freddamente  e  cru- 
delmente colà  tra.  un  versetto  e  Y  altro  della  Bibbia  mantenuta 
a  lungo.  E  cosi  manifestasi,  per  tale  sperienza  di  diciotto  sec(di 
(in  onta  a  cui  del  resto  la  servitù  funesta  ancora  la  maggior 
parte  del  globo),  qual  prova  facesse  in  questo  supremo  argomento 
il  cristianesimo. 


LIV.  Lotte  tra  nobiltà  e  popolo  in  Yenoiia  e  in 

Ma ,  tornando  alla  popolazione  libera  ne'  nostri  comuni ,  qui 
la  disputa  repubblicana  tra  patriziato  e  pkbe  si  rinnova ,  general- 
mente vinta  da  quest'  ultima  ;  benché  poscia  dalla  borghesia  e 
alla  fine  dal  principato  sfruttata.  Al  quale  uopo ,  non  essendo  ella 
stata  dovunque  uguale ,  giova  dichiarare  distintamente ,  almeno 
ne'  principali  comuni ,  qual  corso  ed  esito  avesse.  Nelle  città  dun- 
que, sin  dove  non  arrivò  la  lunga  spada  de'  longobardi  (sebbene 
poi  questi  e  franchi  e  tedeschi  da  Carlo  magno  in  poi  vi  pene- 
trassero), potè  esservi  tosto  o  per  dir  meglio  rimanere  un  ceto 
nobile,  cittadino  e  romano,  disceso  dagli  antichi  curiali,  onoriti 
e  possidenti.  E  questa  é  la  ragione  forse,  per  cui  Venezia,  non 


-75- 

violau  da'  barbari,  diversiflca  dalle  altre  italiane  repubbliche  co- 
tanto. Nella  quale  da  principio  il  governo  tra  monarchico  e  de- 
mocratico stette  nel  doge  e  nella  convocazione  del  popolo.  Ma 
i  più  antichi  ed  illustri  cittadini ,  domando  la  podestà  dogale ,  che 
a  sua  volta  avea  domato  quella  de'  tribuni  deUe  isole ,  esaltarono 
un  patriziato,  che  del  resto  alla  navigazione  e  ai  commerci  ac- 
cudiva, quanto  alla  guerra  e  ai  magistrati.  Cosi,  dopo  V  uccisione 
di  Vitale  Michieli  istituendosi  il  maggior  consiglio  (1172),  e  que- 
sto colla  serrata  di  Piero  Gradenigo  rendendosi  nelle  famiglie  già 
entratevi  ereditario  (1297),  quella  temuta  e  gloriosa  aristocrazia 
ebbe  vita,  che  non  si  lasciò  più  spodestare.  Il  popolo,  non  avendo 
potuto  né  colla  congiura  di  JBajamonte  TiepolOj  né  alti'imenti 
ricuperare  la  propria  sovranità,  fu  indotto  al  silenzio.  E  si  dovè 
acquetare  in  q\xe\ì  ordine  de'  segretari  o  de'  cittadini  originari, 
per  verità  rispettato;  ma,  tranne  che  pegU  ullìci  di  cancelleria, 
privo  delle  prerogative  politiche.  Peggio  accadde  in  Roma,  che, 
nel  mille  e  poco  appresso ,  agitavasi  in  preda  a  un'  anaixhia  di 
primati  della  città  e  della  campagna,  specialmente  pullulati  da- 
gU  uffici  della  papal  curia,  resisi  ereditari.  I  costoro  caporioni, 
co'  nomi  profanati  di  consoli  o  di  senatori ,  ed  anche  di  senatri- 
ci, faceano  e  disfaceano  i  papi  appunto,  e  il  popolo  tiranneggia- 
vano. Né  per  quante  volte  poi  questo  tentasse  di  rivendicarsi,  e 
quantunque  giungesse  nell'anno  1143  a  fondare  per  poco  con  la 
rinnovazione  del  senato  un  Ubero  comune,  vi  riuscì. 


LV.  Lotte  nella  Lombardia. 

NegU  altri  comuni  in  vece ,  la  cui  prima  nobiltà  specialmente 
constava  de'  militi  di  ceppo  barbaro  ;  il  popolo ,  anzi  che  cadesse 
neDa  seconda,  de'  concivi  di  ceppo  romano,  contrastò  a  lungo. 
Ma  diversamente  in  questo  e  in  quel  luogo ,  secondo  sono  per 
dire.  Perocché  nell'ItaUa  traspadana  e  circumpadana  trionfò  in 
breve,  venendo  anche  in  breve  da'  tiranni  domestici  sopraffatto.  À 
Genova  e  a  Lucca  fu  tosto  da  un'  aristocrazia  elevatasi  dal  suo 
medesimo  seno,  ossia  dalla  nobiltà  borghese,  avviluppato.  À  Siena 
degradossi  in  un  fazioso  e  triviale  monopolio;  ed  a  Firenze 
prosegui  più  a  lungo  la  pugna  e  più  oltre  la  vittoria ,  si  da  emu- 
lar quasi  r  antica  romulea  plebe  :  ma  da  ultimo  cadendo  inelutta- 
bilmente sotto  alla  tirannide.  A  mezzo  dunque  il  secolo  XII ,  quan- 


-76^ 

do  le  città  lombarde  rifioriscono ,  rivedesi  quella  costituzione  ari- 
stocratica ,  che  già  ne'  municipii  romaoi  al  cader  dell'  impero  la- 
sciossi.  Se  noD  che,  alla  fine  di  questesso  secolo ,  e  più  al  prin- 
cipio del  seguente,  la  democrazia  co'  corpi  deUe  arti  e  co'  rela- 
tivi proposti  comincia  nelle  medesime  a  spuntare.  E  il  successivo 
loi*o  sviluppo  ne'  secoli  XIII  e  XTV  si  basa  appunto  nell'  antago- 
nismo tra'  grandi  e  popolani ,  tra  il  vecchio  comune  gentilizio 
e  il  nuovo  comune  artigianesco ,  che  poi  termina  col  trionfare.  A 
Milano  per  tanto  i  fornai ,  macellai  ed  altri  artefici  minuti  creano 
nel  1198  con  la  credenza  di  sani'  Ambrogio  un  comune  a  sé, 
che  poi  si  sovrappone  alla  nobiltà  ed  alla  borghesia.  Gessata  quivi 
appena  tra  potenti  e  plebei  quell'  amistà,  che  per  combattere  il 
comune  nemico  aveano  poc'  anzi  stretta  ;  il  popolo ,  ponendo  sul 
più  alto  seggio,  in  luogo  di  consoli,  un  podestà  forestiero,  ac- 
cenna tosto  a  rivendicarsi.  Benché  conservasse  come  consiglio  di 
credenza  questi  consoU ,  cresciuti  a  dodici  e  tratti  da'  nobili  ;  ot- 
tiene primieramente,  che  da  un  corpo  di  cento  artigiani,  deputati 
dal  consiglio  degli  ottocetito ,  assemblea  cittadina ,  si  eleggessera 
£  poscia,  benché  la  nobiltà  cessasse  di  signoreggiare  (1221), 
nella  pace  di  sant'  Ambrogio  conviene,  che  gli  uffici  pubblici 
tutti  fossero  accomunati  :  né  pare ,  che  tra  nobiltà  vecchia  e  nuovi 
si  facesse  più  distinzione.  Primeggiando  tuttavia  la  medesima  per 
concorde  spirito  e  militar  perizia,  esso  per  domarla  crea  un  co- 
pitano  generale  e  varie  compagnie  :  tra  cui  precipue  quella  ple- 
bea di  credenza  e  quella  borghese  della  motta.  Intanto  la  nobiltà, 
che  serbava  i  due  consigli  de'  cattani  o  nobili  maggiori  e  de'  val- 
vassori 0  nobili  minori,  e  che  davasi  proprie  leggi  nel  tempo 
stesso,  che  il  popolo  le  sue  (a  un  di  presso  come  a  Roma  per 
un  certo  lasso  il  senato  e  i  comizi  tributi);  assecondata  dalla  mal- 
ta y  contrappose  un  proprio  al  podestà  del  popolo.  Ma  questo, 
superandola ,  elegge  Martino  della  Torre  a  tribuno  e  duce ,  ov- 
veramente  a  protettore  e  signore.  E  in  tal  guisa  contro  i  gentil- 
uomini armati  si  afforzò,  gU  sconfisse,  ed  otto  o  nove  cento  di 
loro ,  avutigli  a  discrezione ,  sottopose  ad  oltraggio.  Il  quale  esem- 
pio deU' insubre  metropoli  seguirono  le  altre  città  limìtrofe:  ove, 
pur  sotto  il  medesimo  protettore  e  signore,  il  popolo  schiacciò  la 
nobiltà  e  soggiacque  alla  tirannide.  E,  benché  poscia  dovesse  sotto 
i  Visconti  e  gU  Sforza  espiare  più  duramente  tanto  faUo,  direb- 
besi ,  eh'  esso ,  pago  di  aver  tirato  i  suoi  rivali  nella  propria  bas- 
sezza, deUa  libertà  non  gli  calesse  più  niente. 


-77  — 


Vfl.  Lttto  ■•a*  SfeiM  triifigiaaft  e  in  Bologna. 

• 

Similmente  a  Verona,  Vicenza  e  Padova,  e  in  genere  nelle 
città  della  terra  ferma  veneta ,  sul  finire  del  trecento  la  parte  pò- 
pofama,  prevalendovi,  bandi  i  gentiluomini  dal  governo.  E  questo 
alle  compagnie  éFarti  affidò,  i  cui  gastaldi  quasi  tribuni  diven- 
tarono. Ma ,  avendo  pur  dovuto ,  per  battere  e  avvilire  le  fazioni , 
creare  suoi  capitani  i  signori  da  Romano ,  della  Scala  e  da  Car- 
rara ,  tra  gli  artigli  di  questi  tiranni  atrocemente  spirò.  Il  celebre 
apostolo  della  pace ,  frate  Giovanni  da  Schio ,  che  con  la  possen- 
te parola  adunò  a  concilio  in  Paquara  quattrocentomila  italiani, 
e  riformò  quasi  tutti  gli  statuti  delle  dette  città ,  fu  altresì  autore 
d'un  grande  movimento  democratico •(1233).  Assunto  in  Vicenza 
e  in  Verona  alla  suprema  autorità,  con  presidi i  e  ostaggi  atterrò 
i  baroni  d'intorno,  e  fece  leggi  per  distribuire  all'universalità  gli 
uCBcL  Se  non  che ,  quale  persecutore  degli  eretici  e  insiememente 
tiranno,  suscitò  ne'  padovani  tanto  sdegno,  che  ne  lo  cacciarono 
in  bando.  Anche  a  Bologna  la  parte  popolana  o  guelfa,  capita- 
nata da'  Geremei ,  giunse  a  proscrivere  diecimila  avversari  :  ma , 
dovendo  poi  invocare  la  protezione  de'  papi ,  pose  l' irrequieta  città 
sotto  il  costoro  giogo.  Nella  quale  da  principio  un'eletta  di  po- 
polo ,  detta  comune ,  avea  la  podestà  pubblica  ;  siccome  ne'  romani 
monicipii  la  curia.  E,  secondo  i  più  antichi  statuti,  doveano  i  con- 
soli e  gli  altri  ufficiali  essere  eletti  tra'  nobili.  Onde,  comunque 
vi  fosse  un  arringo  generale  di  tutt'i  cittadini,  non  lavoranti  e 
non  proletari,  e  un  consiglio  di  ottocento,  la  forma  del  reggi- 
mento era  alquanto  aristocratica.  Ma  già  nel  secolo  XII  la  ple- 
be, detta  popolo^  si  rizzò  colle  compagnie  d'arti  e  d'armi,  che 
innanzi  erano  quasi  passate  inosservate ,  e  che  allora  cominciarono 
a  partecipare  allo  stato.  E  nell'anno  1228  accadde  anzi,  come  or 
ri  direbbe,  una  rivoluzione  democratica:  dappoiché,  non  paghi 
i  plebei  d'entrare  co'  capi  artigiani  e  cogh  anziani  loro  nel  mag- 
giore e  nel  minor  consiglio,  creandosi  un  capitano  del  popolo  si 
segregarono  dal  comune  affatto.  Ebbervi  così  per  un  certo  tempo 
dne  repubbliche  :  fino  a  che  la  popolare  prevalse  ;  e  sacrificò  ai 
Pq)o!i,  ai  Bentivogli,e  più  ignobilmente  ai  papi,  la  cara  e  pro- 
digata libertà. 


--  78  - 


LVII.  Lotte  in  GenoT»  e  in  Siena. 

Genova  in  vece,  pur  sempre  da  intestine  discordie  lacerata, 
fin  da'  primi  vagiti  della  sua  non  meno  cara  e  non  meno  prodi- 
gata libertà  fu  dominata  da'  grandi  ;  sebbene  a  canto  ai  consoli 
avesse  i  quasi  tribunizi  capitani.  Né  si  avvantaggiò  guarì  da  quel- 
lo, che  fu  altrove  rimedio:  la  surrogazione  del  podestà  a' con- 
soli. Poiché  i  grandi  medesimi ,  congiunti  fra  loro  in  otto  €omp(i- 
gnie^  sceglievano  il  consiglio  di  credenza,  da  cui  era  il  podestà 
assistito  e  frenato  ;  e  che ,  come  slabile ,  poteva  assai  più  della 
popolar  concione.  Contro  tale  oligarchia  i  ceti  conculcati ,  che  già 
aveano  nello  abate  una  ulterior  specie  di  tribuno,  insorsero,  e- 
leggendo  GugUelmo  Boccanegra  capitano  del  popolo.  Ma  non  tanto 
domaronla ,  quanto  alla  vecchia  una  nuova  aristocrazia ,  nutricatasi 
del  mercimonio,  sostituirono.  Di  guisa  che,  per  quanto  reietto 
facesse;  principalmente  dopo  la  liberazione  d'Andrea  Dona  e  la 
ridìizione  degli  alberghi,  non  vi  ebbe  più  contesa,  se  non  di 
dividere  lo  stato ,  come  un  comune  feudo ,  tra'  nobili  vecchi  e 
nuovi ,  0  militi  e  borghesi.  A  proposito  di  che  Uberto  Foglietta  no- 
ta, che  ne'  primi  tempi  della  libertà  in  Genova  il  titolo  di  nobili 
si  dava  a  tutti  coloro,  che  a'  più  alti  uflìci  della  repubblica  per- 
venivano. Ma  che,  per  metter  freno  agli  eccessi  de'  grandi  scn- 
dosi  con  la  riforma  del  1270  concesso  a'  popolani  esclusiva- 
mente la  dignità  del  dogato,  e  altre  appresso,  che  miglioravano 
la  sorte  di  questi  su  quelli ,  cominciossi  a  distinguere  i  due  cdhri 
de'  nobili  e  de'  popobmi ,  chiamandosi  ognuno  come  meglio  ag- 
gradiva. Cosi  che  tra'  popolani  genovesi  non  vi  sono  meno  casati 
antichi ,  che  tra'  nobili  ;  né  meno  cospicui.  Non  quindi  men  nobili 
de'  cosi  detti  nobili;  siccome  quelli,  che  possono  ai  Dorìa,  Spi- 
nola, Fieschi  e  Grimaldi  opporre  gli  Adorni  e  Fregosi  e  altre  non 
meno  insigni  prosapie.  E  quindi  egli  ne'  suoi  dialoghi  della  JR^^ 
pubblica  di  Genova^  clie  sono  una  rivendicazione  non  tanto  delh 
popolarità,  com'egli  credeva,  quanto  della  borghesia  genovese  nel 
cinquecento  ;  duolsì ,  che  la  riforma  del  1528  (riducendo,  secondo 
una  consuetudine  vetusta ,  a  ventotto  alberghi  o  consorterìe  le 
principali  famiglie  nobili  e  popolari  con  preferenza  delle  prime) 
desse  a  tutte  il  titolo  di  nobili  e  il  governo  dello  stato  con  esclusione 
della  plebe.  Dappoiché,  in  vece  di  togliere  i  colori  sopraddetti  e 


-79- 

di  mure  i  ceti ,  creasse  ivi  un'  aristocrazia ,  dove  non  ci  era  mai 
stata.  Anche  Lucca ,  sin  da'  primordi  retta  da  ottimati ,  soggiacque 
tosto  a  una  nobiltà  nuova ,  che  la  vecchia  respinse ,  e  che  con  radi 
intervalli  tenne  come  possessione  propria  la  repubbUca.  Ma  in 
Siena  sin  dal  Xni  secolo  il  popolo  oppresse  la  nobiltà ,  prepo- 
nendo al  reggimento ,  in  luogo  della  signoria  de*  qtnndici ,  nove 
oflSciali  cittadini  col  titolo  di  governatori  e  difensori  di  esso  me- 
desimo. Però  sofferse  anche  da  allora  quella  oligarchia  borghese, 
che  poscia  in  una  oclocrazia  settaria  flnl,  e  con  la  perdita  della 
libertà  e  dello  stato.  Che ,  per  non  dire  de'  grandi ,  esclusi  quasi 
sempre  da'  magistrati,  erasi  la  cittadinanza  divisa  ne'  quattro  ordi- 
ni, che,  congiunti  o  disgiunti,  per  tre  secoU  usurparono  la  potestà 
pubblica.  Il  monte  de'  nove  cioè,  o  de'  primi  oligarchi  borghesi; 
quello  de'  dodici ,  o  de'  secondi  ;  quello  de'  riformatori ,  o  de'  borghe- 
si inferiori  ;  e  alla  fine  il  monte  del  popolo,  o  dell'  infimo  ceto. 


LVIfl.  Popolo  grasso  e  magro  in  Firenae. 

Codesto  sollevamento  della  popolarità,  che  in  Siena  assunse 
forme  cosi  brutte  e  strane,  per  ventura  sale  nella  gentile  città 
de'  fiori  a  una  subUme  e  splendida  altezza.  Qui  pure  la  somma 
delle  cose  stette  primieramente  nelle  mani  di  quattro  o  sei  conso- 
li,  di  un  podestà  e  di  un  senato  di  cento ,  tratti  dalla  nobiltà  ur- 
bana ,  a  cui  poscia  aggregossi  la  rurale  ;  e  i  quali  nelle  straordi- 
narie bisogne  convocavano  il  popolo  tutto.  Questo  per  altro ,  umi- 
Uato,  quando  nel  1250  la  parte  ghibellina  riportò  una  grande  vit- 
toria ,  insorge  ;  ed  istituisce  un  proprio  capitano  e  dodici  anzia- 
ni, e  dal  suo  seno  venti  compagnie  d'armi.  Vinto  nella  batta- 
glia d' Arbia  subisce  di  nuovo  la  prepotenza  de'  gratuli  :  ma , 
rientrati  i  guelfi,  ordina  nel  1266  le  sette  arti  maggiori  e  le 
cinque  minori  (poi  divenute  quattordici).  E  nel  1267  i  dodici 
huonomini  in  luogo  degli  anziani ,  la  credenza  di  ottanta  citta- 
dini ,  il  consiglio  generale  de'  centoventi ,  e  i  capitani  di  parte 
guelfa^:  con  che  diede  allo  stato  una  base  democratica.  Né  pa- 
go di  ciò ,  nel  1282  crea  i  tre  priori  (  poi  divenuti  sei  ed  otto), 
e  nel  1293  il  gonfaloniere  di  giustizia;  co'  famosi  ordinamenti 
di  giustizia  di  Giano  della  Bella ,  patrizio  e  tribuno  del  seme 
de'  Gracchi,  che  vietano  la  signoria  ai  grandi.  I  quah,  resi  poi 
affatto  incapaci  a'  pubblici  uffici ,  restano  cosi  inviUti ,  che  il  ve- 


-  80  - 

nire  ascritti  all'ordine  loro  valeva  essere  ammoniti,  o  colpiti  di 
civica  degradazione.  Non  {stancandosi  tuttavia,  nel  1307  il  popolo 
rinnova  le  compagnie  d*  armi  e  nomina  Y  esecutore  contro  i  gratk- 
di,  e  nel  1323  prescrive  le  imborsazioni  àé  magistrati.  E  nel 
1343,  costringendo  molti  di  quelli  a  farsi  popolani,  e  dando  la 
signoria  a  due  del  popolo  potente ,  due  del  mezzano  e  due  del 
basso,  av\^oca  a  sé  intieramente  l'impero.  Se  non  che,  la  sover- 
chia oppressione  de'  migliori  tornando  a  suo  danno,  nel  suo 
seno  medesimo  tosto  appresso  alza  le  coma  la  classe  de'  popò- 
lani  grassi,  che  attuano,  come  or  si  direbbe,  la  dominazione 
del  terzo  ceto.  E  da  questa  esce  una  nobiltà  nuova;  la  quale  in- 
solentisce talmente ,  che  la  nobiltà  vecchia  e  i  popolani  magri 
si  accordano  quasi  tra  loro  per  ischermirsene.  Gli  eccessi  della 
borghesia  generano  quindi  nel  1378  il  tumulto  de  ciompi;  per 
cui  causa  l'infima  plebe  o,  come  or  si  direbbe,  il  quarto  ceto, 
occupa  ed  agita  la  repubblica.  In  grazia  di  tal  tumulto  i  sudditi 
e  rejetti  delle  arti  maggiori  e  minori ,  o  cioè  i  bassi  e  poveri  la- 
voranti ,  aveano  ottenuto  tre  arti  proprie  minute ,  un  terzo  degli 
uffici  e  mezza  la  signorìa.  Ma,  stravolendo  e  abbandonando  Mi- 
chele di  Landò,  secondo  tribuno  florentino,  che  mento,  come  il 
primo,  le  laudi  di  Niccolò  Machiavelli ,  e  tipo  stupendo  delf  ope- 
rajo  italiano ,  dopo  tre  soli  anni  rimangono  oppressati.  E  cosi  potò 
quella  oligarchia  borghese  consolidarsi ,  fiacca  e  scettica  ;  la  quale 
prima  co'  bandi  e  co'  supplizi  assottigliò  e  impauri  l' infima  ple- 
be, che  avea  dianzi  trionfato:  poscia  infelloni,  e  alla  fine  servi 
la  tirannide  medicea.  Ma  lo  spirito  di  classica  democrazia  in  quella 
Atene  nostra  penò  tónto  a  spegnersi,  che  dal  1494  al  1512,  cac- 
ciati per  poco  i  tiranni;  il  consiglio  grande,  instóurato  da  frate 
Geronimo  Savonarola  era,  anche  a  detta  di  Guicciardini  e  Gian- 
notti,  la  speme  e  l'idolo  de'  fiorentini.  Considerando  quanto  la 
corruzione  alimenti  la  servitù,  tentò  nel  1489  questo  frate  una 
riforma  morale,  veramente  un  po'  troppo  ascetica,  co'  suoi  pia- 
gnoni. E  nel  1495,  sostituendo  alle  &aZt>  nominate  in  parlamenti 
tumultuari  il  predetto  corpo  di  millottocento  e  più  cittadini,  aventi 
stóto ,  attuò  pur  anco  una  riforma  democratica.  Né ,  quantunque 
poscia  venisse,  come  impostore,  abbandonato,  e,  come  eretico, 
arso;  si  può  negare,  che  fosse  senza  efficacia  il  suo  apostolato. 
Mercè  il  quale  potè  almeno  quel  popolo,  nel  memorando  assedio 
del  1530,  mandare  le  ultime  scintille  della  virtii  italiana,  che 
stava  per  ottenebrarsi. 


-  81  - 


LIX.  Ceti  prendenti  ne'  oomnni  italiani. 

Le  imprese  del  quarto  ceto  per  riscattarsi  in  Firenze  e  in 
qualch' altra  città  destarono  appena  una  languida  eco  nelle  cam- 
pagne :  dove  i  conati  analoghi  ebbero ,  come  oltre  monti ,  piuttosto 
un'indole  religiosa  e  anarchica,  che  ordinata  e  civile.  Ciò  accadde 
una  volta  ne'  puri  campi  dell'ortodossia,  quando  il  santo  d'Assisi 
sognò  il  dolce  sogno  d'avverare  in  terra  coli' umiltà  e  la  carità 
r uguaglianza  e  la  beatitudine  de'  cieli.  Ma,  non  avendo  lasciata 
dietro  a  sé,  se  non  una  zotica  frateria;  altri  cercarono , ribellan- 
dosi non  meno  alle  spirituali ,  che  alle  temporaU  podestà ,  di  pa- 
trocinare pei  più  miseri  e  derelitti,  se  non  le  celesti,  le  terrene 
gioje.  Gli  eresiarchi  dall'  XI  al  XTV  secolo ,  noti  principalmente  coi 
nomi  di  albigesi  in  Francia  e  qui  tra  noi  di  paterini^  contrap- 
ponendosi alle  recenti  deGnizioni  dogmatiche  e  istituzioni  disci- 
plinari della  chiesa  ;  mentre  miravano  a  una  restaurazione  dell'ob- 
bliato  vangelo ,  proseguivano  altresì  la  rivendicazione  delle  grame 
moltitadini.  Se  non  che  fra  Dolcino  appunto,  profeta  e  capitano 
de'  nostri  volghi  rustici  ed  eretici,  nel  1307  da'  cospirati  preti, 
nobili  e  borghesi  rimase  schiacciato.  Ned  è  meraviglia ,  che  questi 
volghi  fossero  da'  principi  in  uno  e  da'  comuni  perseguitati  a  mor- 
te; e  per  sin  rinnegati  da'  nostri  triumviri  letterari  del  trecento, 
che  pur  covavano  contro  la  corte  papale  e  le  intemperanze  del 
clero  la  medesima  collera.  Dappoiché ,  anche  quando  i  più  istrutti 
avessero  saputo  allora  ne'  contadi  comportare  quelle  medesime 
libertà ,  che  ne'  comuni  sopportavano  ;  non  poteano  o  non  doveano 
reputare,  se  non  un  delirio,  codesto  modo  di  procacciarle  disor- 
dinato e  incivile.  Ma ,  riassumendo ,  ne'  comuni  dal  lor  fiore  al  lor 
languire ,  a  qual  ceto  veramente  appartenne  il  primato  ?  Enrico 
Brougham  osservò ,  che ,  sebbene  i  mutamenti  di  costituzione  es- 
ser dovessero  acconsentiti  da  quell'assemblea  di  tutti  i  cittadini, 
che  col  tempo  cadde  in  dissuetudine,  ma  da  principio  divideva 
insieme  colla  nobiltà  lo  sUìto  ;  pur  l' effettivo  esercizio  della  sovra- 
nità stava  nel  consiglio  piccolo  o  di  credenza  e  nel  consiglio 
grande  o  generale,  ambo  i  quali  più  o  meno  d'indole  aristocra- 
tica. Laonde  concluse  :  che  «  l' errore  di  rappresentare  queste 
repubbliche  come  dcmocraliche  provenne  dal  considerare  la  loro 
resistenza  ai  baroni ,  quale  opposizione  agli  ordini  del  patriziato  ; 

6 


-  82  - 

mentre  era  in  vece  resistenza  dell'aristocrazia  cittadina  a  quella 
campagnuola  »  (Filosofia  politica,  I,  16).  Per  contrario  Fede- 
rigo Sclopis  ritenne,  F indole  del  comune  italiano  medievale,  a 
differenza  dell'anteriore  romano  municipio,  democratica;  poscia- 
chè  «  la  somma  della  potenza  sovrana  stava  riposta  nel  popolo  » 
{Storia  della  legislazione  italiana^  lY).  E  veramente,  di  di- 
ritto e  di  fatto  prima,  e  almen  di  diritto  poi,  la  conclone  popo- 
lare, detta  arringo  o  parlamento,  possedeva  allora  la  podestà 
costitutiva  ;  sendo ,  ripeto ,  essenziale  al  diritto  pubblico  nostrano 
d' ogni  tempo ,  anche  sotto  X  usurpazione  de'  tiranni ,  che  la  so- 
vranità spetti  al  popolo.  Altresì  in  alcuni  comuni  e  in  alcuni  mo- 
menti godettero  i  nobili  minori  prerogative  e  guarentigie  de'  po- 
polani Erasi  di  più  in  Firenze  inventato  come  una  specie  d' ostra- 
cismo, nobilitando  i  popolani  invisi:  tanto  che  si  dovè  fissar  con 
legge ,  che ,  se  non  per  omicidio  o  per  altro  misfatto ,  non  si  do- 
vesse ciò  fare.  Ma  da  quanto  ho  sopra  esposto  appare ,  che ,  tranne 
quelle  poche  città,  in  cui  l'aristocrazia  si  rassodò,  e  salvò  del 
resto  la  forma  repubblicana  ;  e  tranne  anche  quelle ,  ove  la  plebe 
ebbe  un  proprio  periodo  di  prevalenza,  nelle  altre  in  generale 
occorre  quattro  perìodi  distinguere.  Nel  primo  prevale  la  nobiltà 
de'  grandi  o  di  sangue ,  nel  secondo  il  popolo  (  purché  in  un  senso 
di  contrapposto  a  quella  s' intenda) ,  nel  terzo  la  borghesia,  e  nel 
quarto  la  nobiltà  de'  borghesi  o  d' oro  :  il  che  press'  a  poco  anche 
in  Roma  era  intervenuto. 


LI.  Fiore  della  borgheiU  neU' Italia  mediefale. 

In  complesso  adunque  bisogna  riconoscere,  tanto  più  che  il 
popolo  stesso  era  costituito  da  mercatanti  e  artigiani,  che  il  ce- 
to, che  più  di  tutti  e  più  a  lungo  ne'  comuni  nostri  dominò,  fu 
appunto  il  terzo.  Ma,  quando  si  parla  di  cotal  ceto  a  Roma  e 
ne'  comuni ,  conviene  aver  fisso ,  come  si  alluda  a  una  borghesia 
ben  diversa  dall'  attuale.  Imperocché  la  borghesia  romana  e  comu- 
nale é  ben  vero,  che  al  pari  di  questa  non  formava  un  ordine 
chiuso,  era  nata  dal  popolo,  ed  attendeva  o  aveva  atteso  alle  arti 
e  alla  mercatanzia  ;  e  che  in  somma  fondava  al  pari  di  questa  il 
suo  primato  politico  suU'  elemento  economico.  Ma  d' altra  parte 
pegU  spiriti  civili  e  bellici ,  da  cui  era  animata ,  per  la  gentilezza 
degli  studi,  per  la  munidcenza  e  pel  culto  della  |)atria,  non  avea 


-83- 

niente  con  questa,  cui  chiameremo,  per  distinguerla  da  quel- 
la, neogiudaica  ^  niente  di  comune.  Fece  quella  tali  prodigi  di 
valore  e  d' ingegno ,  e  la  stessa  pecunia  accumulata  con  tanta 
magnanimità  profuse  pel  pubblico  decoro,  che  il  paragonarla  a 
questa  diventa  per  sino  ingiusto.  Comunque  sia  per  altro,  anche 
quella  decadde  si  ignobilmente,  che  ne'  tre  o  quattro  ultimi  se- 
coli ,  che  precessero  la  presente  nostra  Uberazione  dallo  stranie- 
ro, dalla  sua  incredulità  e  perversione  richiamato ,  appena  della 
sua  esistenza  si  si  avvede.  Il  sopravvento  delle  arti  maggiori  sulle 
minori  avea  finito  coli'  annientare  in  sullo  scorcio  del  secolo  XV 
il  vero  popolo,  tanto  grasso  come  magro.  Ebbevi  sì  in  Napoli, 
nella  sovraggiunta  accidia  e  sotto  la  spagnolesca  insolenza  del 
XVII,  una  larva  di  tribunato  e  di  riscatto  dell'  infima  plebe  :  ma 
senza  durevoli  effetti  (1647).  D'allora  in  poi,  senza  distinzione  tra 
le  antiche  città  aristocratiche  e  democratiche,  vedasi  ovunque  la 
nobiltà  prevalere,  parte  della  remota  e  parte  della  recente  origi- 
ne. Dico  prevalere  per  quegli  onori  o  disonori ,  che  possono  so- 
pravvivere alla  servitù  della  patria  ;  per  l' arroganza ,  per  la  bo- 
ria, per  la  vanagloria,  e  pel  triste  privilegio  d'esser  prima  a 
servire.  Onde  in  sullo  scorcio  del  XVIIi  secolo,  quando  questa 
borghesia  capitò ,  tre  ceti  trovò  (quello  de'  chierici  non  essendovi 
mai  statò)  tra  noi.  I  gentiluomini^  non  digiuni  almeno  di  lettere, 
che  oziavano  e  poltrivano  nelle  cariche  inutih  di  corte,  di  governo 
e  di  municipalità ,  che  portavano  la  parrucca  inanellata  e  lo  spa- 
dino a  traverso  ;  ma  che  si  mantenevano  provveduti  bene ,  in  grazia 
delle  eredità  e  de'  fedecommessi.  I  cittadini ,  reliquie  dell'  antica 
borghesia  nazionale ,  quasi  affatto  privi  de'  diritti  o  degli  uflBci  po- 
litici ,  che  serbavano  ancora  le  lor  botteghe  e  ofiìcine  ;  ma  non 
prospere ,  e  in  cui  campavano  oscuri  e  sommessi.  E  finalmente  i 
rt'Uic» ,  insieme  cogV inferiori  abitanti  delle  città,  umiliati  peggio, 
che  ora; sconsiderati,  come  ora;  e  trattati  meglio,  che  ora. 

LIL  Sistema  feadale  d'oltre  monti. 

Ma,  venendo  a  discorrere  della  borghesìa  neogiudaica,  alla 
quale  dal  finire  del  passato  secolo  in  poi  si  addissero  tra  noi 
alcuni  usciti  da'  tre  ceti  predetti ,  e  sopra  tutto  dal  secondo  colle 
oidiche  e  le  arrende ,  e  dal  terzo  colle  fattorie  e  le  fittanze  ;  natu- 
ralmente è  mestieri  al  di  là  delle  alpi  scovarla.  I  territori  delle 


-84  - 

Provincie  romane ,  conquistate  da'  barbari ,  venivano  di  regola  in 
tre  parti  divisi  :  una  al  re ,  l' altra  agi'  invasori ,  e  la  rimanente 
agli  originari  abitanti.  Conferendo  poscia  il  re  i  suoi  possessi  a* 
suoi  fedeli  in  beneficio,  ed  anche  i  liberi  possessori  i  propri  ai 
fedeli  loro ,  prima  a  vita ,  e  poscia  ereditariamente ,  sorsero  i  feu- 
di. Ed,  estorcendo  i  più  potenti  tra'  liberi  possessori  o  ricevendo 
gli  allodii  infeudati  da'  men  potenti ,  rimasero  costoro  soggetti  a 
coloro ,  benché  men  duramente  de'  servi  della  gleba.  I  quali  tutti 
viventi  in  rapporti  o  di  soggezione  o  di  servaggio ,  erano  per  tanto 
alla  prestazione  di  frutti  e  di  censi ,  di  oneri  e  d' opere ,  e  di  al- 
tre 0  feudali  o  servili  gravezze  obbligati.  Ma  tra'  due  ordini,  che 
dalla  feudalità  derivarono ,  di  sovrapposti  e  sottoposti ,  gli  uni  av- 
ventizi e  gli  altri  indigeni,  potè  colà  incastrarsi  un  ordine  in 
gran  parte  romano,  quello  de'  sacerdoti.  I  quali  in  Italia,  dove 
la  coltura  era  del  luogo,  non  ebbero  punto  un  valor  politico  lo- 
cale :  ma  all'  estemo ,  rappresentando  i  vinti  civili  di  fronte  a'  vin- 
citori inciviU ,  r  acquistarono  da  vantaggio.  E ,  analogamente  a 
quanto  era  negU  orientali  imperi  occorso,  avrebbero  per  sino  po- 
tuto dar  vita  a  una  casta,  se  per  ventura  il  celibato  non  avesse 
loro  impedito  la  successione.  Cosi  nelle  più  fitte  tenebre  del  me- 
dio evo ,  de'  tre  ceti ,  che  colà  si  formarono ,  la  milizia  compren- 
deva la  nobiltà  e  la  cavalleria  ;  e  questa  risultava  o  dal  lignag- 
gio 0  dalla  professione.  Il  clero  ^  potente  spiritualmente  e  tempo- 
ralmente ,  custodiva  0  bene  o  male  il  deposito  sacro  della  genti- 
lezza e  della  dottrina  tramandata.  Ed  alla  produzione  economica 
attendeva  un  terzo  ceto  in  massima  parte,  sin  che  si  rimaneva 
rustico ,  privo  di  libertà.  Ma  questo  medesimo  ceto  degradossi  in 
quarto  (e  però  furonvi  da  allora  quattro  ceti  oltre  monti),  dopo 
che  con  gravi  tenzoni  nelle  città,  o  per  dir  meglio  ne'  borghi ^ 
dove  i  soli  nobili  aveano  stato,  poterono  anche  gl'ignobili  coDe 
maestranze  ottenerlo.  Donde  è  venuto,  che,  a  distinguergli  daUa 
milizia  e  dal  clero  superiori  e  dalla  contadinanza  inferiore  si 
chiamassero  costoro  borghesia  o  terzo  ceto.  E  tuttodì  si  chiamino 
anche  tra  noi;  ove  più  proprio  sarebbe,  come  ho  pur  detto, 
chiamargli  cittadinanza  o  ceto  secondo. 

LXll.  OoBAti  del  ten»  e  qiArio  eato  oltre  meitL 

Questa  riscossa  per  altro  delle  persone  vendereccie  e  mecca- 
niche, come  oltre  monti  assai  men  gloriosa,  cosi  fu  più  tarda. 


-85  - 

che  tra  noi.  E  là,  dove  più  alle  italiche  cittadinanze  rassomigliò, 
siccome  nelle  repubbliche  mercantili  della  Magna  e  della  Fian- 
dra ,  di  molto  a  quella  Roma  è  debitrice ,  che  aveavi  o  i  ruderi 
delle  sue  colonie  o  le  tradizioni  de'  suoi  stupendi  ordini  munici- 
pali lasciato.  Quanto  del  resto  la  podestà  regia  in  que'  raccozza- 
menti  neobarbarici ,  detti  adesso  monarchie  neoromane ,  logorava- 
si,  e  tanto  più  la  feudalità  infelloniva.  La  fortuna  e  gli  eccessi  della 
quale  non  erano  venuti  meno  né  anco  in  quel  tempo ,  che  più  qui 
fiorivano  i  comuni.  Tanto  che  nel  regno  cristiano  di  Gerusalemme 
e  Dell'  impero  latino  di  Costantinopoli ,  come  negli  altri  possedi- 
menti di  levante,  i  crociati  trasportarono  senz'altro  il  sistema  feu- 
dale ;  avvincendo  i  nativi  per  la  più  parte  alle  materne  zolle  (1204). 
E  i  cavalieri  dell'  ordine  teutonico ,  germanizzando  e  cristianizzan- 
do la  Prussia  slava  e  pagana ,  assoggettarono  alla  medesima  ser- 
vitù i  liberi  coltivatori,  che  vi  abitavano  (1309).  In  molti  stati 
poi,  e  massime  ne'  regni  anglico,  ungarico  e  polono,  ch'erano 
piuttosto  repubbliche  di  magnati ,  la  feudale  anarchia  funestò 
pft  a  lungo.  Sotto  di  essa  un  ceto  medio  non  poteva  dunque  alli- 
gnare :  ma  (come  tuttogiorno  nella  sventurata  Polonia)  al  cambio 
e  alla  mercatura ,  ovvero  all'usura  e  alla  ricettazione ,  accudivano 
gli  ebrei,  unici  borghesi  allora  in  que'  luoghi.  Imperocché,  ove 
il  ceto  medio  manca,  suppliscono  alcuni  parassiti  o  girovaghi: 
come  appunto  codesti  ebrei  in  tutto  il  mondo  e  in  ogni  evo  ;  i 
lombardi  e  i  toscani  in  Europa  e  ne'  tempi  mezzani ,  e  oggidì 
gli  armeni  in  Turchia  e  i  franchi  in  Egitto.  Nelle  quaU  ultime 
due  Provincie  si  può  tuttogiorno  assistere  quasi  al  momento  sto- 
rico ,  in  cui  un  popolo  invade  ed  altro  é  invaso  senza  fondersi  ; 
considerando  le  opposte  sorti  degli  ottomani  e  degU  arabi  da  un 
lato ,  e  de'  rajà  e  de'  fella  dall'  altro ,  tra  cui  lucrano  i  predetti 
parassiti  o  girovaghi ,  senza  riguardi  pegli  uni  e  senza  viscere  pegU 
altri.  Carpiscono  essi  a  buon  mercato ,  e  nascondono  ne'  propri  for- 
zieri e  portafogU  la  preda ,  che  i  violenti  strappano  ai  mansueti.  Ne- 
gli stati  oltramontani  nondimeno  le  crociate ,  quanto  di  una  classe 
di  liberi  coltivatori ,  affrancando  molti  servi  della  gleba  ;  e  tanto 
favorirono  il  formarsi  d' una  classe  di  agiati  borghesi ,  agevolando 
le  comunicazioni,  i  baratti  e  le  industrie  fabbrili.  Ma  questa  e 
quella  dovettero  molto  penare,  prima  di  potere  tra  quelle  orgie 
secolari  della  prepotenza  e  deUa  brutalità  respirare.  I  nobili  e  i 
cavalieri  della  Germania  erano  né  più ,  né  meno ,  che  ladroni  an- 
nidati ne'  propri  castelli,  per  isbucare  e  piombare  su'  miseri  vian- 


-se- 
danti. Di  guisa  che ,  non  patendo  gV  imperatori  largire  agi'  infelici 
sudditi  la  pace ,  dovettero  costoro  colle  leghe  anseatica  e  renana 
ed  altre  simili ,  e  sin  co'  segreti  tribunali  vesfalici ,  o  colle  corti 
vemichcj  provvedere  alla  propria  salvezza.  La  repubblica  che- 
tica  ebbe  auspice  appunto  una  di  tali  leghe ,  stretta  sul  Rùtli 
daUe  plebi  rusticane  de'  tre  cantoni  originari  di  Schwitz,  Uri  e 
Unterwalden  (1128;.  Ma,  in  seguito  ad  una  guerra  cattoUca  e 
feudale  di  sterminio,  la  repubblica  rusticana  di  Stedinger  sul 
Hunte  rimase  in  vece  schiacciata  (1232).  E,  quando  le  città  di 
Svevia,  Franconia  e  Reno,  per  frenare  le  violenze  e  le  rapine 
baronali,  strinsero  la  lega  sveoa^  vidersi  arrivar  contro  le  le- 
ghe  de  cavalieri  (1388).  Egualmente  il  jQore  di  cortesia  e  pro- 
sperità quasi  italico ,  che  presto  nella  Provenza  e  nella  Ldnguadoca 
aveva  la  borghesia  raggiunto ,  colla  sconGtta  degU  albigesi  appassì 
(1226).  E,  quando  poi  il  popolo  francese,  dalle  gravezze  oppres- 
sato ,  sollevossi  contro  la  nobiltà  e  la  corte  nel  medesimo  tempo , 
che  i  borghesi  tedeschi  e  i  contadini  svizzeri,  cadde  per  la  discor- 
dia in  peggior  stato  (1383).  * 


Lini.  Tardi  Tagiti  della  borghesia  oltrammitiiia. 

Se  tuttavia  nelle  città  poteasi  in  qualche  modo  resistere  alla 
prepotenza  de'  predetti  ladroni ,  che  costituirono  appunto  lungo  il 
medio  evo  l' eccellentissimo  patriziato  germanico  ;  la  sorte  de'  con- 
tadini, privi  di  tutela  e  anzi  di  giustizia,  e  le  cui  messi  e  capanne 
erano  dalle  scorrerie  di  queUi  desolate ,  permaneva  durissima.  Le 
insurrezioni  de'  paesani  per  alleviarla  in  Inghilterra,  Francia, 
Svevia ,  Franconia ,  Turingia ,  Elvezia ,  Boemia  e  Polonia  dal  XTV 
al  XVI  secolo ,  ebbero  il  medesimo  esito  di  quelle  degU  albigesi 
e  paterini  poc'  anzi  accennate.  Né  in  genere  i  conati  de'  ceti  op- 
pressi di  là  dalle  Alpi  poterono  mai  dal  comun  vizio  Uberarsi ,  che 
gU  frustrava  e  disonorava,  il  farnetico  anarchico  e  religioso.  Gli 
sciagurati  anabattisti  nell'agitazione  degli  animi,  seguita  alla  fra- 
tesca ribelUone  di  Martino  Lutero,  aveano  per  verità  pensato  me- 
glio di  costui,  n  quale  appagavasi  di  mere  novità  teologiche  a 
prò'  de'  grassi  cittadini ,  e  sotto  gli  auspici  dell'  elettore  di  Sasso- 
nia e  del  Langra\io  d' Assia  ;  e  col  furbesco  dogma ,  che  la  fede 
e  non  le  opere  salvano  l'uomo.  Chiedeano  quelli  per  opposito, 
non  nuovi  catechismi ,  ma  Ubertà  di  predicare  il  vangelo  e  di  elef» 


-87  - 

geme  i  ministri  ;  libertà  di  caccia ,  di  pesca  e  di  legnatico ,  e 
dalle  dedale,  dalle  prestazioni  personali  e  dal  vincolo  della  gleba: 
in  somma  quella  libertà,  che  il  bravo  frate  agostiniano  non  vo- 
leva. Onde,  prim' ancora,  ch'eglino  precipitassero  in  quelle  fre- 
nesie e  in  que'  saturnali,  con  cui  ebbero  in  Mùnster  le  guerre 
de"  eofUadini  tedeschi  fine ,  incitava  i  principi  a  stirpargli  senza 
pietà.  E  venne  in  maniera  esaudito,  che  i  combattenti,  sfuggiti 
alla  spada ,  furono  morti  colla  scure  ;  mentre  si  riaggravò  sui  su- 
perstiti più  fieramente  U  servaggio  (1525).  Né  si  liberò  affatto 
dal  testé  detto  farnetico  la  rivoluzione  inglese  (1644):  la  quale 
disseminò  poscia  que'  settari  e  quegli  avventurieri,  che  inaugu- 
rarono nel  nuovo  continente  una  democrazia,  che  servi  alla  bor- 
ghesia del  vecchio  da  allevatrice.  Perché  certo  dalla  famigerata 
riforma  germanica  in  poi ,  sé  non  altro  per  avere  scosso  il  prin- 
cipio d'autorità  o  il  giogo  dell'abitudine,  si  cominciò  anche  di 
là  dalle  Alpi  a  comprendere  quanto  fosse  esecrabile  quel  feudali- 
smo, che  v'imperversava.  Poscia  la  formazione  delle  despotiche 
monarchie  e  l'oppressione  de'  potenti  magnati,  i  grandi  eserciti 
e  le  grandi  spese  dettero  al  terzo  ceto  una  maggiore  importanza. 
Questa  in  fine  crebbe  vie  più  nello  scorso  secolo ,  quando ,  parti- 
colarmente per  influsso  degli  scrittori  francesi,  sino  i  dinasti  o- 
stentarono  il  ticchio  di  esser  fautori  del  cosi  detto  popolo,  od 
almeno  di  riforme  economiche.  Nondimeno  essa  borghesia,  che, 
come  si  vede,  apparve  colà  e  assai  malamente,  parecchi  secoli 
dopo  che  in  Italia  avea  per  la  seconda  o  la  terza  volta  rigoglio- 
samente fiorito,  ebbe  dalla  rivoluzione  americana  (1783)  molto 
giovamento.  La  quale  appunto  avea  fondato  e  fatto  trionfare  oltre 
r  Atlantico  uno  stabihmento  politico  d' avventura ,  senza  gradi  so- 
dali e  senza  quasi  ordini  civili,  sulle  uniche  basi  dell'egoismo  e 
del  tornaconto. 


LXIY.  Rivolgenti  dell' ottantanove. 

Ma,  siccome  tale  borghesia  malescia  e  serotina  sopra  tutto 
spuntò  in  Francia ,  dove  anche  oggi  prospera ,  e  donde  si  trapiantò 
in  Italia;  cosi  delle  ultime  sue  prove  in  quella  provincia  giova 
ora  parlare.  Di  regola  dunque  ne'  secoli  di  mezzo  e  fin  quasi  a 
00  secolo  la,  non  possedeano  di  là  dalle  Alpi  diritti  di  stato,  se 
non  i  due  ordini  privilegiati  del  clero  e  della  nobiltà,  che  di 


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giunta  erano  esonerati  da'  tributi.  £  questi  in  vece  unicamente 
incombevano  a' due  ordini  inferiori,  privi  di  que' diritti;  e  cioè  ai 
borghesi  ed  ai  contadìoi.  I  quali  ultimi  vedemmo  pure,  come 
fossero  tuttavìa  quasi  ovunque  o  servi  della  gleba,  o  da  esose 
angherìe  torturati  e  per  sino  oltraggiati.  Turgot  e  Malesherbes, 
prìm' ancora  di  Necker,  aveaoo  in  Francia  consigUato  il  re  a 
pareggiai'e  tutt'  e  quattro  gli  ordini  tanto  oelle  gravezze ,  quanto 
nelle  prerogative.  Ma  quello,  che  negli  stati  austriaci  fece  un  prin- 
cipe di  magnanimi  sensi  e  d'opere  audaci,  Giuseppe  li  (1782), 
non  seppe  Luigi  XVI  antivenire.  La  rivoluzione  francese  ebbe 
cosi  per  cause  immediate  e  prossime  da  un  lato  lo  sperpero  delle 
fìnanze  e  dall'altro  L'esorbitanza  delle  imposte.  Le  due  medesime, 
tra  cui  ora  Y  Italia  s'  affanna  ;  e  per  ovviare  alle  quali  vennero 
allora  convocati  g\\  stati  generali  ^  sin  dal  1614  caduti  in  dissue- 
tudine. Ma  d' allora  cominciarono  a  manifestarsi  pure  le  cause 
mediate  e  remote,  negli  abusi  inveterati  delle  classi  favorite  e 
ne'  covati  risentimenti  delle  rejette.  Lo  avere  gli  uni  per  delinir 
le  cose  atteso  la  resistenza,  indugiato  a  cedere  a'  giusti  desideri, 
e  poi  accondisceso  a'  colpevoli  ;  e  gli  altri  accarezzato  troppe  il- 
lusioni e  fallacie,  e  piuttosto  cercato  di  sfogar  X  ira  e  la  vendetta, 
che  ciu*ato  il  vero  bene,  fecero  quella  rivoluzione  scoppiare.  Il 
cui  intento  era  si  la  rivendicazione  de' ceti  oppressi:  ma  immo- 
lando i  ceti  oppressori,  cancellando  il  passato,  distruggendo  la 
storia,  conculcando  i  diritti  acquisiti,  imponendo  ai  renitenti  col 
terrore,  idolatrando  la  forza  materiale,  tuiTando  le  memorie  nel 
sangue,  rifacendo  di  pianta  la  società  annichilita,  e  adequando 
e  Uvellando  ogni  condizion  di  persone  nella  bassezza  e  nella  igno- 
bilità.ll  che  tutto  costituisce  quella  specialità,  per  cui  la  demo- 
crazia moderna  e  gallica  diversitica  dall'antica  e  classica;  e  le 
imprese  di  Ubertà  alla  barbara  da  quelle  alla  romana.  Or  non  è 
d'  uopo  raccontare  le  vicende  e  le  fasi ,  né  riprovare  gU  eccessi 
e  le  infamie  di  quel  terribile  commovimento  sociale,  che  da  un 
certo  punto  ebbe  a  compagne  la  crudeltà  e  la  follia.  Basti  pel 
nostro  assunto  notare,  che,  mentre  si  voleano  gli  stati  geoenlì 
riconvocare  come  a'  tempi  andati ,  si  composero  allora  in  vece 
di  trecento  nobili  ed  ecclesiastici,  e  di  secento  borghesi;  e  col 
voto  per  capi ,  anzi  che  per  bracci.  In  codesto  modo  il  terzo  ceto 
ebbe  una  cotale  prevalenza, che,  associandosi  alcun  membro  de- 
gli altri  due,  dichiarossi  senz'  altro  assemblea  nasianale.  E 
questa,  riputando  la  costituzione  data  dal  re,  ne  deliberò  una 


-89- 

proprìa,  che  restringeva  la  podestà  monarchica,  e  la  legislativa 
affidava  a  una  camera  a  suSragi  universali.  Innanzi  per  altro 
(mercè  una  generosa  rinuncia  degli  stessi  privilegiati)  abrogando 
i  privilegi  ecclesiastici  e  feudali,  conQscando  i  beni  reUgiosi,  sop- 
{Himendo  i  gradi  di  nobiltà ,  e  facendo  altri  tali  provvedimenti  una 
giusta  parità  attuava.  Colla  quale,  e  cAUe  posteriori  riforme  in 
senso  classico  vagheggiate  dsì'  girondini,  avrebbe  potuto  raggiun- 
gere il  legittimo  scopo;  se  sin  da  qui  V  anarchia,  già  nelle  menti 
insinuata  dagU  enciclopedisti,  non  le  avesse  del  tutto  travolte. 


LXV.  Innalaamento  della  borghesia  moderna. 

Allora  sorsero  i  cerchi  popolari,  che  poscia  colla  guardia 
nazionale  e  co'  consigli  municipali ,  e  da  ultimo  co'  tremendi 
comitnUi  pubblici ,  in  gran  parte  air  azione  delle  diverse  assem- 
blee si  sostituirono.  In  ognuna  delle  quali  prima  la  fazìon  regia 
cedendo  alla  repubblicana ,  e  indi  i  girondini  a'  giacobini ,  e  i 
più  miti  ai  men  miti,  e  i  più  savi  ai  men  savi;  accadde,  che  il 
disordine  arrivasse  al  colmo  :  sino  a  che  la  sazietà  o  la  stanchezza 
non  rimettessero  le  cose  a  luogo.  Onde ,  benché  in  cotanto  oiTida 
guisa  la  feccia  del  volgo  in  que'  tumulti  orridi  operasse ,  non  si 
può  dire,  che  uno  stato  veramente  popolare  venisse  mai  colà, 
nemmen  per  poco,  stabilito.  Dappoiché,  provocali  quelli  da  gen- 
tiluomini e  letterati  in  buona  fede,  non  furono  poi,  che  da  pazzi 
e  da  malfattori  governati  e  proseguiti  ;  e  quindi  pervertiti  e  diso- 
norati, e  alla  fine  frustrati  e  rovinati.  Ad  ogni  modo  il  dominio 
legale  della  plebe  in  Francia  cominciò  certamente  colla  disfatta 
de'  girondini  nel  2  giugno  1793  e  fini  con  quella  de'  montagnardi 
nel  26  ottobre  1795  (Mignet,  Storia  della  rivoluzione  francese, 
X).  In  questo  periodo  il  quarto  ceto  colla  costituzione  del  no- 
nantairè  aveva  ottenuto  la  repubblica  e  i  suffragi,  la  perfetta 
uguaglianza  politica  e  l' illimitata  sovranità  popolare.  Il  che  era 
bastevole  per  fondare  la  democrazia  :  ma  per  soddisfare  la  dema- 
gogia non  bastava.  Onde  di  eccesso  in  eccesso  1'  una  e  l' altra 
rimasero  dome;  e  superate  dal  terzo  ceto,  che,  sbarazzatosi  del 
primo  e  del  secondo  coli' aiuto  degli  straccioni,  si  sbarazzava 
ora  anche  di  costoro,  e  si  poneva  in  luogo  di  tutti.  Mise  quello 
io  fatti  termine  alla  convenzione,  abrogò  la  costituzione  predetta, 
sperdetie  i  comitati,  disarmò  le  moltitudini  e  le  escluse  dalia 


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cosa  pubblica.  Private  queste  di  ogni  forza,  e  spossati  e  quasi 
annientati  gli  ecclesiastici  e  i  nobili,  le  dovizie  e  il  potere  natu- 
ralmente passarono  agli  ebrei ,  a'  feneratori ,  a'  pubblicani ,  agli 
oblatori  alle  aste  de'  beni  nazionali ,  agli  assuntori  delle  prowe- 
digioni  militari  e  ad  altri  tali  capostipiti  della  regnante  borghe- 
sia. Tra  cui  meritano  la  precedenza  i  semiti  :  poiché  è  facile  ca- 
pire in  qual  modo  costoro,  sciolti  allora  dalle  lor  catene  (il  che 
era  giusto),  e  vistisi  onorali  e  protetti  in  quegli  esercizi,  per  cui 
furono  in  si  lunga  età  straziati  e  vilipesi,  sapessero  (il  che  era 
ingiusto)  avvantaggiarsene.  Disseminati  su  tutta  la  superflcie  del 
globo,  stretti  tra  loro  dalle  nozze  incomunicabili  e  separati  da 
altrui  co'  riti  indelebili ,  disalTezionati  alle  non  proprie  patrie,  abor- 
renti dalle  sante  fatiche  e  da'  modesti  proGtti  dell  agricoltura,  in- 
teressati ad  ammassar  ricchezze  mobili  e  invisibili ,  addestrati  da 
immemorial  consuetudine  ai  più  reconditi  e  mirabili  segreti  della 
mercatura  e  del  cambio,  e  inclinati  alle  cose  economiche  con 
una  propensione  irresistibile,  irrefrenabile,  inesprimibile;  costoro 
doveano  lasciarsi  di  molti  passi  addietro  i  neoOti  d' altra  razza* 
£  talmente  in  fatti  avvilupparono  nelle  lor  reti  V  Europa,  i  cui 
tesori  racchiudono  ne'  propri  forzieri  e  portafogli  e  a  cui  regalano 
le  dinastie  dorate,  che  la  borghesia  regnante  merita  appunto  da 
loro  essere  soprannominata. 


LXVI.  Trionfo  del  tene  oeto  in  Francia. 

Il  risultato  per  tanto  della  «  grande  rivoluzione  »  essendo  stato 
la  esaltazione  del  terzo  ceto,  questo  in  Francia  e  in  Italia,  ove 
non  ebbe  nella  nobiltà  quel  freno,  che  ha  in  Inghilterra  e  in 
molt'  altri  stati ,  doveva  insolentire  più ,  che  altrove.  Napoleone 
colle  sue  vittorie  e  co'  suoi  ordinamenti ,  distruggendo  in  buoni 
parte  d' Europa  i  troni ,  i  feudi ,  i  privilegi ,  le  consuetudini  e  te 
memorie,  e  diffondendo  e  mantenendo  di  quella i  beni  e  i  mali, 
apersegli  anche  tra  noi  il  varco.  E ,  tra'  pochi  beni  diffusi  e  man- 
tenuti, è  da  mettere  in  primo  luogo  la  parità  tra'  cittadini,  alme- 
no per  quanto  concerne  il  privato  diritto:  la  quale  del  resto  noi 
molti  secoli  innanzi,  anche  per  quanto  concerne  il  diritto  pub- 
blico, possedevamo.  Ma  del  rimanente,  mentre  il  nuovo  impero, 
imponendo  tributi  d' oro  e  di  sangue  senza  fine  e  non  accettando 
contrasti  e  consigli,  era  assai  più  despotico  e  oppressivo  dell' an- 


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tìco  regno;  accanto  alla  sua  corte  fastosa  gavazzavano  la  nobiltà 
nuova  e  la  borghesia  grassa,  che  già  in  brevi  anni  la  vecchia 
nobiltà  simulavano  (1814).  La  qual  fortuna  della  gente  rifatta  giunse 
poi  al  cohno  sotto  la  monarchia  orleanese  di  Francia  (1830), 
di  cui  non  è  per  avventura,  che  una  squallida  contraffazione, 
questa  presente  d' Italia.  Rimasto  quindi  il  quarto  ceto  nella  guisa 
or  detta  deluso  e  giuntato,  cercò  esso  con  que'  vani  e  perversi 
tentativi ,  a  cui  oggi  si  dà  Y  appellativo  di  socialistici ,  di  tifarsi. 
Già  nel  parossismo  della  grande  rivoluzione,  Babeuf  agognava 
la  conversione  dello  stato  in  una  comunione  economica;  ed  Hé- 
bert  a  dirittura  il  libito  e  la  licenza,  il  sacco  e  la  strage.  Ma  il 
socialismo,  con  una  serie  di  scrittori  bizzarri  e  fer>idi ,  fattosi  ap- 
presso teorico,  appena  con  la  rivolta  del  febbrajo  comincia  ad 
agire.  Il  ceto  nuotante  negli  agi  e  tuttavia  sitibondo  di  guadagni, 
a  favorire  e  mascherare  i  quali  le  cosi  dette  forme  monarchico 
costituzionaU  sonogli  le  più  acconcie,  naturalmente  puntellava  il 
seggio  del  re  borghese.  Tuttavia,  ricusando  costui  di  allargare 
il  monopolio  elettorale  a'  minori  censiti ,  attiepidì  parte  de'  soste- 
nitori: e  lo  stuolo  de' lavoranti ,  che  più  n'era  offeso,  s'indignò. 
Quest'ultimo,  ispirato  da  Proudhon  e  da  Blanc,  nella  sua  som- 
DQOssa  mirò  a  trasformare  le  condizioni  sociali  della  Francia,  ed 
anzi  a  porre  in  atto  senz'  altro  alcuno  de'  sistemi  de'  novatori. 
Tanto  che  la  repubblica  democratica,  creata  da  esso,  dovette 
appagarlo,  fondando  gì'  improvvidi  opificii  nazionali.  Non  bastan- 
do per  altro  questi  a  sfamarlo,  mentre  i  ricchi  impoverivano  e 
la  società  costituita  pareva  crollare  ;  e  avendo  però  Y  assemblea 
costitutiva  decretato  la  loro  soppressione  e  la  cessazione  d' ogni 
sussidio,  seguirono  per  opera  de' proletari  le  sanguinose  ^tomo^e 
del  luglio  (  1848).  E  queste  furono  per  verità  uno  sforzo  per  pro- 
cacciare al  quarto  ceto  il  dominio:  ma  ebbero  per  effetto,  sicco- 
me era  da  prevedere,  prima  la  dittatiu*a  di  Cavaignac  e  indi  la 
presidenza  di  Bonaparte,  seguita  dal  costui  impero.  Il  quale  im- 
pero, benché  inaugurato  e  raffermo  da'  suffragi  universaU,  e 
ostentante  zelo  verso  le  moltitudini  grame,  rimase  ugualmente 
deUa  borghesia  alleato.  Ed  ebbe  anzi  per  unici  sostegni  l' inte- 
resse ,  il  mercimonio ,  Y  avidità ,  lo  scetticismo  e  la  corruzione  : 
geoii  0  demoni  famigUari  della  medesima.  Conciossiachè ,  seb- 
bene (in  causa  delle  sue  velleità  marziali)  questa  non  gli  fosse 
guari  benigna,  e  si  ritenga  generalmente  la  età  aurea  di  lei  col- 
r  esigilo  di  Luigi  Filippo  finita  ;  d' altra  parte  quello  le  concesse 


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un'utile  tregua  pegli  affari.  E,  mentre  addusse  la  Francia  a  una 
portentosa  opulenza,  di  cui  si  veggono  tuttavia  i  frutti,  segnò 
r  apogeo  di  ciò,  che  or  dimandasi  spirito  di  speculazione,  e  eh'  è 
r  anima  della  borghesia  (1836).  Donde  la  febbre  generale  de' su- 
biti e  facili  lucri,  il  rovello  delle  compagnie  e  delle  imprese  in- 
dustriose e  rischiose ,  il  vanto  e  V  orgoglio  della  prosperità  ma- 
teriale, i  rapidi  e  capricciosi  mutamenti  di  fortuna,  la  sublima- 
zione dell'  aggiotaggio  e  la  gloriflcazione  della  borsa ,  i  cui  listini 
furono  assunti  ad  annali  e  ad  oracoli  di  stato:  e  cotali  altre  cose, 
che  da  alcun  tempo  in  qua  si  conoscono  anche  nella  mia  povera 
patria.  Nel  qual  modo  la  Francia  si  preparò  que'  disastri ,  che 
aspettano  da  ben  diverse  cose  il  rimedio. 


LXVII.  Fremito  del  ^puurto  ceto  in  Bnropft. 

Àveano  appena  i  tedeschi  stretto  i  patti  preliminari  di  pace 
cxAY asseniblea  di  Bordò,  e  attraversato  Parigi,  per  farle  onta, 
che  i  proletari,  disdicendo  l'obbedienza  a  quella  larva  di  potere 
legittimo,  che  in  tanto  naufragio  ondeggiava ,  istituirono  il  comune 
socialistico.  Cominciò  questo  coli'  uccisione  de'  generaU  Lecomte 
e  Thomas,  colla  strage  de' cittadini  pacifici  e  pacieri,  colla  de- 
vastazione della  casa  di  Thiers,  e  con  sequestri  di  persone  e 
requisizioni  di  danari.  E,  quando  fu  in  sul  finire,  atterrando  la 
colonna  Vendòme,  simbolo  delle  beUiche  glorie  della  nazione, 
appiccando  fuoco  a' più  cospicui  palagi,  scannando  gU  ostaggi  e 
imprecando  a' più  santi  affetti  de' mortali;  die  a  temere,  che, 
smarrita  nella  disperazione  la  coscienza,  così  nella  rabbia  venis- 
segH  meno  l'umana  natura  (1871).  Un  pari  fìiovimenio  sower^ 
sivo  degU  operai ,  che  del  resto  hanno  loro  precursori  ne'  paesani 
rivoltati  del  medio  evo,  negli  anabattisti  del  cinquecento  e  ne'  set- 
tari di  Uébert  e  di  Babeuf  dianzi  rammentati,  poco  appresso 
strappa  le  redini  del  governo  anche  a  Nova  Cartagine,  e  leva 
eserciti  riottosi  e  promulga  leggi  msane  (1873).  La  cospirazione 
degU  artieri  detta  intemazionale  y  iniziata  a  Londra  nel  1864, 
dopo  un  decennio  contava  quattro  milioni  di  ascritti,  e  già  comin- 
cia co'  tentati  regicidii  ad  atterrire  i  popoU.  E  in  Germania  le 
utopie  socìaU ,  giuntevi  con  passo  tardo  e  grave ,  tanto  più  s' ar- 
mano di  fredde  e  poderose  forze  cogitative,  e  come  su  propria 
predestinata  sede  si  fissano.  Ma,  siccome  tutti  codesti  conati  ese- 


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crabili  e  infarai,  che  del  resto  potriano  divenir  maggiori  e  peg- 
giori ,  non  esprìmono,  se  non  una  collera  feroce  e  inane  da  schia- 
vi, cosi  a  niente  approdarono.  Non  solamente  le  plebi  straniere 
furono  impotenti  a  fondare  co'  medesimi  que'  gloriosi  stabilimenti , 
che  in  Roma  e  in  Firenze  le  plebi  nostrane  in  si  degna  guisa 
fondarono.  Ma,  per  difetto  di  senno  e  di  virtù,  da  un  ceto  sot- 
tile e  meschino,  senza  ingegno  e  senza  nerbo,  le  si  lasciano  vie 
più  intorpidire  e  stritolare.  Il  quale  cosi  adesso,  allegro  e  spen- 
sierato, stende  il  suo  uggioso  e  stupido  impero  non  solamente 
ne'  cosi  detti  stati  cristiani  ;  ma  sto  per  dire  in  Turchia  e  fino 
ìd  Giappone.  Perchè ,  non  appena  si  vede  uno  stato  dibattersi  tra 
le  angustie  finanziarie  e  cercar  salute  negli  ordini  rappresentati- 
vi; si  può  esser  certi,  che  allora  esso  se  n'è  impadronito  o  sta 
per  impadronirsene.  Né  trattiene  il  suo  tripudio,  per  quanto  oda 
intorno  le  grida  selvaggie  e  gli  urti  ferini  delle  sue  vittime,  e  il 
rombo  de'  vulcani  sopiti  ;  ma  non  spenti. 


STATO  BORGHESE 


LlVni.  Fusata  della  borghesia  moderna  la  Italia. 

Appare  dalle  cose  anzi  discorse,  che  quel  ceto,  cui  oggidì 
appellasi  borghesia,  ebbe  in  ItaUa  due  volte  una  notevole  preva- 
lenza sugli  altri,  come  che  in  modi  assai  disformi  e  incompara- 
bilmente migliori  de' presenti.  E  cioè,  non  tenuto  conto  dell'era 
etrusca,  in  cui  qualche  indizio  vi  ha  già  di  traffici  per  terra  e 
per  mare  fiorenti ,  indubbiamente  in  un  certo  periodo  delF  era 
romana  e  della  comunale.  NelF  ultima  delle  quaU  anzi ,  e  nel 
maggior  splendore  della  medesima,  ebbevi  un  momento,  in  coi 
senz'altro  le  cittadinanze ,  date  alle  arti  maggiori  od  alle  profes- 
sioni venali,  sopraffecero  la  nobiltà.  Ma,  poco  a  poco,  sebbene 
non  le  rimanessero  affatto  poste  in  non  cale ,  sotto  le  tirannidi 
intestine  e  le  dominazioni  straniere  (tra  cui  pessima  la  spagnola), 
che  si  affiatavano  più  volentieri  co'  gentiluomini  degeneri ,  cad- 
dero in  grande  avvilimento.  Di  guisa  che  nel  secento,  l'antica 
popolana  Ubertà  appena  rimpiangevasi  ;  e  ne'  principati  vanitose 
e  melense  cortigianie,  e  nelle  repubbliche,  senili  e  paurose  oli- 
garchie serbavano  quel  poco,  che  vi  reslava,  di  dignità  tra  gì'  in- 
digeni 0  di  preminenza  tra'  servi.  Cosi  stavano  le  cose ,  quando 
nel  secolo  scorso  la  borghesia  transalpina  cominciò,  dopo  secolari 
vagiti,  ad  essere  adulta.  In  Francia  sopra  tutto  le  dissipazioni  e 
le  strettezze  della  camera  pubblica,  cotanto  propizie  alla  sua  vita, 
agevolaronle  il  trionfo.  E  di  là ,  prima  co'  filosofemi  enciclopedici 
e  poscia  colle  aquile  napoleoniche ,  pervenne  sotto  nome  di  «  de- 
mocrazia »  nella  nostra  penisola.  Dove  le  nostre  cittadinanze  deca- 
dute, ma  non  dileguate  ancora,  e  inoltre  taluni  de' nostri  gen- 
tiluomini di  liberali  sensi  e  di  spirito  inquieto  l'accolsero,  come 
cosa  nuova  e  prodigiosa.  Che  i  nostri  avi  adunque  avessero  ben 
due  volte  |ireooduto,  oil  anche  avanzato  questa  fase  deUa  civiltà, 


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e  io  modo  mille  volte  piii  fausto  e  più  insigne ,  non  importava. 
Dimenticatosi  per  fino,  che  tra  noi  il  feudalismo  o  non  aveva  po- 
tuto attecchire  od  era  già  debellato,  quando  oltre  Alpi  più  imper- 
versava, e  che  parecchi  secoli  innanzi  gli  ordini  più  larghi  e 
più  arditi  di  popolarità  si  erano  tra  noi  sperimentati  ;  si  die  il 
merito  alla  rivoluzion  francese  di  avere  schiacciato  quello  e  inau-  ^ 
gurato  questi.  Donde  Y  odierno  terzo  ceto  in  Italia ,  sciolto  dal 
vincolo,  che  lo  legava  alle  patrie  tradizioni,  ridestato  e  ravvivato 
per  forza  aliena ,  assunse  queir  indole  esotica ,  da  cui  tuttodì 
non  va  scevro;  e  per  cui  dovrò  sempre  come  di  una  importa- 
zicfne  straniera  parlarne.  Il  suo  sentire  intanto  è  cosi  diverso 
da  quello  del  popolo,  di  cui  si  arroga  il  nome ,  e  la  sua  vernice 
di  civiltà  cosi  in  contrasto  col  genio,  sia  pur  ruvido,  del  luogo; 
ch'esso  ha  per  vanto  di  disprezzare  tutte  le  cose  nostrane,  e 
per  impresa  (  siccome  io  farò  tosto  palese }  di  annientarle.  Del 
resto  anche  tra  noi  la  ostentata  democrazia  in  breve  si  tramutò  in 
ima  ristrettissima  brigata  d' uomini  arricchiti  cogli  appalti,  co'  mo- 
Dopolii,  co' prestiti;  e  cogli  acquisti  de'  beni,  innanzi  inaUenabiU 
per  causa  delle  manimorte  e  de'  fcdecommessi ,  e  d'  un  baleno 
sparsi  sul  mercato  e  spacciati  quasi  per  nulla.  La  qual  brigata 
non  solo  tesaurizzò  sulla  rovina  de'  corpi  morali  e  delle  prosapie 
iDostri;  ma  si  sovrappose  altresì  a  quegli  artefici  e  mercatanti 
modesti,  ^e  costituivano  le  predette  cittadinanze,  e  che  furono 
p(^  in  condizione  di  poco  inferiore  a  quella  del  quarto  ceto. 
La  fortuna  del  terzo  per  altro  si  arrestò  alquanto  tra  noi ,  dopo 
h  caduta  di  Napoleone  ;  mentre  in  Francia  potè  sotto  la  monar- 
dìia  orleanese  giungere  al  sommo  grado.  Ma  nondimeno,  in  onta 
i  qualche  velleità  contraria  de'  dinasti  ripristinati  ;  esso  rimase 
poi  sempre ,  anche  tra  noi ,  il  ceto  prevalente.  E  così  ebbe  in 
ostaggio  l'Itaha  risorta,  e  ottennevi  tosto  i  medesimi  favori,  che 
in  Francia  sotto  la  monarchia  orleanese;  della  quale  innalzò  qui, 
ripeto,  un  pallido  simulacro. 


LUX.  Imprese  per  la  redenidone  d'Italia. 

Veramente  furonvi  alcuni  tentativi ,  perchè  l' Italia  risorta 
spettasse  a  tutto  il  popolo,  di  cui  doveva  essere ,  anzi  che  cadere 
in  braccio  delle  sole  classi  mercenarie.  Le  quali ,  naturalmente 
avendo  per  la  superiorità  de'  mezzi  qualche  superiorità  di  lumi , 


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usano  chiamarsi  con  non  troppa  modestia  dirigenti.  Ma  que*  ten- 
tativi, rìmpetto  alla  possanza  ornai  assicurata  delle  medesinie, 
caddero  vani:  e  così  esse  domarono  la  nazione,  ed  aggiogarono 
al  lor  carro.  Per  ispiegare  la  qual  cosa  io  non  ho,  che  a  rac- 
contare ora  per  sommi  capi  gli  avvenimenti ,  onde  è  uscito  il  pre- 
sente regno  d' Italia  alla  luce.  Il  momento  adunque  più  doloroso 
della  passione  e  il  punto  più  alto  del  calvario,  che  da  oltre  tre 
secoli  la  nazione  sofTeriva  e  saliva,  fu  nell'anno  1815,  quando  da* 
settentrionali  despoti,  cospirali  in  Vienna,  venne  consegnata,  pal- 
pitante preda,  airAustrìa,  ed  a' suoi  propri  tiranni,  resi  di  giunta 
austriaci  sgherri.  Imperocché  gli  è  vero,  dalla  galHca  fratelle- 
vole  jattanza,  da  cui  in  sullo  scorcio  del  secolo  passato  si  lasciò 
tanto  irretire,  non  ricevesse  che  danno;  assai  più  tributaria  e 
assai  men  libera  divenendo  sotto  lo  scettro  napoleonico,  di  quel 
che  innanzi  fosse.  Pur  quel  nome  di  regno  italico  e  queir  evoca- 
zione d' un  impero  ktino,  e  le  belliche  glorie  e  la  hisinga  non 
anco  perduta,  che  il  novello  cesare  riconducesse  le  vittoriose 
aquile  sul  Campidoglio,  faceanle  tollerare  la  servitù  senza  vergo- 
gna ,  e  quasi  senza  lamento.  Ma ,  caduto  Y  idolo ,  e  tentatosi  in 
vano  di  salvare  a  Milano  e  a  Napoli  i  firantumi  deir  opera  sua , 
soggiacque,  come  nazione  priva  di  diritti,  a  si  crudel  sorte,  che, 
se  avesse  potuto  morire ,  sarebbe  morta.  Benché  molte  colpe  ella 
avesse,  certo  i  barbari  vincitori,  che,  invocando  la  santissima 
Trinità,  prometteano  di  restaurare  in  Europa  la  legittimità  e  la 
storia,  non  possono  imputartene  di  tali,  per  cui  dovessero  i  di- 
ritti delle  repubbliche  di  Genova  e  di  VeneziìT  venire  miscono- 
sciuti, i  principi  italiani  mutare  in  assoluta  odiosa  signoria  il 
dolce  paterno  reggimento  ;  e  la  casa  lorenese  padroneggiar  diret- 
tamente, oltre  r antico  milanese  ducato,  la  veneta  dizione,  e  in- 
direttamente il  resto  della  tradita  penisola.  Ma  é  per  altro  supre- 
ma colpa  de'  popoli  lasciarsi  strappar  di  mano  le  armi.  E ,  quan- 
do si  furono  le  ultime  milizie  del  viceré  Eugenio  e  del  re  Gio- 
acchino arrese,  non  rimase  altro  modo,  né  altro  campo  di  bat- 
taglia agli  ultimi  soldati  della  patria,  se  non  le  cospirazioni  e 
le  sommosse,  le  carceri  e  i  patiboli.  Cosi  ebbero  origine  quelle, 
che  si  2ìddimandarono  per  onta  sette ,  non  tanto  dagli  stranieri, 
che  non  concedono  altro  diritto  ai  vinti,  se  non  di  lasciarsi  sgoz- 
zare; quanto  da  rinnegati  italiani,  che,  potendo  ora  con  molto 
agio  suir  Italia  Iil>erata  trafficare,  trovano  giusto  condannare  co- 
loro, che  per  lil>erarnela  si  olTerivano  allora  senza  speme  e  fin 


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senza  il  conforto  delle  altrui  lagrime  al  martirio.  Per  opera  delle 
quali,  com'è  noto,  e  particolarmente  della  congiura  detta  de' car- 
bonari,  accaddero  i  moti  del  ventuno  nelle  due  estremità  della 
penisola,  e  del  trentuno  nel  centro.  Questi  tuttavia,  tranne  il  sangue 
propiziatorio  delle  vittime,  riuscendo  a  male,  venne  in  mente  a 
nn  giovanetto  genovese  (  mentre  ne  vedea  gli  autori  superstiti 
partir  per  Y  esilio,  col  ciglio  umido  di  pianto  )  di  surrogare  altra 
congiura  a  quella;  e  che  fosse  cosa  grande,  e  degna  dì  tanta 
sciagura.  Perchè  i  carbonari  aspettavano  di  Francia  il  segnale 
della  riscossa,  non  aveano  di  quel,  che  si  volessero,  chiari 
concetti  ;  e  contavano  quasi  unicamente  su'  ceti  maggiori ,  sulle 
forze  militari  e  sulle  arti  politiche.  Egli  in  vece,  il  fondatore 
della  giovane  Italia  e  di  altre  compagnie  segrete ,  rampollate 
daUa  medesima,  fidava  sul  popolo  italiano,  che,  interprete  e 
ministro  di  Dio  (nel  quale  fermamente  credeva),  dovesse  non 
solo  colle  proprie  virtù  risorgere;  ma  schiudere  una  novella  era 
al  mondo. 


LXX.  Cospirasioiie  popolare  de' massdniani. 

Laonde,  come  che  egli  appartenesse  alla  scuola  letteraria  ol- 
tramontana, falsa  e  vacua,  detta  de'  romantici ,  e  si  lunga  parte 
di  vita  trascorresse  su  suolo  inglese,  né  fosse  affatto  immune  da 
non  so  qual  mistico  velo;  era  nelle  cose  civili  ispirato  da  un 
pensiero  puramente  classico,  e  intuitivamente  romano.  L' Italia  e 
la  sua  capitale  eterna  aveano,  secondo  lui,  la  missione  provvi- 
denziale di  dare  nuova  unità  alle  genti,  e  di  redimerle  colla  na- 
tiva idealità,  mercè  un  terzo  morale  primato.  Di  modo  che  quello, 
che  fecero  già  Roma  pagana  col  diritto  -e  Roma  cristiana  col 
dovere;  farebbe  una  terza  Roma,  quella  del  popolo  italiano,  col 
diritto  e  col  dovere,  congiungendo  il  cielo  e  la  terra.  E  per  muo- 
vere cotanta  forza  non  poggiava,  se  non  sul  popolo  stesso,  e  sulla 
fede  di  questo  in  tale  missione  :  all'  adempimento  della  quale  non 
dalla  cupidigia,  ma  dall' annegazione  sarebbe  un  di  acceso.  La 
democrazia  quindi,  cui  egli  vagheggiava,  ben  diversa  dalla  fran- 
cese (la  quale,  fermatasi  alla  ricognizione  de' diritti,  non  polca 
condurre,  che  all'egoismo  individuale  e  nazionale);  dovea  per 
contrario  fondarsi  sulla  ricognizione  de'  doveri.  E  però  reputava 
giusto,  che  la  rivoluzione  futura  facesse  i)e' proletari  quello,  che 

7 


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le  passate  pe'  borghesi ,  da  lui  pur  detestati  ;  ma  le  dottrine  del 
comunismo  e  del  socialismo  ripudiando,  e  la  democrazìa  comuni- 
stica e  socialistica  insieme  con  esse.  La  quale  in  sostanza ,  proce- 
duta da  Helvétius,  Volney,  Bentham  e  da  altri  tali  moralisti  bor- 
ghesi, non  professava  altra  morale,  che  quella  della  materia  (/Si- 
stemi  e  democrazia  e  gli  altri  Scritti  di  Giuseppe  Mazzini  ).  Fin 
da  quando  T Italia,  or  son  più  di  tre  secoli,  disperando  di  Dio 
e  della  virtù,  e  viste  fallire  le  ultime  prove  de' veleni  e  de'pu- 
gnaU,  delle  frodi  e  de'  tradimenti  per  respinger  la  servitù,  vi  si 
era  col  capo  chino  e  torvo  sottomessa,  non  erasi  udita  voce  più 
nobile  ed  elcvaUita.  E  Y  udirla  e  il  seguirla  fu  segno ,  che  X  ora 
estrema  della  servitù  straniera  non  avrebbe  per  noi  tardato.  Con- 
ciossiachè,  mentre  altrove  muggiva  la  rabbia  de' materiali  inte- 
ressi, e  le  stesse  plebi  oppresse  non  isperavano,  che  nella  super- 
stizione sansimoniana  o  in  altre  tali  imposture,  promettitrici  di 
vantaggi  e  di  piaceri  a  josa;  si  sacrarono  qui  angeliche  legioni 
d'  adolescenti  al  dolore  e  alla  morte ,  nel  nome  di  Dio  e  della 
virtù.  La  spedizione  di  Savoja  (1833Ì,  ciucila  de'  fratelli  Bai^ 
diera  (18i3\  ed  altre  tali  improse,  seguile  da  supplicii  crudeli, 
non  parvero  por  verità  a' soliti  uomini  avveduti,  che  ecatombi: 
ma  assai  più  di  fortunate  battaglie  valevano.  E,  non  foss'  altro, 
come  il  grido  della  scolta  avverte  di  tratto  in  tratto  nel  pro- 
fondo della  notte,  ch'ella  vigila;  cosi  l'eco  de' colpi  iterati  del 
piombo,  che  spezzava  i  santi  petti  de'  nostri  martiri ,  attestava  di 
tratto  in  tratto  all'  Europa  lo  spasimo  d' Italia.  E  si  era  cosi  ve- 
duto fra  noi  il  più  alto  portento,  a  cui  possa  giungere  l'umano 
eroismo;  se  è  vero,  che  il  votarsi  nell'aurora  della  giovinezza  e 
della  speranza  a  trar  la  vita  in  catene  o  a  perderla  sotto  la  scure 
del  carnofice,  come  malfattori  infami,  sia  l)en  maggiore  virtù, 
che  il  perderla  sul  campo  o  in  altre  inclite  gesta.  Però  questa 
virtù  era  troppo  sublime:  e  i  grassi  cittadini,  il  cui  sonno  era 
dal  sinistro  cigolio  di  codesti  arnesi  di  ferro  turbato;  e  i  pia- 
gnolosi  lottorati  della  scuola  cattolica,  che  trovavano  ben  più 
commoda  la  devota  rassegnazione  (  benchò  in  fondo  avessero  qual- 
che carità  di  patria,  e  compiangessero  anche  i  buoni  figliuoli, 
che  davanle  il  sangue  \  incominciarono  appunto,  circa  nel  1843, 
a  gridare:  basta. 


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LXXI.  CoepiraBione  borghese  de' moderatL 

E  cosi  fecesi  avanti  la  parte  de'  moderati:  la  quale  avea  più 
ragioni,  per  prevalere  alla  parte  eroica ,  si  perchè  le  sue  qualità 
e  le  sue  tendenze,  erano  meglio  adeguate  alla  bassezza  e  igno- 
biltà de' tempi;  sì  perchè  sohtamente  d'ogni  religione  diventano 
1  ìrdoti  coloro,  che  ne  avrebbero  innanzi  croceflsso  i  profeti 
cercano,  non  appena  questi  vincano,  di  rizzarne  i  trofei  e  di 

ne  mercato,  adulterandone  la  fede  vera  e  scomunicandone  i  veri 
ci);  e  si  in  fine  perchè  la  probabilità  del  vincere  stava  più 
0  meno  co' moderati  predetti,  che  cogli  eroi.  Di  fatti  i  mazziniani, 
ido  della  patria  la  indipendenza,  la  unità  e  la  libertà,  tutte 
io  una  volta  e  d' un  subito  ;  e  proponendosi  di  fondare  la  repub- 
blica e  di  cacciare  i  tedeschi  con  una  insurrezione  di  popolo  e 
a  straniero  ajuto,  invocavano  quasi  un  prodigio.  I  moderati 

•  opposito,  prima  fidando  su  tutt'  i  tiranni  nostri,  e  poi  sul  papa 
0  sul  re  saj'do  solamente;  prima  chiedendo  franchigie  interne  ne' 
dive  stati,  e  poi  una  lega  tra  questi  o  solamente  un  regno 
ìdano  ;  prima  chiedendo  la  cacciata  de'  tedeschi ,  e  poi  un 
principato  austriaco  o  solamente  un  giogo  meno  aspro  sulle  Pro- 
vincie soggette,  e  via  via:  i  moderati,  dico,  appagandosi  di  cose 
mediocri,  e  proponendosi  di  conseguirle  colle  forze  costituite  e 
cogli  elementi  legali,  e  in  somma  colla  licenza  de'  superiori,  me- 
glio si  mostrarono  acconci  a  pigliare  pel  ciuffo  la  fortuna.  Or, 
poiché  è  d' uopo,  per  conoscerne  l' indole  e  la  efficacia  tra  fausta 
e  infausta ,  dir  della  genesi  storica  di  codesta  parte ,  che  condusse 
la  nave  italica  in  porto,  come  nuda  carcassa;  io  non  nego,  che 
Qoa  lontana  e  languida  affinità  possa  ella  avere  co'  principi  e 
ministri  riformatori  del  secolo  scorso.  I  quali  in  molti  luoghi 
d' Italia ,  e  particolarmente  nelle  due  Sicilie ,  in  Toscana  e  in 
Lombardia,  aveano  la  cosa  pubblica  avvantaggiato,  innanzi  alla 
firancese  rivoluzione,  con  assai  più  prò',  che  questa  facesse.  Ma, 
per  non  dire ,  eh'  ora  l' ha  del  tutto  rinnegata  o  perduta ,  ella 
ha  più  veramente  (siccome  Giuseppe  Mazzini  in  più  luoghi  de' 
suoi  Scritti  notava)  i  suoi  genuini  progenitori  in  Francia.  E 
primieramente  in  Mounier,  Malouet,  Lally  Tollendal,  Necker, 
TaUe>Tand,  Monlmorin,  e  in  cotali  altri  membri  della,  pratica  le- 
gislativa, istituita  dall'  assemblea  nazionale  al  principiare  della 


—  100  — 

rivoluzione  suddetta.  Indi  in  Broglie,  Royer  CoUard,  Guizoi, 
Cousin,  Tliiers,  Odillon  Barrot,  Dupin,  Sebastiani,  Périer,  e  in 
quegli  altri  sozi ,  che  ne'  quindici  anni  del  regno  borbonico  resi- 
stettero, e  ne' diciotto  seguenti  del  regno  orleanese  colà  trionfa- 
rono. I  quali,  com'è  noto,  volendo  un  dominio  monarcale,  ma 
temperato  da  un  consiglio  di  patrizi  (  tosto  senza  forza  rimaso  ) 
e  da  un  consiglio  di  borghesi;  e  separandosi  dal , popolo,  in  cui 
nome  e  per  cui  mercè  aveano  vinto,  esaltarono  colà  il  terzo  ceto 
e  quella,  ch'ei  chiamarono  monarchia  repubblicana,  e  che  non 
fu  alla  fine,  se  non  una  tirannide  borghese.  E  }  quali,  sé  chia- 
mando moderati,  come  gente  che  voleva  conciliare  la  repubblica 
colla  monarchia,  il  moto  colla  immobilità  e  la  verità  coli' assur- 
do; furono  in  vece  chiamati,  come  gente  contenta  di  formule 
vocah  in  assenza  di  opere  civili,  dottrinari.  Questi  appunto  i 
babbi  legittimi  de'  moderati  e  de'  dottrinari  nostri ,  che  hanno 
comuni  con  loro  lo  spirito  borghese  e  il  simbolo  costituzionale, 
le  false  teorie  e  le  parole  risonanti ,  le  lustre  di  libertà  e  i  fron- 
zoli di  legalità,  le  opinioni  per  credenze  e  i  fatti  per  principii, 
r  empirismo  in  luogo  di  logica  e  I'  opportunità  in  luogo  di  giu- 
stizia, sovra  un  mal  dissimulato  fondo  d'ecletismo,  di  materia- 
lismo, di  scetticismo,  d'ateismo  e  di  nichilismo. 


LXXII.  Esaltailone  de' moderati. 

Costoro  adunque  cominciarono  tra  noi  a  manifestarsi  nell'  an- 
no 1814,  sperando  Ubertà  dagli  austriaci  invasori  in  Lombardia; 
nel  1821,  confidando  la  rivolta  a  un  principe  cospiratore  in  Pie- 
monte, e  nel  1831,  dando  indole  locale  e  legale  alla  rivolta  in 
Romagna.  E  si  assettarono  tosto  appresso,  quasi  nella  presente 
forma,  in  quella  compagnia  segreta,  ma  di  poca  importanza,  detta 
de'  veri  italiani;  h  quale,  contrapponendosi  alle  congiure  repul>- 
blicane,  dalla  ten'a  straniera  salutò  prima  la  croce  di  Savoja  co- 
me italico  vessillo.  Nondimeno  solamente  nel  1843,  quando  appun- 
to colsero  i  fratelli  Bandiera  a  Cosenza  la  palma  del  martirio, 
si  costituirono  in  parte  politica  italiana;  avendo  a  maestri  Rossi, 
Gioberti,  Balbo,  D'Azeglio,  Durando,  Mamiani  e  quegli  altri,  del 
resto  virtuosi  e  honomeriti  uomini,  che  sopra  tutto  mercè  una 
federazione  de'  regoli  italiani  propugnavano ,  tra  guelfi  e  ghibel- 
lini ,  r  emancipazione  d' Italia  eoo  modi  blandi.  E  le  riforme  del 


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pontefice  Pio  IX  nel  1847  e  quelle  degli  altri  regoli  nel  seguente 
anno,  sembrarono  avverarne  in  breve  le  speranze.  Ma  da  un  lato 
la  perfida  prodizione  di  costoro,  tranne  uno,  e  Y  esito  infelice  della 
guerra  regia  in  Lombardia;  e  dall'altro  la  imperterrita  difesa  di 
Venezia  e  di  Roma,  nelle  quali  risplendette  V  antico  popolano 
valore,  lasciavano  ancora  in  dubbio  nel  1849,  se  la  direzione  de' 
destini  italici  dovesse  a  loro  o  agli  emuli  spettare.  Se  non  che 
aUora  occorse  un  fatto,  che  ebbe  nelle  vicende  ulteriori  una  mas- 
sima eiTicacia,  e  che  diede  a' moderati  il  trionfo.  Vittorio  Ema- 
nuele II  di  Savoja,  mentre  il  padre  partiva  per  l'esilio  (ove 
subito  mori  d'  un  intimo  martirio ,  che  il  rese  all'  Italia  santo  ), 
raccolse  con  lo  scettro  il  vessillo  caduto  su'  campi  di  Novara  ;  e 
giurò,  che  non  sarebbe  più  di  sua  mano  uscito.  La  natura  delle 
probe  stirpi  subalpine  è  cosi  fortemente  temprata ,  .che  niun  ti- 
ranno avrebbe  loro  potuto  strappare  quello,  che  alle  altre  italiche 
venne  di  leggieri  tolto.  Pur  fu  gran  ventura,  ch'elle  avessero  al- 
lora questo  miracolo  di  re,  che  il  giuramento  e  le  concesse  fran- 
chigie mantenne,  non  suo  mal  grado;  ma  per  animo  incrollabil- 
mente buono.  Onde  d' allora  in  poi  tra  principe  e  popolo  non 
fuvvi  più  (come  altrove)  tenzone  di  reprimere  e  di  resistere, 
né  più  la  gelida  lama  della  difiìdeuza  si  frappose;  ma  gara  tra 
loro,  come  prodi  che  gli  erano  entrambe  e  leaU,  di  onorare 
la  libertà  e  di  vendicar  la  patria.  E ,  poiché  nelle  altre  contrade 
d'Italia  i  tiranni  spergiuri  aveano  ogni  vestigio  di  reggimento 
civile  distrutto,  e  l'austriaca  oppressione  aggravato;  così  i  fuo- 
rusciti quasi  tutti  convennero,  e  i  rimasti  sotto  il  giogo  fissarono 
colà  gli  ocelli,  siccome  a  luogo,  donde  il  sole  della  itaUca  re- 
denzione sarebbe  in  breve  spuntato. 


LXXIII.  Trionfo  de'  moderati. 

Da  questo  istante  quindi  fu  deciso  quale  fra'  due  sistemi  di 
redimer  l'Italia,  se  quello  della  popolare  insurrezione  o  quello 
della  regale  capitananza,  avesse  ad  essere  di  preferenza  accolto. 
Imperocché,  se  il  primo  alla  dignità  e  alla  viriUtà  della  nazione 
era  più  adatto,  e  avrebbe  più  sani  e  più  saporosi  frutti  dato; 
d'  altra  parte  richiedeva  cotanta  fortezza  e  cotanta  fortuna ,  che 
quelle  stesse  degli  avi  nostri  romani  avrebber  dovuto  pareggiare. 
Mentre  il  secondo  poteva  con  meno  delusioni  amare  e  meno  duri 


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patimenti  avere  un  effetto,  che  non  sarebbe  stato  tanto  glorioso; 
ma  certamente  più  possibile,  più  sollecito,  e  più  alla  natura  de' 
desideri  odierni  e  delle  forze  comuni  conforme.  Cosi  non  sola- 
mente nel  Piemonte;  ma  in  ogni  regione  della  penisola,  la  mas- 
sima parte  di  coloro,  eh'  eransi  alla  patria  serbati  fedeli  nella  sven- 
tura ,  seguirono  quella ,  che  fu  detta  egemonia  piemontese.  E  non 
solamente  i  moderati  del  quarantotto,  che  aveano  per  verità  con- 
dotto non  molto  bene  le  cose  allora  ;  ma  (  notisi  bene  )  i  più  degli 
stessi  loro  competitori  e  precursori  furono  di  cotal  numero:  dan- 
done Giorgio  Pallavicino,  Daniele  Manin,  Giuseppe  Garibaldi,  e 
cotali  altri  gentili  e  lieri  spiriti,  per  primi  T  esempio.  D  quale  per 
altro  non  venne  da  una  ristretta  coorte  mazziniana  seguito,  né  sopra 
tutto  dal  maestro.  I  fatti  di  Milano  nel  1853,  pur  essi  nel  san- 
gue e  senza  palese  beneficio  sedati,  ed  altri  piccioli  fatti  avea- 
no già  mostrato  quella  decadenza  della  coA  iì<èi\aL  parte  d' azione , 
che  andò  poi  vie  più  crescendo.  Quando  a  Garibaldi,  dopo  crol- 
lato un  regno,  che  non  avea  più  altre  basi,  che  la  indifferenza  e 
la  codardia,  e  divenutone  dittatore,  balenò  il  magnanimo  pensiero 
di  precipitare  colle  milizie  popolane  su  Roma  (ove  forse  un'Italia 
ben  diversa  da  quella,  che  è,  la  concione  armata  delle  genti  ita- 
liche avrebbe  potuto  decretare);  lo  rattenne  il  timor  giusto  e  pio 
di  una  civil  discordia  (Ì8G1).  E,  sebbene  egli  appresso,  insoffe- 
rente quasi  della  patteggiata  sottomissione  alle  forme  legittime  di 
stato,  a  Sarnico  e  Aspromonte  (1802)  e  a  Mentiuia  (18G7)  conti- 
nuasse un  modo  di  pugnare  piuttosto  da  franco  paladino,  che  da 
generale  monarchico;  pur  quella  parte,  divenuta  fazione,  e  ogn' al- 
tra fazione  avversa,  aveano  già  finito  il  lor  tempo.  I  moderati  co' 
nuovi  elementi  eroici,  di  che  si  erano  nel  decennio  precedente  ri- 
sanguati ,  e  incalzati  alle  calcagna  dagli  stessi  competitori  e  precur- 
sori, aveano  omai  niente  meno,  che  unificato  e  affrancato  Tltalia. 
E  il  conquisto  della  Lombardia  (1859),  la  congiunzione  della  cen- 
trale e  della  bassa  Italia  (18G0),  lo  stabihmento  del  regno  italiano 
(18G1),  il  ricevimento  della  Venezia  (1860)  e  finalmente  l'occupa- 
zione di  Roma  (1870),  enmo  state  le  fasi  principali,  rapide  e  por- 
tentose deir  opera  da  loro  diretta. 

LXXIV.  IKsfktta  de'  maniniftiiL 

In  un  tempo,  in  cui  non  vi  ha  altro  titolo  per  aver  lode,  né 
altro  criterio  di  merito,  che  il  successo,  Mazzini  e  i  suoi  seguaci 


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fidi  furono  per  ciò  senza  cittadina  e  umana  misericordia  rampo- 
gnati e  straziati.  Avendo  anch'  io  dato  il  mio  voto  affermativo  ne' 
plebisciti,  e  rimanendo  lealmente  fermo  ne' medesimi  (ma  anche 
al  dogma  implicito  della  sovranità  popolare  ),  non  sono  verso  i  maz- 
ziniani giudice  parziale.  Ebbene,  forse  di  non  avere  reso  sollecita 
obbedienza  a'  voleri  della  nazione  chiaramente  manifesti  e  a'  de- 
creti del  destino  non  meno  manifesti  (  che  cioè  l' Italia  si  affran- 
casse e  unificasse  a  mezzo  della  casa  savoiarda  )  debbonsi ,  se  non 
di  poca  annegazione,  di  poca  antiveggenza  rimproverare.  Ma  ri- 
mangono tuttavia  ragioni  per  iscusar  loro,  che  perdettero,  quante 
per  non  encomiare  gli  altri ,  che  vinsero.  E  primieramente ,  quan- 
tunque eglino  si  stessero  sdegnosi  in  disparte,  non  opposero  a  quella 
casa  nel  fare  il  bene  ostacoli  ;  e  furono  anzi  contro  il  comun  nemi- 
co, se  non  collegati,  vedette.  Il  che  non  è  molto,  io  lo  so,  consi- 
derando che  la  presente  Italia  si  fece  fuori  del  lor  pensiero;  e  che 
dunque ,  s' eglino  avessero  potuto  impedirlo ,  non  si  sai'ebbe  fatta , 
io  non  dico  in  miglior  modo,  ma  non  certamente  in  questo,  in 
cui  le  fu  dato  almen  per  ora  di  farsi.  Onde  questa  unità  e  questa 
indipendenza ,  sogno  de'  secoli  e  sospiro  sopra  tutto  di  lor  mede- 
simi, non  avremmo,  se  fosse  sUito  in  loro,  si  tosto  avuto.  Pure 
possiamo  noi  biasimargli,  perchè  osservarono  le  promesse  giurate 
sovra  le  ossa  de' compagni  premorti;  e  perchè  forse  la  fortuna, 
da  cui  gran  parte  dipende  delle  umane  cose,  ha  dato  lor  torto? 
È  certamente  molto  il  chiedere  suU'  altare  della  patria  anche  l' olo- 
causto delle  proprie  convinzioni ,  più  che  quello  delle  proprie  mem- 
bra, alle  anime  forti  penoso.  Dato  che  si  possa  rassegnai'visi ,  e 
che,  pognamo,  un  repubblicano  si  accosti  temporariameule  ad  un 
signore,  fosse  pur  un  tiranno,  pur  di  vendicare  la  patria;  è  assai 
arduo  poi  nella  lunga  dimestichezza  o  nella  continua  dissimulazio- 
ne (siccome  per  troppi  esempi  si  scorge)  non  contaminar  l' anima. 
Ad  ogni  modo,  tra  chi,  fuggendo  sino  il  pericolo  della  contami- 
nazione, tetragono  a  tante  contrarietà,  delusioni  e  abbandoni, 
quanti  Mazzini  sofferse,  rinian  fermo  nel  primo  amore  e  nel  pri- 
mo culto  del  cuore  ;  e  chi ,  cedendo  alla  stanchezza ,  alla  tentazio- 
ne e  alla  sorte ,  muta  secondo  le  vicende  :  che  che  si  possa  a  lode 
dell'  accortezza  de'  secondi  dire ,  la  simpatia  è  \^r  la  fenuezza  de' 
primi.  Or  appunto  alcuni  di  quelli,  che  alla  paile  e  indi  alla  fa- 
zion  vincitrice  si  addissero,  pognamo,  che  fossero  prudenti  assai, 
ed  io  per  me  gli  reputo  anche  onesti;  furono  altresì  uomini,  la 
cui  sagacia  stette  principalmente  nel  ritrarsi  da  una  via  di  perigli 


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e  di  sacrifici.  E  i  quali,  che  che  sembrino  agli  occhi  altrui,  in- 
nanzi a'  propri  e  a  quelli  del  maestro  arrossendo  ^  dovettero  sen- 
tirsi, come  se  mancatori  di  una  parola  data  e  apostati  di  una  fede 
professata,  punti  di  vergogna.  I  mazziniani  costanti  in  vece,  che 
sono  ora  poco  più  d' un  manipolo ,  e  a  cui  punto  non  sono  da 
equiparare  i  più  recenti  accoliti  ;  pur  vinti  nelP  esito,  rimangono  nel 
principio  vittoriosi.  E  quella  indegna  progenie,  che  fa  ressa  loro 
intorno,  rimproverano  tacendo;  e  chiudendo  nel  petto  le  ultime 
italiche  virtù  della  generazione,  che  si  muore. 


LXXV.  FaTorì  della  fortuna  a'  moderatL 

Ma ,  anche  ritenuto  il  torto  loro  ne'  di  passati ,  quanto  al  giu- 
dicare politico;  forse,  se  l'esito  non  avesse  i  loro  successori  e 
avversari  glorificato,  chi  più  si  dovesse  di  leggerezza  o  di  teme- 
rità imputare,  rimarrebbe  dubbio.  Imperocché,  che  la  fede  in  chi 
alla  fede  ha  già  mancato,  e  sopra  tutto  negli  stranieri  non  si  debba 
mai  riporre ,  era  ed  è  regola ,  a  quel  che  sembra,  da  doversi  piut- 
tosto commendare,  che  condannare.  Fatto  sta,  che  i  regoli  nostri , 
in  cui  pure  i  moderati  per  tanti  anni  sperarono,  fallirono,  tranne 
uno,  tutti  (siccome  era  degno  di  loro);  e  che  i  francesi,  riponendo 
nel  quarantanove  il  papa  in  Roma,  aggravarono  con  fratricide,  e 
anzi  con  jiarricide  armi  le  nostre  sciagure.  Che,  se  allora  quegli, 
ch'era  sUito  nel  ventuno  principe  di  Carignano,  pugnò  come  sol- 
dato fetide  d' Italia ,  e  il  figliuolo  ne  divenne  strenuo  campione  ; 
e  se  indi  Napoleone  111  scese  sui  campi  lombardi  e  battè  l'Austria, 
non  chiedendo  maggior  mercede  della  cessione  di  due  provincia 
e  del  vassallaggio  delle  rimanenti;  erano  cose  codeste,  che  non 
si  poteano  facilmente  prevedere,  e  che,  non  riuscendo,  avrebbon 
lasciato  r  Italia  più  di  pria  lacera  e  minala.  E  in  fine ,  prevedutele 
e  riuscendo,  i  frutti  avriano  potuto  essere  di  tale  acerbità,  che 
avriasi  [)Otuto  esitare  tra  il  desiderarie  e  Y  aborrirle.  Siccome  quel- 
le, che  |)er  un  lato  ricomponevano  ed  emanci|)avano  Y  Itiìlia  ;  ma 
per  r  altro  anche  (  e  in  breve  lo  vedremo  )  ne  la  disfacevano  e 
svergognavano.  Di  modo  che  le  conseguenze  mediate  e  remote, 
che  ne  procedettero,  diedero  ai  fautori  dell'  insurrezione  jx)polare 
e  contrari  (Iella  capitananza  regia  piuttosto  ragione ,  che  torto.  Ma, 
pur  dando  a  questi  biasimo,  non  ne  viene,  che  quelli  delF  altra 
l)arte  si  |K)ss;ino  arrogare  il  merito  di  aver  essi  alTrancalo  Y  Italia. 


-  105- 

La  cui  redenzione  materiale  ed  esteriore  fu  veramente  secondo  il 
lor  disegno  compiuta ,  e  sotto  la  loro  podestà  condotta  ne'  presenti 
termini:  ma  non  anche  per  la  loro  virtù.  Ed  anzi  tutto  non  può 
negarsi ,  che  Y  avita  fortuna  non  ci  sorreggesse ,  e  che  con  assai 
meno  travagli,  sforzi,  eroismi  di  quelli,  che  caddero  altre  volte 
inani,  e  di  quelli,  che  forse  erano  necessari,  potemmo  adesso  il 
sospirato  secolare  intento  raggiungere.  Fortuna  fu,  per  esempio, 
che  non  so  quale  sentimento  arcadico  di  Ubertà  e  di  giustizia  pro- 
gredisse e  imperasse  nel  mondo  ;  onde  la  causa  nostra  acquistasse 
ovunque  favore.  Fortuna,  che  i  tiranni  nostri  fossero  cotanto  osti- 
nati e  cieclii,  da  essere  fin  contro  a  sé  medesimi  felloni;  onde, 
l' afTetto  per  le  autonomie  locali  venendo  meno,  quello  per  V  unità 
nazionale  prevalesse.  Fortuna,  che  Napoleone  III,  salito  in  sul 
irono  violentemente,  e  a  dispetto  delle  vecchie  dinastie,  avesse 
bisogno  di  fare  con  alcuna  gloria  sopportare  alla  Francia  la  sua 
usurpazione ,  e  di  cangiare  ordini  all'Europa,  rimestando  le  cose; 
onde  si  decise  air  italica  guerra.  Fortuna ,  che  tra  Prussia  ed 
Austria  s' ingarbugliassero  quelle  lor  brighe  da  tedeschi  ;  onde 
potemmo  la  Venezia  avere,  ahimè,  in  dono.  E  che  in  fine  gia- 
cesse a  Sedan  prigione  il  nostro  medesimo  benefattore  ;  onde  libe- 
rarci dalla  costui  prepotenza.  Or  egli  è  vero,  che  Y  opera  di  codesta 
immortale  dee  porsi  in  conto  più  di  quello,  che  oggidì  si  usi ,  ne' 
privati  e  ne'  pubblici  eventi  ;  e  eh'  ella  dev'  essere  anco  riverita  a 
modo  romano.  Pur  nondimeno  ciò ,  eh'  è  suo ,  non  può  a  gloria 
d'alcun  mortale  attiibuirsi. 


LXXVI.  Ajuti  della  nasione  a'moderatL 

E,  quanto  alle  vicende  della  recente  storia  per  opera  umana 
seguite,  cosi  poco  puossi  a' moderati  attribuirne,  che  il  meno  è 
quello,  che  loro  spetta.  Mentre  è  cotanto  la  gloria  dalle  colpe  supe- 
rata, che  meglio  saria  stato  per  loro  essere  morti  oscuri,  che 
avere  ac(iuistato  celebrità  con  tanto  assassinio  della  povera  patria. 
Anzi  tutto,  siccome  gli  eventi  storici  sono  tessuti  da  lunga  trama 
di  secoli,  cosi  assai  più,  che  dalle  picciole  pugne  testé  combattute 
e  da'  piccioli  maneggi  de'  nostri  oratori  (  e  guai  s' elle  non  aves- 
sero altra  origine,  che  codesta!)  le  sorti  nostre  presenti  vennero 
largite  dall'opera  di  pareccliie  generazioni.  Mercé  la  quale,  come 
frutto  maturo,  che  a  un  lieve  urto  cade,  noi  le  cogliemmo.  Ma, 


-  106  - 

sebbene  anche  i  viventi  abbiano  qualche  cosa  per  la  patria  ope- 
rato, assai  più  operò  il  popolo,  de' suoi  reggitori;  e  assai  più  co- 
loro, che  la  pubblica  autorità  infiammavano  e  incitavano,  di  coloro, 
che  n'  erano  moderatori.  Il  popolo  italiano  (di  cui  io  dico  nell'  altro 
libro  i  pregi)  mostrò  in  fatti  tanta  temperanza,  mansuetudine  e 
dirittura  in  tutte  le  fasi  del  suo  risorgimento;  e  tanto  intuito,  av- 
vedimento e  senno  ne'  plebisciti ,  nel  debellare  la  papal  curia  e 
altrimenti,  eh'  io  non  so  chi  non  lo  avesse  potuto  guidare.  E  non- 
dimeno i  moderati  di  tale  bontà  sua  appunto  si  pavoneggiano  come 
di  propria  sapienza;  e  dicono:  noi  abbiamo  fatto  questo  e  code- 
sto, e  guai  se  non  ci  eravam  noi!  No,  ripeto:  eglino  da  circa 
im  quarto  di  secolo  moderano  le  cose  d' Italia ,  siccome  se  ne  ar- 
rogano gli  auspicii  e  gli  onori;  e  secondo  il  lor  sistema  l'Italia 
è  divenuta  quello,  che  è:  ma  le  forze  di  cui  si  valsero,  le  virtù 
non  sono  le  loro.  Non  solamente  la  impresa  di  Sicilia  e  altri  tali 
avvenimenti  furono  appena  appena  col  loro  beneplacito  seguiti: 
ma  essi  il  più  delle  volte  furono  da  una  corrente  spinti  ad  agire, 
che  non  era  né  di  loro,  né  di  lor  grado.  Né ,  per  quanto  la  unità 
dello  stato  e  indi  anche  il  tramutamento  della  sede  in  Roma  sop- 
portassero, essi  (se  vogliono  esser  sinceri)  |K)trebbon  negare,  che 
questi  e  cotaU  altri  avvenimenti  trascesero  le  loro  aspettative  e 
precorsero  le  lor  brame.  E  ad  ogni  modo  con  quelle  nature  poco 
vigorose,  di  cui  fu  primieramente  la  parte  loro  composta,  e  manco 
con  quelle  (  io  non  vuo'  dir  quali  ),  tU  cui  poi  sconciamente  si  ri- 
gonfiò, avrebbe  ella  fatto  niente;  se  gli  elementi  attivi  ed  efficaci, 
siccome  i  più  generosi  |)ensieri,  non  glie  ìì  avesse  l'altra  parte 
dati?  Imperocché  due  sorta  di  persone  sono  qui  da  distinguersi: 
quelli,  che  veramente  nacquero  moderati,  e  queUi,  che  vi  vennero 
poscia  adottati,  cangiando  o  non  natura.  I  quali  ultimi,  che  noD 
desiderano  esser  moderati  punto,  sono  per  altro  da  reputarsi  taU; 
poiché,  vogliano  o  non  vogliano,  accettarono  da  rpielli  il  modo  di 
far  r  Itiilia  a  modo.  Anzi ,  <iualunque  sia  il  nome  che  prendono , 
e  comunque  siano  secondo  i  famosissimi  simulacri  di  pugilato  par- 
lamentare in  due  confraternite  divisi  (  quelli  eh'  ebbero  tre  lustri  di 
dominio  testé ,  e  ([uelli  che  Y  hanno  ora ,  i  vecchi  e  i  nuovi  );  cosi 
gli  lascio  tutti  quanti  nella  medesima  compagnia.  Che  diivvero  non 
si  può  s[)erare  niente  più  dagli  uni,  che  dagli  altri:  né  si  può 
sedere  a  scranna  ora,  come  non  si  potè  testé;  se  non  essendo 
moderati,  confessi  o  convinti,  genuini  o  bastardi,  contenti  o  scon- 
tenti, che  siiino. 


-  107  - 


LXXVII.  Inopia  morale  de'  moderati.  • 

Ripigliando  dico,  che,  siccome  poco  di  buono  o  molto  di 
cattivo  la  suddetta  parte ,  da'  cortigiani  o  almeno  da'  consiglie- 
ri delle  spente  signorie,  attinse;  cosi  ella  dovette  ciò,  che  ha 
di  vitale  in  sé,  trarre  dall'altra  parte.  Ond'ella  ha  certo  un  gran 
guaio:  di  non  avere  in  sé  medesima  né  forza,  né  virtù,  né  spiri- 
to ,  uè  genio  ;  ma  unicamente  astuzia ,  scaltrezza ,  circospezione , 
pratica.  Anzi,  priva  d'affetti  e  di  lumi  a  segno,  che  l'unità  stessa 
dovette  dall'altra  parte  piuttosto  subire,  che  apprendere,  e  non 
sapendo  nelle  materie  civiU  altro,  fuor  che  ricopiare  gli  usi  e 
gl'istituti  oltramontani;  ella  appunto  si  vanta  ne' momenti,  che 
l'ebbrezza  della  vittoria  la  rende  più  hnguacciuta  e  incauta,  di 
poter  fare  a  meno  di  quelli.  Nondimeno  la  sua  arte  di  stato,  a 
l)en  ponderare,  non  la  fu  gran  cosa  :  dappoiché  la  si  ridusse  quasi 
tutta  a  lasciarsi  forzar  la  mano  ed  a  forzarla  altrui;  dicendo  di 
non  poter  resistere  e  di  dovere  pel  ben  d'  Europa  metter  l' ordine 
in  questa  vulcanica  terra ,  dove  i  patriotti  rompicolli  metteano  tanto 
disordine.  E  sopra  tutto  dicendo  a'  compari  diplomatici  d'  oltre 
monti  bugie  ancor  più  grosse,  che  costoro  e  le  donne  pubWiche 
non  usino.  Nel  che  per  verità,  non  vi  essendo  bisogno  d'esser 
coerenli ,  e  potendolesi  mantenere  anche  quando  contraddette  (co- 
me per  cotidiani  esempi  si  vede),  non  occorre  esser  molto  de- 
stri. Io  tuttavia  riconosco  i  servigi,  che  alla  patria  Camillo  di 
Cavour,  Luigi  Carlo  Farini,  Bettino  Ricasoli,  Alfonso  Lamar- 
mora,  Urbano  Rattazzi,  Marco  Minghetti  e  gli  altri  orditori  del 
presente  assetto  di  cose,  resero:  a'  quah  (sia  detto  una  volta  per 
sempre)  io  imputo  errori  d' intelletto ,  e  non  di  cuore.  Ma ,  dopo 
lutto,  che  avrebbono  egh  fatto  senza  la  connivenza,  senza  l'in- 
tesa, senza  il  permesso,  senza  il  consiglio  e  lìn  senza  l'impulso 
del  tiranno  di  Francia ,  cotanto  alla  presente  Italia  amico  ?  E  chi 
più  tra  loro  e  hii,  ed  anzi,  ahimé,  tra  noi  e  lui,  a  ben  ponde- 
rare, fiu'ono  dell'Italia  presente  autori?  Ma,  pognamo  pure,  che 
la  prudenza  politica,  la  quale  é  piuttosto  della  nazion  nostra, 
che  de'  moderati ,  fosse  in  costoro  meravigliosa ,  e  che  le  fossimo 
debitori  di  tutto  quello ,  che  é  accaduto  ;  di  quanti  mali  anche  non 
possiamo  noi  chieder  conto  agi'  instauratori  della  tirannide  del 
terzo  ceto  tra  noi  ? 


-  108  - 


LXXVill.  Instauraiioiie  del  dominio  borghese  per  opera  de'  moderatL 

Posciachè  il  sistema  prevalso  fé'  rinascere  Y  Italia  col  pec- 
cato originale  dell'  ajuto  straniero  e  delle  subdole  finzioni ,  e  cre- 
scere coir  onta  della  sconfìtta  e  delle  umiliazioni;  e  insieme  ne 
ha  incestuato  T anima,  tradito  la  vocazione,  e  Tha  condotta  in 
tanta  abiezione,  quale  io  sarò  tosto  per  disvelare  (parlando  de' 
fasti  della  borghesia ,  che  lo  impose  ) ,  quasi  respingerebbersi 
per  disdegno  i  suoi  doni.  Ben  più  degno  era  in  fatti  di  noi  e 
degli  avi  nostri  patire  ancora  romanamente ,  pur  di  agire  romana- 
mente; e,  se  non  si  solleciti,  ben  più  stupendi  e  immarcescibili 
se  ne  vedrebbon  ora  i  frutti!  Ciò  non  ost^mte,  la  indipendenza 
e  la  unità  d'Italia,  ancorché  fossero  con  discapito  della  sua  digni- 
tà, della  sua  libertà  e  fm  della  sua  stessa  nazionahtà  (siccome 
appresso  dimostrerò  )  sollecitate  ;  sono  cotali  beni ,  e  da  cotanto 
sospiro  di  secoli  e  di  generazioni  attesi,  che,  dovessimo  contem- 
plargli dalla  croce,  ne  dovremmo  esultare.  Onde  ho  d'uo[)o  ri- 
petere, almeno  per  quegli  schiavi  e  giullari,  che  fìngono  qualche 
volta  di  esser  scrii  :  che  dolere  ci  possiamo  dell'attuai  stato,  da  cui 
fìno  il  popolo,  che  lo  creò,  è  stalo  sbandilo.  Non  della  indipen- 
denza e  della  unità  acquistate,  sia  pure  in  sì  fatto  modo;  e  per 
le  quaU  si  ponno  anche  maggiori  pene  soffrire  di  quelle,  che  si 
soffrono.  Pure,  perchè  quo'  beni  sono  di  supremo  pregio  e  tali  da 
poter  col  tempo  produrre  tutti  gli  altri;  non  vi  è  ragione,  che  al- 
tri non  se  ne  debbano  desiderare.  Né  (ripeto  anche  questo),  per- 
chè ci  siamo  d'alcuni  mah  deUberati,  che  dagli  altri  non  ci  dob- 
biamo deUberare.  È  già  lunga  pezza ,  che  la  parte  de*  moderati , 
restringendosi  vie  più  in  consorterie  e  in  conventicoli ,  schiac- 
ciando gH  spiriti  magni,  fornicando  co'  nemici  della  patria,  e 
anzi  più  contando  su  questi,  che  sugh  amici;  divorziandosi  dalla 
nazione,  dalla  realtà  e  dalla  verità,  e  rendendo  il  governo  (sic- 
come lo  chiama  nel  suo  gergo  senza  pudore)  organo  di  un  par- 
tito j  è  divenula  anch'  ella  fazione.  Ma,  non  lo  fosse,  e  pure  am- 
mettendosi,  che  una  dura  necessità  costringesse  a  far  T  Italia  di 
questa  maniera;  ora  appunto,  che  la  è  falla,  non  doveva  forse 
emendarla  ?  Non  potendo  per  altro  nutricarsi ,  se  non  de'  succhi 
altrui,  cui  la  generazione  da  lei  allevata  non  è  in  grado  di  darle; 
e  isterilendo  naturalmente  e  disertando  ogni  cosa  all' intorno ,  co- 


-  109- 

me  funesta  gramigna,  finisce  in  vece  coli' estinguere  la  stessa  co- 
mun  vita.  E,  poiché  in  sostanza  non  il  Principe  di  Machiavelli 
e  i  Ricordi  politici  e  civili  di  Guicciardini,  come  taluno  ha 
detto;  ma  propriamente  il  Breviario  politico  di  Mazzarino  e  i 
Moniti  segreti  di  Lojola  sono  i  suoi  testi ,  i  suoi  codici  e  i  suoi 
vangeli,  non  le  è  dato  più  sottrarsi  alle  conseguenze  d'una  dot- 
trina perversa.  Ci  poterono  adunque  i  raggiri  diplomatici  valere 
per  uscir  dalla  selva  selvaggia,  e  le  menzogne  per  ingannare  i 
nostri  vecchi  cerberi.  Tuttavia,  sbanco  non  desiderassimo  uscire 
dal  limbo,  vuoisi  ben  altro  ora,  per  non  perdere  quel,  che  ab- 
biamo acquistato ,  e  eh'  è  venuto  troppo  facilmente  e  troppo  ma- 
lamente. Conciossiachè  per  detergere  le  macchie  della  impura  for- 
tuna e  per  meritarla  pura ,  non  basta  V  essere  indefessi  e  furbi  : 
occorre  esser  forti  e  virtuosi.  Qualunque  sia  del  resto  la  futura 
fortuna  de'  moderati ,  agevole  è  capire  dalle  cose  testé  dette ,  che 
la  presente  procede  dall'  esser  eglino  una  naturale  emanazione 
della  borghesia,  a  cui  spetta  per  legge  storica  il  dominio  del 
momento.  I  dottrinari  anzi  non  ne  sono  nella  palestra  politica ,  che 
gli  umili  servidori  e  spesso  gì'  inconsapevoli  strumenti  ;  siccome 
dalla  cattedra  del  fiacco  e  morente  pensiero  gì'  interpreti  e  i  teori- 
sti.  Ai  quali  lascia  ella  le  parvenze  del  regno,  e  permette,  che 
possano  cingere  le  lor  corone  di  papaveri  ;  purché  nell'  armeggio 
delle  studiate  ciancie  e  nel  ludibrio  delle  vane  franchigie,  tra  le 
loro  illusioni  e  delusioni  da  giocolieri ,  possa  carpire  o  sequestrare 
di  sotto  0  di  nascoso  tutt'  i  beneficii  del  consorzio  civile.  E  così 
accadde,  che  alla  fazione  de'  moderati  e  alla  scuola  de'  dottri- 
nari toccasse  il  fare  e  il  disfare  l'Italia;  non  per  altro,  se  non 
perché  codesta  fazione  e  codesta  scuola  furono  i  mezzi,  di  cui 
quella  si  servì  per  usurpare  le  ragioni  del  popolo  e  per  impos- 
sessatasi della  patria.  Come  poi  con  tali  mezzi  abbia  raggiunto  il 
suo  fine,  si  parrà  tosto  dal  considerare,  che  sorta  di  stato  poli- 
tico abbia  qui  fondato,  di  reggimento  e  dì  amministrazione;  per 
venire  quindi  alle  altre  malaugurate  sue  imprese. 


LXXIX.  Lustre  demooratiohe  della  borgheda. 

La  borghesia  italiana  non  essendo,  come  ho  detto,  cosa  in- 
digena ,  e  gloriandosi  anzi  della  sua  esoticità ,  è  così  stretta  d' in- 
tima parentela  o  di  basso  vassallaggio  colla  straniera ,  da  non 


-  HO  - 

avere  della  civiltà  altre  idee,  se  non  oltramontane.  Le  quali  es- 
sendo errate ,  come  tosto  si  parrà ,  ma  insieme  proprie  della  mo- 
derna democrazia^  cui  quella  vanta  di  rappresentare  (fln  col- 
r escludere  da'  suffragi  quasi  tutt'i  propri  concittadini);  sono  ap- 
punto cagione,  che  i  fautori  di  ordini  liberi  e  popolari  si  asten- 
gano dal  combatterla,  e  quella  impunemente  imperversi.  Onde  io 
debbo  prima  di  tutto  scoprire  e  smascherare  questa  impostura 
solenne,  cui  ella  usa  e  usufruisce  naturalmente;  ma  di  cui  noi 
soffriamo ,  illusi  e  delusi ,  il  nocumento  e  la  vergogna.  E ,  benché 
ne'  miei  giudizi  abbia  contrario  il  genio  del  secolo ,  che  si  muo- 
re; poco  mi  cale,  se  avrò  amica  la  verità.  Adunque  rammento, 
che  la  moderna  democrazia  ebbe  origine  in  Germania  sul  tramonto 
del  medio  evo  fra  quelle  sette  protestanti ,  che  finirono  colà  male; 
ed  in  Inghilterra  poterono  alla  metà  del  XVII  secolo  insorgere 
con  più  fortuna.  La  rivoluzione  inglese  non  fu  in  sostanza,  che 
uno  scoppio  terribile  della  continua  rivalità  tra  corona  e  parlamen- 
to; ed  anzi  della  perpetua  tenzone  tra  monarchia  e  repubblica, 
che,  occulta  e  regolata,  costituisce  ognora  coir  alterna  prevalenza 
delle  parli  regale  e  tribunizia  T  arcano  della  costituzione  poHtica 
d'Inghilterra.  Venne  per  altro  allora  dalle  passioni  teologiche  causa- 
ta :  dappoiché  primieramente  si  manifestò  come  resistenza  de'  settari, 
detti  presbiteriani  e  puritani ,  contro  la  chiesa  dominante  epi- 
scopale. Ag^Mungendovisi  poscia  l'opposizione  de'  partigiani  del  par- 
lamento, detti  teste  rotonde,  contro  quelh  della  corona,  detti  cava- 
lieri ,  condusse  alla  esiiltazionc  del  jwpolo  ed  alla  instaurazione 
(fun'enimiTa  repubbhca.  Se  Oliviero  Cromwell,il  grande  protet- 
tore della  medesima ,  avesse  più  a  lungo  vissuto  e  saputo  domare 
affatto  le  gelosie  de'  suoi  e  i  contrasti  degli  avversari ,  l'aristocrazia  e 
la  gerarchia  anglicana  non  sarebbero  forse  più  risorte.  Nondimeno, 
dopo  un  sol  deceimio,  Giorgio  Monk,  ponendo  sul  trono  Carlo 
Stuard,  e  dando  per  sempre  s<*poltura  allo  stato  democratico  nella 
famosa  isola  (Ì660Ì;  non  potè  impedire,  che  que'  semi  germinas- 
sero oltre  TAtlantico,  e  col  temix)  fruttificassero.  Lahberazione  delle 
colonie  inglesi  d'America  dalla  metropoli  e  la  loro  costituzione  in 
stati  uniti,  segnò  quindi  il  trionfo  d'un  basso  ceto,  in  gran  parte 
(lisi^eso  da'  imritani  e  dagli  altri  settari  fuggiaschi  (1783).  Esso 
fondò  colà,  fra'  trucidati  nativi,  una  democrazia  avventuriera,  senza 
distinzione  di  nasciUi  e  di  professione;  ma  anche  senz'altro  cose 
umane.  La  quale ,  divenuta  T  idolo  della  filosofia  francese  nel  secolo 
scorso,  e  reduce  colla  rivoluzion  francese  in  Europa  (1789),  co- 


-  Ili  - 

stituisce  ora  in  buona  parte  di  questa ,  e  particolarmente  in  Italia , 
a  cui  la  imposero  i  libri  e  le  armi  di  Francia ,  il  sogno  e  il  de- 
lirio delle  menti. 


LXXX.  Democrasia  barbarica. 

Io  dico  il  sogna  e  il  delirio  :  perchè ,  tranne  coloro ,  che  ten- 
gono la  fronte  volta  al  passato,  tutti  noi,  anelanti  all'avvenire,  siamo 
de'  cosi  detti  principii  delVottantanove  imbevuti  e  satolli  al  punto , 
che  non  sappiamo  comprendere  altrimenti  la  libertà  e  la  popolarità. 
E  nondimeno  essi ,  per  non  dire ,  che  ci  hanno  in  effetto  condotti  a 
questa  borghese  tirannide,  anche  virtualmente  non  aveano  altra 
altitudine,  che  di  poter  condurre  ad  un'  affrancazione  de'  ceti  e  de- 
gl'indi vidui;  la  quale  per  altro,  priva  di  buoni  ordini ,  conduce  di- 
retlamenle  al  caos  sociale.  Sorti,  come  si  vide,  in  Alemagna  e 
nel  fermento  delle  guerre  religiose,  sviluppati  in  Inghilterra,  tras- 
migrati in  America  e  naturalizzati  in  Francia  ;  essi  di  necessità  rap- 
presentano, insieme  con  un  confuso  intuito  della  verità,  la  sedi- 
zione e  il  fanatismo.  L'ItaUa,  il  cui  pensiero  civile  era  già  da 
secoli  in  decHnazione,  non  fu  più  in  grado  di  contrastarvi  ;  e  così 
ne  dovette,  dojX)  la  Francia  e  mediante  la  medesima,  subire  più 
passivamente  il  dominio,  protestando  alcuni  suoi  degni  figliuoli  in 
vano.  Avvegnaché,  se  innegabile  il  fascino  degli  scrittori  francesi 
su  nostri  d' allora ,  e  principalmente  di  Montesquieu  ;  giova  ricor- 
dare, che  le  riforme  civili,  in  grazia  di  Tannucci  e  di  altri  sa- 
pienti ministri  de'  principi  nostrani ,  cominciarono  qui  prima ,  che 
colà.  E  che  Beccaria  col  libro  Dei  delitti  e  delle  pene  nel  1764 
e  Alfieri   con  quello  della   Tirannide  nel  1777  aveano  già  dato 
contro  il  dispotismo  legale  e  politico  i  primi ,  i  più  audaci  e  i  più 
forti  colpi.  Anzi  il  libro  del  fiero  astigiano ,  che  dichiarava  le  mo- 
derne monarchie  «  intere  e  schiette  tirannidi  accomodate  ai  tem- 
pi »,  e  doversi  ogni  specie  di  tiranni  spegnere  (II,  5  e  8);  non 
potè  giacersi  e  rimanere  scordato,  se  non  perchè  ancora,  dopo 
un  secolo,  mette  negli  schiavi  spavento.  Ma  egli  appunto,  ama- 
tore di  libertà  e  di  popolo  alla   classica,  scese  nel  sepolcro  ma- 
ledicendo alla  moderna  democrazia  barbarica ,  che  spuntava.  Onde 
tosto  appresso ,  estintosi  affatto  il  pensiero  civile  d' Italia ,  non  ci 
restò  più ,  che  ripetere  come  pappagalli  le  frasi ,  e  contraffare  come 
scimie  le  smorfie  altrui.  Il  quale  pensiero,  che  cosa  sia,  manife- 


-  112  - 

stero  io  lungo  tutto  questo  e  il  seguente  volume;  colla  scorta  del 
medesimo  rigettando  il  presente  andazzo  e  sufTragando  le  future 
speranze,  e  chiarendolo  unico  pensiero  verace  e  giusto.  Intanto 
abbiasi  per  fermo  (lo  che  del  resto  i  nostri  moderati  e  dottrinari 
ammettono  assai  volentieri),  ch'esso  è  nel  comune  opinare  estin- 
to; benché  debba  risorgere.  E  che  appunto  per  tal  causa  io  intra- 
presi il  presente  fatto  d'armi,  senz'essere  approvato  da  alcuno, 
e  forse  nemmanco  compreso.  Al  quale  proposito  prego  i  miei  let- 
tori altresì  di  non  conturbarsi,  s'entro  queste  pagine  troveranno 
un  grande  odio  delle  cose  recenti  e  forestiere ,  e  un  grande  ram- 
marico delle  passate  e  locaU.  Sono  dopo  tutto  anch'  io  figlio  del 
mio  tempo,  ^  arde  anche  nel  mio  petto  l'amore  di  tutto  il  ge- 
nere umano.  Ma ,  come  italiano ,  io  non  posso  non  odiare  una  mo- 
dernità, che  coincide  colla  nostra  servitù,  e  una  peregrinità,  che 
con  la  nostra  vergogna  ;  né  non  rammaricarmi  della  libertà  e  della 
gloria  svanite.  Non  per  altro,  che  per  questo,  Niccolò  Machia- 
veUi  diceva ,  che  chi  nasce  in  altre  provincie  può  forse  esser  Ueto 
dell'oggi.  In  vece  «  chi  nasce  in  Italia  ed  in  Grecia,  e  non 
sia  divenuto ,  o  in  Italia  Oltramontano  o  in  Grecia  Turco ,  ha  ra- 
gione di  biasimare  i  tempi  suoi  e  laudare  gli  altri  ;  perché  in  quelli 
vi  sono  assai  cose  che  li  fanno  maravigliosi  ;  in  questi  non  é  cosa 
alcuna  che  li  ricomperi  d'ogni  estrema  miseria,  infamia  e  vitupe- 
rio »  (Discorsi  sopra  la  prima  Deca  di  Tito  Livio,  II).  Di 
guisa  che ,  difendendo  il  genio  della  mia  terra ,  io  difendo  quello 
della  eterna  e  universale  civiltà  ;  e  seno  tutta  X  umanità ,  onorando 
la  mia  nazione.  Che .  quando  pure  in  questa  pugna ,  eh'  io  solo 
accetto  per  cotale  civiltà  e  pe'  patri  penati ,  cadessi  come  postumo 
e  oscuro  superstite  d'una  generazione  estinta;  confesso,  non  n>e 
ne  avrei  punto  a  dolere.  Meglio,  s'io  fossi  degno  di  esser  rice- 
vuto nel  santo  coro  di  quegl'  incliti  spiriti  ;  meglio  restarmi  con 
chi  «  dopo  morto ,  é  più  vivo  di  prima  » ,  di  quello  che  con  «  que- 
sti sciaurati,  che  mai  non  fur  vivi  »! 


LXXXI.  Demooraiia  egoìBtiea. 

Poiché  dunque  l'ideale,  che  noi  ci  formiamo  del  buono  slato ,  è 
la  Unione  americana  (tollerando  per  altro  nel  Continente  europeo  la 
forma  monarchica ,  almeno  come  transitoria  ^ ,  io  debbo  primiera- 
mente qui  sfrondarne  alquanto  gli  allori.  In  America  si  palesarono, 


-  113  - 

a  giudizio  de'  così  detti  scrittori  democratici ,  e  particolarmente  di 
Gervinus  (Introduzione  alla  storia  del  secolo  XIX ,  36) ,  «  la 
democrazia  sovra  mio  spazio  immenso,  conciliabile  coli' ordine  e 
colla  prosperità;  la  più  mobile  costituzione  coir  affezione  agli  usi 
sperimentati  e  consacrati,  la  più  grande  libertà  di  culto  col  senti- 
mento reb'gioso ,  la  mancanza  di  forza  militare  collo  spirito  bellico- 
so ,  il  colossale  incremento  di  una  popolazione  avventizia  colFamor 
patrio  radicato  nella  libertà;  e  l'amministrazione  e  il  governo  in 
mano  di  ufficiali  poveri ,  eletti  fra  poveri ,  colla  stabilità  politica  e 
la  parsimonia  economica  ».  Ebbene ,  non  ostante  questo  panegi- 
rico, se  basta  una  società  popolosa  e  industre,  senza  distinzione 
di  ceto  ne'  costumi  e  prescrizione  di  censo  ne'  suffragi ,  per  rag- 
giungere l'ideale  del  buono  stato;  quella  ne  offre  certamente  l'e- 
sempio più  enorme  e  più  strepitoso.  Ma ,  se  il  valore  della  civiltà 
giudicasi  altrimenti;  in  onta  alla  sua  ampiezza  e  alacrità,  ed 
anco  alle  giovanili  e  mirabili  sue  .imprese ,  quella  è  assai  lungo 
dal  contare  nella  storia  del  mondo,  quanto  la  sola  e  piccola 
città  di   Firenze  ;  e  per   fino  dall'  aver  conseguito   un  grado 
elementare  di  vita  civile.  Priva  affatto  d'idealità,  e  dello  incanto 
della  gentilezza,  dell'arte,  della  gloria  e  per  sino  della  stessa 
indicibile  opulenza  (a  cui,  per  esempio,  pervennero  le  greche  co- 
lonie dell'Asia  minore  e  della  bassa  Italia);  essa  a  buon  conto 
è  molto  al  di  sotto  dello  splendore  della  classica  democrazia.  Non- 
dimeno prescindasi  da  ciò,  che  pure  è  causa,  onde  le  nazioni 
adempiano  una  morale  vocazione  nell'umanità,  e  non  passino  ste- 
rili e  dimcntic^ite  sulla  terra.  Havvi  colà  un  campo  franco ,  in  cui 
gl'individui  convengono  da  ogni  dove  a  lavorare  e  a  trafficare, 
ed  a  professarvi  le  lor  solitarie  credenze ,  ed  anco  a  rompere  le 
catene  d'una  decrepita  società  incancrenita  :  ma  in  cui  si  rimangono 
sempre  individui.  Stringono  conseguentemente  un  patto  di  reci- 
proco rispetto  tra  loro,  o  al  più  una  lega  difensiva  :  ma  la  città, 
nel  senso  vero  e  proprio  di  questa  voce,  non  l'hanno  ancora  fondata. 
Né  forse  del  tutto  ancora  la  umana  religione  ;  siccome  i  nuovi 
coloni,  che  vi  approdano  e  sarebbonvi  lasciati  morir  come  cani, 
se  non  si  salvassero  da  sé  medesimi ,  potrebbono  attestare.  11  che 
certamente  basta  alle  fredde  tendenze  di  tale  associazione:  seb- 
bene in  avvenire  l' anarchia ,  eh'  è  il  perno   della  medesima ,  e 
in  uno  lo  spirilo  della  moderna  democrazia  barbarica,  o  della  pretta 
demagogia  generale,  non  possa  non  travolgeria  in  quella  mina, 
di  cui  già  veggonsi  gl'indizi.  Qualche  cosa  in  fatti  d'analogo 

8 


-  114  — 

alle  antiche  repubbliche  stava  ivi  per  succedere  nella  Virginia  e 
negli  altri  stati  meridionali:  i  cui  abitatori  poterono,  commettendo 
il  lavoro  a  una  nuova  specie  d'iloti  neri,  attender  meglio  alla 
cosa  pubblica;  e  aggiungere  una  certa  floridezza  di  coltura,  di 
cortesia  e  anche  di  lusso,  diverse  troppo  da  quelle  degli  stati 
settentrionali.  Provenne  anzi  da  tale  diversità,  e  dalla  gelosia  e 
dairantagoni^o  derivatone,  tra  gli  uni  e  gli  altri,  assai  più,  che 
dalla  contesa  della  schiavitù ,  la  gran  guerra  intestina  o  sociale  dal 
18C1  al  1865  spietatamente  ivi  combattuta.  E  vi  volle  codesta 
gran  guerra,  perchè  la  razza  anglosassone,  famosa  per  integrità 
e  onestà ,  ma  a  cui  sono  sentimenti  detestabili  la  carità  e  la  mi- 
sericordia; si  decidesse  ad  abolire  colà  la  schiavitù  parecchio 
tempo  dopo,  che  era  stata  nel  nostro  emisfero  abolita  dalle 
altre  cosi  dette  razze  cristiane.  Non  fu  questo  per  tanto,  che  un 
prodromo  di  ciò,  che  potrà  seguire,  s'ella  non  si  rimette  nel 
sentiero  della  civiltà  propria  e  vera;  la  quale  significa  prima  di 
tutto  corrispondenza  ed  espansione  d'  affetti  e  d' uffici  umani.  Per- 
chè, se  quella  sua  crudel  giustizia,  ministrata  a  modo  primitivo 
e  tumultuario ,  e  quasi  privato  e  selvatico ,  e  quelle  pugnaci  forme 
di  eleggere  i  magistrati  e  gli  stessi  c^pi  della  repubblica ,  mani- 
fesUìno  uno  slato  appena  rudimentale  di  società;  il  broglio,  la  ba- 
ratteria e  la  concussione,  che  ne  deturpano  già  le  funzioni,  ne 
manifestano  anche  il  tarlo  senile.  Nella  elezione  del  presidente ,  lo 
scorso  anno  avvenuta ,  si  scoperse  evidente ,  quanto  essa  covi  nel 
seno,  ognor  vivo,  lo  intestino  dissidio.  Basterà,  che  ne'  sopravve- 
nienti travagh  siavi  bisogno  di  grosso  milizie  e  di  prolungati  comaih 
di,  ove  abbia  modo  di  formarsi  e  di  acquistar  laude  e  prestigio  un 
capitano  astuto  e  avventurato,  che  non  abbia  di  Giorgio  Wasliington 
le  sante  e  classiche  virtù ,  per  dovere  onorarlo  vittorioso  e  subirlo 
potente.  Alle  quali  tutte  cose  dovriano  por  mente  coloro,  che  di 
si  fresca  repubblica  decantano  la  felicità,  senza  curarsi  degl'inti- 
mi suoi  mali,  senza  attendere  le  ultime  sue  prove;  e  senza  pur  sa- 
pere, dove  r andrebbe  a  finire,  se  appunto  non  cangiasse  quel  si- 
stema, per  cui  è  decantata  felice. 


LXXXII.  Demoorasia  ftilsa. 

La    borghesia  continentale  del  resto,  mentre  si  sene  della 
transatlantica  democrazia  come  di  un  logoro  per  impaniare  i  goo- 


—  115  — 

zi,  a  cui  lascia  balenare  da  lunge  il  trionfo  delle  loro  nfial  dissi- 
mulate speranze;  non  accetta  naturalmente  della  medesima,  che 
quanto  le  giova.  Vuo'  dire  il  basso  e  falso  concetto  della  società 
civile,  cui  le  schiatte  germaniche,  declinando  la  romana  civiltà, 
giunsero  a  far  prevalere.  L' idea ,  che  dello  stato  si  facevano  i 
nostri  maggiori,  era:  che  non  emergesse  da  un  accozzamento  for- 
tuito e  violento  d' elementi  eterogenei  e  discordi  ;  ma  fosse  un 
ente  organico  e  immortale,  nel  quale  solamente  l'uomo  si  com- 
piesse. Onde  avranno  eglino  forse  chiesto  troppo  al  cittadino  per 
la  sua  patria  (che  è  dire  per  quella  parte  d'umanità,  che  più  gli 
è  vicina  e  congiunta);  e  avranno  forse  anche  fatto  di  essa  un 
nume  troppo  esclusivo  e  terribile.  Ma  fatto  sta ,  che  di  tal  guisa 
prescrivevano  annegazioni  e  azioni ,  e  suscitavano  passioni  e  sacri- 
ficii ,  cui  solo  il  gelido  e  vile  egoismo  può  abominare.  La  natu- 
ra ,  etema  regina  delle  cose ,  che  chiama  l' uomo  alla  conversa- 
zione e  all'  amore ,  dice  essa  con  le  sue  infallibili  leggi ,  chi  abbia 
tra  i  romani  e  i  barbari  ragione.  Nondimeno  questi,  sopraffacendo 
due  volte  quelli ,  prima  dal  quinto  all'  undecime  secolo  e  poscia  dal 
decimosesto  in  poi,  imposero  quel  basso  e  falso  concetto,  a  cui  ora 
i  nostri  romanastri  rendono  cotanto  omaggio,  e  cui  cotanto  celebra- 
no. «  Ne'  tempi  di  mezzo  (nota  il  testé  citato  storico  tedesco  e  neUa 
medesima  opera)  lo  spirito  di  corporazione  era  appunto  quello,  che 
sorreggeva  il  principio  della  libertà  aristocratica.  Ma  quello  spirito 
ne'  tempi  moderni  si  è  trasformato  nella  tendenza  all'  individualismo, 
il  quale  ha  sparso  il  seme  della  libertà  democratica....  Questo 
grande  insegnamento  impartirono  i  popoh  germanici  ai  tempi  mo- 
derni, di  fronte  al  mondo  latino  d' allora  ^e  al  mondo  slavo  d'og- 
gi ».  E ,  a  proposito  dell'  America ,  naturalmente  si  compiace ,  che 
«  l'individualismo,  segnale  caratteristico  de'  tempi  moderni  e  del- 
FumanitA  protestante,  ha  quivi  conseguito  i  maggiori  suoi  diritti  » 
(19  e  36).  Non  cito  adunque  un'  autorità  sospetta  per  documenta- 
re, che  il  concetto,  come  a  dire  monastico,  dello  stato  attuale 
è  proprio  una  degna  gloria  de'  posteri  d' Arminio  e  de'  proseliti 
di  Lutero.  Or,  ch'esso  conduca  a  rovina  e  che  alla  fine,  disvi- 
luppato nelle  sue  ultime  conseguenze ,  sovverta  a  dirittura  il  con- 
sorzio umano;  pare,  che  anche  uno  scrittore  di  Francia,  borghe- 
se, moderato  e  dottrinario,  se  ne  accorgesse.  Il  nodo  in  fatti  de- 
gli errori  della  democrazia  socialistica ,  avvertiva  Guizot  (ed  an- 
che, soggiungo  io,  della  presente  civiltà  o  inciviltà  teutocristiana), 
sta  in  ciò  :  die ,  quando  ella  mentova  gli  uomini ,  non  intende  già  il 


-  116  - 

genere  umano,  ma  gli  umani  individui.  Di  maniera  che,  soppri- 
mendo le  tradizioni  e  le  istituzioni,  che  rappresentano  la  unità  e 
la  continuità,  e  la  storia  e  la  nobiltà  loro;  sopprimendo  niente 
meno,  che  X umanità ^  «  ella  non  vede  negli  uomini,  che  esseri 
isolati  ed  effimerì.  I  quali  non  compariscono  nella  vita  e  su  que- 
sta terra,  teatro  della  vita,  se  non  per  prendervi  il  proprio  cibo 
e  il  proprio  diletto;  e  ciascuno  per  proprio  conto,  coir  identico 
titolo  e  senz'altro  fine.  Tale  precisamente  la  sorte  de'  bruti:  fra 
cui  non  vi  è  punto  legame,  né  azione,  che  sopravviva  ai  sin^oU 
e  si  estenda  a  tutti  ;  né  appropriazione  permanente ,  né  trasmis- 
sione, né  unione,  né  progresso  nella  durata  della  specie.  Onde 
non  si  hanno,  che  individui,  che  vengono  e  passano,  prendendo 
in  passare  la  lor  porzione  de'  frutti  della  terra  e  de'  piaceri  della 
vita ,  secondo  il  loro  bisogno  e  la  loro  forza ,  che  sono  i  loro  di- 
ritti ))  (Democrazia  in  Francia  ^  IV). 


LXXXm.  Oontraltkiione  della  soeietà  ciTile« 

La  borghesia,  è  vero,  non  si  cura  di  sapere,  che  cosa  possa 
l'indomani  accadere:  ma  questo  pensare  politico  diventò  tosto  il 
simbolo  supremo  della  sua  fede;  poiché  suffraga  e  cresima  oggi 
la  sua  tirannide  nel  modo  più  gradevole  e  proficuo,  che  immagi- 
nar si  possa.  Che  di  meglio,  quando  una  qualsmsi  combriccola 
vuole  usurpare  le  ragioni  del  popolo,  porre  in  detestazione  il  culto 
della  patria  e  la  carità  del  prossimo,  esaltando  l' egoismo  al  grado 
di  un  principio?  E  che  é  tale  teorica  del  singolarismo  e  parti- 
colarismo  germanico  contra  il  collettivismo  e  universalismo 
romano,  se  non  appunto  l'egoismo  reso  un  sistema;  prima  ne' 
rapporti  del  cittadino  colla  patria ,  e  poscia  in  quelli  dell'  uomo  col 
prossimo?  Pure  a  servi,  che  non  desiderano  agire  e  patire  pe'  com- 
pagni di  sventura,  e  che  intendono  per  libertà  la  facoltà  di  ub- 
briacarsi  e  d' istupidirsi  liberamente ,  non  |)ar  vero  udire  simili 
accenti.  È  di  fatti  un  grave  errore  il  credere,  che  le  lil>ertà  pri- 
vate crescano  insieme  con  la  pubWica  libertà:  mentre  questa  per 
contrario,  assai  più  della  pubblica  servitù,  vuole  il  freno  di  quelle. 
Di  che  sono  esempio  tutte  le  antiche  repubbliche:  dove  non  sota- 
mente  i  traffici,  le  arti  e  le  mercedi  non  erano  guari  liberi;  ma 
le  legixi  moiioravano  fin  le  spese  e  i  costumi  de'  cittadini.  Anzi  i 
più  grandi  largitori  di  queste  private  libertà,  die  or  tanto  si  va- 


-  117  - 

gheggiano,  furono  e  sono  i  tiranni  più  famosi;  acquali  giova  trop- 
po, che  ognuno  faccia  quel,  che  vuole,  senza  curarsi  del  coraun 
nesso  e  del  reciproco  bene.  E  cosi  può  oggi  ognuno  tesoreggiare 
all'  impazzata ,  anche  se  da*  suoi  lucri  potesse  per  ventura  la  salute 
altrui  soffrirne,  o  la  pace  perturbarsi,  o  lo  stato  precipitare  al 
fallimento  o  in  peggior  jattura.  Io  non  intendo  certamente  appro- 
vare le  leggi  suntuarie  e  censorie  de'  vecchi,  né  il  giogo,  che  tal 
volta  ponevano  alla  personale  autonomia:  sebbene  per  verità  que' 
savi  e  guerrieri  fossero  nelle  cose  oneste  ben  più  liberi  di  quello, 
che  si  sia  ora.  Nondimeno,  come  in  una  famiglia  non  è  più  li- 
bero lo  sposo  di  essere  infedele,  il  padre  di  esser  prodigo,  il 
figlio  di  essere  ingrato,  e  via  via;  cosi  nella  città  non  può  esser 
sciolto  il  cittadino  dal  debito  civile ,  adducendo ,  eh'  egli  ha  da 
pensare  a'  casi  propri.  Se  lo  individualismo  e  il  particolarismo  non 
fossero  da  un  contrario  spirito  rattenuti,  si  tornerebbe  non  sola- 
mente alla  vita  selvatica ,  ma  alla  ferina.  Però  anche  cosi  rattenuti , 
come  lo  sono  tuttavia,  dai  ruderi  di  Roma,  lasciano  da  un  lato  i 
più  forti  0  i  più  astuti  soperchiare ,  e  dall'  altro  i  più  deboli  o  i 
più  semplici  alla  sprovveduta.  Il  che  spiega,  come  questi  ora  nel 
delirio  del  dolore  e  nella  cecità  dell'  ignoranza ,  passando  da  uno 
ad  altro  estremo,  invochino  come  rimedio  V  assoluta  e  despotica 
comunione.  E  intanto,  se  non  accade,  che  un  sol  uomo  si  serva 
e  s'impossessi  di  tutti  gli  altri,  come  di  meri  strumenti,  la  causa 
non  sarebbe  più,  secondo  quel  sistema,  per  difetto  di  ragioni;  ma 
unicamente  per  difetto  di  mezzi. 


LXXXIV.  Concetto  negatÌTO  dello  stato  moderno. 

Contro  tale  argomentazione  non  possono  i  partigiani  del  me- 
desimo addurre,  se  non:  eh'  ei  serbano  tuttavia  allo  staio  la  tutela 
di  tult'  i  singoli  ;  mercè  la  quale  niuno  potrebbe  impunemente  op- 
primere altrui.  Se  non  che  di  tal  guisa,  in  primo  luogo  ei  ridu- 
cono lo  stato  stesso  a  un  ufficio  meramente  tutelare.  E  in  tal 
caso  al  concetto  egoistico  aggiungonvi  un  concetto  negativo;  per 
cui  cagione  esso  non  dee  far  altro,  che  difendere.  Siccome  in 
vece  r  umano  consorzio  ha  altresì  e  principalmente  per  fine  d' in- 
dirizzare gli  uomini,  e  di  far  cospirare  tutte  le  lor  forze,  al 
compimento  di  un  disegno,  cui  non  ponno  isolatamente  compiere; 
cosi  eglino  da  tale  alt«ì  vocazione  brutalmente  preteriscono.  In 


—  118  - 

secondo  luogo,  nemmanco  alla  tutela  giuridica,  in  cui  fanno  egli- 
no unicamente  consistere  TuOlcio  dello  stato,  approdano.  Dap- 
poiché, non  riconoscendo,  che  i  diritti  de' pailicolari,  quelli  del- 
l' universale  ingiustamente  misconoscono.  E  con  ciò  è  facile  capi- 
re, divenendo  i  diritti  stessi  ingiurie,  quando  non  si  coordinino, 
temperino  e  osservino  vicendevolmente,  come  la  sorda  prepoten- 
za degli  uni  sugli  altri,  non  il  mutuo  rispetto  fra  tutti,  s'in- 
stauri. E,  quanto  a'  diritti  de' medesimi  particolari,  die  non  hau^ 
no  modo  di  esplicargli  col  fatto,  si  rimangono  virtù  morte,  quan- 
do, dispensati  i  terzi  da'  doveri  di  trarnegli  in  vita ,  ogni  coriiia- 
lità  dal  civile  convivio  è  bandita.  Al  qual  proposito  cito  ora  un'  au- 
torità ,  che  dovrebbe  avere  alcun  valore  anche  pe'  nostri  amatori 
di  ordini  progressivi  infranciosati;  Giuseppe  Mazzini,  nello  scritto 
I  sistemi  e  la  democrazia.  «  Per  oltre  a  sessanta  anni,  la  dot- 
trina (che  reputa  l'individuo  mezzo  e  line  ad  un  tenipo)  ebbe  io 
Francia  fìlosolì,  moralisti,  apostoU,  soldati,  vittorie;  1789,  1830, 
1848.  La  Ubertù  fu  conquistata;  la  dottrina  dei  diritti  individuali 
s'incarnò  in  ogni  cittadino;  ma  con  profitto  di  quanti?  Perchè  le 
condizioni  dell'  oi)eraio  non  mutarono  ?  Perchè  le  rivoluzioni  non 
giovarono  che  alle  classi  medie,  ai  cittadini  proprietari  di  capitali 
0  di  terre?  Le  classi  medie  pugnarono  pei  diritti;  e  logicamente 
fedeU  al  principio  in  nome  del  quale  insorgevano,  conquistati  una 
volta  i  loro  diritti,  posarono;  che  importava  ad  esse  d'estendeili 
ad  altri  ?  Le  moltitudini  rimasero  escluse  dai  frutti  della  eon(]uista. 
Che  sono  i  diritti  per  quei  che  non  hanno  potenza  d'esercitarti? 
Cos'  è  la  libertà  d' insegnamento  per  chi  non  ha  tempo  da  consa- 
crare allo  studio?  Cosa  la  libertà  del  commercio  per  chi  manca 
di  capitaU  e  di  credito  »?... 


LXXXV.  Concetto  ultroneo  dello  stato  moderno. 

Evidentemente  il  sistema  dell'  individualismo  e  particolarismo 
germanico  (innanzi  al  quale  sin  la  voce  repubblica  jìerde  ogni 
senso);  (luesto  sistt^ma,  anche  corretto  dal  concetto  tutekire,  ma 
giuridico  e  negativo  della  it^pubblica  stessa,  ad  altro  non  valse, 
se  non  a  stahiHre  il  dominio  legittimato  e  inconti'stato  de*  grassi 
poiK)laiii.  I  ({uali  però  in  Francia,  e  quindi  di  seconda  mano  in 
ll;dia,  traendolo  dall'  ide;i,  clu;  se  n  erano  gli  appsloli  della  J?«ct- 
clopedia  e  i  ca|X)rioni  della  Convenzione  formata;  vi  aggiunsero 


-  119  - 

di  proprio  altri  elementi,  che  il  resero  vie  più  basso  e  falso.  A 
lor  modo  cioè  di  vedere ,  la  società  costituita  non  ha  una  base  ne- 
cessaria e  prefissa ,  ma  sorge  dal  comune  arbitrio  e  volere.  Il  che , 
vero  quanto  alla  forma,  non  lo  è  parimenti  quanto  alla  sostanza. 
Avvegnaché ,  quale  Ila  V  ultimo  destino  dell'  umanità ,  non  è  qui 
luogo  di  esporre:  ma  intanto  ella  è  dalla  natura  stessa  chiamata 
agli  stabihmenti  sociali  in  guisa ,  che  senza  questi  né  potrebb'  ella 
a  quell'ultimo  destino  giugnere;  né  nel  presente  campare,  che 
come  un  branco  di  fiere.  E  i  diritti  medesimi  si  manifestano  e 
disviluppano  si  nelle  diverse  condizioni  di  fatto  :  ma  hanno  le  loro 
leggi  anteriori  e  immutabiU,  cui  la  intelligenza  e  la  elezione  no- 
stra afferrano  e  affermano,  senza  per  altro  creamele.  Indubbia- 
mente fu  bene,  dopo  aver  detto  i  monarchi,  esser  legge  il  loro 
beneplacito,  che  i  popoli  rispondessero,  esser  legge  per  opposito 
il  patto  loro.  Ponendosi  per  altro  a  fondamento  della  società,  e 
quindi  della  giustizia,  un  atto  qualunque  di  volontà  o  degU  uni 
0  degU  altri,  la  tirannide  sta  salda.  Né,  per  essere  di  molti  o  di 
tutti,  anzi  che  di  singoli  o  di  pochi,  cessa  di   esser  tale.  E  che 
questa  non  sia  più  di  singoli  é  certo:  ma  è  altrettanto  certo,  che 
ne'dominu  borghesi  (e  particolarmente  in  Italia)  non  la  é  né  di 
tutti,  né  di  molti;  ma  di  assai  pochi,  come  tosto  vedremo.  Oltre 
di  che  facile  é  vedere  anche  in  Italia,  come  gli  usi  vetusti  e  i 
diritti  aciiuisiti  non  abbiano  più /Valore  alcuno  innanzi  alla  onni- 
potenza  del  così  detto  suffragio  universale;  tosto  che  vogliansi 
conculc-iire  da  coloro,  che  se  ne  arrogano  il  monopolio.  E  in 
ciò  borghesi  e  pseudodemocratici  o  demagoghi  vanno  d'accordo: 
sebbene  i  secondi  apertamente  dicano,  che  la  rivoluzione  (per 
usare  una  lor  voce  cara)  da  codesti  impacci  delle  consuetudini 
e  delle  regole  si  deve  liberare;  e  i  primi  agiscano  di  confor- 
mità tacendo.  Per  tutti  loro  quindi  la  presente  Italia  non  sorse 
da  un  precetto  eterno  della  natura ,  che  prescrisse  agi'  italiani 
di  formare  una  nazione,  e  di  esser  liberi,  lo  volessero  o  non 
lo  volessero:  ma  unicamente  da'  plebisciti.  Questi  per  contrario 
potemmo  dare  aUa  medesima  una  data  forma,  e,  fin  che  i  voti 
de  cittadini  non  cangino ,  valida.  Nondimeno  la  patria  e  la  liber- 
tà, che  è  tUre  la  sostanza,  stanno  al  di  sopra  di  quella  forma, 
ed  anche  di  tutt'  i  nostri  possibili  capricci.  Se  non  che ,  venendo 
queste  sante   cose   appunto  dalla    natura ,  e  la    natura   de'  po- 
poli manifestandosi  principalmente  nella  storia;  così  é  accaduto 
che  il  concetto  volontario  o  spontaneo  dello  stalo ,  principal- 


—  120  — 

niente  si  traducesse  in  un  concetto  antistorico,  come  tosto  sono 
per  dire. 

LXXXVI.  Concetto  estemporaneo  dello  stato  moderno. 

È  noto  a  tutti,  come  la  francese  democrazia,  che  prima  die 
opera  allo  sfacimento  della  storia  nelle  più  intime  fibre  e  latebre 
sociali,  cangiasse  per  sino  il  calendario,  le  misure,  le  denomina- 
zioni geografiche  e  (  se  avesse  |K)tuto  )  il  cielo  e  la  terra ,  pur  di 
rifondere ,  com'  ella  dicea ,  la  società  in  nuovo  stampo.  Ne'  quali 
atti  è  in  parte  scusabile:  dappoiché,  suscitata  dal  furore  della  di- 
sperazione, non  le  paresse  vero  cancellare  in  tutt'  i  modi  un  pas- 
sato, che  le  era  giustamente  odioso.  Però,  essendo  tosto  oppressala 
dalla  borghesia,  non  le  rimase  di  ciò,  che  il  danno  e  Tonta; 
avendo  questa  potuto  servirsene,  per  conseguire  commodamente  e 
plausibilmente  il  suo  scopo.  Colà,  e  dovunque  poi  questa  distese 
le  sue  tende  da  zingara,  non  fece  quindi,  che  disfare  il  tessuto 
storico  de'  popoU  soggiogati  ^  togliendo  loro  (U  tal  guisa  la  coscien- 
za, e  fino  la  reminiscenza.  È  suprema  necessità  in  fatti  per  tutt'i 
tiranni,  che  non  vogliano  o  non  debbano  servare  onUni  civili  punto, 
mutare  quanto  più  possono  istituti,  magistrati,  uomini,  nomi.  Se 
non  che  la  moderna  tirannide  non  solamente  avverò  questa  acuta 
osservazione  di  Niccolò  MachiavelU;  si  che  l'Italia,  fatta  a  nuovo, 
non  la  si  riconosce  più.  Di  più  giunse  a  persuadere  a'  suoi  schia>i 
0  a' suoi  buffoni,  che  ciò  è  bene;  si  ch'io  debbo  per  sino  qui 
contro  i  medesimi  difendere  la  storia.  Io  ne  faccio  appunto  un 
grande  uso  in  questo  e  nel  seguente  volume;  poiché  non  reputo 
possibile  discorrere  praticamente  di  cose  civili  fuori  di  tale  arena, 
in  che  le  si  svolgono.  La  quale  é  pel  pubblicista  ciò ,  che  la  cli- 
nica pel  medico  e  il  mondo  fisico  per  lo  sperimentatore.  Ma ,  ben- 
ché ciò  non  salvi  me  dall' e^;sere  riputato  a  questi  lumi  di  luna 
un  visionario  o  un  antìqmirio,  secondo  i  casi;  sì  persuadano  bene 
i  popoli ,  e  il  popolo  italiano  innanzi  a  tutti ,  che  fuori  della  storia 
non  possono  ridursi  ad  altro,  che  ad  animalesche  torme.  L*  uma- 
nità é  sorta  non  quel  giorno,  in  che  i  bì^^edi  animaU  mquieti  spun- 
tarono sulla  terra  |)er  la  prima  volta:  bensì  <iuello,  in  che  raccol- 
sero e  tramandarono  le  prime  invenzioni  v  le  prime  memorie.  Qual- 
che po'  di  storia  hanno  anche  i  selvaggi  :  ma  costoro  da  tale  stato 
non  escono,  perché  le  imperfette  loro  associazioni  non  consentono 


-  121  - 

il  serbare  e  l' accrescere  si  prezioso  deposito.  E  però  tali  sono 
adesso,  quali  pareccliie  raigliaja  d'anni  addietro  erano:  e,  s'ei 
non  avessero  nemmanco  quel  po'  di  storia ,  che  è  dire  di  cogni- 
zioni e  di  tradizioni  delle  generazioni  precorse,  sarieno  anche  in 
peggiore  stato;  cioè  bruti  a  dirittura.  Distruggere  quindi  la  sto- 
ria ,  se  pienamente  lo  si  potesse ,  equivarrebbe  pe'  popoli  a  dover 
ricominciare  da  capo  il  loro  incessante  e  faticoso  viaggio,  e  a  non 
poternelo  proseguire  più  oltre,  che  una  sola  generazione.  Or,  se  noi 
vogliamo  andare  avanti ,  abbiamo  mestieri  della  preparazione  e  della 
sperienza  degli  antenati.  Mentre  che  certo,  prescindendo  da  queste , 
non  i)Ossiamo,  che  retrocedere,  rinnovellando  gli  errori  e  gli  orrori 
de'  prischi  mortaU.  È  ben  vero ,  che  la  storia  non  si  può  affatto 
affatto  distruggere,  perchè  altrimenti  perderiano  gli  uomini  sino 
il  linguaggio ,  eh'  è  dire  lo  strumento  della  loro  intelligenza.  Pur 
tuttavia  il  folle  tentativo  da  un  secolo  in  qua  è  cominciato:  e  in- 
tanto per  causa  del  medesimo  è  già  accaduto,  che  la  società  fran- 
cese sia  da  ansie,  smanie  e  tedii  inesprimibili  affannata,  e  la  nostra 
per  la  medesima  via  corra. 


LXXXVII.  Indole  oosmopolitioa  dello  stato  borghese. 

I  novatori  del  secolo  scorso  del  resto,  annientando  i  lasciti  e 
le  Inflizioni  del  tempo,  acciocché  i  popoli  si  acconciassero  come 
materia  vergine  a  una  novella  impronta;  si  proponevano  almeno 
di  trasformargli  co'  principii  e  colle  teorie.  Come  se  gli  organismi 
sodali  non  fossero  il  parto  di  una  lunga  gestazione  storica ,  eglino 
cosi  gli  procreavano  mentalmente,  o  per  dir  meglio  fantasticamen- 
te. Donde  quelle  loro  costituzioni  politiche  a  priori,  di  cui  le  di- 
verse costituzioni  galliche,  e  anche  l'angloamericana  tuttor  vigente, 
sono  i  tij)i.  Avrebbegli  la  plagiaria  democrazia  itaUana  imitati: 
ma  la  nazione  non  essendo  apparentemente  stata  restituita  a  sé  stes- 
sa, che  da  poco  più  di  tre  lustri,  la  borghesia  in  questo  mezzo 
divenuta  reggitrice  della  medesima ,  naturalmente  non  gli  volle  imi- 
tare. S' ella  avesse  voluto  dare  uno  statuto  pensato  alla  società  ita- 
liana, non  lo  avrebbe  \}er  avventura  dato  diverso  da  quello  di  una 
società  mercantile.  E  probabilmente  di  una  società  anonima,  se- 
condo gli  articoli  I'29,  130  e  131  del  nostro  Codice  di  commercio; 
non  potendo  andare  al  di  là  le  sue  inclinazioni  e  le  sue  nozioni  civili. 
Pure,  nemica  acerrima  de' principii  e  delle  teorie  (come  in  seguito 


-  122  - 

si  farà  manifesto)  potè  ugualmente  disfare  la  storia  nazionale,  so- 
stituendovi la  storia  straniera.  Questo  spiega ,  come  i  nostri  cosi 
detti  uomini  di  stato  non  abbiano  sulle  labbra ,  che  esempi  e  testi 
francesi,  inglesi,  tedeschi;  e  magari  anche  tartareschi,  cinesi  e 
giapponesi,  pur  che  non  sieno  nostrani.  E  sopra  tutto  perchè  aves- 
sero eglino  itì  tanta  detestazione  la  decaduta ,  ma  pur  classica  civiltà 
indigena,  e  con  ogni  mezzo  si  adoperassero  a  straniare  Tltalia. 
Vedi'emo  in  breve,  che  sorta  di  costituzione  le  abbiano  data:  qui 
basti  notare,  che  per  sino  i  codici,  nella  sede  del  diritto,  e  per 
sino  gli  ordini  municipali ,  nella  sede  de'  comuni ,  trassero  da 
fuora.  Volevano  annientare  la  essenza  e  la  integrità  morale  della 
nazione;  e  la  spuntarono  talmente,  che  questa,  tranne  il  nome, 
di  proprio  non  serba  più  niente.  Cosi  la  sostanza  antistorica  dello 
stato  borghese  è  divenuta  cosmopolitica  o  nomade,  o  con  quale 
altro  più  adatto  predicato  piaccia  qualificarla.  E  le  menti  ne  sono 
sì  invescate,  che  io,  per  sostenere  la  italianità  del  mio  paese, 
passo  a  dii'ittura  per  uomo  discortese  ;  come  se ,  pel  rispetto  agli 
altri  popoli ,  dovessi  lasciare  gallicizzare,  anglificare  e  intedescare 
la  patria  mia,  senza  un  grido  di  protesta.  I  popoh  debbonsi  reci- 
procamente rispettare,  ed  anzi  (soggiungo  io)  assistere  :  ma  ognu- 
no |)er  altro  serbando  la  propria  personalità,  eh'  è  quella  appunto, 
che  gli  consente  di  cooperare  ai  lini  delF  universo,  e  insieme  di 
esser  popolo.  Togliete  da  me,  verbigrazia,  queste  mie  idee  e 
queste  mie  passioni,  e  sien  pure  questi  miei  pregiudizi  e  questi 
miei  vizi:  che  resto  io?  Sarei  rifatto  molto  stupendamente,  e 
potrei  essere  di  molto  migliore:  ma,  dicovi  il  vero,  io  preferisco 
di  restare  qual  sono  ;  né  m' importerebbe  im  jota  del  paradiso 
de' panteisti ,  se  dovessi  colà  perdere  la  mia  identità  personale. 
Cosi  è  delle  nazioni,  e  cosi  sopra  tutto  dell'Italia;  la  quale  am- 
modernata, alienata  e  falsificata)  com'è,  fosse  in  un  paradiso, 
che  le  importa,  se  non  la  è  più  dessa?  Codeste  cose  le  dico  a 
voi,  buoni  lettori,  che  l'amavate  bella  o  brutta,  che  la  si  fosse; 
e  che,  amandola,  la  trovavate  ad  ogni  costo  bella,  come  tutti 
gl'innamorati.  Ma  veggo  bene,  che,  quanto  ai  borghesi,  le  son 
proprio  fole  da  raccontar  sotto  il  camino  codeste.  Poiché,  il 
cosmopolitismo  sendo  Y  ideale  del  loro  sistema,  non  sono  per 
loro  i  paesi,  se  non  fiere,  dove  possano  convenire  tuU'i  giro- 
vaghi del  mondo  a  barattare,  o  ghetti,  a  ricettare  le  spoglie 
furtive.  Ed  anzi  in  Egitto  convengono  da  ogni  parte  giudei,  tur- 
chi ,  greci ,  armeni  e  franchi  ;  al  cui  cospetto  farebbero  fin  ridere 


-  123  - 

i  tralignati  arabi  o  i  miseri  copti,  se  sognassero  di  avere  una 
patria  egizia. 

LXXXVIII.  Indole  meroantile  dello  stato  borghese. 

Benché  i  nostri  cosmopoliti  non  abbiano  potuto  ancor  dare 
alla  società  italiana  quel  tale  statuto,  di  cui  poc'anzi  parlava, 
cosi  si  comportarono  come  se  glie  lo  avessero  dato.  Guardate ,  se 
vi  piace,  le  disposizioni  del  predetto  codice;  e  vedrete,  se  io 
abbia  ragione.  La  società  anonima  risulta  da  una  «  riunione  di 
capitali  »,  i  vantaggi  e  i  danni  si  ripartiscono  secondo  le  «  azioni  », 
i  soci  non  soggiacciono  ad  altre  «  perdite  »,  che  a  quelle  della 
propria  quota;  né  gli  amministratori  stessi  «  contraggono  a  causa 
deir  amministrazione  loro  veruna  obbHgazione  personale  »:  ecco 
tutto.  La  patria  non  ci  entra,  che  come  oggetto  della  ditta  so- 
ciale: la  quale  prende,  per  esempio,  il  nome  di  regno  d'Italia, 
come  potrebbe  prender  quello  di  compagnia  delle  assicurazioni 
0  delle  miniere  del  tal  paese.  E  la  direzione  di  essa  si  guida 
co'  medesimi  criteri  delle  altre  simili  ;  e  massime  a  modo  anoni- 
mo, empirico  ed  effìmero,  come  appresso  vedremo.  Imperocché, 
tra  le  altre  condizioni  delle  predette  imprese,  é  di  campar  sempre 
alla  giornata,  facendo  fruttare  le  azioni  quanto  é  possibile,  ed 
anche  quanto  è  impossibile.  Tanto  più,  che  non  si  arrischia  oltre 
le  medesime  niente,  e  che  a  tempo  opportuno  uno  «  sciogli- 
mento »  e  una  «  liquidazione  »  si  ponno  sempre,  anche  seguendo 
il  predetto  codice ,  a  buoni  patti  e  regolarmente  fare.  Ned  é  me- 
raviglia, che  i  borghesi  cosi  pensino  ed  operino,  pur  rimanendo 
onesti:  giacché  qualunque  ceto,  che  occupi  la  repubblica,  secon- 
do il  suo  diverso  genio  naturalmente  estrinseca  i  propri  istinti. 
E,  come  le  antiche  caste  de'  guerrieri  costituivano  la  società 
civile  in  forma  mihtare,  e  teocratica  quelle  de'  sacerdoti  (  di  che 
le  loro  leggi  fanno  anche  oggi  testimonianza):  questa  odierna 
de'  bottegai  lo  costituì  in  forma  mercantile.  Con  che  io  sono 
entrato  a  dire ,  eh'  eglino ,  oltre  avere  accolto  que'  tah  concetti 
di  stato,  che  dianzi  vedemmo,  ve  ne  aggiunsero  uno  speciale, 
eh'  è  il  vero  intento  loro  :  il  concetto  meramente  economico.  Già 
la  teorica  de'  diritti,  assunta  a  fondamento  del  medesimo,  condu- 
ceva a  dirittura  a  non  vedervi  altro,  che  un'  utilità  da  raggiun- 
gere: individuale  pe' tedeschi ,  alquanto  collettiva  pe' francesi.  Ma 


—  124  - 

il  concetto  utilitario  dello  stato,  eh'  era  nella  democrazia  francese 
enfatico,  vago  e  vaporoso,  fu  bene  dalla  borghesia  ridotto  in  for- 
mule precise  o  almeno  in  conti  chiari.  Per  essa  dunque  la  società 
civile,  mei^fre  si  rimane  in  quell'angusto  campo  individuale  e 
tutelare ,  che  vedemmo ,  non  ha  da  curarsi ,  se  non  degV  inte- 
ressi materiali.  Perchè  i  diritti  sono  di  varie  specie ,  e  Y  utilità 
stessa  in  vari  modi  si  ricerca:  ma  per  un  mercadante,  come 
tale,  rutilila  naturalmente  risolvesi  in  un  guadagno.  Né  conce- 
pisce egU  altri  diritti,  se  non  quelli,  che  emergono  dall'acqui- 
sizione e  traslazione  della  proprietà,  e  da' rapporti  di  debito  e 
di  credito.  I  diritti  quindi  delle  persone,  ed  anche  i  diritti  na- 
turali, innati  e  inalienabili  gh  sembrano  frottole  in  paragone  di 
quelH,  che  procedono  da' contratti  di  compravendita  e  di  mutuo. 
E  la  stessa  onestà  per  lui  si  riassume  nella  puntualità  de'  paga- 
menti, il  libro  mastro  è  lo  scandaglio  della  sua  coscienza,  il 
giornale  la  cronaca  della  sua  famigha,  il  bilancio  il  compendio 
della  sua  vita:  mentre  i  hslini  di  borsa  sono  i  suoi  vangeli,  e 
gli  economisti,  quando  abbia  tempo  da  perdere  dietro  a  loro,  i 
suoi  profeti.  Le  quali  cose  io  dico,  senza  punto  menomargli  il 
rispetto,  che  gli  è^lebito:  perdi' egli  è  costretto  a  contemplare 
cosi  il  mondo,  per  la  medesima  ragione,  che  l'operajo  lo  ritiene 
una  grande  officina;  ne  vi  vede,  che  telaj  e  ruote,  nò  altre  que- 
stioni, che  di  orari  e  di  salari. 


LXXXIX.  Indole  eoonomioa  dello  stato  borghese. 

Qui  appresso  per  qualche  centinajo  di  pagine  verrà  appunto 
dimostrato  e  provato,  che  la  borghesia  italiana  (giacché  della 
straniera  lascio  il  dire  )  non  si  raffigurò  il  consorzio  poUtico 
altrimenti,  che  come  un'azienda  economica:  e,  ciò  eh' è  peg- 
gio, lo  ha  di  fatto  reso  tale.  Ora,  non  si  trattando,  che  di  giu- 
dicare il  suo  malefico  influsso  suH'  idea  stessa  elementare  ed 
astratta  di  quello;  basti  notare,  che  per  tale  concetto  monco  e 
triviale,  ne  lo  ha  senz'altro  pervertito  e  decapitato.  Gli  uomini 
vivono  a  modo  regolato  e  pacifico  in  grazia  di  quattro  supremi 
stabilimenti,  che  sono  la  proprietà,  la  famiglia,  lo  stato  e  la 
religione,  da  si  fatto  nesso  stretti  fra  loro,  che  se  uno  mancasse, 
verrebber  meno  tutti.  Io  ho  in  un  grosso  volume  (  la  Questione 
sociale)  chiarito  ciò;  e  spero  di  esseme  scusato,  se  mi  dispenso 


~  125  - 

a  chiarirlo  di  nuovo.  Mi  limito  solo  a  ripetere  per  coloro,  che 
reputano  superstizioso  uno  de'  detti  stabilimenti ,  che  potrebbono 
essere  superstiziosi  anche  gli  altri,  cosi  come  stanno:  ma,  dac- 
ché e  finché  dura  Y  umano  errore,  distruggerne  un  solo,  é  distrug- 
gere Fumana  compagnia.  La  borghesia  dunque,  per  favorire  il 
primo  di  essi ,  non  gli  ha  ancora  del  tutto  distrutti  ;  ma  affievoliti 
e  logorati  quanto  più  potè.  E,  se  si  considera  quanti  pochi  go- 
dano i  guiderdoni  o  i  privilegi  del  medesimo,  e  da  quali  forze 
sieno  gli  altri,  che  ne  soffrono,  trattenuti,  e  fin  coloro,  che  si 
muojono  di  fame  o  si  uccidono  per  non  offenderlo;  tosto  si  sco- 
pre, quanf  ella  sia  temeraria.  Nondimeno  la  famiglia  é  scossa, 
come  ognuno  s'accorge;  lo  stato  è  ridotto  a  quella  miseria, 
che  testé  notai,  e  per  cui  il  nome  stesso  di  patria  è  una  profa- 
nazione ;  e  della  religione  non  lice  più  nemmanco  parlare.  Il  con- 
culcamento  o,  se  non  altro,  la  preterizione  di  questi  tre  supremi 
ordini  sociali,  che  nelle  odierne  leggi  e  più  negli  odierni  costu- 
mi é  evidente,  ha  naturalmente  al  più  nobile  e  men  necessario 
rotto  ogni  freno.  Come  in  passato  il  prevalere  e  il  trasmodare  o 
della  famiglia  o  dello  stato  o  della  religione,  secondo  le  diverse 
eia ,  teneva  la  società ,  che  ha  bisogno  di  tutt'  i  quattro  ordini 
mutuamente  sorretti  e  corretti ,  inferma  ;  cosi  ora  la  tiene  il  pre- 
valere e  il  trasmodare  della  proprietà.  La  quale  é  certamente 
sacra  e  inviolabile  al  pari  degli  altri:  ma,  non  raffrenata  da 
questi,  corre  alla  dirotta,  e  perde  la  società  e  sé  medesima. 
Come  sognino  taluni,  che  vi  possa  essere  soggetto  di  buona  re- 
pubblica in  questa  sorta  di 'società,  io  noi  giungo  a  compren- 
dere. Dimenticano  costoro  Y  avviso  di  Niccolò  Machiavelli ,  che 
«  dove  è  equalità  non  si  può  fare  principato,  e  dove  la  non  è, 
non  si  può  far  repubblica  »  (Discorsi  sopra  la  prima  Deca 
di  Tito  Livio y  I,  55).  Oppure  non  s'avveggono,  che  gli  am- 
massi di  tesori  immani  in  poche  tasche  hanno  talmente  infranto 
i  termini  della  parità  civile,  che  in  questa  società  economica 
abbiamo  grandi  feneratori  più  possenti  de' monarchi,  e  altret- 
tanto infesti  de' grandi  patriarchi,  conquistatori  e  gerarchi  nelle 
antiche  societi\  domestiche,  eroiche  e  jeratiche.  Ma,  prescin- 
dendo da  ciò  (che  naturalmente  della  buona  repubblica  a  pochi 
cale),  gli  stessi  diritti  personali  non  hanno  più  valore  alcuno, 
e  la  stessa  compagnia  umana  corre  pericolo.  La  libertà,  illimi- 
tata ed  esclusiva,  lasciata  all'istituto  economico,  o  cioè  alla  pro- 
duzione e  alla  distribuzione  delle  ricchezze,  spezza  ogn' intoppo, 


-  126  - 

che  r  attraversi;  fosse  anche  la  gioventù,  la  gracihtà,  il  pudore, 
il  sangue  o  l'anima  di  qualcheduno.  E,  quanto  alla  società  uma- 
na, tendendo  a  sovvertirla  per  la  causa  anzi  detta,  che  questa 
emerge  dallo  accordo  e  dal  temperamento  reciproco  di  più  liber- 
tà ,  r  ha  già  ridotta  una  società  schiavesca  o  buflbnesca  :  della 
quale  appunto  non  si  avveggono  coloro,  che  la  meritano. 


REGGIMENTO  BORGHESE 


XG.  Sinrranità  usurpata  dalla  borghesia  in  Italia. 

Lo  strano  e  orrido  stato ,  eh'  io  ho  testé  descritto,  si  capisce 
facilmente  di  chi  dovesse  esser  preda.  Senza  bisogno  d'altro  e, 
se  cosi  lice  esprimermi,  per  le  semplici  e  potenziali  sue  qualità, 
cadeva  nel  pieno  e  despotico  dominio  del  ceto  ora  superiore.  Il 
quale,  non  potendo  altrimenti  staggirne  i  frutti,  doveva  esso 
medesimo  dirigerlo,  almen  come  si  dirige  un'impresa  lucrosa. 
E  a  tale  uopo  primieramente  «  occupare  la  repubblica  »,  come 
diceano  gli  antichi:  ossia  usurpare  la  sovranità  al  popolo,  e 
tener  questo,  quale  un  proprio  possesso.  La  specie  di  reggimento 
conseguentemente  instaurato,  potrebbesi  in  brevi  parole  riassu- 
mere: una  plutocrazia  sostanziale,  larvata  da  una  logomachia 
formale;  o,  se  volete,  il  regno  delle  monete  in  effetto,  e  la  zuffa 
delle  ciancie  in  apparenza.  Ma,  poiché  cosi  in  breve  non  sarei  com- 
preso; e,  quando  si  asseverano  cose  tanto  gravi  e  inverosimih, 
si  ha  il  debito  di  renderlene  palesi  ed  evidenti;  ecco,  che  mi  ac- 
cingo a  questo.  Avendo  dunque  nelle  età  trascorse  i  combattenti 
fondato  sul  brando  i  loro  diritti ,  e  i  sacerdoti  sul  lituo  (  ovve- 
ramente  sugli  oracoli,  sugli  augurii  e  su  cotali  altre  aeree  bagat- 
telle, che  allora  si  pregiavano,  quanto  le  bagattelle  auree  ora); 
non  é  meraviglia,  che  nella  età  presente  i  cambiatori  fondassero 
i  loro  sulla  cambiale.  Vi  sono  per  verità  antichi  esempi  di  stati 
soggetti  a  mercatanti,  quali  le  repubbliche  fenicie  e  cartaginese, 
le  città  anseatiche,  e  per  alcun  tempo  gli  stessi  nostri  comuni. 
Tuttavia,  come  di  sopra  ho  raccontato,  non  punto  identici  al- 
l' odierna  signoria  delle  plebi  arricchite.  Le  quali  non  attingono,  che 
da'  lor  banchi  l' autorità  di  governare  gli  stati ,  e  come  banchi  a 
dirittura  gh  governano.  E  ad  ogni  modo  per  criterio  di  capacità 
civica ,  e  come  causa  di  speciaU  prerogative ,  pongono  proprio 


-  128  - 

quell'  oro ,  mercè  cui  riuscirono  a  farsi  valere.  Or ,  siccome  le 
condiziooi  de'  popoli  non  risultano  dalle  sole  determinazioni  di 
diritto,  e  queste  non  dal  solo  diritto  scritto;  per  isvolgere  ap- 
pieno codesto  tema  io  dovrei  di  tante  condizioni  di  fatto  e  con- 
suetudini parlare,  e  cosi  diffìcili  a  cogliersi  o  a  defìnirsi,  che 
ora  sprecherei  forse  inutilmente  il  tempo  in  tale  tentativo.  Ri- 
serbandomi di  farle  apparire  in  seguito  una  ad  una:  per  ven- 
tura, a  constatare  la  signoria  del  predetto  ceto  su  noi,  basti 
per  ora  considerare  le  sole  determinazioni  di  diritto  scritto.  Ed 
anzi  solamente  il  diritto  de' suffragi;  come  quello,  che,  sendo 
il  più  spiccato  ed  dementar  modo,  in  che  si  manifesta  la  signo- 
ria politica,  addita  nel  modo  più  lampante  e  incontrastabile,  a 
cui  spetti  quella  dello  stato  italiano.  Conciossìachò ,  se  questo  non 
si  fosse  tolto  al  popolo,  naturalmente  tutt'  i  cittadini  maggiori  di 
età  e  non  interdetti,  o  almeno  quelli  del  sesso  violento,  dovreb- 
bero alla  sovranità  relativa  partecipare;  e  quindi  anco  a' suffragi, 
siccome  in  America  e  nella  stessa  Francia  e  Germania  accade. 
E  quivi  appunto  si  ossepi,  come  le  determinazioni  giuridiche  non 
bastino  a  (linotare  le  condizioni  reali  di  un  popolo  :  che  la  Fran- 
cia e  la  Germania  sono  assai  lungo  anch'  esse  dall'  appartenere 
realmente  a  sé  medesime.  Ma  in  Italia  la  cosa  è  più  chiara  e 
recisa:  giacché  quivi  nemmeno  per  Icjrixe  il  popolo  gode  la  sovra- 
nità, come  tosto  sono  per  dire;  e  questa  venne  legalmente  da  un 
ristretto  numero  di  privilegiati  sequestrata. 


Xa.  PriTUegio  de*  pabblioi  snfBragL 

Per  la  ragione  poc'  anzi  detta ,  che  gli  abbienti  affermano  la 
lor  conquista  sui  prodi  e  sugli  scaltri  cogli  stessi  loro  averi,  la 
facoltà  de'  voti  pohtici  ne'  reggimenti  borghesi  si  desume  dal  censo. 
Tennero  cotale  sistema  le  l>orghesie  ben  diverge  e  assai  meno 
inflessibiU  di  Atene  e  di  Roma,  in  grazia  alle  riforme  di  Solone 
e  di  Ser>'io;  e  questo  naturalmente  anche  le  moderne.  Ma  senza 
punti  riguanli  l'italiana,  che,  sempre  arrogandosi  il  nome  di 
popolo,  quando  la  vuol  comandare  e  riscuoten\  ha  senz'altro  am- 
monito e  diminuito  di  capo  i  cittadini  tutti.  I  quali,  se  partecipano 
a'  voti,  non  è  già  come  tali ,  o  per  avere  il  medesimo  sangue  o  per 
esser  nati  sul  me<lesimo  suolo;  ma  unicamente  per  c^^rti  requisiti 
estrinseci,  e  particolarmente  di  fortuna.  Si  noti,  che  anche  i  giudizi 


~  129  - 

(altro  modo,  in  che  la  sovranità  del  popolo  presso  gli  antichi 
manifestavasi )y  spettano  pure  in  gran  parte,  come  innanzi  espor- 
rò, ad  essa.  Si  noti  poi ,  eh'  essa  ha  anche  buona  parte  in  uno 
de'  due  maggiori  corpi  politici  dello  slato,  per  Y  articolo  33  dello 
Statuto  del  regno  de' 4  marzo  1848.  H  quale,  tra  le  categorie 
de'vocati  alla  senatura,  pone  ultimi  al  numero  21;  ma  primi  in 
realtà  coloro,  che  pagano  un  tributo  diretto  di  tremila  lire.  Pre- 
scindendo da  ciò ,  e  quantunque  tale  statuto  (  base  co'  plebisciti 
del  diritto  pubblico  italiano  vigente  )  neir  articolo  24  dichiari,  che 
i  €<  regnicoli . . .  tutti  godono  egualmente  i  diritti  civili  e  politici  », 
né  faccia  menzione  di  censo  pei  diritti  di  elettorato  e  di  eleggi- 
bilità; essa  ha  ben  trovato  modo  di  porvelo.  La  Legge  elettorale 
de'  17  decerabre  1860  pone  appunto  all'  articolo  7  come  regola, 
benché  per  verità  con  parecchie  eccezioni,  tra'  requisiti  per  avere 
il  voto,  il  tributo  diretto  di  lire  quaranta.  E  cosi  è  avvenuto,  che 
in  uno  stato  d'  oltre  ventisette  milioni  d'  abitanti,  gli  elettori 
iscritti  nel  5  novembre  1876  fossero  605,044  e  i  votanti  356,437 
solamente.  La  quale  differenza  tra  iscritti  e  votanti  attesta  in 
qual  pregio  i  favoriti  stessi  tengano  le  loro  franchigie;  e  qual 
conto  un  buon  terzo  de' medesimi  faccia  o  della  patria  o  della 
forma  politica,  che  la  regge.  Ciò  non  ostante  si  vede  bene, 
dato  pur  che  1'  azione  dello  stato  si  manifesti  per  tutti  codesti 
favoriti,  come  la  sovranità  indubbiamente  venne  al  popolo  tolta. 
Ritiensi,  è  vero,  che,  se  tutti  coloro,  che  possiedono  i  requisiti 
della  testé  citata  legge,  fossero  regolarmente  nel  lustro,  ossia 
(  per  farmi  meglio  da  questi  barbari  comprendere  )  nelle  liste 
elettorali  descritti,  salirebbero  a  circa  un  milione.  Però  anche 
in  tal  caso  la  medesima  cosa  si  vedrebbe:  sendo  questo  numero 
di  troppo  inferiore  a  quello  de'  sette  milioni  e  mezzo  di  maschi 
maggiorenni ,  cui  l' Italia  conta  ;  ed  anche  a  quello  de'  quasi  tre 
milioni ,  che  sanno  fra  loro  leggere  e  scrivere.  Si  può  quasi  dire, 
che  non  ebbe  mai,  come  ora  l'Italia  detta  democratica,  un  nu- 
mero cotanto  ristretto  d'  uomini  aventi  stato ,  e  sopra  tutto  la 
prerogativa  de'  suffragi.  Nel  censo  di  Claudio  in  fatti  si  nove- 
rarono 1,797,009  uomini  da  poter  armi,  e  7,044,000  cittadini; 
poiché  allora  avevamo  a'  galli  data  la  civiltà,  e  questa  erasi  già 
molto  oltre  monte  e  oltre  mare  distesa:  ma  anche  nel  censo 
anteriore  d'Augusto  si  noverarono  4,170,000  cittadini  romani. 
Sottraendpvisi  quindi  gì'  incoli  delle  colonie  esteriori ,  le  quali 
pure  protendevansi  della  terra  sacra  appendici  e  della  città  eterna 

9 


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immagini  ;  vi  erano  allora  per  lo  manco  tre  milioni  d' italiani  j 
e  nella  soia  Italia ,  partecipi  de'  suffragi.  Vedete  adunque ,  che  bel 
progresso  abbiamo  fatto  noi  dopo  que'  romani  prepotenti,  ingiusti, 
falsi ,  ladri  eccetera ,  come  si  sogliono  ora  chiamare  !  De'  tempi 
de'  liberi  comuni  non  parlo  :  ma  è  a  dubitar  forte ,  se  anche  sul 
0nire  del  secolo  scorso,  in  cui  quel  po'  di  prerogative  civiche, 
che  restava ,  si  restrinse  e  salvò  in  poche  mani ,  il  numero  de*  pri- 
vilegiati fosse  al  presente  inferiore.  E,  se  nella  stessa  città  di  Ve- 
nezia aveavi  circa  un  migliajo  di  patrizi ,  ammessi  non  solamente 
air  elezione ,  ma  in  maggior  consiglio,  e  cioè  senz'  altro  alla  con- 
sovranità; e  quel  reggimento  chiamavasi  aristocrazia,  ed  anzi 
oligarchia,  oh  come  dunque  chiameremo  noi  questo? 


ICU.  Statiftioa  elettorale  italiana. 

Per  conoscere  quanti  cittadini  attivi  possa  ora  T  Italia  dare ,  è 
mestieri  prima  di  tutto  por  mente  alla  popolazione  di  essa.  E  per 
ventura  questa  ricerca  è  molto  facile  ;  poiché  i  fattori  della  borghe- 
sia nostra  lasciano  si ,  come  vedremo ,  le  buone  lettere  senz'  ajuto 
e  le  buone  azioni  senza  premio.  Ma  in  modo  riconoscono  Y  alta 
importanza  delle  tabelle  e  delle  cifre,  che,  fuor  di  metafora,  si 
può  erigere  un  colosso  di  Rodi  co'  relativi  volumi  in  foglio,  eh'  e- 
gli  hanno  per  tre  lustri  ammuccliìato ,  acquistandosi  una  celebrità 
mondiale.  Dalle  predette  cifre  e  tabelle  non  può  sapersi,  è  vero, 
se  e  quali  palpiti  fervano  in  petto  a'  cittadini  ;  e  potrebbe  scop- 
piare il  terremoto,  senza  che  il  sismografo  dell'osservatorio  stati- 
stico della  capitale  ne  avesse  dato  avviso.  Pur  è  una  meravigha 
sapere  precisamente  nella  mezza  notte,  che  divide  il  morente  dal 
nascente  anno,  quanti  cavalli  vi  sono  in  ItaUa,  quanti  muU,  quanti 
asini ,  quante  pecore ,  e  per  lino  saperne  il  sesso  e  l' età.  Ór ,  pe- 
netrando entro  a  quell' immane  acervo  di  carta,  cui  si  noma  ^/o- 
tistica  del  regno  d' Italia ,  si  giugne,  sudando,  a  concluder 
questo,  cui  forse  unicamente  bastava  stampare.  Che  cioè  nello 
stato  vi  erano  l'anno  1874  abitanti  26,801,  154,  di  cui  masclii 
13,472,213  e  femmine  13,328,892.  Che  i  maschi  cDnjugaU 
erano  4,755,756,  i  vedovi  551,491,  i  celibi  8, 164,  966,  gl'i- 
struiti 4,440,377  e  gniletteraU  9, 031, 8,%.  E  che  le  femmine 
coniugate  erane  4,781,938,  le  vedove  1,221,383,  le  nubili 
7,325,571,  le  islniite  2,806,936  e  le  iUetterate  10,521,956. 


-  131  - 

Siccome  della  gentile  metà  del  genere  umano  non  sì  pub  ora  par- 
lare, resta  solo  ad  aggiungere,  che  i  maschi  minori  di  21  anno 
erano  6,091,193,  e  quelli  minori  di  25  erano  6,995,741.  On- 
de ,  se  tutti  gr  italiani  maschi  e  maggiorenni  avessero  voto ,  do- 
vrebbervi  essere  7,381,020  elettori;  e  se  queUi  solamente,  che 
compierono  il  quinto  lustro,  6,476,472.  Gli  elettori  in  vece,  che 
vi  sono  adesso  co'  suffragi  ristretti ,  non  formano  di  queste  due 
ultime  somme,  che  una  tredicesima  o  un'undecima  parte:  e  la 
enorme  eliminazione  di  tutte  le  altre  procedette  principalmente  dal 
mancato  censo.  Preterendo  dal  quale  affatto ,  è  giusto ,  che  si  deb- 
bano, oltre  i  non  adulti,  escludere  tutti  coloro,  che  per  difetto 
di  mente ,  per  pena  o  per  altra  simile  cagione  si  constatarono  giu- 
dizialmente inetti  0  indegni  di  esercitare  i  politici  non  meno ,  che 
i  privati  diritti.  Se  non  che ,  non  importando  ciò ,  che  una  lievissima 
esclusione ,  quale  criterio  doveasi  seguire  per  estendere  il  voto  a' 
rimanenti  ?  Per  me  non  ve  n'  era,  che  un  solo  :  la  capacità  mo- 
rale, che  si  dee  presumere  in  chiunque  non  sia  fanciullo,  pazzo, 
infame  o  altrimenti  inabile  o  interdetto,  e  per  la  semplice  qualità 
di  persona.  Adesso  nondimeno  propugnasi  per  unico  requisito  eletto- 
rale il  saper  leggere  e  scrivere,  mercè  cui  si  avrebbe  quasi  se- 
stuplicato il  presente  ordine  di  elettori.  Pur,  se  si  parte  dal  prin- 
cipio, che  vi  occorra  un'idoneità  speciale  riconosciuta;  basta  per 
affermarla  o  negarla  un  si  lieve  grado  d' istruzione  ?  S' intende 
facilmente,  che  il  minorenne  dalle  leggi  civili  tenuto  incapace,  e 
dalle  penali  punto  o  meno  imputabile;  non  abbia  di  regola  cosi 
maturo  senno  o  cosi  matura  sperienza  da  comprendere  il  pubblico 
bene ,  come  da  attendere  a'  negozi  della  vita.  Non  è  però  altrettanto 
facile  capire ,  che  ognuno  di  questi  tre  milioni  di  leggitori  e  scri- 
vilori  valga  più  di  Carlo  magno ,  che  non  sapeva  né  leggere ,  né 
scrivere.  Tanto  più,  che  codesta  istruzione  dà  gli  strumenti  per 
isvolgere  la  propria  intelligenza  e  la  propria  virtù  ;  ma  non  ag- 
giugne  una  cognizione  alla  mente,  un  sentimento  al  cuore.  Onde  in 
luogo  di  questi  tre  milioni  d'uomini  così  per  modo  di  dire  culti,  io 
preferirei  avesse  l' Italia  solamente  trecentomila  rozzi  agricoltori ,  che 
avessero  il  polso  e  l'animo  degl'illetterati  compagni  di  Cincinnato 
e  di  Dentato.  Av>^egnaché  quel,  che  preme,  è  di  conoscere,  tra 
tanta  calca  di  schiavi ,  qual  sia  degno  di  esser  uomo  libero  :  e 
a  tal  fine  vuoisi  andare  in  traccia  non  de'  possessi  e  delle  robe, 
né  degli  alfabeti  e  de'  cartolari;  ma  d'intelletto  e  d'amore. 


-  132  - 


XCin.  Segndiiiaid  diioa  lillitto  il  p^poto  itiUaM. 

Voi  dunque ,  signori ,  siete  disposti ,  come  dite ,  «  a  diminuire 
il  censo  elettorate  »,  e  ad  ammettere  per  sino,  senza  censo,  i  leg- 
gicchianti  e  gli  scrivacchianti.  E  a  coloro,  che  per  la  patria  sof- 
fersero, e  nella  patria  credettero,  quando  certuni  tra  voi  forse 
non  credevano ,  non  avete  nemmanco  pensato.  Lasciate  cosi  privi 
del  diritto  di  servir  la  patria  nel  foro  molti  di  quelli  per  sino,  che 
portarono  testé  in  carcere  le  catene  per  essa ,  e  ne  portano  ancora 
le  cicatrici.  Ogni  anno  togliete  65,000  giovani  alle  famiglie  del 
popolo:  avete  204,255  soldati  di  primo  bando  e  sotto  le  armi, 
ed  oltre  un  mezzo  milione  di  veterani,  che  sono  stati  militi  vo- 
stri buoni  e  fedeli,  mansueti  e  valorosi,  cui  voi  stessi  educaste 
e  disciplinaste,  e  che  senza  speranza  di  premio  e  di  gloria  erano 
pronti  a  morire,  nelle  selve  contro  i  masnadieri,  nelle  inondazio- 
ni, negr incendi  e  ne'  contagi,  ovimque  gli  mandavate;  perchè  non 
poteano  morir  per  la  patria  mai.  E  voi  nemmanco  a  questi  avete 
creduto ,  nemmanco  a  questi  :  e  non  dico  di  più ,  perchè  mi  si 
^zzerebbe  il  petto....  Reputavano  per  contrario  gU  antichi,  la 
sovranità  del  popolo  conculcata,  ognora  eh' esso  stesso  direttamente 
non  ratificasse  le  leggi ,  creasse  i  magistrati ,  e  altresì  deliberasse 
della  pace  e  della  guerra  e  ricevesse  le  appellagioni  ;  come  ajH 
punto  faceva  il  popolo  romano ,  ne'  cui  comizi  aveano  i  sufTragi 
tale  estensione.  E  per  lo  meno ,  rìducendo  anche  la  sovranità  sua 
a'  minimi  termini,  niun  popolo  appartiene  più  a  sé  medesimo, 
quando  non  solamente  non  si  regge  più  da  sé;  ma  né  può  costi- 
tuire coloro,  che  avranno  a  reggerlo.  Onde,  siccome  primo  requisito 
deUa  cittadinanza  é  il  possedere  le  prerogative  politiche  o  almeno 
le  elezioni;  é  palese,  che  gl'italiani  privi  delle  medesime,  cioè 
quasi  tutti ,  non  si  ponno  dir  cittadini ,  se  non  per  ischemo.  Il 
reggimento  attuale  loro  è  quindi  aristocratico  ed  anzi  oligar- 
chico :  con  questa  sola  differenza ,  che  altre  volte  lo  era  per  causa 
de'  privilegi  della  consacrazione  o  del  sangue  ;  ora  per  causa  di 
quelli  dell'oro.  E  per  verità,  non  essendo  questo  miglior  titolo 
di  quelli,  la  oppressione  degli  uni  sugli  altri  cangiò  nome,  ma 
non  natura  ;  come  che  si  possa  con  un  specioso  sofisma  adone- 
stare. Il  quale  è  :  eh'  esso  popolo ,  quantunque  virtualmente  chia- 
mato alla  sovranità,  non  essendo  in  grado  di  esercitarla  efietii- 


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vomente,  debbasi  come  pupillo  considerare;  e  i  più  saggi  e  i 
più  probi  assumerne,  per  suo  stesso  bene,  la  tutela.  Vedremo 
appresso  come  lo  abbiano  codesti  suoi  tutori  trattato  :  ma  cer- 
to, s'ei  non  si  ritiene  abile  a  costituire  i  suoi  reggitori,  a  mag- 
gior ragione  non  lo  si  poteva  ritenere  abile  a  costituire  lo  stato , 
0  il  denominato  regno  d'Italia.  Votarono  i  plebisciti 3 j 038,  i6S 
italiani  contro  soli  29,828:  e,  se  vi  avesse  partecipato  la  Lom- 
bardia, sariano  i  votanti  stati  oltre  quattro  milioni.  Questi  per  lo 
meno  avrìano  dunque  dovuto  essere  elettori  ed  eleggibili  ;  e  que- 
sti un  giorno  potriano,  di  essere  stati  resi  stranieri  nella  stessa 
lor  patria  e  fin  nel  regno  da  loro  costituito,  e  di  essere  stati 
ingannati  e  traditi  e  quindi  dal  patto  disobbligati,  protestare. 
Frattanto  il  solo  dubbio  gittato  sulla  loro  capacità  politica  ora, 
si  riversa  su  quella  d' allora  ;  e  invaliderebbe  senz'  altro  i  ple- 
bisciti. Per  ventura  questo  dubbio ,  che  il  ceto  signoreggiante  ac- 
campa, senza  pur  badare  alle  conseguenze  della  sua  enorme  te- 
merità, non  ha  base  alcuna  di  ragione.  Imperocché  le  uniche 
qualità,  per  cui  potria  scusarsi  di  tenere  in  minoratico  la  nazione 
non  potriano  esser  altre;  tranne  quelle  virtù  e  cognizioni,  cui 
esso  crede  di  possedere,  e  di  cui  questa  a  suo  credere  difette- 
rebbe. Ebbene ,  su  quali  fondamenti  ha  dunque  esso  tanta  stima  di 
sé  e  tanta  disistima  dell'  universale  ? 


XCIV.  Pretesti  per  la  civica  degradaiione. 

Certamente  chi  vive  negli  agi  od  almeno  fuori  degli  stenti 
può  megUo  erudirsi,  e  con  meno  fatica  e  merito  essere  onesto. 
Si  può  quindi  (vegga  la  borghesia,  quant'io  le  concedo)  per 
queste  sole  cagioni  accogliere  in  astratto  una  certa  presunzione 
odiosa  a  favore  de'  ceti  agiati  e  a  disfavore  de'  disagiati.  Non 
pertanto,  mentre  in  concreto  potrebbe  taluno  dubitare,  ch'ella  fosse 
tutta  un'  arca  di  scienza  e  di  virtù  ;  via ,  una  presunzione  assoluta 
d' ignoranza  e  d' improbità  della  nazione  non  la  può  decretare.  Io 
conosco  molti  famosi  dotti  e  letterati,  che  sono  di  due  piccìole 
doti  privi,  che  il  popolo  ha,  e  in  confronto  delle  quali  tutta  la 
lor  dottrina  e  letteratura  mi  sembrano  un  «  fiato  di  vento  »:  il 
cuore  e  il  buon  senso.  Con  queste  si  fecero  i  plebisciti;  e  con 
queste  operarono  gì'  italiani  gloriosissime  cose  ne'  tempi  andati ,  e 
ne'  fiiturì  opereranno.  Elia  si  vanta  in  vece  di  quelle  spedali  atti- 


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tudini,  onde  Aristotile  vagheggiò  il  governo  in  mano  degli  uo- 
mini mezzani.  Ora,  autorità  per  autorità:  Platone  nella  sua  Be- 
ptMlica,  fra'  due  ceti  liberi,  concesse  lo  stato  unicamente  ai  savi 
e  ai  guerrieri  ;  e  ne  lo  tolse  ai  possessori ,  agli  agricoltori ,  agli 
arteflci  e  ai  mercatanti ,  cui  egli  chiamava  mercenari.  Era  vera- 
mente un  ghiribizzo ,  come  si  suol  dire ,  platonico  :  pur  tanto  e  tanto 
le  attitudini  air  economia  valevoli ,  potrebbon  non  esserlo  alle  ci- 
vili discipline.  E  ad  ogni  modo,  se  si  vuol  contraddire  quel  fi- 
losofo, bisogna  concludere:  che  per  ciò  solo,  che  si  appartiene 
a  un  ceto,  non  si  ha  diritto  a  pretendere  quella  intelligenza,  cui 
in  ogni  ceto  e  per  più  intrinseche  ragioni  si  può  trovare.  Quanto 
alla  morigeratezza,  o  ella  intende  pai*lare  de' buoni  costumi  in 
generale  ;  ed  io  lascio  a  lei  medesima  giudicare ,  chi  più  buoni 
gli  abbia,  s'ella  o  i  popolani.  £  che  mai  sarebbe,  per  esempio, 
della  intiera  nazione ,  se  i  contadi ,  destinati  a  risanguare  le  città 
esaurentisi ,  si  avessero  i  medesimi  vizi  di  queste.  0  ella  intende 
solamente,  com'  è  più  consono  alla  sua  natura,  parlare  de'  buoni 
costumi ,  che  si  traducono  nel  rispetto  a'  contanti  ;  vegga ,  ci  pps- 
son  essere  varie  opinioni.  Io  non  mi  nascondo,  che  i  poveri  non 
sieno  dalla  nemica  fortuna  più  istigati  ;  ma  non  mi  nascondo  al- 
tresì ,  che  coloro ,  poveri  o  ricchi ,  che  hanno  peculiarmente  edu- 
cato e  abitualmente  applicato  il  bernoccolo  della  cupidigia,  non 
sieno  più  inclinati  a  peccare.  Ella  teme ,  affidando  Y  erario  a'  po- 
veri (pognamo  pure,  che  lo  si  dovesse  puramente  affidare  a  co- 
storo) ,  0  il  diritto  di  stabilire  le  pubbliche  entrate  e  spese  ;  che 
senz'altro  s'intascherebbero  quello,  e  queste  stabilirebbero  in 
guisa  da  dispogUare  i  ricchi.  Io  in  vece ,  se  avessi  un  grande  te- 
soro e  dovessi  per  un  lungo  viaggio  partire ,  tra  due  persone  pa- 
rimenti oneste,  preferirei  lasciarlo  in  custodia  alla  {mù  povera^ 
perchè  la  onestà  di  questa  fu  più  cimentata  e  provala.  E  scomel- 
to,  che  la  mi  restituirebbe  il  deposito,  anche  s' io  n'avessi  perduto 
il  documento,  e  sopra  tutto  senza  bisogno  di  liti  e  di  avvocati. 
Dico  cosi,  poiché  ho  per  ragioni  di  professione  dovuto  spingere 
qualche  passo  ne'  tortuosi  sentieri  di  questo  labirinto  deir  anima 
umana.  Ad  ogni  modo ,  fede  per  fede  :  ella  dubita  de'  poveri,  e  i 
poveri  potrebbon  d' alcun  altro  dubitare  ;  tanto  più  che  la  stima 
è  là  a  dar  loro  ragione.  Avvegnaché  le  pubbliche  casse  corrcao 
assai  maggior  pericolo ,  quando  le  sieno  da  cauti  e  bravi  cassieri 
tenute,  che  quando  abbandonate  alle  turbe  in  piazza,  e  per  fino 
alle  turlte  tumultuanti  e  deliranti.  Ella  le  pubbliche  casse  le  ha 


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custodite  bene;  perchè  de'  peculati  di  questo  o  di  quello  io  cer- 
tamente non  do ,  e  non  devo  dar  colpa  a  lei.  Quanto  alle  pub- 
bliche entrate  e  spese ,  che  il  popolo  si  abusasse  del  diritto  di 
stabilirle ,  per  dispogliare  i  ricchi ,  non  vi  è  esempio.  S'  ella  poi 
di  tal  diritto  si  abusasse ,  per  dispogliarne  i  poveri  e  il  popolo 
tutto  9  lo  vedremo  appresso. 


XGV.  Flntocrasia  esBensiale  alle  dominasioiii  borghesi. 

Io  mi  sono  dianzi  alquanto  intrattenuto;  poiché,  non  vi  es- 
sendo potenza  alcuna,  a  cui  sia  disposto  arrendermi,  tranne  la 
verità;  se  gli  avversari  avessero  avuto  alcuna  ragione,  tosto  le 
avrei  prestato  omaggio.  Ben  si  vede  però ,  quella ,  eh'  egli  addu- 
cono esser  falsa:  e,  senza  dire,  che,  sussistendo,  avrebbero,  in 
questi  tanti  anni  di  lungo  promettere  e  di  attender  corto,  dovuto 
e  potuto  in  tutt'  i  modi  adoprarsi  per  dare  al  popolo  quella  ca- 
pacità civile,  di  cui  lo  giudicano  •  indegno  ;  senza  dire  ora  di 
questo,  ben  si  vede,  il  motivo  reale  essere  stato  la  oppressione 
e  non  la  tutela.  Per  lo  meno  e'  doveano,  privando  i  proletari  dal 
voto,  esonerargli,  come  i  romani,  altresì  da'  tributi  e  dalla  mi- 
lizia. Imperocché  con  quale  equità  imporre  questi  civici  dove- 
ri, senza  concederne  i  beneficii  relativi?  Ma,  immaginatevi,  que' 
romani  erano  prepotenti,  ingiusti,  falsi,  ladri  eccetera:  e  vi  é 
pena  di  scomunica  ora  il  nominargli.  Anche  in  Firenze  del  resto 
vedemmo ,  non  appena  i  grassi  popolani ,  grazie  all'  ajuto  de'  ma- 
gri, vinsero  la  vecchia  nobiltà,  contro  i  compagni  rivolger  le  ar- 
mi. Ed  in  Francia  valsero  si  le  denoocratiche  lustre  alla  borghe- 
sia per  liberarsi  da'  gentiluomini  e  da'  preti  col  sudore  e  col  san- 
gue della  plebe  :  ma ,  raggiunto  lo  intento ,  che  le  calse  di  que- 
sta? Siéyes,  benché  abate  e  teorico,  ebbe  una  grande  effica- 
cia a  que'  tempi;  e  fu,  si  può  dire,  quegli,  che  cogli  scritti  e 
colle  consulte  legittimò  la  possanza  di  quella.  Ebbene ,  propostosi 
di  definirla ,  sapete  come  la  definì  ?  —  «  D  terzo  ceto  é  la  na- 
zione »;  precisamente  come  prima  Ludovico  XIV  avea  detto:  «  lo 
stato  son  io  ».  Cosi  fece  ella  qui  :  e  in  un  modo  tanto  più  ingiu- 
stificabile ed  esoso,  che  qui  non  ci  erano  rancori,  né  follie  di 
ceti  ;  né  vendette  da  compiere ,  né  prepotenze  da  domare ,  né  pre- 
minenze da  vantare.  Tutti  eravamo  sotto  l'anteriore  servitù  ade- 
guati nel  comune  vitupero:  i  nobili  per  averla  corteggiataci  preti 


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beoedetta,  i  ricchi  fruita,  i  poveri  sopportata.  A  un  tratto  molti 
valorosi ,  usciti  da  tutti  questi  ceti ,  senza  distinzione  fra  loro ,  e- 
spiano  le  colpe  di  tante  generazioni  e  vendicano  a  libertà  la  na- 
zione. Alcuno  era  per  lino  prete  (e  le  ombre  di  Ugo  Bassi  e  di  En- 
rico Tazzoli  evoco,  che  dall'alto  del  patibolo  protestano  contro  li 
reo  sinedrio).  Gli  altri  tutti  non  badarono ,  sacrificandosi  alla  pa- 
tria ,  se  fossero  gentiluomini ,  proprietari  o  proletari.  Nelle  mede- 
sime prigioni  cinsero  le  catene  il  polso  delicato  e  il  robusto ,  pen- 
zolarono dalle  medesime  forche  i  corpi  de'  patrizi  e  de'  plebei  ;  e 
sul  medesimo  campo  diedero  in  olocausto  la  vita,  e  stringendosi 
firatemamente  la  mano ,  padroni  e  servi.  Questi  i  veri  autori  della 
nostra  redenzione  :  e ,  poiché  questi  ci  aveano  da  quella  servitù  e 
da  quel  vitupero  redenti,  tutti  noi,  per  gitts  di  postUminio  tor- 
navamo al  pristino  stato ,  o  al  pien  possesso  de'  nostri  diritti  di  li- 
bertà e  di  città.  Ed  anzi,  ricongiungendosi  a  noi  dopo  tanti  secoli 
di  doloroso  schianto  Roma ,  tutti  cittadmi  romani.  In  vece ,  ecco 
sopraggiungere  una  piccola  falange,  e  dire  :  questi  erano  poeti  va- 
neggianti e  paladini  erranti,  che  finirono  cosi  malamente,  come 
sapete.  Noi  soli  vi  abbiamo  ricomprati  ;  e  che  pretendete  dunque 
ora  da  noi  vile  canaglia  ? 


XGVl.  Forma  mifta  di  reggiatiito  preferita  dalla  bergkeda. 

Tale  la  sostanza  del  reggimento  borghese  :  ma ,  venendo  ora 
alla  forma,  cui  ho  defìnita  un  contrasto  di  parole;  debbo  primie- 
ramente spiegare,  come  abbia  avuto  luogo.  La  critica,  ch'io  mi 
accingo  a  fare  de'  nostri  politici  istituti,  s' intende,  non  debba 
punto  diminuire  praticamente  1'  osservanza  a  loro  debita.  Peroo- 
che ,  sebbene  io  giudichi ,  che  vadano  perdendo  la  patria ,  e  di 
palesarlo  abbia  come  scrittore  diritto  e  dovere;  noi  tutti  dobbia- 
mo, come  cittadini,  obbedire  le  leggi  della  patria  noedesima.  Le 
quali ,  fossero  anche  ingiuste ,  sono  l' unica  forma  regolare ,  in  cui 
hi  giustizia  sociale  si  manifesta;  né  lice,  se  non  in  altra  forma 
parimenti  regolare,  come  usavano  que'  romani,  emendarle.  Ho  an- 
che bisogno  di  soggiungere ,  se  non  mi  fossi  chiarito  bene  di  so- 
pra ,  che  io  reputo  tutt'  i  tentativi  violenti  o  fraudolenti  per  rove- 
sciare od  anche  solo  per  modificare  la  costituzione  dello  stato, 
criminosi  :  siccome  sforzi  o  inganni  d' impercettibiU  drappelli  per 
contrapporsi  alla  volontà  universale.  E  che  in  particolare  e  di  giunta 


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io  reputo  nelle  presenti  condizioni,  e  nelle  imminenti  perturbazioni, 
la  regalità  un  palladio  per  tutti.  Onde  (e  questo  mi  sembra  par- 
lar chiaro)  la  repubblica  vera  ora,  con  questa  gente,  non  la  vor- 
rei ,  nemmanco  se  me  la  regalassero.  Noto  adunque ,  che  esterior- 
mente sembra  la  costituzione  d' Italia  una  monarchia  temperata 
da'  cosi  detti  ordini  rappresentativi;  benché  interiormente  sia 
ben  diversa  cosa.  E  che  questa  specie  di  governo ,  detta  ora  per 
antonomasia  costituzionale j  universalmente  si  vede,  esser  quella, 
cui  la  borghesia  adotta  come  propria.  Tal  che ,  come  ho  avvertito , 
dove  questa  viene  adottata,  è  segno,  che  quella  prospera  o  comin- 
cia a  prosperare.  —  Dunque ,  poiché  adesso  anche  la  sublime  Porta 
raccolse  o  disse  d'accoglierla,  sarebbero  Imo  i  turchi  borghe- 
si? —  Essi  no,  poveri  disgraziati:  si  bene  la  borghesia  europea 
(  già  quasi  di  loro  impadronitasi ,  e  che  per  ciò  gli  sostiene  co- 
me la  corda  %X  impiccati)  impose  a  loro  questa  specie  di  governo , 
egualmente  che  agU  altri  popoli  non  turchi.  Vi  deve  adunque  es- 
sere una  ragione ,  per  cui  quella  ha  tanta  predilezione  per  que- 
sta :  la  quale  merita  di  essere  qui  rintracciata.  Sommi  maestri  del- 
l' arte  politica ,  da  Aristotile  e  Cicerone  sino  a  Machiavelli ,  Guic- 
ciardini e  Giannotti,  assai  prima  di  questi  anglomani  ritennero 
ottima  forma  di  i*epubbUca ,  quella  composta  di  re ,  ottimati  e  po- 
polarità. La  qual  cosa  naturalmente  costoro  vantano,  senza  pur 
curarsi  del  motivo,  per  cui  gU  antichi  la  forma  mista  consigUa- 
vano;  ch'era  lo  impedimento  al  degenerare  e  al  conseguente  fi- 
nire delle  tre  forme  semphci,  da  Cicerone  nella  Repubblica  es- 
pUcitaroente  addotto.  E  senza  nemmanco  riflettere ,  eh' egUno  per 
forma  mista  intendevano  il  feUce  conserto  del  consolato,  del  se- 
nato e  del  tribunato  ;  e  tutt'  altro  in  somma ,  che  le  loro  ibride 
accozzaglie.  Aristotile  del  resto  poneva  la  degenerazione  de'  go- 
verni di  qualsiasi  specie  nello  usufruire  gU  stati  a  fini  particolari 
di  persone,  di  collegi  o  di  moltitudini;  perché  cosi  si  tramutano 
in  tirannidi  despotiche ,  oUgarchiche  o  demagogiche ,  e  cosi  ca- 
dono. Ora,  i  sodalizi,  che  usufruiscono  gU  stati  moderni  a  fini 
particolari ,  si  guardano  bene  dal  citarlo  a  questo  luogo  :  e  qui 
sta  appunto  il  segreto ,  per  cui  la  predetta  forma  preferiscono. 
Perché  da  gran  pezzo  in  buona  parte  d' Europa  il  monarcato ,  inteso 
come  potere  autonomo ,  era  soggiaciuto  alla  fortuna  delle  cadu- 
che cose  terrene;  non  si  però,  che  se  ne  fosse  reso,  come  in 
Roma ,  il  nome  odioso.  E  per  tale  evento  avrebbero  dovuto  i  po- 
poli ricoverare  i  loro  diritti ,  riducendolo  alla  popolare  capitananza 


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antica.  Avendogli  in  vece  carpiti  que*  sodalizi,  e  oocorreBdo  un 
inganno,  ctie  velasse  il  loro  impero  e  consentisse  di  avvantag- 
giarsene, e  in  pari  tempo  gli  assicurasse  da'  carichi  e  da'  peri- 
gli; eressero  certi  simulacri  di  principato,  di  ottimati  e  di  po- 
polarità, dietro  a'  quali  regnano  e  lucrano  incolumi. 


XCVII.  Ordini  dinastioo  rappresentatiTL 

Negli  albori  dcir  attuale  risorgimento  d'Italia,  due  opinioni, 
come  ho  detto ,  dividevano  gli  animi ,  sulla  forma  politica  da  dar- 
le, regia  o  repubblicana.  La  borghesia  naturalmente  preferiva  la 
prima:  e  a  questa  accedettero  tosto  in  massima  parte  anche 
coloro,  che  avrebbono  diversa  forma  preferito;  acconciandosi  a 
un  titolo,  che  poteva  esser  simbolo  di  concordia  e  di  forza.  U 
popolo  cogV intimi  plausi,  che  valgono  assai  più  de'  brevi  gettati 
nelle  iu*ne  ;  ma  ad  ogni  modo  ancor  con  questi  sanci  cotal  forma. 
Diviene  essa  dunque,  finché  tali  suffragi  la  sorreggano,  sacra:  e  non 
cade  punto  qui  disputa  sulla  medesima;  benché  su'  modi,  con  cui 
venne  applicata.  Se  non  che  i  fautori  a  oltranza  o  i  per\'ertitori  della 
medesima,  che  poi  la  ebbero  in  mano;  doveano,  se  non  per  con- 
formarsi al  decreto  de;'  popolari  comizi,  almeno  per  mostrarsi  sud- 
diti ligi  e  ministri  fedeh,cosl  costituirla  e  custodirla ,  che  la  po- 
tesse esser  vitale  e  durevole.  L' impresa  era  per  verità  ardua  : 
perché  (io  Y  ho  già  nel  1859  e  nel  i8G5  detto,  ne'  miei  Scritti 
minori  e  politici)  la  forma  repubblicana  è  cosi  insita  all'Italia, 
che  ne  é  (piasi  V  unica  forma  naturale.  Chi  legge  i  nostri  classi- 
ci (per  esempio  )  vede,  che  in  ogni  tempo  e  in  ogni  circostanza 
adoperano  la  voce  di  slato  e  di  governo  civile ,  quale  contrappo- 
sto a  stato  e  governo  principesco;  e  troppe  volte  quelhi  di  ti- 
ranno per  si^milìciir  principe.  A  non  tener  conto  di  ciò  (che  del 
resto  troppo  tradisce  il  pensiero  riposto  della  nazione) ,  la  storia  di 
questa  ammaestra,  il  principato  essere  qui  stato  cosa  servile;  e, 
tranne  un  lembo  della  i)enisola,  il  cui  italicismo  ridestossi  più 
tardi  e  più  bene,  violenta.  Onde  chi  avesse  voluto  dare  all'Italia 
un  assetto  veramente  pacifico,  veramente  conservativo,  non  le 
avrebbe  potuto  dare  altro,  se  non  quello,  che  ora  da  certuni  si 
reputa  ostile  e  rovinoso ,  e  eh'  ella  stessa  del  resto  non  vuole  e  non 
merita —  i^erò,  se  ardua,  quella  impresa  non  era  affatto  impossi- 
bile ;  (piando  coloro ,  che  per  debito  di  sincerità  e  di  lealtà  la  do- 


-  139  - 

veano  compiere ,  avessero  voluto  al  genio  del  luogo  e  alla  neces- 
sità storica  chinare  il  capo.  Avrebbero  eglino  allora  riconosciuto , 
che  presso  i  popoli  nordici ,  per  la  cui  fiera  libertà  vanno  in  sol- 
luchero y  il  diritto  feudale ,  patrimoniale  o  dinastico  de'  principi 
su'  popoli  si  ammise  :  qui  tra  noi  nemmanco  di  nome  mai.  À- 
vrebbero  ricordato,  che  sotto  lo  stesso  impero  romano  lo  stato 
chiamavasi  legalmente  repubblica.  Avrebbero  saputo,  che  fino 
quegli  esecrandi  e  indiati  mostri ,  che  la  oppressero ,  non  sogna- 
vano d' imperare  per  un  proprio  diritto.  Bensì  per  V  acclamazione 
de'  soldati  e  pel  consenso  de'  padri,  e  pe'  diversi  magistrati,  di  che 
erano  investiti;  e  sopra  tutto  per  la  tribunicia  podestà,  che  gli 
rendeva  sacri  e  inviolabili.  E  avrebbero  in  fine  compreso ,  che  un 
principe  in  senso  italiano  non  poteva  essere,  se  non  duce  delle 
cittadine  milizie,  preside  de'  pubblici  consigli  e  supremo  dignitario 
della  nazione.  Pensando  in  vece,  che,  convertitolo  in  un  re  spar- 
tano 0  in  un  doge  veneto ,  avrebbe  perduto ,  se  non  la  maestà , 
la  essenza  del  principato  ;  a  che  lo  hanno  eglino  ridotto  ? 


XCVIII.  Beg^o  di  specie  germanica. 

Prima  di  tutto  ei  concepirono  il  re  desiato  d' Italia  c#me  un  re 
alla  barbara,  importando  qui  nel  secolo  XIX  ciò,  che  in  niun  secolo 
potè  attecchire.  Una  monarchia  cioè  d' indole  teutonica  ;  o  del  ge- 
nere di  quelle,  che  oltre  monti  si  stabilirono  nelle  antiche  pro^ 
vincie  nostre ,  tosto  dopo  la  caduta  dell'impero.  Il  qual  pensiero, 
che  certo  non  ebbe  Dante  propugnando  la  sua  Monarchia^  né 
Machiavelli  sospirando  il  suo  Principe,  è  cosi  alieno  dal  pen- 
siero civile  nostro ,  e  cosi  strano  ed  assurdo  ;  che  chi  avesse  vo- 
luto qui  fondare  uno  stabilimento  politico,  che  non  avesse  radici 
nel  suolo,  né  potesse  essere  da  alcuno  riverito,  e  anzi  neppure 
inteso,  questo  precisamente  avrebbe  fondato.  Or,  s'io  mi  valessi 
dell'  autorità  di  que'  romani  antichi ,  e  di  Dante  e  di  Machiavelli , 
e  di  cotali  non  tralignati  romani  posteriori;  veggo,  che  farei  ri- 
dere questi  romanastri  d' oggi.  Citerò  loro  piuttosto  l' autorità  d' un 
tale ,  cui  venerano  come  maestro  ;  di  uno  de'  precursori  dell'  Italia 
monarchica  e  moderata,  di  Cesare  Balbo.  Il  quale,  ottimo  uomo  e 
integerrimo  servidore  della  casa  di  Savoja,  della  idea  d'un  regno 
italico,  come  poi  venne  attuato,  scriveva  nel  1843  cosi.  «  Io 
non  so  per  vero  dire  qual  possa  dirsi  sogno  politico,  se  non  di- 


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casi  questo  :  d' un  ordioamento ,  che  non  ha  nella  storia  patria  se 
non  un  esempio  di  quattordici  anni ,  e  che  non  sarebbe  se  non  una 
restaurazione  di  un  regno  barbaro  di  mille  quattrocento  anni  fa  » 
(Speranze  d Italia,  II  ).  Or  chi  avrebbe  detto,  che  proprio  a  tal 
sogno  noi  si  dovesse  ora  assistere,  come  ad  una  realtà;  e  che 
neir  alma  Roma  dovesse  il  fatidico  veltro  entrare  proprio  in  quella 
guisa ,  che  vi  entrò  «  mille  quattrocento  anni  fa  d  Y  erulo  Odoa- 
cre  ?  E ,  se  colà  non  si  trova  un'  amorosa  corda ,  che  risponda ,  e 
che  avrebbe  tosto  a  certi  suoni  risposto  ;  e  se  di  settentrional  ug-  ' 
già  sembra  tutta  Italia  presa ,  qual  maraviglia  ?  Avevate  da  un 
lato  un  principe,  nel  cui  petto  T amore  del  popolo  ardeva,  del 
vivere  cittadinesco  pago,  la  cui  fede  era  incrollabile ,  e  che  a  voi 
intieramente  si  commetteva.  Dall'  altro  un  popolo  al  medesimo  ri- 
conoscente, che  lo  avrebbe  con  vive  simpatie  assecondato,  e  eoo 
una  discrezione  e  una  temperanza;  alle  quali  non  può  rinunciare, 
come  vedete ,  nemmanco  nelle  sofferenze  e  nelle  delusioni ,  in  che 
r avete  immerso.  Ebbene,  io  non  dico,  che  gU  abbiate  Tnno  e 
r altro  traditi,  perchè  non  suppongo  in  voi  malvagità  alcuna:  ma, 
che  non  avete  involontariamente  fatto  per  separargU  e  per  ini- 
micargli ?  Voi  avevate ,  è  vero ,  sin  dal  quarantotto  data  alla  mo- 
narcliia  in  Piemonte  quella  tal  forma,  cui  preferite  :  sicché  questa 
si  presentò  a  tutta  Italia  da  principio  quale  unica  forma  possibi- 
le. Però  voi  potevate  grado  a  grado ,  riappellandovì  a*  comizi , 
in  quella  regione  e  nelle  rimanenti  correggerla  in  guisa,  che  la 
si  rendesse  meglio  air  universale  accetta  e  acconcia.  Né  vi  sa- 
rebbe mancato  il  consenso  del  principe,  se  non  aveste  avuto  1* in- 
tendimento di  far  trionfare  ad  ogni  costo  il  sistema  vostro.  Sprez- 
zaste adunque  il  precetto  di  Machiavelli ,  che  nelle  cose  straor- 
dinarie ,  e  sovra  tutto  nel  formare  e  riformar  gli  stati ,  i  modi  ordi- 
nari non  bastano.  Sprezzaste  V  esempio  di  Roma ,  che  un'  infinità 
di  volte  si  commise  a'  dittatori  ;  né  (sendo  venuti  in  autorità  Sii- 
la ,  Cesare  e  i  seguenti  tiranni  non  dalle  dittature ,  ma  da'  pro- 
lungati contandi  mihtari),  nò  sene  ebbe  unqua  a  pentire.  E  vo- 
leste co'  consigli  adunati  e  colle  tribune  romoreggianti  compie- 
re, o  per  dir  meglio  preterire,  l'eccelsa  opera  della  ricostitu- 
zione d' Italia ,  attesa  dai  secoli.  Tralascio  di  notare ,  che  in  so- 
stanza questi  consigli  e  queste  tribune  non  furono  per  molto  leai- 
po ,  se  non  l' eco  di  una  voce  imperiosa.  Onde  in  sostanza  una 
dittatura ,  quantunque  larvata  e  dissimulata ,  ci  fu  ;  e  guai  se  doq 
la  ci  fosse  stata  I  Ma  perché  ciò ,  se  non  appunto  per  incorporare  la 


—  141  - 

Dazione  a  una  sua  parte ,  piuttosto  che  congiungere  in  un  comune 
corpo  le  divise  membra  di  essa;  e  se  non  per  imporre  a  tutte  e 
per  forza  il  predetto  vostro  sistema? 

XGIX.  GoetìtmioBe  di  tipo  britaimico. 

Ora  io  non  dirò ,  qual  danno  venisse  air  Italia  dair  essere 
co' fiacchi  e  coartati  propositi  d'un  parlamento  ricostituita,  e 
dall'  aver  dovuto  subire  all'  impensata  e  all'  impazzata  ordini  e 
leggi  d' una  sola  regione.  I  quali  non  erano  sempre  i  migliori ,  e 
ad  ogni  modo  aveano  tutti  queir  angustia  e  improprietà,  eh'  è  facile 
troppo  congetturare.  Fermandomi  al  sistema,  cui  le  si  volle  con 
tai  mezzi  imporre ,  e  eh'  è  appunto  il  cosi  detto  sistema  parhh- 
mentare;  i  sostenitori  del  medesimo  credono  di  aver  detto  tutto 
a  sua  giustificazione  e  lode ,  quando  l' esempio  dell'  Inghilterra 
adducono.  E  pare  gran  cosa  a  loro,  dimenticando  fin  le  costituzioni 
longeve  di  Sparta  e  Venezia,  che  quella  inglese,  benché  a  tante 
trasformazioni  soggiacesse  e  accenni  già  a  declinare,  risalga  a 
re  Giovanni  Senzaterra.  Per  verità  io  credo,  che  l'Inghilterra 
con  qualsivogUa  ordine  e  legge  sarebbe  ugualmente  potente  e 
grande;  e  avrebbe  modo  di  manifestare  la  sua  eccentricità  ugual- 
mente. Nondimeno  la  sua  forma  politica  le  giova  prima  di  tutto, 
perchè  è  sua  projyria  e  dalle  sue  tradizioni  e  costumanze  sorta, 
sorretta  e  corretta:  e  poi  perchè  è  vera,  o  cioè  non  fittizia,  ba- 
starda e  falsa,  come  altrove.  In  quell'isola  appunto,  come  in 
parecchi  altri  stati  dell'evo  medio  e  antico,  compresavi  Roma 
sotto  i  re,  la  costituzione  speciale  del  reggimento  ha  fonda- 
mento sulle  orìgini  storiche  della  stessa  sovranità  politica.  Pe- 
rocché ivi ,  non  avendo  potuto  il  principato  schiacciare  la  nobiltà 
(come  in  Francia)  o  la  nobiltà  decapitare  il  principato  (come  in 
Polonia  ),  né  impedire  il  successivo  affrancamento  del  popolo  (come 
in  Ungheria);  è  avvenuto,  che  lo  stato  divenisse  e  restasse  in 
certo  modo  condiviso  fra  tre  sovrani:  re,  pari  e  comuni.  E  che 
quindi  il  governo  fosse  e  sia,  quasi  per  una  sottintesa  tregua 
continua,  un  misto  di  monarchia,  aristocrazia  e  democrazia.  Onde 
colà  la  cosi  detta  corona  e  le  cosi  dette  camere  non  sono  meri 
organi  costituzionali  (per  valermi  di  queste  espressioni  ostro- 
gote );  si  veramente  poteri  consovrani ,  e  quasi  rappresentanze  di 
tre  diversi  stati  in  sul  medesimo  territorio  consociati.  Parvi  dunque, 


-  142  - 

che  ciò  intervenga  anche  negli  altri  luoghi,  dove  di  monarchia, 
aristocrazia  e  democrazia,  né  unite,  né  divise,  non  si  pub  a  ri- 
gor di  termini  neppur  parlare?  Fatto  é,  che  la  forma  po&tict 
d' Inghilterra,  quanto  la  forma  giudiziaria  (di  cui  appresso  dirò), 
é  sotto  r  aspetto  della  società  e  della  civiltà  una  fo^ma  rudimen- 
tale. E  una  forma  sopra  tutto,  che  svela  e  consacra  queir  intesti- 
no dissidio  degli  elementi  sociali,  proprio  delle  razze  germaniche, 
e  in  cui  ripongono  esse  la  loro  libertà.  Queste  V  aveano  in  ogni 
dove  accolta:  tal  che  fìno  in  Italia,  per  loro  diretto  o  indiretto 
influsso,  le  provincie  più  travagliate,  la  patria  del  Friuli  e  il  rea- 
me di  Sicilia  si  ebbero,  insieme  colla  feudalità,  i  nordici  parla- 
menti. Potè  adunque  T  Inghilterra,  pel  prevalere  de' baroni  ed 
indi  pel  riscattarsi  de'  borghi ,  abbassando  il  principato,  disvìlop- 
pare  que'  malli  o  campi  di  maggio  barbarici ,  che  caddero  altrove 
in  dissuetudine,  e  cosi  porre  in  salvo  le  sue  libertà.  Ma,  por 
proclamandosi  ottimo  il  suo  reggimento,  e  pessimi  tutti  queDi, 
che  resero  altre  volte  questa  Italia  potente  e  grande;  come  po- 
teva essere  qui  adatto  in  sì  diverse  condizioni  di  società  e  di 
civiltà,  e  fìn  d'intendere  e  di  sentire?  Quanto  fosse  alla  Francia 
adatto,  la  monarchia  orleanese,  eh'  é  il  tipo  della  monarchia  pre- 
sente d'Italia  e  d'ogni  monarchia  borghese,  e  l'idolo  de' nostri 
dottrinari ,  informi.  Se  qui  ugual  sorte  l' aspettasse,  non  cale  alU 
ristretta  classe  della  nazione,  che  se  ne  avvantaggia  e  schermi- 
sce, punto.  Perché  in  primo  luogo  ella  cosi  é  giunta  ad  attuare 
lo  stato  antistorico,  che  ho  detto  essere  nelle  sue  idee:  dandogli 
una  costituzione,  che  può  essere  storica  in  Inghilterra,  non  qui 
certamente;  e  che  del  resto  non  è  della  inglese,  se  non  una  contraf- 
fazione e  una  parodia.  In  secondo  luogo,  e  questo  è  il  suo  recon- 
dito fine ,  ad  attuare  per  alcun  tempo  un  reggimento,  di  cui  altri 
abbia  le  pompe  e  i  perìcoli,  ella  i  guadagni  e  i  salvacondotti. 


C.  Umile  MmdiiloBe  del  menaroato  sette  la  berglMiUL 

Io  dissi  dianzi,  che  i  dottori  del  sistema  costituzionale  e 
gì'  inconsci  strumenti  della  mondial  lega  cambiaria,  avrebbono 
temuto,  costituendo  Y autorità  regia  a  modo  classico,  di  degra- 
darla. Vediamo  adunque  ora  prìmieramente,  che  cosa  ne  abbiano 
di  essa  fatto;  per  poi  vedere  quello,  che  degli  ottimati  e  della 
popolarità,  su  cui  (a  detta  loro)  la  monarchia  costilusùmale  si 


-  143  - 

basa.  Anche  in  un  sistema  sincero  e  sostanziale ,  come  il  britan- 
nico al  presente,  è  grave  dubbio,  se  la  monarchia  si  possa  dire 
invulnerata.  Conciossiachè ,  se  Vittorio  Alfieri  notava,  che  «  una 
monarchia  limitata  non  è  monarchia,  ed  una  monarchia  non  limitata 
è  tirannide  »  (Tirannide,  1, 2),  Francesco  Guicciardini  questo  os- 
servava. «  La  sustanzialità  del  principe,  V  anima  del  principato  è 
il  comandare  ;  però  come  ha  a  obedire ,  ancora  che  abbia  il  nome 
del  principe,  i  vestimenti  e  le  immagini  del  principato,  è  in  fatto 
ogni  altra  cosa  che  principe  »  (Discorsi  politici ,  XIV).  Apparen- 
temente sembra  per  tanto,  che  negU  ordini  rappresentativi  il  monar- 
ca alcuna  podestà  serbi  :  siccome  il  partecipare  alla  legislazione^  le 
nomine,  le  grazie,  il  comando  militare,  le  stipulazioni  internazionali; 
e  in  particolare  quella,  cui  si  addimanda  ora  podestà  esecutiva. 
In  effetto  ei  non  può  alcuna  di  queste  azioni  a  propria  voglia 
fare:  non  leggi,  non  guerre,  non  paci,  e  non  cosa  alcuna,  a  cui 
i  due  supremi  corpi  dello  stato  si  oppongano,  o  direttamente, 
rigettando  i  partiti  proposti;  o  indirettamente,  negando  le  con- 
tribuzioni, 0  prescrivendogli  co' biasimi  o  in  altra  cotal  guisa  le 
voglie  loro.  Nemmeno  ei  può  scerre  que'  consiglieri  o  cancellieri, 
cui  desidera  (  giacché  questi  nella  predetta  guisa  indiretta  gli  sono 
imperiosamente  designati  o  rivocati);  e  nemmeno  co'  medesimi  le 
più  minute  provvisioni  dare.  Avvegnaché  questi ,  dovendo  dal  be- 
neplacito de'  predetti  corpi  dipendere ,  non  Io  potrebbon  compia- 
cere, senza  perdersi:  ond'  ei  deve  alla  fine  a  loro  od  ai  loro  suc- 
cessori, che  abbiano  tale  beneplacito,  obbedire.  Si  paragoni  ora 
la  sorte  di  tal  monarca  con  quella  di  un  prìncipe,  la  cui  podestà 
sia  stata  classicamente  ridotta  a' più  minimi  termini  (pognamo, 
il  veneto  doge);  e  vedrassi,  non  essere  la  sua  punto  migliore. 
Presiedeva  almeno  questi  a  tutt'  i  consigli ,  trovavasi  in  tutte  le 
azioni  della  repubblica  presente,  e  stava  in  palazzo  co'  patrizi  e  in 
piazza  colla  plebe  in  una  perenne  splendida  mostra  del  principato. 
Né  si  poteva  dolere  di  non  governare,  né  di  far  niente  a  suo  modo, 
reputandosi  quel,  che  gli  era  j  serenissimo  principe  ;  o  semplice 
capo  di  un  governo  e  di  uno  stato  non  suo,  e  capo  cinto  di  tanta 
maestà.  Gli  onori  e  le  insegne  semplicemente  ducali ,  eh'  egli 
avea,  e  la  forma  elettiva  e  vitalizia  del  grado,  non  impediscono 
di  reputarlo  incoronato.  Perchè  i  principi  della  repubblica  polena 
avean  nome  di  re;  e  parimenti  quelli  della  spartana,  che  di  giun- 
ta erano  due  ed  ereditari.  Pure ,  qualunque  si  fosse  l' autorità  di 
questi  re  e  di  quel  doge ,  e  quantunque  solamente  di  repubbliche 


—  144  — 

principi  e  non  signori  di  popoli ,  egli  erano  tuttavia  in  maggior 
grado  de'  moderni  monarchi.  I  quali  per  colmo  di  sventura,  pati- 
rono in  grazia  del  sistema  parlamentare  un*  escuUor anane,  ebe 
in  altri  tempi  sarebbesi  reputata  contraria,  non  che  alla  monar- 
chica, air  umana  natura.  Uno  stato  cioè  d' interdizione  e  di  tute- 
la perpetua:  anzi,  peggio  ancora,  d' inimputabilità  e  d*irreq)0Q- 
saUtà,  simile  a  quello  di  coloro,  che  sono  del  lume  di  ragione 
privi.  Tralascio  di  notare,  che  questo  stato  gli  soffoca  e  umilia 
fm  nelle  cose  private  e  famigliari,  ov'ei  sono  men  liberi  de' più 
oscuri  cittadini.  Perchè  è  forse  necessario  in  certe  dignità  il  do- 
ver Ano  i  vincoli  del  sangue  e  i  voti  del  cuore  sacrificare  al 
cosi  detto  bene  de^ popoli.  E  tralascio  anche  di  rammentare ,  che 
in  certi  paesi  si  estese  o  si  parla  di  estendere  la  predetta  inter- 
dizione e  tutela  anche  all'  amministrazione  e  disposizione  del  lor 
proprio  danaro.  Il  che,  se  venisse  contro  di  noi  proposto,  o  let- 
tori, noi  certamente  come  di  un  sanguinoso  olti*aggio  ci  senti- 
remmo trafitti.  Limitandomi  però  alle  sole  cose  pubbliche,  è  ine- 
vitabile nelle  monarchie  costituzionali,  che  i  ministri  sieno  mal- 
levadori de' monarchi,  e  che  questi  non  possano  di  per  sé  (ar 
niente;  nemmeno  Ormare  un  atto,  e  né  quasi  parlare  o  zittire. 
Oh,  che  vi  pare  dunque  d' un' autorità ,  cotanto  combattuta,  e 
che  deve  di  giunta  una  si  dura  condizione  sopportare?  Poca  o 
molta,  che  noi  ne  avessimo,  vorremmo  degli  atti  nostri  contrarre 
il  debito  e  mendarc  il  fio  noi  medesimi.  Dappoiché  tutta  la  ec- 
cellenza dell'  uomo  stiasi  in  tale  capacità  d' obbligarsi  e  di  man- 
tenere ;  e  non  già  nell'  esser  parificato  ai  folli  e  agi'  infanti.  Quanto 
poi  quella  supposta  mallevadoria  de'  ministri,  che  vieta  a'  mo- 
narchi di  fare  il  bene,  se  lo  volessero,  e  d'impedire  il  male; 
quanto  valga  in  effetto  a  salvargli  (  giunto  il  momento,  in  eh'  ei 
debbono  soggiacere  alle  conseguenze  degli  errori  altrui ,  e  quando 
appunto  altri  dovrebbe  per  loro  mallevare  ),  facile  è  congetturare. 
Senza  parlar  di  coloro,  cui  viH  assassini  perseguitano,  chiedete, 
che  valse  tale  egida  a  Luigi  Filippo  e  ad  Isabella  di  Spagna, 
quando  si  partirono  scorati  per  l' esilio  ;  e  che  a  Carlo  I  d' In- 
ghilterra e  a  Luigi  XVI,  quando  rotolarono  giù  dal  palco  i  lor 
capi  mozzi. 


145 


CL  bip«tewM  de'iriaflipi  btrg^eri. 

I 

Se  il  destino  de'  monarchi  eostitujsionali  è  si  crudele  an* 
cbe  nella  ortodossa  e  legittima  costituzione  inglese;  immagina- 
tevi, qual  debba  essere,  in  una  contraffazione  e  parodia  della  stes* 
sa,  quello  Ae' principi  borghesi.  In  Inghilterra  jHÌma  di  tutto 
la  lealtà,  cioè  una  tal  quale  legalità  intesa  a  modo  cavalleresco, 
importa  verso  il  trono  un  condizionato,  e  nondimeno  inconcusso 
omaggio.  Inoltre,  standovi  di  contro  colà  quelle  due  potenze 
rivali,  che  ho  dianzi  ricordato,  aristocratica  e  democratica,  la 
potenza  monarchica  naturalmente  diviene  arbitra  o  conciliatrice 
tra  loro:  ed  ambo  s' interessano,  per  la  reciproca  salute,  a  man- 
tenerla inviolata.  Il  giorno,  in  cui  il  contrario  accadesse,  e  fos- 
sero questi  termmi  scomposti  (e  già  qualche  indizio  t,rapela  di 
un  lento  e  lontano  mutamento),  quel  governo  diverrebbe  demo- 
cratico; e  quindi  sarebbe  cangiato  affatto.  In  vece  negli  altri 
stati,  ove  non  ci  sono  simili  condizioni ,  né  le  rispettive  tradizioni 
e  abitudini  ;  ed  ove  sopra  tutto  manca  ai  monarchi  o  V  ingegno 
0  r  ambizione  o  la  malvagità,  e  si  lasciano  o  per  indolenza  o 
per  modestia  o  per  bontà  passivamente  condurre,  ei  doventano 
un  istituto  inconcludente.  Perchè  è  possibile  nella  storia  inglese 
addurre  esempi  d' imprese  volute  dalla  corona ,  come  proprie  :  ma 
negli  altri  luoghi,  eccetto  che  per  inezie  personali  o  con  sini- 
stri effetti,  chi  può  dire,  che  manifestasse  volontà  alcuna?  In 
tal  caso  essa  è  neutrale  e  neutraUzzata ,  quanto  il  corno  del 
veneto  doge:  con  la  differenza,  che  questo  dopo  tutto  era 
r  insegna  d' un  magistrato  pubblico  ;  e  quella  un'  insegna ,  sotto 
cui  celasi  una  sovranità  misteriosa.  Prescindendo  per  altro  da 
ciò ,  e  da  molte  altre  ragioni ,  eh'  io  penso  e  non  posso  dire  ;  la 
prima,  se  non  unica  cagione,  per  cui  faccia  mestieri  a  una  data 
società  politica  il  regno,  e  quella  dal  cui  filo  pende  ne'  tempi 
presenti  la  durata  delle  dinastie ,  è  il  prestigio,  che  le  possono 
avere,  e  la  utiUtà  del  medesimo  all'universale.  Vi  sono  popoli, 
cbe  non  sanno  adorare  gli  dei  senza  idoli;  ed  altri,  che  non 
venerar  le  leggi  senza  repanti ,  e  a'  quah  per  sino  parrebbe 
squallido  uno  stato,  che  non  avesse  di  (ali  fastigi.  DovendogU  di 
necessità  compiacere,  bisogna  assecondare  i  loro  affetti;  e  far 
si,  ck'  ei  credano  in  questa  terrena  provvidenza.  Al  quale  uopo 

10 


--  146- 

bastava  ne*  tempi  andati ,  e  basta  ancora  a'  popoli  orientali  nn 
despoto,  che  metta  spavento  fin  col  guardo.  Però,  sebbene  questi 
lo  abbiano  più  in  riverenza  quando  temibile,  che  quando  ama- 
bile, e  sebbene  di  regola  anche  altrove  sia  più  sicuro  un  dinasta 
temuto,  che  amato;  bisogna  por  mente  altresì  alle  eccezioni. 
E,  trovandosi  popoli,  che  solamente  un  re  buono  comporte- 
rebbero, e  re  altresì,  che  spezzerebbero  lo  scettro,  piuttosto 
di  esser  malvagi;  cercare  in  altrui  di  suscitarne  o  fortificarne 
r  amore.  Un  sommo  grado  di  venerabilità  per  altro  è  necessario 
assai  più  ai  re  amati,  che  ai  temuti,  specialmente  quando  privi 
di  real  potere.  Perchè,  se  mai  con  una  ignobile  e  bassa  vita, 
vera  o  supposta,  si  rendessero  altrui  spregevoU,  oh  dove  sareb- 
be ita  la  loro  maestà?  Certo  chi  volesse  nelle  predette  eccezio- 
nali circostanze  spegnergli,  non  avrebbe  miglior  via  a  tenere ^ 
che  tufiargli  nelle  abiezioni  o  simularle  :  aflinchè  la  pubblica  fama 
se  ne  impadronisca ,  e  di  sbieco  fin  neir  aule  de'  tribunali  gli 
trascini.  Allora  a'popoU  si  potrebbe  dire:  voi  pretendevate  di 
aver  bisogno  di  que'  fastìgi ,  per  tenere  gli  animi  cheti  e  obbe- 
dienti; e  non  vi  avvedete,  come  sono  caduti  nel  fango?  Se  non 
che,  prescindendo  pur  da  ciò,  il  miglior  modo  di  farsi  voler 
bene  è  anche  pe'  principi  Y  operarlo.  E  a  questo  per  lo  appunto 
interclude  loro  ogni  adito  il  reggimento  borghese,  come  tosto 
sono  per  dire. 


GII.  Miaeria  de*  prineipi  iKirglieaL 

Il  naturale  officio  de'  prìncipi  e  il  solito  vanto  de'  tiranni,  non 
che  il  segreto  della  formazione  e  della  forza  di  ogni  monarcliia 
(come  la  storia  universale  ammaestra,  e  in  una  guisa  assoluta), 
è  difendere  il  popolo  contro  i  grandi  e  tutelare  gli  oppressi.  E 
giuravano  del  resto  fino  i  barbari  duci  di  essere  numdualdi  ddle 
vedove,  degU  orfani  e  de' poveri.  Se  non  che,  tale  ufficio  essen- 
do naturalmente  a' re  tollerati  dalla  plutocrazia  vietato  (poiché 
sarebbe  la  rovina  della  medesima),  facile  è  argomentare,  quali 
ne  fieno  per  loro  in  futuro  le  conseguenze  immancabili  Ei  deb- 
bono apporre  la  lor  firma  anche  agU  atti  odiosi,  come  i  cosi 
detti  gerenti  ne'  giornali  incriminabili  :  e  in  certi  luoghi  i  famosi 
fautori  del  dogma  costituzionale,  «  che  non  si  deve  esporre  U 
corona  »,  sono  i  primi,  non  appena  si  sentano  in  disagio,  t 


-  147  - 

rovesciarne  Y  odiosità  su  loro.  Mentre  sono  a  ciò  astretti,  e 
mentre  le  straziate  plebi  gli  esortano  in  vano  a  proteggerle,  ei 
debbono  udirne  i  lai,  e  forse  sentirne  pietà,  senza  potere  in  al- 
cun modo  soccorrerle.  Qual  seguito  e  qual  gloria  troverebbe  un 
principe ,  il  quale  ascoltasse  anche  questo .  «  grido  di  dolore  »  ; 
e  si  proponesse,  dopo  vendicata  la  patria  col  brando,  di  voler 
essere  de'  ceti  conculcati  vendicatore  colle  leggi ,  io  noi  vuo'  dire. 
Cbè  sarebbero  tali  e  tanti,  da  mettere  in  petto  ad  ogni  uomo 
libero  sgomento;  se  0  vendicatore  non  avesse  di  Agide  III  e  di 
Qeomene,  che  simile  impresa  virtuosamente  tentarono,  insieme 
co'  semplici  costumi  e  colla  ci  vii  modestia ,  la  dorica  tempra  e 
il  culto  ai  santi  ordini  di  Licurgo.  Ma,  s' ei  non  possono,  i  mo- 
narchi borghesi,  con  veruna  maniera  di  pubblica  azione  operare 
il  bene  (tranne  che  appena  indulgendo  a' colpevoli);  potessero 
almeno  rendersi  colla  magnificenza  e  colla  carità  grati  I  Simili 
in  vece  ai  numi  impassibili  e  impotenti  di  Epicuro,  ei  debbono 
essere  supplicati ,  senza  aver  modo  di  fare  a'  supplicanti  benefi- 
cio; e,  in  ricambio  delle  offerte  e  degli  incensi,  di  far  scendere 
sulla  terra  qualche  rugiada  e  qualche  splendore.  Invidiava  il 
magno  Alessandro  al  valoroso  Pelide  V  eterno  canto  d' Omero  :  e 
da  esso  a  Napoleone  tutt'  i  trionfatori ,  che  apparvero  cinti  ai 
posteri  di  luminosa  aureola,  debbono  alle  lettere  ed  alle  arti  la 
propria  immortalità.  Da'  popoli  anzi ,  che  non  si  figurano  i  principi , 
se  non  quali  usurpatori  del  comune  stato,  non  hanno  questi  altri 
mezzi  di  farsi  sopportare,  se  non  quella  gentilezza  e  quella  libe- 
ralità, che  Pisistrato  e  Pericle  in  Atene,  e  tra  noi  i  Medici  e  gU 
Estensi  e  quasi  tutti  gli  antichi  nostri  signori  usarono.  Le  lettere 
e  le  arti  sono  pur  troppo  le  uniche  allettatrici  sirene,  mercè  cui 
presso  codesti  popoli  doventano  i  principi  orrevoli,  e  fino  i  tiran- 
ni decenti.  E  adunque  chi  gli  volesse  spegnere ,  non  avrebbe  mi- 
glior via  a  tenere,  dopo  quella  dianzi  accennata,  che  di  farle  esu- 
lare dalle  lor  corti  affatto.  0  di  far  si,  che  non  un  poeta,  non  uno 
storico,  non  uno  scultore,  non  un  pittore  traggagli  dall'oscurità; 
e  che  non  sentano  veruno  degl'  incanti  del  bello;  e  che  pregino  più 
un  cavallo  d' un  monumento,  più  una  caccia  d' un'  epopea ,  più  un 
valletto  d'un  savio;  e  che  tra'  triviali  e  ignobili  esercizi  sino  all'  in- 
coronata brutalità  di  Ferdinando  IV  di  Napoli ,  se  possibile,  spro- 
fondino. Se  non  che,  quando  pure  il  genio  de' predetti  monarchi 
incitassegli  ad  essere  magnifici  e  caritatevoli,  o  rispettassero  al- 
meno i  cortigiani  la  dignità  loro  e  la  propria;  la  borghesia  non  ne 


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consente  loro  i  mezzi.  Per  quanto  le  sue  cosi  dette  Uste  dviH  (per- 
chè parla  ella  sempre  con  questi  vocaboli  da  banco)  sembrino 
^normì,  considerata  la  povertà  delle  nazioni,  che  le  pagano;  sono 
tuttavia  insufficienti  a  mantenere  il  prestigio  del  principato.  Av- 
vegnaché in  una  repubbUca  i  cittadini  stessi  premiano  i  valorosi; 
e  in  questa  forma  di  stato  il  plauso  pubblico  ed  anche  un  sem- 
plice serto  di  verde  alloro  hanno  cotal  valore,  che  niun  gran  cor- 
done e  niun  grande  appannaggio  dinastico  ponno  equiparare  mai. 
In  vece  e  sopra  tutto  nelle  monarchie  borghesi  (  scodo  ne*  capitoli 
de'  bilanci  prefisse  le  pubbliche  spese,  e  con  tutta  queUa  lesineria 
e  grettezza,  eh' è  agevole  indovinare)  rimangono  tali  e  tanti  bisogni, 
e  massime  quelU  del  pubblico  decoro  e  della  pubblica  pietà,  a' 
quali  se  non  provvedono  i  prìncipi,  chi  può  provvedere?  Ora, 
non  isprecassero  eglino  in  veruna  guisa  il  loro  peculio,  e  tenes- 
sero anche  la  stretta  e  sordida  masserizia  delle  case  d' Orleaoo 
e  d' Inghilterra  ;  non  possono  a'  medesimi  far  fronte ,  che  con 
un'  impari  lotta  e  una  successiva  rovina.  Commetter  statue  e  qua- 
dri, erigere  palagi  e  templi,  sollevare  dalla  obblivione  i  dotti  e 
i  prodi,  mantenere  alle  reggie  il  lustro,  ricevere  gli  ospiti  regal- 
mente, largheggiare  nelle  peregrinazioni  e  non  una  mano  respiiH 
gere,  che  chieda  aita,  non  possono.  E,  quando,  seguendo  gl'im- 
pulsi del  cuore  e  le  naturali  propensioni  del  grado,  cadono  nel 
vano  conato  affranti;  i  borgomastri  naturalmente  sopraggiungono 
e,  dopo  avergli  condotti  in  limine  di  fallimento,  gli  dichiarano 
pupilli. 


ail.  OikiidU  de'priadpi  b«rgk6iL 

Io  ho  in  questa  descrizione  de'  monarclii  apparenti  delle  |dft- 
bi  censite  parlato  in  astratto  :  non  tanto,  perchè  in  concreto  sianù 
divietato;  quanto  per  la  ragione  anzi  ripetuta,  che  vaw  deter- 
minate persone  di  qualsivoglia  specie  non  ho  veruna  ragione 
d' odio ,  e ,  avendola ,  non  lo  saprei  sentire.  Per  fermo  quelle,  che 
doppiamente  si  rendono  pubbliehe  (e  per  essere  congiunte  t  n 
istituto  e  per  appartenere  alla  storia  ),  hanno  il  buono  o  triste 
privilegio  di  dover  essere  senza  misericordia  osservate,  anche  neBe 
loro  più  intime  qualità.  Però,  quanto  a  quelle,  di  che  io  avrei 
potuto  parlare  in  concreto,  dichiaro  qui  esplicitamente,  che  le 
opere  egregie  da  loro  compiute  per  la  patria  e  le  motte  vMi 


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eccitano  in  me  un'  ammirazione  e  una  riverenza ,  da  uomo  bur- 
bero veramente  e  che  sprezza  il  servire,  ma  sincere.  Io  non  atr 
tesi ,  che  le  spoglie  di  Vittorio  Emanuele  li  fossero  rinchiuse  nel 
feretro ,  per  onorarlo  di  postumi  onori  :  si  V  ho  in  vita  salutato 
campione  d' Italia.  Né  ommetto  in  queste  ruvide  ed  aspre  pagme 
di  salutare  Umberto  I,  immacolato  e  intrepido  cavaliere,  degno 
del  padre  e  degli  avi,  e  di  esser  capo  di  una  nazione  libera  e 
virtuosa.  Nondimeno ,  se  i  monopolisti  e  i  manipolari ,  che  e'  in- 
tendiamo, abbiano  anche  in  Italia  avventurato  e  degradato  il 
monarcato  nella  guisa  anzi  descrìtta,  io  mi  asterrò  di  giudicare. 
S'ei  non  lo  negassero,  dovrebbon  confessare,  che  peggio  non 
potean  fare  per  rovinarlo;  né  saprebbono  quale  scusa  allegare. 
Forse  di  aver  voluto  (  da  que'  Tirooleoni  e  Bruti  reconditi  e 
incompresi ,  che  fossero  )  costituirlo  e  indirizzarlo  siffattamente , 
che  avesse  a  precifHtare,  o  ahneno  a  stare  in  piedi  come  un 
fantasma?  In  tal  caso  per  altro  ei  lo  avrebbono  tradito;  né  tale 
tradimento  si  può  passar  buono,  e  né  anche  supporre.  La  va- 
cillante e  infida  fortuna  del  resto  de'  regni  odierni  non  sarebbe 
proceduta  per  merito  loro  ;  e  né  a'  popoU  oppressi  dalle  loro 
barbariche  costituzioni  gioverebbe.  Si  vede  in  fatti  chiaro,  in 
questo  secolo  e  in  molte  contrade,  la  professione  de'  regnanti  es- 
sere molto  ardua.  E  che  anzi,  quasi  colpiti  da  un  contagio  spe- 
dale, 0  perdono  il  sogUo  (  come  in  Francia  e  Spagna  ),  o  non  vi 
si  possono  tener  saldi,  che  capitolando.  Il  qual  sintomo  a  che 
accenni  in  un  futuro  non  molto  remoto,  non  é  qui  luogo  di  dire. 
Basti ,  che ,  se  questi  regnanti  serbano  o  perdono  la  propria  auto- 
rità ,  non  viene  da  questo  o  queir  artificio  ;  si  dall'  avere  o  non 
la  medesima  nello  spazio  e  nel  tempo  radici.  Date  un  popolo,  che 
possegga  certi  costumi  e  certe  virtù  ;  e  voi  avrete  una  repubblica 
genuina  e  ferma.  Date  un  altro,  che,  seguendo  un  processo  sto- 
rico inevitabile ,  si  avvii  lentamente  all'  emancipazione ,  ma  che 
precariamente  soggiaccia  a  una  lega  di  occulti  oligarchi  ;  e  avrete 
una  monarchia  posticcia  e  caduca.  E  ciò  naturalmente  è  provvi- 
denziale :  che  sia  poi  anche  utile ,  rispetto  a  quel  periodo  di  tran- 
sizione, che  il  secondo  popolo  dee  attraversare,  non  lo  crediate. 
Anti  tutto  manca  la  sincerità:  e  meglio  alla  prima  saria  prescri- 
vere a  questi  repanti  gh  ordini  del  dogato,  mercé  cui  sapessero 
^  altri  ed  egU  medesimi  le  loro  attribuzioni;  anzi  che.assidere 
la  menzogna  fin  sul  vertice  della  politica  piramide.  Poi,  quando 
in  ona  data  forma,  la  feUcità  dello  stato  e  la  essenza  del  governo 


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si  fecero  da  tre  podestà  consertate  dipendere;  annientar  quella, che 
doveva  le  altre  due  contenere  e  moderare,  è  precisamente  sdorre 
il  freno  a',  predetti  oligarchi,  e  sul  popolo  stringere  vie  più  il  giogo. 
Dicano  mo  que'  tali ,  che  sempre  hanno  le  britanniche  frasi  sulle 
labbra,  e  che  non  so,  come  non  abbiano  anche  qui  iotrododo 
il  <c  cancelliere  dello  scacchiere  »,  il  «  guardiano  della  borea  pri- 
vata »,  il  c(  gran  falconiere  »  e  tutte  le  altre  stupende  rarità 
della  corte  britannica  ;  dicano,  che  ne  sarebbe  colà  della  corona,  se 
non  vi  godesse  un  omaggio  incontestabile  ?  Dove  per  contrario  non 
ci  ha  né  tradizioni ,  né  abitudini ,  né  pari ,  né  comuni ,  né  niente  di 
reale  e  di  vero;  facile  é  capire,  qual  debba  la  sorte  del  popolo 
essere,  a  cui  manca  fìn  T  ultimo  rifugio  de'  servi  rejetti,  il  trono. 


CIY.  Senato  nel  reggimento  borglieae. 

Veduto,  che  sia  nelle  monarchie  borghesi  in  genere  la  cod- 
dizione  del  principato;  veggiamo  ora,  quale  in  Italia  quella  de' 
due  corpi  politici,  che  dovrebbono  con  esso  dividere  la  sovranitL 
Noi  abbiamo  per  ventura,  se  non  un  senato  d' Italia,  un  senato  dd 
regno,  come  é  d'  uopo  secondo  lo  stile  di  legge  chiamarlo:  ma, 
che  cosa  questo  veramente  qui  rappresenti,  io  non  so.  La  natura 
essenziale  di  qualsivoglia  senato,  lo  si  dovesse  nel  mondo  ddla 
luna  concepire ,  é  di  essere  un'  aristocrazia  :  né  ve  ne  può  esser 
altra,  se  non  che  d' icore  o  di  valore.  Fino  a  un  certo  punto  an- 
che la  prima  in  date  contingenze  può  esser  legittima,  come  io 
Roma,  in  Venezia  e  in  parecchi  altri  nostri  comuni.  Dove  i  primi 
abitatori,  avendo  fondato  lo  stato,  e  mantenutolo  cerila  propria 
virtù,  doventarono  naturalmente  padri  e  patrizi,  e  dieroDO  fin 
alla  patria  il  nome.  Né  si  possono  affatto  rimproverare ,  se  a' 
nuovi  venuti  non  accomunarono  tosto  tutte  quelle  prerogative,  di 
cui  costoro  il  merito  non  aveano,  né  conoscevano  il  pregio.  Qual- 
che cosa  di  simile  potrebbe  la  baronia  inglese  accampare,  avendo 
colla  sua  ostinata  costanza  ai  Plantageneti  e  a'  successori  strap- 
pato la  magna  carta  e  le  altre  posteriori  franchigie  della  nazio- 
ne. Qui  in  veruna  di  tali  contingenze  ci  trovavamo;  e  di  giunta  le 
erano  qui  cosi  diverse  e  disformi ,  che  il  pensiero  di  un  senato 
gentilizio  non  venne  pure  in  mente.  Anzi  tutto  occorreva  conten- 
der molto,  per  poter  decidere  chi  siano  più  nobili  in  Italia,  i  ti- 
tolati 0  i  plebei.  E  le  ricerche ,  che  di  sopra  io  fed  per  rio- 


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tracciare  la  genesi  de' nostri  celi  sono  forse  più  ai  secondi,  che 
ai  primi  propizie.    Supponendogli  nobili  tutti  (com'io  credo, 
che  siano   gV  italiani ,  e  insieme  co'  greci  d'  alta  prosapia  cele- 
ste); se  non  trattasi,  che  della  nobiltà  stemmata,  questa  era  già 
da  lunga  pezza  morta.  Non  vi  era  qui ,  al  fondarsi  del  nuovo 
regno,  più  alcun  ceto,  che  possedesse  speciali  prerogative;  né 
più  alcuno ,  che  le  potesse  pretendere.  Questa  nobiltà  pure  era 
stata  passata  sotto  il  giogo  :  e ,  quando  lo  si  ruppe ,  que'  tali  di 
essa ,  eh'  erano  nobili  davvero ,  si  dimostrarono  tali  colle  opere 
e  non  colle  pergamene.  E  si  fusero  col  popolo,  di  cui  sono  i  più 
cospicui  ornamenti,  mille  volte  più  della  borghesia.  Gli  altri, 
tranne  il  nome,  altro  di  nobile  non  serbano  :  e  in  pochi  anni  per 
influsso  de'  gesuiti,  che  gli  educano  e  accarezzano,  e  de'  gallici  e 
belgici  esempi,  vanno  ostentando  un  non  so  quale  legittimismo 
bullo  colle  giaculatorie  e  colle  cerimonie ,  che  non  s'  era  qui 
mai  in  passato  sotto  la  peggiore  servitù  veduto.  E  il  quale  del 
resto  non  potrebb'  essere  più  ridicolo ,  se  gì'  illustrissimi  cada- 
veri ambulanti  non  ispargessero  intorno  a  sé  il  lezzo  delle  bla- 
sonate sepolture.  Fatto  sta ,  che  per  tali  cause ,  sendovi  da  un 
lato  una  nobiltà  magnanima,  e  dall'altro  una  cadaverica,  e  non 
ci  essendo  quindi  materia  per  prerogative  di  stirpe,  la  borghesia 
paté  e  può  senza  contrasto  despoteggiare.  Or  qui ,  appellandomi 
nuovamente  all'  anglica  sapienza  de'  nostri  dottrinari  e  moderati  ; 
chieggo  loro,  che  sarebbe  della  costituzione  d' Inghilterra,  se  colà 
quella  eulta  e  superba  aristocrazia  sparisse!  Ma  anche  altrove  si 
vede,  il  sistema  costituzionale  meno  infelicemente  approdare,  ove 
un  serrato  ordine  di  magnati  o  di  diritto  o  di  fatto  prevale,  come 
in  Isvezia,  Danimarca,  Germania,  Ungheria  e  nello  stesso  Belgio. 
Ed  essere  poco  meno  di  un  vano  simulacro,  ove  soggiacque,  co- 
me in  Francia  e  Italia,  all'  avverso  fato.  Il  che  spiega,  come  que- 
ste due  Provincie  più  irrefrenata  e  oltracotante  sopportino  la  op- 
pressione del  terzo  ceto ,  che  il  rimanente  d' Europa. 


GY.  IHsntmtà  de' senatori  borgbed. 

Se  adunque  non  si  poteva  qui  costituire  un  consiglio  di  mag- 
giorenti a  titolo  ereditario ,  Y  altro  mezzo ,  che  restava  e  veniva 
necessariamente  additato ,  era  di  fondarlo  sul  merito.  E  sarebbe 
stato  il  migliore  :  e  gran  causa  di  vanto  e  di  gloria  all'  Italia  ne' 


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secoli  venturi,  di  avere  la  prima,  cogliendo  la  necessità  al  virio, 
riverita  la  sovranità  eterna  de'  forti  ingegni  e  de'  gagliardi  cuori; 
conciossiactiè  i  veri  ottimati  siano  appunto  gli  ottimi.  Vedremo  io 
seguito,  tra  gli  ai*cani  di  regno  della  borghesia,  dood'  esuma  elh 
i  suoi  geronU.  Sin  d'ora  è  agevole  congetturare,  scodo  il  merìfo 
una  merce  troppo  vile  per  essa,  e  non  valutata  ne'  listini  di  borsa, 
quanto  ne  lo  avesse  in  dispregio.  Da'plausi  dell'Italia  appena  risorta, 
e  dalle  troppo  recenti  memorie  de'  beneficii  e  de'  martini,  fu  elli 
ben  costretta  da  principio  a  porre  in  sulle  sedie  curuli  molti  va- 
lorosi e  molti  sapienti.  Ma,  quando  il  merito  non  fosse,  che  ma 
semplice  reminiscenza  ;  ed  ella  vi  potesse  scriver  sopra,  come  in 
su'  letti  degli  spedali  :  cronici.  Onde  in  effetto  è  seguito  quello , 
che  si  doveva  aspettai*e  :  che  non  avesse  V  amplissimo  consesso 
autorità,  né  volontà  alcuna.  Avvegnaché  non  chiamo  v<^ODti 
qualche  velleità,  eh'  esso  abbia  tal  volta  potuto  mostrare  di  aver 
propositi  propri,  come  (  per  esempio)  contrapponendosi  all'altro 
consiglio  per  conservare  l' infame  ministero  del  carnefice.  E  che 
sorta  del  resto  di  giuridici  lumi  abbia  con  tali  deliberazioni  ma- 
nifestato, e  d' interessi  conservativi  propugnato,  lascio  altrui  giu- 
dicare. Certo,  per  poche  deUberazioni,  con  cui  simulò  atteggiarsi 
a  competitore  dell'  altro  consigho  ;  non  viene,  eh'  esso  possa  dire 
di  possedere  un  valido  arbitrio.  Già,  se  non  in  semplici  contro- 
versie metafìsiche  ;  ma  in  cose  attinenti  al  reggimento  effettivo 
deUo  stato,  accennasse  avere  un  parer  contrario  a  quello  degli  ef- 
fettivi i*eggitori,  questi  hanno  modo  di  deluderlo,  introducfifr- 
dovi  nuovi  elementi.  Imperocché  é  ammesso,  che  questi,  perestor- 
cere  i  voti  desiderati ,  possano  con  nuove  nomine  (  o  oom'  et 
dicono  con  voce  da  panattieri  )  infornate^  ottenere  la  maggiorili 
occorrente.  E  in  tal  caso,  se  la  volontà  loro  o  quella  del  senato, 
com'  era  anteriormente  composto ,  prevalga ,  non  ho  pur  d'  uopo 
di  dire.  Senza  di  che,  discutendosi  e  deliberandosi  nell'altro 
consiglio  il  bilancio ,  eh'  é  il  fulcro  (  come  puossi  fin  d' ora  ca- 
pire) del  meccanismo  politico  borghese,  e  in  genere  le  cose  più 
importanti  prima  o  più  largamente;  tutta  la  vita  o  almeno  quella, 
che  per  la  trachea  spira,  tutta  nel  medesimo  si  concentra.  In  pnn 
tica  poi  accade  anche  peggio:  dacché  con  una  disinvoltura,  che 
sfida  la  verecondia,  si  osa  le  cose  piii  importanti,  su  cui  potreb- 
besi  un  buon  mese  consultare,  e  per  fin  quelle,  che  non  sofflroDO 
indugio,  proporre  al  senato,  proprio  alla  vigilia  del  di,  in  che  il 
comune  parlamento  de'  due  consigli  ha  termine.  Di  modo  che 


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esso,  non  avendo  né  tempo  di  consultare,  né  modo  di  prorogare 
le  consulte,  per  non  privare  lo  stato  degF  indispensabili  e  urgenti 
provvedimenti,  dee  di  necessità  chinare  il  capo  alla  jugulcusione 
inflittaglL  E,  se  questa  sia  autorità,  efficacia,  serietà,  o  che  cosa 
altro  sia,  lascio  parimenti  altrui  giudicare.  Che,  se  i  predetti  bar- 
bassori ,  come  a  proposito  de'  monarchi  da  lor  rovinati ,  rispon- 
dessero ,  di  aver  qui  inteso  un  semplice  gerontocomio  fondare  ; 
allora  oh  dove  vanno  le  famose  loro  teoriche  costituzionaU  ?  Se- 
condo le  quali  dovea  questo  senato  essere  V  arca  del  senno ,  il 
sostegno  dell'  ordine ,  il  contrappeso  degli  altri  istituti  ;  questo 
senato  inutile.  E  dunque,  se  né  i  monarchi,  né  esso  hanno  una 
vera  e  reale  podestà ,  oh  chi  dunque  \  avrà  ?  Parrebbe ,  che  la 
dovesse  il  popolo,  od  almeno  il  secondo  consiglio  avere:  ma 
ora  farò  palese,  che  nemmen  questo. 


GYI.  Congegni  parlamentari. 

Anzi  tutto  il  popolo,  escluso  da'  suffi*agi,  non  ha  voce  in  par- 
lamento :  e  non  potrebbe  averla  direttamente  o  indirettamente , 
che  un  ceto  privilegiato  o  il  satellizio  de'  rispettivi  clienti.  Pre- 
scindendo da  ciò  (poiché  io,  quantunque  da  solo  combatta,  ho 
Della  verità  tante  armi,  da  poterne  gittar  via  buona  parte),  con- 
sentirò alla  contraria  oste,  il  cui  numero  sdegno  contare,  un  gran 
beneficio.  Le  consentirò  niente  meno,  acciocché  abbia  maggior 
probabilità  di  vincermi ,  che  il  popolare  consiglio  o  (  come  lo 
chiama  ella  nel  suo  gergo  cosmopolitico  )  la  camera  dei  depu^ 
tati,  sia  davvero  e  del  tutto  popolare;  e  non  un  mero  consiglio 
borghese,  come  per  avventura  potrebb'  essere.  Rimanderò  anche 
ad  altro  luogo,  e  tra  gli  arcani  di  regno,  il  discorrere  delle  qua- 
lità personali,  che  i  mandatari  della  borghesia  debbono  avere.  E 
supporrò  qui,  eh'  e'  siano  tutti,  invitti  tribuni  del  popolo,  e  altret- 
tanti Gassii ,  Manlii ,  Stoloni ,  Gracchi  e  Fiacchi.  Ciò  non  ostan- 
te, la  predetta  camera  é  cosi  lunge  dall'  essere  una  medesima 
cosa  con  la  nazione,  cui  crede  di  rappresentare,  che  questa, 
oeppur  espiandone  duramente  gli  errori ,  se  ne  ha  per  intesa.  Il 
qual  (atto  può  procedere  anche  dal  non  curarsi  questa  d' istituti , 
cai  non  ama  e  non  éomprende  :  ma  principalmente  procede  perché 
quella  per  la  sua  propria  natura  non  ha  niente  di  comune  con 
essa.  E  certamente  di  tal  fatto  non  se  ne  accorgono  que' Gassii, 


-  154- 

Manlii  eccetera,  che  forse  non  si  sono  manco  curati  d' interfogir- 
sìy  se  i  provvedimenti  da  loro  decretati  fossero  mai  dalia  oaziODe 
acconsentiti.  Perchè  sarebbe  molto,  se,  computando  a  nM)*di  ra- 
gionieri (come  si  usa  ora),  il  dieci  per  cento  de'  medesimi  avene 
avuto  gr  intimi  suffragi  dell'universalità.  Mentre  in  verità  Ibisogae- 
rebbe  esser  ciechi  per  non  avvedersi  almeno,  che  questa  né  la  gra- 
vezza del  macinato,  né  quella  tale  operazione  suir  asse  ecclesiasiico, 
né  simili  altre  carezze  le  avrebbe  volute.  Qui  mi  potrebbero  gli 
avversari  rispondere  :  eh'  ella  si  sarebbe  ingannata,  e  che  non  me- 
ritava esser  compiaciuta  né  nella  sua  spilorcia  renitenza  a  con- 
tribuire a' pesi  dello  stato,  né  nelle  sue  cattoliche  superstiziooii 
Or  dunque  ammettiamo,  eh'  ella  s' ingannasse  e  che  la  non  dovesse 
essere  punto  compiaciuta:  in  tal  caso  però  voi  sostituiste  al  suo 
giudizio  il  vostro,  ed  alla  sua  la  vostra  volontà.  Vi  mostrerò  lira 
poco,  che  voi  non  rappresentate  nemmeno  la  volontà  vostra:  ma 
supponiamo,  che  si,  e  che  la  sia  retta  e  giusta.  Tanto  basta  per 
concludere,  che  nelle  deliberazioni  della  camera  predetta,  la  vo- 
lontà della  nazione  non  ci  entra  punto,  o  può  essere  preterita.  E 
in  un  sistema,  che  si  fondava  sul  concorso  e  sull'  accordo  di  tre 
volontà,  e  la  prima  e  la  seconda  sono  sparite,  e  voi  fate  (HH  spa- 
rire anche  la  terza;  ditemi  ora  voi,  che  resta. 


CVII.  Prepotenn  apparento  del  reler  de'  pik 

Volendo  rintracciar  le  ragioni  di  ciò,  io  credo,  tra  le  molte, 
che  potrei  addurre  d' indole  accessoria  e  particolare ,  su  due 
principali  e  generali  arrestarmi.  La  prima  delle  quali  Io  avere 
instaurato,  come  sorgente  d' impero ,  il  cosi  detto  voler  de*  più, 
che  poi  si  traduce  nel  voler  de*  meno,  come  sto  per  chiarire. 
Evidentemente,  quando  in  qualsivoglia  corpo  o  collegio  occorre 
alcun  partito  prendere,  é  giocoforza  commettersi  a'  voti  maggiori. 
Questo  però  non  si  deve  intendere  in  un  senso  assoluto;  e  doè 
non  nel  senso,  che  una  qualsiasi  cospirazione  di  voleri  possa  ren- 
dere intrinsecamente  legittimo  un  atto  alla  giustizia  contrario:  né 
eh'  essa  possa  sempre  nelle  cose  di  grave  nìomento  bastare.  Al- 
meno in  astratto  si  dee  supporre,  per  poter  dire  propria  del  po- 
polo una  data  determinazione,  che  non  la  maggior  porzione  di 
esso,  ma  (|uasi  tutto  la  desideri.  Alurimenti  questa  e  le  altre  por- 
zioni non  saranno,  che  da  ona  semplice  lega  disuguale  oongiuote 


—  155  - 

(come  nella  confederazione  americana  settentrionale  accade  ora), 
piuttosto  che  formare  un  solo  stato  omogeneo.  E,  quanto  durino 
le  leghe,  al  venir  meno  il  reciproco  beneplacito  interno  de'  colle- 
gati, gli  uomini  versati  nella  diplomazia  sanno.  La  romana  chiesa 
conseguentemente,  per  la  romana  tradizione  maestra  in  queste 
cose,  richiede  ne' concili  V  unanimità  almeno  presunta;  racco- 
mandando a  tutt'  i  padri  congregati  di  accedere  alla  medesima 
sentenza ,  e  gli  stessi  dissenzienti  ritenendo  assenzienti  in  futuro. 
Ciò  è  naturale:  perchè,  se  vi  fosse  una  frazione  piuttosto  note- 
vole dissidente,  lo  scisma  non  tarderebbe  a  spuntare;  né  si  po- 
trebbe dir  più  concorde  la  sentenza  approvata.  Or  ciò  a  un  di 
presso  interviene  anche  nelle  bisogne  civiH  di  grave  momento; 
perchè,  se  una  semplice  maggioranza  di  voti  i  relativi  provvedi- 
menti approva,  questi  si  potranno  dire  imposti ,  non  già  concor- 
dati Tal  che,  se  (per  esempio)  ne'  plebisciti  e  meglio  ne'  sospiri  de- 
0i  animi,  che  costituirono  la  italica  unità,  non  ci  fosse  stata  quella 
quasi  unanimità,  di  cui  dianzi  ho  dato  le  cifre,  ma  una  frazione 
piuttosto  notevole  l'avesse  riprovata;  ella  sarebbe  assai  men  salda. 
Il  che  puossi  anche  ad  altre  azioni  pubbliche  appUcare;  e  ve  ne 
avvedreste  tosto,  non  appena  quella  maggioranza  e  le  rispettive 
minoranze  secondo  le  circoscrizioni  geografiche  si  disegnassero, 
come  r  unità  se  n'  andrebbe.  E ,  sebbene  questo  per  somma  beni- 
gnità de'  cieli  tra  noi  non  sia  ancora  accaduto ,  se  non  per  hevi 
differenze  e  d' indole  piuttosto  amministrativa,  che  politica;  anche, 
preterendo  da  quelle  circoscrizioni,  lo  intestino  dissidio  è  fatale. 


CVIII.  Prepotensa  reale  del  voler  de*  meno. 

Oggi,  col  pretestato  voler  de'  più,  le  più  enormi  cose  si  com- 
piono :  ma ,  se  questi  più ,  in  oltre  ventisette  miUoni  d' uomini , 
sono  due  o  quattrocento  mila,  è  il  maggior  numero,  che  possano 
essere.  Vedremo  in  seguito,  come  la  cosi  detta  pubblica  opinione 
si  fabbrichi ,  e  conseguentemente  come  si  falsifichi  la  pubblica 
volontà.  Limitando  ora  le  nostre  considerazioni  a'  semplici  isti- 
tuti di  legge,  la  massima  parte  de'  partiti  passano  intanto  ne'  con- 
sigli per  una  semplice  maggioranza.  La  quale  è  quella  precisamente, 
che  sostiene  o  combatte  i  depositari  mutabiU  della  potestà  ese- 
cutiva; né  di  altre  ragioni  si  cura.  Almeno,  poiché  la  nazione 
Qon  partecipa  direttamente  alle  deliberazioni,  come  nelle  antiche 


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repubbliche  ;  potesse  ndirettamente ,  per  mezzo  de'  suoi  oratori , 
partecipare  !  In  vece  anche  nel  momento ,  in  cui  ella  delega  la 
propria  sovranità ,  e  in  cui  quindi  tutt'  i  cittadini  dovrìeoo  iiegU 
opposti  pareri  essere  rappresentati,  ella  non  ha  modo  di  eleggere, 
che  quelli  dalla  maggioranza  voluti.  Già,  facendosi  gli  squittini  per 
circoli  determinati,  ne  viene,  che  ciascun  elettore  non  possa,  se  non 
tra  due  o  tre  persone  designate  determinarsi  ;  anzi  che  per  quella, 
cui  avrebbe  preferito.  Se  il  candidato  della  sua  coscienza  non 
ha  il  favore  delle  prefetture,  de'  comitati,  de'  giornali  e  degli  altri 
patronati ,  o  se  non  quello  almeno  d' un  buon  numero  di  elettori 
del  luogo  ;  è  inutile ,  egli  si  rechi  all'  urna.  Non  gli  resta  quin- 
di, che  scerre  tra'  due  o  tre  proposti ,  V  uno  de'  quali  avrebbe  il 
suo  pensare  e  non  la  capacità ,  V  altro  la  capacità  e  non  il  suo 
pensare,  il  terzo  queste  due  cose  senza  l' onestà.  L' onestà  essendo 
una  fisima  d' altri  tempi,  e  la  capacità  stessa  una  frottola,  innanzi 
alla  burbanza  de'  propri  infallibili  pregiudizi ,  facilmente  propen- 
derà a  quest'  ultimi.  Ad  ogni  modo  o  egli  è  costretto  di  nuo- 
vo a  ritrarsi  dall'  urna  o ,  recandovisi ,  a  deporre  un  voto  coar- 
tato. E,  in  onta  a  tale  coartazione,  non  ancora  può  la  nazione 
co'  propri  voti  mandare  al  parlamento  gli  oratori ,  cui  desidera  ; 
siccome  è  facile  anche  con  cifre  constatare.  Di  fatti  nelle  508 
cui'ie,  tra  cui  vennero  in  Italia  partiti  gli  elettori  e  i  deputati  da 
eleggersi,  negli  ultimi  squittini  de' 5  novembre  1876,  votarono 
356,437  e  si  astennero  248,tK)7  cittadini.  I  primi  diedero  in  com- 
plesso circa  227  mila  voti  ai  candidati  del  governo,  e  123  mila 
a  quelli  dell'  opposizione  ;  andandone  gli  altri  dispersi.  Ciò  non 
ostante,  riuscirono  eletti,  per  quel  che  si  presunse  allora,  423  candi- 
dati della  prima  e  85  della  seconda  specie.  Questi  ultimi  adunque 
non  furono  nemmeno  la  metà  del  numero,  che  avrebbero  dovuto 
essere,  se  i  voti  di  tutto  il  regno,  anzi  che  quelli  de'  singoli  col- 
legi, si  fossero  computati.  Ma  il  peggio  è,  che  gli  altri,  che  sono 
precisamente  i  padroni  putativi  dello  stato  per  un  dato  tempo^  e 
che  attingono  unicamente  da'  suffragi  il  titolo  del  loro  uiBcii^  non 
avendo  avuto,  che  appena  un  terzo  de'  suffragi  totali  e  possibili , 
non  rappresentano  la  maggioranza  de'  cittadini  né  in  guisa  a»- 
sftluta ,  né  relativa.  Ed  io  parto  sempre  dal  supposto ,  che  cpie' 
605,044  privilegiati  costituiscano  essi,  essi  soli,  l'augusto  popolo 
italiano.  Il  quale  conseguentemente  né  ne'  consigli,  né  ne'  conuzi 
vede  la  le^e  e  artificiale,  ma  comune  e  ipotetica  volontà  sua, 
espressa.  È  vero,  che  questo  sistema  si  può  correggere:  pare. 


-  157  - 

per  quanto  si  corregga,  Y  abuso  del  numero  plurale  in  esso  non 
verrà  mai  meno.  Imperocché  si  potrà  scemare  V  arroganza  delle 
maggioranee  e  la  oppressione  delle  minoranee  puramente  par- 
lamentari ed  elettorali.  La  prepotenza  intrinseca  e  sostanziale  del 
voler  de'  pochi  sotto  la  maschera  del  voler  de'  molti ,  è  troppo 
insita  allo  stato  e  al  reggimento  borghese,  perchè  non  altrimenti 
possa,  che  con  esso  cadere. 


GIX.  Coia  pnbUioa  in  mano  alle  fiudmiL 

L' altra  ragione,  ond*  è  seguito,  che  la  volontà  comune  é  ipo- 
tetica sparisse  anche  dal  supremo  corpo  elettivo  del  regno,  sta 
nel  sostituire  le  fazioni  alla  nazione,  e  i  voleri  di  quelle  al 
voler  di  questa.  Io  tornerò  su  tal  tema ,  descrivendo,  com'  esse 
sieno  penetrate  fin  ne' meati  più  riposti  della  nostra  società,  e 
l'abbiano  guasta  e  contaminata.  Qui  ne  descrivo  l'altissimo  magistero 
nel  nostro  reggimento:  a  proposito  del  quale  sostengono  i  suoi 
corifei ,  che  le  fazioni  suddette  ne  siano  i  più  necessari  e  mira- 
bili congegni.  Dicono  egli  veramente  partiti:  ma,  siccome  que- 
sta voce  in  italiano  significa  proposizione ,  convenzione,  risoluzione 
e  per  sino,  se  apphcata  a  femmine,  peggior  cosa;  debbola  tra- 
darre in  fazioni,  senza  per  altro  annettervi  alcun  senso  ingiurioso. 
Che,  se,  chiamando  le  cose  co'  loro  propri  nomi,  le  si  manifestano 
incontanente...  quel,  che  sono:  sendo  buone,  non  è  mio  il  me- 
rito; né,  sendo  cattive,  la  colpa.  Noto  adunque,  ch'eglino,  non 
polendo  altrimenti  concepire  la  repubblica,  che  come  una  società 
d' individui,  nt)n  sanno  pur  formarsi  l' idea  d' un  governo  continuo 
e  impersonale.  Laonde  non  credono  già,  che  i  reggitori  dal  punto, 
io  che  sono  a  si  eccelso  grado  esaltati ,  debbano  quasi  cessare 
d' essere  sé  medesimi,  e  sovrumanarsi ,  e  non  avere  innanzi  agli 
occhi,  che  la  patria,  senza  maggiore  accettazione  di  questa  o  quella 
persona,  e  di  questo  o  quell'ordine  di  persone  ;  bensì  a  queste  sole 
debbano  por  mente.  Non  le  vorranno  certo  favorire  per  fini  pri- 
vali, né  approfittarsi  per  favorirle  de'  pubblici  mezzi  :  ma  credono 
sioceramente,  che  le  sien  quelle ,  che  formano  il  governo  ;  e  dal 
coi  beneplacito  debbono  eglino  pendere,  e  col  cui  appoggio  reg- 
gere. Se  le  fossero  affatto  isolate,  poco  si  potrebbe  contar  su 
loro:  neir  unità  della  patria  non  le  si  vogliono  fondere:  bisogna 
danque  raccozzarle  in  qualche  guisa ,  affinché  dieno  il  proprio 


-  158- 

appoggio;  ed  ecco  ie  bziODi.  Quando  un  dato  numero  di  persone 
si  accorda  in  una  data  serie  d' intendimenti,  cui  chiamano  eglino 
programma y  mirando  ad  avere  in  mano  la  pubblica  azione,  e 
magari  anche  a  surrogare  le  proprie  voglie  a  quelle  delf  univer- 
sale ;  diviene  pertanto  una  fazione  costituzionale  e  un  istituto  le- 
gittimo. Da  tale  istante  od  ella  è  (come  si  suol  dire)  in  mino- 
ranza, e  deve  assiduamente  e  implacabilmente  contrastare  il  go- 
verno, tanto  se  fa  il  bene,  quanto  se  fa  il  male;  cercando  ogni 
via  per  rovesciarlo  e  per  succedergli.  Oppure  è  in  maggioranza, 
e  deve  crearlo  ella  stessa,  e  come  creatura  propria  plasmarlo  o 
rabberciarlo;  non  d'  altro  curandosi,  che  di  appoggiarlo  co'  propri 
voti  in  ogni  incontro,  per  ogni  motivo,  faccia  bene  o  faccia  male. 
D  governo  quindi  emana  dalla  fazione  maggioreggiante ,  con  cui 
ha  la  sua  vita  indissolubilmente  congiunta,  del  cui  spirito  è  in- 
vaso, e  per  cui  sorge,  sta  e  cade.  Ed  è  anzi  senz'  altro,  come  i 
predetti  corifei  non  si  peritano  di  pronunciare,  il  «  governo  d' un 
partito  D.  Vero  è,  che  questa  formula  od  altra  meno  spudorata, 
la  quale  usavasi  nelle  più  solenni  circostanze  apertamente  proflé- 
rire,  e  dagli  uomini  delle  più  alte  dignità  rivestiti;  venne  di  re- 
cente in  una  certa  circostanza  a  parole  ripudiata.  Se  poi  lo  fosse 
anche  co'  fatti ,  o  non  piuttosto  vie  più  applicata  e  ritorta  con 
tutto  r  accanimento  e  V  orgoglio  della  rivincita,  non  importa  dire. 
Dappoiché  basti  conoscere ,  che  co'  fatti  non  la  potrebbe  essere 
ripudiata  giammai,  né  anche  per  fare  il  bene.  Onde,  se  gV  intemerati 
e  generosi  uomini ,  da  cui  s'  appella  la  presente  amministrazioiie 
(dico  Benedetto  GairoU  e  Giuseppe  Zanardelli)  oseranno  ripudiar- 
la, saranno  fin  dagU  amici  disertati  e  disfatti.  A  tanto  dunque 
Siam  giunti,  che,  senz'  arrossire,  un  qualunque  maniiJOlo  d*  nomini 
parli  d' un  proprio  governo ,  o  d' un  governo  de'  propri  amici  ;  e 
che  la  nazione ,  di  cui  credevamo  noi  gente  alla  buona ,  dovesse 
il  governo  essere,  né  dell'  errore  s'  accorga,  né  dell'  oltraggia 


CI.  Siiteitt  delle  flakiL 

A  questo  punto  i  miei  avversari,  co'  quali  (  come  si  vada) 
spesso  interloquisco,  e  di  cui  cerco  penetrare,  se  possibile,  gii  ar> 
ruflati  e  inconditi  pensieri,  mi  potrebbono  cosi  apostrofiure.  —  Ti 
non  t' avvedi,  teorico  ostinato,  che  sempre ,  da  che  é  mondoi,  h 
direzione  delle  cose  é  stata  nel  pugno  di  taluni,  che,  inalbeniÉo 


-  159  - 

questo  0  quel  vessillo^  »  trassero  dietro  la  innumere  folla.  E  che 
in  quella  medesima  rancida  Italia,  la  quale  si  capisce  ornai  es- 
sere il  tuo  idolo,  e  in  quella  tua  Roma  e  in  que'  tuoi  comuni 
indiavolati ,  le  parti  infuriavano.  —  È  certamente  vero ,  rispondo 
io ,  che  ogn'  idea  ha  bisogno  di  esser  seguita  da  parecchi  p^ 
trionfare.  Ma,  se  appunto  una  qualunque  idea  alle  vostre  fazioni 
mancasse,  queste  non  farebbero,  che  seguir  sé  medesime ,  o  sa- 
rebbero di  occulti  tiranni  mancipie.  E  ad  ogni  modo,  se  Tidea 
non  mancasse,  dovrebbero  propugnarla  ne'  giusti  modi  ;  e  non  già 
usurpando  lo  stato,  e  convertendo  a  dirittura  il  reggimento  in 
un  loro  monopolio.  Quanto  agli  esempi  di  Roma  e  de'  comuni , 
che  mi  recate,  se  fossero  perversi,  dovrebbonsi  rigettare.  Parvi 
però,  che  la  lotta  tra  patriziato  e  plebe ,  oppressori  e  oppressi , 
privilegio  e  parità,  possesso  e  diritto,  vecchio  e  nuovo,  passato  e 
futuro,  essere  e  divenire,  eh' è  la  gran  lotta  del  genere  umano; 
parvi ,  che  questa  lotta  per  sette  secoli  durata  su'  sette  colli  a 
prò'  del  genere  umano  ;  si  possa  alle  vostre  gare  faziose  confron- 
tare ?  E  quelle  stesse  parti  de'  comuni ,  che  del  resto  furono 
quanto  alla  pace  infeste,  altrettanto  di  gloria  feconde,  e  che  in 
sostanza  le  si  accentrano  tutte  nella  gran  contesa  del  ghibellinismo 
e  del  gnelfismo  ;  vi  pare,  che  si  possano  alle  vostre  rimbombanti 
meschinità  paragonare  ?  Questa  contesa  è  tale ,  vedete ,  che  io , 
venuto  tanto  tempo  appresso ,  e  qui  nel  silenzio  della  morte  e 
nella  calma  del  sepolcro,  che  voi  ci  avete  benignamente  largito; 
io  medesimo ,  che  (  a  quel  che  pare  )  ho  concetti  abbastanza  re- 
cisi e  decìsi,  sento,  se  fossi  vissuto  allora,  che  non  mi  avrei  sa- 
puto decidere.  Sarei  stato  ghibellino  con  Dante  e  guelfo  con  Fi- 
renze ;  avrei  sentenziato  co'  dottori  di  Bologna  e  combattuto  co' 
guerrieri  di  Legnano.  Perchè  appunto  la  contesa  suddetta,  che  a 
voi  non  sembra,  che  una  picciola  discrepanza  tra  imperadore  e 
papa,  è  la  gran  contesa  non  ancora  risoluta  tra  umanità  e  nazio- 
nalità, universalità  latina  e  particolarità  italica,  stato  e  municipii, 
poter  sovrano  e  franchigie  locaU,  autorità  e  libertà  :  cose  eterne.  Or 
con  questi  domestici  esempi  temo,  che  voi  stiate  troppo  a  disagio  : 
e  del  resto,  so  bene,  che  non  valgono  niente  per  voi,  al  cospetto 
delle  solite  chincaglierie  inglesi.  Ebbene ,  attraversiamo  la  Ma- 
nica: e,  poiché  colà  sì  avvicendano  nel  reggimento  le  due  fami- 
gerate parti,  e  Y  amministrazione  con  le  medesime  cangia,  eccovi 
il  vostro  ideale.  S' io  dunque  vi  dicessi ,  che  quella  sorta  di  go- 
verno discontinuo  e  personale,  alternativo  e  voltabile,  é  una  cosa 


-  160  - 

barbarica;  so,  die  sarebbe  per  voi  ud  bestemmiare.  Nondhneiio 
quelle  parti,  che  hanno  un  fondo  storico  e  secolare,  rappresmh 
tano  alcun  che  di  fervido  e  di  splendido,  di  reale  e  di  vero;  e 
arieggiano  quasi  la  titanica  tenzone  di  Roma  diami  aceemiala. 
Or,  che  rappresentate  voi,  che  imprese  proseguite,  che  principii  vi 
avete,  che  cosa  in  somma  vi  volete?  —  Per  rispondere  andie  a 
questo,  io  debbo  adesso  delle  nostre  fazioni  la  specie  e  la  natura 
dichiarare. 


CXI.  YarioBi  parUaentari  iiiOlaat. 

Ne*  primordi  del  nostro  ultimo  risorgimento,  e  meglio  ne'  gravidi 
anni,  che  lo  precessero  ;  vi  erano ,  come  ho  raccontato ,  doe  di- 
versi intendimenti  per  affrancare  Y  Italia,  che  potevano  veramenle 
dar  luogo  a  due  parti,  degne  di  cotal  nome  :  e  degne  anche  di 
rispettarsi  a  vicenda,  poiché  chiare  e  distinte  idee  pnrfessavano. 
Gli  uni  volevano,  che  per  propria  virtù  si  afl^^ancasse,  per  opera 
e  per  beneficio  del  popolo,  e  secondo  il  natio  genio  :  questi  chia- 
meremo, tanto  per  intenderci,  cUissici  o  mazziniani.  (Mi  altri,  per 
opera  de' principi  confederati  o  di  un  principe  solo,  colle  sole 
forze  regolari  o  coir  aiuto  straniero ,  a  servigio  della  borghesia 
e  su  esotico  stampo  :  e  questi  chiameremo  romantici  o  cavouriani. 
Vi  erano  anche  altre  diversità  tra  loro,  come  sulla  forma  politica 
0  sul  modo  di  costituirla:  tuttavia,  per  non  accrescere  di  troppo 
la  materia,  per  ora  le  tralascieremo.  Nel  condurre  a  termine  la 
impresa  prevalsero  i  secondi,  cogliendo  per  altro  il  frutto  maturo 
delle  fatiche  dei  primi.  E  la  condussero  (  il  che  Ai  grande  sven- 
tura )  coli'  aiuto  straniero,  e  con  un  principe  solo  (  il  che  fii  grande 
ventura  );  anche  in  onta  a'  loro  antichi  propositi,  contrari  ali*  imita 
da  loro  non  desiderata  o  non  isperata.  Da  cotesto  momento  i 
primi  dispanero  dall'arena  politica;  o  quelli  almeno,  che  (tarooo 
al  maestro  fedeli  e  al  culto  de'  propri  cuori.  E,  sebbene  hi  loro 
fede  non  possa  perire,  e  siale  serbato  il  futuro,  non  avendo  ew 
né  alla  costituzione  del  nuovo  stato,  né  al  successivo  reggimento 
partecipato;  di  essi,  come  di  parte  politica,  non  lice  più  parlare. 
Restandosi  l' altra  parte  sola,  e  avendo  da  sola  fino  a  qui  diretto 
le  cose  ;  questa,  politicamente  divenuta  il  tutto,  cessava  ugoalmeole 
di  esser  parte.  Né,  per  quanto  la  cercasse  e  cerchi  (come  vedre- 
mo in  seguito)  di  sollevare  al  grado  di  parte  politica  quella,  che 


-  161  - 

staggia  la  patria  col  vilipendio  delle  sacre  cose  »  e  cui  per  ciò 
hiameremo  la  fazione  esecrabile;  vi  è  ancora  riuscita.  È  molto 
trobabile,  prima  del  di  novissimo,  che  il  ceto  de'  gaudenti  si  getti 
i  tal  (azione  in  braccio,  e  che  questa  per  alcun  tempo  regni, 
mperocchè  già  a  quest'  ora,  recandosi  alle  urnb,  ella  sarebbe  in 
^do  di  pugnare  con  una  certa  forza  sotterranea  contro  gli  arbitri 
Ielle  stato.  Moltiplicandosi  in  appresso  gli  errori  di  costoro,  e  tro- 
vandosi gli  alti  ceti  vie  più  calpestati,  i  bassi  spogliati,  tutti  offesi 
lel  sentir  religioso,  e  il  ceto  stesso  de'  gaudenti  crollante  e  sotto  le 
ninaccie  d' una  guerra  servile  sgomento  ;  ella  parrà  una  benedizio- 
le.  Per  cui  causa,  venendo  in  grado  di  competere  in  modo  sicuro 
^gli  arbitri  predetti,  e  anche  di  soverchiargU,  accetterà  natural- 
nente  le  novità  contro  sua  voglia  seguite;  e  nascondendo  gli  sna- 
urati  istinti  verso  la  patria,  potrà  entrare  in  Uzza  e  vincere  il 
)remio.  Se  non  che  per  ora,  neppur  ella  partecipando  alla  pubblica 
izione,  in  una  guisa  almeno  visibile  e  formale,  o  (  come  si  dice  ) 
M)stituziORale ;  non  vi  è  pur  luogo  a  parlai*e  di  lei.  Dunque,  re- 
cando padrona  e  donna  delF  agone  politico ,  senza  veruna  inter^ 
mittenza  e  verun  contrasto,  da  dicioUo  anni  in  qua  la  predetta 
parte  de'  cavouriani  ;  questa ,  sendo  il  tutto ,  non  si  può  più 
chiamar  parte.  0 ,  se  la  volete  chiamar  tale  tuttavia ,  chiamatela 
por  cosi:  ma,  poiché  sola,  parlate  di  una  parte  sola,  e  non  di 
più.  E  allora  oh  dove  vanno  la  vantata  altalena  di  coteste  parti 
:il  governo ,  la  rotazione  politica ,  X  anglico  antagonismo  e  tutte 
«[nelle  altre  corbellerie,  che  ci  andate  sciorinando? 


CXil.  Fasdoni  de'moderati  e  de' progressisti. 

Do  (h  nuovo  la  parola  a' miei  avversari,  ai  quali  non  voglio 
alcun  male ,  perchè  gli  reputo  in  buona  fede  ;  e  i  quali  mi  po- 
trebbono  questo  soggiungere.  —  Mo  non  ti  accorgi  di  quelle  due 
eccelse  schiere  de'  moderati  e  de'  progressisti^  che  seggono  lassù 
oel parlamentare  Ohmpo?  —  Se  me  ne  accorgo,  figuratevi:  non 
sento  che  i  loro  frastuoni  intorno  a  me  ;  né  veggo  altro,  tranne  le 
mine,  cui  vanno  ammucchiando  !  Tuttavia,  che  quelle  inclite  schie- 
re sieno  davvero  parli,  voi  prendete  un  grosso  abbaglio  ;  e  quasi 
quasi  io  scommetto  di  farvene  persuasi.  Conciossiaché  i  criteri 
eslrinseci  migliori,  cui  voi  possiate  addurre  per  contraddistin- 
kMierle,  vSono:che  T  una  siede  alla  destra  nel  predetto  Olimpo,  e 

li 


-  162  - 

r  allra  alla  sinistra  ;  e  che  V  una  ebbe  X  ammìoistrazioiìe  sioo  al 
18  marzo  1876 ,  e  F altra  di  poi.  I  criteri  intrìnseci;  cioè  i  propo- 
siti, i  disegni  e  i  principii  diversificativi,  me  gli  sapete  voi  addur- 
re ?  Io  comprendo  bene  quello ,  che  i  moderati ,  col  loro  fiacco 
volere,  si  volevano:  cosa  si  vogliano  i  progressisti,  sono  tanti 
anni,  che  il  vo  chiedendo,  e  non  l'ho  ancora  saputo.  Per  wm 
dire  del  subalpino ,  nel  parlamento  italiano  spuntarono  questi  per 
la  naturale  e  ìrremediabile  varietà ,  eh'  è  ne'  cervelli  umani.  Indi 
sopra  tutto  nella  loro  schiera  entrarono  que'  molti  deU*  antica  parte 
classica,  che  si  acconciarono  all'Italia  legale  a  mala  pena.  Che 
cosa  in  fine  vi  possa  aver  aggiunto  il  pisano  soccorso  deglMIlusi, 
de'  delusi ,  de'  malcontenti ,  degli  scontenti  e  de'  tanti ,  che  non 
sanno  quel,  che  si  vogliono  ;  tralascierò  di  notare.  Fatto  sta,  die 
da  principio  la  loro  opposizione  sembrava  piuttosto  un'  ostilità  agii 
ordini  costituiti,  che  una  costituzional  tenzone.  Quando  im  tardo 
barlume  di  senso  pratico  resegli  accorti,  che  di  tal  guisa  non 
avrebbero  potuto  far  niente  mai,  si  posero  (senza  voler  qui  scru- 
tare i  segreti  di  questo  o  di  quello)  affatto  sul  terreno  della  le- 
galità. Rimanevano  per  altro  ancora  disordinali;  e  cosi  nuovi  e 
bizzarri ,  che ,  se  un  destro  maneggiatore ,  voltatosi  a  loro  con  una 
vocina  sottile  sottile,  non  gli  avesse  imbrigliati ,  e  indirizzati  sufla 
via  maestra ,  avrebbono  lungo  tempo  ancora  scorrazzato  qui  e  là. 
Ciò  non  ostante ,  privi  della  sperienza  di  stato ,  che  i  moderati 
possedeano,  di  assai  minori  doti  d'ingegno,  in  inferìor  numero, 
e  con  parecchi  altri  difetti  per  soprassello,  non  poteano  scavalcargli. 
Se  i  moderati  fossero  rimasti  uniti,  poteano  condurre  essi  stessi 
fino  al  capezzale  la  loro  creatura ,  sacramentarla  e  chiuderle  pia- 
mente gli  occhi.  Benché  riducessero  la  nazione  allo  stato,  che 
poi  vedremo,  e  benché  si  fossero  resi  uggiosi  fino  ai  pipistrelli, 
aveano  compiuto  essi  l' Italia  legale ,  e  fondata  un'  amministrazione 
tutta  a  lor  modo  e  di  soggetti  propri.  Ma  per  quel  tedio  univer- 
sale, che  aveano  ingenerato,  e  per  l'osceno  spettacolo  di  aversi 
resi  un  feudo  la  nazione  e  il  parìamento,  essi  gl'illustri  cam- 
pioni della  vicenda  delle  parti ,  aveano  troppo  bisogno  di  tenersi 
stretti.  Se  non  che  le  dorate  illusioni ,  in  cui  si  cullano  sempre 
i  fortunati,  e  che  sono  della  placida  e  serafica  natura  de'  mode- 
rati una  qualità  essenziale,  impedirono  loro  di  porre  a'  propri 
appetiti  freno.  Non  avendo  eglino  mai  [lermesso  a'  rivali ,  non- 
manco  per  un  momento,  di  deUbare  una  goccia  di  quel  loro  net- 
tare celeste,  e  volendo  tra  loro  medesimi  sorseggiarlo  in  placida 


-  163  - 

e  serafica  quiete,  quanti  più  pochi  potevano;  è  naturalmente  acca- 
duto, che  tra  loro  si  dividessero. 

Cini.  Capitembolo  de'  modentL 

Sorsero  cosi  i  conventicoli  o  (  come  si  dissero  )  le  consorte- 
rie;  le  quali  nel  lungo  periodo,  che  al  18  marzo  1876  fini,  si 
palleggiarono  tra  loro  il  governo,  sostituendosi  alla  predetta  vi- 
cenda delie  parti  parlamentari.  La  schiera  opposta  era  o  si  repu- 
tava, come  non  ci  fosse  :  nella  destra  dunque  non  si  trattava,  che 
di  cogliere  la  palla  al  balzo  or  Tuno  or  l'altro  drappello.  Tutta- 
via ,  per  continuare  a  lungo  in  questa  giostra ,  occorreva  conce- 
dere alternativamente  il  pallio  a  tutt'  i  drappelli ,  acciocché  ninno 
rimanesse  disgustato.  Perchè  naturalmente,  avverandosi  questo, 
fl  drappello  o  i  drappelli ,  che  si  fossero  gittati  al  corno  manco , 
avrebbergli  data  quella  prevalenza  numerica j  che  (com'è  noto) 
basta  a  stabilire  il  reggimento  costituzionale.  Oltre  a'  conventicoli, 
vi  era  lo  squadrone  vohnfe:  denominazione,  ch'io  prendo  dal- 
r  antico  stile  de'  conclavi  ;  ove  appunto  accadeva ,  tra  le  diverse 
fiizioni  contendenti ,  che  un  piccolissimo  numero  di  cardinali  oscu- 
ri, accedendo  d'improvviso  all'una  o  all' altra ,  fosse  arbitro  della 
elezione  del  futuro  papa.  La  forza  del  quale  squadrone,  già  no- 
tata da'  nostri  vecchi  politici ,  viene  da  questo  :  eh'  esso ,  con  ap- 
parente e  sonnacchiosa  imparzialità  tenendosi  in  mezzo  e  in  bilico 
tra  le  contrarie  fazioni,  anche  con  pochissimi  voti  è  in  grado  di 
far  pendere  la  bilancia,  ove  vuole;  e  di  decidere  nell'estremo 
momento  e  per  sorpresa  della  vittoria.  Bastò  dunque,  che  con 
questo  0  quel  pretesto  (  pognamo ,  dell'  insidiata  libertà  mercantile 
o  della  esosa  moUtura  fiscale) ,  una  o  due  consorterie  de'  mode- 
rati in  un  dato  giorno  passassero  all'opposto  campo;  e  dietrovi 
il  predetto  squadrone  e  qualche  infido  amico  di  giunta,  perchè 
fodero  i  moderati  stessi  cacciati  di  sella.  Io  espongo  le  cose  a 
no  modo  laconico ,  cioè  rozzo  e  schietto  :  ma  a  un  di  presso  ma- 
nifestò il  medesimo  pensiero  in  un  modo  placido  e  serafico  un 
santo  padre  de'  moderati;  e  precisamente  quegli,  che  catechizzava 
e  benediceva  la  schiera  in  quel  giorno  abbattuta.  Parlo  di  Marco 
Minghetti  :  il  quale  nel  banchetto  di  Legnago  (  perchè ,  se  non  ci 
possiamo  mostrare  inglesi  altrimenti ,  bisogna  bene ,  che  ne'  brin- 
disi politici),  il  29  ottobre  1876  confessò  appunto,  quel  capitoni- 


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bolo  essere  seguito  per  un  cumulo  di  malumori  perscHiali ,  gaie- 
rati  da  desideri  inappagati,  da  vanaglorie  umiliate  e  da.insaziile 
ambizioni;  repressi  durante  la  ricerca  del  famoso  pareggiamento 
de'  bilanci ,  e  scoppiati  tosto ,  eh'  egli  lo  avea  cosi  bene  raggiunto. 
Egli  veramente  non  si  avvide,  se  non  quel  giorno,  di  che  sor- 
ta elementi  fosse  quella  sua  famosa  parte  composta,  e  da  che 
sorta  motivi  ispirata;  né  di  perder  la  sella,  se  non  dopo  perdu- 
tala ,  e  guardandola  di  sotto  :  il  che  è  a  lode  del  suo  candore* 
Fatto  sta ,  che  quel  giorno  egli  e  i  commiUtoni  o  i  confrati  rima- 
sero ,  come  trasognati  e  stropicciandosi  gli  occhi ,  in  atto  sconcio 
a  terra:  gU  altri  si  videro  di  repente  saliti,  e  di  tanto  capriccio 
della  sorte  attoniti.  Rimaneva  un'  ulteriore  difficoltà  a  superare, 
avendo  questi  ultinù  in  generale  poche  arre  di  prudenza  politica 
a  dare,  e  alcuni  non  godendo  molta  fiducia  presso  un  tale,  il  cai 
consenso  era  necessario.  Avrebbe  questo  tale ,  anche  con  quella 
sua  incrollabile  religione  de'  patti  giurati  (a  cui  non  numcò  mai  ) 
e  per  un  certo  appello,  che  gli  ordini  costituiti  consentono,  po- 
tuto impedire  il  rovescio.  Ma,  prima  di  tutto,  non  ci  era  co- 
sa, cui  non  fosse  stalo  disposto  di  concedere  a  quelli,  ch'ei 
reputava  voti  del  popolo  ;  e  poi  de'  vecchi  annaspatori  era  egli 
medesimo,  msieme  con  tutta  quanta  la  nazione ,  ristucco.  Quanto 
al  dubbio  sui  sentimenti  di  qualcuno  de'  nuovi ,  il  rimedio  era  bel- 
r  e  trovato ,  e  anzi  di  già  prepai'alo.  Siamo  in  tempi ,  che  si  può 
d' un  istante  cangiare  in  livrea  il  berretto  frigio  ;  esaltare  oggi 
le  cose  e  gU  uomini ,  che  ieri  si  vituperavano,  e  tramutarsi  d'ar- 
rulTapopoU  in  cortigiani  nò  più ,  nò  meno  che  in  sulla  scena.  I^on 
dico,  che  qualcuno  de'  nuovi  facesse  veruna  di  queste  cose;  né 
che  colle  adulazioni  si  cattivasse  la  stima  di  chichessia,  carez- 
zando il  cagnohno  pel  padrone,  e  scuotendo  fino  i  sonagli  del 
giullare  per  acquistar  grazia.  Pur  certamente  tra  le  molte  doti, 
che  i  vecchi  ebbero,  non  conobbero  mai,  che  fosse  quell'arte 
aulica  ;  sulla  quale  si  scrissero  nel  cinquecento  e  nel  secento  spe- 
ciaU  trattati ,  e  della  quale  vi  è  sempre  bisogno  in  certe  forme 
di  reggimento. 


CXlV.  SlTonltà  apparente  de»  mederati  e  de*  pregreslatL 

È  questa  la  celebre  a  rivoluzione  parlamentare  de'  18  mar- 
zo »  :  perocché  ci  accontentiamo  noi  ora  di  questa  sorta  di  rivo- 


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lazìoni,  e  le  sono  anche  di  troppo  per  la  nostra  lena.  Che  che 
però  la  si  fosse,  se,  per  essere  cangiati  i  maestri  di  cappella, 
crediamo  cangiata  anche  la  musica ,  e'  inganniamo  da  vantaggio. 
Tranne  qualche  stonazione  di  più ,  i  molivi  saranno  sempre  iden- 
tici ,  per  la  semplice  ragione ,  che  non  ve  ne  possono  esser  altri. 
L'unica  parte  possibile,  coir  attuai  nosti*o  indirizzo  di  governo, 
rimane  sempre  la  parte  detta  moderata,  che,  per  esser  sola,  ho 
già  detto ,  non  si  potere  più  chiamar  parte.  Essa  dunque  è  scissa 
in  due  fazioni  o  sottofazioni ,  di  cui  l' una  si  chiama  de'  mode- 
rati per  eccellenza ,  e  l' altra  de'  progressisti  ;  ma  le  quali ,  per 
essere  la  medesima  cosa,  non  merìteriano,  che  il  medesimo  no- 
me. Le  chiameremo,  per  contraddistinguerle,  la  fazion  bianca  e 
la  fazion  bigia  ;  intendendo  per  quella  i  moderati  primi ,  puri , 
ortodossi  (o  gli  scavalcati);  e  per  questa  i  secondi ,  impuri ,  ete- 
rodossi (o  gli  scavalcatori  ).  Degli  uomini  io  non  parlo  ;  perchè 
ve  ne  sono  tanti  d' illustri  e  virtuosi  sì  nell'  una ,  che  nell'  altra  ; 
e  sopra  tutto  cosi  intemerati  e  generosi  i  presenti  reggitori  dello 
stato,  che  maggior  prova  non  potrei  dare  della  fallacia  de'  loro 
sistemi,  che  il  loro  annientarsi  appunto  ne'  medesimi.  La  diffe- 
renza tra'  quali  non  è ,  ripeto ,  che  formale  :  imperocché  gli  uni  e 
gli  altri  (non  come  individui,  ma  come  gregari  di  questa  o  quella 
fazione)  non  sono  in  sostanza ,  che  moderati ,  come  meglio  adesso 
vedremo.  Già  la  fazione  ora  vincitrice  ha  per  ausiliare  una  por- 
zione abbastanza  notevole  dell'  altra  :  senza  di  che  né  avrebbe 
vinto,  né  potrebbe  custodir  la  vittoria.  Può  darsi  anche,  quando 
la  discordia  entrerà  nel  campo  d' Agramante,  ch'ella  medesima  si 
commetta  per  misericordia  o  si  tramuti  nell'altra  ;  da  cui  unicamente 
può  attinger  forza,  se  vuol  stare  in  piedi.  E  può  inoltre  darsi ,  ch'ella 
pure  in  conventicoli  o  in  consorterie  si  divida,  per  la  morbosità  con- 
sortesca  insita  a'  sistemi  predetti.  Di  guisa  che,  staccandosi  e 
annettendosi  le  vecchie  e  le  nuove  consorterie  tra  loro ,  ne  nasca 
un  tal  guazzabuglio,  che  ninno  possa  capir  più  niente.  In  tali  casi, 
^^k persone  sarieno  quelle  stesse:  ma,  ammettendosi,  che  queste 
^ieno  e  rimangano  distinte;  il  peggio  é,  che  non  ne  sono  distinte  le 
idee.  Il  disegno ,  il  lavoro  e  il  merito  (ahi  qual  merito  !  )  di  avere 
condotto  r  Italia  agli  attuali  termini  è  tutto  de*  moderati  bianchi , 
^i  cui  non  sono  al  più  i  bigi ,  che  un'  inconscia  eresia.  Se  quelli 
si  lasciarono  sfuggir  di  mano  la  direzione  ddle  cose ,  ciò  non  to  - 
^ie,che  questi  non  debbano  imitargli:  dappoiché  né  hanno  prin- 
tipii  diversi,  né  gli  potriano  avere.   Diversi  (per  esemi»o)  sa- 


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rìeno,  buoni  o  cattivi,  che  si  fossero,  i  priocipii  entro  questo 
volume  accennati  ed  entro  il  seguente  svolti;  perchè  tutti,  niimo 
eccettuato,  affatto  pugnanti  con  quelli  de'  moderati.  Si  capisce,  che 
con  essi  si  sta  affatto  di  contro  a  loro  ;  e  che  anche  con  un  solo 
fascio  de'  medesimi  (  se  più  d'  uno  gli  professasse  )  potrebbesi 
avere  una  parte  politica,  buona  o  cattiva,  che  si  fosse.  N'ebbe 
mai  la  schiera  sinistra  del  parlamento  alcuno?  pensò  ella,  che 
cogli  altri  si  andava  corrompendo  e  falsificando  V  Italia  ?  pewb  di 
ravviarla  pel  sentiero  sovrano  della  sua  storia  e  della  sua  civil- 
tà ?  si  curò  di  suscitarne  la  virtù  e  la  fede  ?  si  curò  de'  ceti  op- 
pressi ?  si  accorse  della  tirannide  borghese  ?  si  accorse  de'  segni 
del  tempo?...  Io  naturalmente  non  parlo  delle  idee  individuali, 
che  questo  o  quello  de'  Cinquecento  si  abbia  nella  propria  testa; 
e  cui  suppongo  tutte  luminose ,  fin  quelle  de'  trecento  ignoti.  So 
anzi,  che  taluni  si  hanno  idee  molto  originali  e  veramente  stra- 
ordinarie: ma,  ripeto,  come  fazione  parlamentare,  legale,  efficace, 
seria,  altre  i  bigi  non  ne  hanno,  eccetto  queUe  stesse  de'  bianchi. 


CXV.  Identità  retto  de*  moderati  e  de*  FregreadsiL 

—  Ah,  mi  si  può  dire,  e  gli  audaci  intendimenti,  ch'egli 
hanno  nel  profondo  dell'animo,  ti  pajon  dunque  cose  da  nulla?  — 
SI  veramente ,  rispondo  io ,  dicevano  d' averne  qualcheduno ,  quaii- 
d' opponevansi  all'amministrazione  de'  bianchi.  Per  esempio ,  d' al- 
largare i  suffragi,  di  rendere  il  senato  elettivo,  di  restituire  l'au- 
tonomia a'  comuni ,  d' effettuare  il  sindacato  de'  pubbUci  uflidali , 
d'abolire  il  balzello  su'  grani  macinati,  di  togliere  il  monopoUo  ai 
banchi  privilegiati ,  di  sopprimere  il  corso  coattivo  delle  cedole  mo- 
netaU ,  d' assestar  le  finanze ,  e  via  via.  Già  qualche  cosa  biso* 
gnava  ben  dire ,  per  mostrare  una  qualche  differenza  d' opinioni , 
0  se  non  altro  per  votare  contro  all'  ammiuistrazione  suddetta.  Or 
però,  che  anuninistrano  essi,  molte  di  codeste  riforme  rìnnegaiio; e 
le  altre  (che  fa  lo  stesso)  prorogano  alle  calende  greche ,  quasi  le 
fossero  tutte  quante  state  canzonature.  Io  ho  già  tra  tutti  colorOi 
che  adirono  l'eredità  de'  16  marzo  anzi  menzionata,  sceverato  i  pre- 
senti reggitori ,  degni  di  maggiore  e  miglior  destino.  E  credo ,  che 
codesti  uomini ,  amatori  della  patria  e  della  Uberlà  a  niiiiio  se- 
condi ,  non  mancberiano ,  se  stesse  in  loro ,  di  fare  aiciiii  bene 
all'  infelice  popolo.  Saranno  eglino ,  o  i  loro  non  i 


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ìd  futuro ,  dalla  propria  fazione  assecondati  ;  la  quale  del  resto  non 
si  sa  più,  qual  sia?  Qui  sta  la  questione  :  avvegnaché  in  que'  me- 
desimi argomenti ,  per  cui  ella  votava  contro  in  passato ,  vota  ora 
a  favore ,  e  viceversa.  Né  si  peritano  ora  alcuni  de'  suoi  caporioni 
di  dichiarare ,  che  le  cose ,  conoe  le  aveano  i  predecessori  lascia- 
te, andavano  ottimamente;  e  per  sin  quelle,  che  furono  pretesto 
alla  recente  catastrofe  di  costoro.  I  quali  migUor  conforto  in  tanto 
ramaiarico  non  poteano  per  verità  avere,  che  di  vedersi  in  sinùl 
guisa  approvati  ;  e  di  ricevere  dagli  antichi  nemici  gli  onori  del 
postumo  trionfo.  Se  non  che ,  supponendo  pure ,  che  i  bigi  aves- 
sero già  quelle  lor  riforme  attuato  o  che  in  seguito  le  attuino  ;  pri- 
ma di  tutto  é  dubbio ,  se  queste  sole ,  cosi  slegate  e  a  franunenti , 
si  possano  dire  un  conserto  d' idee  e  quindi  un  obietto  di  parte 
politica.  Forse  anche  i  bianchi  contavano,  quantunque  con  molto 
commodo ,  di  attuarle.  E  ad  ogni  modo  vuoisi  ben  altro  per  disfare 
r  opera  loro  :  che  é  dire  tutto  V  avviamento  civile  e  morale ,  cui 
r  Italia  ha  preso ,  e  tutta  questa  buffa  e  sordida  tirannide ,  cui 
vo  io  qui  descrivendo.  Ciò  non  ostante ,  supponendosi ,  che  per 
quelle  ed  altre  tali  riforme  si  avesse  il  detto  conserto  e  obiet- 
to ;  allora  e  la  fazione  bigia  ed  altre  congeneri  cose  andrebbono  a 
catafascio ,  anche  senza  volere.  E  di  quello ,  che  possa  venire  in 
sua  vece  e  in  lor  vece,  non  è  qui  luogo  di  parlare.  In  tal  senso 
dunque  può  la  predetta  fazione  alcun  servigio  rendere  air  avvenire 
(il  cui  principio  spunta  già  nella  crescente  dissoluzione  del  pas- 
sato): come  del  resto  avrebbe  potuto  renderlo  T altra,  moltipli- 
cando gli  errori  e  le  insuperabili  diflìcoltà.  Ma  é  probabile,  che 
quella  si  presti  a  tal  fine  meglio ,  disviluppando  più  celermente  i 
btti  storici  ;  o  intorbidando  cosi  le  cose ,  che  sopraggiunga  a  chia- 
rirle la  logica  inesorabile  de'  tempL  Sempre  per  altro ,  eh'  ella 
non  giunga  colla  sua  avventatezza  troppo  presto  agU  stremi;  nel 
qual  caso  sopraggiungerebbe  l'altra,  che  potrebbe  dire,  a  torto 
0  a  ragione,  cosi.  —  Vedete  mo,  dove  vi  hanno  condotto,  o  bravi 
figliuoli,  questi  rompicolli?  Noi  commettevamo  qualche  peccadi- 
glio,  ma  veniale;  e  ordivamo  qualche  imbrogliuzzo,  ma  per  alte 
ragioni  di  stato.  Tranne  in  quella  battisoOSola ,  che  segui  imme- 
diate al  tafferuglio  di  Mentana,  non  ostentanmio  aiai  l'autorità 
nostra  ;  sempre  lasciando  Ubero  il  giudizio  su'  nostri  atti ,  e  man- 
teaendo  alle  nostre  Ubertà  verbali  un'  indomita  fede.  Paghi  di  vi- 
verci assorti  nelle  beatifiche  nostre  visioni,  non  peregrinammo 
per  ia  penisola ,  come  cavadenti  e  saltimbanchi,  in  traccia  di  spi- 


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gnolesche  parate,  e  di  plausi  monelleschi.  Non  fummo  piaeeo- 
tieri  e  mezzani  di  veruDO  ;  né  di  cospirazioni  tenebrose  e  ìuCubì 
ci  valsimo  per  atterrire  e  per  imporci.  Non  abbiamo  per  noetrì 
particolari  vantaggi  usale  le  nostre  innocenti  furberie  ;  né  disono- 
rato la  nazione,  né  sparso  il  fango  dovunque,  e  sollevtloio  fino 
a'  capegll  £  dopo  tutto ,  di  avere  instaurato  un  governo  da  con- 
venticoli ,  ci  potrete  si  accusare  :  ma ,  di  avere  instaurato  uo  gover- 
no... ,  da  non  potersi  nominare ,  no.  —  Dico ,  a  mo'  d' ipotesi , 
che,  se  mai  queste  cose,  o  vere  o  false,  si  potessero  rinfacciare, 
i  moderati  bianclii  tornerebbero  per  alcun  tempo  in  auge.  Né  anzi 
altre ,  che  queste ,  gU  rialzerebbero  dal  suolo ,  ove  giacciono  boc- 
cheggianti :  e  avrebbesi  naturalmente  allora  una  sosta.  Cionnondime- 
no,  0  con  tale  sosta  o  senza,  Un  che  dura  V assetto  da'  medesimi  sta- 
biUto,  non  possono  i  moderati  bigi,  che  farsene  prosecutori.  Dappoi- 
ché ciò ,  che  si  vede ,  è  tutta  opera  de'  primi  :  la  scuola ,  la  dottrina , 
il  pensiero ,  e  (atiimè  )  fln  la  generazione  rachitica  in  culla  e  col  lat- 
time  costituzionale.  Onde  poterono  i  secondi  cacciaruegli  via,  e 
occuparne  il  luogo  :  ma  sempre  col  debito  degli  eredi  o  coli  ossequio 
de'  discepoU ,  ancora  che  per  verità  eredi  alquanto  degeneri  o  di- 
scepoU  alquanto  ignari.  Sono  pertanto  questi ,  vogliano  o  non  vo- 
gUano,  moderati  di  seconda  roano,  e  pur  moderati  anch'essi: 
tantoché  io,  parlando  di  tutti  in  questo  libro,  non  avrò  mestieri 
distinguere  tra  loro.  Imperocché  certamente  sono  i  primi  mille 
volte  più  responsali  di  ciò,  che  noi  solTriamo  e  che  io  lamento; 
per  avere  eglino  per  più  lungo  tempo  infestato ,  e  sopra  tutto  dato 
l'abbrivo  indeclinabile  e  l'impronta  indelebile  all' attuai  ordine  di 
cose.  Non  calendo  tutta>ia  a  me  più  degli  uni,  che  degli  altri,  e 
ad  ogni  modo  combattendo  io  non  gh  uomini,  ma  i  sistemi ,  e 
trovandomi  qui  di  contro  un  sistema  solo;  cosi  sono  costretto  a 
trattargli  tutti  in  pari  guisa. 


GXVL  Griteria  MggetttTO  dalle  futad  parlaMirtuL 

Ecco  il  mom^to  finalmente  di  risolvere  il  quesito,  di*  io 
m' era  dianzi  posto,  su'  criteri  intrinseci ,  che  potretibooo  per  av- 
ventura determinare  le  nostre  fazioni  parlamentari.  Constatalo, 
che  le  idee,  da  cui  dovrebbono  emergere ,  non  ci  entrano  punto; 
converrebbe  concludere,  anche  senz'essere  maliziosi  e  iogmati, 
che  la  vertenza  tra  loro  agitata  non  sia,  se  non  quella,  cbe  si 


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saole  in  questi  due  brevi  detti  riassumere:  via  tu,  che  ci  sto  io; 
0  via  tu ,  che  mi  ci  debbo  metter  io.  Pure ,  per  quanto  si  vogUa 
da  considerazioni  meschine  e  ignobiU  prescindere,  dal  testé  di- 
scorso incontrastabilmente  argomentasi,  altra  causa  di  differenza 
non  avervi  tra  loro,  se  non  quella  che  o  di  sostenere  o  di  combat- 
tere una  data  amministrazione.  Il  quale  se  sia  un  criterio  intrin- 
seco, mi  asterrò  di  pronunciare  (poiché  si  si  accontenta  d'assai 
poco  ora,  e  bastano  anche  le  frasi  in  luogo  de'  pensieri):  fatto 
sta ,  eh'  esso  é  V  unico ,  e  che  si  reputa  bastevole.  Il  reggi- 
mento, a  detta  de'  nostri  subUmi  poUtici ,  non  si  forma ,  né  può 
fungere,  se  non  tra  Y antitesi  e  il  cozzo  delle  fazioni;  e  dunque, 
se  non  le  ci  fossero,  bisognerebbe  ci*eai*le.  Ghè,  se  que' cinque- 
cento legislatori ,  che  seggono  in  Montecitorio  (  di  quelli ,  che 
Dell'  altra  aula,  non  occorrendo  punto  occuparsi),  fossero  tutti 
d'accordo,  si  renderebbe  il  reggimento  impossibile.  Or,  poi- 
ché debbono  per  forza  discordare,  e  nelle  idee  non  discor- 
dano, oh  qual  dunque  sarà  la  ragione,  per  cui  si  siedano  piut- 
tosto al  sinistro,  che  al  destro  lato?  Certamente  occorrerà,  se 
non  per  causa,  che  almeno  in  occasione  di  qualche  partito  pro- 
posto dal  cosi  detto  ministero,  o  in  altra  simile  circostanza,  espri- 
mano un  consenso  o  un  dissenso  dal  medesimo.  E,  benché  si 
possa  provare  co'  fatti ,  che  intorno  a  un  medesimo  argomento 
cangiano  i  pareri,  secondo  il  cangiare  de' cosi  detti  ministri,  non 
importa  niente.  Parrà  ugualmente,  che  non  per  riguardo  alle  per- 
sone, si  per  riguardo  alle  cose,  si  atteggino  a  partigiani  o  ad 
avversari.  Ma,  anche  posto  che  veramente  per  riguardo  alle  co- 
se, vi  è  egli  motivo  per  questo  o  quel  progetto  di  legge  o  per 
simile  alto,  che  debbano  sempre  e  in  tutte  le  cose  possibih  e 
impossibili  rivaleggiare,  propugnando  od  oppugnando  una  data 
amministrazione;  e  costituire  in  somma  una  fazione?  Certo,  che, 
se  le  fazioni  sono  in  questo  sistema  indispensabiU,  bisogna  bene, 
che  in  un  qualunque  modo  le  si  disegnino,  e  magari  anche  co' 
colorì  degU  aunghi.  Si  sa  appunto,  che  nell'  impero  incancrenito  di 
Bisanzio  le  fazioni  verde  e  azzurra  dividevano  i  sudditi ,  ed  eser- 
citavano dall'  ippodromo  la  loro  efficacia  fin  sul  trono.  Per  altro, 
sebbene  ne'  bassi  tempi  tutto  si  possa  vedere  e  rivedere ,  queste 
le  sono  fazioni  appunto  bisantine.  E  cioè  il  loro  appoggio  o  il 
loro  contrasto  (notisi  bene,  generale  e  continuo)  è  anche  oggidì, 
se  non  da' colori,  da  poco  men  futiU  motivi  giustificato.  A  me 
parrebbe,  che  quando  si  rappresenta  un  popolo  e  la  propria  co- 


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scienza,  si  dovesse  secondo  il  bene  di  quello  e  la  voce  di  questi 
decidersi,  senza  curarsi  un  jota,  che  la  tal  cosa  ad  altri  piaccia 
0  dispiaccia.  Oibò,  quando  anch'io  mi  sedevo  in  so  qoe' stalli, 
facevo  ridere  Ano  i  più  ingenui,  a  cui  andavo  di  queste  frottole 
del  popolo  e  della  coscienza  favellando.  E  davvero,  quando  non 
si  tratta  più,  che  di  sostenere  o  di  combattere  i  depositari  muta- 
bili della  podestà  esecutiva,  e  quindi  di  votare  con  la  propria 
fazione,  si  capisce,  che  le  sono  frottole. 

CXVII.  Sapporta  neoesdtà  delle  ikilfai  parlaMOrtiri. 

—  Com'è  possibile,  dicono  i  nostri  uomini  di  stato,  gover- 
nare ,  se  non  si  ha  Y  appoggio  d' una  di  queste  fazioni  ;  e  come 
averlo  costante  e  incondizionato,  se  tutt'  i  seguaci  non  sacrificano 
le  loro  convinzioni  alla  reciproca  intesa?  —  Certo,  che  non  è 
possibile,  rispondo  io,  col  vostro  sistema,  se  pur  governate  voi: 
ma  voi  non  pensate  nemmanco,  che  ve  ne  possa  esser  altro,  in 
cui  pel  popolo  e  colla  coscienza  si  governa.  Voi  non  pensate, 
che  senz'accordi,  senza  vincoli,  senza  ceppi,  votando  ognuno 
secondo  le  proprie  convinzioni,  avrebbesi  appunto  per  risultato 
l'espressione  d'un  pensiero  comune;  ma  spontaneo,  autentico, 
vero.  Si  manda  (per  esempio)  a  partito  la  tal  riforma  in  consi- 
glio :  se  anche  ognuno  giudicherà  con  la  sua  testa ,  tanto  e  tanto, 
sommando  i  giudizi,  ne  verrà,  che  sia  o  approvata  o  disappro- 
vata, come  nel  vostro  sistema.  Con  la  differenza  per  altro,  che 
voi  avete  un  consenso  artificioso  e  coartato,  e  che  quello  sareb- 
be libero  e  naturale.  —  Oh,  soggiungete  voi,  come  avventurarsi 
al  caso,  0  ai  capriccio  di  tutte  queste  teste  diverse,  che  in  cia- 
scun giorno  e  per  ciascuna  controversia  avrebbero  in  propria 
baUa  la  sorte  nostra?  —  Dopo  che,  replico  io,  voi  poneste  ne' 
voti  d' una  fazione  la  fonte  e  la  durata  del  poter  vostro ,  è  ben 
necessario,  che  voi  la  desideriate  e  la  deggiate  aver  ligia  e  fedele. 
Se  voi  vi  credeste  i>er  contrario  gli  esecutori  deUa  volontà  pubblica 
e  non  della  vostra;  vedreste,  che  il  conunettervi  a  quella  sareb- 
be, anzi  che  umiliante  e  periglioso,  doveroso  e  cauto.  Si  degna- 
vano i  romani  consoli  di  obbedire  a'  decreti  del  senato  e  del  po- 
polo, senza  sentirsi  offesi  nell'  amor  proprio,  e  senza  porre,  come 
fate  voi  per  ogni  nonnulla,  le  vostre  famose  «  questioni  di  gabi- 
nelto  »;  e  vi  potreste  degnar  voi.  Tuttavia,  prescindendo  da  quo- 
sto,  vi  è  egli  ragione  per  ogni  diversità  di  pareri,  che  Ira  voi  e 


-  17i  - 

il  consiglio  de'  Cinquecento  si  manifesti ,  che  tantosto  si  debba 
intendere  la  fiducia  scrollata,  e  il  segno  di  ritrarsi?  Coi  vostro 
sistema  si ,  perchè  gli  volete  essere  suggeritori ,  e  insieme  lo  vo- 
lete di  continuo  assaggiare  e  scandagliare,  anunonire  e  intimo- 
rire, per  sapere  quanto  possiate  sulla  sua  docilità  contare:  non 
con  r  opposto.  Perchè  o  la  questione  è  lieve ,  e  non  riguar- 
da lo  spirito  complessivo  dell'  amministrazione  ;  e  allora  (  sondo 
troppo  naturale ,  che  uno  la  pensi  a  un  modo,  e  altri  a  un  altro) 
non  vi  è  bisogno  d' ingrossar  la  voce  e  di  montare  in  furia  ;  né 
di  fare  tutte  le  altre  smorfie  e  scalmanate,  cui  voi  fate.  Oppure 
la  questione  costituisce  il  cardine  delf  amministrazione,  od  è  altri- 
menti grave  ;  e  allora  dovete  cedere  ad  altri  il  luogo.  Non  perchè  si 
siano  cattivata  la  lìducia  personale ,  cui  voi  perdeste  (  giacché  voi 
ragionate  sempre  a  questo  modo,  non  sapendo  pur  concepire  un 
governo  superiore  alle  vostre  persone):  sibbene  perchè  altri  si  faccia 
interprete  del  pensiero  vittorioso.  Del  resto  anche  tal  caso  è  cosi 
difficile  ad  avverarsi  in  un  governo  diverso  dal  vostro,  cioè  figu- 
rato qual  ente  ideale  e  immortale,  che  non  si  vedevano  appunto 
ne'  classici  reggimenti  tutte  quelle  sorprese ,  que'  volgimenti  e  que' 
capitomboli ,  cui  voi  ne'  reggimenti  romantici  subite.  Una  sola 
eccezione  seria  potreste  a  vostra  difesa  allegare:  che  i  ministri 
del  principe  debbono  ne'  parlamenti  la  volontà  anche  del  principe 
osservare;  e  quindi  non  lice  loro  a  quella  del  popolo  o  de' consi- 
gli esclusivamente  badare.  Se  non  che  per  una  eccezione,  io  ve  ne 
contrappongo  tre;  e  tutte,  come  dicono  gli  uomini  di  legge,  pe- 
rentorie. Prima,  che  codesta  necessità  viene  da'  reggimenti  vostri, 
e  non  già  da'  reggimenti  razionati  :  seconda ,  che  dopo  tutto  per 
volontà  del  popolo  o  de'  consigli  predetti  dite  voi  stessi  di  salire, 
rimanere  e  scendere;  e  terza,  che  in  certi  luoghi  queir  altra  vo- 
lontà è  divenuta ...  l' araba  fenice.  E ,  se  per  ventura ,  in  vece 
di  queste  due  altre  volontà,  non  vi  fosse,  che  la  vostra;  o,  peg- 
gio ancora ,  nemmanco  la  vostra  ?  La  cosa  veramente  sarebbe  enor- 
me, e  voi  siete  uomini  capaci  di  non  accorgervene:  ma,  guar- 
date ,  mi  vo'  provare  a  convincervi  anche  di  questo. 

Civili.  Oiogo  poeto  alla  volontà  individiialo  dal  ristema  fiuiooo. 

Abbiamo  veduto,  che  il  parlamento  è  diviso  in  fazioni,  che 
queste  non  hanno  proprie  idee;  e  che  l'  unico  carattere  per  diffe- 
renziarle sta  in  sostanza  nelf  essere  o  fautrici  od  osteggiatrici  di 


«  172  — 

una  data  amministrazione,  cogliendo  pretesto  da  questo  o  quel- 
Tatto  della  medesima.  A  quest'ora  dunque  si  comprende ,  pre- 
scindendo da  considerazioni  puramente  personali,  e  presupponen- 
do le  più  rette  intenzioni,  che  le  fazioni  stesse  sono,  per  dirla 
alla  tedesca ,  soggettive  e  non  già  oggettive.  Ma  sopra  tutto,  che 
non  è  propriamente  la  volontà  del  consesso  elettivo  quella,  che 
regge  per  un  dato  periodo  lo  stato:  si  al  più  la  volontà  delia 
fazione  in  esso  prevalente.  £  ve  ne  potete,  miei  buoni  lettori, 
persuader  tosto,  guardandovi  attorno  e  considerando,  che  prima 
lo  stato  era  da'  moderati  vecchi  retto,  ed  ora  lo  è  da'  nuovi ,  so- 
prannominati progressisti.  Ciò  in  quel  giorno  accadde,  che  i  vec- 
chi si  scompaginarono  per  quelle  gravi  ragioni,  cui  «q)ete;  e  i 
nuovi,  cosi  rinforzati,  poterongli  balzare  dal  seggio.  Prima  non 
vi  era,  e  in  seguito  non  vi  sarà  bisogno  di  tanto:  perchè  non  pei 
battibecco  delle  fazioni,  ma  per  quello  più  casereccio  delle  con- 
sorterie d'  una  medesima  fazione,  tramutavasi  e  tramuterassi  il 
governo;  e  potete  immaginar\i  con  quali  principii!  Testé  per  altro 
una  fazione  in  corpo  scavalcò  V  altra  :  è  da  questo  punto  si  può 
vedere  della  pallida  luna  parlamentare  una  nuova  fase.  £bt)ene, 
da  questo  punto  la  prima,  se  non  vuol  perdersi,  deve  sostenere 
a  tutta  prova  i  suoi  duci ,  lìn  che  creda  o  possa  dar  loro  lo  scam- 
bio; e  la  seconda,  senza  misericordia  combattergU.  Si  potrebbe 
lusingarsi,  che,  almeno  in  tal  guisa  partigianesca,  quella  potesse 
prescriver  loro  i  suoi  propositi,  o  se  non  altro  consigUargli :  ma 
come?  I  propositi,  per  potergli  dir  suoi,  bisognerebbe  prima  di 
tutto,  che  fossero  de'  suoi  membri  :  e  questi  non  ne  lianno,  e  non 
ne  possono  avere.  E  dogma  de'  nostri  sublimi  politici ,  che  i  de- 
putati non  debbano  secondo  le  proprie  convinzioni  votare.  Beosi 
secondo  un'  ispirazione ,  che  dee  naturalmente  da  qualcuno  venire 
(  e  vedremo  da  chi  ):  ma  che  s' impone  a  loro.  A  me  sembra 
questa  una  sommissione  fratesca:  essi  nel  lor  linguaggio  furbesco 
la  chiamano  <(  disciplina  di  partito  ».  Ed  è  tanto  rigorosa  e  infles- 
sibile ,  che  chi  la  infrange  è  tosto  additato  come  misleale;  e  qoe* 
pochi ,  che  non  vi  si  acconciano  (che  saranno  appena  una  dedui^ 
e  tra'  (juali  ci  ero  io  \  ne'  loro  elenchi  gli  notano ,  sogghignando, 
sotto  la  rubrica  :  incerti.  Qualsivoglia  legge  o  provvedimento  man- 
disi a  partito,  non  si  dee  dunque  giudicare  con  considerazioni  astrat- 
te, cioè  secondo  che  sia  buono  o  cattivo  in  sé  medesimo;  bensì 
secondo  che  grato  o  sgradito  a'  moderatori  temporanei  deli'  ammi- 
nistrazione imbblica.  Se  in  certi  momenti  uno  spirilo  reeondito 


-  173  — 

grida  dal  profondo  del  petto,  che  una  tal  cosa  non  va;  tosto  ac- 
corrono gli  esorcisti  di  scanno  in  scanno  a  cacciamelo,  coli'  asper- 
ge della  predetta  disciplina.  —  Ma  noi  non  possiamo  contro  i 
cittadini ,  che  hanno  la  franchigia  del  ragunarsi ,  approvare  la  di- 
spersione violenta  delle  lor  ragunate;  non  possiamo  al  povero 
popolo,  che  abbiamo  dispogliato,  aggiungere  nuove  avanie;  non 
possiamo  fare  ciò,  che  alla  nostra  mente  e  al  nostro  cuore  ripu- 
goa.  Deh,  lasciateci  liberi  almen  questa  volta,  questa  sola  volta, 
per  carità:  nel  resto,  o  crudeh,  vi  obbediremo!  —  No,  sarebbe 
un  voto  di  sfiducia  ;  il  ministero  cadrebbe  ;  la  dareste  vinta  a'  no- 
stri avversari  ;  e  dopo  ne  verrebbe  il  finimondo.  —  Di  modo  che 
gli  scongiurati,  loro  mal  grado  e  anche  a  fin  di  bene,  si  rasse- 
gnano a  quella ,  cui  reputano  necessità.  E  le  immolano  Y  ultima 
libertà ,  che  serba  Y  uomo  anche  servo,  la  libertà  dell'  anima. 

CXIX.  Giogo  posto  alla  volontà  connine  dal  sistema  fikiioBo. 

Per  tale  necessità  è  evidente,  che  anche  la  volontà  delle  sin- 
gole persone ,  componenti  la  fazione  predominante ,  se  n'  è  ita. 
E ,  poiché  la  volontà  dopo  tutto  è  una  facoltà  propria  di  ciasche- 
dun  uomo,  ed  anche  questa  disparve;  che  cosa  sia  quel,  che  vi 
rimane,  io  non  saprei  dire.  Potendosi  tuttavia  accampare  una 
volontà  collettiva ,  che  facesse  le  veci  dell'  individuale ,  e  che  del 
resto  la  sarebbe  sempre  una  fineione  di  diritto  e  non  una  realtà 
di  fatto,  consideriamo  ora  anche  questa.  Anzi  tutto  tale  volontà 
collettiva  non  potrebbe,  che  da  un  accordo  di  più  seguaci  della 
fazione  predominante  emergere.  Onde,  dopo  avere  la  maggioranza 
de'  cittadini  creato  il  reggimento ,  la  maggioranza  degli  elettori  il 
coiisigUo,  la  maggioranza  de'  deputati  la  fazione  predominante  e 
la  maggioranza  de'  faziosi  la  volontà  della  medesima  ;  di  maggio- 
ranza in  maggioranza  apparente  andrebbesi  a  una  tale  minoranza 
effettiva ,  che  la  potrebbe  anco  essere  un'  inconcludenza.  Ad  ogni 
modo,  se  questa,  chiamiamola  pure,  maggioranza  della  fazione 
predominante  (eh' è  quella  in  sostanza,  che  tiene  a  baUa  lo  sta- 
lo) dovesse  veramente  avere  una  propria  volontà;  converrebbe, 
avesse  un  tal  quale  organo  per  generarla,  e  per  esercitarla.  Il 
che  in  qualche  modo  si  è  cercato  di  fare  con  que'  taU  comitati 
della  fazion  bianca  e  bigia  e  altrettali:  a'  quali  si  è  per  sino  data 
una  costituzione  regolare  e  perenne,  come  fossero  ordini  del  par- 


-  174  — 

lamento  anch'  essi ,  e  qualche  cosa  di  analogo  al  magistrato  della 
parte  guelfa  nella  repubblica  fiorentina.  Si  è  anche  conteso,  se 
il  comitato  della  fazione  predominante  dovesse  essere  diretto  e 
presieduto  dall' arcicancelliere  del  regno,  o  (come  Io  diccm  essi) 
«  capo  del  gabinetto  »;  oppure  da  persone  diverse.  Nd  primo 
caso  è  più  evidente,  che  questi  lo  ha  in  soggezicHie:  ma  anche 
nel  secondo,  cotali  persone  diverse  o  sono  una  specie  di  suoi 
commissari  e  procuratori ,  o  noi  sono.  Se  suoi  procuratori  e  com- 
missari ,  toma  lo  stesso,  eh*  egli  Io  dirìgesse  e  presiedesse.  Se  in 
vece  neutri  affatto,  puri  interpreti  della  volontà  del  comitato,  e 
semplici  araldi  di  questo  presso  il  sullodato  gabinetto,  sarebbe 
la  cosa  ben  grave.  Allora  si  avrebbe  una  specie  di  conciliabolo, 
simile  agi'  inquisitori  di  stato  e  ai  dieci ,  che  nella  decadoite  ve- 
neziana repubblica  segretamente  si  sostituirono  ali*  azione  pubblica 
de'  pregadi  e  del  consiglio  maggiore.  Con  la  differenza  per  altro, 
che  quivi  solamente  in  torbidi  casi  di  stato  e  in  servigio  ddla 
gelosa  Nemesi  repubblicana;  e  colà  sempre,  e  in  servigio  di  non 
si  sa  chi.  n  governo  ad  ogni  modo  spetterebbe  allora  a  codesto 
conciliabolo,  che  agisce  in  privato,  senza  riti  e  forme  di  legge, 
contro  gli  ordini  costituiti  palesi  ;  e  con  un'  autorità  sopra  tutto, 
cui  ninno  gli  ha  mai  data.  In  tal  supposto  avrebbesi  a  diritture 
un  reggimento  nel  reggimento:  né  sarebbe  meraviglia,  che  si 
avverasse  anche  questo.  Dappoiché  non  vi  é  assurdo,  a  cui  non 
possa  giimgere  la  logica  faziosa;  né  assurdo,  che  non  si  possa  qm' 
ora  collaudare.  Frattanto  nìun  nomo  di  senno,  tranne  che  volesse 
rovinare  lo  stato  deliberatamente  o,  per  pascere  la  propria  vanità, 
divenire  il  trastullo  d'  una  congrega  settaria ,  vorrà  tali  condi- 
zioni accettare.  Vorrà  in  vece  moderare  egli  stesso  il  comitato 
predetto  :  e  in  tal  supposto,  oltre  il  parlamento  ampio  e  pubblico, 
avrebbesene  altro  ristretto  e  famigliare;  al  quale  ultimo  ricadrdi- 
be  in  sostanza  il  potere,  da  quello  abdicato.  Comunque  sia, 
facendosi  egli  moderatore  del  medesimo  direttamente  o  indirellt- 
mente,  o  in  altro  modo  indettando  i  propri  partigiani,  lo  teirà 
obbediente.  E  dico  in  altro  modo  indettando:  panche  si  può  e 
si  suole ,  anche  senza  Y  opera  de'  comitati ,  pari  effetto  raggimi- 
gere,  mandando  fra  gli  stalli  certi  armeg^noni,  che  bisbigliaiio  die 
orecchie  di  questo  o  di  quello  il  tal  voto,  sollecitano  i  tardi, 
riscaldano  i  tiepidi,  rinfrancano  i  vacillanti.  Per  non  dire,  che 
fanno  altresì  girare  intorno  le  proposte  e  gli  schemi,  e  fino  le 
cartoline  de' designati  a  certi  uIBci  e  a  certe  pratiche. 


-  175  — 


CXX.  IrUtria  della  padeità  eoeeatiTa  Tane  1»  legridattn. 

• 

Si  capisce  quindi,  che,  se  i  ministri  non  possono  obbedire 
la  iMt)pria  fazione,  deve  di  necessità  questa  obbedire  loro:  ma 
oom*  è ,  che  gU  obbedisce  ?  Io  tralascio  tutte  le  considerazioni 
d'un* indole,  da  cui  troppo  la  natura  noia  rifugge,  e  che  del  re- 
sto od  giudicare  deUe  cose  umane,  hanno  troppo  spesso  un  va- 
lore essenziale.  Vuo'  supporre ,  che  per  niun  premio,  favore ,  pro- 
messa, aUettativa,  speranza,  sieno  i  voti  carpiti.  E  che  ninno  si 
determini  a  prendere  tal  luogo,  piuttosto  che  tal  altro,  figurandosi 
di  trovarvi  qualche  beneficio  diretto  o  indiretto,  immediato  o  me- 
diato, prossimo  o  remoto,  lucroso  od  onorìfico,  visibile  od  invisi- 
bile. Né,  che  alcuno  mai,  stanco  del  lungo  mirare  in  vano  l'ofla 
e  di  vedersi  entro  quell'aula  menato  come  il  can  per  l'aja,  per- 
da la  pazienza  e  si  rivolti  all'  opposta  parete.  Dico,  per  la  propria 
eflBcacia  del  sistema  attuato  accadere,  che  per  un  certo  tempo  si 
abbia  una  cieca  obbedienza  colà  entro,  né  sì  possa  non  avertavi. 
Imperocché,  quando  un  certo  numero  di  persone  é  sollevato  alla 
podestà  esecutiva  dello  stato,  ciò  naturalmente  significa,  che  una 
gran  copia  di  suffragi  patenti  o  latenti  della  propria  fazione  ve 
r  abbia  portato.  Tosto ,  tosto  adunque  una  diserzione  non  si  pub 
dare,  tranne  che  proprio  per  fare  una  ragazzata:  ma  ad  ogni 
modo,  se  si  avverasse  uno  screzio,  la  fazione  ne  andrebbe  rotta. 
Dopo  avere  con  una  penosa  agonia  sospirato  il  giorno  di  porre 
essa  alla  coronati  sostentaceli,  ella  é  già  impegnata  a  far  da  ca- 
riatide: giacché  altrimenti  vedrebbe  ito  in  dileguo  il  suo  sogno. 
Per  un  dato  tempo  cioè  dee,  per  la  sua  stessa  esistenza,  stare 
unita  ad  ogni  costo:  giacché,  se  una  scissura  anche  ragionevole  si 
manifestasse  nel  suo  seno,  sarebbe  un  darla  vinta  alla  fazion  con- 
traria. Oltre  a  codesti  voti,  cui  si  potrebbon  dire  appena  cordiali 
e  simpatici ,  il  ministero  da  essa  creato  ne  ragranella  mano  a  mano 
litri,  qui  e  là  per  r  aula.  Prima  di  tutti,  quelli  degli  uomini  cosi 
detti  govemaiivi,  e  che  sono  i  migliori  tra  tutti:  i  quali,  consi- 
derando, che  lo  stato  ha  bisogno  di  stabilità,  e  che  con  tutto 
questo  cangiar  di  ministri  se  ne  va  a  rotoli,  sosterrebbero  anche 
0  diavolo,  se  si  degnasse  di  fare  il  ministro,  lasciando  queU'  altro 
inferno  per  questo.  Poi  queUi  de'  cosi  detti  uomini  ministeriali; 
i  quali,  se  vogUono  serbarsi  costanti,  debbono  bene  ad  ogni  mini- 


—  176  - 

stero,  che  si  succede,  cangiare  e  mostrarsi  ossequientL  E  non  parlo 
di  coloro,  che  danno  sempre  ragione  ai  vittoriosi ,  e  sempre  torto 
ai  vinti  Se  tutto  ciò  non  basta,  i|  ministero  nuovo  ha  subito 
in  mano  tutta  la  immensa  possanza  dello  stato  per  «  Care  una 
camera  »  (come  si  dice)  di  suo  genio.  Il  seggio  della  medesima 
già  è  composto  de'  suoi  creati ,  o  da  persone  tratte  dalla  propria 
fazione.  Di  modo  che  fin  nell'  autorità  intema  d' un  corpo,  la  qual 
dovrebbe  naturalmente  rappresentare ,  quanto  più  possibile ,  la  va- 
rietà delle  diverse  opinioni  acxx)ltevi  senza  differenza  di  fazioni, 
od  essere  serena  ed  imparziale  tia  le  medesime,  la  esdusione  fa- 
ziosa è  posta  a  fondamento.  E ,  quanto  questa  possa  avere  efficacia 
anche  nelle  consulte  e  deliberazioni,  che  poi  vi  si  prendono,  è 
una  cosa,  che  ai  trascurati  sfugge.  I  quali,  se  considerassero, 
quanto  prema  suir  esito  delle  medesinoe  il  metodo  e  X  ordine  di- 
verso di  porvele,  per  altro  se  ne  avvedrebbero.  Ma  anche  ciò  del 
i^esto  è  un'  inezia  in  paragone  di  quello,  che  il  ministero  può  tare. 
Dappoiché,  per  certe  circostanze,  di  cui  in  sostanza  il  più  delle 
volte  è  arbitro  esso  medesimo,  indicendo  le  generali  elezioni,  possa 
a  dirittura  costituire  esso  medesimo  la  nazionale  assemblea  in 
quella  guisa,  che  vuole:  ed  ecco  come. 


CXXI.  Arbitrio  nel  oostituire  la  rappresenttan  aaajaaala. 

Primieramente  esso  ha  la  stampa  cotidiana  o  la  maggior 
parte  della  medesima  a'  propri  servigi  ;  e  a  questa  dà  il  comando 
(li  patrocinare  i  candidati,  che  gU  sono  benevisi,  e  di  vituperare 
gr  invisi.  I  suoi  amici  corrono  qui  e  là  per  la  penisola  come  suoi 
mess;iggieri  a  ordire  accordi,  adunar  congreghe,  pubblicar  mani- 
festi ;  acciocché  le  candidature  si  formino  secondo  il  suo  disegno, 
ordinariamente  preparato  dalle  capitudini  della  fazione.  Per  non 
dire  de^li  altri  ufliciali  pubblici,  ogni  prefetto,  ogni  vicq[)refèttOy 
ogni  sindaco  (chiamansi  siìidaci  ora  i  capi  de' comuni,  il  che 
sarebl>e  cx^me  chiamarne  gonfalonieri  i  computisti);  ognuno,  dico, 
di  questi  ufliciali  conosce  ne  rispettivi  distretti,  qual  è  la  persona 
dalle  predette  cai)itudini  pro[)Osta  o  proscritta.  Tosto  si  accingono 
a  un  grande  lavorio,  nel  (juale  tutta  la  loro  attività  assorbesi,  e 
specialmente  quella  de' prefetti:  i  quali  anzi,  si  può  dire,  non 
hanno  altro  da  fare ,  che  codesto.  L' esercizio  del  loro  ufficio  è 
una  cosa  da  nulla  in  |>aj*agone  deir  arduo  couipito  elettorale,  a  cui 


—  177  — 

eglino  e  i  loro  dipendenti  son  destinati.  Se  non  sono  creduti  ac- 
conci a  questo,  si  tramutano  di  sede  o  si  destituiscono:  i  rima- 
sti, se  si  mostrano  inetti,  fiacchi  od  anche,  senza  lor  colpa,  nel- 
resito  sfortunati,  si  attendano  una  punizione.  Tutto  il  loro  mte- 
resse  gii  spinge  ad  essere  zelanti  flilo  alla  temerità,  ed  a  capire 
anche  quello,  che  non  è  loro  comunicato.  Perchè,  di  ammini- 
strare bene  o  male  le  provincie,  ninno  chiede  loro  conto:  bensì, 
se  non  vogliono  cadere  in  disgrazia,  debbono  a  ogni  costo  vin- 
cere negli  squittinì.  In  qualche  distretto,  lo  spirito  civico  è  cosi 
languido  o  la  pecoraggine  umana  cosi  supina,  che  basta  senz'al- 
tro si  sappia ,  qual  è  il  beniamino  prefettizio,  che  tutti  votano  per 
lui.  Tanto  più  che  qualche  croce  cavalleresca  o  qualche  altro  nin* 
nolo  pedestre  ne  potrebb'  essere  il  guiderdone.  Nel  più  de'  distretti 
la  renitenza  in  vece  sendo  grave,  non  si  risparmia  maneggi  d' ogni 
sorta  per  superamela.  Se  la  generalità  degli  elettori  è  risentita, 
le  si  promette  una  strada  ferrata;  se  il  candidato  ministeriale  non 
piace,  gli  si  fa  contrapporre  altro  o  più  altri,  che  non  riusciranno; 
se  vi  è  un  terzo  candidato,  che  incommoda,  lo  si  fa  senatore;  e 
via  via.  Occorrendo  ancora  un  soccorso  di  voti,  si  fruga  negli 
archivi  del  censo  e  in  altri  cotali  ripostigli,  per  «  completare  i 
ruoli  degli  elettori  »;  e  lo  si  fa  scaturire.  Alla  più  disperata,  non 
manca  la  disgraziata  famiglia  degli  scrivani ,  de'  gabellieri ,  de'  birri 
e  di  altri  provvisionati  pubblici,  da  cacciare  alle  urne.  Sanno  già 
costoro  quello,  che  i  superiori  vogliono;  e,  se  non  lo  sapessero, 
ne  saranno  con  qualche  ufficio  informati,  e  magari  con  qualche 
esortazione  incitati.  Vennero  alla  luce  per  fino  documenti  pubblici , 
ne' quali  tale  esortazione  appariva  senz'altro  un'ingiunzione.  Que- 
sti per  altro  e  le  congeneri  cose,  che  sopra  io  esposi,  in  massima 
ora  da'  moderati  bigi  le  si  disconfessano.  I  quali  affermano ,  che 
la  volontà  del  popolo  si  manifestò  negli  ultimi  suffragi  sincera, 
libera  e  sovrana:  e,  quando  lo  afferman  essi,  chi  ne  può  dubi- 
tare ?  Fatto  sta ,  che  le  predette  mene  si  potranno  abbandonare , 
o  finger  d'abbandonare:  ma  che,  anche  abbandonandole  del  tutto 
e  da  senno,  fa  parte  delle  teoriche  costituzionali  qui  universal- 
mente accettate,  che  il  ministero  abbia  diritto  e  dovere,  almeno 
in  modi  decenti ,  di  dare  un  tal  quale  impulso  alle  elezioni.  Come 
potrebbe ,  protestano  i  dottori  delle  medesime ,  cimentarsi  altrimenti 
al  cieco  responso  delle  urne ,  lasciare  la  moltitudine  sciolta  e  priva 
di  lumi,  concedere  ampia  balia  a'  nemici  di  soverchiarlo?  E  doversi 
rimanere  inerte  e  passivo  spettatore,  senza  nemmeno  poter  oon- 

12 


-  178  - 

tenere  il  fiotto  contrario?  A  noi,  gente  alla  buona,  parrebbe,  che 
le  singole  persone,  componenti  il  ministero  e  la  fazione  ministe- 
riale, potrebbero  ugualmente  fare  codesto  come  privati:  non  già 
valendosi  della  pubblica  veste  e  deUa  pubblica  autorità.  Già  al  co- 
spetto degli  altri  trovansi  in  una  condizione  migliore,  per  lo  staio 
(U  possesso  e  pel  lustro,  che  il  grado  aggiugne  loro  inavvertita- 
mente. Che,  s'ei  non  possono  nella  qualità  di  privati  conseguir 
quello,  che  co' pubblici  mezzi  si  propongono;  vuol  dire,  che  noi 
debbono.  E ,  se  tuttavia  possono  per  le  anzi  accennate  teoriche  va- 
lersi de'  pubblici  mezzi ,  costituendo  la  nazionale  assemblea  a  lor 
modo;  questa,  cosi  costituita,  non  è  più  la  rappresentanza  del 
popolo:  è  la  rappresentanza  del  ministero. 


CXXII.  ArUtrio  nel  determinare  la  rappresentaatt  aarimiale» 

Ck)n  tal  sorta  di  natali ,  si  può  di  leggieri  comprendere,  quale 
volontà  possa  la  predetta*  assemblea  esprimere,  e  quale  Ubertà 
avere  verso  chi  la  costituì.  Oltre  la  simpatia  di  fazione,  oltre 
r  omaggio  delle  s|)ontanee  reclute ,  di  giunta  professar  dee  la  ine- 
vitabile deferenza ,  che  viene  da'  rap|>orti  di  clientela  e ,  sto  quasi 
per  dire,  di  procreazione.  Le  ufficiali  commendatizie  agli  elettori 
si  volgono  naturalmente  sovra  amici  giurati  ;  o  sovra  persone,  che 
non  hanno  propositi  propri ,  e  che  cominciano  allora  per  la  prima 
volta  ad  avere  gli  altrui.  Il  titolo,  mercè  cui  traggonsi  dall'oscu- 
rità, è  generalmente  quello  di  essersi  poste  in  evidenza,  arrin- 
gando nelle  ragunate  e  nelle  compagnie,  sotto  qualunque  pretesto 
fondate  a  bella  posta,  perchè  le  possano  arringare,  non  importa 
su  che.  Basta  anche  essere  ascritti  in  una  brigata  camescialesca , 
ed  essere  stati  i  più  verl)Osi  tra  gli  zanni  raccoltivi.  £  cosi,  in- 
sieme con  la  povertà  delie  idee,  viene  tutta  quella  docilità  accap- 
parata,  che  si  può  al  mondo  trovare;  e  che  per  soprassdlo  è 
resa  dal  pratico  andamento  delle  cose  parlamentari  maggiore.  Ha 
in  fatti  abbastanza  di  che  lottare  una  fazione  per  difendersi  dalla 
rivale ,  senza  che  vi  aggiunga  di  proprio  la  lotta  co'  propri  capi- 
tani. E  questi  sono  abbastanza  impediti  nell'  esercizio  deDe  pro- 
prie funzioni,  dovendo  continuamente  lottare  contro  gli  avversari, 
senza  che  vi  aggiungano  nuove  ostilità  i  propri  gregari.  Ijo  stesso 
amor  di  patria  in  fine  dee  costringer  gli  ultimi  a  sostenere  i  primi 
in  ogni  incontro  e  in  ogni  affare  (  ragione  o  torto,  che  si  abbìuìoX 


-  179  - 

se  uon  vogliono  vedere  afiatto  sfasciarsi  il  governo.  Or  si  con- 
sente loro  una  cosa  e  or  V  altra,  or  si  chiude  gli  occhi  su  questo 
e  or  su  quell'  errore  ;  di  necessità  in  necessità ,  di  arrendevolezza 
in  arrendevolezza  lasciando  al  postutto ,  eh'  ei  facciano  tutto  ciò, 
che  vogliono.  Se  mai  accennano  del  resto  i  gregari  a  piegare, 
subito  i  capitani  pongono  quelle  immancabili  questioni  di  gabinetto, 
che  gli  sforzano  a  compiacergli.  Tutt'  i  lor  voti  sono  da  tali  que- 
stioni adulterati,  avviluppati,  confusi,  soffocati,  estorti:  né  vi  ha 
manco  bisogno  per  le  medesime ,  che  Y  oggetto  sia  d' alcuna  im- 
portanza. Qualunque  inezia  basta  a  tanto,  e  anzi  precisamente 
un*  inezia  :  perchè  appunto  è  sottinteso,  eh'  esse  e  per  fino  quelle, 
che  decidono  della  caduta  d' un  gabinetto ,  non  hanno  alcun  va- 
lore in  sé  medesime;  ma  semplicemente  strategico.  Fosse  anche 
per  giuocare  un  terno  al  lotto,  quando  un  gabinetto  pone  o  accetta 
una  data  proposta,  quale  indice  di  fiducia  o  di  sfiducia,  la  divie- 
ne tantosto  essenziale:  né  vi  ha  anzi  altra  essenzialità,  che  questa. 
La  volontà  dunque,  nemmeno  quella  della  fazione  ministeriale 
e'  entra  più  :  onde  unicamente  ci  potrebbe  quella  de'  ministri  entra- 
re. —  Se  non  che ,  qui  mi  si  può  osservare ,  veggiamo  pur  qual- 
che volta,  i  suffragi  degli  elettori  non  assecondare  i  ministri, 
0  quelli  degli  eletti  abbandonargli.  —  Certo,  che  questo  acca- 
de; altrimenti  non  si  muterebbero  i  ministri  stessi:  ma  questo 
appunto  mi  avvia  a  dimostrare  Y  ultimo  assunto ,  eh'  io  m'  era 
proposto.  Vale  a  dire,  che  nel  nostro  sistema  costituzionale  fino 
la  volontà  de'  depositari  della  podestà  esecutiva  vien  meno.  Ed 
anzi  tutto  si  vede  chiaro,  ch'essi  quella  speciale  funzione  loro 
demandata ,  e  da  cui  prendono  il  nome ,  eh'  é  di  ministrare  lo 
stalo  pel  principe ,  non  la  esercitano,  né  la  possono  esercitare.  As- 
sorti nelle  guerricciuole  parlamentar[  continuamente  e  quasi  esclu- 
sivamente, tengono  il  proprio  ufficio  come  cosa  secondaria;  e  lo 
commettono  alla  balia  de'  propri  dicasteri ,  che  a  lor  volta  lo 
commettono  alla  balia  della  ventura.  Tutta  la  loro  attività  si  spie- 
ga, logora  ed  esaurisce  in  tali  guerricciuole:  né  si  possono  curar 
d'altro,  che  di  tenere  in  ordinanza  i  propri  seguaci,  e  di  vigila- 
re, infiacchire  e  debellare  gh  antagonisti.  Niente  quindi  di  pro- 
prio, di  originale  e  di  vigoroso  possono  anche  in  questo  campo 
fare  :  eccetto  che  se  per  Y  aura  d'  una  gran  fama  potessero 
fare  i  prepotenti,  e  governare  in  effetto,  come  Camillo  di  Cavour 
per  alcun  tempo,  a  modo  assoluto.  Si  usa  anzi  contro  la  intrave- 
duta loro  inanità  costituzionale  invocare  cotale  esempio,  adducendo, 


-  180  - 

come  quegli  potè  co'  consigli  ragunati  io  parlamento  «  fare  V  Ita- 
lia ».  Per  altro  in  questo  caso  il  parlamento  non  sarebbe,  che 
una  mera  parvenza,  governandosi  non  con  esso  e  in  grazia  di 
esso,  ma  in  onta  e  contro:  e  si  vanterebbero  i  suoi  ordini,  pro- 
prio per  deludergli.  Tutta  V  abilità  starebbe  nel  fingere ,  che  ci 
sia,  e  nel  trattarlo,  come  non  ci  fosse,  mediante  un  giuoco  di 
lustre  e  di  pressioni:  il  che,  quanto  sia  decoroso  e  leale,  lascio 
di  giudicare.  Nondimeno,  poich'  esso  non  sarebbe  più  die  un  im- 
paccio; e,  in  vece  di  trarne  vantaggio,  si  avrebbe  a  schermirsene, 
tanto  sarebbe,  che  alla  bella  prima  si  preterisse. 


GXXIII.  GoTemo  prÌTO  d' aatorìtà  e  d' effloadfti 

La  podestà  dittatoria  di  quel  valente  uomo,  e  cosi  quella, 
cui  i)oscia  imitò  in  Germania  Ottone  di  Bismarck ,  erano  dei  resto 
dalle  circostanze  straordinarie,  che  richiedono  mezzi  e  di  regola 
anche  uomini  straordinari  imfìo^e:  e  megho  anzi  sarebbe,  che 
le  fossero  state  più  risolute  e  più  sincere.  Quando  poi  da  codeste 
straordinarietà  si  prescinda,  nelle  quaU  press'  a  poco  i  parlamenti 
si  degradano  sino  alla  bassezza  di  stupide  turbe  plaudenti;  non 
si  può  tirare  innanzi,  che  pjiscendosi  e  pascendogU  di  vento.  La 
forza  e  la  durata  de'  ministri  dipendendo  dall'  appoggio  della  ri- 
spettiva fazione,  bisogna  cioè  costringere  questa  ad  arar  diritto. 
Onde,  il  pungolo  non  potendosi  usare,  usasi  a  tale  uopo  un  seguito 
continuo  di  compiacenze  e  di  astuzie,  nelle  quah  le  idee  e  le  con- 
siderazioni in  genere  del  pubblico  bene  non  hanno  punto  luogo. 
Imperocché,  se  la  fazione  avesse  proprie  idee,  come  le  avrebbe 
una  vera  parto  politica,  allora  sarebl)e  da  queste  ispirata  e  unita. 
Sendone  in  vec«  priva,  bisogna  con  argomenti  per  lo  meno  acces- 
sori e  artilìciosi  guidarla  e  raffermarla.  Il  modo  migliore  sarebbe 
quello  di  far  niente;  perchè  appunto  è  impossibile  con  tal  sistema 
di  fare  alcuna  cosìì  bene,  o  di  proprio  capo.  Tanto  che,  quando 
occorse  tra  noi  compilar  coglici  o  leggi  organiche,  convenne, 
traendo  pretesto  da  una  guerra  o  da  altro  tal  motivo  estraneo 
alla  legislazione,  im|)etrarc  pieni  poteri  dal  parlamento;  e  cioè 
prescintlere  dalla  sua  oj^era,  ch'esser  diceasi  legislativa.  Ma,  do- 
vemiosi  pur  4|ualche  cosa  fare,  è  giocoforza  farla  male  e  non 
di  i>roprio  ca|)o  (cioè  non  nel  modo,  che  si  presume  voluto);  e 
per  soUto  a  vicenda  ingannandosi,  benché  senza  malvagio  fine. 


—  181  - 

rninistri  e  deputati.  L' anìbiguità  quindi  è  la  naturale  strategia , 
a  cui  bisogna  ricorrere;  e  che  si  vede  appunto  abbracciata  per 
superare  in  genere  tutte  le  difficoltà  superabili.  Noto  è,  come 
tra  noi,  nelle  consulte  e  nelle  deliberazioni  del  parlamento,  le 
formule  de'  partiti  o  (  come  le  si  chiamano  ora  )  gli  «  ordini 
del  giorno  »  si  succedano,  s'incrocino,  s'arruffino,  s'azzuffino 
e  s' arrabattino  con  una  tal  vertigine ,  da  convertirsi  in  disor- 
dini del  giorno.  Chi  è  buono  di  capirne  qualche  cosa,  vai  più 
di  Edipo;  ma  è  a  dubitar  forte,  che  molte  volte  non  gli  capi- 
scano le  sfingi  stesse,  che  gli  presentano.  Dovendosi  conciliare 
gli  opposti  pareri,  e  a  tale  uopo  cercai'e,  che  ognuno  vi  sembri 
incluso;  vince  di  regola  la  formula  equivoca,  o  quella,  che  non 
lia  venin  senso  affatto.  Il  risultato  è,  che  il  pensiero  di  nessuno 
si  può  manifestare;  e  che,  mentre  le  necessità  urgenti  dello  stato 
dettano  i  loro  imperiosi  comandi,  fra  le  medesime  si  naviga  co- 
gli spedienti ,  co'  capricci  e  cogli  enigmi ,  fin  dove  si  può  con 
tali  timoni  navigare.  Non  più  quindi  la  libera  elezione;  ma  il 
caso  0  una  possa  indefinibile,  dì  cui  sono  vittime  e  strumenti 
inconsapevoli,  deputati  e  ministri,  regge  lo  stato.  Come  uomini 
ascrìtti  a  una  segreta  congiura,  mossi  e  tenuti  sgomenti  da  capi 
ignoti,  né  gh  uni,  né  gli  altri  possono  più  del  proprio  arbitrio 
usare,  e  nemmanco  un  proprio  discernimento  conservare.  Il  ri- 
spetto alle  convinzioni  individuali ,  alla  voce  della  coscienza  e  alla 
volontà  del  popolo,  che  unico  potrebbe  stabilire  un  governo  per- 
petuo e  impersonale,  e  in  uno  fervido  di  consigli  e  d'opere,  fu 
proscritto,  per  avere  una  fazione  ligia  e  fedele;  senza  cui,  dicesi, 
che  non  si  può  governare.  Ciò  non  ostante,  questa  per  quelle  mede- 
sime considerazioni  puramente  soggettive,  da  cui  ebbe  vita,  lan- 
gue,  ondeggia,  periclita.  E  viene  finalmente  il  giorno,  che  i  duci 
si  trovano  disertati  dalle  milizie,  in  quella  medesima  guisa,  che 
le  rannodarogo.  Ch'  é  quella  appunto  alla  barbara,  tra  i  nappi  di 
cervogia... ,  cioè  no ,  tra  i  calici  di  malvagia ,  confessata  a  Legna- 
go  da  un  celebrato  maestro  di  questa  sorta  di  dottrine  civili. 


CXXiV.  Anarolda  insita  al  reg^grimento  borpheae. 

Quanto  é  fin  qui  stato  esposto  sulla  pratica  applicazione  della 
nostra  forma  politica  chiaro  manifesta,  che  né  la  volontà  del 
prìncipe,  né  quella  del  senato,  né  quella  del  popolo  (supposto, 


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che  fosse  tale  il  corpo  elettorale  o  il  corpo  da  esso  eletto),  e 
nemmanco  quelle  delle  fazioni  e  de'  ministri  comandano.  Qualche 
volontà  clandestina  naturalmente  si  sostituisce  a  tutte  queste,  che 
potrebb' esser  quella  della  plutocrazia  o  della  tirannide,  cui  io 
qui  svelo.  E  certamente,  quando  nel  seguito  di  questo  libro  ve- 
dremo, come  con  questa  forma  si  è  resa  la  nazione  un  patrimonio 
deUa  borghesia  e  ricettata  fln  la  patria  in  ghetto,  ci  dovremo 
convincere,  che  quella  sola  volontà  impera,  e  che  tutti  dall'alto 
al  basso,  senz'  accorgersi ,  la  riveriscono.  A  non  tener  conto  di 
ciò  ora ,  siccome  la  borghesia  (  dico  quella  vera }  di  regola  non 
ambisce  di  governare  direttamente,  né  il  ghetto  osa  esporsi  di 
troppo;  già  il  lor  fìne  è  raggiunto,  quando  ninno  governi,  e 
possano  essi  impunemente  attendere  a'  loro  affari.  La  essenza  del 
governo  borghese  è  quindi  Y  anarchia:  nel  doppio  senso,  che  effet- 
tivamente non  si  governa,  e  che  ninno  ha  virtualmente  il  potere 
e  il  modo  di  governare.  Volendosi,  in  altri  termini,  senza  freno 
alcuno  succhiare  il  sangue  al  popolo,  e  senza  proprio  pericolo  rovi- 
nare Io  stato,  si  è  inventato  il  parlamentarismo.  Il  quale  non  po- 
trebb'  essere  più  acconcio  a  favorire  gli  abusi ,  e  insieme  più  atto 
a  mascherargli  :  dappoiché  T  assurdo  e  X  illusione  sono  i  suoi  car- 
dini. Sotto  nome  di  separazione  de' poteri  costituzionali,  di  ^^t- 
lihrio  tra  gli  ordini  supremi,  di  vicenda  delle  parti  e  di  die 
so  io;  si  é  fondato  il  reggimento  sulla  diffidenza,  sulla  discor- 
dia e  sull'  impotenza.  La  podestà  esecutiva  é  inceppata  ne'  suoi 
movimenti;  e  insieme,  ponendosi  sotto  T egida  de' corpi  legisla- 
tivi ,  e  dando  una  forma  legittima  e  un'  aria  liberalesca  a'  pro- 
pri atti,  perde  quel  principale  stimolo  al  bene  e  ostacolo  al 
male,  che  potrebbe  nella  propria  responsalità  trovare.  I  corpi  le- 
gislativi a  lor  volta  si  struggono  in  vane  gare  e  in  vane  ciancie: 
nelle  quali  non  é  lecito  nemmanco  a'  più  valorosi  uomini  (  molti 
de'  quali  seggono,  come  ho  detto,  in  essi  )  operar  niente  dì  buono. 
Il  lor  cuore  e  la  loro  mente,  i  loro  affetti  e  le  lor  cognizioni 
non  valgono  niente  colà  entro:  anzi  d'ordinario,  essi  i  primi, 
sono  il  ludibrio  de'  più  furbi  e  de'  più  oscuri.  Essi  prestano  i  lor 
nomi  illustri,  i  lor  passati  gloriosi,  le  loro  fame  pure,  le  loro 
nte  incontaminate  a  pochi  altri,  che  se  ne  valgono  di  bandiera 
e  di  salvaguardia.  E  il  peggior  guajo  é,  che  questo  inutile  tra- 
mestio e  questo  sonoro  vaniloquio  si  prendono  per  libertà;  dap- 
poiché appunto  i  nostri  moderati  di  ogni  specie  credono  e  fìinoo 
credere,  che  la  libertà  stiasi  in  tale  logomachia!  Non  nego,  eh' 


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tatti  non  Y  amino  sinceramente ,  né  che  la  forma  da  loro  instaurata 
non  ne  conceda  molta,  e  anche  per  certi  conti  soverchia.  Ma  è  una 
libertà  formale ,  e  sopra  tutto  falsa  :  è  la  libertà  ai  malvagi  d' in- 
festare, e  agr  innocenti  di  rompersi  il  collo.  È  la  libertà,  con  cui  la 
borghesia  ha  raggiunto  il  suo  intento;  e,  raggiungendolo,  ne  lo  ha 
reso  grato.  Ha  mandato  censettanta  avvocati  alla  camera:  potea 
far  di  più ,  per  ammannire  al  pubblico  uno  spettacolo  permanente 
di  fasti  curiali,  di  orazioni  prolisse  e  di  dispute  sottili?  Costa  ve- 
ramente un  po'  caro  tale  spettacolo,  cui  la  nazione  paga  colla  pro- 
pria umiliazione  e  col  proprio  scadimento:  ma  che  importa? 


CXXV.  Reggimento  sensa  ossequio  pubblico. 

Oltre  le  calamità ,  che  col  reggimento  politico  dianzi  descritto 
si  andarono  accumulando  per  un'ineluttabile  conseguenza,  e  che 
verrò  in  seguito  esponendo  ;  due  sinistri  sintomi  si  sono  sin  d'ora 
manifestati.  Da  un  lato  la  stima  e  la  riverenza  universale  non 
lo  suffragano,  e  dall'altro  i  buoni  lo  sfuggono:  onde  si  è,  per 
causa  d'entrambo,  dalla  nazione  divorziato.  Que' pochi,  che  si 
affaccendano  o  sognano  d'  affaccendarsi ,  reputano ,  che  lo  spirito 
della  nazione  sia  tutto  raccolto  e  intento  nel  loro  perditempo  e 
perdifiato  parlamentare:  né  s'avveggono,  ch'essa  gh  ascolta  tra 
indifferente  e  nauseata.  Spesso  i  consigli  vanno  deserti ,  o  fungono 
irregolarmente  con  una  pienezza  fittizia  e  coatta;  perchè  i  più 
degli  stessi  consiglieri  si  stancano  di  dovere  assistervi,  come  sem- 
plici uditori  e  pazienti.  E  spesso  dalla  urgenza  de'  bisogni  pub- 
blici e  dalla  imminenza  de'  termini  fatali ,  se  non  anche  dalla  vo- 
glia di  sciogliersi  per  le  ferie  natalizie  e  pasquali,  si  decidono 
senza  riflessione  e  senza  serietà.  Tre  quinti  appena  degli  elettori 
partecipano  a' comizi;  e  i  più,  tirati  per  forza  o  da  privati  riguar- 
di 0  scongiuri,  come  se  si  trattasse  di  cosa,  che  a  loro  non  cale. 
È  un  fatto  innegabile,  che  questi  medesimi  non  pregiano  niente 
il  proprio  privilegio;  e  parlano  de' propri  mandatari  generalmente 
a  un  modo,  che  arieggia  ]a  noncuranza  o  il  fastidio.  La  stessa 
stampa  ministeriale ,  sotto  il  governo  de'  moderati  primi ,  ogni 
qual  volta  l' uno  o  l' altro  consiglio  mostrava  alcuna  velleità  d' in- 
dipendenza, ricolmavagli  d'oltraggi  impuni,  o  gli  trattava  come 
branchi  di  chiacchieroni  e  di  fannulloni.  È  questo  il  rispetto,  che 
gi'  ispiratori  di  cotale  stampa  professavano  verso  i  supremi  corpi 


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dello  stato,  partecipi  della  sovranità,  e  a  coi  spetta  la  medesima 
maestà  del  principe!  SQdo  del  resto  chiunque  a  dimostrarmi,  che 
tali  corpi  godano  il  prestigio,  io  non  dico  delle  camere  inglesi; 
ma  nemmeno  de'  più  oscuri  consiglietti  de'  più  oscuri  staterelli. 
Le  p(^rsone  tutte,  che  ressero  lo  stato,  anche  le  più  integre  e 
le  più  devote  al  pubblico  bene,  furono  tal  volta  da  Ubellisti  e 
novellieri  spudorati  vilipese  con  una  furia,  che  minacciava  le  ri- 
putazioni più  inconcusse  e  più  degne;  e  costringeva  quasi  gli 
onesti  a  ritrarsi  da  un  agone ,  ove  non  era  più  salvo  V  onore.  E 
cessai'ono  codesti  novellieri  e  Ubellisti  prima  per  propria  stan- 
chezza, che  perchè  ne' terzi  venisse  meno  il  piacere  dello  scan- 
dalo 0  la  voluttà  del  fango.  Quanto  al  governo,  se  si  reputasse 
un'entità  astratta,  superiore  alle  discordie,  alle  passioni  e  agli 
stessi  uomini,  avrelibe  quell'augusto  carattere,  per  cui  gli  anti- 
chi come  capo  della  patria  lo  veneravano.  Inteso  in  vece  come 
cosa  faziosa ,  non  dà  luogo,  die  a'  sentimenti ,  cui  le  fazioni  pos- 
sono meritare;  gli  atti  improvvidi  e  le  persone  scrollate  nella 
lor  fama,  insidiate  nella  loro  autorità,  spossate  nel  loro  pensiero. 
In  fatti  r  etemo  cicaleggio  e  la  ignobil  zuffa ,  a  cui  devono  que- 
ste assistere  e  da  cui  schermirsi,  ne  logora  fino  le  forze  mprali 
in  guisa ,  che  si  può  dire  essere  tra  noi  l' agone  politico  un  Sa- 
turno, che  le  divora,  come  per  troppi  esempi  si  potrebbe  com- 
provare. Nel  primo  trimestre  del  1877  assistemmo  alla  enormità 
di  una  scissura  fìn  tra' medesimi  governanti,  i  cui  giornali  divisi 
faceano  strazio  dell'uno  o  dell'altro  di  loro:  ed  è  facile  conce- 
pire, che  ossequio  possa%un  governo  con  tali  mezzi  mantenere. 
Poco  appresso  assistemmo  pure  alla  vergogna ,  che  due  cosi  detti 
ministri  delV  intemo,  cui  io  presumo  a  torto  imputati ,  si  do- 
vessero di  seguito  dimettere  (come  dicono  nel  loro  gergo  questi 
giornali  )  <c  per  causa  di  pubblica  moralità  ».  £ ,  nella  tornata 
de'  14  decembre  1877,  chiedendo  162  deputati  contro  184,  cbe 
il  governo  rispettasse  il  segreto  telegrafico,  non  si  sa  tra  costoro 
stessi  chi  avesse  della  pubblica  dignità  concetto  peggiore.  Pre- 
scindendo da  ciò  (  eh'  è  difetto  anche  d' uomini  )  e  solamente 
curandosi  del  difetto  de'  sistemi ,  questi  soli  bastano  a  gettare  il 
discredito  su  tutta  la  pubblica  azione.  Noi  siamo  a  tal  punto, 
che  il  governo  del  regno  d'Italia,  cioè  d'uno  stato  d'oltre  ven- 
tisette milioni  di  regnicoli;  non  ha  una  millesima  parte  del  pre- 
stigio goduto  dal  governo  della  repubblica  di  Sanmmrino,  cioò 
d'uno  stato  di  appena  settemila  cittadini.  E  chi  ne  dubitasse. 


-  185  - 

salga  il  Titano,  che  non  è  lunge;  e  vegga  in  si  umil  fortuna, 
cosa  sia  un  governo  air  antica,  e  quale  venerazione  e  quanto 
amore  lo  circondi! 


CXXVl.  Beggimento  senaa  pubblico  sefiniito. 

Vi  è  poi  r  altro  sintomo,  che  troppi  si  ritraggono  dalla  civil 
palestra,  quasi  non  vi  possano  più  trovare  né  il  modo  di  fare  il 
bene,  né  la  possibiUtà  di  rimanersi  buoni.  E  questo  non  potreb- 
be esser  peggiore;  perchè  non  vi  può  essere  più  terribile  con- 
danna  per  una  (]uaLsiasì  specie  di  reggimento,  che  di  essere  da 
quelli  abbandonata.  Avendo  sotto  gli  occhi  un  numero  cosi  con- 
siderevole di  strepitosi  attori,  noi  non  ci  accorgiamo  di  tutti  gli 
altri,  che  lasciano  loro  il  campo  franco;  e  che  sono  i  più.  Già 
in  dieiott' anni ,  e  in  tanta  impazienza  senile  della  gioventù  di  af- 
frettare il  corso  d' un'  eflìmera  esistenza  ;  ninno  è  sorto ,  degno  di 
succedere  a  coloro,  cui  le  inesorabiU  Parche  incalzano  alla  triste 
riviera  d'Acheronte.  Molti  uomini  egregi  quindi  son  morti,  senza 
che  i  vivi  ne  occupino  il  luogo  :  e  lo  stabilimento  da'  primi  eretto 
non  dà  più  alcun  frutto,  né  mette  più  rami,  come  albero  esausto, 
che  attende  la  bipenne.  Oltre  a  tanta  sterilità  nuova,  quante  vecchie 
forze,  che  avrebbero  potuto  agire  per  la  patria,  non  si  rimasero, 
rimangono  e  rimarranno  inerti?  Sono  forse  le  intelligenze  più  ro- 
buste e  le  coscienze  più  trepide:  le  quali  sdegnano  un  arringo, 
ove  la  mente  è  un  impedimento  e  il  cuore  un  tormento;  ed  ove  il 
maneggio  e  l' astuzia  ne  assumono  le  vecL  E  anzi  tutto  da  quale 
ambizione  potrebbono  esser  lusingate,  se  da  canto  alle  vittime 
degli  antichi  carnefici  siedono  i  satelliti  di  costoro;  e  omai  non 
avanza  più  alcun  pubblico  onore,  che  non  meriti  di  essere  negletto? 
Pognamo,  che  le  stalle  d'Augia  si  ripulissero,  e  che  i  buoni  non 
si  trovassero  in  altra  compagnia,  tranne  co'  pari  loro:  che  cosa  po- 
trebbono eglino  fare?  Io  ho  attentamente  e  religiosamente  conside- 
ralo le  ragioni,  che  Marco  Tullio  Cicerone  adduce  nella  sua  Re- 
pubblica a  biasimo  di  coloro,  che  ne'  difDciU  momenti  della  patria 
ricusano  di  prestarle  soccorso:  e  sono  veramente  gravi  e  giuste. 
Ma  egli  (Umeuiicò  quella,  che  sta  a  discolpa  de' suoi  biasimati; 
e  per  cui  cagione  appunto  egli  si  affaccendò  inutilmente  e  inglo- 
riosamente a  salvare  la  crollante  libertà  romana.  Che  cioè  vi  so- 
no certi  sistemi,  co' quali  a  niun  modo  si  può  fare  il  bene;  e 


-  186  - 

ne' quali  la  propria  partecipazione  non  farebbe  altro,  che  coadiu- 
vare e  condecorare  il  male,  e  addosvsarne  il  carico  e  il  rimorso. 
Le  cause  sante  si  debbono  per  fermo  difendere,  con  ogni  mezzo 
e  ad  ogni  costo:  ma  più  difesero,  presso  i  secoli  futuri,  la  causa 
di  quella  libertà  Catone  e  Bruto,  offerendole  la  vita;  ch'egli, 
arrovellandosi  e  dimenandosi,  Ano  a  che  Antonio  gli  conficcasse 
il  teschio  sui  rostri.  Il  ricusare,  non  di  servir  la  patria,  ma  di 
servirla  co' sistemi  predetti,  è  una  determinazione  da  tempi  di- 
sperati; la  quale  può  essere  da' medesimi  resa  necessaria.  Peroc- 
ché, sebbene  non  vi  sia  scusa  alcuna,  che  possa  dispensare  dal  ser 
vir  la  patria:  per  servirla,  bisogna  scerre  altri  modi,  che  quelli 
con  cui  si  servirebbero  in  vece  i  suoi  nemici.  Se  più  fossero 
valorosi,  questi  si  potrebbero  valere  de' cattivi  ordini,  per  ti     r 
gli  e  per  rovinargli:  e  allora  non  sarebbero  leali.   Se  vogl 
esser  leali,  come  debbono,  osservando  certe  forme  e  accett 
di  agire  con  le  medesime,  debbono  di  necessità  rendersi  fazi 
per  avere  alcuna  efficacia  ;  e  cosi  cooperare  all'  esito  loro  fi 
e  contrarne  la  relativa  mallevadoria.  Se  poi  i  valorosi  sono  pochi 
è  anche  peggio  :  giacché  non  hanno  né  la  possibiUtà  d' in     din 
gli  errori ,  né  di  far  udire  tra  gli  urli  congiurati  la  digni 
protesta  della  verità  misconosciuta.  Se  taciono,  approvano  col  sii 
zio;  se  parlano,  eccitano  la  beffa,  e  rendono  di  giunta  spr 
vole  la  causa  vinta.  Cosi  scende  ignoto  e  inutile  il  lor  voto 
l'urna:  mentre  la  lor  memoria  si  rimane  gravata,  per  essere  s 
complici,  benché  ricalcitrando,  benché  gemendo,  del  lento  j 
sinio  della  patria.  Verrà  tempo,  che  non  si  troverà  più  alcun  u 
di  senno,  il  quale  voglia  assumere  tal  sorta  di  complicità;  e 
il  segno  più  chiaro  della  già  incominciata  dissoluzione.  I 
perché  si  arrabattano  taluni  a  inferir  colpi  a  un  mostro  monboo- 
do?  che  di  meglio,  di  lasciarlo  in  balia  della  propria  sorte?  ( 
chi  lo  può  salvare,  se  gli  manca  la  vita?... 


AMMINISTRAZIONE  BORGHESE. 


CXXVII.  Unifloaiioiie  romana  delle  gentL 

Concepito  lo  stato  e  attuatone  il  reggimento  nella  guisa  anzi 
esposta ,  se  ne  potrebbono  argomentare  le  imprese ,  senza  bisogno 
d' altro.  Accingendomi  però  ora  a  raccontare  anclie  queste ,  pri- 
ma di  considerare  il  pratico  andamento  de'  pubblici  servigi ,  e  i 
frutti  amari,  che  la  nazione  ne  colse;  gioverà,  ch'io  tratti  della 
gestione  de'  nazionali  affari,  intesa  come  politica  funzione  in  ge- 
nerale. Al  quale  uopo,  siccome  ciascun  popolo  vuol  essere  con- 
siderato rispetto  agli  altri  e  a  sé  medesimo  (perchè  la  sua  vita 
civile  in  ambo  i  modi  si  manifesta),  parlerò  partitamente  dell' am- 
ministraeione  sotto  l'uno  e  l'altro  rispetto.  Cominciando  adun- 
que da'  rapporti  esterni^  parrebbe,  che  ne'  tempi  moderni  non 
la  potesse  esser  migliore,  sia  che  si  riguardi  all'Europa  intiera, 
sia  che  all'  Italia  sola.  Perciocché  l' Italia  potè  con  quella  racqui- 
stare  un'  unità  almeno  esteriore ,  e  una  libertà  almeno  formale  ; 
e  r  Europa  instaurare  il  proprio  primato  sulle  genti ,  e  migliorare 
il  diritto  delle  medesime.  Non  vi  ha  dubbio  in  fatti,  che  questa 
oggidì  prevalga  sulle  altre  parti  del  mondo,  non  solamente  per- 
chè ninno  de'  309,580,000  europei  obbedisce  alle  altre  parti  (men- 
tre 292,820,000  tra  asiatici,  americani ,  africani  e  oceanici  obbe- 
iliscono  a  lei)  :  si  perchè  in  sostanza  la  potenza  sua  si  fa  in  tutto 
il  globo  sentire.  Né  vi  ha  pur  dubbio ,  che  con  le  legazioni  per- 
manenti e  i  molteplici  trattati^  che  collegano  i  popoli  tra  loro, 
le  relazioni  internazionali  non  si  sieno  da  alcun  tempo  in  qua 
alquanto  avvantaggiate.  Ma  è  a  dubitai*  molto  tuttavia,  se  questi 
fatti  tutti  sieno  ottimi;  specialmente  paragonandogli  a  quelli,  cui  il 
genere  umano  sospira,  e  cui  Roma,  diciotto  secoli  or  sono,  quasi 
avverò.  La  grandezza  della  romana  opera  è  tutta  espressa  in  que- 
ste parole  di  un  ignaro  e  inconsapevole  giudeo,  che  non  potreb- 


-  188  - 

boro  essere  più  semplici  e  pifi  sublimi.  «  Un  decreto  usci  da  parte 
di  Cesare  Augusto ,  che  tutto  il  mondo  fosse  rassegnalo  »  (  Van- 
gelo i^  Luca,  II,  1).  Prima  non  conoscevano  le  genti  assetto  fer- 
mo e  generale  fra  loro  :  poiché  tale  non  chiamo  quello  degli  asia- 
tici dispotismi;  né  quelle  stesse  leghe  greche  e  italiche,  tra  stirpi 
del  medesimo  sangue  e  supplici  alla  medesima  ara.  Roma  sola  as- 
sorge al  divino  concetto  di  ricongiungerle  tutte  nell'umanità,  in- 
vitando Torbe  a  inurbarsi.  Ninno  può  negarle  la  gloria  di  aver 
fatto  quello,  che  innanzi  non  si  era  mai  veduto,  né  più  dopo  si 
vide:  chiuso  il  tempio  Ai  Giano,  comunicato  la  sua  cittadinanza 
ai  sudditi ,  e  uguagliato  i  vincitori  e  i  vinti.  D  vocabolo  stesso  di 
civiltà ,  con  cui  noi  indichiamo  ancora  il  regolato  e  progredito  vive- 
re de'  mortali ,  viene  appunto  da  codesta  estensione  delle  prerogative 
della  città  eterna  al  mondo.  Onde  l'imperatore  Claudio,  arriDgando 
per  estenderne  la  più  cospicua  ai  galli  transalpini,  disse:  che  «  di 
tutt'  Italia  furono  chiamati  uomini  in  senato;  e  in  ultimo  fino  dall'Al- 
pi, a  fìne  d'accrescere,  non  a  un  uomo  per  volta,  ma  a  cittadi, 
a  nazioni  il  nostro  nome....  I  loro  discendenti  ci  sono,  e  amano 
questa  patria  al  par  di  noi.  La  rovina  de'  Lacedemoni  e  degli 
Ateniesi,  si  forti  d'  arme,  che  fu,  se  non  il  cacciar  via  i  vinti, 
come  strani?  Ma  il  nostro  padre  Romulo  ebbe  tal  sapienza,  che 
molti  popoli  vide  suoi  nemici  e  cittadini  in  un  di  ».  E  Petilio  Ce- 
nale legato,  scongiurando  all'amistà  i  treviri  ribellati  e  da  hii 
domi,  disse:  che  omai  essi  e  tutt'i  popoli  aveano  per  patria  co- 
mune Roma  ;  e  co'  figli  di  questa  formavano  una  famiglia  sola , 
cui  era  massimo  bene  mantenere.  «  Perciocché  cacciati  (gli  iddii 
ne  guardino)  i  Romani,  chi  non  vede  che  tutte  le  genti  s'azzuf- 
feranno tra  loro  ?  Fortuna  e  militare  scienza  hanno  per  ottocento 
anni  si  tenacemente  (]uesta  macchina  d'imperio  collegata,  che 
ninno  tenterà  scommetterla ,  che  sotto  non  ci  rimanga  »  (Annoti 
di  Tacito,  XI,  24,  e  Storie,  IV,  74). 


CXXVIII.  Disonione  barbarica  delle  geBtL 

So,  che  queste  cose  non  piacciono  adesso:  bastano  al  aito 
intento  di  dimostrare ,  ciie  anche  quanto  air  umana  colleganza  sia- 
mo bene  inferiori  noi  di  quegl' infamati  romani.  Imperocché,  per 
opera  de'  consanguinei  di  que'  famosi  treviri,  appunto  accadde, 
che,  cacciatine  i  romani,  le  genti  s'azzuffassero  tra  loro  e,  sconn 


-  189- 

messone  rimperio,  vi  rimanessero  soUo.  Mentre  in  oriente  T im- 
mensa mole,  minando  per  più  di  dieci  secoli  sino  al  principiare 
dell'  evo  moderno  sotto  i  colpi  de'  parti ,  de'  persiani ,  de'  bulgari , 
degli  slavi ,  degli  arabi  e  de'  turchi ,  lasciò  alla  fine  quelle  celebri 
contrade  in  preda  a  tal  desolazione,  che  tuttavia  le  rimangono 
squallidi  deserti;  in  occidente  i  barbari  irruppero,  e  ne  distrus- 
sero la  civiltà  presto.  Per  più  di  cinque  secoli  regnano  anche  quivi 
le  tenebre  della  morte  :  né  in  altra  guisa  la  luce  della  vita  riap- 
pare, che  risorgendo  la  romanità  oppressa  e  ricostituendo  un  si- 
mulacro degU  antichi  ordini.  Alla  fine,  crollati  anche  questi  al 
principiare  dell'  evo  moderno ,  viene  meno  di  nuovo  tra'  popoli  ogni 
nesso;  se  non  si  vogUa  dir  tale  quello,  che  la  pace  di  Yesfalia 
inaugurò  e  che  tuttavia  dura.  Da  questo  punto,  sebbene  spuntas- 
sero e  splendessero  le  grandi  nazioni  moderne  e  le  grandi  mo- 
narchie oltramontane ,  l' Italia  decadde ,  le  razze  settentrionali  per- 
dettero le  loro  domestiche  libertà,  e  l'Europa  si  disgregò.  Si  fa 
oggi  sentire  il  bisogno  d'un  arbitrato  internazionale,  che  non  sa- 
rebbe del  resto,  se  non  un  parziale  ritomo  alla  pristina  unità: 
ma  intanto  la  concordia  europea  non  ha,  che  una  base  incerta  e 
falsa.  L'equilibrio  e  il  contrappeso  delle  forze  (cose  puramente 
negative  e  fittizie  )  non  consentono  alle  diverse  genti  di  amarsi ,  di 
agire  secondo  un  comune  disegno  e  di  osservare  gU  eterni  decreti 
all'  umanità  prefissi.  Ne  hanno  pur  modo  di  consenarsi  ;  dappoiché 
ogni  potentato,  che  lo  abbia  veramente  voluto,  gU  disprezzò.  E, 
per  non  dire,  che  de'  più  recenti  casi,  in  men  d'  un  secolo  prima 
Napoleone  Bona|»arte,  poi  la  nordica  tetrarchia  ed  oggi  la  casa  di 
Brandeburgo  gì'  infransero  ;  e  minaccia  infrangergli  1'  autocrazia 
nioscovitica.  Se,  in  questo  impossibile  slato  di  cose,  il  diritto 
intemazionale ,  eh' è  precisamente  il  diritto  dell'umanità  disgre- 
gata ,  si  disviluppò ,  ne  daremo  noi  merito  a  quelli  ?  Fatto  sta ,  che 
in  onta  a  più  umane  regole  di  pace  e  di  guerra ,  la  pace  ora  non 
è  meno  vacillante  e  infeconda,  né  la  guerra  meno  frequente  e  fu- 
nesta. 11  diritto  di  conquista  fino  su  popoli  afiìni  e  finitimi  e 
ammesso,  e  testé  sull  Alsazia  e  sulla  Lorena  cinicamente  esercitato. 
Sugli  strani  e  sui  lontani  poi ,  con  una  bmtalità ,  che  gli  antichi  con- 
quistatori dell'universo  non  avTebbero,  neppur  contro  antropofagi, 
usata.  1  coloni  euro|iei  si  stabilirono  oltre  l'Atlantico,  macellando 
a  dirittura  i  nativi  :  e  a  un  di  presso  anche  al  presente  si  stabili- 
scono in  Asia ,  Africa  e  Oceania ,  ricacciandogli ,  assottigliandogli 
e  decimandogli   come  armenti.  La  più  illustre  nazione  d' Europa 


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goveraa  un  ampio  impero,  come  una  fattoria,  e  gli  altri  suoi  pos- 
sedimenti ,  come  scali.  Né  considera  i  suoi  rapporti  con  altre  con- 
trade ,  se  non  ne'  riguardi  mercantili ,  e  queste ,  se  non  quali  piazze 
del  suo  traffico  cartaginese.  Tratta  cristiani  e  maomeitani  aDa 
medesima  stregua  :  sacrifica  anche  gli  uni  agli  altri  :  soggioga , 
domina  e  baratta  i  popoli ,  cui  non  innebria ,  non  addormenta  e  noo 
avvelena.  E  le  pare  di  aver  adempito  anche  di  troppo  il  suo  de- 
bito verso  la  grande  umana  famiglia,  quando,  sicura  ne'  suoi  lìdi, 
sfugge  le  pugne ,  a  cui  incita ,  e  plaude  agli  oppressi ,  cui  abban- 
dona ....  Cosi  r  Europa  è  assai  lunge  ancora  di  vedere  accomo- 
date le  proprie  controversie:  e,  mentre  la  Polonia  e  la  Grecii 
attendono  la  propria  risurrezione ,  la  Slavia  sta  per  assodarsi  e  la 
Turchia  per  dissolversi ,  la  Francia  cova  il  risentimento  e  inedita 
la  riscossa,  e  la  Germania  e  la  Russia  gravitano  coli*  immane 
peso;  l'Europa  tutta  arde  nelle  viscere  come  un  volcano.  La 
sua  diplomazia  non  lia  ornai  altro  compito,  che  di  differire  e  at- 
tutire le  ostilità  aperte ,  aumentando  e  inasprendo  le  nascose  ;  sahro 
a  ratificare  ognora  i  fatti  contro  sua  voglia  compiuti.  Prova  nng- 
giore  della  sua  inanità,  della  gelosia,  della  diffidenza  e  delF egoi- 
smo odierno  internazionale,  non  si  potrebbe  addurre,  di  quelli 
questione  d*  oriente  j  obietto  di  dispute  sterili  e  secolari  Che, 
mentre  un  sol  cenno  dell'Europa  unita  basterebbe  a  risolverla, e 
a  ridonare  alla  civiltà  e  a  sé  medesima  la  comun  culla  del  genere 
umano  ;  pure  non  sa  o  non  vuol  darlo.  Né  probabilmente  avrà 
altro  esito  quella  questione ,  che  una  partizione  tra  gli  arbitri  neu- 
tri ,  come  tra  masnadieri  sopraggiunti ,  delle  spoglie  degli  assas- 
sinati. Ma  può  esser  Io  stato  d'Europa  peggiore,  quando  si  con- 
sidera, ch'ella  in  piena  pace  ha  bisogno,  e  per  ritardar  la  guer- 
ra ,  di  5,  837, 000  armati  ?  E ,  se  non  é  sintomo  di  orrìbil  male 
codesto,  che  travaglia  i  tempi  presenti,  qual  dunque  sarà? 


CXXiX.  Ewroitì  della  borgrheiiA  «Mrmi  e  ptdid. 

Uno  de'  punti  più  ardui ,  per  cui  io  ho  affaticato  a  rendermi 
ragione ,  di  certe  circostanze ,  che  accompagnano  la  signoria  bor- 
ghese in  Europa  ;  é  appunto  questa  coincidenza  della  roedeaimi 
e  delle  enormi  e  pacifiche  soldatesche.  Essa  naturalmente  aborre 
le  armi  :  si  consuma  o ,  a  dir  meglio ,  consuma  i  popoli  per  man- 
tenerle co'  danari ,  che  altrimenti  diverrebbero  suoi  ;  e  privasi  di 


-  191  - 

taote  braccia,  che  potrebbono  nelle  oflicine  e  ne'  campi  servirla. 
Qualche  cosa  certamente  guadagna  nelle  aziende  e  provvedigioni 
militari  j  ne'  grossi  improntaroenti  di  pecunia ,  che  occorrono  a  tale 
uopo ,  e  ne'  bottini ,  che  ne  seguitano.  Ciò  non  ostante ,  se  in  com- 
plesso pur  ci  dee  perdere,  oh  perchè  dunque  tiene  ellarin  armi  tanta 
moltitudine?  Per  rispondere  anche  a  questo,  io  penso  prima  di 
tutto,  ch'ella  dovesse  soggiacere  di  necessità  alle  conseguenze 
del  barbarico  assetto  mondiale  ora  accennato,  ed  entro  il  quale 
pullulò  e  prosperò.  Quando  una  gran  parte  del  mondo  quetava 
nella  romana  unità ,  benché  vi  fossero  mfiniti  nemici  vigorosissimi 
da  respingere  alle  frontiere;  bastavano  dugentomila  soldati  nelle 
legioni  nostre,  e  circa  altrettanti  d'ajuti.  Queste  erano  appunto  le 
belliche  forze  sotto  Tiberio:  ma,  venuti  i  barbari,  tutti  costoro 
erano  in  armi.  E  anche  di  poi ,  quando  con  la  caduta  deir  impero 
romano  germanico  e  della  politica  primazia  papale ,  risollevarono  il 
capo,  dovettero  adottare  qualche  cosa  di  somigliante.  Si  dà  ge- 
neralmente a  Napoleone  Bonaparte  la  colpa  di  aver  ingiunto  al- 
l' Europa  gli  eserciti  stanziali  :  quantunque  veramente  la  Sve- 
zia ,  la  Prussia  e  gli  altri  vassalU ,  al  predetto  impero  felloni ,  ne 
lo  avessero  preceduto.  Vero  è ,  che  prima  di  lui  la  Francia  e  molti 
altri  regni  si  accontentavano  di  poca  gente  d' armi ,  di  poche  cerne  e 
di  pochi  svizzeri.  Nondimeno ,  co'  nuovi  vapori  di  Marte ,  che  quindi 
avvolsero  l' Europa ,  dovettero  di  necessità  commettersi  tutti  alle 
grosse  milizie.  La  prevalenza  della  cavalleria  erasi  col  dechino  della 
nobiltà  feudale  e  delle  compagnie  di  ventura  dileguata:  ingaggiare 
lanzi  e  altre  milizie  a  soldo  non  bastava  più  ;  e  naturalmente  si 
venne  alla  coscrizione  forzata  de'  sudditi.  Entrate  le  potenze  su 
questa  via ,  non  conobbero  più  termini  :  perchè  (volendo  vivere 
divise ,  dovendo  vigilare  alla  propria  conservazione  e  avendo  un 
mezzo  molto  spiccio  d'agguerrirsi)  una  sola,  che  tenga  un  forte 
nerbo  di  guerra,  costringe  le  rimanenti  a  imitarla.  Parrebbe  si, 
che  le  potessero  tuttavia  accordarsi  a  diminuirle  proporzionata- 
mente ,  secondo  il  ragguaglio  delle  rispettive  forze  attuali.  In  modo 
che  clii  ne  ha  cento,  le  riduca  a  dieci,  e  chi  cinquanta,  a  cin- 
que ;  e  cosi  tutte  di  conserva ,  senza  che  niuna  si  trovi  più  affie- 
volita in  faccia  alle  altre.  Ma  nemmeno  tale  accordo  è  possibile; 
dacché  primieramente  occorre  impedire  a'  soggetti  di  ribellarsi. 
Onde  (per  esempio)  le  tre  potenze,  che  si  divisero  la  Polonia, 
s'anco  non  avessero  a  temer  niente,  né  ad  agognar  niente  al  di 
fuora,  solamente  per  non  perdere  i  frutti  dell'antico  misfatto, 


-  192  - 

debbono  appuntarle  contro  due  o  tre  cento  mila  baionette.  Poi, 
per  le  controversie  esteme  non  composte  e  pe'  fomiti  d' odio  ri- 
masti, debbono  anche  verso  gli  stranieri  premunirsi.  Onde  oob 
potrebbe  la  Germania  disarmare ,  sin  che  possiede  di  qua  dal  Re- 
no un  lembo  *di  terra  ;  né  conseguentemente  la  Francia.  La  soh 
adizione  della  eredità  turchesca  è  una  perenne  causa  di  litìgi  : 
ed,  anche  se  questa  non  ci  fosse,  lo  assetto  a  nazioni  (a  cui 
tendono  irresistibilmente  le  politiche  compagi  ora,  e  secondo  coi 
dee  ri  mutarsi  Y  Europa  )  basta  a  tener  vivo  per  hingo  tempo  no 
focolare  di  guerra.  Or  dunque  la  borghesia  si  trovò  esaltata  al 
troqo  tra  queste  difficoltà,  ingenerate  dal  dissidio  e  dalla  rapi- 
na ,  cui  deve  suo  mal  grado  soffrire  :  ma  di  proprio  vi  aggiunse 
quella  creata  da'  suoi  freddi  e  codardi  istinti.  Senza  di  esse  in 
fatti,  ella  avrebbe  a  un  di  presso  fatto  ciò,  che  Cartagine  a'  tempi 
antichi  ed  indi  (quando  il  terzo  ceto  prevalse)  i  conmni  italiani: 
vale  a  dire  condotto  bande  mercenarie  y  che  sono  le  vere  milizie 
borghesi.  Per  causa  di  esse  in  vece  dovè  alla  coscrizione  militare 
ricorrere  ;  e  quindi ,  per  la  propria  avidità  e  per  la  propria  paura , 
spingerla  allo  stremo,  che  presentemente  si  vede.  Imperocché, 
s' ella  non  ci  fosse,  tutta  questa  gente,  che  tiene  le  mani  suir  elsa, 
(mainerebbe  la  spada  :  e  almen  si  saprebbe  una  volta,  dì  che  morte 
si  dovesse  morire.  Ella  in  vece,  sapendo  che  le  guerre  min^iebben) 
i  suoi  commerci  e  insieme  susciterebbero  istinti  contrari  a'  suoi, 
e  cercando  di  allontanar  la  catastrofe ,  che  V  attende ,  s' oppone  di 
di  in  dì  alle  medesime.  0,  quando  le  scoppiano,  le  soffoca  ti>- 
sto,  e  insieme  ne  sperde  i  dolorosi  beneflcii,  cui  potrebbon  dare. 
Non  risolvendosi  cosi  mai  le  contese ,  bisogna  star  sempre  prqMH 
rati  alle  battaglie ,  per  prorogarle  o  deludere  ;  e  prepararvisi  tanto 
più  vigorosamente ,  quanto  più  le  si  prorogano  o  deludono.  E  qmnd 
si  spiega,  come  i  molti  e  inoperosi  soldati  sieno  della  tinumide  bor- 
ghese gli  adatti  e  indispensabili  pretoriani. 

CXXX.  Katiiri  deetÌBi  d'Italia  ael  dafiaataaiifa. 

Non  pare  adunque  per  quel ,  che  si  vide  fin  qui ,  che  le  aorti 
d'Europa  sieno  molto  felici:  ma,  tornando  ora  alle  cose  noatre, 
qui  a  primo  as|)etto  parrebbe,  non  ce  ne  dovessimo,  che  ralle- 
grare. E  veramente  vi  è  tanto  di  che  rallegrarsi,  ch'io,  sebbeoe 
in  queste  tanto  crucciate  pagine,  per  parte  mia  esulto.  In  bravi 


—  193- 

aimi  vedemmo  TltJdìa  sorgere  dal  suo  sepolcro ,  riimita  nelle  sue 
membra,  libera  dallo  straniero,  seduta  tra'  primi  potentati  del  gky- 
bo.  Cioè  vedemmo  noi  ora  quello ,  che  non  si  era  più  veduto  da* 
romani  in  poi ,  e  che  cinquanta  generazioni  qui  sepolte  so^irarono 
in  vano.  Al  che  dovriano  por  mente  que'  giovanetti  :  i  quali,  giunti 
cosi  commodamente  a  una  felicità ,  che  sembra  a'  vecchi  un  so- 
gno ,  né  si  curano  di  rendere  la  patria  risorta  degna  del  suo  no- 
me,  e  nò  quasi  d'amarla  e  di  stimarla;  vantandosi  essi,  nati  da 
servi ,  già  cittadini  del  mondo.  Dico  tuttavia,  che,  sMo  mi  sento 
inondar  di  gioja  il  petto  e  inumidire  il  dgUo ,  considerando  la  pre- 
sente fiMluna  della  patria;  ciò  non  vieta,  che  debbansene  deplo- 
rare i  mali  orribili ,  che  ancora  la  travagliano ,  e  fin  quasi  i  mo- 
di ,  ond'  ella  vi  giunse.  Anzi ,  s' io  non  attribuissi  il  merito  della 
sua  risurrezione  ai  patimenti  e  alle  virtù  de'  tanti  suoi  figli ,  che 
ne'  tempi  anteriori  la  predisposero  ;  dubiterei ,  potessimo  noi  go- 
dere ora  una  felicità,  che  non  fosse  meritata.  Il  vero  è  per  altro, 
che  le  cose  italiane  volsero  a  bene ,  perch'  erano  ornai  prossime 
al  porto  :  e  talmente ,  che ,  se  non  in  si  rapidi  istanti ,  in  un  tempo 
più  lungo,  ma  forse  anche  meglio,  sariano  approdate.  L'Italia  ha 
il  vanto  di  avere  la  prima  alle  altre  nazioni  europee,  e  anche  alla 
tedesca,  dato  l'esempio  di  ricostituirsi  una  e  indipendente.  Non  per- 
tanto il  movimento  ricostitutivo  delle  nazioni  è  nell'età  nostra  cod 
deciso  e  spiccato ,  che ,  se  vi  è  concetto  storico  e  vocazione  propria , 
da  discemersi  nella  medesima,  è  appunto  questo.  L'Italia  precede  (e 
io  non  so,  in  che  cosa  non  abbia  preceduto  altrui),  perchè  più 
oi^ressa  di  tutte ,  e  più  di  tutte  dall'  empia  congrega ,  che  si  di- 
mandò santa  alleanza ,  abbandonata  a  una  sorte  insopportabile  ; 
e  perchè  insieme,  come  più  nobile,  più  insofferente  del  giogo. 
Non  era  un'  inezia ,  dopo  tutto ,  tenere  sotto  il  capestro  più  di  ven- 
tisette milioni  d'uomini,  di  una  stirpe  generosa,  con  gloriose  me- 
morie ,  e  non  affatto  decaduti ,  non  rozzi ,  non  vili.  Occorreva  una 
continua  oppressione  in  urto  co'  sentimenti  umani  ;  e  un  incessante 
spettacolo  di  crudeltà,  minaccioso  a  tutti.  Tanto  più,  che,  per 
quanto  quella  imperversasse,  non  ne  era  mai  la  nazione  doma: 
né  mai  si  stancavano  i  suoi  profeti  di  protestare ,  d' imprecare  e 
di  lamentarsi;  né  mai  i  suoi  martiri  di  cospirare,  di  pugnare  e 
d'immolarsi.  La  violenza  più  brutale  durava  ornai  da  quasi  mezzo 
secolo;  e,  massime  dopo  il  quarantanove,  senza  tregua  e  senza  un 
barlume  di  speranza,  che  potesse  cessare  o  temperarsi  mai.  La 
stessa  barbara  Europa  n'  era  infastidita  :  e  co^  comiocijAòno  quel- 

13 


—  194  — 

le,  cui  si  dissero  sue  simpcUie ,  verso  questo  popolo  di  eanUmti, 
di  pifierari  e  di  lazzaroni ,  che  qualche  volta  si  trasformava  (sem- 
pre a  sua  detta  )  in  un  popolo  di  proAighi ,  di  banditi  e  di  re- 
gicidi Cosi  r  Austria ,  diretta  e  indiretta  autrice  di  quella  op- 
pressione, si  trovò  da  tutti  quanti  gli  antichi  sozi  deserta.  E,  poi- 
che  era  di  giunta  dagl'intestini  travagli  aOannata,  bastava  minor 
possa  per  oppugnarla.  In  tal  condizione  di  cose,  e  preosameole 
nel  cinquantanove ,  un  concorde  e  forte  volere  de^'  italiani ,  die 
tutti  fossero  accorsi  sotto  il  vessillo  del  re ,  a  cui  diedero  il  nome 
di  galantuomo,  avrebbe  potuto  affrontarla.  Prevalendo  per  altro 
un  volere  concorde  si,  ma  (per  causa  della  borghesia)  fiacco,  potè 
questo  solamente  colle  armi  alleate  d' un  usurpatore  straniero,  a 
cui  necessitava  infrangere  i  trattati  del  quindici  e  dare  alcun  fol- 
gore alla  propria  pallida  stella ,  e  a  cui  T  Europa ,  per  le  or  dette 
ragioni,  lasciò  libero  il  passo;  potè,  dico,  affrontarla  e  scon- 
figgerla. 


CXXXl.  CKierra  Umbarda. 

Fin  qui  non  lice  air  arte  politica  borghese  menar  vampo  : 
perchè ,  pronta  la  materia  e  scoccata  Y  ora ,  in  un  modo  o  nefi'  al- 
tro qualche  cosa  doveasi  fare  ;  e  non  si  è  fatto  il  meglio .  U  me- 
glio era ,  che  queir  unanime  impeto  degV  italiani  a  sbarazzarsi  de' 
propri  tirannetti ,  si  fosse  manifestato  prima  o  air  infuori  del  na- 
poleonico patrocinio.  E  che  quindi  il  re ,  unendo  le  piemontesi  alle 
altre  armi  regolari  delle  dedite  Provincie,  e  invitando  gl'italiam 
tutti  al  gran  cimento,  atteso  da*  secoli,  fosse  cosi  sceso  in  cam- 
po. Nel  cinquantanove,  per  le  ridette  ragioni,  T Austria  non  era 
piò  in  grado  di  difendere  i  suoi  satrapi  di  qui  centra  i 
che  si  fossero  ribellati.  E,  qualche  anno  appresso ,  poteva  V 
opporle  un  esercito,  non  punto  inferiore  a  quello,  di  che 
vrebbe  potuto  ne*  suoi  dominii  cisal[Hni  disporre.  Se  questo  parti- 
to, certamente  eroico,  ma  unico  degno  e  salutare,  non  prevalse, 
la  colpa  è  tutta  del  terzo  ceto.  Il  quale  non  ama  tal  sorta  di  lodi  mar- 
ziali punto  ;  e  preferi  in  vece,  si  sollevasse  la  patria  dal  aepokra 
tra  impuri  amplessi ,  e  quasi  violata.  Ad  ogni  modo ,  aceo^g^ie»- 
dosi  questo  mezzo,  e  posto  altresì,  che  T altro  fosse  temerario,  e 
non  si  potesse  del  predetto  patrocinio  fare  a  meno  mai  :  diedièy 
mercè  sua,  erasi  cacciato  dalla  Lombardia  T  oppressore,  e  qoiici 


-  195  - 

maoo  a  mano  incorporata  al  Piemonte  la  massima  parte  della  pe- 
nisola; doveasi,  almeno  da  questo  punto,  provvedere,  che  si  com- 
piesse r impresa  con  la  nostra  virtù*  Dato  cioè,  che  per  riscat- 
tarci, noi  fossimo  stati  costretti  a  chiamar  di  nuovo  armi  stranie- 
re, e  a  collegarci  con  un  usurpatore  o ,  a  dir  meglio,  a  porci  sotto 
la  sua  tutela  ;  bisognava  ad  ogni  costo  emendare  questo  peccato 
originale  del  nostro  presente  rinascimento.  La  via  di  emendarlo 
eraci  per  sino  dallo  stesso  collegato  o  tutore  additata:  tramutarci 
tosto  in  soldati,  per  divenire  quel  giorno  cittadini,  in  cui  con  le 
sole  nostre  armi  avessimo  Anito  la  guerra ,  sospesa  a  Yillafranca. 
Àrdeva  X  Italia  di  tal  fiamma ,  che  si  penò  assai  più  per  più  anni 
e  con  ogni  spegnitojo  ad  estinguerla ,  di  quello  che  si  dovesse  fare 
per  accenderla.  Né  sarebbero  mancati  i  duci,  che  sempre  nelle  prove 
si  formano ,  ed  in  qualunque  insurrezione  di  popolo  si  svelano,  n 
solo  periglio,  il  solo  sacrificio,  la  sola  vittoria  avriano  potuto  ridona- 
re agritaUani  quel  sentimento  della  propria  dignità,  quella  riputazio- 
ne all'  estemo  e  queir  amore  verso  la  Ubertà  conseguita ,  cui  non  si 
può  manco  pregiare ,  quando  non  costa  niente.  Or  tutto  ciò  alla  bor- 
ghesia non  piaceva  :  sarebbe  sorta  T  Italia  popolare ,  forte ,  one- 
sta, genuina  e  vera;  in  vece  dell'Italia  falsa,  debole,  corrotta, 
ba^arda  e  borghese.  Armò  quindi  ella,  se  non  altro  per  mostra, 
per  vuotare  V  erario  e  per  succhiare  i  poveri  ;  e  perchè  altrimenti 
le  armi  volontarie  avrebberla  rovesciata.  Ma  col  recondito  pen- 
siero di  non  valersene,  contando  in  vece  di  compier  l'impresa 
co'  protocolli ,  colle  astuzie  e  co'  presti  pubblici. 


CXXX11.  Guerra  Teneta. 

Venne  finalmente  l'occasione,  e  non  da  lei  predisposta,  che 
si  dovesse  ripigliar  la  pugna  col  nemico:  e  questa  si  fece;  ma 
(ahimè)  per  la  gloria  bellica  della  nazione  in  guisa,  che  meglio 
sarebbe,  non  si  fosse  fatta.  H  valore  italiano  non  si  smentì:  ma 
noi  vi  giunsimo  sì  impreparati ,  e  sì  ci  comportammo ,  che ,  se  la 
cessione  delia  Venezia  non  fosse  stata  innanzi  stipulata,  e  la 
Prussia  non  avesse  in  Boemia  e  sul  Meno  quelle  fulminee  vittorie 
ottenuto,  noi  restavamo  dopo  Custoza,  come  dopo  Novara,  fracassa- 
ti Con  questa  grave  macchia  per  altro,  che  allora  quasi  il  solo 
Piemonte  eimcntavasi  contro  l' Austria  integra  e  oltracotante  :  ora 
tutta  Italia,  e  colla  prima   potenza  militare  del  mondo,  contro 


-  196  - 

r  Austria  vulnerata  e  avvilita.  Né  aveva  fino  allora  T  Adriatico, 
testimone  di  tanti  trionfi  delle  venete  galee ,  e  i  cui  flotti  sospi- 
rano ancora  il  nuzial  dono  di  san  Marco ,  subito  V  onta  di  Lu- 
sa.  Noi  potevamo,  valicando  F Isonzo,  e  approdando  in  Istria  o 
in  Dalmazia,  non  solamente  impossessarci  della  porta  orientale 
d' Italia  :  si  annientar  per  sempre  V  austriaca  marina ,  e  calpestare 
il  suolo  straniero  sino  a  Vienna.  Questo  era  implicitamente  prescritto 
dalle  clausule  stesse  della  lega,  per  renderla  pari  ed  efficace; 
anche  se  dal  giusto  orgoglio  di  far  risonare  il  nostro  nome  nel  covo 
degli  antichi  nostri  oppressori  non  fosse  stato  consigliato.  Questo 
non  si  volle  :  e  cosi  si  condusse  la  guerra ,  che  il  nostro  alleato 
osò  malignamente  reputarla  un*  infinta  ;  e  (  patteggiando  da  solo 
r  armistizio)  finh*la ,  senza  nemmanco  più  curarsi  di  noL  So ,  cbe 
queste  vergogne  le  si  sono  già  dimenticate ,  e  che  anzi  nemmanco  le 
si  avvertirono ,  quando  inflitte  :  ma  non  vi  sarà  italiano  un  giorno , 
die  le  dimentichi ,  fino  a  che  non  le  abbia  espiate.  Che  non  sogni 
r  Italia  di  godersi  con  sicurtà  e  con  decoro  la  propria  fortuna  ; 
non  sogni  di  rialzare  il  capo  fermamente  e  alteramente,  se  non 
ricovra  sui  campi  bellici  la  propria  coscienza  e  la  propria  rirlù  ! 
Ma  chi  non  consente  ora  meco  in  tale  opinione ,  per  lo  meno  dee 
concedermi,  che  la  borghesia,  vantantesi  di  aver  essa  liberalo 
r Italia,  certo  non  la  liberò  a  quel  modo,  che  sogliono  i  popoli 
onorati.  Ella  in  fatti,  appena  insediata  nel  nuovo  regno,  rintinzò 
gli  aneliti  fieri  del  popolo  in  que'  modi,  che  appresso  dirò:  per- 
chè è  questo  uno  de'  suoi  segreti  di  stato.  E ,  mentre  avrebbe  po- 
tuto, e  i)er  le  nostre  angustie  economiche  dovuto,  addestrarlo 
tutto  a'  bollici  esercizi ,  ordmando  una  milizia  simile  a  quella,  che 
tengono  gli  svizzeri;  eonformossi  al  sistema  europeo  ddle  truppe 
grosse  e  (Kicifìciie  alle  stanze.  Fino  a  un  certo  punto ,  cioè  lino 
al  tramonto  della  pallida  stella  dianzi  accennata ,  segui  a  tale  uo- 
po il  francese  esempio  :  quando  tramontò ,  il  tedesco.  E  cosi  an- 
che noi  abbiamo  ora,  non  tutta  la  nazione  atta  a  cangiarsi  in 
esercito  nel  momento  della  guerra,  a  modo  classico:  ma  un  si- 
mulacro d' esercito  di  tutta  la  nazione  in  pace ,  a  modo  barbari- 
co. Sarebbe  troppo  per  verità  chiederle ,  eh'  ella  avesse  la  neoes- 
saria  penetrazione  per  cogliere  queste  differenze,  e  la  neoenaria 
originalità  per  abbracciare  un  sistema  diverso  dal  tedesco.  Non-» 
dimeno  anclie  con  questo,  a  quel  che  sembra,  noi  non 
piò  forti. 


—  197 


CXXXIII.  UliiU  italiana. 

Secondo  la  Legge  de  7  giugno  1875  y  il  servigio  militare 
è  qui  obbligatorio  per  tutti,  e  il  oootingente  amuiale  è  di  65,000 
Domim  di  primo  bando,  35,000  di  secondo  e  45,000  di  terzo.  A 
mezzo  Tanno  1875  avevamo  867,886  uomini  descritti,  benché  so- 
lamente 409,426  nella  milizia  stabile,  di  cui  204,255  sotto  le  in- 
segne. E,  poiché  si  ritiene,  che  siamo  in  grado  di  riunire  al  bi- 
sogno 300,000  soldati  in  prima  linea,  con  185,000  di  supplemen- 
to; parrebbe,  che  noi  avessimo  la  medesima  forza  de' nostri  rin- 
negati avi.  Certo  da*  romani  in  poi ,  non  ebbimo  tanti  militi  nostri 
sul  nostro  suolo  :  e  sia  benedetto  questo  giorno,  in  che  gli  abbiamo. 
Oh,  avessimo  in  vece  solamente  dieci  delle  lor  legioni,  e  per  tutto 
fl  rimanente  popolo  gli  ordini  della  loro  milizia!  So  anche,  che 
sono  anticaglie  questi  ordini:  pur  chi  considera  quel  mirabile  e 
possente  organismo  delle  legioni ,  eh*  erano  come  città  mihtari  e 
ambulanti ,  e  quella  lor  discipUna  rigida ,  e  tuttavia  accompagnata 
da  tanta  espansione  fraterna  ne*  fatti  d*  ai*mi,  e  negU  accampamenti 
da  tanto  vigore  di  vita  civile  e  Ubera;  si  strugge  con  Machia- 
velli di  rivedergli.  Gli  uomini  qui  «sono  que' medesimi:  e,  per  ri- 
divenir pari  a*  loro  rinnegati  avi ,  non  mancano,  che  i  santi  ordini 
antichi ,  e  la  possibiUtà  di  mostrare  il  lor  valore.  Grazie  al  primo 
nucleo,  eh*  è  la  maggior  gloria  del  Piemonte,  e  il  maggior  bene* 
fido  da  esso  reso  alla  comune  patria,  noi  potemmo  per  altro  in 
brevi  anni  costituire  un  esercito;  la  cui  fedeltà  è  incrollabile,  e 
in  cui  si  concentra,  corrobora  e  sublima  tutto  1*  eroico  cuore  del 
popolo.  Rimanga  esso  sempre  fedele,  perchè  debbono  i  buoni 
soldati  morire  a  piedi  di  quella  bandiera,  a  cui  hanno  giurato 
fede:  ma  non  isperi,fin  che  la  borghesia  regna;  non  isperi  pro- 
pizio il  patrio  Marte.  Questa  non  ha  lauri  per  esso,  poiché  aborre 
cordialmente  i  prodi:  non  simpatia,  non  ammirazione,  non  vo- 
ghi d*  adoperarlo.  E ,  se  lo  potesse ,  come  accennò  in  un  certo 
momento  di  stremarlo,  ne  lo  discioglierebbe  tosto  del  tutto.  Non 
poteodone  fare  a  meno,  lo  sopporta:  e  cosi  lo  strazia,  che  né 
una  professione  propriamente  militare  abbia  luogo,  né  uno  sfàrito 
bellieoso  spunti,  precludendone  ogni  via.  I  mmori  ufficiali  non 
hanno  altro  avvenire,  che  d*  imbrancarsi  nella  vecchi^ga  cogli 
altri  invaUdi  dell*  amministrazione  pubblica,  quando  ncm  sieno 


-  198- 

prima,  col  pretesto  di  qualche  riforma  o  riduzione  organica,  li- 
cenziati; e  i  generali,  che  di  cangiarsi  in  diplomatici.  Ha,  se 
ad  ogni  modo  la  milizia  di  terra  e'  è,  benché  mal  ordinata  e  mal 
tenuta;  oh,  la  marittima  chi  la  sa  trovare?  Non  vi  è  in  Europa 
contrada,  nemmanco  la  stessa  insulare  Inghilterra,  che  per  la 
propria  conformazione  e  ubicazione,  anche  a  prescindere  daUe 
tradizioni  storiche,  sia  dalla  natura  destinata  ad  esser  potenza 
navale,  più  della  penisola  nostra:  tutta  coste  e  porti,  signora  di 
due  mari  e  chiave  di  tre  parli  del  mondo.  Appena  ritornala  in 
possesso  di  sé  medesima ,  gridarono  tutt'  i  suoi  figli ,  che  sono 
anche  i  piii  bravi  marinai:  al  mare.  Né  risparmiarono  sacrifici, 
pur  di  vedere  un  naviglio  risolcarlo,  e  il  paviglione  italiano  por- 
tare alle  lontane  spiaggie  il  saluto  della  patria  risorta.  In  vano: 
avevamo  nel  sessantasei  quelle  famose  prore  rostrate  e  quel  Cunoso 
ariete  marino,  cui  poterono  le  sdruscite  carene  di  Teg^of  affon- 
dare. Né  pare,  sebbene  sieno  anche  i  nostri  soldati  di  mare  va- 
lorosi, die  abbiamo  adesso  armata  migliore.  Poco  fa  misersi  al- 
l'incanto  come  carcasse  disusate  e  ferravecchi  quelle  navi  già 
avariate,  prima  che  le  fosser  varate;  e  tuttavia  battezzate  per 
formidabili.  Ed  io  temo,  o  Cajo  Duilio,  che  fino  il  tuo  santissimo 
nome  mandino  questi  cartaginesi  a  picco.  A'  quali ,  dopo  gittato, 
come  in  una  voragine  senza  fondo,  più  centimua  di  milioni  di  lire, 
par  gran  cosa  di  poter  noverare  ora  40  legni  da  guerra  e  25  da 
trasporto.  E  cosi  in  diciotf  anni,  e  con  tanto  sprezzo  de'  nostri 
maggiori,  tutta  la  borghesia  italiana  non  fu  in  grado  d'alleslire 
un  decimo  di  quelle  flotte,  che  tal  volta  in  pochi  mesi  le  sole 
cittadmanze  di  l^isa  o  di  Genova  o  di  Venezia  armarono. 


CXlXiY.  Iniaiaiatnudoiie  Mtana  dal  regat  d'ItaUAi 


Il  vitupero  d' una  marina  (  parlo  del  materiale  \  inferiore  per 
sino  a  quelle,  che  testé  V  Italia  serva  possedeva,  é  certamente  la 
meno  scusabile  colpa,  che  si  possa  air  amministrazione  del  nuovo 
stato  imputare,  ed  anche  a*  singoli  suoi  ammmistratori.  Nondime- 
no io  ho  già  detto,  che  degli  errori  degli  uomini  non  mi  caro:  e 
d*  altra  parte  credo,  se  non  per  questa  e  per  alcune  iHre  colpe, 
per  molte  si  debba  loro  indulgere  in  considerazione  di  <pidta 
inesperienza,  eli' è  troppo  facile  concepire.  Essi  per  verità  non 
potrebbono  allegare  nemmanco  questa  scusa:  peroccfaè,  dispre- 


-  199- 

giaDdo  i  priDcipii  con  tanta  sicumera,  avrebbero  avuto  obbligo 
impreterìbile  di  dare  del  loro  insolente  praticismo  migliori  saggi. 
Però,  come  debito  di  giustizia,  T allego  io  per  loro;  sendo  na- 
turale, che,  trovandosi  sugli  omeri  il  colossale  carico  di  reg- 
gere uno  stato  appena  costituito  senz'  aver  potuto  innanzi  fare 
alcun  tirocinio,  commettessero  qualche  perdonabile  errore.  Dico 
tuttavia,  che  la  fiacchezza  e  inerzia,  con  cui  raccolsero  e  con- 
dussero le  nostre  forze  e  imprese  militari,  se  non  per  deliberato 
proposito  loro,  è  proceduta  dal^  disegno  borghese,  di  cui  furono 
esecutori  ciechi  :  di  costituire  uno  stato  debole  e  imbelle.  Vedre- 
mo appresso,  parlando  della  scuola  e  della  letteratura  borghesi, 
come  queste  ci  esortassero  agi'  idilli  economici ,  quando  la  Ger- 
mania preparavasi  alle  battaglie.  Ed  or,  che  le  hanno  raggiunto 
il  loro  perverso  intento,  e  che  questa  si  è  glorificata,  ci  rinfac- 
cino di  giunta  la  premeditata  impotenza.  Prescindendo  da  ciò,  la 
borghesia  italiana  non  ha  mai  dissimulato,  che  fosse  meglio  fare 
r  Italia  diplomaticamente ,  anzi  che  militarmente.  E  reputa  anzi 
questo  un  titolo,  per  cui  andrà  nella  storia  de'  secoli  venturi  fa- 
mosa. Creare  e  mantenere  lo  stato  a  forza  di  cabale,  di  sotter- 
fugi e  di  vergogne:  ecco  il  suo  sistema  nelle  cose  intemazionali 
0,  come  si  dice  ora,  la  sm politica  estema.  E,  poiché  il  successo 
Tha  coronata,  chi  più  di  lei  ne  deve  insuperbire  e  gongolare? 
Se  non  che  gli  uomini  onesti  devono  ripudiare  questo  suo  ma- 
chiavellismo goffo,  volgare  e  falso;  e  i  popoli  tremare,  quan- 
do la  lor  fortuna  potesse  venir  condannata  dal  tribunale  supremo 
della  moralità  umana.  Vi  sono  nella  recente  nostra  storia  certe 
pagine,  le  quaU  io  per  carità  di  patria  non  apro,  e  supplico 
gr  ìddii  a  distruggerle.  Ma  appunto  il  bisogno,  eh'  io  stesso  sento, 
di  seppellirle  nell'  obblio,  io  della  verità  sì  audace  confessore ,  mi 
sgomenta.  Che,  se,  per  ^sser  cinti  da  assassini,  e  come  per  in- 
colpata tutela,  dovemmo  alla  frode  e  a  peggiori  arti  ricorrere;  non 
si  vantino  almeno  cotali  arti,  che  ad  ogni  modo,  tosto  scampati, 
dovevamo  smettere  I  Perchè  con  esse  si  può  deludere  altrui,  fin  che 
ci  sta  sopra  col  pugnale:  ma,  perdurando  nelle  medesime,  non  si 
rialza  la  fronte  mai  ;  e  si  finisce  col  deludere  sé  stessi.  In  vece  la 
borghesia  crede  intimamente,  che  non  le  sieno  già  dolorose  e  tran- 
sitorìe  necessità,  da  orrendo  fato  prescritte;  sibbene  plausibili  e 
perenni  strumenti  della  felicità  umana.  È  un'ingenuità  da  fan- 
ciulli, a  suo  credere,  r  aver  fede  nella  virtù:  fi  mondo  é  de' fur- 
bi; ed  un  popolo,  che  risorge,  deesi  governare  cogli  stessi  spe- 


-200- 

dienti  d'  una  monarchia  decrepita.  L' ingaono  verso  i  nemici, 
versò  gli  stranieri  e  per  sino  verso  i  coacittadini:  la  menMogna^ 
anche  nel  concilio  fiìx  solenne  della  nazione,  ed  anche  quella,  eh'  6 
palese  e  che  può  siili'  istante  venire  scoperta  e  contraddetta;  ecco 
il  sunto  della  sua  dottrina  civile. 


CXXXY.  IMplAmailA  borglma. 

• 
Per  tal  degno  vestibolo  io  sono  entrato  nel  tema  della  diplo-' 
mazia  italiana;  la  quale  gode  ornai  fin  presso  gli  stranieri  qualche 
fama,  e  nella  quale  compendiasi  tutto  il  metodo  seguito  per  Jbre 
r  Italia,  e  tutta  V  afte  di  stato  de'  suoi  reggitori.  Il  giudizio  favo- 
revole degli  stranieri  veramente  dipende  dall'  inattesa  a^iarizione 
d'un  nuovo  potentato  di  prima  classe  in  Europa;  la  cui  origine, 
non  potendola  attribuire  alle  guerresche  fazioni,  attribuiscono  alla 
difdomatica  abilità.  £ssi  non  considerano ,  che  V  assennatezza ,  la 
temperanza,  la  fermezza,  la  moderazione,  la  finezza  sono  doti 
peculiari  del  popolo  italiano;  e  che  questo  le  usò  mirabilmente, 
e  se  ne  sarebbe  valso,  qualunque  diplomazia  avesse  avuto.  Io  del 
resto  non  nego  affatto  la  diplomatica  abilità  a'  nostri:  massioie 
a  Camillo  di  Cavour,  di  cui  in  sostanza  sono  tutti  alunni;  e  cui  i 
tedeschi  comparano  ad  Armando  di  Richelieu,  e  degnano  per  sino 
reputare  un  precursore  di  Ottone  di  Bismarck.  Credo  anzi,  che 
miglior  uomo  in  questa  prima  e  tenebrosa  fase  del  nostro  risor- 
gimento non  potessimo  sortire  da'  cieli  ;  e  eh'  egU  abbia  reso  alb 
patria  servigi  imperituri  Ma,  prima  di  tutto,  se  utile  la  sua  opere 
nel  cattivarle  una  stima  diplomatica,  neir attribuirle  un  valore  pres- 
so i  diplomatici  areopaghi ,  nel  forzare  la  mano  al  diplomatico  sire 
di  Francia  e  in  altrettaU  diplomatici  maneggi;  fu  anche  nociva 
nel  dare  all'  Italia,  entro  e  fuori,  tutto  questo  diplomatico  andazio, 
e  nello  accontentarsi  del  medesimo...  diplomaticamente.  Pwcbè  la 
dif^omazia,  posto  che  occorresse  per  cominciare  e  favorire  la 
impresa,  certo  non  era  cotal  forza,  e  sopra  tutto  una  diplomazia 
di  vecchio  conio,  da  rìsoUevare  un  popolo,  ordinare  un  reggi* 
mento  e  amministrare  uno  stato  novello.  Oltre  a  ciò  eg^,  quan- 
tunque ottimo  cittadino,  pur  come  insigne  economista,  idoiatn 
degli  ordini  inglesi,  e  alieno  dal  classico  genio  della  sua  terra,  di 
cui  non  un  raggio  penetravagU  nella  mente,  e  cui  anzi  derideva 
come  una  fisima  da  pittori  e  da  poeti;  fu  tra  noi  della  sovramlà 


-201  — 

borghese  appunto  il  padrino.  La  quale  ha  ben  ragione  ora  di 
venerarne  V  ombra,  come  proprio  dio  tutelare.  A  non  tener  conto 
di  ciò,  e  per  quanto  sia  il  suo  merito,  non  deesi  in  fine  dimen- 
ticare, commesso  e  gli  alunni,  che  gli  successero,  non  avessero 
poi  tutta  quanta  quella  sagacia,  cui  si  volle  loro  attribuire.  Cer- 
tamente, che  Y  esito  fa  velo  al  giudizio;  specialmente  in  tempi, 
in  cui  non  si  stima  altro.  Laonde,  vedendosi  ora  un  grande  regno 
e  con  qualche  preferenza  presso  le  genti ,  pare ,  eh'  ei  n'  abbiano 
avuta  parecctiia.  Non  pertanto,  considerando,  quanto  le  circostanze 
fossero  loro  propizie,  come  la  nazione  gli  assecondasse,  ed  anzi 
gr  indirizzasse  e  sospingesse,  e  cotaii  altri  favori ,  che  si  sogliono 
alla  fortuna  attribuire;  vi  è  molto  da  levare  alla  lor  fama.  E,  per^ 
che  non  sembri,  che  con  vaghi  accenni  io  vogUa  scuoterla,  farò 
ora  sulle  gesta  della  diplomazia  italiana,  ovveramente  borghese, 
dottrinaria  e  moderata,  alcuni  calmi  riflessi. 

GXXXVI.  Legra  italo  francese. 

La  maggior  gloria,  cui  essa  vanta,  è  naturalmente  V  alleati^ 
sa  napoleonica,  mercè  cui  venne  cacciato  lo  straniero  e  auspi- 
cato r  italico  regno  :  ma ,  se  non  avesse  nemmen  di  questa  il 
merito,  che  ne  sarebbe?  Potrebbesi  forse  documentare,  che  fino 
il  pensiero  della  medesima,  fissato  poscia  a  Plombières  (1858), 
devesi  piuttosto  air  imperatore  francese,  che  al  ministro  sardo.  E 
certo  il  primo,  per  portar  fuora  le  aquile  sue  spennate,  e  supe- 
rar le  chiostre  della  santa  alleanza,  di  cui  era  bandito  ;  e  per  far 
questo  col  consenso  d' Europa  (  dopo  aver  detto ,  a  quetame  le 
gelosie  e  i  timori,  che  «  Y  impero  era  la  pace  »),  non  aveva  altro 
modo,  tranne  codesto.  Pur,  nel  supposto,  che  codesto  gli  fosse 
dal  secondo  suggerito,  e  che  si  possa  far  buona  la  temerità  di 
far  ripassare  le  Alpi  a  nuovi  stranieri,  contrapponendo  francesi 
a  tedeschi  (cosa  non  nuova,  e  usata  innanzi  da  perfidi  italiani, 
e  sempre  con  calamitoso  fine,  e  reputata  in  ogni  dove  primo 
capo  d' alto  tradimento  );  Y  esito  buono  da  che  questa  volta  è 
dipenduto  ?  Nelle  guerre  anzi  tutto,  e  più  quando  le  s' intrapren- 
dano ofiensive  e  volontarie,  bisogna  fare  i  conti  in  maniera,  che 
si  preveda  Y  uno  e  Y  altro  evento;  e  che  si  possa  cosi  della  vit- 
toria godere,  come  nella  sconfitta  campare:  ma,  se  non  si  fosse 
vinto,  che  ne  sarebbe  avvenuto?  E,  supponendo  anche,  che  si 
dovesse  esclusivamente  vincere,  o  che  V  Europa  non  avesse  tol- 


-202  - 

lerato  il  nostro  finale  strazio:  ma,  se  si  fosse  vinto  del  tatto, 
che  ne  sarebbe  ugualmente  avvenuto?  11  non  condurre  a  termine 
la  campagna,  fu  per  causa  dell'Europa  medesima,  che  a  un 
tratto  insospettì,  o  per  qualsivoglia  altra  causa,  tranne  che  per 
volontà  nostra:  e  di  questo  adunque  ninno  può,  né  ama  darsi  il 
merito.  Se  poi  A  fosse  condotta  a  termine,  e  ammesso  pure,  che 
vi  possa  essere  tra  lupo  e  agnello  giusta  lega;  oh,  sta  a  ve- 
dere, che  nel  dividersi  la.  preda  quello  si  sarebbe  preso  niente 
0  la  mhior  parte,  e  noi  tutto  o  la  maggiore!  Anche  andando  le 
cose  cosi,  come  le  andarono,  gli  dovemmo  dare  in  baratto  una 
certa  quantità  di  terre  e  d' anime  italiane  (  secondo  capo  d' alto 
tradimento):  il  che  non  è  motivo  di  gloriarsene.  Ebbene,  che  gli 
avremmo  dovuto  noi  dare,  se,  come  si  desiderava,  le  fossero  andate 
diversamente?  Avrebbesi  avuto  un  regno  savojardo  nell'  alta  Italia 
certamente,  ma  a  lui  vassallo;  e  di  giunta  un  regno  bonapartiano 
nell'  Italia  centrale ,  e  forse  un  altro  murattiano  nella  meridionale. 
Per  verità  su  questi  due  ultimi  regni  non  insistè  Y  allegorico  lupo 
troppo:  ad  ogni  modo  (oltre  alla  sua  naturale  peritanza)  il  divieto 
europeo,  la  sospèsa  guerra,  T  avversione  assoluta  degF  italiani,  e 
principalmente  V  intuito  e  il  proposito  loro  di  ricongiungersi  in  una 
sola  famigUa,  gh  recarono  intoppo.  H  quale  si  può  dire,  che  in 
parte  gU  venisse  dal  predetto  ministro  sardo  e  da'  colleghi  frap- 
postq  co'  plebisciti ,  o  colle  cosi  dette  annessioni  preci[Htosameote 
alTrettate.  Tuttavia ,  senza  la  dissoluzione  delle  tirannidi  domesti- 
che già  seguita ,  senza  Y  annegazione  e  la  saviezza  del  popolo, 
e  senza  le  scappate  di  Giuseppe  Garibaldi  punto  diplomatiche, 
nemmeno  qui  la  diplomazia  avrebbe  approdato.  E,  quanto  al  se- 
greto ,  di  cui  la  si  valse  per  adoperare  all'  interno  modi  irrego- 
larissimi  e  rendergli  all'  estemo  regolanssimi  (  cioè,  eh'  ella  occu- 
pava le  Provincie  da  lei  stessa  agitate,  per  sottramele  all'agita- 
zione); via,  era  presso  le  corti  oltramontane  divenato  coiai  il 
segreto  di  Pulcinella.  All'Europa  né  del  dominio  austriaoo  in 
ItaUa  caleva  più,  né  degli  altri  feudi  austro  itaUci:  e,  temendo 
ella  ora,  che  l'astuto  nipote  del  moderno  Cesare  vi  prevalesse, 
ci  lasciò  Uberi;  e  ci  avrebbe  quasi  anco  lyutati,  perchè  ce  ne 
sbarazzassimo  più  presto.  Se  però  codest' impacci  impedirooo,  a 
chi  fu  in  sostanza  della  presente  ItaUa  massiiho  autore,  di  tut 
tutto  quello,  che  avrebbe  desiderato;  non  gì'  impedirono  d'assu- 
mere e  d'esercitare,  fin  che  visse,  una  specie  di  prolectonto 
sulla  medesima  molto  fastidioso  e  importuno. 


-203- 


CXXXVU.  GapitoH  settembrìiiL 

C  impedì  egli  anzi  tutto ,  ned  era  da  dargli  colpa  (  perchè 
quanto  piii  favoriva  noi,  e  tanto  più  appo  i  suoi  perdevasi),  di 
ricongiungere  air  Italia  la  capitale  da'  secoli  designata.  I  conati 
d'Aspromonte  e  di  Mentana,  dovuti  al  cosi  detto  «  partito  d'a- 
zione »;  ma  incuorati  e  guastati  da  una  transitoria  amministra- 
zione di  legulei,  alquanto  eterodossa,  e  che  non  avea  né  la  lealtà 
del  bene ,  né  la  perseveranza  del  male ,  non  si  possono  all'  am- 
ministrazione ortodossa  de'  nostri  reggitori  imputare.  Però  la  se- 
conda lor  gloria,  che  fu  la  Convenzione  de  15  settembre  1864, 
mercé  cui  lasciarono  i  francesi  Roma,  é  anche  questa  cosi  con- 
troversa, che  quasi  tutta  la  nazione  la  imputò  loro  a  biasimo. 
L'unico  intento  evidente,  che  la  potesse  avere,  era  di  fatti  la 
rinuncia  per  parte  nostra  a  Roma.  Perché  a  quale  altro  scopo 
intorbidare  la  pace  interna,  ailìevoUre  e  porre  a  rischio  il  re- 
cente stabiUmento  politico,  tramutandone  la  sede  da  Torino  a 
Firenze,  se  non  la  doveva  esser  quivi  deflnitiva?  Ammesso  pure, 
che  vi  fosse  un  intento  riposto,  e  che  ambo  i  contraenti  mirassero 
ad  ingannarsi  a  vicenda  (cosa  lecita  e  laudevole  in  diplomazia); 
chi  sa  mo,  l'inganno  maggiore,  a  cui  sarebbe  toccato.  Quella 
partenza  degli  ausiUari  o  giannizzeri  papalmi  era  del  resto  cosi 
precaria  e  illusoria,  come  poi  si  vide.  Né  noi  saremmo  entrati 
Dell' ahna  città,  a  detta  d'un  energumeno,  mai;  se  i  tedeschi 
(cosa,  cui  la  diplomazia  moderata  non  prevedeva)  non  avessero 
mandato  il  più  scaltro  de'  contraenti  e  tutti  ì  suoi  sogni  in  aria. 
Ad  ogni  modo  questa  convenzione  e  tutti  gli  atti  anteriori  e  po- 
steriori, sino  alla  sventurata  fine  di  quello;  e  tanto  i  buoni, 
quanto  i  cattivi,  e  più  forse  i  buoni,  furono  da  esso  consigliati  o 
indetti.  Per  una  decina  d' anni ,  una  potenza  di  prim'  ordine  fu 
costretta  quindi  aggirarsi  entro  la  sua  orbita;  e  noi  non  poteva- 
mo muover  braccio,  né  batter  ciglio,  senza  la  sua  guida  o  la 
sua  licenza.  E ,  se  l' astro  suo  non  tramontava  e  non  fossero  tra 
lui  e  la  Germania  sopravvenute  rivaUtà  mortali,  di  cui  non  ab- 
biamo noi  il  merito;  come  avvinti  dalle  sue  viperine  spire,  e 
dal  suo  avvelenato  alito  sofTocati ,  non  potevamo  piii  liberarcene, 
né  respirare.  Questa  era,  io  lo  so,  la  naturai  conseguenza  della 
predetta  lega  tra  liqK)  e  agneUo,  ossia  tra  forte  e  debole,  che 


-204  - 

dee  di  necessità  essere  disuguale,  e  per  lo  meuo  tramutarsi  in 
accomandigia.  Ma  non  la  è  dunque  cosa,  di  cui  possano  i  di- 
plomatici nostri,  che  la  stipularono,  vantarsi. 


GXXXVUL  Lega  itti»  praiiiaiia. 

Io  dissi,  che  Ano  i  buoni  atti  loro  debbonsi  air  imperiai 
pedagogo  aggiudicare  :  e  questo  principalmente  nell'  aìUanea  pru»- 
siana  si  vide,  eh' è  la  terza  gloria,  cui  vantano.  La  qoale  Ita 
non  solamente  da  lui  permessa  (  senza  di  che  non  V  avriano  po- 
tuta concludere),  ma  incoraggiata,  come  gli  spacci  degK  ^essi 
nostri  legati  svelano  :  e  ciò  nondimeno  assai  poco  onorifica.  Qoe* 
sentimenti  di  patria  e  di  libertà,  che  aveano  schiacciato  il  pri- 
mo Napoleone ,  e  riposto  e  raffermo  su'  germanici  troni  gli  anti- 
chi signori,  erano  stati  da  costoro  e  particolarmente  in  quella 
Prussia  feudale  e  despptica,  che  or  se  ne  ostenta  ispiratrice  e 
altrice,  repressi  anche  col  sangue  de' popoli.  Quelli  per  altro, 
grazie  principalmente  al  solito  lievito  di  Francia,  nell'anno  1848 
nuovamente  fermentarono  e  scoppiarono.  Go»cchè  in  alcun  luogo 
proruppero  conati  repubblicani ,  e  quasi  ovunque  s' imposero  alle 
monarchie  ordini  rappresentativi.  Due  grandi  cose  altred  allora 
si  proseguirono  ne'  parlamenti  e  nelle  diete  di  Francoforte  e  di 
Erfurt,  di  Vienna  e  di  Kremsier:  il  tramutamento  della  Confe- 
derazione  germanica  in  una  Germania  federativa,  e  1'  allarga- 
mento delle  forme  politiche.  Questo,  accolto  subito,  fti  poi  re- 
spinto indietro  e  attende  ancora  il  suo  tempo:  l'altro  veraie  in 
seguito  da  quella  dinastia  attuato,  che  allora  l'impero  tedesco 
rifiutava,  e  i  fautori  di  patria  e  di  libertà  tradiva.  La  casa  di 
Brandeburgo  del  resto,  che  avea  già  dato  all'antico  impero  ro- 
mano germanico  colpi  feroci ,  fin  da'  tempi  del  grande  éktUwt 
mirava  sopra  tutto  a  schiacciar  l' Austria  e  a  prussificar  1*  Ale- 
magna.  Ned  erano  ancora  nel  1866  le  ultime  discrepanze,  aorte 
per  dividersi  in  famiglia  la  preda  de'  principati  dano  germanici, 
assopite.  Il  più  elementare  accorgimento  avrebbe  bastato  id  ammo- 
nir l'Austria,  che  s' ingrossava  da  secoli  questo  temporale  ledeeoo; 
e  che,  sovrastandole  tanta  ira  de' cieli,  doveva  almoio  tu*  d  di 
non  trovarsi  contra  due  nemici  ad  un  tempo.  Preferì  in  vece 
cedere  la  Venezia,  come  poi  Napoleone  III  Roma,  in  modo  da 
non  cattivarsi  la  grati tudme;  cioò  per  forza  e  troppo  tardi  Onde 


-  206  - 

erano  già  le  cose  giunte  a  un  punto,  che,  anche  senza  stipular 
lega ,  il  solo  attacco  della  Prussia  a  settentrione  movea  fatalmente 
e  ineluttabilmente  quello  dell'Italia  a  mezzogiorno.  La  lega,  colla 
predetta  guida  e  licenza,  si  fece:  non  senza  per  altro,  che  i 
patti  leonini  della  medesima  (tra  cui  la  Prussia  sola  serbavasi 
r  arbitrio  della  guerra  ),  e  le  biasimevoli  dimenticanze  riguardo 
al  Trentino  e  ai  lembi  di  suolo  italico,  che  vanno  sino  al  Quar- 
naro;  e  la  triste  sorpresa  della  Venezia  regalata  a  Napoleone  III, 
r  oltraggio  subito  a  Nicolsburgo  e  cotaU  altre  circostanze  mani- 
festassero, che  noi  fummo  altrettanto  nelle  pratiche  perdenti, 
quanto  ne' combattimenti.  E,  se  fosse  abilità  diplomatica,  dopo 
una  guerra,  e  guerra  di  nazionale  riscatto,  ordire  cosi  i  nego- 
ziati, che  quella  regione,  non  come  frutto  della  vittoria  o  alme- 
no come  prezzo  della  lega;  ma  come  dono  e  da  un  terzo  si  ri- 
cevesse, non  ho  d'uopo  dire.  La  abbiamo  noi  ora:  e  questo 
basta  per  gente,  che  insuperbisce  appunto  e  gongola  degli^^ui- 
sti  a  buon  mercato,  e  delle  grazie  dalla  fortuna  avute  a  schiaflS. 
Né  in  modo  troppo  migliore  ebbesi  Roma:  tranne  che  almeno, 
per  questa  quarta  gloria  della  nostra  diplomazia,  non  si  dovè 
le  armi  nostre  umiUare.  Legati  com'  eravamo  al  carro  del  tiran- 
no di  Francia ,  per  verità  d' Italia  amico ,  noi  avremmo  dovuto 
seguirlo,  quali  commilitoni  in  sul  Reno.  Questo  avrebbe  dovuto 
essere,  e  assai  probabilmente  era,  il  segreto  desiderio  della  di- 
plomazia nostra;  il  quale  sarebbe  anche  stato  alquanto  scusabile. 
Conciossiachè ,  sebbene  in  parte,  non  del  tutto  fosse  quella  im- 
presa ingiusta;  considerando,  ch'ei  proponevasi  di  restituire  alle 
GaUie  le  frontiere  da' germani  oltrepassate;  e  d'arrestare  la  ger- 
manica predominanza  in  Europa,  e  il  conseguente  avvilimento 
delle  schiatte  neolatine.  Questo  non  si  comprende  ora  bene  da 
noi,  intenti  alle  cotidiane  minuzie  :  ma  chi  guarda  i  larghi  oriz- 
zonti storici,  sa,  che  dal  divo  Giulio  in  poi  si  combatte  colà 
una  gran  tenzone  di  stirpi  e  di  principii,  che  dura  da  dician- 
nove secoli,  e  che  non  è  punto  fìnita.  Di  guisa  che,  se  una  sola 
stilla  di  romano  sangue  fosse  nelle  vene  della  borghesia  italiana 
rimasa,  avrebbe  questa  troppo  forte  sentita  la  seduzione  di  far 
riecheggiare  tra'  campi ,  seminati  dalle  ossa  de'  legionari  di  Varo, 
lo  squillo  delle  tirrene  trombe. 


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CIXXIX.  Hotttrtlità  itiliea  Bèlla  gi«m  r«Mia. 

Oltre  a  questa  ragione,  avrebbero  ì  nostri  borgomastri  me- 
ritata alcuna  indulgenza,  se  mai  avessero  avviluppata  F Italia 
ne'  guai  del  vinto  a  Sedan,  anche  pel  debito  di  restituirgli  comec- 
chessia il  beneficio,  e  di  non  abbandonarlo  nella  sciagura.  Gerla- 
mente  egli  avea  per  V  Italia  molto  operato,  e  la  fortuna  di  questa 
fu  causa  potissima  della  sua  rovina.  Perchè  dapprima  inimicossi 
per  noi  vie  maggiormente  i  suoi;  e  poscia,  s'ei  non  avesse  dato 
all'  Austria  nel  cinquantanove  quel  tracollo ,  e  lasciatolo  nel  ses- 
santasei compiere  dalla  Prussia,  non  si  sarebbe  poi  trovato  nel 
settanta  al  rincontro  un  si  formidato  e  perfido  rivale  :  da  sembrar 
provocatore ,  egli  il  provocato ,  e  da  doverlo  insieme  disfidare  e 
far  trionfare.  Per  quanto  anzi  egli  debba  essere  giudicato  seve- 
ramente ne'  suoi  rapporti  colla  Francia  ;  V  Italia  presente,  che  gii 
deve  la  propria  liberazione ,  e  a  cui  affidò  egli  il  proprio  nome 
presso  i  posteri,  non  può  condannario,  che  condannando  sé  stessi. 
Ma ,  s'  anco  non  gli  dovesse  esser  grata ,  pur ,  soccorrendolo, 
avrebbe  avuto  modo  di  cangiarsegli  da  soggetta  in  compagna ,  e 
d'  acquistare  quella  bellica  reputazione,  che  le  mancava  e  manca. 
Fu  conseguentemente  bene,  che  il  contrario  accadesse,  solamente 
perch'  egli  fu  vinto  (il  che  non  fu  merito  della  medesima)  :  s' egli 
fosse  stato  vittorioso,  non  sarebbe  stato  bene.  Onde  non  si  potrebbe 
attribuire  alla  nostra  diplomazia  altra  virtù,  se  non  quella  di  essersi 
astenuta  dal  soccorrerlo,  perchè  doveva  e  meritava  essere  abballuto. 
Tuttavia,  quanto  al  dover  esser  abbattuto,  s'egli  non  fosse  stato  innanzi 
ingannato  da'  suoi,  se  la  temerità  francese  non  avesse  superato  sé 
stessa,  e  se  non  gli  fosse  fallita  la  lega  d'Italia,  d'Austria  e  de'oiinori 
stati  germanici,  che  doveano  poi  essere  dalla  Prussia  «  mediatiz- 
zati  »  (lega,  su  cui  contava  e  poteva  con  un  certo  fondamento 
contare  ),  la  certezza  della  sua  sconfitta  non  era  evidente.  E,  quanto 
al  meritarla,  sebbene  l' intento  della  sua  impresa,  giudicato  erro- 
neamente contrario  al  diritto  delle  nazioni ,  gli  nuocesse  appo  il 
popolo  nostro;  eh  via,  non  se  ne  sarebl)ero  molto  scandaìezzati 
que'tali,  che,  barattando  innanzi  italiani  per  italiani,  avrebbero 
almeno  questa  volta  per  italiani  barattato  tedeschi.  Fatto  sta,  che 
il  popolo  nostro  appunto ,  e  non  altri ,  colla  istintiva  sua  sagacia 
comprese,  quella  essere  una  partita  da  giocatore  disperalo.  Né  vi 


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essere  punto  ragione  d'avventurarsi  per  chi  non  godeva  le  sim- 
patie de'  sudditi,  e  aveva  le  nostre  perduto.  Ma  forse,  s' egli  non 
ci  avesse  innanzi  indispettiti  colla  lunga  prepotenza ,  e  se  le  ne- 
cessità di  stato  non  lo  avessero  costretto,  per  compiacere  la  bac- 
chettoneria francese,  a  tener  Roma  in  pegno,  anche  questa  saga- 
cia sarebbe  rimasta  sopraffatta.  E  fu  quindi  ventura,  eh'  ei  prima 
accumulasse  qui  tanti  rancori,  e  poscia  tardasse  lo  sgombero  di 
Roma  sino  a  queir  estremo  punto,  che  non  gli  potessimo  più  es- 
sere riconoscenti.  Altrimenti  saremmo  forse  stati  travolti  sotto  le 
ruote  del  suo  carro  :  giacché,  per  esser  veritieri,  gli  avremmo  po- 
tuto dar  noi,  se  sicuri  dell'  Austria,  dugentomila  soldati,  che  non 
si  sarebbero  arresi  in  corpo,  come  que'  suoi;  ma  che  non  avreb- 
bero valso  a  raitenere  la  fuggente  vittoria.  Cotesto  pericolo  per- 
tanto causammo  per  cagioni  affatto  estranee  alla  nostra  diploma- 
zia :  la  quale  anzi  (  per  non  dire ,  eh'  è  tutta  di  napoleonica  fat- 
tura) non  avrebbe  osato  mai  sviticchiarsi  dal  pedagogo  predetto, 
ognor  che  fosse  stato  in  grado  di  esercitare  sulla  medesima  le 
antiche  pressioni.  Il  coraggio  le  è  venuto,  quand'  egli,  già  fisica- 
mente e  intellettualmente  spossato,  non  riuscendogli  alla  inflessi- 
èile  e  corruttrice  dittatura  sostituire  ordini  di  reggimenti  meno  ri- 
stretti e  disleali  ;  tradito  da'  cortigiani  e  sopraffatto  dagli  avver- 
sari, senza  scampo  e  rimedio  dovè  commettersi  a  Bellona.  Men- 
tre gli  stava  addosso  tanto  nemico ,  era  troppo  naturale ,  eh'  ei 
non  potesse  più  comandare,  e  che  noi,  per  quanto  deboli  e  anzi 
perchè  deboli,  potessimo  disprezzarlo.  Se  potevamo  per  sin  fargli 
paura  allora,  piegando  verso  il  suo  nemico,  tanto  più  potevamo, 
standoci  neutrali,  osare  di  non  far  niente.  La  cosa  era  tanto  più 
coromoda,  che  bastava,  per  mostrar  coraggio,  la  viltà  ;  e  che,  stando 
egli  per  essere  stritolato,  potevamo,  esortati  e  istigati  dalla  Prus- 
sia stritolatrice,  dargli  l' ultimo  calcio. 


CXL.  Cose  diplomatiolie  affidate  alla  rentora. 

Così  entrammo  fra' sette  colli  e  compiemmo  il  nazionale 
riscatto:  e  così  la  sua  disfatta,  la  sua  prigionia  e  la  sua  morte 
farooo  la  salvezza  nostra.  Le  disgrazie  quindi  degli  amici  e  de' 
nemici ,  gli  errori  nostri  e  gli  altrui ,  gli  accidenti  fortuiti  e  le 
trivialità  avventurate,  ci  permisero  di  cogliere  un  frutto,  che,  ri- 
peto ,  era  maturo.  E  guai ,  se  da'  superiori  decreti  della  natura , 


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dalle  colpe  traboocanti  de'  nostri  oppressori  e  dai  dolori  de'  nostri 
predecessori  non  fosse  stato  maturato  !  Frattanto,  né  di  averlo  mata- 
rato  può  la  politica  astuzia  de'  nostri  reggitori  gloriarsi;  né  iuapocOj 
come  vedemmo,  di  averlo  proprio  essi  colto.  Le  cose  hanno  già  on 
tale  avviamento ,  che  non  mi  meraviglierei ,  potessimo  noi  rao- 
quistare  quaich'  altro  lembo  d' italiana  e  per  sino  di  terra  stra- 
niera, senza  molta  fatica  e  standoci  colle  mani  alla  cintola.  Im- 
perciocché, tra'  tanti  difetti  del  sistema  vesfalico  o  del  cosi  detto 
conserto  europeo,  e'  é  anche  questo  :  che  le  minori  potenze  som, 
per  la  vita  internazionale ,  come  non  ci  fossero.  Costrette  ad  ag- 
girarsi nell'  orbita  delle  maggiori ,  a  ricever  legge  da  loro  e  a 
perder  parte  della  propria  indipendenza  coU'essere  grado  a  grido 
(per  valermi  di  voci  diplomatiche)  «  guarentite  e  neutralizzate  », 
eh'  é  dire  degradate  e  interdette  ;  esse  sono  destinate  a  disparire, 
se  in  grembo  a  una  federazione  europea  non  si  salvano.  L' Ita- 
lia, se  non  altro  pel  numero  de'  suoi  abitatori  e  de'  suoi  militi , 
imbrancandosi  fra  le  sei  più  membrute  (  perché  la  Turchia  non 
si  conta  più  ) ,  naturalmente ,  e  per  quanto  mal  si  diporti ,  sta 
con  quelle,  che  delle  altre  dispongono.  Sotto  lo  influsso  di  tale 
spudorata  prepotenza  de'  grandi  su'  piccoli,  é  quasi  una  necessiti 
divorare  altrui,  per  non  esserne  divorati.  E  mercé  una  ludifieor 
jsione  di  alleanze  e  di  neutralità,  anche  senza  battersi,  la  cac- 
ciagione pub  venire  in  bocca.  Il  primo  favore,  che  si  focesse,  od 
anzi  il  primo  sfavore,  che  non  si  facesse  alla  Francia  o  airAukria 
impegnate  in  grossa  guerra,  darebbed  la  contea  di  Nizza  o  il  prin- 
cipato di  Trento,  anche  senza  colpo  ferire.  Vedremo  quello,  che 
la  diplomazia  italiana  saprà  nelle  complicazioni  turchesche  gua- 
dagnare ;  sebbene  fin  d' ora  non  pare,  siavi  di  che  confidare.  Qua- 
lunque bottino  consegua,  vorrà  ella  darsi  il  merito  di  eventi,  che 
sfuggirono  e  sfuggono  al  suo  impulso  e  alla  stessa  sua  direzio- 
ne? Spesso  è  assai  più  facile  ampliare  Y  impero,  che  conser- 
varlo ;  e  troppe  volte  è  accaduto,  che  lo  ampliamento  alla  conser- 
vazione nuocesse,  e  fosse  anzi  della  distruzione  principio.  In  ogni 
modo  la  saviezza  non  istà  nel  commettersi  alla  ventura;  si  bene 
nel  governarsi  con  propri  e  ponderati  consigli. 

CXLI.  Yentiure  diplomatiolie  affidate  al  eaat. 

Ora,  io  non  chieggo  alla  diplomazia,  s' ella  sappia  quale  f»- 
razione  abbia ,  e  quale  intento  debba  la  nazion  nostra  proporsi 


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tra  le  gemi;  che  sarebbe  troppo  per  lei.  Ma  sa  ella  veramente 
quel ,  che  dee  fare,  o  anzi  soltanto  quel ,  che  si  faccia,  o  che  si 
voglia;  e  può  ella  spingere  il  guardo  al  di  là  di  un  sol  giorno 
da  oggi  ?  Ha  ella  trovato  il  punto  fermo,  su  cui  fissare  la  poli- 
tica estema  d' Italia  ;  come  in  passato  Roma  di  ampliarsi  e  Ve- 
nezia di  conservarsi,  ed  ora  V  Inghilterra  di  signoreggiare  i  mari, 
la  Russia  di  succedere  al  bisantino  impero  e  la  Germania  di  pri- 
meggiare in  occidente  ?  Ha  ella  considerato  i  radicali  mutamenti 
oell'  assetto  internazionale  iniziati ,  i  gravi  spostamenti  di  forze 
già  seguiti ,  e  le  probabili  conseguenze  terribili  neir  avvenire  ? 
Conosce  ella  almeno  precisamente  qual  è  la  potenza  predominante, 
quali  le  rivaU,  quali  le  aderenti,  e  qual  luogo  fra  queste  air  Ita- 
lia spetti  ;  e  qual  sia  di  noi  la  potenza  naturalmente  nemica ,  e 
quali  le  naturali  alleate  ? . . .  Ella  mi  potrebbe  soggiungere,  che  di 
questi  vieti  misteri   della  vecchia  diplomazia  non  si  cura.  Eb- 
bene, che  cosa  è  altro  quella,  cui  segue  (dato,  che  sia  qualche 
cosa),  se  non  appunto  una  diplomazia  antiquata,  barbogia  e  stan- 
tia, all'  uso  di  Richelieu  e  anzi  di  Mazzarino  ?  Su  questo  campo 
r  appello,  eh'  è  il  suo  :  perchè ,  se  la  dovessi  appellare  al  tribu- 
nale de'  popoli  onesti  e  forti ,  e  dell'  Italia  futura  ;  riproverei  io 
ben    altramente  quelle  sue   versipelli  astuzie.    Dico  su  questo 
campo,  eh'  ella  non  ha  concetti  determinati  e  chiari ,  che  ignora 
i  perigU   sovrastanti  alla  patria  ;  e  che  in  sostanza  subisce  non 
solamente  gli  eventi,  ma  i  consigli  altrui ,  senz'  avere  né  propria 
elezione ,  né  proprio  discernimento.  Nemmanco  un'  inezia ,  come 
(per  esempio)  d'occupare  improvvisamente  con  dieci  carabinieri, 
in  nome  della  dignità  nazionale  e  de'  buoni  costumi  del  mondo , 
e  prima  che  divenga  un  possesso  francese  o  una  stazione  inglese, 
quella  bisca  di  Monaco  e  quel  ridotto  d'avventurieri  su  suolo  italiano; 
nemmeno  quest'  inezia  sa  fare.  E  lascia  di  giunta,  che  a  Londra 
si  movano  doglianze  sulla  sicurezza  pubblica  delle  nostre  con- 
trade ;  e  che  i  fanatici  degh  altri  paesi ,  e  per  fino  nel  picciolo 
parlamento  belgico,  inurbanamente  c'insultino  e  braveggino,  e, 
che  più?  mostrino  certe  velleità  buffe  d' intromettersi  nelle  faccende 
nostre.  Se  poi  la  Germania  ci  fosse  più  propinqua  (  e  ad  esserlo  le 
agevola  ella  in  tutti  i  modi  la  via),  e  non  avesse  bisogno  per  qual- 
che tempo  ancora  d' accarezzarci,  vedrebbe,  che  libertà  di  decidersi 
ci  lascierebbe  !  Già  dal  sessantasei,  e  vie  più  dal  settanta  noi  ne  sop- 
portiamo la  fenila  pedagogica  in  quella  maniera,  che  ognuno  vede. 
Però ,  se  non  vi  fossero  le  dette  circostanze,  ed  altre  procedenti 

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dair  ordine  o  dal  disordine  europeo,  non  si  sarebbe  ora,  che  dal 
protettorato  (ìraDcese  passati  al  prussiano.  Probabilmente  V  amistà 
nostra  colla  Prussia  non  durerà  a  lungo,  poiché  questa  stessa  doo 
tarderà  molto  a  scoprire,  sotto  le  zampe  vellutate,  Tugoe  adun- 
che :  fors'  anco  a  lasciarci  soli  con  quel  papato ,  contro  coi  testé 
aizzavaci  per  tutto  suo  vantaggio  e  con  tutto  nostro  rischio.  In- 
tanto, mentre  io  scrivo,  quasi  tutti  gli  statuaU  nostri  sono  prussiani, 
come  jeri  francesi  ;  e  i  più  caldi  amatori  di  libertà  e  di  popolo 
quelU,  che  ne  vaticinano  il  trionfo  da  un  GugUelmo  di  Hohen- 
zollern  e  da  un  Ottone  di  Bismarck.  La  spontaneità  ad  ogni  mo- 
do, che  ci  rimane,  non  é  quella,  che  ci  concede  la  nostra  virtù. 
Bensì  un  urto  di  venti  contrari,  a  noi  propizi,  tra  cui  neir  incerto 
pelago  si  mareggia ,  con  quella  benigna  costellazione ,  che  suole 
assistere  gF  incauti  e  gV  infanti.  D' ordinario  appunto  si  pende  qui 
e  là,  senza  che  gli  altri  possano  capire,  a  che  tendiamo.  Onde 
attribuirono  a  doppiezza  quel  tentennare  tra  Berlino  e  Parigi ,  e 
poscia  tra  Austria  e  Germania, ed  ora  tra  Russia  e  Inghilterra: 
come  fosse  un  tenere  a  bada  amici  e  nemici;  mentre  non  era, 
che  un  vacillare  in  preda  all'ondivaga  fortuna.  Tale  in  compendio 
la  condotta  degli  affari  estemi  del  regno  d' Italia,  dopo  i  mera- 
vigUosi  eventi,  che  Io  auspicarono,  e  che  sbalordirono  Y  Europa. 
E,  se  possa  reggere  a  lungo  e  quanto  valere  ne'  momenti  d'  un 
supremo  pericolo,  quando  ci  vogUono  ben  altro,  che  titubanze ,  in- 
trattenimenti e  sotterfugi,  non  aventi  del  resto  più  il  pregio  della 
destrezza  o  della  novità;  traltscio  di  dire. 


CXLII.  AraministraiioBe  interna  del  regno  d'ItalùL 

Passando  ora  a  considerare  la  condotta  degli  affari  interni^ 
come  quella  fu  nel  torto  e  biasimevole  senso  diplomatica,  questa 
si  può  dire,  che  in  senso  parimenti  obliquo  e  improprio  fosse 
politica;  sebbene  assai  maggiori  rimproveri  le  si  debbano  fare. 
Col  quale  appellativo  di  politica ,  aggiunto  a  una  data  ammini- 
strazione, intendesi  neir  odierna  favella  zingaresca,  eh' essa  o  del 
procacciare  il  bene  degli  amministrati  e  delF  adempiere  i  suoi  pe- 
culiari doveri  non  si  cura  punto,  o  solamente  come  di  cosa  se- 
condaria e  dipendente  dalla  supposta  ragion  di  stato.  Il  che  ap- 
punto é  acciìduto  tra  noi:  ma  nella  peggior  guisa;  e  con  questo  di 
giunta,  die,  per  ragion  di  stato  intendendosi  le  giostre  del  pirla- 


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mento  e  il  cozzo  delle  fazioni ,  si  die  il  parlamentare  e  fazioso 
indirizzo  anche  all'  interna  amministrazione  dello  stato.  Non  ne  do 
colpa  a  veruno,  perchè  viene  da'  sistemi  sovra  esposti  :  ma  il  fatto 
è ,  senz^  esagerare ,  che  un  guardo  anche  fuggevole ,  dato  alla 
medesima,  ce  la  dimostra  tutta  quanta  inquinata  da  si  perversa 
tabe.  Quando  si  parla  comunemente  e  apertamente  di  un'  esalta- 
zione al  poter  pubblico,  o  a  dirittura  di  un  governo  deUa  fazione 
tale  ;  facile  è  capire ,  che  sorta  d'  amministrazione  ne  possa  se- 
guire. I  moderatori  supremi  di  questa ,  come  già  dissi ,  tutt'  in- 
tenti ad  orare  o  a  contraddille  ne'  consigli,  a  tenere  in  ordinanza 
i  partigiani  ed  a  schermirsi  dagli  avversari,  non  sogliono,  né  pos- 
sono ad  altro  attendere.  E  i  pubblici  ufficiali  tutti,  se  pur  possono 
questo  nome  meritare ,  reputati  non  funzionari  dello  stato  e  cu- 
ratori della  nazione  ;  si  semplici  fattorini  d'  un  dato  ministero  e 
servi  di  chi  gli  paga,  debbono  a  tai  concetti  uniformarsi.  Potreb- 
bonsi  addurre  esempi,  sebbene  smentiti,  che  fin  nell'amministra- 
zione della  giustizia  codesto  andazzo  ha  luogo.  Nelle  altre  am- 
ministrazioni, e  sopra  tutto  in  quella  sottoposta  al  cosi  detto  mi- 
nistero dtlV  interno^  esso  è  indubitabile  e  incontroverso  ;  ed  anzi 
confessato  come  regolare  e  plausibile.  Tosto  che  quindi  una  data 
fazione  prevale  e  regge ,  essa  ha  il  diritto  e  1'  obbligo  di  riem- 
piere gli  ofQci  di  tutt'  i  suoi  fidi;  e  di  cacciarne  via,  quanto  più 
può,  i  discontenti.  Per  cause  unicamente  politiche  ed  elettorali  o, 
come  diremmo  noi,  partigianesche  e  personali,  si  assumono,  pro- 
muovono, tramutano,  sospendono  e  dimettono  prefetti,  viceprefetti 
e  colali  altri  governativi  agenti;  senza  nemmanco  che  costoro  abbiano 
motivo  di  lamentarsene  o  di  meravigliarsene.  E  dico  personali , 
non  nel  senso  che  Tizio  e  Gajo  facciano  queste  cose  pe'loro 
privati  interessi  :  ma  perchè  quelle  nove  persone^  le  quali  hanno 
prò  tempore  la  somma  delle  cose  in  mano,  informano  cosi  l'am- 
ministrazione pubblica,  che  questa  nasce,  vive  e  perisce  con 
loro. 


CILIII.  Dipendensa  dalle  bise  parlamentari  e  dalle  brighe  fiotose. 

Come  possano  le  corti  straniere ,  i  corpi  morali ,  gì'  impre- 
sari, i  fornitori  e  in  genere  tutti  trattare  con  tal  sorta  di  gover- 
no, senza'  legame  e  seguito ,  e  abbandonato  alle  vicissitudini  e 
Ji' capricci  di  ciascun  giorno,  agevole  è  immaginare.  Uno  de' mi- 


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gliori  argomenti,  che  può  appunto  la  cuna  romana  allegare  a  sua 
discolpa,  è:  che,  qualunque  cosa  avesse  con  esso  concluso,  non 
ci  essendo  neppure  un  vincolo  morale  tra  predecessmì  e  saccessori, 
sarebbe  stata  precaria  e  vana.  Del  resto  lo  sconcio  è  ancor  mag- 
giore, se  si  considerano  i  rapporti  gerarchici  neir  amnùnistrazione 
medesima.  Perchè  i  nuovi  superiori,  la  cui  vita  di  regola  non  va 
oltre  il  semestre,  debbono,  appena  insediati,  soffrire  una  caterva 
d'inferiori  naturalmente  ligia  ai  vecchi;  a  cui  forse  fa  qualche 
confidenza,  o  cui  con  un'  indolenza  connivente  compiace.  Per  quanto 
e'  cerchino  di  levarsegli  d'  attorno  (  come  testé  fecero  i  moderati 
bigi,  ma  non  quanto  occorreva ,  per  disfare  la  precedente  opera 
de'  bianchi  ),  sempre ,  palesi  od  occulti ,  n'  hanno  d' avversi.  An- 
che se  gli  scambiassero  tutti  co'  propri  creati  ;  questi,  dovendo 
barcheggiare  tra  loro  e  i  futuri ,  per  non  essere  dalle  procelle 
parlamentari  e  dalle  raftìche  faziose  sbattuti,  vanno  lenti  e  in- 
certi. E  tanto  più,  quanto  il  pericolo  sovrasta  e  il  bisogno  di  co- 
storo urge:  perchè  allora  senza  riguardo  e  misericordia  gli  ab- 
bandonano, per  scampare  dal  naufragio.  Cosi  ne'  dicasteri  centmli 
notasi  come  una  specie  di  tacita  insubordinazione  e  di  pacifico 
ammutinamento  delle  turbe  accoltevi ,  non  appena  fiutino  I'  odor 
dei  cadaveri  de'  sopraddetti  capi.  I  quali  tal  volta  anzi  non  ghm- 
gono  a  conoscere  la  imminente  fine  altrimenti,  che  dalla  tiepida 
riverenza  e  dalla  impertinente  accidia  di  quelle.  Anche  la  sorte 
per  altro  degl'  inferiori  è  assai  dura  :  perchè,  se  il  governo  stesse 
veramente  in  quella  olimpica  altezza  degli  antichi,  o  fosse  almeno 
a'  servigi  d' un  despoto  ;  oltre  esser  egUno  riconosciuti  e  premiati 
delle  proprie  fatiche ,  sarieno  certi ,  seguendo  il  proprio  dovere , 
di  non  pericolare  mai.  Trovandosi  invece  fra  le  bizze  parlanoentirì 
e  le  brighe  faziose,  di  cui  debbono,  eglino  i  primi,  sopportare  la 
volubilità  e  l' incuria  ;  non  sanno  come  o  non  hanno  modo  di  sal- 
varsi, che  a  duro  costo.  Se  mirano  astrattamente  al  pubblico  be- 
ne, sono  considerati  come  dappoco;  ma,  ogni  qual  volta  questo 
disgradi  a  chi  transitoriamente  comanda,  sono  per  soprassello  di- 
menticati, rimproverati  ed  anche  destituiti.  Niuno  cioè  si  cura  di 
quel,  eh'  e'  facciano  per  la  patria;  ma,  senza  mostrar  zelo  ai  mu- 
tabili sopracciò  del  giorno ,  non  ponno  acquistarsi  grado  pressa 
alcuno.  Di  guisa  che  lo  zelo ,  che  cattivava  a  loro  il  favore  de' 
sopracciò  di  ieri,  nuoce  a  loro  presso  quelli  del  dimani,  che  prò* 
babilmente  ne  gli  puniranno.  L'  unico  carattere,  che  in  tal  pe- 
uosa  situazione  potrebbero  conservare,  sarebbe  quello,  i  costo 


—  213  — 

della  propria  perdita,  di  restare  obbligati  nella  cattiva  fortuoa  a 
coloro,  da  cui  furono  nella  buona  favoriti.  Or  questo  è  natural- 
mente loro  divietato  :  ond'  ei  ponno  si  mostrarsi  faccendieri  poli- 
tici della  fazion  vincitrice;  aderenti  politici  della  vinta,  no.  Il 
che  appunto  inculcasi  di  sovente  a  loro,  coir  ammonimento  dal- 
l' alto ,  di  restarsi  dalla  politica  alieni.  Alieni  cioè  dalla  politica 
della  fazion  vinta ,  e  sopra  tutto  da  quella  della  nazione  e  deUa 
coscienza  :  sempre  che  seguano,  spregevoli  e  ciechi  automi,  quella 
della  fazion  vittoriosa.  E,  che  onestà  e  che  dignità  possano  cosi 
custodire,  mi  astengo  di  sentenziare  :  basti,  che  intanto  V  ammini- 
strazione pubblica  viene  cosi  irremediabilmente  spacciata. 


CXLIV.  Trasonransa  e  improTYidenn. 

Ho  detto ,  che  lo  andazzo  pseudopolitico  non  era  del  resto 
il  maggior  biasimo ,  che  si  potesse  air  amministrazione  nostra 
muovere.  Perchè,  sebbene  per  causa  di  questo  ella  si  degradi  e 
perverta,  vi  sono  altre  maggiori  cause,  che  la  adulterano  e  pro- 
strano. 11  concetto  dello  stato,  che  la  borghesia  si  forma,  e  in 
grazia  di  cui  i  soli  interessi  economici  de'  fortunati  si  tutelano  ; 
basta  di  per  sé  solo  a  far  si ,  che  manchino  que'  sei'vigi ,  a  cui 
sarebbe  destinato.  Aggiungendovisi  poi  le  angustie  finanziarie, 
delle  quali  dirò  appresso,  e  tra  le  quali  travagliasi  ;  viene  di  con- 
seguenza, che  i  più  necessari  ed  elementari  provvedimenti  ri- 
mangano trascurati.  Educare  il  popolo  e  glorificare  la  patria,  sono 
cose ,  che  naturalmente  non  entrano  ne'  computi  e  negli  sconti 
della  borghesia.  Le  gioverebbe  si  fino  a  un  certo  punto  promuo- 
vere la  pubblica  prosperità;  ma  anche  di  questa  non  si  prende 
pensiero,  se  non  in  quanto,  mediante  il  fisco,  il  baronaggio  industriale 
e  cambiario  se  ne  avvantaggi.  1  nostri  finanzieri  conseguentemente 
non  guardano  il  moltiplicare  delle  ricchezze,  se  non  sotto  il  punto 
di  vista  de'  «  maggiori  prodotti  » ,  che  di  tal  guisa  avranno , 
come  dicon  essi ,  i  diversi  «  cespiti  delle  pubbliche  entrate  ». 
Quanto  alla  giustizia  pubblica,  non  rende  niente;  e,  se  ne  potessero 
fare  a  meno,  sarebbe  una  bazzica.  Ma  per  lo  meno  quella  puniti- 
va, se  non  altro  per  difendergli  da' ladri ,  e  quanto  più  pongono 
gr  impoveriti  nella  condizione  di  divenirlo,  è  indispensabile.  Anche 
qui  lesinano  per  altro,  quanto  più  possono:  e  inoltre  delle  3,000 
grazie ,  che   in  media  concedono  ciaschednn  anno ,  non  ultima 


-  214  - 

cagiooe  è  il  desiderio  di  vuotar  le  carceri  e  di  alleviarne  i  di- 
spendi. Né  fu  ultima  cagione  questo  desiderio  anche  per  con- 
cedere testé  con  legge  ai  condannati  tutti ,  presenti  e  futuri ,  la 
remissione  condizionale  e  revocabile  de'  residui  di  pena.  Anzi  la 
borghesia  mira  anche  più  in  là;  dappoiché  il  movimento  legisla- 
tivo in  Italia  e  fuori  accenna  ora  a  rendere  di  ragion  privata 
molti  delitti,  che  prima  si  perseguivano  con  pubblica  azione:  il 
che  é  dire  a  rendergli  praticamente  impuni.  In  fatti  un  codice 
penale  borghese  potrebbe  restringersi  alle  comminatorie  del  fur- 
to :  perché  cosa  può  mai  impoilargli  della  libertà,  del  pudore  e  delle 
altre  superstizioni  de'  disperati  ?  Essendo  lo  stato  un'  aeienda  eco- 
nomicaj  Y  amministrazione  naturalmente  non  ha  altro  compito,  che 
di  prestar  man  forte  a'  lucri  privati  e  di  non  mancare  agi'  impegni 
del  debito  camerale.  Scenderò  tosto  a'  particolari  della  medesi- 
ma, discorrendo  della  legislazione  e  della  giustizia,  della  religione 
e  della  moralità,  della  coltura  e  dell'  istruzione,  della  economia  e 
della  fìnanza.  L' essenziale  sta  tutto  qui  :  eh'  ella  od  é  niente,  od  é 
un'  amnynistrazione  puramente  mercantile  e  liscale. 


CXLV.  Altri  gohì  dell' ammlnistraiioiie  borgkeae. 

Oltre  a'  due  vizi  testé  mentovati,  non  uscendo  dalle  genera- 
litàj  molti  altri  se  ne  potrebbon  notare,  che  però  mi  condurreb- 
bon  troppo  lungi.  Darò  solamente  de'  principali,  e  fìn  dal  volgo 
avvertiti ,  un  cenno  :  l' arbitrio  con  apparenza  di  legalità, .  V  abuso 
degli  spedienti  di  buon  governo,  la  casistica  legislativa,  la  pedan- 
teria cancelleresca  e  il  concentramento  oppressivo  di  tutti  i  pubblici 
servigi ,  per  venir  tosto  al  nodo  di  tutti  gU  amministrativi  errori. 
De'  criteri  empirici,  con  cui  si  governa  lo  stato,  e  onde  par  d'as- 
sistere a  un  governo  estemporaneo,  che  supera  le  diflicoUà  cod 
palliativi  e  con  frasi,  piuttosto  che  con  opere  e  con  fatti;  già 
qualche  cenno  ho  dato,  e  più  ne  darò  in  seguito.  Prescindieiido 
ora  da  ciò,  siccome  é  una  delle  qualità  più  spiccate  del  reggia 
mento  borghese,  dottrinario  e  moderato  un  gran  lusso  di  forme 
e  di  formule,  per  apparir  popolare,  giusto  e  libero;  cosi  trovisi 
troppe  volte  tra  queste  impigliato.  Or,  se  ne  viene  un  grave  dck 
cumento  al  pubblico  bene,  tira  innanzi  senza  guardarsi  indietro* 
E  cosi  appunto,  avendo  alla  chiesa  promesso  libertà,  e  per  chiesa 
intendendo  il  clero,  e  per  clero  una  cospirazione  infame;  lasciò 


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lungo  tempo  questa,  sciolta  da  ogni  freno,  guastare  il  popolo   e 
insidiare  lo  stato.  Che,  se  trovasi  nel  proprio  movimento  impac- 
ciato ,  non  bada  poi  punto  alle  regole  :  e ,  protestando  le  solite 
eccezioni  e  rettificazioni  a'  propri  famigerati  principii,  vi  sostitui- 
sce la  discrezione.  Della  quale  vi  è  nelle  azioni  civili  fino  a  un  certo 
punto  bisogno:  ma,  abusandosene,  e  sopra  tutto  in  quella  turpe 
guisa,  che  usa  il  bargello,  si  giugno  a  coiTompere  e  a  infiacchire 
tutta  la  nazione.  La  polizia  appunto  è  il  vanto  dell'  amministra- 
zione italiana,  dìscepola  anche  in  questo  del  terzo  Bonaparte:  e 
ne  vedremo,  a  proposito'della  nazional  giustizia,  gli  orridi  eccessi. 
Quanto  alla  nostra  legislazione,  de'  sostanziali  suoi  difetti  non  par- 
lerò qui  :  né  del  gergo  levantino  e  dello  stile  scolastico,  anzi  che 
imperioso,  in  cui  e  con  cui  scritta  ;  né  de'  plagi  e  rubalizi ,  onde 
si  é  tutta  impinguata.  Un  sol  punto  qui  merita  esser  notato:  la 
minuzia  chinese  de'  suoi  precetti,  che  sembra  appositamente  adot- 
tata per  favorire  i  cavilli  e  le  esitanze.  Quello  spossamento  intel- 
lotluale  e,  sto  per  dire,  quel  rammollimento  cerebrale,  di  cui  ve- 
dremo le  cause  e  gli  effetti  nella  nostra  coltura  e  letteratura,  si 
manifesta  anche  in  sì  grave  argomento.  Le  menti  non  sapendo 
innalzarsi  alla  sintesi  in  veruna  cosa,  e  i  famosi  uomini  di  mondo 
dalle  profonde  speculazioni  aborrendo,  danno  per  frutto  una  legi- 
slazione puramente  analitica,  che  non  ha  valore  alcuno   né  teo- 
rico, né  pratico.  Contemplandosi,  anzi  che  i  tipi  ideali  ed  eterni 
delle  cose,  i  fenomeni  esteriori  e  fuggevoli;  la  buona  giurispru- 
denza, che  unicamente  foraiasi  dalle  rigorose  deduzioni  di  essi , 
manca.  Apparentemente  sembra,  non  vi  possano   esser  leggi  mi- 
gliori di  quelle,  che   caso  per  caso  procedono:  in  sostanza,  i 
casi  lutti  sendo  inescogitabili,  e  indefiniti  gli  ommessi ,  le  lacune 
restano  enormi,  e  nelle  lacune  le  tenebre.  Quinci  seguita,  per  non  dir 
d'altro,  quella  colluvie  di  regolamenti,  di  declaratorie  e  di  note, 
eh'  é  il  lato  più  comico  dell'  anuninistrazione  borghese ,  se  non 
fosse  anche  il  più  seccante.  Le  persone  addettevi   non  debbono 
avanzare  un  passo,  che  non  segua  le  prescritte  norme  ;  ma,  come 
inanimati  fantocci,  guidansi  col  filo  dalle  supreme   cancellerie. 
Ninna  occorre,  che  abbia  genio,  intuito,  previdenza,  spontaneità, 
libertà  ;  poiché  il  più  delle  medesime  anzi  non  hanno  altra  incomben- 
za, che  di  compilar  verbali,  specchietti  e  protocolli.  Preparati  an- 
che questi  innanzi,  e  stampati  in  modo  uniforme,  secondo  i  detti 
regolamenti;  per  poi  seppellirgli  negli  archivi,  dove  ninno  gli 
guarda.  Quel  po'  d' impulso  proprio  adunque,  che  rimane  all'  am- 


-  216  - 

ininistrazìODe ,  ricovrasi  ne'  dicasteri  centrali ,  enormi  ergastoli  di 
scrivani  pubblici.  I  quali,  tra  svogliati  e  insolenti,  riversano  sulle 
Provincie  il  tedio  e  V  afiianno.  E  in  queste  poi  langue  ogni  azioiie 
civile  si ,  che  si  può  dire  non  solamente  la  direzione,  ma  tutto  il 
governo  starsene  nella  capitale  :  dalla  quale  si  può  i  lor  voti  co- 
noscere, e  i  lor  bisogni  satisfare  in  quella  guisa,  eh*  è  focile  in- 
dovinare. 


CXLVI.  Viiio  oardinale  da'  premitì  ordini  andaistratiTL 

Cosi  io  sono  venuto  alla  fonie  de'  guai  amministrativi  ;  la 
quale  giacesi  nel  modo  stesso ,  onde  venne  Y  amministrazione  del 
regno  d' Italia  costituita  o,  se  cosi  lice  esprimermi,  negli  organi 
alla  medesima  dati.  Querelansi  sino  i  nostri  pubblicisti  borghesi 
della  ressa  de'  pubblici  negozi  nel  centro ,  e  propongono  di  spar- 
gergli (ben  intero,  a  modo  inglese  o  americano)  pel  territorio.  Ma- 
le ,  che  la  questione  sia  ben  più  grave  delle  misere  questioncine  dì 
accentramento  e  di  discentramento,  ch'ei  vanno  agitando!  Non 
viene  nemmanco  in  mente  a  loro ,  che  vi  possa  essere  un  organa- 
mento  j  allatto  diverso  e  contrario  air  organamento  gallico  qui  si- 
tuato, e  all'inglese  o  air  americano ,  cui  vorrebbono  sostituire. 
Per  verità  è  italiano  :  ed  è  a  questi  tempi  e  con  questi  padroni 
una  grave  disgrazia ,  e  una  giusta  ragione  perchè  sia  abominato , 
ed  anzi  ignorato.  Perdonino  quindi ,  s  io  debbo  anche  in  tal  teoui 
addurre  i  patrii  detestati  esempi.  Ma  tant'è,  sappiano,  che  Fo- 
nico sistema  possibile  d' amministrazione  per  Y  Italia  è  quello  es- 
senzialmente ed  esclusivamente  comunale.  Delle  altre  nazioni  tra- 
lascio discorrere:  quanto  a  questa,  fosse  anche  un  sistema  ri- 
provevole, è  cosi  insito  alla  sua  compagine,  ch'ella  noo  può 
avere  altre  membra  e  altri  plessi ,  tranne  i  comuni  Non  ne  ebbe 
altri  per  la  picciola  bagattella  di  tremila  anni  ;  e  non  ne  pub  avere 
altri  mai ,  se  non  a  costo  d' infenfiarsi  e  di  perire.  Questi ,  clie 
sopravanzano,  sembrano  a  loro  comuni,  perchè  non  ne  htimo 
pur  il  concetto,  e,  quando  delle  cose  vi  è  il  nome,  si  appagano: 
ma ,  per  averne  la  sostanza ,  vuoisi  ben  altro.  Mentre  possedeano 
un  materiale  cosi  ricco  d' istituti  indigeni,  e  un  tesoro  si  cospi- 
cuo di  diritto  amministrativo  ne'  nostri  statuti  ;  non  è  por  passato 
loro  pel  pensiero ,  che  se  ne  dovessero  valere.  Bisognava  portar  qui 
ogni  ciarpa  oltramontana  ;  e  pareva  a  loro ,  che  i  oomom  d 


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sero,  quando,  come  in  Francia,  alcuni  corpi  ci  sieno,  a  cui  af- 
Gdare  le  riliulaie  faccenduole  locali.  La  nosti'a  Legge  de'  20  marzo 
1865  (10-151),  suiramministrazione  comunale  e  provinciale,  basta 
per  condannargli ,  senza  eh'  io  altro  soggiunga.  Non  sofferse  del 
resto  mai  X  Italia  uno  spettacolo  cosi  desolante  e  obbrobrioso , 
come  quello  de'  suoi  cosi  detti  comuni  ora  ;  molti  de'  quali  im- 
mersi nelle  passività  e  taluni  a  dirittura  oberati,  e  da  tutt'i  quali 
esulò  ogni  vita.  Per  lino  essi,  santuari  e  palladii  della  società  ita- 
liaua  ne'  più  infelici  tempi ,  sono  in  tale  bassezza  caduti ,  che  le 
persone  più  serie  e  modeste,  e  più  atte  e  proclivi  a  spiegare  la 
propria  attività  in  umili  ambienti .  ne  sono  nauseate  e  aliene.  Di 
regola  stanno  in  balia  de'  cosi  detti  consorti  del  luogo,  o  di  protervi 
ragazzi ,  che  concionando  ne'  rispettivi  parlamentini  e  profonden- 
do la  pubblica  pecunia,  fanno  le  prime  armi  per  divenire  uomi- 
ni di  stato  e  dì  flnanza  celeberrimi.  Gli  affari  loro  commessi  per 
ventura  riduconsi  a  poco  più  dell'  edilità,  della  sanità  e  dell'istru- 
zione locale;  e  le  franchigie  sono  puramente  nominali.  Che,  se 
si  allarga  alquanto  la  sfera  della  loro  giurisdizione,  o  proponesi 
di  allargarla,  non  è  già  per  accrescere  tali  franchigie,  né  per 
ovviare  ad  un'  amministrazione  troppo  improvvida  ;  si  bene  per 
alleviare  un'^amministrazione  troppo  costosa.  Non  bastando  cioè 
più  l'erario  dello  stato  ai  gravi  sperperi,  cedesi  a' comuni  or 
Tuno  or  l'altro  servigio;  acciocché  tosino  questi  le  pecore  am- 
ministrate di  seconda  mano,  e  al  par  di  quello  s'indebitino  e  si 
rovinino.  Qualche  cosa  di  simile  abbiamo  già  visto,  essere  occorso 
alle  curie  del  basso  impero,  nella  costoro  ignominiosa  decadenza; 
ove  i  decurioni  divennero  una  specie  nuova  d' angariatori  e  d' an- 
gariati fiscali.  Perché  appunto  altro  favore  i  servi  non  possono 
da'  tiranni  avere ,  se  non  d' essere  strumenti  delle  offese ,  eh'  ei 
medesimi  patiscono.  Nondimeno  esse  curie,  cotanto  degradate, 
serbavano  maggiore  importanza  degli  attuali  municipi!:  i  quali 
non  sono  ad  altro  destinati,  che  a  raccogliere,  se  cosi  lice  espri- 
mermi, le  briciole  amministrative  del  governo.  Onde  non  basta, 
come  credono  i  predetti  pubblicisti ,  estenderne  la  sfera  di  azione , 
e  nemmanco  afforzarne  l'autonomia.  Occorre,  per  giungere  al  con- 
cetto del  vero  comune,  reputarlo  un  ente  altrettanto  sacro  e  ne- 
cessario quanto  lo  stato,  e  legittimo  e  naturai  depositario  della 
pubblica  amministrazione.  La  qual  cosa  non  pare  a  loro  possibi- 
le, non  sapendo  pur  figurarsi,  ripeto,  un  sistema  del  tutto  disfor- 
me dal  presente,  e  in  uno  conforme  alle  nazionali  tradizioni;  e 


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dimenticando  per  sino,  che  con  esso  reggeasi  la  immensa  romana 
mole. 


CXLVII.  Italia  antica  retta  per  maniGipii. 

lo  dovrò  alcun  che  degli  ordini  comunali  trattare  nel  volume , 
che  farà  seguito  a  questo  :  ma  è  mestieri  sin  d' ora  premettere ,  che 
qui  non  si  reputò  mai  libera  e  civile  altra  specie  d'amministrazione, 
se  non  qixeìhì  per  comuni  ;  e  che  l'opposta,  cioè  qneWai  per  Provin- 
cie si  reputò  sempre  domenicale  e  servile.  Ho  già  raccontato ,  come 
tutt'  i  popoli ,  che  qui  fiorirono  prima  di  Roma ,  e  massime  gli 
umbri ,  gli  etruschi  e  i  latini ,  vivessero  in  città  confederate  tra  lo- 
ro ;  e  in  una  guisa  assai  più  sciolta  de'  moderni  cantoni  elvetici. 
E  Roma,  benché  unificando  la  penisola  e  il  mondo,  di  regola  ren- 
desse soci  i  popoli  circonvicini  o,  come  si  direbbe  ora,  compa- 
gni ;  lasciandogli  nelle  cose  interne  arbitri  di  sé  medesimi.  Nel- 
r  antico  diritto  italico  e  romano  non  si  conosceva  anzi  lo  istituto 
delle  provincia  o  de'  popoli  tributari ,  cui  Roma  apprese  al  con- 
tatto degli  stranieri  ;  e  cioè  de'  cartaginesi ,  dominatori  di  Sicilia 
e  di  Spagna  (Storia  romana  di  Teodoro  Mommsen,  III,  il). 
Cosi  rese  ella  provincia  la  GaUia  togata;  ma  sollevando  poscia 
anche  questa  al  grado  libero  e  civile  delle  genti  consorelle.  Che, 
sebbene  dalla  Legge  Giulia  in  poi  (allarg:mdosi  Y  urbanità  ai  la- 
tini, etruschi  ed  umbri,  e  quindi  a  tutt'i  popoli  italiani)  i  patti 
|)articolari  di  società  o  compagnia  venisser  meno,  e  si  desse  a  tutta 
la  penisola  un  assetto  municipale  uniforme  ;  questo  rimaneva  la 
base  della  portentosa  amministrazione  romana.  Per  fin  sotto  l' im- 
pero non  ve  ne  ebbe  altra  :  né  l' Italia  tutta  si  resse  per  due  se- 
coh  altramente,  che  per  mezzo  de'  municipii;  i  quali  anche  la 
giustizia  amministravano ,  salva  l' ultima  istanza  ai  pretori.  Sola- 
mente nella  decadenza  dell'  impero  cominciano  a  fungere  alciaii 
messi  del  principe:  i  consolari  stabiUti  da  Adriano,  e  resi  gim- 
ridici  da  Marco  ÀureUo ,  per  dar  luogo  nella  metà  del  terzo  se- 
colo ai  correttori.  Da  qui  principia  l'amministrazione  provìDciale 
in  Italia;  sin  che  Costantino  con  un  nugolo  di  funzionari  corti- 
gianeschi e  militari,  e  indi  Giustiniano  vi  stabiUssero  del  lut- 
to r asiatica  autocrazia  (Istoria  della  costituzione  dei  mmU^ 
cipii  italiani  di  Carlo  Hegel,  I).  In  tal  guisa  le  curie  munici- 
pali degradaronsi  nella  guisa  anzi  detta  :  ma  probabihneDte,  seb- 


-  219  - 

bene  questo  punto  sia  ancora  controverso,  non  disparvero  del 
tutto  iiemmen  sotto  i  barbari ,  quali  umili  magistrati  de'  vinti.  £ 
ad  ogni  modo ,  o  si  trasformassero  o  cessassero ,  fatto  sta ,  che  i 
vinti  stessi  si  risollevano  e  alla  fine  si  rivendicano,  restaurando  i 
comuni;  e  con  questi  la  propria  civiltà  e  libertà,  di  cui  sono  for- 
me uniche  eterne.  Dal  duodecimo  secolo  deir  era  volgare  in  poi , 
ebbero  essi  quello  splendore,  cui  ogni  pietra  attesta:  e,  se  con 
danno  della  politica  unità  e  indipendenza,  ne  fu  cagione,  l'es- 
ser divenuti  stati,  e  discordi  e  nemici  fra  loro;  non  già  Tesser 
comuni. 


GXLVIII.  Italia  odierna  retta  come  proTincia. 

Dante  patrocinandola  monarchia  e  Machiavelli  il  principato, 
pe'  supremi  bisogni  appunto  della  conservazione,  non  si  sogna- 
vano pure ,  che  il  loro  caro  comune  e  gli  altri  dovessei^o  esseni 
sacnfìcati.  Era  inteso  da  ognuno,  e  non  si  concepiva  nemmeno  il 
contrario,  che  l'Italia  dovesse  essere  comunale;  eh' è  dire  libera 
e  civile.  Anche  quando  i  tiranni  oppressero  le  repubbliche,  o  le 
maggiori  repubbliche  le  minori  ;  serbavano  quest'  ultime  le  loro 
proprie  leggi  e  magistrature.  I  signori  o  le  città  dominanti  arro- 
gavansi  al  più,  rispetto  a  queste,  la  nomina  di  un  rettore,  la  ra- 
tifica degli  statuti  e  il  supremo  appello  ne'  giudizi:  del  rima- 
nente lasciavangli  ne'  medesimi  ordini  antichi.  Così  Venezia  go- 
vernò un  dominio  abbastanza  vasto  ed  anche  oltramarino  ;  osser- 
vando, delle  più  piccole  e  oscure  terre  avute  in  dedizione,  sino 
alla  sua  caduta  i  patti,  come  se  gli  avesse  colle  più  illustri  e 
formidabili  potenze  conclusi.  Vero  è,  che  tah  terre  erano  in  con- 
dizione di  suddite,  e  cioè  solamente  i  signori  o  le  città  domi- 
nanti aveano  il  diritto  di  guerra  e  pace,  e  in  genere  il  potere 
politico  :  ma  amministrativamente  reggevansi  da  sé  sole.  Fu  sola- 
mente per  influsso  straniero,  che  i  detti  ordini  vennero  n^no, 
prima  nel  reame  di  NapoU  e  nel  ducato  di  Milano ,  sotto  l' oppres- 
sione spagnolesca;  e  indi  anche  altrove.  Per  altro  sino  al  finire 
del  secolo  scorso  l'amministrazione  italiana  era  ancora  piuttosto 
comunale,  che  no;  sebbene  allora  appunto  tra  le  altre  false  liber- 
tà, che  qui  la  Francia  importava,  fossevi  anche  questa  reale  ser- 
vitù. Le  antiche  consuetudini  e  i  diritti  storici  non  essendo  più 
sacri,  sotto  aspetto  di  rinnovare  la  vecchia  società,  nella  squallida 


-220  - 

uniformità  del  dispotismo  orientale  cancellavasi.  Non  panre  vero 
ai  tirannelli,  dopo  la  catastrofe  napoleonica  sovraggiunti,  di  man- 
tenere il  vuoto  letale,  che  la  demagogia  francese  avQa  fatto.  Fin 
la  corte  papaie,  che  si  mostrò  naturalmente  più  zelante  a  disep- 
pellire il  passato,  guardossi  hene  di  ricolmare  quel  vuoto,  ch'era 
tanto  atto  al  poter  impunemente  tiranneggiare.  Teneva  essa  in- 
nanzi Bologna  piuttosto  come  città  collegata,  che  sottoposta:  ma , 
racquistandola ,  pose  in  non  cale  i  patti  antichi,  per  trattenerla 
secondo  i  dettami  della  predetta  demagogia.  E  cosi  a  un  di  presso 
fecero  tutti  quegli  altri ,  che  restaurarono  qui  la  precedente  tiran- 
nide ;  non  già  que'  freni ,  che  le  avrebbero  potuto  recare  intoppo. 
Altrove  di  fatti  vi  sono  usi  venerati  o  caste  potenti,  che  inco- 
iano gli  stessi  despoti ,  e  lentamente  resistono  a'  costoro  voleri  : 
tino  il  gran  Turco  (  per  esempio)  è  dal  Corano  privato  della  po- 
destà legislativa ,  e  dalle  moschee  della  interpretativa.  Noi  in  vece 
non  abbiamo  qui  freno  alcuno ,  né  tradizioni,  né  caste,  né  nobiltà, 
né  comuni:  né  la  legge  del  profeta,  né  la  interpretazione  degli 
ulemi.  E  così,  despoteggiati  innanzi  da  altrui,  andiamo  ora  de- 
mocraticamente despoteggiando  su  noi  medesimi. 


CXUX.  Beni  dell'  nnità  e  indipendensa  nniignale  fkvftrntL 

Bella  libertà  davvero  amministrare  la  patria  a  modo  di  pro- 
vincia conquistata ,  che  tanto  significa  il  sistema  qui  mantenuto  e, 
dopo  i  recenti  eventi,  raggravato!  La  unità  e  la  indipendenza 
sono  ottime  cose  ;  ma  pur  semplici  mezzi  rispetto  a'  veri  Ani  de* 
popoU,  la  hbertà  e  la  gloria,  la  felicità  e  la  virtù.  E,  se  on  i 
ventisette  e  più  milioni  d' italiani  avessero  di  questi  beni  minor 
copia ,  che  in  altri  tempi  centomila  di  loro ,  quelle  stesse  oiUme 
cose  a  che  gioverebbero?  Poiché  Firenze  sola  dal  XIII  al  XVI 
secolo  conta  più  nella  storia  del  mondo  di  tutta  Italia  ora,  e  il 
valore  di  un  popolo  deesi  da  ciò ,  che  opera ,  desumere  ;  tulU  In 
nazione  non  vale  ora  quel ,  che  un  unico  comune  allora.  Noo 
dico  quindi,  che  la  dovesse  restare  smembrata  e  soggetta:  ma 
certamente  coloro ,  che  deplorano  il  suo  stato  d' allora ,  non  po^ 
sono  del  presente  |>avoneggiarsi.  Imperocché,  per  quanto  {»aecùi 
una  gran  massa  di  carne  a  chi  pregia  le  cose  dal  volume,  que* 
sta  nuissa  informe  e  inerte  occupa  inutilmente  la  terra,  e  la 
usurpa  iogi ustamente  fui  colle  proprie  ossa,  cui  va  adaslellaDilo. 


-  221  - 

Due  sole  obbiezioni  mi  si  posson  fare  :  che  Y  Italia ,  anche  re- 
staurandosi r  antica  comunalità ,  non  potrebbe  riavere  quello  splen- 
dore antico;  e  che  ad  ogni  modo  i  singoli  italiani  meglio  nell'o- 
dierna aurea  oscurità  si  vivono.  Ma  ,  ammesso  pure,  che  fosse 
lecito  agli  uomini  curarsi  di  lor  medesimi  solamente,  rompendo 
il  vincolo,  che  gU  unisce  all'umanità  tutta;  s'ei  sieno  oggi  più 
prosperi  e  Ueti ,  lo  vedremo  in  seguito.  Quanto  al  non  potere  V  Italia 
risplender  più,  rispondo,  che,  a  farla  risplender,  certamente  non 
basta  la  restaurazione  de'  comuni.  Bensì  vi  vogliono  e  questa 
e  le  tante  altre  cose ,  di  cui  vo  io  deplorando  il  difetto  in  questo 
volume,  e  di  cui  raccomanderò  nel  seguente  l'adozione.  Se  non 
che  qui  appimto  sta  tra  gli  avversari  miei  e  me  il  punto  mortale 
di  discrepanza  :  eh'  ei  dissimulano  i  mali ,  cui  io  svelo ,  né  i  ri- 
medi ,  cui  io  propongo ,  accettano  ;  dicendo ,  che  l' Italia  sta  troppo 
bene  così,  e  che  o  bene  o  male  dee  starci,  come  l'hanno  essi 
adagiata.  Fatto  è  per  altro,  che  la  vita  civile  langue  nella  medesi- 
ma ;  e  che,  sebbene  sia  il  farla  languire  uno  de'  segreti  di  stato  della 
borghesia,  con  mille  arti  applicato,  di  cui  darò  alcun  cenno  appres- 
so ,  non  ultima  è  V  annichilamento  dello  spirito  comunale. 


CL.  Danni  e  perìcoli  del  lUso  assetto  dato  all'Italia. 

Fu  nobile  e  degno  dell'  avita  magnanimità  l' impeto  generoso 
di  tutti  gì'  italiani  nel  cinquantanove,  di  dimenticarsi  fm  quasi  del 
proprio  essera,  pur  di  ricostituire  la  comune  patria.  Dato  però,  che 
intendessero  Y unità  a  quel  modo,  in  che  venne  attuata  (di  che  io 
dubito  forte);  un'unità,  che  avrebbero  con  disprezzo  rigettata  i 
due  massimi  e  immortali  unificatori ,  Dante  e  Machiavelli ,  e  anzi 
neppur  potuta  così  figurare  ;  un'  unità  puramente  materiale  e  mec- 
canica: proseguendo  eglino  in  essa,  ucciderebbero  sé  medesimi  e 
la  patria.  Queir  indifferenza,  quell'apatia,  quell'uggia,  in  cui  sono 
ora  tutti  sprofondati,  sarebbero  in  verità  assai  minori,  se  il  sim- 
patico squillo  della  campjma  del  comune  gh  ridestasse,  rincorasse 
e  rallegrasse.  Né  ci  ha  forse  altro  modo  per  assestar  le  finanze  ; 
e  sopra  tutto  per  impedire,  che  dal  disgusto  si  trapassi  al  rancore, 
e  i  giusti  sentimenti  del  natio  nido  conculcati  prorompano  in  a- 
perta  ribellione,  se  non  questo.  Il  grido  delle  regioni ,  che  si 
udì  spesso  bisbigliare  lungo  questi  diciott' anni,  come  protesta  in- 
conscia e  sconsigliata  contro  un  assetto  falso  ed  esiziale  ;  ha  molti 


-  222  - 

seguaci  nelle  file  de'  cattivi  ed  anco  de'  buoni.  I  buoni,  e  fra  essi 
taluni  uomini  egregi  e  stimabili ,  vorrebbero ,  cangiando  Y  Italia 
unita  in  una  federata ,  ricacciarci  a  quella  divisione,  che  tanto 
ci  costò  nel  soffrirla  ed  indi  nel  liberarcene:  i  cattivi  rovinare  ogni 
cosa.  E,  poiché  ne' tempi  corrotti  sono  mille  volte  piii  solleciti  e 
agevolati  i  cattivi  a  fare  il  male,  che  i  buoni  il  bene,  e  intiere  Pro- 
vincie nel  predetto  assetto  gemono,  come  sotto  un  giogo  insoppor- 
tabile, sappiam  noi  dove  andremo?  Io  credo  fermamente,  che 
r  Italia  si  salverà:  ma  della  nobile  Sicilia  (considerata  poco  meno 
d' un  paese  di  conquista  )  qualcuno  già  teme.  E ,  se  noi  dovessimo 
spargere  sangue  fraterno,  sia  pure  d' illusi  e  di  traviati ,  io  non 
so  chi  desterebbe  orrore  o  meriterebbe  compianto  maggiore,  se 
loro  0  noi  medesimi.  La  borghesia  non  si  cura  di  questo:  per- 
chè intanto  levasi  d' impiccio  colle  ammonizioni,  colte  taglie, 
colla  vigilanza,  col  confino  e  colle  altre  suppellettili  del  suo  ar- 
senale amministrativo.  Né  in  caso  d'una  rivolta,  un'esecuzione 
militare,  che  sarebbe  peggio  d'  una  novella  battaglia  perduta, 
le  farebbe  spavento.  Però  evidentemente  sonovi  due  stupende  cose, 
cui  conciliare  in  Italia,  e  cui  ella  in  vece  scambievolmente  ini- 
micò: l'unità  generale  e  la  varietà  particolare,  l'istinto  di  pa- 
tria e  r  istinto  dì  comune.  E  queste  non  si  possono  conciliare 
altrimenti,  che  con  una  patria  forte  e  con  un  comune  libero. 
Assidendosi  l'amministrazione  su' comuni,  per  ciò  solo  e  non 
parlando  degli  altri  beni,  che  ne  verrebbero,  e  sopra  tutto  deDo 
slancio  prodigioso  di  vitalità  morale;  le  spense  di  quella  si  ridur- 
rebbero alla  metà  ed  anche  a  meno.  Il  che  naturalmente  sarebbe 
un  risparmio  alla  borghesia  grato,  sempre  che  ridondasse  a  suo 
profitto.  Ma  non  dubitate,  gentiU  lettori,  in  onta  allo  stesso,  accdgi 
ella  una  riforma,  che  sareblje  troppo  sostanziale  e  troj^  verace 
per  piacerle.  Prima  di  tutto  l' Italia  deve  aver  forme  esolicbe  e 
non  proprie:  e  poscia  tali,  mercé  cui  possa  ella  sovraneggiarla 
a  suo  libito,  e  usufruirla  con  suo  commodo.  Sia  quindi  retta  a 
modo  provinciale:  ed,  anzi  che  dsi' cittadini  magistroH^  con 
quelle  tali  falangi  di  pubblici  provvisionati ,  di  cui  m' aodngo 
ora  a  discorrere;  e  che  costituiscono  una  delle  mille  piaghe  degli 
stati  odierni  borghesi,  e  sopra  tutto  dell'italiano. 


-  223  - 


LCI.  Casta  ministeriale. 

Preteriti  i  comuni  classici  e  distrutti  i  feudi  bai*barici,  le 
grandi  monarchie,  che  si  formarono  in  Europa  dal  cinquecento 
in  poi,  dovettero  ineluttabilmente  trovare  un  modo  di  ammini- 
strare i  sudditi,  analogo  a  quello  degU  orientali  despotismi.  Co- 
me questi  si  governano  co'  satrapi ,  cogli  eunuchi  e  con  cotali 
altri  arnesi  da  serraglio  ;  cosi  quelle  co'  cancellieri ,  cogli  scribi 
e  con  cotali  altri  arnesi  di  palazzo:  donde  sorse  V  aulico  satel- 
tizio.  Il  concentramento  de'  pubblici  servigi  diveniva  naturalmente 
una  necessità,  dacché  tutta  l'amministrazione  doveva  seguire  un 
unico  impulso  e  avere  un  moto  uniforme.  Tuttavia  il  guajo  non  istà 
tanto  in  quel  concentramento,  quanto  in  questa  unicità  d' impulso 
e  uniformità  di  moto.  Per  cui  causa  coloro,  che  esercitano  pub- 
blici uffici,  perdono  ogni  spontaneità  e  autorità,  e  possono  chia- 
marsi  ministri;  non  più,  a  rigor   di   termini,   magistrati.  In 
oriente  l' apoteosi  di  tal  sistema  vedesi  nelF  amministrazione  del 
chinesc  impero,  regolata  e  sollecita  sin  nelle  più  frivole  minuzie; 
e  affidata  a  una  gerarcliia  vasta  e  orrevole  di  mandarini  e  di  let- 
terati. Il  punto  più  cospicuo,  a  cui  pervenne  in  occidente,  fu 
quello  dell'  amministrazione  da  Maria  Teresa  e  Giuseppe  II  in- 
staurata; la  quale  die  prove  di  saggezza  e  provvidenza  veramente 
rairabih.  Tanto  che,  fino  a'  giorni  nostri,  chi  avesse  voluto  definir 
r  indole  dell'  austriaco  reggimento,  avrebbe  dovuto  per  certi  conti 
addimandarlo  un'  aristocrazia  cancelleresca  o,  se  vuoisi,  una  seri- 
niocrazia.  Col  qua!  sistema  debbono  i  sudditi  per  fino  non  man- 
giar troppo,  acciocché  il  soverchio  cibo  non  gravi  loro  lo  stomaco: 
ma  almeno  vengono  con  una  tal  quale  patiiarcale  e  pedagogica 
bonomia  trattati;  e  i  pubblici  provvisionati  sono  certi  di  essere 
ODorati  e  protetti.  Se  non  che  la  borghesia ,  accogliendo  il  sistema 
clìinese  e  austriaco,  come  ottimo  per  esercitare  le  sue  fattorie  poli- 
tiche e  per  ridurre  i  soggetti  alla  condizione  di  lavoranti  non 
salariati;  si  guarda  bene  dal  promuovere  il  bene  di  costoro,  e 
insieme  dal  porre  in  una  condizione  sopportabile  i  suoi  salariati 
faiiori.  È  un  articolo  della  sua  fede  politica,  che  lo  stato  non 
^eva  curarsi  del  bene  di  nessuno ,  e  deva  lasciare  ampia  Ubertà 
3  tutti  di  morirsi  tanto  d' indigestione ,  come  di  fame.  Quanto 
^gli  ufliciah  dello  stato ,  ella  non  gU  ha  e  non  gli  può  avere  in 


—  224  - 

maggior  conto  de'  suoi  garzoni  dì  bottega  ;  se  pure  non  gli  pregia 
assai  meno,  come  adesso  vedremo. 

CUI.  Senritìi  tUeasterica. 

Delle  molte  maniere  di  servitù,  cui  io  vo  in  questo  libro  descri- 
vendo, simili  0  dissimili  alle  antiche,  non  ne  conosco  una  più  biz- 
zarra e  singolare  di  quella,  cui  soffrono  le  magne  e  dolenti  turbe 
de'  pubblici  provvisionati  in  Italia;  e  la  quale  per  ciò  chiameremo 
servitù  dicasterica.  Avvegnaché,  se  per  alcuni  riguardi  potrebbesi 
alla  servitù  curiale  del  basso  impero  paragonare;  se  ne  scosta 
di  molto,  considerando  lo  stato  di  perpetua  miseria,  in  cui  è 
tenuta,  e  di  perpetuo  scherno.  Avendo  la  plutocrazia  moderna 
ripudiato  gli  ordini  civili  e  liberi  d'amministrazione,  dovette  al 
pari  delle  suddette  monarchie  commettersi  a  un  numeroso  e  ino- 
peroso ministero;  come  pe' bisogni  della  difesa  a  una  soldatesca 
enorme  e  pacifica.  Cosi  nel  nostro  regno  Tanno  1873  novera- 
vansi  68,396  persone  addette  all'amministrazione  non  militare. 
E,  wsebbene  T  anno  1876  in  vece  49,064;  aggiungendovisi  gli 
avventizi ,  quelli  delle  provincie  e  de'  cosi  detti  comuni  e  la  basa 
forza  doganale,  il  conto  torna  il  medesimo.  È  probabile  anzi^ 
che  vada  sempre  più  crescendo:  perchè,  sebbene  i  piloti  s'ac- 
corgano ogni  tanto, 

«  Che  la  ciurma  è  d' impaccio  alla  galera  », 
e  minaccino  anche  di  gittarla  in  mare;  vogliono  bene,  che  senza 
di  essa  non  ponno  trasjìortare  il  carico,  o  trafugare  il  contrabban- 
do. Con  la  metà  ed  anche  con  meno  si  farebbe  mille  volte  meglio, 
quando  fossero  uomini  eletti,  e  condegnamente  stimati  e  rimunerati. 
Sventuratamente,  quanto  più  il  lavoro  è  mal  compensalo  e  disono- 
rato, tanto  più  rendesi  servile;  e,  quanto  più  servile,  tanto  più  ste- 
rile. Non  mancherel)l>ero  alla  patria  i  figli  anelanti  di  sacrificarsde: 
ma  i  padroni  della  medesima ,  non  potendo  trovare ,  che  mintste- 
riaU  a  prezzo,  debbono  di  necessità  raddoppiargli,  secondo  che 
gli  privano  d'olmi  nobile  stimolo  all'alacrità.  E,  dovendo  pascer- 
ne troppi,  e  volendo  sj^enilere  men,  che  possono,  e  rendergfi 
docili  più,  che  possono;  assottii:liare  loro  di  tanto  la  razione,  die 
a{)pona  rampino,  e  conie  fainelìci  accattoni  tremino.  Meritano,  ^ 
non  ostante,  tutti  costoro,  senza  eccezione,  di  essere  commendati 
<*  laudati:  perchè ,  dojK)  i  nostri  soldati,  sono  essi  i  più  eloqueoU 


-  225- 

e  irrefragabili  testimoni  della  tribolata  e  invitta  virtù  di  questo 
popolo.  Ma  essi  uscirono  da  que'  ceti  gentili  o  disinteressati ,  cui 
va  la  plutocrazia  stremando  ;  e  si  trovarono  neir  amministrazione 
avviluppati  in  un  momento,  che  i  cuori  tutti  aprivansi  alla  spe- 
ranza ,  ed  e'  credevano  di  dover  essere  della  patria  risorta  ma- 
gistrati ,  e  non  di  alcun  padrone  incognito  servi.  Procedendo  cosi 
le  cose,  poiché  niun  uomo  di  senno  vorrebbe  d'ora  innanzi  av- 
venturarsi a  una  sorte  si  molesta  e  umiliante;  in  capo  a  una 
generazione,  gli  abili  e  gli  onesti  cederebbero  affatto  il  luogo  ad 
uomini  più  acconci  al  servire. 


CLIII.  Infelicità  de'pabbUd  prorrisioiiati  sotto  la  borghesia. 

Io  dissi  dianzi,  che  la  borghesia  gli  pregia  assai  meno  de' 
suoi  garzoni  di  bottega:  e  or  dunque  consideriamo  la  sorte  di 
quelli  e  di  questi,  per  vedere  phi  stia  più  a  disagio.  Con  un 
decimo  dell'ingegno,  dello  studio,  del  tirocinio,  della  fatica  e 
della  responsalità  occorrente,  popamo,  a  un  giudice,  può  qua- 
lunque uomo  oggidì  fare  una  discreta  fortuna.  Ebbene,  poiché  é 
molto,  se  un  giudice  diventi  consigliere  d'appello,  né  vi  diviene, 
che  in  età  matura,  e,  divenuto,  riceve  da  cinque  a  settemila  lire 
l'anno  colle  rispettive  deduzioni  fiscali;  torna  più  conto  certa- 
mente in  Italia  fare  il  droghiere  o  il  pizzicagnolo.  E,  quanto  agli 
altri  ufficiali,  le  cui  mercedi  non  giungono  in  media  a  cinque 
lire  il  giorno;  dovendo  viver  nomadi,  e  nudrire,  vestire  e  afiog- 
giare  sé  e  le  famiglie  un  po'  meglio  de'  semplici  braccianti ,  di 
regola  non  hanno  modo  di  risparmiarsi  in  tutta  la  vita  la  paga 
d'uD  mese.  Non  si  tratta  quindi  più  di  chiedere  per  tutti  una 
condizione  decorosa  o  almeno  decente;  ma  il  necessario  pane, 
che  a  loro  manca.  Ned  io  mi  curo  d' un  picciolo  errore  di  com- 
puti, pel  quale  certi  alti  d\gnitari  dello  stato  proposero  e  conse- 
guirono non  ha  guari  un  aumento  al  loro  stipendio  di  qualche 
migliaio  di  lire.  Avvegnaché,  dopo  tutto,  costoro  stessi  sono  dalla 
plutocrazia  retribuiti  con  tanta  spilorceria,  che  si  reputano  feUci, 
quando  da  reggitori  dello  stato  possano  in  direttori  d' un  banco  can- 
giarsi. Inoltre,  com'  é  noto,  per  una  recente  legge  gli  stipendi  a 
tutti  cosi  detti  impiegati  vennero  aumentati  in  media  di  una 
lira  e  ventiquattro  centesimi  il  mese,  e  taluni  di  un  centesimo  e 
^oni.  E  questo  fu  il  più  splendido  atto  sin  ora  dell'  alta  libe- 

15 


-226- 

ralità  borghese  :  la  quale  forse  ne  andrà  commettendo  alcun  altro 
in  qualche  suo  caritatevol  furore.  Nondimeno,  per  quanti  ne  com- 
metta ,  e  anco  se  potesse  al  sempre  maggior  numero  de'  propri 
stipendiati  provvedere ,  e  fosse  d' oro  satoUa  ;  non  gli  deve  dalla 
molestia  e  dall'umiliazione  sollevare.  Perchè,  se  lo  avere  uno 
sterminato  e  ozioso  servitorame  è  cosa  comune  a  tutte  le  signo- 
rie assolute;  quella  del  terzo  ceto  deve  di  giunta  averlo  torturato 
e  svergognato.  Onde  le  giova  si  trattarlo  male,  e  dire,  eh*  è  trat- 
tato troppo  bene  (come  spesso  usa),  per  tenersi  i  suoi  o  gli  altrui 
quattrini:  ma  senza  tale  intento  lo  tratterebbe  male  ugualmente. 
L' odio  0  lo  sprezzo,  che  in  tutte  le  occasioni  manifesta ,  e  ne' 
luoghi  più  augusti  e  ne'  momenti  più  solenni ,  contro  gli  ufficiali 
dello  stato,  procede  appunto  da  ciò ,  eh'  ella  gli  vuole  suoi  sche- 
rani ,  mentre  costoro  non  se  ne  possono  rassegnare.  Con  una  tenue 
porzione  del  danaro  pubblico,  che  vedremo  poi  come  ammassato 
e  dove  profuso,  gli  paga  dunque  sordidamente  ;  e  ancor  grida  allo 
spreco,  e  gli  svillaneggia.  E,  mentre  trova  giusto  e  bello,  che 
qualunque  bottegajo  possa  ammucchiar  tesori  e  vivere  sfarzosa- 
mente ;  le  pare  un  crimenlese,  se  un  magistrato,  logorando  la  \ita 
in  un  indefesso  e  pernicioso  lavoro,  lasci  un  modesto  censo  alla 
famiglia  e  scenda  nel  sepolcro  con  dignità.  In  ciò  la  soccorrono 
mirabilmente  gì'  infatuati  delle  democratiche  superstizioni  alla  fran- 
cese, di  cui  quella  si  sene  ogni  qual  volta  ha  da  perpetrare  e 
legittimare  qualche  tradimento.  I  quali  appunto,  prendendo  per 
democrazia  la  volgare  invidia  e  il  livellamento  brutale,  vorreb- 
bero, che  i  superiori  uflìciali  fossero  agi'  inferiori  parifìcati.  Cioè 
tutti  miseri  e  abietti ,  e  misera  e  abietta  la  virtù  ;  mentre  il  mer- 
cimonio insolentisce  e  infuria ,  e  superbi  e  snaturati  oligarchi  op- 
primono il  popolo  e  barattano  la  patria. 


CLIV.  Inoertena  da'  pabbli^  prorriiiMUitL 

Oltre  per  altro,  che  pei  vili  stipendi,  soffrono  gli  ufficiali 
tutti  una  reale  servitù,  per  la  condizione  precaria  e  incerta,  in 
cui  son  posti;  e  in  conseguenza  della  quale  debbono  continua- 
mente stare  trepidanti  e  sospesi.  Le  nostre  leggi  riconoscono  li 
magistrati  giudiziali  (almeno  in  dati  gradi)  e  ai  professori  uni- 
versitari una  tal  quale  stabilità  d'ufficio,  che  può  per  altro  esser 
resa  illusoria ,  non  foss'  altro  co'  guiderdoni  agi'  immeritevoli  e 


-  227- 

coir  inverecondo  obblio  de'  meritevoli.  Gli  altri  ufficiali  non  han- 
no guarentigie  di  sorte  alcuna,  e  direttamente  o  indirettamente 
possono  esser  licenziati,  o  per  riforme  di  leggi  od  anche  per 
quelle  tali  cause  politiche  ed  elettorali,  cui  sopra  accennai.  Òr, 
quando  si  volle,  per  non  affidarsi  alle  elezioni,  alle  condotte  o 
ad  altri  mezzi  più  liberi  e  civili,  accoglier  le  qomine;  e  creare 
una  professione  abituale  e  speciale  de' cosi  detti  impieghi,  non 
è  tale  licenza  più  lecita.  Questa  professione  richiede  una  spesa 
non  Ueve  di  preparazione ,  esclude  nel  fiore  della  giovinezza  ogni 
compenso,  progredisce  di  stadio  in  stadio,  e  assorbe  le  personali 
attitudini  cosi,  che  chi  più  atto  in  essa,  diviene  precisamente 
nelle  altre  più  inetto.  Da  che  dunque  un  disgraziato  avventura 
il  suo  presente  e  sequestra  il  suo  avvenire  in  questa  forma;  il 
pubbUco  contrae  verso  il  medesimo  il  debito  di  non  mancare  ad 
impegni,  che,  s'anco  non  espliciti,  sono  tuttavia  impliciti.  Tranne 
il  caso ,  eh'  e'  si  rendesse  indegno ,  e  in  cui  quasi  dee  perdere 
sino  il  diritto  alla  pietà;  la  naturai  giustizia  vieta  al  pubblico 
(anche  se  non  sapesse  più ,  che  farsi  di  lui),  vieta  d' abbandonar- 
lo. E,  se,  accommiatandolo,  non  lo  risarcisce  delle  somme  per- 
dute, degU  studi  professionali,  de' lucri  mancati  nell'alunnato, 
delle  defraudate  aspettative  d' avanzamento,  e  de'  danni  dell'  ozio 
forzato,  a  cui  sarebbe  nel  rimanente  della  sua  vita  dannato,  com- 
mette moralmente  un  furto.  In  onta  a  ciò,  certa  brava  gente ,  che 
sa  far  tanto  bene  i  suoi  conti,  e  che,  quando  le  capita  fra  gli  artigli 
un  prodigo,  si  rivale  fin  de'  minuti ,  in  cui  è  rimasto  giacente  il 
suo  capitale,  e  colla  grossa  usura  si  rassicura  fin  de'pericoU  del 
diluvio  e  del  finimondo;  reputa  chimeriche  queste  liquidazioni. 
Se  lo  potesse,  caccierebbe  all'istante  sul  lastrico  tutte  le  sue 
68,396  \ittime  più  immediate  (siccome  ha  qualche  volta  minac- 
ciato); né  le  verrebbe  pure  il  dubbio  di  non  far  cosa  buona.  È 
universal  persuasione,  ch'esse  non  abbiano  diritti:  tanto  che, 
mentre  dopo  tutto  per  tenerle  in  \ita  o  in  agonia  non  si  spende, 
che  la  minima  parte  delle  somme  stanziate  ne'  bilanci  dello  stato, 
e,  s'anco  le  si  cassassero  tutte,  vi  vorrebbe  ben  altro  per  riem- 
pierne le  voragini;  fino  un  Giuseppe  Garibaldi  propose,  che  la 
nuova  economia  si  facesse  proprio  sulle  lor  ossa.  Ed  io  cito  questo 
gloriosissimo  nome  in  prova,  che  della  sordida  e  spietata  tiran- 
nide, cui  vo  qui  svelando,  nemmeno  il  cuore  d'un  eroe  s'è 
accorto. 


-  228  - 

CLV.  Agonia  de'pabblid  proTridonatL 

Comunque  sia,  le  predette  vittime  non  sono  nemmeo  certe 
della  presente  vita  o  agonia  ;  e  nemmeno  dell*  osservanza  de*  patti 
per  la  loro  invalidità  o  vecchiaja  convenuti.  Più  volte  si  è  buc- 
cinato di  toglier  loro  il  diritto  alle  pensioni,  e  di  fare  altresì 
sulle  già  acquisite  una  di  quelle  famose  «  operazioni  di  finanza  », 
in  cui  la  finanza  borghese  è  maestra.  Non  mancano  a  dò  prete- 
sti: perchè,  astrattamente  parlando,  che  di  peggio  dì  questi  scia- 
mi di  gente  spensierata  e  incauta,  che  non  sa  provvedere  a*  tardi 
anni ,  né  a'  cari  superstiti  ?  Certamente ,  poiché  si  aspra  sorte  sop- 
porta ,  credo  io,  eh'  ella  dovrebbe  colla  medesima  regolare  i  suoi 
appetiti  ;  rinunciando  a  ogni  sorta  d' agi ,  e  fin  nelle  maniche  rim- 
boccate pareggiandosi  a*  più  umili  artefici ,  pur  di  mettere  in  ser- 
bo qualche  cosa  pel  futuro.  Ma  tale,  austerità  spartana  in  tempi 
di  fastosa  ostentazione  e  d' avida  bramosia,  come  i  presenti,  non 
è  facile;  e  non  varrebbe  del  resto  per  chi  ha  tenue  o  breve  il 
soldo.  Ónde,  poiché  la  si  è  posta  in  si  fatta  sorte,  da  dover 
di  per  di  consumare  i  propri  guadagni  e  da  non  potere  ad  altro 
attendere;  bisogna  bene  reputarla  come  in  un  continuo  stato  di 
minoratìco  o  d'imbecillità.  E  quindi  nelle  distrette  soccorrerla, 
a  un  di  presso  come  i  servi,  che  infermano  e  incanutiscono  in 
c^sa;  e  soccorrere  eziandio  per  un  certo  tempo  le  vedove  e  gii 
orfani ,  che  alla  morte  de'  mariti  e  de'  padri  rimangono  abbando- 
nati alla  nazionale  misericordia.  Per  queste  cause  sorse  il  diritto 
alle  giubilazioni  de' pubblici  provvisionati,  sacro  in  tutt*i  reggi- 
menti onesti,  ove  un  ceto  cancelleresco  formossi,  ed  ove  non  affoga 
in  tanta  miseria  e  abiezione.  Tuttavia,  benché  nel  reggimento 
nostro  trovi  un  ulteriore  fondamento  in  certa  falcidia  degli  stipen- 
di appunto  per  si  fatta  ragione,  mercé  cui  assume  esso  la  natura 
anche  d'una  bilaterale  obblipzìone;  i  giurisperiti  della  borghesia 
noi  reput^ino  assoluto  e  irrevocabile.  E  del  resto,  qualunque  siano 
i  loro  responsi,  i  finanzieri  della  medesima,  sì  può  esser  tran- 
quilli, che,  prima  di  mancare  agi'  impegni  del  debito  consolidalo, 
a  questi  mancherebbero.  Conciossiaché  strillano  tutti ,  come  osses- 
si, se  alcuno  propone  ridurre  lo  interesse  sC  pubblici  feneratari. 
Se  in  vece  si  togUessero  le  pensioni  ai  giubilati,  e  fin  «pelle 
già  fissate  e  divenute  un  censo  vitalizio  e  un  credito  intangibile, 
ninno  ne  avrebbe  onta.  À  tale  uopo  manca  loro  il  poterei 


-  229  - 

la  voglia  :  e  ad  ogni  modo  già  in  parte ,  facendola  ogni  tanto  ba- 
lenare, raggiungono  lo  intento.  Il  quale  è,  che  i  pubblici  servi 
per  si  fatto  sgomento  restino  tramortiti;  come  i  popoli,  e  lo  ve- 
dremo appresso,  sotto  l'incubo  del  fallimento. 

CLVI.  Pervertìmeiito  da'  pabblioi  iifftoi  Botto  la  borghesia. 

Le  angustie  e  le  tribolazioni  economiche  sono  del  resto  un' 
inezia  in  paragone  delle  altre  arti,  con  cui  si  tramutò  la  popo- 
lare magistratura  in  servitù  dicasterica.  Perchè,  sebbene  la  feb- 
bre de'  lucri  e  la  sete  de'  piaceri  sembrino  generali,  pur  tale  è 
ancora  la  stoiHa  del  popolo  italiano,  che  non  mancheriano  uomini  ; 
i  quali,  in  onta  a  quelle  angustie  e  a  quelle  tribolazioni^  vor- 
riano  servir  la  patria  degnamente.  E  i  pubblici  ufficiali  appunto, 
pegli  studi  gentili  e  per  la  natura  stessa  delle  loro  occupazioni, 
sono  da  quella  febbre  e  da  quella  sete  meno  arsi.  U  peggio  è, 
che ,  non  solamente  da'  bisogni  dell'  esistenza  materiale  marto- 
riati, ma  oltraggiati  per  fino  nella  loro  morale  dignità,  togliesi 
loro  il  più  forte  stimolo  alle  azioni  belle  de'  mortali.  Io  ho  già 
accennato  a  questo ,  dicendo  di  sopra ,  eh'  ei  sono  considerati 
agenti  e  servi  delle  fazioni,  e  di  coloro,  che  per  le  fazioni  mo- 
mentaneamente e  mutabilmente  dirigono  la  pubblica  cosa:  tra' 
quali  e  le  quali  non  sanno  come  contenersi,  e  nemmeno  come 
rimanersi  integri ,  fedeli  e  costanti.  Questo  solo  basterebbe  a  per- 
venire affatto  l'indole  del  loro  ministero:  ma,  se  vi  si  arrogo 
la  convinzione  borghese  in  più  modi  manifesta ,  eh'  ei  sieno  al- 
tresì agenti  e  servi  di  chi  gli  paga,  facile  è  argomentare,  com'  ei 
debbano  del  loro  amaro  caUce  trangugiare  fin  l' ultimo  sorso.  E 
quanto  sia  irriverente  questo  Unguaggio,  che  usano  particolar- 
mente i  diari  moderati,  e  i  più  sfegatati  monarchici;  se  si  con- 
sidera, che  anche  il  capo  dello  stato  è  pagato,  non  ho  d'uopo 
dire.  Veramente,  poiché  lo  stipendio  non  è  altro,  tranne  il  cor- 
respettivo  del  loro  lavoro,  parrebbe,  che  intervenisse  tra  loro  e 
lo  stato  un  contratto,  per  lo  meno  non  dissimile  da  qualsivoglia 
altra  mutua  prestazione  d'  opere  e  di  cose.  E ,  poiché  anzi  le 
opere  loro  sono  si  mal  retribuite,  che,  se  vi  è  alcuno,  il  quale 
rimanga  in  debito  tra  quelli ,  e  debba  esser  grato ,  dovesse  preci- 
samente esser  lo  stato.  Di  guisa  che ,  se  (per  esempio)  vi  sono  in 
Italia  professori ,  che  godono  all'  estero  qualche  fama  e  potreb- 
boDvi  ricevere  un  onorario  di  venticinquemila  lire,  e  tuttavia,  non 


-230- 

reggendo  loro  il  cuore  d'abbandonare  la  patria  adorata,  si  accon- 
tentano qui  di  cinquemila;  parrebbe,  ripeto,  che,  se  vi  è  alcuno 
qui,  che  dona,  fossetto  precisamente  essi.  Il  che  del  resto  non  è 
un  merito,  perchè  per  la  patria  si  dee  fare  questo  e  ben  altro. 
Ad  ogni  modo,  come  i  lor  diritti  di  essere  professori,  giudici  o 
cotale  altra  cosa  vengono  dalle  doti  loro ,  e  non  da'  favori  di  nes- 
suno ;  cosi  i  loro  doveri ,  non  dal  prezzò  ricevuto ,  ma  da'  vin- 
coli santi  e  indissolubili  verso  la  patria  procedono.  E,  ammesso 
pur,  che  dal  prezzo,  allora  saranno  al  popolo  obbligati,  colla  cui 
pecunia  e  fin  colla  cui  farina  vengono  alimentati;  e  non  già  a  chi 
passa  nelle  lor  mani  i  rimasugli  de'  contributi  del  medesimo.  Chi 
dunque  usurpa  le  ragioni  di  questo,  che  dopo  tutto  è  il  legittimo 
sovrano,  e  da  cui  eglino  ripetono  i  lor  titoli ,  arrogasi  di  maltrat- 
targli, di  vilipendergli  ed  anche  di  sbarazzarsene.  Eglino  nondi- 
meno hanno  obbligo  di  procacciare  comecchessia  il  bene  di  esso 
in  tutt'i  modi  possibili  e  fin  che,  venendo  destituiti  o  dovendo 
dimettersi,  non  ne  sia  schiuso  loro  ogni  adito.  Ond'ei  debbono 
per  fermo  obbedire  a'  loro  superiori  in  tutte  le  cose  legittime, 
ed  alle  leggi  sempre  :  ma  tradirebbero  il  proprio  ufficio  e  per  fino 
carpirebbero  la  mercede ,  se  si  reputassero  d' altri ,  che  di  questo 
popolo  tutori  e  difensori. 

CLVU.  iTTilimento  de'pabbUd  nffloL 

Ora  io  non  dico,  eh'  ei  siano  violentati  aflatto  a  tradire  sif* 
fattamente  l' uflicio  e  a  carpir  la  mercede  :  perchè  la  tirannide 
borghese  è  una  tirannide  floscia  e  fiacca,  e  la  cascaggine  e  b 
frollaggine  sono  mali  comuni  ora  ai  tiranni  e  agli  schiavi.  Beod, 
eh'  ei  non  si  reputano  più  dalla  patria  investiti  d'  una  particolare 
autorità ,  ed  alla  patria  unicamente  vincolati  ;  ma  semplici  salariati 
e  clienti  de'  momentanei  e  mutabili  reggitori  dello  stato  o  que- 
stori dell'  erario.  I  quali ,  mentre  non  avrebbono  altro  diritto,  cbe 
alla  soggezione  gerarchica  de'  medesimi,  pretendono  in  vece  di 
avergli  peggio,  che  vassalli  e  raccomandati.  Talmente  che  par 
loro  un  gran  vanto  il  poter  dire  :  vedete ,  noi  vi  potremmo  schbo- 
dare,  e  tuttavia  vi  lasciamo  tirare  il  fiato.  Come  se  questi  ma* 
gistrati,  anche  cosi  impropri  come  sono,  non  tenessero  per  altre 
titolo,  che  per  il  beneplacito  di  quelli  il  proprio  ufficio:  e  come 
se  il  rapirlo  loro  non  fosse  una  soperchierìa  fatta  a  tutta  la  na- 
zione, lo  del  resto  non  mi  curo  di  deplorare  i  torti  effettivi ,  cbe 


-  231  - 

si  commettono  o  si  posson  commettere:  riprovo  unicamente  que- 
sto basso  sentire  sulla  natura  e  sulle  prerogative  de'  pubblici 
ufficiali,  che  non  potrebb'  essere  più  erroneo  e  funesto.  È  comune 
opinione  ora,  che  le  dignità  e  i  carichi,  anzi  che  aggiungere  la 
più  splendida  aureola  civica  a  coloro,  che  ne  sono  investiti  (  sic- 
come r  aggiungevano  agli  avi  nostri  ),  gli  sottopongano  a  una 
condizione  molto  peggior  di  quella  del  più  oscuro  operajo.  La 
borghesia,  reputando,  chi  gli  accetta  non  miri,  che  a  riscuotere 
un  salario,  stupisce,  che  i  ricchi  gli  possano  desiderare;  e  rim- 
provera i  poveri ,  che  gh  osano  chiedere.  A'  quali  ultimi  dice 
appunto  nelle  scuole  e  su' giornali ,  che,  mentre  vi  sono  tanf  altri 
modi  assai  migliori  d'  occuparsi  e  di  lucrare  nelle  officine  e  ne' 
banchi,  è  una  poltroneria,  ch'ei  vogliano  vivere  ad  ufo.  Non 
pensa  ella  nemmeno,  che  vi  possano  esser  taluni ,  i  quali  cerchino, 
anche  sotto  la  sua  dominazione  e  in  onta  a'  suoi  maltrattamenti , 
di  servire  la  patria  almeno  in  quegli  uffici ,  che  non  si  collegano 
agr  interessi  degli  oppressori ,  e  fin  che  questi  abbiano  il  corag- 
gio di  cacciarnegli  via.  E  così  chiama  ella,  dopo  liberata  la  pa- 
tria, e  quando  il  primo  sospiro  di  tutf  i  cuori  avrebbe  dovuto 
esser  quello  di  servirla  ;  chiama  «  parassiti  del  pubblico  bilancio  » 
0  più  brevemente  «  mangiapagnotte  »  coloro,  che  s' immolano  alla 
medesima.  Ora,  se  il  popolo  venne  diminuito  di  capo,  e  se  le 
autorità  tutte  dal  sommo  all'imo,  come  vedemmo  sono  vane,  e 
le  inferiori  di  giunta  angariate  e  vituperate,  e  sottomesse  affatto 
a  una  condizione  servile,  e  i  cittadini  stessi  alleVati  in  codesti 
sentimenti  da  servi  ;  io  spero,  che  i  miei  cento  lettori  fieno  accorti 
finalmente  della  ignobile  potenza  sotterranea ,  che  governa  o  sgo-^ 
verna  lo  stato.  La  quale  deve  naturalmente  avere  un  qualche  in- 
tento; e,  poiché  costituì  lo  stato  stesso  per  favorire  le  ricchezze, 
deve  proporsi  il  conseguimento  delle  medesime.  Ned  è  anzi  da 
farne  meraviglia:  perchè,  come  le  antiche  caste  de' sacerdoti  e 
de'  guerrieri  si  proponevano  la  ciunneria  e  la  conquista,  cosi 
questa  moderna  de'  mercatanti  proponesi  il  lucro.  Ma ,  siccome  a 
ciò  non  basta  la  sola  finanza,  e  a  questo  più  diretto  obietto  de' 
suoi  pensieri  bisogna  far  convergere  tutr  i  pubblici  servigi  e  con- 
laminare tutta  la  società  civile;  cosi  è  d'uopo  ora  constatar  ciò 
ne'  particolari  rami  dell'  amministrazione  e  nelle  particolari  fun- 
zioni della  vita  pubblica,  cominciando  dalla  giustìzia. 


GIUSTIZIA  BORGHESE 


CLVIII.  LeflrifllaiioBe  del  regno  d' Italia. 

Dappoiché  un  principe,  un  collegio  o  un  ceto,  indebitaaieQte 
occupando  la  repubblica  e  violentemente  tenendola,  debbono  di 
necessità  la  giustizia  misconoscere  e  conquidere,  ed  ogni  domi- 
nio tirannico  è  di  necessità  ingiusto;  non  è  a  stupire,  se  anche 
il  borghese  lo  sia.  Per  altro  può  darsi,  che  una  tirannide  sia 
pe'  titoU  del  suo  dominio  e  pe'  modi  del  suo  impero  ingiusta , 
ossia  ne'  soli  politici  riguardi  ;  ma  non  anche  ne'  privati.  Questo 
mirabilmente  avverossi  nelF  oligarchia  veneziana ,  signoreggiante 
il  popolo  a  comune  e  non  a  particolar  benefìcio,  ed  anzi  con  suo 
proprio  sacrifìcio;  e  la  cui  giustizia  sopra  tutto  fu  si  inflessibile 
e  inesorabile,  da  doverla  temere  assai  più  i  signori,  che  i  sudditi 
l^er  contrario  V  odierna  oligarchia  del  terzo  ceto,  che  non  ha  deUa 
patria  il  fìero  e  geloso  culto  di  quella ,  né  il  sentimento  e  né  pure 
il  concetto  della  equanimità  e  dignità,  che  ogni  signoria  ^ptlima 
0  illegittima  deve  avere;  considerò  la  giustizia  come  un  aSuie, 
di  cui  anche  il  turco  ha  bisogno,  e  da  trattarsi  appunto  tur^ 
chescamente.  £ ,  siccome  Y  ingiustizia  ne'  reggimenti  degli  stati 
in  due  guise  si  perpetra,  colle  leggi  e  co' giudicati,  ossia  oome 
precetto  e  come  pratica  ;  d' ambo  ora  dirò ,  facendomi  dalie  leggi 
À  proposito  delle  quaU ,  basterà  mentovare  la  restrìziODe  de'  sol- 
fragi  a  un  ceto  di  persone ,  che  non  é  il  popolo,  e  l' awocazioiie 
de'  giudizi  criminah,  detti  di  fatto,  al  m^esimo  ceto,  eh' è  pc^ 
cisamente  il  dominante  e  soverchiatore  del  popolo  stesso;  per  co- 
noscere tosto,  come  la  ingiustizia  sia  proprio  stata  posta  a  fot- 
damento  dello  stato.  La  cosa  anzi  é  cosi  enorme ,  che  si  seole 
vergogna  di  confessarla,  chiamando  popolo  a  dirittura  quel  celo, 
e  suffragi  e  giudizi  popolari  i  suoi;  con  una  di  quelle  flgure  rei- 
toriche,  che  usa  appunto  quel  ceto  per  coonestare  le  sue  iniquità. 


-233- 

Per  ventura  io  crederei  perdere  il  tempo,  se  volessi  dimostrare, 
come  il  popolo  sia  in  sulla  terra  V  unico  signore  dì  sé  medesimo. 
Perocché  fin  la  chieresia  ammette  non  abbia  altro  signore,  che  in 
cielo  (  di  cui  sono  i  principi  quaggiù  colla  permissione  di  lei  sem- 
plici vicari):  e  la  borghesia  vanta  troppa  democrazia,  per  negarlo 
con  le  parole.  Dunque,  se  ciò  è  vero,  ella  deve  ammettere,  che, 
concedendo  le  prerogative  elettorali  solamente  a  605,044  italiani  e 
ad  un  minor  numero  quelle  giudiziali ,  fece  torto  a  tutf  i  rima- 
nenti; i  quali  non  sono  quindi  cittadini  attivi,  ed  anzi  nemmanco 
cittadini.  Mentre  tutti  gì  italiani,  redentisi  dalla  servitù  straniera, 
erano  per  ciò  solo  tornati  liberi  di  lor  medesimi;  con  tale  esclu- 
sione da' comizi  e  da  li*ibunali,  que'soli  divennero  signori,  e  gli 
altri  sudditi.  La  qual  cosa,  siccome  contraria  alla  parità  civile, 
è  non  solo  ingiusta,  se  la  si  considera  secondo  la  naturai  ragio- 
ne :  ma  anche  secondo  le  romane  leggi  (  il  cui  gius  di  postliminio 
venne  cosi  posto  in  non  cale),  e  per  fino  secondo  i  patti,  che 
stabilirono  il  regno  d' ItaUa.  Perocché ,  per  non  dire  de'  valorosi , 
che  r  ebbero  innanzi  con  meriti  e  dolori  d' ogni  sorta  preparato  ; 
i  fondatori  esteriori  e  formali  del  medesimo,  dennosi  almeno  ri- 
tenere que'  3,538,468  italiani ,  che  votarono  i  plebisciti.  Or  chi 
avrebbe  potuto  immaginare,  che  nemmeno  essi,  capaci  di  fon- 
darlo, non  fossero  stati  dichiarati  tutti  capaci  di  conservarlo?  La 
borghesia  nostra  cosi  e  di  loro  e  degli  altri  si  valse,  come  già 
la  francese  dello  anelito  di  libertà  e  del  farnetico  di  popolarità,  a 
guisa  di  ponti  per  assidersi  in  sul  trono.  Or,  che  la  vi  si  è  assisa, 
pensa  o  dice  dì  aprire  un  usciolino  ad  alcuni  altri  piccioli  suoi 
clienti  0  alunni  :  ma  fatto  é ,  eh'  ella  nega  tuttavia  i  diritti  veri 
di  cittadinanza ,  manifestantisi  negli  squittinì  e  ne'  placiti ,  alla 
Duiggior  parte  degl'  italiani  E ,  benché  ella  non  ne  sia  più  ido- 
nea, accampa  la  costoro  inidoneità  in  iscusa;  come  se  questa, 
che  può  valere  in  uno  stato  d' ottimati ,  si  possa  in  uno  stato  po- 
polare far  buona.  Del  resto  é  troppo  naturale,  che  la  dovesse 
essere  in  questo  argomento  ingiusta;  perocché,  se  il  suo  dominio 
ftok  dipende  dalle  tante  cagioni,  cui  vo  in  questo  volume  spo- 
Dendo;  il  legale  in  vece  da  codesto  monopolio  degli  squittinì  e 
de'  placiti.  Non  la  potendo  dunque  più  rimproverare  de'  titoli  e 
de' modi,  onde  legalmente  tiranneggia,  passerò  a  considerare  le 
^  opere  all'  infuori  di  tal  campo  :  e  cioè  non  nelle  leggi  statu- 
tive,  ma  nelle  leggi  statuite. 


-  234  - 


CLIX.  Infrisioni  della  oottitiiiioiie  politiea. 

Qui  prima  debbo  notare,  eh'  ella,  dopo  avere  dato  tali  ordim 
allo  stato,  per  eui  questo  come  cosa  sua  stesse  in  suo  arbitrio, 
avrebbe  potuto  accontentarsene,  e  dovuto  osservargli  In  vece  le 
sue  leggi  (supponiamo  per  un  istante,  che  le  fossero  giuste 
sempre  )  infransero  quegli  ordini  appunto,  eh'  ella  avea  dato.  Se 
io  adducessi  gli  atti  di  questa  o  quella  autorità  pubblica  contrari 
alla  costituzione  prammatica ,  entrerei  in  un  tema  irto  di  difficolti 
e  di  amarezze.  Intendendo  di  condannare  le  colpe,  e  non  avendo 
altro  sentimento,  che  di  compassione  verso  i  colpevoli;  è  più 
spiccio  e  più  misericordioso  richiamar  Y  attenzione  de'  leggitori 
sugli  stessi  provvedimenti  legislativi.  Prendano  adunque  in  oumo 
il  cosi  detto  Statuto  del  regno;  e  veggano,  quanti  articoli  del 
medesimo  furono  da  questa  o  quella  legge,  per  dir  poco,  prete- 
riti. La  preterizione  comincia  sin  dall' articolo  1,  che  sancisce  una 
a  sola  religione  dello  stato  »  ;  e  contro  il  quale  sta  non  solamente 
la  cosi  detta  «  politica  ecclesiastica  »:  ma  tutta  una  sequela  di  pre- 
scrizioni, che  attuarono  precisamente  l'opposto.  Non  è  sincerità  dire 
una  cosa,  e  fame  un'  altra  ;  violando  anche  a  fln  di  bene  un  patto,  in 
cui  si  sono  i  cittadini  commessi  e  compromessi  sotto  l' egida  della 
pubblica  fede.  Ed  è  pericolosissimo  alla  libertà,  oltre  che  illegit- 
timo, che  i  consigli  legislativi  si  arrogliino  i  poteri  d' una  balia 
0  d' una  dittatura ,  cui  ninno  ha  loro  conferita  :  tanto  più  che  oggi 
quel  patto  sarà  violato  a  danno  degh  uni,  e  domani  degli  altri.  Se 
non  che ,  prescindendo  da  ciò  e  supponendo  un  gran  bene  il  trasgre- 
dirlo, certo  però  è  intanto,  che  fu  trasgredito.  Quanto  all'  articolo 
24 ,  secondo  il  quale  i  cittadini  a  tutti  godono  ugualmente  i  diritti 
civiU  e  politici  )>,  non  ho  bisogno  di  ripetere,  che  vi  stanno  con- 
tro i  privilegi  nella  Legge  elettorale  e  nella  Legge  sulT  ardma^ 
mento  giudijsiario  sanciti ,  e  testé  ricordati.  Segue  l' articolo  25, 
secondo  il  quale  «  essi  contribuiscono  indistintamente,  nella  pro- 
porzione dei  loro  averi,  ai  carichi  dello  Stato  ».  E  il  quaie  è 
stato  in  guisa  applicato  (  come  in  seguito  farò  chiaro  ),  eh'  ei  Oli- 
rono in  vece  gravati  proprio  nella  proporzione  dei  loro  non  averi* 
Pegli  articoU  2G  e  27  la  «  libertà  individuale  è  guarentita  »  e 
c(  il  domicilio  è  inviolabile  »:  ma  ciie  sorta  di  guarentigia  e  d' in- 
violabilità abbiano  nel  nostro  Codice  di  procedura  penak  e 


—  235  - 

nella  nostra  Legge  sulla  sicurezza  pubblica  trovato,  lascio  a 
tutti  considerare.  Per  \  articolo  29  «  tutte  le  proprietà ,  senza 
alcuna  eccezione,  sono  inviolabili  »:  e  nondimeno  quelle  della 
chiesa  ed  altre  proprietà  del  popolo  e  de'  poveri ,  che  appresso 
ricorderò,  furono  dalla  Legge  per  la  soppressione  degli  ordini 
e  corporazioni  religiose  e  da  altre  tali,  io  non  dico  violate,  ma 
solamente  ingojate.  Quanto  alle  ragunate  e  compagnie,  pacifiche 
e  inermi ,  di  cui  X  articolo  32  afferma  i  diritti ,  ben  inteso  invio- 
labili; mi  sarà  forse  sfuggito,  ma  io  non  saprei  addurre  un  sol 
caso,  che  il  popolo  potesse  manifestare  i  suoi  voti,  contrari  a 
quelli  della  fazion  dominante  o  di  chi  ne  tiene  il  timone,  che 
non  ne  fosse  impedito  o  turbato.  Onde  senz'  altro ,  quando  è  in 
qualche  circostanza  da'  soliti  manipolatori  convocato,  si  pub  esser 
certi ,  eh'  è  per  compiacere  alla  medesima  e  per  incuorarla  con 
un  po' di  strepito  a  tirar  via.  Alcuni  di  coloro,  che,  appunto  ti- 
rando via  con  tale  strepito,  benché  senza  malizia,  fecero  alla  pa- 
tria i  danni  e  le  onte,  ch'io  in  questo  libro  novero,  sarebbero 
giusta  r  articolo  67  mallevadori.  Pure,  non  che  porgli  a  sindacato 
mai,  dopo  tanto  promettere  e  consultare,  non  si  è  creduto  o  sa- 
puto ancora  fare  una  legge,  che  la  mallevadoria  rendesse  effetti- 
va e  verace.  E  quanto  meglio  stavate  voi ,  o  giudici ,  e  quanto  più 
fermi  e  onorati  su'  vostri  seggi ,  prima  che  Y  articolo  69  vi  dichia- 
rasse «  inamovibili  »!  Se  poi  l' articolo  72,  che  prescrive  la  pub- 
blicità delle  udienze  vostre  sia  stalo  osservato,  vedremo  tosto: 
certo  non  lo  fu  il  76,  che  istituiva  la  «  milizia  comunale  ». 
Sopprimendosi  la  cosi  detta  guardia  nazionale,  con  una  disin- 
voltura portentosa,  alla  chetichella  e  senza  pure  un  lamento,  si 
levava  una  gran  seccaggine  a'  borghesi  :  a'  quali  in  breve  se  ne 
leverà  altra,  che  non  vuo'dire.  Veramente,  benché  quello  istituto 
fosse  il  palladio  d'una  inutile  libertà,  dir  non  si  può,  che  fosse 
anche  della  libertà  un  palladio  inutile.  Implicando  la  ricognizione 
del  popolo,  armato  custode  delle  proprie  franchigie,  e  del  diritto 
eventuale  alla  resistenza  contro  l' oppressione,  era  non  solamente 
fastidioso  ;  bensì  da'  padroni  e  da'  servi  alla  pari  temuto. 


CLX.  Difetti  deUe  leggi  oiviU. 

Discostandoci  ora  un  po'  dal  campo  politico ,  basta  im  fug- 
gevole sguardo  alla  legislazione  borghese ,  per  vedervi  si  nel  di- 


-236- 

ritto  civile  e  s)  nel  penale  il  vizio  radicale  dell'  ingiustizia.  Av- 
vegnaché la  borghesia,  s'anco  volesse  ^sser  giusta,  non  avendo 
in  pregio  altri  interessi,  che  gli  economici,  naturalmente  sotto- 
pone a'  medesimi  tutti  gli  altri.  I  favori  quindi,  ch'ella  concede 
alle  ricchezze  non  doveano  limitarsi  agli  onori  spontanei,  agli  o- 
maggi  moraU  e  alle  prerogative  politiche  ;  ma  altresì  trasfondersi 
nel  suo  privato  diritto.  Il  quale  si  può  riassumere  nella  tutela 
fiera  e  gelosa  della  proprietà  j  dimenticando  o  conculcando  tutti 
gli  altri  sociali  e  umani  beni.  Di  che  appunto  nessuno  s'accorge, 
perchè  più  nessuno  sa  concepire,  vi  sieno  beni,  che  non  sieno 
materiali ,  da  tutelare.  L' istituto  della  famiglia  e  quello  della  re- 
ligione (per  esempio)  sono  altrettanto  essenziali  alle  umane  con- 
sociazioni, quanto  la  proprietà.  Pure  a  nessuno  calse,  che  Tuno 
in  men  d' un  secolo  si  logorasse ,  e  T  altro  in  men  di  quattro  lustri 
si  combattesse  come  un  nemico  vile.  E,  fuori  e  al  di  sopra  deUa 
società ,  sonovi  altri  diritti  assai  più  sacri ,  come  (  per  esempio } 
la  libertà  ;  di  cui  nessuno  ha  pur  sospettato ,  potesse  fornire  ar- 
gomento a  leggi  ampie  dichiarative.  Nella  congerie  di  responsi, 
di  editti  e  di  costituzioni,  che  prende  il  nome  di  Carpo  dd 
diritto  romano ,  benché  raccozzata  in  momenti  dì  decadenza  e  di 
servitù  ;  nel  diritto  canonico ,  nello  statutario  e  nel  consuetudina- 
rio, non  erano  del  tutto  negletti  quest'altri  interessi,  beni  e  isti- 
tuti ,  cui  io  accenno.  Però ,  quando  la  borghesia  francese  raceotoe 
0  intese  raccogliere  nel  suo  codice  civile,  che  servi  poi  di  mo- 
dello al  nostro  e  a  parecchi  altri ,  lo  sparso  diritto  privato  ;  traone 
che  alquanto  della  famiglia ,  si  può  dire  non  si  curò  d*  altro ,  cbe 
della  proprietà.  Appunto  perché,  secondo  la  borghese  giurìspni- 
denza ,  eh'  é  poco  più  d' una  giurisprudenza  economica ,  il  diritto 
privato  é  poco  più  del  diritto  di  proprietà.  E  cosi  de'  2147  artiooG, 
in  cui  é  diviso  il  nostro  Codice  civile j  appena  405  promettOM 
trattare  de'  diritti  delle  persone.  Ma ,  eccetto  che  della  coodizioie 
di  esse,  sopra  tutto  pe'  rapporti  di  parentela  e  sopra  tutto  per 
ragioni  di  materiale  interesse ,  d' altri  rapporti  e  ragioni  nm  m 
curano.  I  1742  rimanenti  in  vece  non  versano  direttamente  o  in- 
direttamente, che  sulla  proprietà  :  e  di  quante  cautele  la  tingono, 
e  con  quanto  zelo  !  Lo  stato ,  che ,  secondo  le  massime  borghesi 
non  dee  proteggere  gì'  incauti  ;  protegge  ben  qui ,  poiché  si  trat- 
ta di  ragioni  patrimoniali,  i  minori,  i  pazzi  e  i  prodighi  secondo 
l'antica  giustizia  (articoli  240-349).  Né  solamente  costoro:  s) 
bene  col  pegno  privilegiato  e  colla  ipoteca  legale  fino  i  credilori 


-  237  - 

non  pupilli,  non  interdetti  e  non  inabilitati,  che  non  pensassero 
a  cantarsi  da  sé  medesimi  (1952-1969).  E,  poiché  stavagli  tanto 
a  cuore  lo  istituto  economico,  guardate  mo,  se  ha  protetto  in 
simile  maniera  i  lavoratori  :  o  se  neppur  vennegli  in  mente ,  vi 
potesse  essere  un  diritto  del  lavoro,  come  vi  é  un  diritto  del  ca- 
pitale I  Si  avrebbe  sperato ,  che  qualche  cosa  ne  dicesse  a  pro- 
posito del  contratto  di  locazione  d' opere  :  non  dubitate ,  se  la 
spicciò  assai  corta,  e  anzi  non  se  ne  curò  punto,  tutelando  an- 
che quivi  piuttosto  le  cose,  che  le  opere  (1627-1646).  Hanno 
inoltre  i  mercadanti  un  codice  proprio ,  ed  altro  i  naviganti  :  quanto 
agli  operai,  la  borghesia  tolse  loro  sin  quello,  che  aveano  ne- 
gli antichi  statuti  delle  corporazioni  d' arte.  Ond'  ella ,  non  sola- 
mente pose  la  proprietà  al  vertice  dello  stato  e  del  diritto,  e  le 
sacrificò  ogni  altro  tesoro  :  ma  nel  campo  stesso  di  essa  i  ricchi 
assicura,  e  i  poveri  abbandona. 


GLXI.  Difetti  deUe  leffffi  penalL 

A  questo  punto  mi  si  può  obbiettare:  che  de'  diritti  trasan- 
dati dalle  leggi  dichiarative  o  civili,  si  occupano  le  leggi  Inter-  * 
dittive  0  penali.  Le  quali,  dettando  sanzioni  contro  le  offese  alla 
vita,  alla  salute,  al  pudore,  alla  libertà,  all'onore  eccetera,  ben- 
ché a  un  modo  obliquo  e  negativo,  ugualmente  gli  affermano. 
Mancherebbe  altro,  che  i  borghesi,  oltre  le  borse  e  se  non  altro 
per  le  borse,  non  avessero  comecchessia  difeso  anche  i  portatori 
delle  medesime  !  Dico  per  altro ,  che  anche  nel  Codice  penale ,  e 
precisamente  anche  nel  nostro  (dove  la  borghesia  mantiene  an- 
cora restremo  supplicio,  in  onta  al  raccapriccio  universale),  il 
medesimo  sprezzo  si  scorge  pe'  diritti  diversi  dalla  proprietà ,  dianzi 
notato  ;  la  medesima  deferenza  a'  ricchi  e  la  medesima  derelizione 
de'  poveri.  Date  un'  occhiata  anche  a  questo ,  lettori  miei ,  col  lu- 
me della  ragione  ;  cioè  liberandovi  da  que'  pregiudizi ,  pe'  quali 
sembra  sacro  tutto  ciò,  ch'é  vieto  o  dall'uso  consentito.  E  trove- 
rete gì'  identici  delitti  scontarsi  dal  ricco  con  una  breve  villeggia- 
tura 0  con  un  tenue  esborso,  e  dal  povero  indeclinablimente  colla 
perdita  della  libertà  (  articoli  29 ,  30  e  67  ).  Troverete ,  che  il  de- 
linquere contro  la  integrità  e  la  libertà  de'  popoli  e  degli  stati 
stranieri  non  é  punito  :  bensì  e  fortemente  il  delinquere  contro 
le  loro  monete  e  cedole  di  banco  (  153-178, 316-331  )•  I  concerti 


-  238  — 

de'  principali  per  angariare  gii  operai  debbono,  per  esser  puniti, 
imporiare  uà  costringimento  ingiusto  ed  abusivo  ed  anche  un  prio- 
cipio  d' esecuzione  :  quelli  degli  angariati  basta ,  che  mirino  a  pre- 
mere «  senza  ragionevole  causa  »  (  385  e  386  ).  Gli  oziosi ,  i  va- 
gabondi e  i  mendicanti ,  pognamo  j  che  non  potessero  trovar  la- 
voro, né  starsi  fermi,  né  senza  questua  campare,  conunettono 
senz'altro  un  delitto  (435-452).  Il  duello  in  vece,  ch'é  il  diritto 
di  prepotenza  e  di  soperchierìa ,  e  di  vita  e  di  morte  nel  ceto  pri- 
vilegiato, ha  una  pena,  eh'  é  a  dirittura  una  celia,  e  che  del  re- 
sto non  viene  quasi  mai  applicala  (590).  Che,  se  per  la  borghe- 
sia la  carità  è  uno  scialaquo  e  la  povertà  un  abominio,  facile  è 
immaginare ,  qual  debba  esser  la  sorte  del  ladro.  Potrei  co'  suoi 
giudicati  dimostrare ,  eh'  essa  lo  reputa  assai  peggiore  d' un  as- 
sassino e  d'un  parricida:  ma  dalle  sue  stesse  sanzioni  appare, 
eh'  essa  sente  assai  più  tema  de'  ladri ,  che  ribrezzo  de'  più  per- 
versi malfattori.  Il  furto,  con  certe  circostanze  arrote,  dev'espiarsi 
con  vent'anni  di  galera:  per  la  truffa  bastano  al  più  cinque  anni 
di  carcere,  uno  per  la  violazione  di  domicilio,  mezzo  per  l'ol- 
traggio al  pudore  (  205 ,  420 ,  605-634  ).  Capisco ,  che  i  truffatori 
meritavano  tutt'  i  possibili  riguardi,  specialmente  quando  diventano 
milionari.  Non  pertanto  la  pace  domestica  e  la  verecondia ,  benché 
le  fossero  cose  da  disperati  anche  queste ,  parrebbe  y  che  dovessero 
valere  un  po'  più  di  cinquecento  lire.  E  com'è  dunque  avvenuto, 
che  il  ladruncolo  debba  scontare  una  colpa,  che  suppone  una  gran- 
de degradazione ,  ma  non  la  malvagità  dell'  animo ,  molto  più  du- 
ramente del  vile ,  che  le  più  sante  gioje  umane  viUpende  ? 


CLXU.  Ginstisia  nel  regno  d' Italia. 

Ciò  certamente  non  fa  onore  al  senso  morale  de!  celo  so- 
verchiatore :  d' altra  parte  questo  adora  Pluto ,  e  le  cose  mobili 
(strumenti  del  suo  regno  e  obietti  del  furto)  doveansi  ad  ogni  co- 
sto difendere.  I  romani,  maestri  in  diritto,  e  della  stessa  proprietà 
etemi  e  inesorati  legislatori,  non  osarono  il  furto  consideràre  per- 
fetto delitto;  dettandogli  contro,  più  multa,  che  pena,  la  sanzione 
del  duplo  0  del  quadruplo.  Ma  la  borghese  giurisprudenza,  non 
ismarrendosi  di  coraggio  per  cosi  poco,  ha  da'  barbari  dottori  e- 
sumato  e  disviluppato  una  famosa  serie  di  casi,  cui  ella  nd  suo 
gergo  dimanda  «  qualifiche  »,  e  con  cui  manda  appunto  il  re- 


-  239  - 

mo ,  in  causa  d' una  scala  o  d' un  grimaldello ,  anche  i  notturni 
desolatori  d' un  pollajo.  £ ,  che  vale ,  dopo  ciò ,  la  proclamata  ugua- 
^anza  di  tutti  innanzi  alle  leggi,  se  queste  medesime  leggi  non 
sono  uguali  per  tutti  ?  Venendo  alla  pratica  attuazione  delle  qua- 
li ,  io  godo  ora  di  constatare,  per  quanto  riguarda  il  diritto  civile, 
che  non  vi  sono  gravi  sconci  da  lamentare.  Nelle  umili  contese 
del  mio  e  del  tuo  è  assai  difficile  concepire ,  che  in  un  modo  ge- 
nerale e  deliberato  si  possa  pronunciare  pel  torto.  Vi  sono  involti 
interessi  puramente  privati ,  conviene  tra  V  una  e  Y  altra  parte  de- 
cidersi, Tommissione  è  appena  concepibile:  e  sarebbe  uno  spet- 
tacolo troppo  ributtante,  che  si  favorissero  i  potenti  e  si  oppres- 
sassero  i  deboli.  La  plutocrazia  non  è  quindi  giunta  ad  imporre 
a'  magistrati  di  sentenziare  secondo  i  suoi  interessi  ;  né  vi  giun- 
gerà,-io  spero,  mai:  tanto  più  che  la  miseria  ha  poche  ragioni 
da  far  valere  presso  i  tribunali.  Un  solo  sconcio  non  grave  debbo 
per  altro  notare ,  perchè  agH  occhi  di  tutti  risalta  :  che  la  sua  giti- 
stizia  civile  è  molto  cara  e  molesta.  Oltre  le  formalità  da  osserva- 
re e  le  lungaggini  da  superare ,  sopraggiungono  tali  tasse  da  pagare 
e  arringhe  da  rimeritare ,  che  i  poveri  litiganti  non  possono  co'  ric- 
chi competere,  o  n'escono  spesso  rovinati.  I  lombardi  e  i  veneti 
(per  esempio)  erano  poc'anzi  avvezzi  a  una  certa  giustizia,  che 
aborriva  le  Pandette ,  più  che  il  diavolo  Y  acqua  santa.  La  quale 
tuttavia,  supplendo  col  buon  senso  all'eloquenza  e  alla  dottrina, 
arava  diritto  alla  carlona.  Ora  naturalmente  di  dottrina  e  d' elo- 
quenza occorre  tale  sfoggio,  che  tra  esse  e  le  spese,  che  accagio- 
nano ,  molti  sonosi  accorti  e  vie  più  accorgerannosi ,  esser  meglio 
alla  prima  accomodare  e  risolvere  le  hti  tra  loro  ;  se  non  cedere 
tal  volta  e  darsi  vinti ,  pur  di  cansai*e  codesti  trionfi  di  Pirro.  Il 
qual  modo  del  resto  di  amministrar  ìac  giustizia,  costringendo  i 
cittadini  a  star  lungi  dal  foro,  è  troppo  originale,  spiccio  e  par- 
simonioso ,  perch'  io  me  ne  possa  dolere. 


CLXIll.  Giustùda  ponitÌTa  male  amministrata. 

Se  non  che,  passando  alla  giustizia  penale  j  questa  zoppica 
talmente,  che  bisogna  proprio  averla  confusa  con  la  polizia,  per 
non  accorgersene.  Se  per  ventura  il  delitto  non  avesse  nella  na- 
tura, nella  educazione,  nella  religione ,  nella  coscienza,  nella  be- 
nevolenza e  nella  vergogna  sanzioni  assai  più  potenti,  che  nelfe 


-  240  - 

leggi  ;  vedrebbesi ,  che  lanpida  forza  avrebbero  per  impedire  qui 
il  soverchiare  de'  tristi  su'  buoni.  Pur,  siccome  alla  fin  fine  la 
società  umana  in  una  o  in  altra  maniera  sta,  e  i  tribunali  sono 
aflaccendati  e  le  prigioni  zeppe  ;  pare  anche  qui ,  che  una  giusti- 
zia penale  ci  sia.  Non  dico,  che  T  innocente  sia  pensatamente  op- 
presso: sarebbe  anche  questo  uno  spettacolo  troppo  ributtante, 
per  potersi  comecchessia  tollerare.  (Corrono  però  gì'  innocenti  poveri 
ugual  rischio  de'  ricchi  ?  sono  i  giudicabili  ugualmente  sicuri  per 
quelle  imputazioni ,  che  da  vicino  l' odio  o  il  favore  dellt  classe 
dominante  o  della  fazione  prevalente  eccitano?  sono  tutti  i  delitti 
veramente  e  inevitabilmente  perseguiti  ?  e  quelli  contro  la  proprietà 
alla  pari  repressi  degli  altri ,  che  offendono  le  persone  o  lo  stato 
medesimo?  Io  preferisco  interrogare,  piuttosto  che  rispondere: 
perchè ,  se  ci  è  dato  numerare  tutt'  i  delinquenti  processati  e  con* 
dannati,  non  ]X)ssiamo  con  altrettanta  esattezza  conoscere  qadBy 
che  noi  furono,  o  lo  furono  con  dispari  misura.  Certi  famosissimi 
processi ,  le  cui  cause  e  i  cui  nomi  risuonano  nelle  bocche  di  tat- 
ti ,  ebbero  sotto  una  tale  amministrazione  pubblica  un  esito  pra* 
cisamcnte  diverso  da  quello,  che  awebbero  sotto  una  tale  altra 
avuto.  La  impunità  assoluta ,  che  godettero  i  duelli  per  un  lasso 
ragguardevole  di  tempo;  e  quella  relativa,  che  godono  i  delitti  di 
stampa  ed  altrettali,  cui  si  dimandan  politici...,  questi  sono  Hali- 
ti, cui  ninno  può  negare.  Che  il  ladro  in  vece  non  incontri  mai 
pietà:  e  che,  sommando  le  pene  decretate  ed  eseguite,  veggasi 
più  gravemente  castigato  chi  toglie  le  robe  di  chi  sparge  il  san- 
gue; 0  che  assai  rade  volte  costui  co'  sotterfugi  dell*  impeto , 
dello  silegno,  del  dolore  e  fìn  delle  passioni  più  strane  e  inre- 
rosimili  non  si  sottragga  alla  sanzione  propria  del  suo  misfiitto..., 
è  pure  un  fatto,  cui  ninno  può  negare.  Ijì  straordinaria  indul- 
genza anzi  de'  giurati,  non  solamente  pe'  barattieri  e  pe*  blsari, 
ma  pe'  parricidi  e  pegli  assassini  (che  spesso  solvono  con  pochi 
anni  di  pri^^ìonia  gli  orridi  misfatti,  se  pure  col  sotterfugio  delb 
coazion  morale  irresistibile  non  Lsfuggano  ogni  pena),  è  lamen- 
tata dagli  stessi  magistrati  della  pubblica  accusa.  Alle  cui  ora- 
zioni inaugurali  delle  giuridiche  si'ssìoni  io  rimando  coloro,  che 
ne  dubitassero.  Ronchè  questi  fatti  deplorandi  e  deplorati  ince- 
rino un  serio  timore,  cui  lìn  la  coscienza  ])opolare,  cotanto  ora 
coartata  e  contraffatta ,  sembra  dividere  ;  noi  doblriamo  in  quella 
c(  presunzione  di  verità  della  cosa  giudicata  »  quietare,  ch*è  co- 
tanto necessaria  al  buon  vivere  civile.   Senza  dunque  pom  in 


-  241  — 

forse  la  giustizia  effettiva  delle  sentenze,  basti  proceder  ora  alla 
dimostrazione ,  che  la  giustizia  non  è  colle  istituzioni  nostre 
possibile. 


CLXIV.  Stato  deploreTole  della  pubblica  tioiireBa. 

I  mali  y  che  si  commettono  nelle  forme  giurìdiche ,  per  quanto 
sieno  da  esecrare ,  non  sono  cosi  temibili ,  come  quelli ,  che  fuori 
delle  medesime  avvengono.  Ma  pur  troppo  V  odioso  spettacolo  de' 
malfattori  minacciosi  e  quasi  invitti ,  e  il  difetto  di  quella  serenità 
di  Diente  e  di  quella  fermezza  di  cuore,  che  occorrono  per  affron- 
tarlo efficacemente,  fecero  si,  che  in  Italia  fin  nella  stessa  forza 
calma  e  solenne  della  giustizia  si  perdesse  fede.  Non  darò  colpa 
a'  nostri  reggitori  (  veggano ,  s' io  son  giusto  )  del  brigantaggio  e 
del  malandrinaggio  y  della  camorra  e  della  maffia ,  cui  dovea- 
no  per  altro  in  ben  diversa  guisa,  che  colle  repressioni  schian- 
tare. Non  darò  colpa  a  loro  di  tali  piaghe,  di  cui  fino  i  nomi 
SODO  abominevoli,  che  funestarono  e  funestano  alcune  parti  del 
regno;  e  tra  le  quali  eglino  per  altro  si  smarrirono  e  si  smarri- 
scono. L' imperversare  delle  medesime  anzi  è  scemato ,  e  di  que- 
sto do  loro  lode  :  non  del  modo  tenuto  per  infrenarle ,  il  quale 
io  in  altro  luogo  riprovai,  e  qui  nuovamente  riprovo.  Con  una 
lunga,  ignobile  e  atroce  guerra  (che  in  sostanza  fu  una  guerra 
servile  )  aver  dovuto  por  tregua  alle  scorribande  de'  masnadieri 
nel  continente  :  dovere  poi  con  provvedimenti  quasi  statari  e  ar- 
bitrari avvolgere  tutta  una  gloriosa  isola  nel  sospetto  e  nell'onta 
de'  suoi  propri  aguzzini  ;  e  non  vedervi  là  altro ,  che  un  covo  di 
banditi  palesi  e  di  segreti  complici ,  non  preoccupandosi  d' altro . . . , 
tutto  ciò  spiegasi  in  chi  non  sa  compenetrarsi  delle  condizioni 
morali,  sociali  e  politiche  di  un  popolo.  Né  vuol  suscitarne  quelle 
intime  virtù ,  di  cui  solamente  i  codardi  dovrebbon  paventare  ;  né 
concedergli  quella  fede,  fuor  della  quale  il  supcriore  si  cangia  im- 
mancabilmente in  satrapo,  e  l'inferiore  in  ribello.  Tuttavia  supposto, 
che  la  necessità  dolorosa  del  colpire  il  male  si  dovesse  a  quella 
piacevole  dell* ovviarne  le  cause  preferire;  dico,  che,  anche  nel 
colpire ,  si  è  dell'  azione  regolare  della  giustizia  diffidato.  Dappoi- 
ché, per  non  dire,  che  al  postutto  colà  assai  più  si  contò  sulla 
sciabola ,  che  su'  santi  riti  della  pace ,  come  fossimo  tra'  nemici  e 
non  tra*  concittadini  ;  é  giocoforza  confessare ,  che  in  tutta  la  peni- 
le 


—  242  — 

sola  sembra,  la  magistralura  non  possa  andare  innaiuù,  se  dod  la 
è  dal  bargello  preceduta. 

CLXV.  Basd  spedienti  di  polita. 

Non  sono  si  alieno  da  questi  studi,  né  teorico  si  ingenuo, 
da  ignorare,  che  nelle  presenti  società  civili  la  persecuzione  de' 
reati  non  approda,  senza  lo  inapulso  degli  ufficiali  di  buon  governo. 
E  di  più  godo  constatare ,  che  questo  pubblico  servigio  ministrasi 
in  alcune  regioni  d' Italia  ora  con  uno  zelo  e  spesso  anche  con 
un  successo  decuplo  del  passato.  D' altra  parte ,  oltre  essere  il  suo 
fiorire  un  sintomo  da  basso  impero  (come  quello  che  risponde  allo 
illanguidire  dello  spirito  civico)  ed  oltre  avventurare  la  libertà 
pubblica  e  privata  a'  maggiori  cimenti  :  certo  non  si  può  appro- 
vare in  veruna  guisa ,  che  Y  azione  della  polizia  surroghi  queOa 
della  giustizia.  Non  dico  adunque,  che  quella  occupi  il  luogo  di 
questa  ne'  tribunah  ;  che,  per  grazia  de'  numi,  non  siamo  a  tanto 
giunti.  Bensì ,  che  quella ,  troppo  temerariamente  nella  inquisizione 
giudiziale  inframmettendosi ,  questa  quasi  d' un  soffio  impuro  rattri- 
sta. Che  la  venale  delazione  debba  in  tempo  di  servitù  alla  libera 
accusa  supplire;  e  che  per  tale  intento  debba  l'autorità  pubUica 
valersi  di  luridi  ed  esecrati  ministri,  è  sin  troppo  vero.  Ma  scen- 
dere in  luoghi  infami  e  infetti  a  favori  e  a  patti  ;  porre  finti  o 
compiacenti  rei  nelle  celle  stesse  de'  distenuti  per  istrappanie  i 
sospiri  e  i  gemiti  ;  promettere  impunità  o  concedere  clemenza  ai 
dehnquenti,  che  rivelano  i  soci;  bandire  premi  per  la  cattura  de' 
contumaci ,  vivi  o  morti . . . ,  sono  orrori ,  cui  la  dignità  pubbUea 
non  comporta.  Indubbiamente  alcune  italiane  regioni ,  pur  da  dora 
servitù  oppresse  in  passato,  gli  appresero  per  la  prima  vetta  ora: 
né  basta  a  scusargli  la  pubblica  impotenza,  la  quale  ad  ogni 
modo  cosi  si  manifesta  e  tradisce.  Perché,  sebbene  la  sooverta  e 
il  castigo  de' col|)evoli  sieuo  indispensabili;  sovrastano  altri  mag- 
giori interessi  nell'umano  convivio,  e  massime  quelli  ddl* uma- 
nità, che  sta  sovra  alla  stessa  giustizia.  E  le  taglie,  pognamo, 
che  facciano  la  giustizia  approdare ,  X  umanità  fanno  appunto  nau- 
fragare; eccitando  i  più  vili  e  crudeli  sentimenti,  e  abituando 
gU  uomini  a  considerarsi  vicendevolmente  fiere.  La  pubblica  im- 
potenza si  é  inoltre  con  quelle  orride  ammonieicni  manitìrfrtati 
e  tradita  ;  le  quali  sono  in  sostanza  un  provvedimento  pi^^^^rt1^  di 


-  243  - 

polizia ,  che  di  giustizia  ;  e  reso  stabile  e  organico  per  difetto  di  giu- 
stizia. Chi  noD  le  conoscesse  a  pieno ,  e  voglia  anche  prescindere 
dagli  abusi,  che  se  ne  possono  fare  ;  guardi  la  Legge  de  28  ago- 
sto 1870 ,  promulgata  per  aggiungere  nuovi  misteriosi  terrori  ai 
malvagi  e  nuove  misteriose  minacele  agi'  innocenti.  In  seguito  alla 
quale  i  miserabili ,  senza  legittima  difesa  e  solenni  riti ,  anzi  senza 
colpa  constatata  o  per  colpa  già  espiata,  possono  essere  e  sono 
vigilati  e  vessati,  staggiti  e  confinati.  In  somma  della  propria  li- 
bertà e  del  proprio  onore  spogliati ,  e  posti  a  dirittura  fuori  leg- 
ge ,  come  miserabili ,  eh'  ei  sono ,  per  un  semplice  sospetto  d' i- 
gnota  0  di  futura  colpa  (articoli  70,  71,  76,  105  e  106).  Ah, 
chi  avrebbe  detto,  dopo  tante  giuste  onte  alle  polizie  borbonica, 
pontificia  ed  estense  inflitte,  e  dopo  tante  frasi,  lustre  e  farse 
liberalesche,  che  si  avesse  nella  seconda  metà  del  secolo  decimo- 
nono, dovuto  assoggettare  la  nazione  italiana  a  tanto  obbrobrio? 
E  {Mj  ch'ella  dovesse  si  al  basso  scendere,  che,  a  voler  essere 
sinceri ,  la  ti*anquillìtà  di  molte  sue  Provincie  è  piuttosto  a  questi 
ordini  di  polizia  raccomandata,  che  agli  ordini  di  giustizia? 


CLXVI.  Smarrimento  del  senao  ginrìdioo. 

Se  non  che  la  povera  giustizia  non  solamente  è  costretta  nel 
dubbio  e  a  caso  aggirarsi,  poiché  sentesi  inetta  ad  agire  con  cer- 
tezza e  con  senno  :  ma  fino  il  senso  di  essa ,  in  questa  classica 
culla  del  diritto,  si  va  perdendo.  Noterò  appresso,  come  prin- 
cipii  inconfutabili  e  indiscutibili  del  diritto  fossero  dalle  nostre 
leggi  finanziarie  offesi.  Non  dipartendomi  dalle  istituzioni  penali, 
quando  (  per  esempio  )  non  veggo  alcuno  accorgersi ,  che  quella 
mallevadoria  de'  prestanomi  ne'  giornali ,  statuita  dalla  Legge  de* 
26  marzo  1848  (37-49),  è  precisamente  un  assurdo;  ho  ragione 
di  dire,  che  fino  il  concetto  del  magistero  punitivo  è  perduto.  Che 
alla  tirannide  borghese  occorra  artificiare  e  giuntare  l'opinione  pub- 
blica ,  e  che  a  ciò  le  giovi  una  stampa  anonima  e  immune ,  di  cui 
veruno  possa  smascherarne  l'ignoranza  e  flagellarne  la  viltà,  siamo 
d'accordo.  Ma,  che  si  voglia  ad  altri  addossare  il  fio  del  delit- 
to ,  tranne  all'  autore  del  medesimo  :  e  che  si  debba  di  continuo 
assistere  alle  ridicole ,  se  non  fossero  vituperose ,  processure  con- 
tro prezzolati  non  rei,  per  cantare  l'audacia  e  la  jattanza  de'  rei 
prezzolatori ,  è  troppo.  Dite  alla  prima,  che  non  vi  è  pena  pegli 


-  244  - 

scrittori  ribaldi  :  dappoiché,  vi  assicuro  io,  quella,  che  infliggete 
agli  assuntori  inconsapevoli  del  loro  carico,  è  inutile.  E,  poiché 
questo  ho  io  sostenuto  in  uno  de'  miei  Trattati  criminali  j  con- 
tro i  precetti  ed  esempi  anglici  e  gallici,  a  cui  erano  i  nostri 
prima  della  vittoria  di  Sadowa  riverenti  ;  passo  a  considerare,  che 
la  giustizia  non  é  possìbile  nemmanco  per  la  forma  delle  nostre 
giudiziali  istituzioni.  Imperocché  due  sole  forme  rette  sono  in 
tal  proposito  concepibili:  o  che  i  giudizi  presso  il  popolo  stiano, 
siccome  nelle  antiche  repubbliche;  o  che,  siccome  i  tempi  can- 
giati richiedono,  a  un  ordine  giudiziario  si  deleghino.  Il  quale  non 
solamente  sia  dal  deliberativo  e  dall' esecutivo  distinto,  ma  da' 
medesimi  franco  e  sciolto.  Confermano  ciò  anche  i  nostri ,  prote- 
stando una  di  quelle  loro  famose  teoriche,  cui  chiamano  costitu- 
zionali :  però  anche  qui ,  quando  ci  sian  le  parole ,  che  importa  a 
loro  de'  fatti  ?  Avendo  a'  giudici  assicurato  o  promesso  la  stabi- 
lità 0,  come  la  dicon  essi,  inamovibilità j  par  loro  di  avere  com- 
piuto ad  esuberanza  il  lor  debito.  È  vero,  che  soggiungono,  essere 
codesta  inamovibilità  non  di  luogo,  ma  di  grado;  che  non  la  con- 
cedono a  tutf  i  giudici,  e  che,  trasferendogli,  redarguendogli  o 
preterendogli ,  hanno  egualmente  modo  di  colpirgli,  e  per  fino,  se 
i  colpiti  hanno  cara  la  propria  dignità ,  di  costringergli  a  congedar- 
si :  però  che  importa  a  loro  anche  di  questo  ?  Quantunque  di  pres- 
sioni esercitate  su'  magistrati  siasi  troppe  volte  buccinato ,  e  alcune 
per  iìn  veduto,  dopo  certi  giudizi,  gli  uni  onorarsi,  insignirsi  o 
promuoversi,  e  gli  altri  appunto  preterirsi,  redarguirsi  o  trasfe- 
rirsi ;  io  vuo'  supporre ,  che  tutto  ciò  non  sia  vero ,  o  sia  stato 
puramente  accidentale.  Del  resto,  prescindendone,  com'  è  possibile 
una  magistratura  senz'  apprensioni  o  senza  lusinghe,  e  realmente 
libera  e  incolume,  se  nelle  istituzioni  stesse  vi  é  di  tutto  ciò  il 
sospetto,  il  pericolo,  la  minaccia? 


CLXVII.  Kagistratnnt  gindisiAle. 

Ned  io  parlerò  della  insopportabile  condizione ,  a  coi  le  per- 
sone depositarie  delle  giurisdizioni  sono  sottoposte  ;  sendo  qoelb 
medesima  degli  altri  ufllciali  pubblici,  cui  sovra  ho  svelata.  Ma 
qui  il  danno  torna  assai  più  grave:  perché,  posto  pure,  che  gii 
altri  uflìci  dello  stato  (quelli  compresi  dell' istruzione  nazioiiale) 
si  possano  adempiere  da  una  catena  d' infelici ,  tenuti  odia  mi- 


—  245  - 

seria,  neir incertezza  e  nell'abiezione;  com'è  possibile,  che  gli 
ufiici  di  giustizia  in  simil  guisa  comecchessia  si  adempiano?  Se 
un  giovinetto ,  appena  uscito  di  scuola ,  può  già ,  avvocando  nelle 
curie,  trarre  lucri  e  plausi  maggiori  non  solamente  d'  un  giudice 
d'infimo  grado,  ma  d'un  giudice  delle  appellagioni ;  com'è  pos- 
sibile ,  che  chi  ha  ingegno  preferisca  all'  awocheria  un  ufficio 
giurisdizionale ,  nel  quale,  incanutendo,  dee  vivere  di  stento  e  d'ob- 
blio?  E  questi  giudici  d'infimo  grado,  cui  la  borghesia  chia- 
ma ,  forse  per  ischerno ,  col  romano  e  glorioso  nome  di  pre- 
tori (  mentre  serba  nomi  palatini  e  barbarici  a'  superiori  magi- 
strati); questi  giudici  solitari  e  poveri,  e  in  uno  gravati  d'immenso 
carico,  e  per  fin  compromessi  nella  vita  per  quella  facoltà  d'am- 
monire poc'  anzi  accennata  ;  con  qual  calma  e  con  qual  dignità 
possono  essere  della  legge  ministri  e  sacerdoti  ?  Già  si  comincia 
a  non  trovar  più  persone,  che  vogliano  cotale  ministero  e  sacer- 
dozio assumere.  E  verrà  tempo ,  che  gli  uomini  capaci ,  come  gli 
altri  rami  di  pubblica  amministrazione,  questo  fuggiranno;  sen- 
done  ben  pentiti  coloro ,  che  nell'  alba  del  nostro  risorgimento  la- 
sciaix)nsi  da  menzognere  promesse  adescare.  Se  io  rammentassi, 
che  le  loro  paghe  sono  di  molto  inferiori  a  quelle  de'  mazzieri  e 
de'  tavolaccini  delle  corti  britanniche ,  so ,  che  non  varrebbe.  Impe- 
rocché è  noto,  come  alcuno  di  quegU  alti  magistrati  riceva  uno 
stipendio,  che  merita  piuttosto  esser  detto  appannaggio  regale;  e 
che  supera  tutti  gli  stipendi  de'  supremi  dignitari  del  nostro  stato , 
sommati  assieme.  Nondimeno  in  questa  medesima  Itaha ,  i  giudici 
delle  prime  istanze  lombardi  e  veneti  erano  testé  più  largamente 
retribuiti,  che  ora  quelli  delle  superiori.  Oltre  che  erano  nelle 
cause  politiche  rispettati  ;  non  aveano ,  che  una  gerarcliica  dipen- 
denza tra  loro ,  e  fino  avanzavan  ne'  gradi  per  concorsi  e  per 
proposte  di  lor  medesimi.  Solo  di  questa  guisa,  tracciata  o  al- 
meno sbozzata  da  un  reggimento  despolico,  qual  era  l'austria- 
co ,  ma  disviluppata  e  perfezionata  in  libero  reggimento  ;  solo  e- 
saltando  il  corpo  de'  giudici  a  podestà  cardinale  e  fondamentale 
dello  stato,  terzo  tra  gli  altri  ordini,  e  insiememente  con  essi 
sovrano ,  si  può  veramente  concepire  un  ordine  giudiziario.  Per 
contrario  basta  a'  dottrinari  borghesi  la  formula  feudale ,  che  «  la 
giustizia  emana  dal  re  »,  quasi  si  avesse  potuto  dubitare,  che  spet- 
tasse ancora  a'  baroni  il  mero  e  misto  impero.*  Del  rimanente, 
se  il  re  non  ci  entra  punto,  se  i  suoi  ministri  designano  essi 
stessi  e  cassano  i  giudici ,  e  gì'  invigilano  e  sindacano  per  mezzo 


-  246- 

de' propri  procuratori,  anzi  gli  sottopongono  a' procuratori  mede- 
simi; questa  è  cosa,  che  non  gli  riguarda. 


CLXVllI.  ATToeheria  flacale. 

So,  che  alcuno  qui  nii  vorrebbe  contraddire  :  ma  pognamo  pure, 
che  io  non  abbia  ragione^  E  che  quindi  la  magistratura  giudicante 
non  sia  oppressala,  né  con  premi  o  castighi  tentata,  uè  dall'  istitolo 
emulo  e  parallelo  della  magistratura  requirente  quasi  scalzala; 
siccome  quello,  che  gareggia  seco  lei  negli  emoltmienti  e  nel 
lustro,  e  su  lei  informa,  e  lei  stimola,  e  comunica  direttamente 
con  chi  la  può  premiare  e  castigare.  Come  non  vedere  tuttavia 
in  codesto  istituto,  o  cioè  nel  così  detto  pubblico  ministero^  oo 
rivale  e  un  sopraflatiore  di  ({uella?  Fin  qui  erasi  in  Italia  cre- 
duto, che  la  rappresentanza  della  legge  e  la  tutela  del  diritto 
incombessero  proprio  agli  stessi  giudici:  perchè,  se  non  ne  sono 
essi  i  custodi  e  i  vindici,  oh  chi  mai  altro  lo  sarà?  Si  può  non- 
dimeno concepire,  che,  diffidando  d'essi  stessi,  pcmgasi  tra  gli 
ordini  supremi  dello  stato,  come  a  Spaila,  Roma  e  Venezia,  una 
podestà  d' efori ,  tribuni  e  avTOgadori ,  arbitra  e  frenatrice  di  tutti. 
In  tal  caso  però  la  dovrebb'  essere  autonoma  affatto  ed  anzi  ba- 
liosa ;  e  rivestire  in  somma  V  eccelso  e  augusto  carattere  tribu- 
nizio. Ma ,  che  non  si  voglia  a'  giudici  affidare  lo  scudo  della 
legge  e  il  vessillo  del  diritto,  per  affidarnegii  a  coloro,  che  deb- 
bono essere  in  vece  persecutori  de'  rei,  e  che  insieme  dalla  po- 
destà esecutiva  dipendono,  è  il  colmo  della  confusione.  Ciò  non 
ostante,  pur  di  calpestare  i  domestici  e  classici  ricordi,  nel  br- 
netico  d'  una  senile  imitazione  si  trapiantarono  qui  qa/e^' procmra- 
(ari  regi;  in  origine  avvocati  deUe  corone  di  Francia  e  d*  Inghil- 
terra, che  patrocinavano  tra  le  cause  cameraU  anche  le  penali, 
pel  puro  fme  di  esigerne  le  mul^.  Questi  poterono,  quali  manda- 
tari de'  principi,  scomporre  la  giusta  parità,  che  tra  accusa  e  di- 
fesa ci  doveva  essere.  E  cosi ,  da  patrocinatori  del  fisco,  convenìnà 
in  sostenitori  delle  azioni  penali;  ed  atteggiarsi  quindi  a  mode- 
ratori deUa  società  costituita,  essi  i  mandatari  d'una  ddle  parti 
in  lite.  Del  quale,  come  di  tanti  altri  assurdi,  noi  non  ci  accor- 
giamo pili,  perchè  ci  pasciamo  non  più  d'idee,  ma  di  parole:  e 
nemmeno  temerne,  perchè  vediam  bene,  che  ci  aggiriamo  tra 
cose  nx>rte.  Che,  se  di  mezzo  a  tali  cose  morte  e  a  tali 


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e  alle  infinite  sirti,  tra  cui  naviga  la  magistratura  italiana,  questa 
si  mantiene  tuttavia  illuminata  e  incontaminata,  ringraziamone  i 
patrii  numi.  I  quali  le  dan  forza  di  durare  una  gran  battaglia  ci* 
vile,  dimostrando  ancora  quanto  siano  forti  la  sapienza  degF ita- 
liani non  degenerati,  che  resiste  air  anarchia  legislativa,  e  la 
coscienza,  che  alla  corruzione  trionfante.  E  queste  naturali  virtù 
del  popol  nostro,  di  cui  i  magistrati  tengono  alta  e  pura  la  fama 
(pai'te  per  le  vecchie  tradizioni,  cui  seguono,  parte  per  T ufficio, 
che  gli  richiama  alle  romane  cose,  e  parte  per  la  vita,  cui  me- 
nano severa  e  dal  lezzo  delle  fazioni  scevra),  io  esulto  in  atte- 
stare. Nondimeno,  ripeto,  egli  è  a  temer  forte,  che  il  loro  valoroso 
drappello  si  assottigli  e  stremi  ;  e ,  se  tuttavia  per  Y  onore  italiano 
combattono,  è  tutto  lor  merito.  Avvegnaché  siano  le  istituzioni 
tali,  che  non  vi  mancano,  se  non  gli  uomini  adatti,  per  ritrovare 
qualunque  oppressione  i  più  vili  e  crudeli  strumenti. 


CLXIX.  Istitiudoiii  gindisiaU  della  borghesia. 

È  facile  capire  da  quello,  che  testé  dissi,  ed  era  facile  da- 
gr  istinti  della  plutocrazia  congetturare ,  anche  se  non  lo  avessi 
detto,  che  questa ,  come  sprezza  Y  esercito,  cosi  teme  la  magistra- 
tura. Laonde,  non  paga  di  umiliarla  e  diffidarne  nella  guisa,  cui 
testé  vedemmo,  essa  a  dirittura  la  scaccia,  per  quanto  riguarda 
la  penale  giustizia,  dal  seggio.  E  ne  la  scaccierebbe  altresì,  per 
quanto  riguarda  la  civile,  se  ne'  litigi  di  quattrini  non  le  spiacesse 
commettersi  al  giudizio  d'ignoranti.  Qui  ripresentasi  il  dilemma 
dianzi  posto:  o  si  voleva  creare  un  ordine  giudiziario,  veramente 
ordine  dello  stalo,  e  bisognava  diversamente  istituirlo;  o  lasciare 
al  popolo  la  giustizia,  e  bisognava  gli  antichi  comizi  giudiziali  re- 
stituirgli. Puossi  anche  immaginare  una  giudicatura  mista  di  ma- 
gistrati e  di  citLidini:  e  questo  disse  appunto  ella  di  fare;  ma, 
che  lo  facesse,  figuratevi!  Né  poco,  né  molto,  né  in  foro,  né  in 
curia  il  popolo  deve  penetrare:  basta,  che  lo  si  nomini.  Cosa  ha 
ella  dunque  fatto,  per  dare  una  parvenza  di  giudizio  popolare , 
senza  che  ve  ne  fosse  la  sostanza  (stabilendo  uno  di  que'suoi 
vantati  congegni  di  guarentigia  e  di  contrappeso,  come  gli  dice, 
costituzionali);  e  per  avvocare  inoltre  i  giudizi  a  sé  medesima. 
Vi  era  e  vi  é  una  famosa  isola  nel  mondo;  i  cui  abitatori,  oltre 
essere  in  ogni  cosa  molto  nuovi  ed  eccentrici ,  hanno  ancora  nelle 


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cose  civili  un  non  so  quale  dìsorganamento.  In  onta  al  quale,  avendo 
potuto  essere  ugualmente  liberi,  potenti  e  gloriosi  a  lor  modo, 
destano  la  universale  ammirazione.  Questa,  non  sapendo  volgersi 
alle  loro  virtù ,  prima  delle  quali  il  custodire  gelosamente  la  pro- 
pria storia  e  il  non  voler  essere  scimie  degli  altri  popoli;  e  In- 
cendo quindi  il  contrario  di  ciò,  cbe  fare  doveva,  si  volse  alle 
loro  istituzioni.  Or,  come  gr  istituti  politici ,  fondati  colà  sul  cozzo 
d' elementi  irrequieti  e  discordi ,  non  escono  da'  primi  rudimeoti 
della  civiltà;  cosi  gr  istituti  giudiziali  rappresentano  tuttavia  la 
civile  infanzia.  Perchè  il  sublime  italogreco  concetto  d*  uno  stato, 
che  sovrasta  alle  gare  individuali,  che  integra  la  vita,  e  a  cui  i 
cittadini  aderiscono,  quali  membra  d' un  unico  corpo,  ripugna  alla 
fiera  e  indomita  indole  loro.  Ed  è  inoltre  gran  mercè,  se  la  penalità 
come  pubblica  funzione  ravvisino,  e  la  noedesima  giusdicenza  co- 
me autorità  pubbUca.  Tal  fiata  anzi  accade  colà  ancora,  come 
ne'  primordi  del  viver  sociale,  che,  se  gli  offesi  non  proveggano 
di  per  so,  non  curi  lo  stato  di  vendicargli.  Ad  ogni  modo  oflési 
e  offensori  non  posano,  se  prima  tra' lor  medesimi  non  rinnovino, 
almeno  in  parole  e  in  simboli,  T antico  decisorio  duello,  e  non 
sieno  da  terzi  e  da  privati  giudicati.  Onde  il  germanico  istituto 
del  certame  tra  le  parti,  della  mallevadoria  de' vicini  e  della  de- 
cision  de'  pari,  cacciato  in  bando  altrove  dalla  risorta  ragion  ro- 
mana, sopravvisse  in  queir  isola.  E,  dopo  che  la  falsa  democrazia 
francese  volle  come  palladio  di  Ubertà  ripiantamelo  nel  continen- 
te, senza  nemmanco  comprenderlo,  o  adulterandolo  (come  in  ge- 
nere tutte  le  altre  cose  inglesi);  non  pane  e  non  par  vero  alle 
altre  nazioni ,  in  questo  barbarico  risveglio,  di  seguirne  le  orme. 
L'Italia,  prima  quasi  degli  stessi  tedesclii,  premendole  di  mostrar 
zelo  di  servitù:  che  non  paresse  alle  volte  men  di  loro  anliro- 
mana,  o  troppo  nello  straniarsi  lenta.  E  i  suoi  legislatori  per 
maggior  jattura,  copiandolo  di  seconda  mano,  non  cercarono  nem- 
meno di  attingerlo  alle  Leggi  criminali  di  Malia  (dal  britan- 
nico impero  promulgate),  nelle  quali  esso  serbava  una  A>rma 
quasi  originale  e  nello  stesso  tempo  quasi  addomesticata.  Ma  (pe- 
rocché eglino  queste  cose  non  sono  obbUgati  a  saperle),  tradu- 
cendo  in  vece  il  Codice  d'istruzione  criminale  francese,  ne 
feaTo  tale  una  contraffazione,  di  cui  tutti  s'avveggono,  tranne 
loro.  • 


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CLXX.  Giudizio  de'  ginratL 

Io  ho  già  di  questo  istituto,  che  non  ha  nella  lingua  italiana 
un  nome,  e  non  lo  merita,  discorso  in  uno  de' miei  Opt4scoli 
criminali  e  in  altri  luoghi;  e. preveduto  lungo  tempo  innanzi  e 
in  vano  quel,  che  ne  doveva  seguire.  Né  voglio  qui  ripetermi: 
tanto  più ,  che  basta  ripudiare  le  superstizioni  peregrine  e  le  frasi 
altisonanti,  per  comprendere,  quanto  i  cardini,  su  cui  aggirasi, 
vacillino.  Cioè,  che  si  possa  in  criminale  il  giudizio  del  fatto  da 
quello  del  diritto  scindere,  che  la  certezza  venga  dalla  coscienza 
e  non  dalla  critica,  che  la  prova  sia  intuitiva  o  istintiva  e  non 
riflessa  o  logica;  e  che  nelle  pubbUche  e  in  ogni  sorta  di  pro- 
fessioni si  possa  dalla  idoneità  personale  prescindere  {Codice  di 
procedura  penale  italiano,  486-510).  Però,  quando  udiamo  ce- 
lebrati giureconsulti,  e  per  sino  i  cosi  deiii  guardasigilli ,  in  par- 
lamento sostenere  questo;  e  che  inoltre  i  giurati  hanno  facoltà 
di  temperare  le  leggi,  e  di  correggerle  e  di  raddi'izzaile ;  che 
altro  rimane  a  noi,  seguaci  del  buon  senso  antico,  se  non  di  ta- 
cere in  faccia  a  tanto  sopraffina  scienza  moderna?  Fatto  sta  in- 
tanto, che  di  tal  guisa  il  censo  venne  assunto  anche  a  criterio 
di  capacità  giudiziale;  e  che  non  solamente  per  questa  giudica- 
tura di  borghesi  il  popolo  non  è.  da  sé*  medesimo,  né  da  un 
ordine  intermedio,  tutelato:  ma  si  può  dire,  tranne  la  borsa,  che 
altro  di  tutelato  non  vi  sia.  Innanzi  a  panciuti  bottegai  le  accuse 
di  stato  trovano  tutta  quella  olimpica  indifferenza,  che  si  può  im- 
maginare; mentre  la  spietata  ira  verso  i  ladri,  alcun  de' quali  (per 
certi  amminicoli)  vien  condannato  fino  a  vent'anni  di  lavoro  for- 
zato, alternasi  col  pietoso  indulto  ai  facinorosi ,  e  col  placido  sor- 
riso agU  scostumati.  Per  fino  i  legislatori  cominciano  a  travedere, 
che  vi  sia  qui  un  po'  di  confusione,  e  pensano  a'  rimedi;  come  se  si 
potesse  questo  istituto  emendare  altrimenti,  che  vulnerandolo.  Im- 
perocché, introducendovisi  la  elezione  o  la  scelta,  avrebbonsi  giudi-^ 
ci  elettivi  e  gratuiti,  assessori  o  scabini:  non  più  giudici  spontanei, 
estemporanei ,  casuali  ed  imperiti;  quaU  i  giurati  debbono  essere, 
per  non  rimaner  tali,  che  di  nome.  Commettendosi  alla  sorte 
0  alla  ventura ,  d'  uopo  é  naturalmente  da'  medesimi ,  come  da 
scapestrali,  guardarsi.  E  quinci  spiegasi  la  Legge  degli  8  giu- 
gno 1874  ;  il  cui  articolo  49,  poscia  per  grande  benignità  abro- 


-  250- 

gaio  0  derogato,  era  appunto  sostanzialmente  difensivo.  Con  esso 
due  supreme  franchigie  viola vansi,  la  libertà  della  stampa .  alle 
cui  discussioni  oneste  niun  tema  vuol  esser  interdetto;  e  h  pub- 
blicità de'  giudizi ,  che  assai  meglio  dal  volontario  e  universale 
colloquio  de'  cittadini  emerge,  che  da  un  muto  e  ristretto  croc- 
chio di  curiosi.  Dopo  la  incrollabiiità  de'  giudici ,  la  miglior  sicu- 
rezza anzi  de'  giudicabili  sta  nel  sapere ,  che  tutta  la  nazione  as- 
siste per  mo'  di  dire  alla  terribil  tenzone  de'  tribunali ,  e  ode  e 
pondera  le  lor  ragioni.  Onde  io  reputo  una  dottrina  servile,  que- 
sta oggi  in  voga,  che,  quando  e  fìn  che  pende  sovra  alcoiio  un 
giudizio,  non  se  ne  debba  più  parlare:  mentre  allora  appunto  il 
popolo,  a  cui  venne  tolto  il  diritto  di  giudicarlo,  deve  almaM 
vigilare.  Temendosi  per  altro,  che  questi  buoni  giurati  non  si  la- 
scino da' giornah  sobillare,  come  troppo  buoni,  che  ^i  erano; 
dovettesi  la  relazione  de'  piati  criminali  innanzi  la  sentenza  divie- 
tare. Il  che,  se  è  stato  un  confessar  chiaro,  giovare  per  costoro 
il  silenzio  più  della  parola,  e  il  bujo  più  della  luce;  non  impedi- 
va tutta\ia,  eh'  entro  i  tribunali  fossero  dalla  luce  abbarbagliati  e 
dalla  parola  sgominati.  I  pubblici  accusatori  conoscono  tanto  codesti 
lor  polli,  ch'ei  non  solamente  ingrossano  la  voce  e  mostrano  i 
denti,  oltre  il  convenevole  e  contro  la  loro  giovial  mansuetudine, 
per  contrapporsi  alla  facondia  delle  contrarie  togate  sirene;  ma  deb- 
bono ben  peggio  fare.  Conciossiachè ,  per  altre  cagioni,  l'azione 
penale  a  loro  commessa  procede  a  rilento;  e,  mancando  il  loro 
impulso,  la  giustizia  spesso  rimansi  inattiva ,  e  tal  volta  in  famosi 
processi  vedesi  alcun  de'  complici,  quasi  palesemente  additato,  pa- 
rarsi sotto  il  loro  usbergo.  Ma  ei  debbono  pure  innanzi  a'  giurati 
fare  di  necessità,  virtù:  e,  quando  una  causa  di  stampa  od  altra 
tale  temono  non  poter  definire,  accontentarsi  di  qualche  sequestro 
e  arresto,  quasi  con  la  certezza  di  non  proseguir  oltre  (  il  che  dd 
resto  è  un  atto  di  polizia,  larvato  sotto  specie  processuale),  por 
di  tutelare  alla  men  peggio  la  società.  0  per  fino  mutare  dàsse 
ai  reati  e  ordine  alle  giurisdizioni,  invocando  (pognaroo)  io  ma 
causa  di  fratricidio  la  competenza  de'  giudici  inferiori  ;  tanto  che 
non  venga  nelle  assisie  giustificato,  e  soggiaccia  almeno  alla 
pena  d' un  furterello  campestre. 


-  251  - 


CLXKI.  Patrodnio  forense. 

Quando  sieno  gli  altri  arringhi  della  civil  vita  chiusi,  è  fa* 
Cile  capire,  come  il  fervore  di  questa,  o  almeno  della  rettorica, 
raccolgasi  nelle  tribune  giudiziarie;  e  dieno  le  medesime  i  lucri 
e  gli  onori,  negati  altrove.  Sotto  gr imperiali  mostri  della  casa 
Giulia  in  Roma,  e  lo  scorso  secolo  nel  reame  di  Napoli  accadde 
appunto,  che  fra  il  trono  e  la  piazza  sollevasse  il  capo  un'  avvo- 
catesca oligarchia,  le  cui  glorie  meritano  di  riviver  ora.  Al  quale 
uopo,  non  giovando  più  sostenere  la  popolare  accusa  (che  non  vi 
è  più  la  pubblicazione  de'  beni,  a  cui  partecipare,  né  il  vantaggio 
di  compiacere  al  principe  ),  giova  quel  privato  patrocinio  assumere, 
cui  la  Legge  Cincia  non  frena.  Vietava  questa  di  ricever  prezzo 
per  le  dicerie  forensi,  e  Gajo  Silio,  riproponendola  in  senato,  al- 
legava :  «  gli  antichi  dicitori  aver  vedute^  il  vero  premio  dell'  elo- 
quenza essere  la  fama  eterna  »;  e,  «  come  le  molte  malattie  la 
borsa  empion  a'  medici ,  cosi  la  peste  del  piatire  agli  avvocati  » 
(Tacito,  Annali,  XI,  6).  Ma  quella  generosa  austerità  antica, 
lino  in  tempi  si  infami  e  da  si  infame  bocca  rimpianta,  siamo 
d'accordo,  che  oggidì  fa  spuntare  sulle  labbra  il  riso.  Dacché  Yav- 
vucheria  é  cristianamente  divenuta  una  lucrosa  professione  da  civile 
ufficio,  eh'  era  presso  i  nostri  antenati  pagani;  é  troppo  naturale, 
che  ognuno  dell'  opera  propria  riceva  mercede.  E  che  di  giunta  i 
grassi  mercadanli  dicessero  ai  magri  causidici:  le  poche  briciole, 
che  avanzano,  raccoglietele  voi,  che  avete  buoni  denti.  Io  suppongo 
anzi,  che  la  mercede,  oltre  esser  giusta,  non  abbia  mai  mala  origine; 
e  che  ogni  qual  volta  veggonsi  in  giro  famosi  oratori  ai  servigi  di 
qualche  mascalzone,  dal  debito  di  sangue  lo  Uberino  per  pietà  o 
per  gloria.  Né  mai,  mai  quella  mercede  sia  parte  d'orrido  bottino, 
e  grondi  ancora  il  sangue  delle  vittime;  come  forse  taluno  potrebbe 
temere.  Ciò  non  ostante ,  il  decantato  splendor  del  foro  è  un  sini- 
stro sintomo  pur  esso,  di  dubbia  giustizia  e  di  povertà  derelitta. 
Avvegnaché,  sotto  retti  ordini,  non  abbia  l'innocente  bisogno  di  si 
famosi  oratori;  e  assai  più  prometta  quello  splendore  ai  rei,  che 
agl'innocenti.  I  quali  per  lo  meno,  se  poveri,  non  posseggono  le 
dieci  e  più  migliaja  di  lire,  che  qualche  volta  occorrono  per  procac- 
ciarlo: mentre  i  rei  possono  trovarle.  E  questi,  con  un  valente  difen- 
sore, imbattersi  e  quasi  con  certezza  contare  in  giurati  misericor- 


-252  - 

(liosi  j  che  ammetteranno  la  grave  provocazione  nel  falso,  la  forza 
irresistibile  nella  libidine,  e  V  impeto  vorticoso  nella  premeditazione. 
La  legge  anzi ,  insospettita  di  tanto  lusso  e  vampo  oratorio  (  il  quale 
col  sacro  diritto  della  difesa  e  col  nobile  ministero  della  medesima 
non  deesi  confondere),  permise,  che  il  presidente  delle  assiste, 
riassumendo  i  fatti  e  le  ragioni ,  ne  sperdesse  un  po'  V  iDcanlo. 
Tuttavia ,  facile  è  immaginare ,  quel  fidgore  e  quel  tuono  de*  pa- 
trocinatori (tal  fiata  in  drappelli  o,  come  dicon  essi,  in  collegi, 
strepitanti  per  dieci  e  più  giorni)  scombigano,  quando  non  si  tratti 
dello  scrigno,  quel  po'  di  comprendonio,  che  a'  dodecemviri  rima- 
neva. I  quaU,  nel  dubbio  dovendo  giustamente  propendere  alla 
clemenza,  e  finir  la  noja  d' udienze  tal  fiata  mensili,  e  dì  arringtie 
eterne,  e  di  quesiti  infiniti,  dan  torto  aUa  società;  se  non  altro  per- 
chè gli  ha  essa  medesima  seccati.  E  cosi  sogliono  di  frequente  chiu- 
dersi questi  forensi  spettacoli,  in  cui  gentiU  e  vezzose  dame,  fissan- 
do le  pupille  in  torbe  e  sinistre  faccie,  che  sconcierebbero  fino 
alle  streghe  i  parti,  studiano  T agonia;  e  cercano  le  emozioni, di 
che  i  loro  cuori  abbisognano,  e  che  V  arena  più  non  dà.  La  plebe 
impoverita ,  in  mancanza  d' altri  ludi ,  di  queste  pugne  incmeote  si 
compiace,  e  dal  labbro  pende  degU  strenui  campioni  della  parola: 
i  quali  intanto  accumulano  trofei,  e  passano  poi,  trionfatori  della 
giustizia,  a  più  alti  consessi. 


CLXXIL  Immunità  proeaedata  a'reL 

Trattandosi  non  d'altro,  che  di  spettacoli,  si  capisce,  parie 
per  (]ucsto ,  e  parte  per  le  susseguenti  cassazioni ,  evasioni  e  re- 
missioni, potere  tra  noi  con  un  qualche  fondamento  i  rei  ripro- 
mettersi la  impunità.  Quando  in  fatti  una  lungtiissima  e  dispen- 
diosissima processura  sembra  riuscita;  ecco  sopraggiungere  m 
mancamento  ne'  riti,  prescritti  con  la  sanzione  di  nullità.  E,  oc- 
correndo e  spesso  dovendosi  gli  errori  di  sostanza  travisare  ed 
emendare  sotto  errori  di  forma;  ecco  un  appiglio  per  mandar 
tutto  in  fumo  e  ricominciare  da  capo.  Che,  se  la  condanna  passa 
finalmente  in  giudicato;  i)er  la  diversità  e  pel  disordine  degli  sta- 
bilimenti penali  del  regno  chi  la  es{)ia  a  un  modo  e  chi  a  un 
altro:  ma  i  più  depravandosi  vie  più,  e  parecchi  infirangendoia 
affatto.  Il  nostio  sistema  carcerario,  oltre  non  essere  nelle  di- 
verse regioni  praticamente  uguale,  e  offender  quindi  la  parità  de* 


-  253  - 

cittadini  almeno  innanzi  air  ergastolo;  di  regola  appunto  corrompe, 
infama  e  abbrutisce  i  puniti,  che  non  giungano  a  spiccare  il  volo. 
Che ,  se  r  alipede  Mercurio  non  gli  soccorre ,  possono  alla  flne , 
supplici  air  ara  d' una  falsa  Minerva ,  trovare  scampo  contro  le 
irate  sociali  Eumenidi.  Ed  io  dico  falsa  questa  dea:  perchè  la 
vera,  benché  fosse  a' colpevoli  pietosa,  come  sapiente  e  armata, 
non  avrebbe  della  grazia  sofferto  tale  spreco,  che  i  malvagi  in- 
cuora e  lascia  la  società  inulta.  La  qual  grazia  è  certamente  cosa 
di  numi:  ma,  se  non  è  con  quasi  divino  consiglio  dispensata,  e  se, 
in  vece  di  correggere  gli  umani  errori,  prodiga  favori  senza  me- 
rito, senza  ragione  e  senza  necessità;  logora  la  forza  delle  leggi 
e  induce  agli  arbitrii.  Pure,  parendo,  che  fin  del  punire  non  im- 
porti più  niente,  i  rei  non  solamente  a  capi,  ma  a  branchi  tal  volta 
si  sciolgono  dalle  catene  ;  o  per  lo  meno  condonasi  loro  il  resto  del 
castigo,  per  economia  o  perchè  non  gli  cape  più  la  galera.  Anzi 
in  una  recente  solennissima  occasione  (acciocché  soli  i  malvagi 
tripudiassero,  mentre  i  buoni  non  si  soccorrevano  e  i  valorosi  non 
si  premiavano  ),  a  dirittura  dell'  intiera  pena  o  di  parte  si  grazia- 
rono tutti  quanti  i  delinquenti;  molti  de*  quaU  poi  di  soppiatto  si 
dovettero  per  la  comune  salvezza  rimettere  al  sicuro.  Ora,  guai 
alle  punizioni ,  che  non  sieuo  misurate  ed  umane  ;  ma  guai  altresì 
a  quelle,  che  non  sieno  osservate  e  inevitabili!  Perchè  la  loro 
efficacia  non  viene  dalF  intensità  e  dal  rigore,  quanto  dalla  loro 
osservanza  e  inevitabilità.  E,  quando  adunque  per  le  sopraddette 
ragioni  ingenerano  tante  lusinghe  d'irne  immuni,  le  leggi  stessse 
fomentano  i  delitti:  pel  cui  imperversai*e  prima  incrudeliscono,  e 
poscia,  sbigottendo,  di  sé  medesime  disperano.  Il  che  spiega, 
com'  elle  sieno  in  Italia  inconsulte  e  impotenti;  e  in  faccia  alle  ca- 
terve de'  malfattori  ignoti  e  sbandati,  cui  non  seppero  regolarmente 
rintracciare  e  colpire,  dovessero  alla  fine  a' legittimati  arbitrii 
dar  luogo,  se  volevano  la  società  salva.  Cioè  a'  precetti  e  divieti 
di  buon  governo,  alle  vessazioni  e  proscrizioni  larvate,  e  così 
alla  cieca  e  alla  rinfusa  profuse,  che  nel  1876  vi  erano  nel  re- 
gno 6,457  confinali  o  (come  si  dice  in  lingua  jonadattica)  «  asse- 
gnati a  domicilio  coatto  »,  e  nel  solo  circondario  di  Palermo 
3,700  ammoniti.  Né  per  questo  la  generale  incolumità  in  Sicilia 
migliorava  :  ed  anzi  tale  perdurava  nel  seguente  anno,  che  alcuni 
inglesi  osarono  querelarsene  al  proprio  governo  ;  affinché  non  man- 
casse air  Italia  anche  quest'  oltraggio,  cui  non  avrebbe  una  tribù  di 
selvaggi  tollerato.  Onde,  conchiudendo,  io  so,  che  la  plebe  arric- 


-  254  - 

chita  ha  talmente  fatto  il  callo,  che  di  queste ,  come  di  tante  altre 
piaghe  non  si  cura.  E,  come  di  lasciar  la  cosa  pubblica  in  mano 
alle  fazioni,  cosi  trova  ottimo,  serbando  alla  giustizia  il  nome, 
d' incestuarla  colla  polizia ,  d'  umiliarla  nella  magistratura  e  di 
conquassarla  coir  eloquenza.  Ma  cliì  vorrà  con  intelletto  e  con 
amore  considerare  le  cose  sovra  discorse,  dovrà  meco  convenire, 
che,  se  gli  altari  della  celeste  Temi  non  sono  qui  del  tutto  ro- 
vesciati, gU  è  perchè  non  può  verun  umano  consorzio  dorare 
senza  un  vestigio  o  un'ombra  di  tanto  nume.  Se  non  che  poi, 
siccome  quanto  cedesi  della  giustizia,  altrettanto  dee  chiedersi 
all'ingiustizia;  spesseggiando  i  dehtti  appunto,  si  ricorse  alle 
ammonizioni,  ai  confini,  alle  transazioni  ignominiose  co' malfat- 
tori, e  alla  fine  alle  taglie  anzi  dette.  A  proposito  delle  quali,  come 
più  orridi  spedienti,  io  ho  bisogno  di  ripeter  qui  una  mia  protesta, 
pubblicata  nel  giornale  il  Secolo  di  Milano  a'  di  12  marzo  1877« 
e  di  cui  non  mi  accade  pur  troppo  di  cangiar  verbo. 


CLXXIII.  BistabiHniento  deUe  tagHe. 

—  Un  recente  atto  del  governo  mi  costringe  a  uscire  per  od 
istante  dall' oscurità,  ed  a  pregarvi  ^\  pubblicare  queste  mie  pa- 
role in  nome  di  que'  supremi  interessi  civili  e  morali  della  na- 
zione, cui  nemmeno  le  fazioni,  che  se  ne  contendono  il  mono- 
polio, possono  impunemente  conculcare.  È  già  parecchio  tempo, 
clic  si  usa  in  Italia  da'  comuni ,  dalle  provincie  e  anche  da  altre 
autorità  dello  stato  promettere  un  prezzo  a  chi  consegna  alla  pub- 
blica forza  i  banditi,  ed  altrettali  ribelli  o  contumaci  alla  legge. 
Ned  io  ho  mancato,  sin  da  quando  quest'odioso  spediente  con- 
turbò r  alba  del  nostro  risorgimento  di  protestare,  che  ricacciava 
indietro  la  nostra  civiltà;  e  minacciava  direttamente  la  nostra 
moralità,  già  por  altre  cause,  die  non  occorre  qui  ripetere,  av- 
venturata di  poi  a  troppo  gravi  cimenti.  Se  non  che  ora ,  con  la  nota 
circolare  del  regio  ministero  dell'  interno,  data  il  di  primo  del  pre- 
sente mese,  divenendo  tale  spediente  un  istituto  generale,  nor- 
male e  organico,  io  debbo  riparlarne.  E,  poiché  non  una  voce 
ho  udito,  che  avverta  \  orrore  di  esso  e  manifesti  il  ribrezzo  ddle 
coscienze  otTese;  mi  accora  non  so  dir  quanto,  che  a  me  solo 
si  lasci  la  troppo  facile  e  infelice  gloria  di  dimostrare  dò,  ette 
non  dovrebbe  aver  bisogno  d' essere  dimostrato.  La  iagìia  (  cbi> 


—  255  — 

tale  è  il  nome  del  preéetto  istituto  )  venne  da'  riformatori  dello 
scorso  secolo  riprovata,  insieme  con  la  tortura  e  con  tutti  gli 
altri  detestabili  strumenti  delle  antiche  tirannidi:  onde  fu  quasi 
ovunque  proscritta.  Alcune  provincie  italiane  non  ne  serbavano 
a' giorni  nostri,  che  la  memoria;  e,  benché  altre  anche  Taso, 
questo  appunto  additavasi  all'  Europa,  come  prova  della  impotenza 
e  della  infamia  de'  loro  tiranni.  In  genere  il  consenso  de'  savi  e 
quello  delle  genti  non  abbrutite  (tranne  una  schiatta  illustre  e 
vigorosa,  la  cui  inflessibilità  e  singolarità  sono  del  resto  note) 
le  si  sollevano  contilo  sdegnosi ,  come  ad  onta  inflitta  alla  società 
politica  e  alla  natura  umana.  Or,  volendo  espor  le  ragioni  di 
ciò,  s'io  dicessi  esservi  cose  utili,  cui  i  popoli,  che  reputano 
doversi  osservare  la  eterna  giustizia ,  e  reggimenti ,  che  rispettare 
la  propria  dignità,  non  possono  fare,  pera  il  mondo;  addurrei 
argomenti,  che  in  certi  luoghi  e  tempi  non  hanno  più  valore 
alcuno.  Ponendomi  dunque  a  considerare  il  tema  sotto  l'unico 
aspetto  della  utilità,  dico  appunto  e  tosto  paleserò,  la  mercede 
patteggiata  per  la  cattura  de'  rei  latitanti  essere  mille  volte  più 
funesta,  che  profittevole  al  pubblico  bene  e  alla  stessa  pubblica 
sicurezza.  Perchè  io  non  nego,  che,  quando  di  un  popolo  si  sono 
tutt'  i  nobili  e  generosi  istinti  soffocati  ;  non  sia  la  cupidigia  del 
lucro  r  ultimo  stimolo,  con  cui  si  possa  un  barcollante  ordine  di 
ci)se,  per  alcun  tempo  ancora,  sostenere.  Né,  cl)e  fra  tanti  affari 
e  traffici,  convertita  la  patria  in  un  mercato,  non  si  possa  con- 
vertire in  viUori  di  borsa  anche  la  libertà  e  la  vita  de' cittadini , 
e  in  titoli  al  portatore  le  lor  persone.  Tuttavia  probabilmente  in 
questa  circostanza  il  prezzo  profferte,  per  la  sua  inverecondia  o 
tenuità,  non  sarà  troppo  atto  o  adeguato  ad  accendere  uno  zelo, 
che  altrimenti  mancasse.  E  d'  altra  parte  il  valor  disperato  e 
gl'impenetrabili  recessi  delle  vittime  designate,  e  il  pericolo  e 
la  pietà  degl'  istigati  persecutori  opporranno  troppi  ostacoli,  a  che 
si  abbia  un'efficacia  appena  sensibile.  Ma,  pur  supponendo,  che 
r  abbia  piena  e  assoluta  (  di  modo  che  per  l' esca  di  100  o  anche 
di  5,000  lire  lutti  que'573  lupi  della  legge,  alcuni  de' quali  han- 
no già  varcato  1'  Oceano,  sieno  scovati  e  presi  ),  ancora ,  ripeto , 
il  danno  soverchia  di  gran  lunga  il  vantaggio.  Al  quale  uopo, 
dovendosi  tra  le  persone  sguinzagliate  a  sì  fatta  caccia  distinguere 
quelle,  che  per  proprio  ufficio,  da  quelle,  che  per  privata  passio- 
ne, delle  une  e  delle  altre  parlerò  parti tamente. 


—  256  - 

CLXXIV.  Dftimo  delle  taglie. 

Non  vi  ha  dubbio,  che  le  prime  j  anche  senza  un  turpe  gui- 
derdone, non  debbano  il  doloroso  mandato  compiere:  e,  che  lo 
abbiano  sin  qui  compiuto,  tanti  nostri  soldati  e  carabinieri ,  morti 
in  quelle  inonorate  pugne  con  mirabile  annegazione  e  invitlo  co- 
raggio, splendidamente  lo  attestano.  Quello  però ,  eh'  ei  fecero  sin 
qui  per  virtù,  facendolsi  ora  per  T  allettativa  di  un  premio,  con- 
tro cui  freme  il  cuore ,  sarebbe  senz'  altro  reso  triviale  e  abomi- 
nevole. E  V  ammirazione ,  che  desta  in  noi  il  loro  eroismo,  e  lo 
stesso  loro  sublime  entusiasmo  di  sacrificarsi  al  dovere,  verrebbe 
meno  innanzi  al  solo  dubbio,  che  per  quelle  vili  monete  espones- 
sero la  propria  e  insidiassero  Y  altrui  vita.  Se  ripugna,  che  gli 
ufficiali  di  finanza  riscotano  su  certe  tasse  e  multe  una  provvi- 
sione, quanto  più  non  dee  ripugnare,  che  ricevano  gli  altri  un 
prezzo,  che  potrebbe  grondar  sangue?  E,  se  gli  ufficiali  tutti  dello 
stato,  già  abbastanza  umiliati  ed  esautorati,  fin  nelle  supreme 
aule,  si  reputano  ora  cotanto  degradati  e  spregevoh,  che  abbiano 
da  spingersi  innanzi  con  tati  sproni,  oh  fin  dove  andrà  la  loro 
immeritata  abiezione?  Certo,  per  esser  logici,  bisognerebbe^ fare 
altrettanto  pei  processanti,  pei  fiscali  e  pei  giudici,  affinchè  rad- 
doppino di  zelo.  Ma,  se  un  po' di  vergogna  trattiene  ancora  il  sor- 
dido genio  dominante  sulla  soglia  de' tribunali,  già  tutta  T  ammi- 
nistrazione pubblica  perde,  per  questa  sorta  di  sconsigUati  compensi 
e  d'indiretti  oltraggi,  il  suo  prestigio.  E  nel  supposto,  che  si 
volessero  militi  prodi  e  magistrati  integri  (siccome  ei  ftirono  sin 
qui,  in  grazia  solamente  della  incrollabile  loro  costanza),  e  gK 
uni  e  gli  altri  degni  d' un  popolo  libero  e  d' un  reggimento  one- 
sto; comportandosi  di  tal  guisa  seco  loro,  si  fa  dunque  tutto  il 
possibile,  sebbene  senza  volere,  perch'ei  si  tramutino  in  abietti 
arnesi  d*  oppressione.  Venendo  poi  a  coloro,  che  non  per  obbligo, 
ma  spontaneamente  accettassero  la  impresa,  a  cui  a  adescano 
ora  con  pul)blico  bando;  la  jattura  diviene  incommensurabihnenie 
più  grave.  Può  darsi ,  che  di  tal  guisa  si  conceda  ad  ognuno  una 
patente  di  divenir  arbitro  della  persona  altrui ,  di  sfogare  una  pri- 
vata vendetta,  di  arro|zarsi  una  podestà  sovrana,  e  di  soi 
a  dirittura  gli  ordini  del  sociale  regobto  consorzio.  Pure, 
dendo  da  ciò,  già  è  enorme  esulare  dall'  umanità  e  pareggiare 
alle  belve  quegli  sciagurati ,  che,  per  esser  colpevoli  o  forseoDati, 


—  257  — 

non  cessano  di  esser  uomini  ;  e  d' incitare  altrui  obbliquamente 
alla  crudeltà,  e  forse  al  tradimento  degli  amici  e  degli  ospiti. 
Perchè  è  certamente  necessario,  che  gli  esecutori  della  legge  ne 
adempiano  i  sacri  precetti;  e  desiderabile,  che  i  cittadini  gU  as- 
sistano: ma,  stimolandosi  questi  ultimi  con  motivi  per  lo  meno 
ignobili  ad  atti  per  lo  meno  ingenerosi,  si  semina  la  iniquità, 
cui  si  vuol  reprimere.  Giusto  è  pure,  che  la  legge  colpisca  i 
rei:  ma,  logorandosi  e  spegnendosi  que' sentimenti  di  benevolenza 
e  di  misericordia ,  mercè  i  quali  viviamo  a  modo  civile  e  umano, 
si  pone  a  repentaglio  la  comun  sicurezza  assai  più,  che  non  si 
protegga  con  sinistri  avvedimenti.  E,  avvezzandosi  gU  uomini  a 
considerare  nel  proprio  simile  e  nella  sventura  del  proprio  simile, 
e  forse  anco  nella  morte  (giacché  una  colluttazione  può  tal  esito 
avere),  un  oggetto  di  preda  e  di  guadagno,  si  sferrano  quelle 
passioni  selvaggie  e  quegF  istinti  ferini ,  cui  è  suprema  necessità 
di  tutti  mantener  domi. 

CLXXV.  SoonTeniensa  delle  taglie. 

Sommati  ora  e  comparati  i  mah  e  i  beni  del  provvedimento, 
eh'  io  presi  ad  esame ,  e  che  del  resto  venne  con  rette  intenzioni 
dato;  cliiunque  guarda  alle  conseguenze  mediate  e  remote  del 
medesimo,  oltre  die  alle  prossime  e  immediate,  è  in  grado  di 
vedere,  quanto  i  primi  ai  secondi  prevalgano.  Ma  a  chi  mi  os- 
servasse :  eh'  io,  ostinato  difensore  delle  cause  de'  vinti ,  ho  un 
bel  dire,  e  che,  quando  si  è  da  tante  calamità  infestati,  bisopa 
pure  in  un  modo  o  nell'  altro  schermirsi,  e  anche  con  mezzi  per- 
fidi; io  risponderò  quello,  che  ai  fautori  del  patibolo.  I  quali  ap- 
punto ad  ogni  atroce  misfatto,  che  accade,  dicono:  che  senza 
carnefice  non  si  può  stare;  e  dicono  eglino  questo,  mentre  veg- 
gono, clie,  in  onta  al  carnedce,  gli  atroci  misfatti  si  commetto- 
no. Vi  sono  cioè  nelle  società,  come  negl'individui,  morbi  incu- 
rabiU;  ed  altri,  che  si  debbono  curare  altrimenti,  ch'estinguendo 
le  fonti  della  vita ,  le  facoltà  dell'  anima  e  le  forze  della  natura. 
La  taglia  appunto,  l' ammonizione,  il  domiciho  coatto  e  altri  tali 
orrori,  ignoti  a  molte  nostre  Provincie  sotto  la  servitù  straniera, 
e  sostituiti  ora  all'azione  calma  e  regolare  della  giustizia  e  ad 
ima  provvida  e  decorosa  tutela ,  ci  dimostrano,  a  che  possano  certi 
rimedi  servire.  Per  ogni  malfattore,  che  si  cogHe,  gettiamo  il 
germe  di  mille  altri  malfattori  futuri  od  occulti,  e  in  tutta  la 

17 


—  258  - 

coscienza  del  popolo  Y  odio  o  la  contaminazione.  Io  so  (  poiché 
la  cosa  pubblica  è  divenuta  un'  azienda  economica ,  e  non  ha 
omai  altro  destino  la  nazione,  a  detta  de' suoi  celebrati  statuali, 
che  di  lavorare  e  vendere,  almeno  per  pagar  le  imposte  e  gì'  in- 
teressi del  debito  pubblico),  io  so,  che  non  si  deve  richiamarla 
a  sensi  virtuosi  e  forti.  In  tal  caso  desterebbesi  essa  dal  grave 
sonno,  spezzerebbe  il  giogo  della  plutocrazia  e  il  balocco  della 
logomachia;  e  correrebbe  di  nuovo  dietro  a  quelle  fisime  di 
libertà  e  di  gloria,  per  cui  hanno  palpitato  i  suoi  profeti  e  ver- 
sato il  sangue  i  suoi  martiri.  Nondimeno  a  me  sembra,  avendosi 
già  al  popolo  dissipato  il  suo  patrimonio,  e  diminuita  la  farina 
(quasi  unico  e  insuifìciente  suo  sostentamento),  e  diniegati  i  suf- 
fragi, e  conseguentemente  interdettagli  la  cittadinanza  effettiva 
nella  stessa  sua  patria,  e  dileggiatolo  di  giunta;  a  me  sembra, 
che  tanto  possa  bastare.  Se ,  perch'  esso  stia  meglio  docile  e  chi- 
no sul  solco  a  servigio  d' un'  accomandita  mondiale  innominabile, 
occorre,  che  sia  anclie  corrotto;  basta  a  tale  uopo  lo  spettacolo 
dell'  universale  mercimonio,  delia  bufToneria  decorata  e  della  viltà 
trionfante.  Lo  inferocirlo  per  sopra  mercato  ritarderebbe,  è  vero, 
la  sua  redenzione:  ma  può  affrettare  altresì  una  certa  catastrofe, 
prima  di  averne  spremuti  e  tesaurizzati  gli  ultimi  suoi  sudori  e 
le  ultime  sue  lagrime.  E  quindi  io  concludo:  che  gli  si  tolga  da- 
gli occhi  questo  novero  di  teste  umane  ora  più  solennemente 
messe  all'incanto;  e  ad  ogni  modo  innanzi  al  medesimo  respingo 
da  me,  come  uomo  e  come  italiano,  e  con  tutte  le  forze  dell*  ani- 
ma mìa,  la  comune  complicità  del  silenzio.  — 


CLXXM.  Tripudio  del  male. 

Or  bene,  che  la  protesta  siuriferita  cadesse  vana,  e  che, 
tranne  cinque  o  sei  giornali,  da  cui  venne  ripubblicata,  gji  altri 
tutti,  e  per  sin  quelli  della  fazione  scavalcata,  non  ne  fiatassero; 
è  quello  precisamente,  ch'io  m'aspettava.  Pure  uno  spettacolo, 
se  fosse  stato  possibile,  ancor  più  ignobile  e  spaventoso,  e  ch'io 
non  avrei  preveduto,  la  seguiva  come  risposta.  Dappoiché  prima 
con  evidente  compiacenza  il  governo  notificava  giorno  per  giorno 
i  nomi  de' latitanti  arrestati  o  uccisi;  e  le  provincie,  i  comooi 
e  fino  i  privali  a  gara  gli  si  imivano  nel  promettere  e  dare  ri- 
compense. Indi,  nel  successivo  mese,  un  manifesto  del  regio  pre- 


-  259- 

fetto  dì  Palermo  sviluppava  un  concetto ,  eh'  io  non  osava  nella 
circolare  precitata  sospettare  ;  additando  di  nuovo  i  lupi  della  leg- 
ge, e  bandendo  grossi  premi  ^r  «  chiunque  arresterà  o  farà 
arrestare,  od  in  qualsiasi  altro  modo  libererà  la  società  dagli  in- 
franominati  malandrini  ».  E  con  qual  diritto,  chieggo  io,  puossi 
provocare  all'omicidio  proditorio  i  cittadini,  che  tanto  vuol  dire 
quel  qualsiasi  altro  modo  di  liberare  la  società;  mentre  tale 
provocazione  è  dallo  stesso  nostro  Codice  penale  (468-473)  in- 
criminata? Alla  fine,  su  quel  di  Termini  cadendo  il  primo  del 
giugno  seguente  massacrati  da  ventisette  militi  tre  masnadieri; 
coloro,  che  ne  aveano  comandato  ed  eseguito  la  caccia,  oltre  i 
guiderdoni  in  pecunia  sopraddetti,  ebbero  alte  lodi,  feste  e  ono- 
rificenze. Anzi  fuvvi  un  delirio  tale,  che  il  massacro  venne  in- 
contanente e  con  gran  pompa  annunciato  ai  due  rami  del  parla- 
mento esultanti ,  come  se  si  fosse  espugnata  Cartagine.  E  Ai  per 
fino  detto  (il  che  io  non  debbo  credere),  che  le  anni  del  più 
famoso  di  que'  ladroni ,  venissero  deposte,  sinistro  trofeo,  su'  gra- 
dini del  trono.  Sembra,  eh'  io  narri  cose  avvenute  parecchi  secoli 
fa,  e  fra'  selvaggi  àell'  Oceania:  e  sono  in  vece  avvenute  or  è  un 
anno,  e  in  questa  mia  patria;  si  decaduta  in  brevi  lustri,  che 
non  n'ebbe  nemmanco  meraviglia.  A  tanto  si  giugne,  quando 
perdesi  la  fede  nella  giustizia;  e  quando  la  spavalderìa  sta  in 
luogo  di  fortezza ,  l' empirismo  di  ragione ,  il  praticismo  d' intel- 
ligenza, la  spensierataggine  di  saviezza  e  il  faccendierismo  di 
provvidenza.  Ma,  posciachè  di  queste  cose  non  posso  (ahimè) 
più  chiamar  giudici  i  miei  contemporanei,  chiamo  giudici  i  po- 
steri: i  quali  vedi*anno,  quali  dolorosi  frutti  lascierà  loro  questo 
presente  modo  d' agire.  E  comprenderanno,  come  sia  impresa  te- 
meraria e  folle  voler  seguire,  quantunque  a  fin  di  bene,  i  mal- 
vagi nelle  vie,  per  cui  costoro  si  sono  messi  e  di  cui  sono  insu- 
perabili maestri.  Giacché,  entrandovi  noi  colla  persuasione,  che 
il  fine  giustifichi  i  mezzi,  diamo  a  costoro  tutt'  i  vantaggi  possi- 
bili ,  perdiamo  tutte  le  armi ,  che  il  senno  e  V  onestà  ci  sommi- 
nistrerebbono;  e  da  ultimo  cadiamo  in  quelle  imboscate,  ove  non 
si  menta  scusa  o  compianto.  Se  non  che,  degli  oltraggi  inflitti 
alla  diva  figlia  d'  Urano  avendo  a  sufilcienza  discorso,  vediamo 
ora,  come  siano  stati  trattati  tutti  gli  altri  iddii. 


REUGIONE  BORGHESE 


CLXXVll.  Correltfione  tra  gii  stabOiimiti  dTili  e  réllgiML 

1  borghesi,  presi  uno  ad  uno  e  nel  segreto  de' loro  cuori, 
non  possono  essere  scevri  da  quelle  superstisioni ,  che,  inevita- 
bili sirene  o  furie,  accompagnano  quaggiù  chiunque  giace  nd- 
r  errore  o  soggiace  al  rimorso.  Nondimeno,  intenti  ai  bassi  gua- 
dagni e  cogli  occhi  fitti  a  terra,  sono  talmente  dal  cielo  disco- 
stati e  del  vero  sentimento  religioso  privi,  che  non  possono  pur 
conceph*e ,  come  il  popolo  ne  lo  debba  serbare.  E ,  tosto  che  iro- 
vansi  uniti,  facendosi  pel  numero  coraggio,  beffano  anche  queDe 
loro  e  le  altrui  su[)erstizioni  ;  le  quaU  hanno  il  ben  grave  torto  di 
non  tradursi  in  cifre  e  in  contanti.  Considerando  la  vita  unicamen- 
te come  una  palestra  mercatoria,  e  lo  stato  come  un  ginnasiarca 
indulgente  della  medesima;  è  in  fatti  naturale,  ei  reputino  la 
religione  un  fuor  d'opera,  o  se  non  altro  una  bagattella,  da  la- 
sciarsi ai  capricci  individuali.  Il  che  essi  esprimono  con  quelb 
famosa  teorica  della  <(  separazione  dello  stato  dalla  chiesa  »,  e 
con  quella  famosa  formula  della  «  chiesa  libera  in  libero  stato  »; 
mercè  cui  sembrò  loro  aver  raggiunto  V  apice  della  politica  sa- 
pienza. Vedremo  appresso,  che  sorta  di  Hbertà  sia  anche  quesla, 
cui  hanno  in  tale  materia  instaurato  :  supponendo ,  eh'  e'  siano 
di  buona  fede,  e  che  le  or  dette  frasi  non  le  abbiano  usate 
per  cori>ellare  i  gonzi,  vediamo  adesso,  qual  valore  si  abbiana 
Io  ho  già  di  altre  teoriclie  e  formule  pseudodemocratiche ,  con- 
trarie affatto  all'antica  nostra  e  unica  mondial  civiltà,  e  con  le 
quali  e'  sottoposero  i  jKìpoli  europei  al  lor  metallico  giogo  e  a 
tanto  brillante  l)arl)ari<\  favellato.  Però,  sMo  dicessi,  che  lo  stato 
dovendosi  curare  de'  [TOpri  mem!»ri ,  sopra  tutto  in  quanto  esseri 
morali,  la  niatoria  religiosa  (senza  cui  ritornerebbono  bniti)  non 
poteva  essere  preterita  con  tale  disinvoltura,  gU  farei  strabiliare. 


-  261  — 

Dunque,  restringendomi  a  considerare  le  loro  dottrine  in  questo 
argomento  unicamente  sotto  que'  punti  di  veduta ,  in  cui  le  ponno 
essi  riguardare;  non  vi  ha  dubbio,  che  gli  autori  o  fautori  delle 
medesime  non  dieno  prova  d' ignorare  o  sprezzare  le  più  gravi 
cose,  che  qualunque  uomo  di  stalo,  credulo  o  incredulo,  dovreb- 
be conoscere  e  curare.  Anzi  tutto  un  intimo  nesso  congiunge  lo 
istituto  religioso  agli  altri  dell'  umano  regolato  convivio  in  guisa, 
che  questi  non  potrebbon  senza  quello  durare,  e  tutti  per  la 
mina  d'un  solo  andrebbon  travolti.  Onde,  che  che  ne  sembri 
ai  filosofi  della  borghesia,  i  colpi  dati  contro  a  quello  vuhierano 
gli  altri,  e  preparano  cosi  il  sovvertimento  anarchico.  Basta  avere 
ogni  poco  meditato  su'  fenomeni  della  natura  sociale  per  com- 
prendere codesto  legame ,  cui  io  ho  del  resto  nella  mia  Questione 
sociale  chiarito,  e  su  cui  non  vuo'  quindi  più  insistere.  Ma ,  pre- 
scindendo dal  medesimo,  e  cioè  concedendo  ai  detti  filosofi ,  che 
i  buoni  costumi  e  gli  ordini  civili  possano  ugualmente  senza  quello 
istituto  reggere  ;  e'  debbonmi  concedere,  che  si  presenta  come  un 
fatto  universale  e  costante  nell'umanità  consociata.  Che  appena, 
appena  possono  addurre  esempi  di  qualche  tribù  abbrutita,  che 
lo  ignori  0  sembri  ignorarlo:  mentre,  uscendo  da  tal  vita  bru- 
tale, non  vi  è  esempio  di  consociazione  ogni  poco  disviluppata, 
vuoi  civile,  vuoi  barbarica,  vuoi  selvatica,  in  ogni  tempo  e  in 
ogni  angolo  della  terra,  che  ne  faccia  senza.  Concedendo  a  loro 
altresì  (  veggano  quant'  io  sono  arrendevole),  che  questo  fatto  uni- 
versale e  costante  sino  a  qui,  possa  cessare  in  futuro,  quantunque 
niente  dia  a  divederlo,  e  che,  cessando,  non  ne  seguiti  la  ruina 
di  tutta  la  società  costituita  ;  e'  debbono  pur  concedermi ,  che 
sino  a  qui  esiste:  e  per  me  basta.  Che,  se  lo  negassero,  biso- 
gnerebbe proprio,  non  si  avvedessero  de'tempH,  delle  cerimonie 
e  delle  preci,  che  incontrano,  veggono  ed  odono  ad  ogni  passo. 
E  nemmanco,  per  non  dire  del  rimanente  mondo,  de'  26,65Ì8,679 
italiani,  che  si  professano  o  bene  o  male  cattolici,  de' 58,651 
protestanti  e  de'  35,356  talmudisti ,  contro  i  48,468  italiani  d' in- 
certa fede.  Ebbene,  se  tiìl  fatto  esiste,  ed  e' non  lo  possono  ne- 
gare, chiedo  mo  io  a  loro:  come  possono  fingere,  che  non  ci 
sia,  0  governarsi,  come  non  ci  fosse? 


-  262  - 


CLXXVIIL  Pratiche  oonsegiieiue  delle  reliffioiiL 

Evidentemente  due  conseguenze  emergono  dalla  constatazione 
del  medesimo  :  che  convenga  rispettarlo  od  almeno  sopportario  ;  e 
che  regolarlo  in  guisa ,  da  rendeiio  propizio  od  almeno  innocuo  aDa 
pubblica  felicità.  Le  quali  io  non  so  qual  uomo  pratico,  che  si 
guidi  col  criterio  e  non  già  colla  passione,  possa  rigettare.  Io 
vero  pognamo ,  che  questo  istituto  fosse  abominevole  :  d' altra  par- 
te è  cosi  radicato  e  diffuso ,  e  tocca  tali  impenetrabili  e  irresi- 
stibili affetti,  che  ninna  forza  ne  lo  potrebbe  espugnare.  Anche 
se  si  volesse  usare  la  più  cruda  persecuzione  per  ischiantarnelo 
dalle  coscienze,  inviolabile  asilo  e  massimo  tesoro  umano;  queste 
si  risolleverebbero  frementi  e  vindici.  Niun  tiranno,  di  tanti,  che 
ve  ne  furono,  ha  lui  qui  sognato  di  combattere  affatto  il  senti- 
mento religioso  :  mentre  la  sperienza  storica  per  troppi  esempi  ara- 
maestra,  che  il  sol  tentarvi  una  mutazione  in  questa  o  in  quella 
forma  è  stata  sempre  opera  fatale  o  inane.  Di  che  sembrano 
persuasi  gli  stessi  atei  borghesi,  che  almeno  in  parole  (poiché 
negli  atti  vedremo  poi,  che  no)  acconsentono,  che  bisogna  pél 
meno  peggio  accomodarvisi.  Quanto  alla  seconda  conseguenza  dianzi 
accennata ,  e  cioè ,  che  si  debba  anche  volgerlo  a  pubbhco  benei 
e'  non  la  vogliono  però  accettare  in  veruna  guisa.  Laonde  pro- 
fessano quella  indifferenza  poUtica  verso  le  cose  di  fede,  cui  de- 
signano e  riassumono  nel  nome  sacramentale  di  stato  ateo,  fi 
concordano  seco  loro  anche  que'  dottrinari  e  moderati,  che  non 
professano  V  ateismo  palesemente ,  e  che  anzi  in  privato  sono  molto 
devoti.  I  quali  naturalmente,  dovendo  tanta  contraddizione  masche- 
rare, invocano  all'uopo  la  loro  dottrinale  e  moderata  libertà.  In 
fondo,  in  fondo  hanno  tutti  la  medesima  impassibilità  innanzi  al 
sentimento  religioso,  come  cosa,  che  non  cape  ne'  loro  animi.  Sol- 
tanto che,  secondo  la  diversa  superstizione,  gli  uni  lo  trascurano, 
perchè  r  odiano  :  gh  altri  lo  frodano,  perchè  lo  temono.  E  questi  ot- 
timi più  numerosi  e  più  maneggianti ,  hanno  appunto  quella  tal  teo- 
rica e  quella  tal  formula  adottato  ;  mercè  le  quali  assistasi  in  Italia 
allo  spettacolo,  unico  al  mondo,  d' uno  stato  ateo.  Dico  tinico,  per- 
chè non  solo  ne'  passati  tempi  ;  ma  ne'  presenti  basta  volgersi  intorno 
ad  ogni  paese  di  cristiani,  di  saraceni  e  d'idolatri,  per  vedere, 
come  tal  cosa  vada  altrove  ben  diversamente.  Nella  stessa  Europi 


~  263  - 

noi  veggiamo  i  possenti  monarchi  di  Germania  e  di  Russia  pon- 
tificare e  quasi  profetizzare.  E  non  solo  Francia  e  Spagna,  in 
tant'  abiezione  di  bizzocheria  sprofondate  ;  ma  le  più  Ubere  nazio- 
ni, Inghilterra  e  Svizzera,  congiungere  a'  civili  i  reUgiosi  riti. 
Mentre  in  Italia,  banditi  dalle  scuole  i  catechismi  e  dalle  milizie 
i  cappellani ,  e  ogni  studio  teologico  dagU  atenei  scientifici  e  ogni 
pompa  sacra  dalle  feste  patrie;  muoverebbe  fino  il  riso  chi  far- 
neticasse ora  di  risuscitar  tali  ciarpe,  già  divenule  viete  e  ranci- 
de. Pur,  facendo  codesto  i  soprannominati  dottrinali  e  moderati, 
in  grazia  del  caos  morale,  in  culla  nazione  nostra  precipitai'ono, 
e  in  cui  non  è  più  niente  impossibile,  vanta vansi  d'aver  seguito 
gli  stranieri  esempi.  Ora,  vedendo,  che  gU  hanno  contrari  troppo, 
vantansi  naturalmente  di  avergU  superati  ;  ed  anzi  di  essere  della 
teorica  e  formula  sopraddette  i  primi  e  più  strenui  applicatori. 


CLXXIX.  Principio  borghese  dell'ateismo  politìoo. 

A  mio  vedere,  la  causa  prmcipale  di  tal  contegno  loro  sta 
veramente  nelle  ossequiate  inclinazioni  del  terzo  ceto:  ossia  nella 
noncuranza  di  questa,  come  di  tanf  altre  cose  spirituali  ed  eccel- 
se, e  nel  sacrificio  di  tutte  ai  bassi  e  materiali  interessi.  Perchè 
chi  crede  ne'  numi,  non  si  rassegna  a  far  la  parte  di  formica 
quaggiù  ;  e  viceversa  clii  sta  nel  formicajo  non  alza  colassù  gU  occhi 
mai.  Del  resto,  poiché  egli  adducono  alcun  supposto  principio  per 
aonestarlo,  veggiamo  adesso,  se  alcun  principio  vero  di  ragione  gli 
soccorra.  Due  soli  motivi  legittimi  potrebbon  sulfragare  il  sistema 
(Iella  separazione  dello  stato  dalla  chiesa  o,  per  dir  più  preciso, 
deir  abbandono  di  questa  per  parte  di  quello.  Che  le  credenze  reU- 
giose  non  abbiano  efficacia  fuor  del  dominio  della  coscienza  ;  e  che, 
in  questa  versando ,  non  debbano  essere  con  profana  mano  tocche. 
Or  certamente  la  coscienza  è  un  sacro  e  inviolabile  dominio,  e  le 
credenze  religiose  hanno  in  essa  il  più  adatto  e  glorioso  tempio.  Ma 
è  troppo  un  grossolano  errore  reputare,  che  unicamente  ne'  pe- 
netrali dell'animo  la  religione  alberghi,  e  confondere  la  coscienza 
col  culto;  per  meritare  di  confutarlo.  Siamo  d'accordo,  che  ognuno 
in  faccia  allo  stato  abbia  il  diritto  di  credere  o  miscredere  a  pro- 
prio talento  ;  e  che  non  possa  l' autorità  civile  prescrivere  o  pro- 
scriver dogmi.  Nondimeno  nelle  rcUgioni  positive  la  fede  intima 
si  manifesta  coli'  adorazione  esterna  ;  e  il  rito  e  il  ministero  vi  pre- 


-264  - 

valgono  s) ,  che  in  genere  si  può  dire ,  la  parte  della  coscienza 
esser  nelle  medesime  la  minore.  Non  parlo  de'  tempi  e  de*  luoghi 
lontani ,  in  cui  la  teocrazia  dominava  allatto  lo  stato  ;  oè  di  quelli 
vicinissimi,  in  cui  ella  per  molte  cose  civili  (come  matrimooi, 
giuramenti  e  sepolture)  competeva  ancora  col  medesimo.  Suppongo 
cessato  ogni  vestigio  teocratico,  cioè  una  religione,  che  sia  giunU 
(e  non  vi  è  giunta  in  alcun  luogo  e  in  alcun  tempo  affatto)  a 
svincolarsi  da  ogni  mescolanza  con  le  cose  civili ,  e  per  fino  dal- 
l'educazione,  dall'istruzione,  dalla  beneficenza.  Suppongo  altresì, 
che,  rinunciando  di  possedere  beni  mobilie  immobili  per  proprio 
uso,  e  per  lino  paramenti  e  altari,  non  abbia  bisogno  d'essere 
riconosciuta  come  corpo  morale  dallo  stato ,  e  quindi  regolata  dal 
medesimo  almeno  nelle  controversie  patrimoniaU.  Tanto  e  tanto 
si  dovrà  ammettere,  che  questa  tal  religione  aerea,  qualche  cosa 
d'esteriore  conservi;  e,  se  non  più  sacerdoti  e  sacrifìci,  almeno 
inni  e  cantori,  o  prediche  e  oratori.  Le  quali  sue  manifestazioni 
esterne ,  ridotte  cosi  a'  minimi  termini  e ,  pognamo ,  anche  al  solo 
proselitismo,  vanno  naturalmente  oltre  il  puro  regno  dello  spiri- 
to; e  per  ciò  entrano  in  quello  alle  leggi  soggetto.  Onde  non  è 
vero,  che  qui  si  tratti  di  mere  convinzioni,  e  che  conseguente- 
mente r  azione  pubbhca  non  si  possa  sopra  le  stesse  esercitare. 


CLXXX.  Ck)nftitaiione  deU'  ateismo  politico. 

Inoltre  non  è  pur  vero,  che,  i)otendolasi  esercitare,  si  debba  per 
rispetto  a  tali  convinzioni ,  o  perchè  le  sieno  senza  effetto  tenùbik 
0  sperabile,  tralasciare.  Non  per  la  prima  cagione:  poiché  ra- 
zione suddetta  non  cadrebbe  sulla  coscienza,  ma  unicamente  sol 
culto  ;  e  quindi  ne  la  lascierebbe  inviolata.  La  Uberlà  del  pensiero 
in  fatti  è  non  solo  legittima  per  le  materie  di  religione,  ma  per 
ogni  altra  :  tuttavia  chi  (esempigrazia  ),  non  si  Umitando  a  pensare, 
che  la  proprietà  sia  un  male,  involasse  le  robe  altrui,  sarebbe  di 
furto  tenuto.  Medesimamente  chi,  non  si  Umitando  a  credere  que- 
sto 0  quello ,  volesse  per  le  sue  credenze  gettar  la  discordia  tra* 
cittadini  e  infrangere  la  pace  comune,  dovrebb' essere  di  sediiioiie 
tenuto.  E  costui  vanamente  invocherebbe  il  diritto  della  su  co- 
scienza ,  come  vanamente  il  ladro  (luelli  della  propria.  La  qui 
cosa  è  dagli  stessi  dottrinari  e  moderati  borghesi  riconosciuta:  i 
quaU  soggiungono,  che  con  mezzi  repressivi  i  traviameoli  iadifì- 


-  265  - 

duali  si  possono  infrenare;  non  già  i  traviamenti  universali  con 
mezzi  preventivi.  Se  non  che,  a  voler  esser  giusti,  con  qual  di- 
ritto colpiscono  poi  di  pena  que'  traviamenti  religiosi,  de'  quali 
proclamarono  eglino  prima  la  piena  franchigia?  Dopo  aver  detto 
cioè ,  che  un  tale  istituto  religioso  (  il  quale  reputasi  superiore  allo 
stato ,  obbliga  i  credenti  a  trasgredire  le  leggi  contrarie  ad  esso 
e  gli  eccita  alla  fellonia  e  allo  spergiuro ,  a  proprio  modo  di  ve- 
dere lecitamente  e  santamente  )  ;  dopo  aver  detto ,  che  questo  tale 
istituto  ò  immune  dalla  pubblica  azione,  come  ponno  egUno  pu- 
nire (]uelle  trasgressioni,  che  seguono  dalla  fedele  osservanza  del 
medesimo?  Doveano  eglino  in  vece  considerare,  che  questo  e 
ogni  altro  simile  stabilimento  producono  o  buoni  o  tristi  effetti,  e  se 
innanzi  a'  medesimi  potesse  lo  stato  mantenersi  neutro  e  passivo. 
Non  regge  adunque  nemmeno  la  seconda  cagione,  che  secondo 
loro  giustìiica  la  pubblica  inazione  ;  vale  a  dire ,  che  questi  effetti 
manchino  :  avvegnaché  troppo  palesi.  Gom*  è  possibile  in  fatti ,  se 
la  religione  di  necessità  si  trasfonde  nel  mondo  esterno,  che  o 
in  bene  o  in  male  non  ne  modifichi  i  rapporti?  £  se  non  altro, 
come  negare  la  sua  efficacia  sulla  pubblica  moralità;  della  quale 
sembra,  almeno  sin  qui,  che  non  si  possa  fare  a  meno?  Pogna- 
mo,  non  reclii  quella,  se  non  funesti  effetti  (che  cosa  non  con- 
cedo io  a'  miei  avversari?)  per  lo  meno  converrà,  provveda  lo 
stato  a  scliermirsene.  Permetterebbon  eglino  dunque,^ che  la  setta 
de'  mormoni  varcasse  l'Atlantico  e  venisse  qui,  ove  le  cose  enor- 
mi si  raunano,  a  piantar  le  sue  tende?  0,  se  la  costoro  poliga- 
mia, benché  contraria  alle  nostre  leggi,  non  desse  loro  fastidio, 
lascierebbon  V  Italia  divenir  musulmana  ;  onde  potesse  alle  altre 
sue  sventure  aggiungere  col  fatalismo  quella,  che  il  rimediare  a 
tutte  divieta?  Io  vuo'  sperare,  che  no:  ma  in  questo  caso  egli 
ammeiierebbono,  che  vi  possono  essere  tai  sistemi  di  credenze, 
pe'  quali  un  popolo  si  può  ridurre  a  un  branco  di  schiavi  irredi- 
mibili; e  che  si  ha  diritto  di  contrapporsi  a  tanta  nefandità.  Or 
bene  suppongano ,  vi  sia  appunto  nella  patria  nostra  quel  tale 
istituto,  di  cui  ho  testé  parlato.  11  quale  o  i  cui  falsi  depositari 
osteggiano  apertamente  il  nuovo  stato:  le  cui  massime  sono  in 
contraddizione  coir  indirizzo  de'  tempi ,  e  la  cui  poderosa  forza  è 
scemata  ;  ma  non  venuta  meno.  E  di  giunta  cotanto  disteso ,  che 
Don  solamente  tutt'  i  cittadini  accoglie  nel  suo  grembo  ;  ma  tra- 
passa le  frontiere,  e  si  alimenta  e  corrobora  in  ogni  angolo  del 
globo.  Via,  poiché  sono  uomini  pratici,  od  almeno  vogliono  pa- 


-266- 

rerlo,  come  trascurare  un  tale  istituto,  e  dire,  che  non  gli  ri- 
guarda? Impedire  noi  possono  :  e  dunque,  se  un  si  forte  rivale,  e 
proprio  in  casa,  debbono  tollerare,  bisognerà  bene  amicarselo,  o 
se  non  altro  contenerlo  in  guisa,  che  non  gli  schiaccL 


CLXXXL  Ck)noetto  olaadoo  delle  reHgrioiii 

Entrato  cosi  nel  campo  stesso  de'  miei  avversari,  io  confido 
di  avergli  in  quelle  loro  trincee  della  chiesti  lìbera  e  dello  stato 
ateo  debellati.  Ma  come  mai  ha  potuto  nelle  teste  di  si  illusiri 
uomini  capire  cotanto  assurdo,  che  non  merìtei'ebbe  pur  d'essere 
discusso;  se  oggidì,  atterrati  i  baluardi  dell'  umano  pensiero,  non 
occorresse  provare  eziandio ,  che  T  acqua  bagna  e  il  fuoco  ab- 
brucia ?  Spiegherò  anche  questo  :  ma  necessariamente  con  un  pò* 
di  storia  ;  e  constatando  sopra  tutto  la  diderenza,  che  intercede  tra 
il  sentire  classico  e  barbarico  in  punto  di  religione,  e  su'  relativi 
stabilimenti.  Le  inclite  stirpi  italogreche ,  eh'  erano  già  elle  me- 
desime imparenUite  co'  numi,  e  nella  cui  famigliarità  viveano,  noD 
gh  considerarono  come  enti  troppo  superiori  agli  uomini,  e  non 
sopra  tutto  come  enti  crudeli  e  implacabili.  Leggiadri  io  vece  e 
foUeggianti  come  i  sogni  della  giovinezza  doveano  essere  i  numi 
ai  greci ,  e  della  patria  e  della  fortezza  campioni  agi'  itaU  ;  e  agli 
uni  e  agli  altri  indulgenti  e  sorridenti,  fra  le  inenarrabili  traver- 
sie umane,  cui  non  aveano  saputo  impedire.  SubUmi  creazioni 
ideali ,  simboli  eterei  d'immortali  speranze ,  aspirazioni  indomabili 
dell'  anima  all'  infinito  e  all'  eterno ,  esprimevansi  le  forme  loro  e 
narravansi  le  lor  vicende  con  piena  libertà  da  ogni  artefice  e  poe- 
ta :  però  non  si  definivano  dogmi  incomprensibiU  a  loro  riguardo. 
Sebbene  fossero  in  soverchio  numero ,  «  la  reUgion  pagana ,  col 
suo  moltiplicare  sterminatamente  gU  Dei ,  e  col  fare  del  cielo  una 
quasi  repubbUca,  e  sottomettere  Giove  stesso  alle  leggi  dd  fitto, 
e  ad  altri  usi  e  privilegi  della  corte  celeste,  dovea  essere,  e  Ai 
in  fatti,  assai  favorevole  al  viver  Ubero.  La  giudaica,  e  quindi  la 
cristiana  e  maomettana ,  coli'  ammettere  un  solo  Dio ,  assoluto  e 
torri bil  signor  d'ogni  cosa,  doveano  essere,  e  sono  state, e^sono 
tuttavia  assai  più  favorevoli  alla  tirannide  ».  Questo  scrisse  Vit- 
torio Altieri  (Tirannide^  1,  8)  :  ma  è  per  altro  un  fatto,  che  i 
nostri  primi  avi  non  credettero,  fossevi  niente  di  male,  se  i  numi 
erano  parecchi.  Egli  credevano  inoltre,  che  sin  quelli  delle  ai- 


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tre  religiooi  fossero  parimente  veri  e  venerabili  :  e  i  romani  anzi 
se  gli  facevan  propri;  desiderando,  anche  a'  piedi  d'una  comune 
ara ,  la  sparsa  umanità  ricongiungere.  Quali  e  quanti  fossero  del 
resto,  e  quali  e  quanti  attributi  avessero,  chi  lo  sa,  dicevano 
egUno ,  e  chi  lo  può  sapere  ?  Come  più  alto  segno  d' onoranza  india- 
vano poi  gli  eroi ,  gr  imperatori  e  in  certo  modo  quasi  tutt'  i  morti 
(inani):  tanto  che  gU  appellativi  di  divo  e  beato,  ad  uomini,  non 
si  abbandonarono  nemmanco  dopo  introdotto  il  cristianesimo.  Impe- 
rocché di  poco  r  adorazione  loro  ai  vivi  differiva  da  quella  a' 
morti  deiiìcati ,  e  agli  altri  dei  e  semidei  ;  e  sopra  tutto  importava 
una  riverenza  formale,  e  non  implicava  mai  un  giogo  della  coscienza. 
La  religione  inoltre  non  consideravano  cosa  individuale,  come 
ora  (specialmente  presso  le  sette  protestanti);  ma,  come  V  indica- 
vano col  suo  nome,  universale  e  comune  per  eccellenza.  Ai  sacri  , 
riti  doveva  quindi  ognuno  partecipare,  quaU  sacre  cose  della  re- 
pubblica ,  e  patti  solenni  dell'  umana  alleanza  :  né  doveva  sulla 
esistenza  degl'iddìi  contendere.  Infrangendo  il  qual  precetto  So- 
crate venne  condannato  :  quantunque  del  rimanente  il  credere  que- 
sto 0  quello ,  e  il  non  credeiTi ,  ed  anche  V  inventare  a  carico 
dell'  Olimpo  tutte  le  fole  possibili ,  fosse  in  balia  di  ciascheduno. 
Non  solamente  le  guerre  per  imporre  o  per  distruggere  una  re- 
ligione ,  prima  del  loro  contiitto  colle  giudaiche  superstizioni ,  e- 
rano  agli  antichi  ignote.  Ma  non  concepivano  pure,  si  potesse 
sul  serio  prendersela  colle  credenze  altrui:  tanto  più  che  quelle 
loro  non  erano  credenze,  se  non  per  un  modo  di  dire.  Aveano 
cioè  templi,  cerimonie  e  preci,  libri  liturgici,  auguraU  e  sibil- 
lini, feste,  oracoli  e  iniziazioni,  e  tutto  quel,  che  volete:  senza 
che  i>er  ciò  una  teologia  propriamente  detta  possedessero.  Non 
si  trattando,  se  non  di  quella,  che  poi  si  disse  mitologia;  in- 
vocavano quindi  que'  loro  numi,  come  a  un  di  presso  poi  sem- 
pre i  poeti.  I  quali  invocano  tuttavia  e  invocheranno  ognora  A- 
|)ollo  e  le  nove  suoi'e  del  Parnasso,  forme  eterne  e  infinite  del 
bello,  come  se  le  fossero,  e  più,  che  se  le  fossero  reali.  E  i 
quali  an/i ,  Un  quasi  a  memoria  nostra ,  usavano  premettere  a'  lor 
versi ,  che  non  credevano  agi'  iddii  invocati  :  perchè ,  s' ei  sonò 
poeti  ^egni  del  nome,  danno  a  sospettar  forte,  che  vi  aggiustino 
fede  davvero. 


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CLXKKII.  Bsenpio  odierno  di  gentiledmo. 

Ora,  per  darvi  una  migliore  idea,  o  benigni  lettori,  di  che 
natura  fosse  quel  culto,  mi  soccorre  un  secondo  esempio,  che 
non  potrebb'  esser  più  acconcio  ;  giacché  appunto  non  è ,  che  un 
avanzo  indestruttibile  di  esso.  Chi  lo  crederebbe,  che  quelli,  cui 
i  romani  appellavano  «  dei  del  campo  » ,  e  collocavano  nelle  prin- 
cipia (  0  in  luoghi  immuni  e  in  appositi  tabernacoli ,  ove  i  ge- 
nerali rendevan  ragione  e  i  soldati  riverenza),  e  seguivano  le 
maggiori  azioni  di  guerra  ;  chi  lo  crederebbe ,  che  anche  negli 
eserciti  cristiani  sono  tuttodì  venerati  con  una  religione,  che  non 
cede  all'antica  e  supera  la  moderna?  Abbiamo  mutato  il  labaro, 
le  aquile,  le  immagini  e  le  altre  insegne  delle  pagane  legioni  in 
bandiere:  ma  queste  non  sono  meno  sante  oggidì  di  quegli  aviti 
numi  castrensi.  Credono  forse  i  nostri  soldati,  che  i  lembi  di  seta, 
onde  sono  formate ,  e  le  aste  lignee ,  da  cui  pendono ,  costituiscono 
propriamente  una  deità ,  e  discutono  eglino  sulla  medesima  ?  Non 
certamente ,  come  appunto  gli  avi  nostri  non  discutevano  su  tutti  gli 
altri  lor  numi  di  marmo  o  di  bronzo.  Ciò  non  ostante,  questi  segna- 
coli della  patria  e  della  gloria  sono  tuttavia  da  loro  in  tal  guisa  ono- 
rati, che,  anche  quando  spregiano  gli  altri  idoli  del  volgo;  questi 
gU  accendono  a  virtù  e  a  sacrifici,  cui  iiiun  altro  nume  è  più  io 
grado  di  suscitare.  Giurano  eglino  ancora  innanzi  alle  lor  bandie- 
re, come  si  giura  innanzi  al  cielo:  sfavillano  di  gioja,  quando  il 
buon  alfiere  nella  mischia  le  inalbera  o  sugli  spalti  le  pianta;  e, 
quanto  più  lacere,  tanto  più  adorabili,  le  fregiano  co'  propri  lauri 
e  a  prezzo  del  proprio  sangue  le  difendono.  Cosi  i  cristiani  idoli 
con  inutile  culto  venerati,  si  stanno  nelle  lor  nicchie  inerti;  o, 
sgomentando  con  pene  e  allettando  con  premi  oltramondani ,  fifh 
bilitano  e  santilicano  f  egoismo.  Ma  non  si  può  oggi  più,  se  non  eoo 
queste  pagane  reliquie,  persuader  fuomo  a  scordarsi  di  sé  mede- 
simo, e  a  sublimarsi  Ono  al  punto,  di  dare  in  olocausto  la  pro- 
pria vita  al  pubbhco  bene  con  animo  lieto  e  con  balda  frome. 
Colale  era  V  antica  reUgione  ;  e  cotanto  (  lo  si  sente  )  vera  netta 
sua  falsità  e  imperitura  nella  sua  caduta,  clf  ella  sola,  admen  sol 
campo  di  battaglia,  pareggia  i  fiacchi  uomini  moderni  ai  pri- 
schi eroi. 


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CLXXXni.  Contrasto  tra  gontilesimo  o  giudaismo. 

Se  non  che,  mentre  al  romano  impero  occorrevano  le  più 
maschie  virtù  per  contrapporsi  alle  minacciate  invasioni  dal  set- 
tentrione, e  la  maggior  concordia  per  tenere  in  assetto  le  vaste 
membra;  TAsia,  che  poco  prima  colle  sue  sozzure  avea  spaven- 
tosamente corrotto  i  nostri  maggiori ,  compiva  Y  opera  (  come  ho 
sopra  accennato),  dividendone  gli  animi  e  recidendone  i  nervi 
con  le  sue  superstizioni.  Alcuni  fanatici  galilei  o  siri,  franten- 
dendo  una  divina  impresa  o  falsando  una  divina  leggenda,  di- 
scordi tra  loro  medesimi,  irrequieti,  litigiosi,  temerari,  violenti, 
giunsero  a  perturbare  la  civil  quiete  e  a  disfidare  lo  stesso  impero. 
Confusi  da  prima  co'  giudei ,  benché  causassero  uno  scisma  tra' 
medesimi ,  e  avviluppali  nell'  universale  aborrimento  verso  costo- 
ro, benché  poscia  si  chiamassero  cristiani;  eccitarono  tosto  lo 
sdegno  e  il  raccapriccio.  Gh'  eglino ,  sin  ne'  famosi  tempi  aposto- 
lici ,  non  fossero  punto  adorni  di  quelle  doti ,  che  ora  si  vantano, 
ed  anzi  formassero  allora  la  feccia  della  popolazione,  si  scorge 
abbastanza  chiaro  dagli  Atti  degli  apostoli,  dalle  Epistole  di 
Paolo  e  dalla  slessa  Apocalisse,  Cornelio  Tacito,  testimone  de' 
primi  lor  passi,  raccogliendo  i  ricordi  e  le  esperienze  dell'anti- 
chità, dice  de' loro  progenitori,  che,  cacciati  dall'Egitto  come 
una  «  genia  odiosa  aUi  iddii  »,  persuasi  da  Mosé,  che  «  da  tutti 
erano  abbandonati  »,  e  tenuti  dagli  assiri,  persi  e  medi  «  i  più 
vili  fra  tutti  i  suggelli  »;  aveano  «  ordini  a  tutti  altri  contrari  » 
e  anche  «  sinistri  e  laidi  »,  e  cerimonie  «  strane  e  schife  »  e 
«  stravaganti  costumi  ».  Onde  conclude,  come  fossero  «  gente 
superstiziosa,  non  religiosa  »;  e  «degli  altri,  nimici  mortali,  co' 
quah  ne  mangiare  usano  né  dormire  »  {Storie,  V,  1-13).  E  que- 
sto medesimo  autore,  pur  cotanto  calmo  e  imparziale,  mentre 
avTenta  si  infocali  e  aculeati  dardi  contro  i  giudei;  quando  Ne- 
rone fece  de'  cristiani  il  primo  scempio,  falsamente  accusati  d' a- 
vere  incendiato  Roma,  narra  come  «  gran  turba  di  nominali  da 
quelli ,  non  come  colpevoli  nell'  incendio ,  ma  come  nimici  al  ge- 
nere umano  »  fu  spenta;  e,  pur  compiangendogli,  gli  chiama 
«  meritevoli  d'ogni  novissimo  supplizio  »  (^nnaK,  XV,  44).  Le 
orride  poiv^cnzioni  posteriori,  quantunque  esagerate  di  molto  da 
scrittori  santi,  le  cui  falsità  sono  proprio  triviali;  accomunate  a 


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sette  rivali  e  avverse,  e  non  difficili  a  concepirsi,  quando  i  più 
nobili  senatori  e  cavalieri  sotto  quel  mostro  e  i  predecessori  e  i 
successori  doveano  pel  gentilesimo  con  pari  fortezza  perire;  e 
cui  del  resto  essi  medesimi  provocavano,  atterrando  delubri,  ol- 
traggiando simulacri  o  per  lo  meno  invocando  frenetici  il  marti- 
rio: si  spiegano  per  quella  «  nimicizia  al  genere  umano  »  loro 
attribuita.  La  quale  appunto  segna  l'abisso  tra  il  sentir  religioso 
italogreco  e  il  giudaico,  che  poi  invalse  e  permane;  comunque  affie- 
volito nel  galileismo,  e  dalla  superstite  romanità  temperato.  La 
tolleranza  religiosa  de'  romani ,  eh'  è  stata  del  resto  una  gran  causa 
del  primo  diffondersi  del  cristianesimo,  è  troppo  nota,  perch'  io  m' in- 
trattenga a  documentarla.  E  dunque  vi  vollero  ben  gravi  motivi, 
perch'  ei  si  determinassero,  quantunque  in  tanta  degradazione,  ad 
abbandonarla.  Ammirando  le  sublimi  dottrine  ne'  vangeli  raccol- 
te, e  adorando  il  divino  maestro,  che  le  bandì  dalla  croce:  per 
giudicare  ora  di  questi  gravi  motivi,  noi  dobbiamo  prescinderne. 
Ma  guardare  in  vece  a  que'  suoi  detestati  connazionali  e  a  que' 
suoi  supposti  seguaci,  che  in  Antiochia,  Alessandria  e  Roma, 
sentine  allora  d'ogni  vizio  e  gran  centri  di  giudaica  infezione, 
calarono;  e  porci  nel  punto  di  vista  della  romana  polizia.  La 
quale ,  prima  di  tutto,  gli  trovava  divisi ,  più  assai  di  quello  sieno 
presentemente  nelle  tre  confessioni  latina,  greca  e  germanica:  e 
sapere  chi  di  essi  fosse  ortodosso  e  chi  no,  priva  della  mistica 
luce ,  non  poteva.  Se  già ,  vivente  Cristo,  l' eresia  non  era  inco- 
minciata con  Giovanni  e  con  Giuda;  tosto  asceso  al  cielo,  le 
eresie  più  disformi  e  più  enormi  con  Simone,  Menandro,  Saturni- 
no, Basilide,  Corinto,  Einonc  e  cent' altri  pullularono.  Fin  nel  mag- 
gior fiore  del  cristianesimo,  per  non  dire  delle  minori  comunioni, 
la  chiesa  era  fra  atanasiani  e  ariani  scissa.  I  quali  ultimi  anzi 
in  un  certo  momento  prevalsero,  e  portarono  primi  la  luce  evan- 
gelica, oltre  i  limiti  dell'impero,  ai  goti,  ai  vandaH  e  ai  longo- 
bardi. Sta  bene ,  che  il  concilio  niceno  nell'  anno  325  di  Cristo 
gli  condannasse  :  ma ,  se  anche  allora  ninno  con  umani  argomenti 
poteva  fra  Ario  e  Atanasio  decidere,  come  nella  confusione  ante- 
riore potealo  la  polizia  romana?  E,  se  alcuni  di  que*  primi  cri- 
stiani, quali  i  nicolaiti,  i  gnostici  e  particolarmente  i  carpocra- 
ziani  (  a  detta  degli  stessi  padri  della  chiesa  )  commettevano  brut- 
ture e  nefandità  taU,  da  non  potersi  qui  descrivere;  se  mutut- 
mente  si  rinfacciavano  orrori  od  orrori,  di  che  ognuno  può  ne* 
predetti  padri  avere  un  saggio,  e  si  denunciavano,  scomiuiictwio 


—  271  - 

e  maledicevano  con  libelli,  scongiuri  e  imprecazioni  sino  allora 
inaudite;  qual  meraviglia,  che  i  magistrati,  confondendogli  irà 
loro  e  co' giudei  puri,  gli  reputassero  del  pari  esecrabili? 

GLXXXIV.  Essensa  propria  del  gr^^oismo. 

Né  basta:  le  loro  dispute  teologiche  non  erano  per  ventura 
questi  affatto  in  grado  di  capire:  ma  de'  buoni  e  de' rei,  se  gli 
avesser  potuto  distinguere ,  vedevano  bene  all'  infuora  troppe  cose, 
che  sembravano  ree.  Que'loro  riti  pieni  di  mistero  e  quelle  im- 
magini piene  di  spavento;  quelle  notturne  e  sotterranee  congre- 
ghe e  que' segni  e  motti  di  equivoca  segreta  intesa,  di  che  sono 
zeppe  ancora  le  catacombe;  quel  loro  coabitare  co' cadaveri,  quel 
convertii-e  le  tombe  in  altari  e  quel  venerare  le  umane  ossa; 
quella  indifferenza  alle  gioje  comuni ,  quelle  faccie  non  mai  schiu- 
se al  sorriso,  quelle  vite  immerse  nella  ignavia  e  quelle  anime 
annichilite  nelle  tetraggini  della  morte...,  davano  già  a  dive- 
dere, ch'essi  non  consentivano  col  resto  de'  mortali.  Rifiutando 
inoltre  d'adorare  le  sacre  cose  dell'impero,  divenute  sacre  cose 
dell'umanità,  predicendone  la  imminente  mina,  proclamando  sé 
soli  infallibili  e  impeccabiU,  e  tutti  gU  altri  erranti  e  reprobi, 
ed  anzi  (frase  lor  prediletta)  «  figli  del  diavolo  »;  vituperando 
(juelle  are  e  que'  riti ,  eh'  esser  doveano  della  concordia  civile  e 
umana  fondamenti  e  vincoli,  e  dislegando  gU  animi  con  quella 
religione,  che  gli  doveva  per  contrario  legare;  torcendo  dall'au- 
torità pubblica  r  ossequio  a'  loro  propri  clandestini  capi,  reputan- 
dosi contaminati  dal  praticare  cogli  estranei,  aborrendo  dalla  vita 
civile  e  quasi  anco  T  umana  abominando,  e  compiacendosi  e  quasi 
gavazzando  nella  ebbrezza  del  finimondo...,  consumavano  il  gran- 
de divorzio.  Cose  fino  allora  inaudite  credevano  e  diffondevano:  e 
sopra  tutto,  che  la  coscienza  fosse  a  un  giogo  indiscutibile  e  in- 
frangibile sottomessa;  che  non  al  presente  stato,  ma  ad  uno  ulte- 
riore si  dovesse  unicamente  pensare;  e  che  le  facoltà,  le  inclina- 
zioni e  i  sospiri  tutti  dell'anima  rivolgere  alla  cura  di  salvarsi, 
ognuno  per  suo  conto,  al  di  là  de'  sepolcri.  Quelle  forze  umane,  su 
cui  fino  allora  faceasi  fondamento  per  superare  le  pugne  dolorose 
dell'esistenza  e  per  vincere  gh  avversi  fati,  venivano  logorate  e 
rintuzzate  dalla  persuasione  in  una  diretta  e  continova  azione  de' 
cieli,  e  da  una  invocazione  cotidiana  e  assidua  di  miracoli.  E 


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quelle  virtù  pubbliche ,  in  cui  gli  autichi  faceano  quasi  ogni  virtù 
consistere ,  perchè  attuose  e  proficue ,  e  uniche  capaci  d*  infiam- 
mare ne*  singoli  petti  lo  spirito  delF  umanità  e  di  sospingere  gli 
uomini  finora  immolarsi  per  conto  altrui;  divenivano  scellerate 
e  biasimevoli.  Bisopava  in  vece  raccogliersi  entro  sé  medesimi, 
delle  cose  esteriori  non  curarsi ,  rassegnarsi  ad  ogni  calamità  e 
ad  ogni  prepotenza,  e  commettersi  a  una  provvidenza  imperscru- 
tabile. Tanto  più  santi,  quanto  più  si  sfuggiva  di  agire,  di  patire 
e  di  amare  cogli  altri,  e  in  astinenze,  digiuni,  mortificazioni, 
penitenze,  corrucci  e  in  altre  tali  pratiche,  che  agli  osservatori 
procacciano  forse  il  paradiso,  ma  ad  altrui  niente,  su  sprofonda- 
va. I  più  perfetti  anzi,  ripudiando  patria  e  famiglia ,  dichiaravaoo 
guerra  a'  due  massimi  cardini  del  convivio  sociale  :  e  tutti  senza 
eccezione  V  osteggiavano  con  affetti  e  propositi  direttamente  con- 
trari. La  carne,  il  corpo  e  il  mondo  erano  divenute  cose  empie 
ed  impure:  onde,  dopo  avere  lo  spirito  dalla  vita  attiva  e  collet- 
tiva bandito,  come  non  ci  fosse  oltre  e  sopra  Y  uomo  Y  umanità, 
ed  oltre  e  sotto  il  cielo  la  terra ,  lo  bandivano  alla  fine  dalla  stessa 
natura.  Via ,  siamo  giusti ,  con  queste  nuove  virtù  si  poteva  forse 
alla  propria  e  oltramondana  felicità  provvedere;  ma  alla  generale 
e  mondana  non  certamente.  0  al  più  si  poteva  preparare  gii 
uomini  a  un'esistenza  strasociale,  privandogli  di  quelle  passioni, 
che  rendono  la  società  costituita  necessaria  :  ma  si  esulavano,  se 
così  lice  esprimermi  da  questa,  ed  ogni  sociale  istituto  demo- 
li vasi. 


CLXXXV.  Relnttansa  del  granieismo  agti  ordini  dvilL 

È  cosi  poco  vero,  che  il  cristianesimo  restaurasse  la  mora- 
lità romana,  che  questui,  in  onta  a  quello,  rìdestossi  e  cadde;  e« 
prima  di  cadere  nella  barbarie,  ridestossi  con  le  proprie  forze, 
mandando  un  ultimo  fulgore.  Ho  già  rammentato,  che  sotto  i  Flavi 
e  gli  Antonini  potè  l'impero  ancora,  fuori  deir azione  cristiana, 
rialzarsi,  dilatarsi,  decorarsi,  ed  anzi  aggiungere  il  massimo  apo- 
geo; mentre  appresso,  non  ostante  la  medesima,  minò.  I  bravi 
soldati  e  i  chiari  giureconsulti,  cioè  i  men  degeneri  romani,  non 
già  colle  orientali  ascetiche  stravaganze;  ma  solamente  colla  pri- 
sca disciplina  e  colla  stoica  sapienza  poterono  ancx)ra  onorare, 
in  quella  gran  catastrofe,  il  genere  umano.  £  sul  trono  (cui  Co- 


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stantino,  instauratore  degno  della  nuova  religione,  tramutava  e 
macchiava  col  sangue  della  moglie  e  de'  figli  e  con  altre  domesti- 
che stragi  );  de'  due  più  valorosi  e  immacolati  uomini ,  che  splen- 
dettero, pugnando  e  insieme  filosofando,  T  uno  lo  precedette,  e 
fu  pur  esso  di  quella  religione  nemico  ;  V  altro  lo  segui ,  e  ne  fu 
spregiatore.  Io  so,  che,  mentre  la  fama  di  Marcaurelio  vive 
ognora  gloriosa,  quella  di  Giuliano  imperatore  giace  tuttavia  dal 
dente  di  san  Gregorio  nazianzeno  (che  intitolò  santamente  Invet- 
tive le  proprie  orazioni  contro  il  suo  principe  )  e  degli  altri  santi 
calunniatori  lacerata.  Ma  chiunque  considera  le  opere  e  le  gesta 
di  Giuliano,  e  tanta  austerità,  tanta  purezza,  tanta  fortezza,  tanta 
mansuetudine  in  lui  cesare,  soldato,  pensatore,  oBéso;  sente  per 
esso  tanta  ammirazione,  quanto  pe'  suoi  avversari  (che  prima  per 
la  sua  misericordia  insolentirono,  e  poscia  per  la  sua  morte  da 
eroe  sul  campo,  come  jene  ne  addentarono  la  memoria  )  inespri- 
mibile ribrezzo.  S'  egli  errò ,  fu  unicamente  in  confidare ,  che 
queste ,  cui  egli  reputava ,  «  follie  de'  galilei  )>,  si  potessero  col- 
r  elleboro,  spuntata  la  scure,  curare;  e  nel  non  avere  disperato 
della  civile  virtù  e  dell'  umana  ragione.  Eccettuatine  alcuni  savi  e 
alcuni  guerrieri,  già  eransi  queste  follie,  come  i  baccanali  e  i  mi- 
steri della  dea  Iside  innanzi,  e  come  per  un  contagio  incurabile, 
dal  tugurio  alla  reggia  propagate:  né  vi  erano  più  altri  Giuliani 
nel  mondo.  Il  ferro  e  ogn'  altro  mezzo  violento  o  non  violento  non 
potendo  più  cangiare  gli  spiriti,  il  riconoscerle  come  religione 
delV  impero,  quando  pur  non  fosse  stata  in  Costantino  astuzia 
di  stato  0  scusa  di  tradimento ,  diveniva  omai  pe'  suoi  successori 
necessità.  La  persecuzione,  come  sempre  incontra,  aveale  rese 
gagliarde,  ammirabili,  onnipossenti:  onde,  si  disse,  che  vinsero 
in  grazia  del  martirio.  Questo  però  non  sarebbe  seguito  e  non 
avrebbe  bastato,  se  una  causa  giusta,  la  massima  causa  del  ge- 
nere umano,  a  cui  son  sacre  in  parte  anche  queste  pagine,  non 
avessero  accarezzata.  Il  cristianesimo  trionfò,  perchè  promise  a 
tutti  gli  uomini  uguaglianza,  e  chiamò  a  sé  (comunque  vanamente)  * 
tutti  gli  afllitti,  i  derelitti,  i  vinti,  gli  oppressi,  i  miserabiU,  gli 
schiavi,  i  fuggiaschi,  i  peccatori,  i  dehnquenti,  gl'infami:  facen- 
do loro  intravedere  un  rivolgimento,  mercè  cui  i  felici  d'oggi 
sarieno  i  dannati  del  dimani,  e  gl'infelici  i  beati;  e  afirateman- 
dogli  poi  tutti  a  si^o  modo,  se  non  più  innanzi  alla  vita,  almeno 
innanzi  alla  morte.  Avvegnaché  per  un  certo  lasso  si  sperò  in 
una  rinnovazione  del  secolo,  nel  quale  i  vivi  e  i  risorti  avrebbero 

18 


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quaggiù  costituito  un  regno  di  semplici  e  d' ignoranti  molto  sin- 
golare: e  se  ne  attendevano  d'ora  in  ora,  e  già  se  ne  indicavano 
i  segni  e  i  nunci  certissimi.  Se  non  che,  espugnata  Gerusalenune 
da  Tito  e  trascorso  un  lungo  periodo  di  tempo,  senza  che  Y  apo- 
calittica aspettazione  d'un,  regno  terrestre  s' avverasse ,  si  dovè 
questo  in  celeste  cangiare.  Onde  si  confessò  alla  flne,  che  noo 
si  trattava  più  d' un  consorzio  prodigioso  su  questo  pianeta,  e 
d' uomini  in  carne  ed  ossa  ;  sibbene  d' un  consorzio  mistico  altro- 
ve, e  di  nude  anime.  Con  la  qual  trasformazione  del  primitivo 
disegno  (che,  a  chi  considera  la  storia  della  primitiva  chiesa  e  i 
documenti  anche  monchi  e  adulterati ,  che  ne  rimangono,  eviden- 
tissima si  manifesta),  la  promessa  potè  non  apparir  vana,  e  pro- 
seguir sempre  sino  ad  oggi  senz'  apparirlo.  Intanto  quella  «  buona 
novella  »  o  quella  divina  utopia ,  ond'  era  sorto  il  cristianesimo, 
veniva  cosi  del  tutto  abbandonata.  Rimaneva  in  vece  F  ansiosi 
preoccupazione  della  morte  sostituita  al  fervore  operoso  della  vita, 
il  ripiegamento  individuale  air  espansione  collettiva,  la  scissione 
religiosa  alla  concordia  civile,  la  fede  alla  ragione,  il  sopranna- 
turale al  naturale.  E  tant' altre  cose  rimanevano,  che,  se  le  fos- 
sero credute  davvero,  come  si  dice  di  crederle,  e  realmente  o 
completamente  osservate,  non  sarebbe  stata  più  possibile  alcuna 
società  costituita. 


GLXXXVl.  Corresione  paniale  del  galileUme. 

Per  ventura  al  contatto  di  Roma,  per  quanto  la  trovassero 
spossata  e  stremata,  e  giungessero  anche  a  sopraffarla,  trovarono 
quella  poderosa  plastica  di  sociale  organismo,  che  le  temperò  e 
corresse  alquanto  ;  e  preservò  e  preserva  il  mondo  cristiano  ogno* 
ra.  Che  io  non  nego  la  virtuale  efficacia  del  cristianesimo  nel 
migliorare  V  uomo  interiore ,  e  né  sopra  tutto  quella  de'  VangtU 
per  inondar  gli  uomini  tutti  d'amore  ineffabile.  Ma,  tranne  tale 
misteriosa  iniziazione,  a  cui  del  resto  non  sono  punto  ammessi  i 
profani;  se  la  società  nuova  sta  in  piedi,  voglia  o  non  vogliasi,  è 
in  grazia  degli  ordini  vetusti  sopranissuti.  E,  se  questa  dvillà 
classica  corrotta,  cui  si  addimanda  cristiana,  è  ancora  la  pik 
fiorente,  per  non  dire  unica  al  mondo,  e  se  il,  mondo  allo  scettro 
d' Europa  soggetto ,  non  è  già  per  le  asiatiche  ubbie  e  i  noitlid 
dissidi.  Bensì  per  le  reliquie  della  civiltà  italogreca,  di  Rooii 


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spai*se,  dal  papato  romaQO  serbate  e  dalF  Italia  romana  dissep- 
pellite. Oh,  non  sono  forse  le  lettere  e  le  arti,  al  di  fuori  e 
contro  il  giudaico  e  barbarico  influsso,  per  opera  nostra  risorta? 
Non  sono  le  leggi  ancora,  e  in  buona  parte  gli  ordini  della  mi- 
lizia e  delle  città,  e  tutti  gli  elementi  e  le  basi  del  vivere  com- 
posto e  fermo,  romani  e  pagani?  Certo,  che  il  lituo  orientale  e 
la  settentrional  picca  scossero  e  scrollarono  la  eccelsa  mole:  ma 
quel,  che  torreggia  di  grande  e  di  glorioso  in  sulla  terra,  sono 
ancora  le  sue  macerie.  Io  forse  non  posso  trasfondere  in  altrui 
questa  convinzione:  poiché,  mentre  debbo  rifar  la  storia  a  rove- 
scio degli  altri,  il  tema  di  questo  libro,  che  di  essa  si  suffraga, 
ma  non  è  esclusivamente  storico;  non  mi  consente,  se  non  rapidi 
e  concitati  cenni.  Sono  per  verità  contrari  a  quella  storia,  che  ci  si 
è  On  qui  narrata  :  appunto  perchè  falsamente  ;  e  perchè  le  calunnie 
neogiudaiche  e  neol)arbariche  accumulate  per  diciotto  secoli,  da 
cui  non  si  poterono  gr  incliti  estinti  difendere,  ed  ora  rese  vie 
più  arroganti  ed  erudite,  son  divenute  articoli  di  fede  e  oracoli 
di  sapienza.  È  naturale  del  resto,  che  gli  avi  nostri  da  nemici 
vili  e  da  discepoli  ingrati  prima  dovessero  essere  vituperati;  e 
poscia  da  eredi  indegni  e  da  posteri  bastardi,  rinnegati.  Dopo  tutto 
parlano  ancora  i  lor  libri  e  monumenti  per  loro;  e  non  è  possi- 
bile sentire  il  divino  impeto  delle  cose  belle  e  forti  senz'  ammi- 
rargli e  benedirgli. 


CLXXXVII.  Gerarchia  romana  preaerfatrioe  della  civiltà. 

Non  appena  Roma  dovette  per  necessità  accogliere  il  cri- 
stiano culto  come  pubblico  istituto,  ne  lo  mutò  e  travisò  in  quella 
forma,  eh'  è  facile  congetturare.  Vi  rimase  certamente  buona  co- 
pia d' indico  ascetismo  e  di  rabbinico  odio ,  cui  non  potè  impe- 
dire, e  a  cui  si  aggiunse  l'ideologismo  platonico  e  la  pedanteria 
alessandrina.  Ciò  non  ostante,  variandone  il  contenuto,  in  buona 
parte  non  si  fé',  che  surrogare  all'  antica  la  nuova  religione ,  al- 
l'antico  il  nuovo  sacerdozio  e,  fìno  a  un  certo  punto,  all'antica 
la  nuova  idolatria.  Uniche  religioni  senza  idoli  rimasero  la  mo- 
saica  e  la  maomettana,  entrambo  di  ceppo  semitico  e  circonciso, 
senza  esser  per  questo  delle  altre  migliori.  Ad  ogni  modo  non 
credevano  i  gentili' avessero  quelle  loro  statue  niente  maggiore 
divinità  0  venerabiUtà  di  quella,  che  poi  si  predette  avessero  le 


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tavole  e  le  tele  poste  in  lor  vece.  Stringeva  bensì  il  cuore,  in 
vedendo  a  que'  numi  del  gentilesimo ,  sfolgoranti  di  maestà  e  di 
grazia,  sostituirsi  sparute  e  dolenti  figure,  estatiche  o  contrite, 
e  traentisi  dietro  le  funicelle  o  gli  arnesi  di  supplìcio;  e  a  que' 
riti  festevoli  di  fanciulle  e  di  fiori,  lugubri  cerimonie:  ma  biso- 
gnava ornai  acconciarvisi.  I  beni  sacri  degli  antichi  auguri  e  fla- 
mini passavano  a'  nuovi  vescovi  e  preti;  e  i  cesari  rimanevano, 
anche  della  cangiata  religione,  pontefici  massimi.  Secondo  gli  usi 
italogreci  e  particolarmente  romani ,  ho  già  detto,  che  i  sac^o- 
tali  uffici  co*  civili  alternavansi ,  i  sommi  nel  principato  e  gli  altri 
di  regola  nel  patriziato;  non  formando  casta,  né  corpo  distinto 
dallo  stato.  Se  non  che  già  la  nobiltà  era  in  un  col  popolo  spo- 
destata: e  fu  mcn  duro  sopportare  un'  autorità,  detta  allora  ^- 
rituale,  che  aveva  si  molte  veUeità  sediziose  ;  ma  alla  fin  fine  era 
a'  magistrati  obbediente,  e  quasi  magistrato  ella  stessa.  Non  avrie- 
no  parimenti  gli  antichi  concepito  una  religione,  che  non  fosse 
stata  della  patria ,  e  che  di  giunta  avesse  avuto  un  carattere  alie- 
no dalla  medesima  e  insieme  mondiale.  Pur  ciò  non  recava  an- 
cora grave  sconcio  ;  giacché  nella  unità  e  universalità  del  romano 
impero  quelle  della  cristiana  chiesa  si  confondevano.  E  ood,  se 
questo  non  si  fosse  sfasciato,  poco  a  poco  le  cose  riducevansi  in 
occidente,  come  si  ridussero  in  oriente ,  al  punto,  che  il  nuovo  isti- 
tuto religioso  non  a>Tebbe  avuto  maggiore  delF  antico  possanza,  né 
molto  diversa  indole.  Ma,  sopraggiunti  i  barbari,  sconnessa  quella 
immensa  compage,  abbattuti  i  civili  stalnlimenti,  e  alla  fine  sog- 
giogati gl'indigeni  e  quasi  in  servitù  tratti;  di  repente  esso  ripi- 
glia una  provvidenzial  forza.  De'  vinti  romani ,  rimasero  i  sacer- 
doti unici  magistrati,  a  un  di  presso  come  i  capi  delle  comunilà 
cristiane  ora  nell'  impero  turchesco ,  custodi  della  lor  ragione  e 
civiltà,  e  tutori  e  tribuni  del  popolo  conculcato.  Attii^ndo  da 
quest'ufficio  tutto  quel  prestigio,  ch'é  facile  concepire,  verso  i 
vìnti ,  e  dalla  coltura  verso  i  vincitori  ;  doventarono  prima  aititri 
tra  gli  uni  e  gli  altri,  e  poscia  col  misterioso  terrore  più  che 
sovrani.  I  vescovi  di  Roma,  se  non  altro  per  quella  lor  sede  etema, 
preeccellevano  già  sugli  altri:  ma  furono  da  ulteriori  drcostuize 
avvantaggiati  si,  che  poterono  raccogUere  i  brani  dello  sfitseiato 
impero.  Quella  parte  d'Italia,  non  soggetta  aMongobardi,  e  in- 
sieme abbandonata  da'  bisantini  imperatori ,  o  infestata  da*  costoro 
esarchi,  trovava  naturalmente  in  loro  i  più  legittimi  e  antorevoli 
difensori.  Estendendo  eglino  quindi  il  ministero  eodesiaalieo  okra 


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la  medesima,  e  colle  missioni  allargandolo  in  tutte  le  oltramon^ 
tane  provincie,  e  da  sezzo  ì  longobardi  ariani  convertendo  alla 
loro  obbedienza;  domarono  gli  stessi  invasori. 


CLXXXYIII.  Gerarohia  romana  restauratrìoe  dell' impero. 

Sebbene  per  un  certo  tempo  nella  dizione  greca  regnassero  quasi 
come  delegati  di  Costantinopoli ,  giunto  era  quello  di  sciogliere 
una  dipendenza,  che  non  giovava  più  né  aU'  Italia,  né  a  loro.  Ne 
colse  il  momento  opportuno  Gregorio  II:  il  quale,  con  pagano  e 
romano  senno  rigettando  quelle  sottigliezze  teologiche  degr  icono- 
clasti, e  raccogliendo  intorno  a  sé  gì'  italiani,  diniego  in  fatto  il 
vincolo  della  fede  al  lontano  e  impotente  despoto  d' oriente  (715- 
731).  Non  restando,  che  di  rivendicarsi  anche  da'  vicini  oppres- 
sori longobardi,  Leone  III,  altro  gran  papa,  salutò  imperatore 
d' occidente  Carlo  magno  (799).  La  fondazione  d' un  regno  nazio- 
nale in  Italia  veniva  cosi  impedita  :  ma  salva  la  romanità  di  que- 
sta provincia,  che  dovea  poi  in  nuove  e  libere  forme  risplendere 
ne'  comuni  ;  e  restaurata  gran  parte  dell'  unità  e  universalità  an- 
tica, sospiri  eterni  degli  italici  petti.  I  papi,  riservandosi  di  consa- 
crare e  d' incoronare  in  Roma  i  transalpini  imperatori ,  in  nome  di 
quel  popolo  romano ,  da  cui  ancora  procedevano  i  lor  diritti ,  e  di 
esercitare  il  lor  primato  giuridico  in  tuli'  i  dominii  de'  medesimi  ; 
n'erano  a  lor  volta  nello  spirituale  confermati  e  nel  tempo- 
rale vassalli.  Fu  in  sostanza,  e  per  quanto  si  potè,  una  rivincita 
del  ronianesimo ,  e  un  ritorno  parziale  a  quelle  idee  civili  anti- 
che, che  formarono  poscia  in  Italia,  per  molti  secoli  ancora,  il 
sogno  e  il  delirio  de'  più  incliti  spiriti.  Non  ostante  anzi  la  trasla- 
zione dalla  natia  contrada  ai  franchi,  e  indi  ai  sassoni,  ai  fran- 
coni  e  agli  svevi  ;  se  i  carolingi  fossero  stati  meno  bigotti  e  meno 
imbecilli ,  e  il  dissidio  nella  natura  barbarica  non  fosse  organico , 
r  impero  si  restaurava  del  tutto.  Nel  novecento  il  papato  tra  le 
fazioni  locaU  e  le  depravazioni  palatine  era  ricaduto,  e  sceso  a 
tal  viltà  e  inconcludenza ,  che  le  cortigiane  ne  lo  distribuivano  a' 
propri  congiunti  e  favoriti.  Mentre  l'impero,  nelle  robuste  mani 
degli  Ottoni  romaneggianti ,  rialzato  cotanto ,  che  le  costituzioni 
romane  riviveano  ;  e  poco  mancò  per  fino ,  non  ne  ridivenisse  Ro- 
ma la  sedia.  Dopo  cinque  secoli  di  barbarica  furia  e  di  unìano 
caos ,  oh  potea  far  di  più  questa  memoria ,  questo  nome  ?  Se  non 


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che  i  belligeri  germaDi ,  quand'  anche  si  fossero  a  tale  rivincita 
rassegnati  degF  itali  inermi ,  quasi  fossero  arrugginite  le  loro  spa- 
de; troppo  mal  comportavano  i  civili  ordini  di  Roma*  U  pafH- 
catarismo  e  Y individualismo ,  di  cui  tanto  si  vantano,  e  per 
cui  sursero  le  loro  monarchie  e  i  loro  feudi  ;  lasciarono  senza  di- 
fesa que'  loro  imperatori,  non  bene  germanici  e  non  bene  italicL 
I  quali  di  giunta ,  benché  qui  venerati  teoricamente  come  succes- 
sori de'  cesari ,  erano  praticamente ,  come  troppo  deboli  per  bar- 
bari, spregiati;  e,  come  troppo  feroci  per  romani,  odiati  Perdu- 
rando oltre  Alpi  la  barbarie  tuttavia,  e  di  qua  il  romanesimo 
ravvivandosi  vie  più  entro  le  mura  cittadine,  il  distacco  si  fé*  più 
forte.  E,  quanto  ingagliardivansi  le  repubbliche  locali,  altrettanto 
priva  di  vita  rimancvasi  la  general  monarchia.  Di  questo  si  ac- 
corse Gregorio  VII,  terzo  gran  papa,  e  romano  spirito;  che  ve- 
dendola sfuggir  di  mano  a'  barbari  guerrieri,  l'avvocò  senz'altro 
a'  preti  romani  (1077).  Alessandro  III,  compiendo  un  secolo  ap- 
presso tale  impresa,  rese  l'impero,  già  a  Canossa  umiliato,  a 
Venezia  illanguidito  si ,  che ,  tranne  il  breve  bagUore  con  Carlo  V, 
e  il  titolo  sopravvìssuto  Ono  a  Francesco  II  d'Austria,  non  fa  di 
poi ,  che  una  larva. 


GLXXXIX.  Tentato  ritonio  al  geatOedmo  aatiea. 

D'allora  in  sino  alle  germaniche  religiose  scissure,  lo  scettro 
di  Roma,  non  ostante  la  protesta  de'  giureconsulti  e  poeti  nostri, 
passò  nella  su^  vasta  e  possente  gerarchia.  E  cosi,  se  per  no 
lato  nascondevasi  in  questa  qualche  cosa  di  romano  e  di  civile, 
per  l'altro  con  questa  si  manifestò  la  cosa  più  antiromana  e  in- 
civile :  il  teocratico  dominio.  Il  quale  del  resto  fu  assai  maggior- 
mente di  là  da'  monti,  che  al  di  qua  subito:  e,  mentre  ivi  di- 
stribuiva e  ritoglieva  corone,  era  cosi  lungo  dal  funestare  i  liberi 
nostri  comuni  (in  cui  quasi  tutta  la  nazional  vita  raccoglieasi )  e 
dall' opprimere  i  nostri  liberi  intelletti,  che  gli  uni  agivano  e  gii 
altri  pensavano ,  come  fuori  del  medesimo,  secondo  le  gentilesche 
ricordanze.  Ne'  comuni  appunto  i  santi  protettori,  sostituiti  agli 
antichi  palladii  e  ancili,  doveano  difender  la  patria  vakMPOsaoieii- 
te ,  sotto  pena  di  essere  destituiti.  E  il  sacro  ministero,  non  cbe 
avere  l'eflìcacia  nel  politico  reggimento ,  che  aveva  oltre  monti,  ina- 
bilitava quivi  a'  magistrati.  I  buoni  pensatori  poi ,  secondo  il 


-279  - 

precetto ,  lasciavano  da  parte  quelle  sublimità  teologiche ,  che  ri- 
pugnavano alla  loro  indole,  e  sulle  quali  è  per  fino  assurdo  vo- 
ler ragionare.  Però,  salvi  i  dogmi  (come  cose  poste  fuori  dell'u- 
mano raziocinio  ) ,  flagellavano  i  gerarchi  sommi  ed  imi  in  quella 
guisa,  che  ognuno  può  ancora  in  Dante,  in  Petrarca  e  in  Boc- 
caccio vedere.  Né  mancavano  per  le  superstizioni  del  volgo  di 
mostrare  un  sovrano  sprezzo  con  una  celia  dolce,  perchè  non  a- 
veva  bisogno  d' essere  amara.  Il  rifiorire  delle  lettere  e  delle  arti 
in  Italia,  secondo  gli  antichi  eterni  esemplari,  dava  forme  pa- 
gane fino  a'  nuovi  idoH.  Ed  iva  paganizzando  una  religione,  icui 
cardinali  chiamava  Bembo  «  padri  coscritti  » ,  e  con  le  cui  giacu- 
latorie Pulci  copriva  il  contrabbando  delle  proprie  capestrerie.  Fin 
nel  mille,  al  tempo  degU  Ottoni,  notavansi  in  Roma  traccio  visi- 
bili deir antico  paganesimo:  superstiti  del  resto  tuttodì  in  quelle 
basiliche  e  nello  stesso  Vaticano  ;  siccome  forse  anch'  oggi  non  è 
del  tutto  spento  colà  tra'  popolani  il  culto  de'  domestici  lari.  Lo 
stesso  Dante,  la  cui  ortodossia  è  (a  detta  de'  cattolici)  irrepren- 
sibile e  la  cui  dogmatica  molto  profonda,  chiama  Giove  il  padre 
eterno,  salva  un  po'  irregolarmente  Catone  dall'inferno,  mette 
l'aquila  romana  in  cielo;  e  pare  avesse  per  Marte  (patrono  della 
sua  città)  altrettanta  divozione,  che  pel  Battista.  Ma,  s'egli  ad- 
dimandava  i  più  illustri  letterati  del  trecento  epicurei  ^  cioè  in- 
creduli; gli  umanisti  del  cinquecento  erano  poco  meno,  che  gen- 
tili :  e  MachiavelU  stima  più  i  vecchi  idoli ,  che  la  «  setta  cri- 
stiana ».  Mentre  del  resto  la  corte  d'Alessandro  VI  ricordava 
(juella  di  Nerone,  la  corte  di  Leone  X  arieggiava  quella  d'Au- 
gusto. Il  papato  stava  per  rendersi  col  nepotismo,  ereditario  o 
gentilizio;  e  parca  proprio,  che  il  cattolicismo  non  fosse  più, 
che  una  solenne  corbellatura  a  que'  buoni  tedeschi,  che  vi  crede- 
vano in  sul  serio,  e  tremavano  pei  fulmini  scritti  sulle  bolle,  e 
pagavano  le  indulgenze  per  acquistarsi  un  cantuccio  nelle  regio- 
ni incognite. 


GXG.  Sentir  religioso  dogi'  italiani  a  modo  daadeo. 

Ciò  non  vuol  dire,  che  qualche  italiano  non  gli  precedesse 
nel  riconoscere ,  come  questa  era  un'  empietà  ;  e  che  ben  più  for- 
temente e  nobilmente  di  loro  affermasse  i  diritti  imprescrittibili 
della  dignità  umana.  Pur,  tranne  pochi  e  solitari  ingepi,  che, 


-280  - 

volendo  considerare  ragionevolmente  le  credenze  religiose ,  ne  le  do- 
vettero rinnegare  e  scontarono  col  capo  il  loro  capitale  errore  ;  i 
più,  sfuggendole,  cercarono  in  vece  di  temperarne  i  mondani  eoce»- 
sL  Sebbene  Arnaldo  da  Brescia  e  Geronimo  Savonarola,  rei  di  ere- 
sie puramente  politiche,  e  sopraffatti  piuttosto  dalla  tirannide  civile, 
che  dalla  religiosa,  fmissero  su'  medesimi  roghi  di  Giordano  Bnmo 
e  di  Lucilio  Vanini  ;  essi  e  in  genere  tutti  gU  altri  pensatori  d' Italia 
si  guardarono  bene  d' entrare  in  un  campo ,  ove  la  ragione  umana 
non  ha,  che  fare.  Bastava  loro  por  mente  alle  conseguenze  prati- 
che della  religione ,  correggere  i  costumi  del  clero ,  emeiidiire  la 
disciplina  della  chiesa  :  del  resto ,  al  di  là ,  chi  ne  può  saper  nien- 
te ?  E  ammesso  dagli  stessi  tedeschi ,  che  questo  nostro  noodo  di 
sentire  è  pagano  :  onde  Erasmo  di  Rotterdam  malam^le  ci  re- 
putò atei  tutti.  Ma  questo  lascia  inviolato  Y  asilo  della  coscienza 
individuale  ;  e  non  impedisce  punto  alla  coscienza  italiana  di  sol- 
levarsi a  un'  idealità ,  a  cui  essi  non  arrivano.  Non  pario  de* 
tempi  cristiani,  ne*  quali  si  potrebbe  dire,  che  T influsso  è  venuto 
d*  altronde  ;  e  ne*  quali  del  resto  il  nostro  Anselmo  d*  Aosta  e  il 
nostro  Tommaso  d'Aquino  dimostrarono,  che  si  sa  fare  i  teologi 
anche  noi,  quando  se  ne  ha  voglia.  Se  non  che  tutta  la  nostra 
storia  protesta ,  che ,  quanto  aborre  la  natura  nostra  dal  negare  o 
provar  quelle  cose,  che  non  le  posson  capire,  se  non  essi  tede- 
schi ,  e  tanto  è  de*  ceppi  della  materia  impaziente.  Crede  vera- 
mente ne*  numi  chi  assorge  a  tale  idealità  sovrumana,  da  cui  è 
ben  discosto  quel  materialismo  moderno,  che,  in  onta  a  certe  a- 
stniserie  metafisiche ,  ha  proprio  nella  Germania  le  sue  più  vidoe 
sorgenti.  Il  presentimento  dell*  immortaUtà  dell'  anima ,  che  poi  à 
disse  «  dogma  platonico  (c,  ben  diverso  e  ben  superiore  alle  cre- 
denze orientali  della  trasmigrazione  degli  spiriti  e  della  risane- 
zione  de*  corpi ,  e  mercè  cui  poscia  quest*  ultima  si  corresse  e 
rese  alquanto  tollerabile  ;  questo  dogma  della  più  alta  nobiltà  e 
delle  più  alte  speranze  umane  è  proprio  delle  schiatte  italogre- 
che ,  che  lo  imposero  al  mondo.  Ed  è  il  testimonio  della  loro  (H 
rìgine  celeste,  e  il  segno  divino  della  loro  eccellenza  su  tutto  fl 
resto  de*  mentali.  Concedono  fino  i  più  ferventi  segnaci  biblici ,  che 
1*  ispirato  profeta  Mosè  ed  anche  il  piissimo  re  Ezechia  non  si 
avessero  della  vita  avvenire  alcun  barlume  (Whately,  Juirocii»- 
sione  alla  storia  del  culto  religioso,  III}.  Ora,  io  non  saprei 
addurre  scritto ,  ove  vi  fosse  più  impeto  d*  idealità ,  e  più  ardeste  e 
inesprimibile  aspirazione  verso  1*  etemo  e  1*  infinito  di  quelto^die 


-  281  - 

un  pagano  filosofo  e  romano  console  dettò  :  il  Sogno  di  Scipione. 
Vissuto  dopo  Platone,  ma  pure  avanti  Cristo,  Cicerone  in  una 
guisa  possente  e  ineffabile ,  cui  niun  cristiano  ha  poi  superato , 
non  dimostra;  mostra  quivi  le  anime  immortali,  e  patria  ultima 
e  vera  de*  virtuosi  il  cielo.  Non  aveano  del  resto  ancora  gli  spi- 
ritualisti farisei  escogitato  contro  i  materialisti  sadducei  quel  loro 
dogma  della  risurrezione  :  credevano  ancora  gli  ebrei  tutti  nelle 
sanzioni  puramente  terrene  del  Decalogo  (paghi  al  più  di  mo- 
rirsi nel  seno  de'  tor  bigami  e  prolifici  patriarchi  )  ;  e  già  i  no- 
stri avi ,  parecchi  secoli  innanzi  Platone  e  Cicerone ,  e  prim'  an- 
cora che  Roma  sorgesse,  credevano  nella  vita  oltramondana.  Ve- 
detelo in  quelle  stele  funeree,  che  il  nostro  sacro  suolo  va  quasi 
ogni  giorno  mettendo  air  aprico  ;  ed  ove  gli  etruschi  figuravano 
i  trapassati  in  biga,  sotto  la  scorta  d'alato  genio,  equitanti  verso 
le  infinite  ed  eterne  dimore.  Ma,  se  tale  presentimento  scorgea- 
gli  e  ci  scorge  ognora  nel  pelago  della  terrestre  vita,  come  ful- 
gido astro  i  naviganti ,  e  subUmava  e  sublima  questa  pensante  e 
palpitante  creta  oltre  il  tempo  e  lo  spazio  ;  non  creava  e  non  crea 
passioni  disumane  e  dottrine  assurde.  Creda  o  miscreda  chiun- 
que a  suo  modo ,  e  secondo  che  prevale  in  lui  il  dio  o  il  bruto  , 
quella  e  le  alti*e  cose  in  tanto  mistero  avvolte  :  basta ,  che  que' 
sacramenti ,  su  cui  poggia  la  concordia ,  non  rivolga  al  dissidio 
delle  genti. 


GXCI.  Bi?inoita  de*  barbari  oontro  il  romineaimo. 

Codesto  il  sentir  religioso  italogreco:  ma  ecco  di  nuovo 
l'opposto  sentire,  mediante  la  gran  foga  dissolutrice ,  pecuUare 
delle  schiatte  germaniche ,  farsi  via.  Pesando  su  queste ,  come  un 
giogo  insopportabile,  ogni  romano  ordine  ;  diedero  esse  prima  al- 
l' impero  in  loro  traslato  (  e  eh'  era  per  le  lor  membra ,  insoffe- 
renti d'assetto  organico,  una  veste  di  Nesso)  colpi  mortali.  Non 
paghe  di  conquassarlo  con  quelle  loro  monarchie  feudali ,  fondate 
sulla  fellonia;  doveano  l'altra  romana  forma  superstite  spezzare, 
con  quelle  loro  confessioni  ereticah ,  fondate  sull'  apostasia.  <c  La 
libertà  di  coscienza  de'  singoli  uonùni  e  cittadini  non  venne  nep- 
pure in  mente  nelle  lotte  religiose  e  nelle  trattative  di  pace  de' 
secoli  XVI  e  XVII.  Bensì  solamente  il  diritto  de'  principi  a  in- 
trodur  la  riforma  ne'  propri  stati,  e  ad  emendar  la  chiesa  dall'alto 


-282  - 

al  basso  fra'  loro  popoli  ».  Ed  io  cito  un  tedesco  (  Gervinus ,  Ifi- 
troduzione  alla  storia  del  secolo  XIX,  25),  perchè  dod  se 
ne  abbia  a  dubitare.  Del  resto  basta  considerare  i  primi  passi  di 
Lutero,  e  fin  le  presenti  goffaggini  de'  così  detti  vecchi  caitoliei 
colà ,  per  avvedersi  troppo ,  come  dopo  tutto  que'  profeti  se  la 
intendano  co'  principi  e  co'  cancellieri  bene  ;  e  diano  a  bere  a'  popoli 
quel ,  che  costoro  vogliono.  La  religiosa  riforma ,  che  meglio  si 
dovrebbe  dire  civile  scisma,  fu  una  serotina  efflorescenza  boreale 
delle  giudaiche  superstizioni,  innanzi  alquanto  domate  dalla  romaoità. 
Né  per  altro  trionfò ,  se  non  perchè ,  assecondando  il  pariicolaiisaio 
e  rindividualismo  delle  nazioni  neoteuloniche ,  emancipavale  dall'ti- 
nitarismo  e  ùM' universalismo  aborrito.  E  cosi  da  un  lato  mercè 
di  essa  poterono  que'  vassalli  dello  impero  cangiarsi  in  sovrani, 
e  que'  feudi  in  monarchie:  dall'altro  il  genio  germanico,  fin  li 
calcato  dal  romano,  potè  stendere  i  tardi  vanni  e  splendere  della 
sua  fosforica)  settentrional  luce.  La  Germania,  già  mezzo  romaniz- 
zata da'  cesari  intorno  al  Reno,  e  indi  anche  altrove  da*  papi, 
pensava  allora  linalmcnte  e  per  la  prima  volta  colla  sua  testa.  Donde 
ne  segui  uno  slancio ,  i  cui  frutti  non  ancora  esausti  sono  degni 
almeno  d'un  pensiero,  che  ha  la  naturale  vigoria  d'esser  proprio. 
Gli  scrittori  veramente  germanici  incominciano  appena  col  frale 
agostiniano  d' Eisleben  :  comunque  fossero  si  lenti  i  passi  loro,  che 
fin  nel  secolo  scoilo  Federigo  II,  agendo  e  guerreggiando  come 
dui'O  prussiano,  preferiva  come  molle  parigino  scrivere  e  filoso- 
fare. Lo  inciìnto  della  letteratura  francese  in  questesso  secolo  traeva 
nuovamente  in  cattività  lo  spirito  tedesco  :  e,  se  i  conati  del  corso 
imi)eratore  non  ne  avessero  ridestate  le  nuovamente  assopite  forze 
natie ,  fin  le  latine  forme  civili  rì>iveano.  Non  è  nemmanco  oggi 
tutta  la  Germania  perfettamente  tedesca:  perchè,  oltre  non  po- 
ter avere  qualche  civiltà ,  se  non  in  guisa  romana  ;  la  parte  oc- 
cidentale e  meridionale  della  medesima  (ove  già  furoDO  le  ro- 
mane colonie  ed  ove  la  romana  chiesa  regna  tuttavìa)  è  pia  in- 
timamente disgiunta  dal  rimanente,  di  quello  che  facciala  este- 
riormente apparir  congiunta  la  militare  e  cattedratica  violeaza. 
Prescindendo  da  ciò,  se  la  predetta  rifonna  |)rodusse  un  risveglia- 
mento e  (piasi  un  rinvenimento,  e  in  somma  restituì  io  buona 
parte  le  schiatte  neoteutoniche  a  sé  medesime;  non  si  dee  ere- 
dere,che  la  civiltà  mondiale  gran  che  se  ne  avvantaggiasse. 


—  283  — 


CXCII.  Smri  della  riforma  germanioa. 

A  buoni  conti  nella  potenza  politica  prevalsero  dopo  la  ri- 
forma, e  prima  d'Inghilterra  e  Germania  protestanti,  Spagna  e 
Francia  cattoliche:  siccome  negli  ordini  del  pensiero  possono  i 
cattolici  Galileo  e  Vico  stare  a  lato  de'  protestanti  Bacone  e  New- 
ton. Non  si  può  dunque  dire  ciò,  che  generalmente  si  dice  ora, 
come  pel  solo  influsso  di  quella ,  le  glorie  civili  e  intellettuali  si 
rendano  possibili.  Nel  campo  religioso  fu  certamente  utile  altrui 
liberarsi  da  quel  provvidenzialismo  e  da  quel  ritualismo  (  scusate 
questi  astratti  alla  tedesca),  che  le  schiatte  neolatine  travagliano  ora, 
.per  colpa  non  loro ,  ma  orientale  ;  e  da  cui ,  seguendo  a  pieno  il 
proprio  genio,  se  ne  sariano  liberate.  Nondimeno  queste  creden- 
ze ,  se  praticamente  osservate ,  non  le  potriano  esser  più  funeste 
dell'improvvido  dogma  luterano,  che  l'uomo  sia  santificato  e  salvo 
dalla  fede,  senza  le  buone  opere;  e  dell'orrido  dogma  calvinia- 
no, che  predestinato  al  male  e  incapace  di  operare  il  bene  colle 
sue  sole  virtù.  Sono  del  resto  i  protestanti  altrettanto  cattivi  filo- 
sofi, ammettendo  la  infallibilità  della  bibbia  e  la  divinità  di  Cri- 
sto a  priori  ;  quanto  cattivi  teologi ,  abbandonandole  poscia  alla 
critica  trascendente  e  alla  interpretazione  individuale.  Se  si  può 
capire,  che  col  vantato  loro  razionalismo  si  giunga  a  rinnegare 
ogni  religione  rivelata  ;  come  capire,  che  si  debba  ammetterla,  e 
in  uno  si  possa  discuterla ,  ognuno  a  modo  proprio  ?  La  fede  e 
la  ragione  sono  due  cose,  che  cozzano  insieme:  e,  per  non  dir 
d'altro,  (jucgli  slessi  umani  argomenti,  che  oppugnano  la  tradi- 
zione ecclesiastica,  oppugnano  h  sacra  scrittura ,  ossia  la  let- 
teratura d' un  popolo  stravagante.  I  cattoUci  anzi ,  credendo  infal- 
libile la  bibbia  e  Cristo  divino,  perchè  ne  lo  afferma  la  cliiesa 
romana  ;  e  credendo  questa  depositaria  e  maestra  delle  verità  re- 
ligiose, si  commettono  a  un'autorità  storica  e  morale  molto  rag- 
guardevole ,  e  cedono  a  un  vero  soggettivo ,  in  cui  tutti  acconsen- 
tono. Pognamo,  che  non  fosse  tale  oggettivamente:  almeno  vi  è 
più  coerenza  e,  se  il  vero  è  un  solo,  meno  ripugnanza  in  pre- 
sumer vero  ciò ,  in  cui  tutti  acconsentono  ;  di  quello  che  in  sup- 
porre altrettanti  veri  le  molteplici  e  contrarie  fantasie  d'ogni  u- 
mano  cervello.  Evidentemente  adunque  questi  dottissimi  tedeschi , 
congiungendo  le  credenze  e  i  raziocini  in  connubi  garruli  e  in- 


-284  - 

compatibili ,  si  aggirano  neir  errore.  E  nondimeno ,  che  impor- 
ta ,  soggiungono  essi  :  non  abbiamo  noi  emancipato  le  coscienze 
umane  ? 


CXCIII.  Giudaifflno  rimueitato  daHa  rifontt. 

Veramente  que'loro  eresiarchi  del  cinquecento  non  (tarono 
tra  loro  meno  intolleranti  e  crudeli,  di  quel  che  tosse  la  sacra 
romana,  ovvero  ispanica  inquisizione  verso  le  proprie  vittime.  D 
buon  fra  Martino  incitava  i  magistrati  e  i  grandi  a  sperdere  colla 
spada  e  colla  scure  i  «  profeti  di  ribellioni  e  di  stragi  »,  eh'  erano 
i  propri  rivali.  £  i  miseri  contadini ,  sollevatisi  in  nome  dell*  evan- 
gelica eguaglianza,  fìnirono  appunto,  com*  empi  ladroni,  evangdi-. 
camente  trucidati.  Per  Ano  adesso  noi  siamo  in  grado  di  capire, 
che  sia  quella  tedesca  dottrinale  indulgenza;  assistendo  in  pieno 
secolo  XIX  air  odioso  spettacolo  d' una  reale  persecuzione  religiosa 
contro  i  cattolici  di  colà.  La  quale,  per  essere  incmenta,  non  cessa 
d'essere  un  infame  abuso  della  forza.  Sono,  dopo  tutto,  que' fa- 
mosi statuali  i  rigidi  e  fanatici  luterani,  che  ognuno  sa:  né  di 
regola  colà,  e  massime  in  Inghilterra,  gli  scrittori  osano,  come 
tra  noi,  non  dico  nelle  teologiche  disquisizioni,  ma  nelle  anti- 
teologiche, esser  liberi.  La  coscienza  dunque  e'  entra  certameoie 
nel  loro  scisma  :  la  libertà  della  medesima  (che  <c  non  venne  ne|h 
pure  in  mente  »  nelle  origini  della  riforma)  non  tanto ,  quanto 
si  crede  o  si  vuol  far  credere  da'  loro  accoliti  di  qui.  Meglio  è 
tutelata  la  coscienza  nel  sistema  classico,  che  ne  la  lascia  inumi- 
ne per  fìno  dall'  istituto  religioso,  considerando  questo  meramente 
come  istituto  pubblico;  anzi  che  nel  sistema  giudeogermanieD, 
che  r  avviluppa  tutta  nel  medesimo.  È  stato  già  da  altri  avver- 
tito, che  la  riforma  germanica  è  una  riapparizione  del  Cuisaismo 
in  seno  al  cristianesimo:  e  per  certi  aspetti,  e  principaUnenie  in 
certe  sette,  lo  è.  Ma  più  propriamente  ella  è  un  ridestaroento  di 
quel  giudaismo,  ìnsito  non  tanto  per  la  culla,  quanto  pei  primi 
(lifTonditori ,  al  cristianesimo;  e  cui  avevano  prima  raraminiatnH 
zione  e  poscia  la  chiesa  romana  attutito.  La  secessume  umana  » 
fondamento  del  giudaismo,  e  il  soprannaiuralismo,  amma  del 
medesimo:  trovarono  naturalmente  nella  secessione  civile  e  nd 
trascendentalismo  delle  razze  germaniche  il  maturato  da*  secoli 
soccorso.  Ija  «  nimicizia  al  genere  umano  »  e  la  ostinato  fede 


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ne*  prodigi  non  poterono  in  queste  razze  nobili  e  forti  trasfon- 
dersi: pur  tanto  e  tanto  parte  delle  altre  fisime  e  durezze  giu- 
daiche si.  La  religione  non  potè  più  essere  unica  d'una  razza , 
che  si  credeva  contaminata  conversando  colle  altre,  e  il  cui  dio 
geloso,  vendicativo,  ed  esclusivo  di  essa,  ingiungevate  di  contrad- 
distinguersi dalle  altre  per  fino  con  segni  visibili  e  osceni.  Nondi- 
meno, mentre,  rompendo  la  unità  e  universalità  della  chiesa  ro- 
mana ,  rinnovando  ne'  secoli  XVI  e  XVII  le  guerre  religiose  e 
smembrando  la  Germania  stessa,  spezzava  la  comune  ara;  la  detta 
riforma  instaurava  un  culto  puramente  solitario  e  psicologico.  Pel 
quale  ripiegamento  interiore,  a  rigor  di  logica,  tante  dovreb- 
bOD  esser  colà  le  religioni,  quanti  i  cervelli.  Posto,  ciò  non 
ostante,  che  vi  fosse  una  confessione  sola,  non  trattasi  più 
d' una  religione  collettiva  e  pratica  ;  sibbene  individuale  e  meta- 
fisica. E  questa  indubbiamente  al  genio  germanico  si  confà:  ma, 
raccogliendo  i  singoli  in  sé  stessi  e  dalla  santa  comunione  della 
natura  distogliendogli;  per  lo  meno,  quanto  agli  scopi  civili  e 
agr  interessi  umani ,  se  pur  la  è  una  reUgione ,  è  come  non  la 
ci  fosse. 


CXCIV.  Bronoio  del  papato  per  caiua  della  rilòrma. 

I  perniciosi  effetti  delle  scissure  nordiche  si  fecero  per  con- 
traccolpo, anche  nelle  parti  d' Europa  rimaste  in  fede  alla  sacer- 
dotal  Roma,  sentire.  Quella  podestà  temporale,  rimasuglio  del- 
l'impero  aflìevolito,  cui  questa  serbava  in  cristianità,  ed  eserci- 
tava negli  arbitramenti  tra'  diversi  stati ,  e  in  molt'  altri  obiètti , 
che  sariano  stati  di  lor  natura  laicali,  venne  naturalmente  meno. 
Riuscita  vana  la  transazione  tra  Carlo  V  e  Clemente  VII,  acciò 
l'impero  e  il  papato,  le  cui  sorti  erano  del  pari  malavventurate, 
si  sorreggessero  a  vicenda;  dovette  quella  limitarsi  al  dominio 
pontificio,  che  prendeva  l' indole  d' una  monarchia  locale ,  a  so- 
miglianza delle  esterne.  La  pace  di  Vesfalia  (1648),  ricono- 
scendo solennemente  le  nuove  confessioni  e  le  nuove  monarchie, 
poneva  fine  del  pari  all'  una  e  all'  altra  podestà  politica  intema- 
zionale; e  inaugurava  il  nuovo  e  ancor  vigente  giure  europeo, 
basato  sul  dissidio  intestino  e  sull'equilibrio  esterno  delle  forze. 
Ciò  non  ostante ,  poiché  nel  campo  spirituale  il  papato  al  cinque- 
cento restava  si  vulnerato,  ma  non  ispento;  raccogliendo  i  suoi 


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spiriti  con  un  istinto  senile  di  conservazione,  nelle  nazioni  catto- 
liche ravvivossi  tristamente.  II  sentimento  evangelico,  che  non 
avrebbe  mai  potuto  acconciarsi  con  veruna  specie  di  mondana 
grandezza,  eragli  per  verità  sempre  rimasto  estraneo;  benché  Io 
scorgesse  tuttavia  alcun  lume  dell'  antico  senno.  A  un  tratto ,  vi- 
stosi minacciato  nella  vita,  e  in  necessità  di  patteggiare  colla 
santimonia  oltramontana;  dovette  smettere  buona  parte  della  sua 
serenità  e  profanità,  rannuvolarsi  e  assumere  il  cilicio  della  peni- 
tenza'. Il  concilio  di  Trento  (1563),  con  cui  poscia  si  resse  e  tuttavia 
regge  la  cattolica  chiesa ,  fu  veramente  una  riforma  interiore  della 
medesima  :  dalla  quale  i  costumi  del  clero  e  la  disciplina  si  emen- 
darono alquanto;  ma  sulla  ([uale  un  cupo  despotismo  religioso  si 
fondò.  La  Spagna ,  che  avca  regalato  al  mondo  V  ordine  dome- 
nicano, onde  la  sacra  inquisizione  potè  tanto  sangue  spargere; 
regalavagli  ora  la  gesuitica  compagnia,  onde  Y  umanità  corre 
pericolo  d'abbrutimento.  La  giurisdizione  episcopale,  mercè 
cui  la  chiesa  serbava  certa  qual  costituzione  repubblicana,  già 
da  più  secoli  menomata  ;  cedeva  finalmente  alla  primazia  papale 
in  guisa,  che  oggi  questa  anche  senza  i  concili  potrebbe  definir 
dogmi.  In  Spagna  e  Francia  il  papato  incitava  ai  massacri,  e 
contro  r  incesso  trionfale  del  pensiero  umano  opponeva  quella 
immobilità,  che  oggi  in  oracoli  troppo  ardui  e  in  anatemi  troppo 
scortesi  manifestasi.  Anche  nel  campo  civile  non  rigettava  queUe 
sue  pretensioni  di  comando,  cui  iìn  al  presente  secolo  ne' con- 
cordati con  le  diverse  corone  cattoUche  (sotto  aspetto  d'inge- 
renza nelle  materie  miste  )  corroborava  ;  e  cui  oggi  superbamente 
ailenna.  Di  tale  tralignamento  e  pervertimento  del  papato,  per 
cui  causa  nelle  materie  spirituali  giudaizzava  aneli*  esso,  e  nelle 
temporaU  ostinavasi  in  un'ambizione,  che  non  aveva  più  ragioi 
ti'  essere  ;  se  ne  accorsero  tosto  gli  uomini  di  stato  italiani.  Fio 
che  la  religione  confonde  vasi  con  la  patria,  o  il  cosmopolitismo 
della  chiesa  con  quello  dell  impero,  il  papato  non  era  per  noi 
un'  istituzione  molto  temibile.  Cangiate  tali  condizioni  e  formaiesi 
le  grandi  nazioni  oltre  monti,  diveniva  per  noi  funesto  perseve 
rare  in  un  sogno  e  in  un  sospiro,  che  ci  lasciava  soli  e  divisi; 
e  che  ci  dovea  perdere  e  ci  i)erdè. 


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CXCV.  Sistema  dagl'  italiani  contrapposto  alla  tirannide  papale. 

Niccolò  Machiavelli,  che  nel  papato  riconosceva  la  principal 
causa  della  divisione  d' Italia  e  delle  seconde  invasioni ,  scongiurò 
in  vano  i  suoi  contemporanei  d'  assoggettarsi  a  un  tiranno  dome- 
stico, pur  d' evitare  la  sovrastante  servitù  straniera.  «  Tre  cose , 
scriveva  Francesco  Guicciardini,  desidero  vedere  innanzi  alla  mia 
morte  ;  ma  dubito,  ancora  eh'  io  vivessi  molto,  non  se  ne  vedere 
alcuna:  uno  vivere  di  repubblica  bene  ordinato  nella  città  nostra, 
ItaUa  liberata  da  tutti  e  Barbari,  e  Uberato  il  mondo  dalla  ti- 
rannide di  questi  scellerati  preti  »  {Ricordi  politici  e  civili ^ 
CCXXXVI  ).  E  pur  troppo ,  mentre  egli ,  ministro  de'  Medici  e 
de'  papi ,  con  si  melanconica  protesta  scendeva  nel  sepolcro,  i  bar- 
bari rimanevano  e,  destreggiandosi  fra  costoro,  i  Medici  e  i  papi. 
L' Italia  dunque  era  spacciata:  ma  que'  governi,  che  in  tanto 
naufragio  salvaronsi ,  contro  il  nemico  intestino  almeno  si  armaro- 
no. E,  come  nella  buona  fortuna  non  aveano  subito  la  teocrazia, 
cui  l'Europa  pecorilmente  riveriva,  cosi  non  la  vollero  nella  rea 
subire.  In  tal  modo  sorse  la  <(  politica  ecclesiastica  »  (per  valermi 
d' una  frase  moderna  )  italiana  :  la  quale  prese  poi  da  due  monar- 
chi della  casa  di  Lorena  il  nome  di  giuseppina  e  leopoldina; 
come  se  non  la  fosse  stata  molto  innanzi  da  una  gloriosa  nostra 
repubbUca  iniziata  e  assodata.  U  supremo  cardine  della  quale  è 
quello,  eh'  io  già  premisi  in  questo  tema  :  delle  reUgioni  nel  viver 
sociale  non  si  poter  fare  a  meno;  onde,  se  buone,  bisogna  va- 
lersene, e,  se  ree,  difendersene.  I  due  maggiori  statuaU  nostri  e 
del  mondo  or  menzionati ,  Machiavelli  e  Guicciardini ,  pur  cotanto 
increduli  nella  immensa  increduUtà  del  lor  tempo,  ritennero  anzi 
non  vi  potesse  essere  affatto,  senza  la  riverenza  a'  numi ,  ottima 
repubblica.  Dunque ,  se  non  si  poteano  più  co'  nuovi  numi  le 
prische  virtù  risuscitare;  che  tanta  forza  almeno  non  si  spregias- 
se, e  non  si  rendesse  vie  maggiormente  esiziale!  Lo  stato  mo- 
derno, per  causa  de' giudei  e  de' barbari,  non  avea  più  in  mano 
le  cose  sacre,  come  l'antico,  che  le  potea  volgere  a  esclusivo 
profitto  della  repubblica.  La  chiesa  romana  era  una  tale  potenza 
allora,  e  lo  è  ancora,  quantunque  si  decaduta,  che  solamente 
può  venire  in  capo  a  gènte,  che  non  s'intende  di  queste  cose 
niente,  poterla  vincere  con  le  buffonerie.  Le  credenze  altrui,  le 


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credenze  comuni  del  popolo  meritavano  tutto  il  rispetto,  che  chi 
non  reputa  sé  infallibile,  è  sempre  sollecito  a  prestare.  E,  quan- 
do  pure  non  lo  meritassero,  lo  imponevano  a  chiimqae  abbia 
ogni  po'  di  lume  e  di  sperìenza  per  sapere ,  che  le  medesime  noD 
sì  sfidano  mai  impunemente.  Bisognava  dunque  questo  vetosto  e 
grande  istituto,  compresovi  il  papato,  ossequiare  :  ma  vi  era  ancora 
un  modo,  che  alla  penetrazione  degF  italiani  non  isAigg),  per 
ischermirsene ,  quando  facesse  guerra. 


CICVI.  lUasBOBto  ad  dstema  di  radstent  cMlt. 

Ricorrendo  essi  all'  armamentario  delle  leggi  romane  e  deDe 
stesse  leggi  canoniche,  con  le  une  rivendicavano  i  diritti  dd 
civile  impero,  e  con  le  altre  quelli  della  comunione  erisNama, 
cui  dimostravano  usurpati  o  traditi.  È  principio  inconcoaso  tra  gli 
stessi  cattolici ,  che  la  chiesa  sia  costituita  non  già  da*  preti ,  ma 
da'  fedeli  tutti  sotto  i  legittimi  pastori.  E  con  questo ,  pr^no  di 
vita  e  di  av\  cnire,  possiedesi  quanto  basta  per  richiamare  la  chiesa 
allo  stato  e  per  ricongiungere  i  fedeli  a'  cittadini.  Poco  a  poco, 
trasformandosi  il  governo  della  chiesa  da  democratico  io  aristo- 
cratico, e  quindi  in  monarchico;  i  fedeli  aveano  perduto  ogni 
cristiano  diritto ,  ed  erano  stati  veramente  ridotti ,  •  un  pò*  oltre 
r  evangelica  espressione,  greggi.  Insorgevano  dunque  allora  ì  reg* 
gitori  politici  in  virtù  di  questo  principio,  che  non  è  stato  nem- 
meno ora  posto  all'  indice  :  e ,  coi  canoni  e  le  decretali  in  pogno, 
parlavano  a  un  di  presso  cosi.  —  Noi  delle  cose  di  fede  non 
e'  ingeriamo  punto,  tanto  più  che  non  le  possiamo  intendere;  e 
ci  commettiamo  intieramente  e  inappellabilmente  ai  sacrosanti 
concili  e  al  beatissimo  padre.  Ma  noi  serenissima  repubblica  e 
magnifici  signori,  noi  dobbiamo  del  pari  provvedere  alT esercizio 
pieno  e  libero  della  nostra  sovranità,  che  ci  fu  per  divino  decreto 
demandata.  Orneremo  quindi  i  tempii  e  le  immagini  da  pari  no- 
stri, e  ci  recheremo  anche  alle  processioni  col  robone  rosso  e 
con  tutta  la  compunzione  possibile.  Tuttavia,  non  potendo  le  im- 
munità personali  e  reali  ossenare,  per  causa  di  quel  divino  de- 
creto; regoleremo  la  proprietà  ecclesiastica,  i  monasteri  e  i  be- 
neficii,  secondo  la  pubblica  ragione  e  la  savia  economia.  B  im- 
piccheremo per  la  gola  i  preti  e  i  frati,  che  osassero  presomars 
di  far  niente  senza  il  beneplacito  della  nostra  serenila  e  dels 


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nostre  magnificenze.  Quanto  alle  provvisioni  vostre,  degne  certa- 
mente di  sommo  ossequio  per  tutto  il  mondo;  acciò  le  abbiano 
edetto  entro  i  nostri  confini,  vedremo,  se  non  le  fossero,  cosi 
per  isbaglio,  contrarie  alle  nostre  leggi.  E ,  quanto  a'  pastori  le- 
gittimi, che  una  volta  il  popolo  insieme  col  clero  eleggeva,  e 
che  tuttavia  debbono  per  esplicito  precetto  de'  canoni  e  delle  de- 
cretali aver  Y  implìcito  suffragio  del  popolo,  gli  nomineremo  noi. 
Ovveramente  gli  designeremo  alla  vostra  santità  ed  alle  vostre 
eccellenze  reverendissime  ;  essendo  noi  succeduti  a  questo  popolo, 
da  qualche  tempo  in  qua  intontito  e  tre  volte  buono....  — Tale 
il  sistema  degli  statuali  nostri,  poscia  imitato  dagli  stranieri,  nelle 
relazioni  tra  stato  e  chiesa.  Il  quale,  gradualmente  svolto,  fa- 
cile è  capire,  come  senza  danno  della  chiesa,  cui  esaltava  alle 
superne  sfere  d'una  istituzione  meramente  spirituale  (secondo 
r  evangelico  disegno  ),  avrebbe  col  tempo  restituito  lo  stato  nella 
pristina  dignità.  Se  non  che  esso  fu  V  ultimo  raggio  della  civil 
sapienza  degr  italiani  ;  cui  prima  i  rumori  gallici  soffocarono  e 
indi  le  sopraggiunte  oppressioni  spensero.  Dalle  quali  liberatici 
testé,  ma  non  anco  dall'intimo  servaggio;  non  parve  vero  ripu- 
diare anche  questo  lascito  de' maggiori,  e  dir  chimere  le  dottri- 
ne di  Sarpi,  di  Giannone  e  di  Tannucci  a  quella  esotica  confre- 
diglia,  che  ha  ammodernato  l'Italia  in  quella  guisa,  che  vedete. 
Imperocché ,  secondo  le  patrie  tradizioni,  i  nostri  uomini  di  stato 
avrebbero  con  le  opere,  e  non  con  le  parole,  dovuto  esprimere 
i  seguenti  concetti,  e  non  altri. 


CXGVII.  Formala  del  sistema  di  resisteim  oÌTile. 

—  Noi  reggitori  dell' Itaha  rediviva,  ci  accorgiamo  bene,  che 
la  nazione  é  cattolica,  e  che  la  chiesa  uno  stabilimento  assai  rag- 
guardevole. E,  ben  lontani  dal  desiderare  lo  scetticismo  o  lo 
scisma,  che  sarebbe  l'ultima  rovina;  professiamo  lealmente  alla 
religione  dogi'  italiani  quell'  omaggio,  che  le  é  debito.  Rassicu- 
rando gli  animi  con  tal  professione,  a  cui  niun  atto  nostro  sarà 
mai  contrario;  vogliamo  per  altro  libera  la  coscienza  d'ognuno, 
ancor  che  dissenta  dalla  comun  fede.  Né  siamo  in  veruna  guisa 
disposti  a  comportare,  che  alcuno  ardisca  porre  in  forse  la  no- 
stra lealtà,  0  valersi  delle  armi  religiose  a  pubblico  danno.  Ve- 
diamo per  verità  annidati  entro  i  santuari  molti  lupi:  i  quali, 

19 


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(luando  la  |)atria  gemeva  sotto  lo  straniero  giogo,  e  mentre  se 
no  redimeva,  senza  viscere  di  patria  e  d'umanità  benedissero  i 
nemici  vittoriosi  e  cospirarono  co'  nemici  vinti.  Faedamo  t  co- 
storo sentire  tutto  il  peso  deir  alta  nostra  riprovazione:  pur,  noa 
dovendo  noi  alle  passioni  ispirarci ,  lasciamo  questa  vertenza  In 
essi  e  le  rispettive  greggi  accomodarsi.  Pel  passato  adunque  sap- 
piano codesti  lupi,  che  ci  basta  per  loro  pena  Tonta  loro:  ma, 
|)ei  futuro,  non  contino  sulla  nostra  grazia,  se  non  ridestando  nel 
poi)olo  forti  e  operose  virtù;  e  non  sulla  nostra  giustizia,  se  noi 
osservando  irremissibilmente  gli  ordini  nostri.  I!  primo  di  loro, 
che  si  cimentasse  temerariamente ,  anche  con  un  sommesso  bi- 
sbiglio nel  confessionale ,  di  contrapporsi  a' nuovi  destini  dUlalii, 
verrà  come  sedizioso  tratto  in  carcere,  o  come  ciurmadore  posto 
alla  gogna.  Abbia  del  resto  la  chiesa  nelle  cose  verameme  e 
puramente  spirituali  assoluta  e  inviolata  libertà:  nelle  miste  t 
civili  quella  sola,  che  le  leggi  consentono  a  chiunque  è  soggetto 
air  autorità  dello  stato.  Per  quanto  riguarda  il  suo  estemo  orga- 
namento, la  sua  disciplina,  il  suo  governo  e  per  sino  h  sua  pro- 
prietà ;  noi  non  riserviamo,  se  non  quella  ingerenza ,  che  le  vi- 
genti costituzioni  e  consuetudini  ammettono.  Non  faremo  qniiii 
getto  de' diritti  di  patronato,  placito,  esecutoria,  appellagione,  e 
(li  tutte  le  altre  regalie,  lascito  de' nostri  maggiori.  Bensì,  resti- 
tuendole a  chi  di  ragione,  le  ricondurremo  a  tutta  la  canoma 
loro  perfezione  :  secondo  cui  lo  imperatore  romano,  a  cui  potreb- 
be darsi  qualcuno  fosse  cpii  succeduto,  o  almeno  gli  oratori  degB 
stati  cristiani  avrebbero  alcuna  prerogativa  sin  negli  stessi  concili 
ecumenici.  Ndn  ammettendo  noi  punto  il  divorzio  tra  chiesa  e 
stato,  e  volemlo  anzi  osservare  di  questa  religione  il  precetto  san- 
tissimo, che  non  la  possa  far  niente  senza  Y  implicito  sufiragio 
(le'feiloli;  noi  in  mo<li  pacifici  e  lenti  cercheremo,  che  questo 
ridoni  alla  medesima  un  sodio  di  vita.  Se  non  riuscirà,  e  la  fosse 
proprio  destinata  a  perire,  non  sdirebbe  nostra  la  col|ia ;  che  dob- 
biamo tutte  le  lil)ertà  tutelare,  quelle  comprese  de'  fedeli  rispetto 
a' propri  pastori.  Noi  duncpie  passeremo  a  loro  le  sopraddette 
regalie,  relifiuie  dell'antica  partecipazione  diretta  del  popolo  alle 
ecclesiastiche  cose;  avvocate  anch'esse  al  fisico  nella  passata  ser- 
vitù, (piando  o^'n\'iltro  diritto  del  medesimo  era  stato  confiscato. 
Costituiremo  cioè  i  fedeli  tutti  in  congregazioni  parrocchiali, 
diocesane,  metropolitiche  ed  anche  in  una  primaziale:  a  cui  ce- 
deremo le  facoltà  d' amministrare  i  beni  ecclesiastici  e  di  eleg- 


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gere  i  pastori  d'ogni  sorta  e  grado;  sempre  che  questi  abbiano 
i  sacri  ordini  e  gli  altri  requisiti  canonici  e  stieno  neir  obbe- 
dienza al  supremo  gerarca.  E  in  tale  bisogna  procederemo  cauti 
e  guardinghi,  per  non  ingenerare  discordie  e  attriti;  e  senza  né 
anco  la  più  leggiera  velleità  di  riformar  noi  la  chiesa,  la  quale 
anzi  vogliamo  a  lei  medesima  commettere.  — 


CXCVIII.  Sistema  borghése  della  indiffereiua  religiosa. 

Si  può  esser  certi,  che  questo  sarebbe  stato  il  linguaggio 
de'  nostri  antichi  savi ,  se  fossero  ora  vissuti.  Esso  però  presup- 
pone il  riconoscimento  della  necessità  politica  delle  religioni,  e 
l'intento  di  renderlene  buone  e  profittevoli:  eh' è  ciò  appunto, 
cui  i  nostri  odierni  sofisti  non  curano.  I  quali,  che  che  sentano 
nel  labirinto  de'  loro  animi ,  sono  per  contrario  (  come  già  dissi  ) 
persuasi,  che  quelle  sieno  estranee  alla  vita  civile  affatto;  e  ad 
ogni  modo  piuttosto  disposti  a  tollerarne  i  mali,  che  a  promuo- 
verne i  beni.  In  nome  quindi  delle  dottrine  straniere  e  di  que' 
paroloni  sonori,  cui  eglino  hanno  per  cose  infallibili  e  reali,  pur 
di  rinnegare  e  calpestare  il  pensiero  civile  italiano,  fecero  preci- 
samente r  opposto  di  ciò ,  che  fare  doveano.  Invocando  a  spropo- 
sito la  libertà  della  coscienza  e  della  chiesa  (avrebbono  dovuto 
dir  coscienze  e  chiese),  come  se  si  fossero  ti^ovati  in  un  paese 
protestante  e  diviso  in  più  sette;  neglessero  tutte  le  condizioni 
del  luogo,  e  oltrepassarono  fino  i  propri  maestri,  per  dimostrar- 
sene i)iù  caldi  alunni.  Avrebbono  per  lo  meno  dovuto  considerare, 
che,  in  onta  a  quella  strombazzata  oltramontana  libertà,  i  mo- 
narchi di  Russia  e  (ìermania  e  la  stessa  reina  d' Inghilterra  pa- 
peggiano  e  dogmatizzano  a  lor  modo.  E  che ,  mentre  quelle  con- 
fessioni per  la  scissione  loro  dal  cosmopolitismo  cattolico  erano 
divenute  colà  quasi  patriottiche,  e  quasi  religioni  di  stato;  qui  egHno 
si  trovavano  innanzi  questo  tile  cosmopolitismo,  e  un  grande  e 
possente  organismo,  Che  esteriormente  ne  lo  rappresenta.  Prescin- 
dendo eziandio  dalle  ragioni  temporali,  cui  esso  vanta  sul  cuore 
della  penisola;  come  promettergli  una  libertà,  che  non  si  avreb- 
be potuto  mantenere,  se  non  colla  propria  morte?  Nelle  materie 
puramente  e  veramente  spirituali,  siamo  d'accordo,  che  la  sua 
libertà  vuol  essere  assoluta  e  inviolata:  che  prescrivere  una  re- 
gola a'  dogmi  do'  credenti  sarebbe  c^me  prescrivere  un  metro  ai 


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versi  de' poeti.  Ma  questo  tale  organismo  pretende  inoltre,  molte 
cose  dello  stato  sieno  di  sua  competenza,  ed  altre  di  s\ì2l parteci- 
panza:  mentre  su  tutte  quante  arrogasi  la  preeminenjsa,  e  per  lo 
meno  il  supremo  giudizio,  se  le  sieno  alla  propria  od  air  altrui 
autorità  soggette.  Questo  tale  organamento  è  presentemente  ostile 
allo  stato,  donde  non  può  essere  sbandito,  e  ne  ha  scomunicato  e 
maledetto  gl'istituti,  i  magistrati  e  sino  il  principe.  E,  mentre  è 
cosi  esteso  e  saldo,  da  non  potersi  schiacciare,  reputa  in  sua  balia 
disciogliere  i  cittadini  da  quelle  leggi,  che  sono  alle  sue  leggi 
contrarie ,  e  per  fmo  in  certi  casi  o  in  certi  luoghi  i  sudditi  dalla 
fedeltà  debita  al  sovrano.  Come  dunque  parlare,  innanzi  a  questo, 
di  libertà  ne'  medesimi  termini  e  co'  medesimi  sensi ,  con  coi  in 
America  se  ne  parlerebbe  verso  una  picciola  e  oscura  setta  di 
quacheri  o  di  metodisti?  E ,  pognamo,  che  fosse  ridotto  air  umile 
condizione  d' una  di  tali  sette;  se  conosceste  X  irrefrenabile  po- 
tenza d' ogni  istituto  religioso  su'  costumi ,  come  permettere  a  un 
qualunque  setta  di  guastare,  dividere  o  intorpidire  il  popolo? 


CXCIX.  Applioaiione  del  sistema  della  indifferenn  nel  regso  d'ItaBa. 

Sprezzando  questa  potenza,  voi,  messeri,  le  avete  lasdato 
campo  franco,  in  tutto  il  cDrso  de' diciotf  anni  passati,  d'atteg- 
giarsi a  denigratrice  e  avversaria  dell'indipendenza  e  dell' unione 
italica,  e  di  seminani  tutta  la  zizzania,  cui  volle.  So,  che  di 
avere  uomini  liberi  e  fieri  non  vi  caleva:  ma,  se  non  divennero 
altresì  vili  e  felloni,  non  è  già  pel  sistema,  cui  avete  seguito; 
sibbene  per  le  naturali  doti  di  quest'  inclito  popolo,  che  resistono 
anche  alle  sacrileghe  imposture  de'  tonsurati  traditori.  Voi  pote- 
vate, se  lo  aveste  voluto,  impedirle,  non  con  sofismi  e  rigori  alla 
tedesca;  sibbene  mostrandovi,  quanto  riverenti  al  culto  e  giusti 
verso  il  clero  fedele,  altrettanto  inflessibili  contro  il  clero  ribeOe: 
e  avreste  avuto  l' approvazione  di  tutti.  Co'  diritti  dello  stato,  e 
con  quello  di  nomina  o  presentazione  sopra  tutto,  potevate  i  btooi 
preti  premiare,  e  i  cattivi  allettare.  Voi  per  contrario  prima  non 
gli  usaste ,  e  poscia  a  dirittura ,  con  quella  tal  Legge  suUe  gua- 
rentigie della  santa  sede,  come  inutile  fardello  gli  rig^tasta; 
serbando  appena  delle  altre  regalie  quella  formalità  vana,  di  che 
ora  menate  vampo.  Il  popolo  italiano  vi  potrebbe  ora  chieder 
conto  di  que'  diritti,  che  lo  stato  esercitava  in  sua  vece,  e  pd 


-  293  - 

cui  rigetto  in  esso  ricadevano;  e  che  gli  furono,  insieme  con  tutte 
le  altre  cose  divine  ed  umane ,  rapiti.  Con  tali  diritti  e  colla  pro- 
prietà ecclesiastica  in  mano  voi  potevate  ravvivar  la  chiesa,  rin- 
troducendovi  il  principio  elettivo  e  laicale;  del  quale  rimangono 
ancora  qui  o  là  vestigi  ne'  benefìcii  di  pati*onato  comunale  o  vici- 
nale, e  dovunque  nelle  fabbricerie.  E,  sollevando  il  basso  clero, 
restituire  alla  chiesa  quella  democratica  forma,  che  costituisce 
tuttavia  il  fondo  delle  sue  istituzioni  e  tradizioni;  con  le  quali 
attraversò  il  feudalismo,  e  per  le  quali  il  più  oscuro  e  tapino  fra- 
ticello può  divenir  tuttavia  pontefice  massimo.  In  vece  voi  lasciaste 
opprimere  il  basso  clero  dall'alta  gerarchia;  quel  basso  clero, 
die  alla  fine  è  nelle  campagne  ancora,  e  malamente,  il  più  im- 
mediato e  naturai  magistrato  popolano.  Paghi  d'umiliare  il  sen- 
timento religioso  e  di  trarne  quel  lucro,  che  se  ne  poteva;  la- 
sciaste indifesi  i  buoni  da'  cattivi ,  e  faceste  del  patrimonio  della 
chiesa  quell'  uso,  che  poi  vedremo.  Ecco  la  libertà ,  cui  voi  in- 
stauraste: libertà  ai  malvagi  di  far  tutto  quello,  che  volevano 
non  agl'innocenti  di  custodir  quello,  che  possedevano.  Perchè 
d'avere  un  culto  virtuoso,  anzi  che  vizioso,  non  importava  guari 
innanzi  al  vostro  olimpico  disprezzo  per  questa  sorta  d'interessi 
inapprezzabili.  Alla  combriccola  ti'a  ghettajuola  e  borsajuola,  cui 
inconsci  serviste,  bast^iva  vituperare  le  credenze  comuni  e  far  lar- 
ghi sconti:  a  voi  buona  gente,  la  cui  buona  fede  io  ammetto 
volentieri,  ostentare  il  liberalume  vostro,  esotico  e  vuoto. 


ce.  Indifferensa  aooompagnata  dalla  religioea  oppressione. 

La  piena  noìicuranza  verso  un  istituto  essenziale  alla  so- 
cietà costituita ,  r  abdicazione  de'  diritti  dello  stato  alla  chiesa  e 
del  popolo  alla  gerarchia,  l'abbandono  totale  di  quello  istituto 
a' suoi  frodatori  e  pervertitori,  il  maggiore  iralignamento  e  intri- 
stimento  di  esso,  e  la  ribellione  apertamente  scoppiatane...,  sono 
tra  le  più  magnifiche  opere  de'  dottrinari  e  moderati  borghesi. 
I  quali,  poiché  legittimavanle  e  decoravanle  con  la  teorica  e  la 
formula  sopra  riferite,  almeno  si  fossero  dimostrati  sinceri  o  im- 
|)arziali,  secondo  che  intendevano  o  promettevano!  Oibò:  si  è  già 
visto  sin  qui,  e  vie  più  in  seguito  vedrassi,  che  tutto  il  loro 
meccanismo  politico  poggia  su  parole  e  lustre,  a  cui  non  occorre 
punto  rispondano  le  opere  e  i  fatti.  La  libertà  religiosa,  al  pari 


-  294  - 

(li  tutte  quelle  altre  loro  false  libertà,  non  è,  che  un  logoro  e 
una  pania  per  uccellare  e  invescare  i  gonzi,  a  prò' del  moodial 
ghettume  e  della  mondial  borsa.  Libertà  ai  mosaisti  e  agli  ere- 
tici, e  sopra  tutto  libertà  ai  sensali  e  ai  giuocatori:  ma,  quanto 
alla  religione  degr  italiani ,  è  un  altro  aliare.  —  Come ,  dod 
r  hanno  ei  dunque  risi)ettata;  menti*e,  per  queMoro  stessi  vantati 
principii  di  separazione  dallo  stato  e  di  libertà  della  chiesa,  do- 
vevano pur  lasciarle  le  medesime  franchigie  d'  una  sinagoga  o 
d' una  cappella,  e  d'  una  fiera  o  d' un'  accomandita?  —  No,  nem- 
men  questo;  che,  oltre  averla  spogliata,  mentre  non  toccarono 
le  altre  religioni,  fecero  anche  di  peggio.  Imperocché  noi,  secon- 
do i  nostri  principii,  avremmo  creduto,  che  ognuno  potesse  seguire 
quella  fede  e  quel  culto,  cui  vuole,  tanto  cattolico,  come  noo 
cattolico;  sempre  che  nelle  esterne  manifestazioni  si  conformi 
.V precetti  giuridici  e  a'  buoni  costumi,  di  cui  dev'esser  giudice 
e  tutore  unico  lo  stato:  e  ({uesta  chiamiamo  libeilà.  Essi  in  vece, 
secondo  i  loro,  credono,  non  faccia  mestieri  punto  tale  conformità 
a' precetti  e  accostumi:  e  chiamano  libertà  questa  Ucetiza.  La 
quale  però  non  vieta,  che  si  possa  quella  fede  svergognare  e  quel 
culto  opprimere,  su  cui  un  infantile  capricdo  si  soddisii  o  oo 
volgar  giovamento  si  tragga;  come  tosto  sono  per  raccontare. 


CCl.  Vilipendi  inflitti  alla  religione  del  popolo  italiana. 

Io  son  lungi  dal  far  risalire  a'  nostri  reggitori  e  ad  un  pro- 
{K)sito  deliberato  tutte  le  umiliazioni  e  i  vituperi,  che  la  religione 
degr  italiani  in  questi  anni  soderse  :  ma  egli  è  prima  di  tutto  in- 
negabile ,  che  ne  ha  sofferti  parecchi.  Nella  stampa  e  nella  cat- 
tedra, ove  dev'  esser  Ubero  il  censurare  e  l'ammonire,  e  non  an- 
co il  denignire  e  il  i)ervertire,  troppe  volte  si  feri  un  sentiménto; 
che ,  laudevole  o  biasimevole ,  merita  per  lo  meno  tutto  il  rispetto 
debito  a  un  sentimento  universale.  Io  non  dico,  eh' e' dovessero 
far  niente  ;  poiché  la  libertà  del  |)ensiero  é  una  tal  libertà ,  e  il 
(Uritto  della  verità  un  tal  diritto ,  che  bisogna  assai  più  temerne 
le  pastoje,che  i  flagelli.  Kssi  nondimeno,  o  i  loro  provveditori  e 
procuratori ,  non  V  hanno  tutelato  con  quello  stesso  zelo ,  con  coi 
tutelarono  gli  altri  pubblici  e  privati  interessi,  il  decoro  d*nna 
cor{>orazione ,  V  onore  d*  una  (]ualunque  comiiagnia  di  credito  e 
di  tniflico.  Fin  ne*  maggiori  consigli  certe  celie  e  pinoevolene 


~  295  - 

tal  volta  trascoreero  in  scede  e  sarcasmi,  da  suscitare  un  penoso 
disgusto  anche  ne'  più  spregiudicati;  che  ne  erano,  io  non  so  ben 
dire ,  se  partecipi  o  pazienti.  I  quali  pensavano  tra  sé  :  se  noi  di- 
cessimo, esservi  nel  globo  una  setta,  il  cui  dogma  cardinale  è  il 
ripudio  della  comunione  umana,  e  il  cui  supremo  rito  comme- 
mora dopo  tiemila  anni  ancora  e  significa  un  massacro  de'  figli 
innocenti  d'  ospiti  truffati  ;  e  se  senza  un  rimprovero  e  senza  un 
lamento  soggiungessimo,  che  per  lo  meno  le  superstizioni  del  po- 
vero popolo  meritano  altrettanto  compatimento  di  (luelle  d'una  razza 
parassita . . . ,  noi  saremmo  cacciati  di  qui.  E  dobbiamo  tuttavia  in- 
gojarci  tante  pasquinate  contro  un  istituto  religioso,  che,  fosse 
pure  superstizioso,  è  alla  fin  fine  della  nazione,  cui  qui  supponia- 
mo di  rappresentare;  e  contro  la  stessa  dignità  nostra-,  che  non 
è  maggiore  (a  quel ,  che  pare  )  di  quella  consentita  agh  ebeti  e  ai 
folli.  —  Ma,  che  che  ne  pensino  questi  uomini  dabbene,  i  loro 
avversari  debbono  concedere,  che  tale  allo  disprezzo  verso  le  cre- 
denze comuni  esiste  ;  eh'  esso  non  ha  esempi  in  verun  paese ,  e 
che  non  è  punto  conforme  alla  proclamata  tólUranza,  Imperocché 
questa  si  attua  non  solamente  coir  uguaglianza  de'  culti  innanzi 
alle  leggi  (  nel  che  io  sono  seco  loro  concorde  )  :  ma  anche  con  una 
eciuaiiimità  di  riguardi  in  tutte  le  pubbliche  occorrenze.  E,  quando 
contro  un  dato  istituto  religioso  si  può  sciigliare  il  vitupero  im- 
punemente, la  persecuzione  incomincia.  Or  quah  ragioni  aveano, 
per  preterire  coir  irriverente  contegno  da  quella  loro  vantata  li- 
bertà e  da  que'  loro  vantati  esempi  stranieri  ?  S'  essi  erano  indi- 
gnati dell'  empia  simonia  e  della  fellonesca  ipocrisia  di  certi  tali 
(cui  del  resto  essi  stessi  col  surriferito  sistema  agevolarono  e  in- 
corarono), doveano  costoro  colpire,  e  non  la  fede  e  il  culto  de- 
gl'  italiaDi.  Se  in  vece  voleano  questa  e  questo  annientare  ;  eh  via, 
con  le  facezie  non  si  può  far  tanto ,  e  men  che  meno  con  trafit- 
ture; le  quali  altro   non  fanno,  che  suscitare  le  poderose  foi'ze 
del  risentimento  !  Bastò  dunque  a  loro  disfogare  o  una  fanciulle- 
sca stizza  0  una  frivola  spiritosità,  senza  pur  curarsi  di  quello, 
che  ne  seguisse:  dimentichi  per  fino  del  machiavellico  precetto, 
che  i  nemici  bisogna  accarezzare  o  spegnere;  non  mai  olTender- 
gli  e  lasciargli  vigorosi. 


296 


CCII.  Ostacoli  frapposti  alla  religione  del  popolo  itafiano. 

La  intolleranza  del  resto  e  il  diniego  della  promessa  libertà 
manifestaronsi  non  solamente  con  si  fatta  irriverenza  :  ma  con  atti 
positivi  e  coattivi ,  con  provvedimenti  e  con  leggi.  Una  frotta  di 
biricchini,  che  protrebb* essere  aizzata  e  pagata,  può,  quando 
vuole  j  co'  clamori  e  colle  mariuolerie  impedire  una  congregazione 
di  cattolici  e  per  sino  una  cerimonia  solenne  de*  medesimi.  E  1*  au- 
torità pubblica,  perchè  non  la  trascenda  a  tumulti  e  ad  eccessi, 
che  poti'ebbero  anch'essere  ipotetici  e  immaginari ,  tostamente  ne 
la  compiace,  divieUindo  appunto  quella  congregazione  e  quella  ce- 
rimonia. Perchè  certi  riti,  e  le  scampanate  e  le  processioni  in  par- 
ticolar  modo,  uniche  fe^te  de'  nostri  campagnoli  ed  ultime  dd 
popolo ,  dan  noja  a  un  centinajo  o  ad  una  decina  di  persone  t- 
giate  in  questo  o  in  quel  comune,  eccole  interdette.  Non  è  dun- 
que libero  T  esercizio  del  culto  a'  cattolici  nelle  cose  piìi  innocue 
e  compatibili,  e  neppur  di  riunirsi  sotto  T egida  del  cosi  detto 
Statuto  ;  ognora  che  si  possa  un  qualche  pretesto  addurre  di  tur- 
bamento della  pubblica  quiete ,  ovveramente  del  popolar  sonno  e  dd 
borghese  baccano.  Che  per  lo  meno ,  se  si  lasciarono  aprire  nuove 
sinagoghe  e  cappelle ,  non  si  doveano  chiudere  le  tante  chiese  cil- 
toliche ,  che  si  chiusero  e  cangiarono  in  magazzini.  E  per  lo  meno 
quelle  scampanate  e  processioni,  e  gli  altri  riti  dovrebbon  meritare 
lo  stesso  ris|)etto  d' un  corso  camescialesco  e  delle  altre  baldorie, 
che  godono  non  solamente  piena  immunità  ;  ma  le  più  squisite  at- 
tenzioni della  sopraddetta  autorità  pubblica.  La  quale  in  carnevale 
aflida  agli  arcizanni  delle  allegre  brigate  quasi  il  bastone  del  co- 
mando: e  certamente  mette  sotto  i  loro  ordini  la  milizia,  e  le  la- 
scia alzar  steccati,  tirar  traini,  addensar  turbe,  ingombrar  vie. 
Una  passeggiata  d'uomini  incappucciati,  pognamo,  che  la  fosse 
uno  spettacolo  stucchevole ,  ricliiede  e  disturba  meno  d' una  ma- 
scherata ;  e ,  lìn  che  alle  moltitudini  non  disgrada .  non  cade  Q 
mqndo,  se  la  si  sopi)orta.  Questo  vuole  la  vera  tolleranza  civile, 
la  vera  urbanità  :  la  (]uale  sopporta  ben  altri  usi  e  gusti  di  molli 
e  di  pochi,  che  potrebbon  essere  ugualmente  stucchevoli,  e  (br- 
s'anco  deplorevoli.  Per  esempio,  io  comprendo,  che  per  la  ne* 
cessila  doir  alimiMitazione  ci  debbano  essere  al  mondo  i  maoeBai 
e  gli  scortichini;  ed  anco  i  pescatori  e  i  cacciatori  di  mestiere. 


—  297  - 

Ma  non  ho  mai  saputo  comprendere,  come  la  caccia  sia  un  no- 
bile e  regale  esercizio  :  e ,  di  ferire  que'  cari  augelletti ,  che  vo- 
lano al  dolce  nido ,  ebbri  d' armonia  e  di  luce ,  e  di  schiacciar 
loro  il  petto,  quando  cadono  palpitanti  e  gementi,  e  di  deporgli 
nel  carniere  semivivi  e  insanguinati ,  non  mi  reggerebbe  il  cuore. 
Altri  reputano  questo  in  vece  valore ,  e  dilettamento  da  grandi  : 
e  bisogna  pure ,  eh'  io  abbia  torto  ed  essi  ragione ,  e  che  tutti  ci 
accomodiamo  al  settenirional  loro  uso  e  gusto.  Parimenti,  s'io 
comprendo ,  i  cani  essere  animali  molto  affettuosi  e  molto  fedeli , 
e  degni  per  certi  conti  d' essere  anco  dagli  uomini  ammirati  e  imi- 
tati ;  d' altra  parte ,  accontentandomi  d' amar  gli  uomini ,  V  amor 
de'  cani  non  V  ho.  Tuttavia  altri  Y  hanno ,  e  non  si  limitano 
di  coltivarlo  nelle  lor  case,  ove  a  me  pare,  si  dovesse  rimaner 
chiuso  :  bensì  lo  vogliono  pubblicamente  professare ,  menando  a 
spasso  i  lor  mastini  o  tenendo  in  grembo  le  loro  cuccie ,  con  una 
serietà  e  una  tenerezza  ammirabili.  E  per  costoro  noi  dobbiamo 
soffrire  d'  aver  tra'  piedi  nelle  piazze  e  ne'  ritrovi  i  quadrupedi 
loro  amici ,  d' udirgli  guajolare  e  di  vedergli  in  atti  sconci ,  cor- 
rendo di  giunta  il  rischio  d' esserne  morsi.  Se  adunque  noi  tolle- 
riamo codeste  noje ,  per  causa  di  certuni ,  e  se  più  centinaja  d' uo- 
mini muojono  ogni  anno  dell'  orrenda  canina  rabbia  per  questo 
loro  solazzo  ;  noi  potremmo  meno  sti'ane  cose,  ancor  che  non 
le  ci  piacessero,  tollerare. 


Cail.  SpogUo  della  chiesa  in  Italia. 

• 

Del  resto,  che  parlo  io  di  tolleranza,  quando  quell' assui'da 
Ubertà ,  che  si  era  incondizionatamente  e  inconsultamente  promes- 
sa,  si  è  non  in  questa  semplice  intolleranza  ;  sì  in  aperta  guerra 
cangiata  ?  Io  non  reputo  atti  ostili  alla  medesima  molti  provvedi- 
naenti ,  di  cui  il  clero  si  dolse  (come  lo  affrancamento  dell'  istru- 
zione dal  suo  monopoUo,  e  il  suo  assoggettamento  al  debito  mi- 
litare) ;  benché  sieno  non  da  quell'  assurda  libertà  ;  ma  dalle  ra- 
gioni civili,  secondo  noi  le  intendiamo,  ampiamente  suffragati. 
Nondimeno  atti  ostili ,  gravi  e  parecchi ,  e  quasi ,  se  lo  avessero 
potuto ,  mortali ,  furono  contro  la  medesima  diretti  ;  senza  nem- 
raanco  badare  nelle  forme  a  un  po'  di  temperanza  o  di  decenza. 
Io  cito  per  tutti  la  cosi  detta  operazione  sulV  asse  ecclesiastico 
(  poiché  i  provvedimenti  dello  stato  borghese  esprimonsi  con  que- 


-  298  - 

sta  sorta  di  locuzioni  mercantili);  e  quegli  altri,  che  la  precessero 
e  seguirono ,  informati  al  medesimo  pensiero.  Ne'  quali  se  dod  si 
vede  palese  V  abuso  della  cosi  detta  volontà  de'  più ,  cui  io  sopra 
ho  dimostrato ,  essere  in  sostanza  la  volontà  de'  meno  ;  vuol  dire 
proprio,  che  qui  non  ci  si  vede  più  niente.  Imperocché,  se  quella 
serie  d'atti,  che  si  riassumono  nello  spoglio  della  chiesa  no- 
zionale  fosse  stata  diretta  non  contro  lo  istituto  religioso  comu- 
ne; ma  contro  questa  o  quella  setta  diversa,  si  capirebbe  tanto- 
sto ciò ,  che  la  è.  Anzi ,  se  gli  averi  di  qualche  comunità  israeli- 
tica od  evangelica  si  fossero  incamerati,  avrebbesi,  e  giustamente, 
gridato  all' iniquità.  E ,  ciò  non  ostante,  gli  averi  de'  26,658,679 
italiani  cattolici  furono  posti  fuori  legge,  credendosi  di  far  cosa 
lecita.  Io  comprendo,  ma  non  comprendono  i  borghesi  (come  si 
manifesterà  poi  nel  loro  sistema  finanziario),  che  pe'  bisogni  della 
patria  debbasi  ciò  e  ben  altro  fare.  Sempre  che  per  altro  in  modo 
equanime  per  tutti  ;  e  che  la  confìsca  di  quegli  averi  non  si  re- 
puti ,  avere  maggior  titolo  della  conlisca  di  tutti  gli  altri.  I  beni 
della  chiesa  quindi  non  a\TÌano  dovuto  contribuire  alle  necessità 
dello  stato  in  maggior  misura  di  quelli  de'  privati ,  o  per  lo  meno 
delle  altre  corporazioni.  Dappoiché  essi  costituivano  una  proprielà 
del  i>opolo  cattolico  italiano  altrettanto  legittima ,  quanto  quella  di 
qualsivoglia  persona  singola ,  o  per  lo  meno  di  qualsivoglia  persona 
morale.  Conseguentemente  potea  lo  stato  prescriver  norme  e  limiti 
al  patrimonio  generale  della  chiesa  e  particolare  delle  chiese,  sot- 
trailo anche  al  libito  della  chieresia,  renderlo  consentaneo  al  pro- 
gresso della  civiltà  e  al  bene  del  popolo  :  non  già  a  questo  ra- 
pirlo*. La  Legge  per  la  soppressione  degli  ordini  e  delle  eor^ 
porazioni  religiose^  nel  di  7  luglio  1866  promulgata,  non  po- 
trebb'al  più  essere  giustifìcata^  se  non  sotto  un  punto  di  vista, 
come  si  suol  dire,  rivoluzionario:  non  già  strettamente  giuri- 
dico. Ecco  dunque  un  esempio ,  che  può  essere  invocato  nelle  Ah 
ture  vicende  a  giustifìcare  (]ualche  altro  spropriamento  prò  o  eoo- 
tro  la  borghesia  medesima.  La  quale  ad  ogni  modo,  mentre  è 
tanto  fonnale  e  mansueta  nel  rimanente,  operò  questa  sua  rivolu- 
zione, non  già  a  favore;  ma  a  danno  di  quel  popolo,  che  paga 
sempre  quel,  ch'ella  rompe.  Perchè,  se  i  beni  ecclesiastici  non 
si  voleano  più  a  sacro  uso  addetti ,  sempre  a  popolar  uso  rima- 
ner doveano  devoluti:  e  non  era  giusto,  né  cauto  privarne  il  le» 
giltimo  padrone,  per  esonerare  i  facoltosi  da'  propri  pesi.  Vedre- 
mo appresso .  che  sorta  di  sollievo  abbia  avuto  T  erario  da  questa 


~  299  - 

famosa  operazione:  qui  mi  basta  constatare,  che  sorta  di  libertà 
fosse  quella  alla  chiesa  concessa.  —  Voi,  lupi  e  volpi  dal  sacri- 
lego ammanto,  abbiate  piena  balia  di  combattere  le  pubbliche 
istituzioni,  di  bestemmiar  la  patria  appena  risorta  e  di  avvilup- 
pare ne'  lacci  della  ipocrisia  e  della  codardia  questo  povero  po- 
polo, che  ha  bisogno  de' prodigi  della  virtù  e  della  fortezza 
per  districarsi  dalla  sindone  del  sepolcro.  Noi  ci  riserviamo  d' ir- 
riderne le  credenze,  di  contrastarne  le  manifestazioni,  e  sopra 
tutto  di  valerci  de'  beni  suoi  per  le  alte  nostre  finanze  usuratiche 
e  giudeesche.  —  Fu  questa  la  politica  ecclesiastica  de'  moderali 
e  dottrinari,  sino  allo  sgambetto  parlamentare  de'  18  marzo 
1876,  che  la  fazion  bigia  e  lo  squadrone  volante  diedero  alla  fa- 
zion  bianca. 


CCIV.  Momentaneo  ravvediniento  della  polizia  ecclesiastioa  borghese. 

Da  questo  punto,  in  quella  indicibile  mobilità  del  nostro  po- 
litico governo,  paragonabile  al  governo  d'una  nave  senza  bussola 
e  senza  nocchiero,  subentra  una  novella  fase;  cui  appena  si  può 
discernere  ora,  e  su  cui  non  si  può  pronunciare  un  giudizio  certo. 
L'  uomo ,  che  presiedette  subito  al  supremo  dicastero  de'  culti , 
Pasquale  Mancini,  era  troppo  un  buon  giurista,  per  non  seguire 
in  questa  materia  gh  ammaestramenti  della  scuola  italiana,  e 
troppo  un  vivace  ingegno  per  non  sapergli  disviluppare  secondo  i 
cangiati  tempi.  Tuttavia  uomini,  idee,  cose  valgono  niente  in  que- 
sta tresca  di  larve,  parole,  finzioni.  Parrebbe,  che  i  funesti  effetti 
del  sistema  fin  qui  seguito,  si  dovessero  alla  fine  scorgere:  ma 
in  questa  sorta  di  reggimento  è  da  attendersi  tutto,  tranne  delle 
patrie  tradizioni  e  de'  popolari  istinti  1'  osservanza.  Non  posso 
adunque  sperarla;  giacché,  s'io,  che  le  vo  ricordando  e  gfi  vo 
svelando,  fui  sino  a  qui  un  reprobo,  ci  vorrebbe  un  miracolo,  per- 
chè non  mi  si  desse  torto  ancora.  Si  dovrà  dunque  cangiare  od 
almeno  accennar  di  cangiare,  non  già  per  un  ritorno  a  quelle  tra- 
dizioni e  a  quegl'  istinti  :  ma  tanto  per  fare  qualche  cosa  di  di- 
verso dagli  altri,  o  per  assecondare  la  volubil  moda.  Se  la  Fran- 
cia avesse  a  Sedan  vinto  e,  vincendo,  la  fosse  ugualmente  dive- 
nuta una  repubblica  rusticana  e  sacrestana;  si  può  scommettere, 
die  il  bigottismo  politico,  insieme  con  qualch'  altra  cosa,  avrebbe 
attraversato  le  Alpi  suir  ali  della,  vittoria.  Essendo  in  vece  questa 


-  300  - 

volata  altrove,  è  troppo  naturale,  che  noi,  non  potendo  emulare  i 
tedesclii  ne'  forti  studi  e  ne*  forti  propositi ,  e  non  raccogliere  i 
loro  trofei  nel  campo  della  gloria,  gli  assecondassimo  con  qual- 
che pacifica  rodomontata.  Ch'  eglino  abbiano  per  la  chiesa  catto- 
lica e  romana  tutto  T  odio,  che  buoni  luterani  e  prussiani  debbono 
professarle,  e  cerchino  anche  di  «  cavare  la  castagna  dal  fuoco 
colla  zampa  del  gatto  »,  si  spiega.  Ma,  che  noi,  proprio  noi,  da 
stupidissimi  clienti  e  umilissimi  servidori,  dovessimo  per  far  pia- 
cere a  loro,  ovveramente  a  una  parte  di  loro,  e  per  emendare 
quella  loro  onta  di  Canossa,  gettarci  addosso  alle  cose  nostre  L.^ 
Dopo  tutto  questa  chiesa,  oltre  rappresentare  la  religione  d^'i- 
taliani,  ha  qui  la  sua  sede  e  da  qui  regga  oltre  dugento  milioni 
d' uomini.  È  un  grande  stabilimento  storico  e  morale,  la  cui  po- 
derosità  e  il  cui  splendore  sono  incontrastabili;  un  primato  del- 
r  Italia  sul  mondo,  e  un  avanzo  del  dominio  di  Roma.  Via,  non  la 
è  tanto  una  cosa  spregevole,  da  gittar  via:  e  accertatevi,  se  Ta- 
vesscro  i  tedeschi,  ne  la  terrebbono  in  gran  pregio.  Forse  i  loro 
professori  scriverebbono  grossi  volumi,  per  chiarirla  il  più  singo- 
lare e  meraviglioso  istituto  della  terra,  e  prova  lampante  e  yìm 
della  superiorità  della  loro  razza  e  del  loro  pensiero.  Essi  non 
r  hanno,  e  naturalmente,  non  avendola,  dicono  e  vogliono  il  con- 
trario: e  questo  basta,  perchè  noi  si  debba  dire  e  volere  il  me- 
desimo. Quinci  il  cangiato  indirizzo  del  cosi  detto  spirito  gene- 
rale tra  noi,  a  cui  accennano  i  reggitori  odierni  di  rendere  il  so- 
lito omaggio;  e  secondo  cui  parrebbe,  le  tradizioni  patrie  nelle 
relazioni  tra  stato  e  chiesa  dovessero  riannodarsi,  or  che  le  sem- 
bran  straniere.  Se  non  che  una  diversità  profonda,  per  non  dir 
de'  diversi  luoghi,  passa  tra  la  sapienza  civile  degli  avi  nostri  e 
gli  oracoli  della  gran  cancelleria  di  Berlino  in  tal  proposito.  Quella 
supponeva  il  rispetto  alla  religione  del  popolo  e  il  rìconoscimeoto 
della  chiesa,  quale  una  podestà  venerabile  e  formidabile:  questa 
implica  r  intento  recondito  di  schiacciare  il  papato  e  ogni  ordine 
cattolico.  Quella  si  riassume  nella  tutela  legittima  dello  stato  e 
del  civile  impero:  questa  nella  oppressione  del  cattolicismo. 


CCV.  Funesti  effetti  delU  poliiia  eoeleiiartioa 

La  ivi^cuzione  in  Germania  ò  già  cominciatii  con  leggi  dotte 
e  assurde,  e  con  pene  erudite  e  goffe:  in  Italia  sin  ora  larvali 


-  301  - 

con  que'  vilipendìi,  ostacoli  e  confiscamentì  dianzi  accennati.  Po- 
gnamo,  che  colà  riuscisse  (il  che  io  non  credo  punto);  certo  non 
la  riuscirebbe  qui,  dove  non  sono  i  cittadini  divisi  in  eresie,  dove 
la  unificazione  non  fu  imposta  militarmente,  dove  non  trattasi  di 
restringere  il  giogo  d' alcune  provincie  suir  altre ,  e  dove  sopra 
tutto  il  comun  sentire  è  molto  diverso.  Tra  tanti  vizi,  vi  è  an- 
cora una  gran  virtù  civile  e  umana  superstite  in  tutti  gì' italiani, 
borghesi  e  non  borghesi.  La  fredda  durezza,  la  sistematica  pre- 
potenza, r  orgoglio  della  forza,  il  farnetico  della  fortuna,  l'abuso 
della  vittoria...,  sono  passioni,  che  non  possono  a  niun  costo 
ne'  lor  petti  allignare  mai.  Mentre  sembra  morto  ogni  altro  sen- 
timento generoso,  ve  np  ha  ancora  uno  romano  qui,  cui  non  si 
potrebbe  impunemente  sfidare:  Tuniversal  fremito  di  sdegno,  che 
la  bnital  violenza  susciterebbe;  anche  usata  verso  i  malvagi,  e 
specialmente  verso  gl'inermi  e  i  vinti.  Una  persecuzione  manife- 
sta e  crudele,  non  potrà  dunque  in  Italia  avverarsi,  a  meno  che 
proprio  non  si  volesse  mandar  lo  stato  sossopra.  Non  pertanto  quella 
larvata  e  scortese,  che  fin  ora  ebbe  luogo,  accompagnata  alla  libertà 
incondizionata  e  inconsulta,  ebbe  già  i  suoi  funesti  effetti.  Pur  di 
soddisfare  passioni,  le  quali  (fossero  giuste)  non  dovrebbono  gli 
uomini  di  stato  seguire,  si  stuzzicarono  que' nemici  interni;  a  cui 
in  uno  si  rilasciava  ampia  patente  di  cospirare,  e  d'accendere 
anco,  se  lo  avessero  potuto,  una  guerra  civile.  Per  quanto  lieve 
fosse  la  costoro  efficacia,  a  fronte  del  buon  senso  popolare,  sa- 
rebbe tuttavia  stato  meglio,  che  i  costoro  sermoni  e  le  costoro 
pastorali  avessero  persuaso  l'obbedienza  alle  leggi  e  l'amore 
a'  nuovi  ordini,  anzi  che  il  contrario.  E  ad  ogni  modo  crearsi  un 
inciampo  di  più,  mentre  se  ne  avea  già  tanti,  e  di  cui  non  si 
avea  guari  bisogno,  non  la  era  cosa  da  uomini  pratici;  or  che 
basta  esser  pratici,  anche  senz'esser  savi.  Se  non  che,  siccome 
ninna  causa  si  rimane  senza  effetto,  questa  doveva  il  suo  produrre, 
che  non  era  né  alla  civiltà  generale,  né  al  locale  interesse  giove- 
vole. Molt' italiani  cioè  si  alienarono  dal  comune  affiatamento,  e 
giunsero  per  sino  ad  essere  disgustati  dalle  nuove  sorti  della  pa- 
tria; trovandosi  offesi  in  convinzioni,  che,  per  sembrare  altrui  su- 
pt^rstiziose,  non  cessano  d'essere  a  lor  care  quanto  la  vita.  Capisco, 
eh'  egli  non  si  possono  dire  onesti  cittadini,  né  veramente  virtuosi 
uomini:  perocché,  tra  gli  errori  delle  persone,  doveano  distin- 
guere la  eccellenza  d'  un  principio,  che  sarà  sulla  terra  santo,  fin 
che  un  ultimo  palpito  agiti  i  petti  umani.  Ma,  prima  di  tutto,  si 


-  302  - 

poterono  scusare,  vedendo,  che  alla  fin  fine  la  italianità  de'  bor- 
ghesi, instauranti  qui  un  cosmopolitismo  caorsino  e  zingaresco, 
non  era  gran  che  superiore  alla  loro.  E  poi,  considerando,  che 
se  aveano  comune  con  costoro  il  desiderio  di  cacciar  lo  straniero 
e  di  ricongiungere  la  nazione;  via,  che  la  dovesse  mo  anco  es- 
ser empia,  non  se  V  immaginavano.  Fatto  sta,  che,  scusabili  o  ine- 
scusabili,  eglino,  particolarmente  gentiluomini  e  anziani,  fiirooo 
quasi  per  forza  spinti  ad  un  aborrimento  verso  le  nuove  cose;  pel 
quale  non  arrossirono  di  stender  la  mano  a'  nemici  interni  delta 
patria,  aggregandosi  alla  fazion  nera. 


CCVI.  Orrida  prooreasione  della  fiuian  ii«nu 

Questa,  oltre  che  di  codest'  illusi,  fu  veramente  formata,  ispi- 
rata e  diretta  dagli  sgherri  o  cortigiani  delle  spente  signorie,  e 
da  tutti  coloro,  che  il  ritorno  de'  tiranni  vecchi  e  la  conseguente 
mina  della  patria  sospirano,  i  quali  ci  sarieno  stati  ugualmente,  io 
lo  so  ;  giacché  ogni  tirannide  lascia,  lurida  bava  dietro  a  sé,  uno 
strascico  di  clienti  infami.  Essi  per  altro  non  sarieno  stati  in  tanto 
numero,  né  cosi  svergognati,  né  cosi  audaci;  se  non  si  fossero 
appajati  quegF  illusi,  e  non  avessero  potuto,  con  religiose  lastre, 
decorare  la  propria  infamia.  Un  drappello  d' italiani  poc*  o  molto 
notevole,  non  solamente  indifferenti  al  risorgere  della  comon  ma- 
dre, ma  ricacciantila  neir avello;  sarebbe  stato  uno  spettacolo  troppo 
turpe,  per  jìoterlo  ammannire  al  pubblico  senza  sutterfugi.  I  bor- 
ghesi dunque,  con  le  famose  loro  arti  di  governo,  si  assunsero  il 
compito  di  torgli  la  verecondia  e  di  accrescergli  la  baldanza; 
spingendo  verso  loro  que'  tali  accoliti  di  molta  fede  e  di  poco 
senno,  e  rinfocolando  un  sentimento,  che  ha  ancora  qualche  forza 
tra'  mortali.  La  fazion  nera ,  che  al  di  là  delle  Alpi  rappresenta 
un  fanatismo,  che  non  può  qui  attecchire,  ma  non  almeno  rodio 
alla  piìtria;  non  sarebbe  qui  stata  |>ossibile,  se  non  la  creavano 
eglino  stessi.  I  quali  dl^l  resto  non  T  avversarono  mai;  e,  riln- 
giandosi  nel  loro  doginatismo  costituzionale  e  serafico,  ancora  non 
la  paventano.  Anzi ,  accarezzandone  i  campioni  e  accordamlo  loro 
tutti  ({ue'  favori,  che  tra  buoni  compari  si  accostuma,  mostrarono 
bene,  conìc  si  lidassero  assai  più  di  quelli,  che  delle  fiere  e  sde- 
gnose anime  de'  patriotti.  —  Imperocché,  dicono  o  almeno  in 
passato  dicevano:  il  pericolo  unico,  cui  può  lo  stato  temere,  vk 


~  303  - 

da'  fautori  di  repubblica  o  di  altre  novità,  i  quali  hanno  qualche 
senso  gagliardo  e  possono  nelle  turbe  suscitarne:  ma  a  chi  fan 
paura  que'  baciapile  ?  —  Pur  la  potrebbon  fare,  non  dico  ad  essi  ; 
bensì  a  chi  ama  la  civiltà  e  la  patria,  e  conosce  quanta  la  lor  forza 
sia.  Prescindiamo  pure  dalle  istituzioni  religiose,  educative  e  ca- 
ritative, che  hanno  in  mano,  e  dalle  diverse  congreghe  pie,  da' so- 
dalizi d' ogni  specie  e  da'  giornali  loro,  che  sono  i  megUo  scritti 
e  i  meno  venali  ;  e  da'  quattrini ,  che  sanno  ei  soli  racimolare  e 
snocciolare,  senz'  ajuto  d' esattori,  in  questa  esausta  Italia  e  nel 
non  esausto  mondo.  Supponiamogli  inoltre  privi  d'ogni  esterna 
forza  e  d'  ogni  regolare  organamento  :  tuttavia  quelli,  oltre  il  sen- 
timento religioso,  hanno  a  lor  servigio  una  gran  suppellettile  sto- 
rica e  morale,  lìiichè  proseguano  il  loro  satellizio  al  papato,  della 
quale  tosto  dirò.  E,  quando  pure  anche  da  questa  si  prescindesse, 
che  cosa  non  è  possibile  alle  sette  ed  alle  fazioni,  dove  e  quando 
la  coscienza  comune  e  la  giustizia  eterna  non  si  curano  più;  e 
basta  tirar  fuori  una  qualunque  bandiera  e  fare  un  po'  di  cliiasso, 
che  incontanente  si  raccozza  una  schiera,  e  colla  schiera  si  sale 
in  Campidoglio? 


ce  VII.  Probabile  trionfo  della  fasion  nera. 

In  tali  condizioni  rimangono  solitari  e  abietti,  e  privi  di  valore 
e  stima  alTalto,  coloro,  che  patrocinano  il  popolo  e  confessano  la 
verità:  mentre  chi  serve  alle  fazioni  e  giura  alle  sette,  è  certo  di 
contare  subito  per  (|ualehe  cosa.  Di  guisa  che,  s'io,  pognamo,  avessi 
a  favor  de'  bianchi  o  de'  bigi  scritto  queste  pagine,  forse  che  mi  toc- 
cava (ahimè)  divenire  un  graud'uomo.  Avrei  cioè  trovato  anch'io  un 
editore,  e  dieci  giornalisti  avrebbono  per  lino  sostenuto  che  la  mia 
prosa  non  è  ostica  e  istecchila.  Scrivendo  in  vece  per  la  verità  e  pel 
popolo;  per  la  povera  verità,  eh'  è  diventata  la  versiera,  e  pel  po- 
vero poi)olo ,  che  non  sa  e  non  saprà  mai  quel ,  che  faccio  per 
lui,  tutti  mi  daranno  addosso.  E  lino  i  miei  buoni  Pomponii,  tra- 
vedendo le  lìamme  del  rogo ,  che  abbrucia  un'  anima,  mi  sfuggi- 
ranno, mormorando  :  poverino,  non  è  cattivo;  ma  com'è  temera- 
rio! Dico  [)er  tanto,  cliQ  chiunque  non  voglia  pomponizzare,  come 
fanno  i  miei  dolci  amici,  o  chiunijue  non  voglia  pensare  di  proprio 
ca|)o  e  far  parte  per  sé  stesso,  come  faccio  io  qui,  è  certo  di  tro- 
vare ascolto  e  seguito  ora,  pur  che  ardisca.  Onde  maggiormente 


-  304  - 

la  fazion  nera  può  vìncere;  sol  che  voglia  rendersi  tollerabile,  ae- 
correre  alle  urne  e  partecipare  agli  altri  atti  della  vita  pubblica*  La 
buona  stella  d' Italia,  che  tant'altre  cose  ha  voluto,  volle  eziandio 
r  ostinazione  della  corte  vaticana,  e  le  imprecazioni  sue  alle  cose 
più  sante,  e  fino  le  sue  ingiunzioni  ai  fedeli  d'  esser  contumaci  ai 
suffragi  ed  alle  altre  azioni  civili.  Col  qual  sistema  ha  essa  per- 
duto, un  po'  prima  del  tempo,  il  teroporal  dominio  e  le  altre  cose, 
che  i  dottrinari  e  moderati  gli  avrebbon  per  fermo  salvate  :  mentre 
si  è  naturalmente  spogliata  di  quella  etBcacia  politica,  che  avrebbe 
altrimenti  potuto  acquistare.  Ma  questo  sistema  non  può  durare 
a  lungo  per  lo  effetto  stesso  degli  anni ,  che  volano  ;  o  cioè  per 
la  necessità,  la  calma  e  Y  accortezza,  che  prevalgono  a  dod  hmgo 
andare  alle  bizze,  ai  rancori  e  ai  bronci  inutili.  Avvegnaché  i 
rimpiagnitori  del  passato  si  avvedranno  bene  alla  fine,  che  qoe' 
lor  cari  tirannelli,  già  rassegnati  al  bando,  e  anzi  già  fantasmi 
erranti ,  non  gli  possono  più  richiamare  e  rievocare.  E  quindi 
acconcicrannosi  a'  nuovi  ordini,  e,  acconciandovisi,  vorranno  trame 
alcun  pro\  ÀI  quale  uopo,  benché  non  sentano  nemmanco  gli  af- 
fetti, che  hanno  le  tigri  e  le  jene  peMoro  deserti  e  per  le  lor  tane; 
basta ,  eh'  ei  non  rinneghino  più  la  propria  patria ,  come  non  la 
rinnegano  i  lor  sozi  altrove,  e  scendano  in  lizza,  come  vi  scendoo 
costoro.  Anzi  é  assai  probabile,  che  la  plebe  censita,  minacciata 
dalle  folgori  della  social  burrasca,  dia  la  mano  o  si  getti  a  di 
rittura  in  grembo  a  cotestoro,  come  ad  unico  porto  di  salute;  piut- 
tosto che  decidersi  a  quelle  opere  di  giustizia,  a  cui  io  nel  se- 
guente volume  la  invito.  Ned  é  questo  un  supposto  immaginario  o 
un  presagio  difficile  :  perchè  la  medesima  cosa  fecero  già  la  bor- 
ghesia belgica  e  la  gallica;  né  mancano  ragioni  air  italiana  per 
imitarne  gli  esempi.  Le  cose  ornai  sono  giunte  al  punto,  in  tatti 
gli  stati  borghesi,  che  non  solamente  il  ceto  signoreggiante;  si 
anche  gli  altri,  per  sottrarsi  alle  sovrastanti  procelle,  deUttno 
commetter  Y  ordine  a'  detestati  avversari.  Sarà  certo  un  effimero 
ripiego:  ma  non  ne  dorrà  molto  alla  borghesia,  a  cui  basta  sal- 
vare i  quattrini  a  forza  di  ripieghi  effimeri.  Né  quasi  più  a  ve- 
runo; dacché,  alla  fine  de' conti,  un'  Italia  clericale  non  sarebbe 
gran  che  i)eggiore  d'  un'  Italia  borghese. 


-  305 


CCVIil.  Sorti  presenti  del  papato. 

È  egli  però  vero,  che  il  clericalismo  abbia  tanta  efficacia, 
da  potere  ancora,  almeno  per  alcun  tempo,  contrapporsi  air  avan- 
zamento della  civiltà  e  al  definitivo  risorgimento  della  patria?  — 
Per  rispondere  a  tale  inchiesta,  io  debbo  le  relazioni  di  esso  con 
la  chiesa  cattolica  e  la  curia  romana  rammentare  ;  e  constatare 
gì'  immensi  ajuti,  che  ne  trae.  Io  sono  lungi  dal  confonderlo  con 
le  medesime;  e  men  che  meno  dal  mancare  al  precetto,  che  mi 
son  posto  (seguendo  lo  esempio  de'  più  valorosi  uomini  dell'  an- 
tichità) di  rispettare  le  religiose  credenze,  e  di  non  avvolgere  nella 
teologia  discussioni  meramente  politiche.  Serbandomi  anzi  uomo 
libero ,  non  mi  vergogno  d' appartenere  alla  religione  de'  miei 
connazionali  :  il  che  è  tutto  quello,  che  di  più  enorme  si  possa  in 
questi  tempi  palesare.  Ciò  non  ostante,  è  incontrastabile,  che  il 
clericalismo  si  vale  della  chiesa  e  della  curia  predetta  ;  e  che,  io 
non  dico  nelle  cose  di  fede,  ma  si  nelle  cose  di  quaggiù  il  papato 
prese  un  avviamento,  molto  favorevole  a  quello.  Perchè,  se  il 
papato  fosse  un'  istituzione  meramente  spirituale ,  e  nello  stesso 
tempo  onninamente  locale,  il  linguaggio  del  venerando  uomo, 
confinatosi  nel  Vaticano  e  testé  sceso  nel  sepolcro,  avrebbe  po- 
tuto esser  questo.  —  Io  capisco ,  che  al  massimo  degli  umani 
sentinionti  e  alla  più  grande  istituzione  della  terra,  di  cui  sono  io 
custode  indegno,  si  dà  ora  una  grossa  battaglia.  Pure  io  non  posso 
con  mondani  mezzi  vincerla:  né  andar  contro  allo  spirito  de' 
tempi,  ove  è  giusto  e  verace  ;  né  contro  a'  voli  di  questo  popolo, 
cui  già  io  medesimo  benedissi.  Cercherò  adunque  di  emendare 
tutto  il  male ,  che  vi  potesse  essere  nelle  cose  e  negli  uomini , 
cui  io  governo.  Ed  a  quello,  che  fiirete  voi,  miei  cari  figliuoli,  op- 
porrò non  più  i  miei  anatemi;  bensì  i  miei  paterni  consigli,  le  mie 
preghiere  e  le  mie  lagrime.  Non  farete  torto  voi  a  un  povero 
vecchio,  che  vi  scongiura  di  esser  buoni  :  ma,  quando  pure  lo  fa- 
ceste, che  sortii  di  vittoria  avreste?  Dovessi  riprender  quella 
croce,  che  ha  trionfato  di  tante  corone ,  e  risalire  il  calvario ,  e 
assoggettarmi  anche  agli  scherni  del  pretorio,  ikmio  strazio  in- 
f()nderebl)e  alla  virtù  nuovi  incanti,  alla  sposa  di  Cristo  nuove 
grazie.  Che  che  ne  segua  adunque,  io  getto  via  queste  insegne  di 
regno  e  queste  vanità  del  mondo;  e  una  seconda  volta  esclamo: 

20 


-  306  - 

c(  Dio ,  benedite  V  Italia  !  »  —  Ma ,  siamo  schietti ,  per  proDun- 
ciare  tali  parole,  ci  avrebbe  voluto  un  papa  riformatore:  il 
quale  fosse  non  solamente  stato  disposto  ad  abdicare  il  principito 
con  gioja;  si  anche  ad  incontrare  baldamente  il  nuovo  svol- 
gersi della  storia  ed  a  segnare  pel  supremo  sacerdozio  il  prin- 
cipio d' una  nuova  era.  Or  non  è  facile,  che  tali  uomini  sorgano,  aè 
che  le  vecchie  cose  di  per  sé  si  rinnovino:  ma,  quando  pure  Pio  IX 
avesse  avuto  quelle  prodigiose  doti  di  mente  e  d' animo,  che  a  si 
fatta  impresa  occorrevano,  che  avrebbe  egli  solo  potuto?  Nem- 
meno il  sommo  Ildebrando  sarebbe  stato  in  grado  di  comfHere  la 
sua  meravigliosa  riforma,  se  contro  le  armi  dell'  impero  e  la  cor- 
ruzione della  maggior  parte  del  clero,  non  avesse  potuto  disporre 
d' ausiliari  valenti  e  tenaci  ;  e  sopra  tutto  d'  un  gran  tesoro  di 
convinzioni  e  di  passioni,  da  oltre  un  secolo  addensate  ne'  popoli. 
Onde,  se  oltre  il  sommo  pontefice,  avessero  e  il  sacro  collegio  e 
molti  vescovi  e  preti  e  credenti  voluto  riformar  ora  la  chiesa^  cosi 
d'  un  subito  non  vi  sarebbero  certamente  riusciti.  Gonciossìacbè 
le  riforme  possono  essere  da'  forti  pensatori  antivedute ,  e  sto 
quasi  per  dire  ingiunte  alle  future  generazioni  :  quanto  all'  attuar- 
le, se  non  le  siano  già  maturate  dal  tempo,  chi  lo  può? 


CCIX.  Apparente  agonia  del  papate. 

Giudicando  adunque  con  umani  e  profani  argomenti,  come 
dobbiamo  noi  qui,  mentre  la  chiesa  senza  una  novella  riforma 
(e  ne  subì  già  parecchie)  non  può  risollevarsi;  questa  non  può 
esser  fatta,  che  in  futuro.  E  quindi,  se  non  già  giustificare,  è  dato 
spiegare  V  opera  presente  deir  alta  gerarchia,  ponendosi  nd  punto 
di  veduta  della  medesima:  eh' è  di  conservare  o  bene  o  male 
(jucl,  clf  ella  possiede,  senza  che  troppo  le  caglia  della  patria  e 
del  vangelo.  Sotto  il  qual  punto  di  veduta  si  capisce ,  che  on 
papa  conservatore  dovesse,  e  debba  per  alcun  tempo  ancora, 
tenere  quel  sistema  di  ritrosia,  di  resistenza  e  d' immobilità;  cb*è 
tutto  un  sistema  di  cose  assiderate,  decrepite  e  ruinose,  e  ad  m 
di  presso  quello  dell'  agonizzante  veneziana  repubblica.  Nondimeno 
piace,  almeno  a  chi  ama  negli  avversari  la  fortezza  e  nOn  la  co- 
dardia, vedere  alcun  raggio  dell'  antico  senno  illuminare  quei  te- 
glianli ,  che  sono  do|K)  tutto  italiani  ;  e  che  dalle  traversie  dd 
pontificato  e  dal  pondo  degli  anni  non  domi,  mantengono  la  prò- 


-  307- 

prìa  dignità,  mentre  tutto  intorno  è  buffonerìa.  I  quali  del  resto 
e  la  romana  prelatura  in  generale,  di  fine  tatto  dotati  e  di  squi- 
sita cortesia,  e  ben  alieni  dall'  oltramontano  fanatismo,  non  avreb- 
bero diverso  modo,  né  anche  volendo,  potuto  tenere.  Dappoiché 
sarebbe  loro  necessitato  con  fanciulU  imbizzariti  e  insolenti  ne- 
goziare e  transigere ,  che  alle  pratiche  e  ài  patti  non  avrebbero 
dato  maggiore  importanza  d'  u|i  giuoco.  E  che ,  non  appena  si 
fosse  da  loro  accondisceso,  di  cosa  in  cosa  ne  gli  avrebbero  co- 
stretti a  tracannare  sino  al  fondo  un  calice  d'  umiliazioni  innume- 
revoli e  innonùnabili  :  acciocché  restassero  nella  comune  viltà  ade- 
guati, e  di  giunta  irrìsi.  Conseguentemente  i  diportamenti  del  pa- 
pato, non  come  istituzione  evangelica  e  in  uno  patriottica,  ma  come 
istituzione  politica  e  mondiale,  si  vede  per  causa  della  trivialità 
imperante ,  non  avrebbero  potuto  essere ,  se  non  quelli ,  che  fu- 
rono. La  qual  cosa  io  constato,  perché  non  si  dia  agli  avversari 
maggior  colpa  di  quella ,  eh'  eglino  e  noi  abbiamo  :  quantunque 
io  sappia  troppo ,  che  il  ragionare  oggi  di  tali  materie  in  Italia 
non  abbia ,  se  non  un  valore  accademico.  Se  pur  tanto  glie  ne 
concedono  i  nostin  gran  baccalari,  che  credono  di  non  doversene 
curare  affatto,  e  che  il  papato  stesso  o  in  una  guisa  o  neir  altra  sia 
spento.  Or,  siccome  anche  in  questo  punto  io  dissento  da  loro 
(non  ostanti  i  miei  tre  volumi  dannati  dalla  sacra  congregazione 
deir  indice),  dirò  il  mio  parere  veracemente,  e  quindi  contraria- 
mente alla  cosi  detta  opinioìie  pubblica.  La  quale  vedremo  ap- 
presso non  esser  altro,  se  non  un  nugolo  d'  enigmi  e  d'  arzigo- 
goli, monopolizzato  da  un  centinajo  appena  di  diari  e  di  cerchi , 
e  sostituito  alla  coscienza  del  popolo  e  alla  intelligenza  de'  sa- 
pienti. 

CCX.  Forze  della  romana  onria. 

Per  certi  sintomi  si  direbbe,  il  male  del  papato  essere  estre- 
mo :  conciossiacchò,  sbattuto  da  tanti  venti,  e  postosi  in  lotta  de- 
cisa colla  scienza  e  colla  civiltà  odierne  (mentre  la  perdita  del 
temporal  dominio  rendcagli  più  necessarie  queste  poderose  mili- 
zie), la  sua  sorte  sembri  disperata.  Anche  Hmitandoci  alle  sole 
condizioni  interne,  le  immunità  della  legge  a  di  13  maggio  1871 
promulgati  ,  che  non  ha  natura  né  d'un  trattato  internazionale, 
né  d  un  atto  sinallaguiatico,  e  cui  del  resto  quello  rigetta  e  dispreiza^ 


-  308- 

gli  possono  facilmente  venir  meno.  Ed  esso,  quando  un  reggimeolo 
più  largo  e  più  sincero  qui  s'instaurasse,  o  qualche  peripezia  so- 
ciale sopravvenisse,  potrebbe  trovarsi  di  fronte,  in  luogo  d*  un  g<>- 
verno  scettico  e  rifinito ,  la  grande  onda  d' una  nazione,  che  à 
ridesta  piena  d' impeto  e  di  sdegno  ;  o  addolorate  e  inasprite 
turbe,  da  qualche  picciolo  Catilina  sobillate  e  inferocite.  Le  sue 
condizioni  interne  sono  del  resto  cosi  miserevoli,  eh'  esso  stesso 
reputa,  non  poterle  superare,  se  non  col  ritomo  d'un  passato  io- 
faùie.  E,  poiché  niuna  forza  varrà  a  tanto ,  parrebbe ,  fidando  in 
si  vana  speranza,  eh'  esso  stesso  si  giudicasse  perduto.  Evidente- 
mente adunque,  senza  una  radicale  trasformazione  non  si  può 
salvare  :  e,  se  i  suoi  fati  sono  immortali,  questa  è  la  via,  che  se- 
guiranno, per  avverarsi.  Ciò  non  implica  per  altro ,  eh*  esso  non 
|)Ossa  trasformarsi;  né  che  non  abbia  tanta  vitaUtà  ancora  per 
tale  trasformazione,  od  anche,  rigettandola,  per  sopravvivere 
molto  a  lungo  a  sé  medesimo.  Perocché,  in  onta  addetti  sintomi 
apparentemente  mortali ,  e  prescindendo  da  quelle  promesse  di- 
vine, che,  come  cose  di  fede,  non  debbono  in  un  libro  di  scienza 
entrare;  si  vede  per  soU  umani  e  profani  argomenti,  la  chiesa 
serbare  tali  forze  ancora ,  da  esser  tutt'  altro  che  morta  o  mori- 
tura. Per  quanto  sieno  gravi  le  presenti  jatture  sue ,  ella  ne  ha 
superate  ben  di  più  gravi  e  nelle  svergognatezze  del  novecento 
e  nella  cattività  d'  Avignone  e  nello  scisma  d'occidente;  tra  le 
quali  sembrava  peggio,  che  naufragata.  Lo  splendore  del  papato, 
non  ostanti  le  medesime,  è  tuttavia  tale,  che  oscura  oggi  non  so- 
lamente certe  istituzioni  del  luogo,  che  non  ne  hanno  alcuno  ;  ma 
sovrasta  a  tutte  le  maestà  della  terra.  Oltre  che  é  tanto  imperiosa 
tuttavia,  ed  obbedita  la  sua  autorità,  che  testé  potè  cimentarla  e 
[)rovarla  coiratto  più  arriscliiato  e  portentoso,  che  immaginare  si 
jK)ssa.  E  pur  vedemmo,  tranne  pochi  dottori  in  divinità  tedescluu 
tutt'  i  vescovi  (benché  molti  innanzi  ricalcitranti  )  piegare  il  capo 
unanimi  alla  sentenza ,  che  gli  esautora  quasi  per  sempre  dda 
loro  apostolica  [KKlestà  no'  concili  e  fuora.  Io  non  do  troppa  im- 
portanza alle  recrudescenze  spigolistre  di  Francia  e  Spagna,  né  ai 
pellegrinaggi  e  all'  obolo  di  san  Pietro,  che  que'  buoni  oltramoft- 
tani  fanno  e  versano  in  Italia;  dappoiché  tai  cose  anche  col  solo 
fanatismo  si  spiegano.  Ma  egli  é  indubitato,  che  bisogna  tor- 
nare a'  più  bei  tempi  della  fede  o  della  credulità,  per  ritrovare  d 
generale  intesa,  si  stretto  accordo,  si  cieca  ossen^anza.  Oofè 
assai  più  [irobabile,  la  chiesa  riacquisti  nuovi  figli  (e  già  a 


-  309  - 

sto  acceoDano  le  frequenti  abjure  di  molti  anglicani  ),  di  quello  che 
ne  perda.  E  iper  fino  la  stizza  de'  protestanti  alemanni  e  inglesi 
contro  quello,  cui  chiamano  eglino  oUramontanismo,  benché  abiti 
per  contrario  presso  loro  ;  come  si  può  spiegare,  s' ei  non  si  sen- 
tissero, dopo  più  secoli  dalla  loro  ribellione  a  Roma,  ancora 
nella  paurosa  condizione  d' eretici  relassi ,  o  nella  più  umile  di 
figli  scappati  via  di  casa?  Certo  non  la  considerano  eglino  una 
potenza  caduta,  come  noi;  poiché  la  temono  almeno,  e  se  ne 
guardano.  Se  non  che  la  stizza  loro  e  Y  ossequio  de'  cattolici  e 
r  universa!  prestigio  della  chiesa  manifestano  le  gravi  cagioni ,  da 
cui  procedono:  le  quaU  appunto  sono  i  suoi  intimi  nerbi. 


CCXF.  Vere  oanse  di  possanza  della  onria  romana. 

^Vnzi  tutto  ella  non  istà  ovunque  coi  foili:  ma  innalza  pei 
deboli  in  Polonia  contro  la  Russia,  in  Irlanda  contro  T Inghilterra 
e  in  una  parte  di  Germania  contro  l'altra,  un  vessillo,  che  po- 
trebb' essere  quello  della  giustizia.  Ella,  presso  tre  o  quattro  na- 
zioni ,  cui  il  germanesirao  sta  per  sopraffare ,  rappresenta ,  benché 
a  un  modo  fiacco  e  squallido,  la  comune  latinità;  e  presso  tutte 
quelle,  su  cui  già  distese  f  impero  Roma,  il  ricordo  e  qualche 
nodo  dell'  antico  legame.  Finalmente  su  tutta  la  terra  colle  sue 
istituzioni,  che  pur  tuttavia  serbano  una  grande  impronta  di  fra- 
ternità e  di  popolarità,  e  colla  sua  unità  e  universaUtà  risponde 
a  un  anelito,  che  non  è  tanto  del  passato,  come  si  crede,  quanto 
dell'  avvenire.  Prescindendo  da  taU  considerazioni  pohtiche,  le 
quali  non  sono  senza  valore,  a  quel  che  sembra;  tra  le  molte 
cose,  che  a  noi  non  piacciono,  ella  tuttavia  ne  custodisce  alcune 
di  buone,  belle  e  vere:  e  con  queste  non  si  perisce  mai.  Foss' el- 
la del  sentimento  religioso  una  depositaria  mal  fida  o  mal  cauta; 
dappoiché  questo,  ripeto,  é  generale  e  costante  nell'  umanità ,  ed 
é  nello  stesso  tempo  dalla  società  borghese  ripudiato  e  contrista- 
to, questo  naturalmente  si  ravviva.  E  converge  in  lei  tutte  le  sue 
leve;  le  quali  hanno  tante  volte  rivoltato  il  mondo,  che  non  fa- 
rebbe meraviglia,  se  lo  rivoltassero  ancora.  Dovemmo  già  per 
codesto  sentimento  in  Italia  rintuzzato,  ma  altrove  acuito,  con- 
cederle più  dr  quello,  avremmo  voluto.  E  più  le  avremmo  con- 
ceduto, se  non  ci  avesse  a  un  tratto  la  vittoria  di  Sedan  non 
nostra  imbaldanziti  neU' opprimere ,  e  sollecitati  a  una  nuova  for- 


-  310  - 

ma  di  servire.  Con  questo  solo  adunque,  e  co'dugento  e  più  mi- 
lioni di  soggetti ,  che  possono  averlo  traviato,  ma  non  V  banno 
perduto;  avvalendosene  ed  anche  abusandone  (se  lice  fare  tale  ipo- 
tesi ),  ella  è  in  grado  di  vincere  molte  caduche  podestà  del  seco- 
lo. Ma,  oltre  al  medesimo,  ella  ha  in  suo  appoggio  tutt'i  senti- 
menti d'  ordine,  tutti  gli  elementi  di  pace,  tutte  le  iovetente 
abitudini,  tutte  le  forze  conservative  d'Europa,  che  air  urto  im- 
mediato e  mediato  del  grande  rivolgimento  sociale  di  Francia 
poterono  comecchessia  resistere.  Sta  qui  principalmente  la  sia 
indicibile  possanola,  cui  possono  solamente  misconoscere  coloro, 
che  giurano  sugli  oracoli  della  francese  enciclopedia  e  credono 
insieme,  tutti  gli  altri  professare  la  lor  medesima  idolatria.  P^ 
lo  meno  e'  mi  dovrebbon  concedere ,  che ,  se  non  è  infallibile  il 
papa,  non  lo  sarà  nemmen  quella;  e  che  in  que' fangosi principit 
dell'  ottantanove,  tanto  ci  può  esser  di  vero,  quanto  di  falso,  lo 
appunto  di  sopra  dimostrato ,  come  sieno  verità  o  parziali  o  m 
malamente  formulate.  E  con  tanto  danno,  che  poterono  si  al  i 
do  una  forte  scossa  dare;  ma,  dopo  tutto,  non  ebbero  altro  < 
sin  qui ,  che  d' instaurare  una  supposta  e  nienzognera  <    m    a- 
zia ,  e  la  tirannide  d'  un  unico  e  ristretto  ceto.  Né  potev; 
fatti  altro  esito  avere  il  diritto  sostituito  al  dovere ,  il  diritto 
ticolare  air  universale  e  la  volontà  delF  uomo  al  precetto 
natura,  se  non  di  santificare  il  piacere,  T egoismo  e       pn    - 
tenza.  Imperocché  il  diritto,  il  diritto  particolare  e  il  \        < 
r  uomo  sono  certamente  cose  buone  :  ma ,  sovrappone     <     ; 
altre  cose  buone,  e  assunti  come  uniche  norme  della  vita 
rale,  estinguono  la  virtù,  T  amore  e  la  concordia.  Fin  ( 
moso  sillabo  della  romana  curia,  che  sembra  a       i 
tanto  sfacciata  e  pueril  disfida  alla  scienza  e  alla  civ 
non  év  quindi  del  tutto  erroneo,  in  quanto  lo  si  co    ide 
petto  alle  esagerazioni  e  a'  travisamenti  de'  detti  p 
rore  sta  nel  contrapporre  altre  esagerazioni  e  altri 
a  queUi,  nel  ratilicare  sol  quanto  havvi  di  fallace  e  t 
scienza  e  civiltà  antiche,  e  nel  respingere  quel  molo,  eh' è 
di  calore  e  condizion  di  vita;  tra'  cento  anatemi      n  i 
inserendo,  che  inciti  a  nobili  e  generosi  sensi.  Nond      io  in 
punti,  in  cui  que'  principii  rasentano  il  falso,  questo  : 
rasenta  il  vero;  cosi  come  in  genere  la  reazion  eie       t      t 
dalla  rivoluzion  demagogica  inevitabile. 


-311 


CCXII.  Oesiiitismo  competitore  del  giudaismo  borgliese. 

Due  forze  in  fatti  sono  del  pari  alla  società  umana  necessa- 
rie: le  progressive  e  le  conservative.  Le  quali  ultime,  dalla  ri- 
voluzione rigettate,  anzi  combattute,  ora  naturalmente  le  si  ele- 
vano contro:  poiché  la  società  stessa  non  si  rassegna  a  esser 
distrutta;  ed  ha  altrettanto  bisogno  d'incedere,  quanto  di  star 
salda.  La  papal  corte  vuole  per  opposito,  che  rimanga  fenna:  e, 
perseverando  in  questo  conato,  che  può  per  altro  molto  a  lungo 
durare,  ella  segue  (come  ho  detto)  un  sistema  politico  da  poten- 
tato agli  estremi.  Ciò  non  ostante ,  oltre  eh'  ella  possa  novella 
fenice  sorgere  dalle  sue  ceneri  e  lìssar  nuovamente  il  sole;  anche 
in  quest'  agonia  ha  tanto  vigore  ancora ,  da  non  lasciarsi  ardere 
sì  in  breve.  Foss'  anche  stata  la  predetta  rivoluzione  onninamente 
giusta,  e  non  violenti  e  non  esecrabili  i  suoi  mezzi;  i  suoi  fau- 
tori debbono  meco  convenire,  ch'ella  lasciò  molt' interessi  lesi, 
molte  coscienze  turbate,  molli  risentimenti  e  molti  rammarichi. 
I  ceti  antichi  privilegiati  giacciono  offesi,  le  plebi  sprofondano 
in  una  economica  servitù:  da  un  lato  la  plutocrazia  ci  sfrutta,  e 
dall'  altro  T  anarchia  ci  minaccia.  Tutti  adunque  gli  usi  vetusti , 
i  diritti  storici,  le  credenze  vilipese  e  i  palpiti  compressi  cospi- 
rano per  tutta  Europa;  e  si  rannodano  nella  sacerdolal  Roma, 
come  ad  ultima  ancora  di  salute.  E  quinci,  ripeto,  procede  la 
sua  indicibile  possanza;  di  cui  la  fazion  nera  approfitta  qui  e 
altrove,  a  danno  d' Italia  e  del  progresso  umano.  Ora,  riassumen- 
do, siccome  io  non  amo  la  morte  d'alcuno,  e  desidero,  che  gli 
stessi  circoncisi  s' emendino;  non  so  perchè  io  non  debba  desi- 
derare, che  anco  gì'  incirconcisi  s' emendino,  e  debba  amar  la  lor 
morte.  Questi  uomini  pratici  in  vece,  pensandola  diversamente, 
in  Id  guisa  si  diportarono,  da  gettar  tutti  que'  tesori  in  grembo 
al  papato,  e  insieme  da  indurlo  a  pervertirsi;  e,  cosi  arricchito 
e  incattivito ,  da  renderlone  una  rocca  de'  gesuiti.  Il  gesuitismo 
è  appunto  il  grande  antagonista  della  borghesia  giudaica  e  giudaiz- 
zante  ora:  singolare  e  mirabile  atleta  in  tanta  cascaggine  e  frol- 
laggine  ;  ed  uno  de'  due  terribili  mostri ,  che  aspettano  ne'  prossimi 
tempi  r  umanità  al  varco.  L' altro  è  il  socialismo,  di  cui  riparlerò 
in  fine:  l'uno  e  l'altro  ibride  e  deformi  creature  della  tirannide 
borghese.  La  quale,  dandosi,  come  Tamar,  in  braccio  a  Giuda 


~  312  - 

sulla  pubblica  via  ( Genesi ,  XXX Vili ,  13-30),  concepì  d'incesto 
quello  ne'  suoi  capricci  irreligiosi ,  e  questo  nella  sua  iosaiiabik 
ingordigia  de' lucri.  Essa,  quando  vedrà  il  caso  disperato,  pur  di 
salvare  i  suoi  quattrini,  si  commetterà  al  più  freddo  e  accorto  di 
tali  suoi  bastardi ,  che  solo  è  in  grado  di  rattenere  alquanto  il 
più  veemente  e  sconsigliato.  Se  non  che  per  le  ragioni ,  die  ìè 
seguito  appariran  manifeste,  la  naturale  risoluzione  della  sodeCi 
borghese  è  la  liquidazione  generale,  cui  quest'  ultimo  si  propone; 
ed  ha  per  tenuirla  stimoli  ed  impeti  a  sufficienza.  Prevarrà  dunque 
questo  per  quel  po'  di  tempo,  in  cui  la  frenesia  può  durare  nel 
mondo;  se  non  si  ha  il  coraggio  d' opporvi  que' mezzi,  che  oelia 
seconda  parte  della  presente  opera  si  raccomandano. 


MORALITÀ  BORGHESE 


CCXIII.  Cormttela  della  borghesia. 

E  lai  Hata  accaduto,  clic  lino  i  tiranni  fossero  alla  lor  ma- 
niera buoni,  0  perchè  domarono  i  grandi  e  formarono  la  possanza 
delle  nazioni,  come  Luigi  XI  e  Arrigo  Vili;  o  favorirono  le  let- 
tere e  le  arti,  come  i  Medici  e  gli  Estensi.  Onde  si  avrebbe  potuto 
forse  sperare,  che  i  nostri,  paghi  di  ritenersi  T  ingiusto  dominio, 
fossero  stati  nell'  esercitarlo  giusti.  Ciò  non  ostante ,  fai'ò  ora 
meglio  palese,  come  la  costoro  tirannide  sia  non  meno  effettiva, 
che  virtuale;  e  negli  atti  non  meno,  che  ne' titoli  punto  alle  più 
famigerate  inferiore.  (Ihè,  s'  ella  non  cementa  col  sangue  il  pro- 
prio trono  (quantunque  per  verità  del  diritto  di  spargerlo  non 
siasi  ancor  privata),  la  causa  è,  che  non  ne  ha  bisogno  e  pro- 
fitto: bastando  a  ciò  e  megho  giovandole  i  sudori  e  le  lagrime, 
né  comportando  la  docilità  de'  suoi  sudditi  altro.  Mentre  accingo- 
mi  a  sparare  sì  orrendo  mostro,  del  quale  appena  sin  qui  videsi 
la  epidermide,  ed  a  strappare  la  benda  a  coloro,  che  noi  voglion 
vedere;  so  però  quello,  che  mi  si  può  rimbrottare.  —  A  quale 
scopo  vuoi  tu  funestarci,  gridando  sempre  più  contro  all'iniquità, 
e  turbandoci  il  dolce  sonno,  che  le  nostre  piaghe  asconde  e  i 
nostri  spasimi  acqueta?  —  Ah,  pur  troppo  vi  sono  malati,  in- 
torno a  cui  letti  vegliano  le  pie  e  trepide  madri  indarno;  e  cosi 
lassi  e  assopiti,  che  non  ne  possono  più  impetrare  un  detto,  né 
uo  sospiro,  per  sottrargli  all'eterno  silenzio  e  all'eterna  calma 
della  morte  !  Pure  chi  dorme  non  di  sonno  mortale ,  ama  ne'  so- 
prastanti pericoh  esser  desto;  e  chi  giace  malato  non  d' un  morbo 
incurabile,  trovare  chi  gli  apprenda  il  vero  e  tosto  un  rimedio 
gli  appresti.  Non  credete  adunque,  miei  cari  concittadini,  a  qufe' 
disshnulatori  del  male,  i  quali  dicono  a' popoli  sofferenti,  che 
stanno  benissimo  :  e  così  se  gì'  ingraziano.   Precisamente  come 


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quc' medici  compiacenti,  che  agi' infermi  gravi  dicono:  è  uo  ma- 
luccio, da  guarirsi  con  qualche  confettino;  ingraziaodosegli  lanto^ 
che  gli  spacciano  air  altro  mondo  soddisfatti.  Non  vi  sarò  a  gri- 
do io:  ma  potrei  altrimenti  essere  a  grado  della  verità,  e  non 
tradire  la  patria;  se  senza  una  forte  scossa  negli  spirili ,  senza  pe- 
netrarvi col  coltello  sino  alle  più  intime  fibre,  non  è  più  possibile 
salvare  quesUi  società  dalla  cancrena?  Facendosi  per  altro  il  tema 
sempre  più  arcigno,  assecuro  di  nuovo  certuni,  che  dalle  mie 
rivelazioni  temessero  danno ,  com'  io  senta  troppa  commiserazio- 
ne pe'coI|)evoli,  e  troppa  dignità  di  me  medesimo,  per  avven- 
turargli comecchessia  air  odio  o  al  disprezzo.  Le  invettive,  le 
villanie  e  le  calunnie,  costoro  lo  san  bene,  contro  gU  uomini  e  le 
fazioni  avverse  si  comperano  e  si  vendono  da  quelle  persone, 
circi  conoscono:  non  da  pari  miei.  Sebbene  io  abbia  dinanzi 
una  farraggine  di  aneddoti  e  di  nomi,  allestita  a  mie  spese  per 
fare  cotanto  processo  a  prò'  della  mia  nazione;  stieno  pertanlo 
tranquilli,  non  ne  racconterò  e  non  ne  profferirò  alcuno.  Fatti  e 
circostanze  ne  dovetti  e  ne  dovrò  addurre,  perchè  altrimenti  mi 
aggirerei  tra  le  nuvole,  o  sarei  tacciato  d' aggirarmivi.  Ma  pri- 
mieramente si  limitano  alle  cose  notorie  e  innegabili;  e  di  gii 
anzi  entrate  nel  dominio  iV  un  obbrobriosa  storia.  Poscia  io  pro- 
curo, che  le  (lersone  non  sieno  additate  mai,  né  accennate:  tran- 
ne che  [)egli  atti  pubblici,  di  cui  sia  non  solamente  indispensa- 
bile il  ricordo;  bensì  anche  tali,  elvelle  medesime  ammettono,  e 
di  giunta  se  ne  gloriano.  Cosi  che  io,  non  facendo  altro,  tranne 
aprire  ad  altrui  gli  occhi,  se  ({uesti  vedranno  tante  meraviglie,  che 
prima  non  vt^devano;  e  se  le  sieno  gloriose  o  vituperevoli,  non 
sarà  mia  la  colpa,  (juant'io  del  resto  ho  di  sopra  raa*ontalo 
constai;)  già,  contro  il  comune  opinare,  che  la  moralità  teutocri* 
i^tiana  debba  esser  di  molto  inferiore  air  italogreca.  Percbè,  se  tdUi 
r  eccellenza  del  bene,  a  cui  si  poteva  nel  medio  evo  pervenire 
stava  neir  egoismo  ascetico,  T  eccellenza  del  bene  nel  presta 
scinolo  non  può  sollevarsi  sopra  Y  egoismo  previdente ,  o  sopri  il 
Scienza  del  dahhme  Riccardo  di  Beniamino  Franklin.  OodB  é 
crede  generalmente  ora  da  tutti,  che  si  possa  essere  uoniiai  flT* 
tuosi,  quando  non  si  faccia  male  altrui,  non  si  commettano  srego- 
latezze, i'  al  più  si  sia  genitori  e  figli  irreprensibili.  Mentre  per 
verità  occorre  anzi  tutto  qut^sto:  ma,  se  non  si  (a  anche  qualche 
cosa  [)el  prossimo,  se  non  si  serve  la  patria  e  se  non  sì  com- 
Imttc  por  la  causa  della  giustizia,  non  si  è  nemroanoo 


-  315  - 

onesti.  Oltre  non  avere  adunque  noi  più  quella  idealità  de'  mag- 
giori nostri,  che,  come  nelle  opere  dell'  ingegno,  cosi  in  quelle  del 
cuore  stampava  sì  divine  orme;  T  individualismo  stesso,  oggi 
sostituito  all'  universalismo  loro,  impedisce  ogni  moralità  affatto. 
Il  quale  individualismo,  in  onta  a  cotanti  elogi,  che  sia  un  sen- 
timento immorale,  basta  a  provarlo,  eh' è  appunto  il  primo  istinto 
animalesco,  che  spunta  nell'uomo;  prima  che  alcun  senso  morale 
gl'infondata  vera  umanità.  Imperocché  il  fanciullo  crede  il  mon- 
do suo,  e  vorrebbe  tutto  per  sé  ;  e ,  senz'  essere  cattivo  (  poiché 
non  ha  ancora  inteso  il  comun  dolore  degli  esseri  ),  sembra  per 
fino  tal  volta  ne'  suoi  trastulli  crudele.  Quando  poi  il  dolce  ma- 
temo  elO(iuio  e  il  santo  materno  pianto  gli  apprendono  di  dover 
amare  e  patire  cogli  altri  ;  eccolo  divenuto  un  esser  morale.  Aven- 
do io  tuttavia  di  queste  cose  abbastanza  discorso,  piuttosto  che 
di  raffronti  colla  moralità  antica,  parlerò  ora  di  certi  aspetti  della 
immoralità  moderna. 

CGXIV.  Insolensa  ne' modi. 

Dico  adunque,  che  i  tiranni ,  dovendo  o  per  godere  della  loro 
tirannide  i  propri  vizi  soddisfare  e  accrescere,  o,  per  mantener- 
la, gli  altrui  produrre  e  alimentare;  così  l'una  e  l'altra  cosa 
fecero  prima  di  tutto  i  nostri.  Ond'è  accaduto,  che  i  pubblici 
costumi ,  cui  trovarono  nella  sostanza  del  popolo  buoni  e  in  qual- 
che celo  men  buoni ,  co'  mali  esempi  e  colle  male  opere ,  non 
solamente  invilirono  e  rattristarono;  ma,  per  quanto  han  potuto, 
guastarono  e  corruppero.  Facendomi  dagli  esempi,  o  cioè  da' vizi 
lor  propri,  senza  naturalmente  entrare  nelle  domestiche  pareti; 
scorgesi  anzi  tutto,  che,  s'ei  non  hanno  degli  anteriori  la  vio- 
lenza e  la  rabbia  (  non  avendo  dalla  prima  profitto  e  della  secon- 
da stimolo),  serbano  di  costoro  molti  vizi.  Poi  ve  ne  aggiunsero 
altri  nuovi  in  guisa,  da  non  disgradare  punto  la  tirannesca  cele- 
brità antica:  e  tra  questi  principalmente  la  insolenza  e  la  cupi- 
digia.  Delle  quali  aumentarono  sì  le  usate  proporzioni,  che  non 
si  sa  bene,  se  le  sieno  quelle  degli  anteriori  tiranni  esaltate  al 
massimo  grado  ;  oppure  affatto  peculiari  di  loro.  Avea  già  il  mas- 
simo poeta ,  a  proposito  de'  borghesi  del  suo  tempo ,  eh'  erano 
mille  volte  migliori,  detto: 

((  La  gente  nuova  e  i  subiti  guadagni 
Orgoglio  e  dismisura  han  generato  ». 


-  316  - 

E  il  fiero  tragico  astigiano,  proprio  de' presenti  profetizzito,  che 
«  questi  nobili  recenti ,  di  tanto  più  feroci  saranno,  quanto  V  uo- 
mo che  è  nato  più  vile,  che  è  stato  più  oppresso,  e  che  ha  Cfh 
nosciuto  più  eguali ,  diviene  assai  più  superbo  e  feroce  ogni  qoil- 
volta  egli,  per  altra  via,  che  quella  della  virtù,  perviene  ad  in- 
nalzarsi sovr'essi  »  {Tirannide,  I,  12).  La  profezia  è  stata  tal- 
mente avverata,  che  gli  era  assai  più  facile  a  un  mendico  aceo- 
stai'si  altre  volte  a  un  monarca,  reputantesi  un  vicedio,  di  qudlo 
che  presentemente  ad  un  onest'  uomo  accostarsi  ad  uno  di  costo- 
ro. Quanto  poi  alla  disgi*aziata  plebe,  col  cui  braccio  e  sul  co 
collo  s' innalzarono,  ne  parlano  con  assai  maggior  dispregio  de*  vec- 
chi gentiluomini;  né  hanno  anzi  per  lei  misericordia  alcuna.  Gbfc, 
discacciata  come  sozza  canaglia,  sono  chimere  i  suoi  diritti,  e  itti 
di  sedizione  por  lino  i  suoi  lamenti.  II  sentimento  per  altro  del- 
r  uguaglianza  civile  è  ne'  ceti  italiani  si  profondo  e  incancellabile, 
che  sotto  le  più  infami  oppressioni  non  potè  del  tutto  conquidersi 
0  domai*si.  Fin  di  recente,  nelle  corti  avventuratamente  distruUe, 
il  più  umil  popolano  poteva  avere  accesso  :  mentre  quel  Pulcinelb 
incoronato,  cui  tutti  conoscono,  ministrava  ai  lazzeroni  di  Napoli 
i  maccheroni.  Nello  scorso  secolo,  quando  più  era  V  aristocrazia 
impettita  e  vana ,  per  la  spagnolesca  aria  e  la  ignominiosa  nulliti; 
niente  impediva,  che  anche  i  figli  de' bifolchi,  sotto  i  panni  d*>- 
batini  eleganti  o  di  pastoreHi  arcadici  si  frammischiassero  a'  ca- 
valieri nelle  sale  dorate.  £  quivi  punzecchiassero  cogli  epigrammi 
gli  antichi  padroni,  e  dalle  incipriate  dame  con  qualche  tenero 
madrigaletto  un  lampo  delle  pupille  impetrassero,  che  significala 
tante  cose,  cui  gf  indulgenti  mariti  sotto  il  mobile  ventagUeOO 
inti'avedevano,  e  i  platonici  cicisl)ei  sospiravano  indamo.  Oggi  b 
cosa  è  ben  diversa:  perchè,  se  fmo  al  principe  la  propria  OMK 
'destia  e  il  genio  del  popolo  interdicono  ogni  sorta  di  ragadi  poift- 
pe  ;  non  teme  questa  gente  rifatta  d' arrogarsi  tutto  quel  pò*  é 
vanto  e  di  lustro,  che  in  tanta  sordidezza  e  oscurità  rimane.  Av» 
do  ella,  sin  da  quando  i  gentiluomini  smisero  i  galloni,  le  IriiB 
e  le  code ,  imposto  a'  ceti  superiori ,  e  poscia  colle  fhmcesi  molto 
anche  qui  mantenuto,  quel  suo  nero  e  sinistro  <c  abito  del  len0 
stato  »,  che  sembra  una  divisa  non  si  sa  bene,  se  da  stroziiDO 
0  da  beccamorto;  ha  i^er  tal  modo  resa  uniforme  e  sovrana  la 
sua  s<|uallidezza.  11  che,  confondendo  nel  ridicolo  le  persone  serie 
e  le  buile,  e  le  ligure  gravi  e  le  grottesche,  altamente  le  giova- 
va. Senza  per  ((uesto  impedirle  di  scialare  e  ostentare  il  suo  fasto. 


-  317  — 

fiQ  dove  potè  e  fin  dove  volle;  cioè  eoo  tutta  quella  parsimonia 
e  spilorceria,  che  le  erano  connaturate  e  indelebili.  Quindi  ella 
non  ha  certamente  eretto  magioni  e  aperto  musei ,  come  V  antica 
nobiltà  usava;  né  commesso  quadri  e  statue,  né  accolto  alle  sue 
mense  poeti  e  predicatori.  In  vece,  con  tapino  animo,  entro  i 
palagi  altrui,  prima  colle  ipoteche  e  poscia  alle  aste  fatti  suoi, 
e  chiusi  per  bene  con  tre  chiavistelli,  acciò  l'assassinato  volgo 
non  vegga  niente;  ha  fornito  alcune  stanzuccie  di  minuterie  e  di 
cianfrusaglie  parigine,  e  là  entro  annidata  non  si  crede  da  meno 
de'  re  di  corona.  E  non  le  par  vero ,  se  un  qualche  gentiluomo 
impoverito  picchia  all'uscio,  di  fargli  trangugiare  sorso  a  sorso, 
prima  col  tedio  dell'  anticamera ,  e  poscia  colla  durezza  dell'  u- 
dienza,  il  calice  della  vergogna.  Né  di  sogguardare  per  via,  tra 
l'attonito  e  lo  sprezzante  anche  i  più  valorosi  uomini,  i  cui  nomi 
non  sieno  nel  castelletto  del  maggior  banco  notati. 


CCXV.  Cupidigia  de' Inori. 

Poiché  naturalmente  la  sua  arroganza  non  ha  altro  freno ,  che 
la  sua  taccagneria,  la  quale  viene  da  avarizia  e  da  rozzezza; 
dirò  ora  della  sua  cupidigia  alquanto:  serbandomi  a  dire  della 
sua  brutalità,  quando  di  quel,  ch'ella  fece  contro  alla  pubblica 
cultura,  cadrà  discorso.  Non  ve  ne  sarebbe  in  verità  bisogno,  con- 
siderando, che,  se  l'antico  patriziato  puliva  di  sangue,  e  gli  averi 
suoi  di  bottino;  dev'ella  di  sudori  e  di  lagrime  putire,  e  gli  a- 
veri  suoi  d' usura  e  di  peculato.  Tuttavia  io  ne  devo  parlare  ; 
dacché  quella  ignobihssima  passione  è  per  lei,  più  che  un  vizio, 
lo  spirito  suo  intiero ,  che  non  sente ,  non  crede  e  non  adora ,  che 
quella.  Di  maniera  eh'  ella  sarebbe  a  dirittura  morta  quel  giorno , 
in  che  avesse  altr' anima,  altro  simbolo,  altro  iddio.  Infatti  non 
sarebbe  meraviglia,  che  la  nobiltà  delle  violenze  e  il  clero  delle 
fraudi,  onde  salirono  a  potenza,  serbassero  alcune  vestigia;  né  che 
la  plebe,  salendo,  portasse  in  alto  delle  patite  onte  il  rancore  e  delle 
servili  cure  l'abiezione.  Cosi  non  é  meraviglia,  che  la  borghesia  mo- 
derna mantengasi  con  quelle  medesime  arti ,  a  cui  fece  tanto  benigno 
viso  la  fortuna.  Sorta  in  que'  modi ,  che  vedemmo ,  e  cioè  da  quegli 
arrendatori,  provveditori,  pubblicani,  acquisitori  di  beni  pubblici 
e  improntatori  di  pecunia  al  pubblico,  in  buona  parte  della  raz- 
za de'  «  dispersi  »,  che  in  Francia  si  presero  lo  stato  per  le 


-  318  - 

dilapidazioni  monarchiche  e  le  pazzie  democratiche  scomboiisUo  t 
falhto  ;  ella  naturalmente  riconosce  in  costoro  i  suoi  prìoìi  pireilL 
Onde,  sebbene  non  formi  ordine  chiuso,  deve  naturalmente  iìomh 
vellarsi  con  arti  identiche;  dispogliando  cioè  degli  ultimi  cenci  le  n- 
zioni  oberate,  e  de'  giojelli  lasciati  dagli  avi  gli  eredi  dissipalori. 
Ottiene  ella  codesto  colle  raffinatezze  dei  cambio ,  o  coli'  aggiolaif' 
gio  e  coW anatocismo ;  mercè  cui,  disvUuppati  per  b^ne,  si  può  di- 
vorare tutto  un  territorio  ed  anche  assorbire  tutto  un  popolo  ;  co»- 
densandone  e  racchiudendone  gli  averi,  le  opere,  i  servigi,  i  pal- 
piti entro  uno  scrigno  o  un  taccuino ,  senza  che  se  o*  avvegga. 
Im|)erocchè  io  non  riprovo  punto  la  libertà  delie  usure;  ma, 
quando  non  sia  dalle  altre  libertà  raffrenata ,  codesto  è  (  come  in 
Roma  si  vide  )  il  suo  ineluttabile  effetto.  Il  quale  non  si  avvera  a  ni 
modo  assoluto  ;  perchè,  oltre  esser  la  vita  de'  singoli  uonùni  breve 
e  la  posterità  loro  s|)esso  degenere,  incontra  nel  cozzo  delle  cupidi- 
gie, 0  negH  sforzi  individuali  del  lavoro  onesto  e  della  proprietl 
stabile  resistenza.  E  dico  negli  sforzi   individtiali  ;  giacché, 
quanto  a  collettivi,  non  ve  ne  ha  più  nemmanco  Tappareoa: 
caduti  come  sono  i  popoli  nelle  ugne  della  borghesìa  medesima, e 
quindi  amministrati  come  greggi  da  tosare  e  da  mungere,  se  noi 
anche  «  quotati  come  valori  di  borsa  ».  Tuttavia,  a  un  modo  rela- 
tivo avverandosi ,  accade  necessariamente,  che,  s'ella  non  trasmigri 
negli  altri  ceti  o  non  si  vuole  cogli  altri  mescolare,  e  reggersi  dh 
m'essi  0  con  Y  armi  o  cogli  studi  o  con  altri  mezzi  ;  debba  nelle  eh 
vizie  porre  gli  strumenti  del  proprio  regno,  e  non  pensare ,  che  ad 
accumularle  in  tutte  le  guise  lecite  e  illecite.  A  suo  parere  ano 
non  ha  altro  fine  la  vita,  tranne  questo:  né  comprende , come ob 
ricco  possa  perdere  il  suo  tempo  ne'  magistrati ,  o  uno  scrittole 
esercitare  il  suo  ufficio  senza  V  intento  d' arricchire  o  almeno  d'a^ 
(piistarsi  il  pane.  In  ogni  professione,  in  ogni  ufficio ,  in  ogm  fo^ 
tuna,  non  vi  può  esser  per  lei  altra  mira,  che  il  lucro;  eìo^ 
spetta  On  dove  non  ci  è ,  tanto  le  sembra  naturale.  Nata  in  KN^ 
ma  da  mercadanti ,  e  non  avvezza  a  veder  che  merci  ;  guardasi^ 
anche  un  cataletto,  tosto  le  viene  in  mente,  che  possa  essere  9t 
getto  di  mercatanzia. 

CCXVI.  Colto  di  K&mmoiUL 

Dirò  appresso,  coni' ella  siasi  tra  noi  il  patrimonio  della  ^ 
zione  usurpato,  e  fatto  suo  T erario:  ma  non  posso  qui  astenerot 


-  319  - 

(lai  chiarir  meglio,  come  F avidità  dell'oro  divenisse  per  lei  un 
sistema ,  una  dottrina ,  una  yirtii  ;  e  come  ciò  avvenisse.  1  mate- 
riali bisogni  deir  esistenza  sempre  costrinsero  la  più  parte  degli  uo- 
mini a  non  vivere,  si  può  dir  per  altro,  che  per  nutrirsi.  In  certe 
più  felici  contrade,  ciò  non  ostante,  poterono  numerose  accolte 
di  cittadini  attendere  al  governo  della  pubblica  cosa,  e  assaporar 
tutti  delle  lettere  e  delle  arti  gr  ineflabili  diletti.  Ed ,  anche  nelle 
più  infelici ,  dovettero  i  maggiorenti  o  col  valore  o  colla  sapienza 
0  con  altre  virtù  regnare.  Sebbene  quindi  in  Atene,  in  Firenze- 
e  altrove  quelle  classiche  borghesie  col  lavoro  si  rivendicassero, 
e  col  guadagno  si  rendessero  potenti;  consacravano  alla  patria, 
allestendo  navi  e  sostenendo  ambascierie  a  proprie  spese,  e  de- 
corandola di  monumenti  meravigliosi ,  le  ricchezze  loro.  Né  sopra 
tutto  con  queste  la  reggevano  :  ma  o  col  valore  o  colla  sapienza 
0  con  altre  virtù.  Ed,  anche  ove  il  popolo  non  fu,  che  un  branco 
di  servi;  i  padroni,  benché  colla  rapina  divenuti  ricchi,  ben  con 
idtro  signoreggiavano ,  e  per  lo  meno  commettendo  la  salute  di  sé 
stessi  alle  proprie  glorificate  spade.  In  vece  la  moderna  borghe- 
sia, mentre  tiene  per  sé  avidamente  le  carpite  ricchezze ,  né  s'oc- 
cupa d'altro,  che  di  moltipUcarle ,  anche  dissanguando ,  insaziabil 
vampiro,  la  patria;  conta  di  godersela  con  le  medesime  solamen- 
te. Cosi  che  non  si  cura  nemmanco  di  quegU  esercizi,  che  sono 
a  chi  governa  necessari;  facendo,  come  ho  detto,  consistere  tutto 
il  pubblico  governo  in  un'economica  azienda.  Quinci  é  accaduto, 
che  e  questa  annientasse  la  morale  non  meno ,  che  la  civil  vita  ;  e 
sopra  tutto,  che  le  facoltà,  da  mezzi  per  campar  bene  in  pri- 
vato e  per  contribuire  alle  pubbliche  bisogne,  si  cangiassero  in 
mozzi  e  in  fini  d' impero.  Onde  e  nella  privata  e  nella  pubblica 
cosa  non  vi  sono  altre  teoriche  e  altre  pratiche,  che  Y economi- 
smo  e  il  mercantilismo  (se  posso  queste  voci  barbare  usare); 
siccome  ognuno  chiaramente  vede.  Né  vi  é  più  altra  brama,  altra 
rabbia  in  fondo  agli  animi ,  se  non  di  barattare  e  di  tesaurizzare 
ne'  fortunali,  e  ne'  disforlunati  (poiché  altro  non  possono)  d'ap- 
petire e  d'invidiare;  siccome  quelli,  che  nel  pregiare  e  nel  conten- 
dersi le  facoltà,  quale  unico  bene,  sono  tutti  concordi.  La  quale  stima 
delle  ricchezze,  o  il  qual  culto  di  Mammona  é  giunto  al  punto, 
che  i  reggitori  dello  stato  danno  alle  medesime  i  premi  negati 
alla  virtù;  aprono  mostre  e  gare  mondiali,  dispensano  corone  e 
lauri  agli  anicchiti,  e  gU  armano  cavalieri,  e  gli  pongono  fin 
sulle  sedie  curuli.  Mentre  ha  poi  si  guasto  la  pubblica  coscienza, 


-  320- 

che  qiiest'  essa  non  prezza  gli  uomini  altrimenti ,  se  non  pe'  con- 
tanti. Anche  ne'  tempi  della  greca  borghesia ,  il  figliuolo  di  Sofode 
cercò  mettere  ne'  pupilli  il  padre ,  che  trascurava  gli  averi  e  scri- 
veva tragedie:  nondimeno,  leggendo  questi  a'  giudici  V Edipo  Co- 
Umeo,  potè  provare,  ch'era  ancora  in  cervello.  E  Cleante,  Mene- 
demo  e  Àsclepiade,  chiamati  a  render  conto,  come  potesstfo, 
nulla  possedendo ,  attendere  tutto  il  di  a  filosofia ,  poterono  essere 
dall'areopago  prosciolti ,  sulla  testimonianza  d' un  mugnajo  e  d'un 
ortolano.  I  quali  dissero ,  come  ogni  notte  a  voltar  la  ruota  e  ad 
attinger  l' acqua  si  guadagnassero  due  dramme  d' argento.  Questa 
nostra,  se  non  interdire  o  punire  i  valorosi ,  che  impoverirono 
per  servir  la  patria  o  perdettero ,  militando ,  il  braccio  ;  per  lo 
meno  pub  col  Codice  penate  in  mano  ammonirgli ,  come  oziosi  e 
vagabondi.  Che ,  s' anco  da  questo  si  astiene ,  non  certo  dal  repu- 
targli gente  molto  fantastica  e  strana,  che  si  avvia  così  spensie- 
rata e  lieta  allo  spedale  per  le  proprie  patriottiche  chimere. 


CCXVII.  Consegneme  del  eolio  di  HanmoiUL 

I  nostri  maggiori  hanno  sempre  ritenuto,  che  l'oro,  abbas- 
sando e  ammollendo  gli  animi,  fosse  al  comun  bene  dì  grave 
pericolo.  «  E  potrebbesi,  notava  Machiavelli,  con  un  lungo  par- 
lare mostrare  quanto  migliori  fruiti  produca  la  povertà  che  la  ric- 
chezza, e  come  Tuna  ha  onorato  le  città,  le  provincie,  le  sette, 
e  r altra  le  ha  rovinate,  se  questa  materia  non  fosse  stata  molte 
volle  da  altri  uomini  celebrata  »  (Discorsi  sopra  la  prima  deca 
di  Tifo  Livio,  I,  25).  Perchè  la  fine  delle  antiche  repubbli- 
che, senza  parlar  di  Ninive  e  Babilonia,  si  vale  quasi  costante- 
mente essere  accaduta,  quando  da'  bellici  e  civili  esercizi  passa- 
rono all'amor  del  danaro.  E,  per  via  del  lusso,  alla  disogoa- 
gUanza  e  alla  depravazione  ;  con  le  quali  non  puossi  alcuna  libertà 
ferma  e  onesta  sostenere.  È  vero ,  che  nelle  moderne  assodaziooi 
di  tale  lil)erlà  non  si  tiene  più  conto:  ma  possibile,  che  abbiano 
si  c^mgiato  i  tempi,  che  siasi  fuso  in  ancora  di  salvezza  quello, 
che  fu  altre  volle  collare  di  servitù  ?  «  Il  primo  e  il  più  morti- 
fero elTetto  del  privato  lusso,  scrisse  nella  Tirannide  Aìùeri  (I, 
13 ì,  si  è,  che  quella  pubblica  stima,  che  nella  semplicità  dei 
modesto  vivere  si  suole  accordare  al  più  eccellente  in  virtù,  ncMo 
splendido  vivere  vien  trasferita  al  più  ricco.  Né  altronde  à 


-  321  - 

clii  la  cagione  della  servitù,  in  que'  popoli,  fra  cui  le  ricchezze 
danno  ogni  cosa ....  Sarebbe  dunque  mestieri  a  voler  riacquistare 
durevole  libertà  nelle  nostre  tirannidi,  non  solamente  il  tiranno 
distruggere ,  ma  pur  troppo  anche  i  ricchissimi ,  quali  che  siano  ; 
perchè  costoro,  col  lusso  non  estirpabile,  sempre  anderan  cor- 
rompendo sé  stessi  ed  altrui  ».  Rispondono  in  vece  i  nostri  eco- 
nomisti ,  che  questo  è  un  massimo  bene ,  e  che  la  feUcità  e  la 
grandezza  de'  popoU  stanno  precisamente  in  quelle  dovizie,  cui 
gli  antichi  savi  di  stato  e  maestri  di  guerra  cotanto  temevano. 
Ned  io  vogUo  in  ciò  contrastare  al  genio  del  secol  nostro;  sa- 
pendomi bene ,  che  fino  i  pezzenti  ghignerebbero ,  s' io  additassi 
loro  in  esempio  quegli  uomini  burberi  e  induriti ,  che  resero  Sparta 
e  Roma  immortali.  Do  anzi  alla  prosperità  economica  de'  popoli 
tutto  quel  pregio,  che  si  merita;  e  per  sino  suppongo  una  cosa,  a 
cui  veramente  non  credo.  Cioè  che  si  possa  oggidì  mantenere  uno 
stato  con  que'  mezzi  appunto,  per  cui  Sibari,  Capua,  Taranto  e 
troppe  altre  città ,  consigliate  (già  s'intende)  da  quegli  economisti 
d'allora,  fecero  la  mala  fine,  che  tutti  sanno.  Come  impedir  tuttavia 
le  conseguenze  dell'  avidità  e  del  fasto  ne'  costumi  ;  e  che  le  mo- 
nete ,  poiché  le  corrono  e  a  qualclie  obietto  mirano ,  non  si  vol- 
gano a'  piaceri  e  a'  vizi?  Possono  in  qualche  casa  ammucchiarsi, 
e  in  grazia  di  qualche  tradizion  giudaica  di  famiglia  serbarsi  per 
alcuna  generazione  :  ma  da  ultimo  vien  quella ,  che  le  dissipa  in 
bagordi  e  in  stravizzi. 


CCXVlfl.  Depravasione  de'  costumi. 

E  (|uesto  è  in  fatti  accaduto,  e  vie  peggio  accadrà:  poiché 
anzi  tutto  la  borghesia  non  ama  guari  i  possessi  immobdi;  né 
può  (  almeno  in  modo  legale  )  fissargli  co'  fedecommessi.  Ond'  è 
soggetta  a  sì  rapide  e  varie  fortune ,  che  noi  veggiamo ,  di  molte 
case  di  nostra  conoscenza,  essere  stato  l'avo  droghiere,  il  padre 
barone  e  il  figlio  fallito.  Di  poi  in  questo  vorticoso  giro  la  ruota 
striscia  e  alla  fine  sommergesi  nel  fango ,  assai  più  presto  e  assai 
più  profondo,  che  in  altri  tempi  usasse.  Che,  senza  inveterate 
abitudini  di  cortesia  e  di  gentilezza,  senz'amore  di  studi  e  d'ar- 
mi, e  senza  il  domestico  culto  della  patria  e  della  gloria;  i  pia- 
ceri dovcntano  triviali ,  i  vizi  vili ,  e  la  caduta  più  celere  e  più 
ignominiosa.  Io  del  resto  non  faccio  consistere  tutta  quanta  la  sco- 

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sUimatezza  degli  uomini  nella  sola  inconiinenza.  Sendo  tuttavia 
questa  il  lato ,  onde  quella  si  discopre  meglio  a'  profani ,  e  per  coi 
piega  pili  facilmente  a  rovina ,  debbo  anche  della  medesima  toccare. 
Or,  se  con  un  paragone  tra  T  odierna  corruzione  e  quella  di  Ro- 
ma o  di  Venezia  tralignate ,  si  volesse  constatare ,  che  noi  siamo 
migliori ,  farebbesi  opera  vana.  Pongasi  pure ,  che  lo  fossimo  :  ma 
sovvengaci  anche  di  quelle ,  quando  furono  con  tanto  lor  benefi- 
cio morigerate  ;  e  qual  supplicio ,  cessando  d' esserlo ,  espiaro- 
no. E  badisi,  che,  se  migliori,  non  lo  siamo  poi  di  molto;  uè 
che  si  sa  ancora,  fin  dove  possiamo  andare.  Perchè  naturalmen- 
te, sendoci  più  Til)eri  e  più  Messaline  ora  da  soddisbre;  come 
può  ciascuno  d' essi ,  che  sono  centinaja  di  mille ,  avere  le  voluttà 
deir  Asia  e  i  tributi  di  tutto  il  mondo  a'  suoi  piedi  ?  Pure  questi 
Tiberiolini  odierni  possono,  con  quella  prodigiosa  forza  dell' as- 
sociazione vantata  da'  loro  economisti  nteritamente ,  procacciarsi  io 
comune  delle  voluttà  asiatiche  e  de'  tributi  mondiali  un  buon  dato. 
Cosi  che  non  potè  forse  il  vecchio  Tiberio  raunare  per  sé  in  Capri 
tante  beltà  e  tante  delizie  ;  com'  essi  colle  loro  accomandite  ne 
raunano  per  le  lor  brigate  in  que'  famosi  tempii  di  Citerà,  che 
oltre  monti  eressero ,  e  vanno  anche  qui  erigendo.  Né  hanno  essi 
per  le  infiorate  ostie  maggior  pietà,  che  quegli  si  avesse;  poidiè 
traggonlc  a  sacrificarsi  con  tali  trame ,  e  le  rattengono  con  tali 
soprusi,  che  i  pingui  buoi  sembrano  al  macello  più  avventura- 
ti. La  lussuria  avea  pur  troppo  anche  qui,  prima  della  nuova 
tirannide ,  i  suoi  turpi  ostelli  ;  ma  generalmente  con  miseri  arredi 
e  in  luridi  chiassi.  Questa  in  vece  ne  aperse  parecchi  in  città  e 
in  vie ,  dove  non  e'  erano  ;  gli  rese  molto  più  accessibili  e  frequeih 
tati,  e  gli  ornò  e  decorò,  colla  sua  stretta  masserizia,  pomposa- 
mente. E  sopra  tutto  rese  coatta  V ignominia,  ed  anzi  lo  slesso 
mestiore  delle  8, 998  reclusevi ,  con  una  durezza  e  un'  impuden- 
za,  di  cui  dianzi  non  si  avea  qui  alcun  saggio.  Or ,  pfAcbè  se 
ne  potrebbe  forse  dubitare,  eccomi  a  spiegare  e  a  documentare 
anche  ciò. 


CCXIX.  Servita  legrale  irtitnita  pel  pabUioa  viito. 

Dico  pertanto,  che,  mentre  in  questo  secolo  gli  stati  (Mdi 
allo  spirilo  indifferente  e  scettico,  che  gF informa)  credono,  non 
doversi  punto  della  probità  e  della  letizia  de'  popoli  curare  ;  impie- 


-323- 

gano  UDO  zelo,  che  giugno  sino  all'oscenità  e  alla  cradeltà,  per 
tutelarae  contro  un  sol  morbo  la  fisica  salute.  Quindi,  per  pre- 
servare i  viziosi  dal  medesimo ,  per  verità  a  tutta  Y  umana  specie 
funesto,  hanno  io  non  dico  per  la  prima  volta  istituito;  sibbene 
raffermato ,  allargato  e  aggravato  una  servitù ,  di  cui  io  non  conosco 
altra  più  nefanda ,  spietata  e  feroce ,  contro  quelle  infelici ,  che 
sono  della  pubblica  scostumatezza  assai  più  vittime,  che  ministre. 
Questa  per  verità  è  assai  vecchia  in  sulla  terra,  e,  fin  che  ro- 
manità lasci  del  tutto  la  via  degU  errori,  irremediabile.  Ma,  nella 
presente  società  borghese  e  nel  presente  ordinamento  economico, 
essa  aumenta  ciascun  di  con  una  spaventosa  furia.  Gcmciossiachò 
da  un  lato  i  ricchi ,  incapaci  d' ideali  piaceri ,  avvezzi  a  venali 
trionfi,  insensibili  alla  sventura  e  schernitori  della  virtù;  dall'al- 
tro le  turbe  miserabDi,  agglomerate  negli  alveari  delle  industrie, 
a  cui  sono  le  gioje  della  famiglia  contese ,  dall'  inopia  istigate  ed 
esposte  alla  corruttela  senza  difesa,  non  possono  non  darvi  causa. 
AUa  quale  non  manca  naturalmente  effetto  in  un  secolo,  che  pel 
lusso ,  precipuo  autore  della  muliebre  degradazione ,  si  rovella  ;  e 
in  cui,  trafficandosi  d'ogni  cosa  buona  o  rea,  non  è  meraviglia, 
se  fin  colla  dissolutezza  il  traffico  si  accompagni.  I  reggitori  an- 
tichi ,  trovandosi  incontro  tanto  male ,  avrebbono  rinnovato  i  cen- 
sori ,  e  que'  lor  bandi  contro  le  pompe  e  il  guasto  costume  inu- 
tili :  avrebbono  se  non  altro  mostrato  di  stimare  la  verecondia  de'  / 
cittadini  e  della  repubblica  alquanto.  In  vece,  di  tal  verecondia 
non  calendo  a'  reggitori  odierni  punto ,  lasciano  la  torbida  e  li- 
macciosa fiumana  ingrossare.  Rompono  anzi  ogni  diga  affatto,  che 
la  potesse  contenere,  e  procacciano  di  giunta,  ch'ella  corra  cauta 
e  sicura  al  mare.  Ebbene ,  se  non  co'  censori  e  co'  bandi  predet- 
ti, potrebbono  per  fermo  migUorar  di  molto  i  popoli;  facendo  A 
almeno,  che  la  virtù  trovi  ugual  protezione  del  vizio.  Pur,  se  n(m 
vogliono  far  niente  per  quella,  che  almeno  le  sicurtà  e  caute- 
le, di  cui  cinsero  questo;  com' empie  e  inumane,  e  nello  stesso 
tempo  inutili  e  perniciose,  tralascino.  0  in  altri  termini,  che  que' 
provvedimenti ,  che  hanno  reso  legale  il  traffico  della  dissoìu-- 
tezza,  creato  ricettacoli  per  esercitarla  ed  officiali  per  governar- 
la ,  abroghino.  E ,  come  che  altri  abbia  il  medesimo  assunto  va- 
lorosamente sostenuto,  non  mi  asterrò  io  qui  di  sostenerlo.  Poi- 
ché quell'  austero  genio,  che  me  giovanetto  incitava  a  salvar  dal 
capestro  i  delinquenti ,  né  mi  permise  mai  d' abbandonare  la  causa 
de'  vinti  ;  vuole  ora ,  che  in  matura  età  propugni  deUa  laceri  e 


-  324  - 

rejetta  plebe  le  ragioni  ;  e  fin  per  le  sciagurate ,  contro  cui  sem- 
bra lecito  ogni  obbrobrio,  chiegga  giustizia. 

CCXX.  Ordinamento  della  serriik  infkme  in  ItaUa. 

Se  tutti  coloro,  che  sono  padri  e  fratelli,  sapessero,  contro 
le  proprie  figlie  e  sorelle  esservi  un  cosi  fatto  istituto  pubblico, 
che  perseguita  la  loro  castità  sistematicamente,  le  sorprende  ne' 
primi  falU ,  le  avviluppa  con  nodi  inestricabili ,  le  danna  a  per- 
petua indelebile  onta,  le  separa  dal  resto  dell'umanità,  le  priva 
d'ogni  umano  diritto;  e  non  le  abbandona  più,  nemmanoo  siri 
capezzale  clinico,  nemmanco  sulla  tavola  necroscopica...,  ne  ri- 
marrebbero inorriditi  e  atterriti.  Pochi  lo  sanno,  pochi  vi  pensa- 
no :  e  questi  sanno  e  pensano  altresì ,  che  tanta  sciagura  non  possa 
alle  dilette  persone  incogliere  ;  e  chiudono  gli  occhi.  Benché  non 
di  rado  la  ruota  della  volubil  dea  getti  nel  fango  anche  le  donne 
agiate;  queste  (restandosi  onorate  anche  dopo  perduta  l'onestà, 
e  bastando  alle  disoneste  il  plauso  anche  senza  U  lucro),  pos- 
sono impunemente  errare.  Le  figlie  e  le  sorelle  de'  poveri  intan- 
to, mentre  il  bisogno  le  sollecita  assiduo  e  implacabile,  e  b  se- 
duzione con  raffinate  e  irresistibiU  arti  le  insidia;  trovano  tosto 
un'  occulta  mano ,  che  le  sospinge  al  luogo  scellerato ,  e  un  brac- 
cio forte ,  che  alla  servitù  infame  le  a\TÌnghia  per  sempre.  I 
poveri  conseguentemente ,  poiché  altro  non  hanno ,  dopo  aver  dato 
alla  società  costituita  parte  de'  loro  alimenti  e,  se  fia  d'uopo,  il 
lor  sangue,  debbonle  ancora  in  tributo  il  pudore  !  Che  cosa  poossi 
contro  questa  conclusione  rispondere ,  tranne  che  non  la  sia  vera, 
0 ,  se  vera ,  che  la  sia  giustificata  ?  Ebbene ,  per  dimostrare  e  pro- 
vare, quanto  la  sia  vera,  io  rinuncio  agli  argomenti,  che  i  finti 
cotidiani  potrebbono  ofTcrire  e  che  certamente  sarebbono  i  pia 
eloquenti.  Non  intendo  sindacare  in  questo  punto  la  pubblica  am- 
ministrazione 0  biasimare  alcuno;  e  né  voglio  pur  dire:  volgete 
gli  sguardi  attorno ,  e  vedete.  Perchè ,  se  ciò  mi  priva  di  qneBe 
forze  ausiliari ,  cui  V  osser\  azione  e  Y  esperienza  prestano  ;  d' attro 
canto  nella  serena  regione  de'  principii  l' argomentare  è  più  spas- 
sionato e  più  solenne.  Non  addurrò  quindi  tristi  tragedie  e  dolo- 
rosi episodi ,  non  gli  abusi  e  non  le  trasgressioni  de'  precetti  :  ma 
i  precetti  medesimi ,  eh'  esser  dovrebbono  una  manifestazione  deDa 
pubblica  coscienza.  Ecco  pertanto  un  sunto  esatto  del  B^goUh 


-  325- 

mefito  de'  15  febbrajo  1860 ,  che  governa  questa  materia  tra 
noi ,  dato  dal  segretario  di  stato  per  le  cose  interne.  Quelle  don- 
ne, che  «  esercitano  notoriamente  »  V  ignominioso  mestiere,  si 
considerino  addette  al  pubblico  vizio  :  e ,  come  tali ,  presso  un  ma- 
gistrato speciale  sieno  matricolate ,  cui  si  chiama  ufficio  sanitario 
(articolo  17).  Ciò,  s'anco  renitenti,  «  quando  sia  notorio  o  resti 
comprovato  »  il  detto  mestiere  ;  ed  anzi,  se  contumaci,  trasportan- 
do vele  per  forza  (19  e  20).  Quivi  il  passaporto  e  le  carte  relative 
al  loro  stato  di  famigUa  consegnino,  ricevendo  in  cambio  un  li- 
bretto ,  in  cui  scrivansi  le  loro  generaUtà  e  le  future  vicende  (24 
e  26).  Tranne  poche,  cui  per  grazia  consentesi  di  stare  da  sole, 
alberghino  in  comune  :  non  mutino  casa ,  né  dimora ,  e  non  si  as- 
sentino senza  licenza  punto  (28  e  29).  Intendendo  desistere ,  ne 
facciano  istanza ,  ognor  che  diano  indicazioni  e  cauzioni  e  si  dipor- 
tino morigeratamente  :  ma  restino  tuttavia  per  tre  mesi  soggette  al 
vincolo  della  matricola  ed  alle  ispezioni  de'  medici  (34  e  36). 
Che,  se  innanzi  depositeranno  danaro  in  alcuna  cassa  di  rispar- 
mio, s'abbiano  dallo  stato  «  un  premio  corrispondente  ad  un  vi- 
gesimo  della  somma  totale  versata  »  (39).  Non  aprano  i  loro  im- 
presari alberghi,  senz'autorizzazione  pubblica;  e  sottomettendosi 
per  altro  a  queste  regole  e  agli  altri  provvedimenti,  che  seguis- 
sero (42).  Responsali  giusta  il  codice  penale,  s'eccitano  o  age- 
volano la  corruzione ,  tengano  delle  albergate  registro  ;  e  non  le 
accettino  e  accomiatino  senza  darne  denuncia  (47  e  50-52).  Le 
alimentino  e  vestano  essi  medesimi ,  custodendo  sino  all'  uscita  loro 
quel ,  eh'  elle  avessero  di  proprio  o  in  roba  o  in  monete  recato  o 
acquistato  (54  e  56).  Per  prezzo  ricevano  tre  quarti  delle  lor  mer- 
cedi, e,  se  in  isconto  di  debiti,  anche  dell'altro  quarto  la  metà: 
non  ne  accogliendo  minori  di  sedici  anni,  e  pagando  una  tassa 
speciale  per  la  propria  impresa  (57,  59  e  61  ).  E  le  sventurate 
tutte ,  oggetto  della  medesima  e  soggette  a  due  ispezioni  per  set- 
timana, se  senza  scusa  le  evitano,  si  arrestino  (71  e  78).  Quando 
infette,  passino  all'infermeria  pubblica  o  in  altro  tal  «  luogo  di 
sicurezza  »  :  e  paghino  del  resto  esse  pure  per  le  ispezioni  e  fin 
pe'  Ubrelti  tasse  speciali  (83 ,  92  e  94). 

CCXXI.  Orrore  della  servitii  infkme. 

Questo  compendio  d' un  monumento  legislativo  degno  de'  tem- 
pi ,  benché  io  abbia  a  mala  pena  cercato  spogliarlo  delle  ciniche 


-  326  - 

e  ributtanti  forme ,  a  chi  lo  sappia  intendere  rivela  quella  senìtà 
d'infamia  sopr' accennata  :  alla  quale  si  sono  creature  umane ,  le 
più  gentili  e  le  più  deboli,  senza  verecondia  e  senza  misericordii 
sottoposte.  Avvegnaché  è  troppo  facile  capire ,  nella  pratica  eflél- 
tiva  delle  cose ,  come  possano  le  sue  disposizioni ,  come  debbuo 
di  necessità  venire  applicate  ;  fossero  coloro ,  che  le  a|)plicaiìO  i 
più  giusti  e  santi  uomini ,  e  altresì  verso  quelle  sventurate  ani- 
mati da  tutta  la  fierezza  d'un  fratello  e  la  tenerezza  d'un  padre. 
In  pratica  esse  significano  :  che  appena  una  fanciulla  o  leggieri 
0  tradita  abbia  dato  motivo  alle  male  lingue  di  sparlare,  tal  volta 
il  suo  stesso  seduttore;  ma  sempre  chi  fa  tratta  di  tali  schiave 
(e  che  0  da  sé  0  per  interposte  persone  ha  d' uopo  di  compenune 
0  di  rapirne ,  quante  più  può ,  quali  merci  della  sua  innominabile 
industria),  se  ne  fa  di  repente  delatore.  Chiamata  e  anche  me- 
nata da'  bargelli  innanzi  al  magistrato,  ella  non  potrà  contro  la 
cosi  detta  fama ,  che  T  accusa ,  o  cioè  contro  la  testimonianza  di 
persone  naturalmente  abiette,  addurre  discolpe.  E,  potendolo, 
abbandonata  per  questo  solo  da'  congiunti  o  cacciata  da'  padroni 
sul  lastrico ,  non  potrà  provare  d' aver  mezzi  per  vivere  onesta- 
mente. Verrà  quindi  iscrìtta  nel  libro  dell' infamia,  provveduta  della 
tessera  relativa  e  prìvata  de'  suoi  propri  e  domestici  documenti: 
posciaché  ella  non  appartiene  più  a'  suoi,  né  a  sé  medesima;  ma 
a  tutt'  i  viziosi  del  mondo ,  di  coi  vien  dichiarata  preda  legittiwML 
Condotta  nel  dorato  ergastolo  della  sua  scnitù ,  ella  dee  spogliar 
le  vesti,  cui  forse  le  materne  mani  cucirono,  le  vesti  dell' iuMh 
conte  povertà,  e  quelle  indossare  del  colpevole  sfarzo.  Quivi  non 
ha  più  niente  di  suo ,  né  può  manco  coprirsi  o  nudrirsi  come  crede: 
mentre  quasi  tutto  il  danaro  guadagnato  a  prezzo  del  suo  onore, 
della  sua  salute  e  della  sua  vita,  pagata  innanzi  la  gabella  allo  staio^ 
va  a'  suoi  aguzzini  ;  a  cui  di  giunta  rimane  debitrice  e  oppigno- 
rata. £  appunto  il  farle  credenza,  compiacendo  alla  sua  spensie- 
ratezza ,  é  il  modo  solito ,  che  costoro  tengono ,  perchè  non  h 
possa  più  partirsi ,  e  l' autorità  stessa  ne'  ceppi  ve  la  rioondoca. 
Costoro  adunque,  i  più  vili  rifiuti  del  genere  umano,  ne  sono 
gl'impresari,  i  monopolizza  tori,  gli  usufruttuari,  i  mantenitori,  i 
provveditori ,  i  venditori ,  i  cambiatori ,  i  creditori ,  i  pignoratari ,  i 
custodi ,  i  carcerieri  e  per  sino  gU  ufliciali  di  polizia.  Ai  quali,  per 
ischerno  alla  legge  comune,  é  rammentato  di  non  farsi  complid 
della  sua  colpa  ;  come  s' ei  potessero  dare  luogo  e  agio ,  ricetto 
e  favore  alla  medesima ,  senz'  esserne  per  forza ,  di  cootinoo  t 


-  327  - 

abitualmente  gì' istigatori  e  gli  ausiliatori.  Volesse  ella  fuggire,  doI 
può  :  le  darebbon  tosto  la  caccia  e ,  come  priva  di  recapiti ,  la 
sosterrebbooo;  e,  poiché  appena  gli  abiti,  che  ha  io  dosso,  son 
suoi ,  potrebbODO  anzi ,  come  ladi*a ,  chiuderoela  in  prigione.  Le 
venisse  dal  cielo  un  pensiero  di  pentimento  e  di  redenzione,  le  scen- 
desse una  stilla  in  petto  del  materno  pianto  ;  mentre  di  tanta  aita 
avrebb'  ella  bisogno  in  tanta  caduta ,  n'  è  freddamente  e  beffarda- 
mente respinta.  Duri  ancor  tre  mesi  col  marchio  della  servitù, 
patisca  ancor  tre  mesi  d' onte  :  e  badi ,  che ,  se  la  persiste  a  ri- 
maner pura  nel  lezzo,  dee  presentare  mallevadori  e  guarentigie 
del  suo  futuro  impossibile  candore.  Non  le  ha  forse  la  borghese 
carità  promesso  un  aggio  a  que'  suoi  guadagni  senza  nome  ?  po- 
tea  far  di  più  per  lei?  non  le  basta?...  Cosi  ella  è  perduta,  per- 
duta per  sempre  ;  e  a  trenf  anni ,  nella  media  de'  casi ,  anche  mor- 
ta, e  stesa  e  tagliuzzata  sul  marmo  del  teatro  anatomico. 


GGXXII.  IngiustMa  della  serrìtii  influne. 

Ora  io  chieggo:  con  quali  diritti  si  possano  umane  creature 
trattai'e  in  tal  guisa;  e  s'ei  sia  lecito  non  avere  più  verso  le 
medesime  né  vergogna,  né  pietà.  Geitamente  non  per  le  lor  col- 
pe: poiché,  fossero  pur  esse  più  colpevoli  degV immolatori,  sono 
assai  più  infelici,  che  malvagie.  Ad  ogni  modo  queste  colpe  in 
altri  non  si  vendicano,  né  si  debbono  vendicare:  e,  pur  vendi- 
caudolesi ,  le  pene  colpirono  fin  qui  gli  averi ,  V  onore ,  la  libertà 
e  anche  la  vita  ;  ma  ninno  ha  mai  pensato  d' infliggere  per  pena 
la  depravazione  perpetua.  Evidentemente  dunque  non  si  potreb- 
be la  servitù  legale,  che  le  grava,  giustificare  o  scusare,  se  non 
come  una  pubbhca  necessità;  la  quale  non  consentisse  di  aver 
per  loro  ris[)etto.  E  notisi ,  eh'  io  dico  servitù  legale  :  non  trat- 
tandosi qui  di  vedere,  se  il  turpe  mercimonio  si  possa  togliere 
0  se  la  società  civile  debba  soffrirlo  ;  si  solamente ,  s' ella  abbia 
a  prenderlo^  0  non  sotto  la  propria  tutela.  Suppongo  anzi,  non 
possa  venir  meno  mai,  e  per  fino  giovi  alla  preservazione  de' 
connubi  sì,  che  convenga  come  irreparabile  o  minor  male  com- 
portarlo. Altro  però  é  comportarlo  ed  altro  proteggerlo,  e  dargli 
un  nazionale  organamento;  mercé  il  quale  la  società  civile  stessa 
cuopra  con  la  sua  egida  la  scostumatezza.  Onde  io  non  inda- 
gherò, se  si  possa  la  prezzolata  abiezione  delle  donne  abolire; 


-328- 

sl  se  si  debba  V  abiezione  patentata  proscrivere.  Ora ,  fossevi  por 
necessità  di  fare  cotanto  ludibrio  e  strazio  d' un  sesso  ioerine  e 
d' un'  età  fragile  (  ai  savi  e  ai  forti  cose  le  più  venerande  )^  io  per 
me  non  credo,  per  questa  necessità  puramente  sociale  sia  lecito 
conculcare  i  diritti  della  natura.  Che,  se  un  misterioso  tiranno, 
cinto  di  nubi  e  di  nembi,  avesse  decretato,  non  potergli  uomiiii, 
se  non  colla  iniquità  esser  salvi;  cadesse  il  mondo  in  ruiiia,  e 
ancora  io  griderei:  si  salvi  prima  di  tutto  la  giustizia.  Se  nos 
che  io  non  concedo  punto,  siavi  questa  necessità  del  male;  fai 
quale,  avendo  già  tante  scelleratezze  legittimato,  vorrebbe  aocfae 
questa  legittimare.  Conciossiachè  non  sono  concepibili,  se  noo 
due  ragioni ,  per  cui  Io  stato  sia  costi*etto  a  farsi  mediatore  e 
assicuratore  del  vizio:  o  per  diminuirlo,  o  per  alleviarne  le  Ah 
neste  conseguenze.  Ebbene,  quanto  alla  prima,  non  vi  ha  dnb- 
bio,  che  que'  suoi  provvedimenti ,  di  che  avemmo  un  saggio,  dob 
facciano,  eh'  eccitarlo  e  agevolarlo.  Esso,  come  i  padrini  ne*  dud- 
U,  accosta  le  parti,  ne  oilre  campo  franco,  le  assiste  e  le  vigifai; 
e  alla  One ,  per  quanto  può ,  regola  i  patti ,  porge  i  farmachi  e 
le  cure.  Violando  le  sue  stesse  comminatorie,  permette  ad  aleum, 
perpetra  esso  stesso,  anzi  dirige  la  contaminazione  de'  minori  e  fl 
lenocinio ,  che  hanno  pure  nel  Codice  penale  esplicite  sanzioai 
(articoli  420-424).  Per  fermo,  senza  tale  suo  salvacondotto,  nìmo 
potrebbe  fare  incetta  di  giovinette,  prestare  stanze  di  convegno,  e 
via  via,  impunemente.  Che,  se  vi  sarebbero  le  vittime  e  gl'inuno- 
latori  predetti  ugualmente,  questi  sarieno  soUtari  e  meno  adescali, 
meno  assidui,  più  disagiati,  più  verecondi:  e  basti,  per  noo  im- 
brattarci in  troppo  fango. 


GCXXIII.  Inraffldenn  della  lenritìi  infkaa. 

Cosi  non  resta,  che  la  seconda  ragione:  ossia  il  provredae 
alla  general  salute,  o  il  porre  argini  contro  le  invasioni  d*«t 
lue,  non  solamente  ai  singoU;  ma  a  tutti  esiziale.  E  questa  eo^ 
lamento  è  di  gran  peso:  perchè,  considerando,  com'essa  si  (fi* 
stenda  per  larghi  meati  e  si  tramandi  per  generazione,  e  stitai 
i  viventi  e  scavi  la  tomba  ai  posteri  ;  sembra ,  non  esservi  contro 
rimedio  eflicace,  ctie  non  sia  altresì  giusto.  Non  vi  sono  peri 
altre  armi  per  arrestare  le  sue  stragi?  le  si  usarono?  e  queste t 
che  adoperiamo,  quanto  valgono?  Se  quella  somma  di  spese,  di 


-  329  - 

durezze ,  di  dolori ,  cui  costa  Y  attrs^versarla  nella  presente  ma- 
niera, si  fosse  devoluta  ad  attraversarla  in  migliore,  e  più  con- 
sona alla  prudenza,  alla  dignità,  alla  rettitudine,  che  cosa  non 
si  sarebbe  ottenuto?  E  non  potrebb'  essere ,  che  lo  stato  con  la 
sua  prevenzione  malaccorta ,  come  in  troppe  altre  bisogne,  anche 
in  questa  aumenti  e  aggravi  il  pericolo,  lungi  di  scemarlo  e  atte- 
nuarlo? Fatto  sta,  prima  di  tutto,  che  i  provvedimenti,  ond'è 
resa  legale  l' infamia,  mancano  presso  molte  nazioni  civili,  e 
mancavano  in  alcuna  regione  anche  qui;  senza  che  per  ciò  le 
popolazioni  abbiano  o  avessero  traccie  d'  una  maggiore  insania  o 
degenerazione.  Quale  più  orrenda  e  terribile  officina  di  contagio 
si  può  immaginare  di  Londra  ;  dove  80,000  donne  perdute  vagano 
senza  ordine  e  freno  in  schifosi  rioni  e  in  notturne  caterve ,  e  delle 
quaU  una  decima  parte  ciascun  anno  ne  ingoja  il  sepolcro?  Pure 
colà  e  dovunque  faccia  difetto  la  pubblica  tutela  del  vizio,  non 
n'  è  tuttavia  minacciata  la  igiene  in  molto  maggior  guisa ,  che 
altrove.  E,  concedasi  pure,  che  con  la  detta  tutela  si  trattenga 
0  si  contrasti  in  certi  punti  di  maggior  contatto  il  diffondersi 
dell'infezione;  vi  sono  del  resto  troppe  altre  vie,  perle  quali 
corre  alla  dirotta,  e  le  quali  non  possono  e^ser  chiuse.  Imperoc- 
ché la  diffusione  non  viene  solamente  per  mezzo  delle  persone, 
che  si  vendono,  ed  anzi,  se  la  tutela  approdasse,  dovrebbe  sola- 
mente venire  da  quelle,  che  comprano:  si  anche  fuori  del  triste 
commercio  sorge  e  procede.  Mentile,  entro  i  limiti  di  questo,  è 
così  limge  la  podestà  pubblica  di  colpirlo  del  tutto,  che  delle 
campagne  non  si  cura  punto;  e  nelle  città  il  maggior  numero  delle 
mercatrici  è  appunto  quello,  che  le  sfugge.  Or,  s' ella  era  nel  1870 
giunta  tra  noi  a  iscriverne  8,020,  e  nel  1875  appena  8,998  ne' 
suoi  registri;  è  chiaro,  che  le  rimanenti  (le  quali  sono  probabil- 
mente oltre  il  decuplo)  possono  liberamente  guastare  e  incancre- 
nire la  popolazione.  Se  volesse  iscriverle,  io  non  dico  tutte  (che 
sarebbe  un  sogno),  ma  quasi  tutte;  dovrebbe  aumentare  quelle 
sevizie  e  quelle  nefandità,  che  vedemmo,  e  cui  non  le  è  dato 
evitare.  Dacché,  propostasi  di  rintracciare,  invigilare  e  ritenere 
le  pericolose  femmine,  deve  di  necessità  coglierle,  sequestrarle  e 
incatenarle  ne'  suoi  lazzaretti ,  e  in  somma  trattarle  come  carcami 
viU  e  anime  di  bruti.  Le  sarebbe  dunque  necessario,  senza  più 
ritegno  o  misura ,  infuriare  ;  e  lino  i  penetrali  sacri  delle  famiglie 
violare,  e  lìn  le  ilglie  dal  grembo  delle  madri  strappare:  né  per 
questo  vincerebbe.  Ond'ella,  dopo  tutto  e  instaurando  una  si  im- 


-330- 

mane  e  disumaDa  oppressione,  non  pub.  che  frapporre  aleni 
pochi  ed  esili  schermi;  fuor  de' quali  il  guasto  e  U  cancrau 
tuttavia  imperversano. 

CCXXIV.  SaperflBità  della  serfitìi  ìbAum. 

Egli  è  assai  strano  per  altro,  che  una  polizia  borghese  ù 
sia  messa  per  questo  falso  cammino  ;  mentre  quella  stessa  eeooth 
mia  pubbUca,  in  cui  compendiasi  tutta  la  sua  dottrina  civile,  &- 
cevala  accorta,  che  i  cosi  detti  mezzi  preventivi  spesso  non  sobo, 
che  nocivi.  Ella  ben  sa  (  per  addurle  uno  de'  suoi  esempi  ),  come 
nelle  imprese  e  compagnie  di  traffici,  la  sua  approvaziooe,  b 
sua  interposizione  e  il  suo  sindacato  non  servano,  che  ad  ineo- 
raggiare  gl'incauti  e  ad  assicurare  i  furfanti,  favorendo  gi'ia- 
ganni  e  procacciando  le  delusioni.  Posso  io  chiederie  cosa  pio 
accetta ,  se  non  eh'  ella  attui  anche  qui  quel  suo  sovrano  assioma 
della  libertà  economica,  e  che  si  risparmi  l' odio  e  la  spesa? 
Non  le  chieggo  già  di  proteggere  la  pudicizia  :  questa  fin  ne'  teatri 
è  posta  cotidiauamente  in  sulla  gogna.  Protegga  e  premi  anzi  fl 
vizio,  se  vuole;  ma  lo  lasci  libero,  che,  tanto  e  tanto,  non  vìa- 
colato  da  lei,  sarà  meno  infesto.  Non  ha  ella  chiuso,  o  non  isti 
per  chiudere  le  ruote  de'  trovatelli ,  fidando  sul  dovere  e  sulT  af- 
fetto de'  parenti  ;  acciocché ,  posti  nella  necessità  o  di  allevare  la 
prole  0  di  sperderla ,  e  benché  tuffati  vie  più  nella  miseria  e 
nella  degradazione,  sentano  più  forte  il  comando  della  natnn? 
Molt'  infanti  morranno  o  saranno  abbandonati  :  ma ,  ciò  non  ostan- 
te, eUa  la  cristiana  carità  avita  disprezza.  La  quale,  avendo  aper- 
to questi  e  cotaU  asiU  alla  sventura,  e  iin  case  di  rifugio  ai  di- 
scoli e  alle  donne  traviate  e  penitenti ,  e  non  diniegato  il  sooeorM) 
e  il  perdono  a'  malfattori  in  conforteria  e  sul  patibolo,  facevi 
allettatrice  e  indulgente  verso  la  spensieratezza  e  la  colpa.  Pv, 
se  la  giudaica  carità  odierna,  aborrendo  da  tale  compUdù,  tiene 
per  sé  i  suoi  quattrini  e  dissipa  quelU  largiti  da'  maggiori;  wm 
vi  ha  dubbio,  eh'  ella  intanto  lascia  i  pargoU  incolpevoli  e  inno- 
centi, ctie  non  si  ponno  difendere,  senz'aita.  Perchè  dunque 
vorrà  lasciare  altresì  gli  adulti,  che  si  ponno  difendere^ 
mirsi  per  sé  medesimi  dalle  conseguenze  degli  atti  propri;  che 
(  non  fossero  rei  )  sono  per  lo  meno  spontanei  ed  evitabilL  Gli 
uomini,  quali  esseri  poc'o  molto  liberi,  trovano  aUa  One  aeiia 


—  331  — 

propria  respansalità  assai  più  acconcio  e  condegno  freno,  che 
ntìi' altrui  mallevadoria.  E,  richiamati  seriamente  a  quella, 
trovano  istinti  e  avvedimenti ,  cautele  e  forze ,  che  altrimenti  non 
avrebbero.  Chi  ha  mai  pensato  a  premunirsi  dagli  altri  mille 
mah ,  che  gli  assediano  ;  dalle  conseguenze  immancabili  degli  altri 
falli ,  dagli  efletti  uguahnente  perniciosi  della  crapula  e  della  goz- 
zoviglia? Ammoniti,  che  non  vi  è  più  chi  cerchi  o  bene  o  male 
di  preservargli  dagli  effetti  dell'  imprudente  loro  Ubertinaggio;  ma 
insieme  angustiati  ne'  modi  di  soddisfarlo  (  perchè  le  sanzioni  ri- 
poste in  vigore  impedirebbero  o  diminuirebbero  i  comuni  ritrovi, 
le  abituali  profferte  e  gli  altri  mezzi  d'accostamento),  diverreb- 
bero più  temperanti  e  più  guardinghi.  Che,  se  ne  patissero  tut- 
tavia la  pena,  dovrebbero  ad  ogni  modo  confessare,  non  esservi 
altro  rimedio  infallibile  contro  il  vizio,  tranne  la  virtù. 


CCXXV.  SpettaooU  turpi. 

Né  paga  la  borghesia  d' avere  con  si  perfidi  spedienti  con- 
vertito in  istituto  pubblico  ciò ,  eh'  era  innanzi  una  nascosa  piaga, 
convertì  i  pubblici  sollazzi  a  dirittura  in  lascivi  saturnali.  Dove, 
se  non  altro  senso,  il  guardo  e  l' udito,  che  non  possono  per  diletta- 
menti  più  nobili,  d'una  laida  lubricità  si  dilettino:  la  quale  tal 
fiata  scoppia  in  un  sordo  concitato  fremito,  che  par  quello  d' una 
mal  repressa  bestiai  foja.  Cosi  di  leggiadre  danzatrici  ponno  i  mo- 
derni tiranni  e  con  tenue  moneta  averne  ogni  sera,  assai  più  degli 
antichi,  numerose  e  procaci  squadre.  Anzi  in  parecchie  città  le 
allevano  i  loro  stessi  ediU  colla  pecunia  pubblica,  e  fin  col  ritratto 
de'  dazi  su'  poverelli;  e  le  educano  gravemente  a  piacere  e  a  com- 
piacer loro  negli  altissimi  magisteri.  Se  non  che,  troppo  goffi  e 
rozzi,  per  sentire  lo  incanto  delle  vaghe  muliebri  forme  (cosa  in 
vero  divina);  assai  più  che  delle  seminude  membra,  prendono 
degU  atti  sconci,  e  quanto  più  sconci,  diletto.  Onde  non  par 
vero  loro,  quando  della  parigina  plebea  ridda  veggano  qui  sulla 
scena  gli  ardui  calci,  e  delle  parigine  satiriche  operette  odano 
i  lazzi  gagliardi.  Delle  quali  e  delle  altre  teatrali  scede,  che  di 
colà  vengono,  e  cui  On  le  discinte  camene,  già  ispiratrici  de'  car- 
mi saturnini,  de' canti  fescennini  e  delle  favole  atellane,  a  mala 
l)ena  comporterebbero  ;  se  il  segreto  dell'  arguzia  non  istà  nel  vi- 
tuperare le  cose  più  sacre  de'  mortali  e  degl*  immortali ,  oh  dove 


-  332- 

sta?  Le  Commedie  di  Goldoni  e  le  Fiabe  di  Gozzi,  che  par 
taDto  esilaravano  i  veneziani  guasti  del  secolo  scorso,  sembrano 
spassi  da  infanti  in  paragone  alle  forti  facezie,  che  debbono  mo- 
vere ora  il  riso  borghese.  Vuole  ben  altro  questo,  che  vecchi 
burberi  e  giovani  scempi,  e  matrone  spasimanti  e  zitelle  pette- 
gole, e  fate  e  zanni,  per  ispuntare  sulle  tumide  e  rotonde  lab- 
bra! Bisogna,  che  gU  dei  scendano  sulla  scena  in  veste  di  fara- 
butti, i  re  da  mariuoU,  gU  eroi  da  gradassi  e  i  mariti  da  ebeti, 
e  tutti  co'  sonagli  de'  builoni.  Non  ride  piii  d' altro  Y  arricchita 
plebe,  che  della  gloria  umiliata,  delF onestà  vilipesa,  della  fedeiti 
insidiata,  della  castità  sedotta  e  della  virtù  vinta. 


GCXXYI.  Tarpi  lettore. 

Per  ventura  i  borghesi  leggono  assai  poco:  ma,  beile  è 
immaginare,  con  tali  passioni,  quaU  debbano  essere  le  letture 
favorite.  I  giornali  prima  di  tutto,  e  sopra  tutto  i  Ustini  di  borsa: 
poi  qualche  libercolo,  ove  i  loro  Plutarchi  celebrano  e  idoleg- 
giano gli  arfasatti  dair  oscuro  trespolo  saUti,  non  al  glorioso  ser- 
vigio della  patria  ;  ma  air  apoteosi  del  banco.  Indi  qualche  cate- 
chismo economico  e  cambiario,  qualche  almanacco  igienico,  ga- 
stronomico, metercologico  e  sessuale;  e  alla  fine,  per  chi  vuol 
l)assar  mattana,  qualche  romanzo.  Il  romanzo  naturalmente  è  b 
composizione  letteraria ,  che  più  va  loro  a  genio  ;  poiché  la  lirici 
non  la  ponno  sentire,  e  F  epica  amare:  le  storie  sarebbero  mi 
rimprovero,  e  i  trattati  una  seccatura.  Ben  inteso,  il  ronuinzo  cue- 
reccio,  e  non  già  il  cavalleresco  ;  che  alle  volte  i  bimbi  scrofolosi 
non  prendessero  vaghezza  d' imitare  i  paladini  del  re  Àrtù.  Il  qoal 
romanzo  per  altro,  s' è  troppo  casto  e  tenero,  farebbe  morir  di 
noja  0  di  sdilinquimento:  onde  nel  più  de'  casi  vuol  essere  ero- 
tico e  criminale,  e  che  abbia  delle  antiche  italiane  novdle,  noi 
l'arguzia  (che  non  si  capirebbe);  ma  la  disonestà.  SiGOome  i 
tempi,  nel  rinnovarsi  le  circostanze  analoghe,  si  rassomiglino; 
i  grassi  cittadini  d' Italia  nel  trecento  predilessero  U  gs^o  novel- 
lare appunto;  cacciando  entro  le  castella  le  leggende  de'caviKcri 
e  i  serventcsi  de'  trovatori ,  come  cose  troppo  aristocratiche  o  pb- 
toniche.  Cosi  Giovanni  Boccaccio,  |)er  compiacergli ,  poae  in  nle^ 
zo  tra  il  poema  sacro  e  il  soave  canzoniere ,  il  suo  I)$eawiermie, 
eh'  è  la  maggior  gloria  borghese  in  letteratura;  e  che  iOeggniM 


-333- 

del  resto  il  borghese  cinismo  al  cospetto  de' più  sublimi  affetti 
umani.  E,  bench'ei  fosse  di  Dante  e  Petrarca  ammiratore,  e 
grand'  estìmator  degli  antichi ,  e  capace  pur  esso  di  cantar  gU 
eroi  e  gli  amori ,  quanto  non  ha  costato  idle  lettere  italiane  quel 
suo  libro?  Vi  vollero,  nota  uno  straniero,  due  secdi,  prima  che 
r  Italia  riudisse  dal  labbro  di  Niccolò  Machiavelli  un  virile  accento 
(Quinet,  Rivoluzioni  d'Italiaj  IX).  Se  non  che  il  novelliere  di 
Gertaldo,  e,  sto  anche  per  dire,  il  Bemi  e  T Aretino,  e  il  Casti 
e  il  Batacchi  sono  troppo  vecchi  o  troppo  dassid  per  costoro. 
La  materna  lingua,  in  cui  scrissero  è  troppo  togata,  per  accon- 
ciarsi alla  buffoneria;  troppo  scultoria,  per  dissimulare  la  legge- 
rezza; troppo  pura,  per  esprimere  l'oscenità,  e  troppo  limpida, 
per  nasconder  la  sozzura.  Bisogna  trovarne  o  contraffarne  una, 
che  tolga  al  vizio  le  forme  ripugnanti  e  odiose,  e  che  nella  sua 
civetteria  e  peritanza  lo  accenni  e  travisi  si,  che  non  ne  siano 
gr  ingenui  scandolezzati.  E  quinci  anche  spiegasi  per  novella  ra- 
gione, come  la  borghesia  ami  più  il  francese  del  patrio  idioma, 
0  un  gergo  almeno,  che  gli  rassomigli.  Ciò  non  bastando,  his/o- 
gna  anche  aonestarlo  e  canonizzarlo,  concedere  ai  viziosi  la  stima 
ai  virtuosi  negata ,  palpitare  pe'  rischi  d' un'  adultera  e  {uangere 
per  le  disgrazie  d'una  cortigiana.  Il  che,  se  non  è  l'intento  di 
molti  celebrati  romanzi  e  drammi  odierni ,  quando  a  dirittura  non 
s' occupino  di  massacri  e  di  processi ,  non  so ,  quale  altro  si  sia. 
Bla ,  siccome,  mescolando  e  rimescolando,  qualche  schifezza  delle 
lordure  si  manifesta,  qualche  fetore;  meglio  è  aUa  prima  soste- 
nere, che  non  ci  sia  altra  beltà,  né  altro  profumo.  Vi  è  anzi  una 
scuola  letteraria,  che  chiama  realismo  o  verismo  codesto:  pro- 
babilmente perch'  ella  non  vede  di  reale  o  dì  vero  nel  mondo, 
come  il  verme ,  se  non  quel  putridume ,  in  cui  si  ravvoltola.  Come 
dunque  non  bastasse  il  lezzo,  in  che  ci  dovemmo  poc'anzi  aggi- 
rare, una  poesia  da  bordello  o  da  cesso,  senza  più  alcuna  ver- 
gogna 0  ritrosia,  non  solamente  osa  sfidare  la  pubblicità;  ma 
gode  accoglienza  e  protezione  senza  paragone  maggiori  della  (me- 
sta. E,  se  non  mi  fossi  proposto  di  stendere  un  velo  sui  colpe- 
voli, pur  disvelando  le  colpe,  potrei  nominare  qualche  libercolo, 
indegno  per  tutti  i  conti  di  veder  mai  la  luce  del  sole;  e  nondi- 
meno nelle  più  eleganti  edizioni  stampato  e  ristampato,  e  ricerco 
con  ansietà,  e  posto  come  idolo  del  giorno  tra  gli  alberelli  e  gli 
unguenti  sulle  muliebri  tavolette.  Cosi  i  costumi  pubblici  sono 
sino  al  fondo  minacciati,  senza  naturalmente,  che  ciò  importi  ti 


-334  ~ 

procuratori  fiscali  della  borghesia  punto.  Perchè,  se  si  trattasse 
delle  minaccie  ostili  al  diritto  di  proprietà,  sarebbe  un'  altro  affi- 
re:  ma  non  si  tratta,  che  del  pudore!... 

CGXXVII.  llaiieansa  d' ideaUtà. 

Sempre  è  spiacevole  cosa  svelare  le  colpe  del  proprio  tempo; 
e  vie  più  stucchevole,  quando,  anzi  che  co'  versi  di  Giovenale  e 
di  Marziale,  od  almeno  colla  rimata  celia ,  in  un'  amiibta  prosa 
debbansi  castigare.  Salvo  ciò,  a  torto  mi  si  opporrebbe ,  eh*  io  k 
dipingo  con  troppo  fosche  tinte  ;  e  che  vi  sono  uomini  e 
e  moltitudini,  immuni  da  quelle.  So  anch'  io,  che  i  vcdghi  e 
sime  i  rustici,  non  solamente  le  aborrono;  ma  si  le  ignoralo, 
che  rimarrebbero  stupiti  e  trasecolati,  se  sapessero,  che  i  babbi 
borghesi  ammanniscono  alle  proprie  spose  e  figliuole,  alle  lor 
padrone  e  padroncino,  questa  sorta  di  divertimenti  e  di  ricrea- 
menti.  E  so  inoltre,  che  non  tutti  costoro  sono  doventati  altret- 
tanti Sardanapali;  e  che  anzi,  individualmente  presi,  possono  es- 
sere alla  lor  maniera  buoni.  Io  parlo  della  borghesia  in  massa; 
e  press'  a  poco  di  quella  vita,  che  in  tutte  le  principali  città  (  soa 
ordinaria  stanza)  conduce:  onde  o  debbo  chiuder  gli  occhi,  o 
dire,  che  la  è  tale...,  quale  si  vede.  Ma  naturalmente,  vengono 
dopo  i  vizi  propri  gli  altnii,  e  dagli  esempi  le  opere  ^  e  daOe 
cause  gli  efictti:  e  non  è  quindi  meraviglia,  che  la  contagiooe  rie 
più  si  dilati.  Quando  coloro,  che  formano  oggi  il  corpo  sovrano, 
e  i  maggior  mezzi  posseggono  per  esser  gentili,  cortesi  e  vere- 
condi, stanno  in  tanta  bassezza;  le  virtù  del  popolo  non  possono 
essere,  che  osteggiate,  depresse  e  derìse.  Dietro  la  insolenza,  la 
cupidigia  e  l'incontinenza,  dietro  la  durezza,  ki  sordidezza  e  la 
depravazione^  seguirà  naturalmente  uno  strascico  sempre  pib  hmgo 
di  colpe.  E  per  Io  meno,  i  sentimenti  più  puri  e  più  nobili  ve- 
nendo meno,  non  rimarrà  in  seggio,  che  una  promiscua  riWL 
Anzi,  la  metafisica  borghese  stando  nel  maierialismo  e  1*  etica 
neir  epicureismo  (  e  non  già  in  quello  del  greco  filosofo  )  ;  recisi 
all'idealità  e  alla  moralità  i  nervi,  è  inevitabile  cadere  pniicih 
mente  in  quello  scetticismo  e  in  quell'  egoismo^  da  coi  proce- 
dono gli  altri  |)resenti  mali.  I  quali  tutti  s' io  volessi  noverare, 
non  finirei  più  :  ma,  di  quelli  toccando,  che  maggior  nesso  hanno 
con  la  pubblicai  felicità,  mostrerò  ora,  come  i  censiti  oligarchi  sieoo 
anche  intimamente  atei.  E  quindi  irrazionali,  indifièrenti^  incivili  e 


-335 

spietati  ;  riservandomi  di  mostrare  altrove,  come  questi  lor  vizi  di- 
venissero strumenti  e  provvedimenti  di  stato.  Siccome  nel  profondo 
delle  coscienze  colpevoli  vi  è  un  misto  di  grezzo  e  di  spavento 
de*  numi  ;  ho  già  detto,  che,  la  borghesia  secondo  il  diverso  punto, 
da  cui  si  riguarda,  agli  uni  sembra  incredula  e  agli  altri  cre- 
dula: appunto  perchè  queste  due  qualità  sono  inseparabili.  Teme 
ella  de'  numi ,  non  le  chieggano  per  ventura  conto  de'  tempii  can- 
giati in  magazzini,  e  de'  cimiteri  in  pascoli  ;  e  prova  già  nel  cuore 
inaridito  le  lor  vendette.  D'altro  canto  plaude  a  coloro,  che  la 
sbarazzano  da  questi  spettri  e  da  questi  rimbrotti,  o  ne  vanno 
creando  di  tali,  cui  ella  possa  senza  proprio  spendio  e  aflEanno 
scongiurare  e  placare.  Non  nega  pertanto  i  numi,  e  lasciasi  ne* 
gare:  consecrando  cosi  innanzi  al' volgo  i  ma'  guadagni;  e  insieme 
esecrando  quelle  are,  presso  cui,  supplice,  trovava  sotto  le  pas- 
sate tirannidi  rifugio.  Messasi  adunque  per  tal  via,  come  a  decre- 
tare Io  stato  ateo,  cosi  è  giunta  già  a  collaudare  la  scienza  atea, 
e  assai  poco  le  manca  per  confessar  atea  inoltre  la  propria  co- 
scienza. Perchè,  se  pur  non  fosse  da'  sentimenti  ignoùli  ossessa; 
non  essendo  i  numi,  che  splendori  di  cielo  intraveduti,  forme  ete- 
ree di  fantasie  innamorate,  aneliti  d'anime  impazienti  del  volo, 
rimembranze  indelebili  e  speranze  immortali,  e  simboli  e  tipi  di 
cose  eterne  e  perfette...,  tutto  ciò  nella  mente  sua  non  cape. 
Ella  può  gr  idoli  temere  o  riverire ,  atterrare  o  adomare ,  ven- 
dere 0  barattare,  secondo  le  toma  più  acconcio:  ma,  immersa 
ne'  suoi  affari  e  inetta  a  sentire  entro  a  sé  della  divinità  alcun 
raggio,  non  può  sino  agi'  iddii  accostarsi.  E ,  smarrite  queste  su- 
preme e  ineffabili  mete  del  pensiero,  naturalmente  viene,  eh'  ella 
quasi  non  si  guidi  più  co'  principi!  ;  ma,  poco  al  di  sopra  de'  bmti, 
cogr  istinti.  In  fatti  (  e  me  ne  appello  a'  miei  stessi  leggitori  \ 
quante  volte  non  la  udiamo  noi  riprovare  le  teorie?  quante  de- 
testare le  idee?  e  quante  risolvere  le  questioni  più  gravi  co' soli 
e  soliti  pretesti  della  pratica  e  della  opportunità  ?  Certo,  che  senza 
queste  due  ultime  norme  non  puossi,  die  in  un  mondo  di  sogni 
e  di  visioni  ire  a  tentone.  Mentre  per  altro  il  compito  loro  è  di 
suffragar  le  idee  e  di  raffermar  le  teorie,  e  non  già  di  bandirie 
e  di  supplirìe  ;  per  la  borghesia  il  praticismo  e  l' opportunismo 
divennero  criteri  di  governo  e  canoni  di  fede.  Talmente  che,  non 
avendo  altre  regole,  che  i  fatti,  e  non  altri  mezzi,  che  gli  spe- 
dienti,  non  la  può  in  altro  modo  reggersi,  se  non  dando  torto  alla 
virtù  vinta  e  ragione  al  vizio  vittorioso. 


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CGXX Vili.  KaBeansa  d' amor  patria. 

Seguono  quindi  dal  suo  ateismo  e  dalla  sua  irroMÌonàiUà 
la  indifferenza  pel  bene  e  pel  male,  e  da  questa  la  sua  indTilKi 
e  la  sua  spietatezza.  Perchè,  non  avendo  ella  prìncipii  di  sorti, 
né  aspirazioni  sovra  il  fango;  non  può,  che  star  china  e  bassa: 
e  allora  oh  conìe  può  avere  carità  della  patria  e  del   prossimo? 
Vedremo  appresso,  com'  ella,  sollevando  i  pravi  e  conculcando  i 
probi,  accarezzando  i  codardi  e  donmndo  i  forti,  premiando  i  ne- 
mici della  patria  e  punendo  i  troppo  fervidi  amici,  abbia  in  ogi 
guisa  tentato  di  confondere  il  senso  morale  del  popolo  e  d' estin- 
guerne tutf  i  palpiti  generosi.  L'eroismo  in  fatti,  mercè  coi  il 
povero  può  sovra  il  ricco  innalzarsi ,  e  il  popolo  rivendicare  b 
propria  dignità,  le  mette  un  grande  spavento.  E,  prescindendo 
dalla  sua  azione,  facile  è  capire,  com'ella  per  interesse  e  per 
abito  non  possa  niente  amare,  tranne  la  ignobiltà;  e  cornei 
desio  della  gloria  e  il  culto  della  virtù  non  sembrino  a  lei  altro^ 
se  non  fìsime  da  teste  sventate.  La  ignobiltà,  che  si  manifesta  il 
tutte  le  cose  e  in  tutte  le  guise,  dovunque  volgasi  lo  sguardo; 
ecco  ciò,  eh'  ella  sospira  e  vuole.  Le  repubbliche  si  goymiM 
colla  virtù,  le  monarchie  coir  onore  e  i  despotismi  colla  dnpGee 
paura  de'  tiranni  e  degli  schiavi  :  ella  si  governa  colla  proprìi  e 
coir  altrui  ignobiltà.  Una  tacita  cospirazione  universale,  ne^anik) 
alla  virtù  V  ammirazione  e  al  vizio  V  obbrobrio ,  e  nascondendo 
quella  e  coprendo  questo,  ci  rende  Ano  insensibili  al   bene  e  ai 
male,  e  ci  adegua  tutti  nel  suo  cinismo.  Al  cui  cospetto  è  ilMi 
facile  capire,  come  Y  amor  di   patria ,  primo  e  più  possente  im- 
pulso di  benevolenza  e  di  sacriflcio,  se  non  è  da  lei  rinnegno 
del  tutto,  pure  è  rilegato  ne'  musei  piuttosto  come  storica  cnrio- 
sità,  che  come  effettiva  forza.  Conciossiachè  dicono  i  suoi  sofisti} 
che  non  ce  ne  ha  più  bisogno,  or  che  l'Italia  è  Jhtta;  e  che 
anzi  è  un  vanto  postumo  e  un  tema  accademico,  e  per  fino* 
insulto  alla  valorosa  nazion  germanica.  I  quali,  prim' ancora  die 
la  fosse  fatta,  e  mentre  (piesta  nazione  per  qnello  amore  ffim- 
vasi  e  a  tanta  potenza  esaltavasi;  dicevano  pure  a  noi,  non  ci 
esser  più  differenza  tra  italiani  e  stranieri,  e  che  i  popoli  si  sono 
affratellati  e  che  non  occorre  più  esser  prodi.  Ma  badassimo  s 
Iratlici,  e  stessimo  cheti:  e  cosi  ebbimo  quelle  beUichn  ^ortt» 


•      —  337  - 

che  ognuno  sa.  Perchè  appunto  la  borghesia  non  volle,  che  noi 
fossimo  vittoriosi  con  le  nostre  arnoi  ;  nel  qual  caso  non  avremmo 
pianamente  e  pienamente  subito  il  suo  dominio.  Volle  piuttosto, 
che  dovessimo  essere  alle  sue  cabale  grati,  che  delle  nostre  pro- 
dezze orgogliosi;  a  fin  di  patirle  per  sino  senza  doglia  e  senza 
risentimento. 


CCXXIX.  Kanoama  di  carità. 

n  difetto  poi  di  spiriti  civili  in  lei  non  solamente  appalesasi 
nel  non  desiderare  la  patria  grandezza  e  nel  non  sentire  la  patria 
carità:  sì  anco  nel  non  desiderare  e  non  sentire  alcuna  sorta 
d' affetti  collettivi  e  comuni.  Il  barbarico  istinto  di  secessione, 
che  ripiega  e  concentra  gli  uomini  in  sé  stessi,  contrario  a  quello 
classico  di  compenetrazione^  che  gì',  immedesima  e  distende  nella 
città  e  neir  umanità,  fu  per  ciò  tosto  da  lei  convertito  in  un 
dogma  poUtico  e  giuridico.  Troppo  le  dava  uggia  quella  credenza 
de'  nostri  padri,  che  si  fosse  prima  cittadini  e  poscia  privati  uo- 
mini ;  perchè,  sotto  il  nome  di  servitù  patriottica  o  di  statolatria^ 
non  r  avesse  a  viUpendere.  Troppo  piacevole  un  sistema,  in  cui 
la  patria  non  serve,  che  air  utile  de'  singoli,  perchè,  sotto  il  nome 
di  diritti  individuati  o  di  personali  Hbertà,  non  ne  lo  facesse  suo 
proprio.  Non  soggiungono  anzi  i  suoi  statuaU  e  ì  suoi  legisti,  che 
qui  sta  il  progresso,  qui  la  fisonomia,  e  qui  la  gloria  del  secol 
nostro?  Fatto  sta  per  altro,  che  V individualismo ,  subUmato  a 
teorica  di  stato  e  a  precetto  di  legge,  e  a  simbolo  supremo  della 
società  borghese,  dà  i  frutti  amari,  cui  unicamente  può  dare.  Se 
la  patria  non  rimane  più  in  piedi,  che  per  assicurare  i  nostri  van- 
taggi, e  se  non  vi  sono  più  nodi  di  cuore  tra  essa  e  noi;  quali 
legami  avremo  mai  verso  il  resto  de'  mortaU?  La  vita  in  comune, 
che  nelle  antiche  società  civili  non  potea  spegnersi,  nemmeno 
tra'  sospetti  e  terrori  delle  tirannidi ,  e  che  ne'  fori  e  ne'  teatri 
fervea  lin  sotto  i  romani  despoti,  è  cosi  quasi  del  tutto  spenta. 
Fin  le  chiese,  ove  una  reliquia  di  quella  perdura,  ove  ricco  e 
povero,  felice  e  infelice,  signore  e  suddito  possono  almeno  nelle 
preci  considerarsi  uguali,  si  hanno  in  dispetto.  La  vita  si  è  tutta 
barbaricamente  nelle  domestiche  pareti  raccolta,  come  in  sepolcro  : 
ove  de'  pianti,  che  sono  al  di  fuora,  non  si  sente  pietà;  né  delle 
risa  giubilo.  Per  quanto  fossero  colpevoli  i  nostri  padri,  per  quanto 

22 


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ladi'i  quc'  baroni,  per  quanto  bigotte  quelle  dame,  pur  quali  por- 
tenti (li  carità I  Pognamo,  ch'erigessero  tanti  rifugi  agli  sventu- 
rati per  orgoglio  o  per  rimorso:  ma,  che  fanno  delle  loro  dovi- 
zie in  vita  e  in  morte  i  nostri  borghesi?  lo  per  me,  se  volessi 
signiGcare  il  contrapposto  della  compassione  umana,  direi  carità 
borghese.  Perchè  certo  >i  sono  lodevoli  eccezioni:  e  sieno  bene- 
detti coloro,  che  molt'  o  poco  si  sovvengono ,  come  V  unica  pan 
dolcezza,  cui  le  dovizie  possano  dare,  stia  nel  lenir  dolori  e  od 
rasciugar  lagrime.  Ma  guardate  in  generale,  quant'  è  tapina  questa 
beneficenza  de' cosi  detti  odierni  filantropi  ^  quanto  lesina  sulle 
somme  da  spendere,  quanto  contende  su'  titoli  e  sulle  condizioiu, 
e  quanto  teme  di  soccorrere  oltre  il  dimani  I  Un  tenue  contributo, 
mese  per  mese,  e  non  più  ;  e,  se  possibile ,  con  tutta  Y  ostenta- 
zione d' un  consorzio,  d' uno  spettacolo,  d' una  festa.  Sopra  tatto 
d*  una  festa,  per  pigliare  due  piccioni  a  una  fava,  o  in  lotterie  e 
in  danze  e  in  filantropiche  carnescialate.  Quanto  poi  al  patrimo- 
nio de'  poveri,  lasciato  da'  nostri  maggiori ,  e  che  fu  altre  volte 
in  ogni  città  d'Italia  il  patrimonio  più  cospicuo,  dirò  appresso, 
come  r  abbiano  dilapidato. 

CCXXX.  Ug^a  de'  popoli  moderni. 

Macchiandosi  il  ceto  mezzano  di  tante  brutture  per  ragginn- 
gere  quello,  cui  reputa  bene^  avesselo  almeno  raggiunto;  e  po- 
tesse dire,  che  o  col  consenso  o  a  dispetto  degli  dei,  la  comune 
aspirazione  de'  cuori  appagò  !  In  vece,  se  l' umana  felicità  sta  ndlo 
adempimento  de'  propri  doveri,  nella  esplicazione  delle  più  oobdi 
facoltà  dello  spirito  e  nel  gaudio  intimo  e  ineffabile ,  che  ne  de- 
riva; questa  non  ha  certamente  ottenuta,  né  voluta,  né  compresi. 
ÀI  più,  al  più  potrebbe  aver  goduto  il  piacere^  o  conseguito  b 
contentezza;  sebbene  io  temo  forte,  che  ne  abbia  privato  altroif 
e  diminuito  sé  medesimo.  Venendo  ora  a  discorrere  anche  di  que* 
sto,  non  posso  prima  di  tutto  tacere,  eh'  io  reputo,  essere  noi  mo- 
derni assai  meno  ilari  e  giocondi,  che  fossero  i  nostri  antidi 
So,  eh'  è  arduo  far  paragone  tra  una  storia ,  che  si  legge  sa'  fi- 
bri,  ed  altra,  che  si  vede  cogli  occhi;  e  so  anche  «  che  il  rìflh 
pianto  delle  passate  cose  e  il  rammarico\delle  presenti  è,  insieflW 
colla  speranza  delle  avvenire ,  il  tormento  degh  umani.  Ciò  non 
ostante,  di  «luella  conosciamo  credenze  e  abitudini  tali^  e  abbiamo 
tali  testimonianze  ne'  monumenti  dell'  arte  e  nelle  opere  degli  scrif* 


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tori ,  che  ci  svelano ,  essere  slati  i  greci  e  gF  itali  d'  un'  indole 
assai  più  limpida  e  serena,  che  noi.  Anche  quando  figuravano  il 
dolore,  si  direbbe,  non  lo  sentissero  ,  come  dopo  la  giudaica  in- 
fezione e  le  irruzioni  barbariche  fu  sentito.  E  che  rassomigliassero 
fino  i  morenti  alquanto  a  quegli  eroi  dell'  Iliade^  che  muojono  in 
guise  tanto  varie  e  ammirabili,  e  pur  quasi  senza  le  convulsioni  e 
i  rantoli  dell'agonia.  Que'  giuochi,  quelle  feste,  que' circhi,  a  cui 
accorrevano  tutti ,  come  torme  di  fanciulli  spensierati  e  folleg- 
gianti  ;  que'  triclinii  rallegrali  dalle  cetre,  dalle  carole  e  dalle  ghir- 
lande de'  fiori  ;  que'  riti  religiosi  di  tanta  grazia,  e  sin  que'  roghi 
funerei,  intorno  a  cui  banchettavano  e  giostravano...,  attestano 
tra  essi  e  noi  un  sentir  diverso.  Il  quale  facilmente  si  spiega, 
considerando,  come  dovesse  1'  antica  gioja  venir  meno  ;  non  ap- 
pena dal  settentrione  discesero  qui  gì'  iracondi  e  paurosi  fanta- 
smi, e  da  un  angolo  d'Asia  le  tetre  e  odiose  ubbie.  Sopra  tutto 
furono  queste  al  tranquillo  e  lieto  vivere  funeste ,  riempiendo  gli 
animi  di  scmpoli  e  di  rimorsi,  maledicendo  il  riso  e  benedicendo 
il  pianto;  e  cangiando,  se  avessero  potuto,  il  creato  in  un  mor- 
torio. E  talmente  previdesi  ciò  nel  romano  senato  (  a  cui  era  la 
religiosa  insofferenza  ignota),  che,  vivente  Cristo,  i  padri  decre- 
tarono: le  superstizioni  de'  giudei  e  degli  egizi  si  bandissero) 
quattromila  liberti  infetti  si  portassero  in  Sardegna  a  spegner  ladri 
e  ad  esser  spenti  dalla  mal  aria;  gli  altri  o  rinnegassero  o  sgom- 
berassero (Annali  di  Cornelio  Tacito,  li,  85).  Se  non  che  ho  già 
raccontato,  come  queste  superstizioni,  appropriandosi  e  adulterando 
una  divina  eresia,  che  prometteva  agli  umani  pace  e  beatitudine  in 
sempiterno ,  sopraffacessero  la  polizia  di  Roma.  E  come  ,>  spun- 
tando le  seguenti  jìersecuzioni,  ben  altro  estinguessero,  oltre  l' an- 
tica gioia  del  mondo. 

CCXXXI.  Patnmia  de'siernori  e  de' sudditi  borghesi. 

Non  darò  io  dunque  la  colpa  del  tutto  alla  borghesia  (  «eb- 
bene di  codeste  cose  barbariche  e  giudaiche  s' intenda  ella  molto), 
della  malinconia  già  da  troppo  tempo  scesa  su  noi.  Né  della 
morbosa  sensibilità  inane,  che  caratterizza,  si  può  dire,  la  vivente 
fiacca  generazione.  La  origine  della  quale  sensibilità  risale  a 
molte  cause,  di  cui  non  si  può  qui  in  brevi  parole,  com' io  devo, 
parlare.  Ma  certo  non  le  dev'  essere  estraneo  quel  malessere , 
quella  sofferenza,  quella  irritabilità  de'  nervi  tra  etica  e  isterica , 


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die  tanto  può  da  una  civiltà  raSinata  venire,  come  da  udì  salute 
guasta.  Conciossiachè ,  sebbene  impassibile  a  tanti  umani  dolori 
non  possa  essere,  che  T egoista;  pur  tuttavia  nel  patire  e  nel  com- 
patire vi  vuol  modo  e  misura ,  e  assai  difficilmente  1*  uom  sano 
vorrà  esser  piagnoloso.  —  Siamo  forse  noi  anche  più  deboli  e  pio 
infermicci  degli  avi  nostri?  —  Lascio  ai  medici  tale  ricerca;  no- 
tando per  altro ,  che ,  s'  eglino  argomentassero  dalla  maneana 
odierna  delle  pesti  e  de'  contagi ,  dalla  longevità  maggiore,  dalli 
mortalità  minore  o  da  altri  elementi  piuttosto  igienici ,  che  salu- 
tari, oggidì  più  propizi,  non  istarebbero  nel  campo  suo  vero.  Trat- 
tandosi unicamente  di  vedere,  se  la  generazione  presente  è  pSn 
robusta  o  più  gracile  delle  passate  :  anche  senza  vantare  le  ferree 
armature ,  cui  queste  indossavano ,  e  i  fieri  cimenti ,  cui  soppor- 
tavano ;  la  misteriosa  tabe,  che  miete  quella  con  tanta  inesorabilitiy 
par  quasi  metta  in  pericolo  Y  intiera  specie.  La  qual  tabe,  che  dissol- 
ve r  organo  stesso  della  respirazione,  ed  è  conoe  un  male  endemico 
deli'  era  borgiiese,  o  gentiUzio  de'  ceti  privilegiati,  guai ,  se  ndle 
stesse  proporzioni  ai  volghi  rustici  si  estendesse  I  Intanto,  ad  oc- 
chi veggenti,  assume  sempre  più  spaventose  e  precipitose  forme, 
0  costituisce  del  pari  la  più  grave  accusa  contro  le  ultime  gene- 
Inazioni,  e  contro  le  future  la  più  grave  minaccia.  Dappoiché  at- 
tinge sovra  tutto  nella  depravazione  la  sua  impura  sorgente:  e, 
oltre  i  malati,  oltre  i  morenti,  prosegue  indefessa,  implacabile,  il 
suo  corso  ne'  congiunti  e  ne'  superstiti,  cui  assottiglia  e  strema,  a 
cui  incava  il  petto  e  scava  la  tomba.  Com'  è  possente,  com'è  ine- 
luttabile questa  sanzione  della  naturay  che  ci  addita  il  fio  deDe 
colpe  scontato  dagl'  innocenti  ;  per  richiamarci  coir  ultimo  lor 
fioco  rimprovero  ai  buoni  costumi ,  ai  virili  esercizi ,  alle  eroiche 
imprese  !  Non  procedessero  però  gli  odierni  aflianni  da  condizioii 
morbose,  quante  altre  cause  non  restano  per  rendere  i  borgbeà 
e  i  lor  sudditi ,  e  sovra  tutto  i  primi ,  affannati  ?  Scemate  le  do- 
mestiche gioje  in  tanto  an*ovellarsi  e  in  tanto  trafficare,  spregiale 
quelle  delle  lettere  e  delle  arti  ;  e  venute  meno  le  pubbliche  gioie» 
per  cui  lino  il  meschino  può  della  fortuna  della  patria  rallegrarsi, 
e  il  decrepito  del  trionfo  della  giustizia,  clie  altro  vi  può  esser  di 
buono?  Basta  omai  la  gioja  dell'arrichirò,  lo  so:  ma  quanti  pet- 
sieri,  quante  trepidazioni,  quante  angoscio  per  clii  la  coglie!  Ri- 
guardo ai  delusi,  che  sono  i  più;  riguardo  ai  tapini,  che  non  so- 
gnano pur  di  eoi^'lierla,  e  vivono  a  miUoni  e  a  milioni  dimemieati 
(^  respinti,  Inaila  gioja  davvero!... 


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CGXXXII.  iBttrdetto  del  mnimJB. 

Fatto  sta ,  che  la  MsteBea  borghese  va  anche  ne'  vcflghi 
aumeotando  si,  che  quelle  dolci  canzoni  e  qoe;^  allegri  damori, 
conforto  della  lor  vita ,  sembrano  sulle  lor  labbra  morti.  E  certi 
convegni  e  certi  tripudi  popolari  son  divenuti,  in  pochi  anni,  un'  ar- 
cheologica reminiscei^a  degli  o^Hti  inglesi  Né  parlo  della  cod 
detta  festa  nassionale ,  che  celebrar  dovrebbe  il  sospiro  de'  se* 
coli  :  dico  il  nostro  riscatto.  Chi  nm  vede,  che  la  è  già  divenuta 
una  cerimonia  legale,  una  fredda  rassegna  d' armi,  una  vana  mo- 
stra di  ciondoli,  e  nient'  altro  ;  e  che  non  un  grido  d' esultanza 
e  non  un  guardo  dì  simpatia  1'  accompagna  ?  Per  fino  il  (Mir- 
nevàle  italiano^  cui  gli  stranieri  vituperano  (poiché  non  serbano 
deir  antica  libertà  di  Saturno  il  dolce  ricordo;  non  sanno,,  cosa 
vogUa  dire,  almen  sotto  X  amabile  regno  della  foUia,  riconoscersi 
uguali  padroni  e  servi,  e  non  sentono,  cosa  sia  l' espansione  e  la 
cordialità  di  tutto  un  popolo),  per  fino  esso,  ultimo  rito  de'  patrii 
misteri,  è  stato  dalla  borghesia  soffocato.  Eppure,  contraflEacendo  e 
prezzolando  la  gioja  pubblica,  quanto  non  fa  ella  per  sostituirvene 
un  simulacro?  quante  compagnie  non  crea  a  tal  uopo?  e  quanti 
statuti  non  detta  ?  Si  fossero  i  suoi  edili  limitati  a  dar  premi  alle 
maschere  più  benemerite  ed  onorificenze  a'  buontemponi  pia  ce- 
lebri, meno  male.  Che  siamo  avvezzi  a  veder  proAise  e  avvilite 
fin  le  insegne  equestri  in  peggior  guisa,  e  non  vi  è  pia  a  mera- 
vigliar di  niente.  Per  tramutare  nondimeno  una  baldoria  spon- 
tanea in  un  pubblico  istituto,  e  perchè  Rogantino  e  Meneghino 
rappresentino  a  dirittura  Roma  e  Milano,  e  i  decurioni  delle  città 
gli  accolgano  quali  sacri  legati  orrevolmente  (siccome  testé  si  è 
veduto);  bisogna  affatto  avere  smarrito  il  pudor  civUe.  E  che  do- 
vrei io  dunque  dire  de'  cavalli  e  de'  carri  delle  sahnerie  adoperati 
ne'  corsi  carnescialeschi  ?  Che  de'  soldati  nostri ,  i  nostri  soldati 
ripeto,  costretti  in  veste  di  pagliacci  a  suonare  i  pifferi  e  a  gui- 
dare i  traini  carnescialeschi?  Se,  dovunque  mi  volga,  non  un  la- 
mento ascolto  per  tanta  umiliazione,  non  un  viso  veggo  arrossire 
per  tanta  onta  all'  esercito,  cui  gli  antichi  romani  auspicìi  a^^el- 
lano  alla  vittoria;  che  posso  fare  altro  io,  oscuro  togato,  tranne 
appellarmi  al  giudizio  de' posteri?  Badate  però  bene,  cari  let- 
tori ,  come  io  detesti  questa  buffoneria ,  che  non  ha  pù  ritegno , 
più  vergogna  :  non  già  la  giga  effervescenza  del  popolo  Cntante. 


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Che  non  vi  ha  per  contrario  alla  repubblica  accusa,  e  miDaccia 
maggiore ,  eh'  ci  si  renda  cupo  e  corrucciato  ;  né  cosa ,  die  più 
agli  animi  benigni  e  gentili  incresca  del  suo  cordoglio.  In  \*aDO 
si  obbietta,  die  la  cangiata  sorte  dee  renderlo  serio  e  pensoso: 
perchè  certo  la  lilkertà  ci  ridiiama  a  doveri ,  agli  schiavi  ignoti  ; 
ma  anche  a  dolcezze  nuove.  Né  la  è  mica  quella  torva  megera, 
0  queir  anguicrinita  Erinni,  che  costoro  vorriano  far  credere,  per 
insinuare  in  altri  il  proprio  sgomento.  E  qui  appunto  sta  Y  arcano 
di  costoro,  che,  mentre  d'una  falsa  libertà  non  gli  fanno  udire, 
che  le  ciarle  e  balenar  gli  spauracchi ,  e  tuttavia  con  que'  lazzi 
della  bulToneria  trionfante  e  solenne  lo  tengono  tra  attonito  ed 
esterrefatto  ;  non  provvedono  pure  a  ciò,  cui  le  più  nefande  tiran* 
nidi  ebbero  in  mente.  Perché  uno  de'  vecchi  nostri  tiranni  suo- 
leva  dire,  com'  é  a  tutti  noto,  che  con  tre  sole  effe  strigneva  eflù 
il  freno  al  defilerò  partenopeo.  Ora  di  i|ueste,  ognuno  il  vede,  la 
farina  è  scemata,  le  feste  si  son  dileguate;  e  non  ci  è  rimasta, 
che  la  forca. 

GCXXXIII.  Frequentt  de'  suioidiL 

Dirò  in  altro  luogo,  come  ninno  si  curi  della  povera  plebe, 
se  non  ))er  molestarla  e  angariarla  ;  e  come  parecchi  infelid ,  a 
cui  la  materna  terra  è  divenuta  matrigna ,  fanno  ora  qudlo ,  cui 
in  tanti  secoli  di  cattività  non  fecero:  fuggonla,  e  seminano  le 
incompiante  ossa  altrove.  Non  ne  sono  i)er  questo  i  borghesi, 
che  a  (al  cosa  gli  esortano,  od  a  frustrare  laidamente  il  comando 
della  natura,  più  felici.  E,  poiché  a  scuoter  gli  animi  ioduriti,  vi 
vogliono  ornai  emide  cifre,  e  nienf  altro  ;  eccovele.  Coloro,  che  si 
toglievano  violentemente  T  esistenza ,  da'  tempi  molto  remoti  sìdo 
a  queUi  ultimi ,  che  precessero  l' attuale  stato  politico ,  erano  qi 
in  cosi  tenue  numero,  che  non  meritava  quasi  di  prenderne  noU. 
Dal  cominciare  del  medesimo  in  i)Oi  crebbero  tosto  e  tanto ,  cki 
già  nel  187U  salirono  a  78U,  nel  187  i  a  1U15,  e  posda  aU*aTfe- 
nante  :  né  si  sa ,  dove  si  andrà  a  Unire.  Avvertile ,  die  de*  SM- 
plici  tentativi  di  suicidio  non  si  lien  conto;  e  che  Y  uflicio  di  sta* 
tistica  non  può  prender  nota  delle  vite  semispente,  abbreviate, 
logorate,  rattristate  e  sconsolate  :  le  quali,  se  si  |)onessero  in  cooio^ 
giugnerebbero  alle  centinaja  di  migUiga.  Nondimeno  questo  mi- 
gliajo  ìY  annue  vittime  volontarie  nella  sola  Italia,  che  non  o'  è  il 
IKiese  più  funestato,  é  un  sintomo  morale  d' una  terribile  gnivei- 


-343- 

za.  Né  vi  vuol  altro,  se  non  quello  spirito  borghese,  che  si  pre- 
occuperebbe assai  più  d'  un  miglisgo  di  giovenche  colte  dal  car- 
bonchio, e  per  cui  manderebbe  un  nugolo  d' uflSciali  e  di  veteri- 
rìnari  in  giro  ;  per  non  sentirne  V  accusa  e  la  minaccia.  Consento 
(poiché  piacerai  contemplar  sempre  le  cose  d' ambo  i  lati ,  e  va- 
lutare spesso  le  ragioni  degli  avversari  meglio  e  prima,  eh'  ei  le 
sappiano  esporre)  ;  consento,  che  tanto  gu^uo  non  venga  tutto  dal 
male  e  da  loro.  E  vogUo  eziandio  ritenere,  che  in  questo  triste 
fenomeno  de'  transfugi  dalla  vita ,  come  in  quello  de'  fuggiaschi 
dalla  patria,  occorra  in  parte  la  medesima  causa ,  che  aumenta 
ciascun  giorno  enormemente  la  pojsaia  (altro  morbo  per  eccellenza 
borghese).  Cioè,  che  vi  possano  molto  l' emancipazioni  intellettoale 
e  politica;  le  quali,  dimezzate,  fanno  più  forte  sentire  il  pungolo 
della  sofferenza  e  della  responsalità  umana.  Tuttavia  non  vi  ha 
dubbio,  che  in  quest'  agonia  di  lusinghe  e  di  seduzioni,  e  in  questa 
danza  di  fortune  e  d' infortunii  fantastica  e  frenetica,  non  si  sia  il 
ceto  venale  nelle  proprie  borse  messo  a  pari  de'  giuocatori  intorno 
al  tavoliere;  i  quali  qualche  volta  con  un  colpo  di  pistola  emendano 
r  ultima  perdita.  Che ,  se  a  ciò  si  arrogo  lo  aiOevolirsi  di  que' 
sentimenti,  che  servono  almeno  come  puntelli  a  trattenere  le  na- 
ture crollanti,  o  il  naturale  influsso  del  materialismo  ;  comprendesi 
di  leggieri,  come  la  vita  non  sia  più  pegl' infelici  un  bene,  oè 
più  per  alcuno  un  dovere.  Pure  il  suicidio  era  tale  un'enorniità 
e  un'  aberrazione  per  le  indoli  e  le  menti  ben  temprate  de'  nostri 
maggiori ,  che  non  ce  ne  lasciarono  nemmanco  ne'  vocabolari  il 
ricordo.  Perché,  sebbene  i  romani  ed  anco  i  più  vetusti  abitatori 
d' Italia,  usassero  e  credessero  sempre  lecita  e  laudabile  la  morte, 
quando  non  ci  fosse  altro  modo  a  sfuggire  la  sovrastante  ser- 
vitù od  a  salvare  la  propria  digniti^;  queste  codarde  violenze  con- 
tro sé  stessi  per  tedio  o  per  diserzione  avevano  in  abominio.  Cosi 
Catone  e  Bruto,  e  molt'  altri  eroi,  passando  anzi  tempo  agi'  iddiì, 
ma  ammonendo  di  colassù  i  posteri  e  invocando  vendicatori  ogno- 
ra ;  giovano  spenti  a  quella  divina  causa ,  per  cui  vivi  combatte- 
rono fino  all'  estremo.  Mentre  era  serbato  alla  moderna  borghesia, 
che  tali  cose  stima  un  plutarchesco  delirio ,  di  porre  in  luogo  del 
sacrificio  deUa  vita,  per  nobile  disdegno  e  per  fiera  protesta,  il 
suicidio  per  viltà. 


COLTURA  BORGHESE 


CCXXXIV.  SnperìoriU  della  ooltm  iaMlettule  airtlea. 

Sebbene  V  umanità  sia  unicanoente  onorata  e  awantaggàta 
da  quegli  uomini  e  da  quegli  avvenimenti ,  che  le  impediscono  di 
riscendere  air  uguaglianza  e  alla  quiete  de'  bruti  ;  i  cronisti  d*  oggi 
sono  concordi  nel  disprezzare  le  grandi  geste  e  le  grandi  figure 
storiche.  Raffazzonando  cosi ,  non  so  che  storia  sui  pigri  dolori 
0  sui  muti  travagli  della  specie  umana,  ei  rivelano  chiaro,  conw 
il  regno  della  borghesia  sia  il  regno  della  mediocrità.  Se  noo 
erro,  lo  confessa  ella  medesima:  e  non  sarebbe  quindi  a  stupire, 
che  si  appagasse  d' una  media  levatura  e  d' una  media  coltura 
degr  intelletti.  La  borghesia  presente  però ,  e  la  italiana  principal- 
mente ,  si  appaga  anche  di  meno ,  e  vuole  anche  di  peggio  ;  sie- 
come  io  sono  tosto  per  esporre.  Avvegnaché ,  dopo  aver  guasto  i 
costumi  e  amareggiato  le  gioje  nella  guisa,  che  testé  vedemmo; 
ella ,  e  per  causa  di  ciò  e  per  aborrimento  di  gentilezza  e  per  arte 
di  stato,  ha  gli  studi  non  curato,  le  scienze,  le  lettere  e  le  arti 
derìso,  ottuso  le  menti  e  oppresso  gr  ingegni  nella  guisa,  che  or 
vedremo.  Entrando  adesso  in  tale  argomento ,  io  sento  le  doe  diffi- 
coltà, che  mi  si  parano  innanzi  :  la  inettezza  mia  a  giudicarne,  e  il 
vanto  della  contraria  fama.  A  dire  il  vero,  non  mi  par  grave, se 
non  la  prima  :  giacché  assai  prima  e  assai  meglio  de'  miei  crttid 
conosco,  essermi  io  tutt'altro,  che  dotto.  Anzi  ho  per  prova, che 
la  dottrina  d'oggi  sia  proprio  agli  sgocdoU,  se  a  qualcuno  poleì| 
per  sino  io ,  sembrar  tale.  Tranne  un'  angustissima  e  specialisaima 
parte  delle  discipline  giuridiche ,  di  cui  posso  avere  qualche  n* 
dimento,  e  cui  mi  guardo  bene  dallo  sciorinare  in  questo  votame; 
pongomi  anch'  io  nella  classe  piìi  compassionevole  degli  ahmni  di 
Sofia.  La  fortuna ,  per  uno  de'  suoi  soliti  capricci  di  domia ,  se»- 
dosi  compiaciuta  di  pormi  in  dosso  un  batolo  d'ermellioo,  feee 


-  345  - 

due  mali  in  uno,  come  spesso  incontra.  Che  né  ella  si  avesse 
un  dottore  di  più,  né  sotto  alla  dottorale  insegna  impedisse  a  un 
cuore  umano  di  palpitare  e  di  sanguinare.  Ma  quel ,  eh'  è  stato  è 
stato,  e  non  se  ne  parli  altro:  tanto  più,  che  per  altre  cose 
non  mi  posso  con  essa  dolere.  Adunque  rimanga  inteso  ed  am- 
messo ,  eh'  io  per  decidere  di  tali  argomenti  ho  tutta  quella  in- 
competenza ,  che  mi  si  opporrà ,  e  fin  quella ,  che  non  mi  si  op- 
porrà punto.  Tuttavia  credo ,  che  per  questo  non  mi  possa  esser 
divietato  di  pronunciarmi  :  perchè  guai  a'  poeti  ed  agli  artefici , 
se  solamente  Omero  e  Raffaelo  potessero  V  Iliade  e  la  Transfigu- 
raeione  ammirare  I  Anche  a  noi  profani  il  vero  e  il  bello  piaccio- 
no,  e  il  falso  e  il  brutto  dispiacciono.  Ed  anche  il  rustico  censor 
di  Roma ,  benché  non  in  grado  di  capire  Cameade  e  gli  altri  sozi , 
aveva  capito  o  non  capito  a  suiBcenza,  di  che  sorta  si  fosse  quella 
filosofia ,  e  che  beneficio  ne  avesse  la  repubblica  a  ritrarre.  Dico 
pertanto,  parlandone  cosi  alla  buona  e  col  debito  rispetto,  che  i 
moderni  errano  di  molto ,  credendo  di  avere  superato  gU  antichi , 
per  non  ridire  delle  belliche  e  civili  virtù,  nemmanco  nelle  scien- 
ze ,  nelle  lettere  e  nelle  arti.  Venuti  tanto  tempo  appresso ,  non  è 
meraviglia,  ch'egli  abbiano  più  cognizioni,  più  libri  e  più  mo- 
numenti :  siccome  non  è  meraviglia ,  che  oggi  uno  scolaretto  di 
matematica  ne  sappia  più  di  Pittagora  e  d' Euclida,  od  uno  di  fi- 
sica più  d'Aristotile  e  di  Plinio.  Intanto ,  vogliasi  o  non  vogliasi , 
le  leggi  romane  e  alcuni  de'  capolavori  delle  lettere  e  deUe  arti 
greche,  ninno  gli  ha  superati  ancora.  Ed,  a  volere  esser  giusti, da 
più  d' una  ventina  di  secoli ,  se  non  in  quesf  Italia  e  se  non  ritor- 
nando a  quegli  esemplari,  ninno  gli  ha  potuti  seguir  da  presso. 


CCXXXV.  InferìoriU  della  ooltira  intellettiiale  moderna. 

Però  si  risponde  (e  qui  viene  la  seconda  diflìcoltà),  che  cer- 
tamente i  greci  furono  nella  fulgida  venustà  della  forma  eccellenti 
e  quasi  divini;  e  un  tantolino,  rubacchiando,  anche  que'  plagiari 
romani.  Se  non  che  nuove  vie  ha  oggi  dischiuso  Tumano  progresso, 
nuove  ricerche ,  e  nuovi  lumi  all'  antichità  ignoti.  —  Come  non 
ti  meravigli  delle  prodigiose  scoperte  del  secol  nostro,  che  mu- 
tano faccia  alla  terra?  non  vedi  i  larghi  orizzonti ,  cui  fissa  ornai 
intrepido  X  umano  sguardo?  e  i  segreti  della  favella,  della  natura 
e  dell'essere  già  quasi  strappati?  —  Messeri,  non  dissi  io  già, 


-  346- 

clic  abbiano  T  asiatico  pastorale  e  la  barbarica  picca  potalo  ar- 
restare il  corso  al  pianeta  ?  Veggiamo ,  anclie  noi  protani  j  che  ia 
certe  p;irti  del  sapere  (siccome  nelV astronomia ,  nella  geologia, 
nella  chimic^ì ,  nella  meccanica ,  nelF etnologia ,  nella  filologia,  nella 
critica  e  neir  erudizione  )  siete  iti  molto  innanzi.  Badate ,  ciò  noi 
ostante,  che  non  si  sa,  cosa  avrebbono  quegli  antichi  fatto,  se 
ninna  forza  esterna  fosse  sopraggiunta  a  interrompere  la  loro  ci- 
viltà ,  ed  anzi  a  spegnergli.  Badate ,  che  per  entrare  in  questa  nt>- 
stra  dovemmo  ripigliar  quella:  badate  a  tutto  ciò,  ch'ei  fecero, 
e  che  noi  non  abbiamo  guari  seguitato.  Né  vi  lasciate  da  codesto 
rifiorimento  dell'erudizione  e  della  critica,  dell*  osser\'azione  e del- 
r analisi,  della  nomenclatura  e  della  classificazione,  e  da  cotali  ai- 
tri  studi  utili,  ma  da  bassi  tempi  e  da  liberti,  adescare.  Perchè 
furono  i  greci  anche  in  questo  campo  industriosi  :  ma  sapete  quan- 
do e  dove.  Assai  tardi  da'  momenti  di  gloria  e  di  libertà  e  dale 
vittorie  di  Maratona  e  tli  Salamina  ;  e  assai  lunge  dalf  agora  e 
dal  liceo,  da'  teatri  e  dagli  orti  d'Atene.  Dico  a*  tempi  de'  nn- 
cedoni ,  ed  anzi  de'  Lagidi  ;  e  precisamente  nella  servile  scuola 
alessandrina^  di  cui  voi  siete  i  tardi  discei)0li.  Qui  appunto  sti 
il  grave  difetto  de'  giorni  nostri:  che,  mentre  non  ha  tutu  Eu- 
ropa lettere  od  arti  così  fiorenti ,  quali  ben  due  volte  ebbe  la  sob 
Firenze  (imitando  quegli  antichi  greci  e  romani,  da  cui  vorreste 
liberare  il  mondo),  tanto  sono  oggi  le  scienze  esatte  e  sperìmeo- 
tali  in  fiore,  quanto  molte  altre  discipline  umane,  e  forse  le  mi- 
gliori, poste  in  non  cale.  La  qual  sentenza  non  può  naturafaneaie 
essere  approvata  da  chi  paragona  Hegel  con  Platone  e  Goethe  eoa 
Dante,  Macaulay  con  Tucidide  e  Brougham  con  Machiavelli, e  n 
dicendo.  Ma,  lasciando  gli  antichi  ne'  loro  Elisi,  sol  che  si  raffronti 
(lucila  falange  di  scrittori  francesi  del  secolo  scorso  cogli  scrittori 
tedeschi ,  certamente  i  più  celebri  del  secolo  presente  ;  non  pire, 
che  un  paragone  nemmen  tra  costoro  regga.  Senza  osservare,  che 
queUi  (nelle  morali  e  politiche  discipline  in  tanta  enfasi  purUBlo 
valenti  )  hanno  o  bene  o  male  agitata  Y  umanità  fln  nelle  pia  ■- 
lime  fibre;  e  questi  fin  ora  non  f  hanno,  che  spaventata. 


CCXXXVI.  Decadenti  degU  stai!  ia  ItiOia. 

Alla  di'caden/a  ilelle  discipline  morali  e  politiche  nel 
prosento ,  e  a  un  tal  <|uale  indirizzo  chinese  dato  alT  i 


—  347- 

non  è  certamente  estranea  la  borghesia  universale;  siccome  è 
troppo  facile  congetturare.  Di  essa  però  non  cadendo  qui  discor- 
so, se  non  per  relazione  di  materia;  debbo  alla  nostra  restrin- 
germi ,  e  solamente  a'  più  recenti  suoi  influssi  sul  pensiero  italia- 
no. Premetto  le  solite  riserve  e  le  debite  eccezioni  per  coloro,  che 
fra  tante  avversità  coltivano  i  buoni  studi,  e  cercano  in  tutt'i  modi 
d' onorar  la  patria.  I  quali  per  verità  sono  piuttosto  vecchi ,  che 
giovani;  e  tutti  in  cosi  tenue  drappello,  e  cosi  derelitti,  che,  se 
non  si  va  a  scoprirne  i  nomi  negli  annali  di  qualche  accademia 
oltramontana,  appena  qui  si  conoscono.  E  assai  più  godono  fama 
coloro ,  che  per  tale  raccomandazione ,  o  per  quella  delle  effemeridi 
non  scientifiche  e  non  letterarie,  poterono  rendersi  noti,  che  per 
le  proprie  virtù.  Ma  al  di  fuori  di  essi  qual  biigo ,  qual  vuoto  e 
quale  desolazione  I  Parrebbe,  che  ciò  dovesse  essere  ammesso  an- 
che dagli  avversari  :  dappoiché ,  proponendoci  gli  esempi  stranie- 
ri ,  e'  non  rifiniscono  mai  dair  inculcarci ,  che  i  nostri  sitédi  sono 
una  derisione.  È  vero  per  altro,  che  quando  noi  si  grida:  fac- 
ciamo come  loro,  rialziamoci;  —  oh, non  v'è  bisogno,  soggiun- 
gono :  non  vedete  ?  che  fino  i  professori  tedeschi  ci  lodano  ?  —  Di 
guisa  che  pare,  sia  una  calunnia  il  dire,  che  la  gentilezza  e  la 
coltura  italiana  sieno  decadute  a  seguo,  da  non  esserci  più  tra 
noi  né  scienze,  né  lettere,  né  arti.  Pure,  s'io  trascorro  col  pen- 
siero le  età  più  infelici  della  patria  storia,  temerei. di  dover  ri- 
salire fino  alle  invasioni  de'  goti  e  de'  longobardi  (  sotto  a'  quali 
non  tacquero  le  lettere  affatto ,  e  vennero  onorati  Gassiodoro  e 
Boezio,  Gregorio  magno  e  Paolo  diacono),  per  trovare  un  ri- 
scontro alla  presente  decadenza.  Imperocché  nelle  età  seguenti 
non  vi  ha  dubbio ,  che  il  secento  e  il  settecento  non  fossero  della 
senitù  morale  e  civile  d' Italia  i  più  lugubri  periodi.  Nondime- 
no,  s' io  volessi  solamente  i  nomi  addurre  di  coloro ,  che  allora 
e  in  ima  sol  parte  d' Italia ,  da  Vico  e  Giannone  a  Filangieri  e 
Pagano,  si  distinsero  nelle  giuridiche  e  storiche  disciidine,  mi 
troverei  molto  impacciato.  Segui  il  napoleonico  impero,  nuova 
e  meno  abietta  servitù  :  sotto  la  quale  per  altro  colsero  allori 
Lagrangia  e  Volta ,  Romagnosi  e  Gioja,  Monti  e  Foscolo;  e  potè 
nella  scultura  Canova  quasi  emular  Fidia.  Né  può  dirsi,  che  an- 
cba.  ne'  primi  due  quarti  di  questesso  secolo  la  fiice  del  patrio 
genio  si  estinguesse  affatto  ;  se  solamente  nell'  arte  de*  suoni  po- 
terono i  nostri  maestri  raggiungere  un'  eccellenza,  che  unica  c*in- 
vidierebbero  i  greci.  E  se  in  buona  prosa  e  in  buona  poesia  por 


-  348- 

poterono  scrivere  Botta,' Giordani,  Leopardi,  Colletta,  Gioberti, 
Mazzini ,  Cattaneo ,  Guerrazzi,  Niccolini,  Giusti,  Manzoni.... 

GGXXXVH.  Letteratura  borgluee. 

So ,  che  a  qualcuno  non  tutti  questi  ultimi  nomi ,  posti  cosi 
alla  rinfusa ,  nò  altri  di  cultori  delle  scienze  fisiche  e  matemati- 
che ,  cui  potrei  aggiungere ,  piacciono.  Suvvia ,  quali  nomi  possia- 
mo noi  loro  contrapporre  d' uomini ,  resisi  nel  terzo  quarto  di  se- 
colo testé  spirato ,  parimente  illustri  ?  Il  periodo  è  troppo  breve , 
dicono,  e  lo  so  anch'io:  ma  rispondo,  che  gli  uomini  in  questo 
illustri  spettano  i  più  alla  vecchia  generazione,  e  sono  quasi  eoe* 
tanei  a  quegli  altri  prementovati;  mentre  della  nuova,  che  altri 
occupi  il  lor  luogo,  non  v'è  pur  indizio.  I  giovani  niaDcano,  i 
giovani ,  ripeto  :  e  verranno  anche  questi  certanìente  ;  ma  quando 
r  luilia  sarà  uscita  dalle  vostre  mani ,  o  sarà  per  uscire.  «  Ri- 
sorse, soggiungono  essi  di  poi,  non  istà  qui  »:  accennando  a' li* 
bri,  come  se  i  libri  fossero  una  sepoltura.  Ned  io  nego,  che  Tl- 
talia  non  sia  dalla  viUi  del  pensiero  tratta  alla  vita  detrazione: 
ma  (lev'  esservi  cainim  per  questa  e  per  quella  ;  e  beli*  azione  dav- 
vero ,  che  le  avete  dischiuso  voi  !  Potessero  i  valorosi ,  anà  che 
su  fredde  carte,  versar  T anima  altrove!  Intanto  que*  pochi,  che 
smisero  i  libri  per  le  cure  di  stato,  patteggiando  colla  borghe- 
sia ;  se  abbiano  perduto  Y  ingegno ,  e  qualch'  altra  cosa  più  pre- 
gevole deir  ingegno  (e  saprete  voi  quale) ,  lo  vedremo  appresso.  — 
Oh  dunque  è  proprio  vero,  che  in  Italia  non  si  scrìva  e  dod  si 
stampi  più?  —  Si  scrive  e  si  stampa  anzi  più,  che  in  passalo; 
perchè  un  po'  di  mercatanzia,  e  se  non  altro  di  giomaK,  s*è 
fatta  anche  qui,  per  quanto  meschina:  però  guardate,  che  merci I 
Da' grossi  volumi  in  fogUo,  cui  pubblica  il  così  detto  minisim 
d'agricoltura,  industria  e  commercio,  con  una  pazienza  benedet- 
tina e  con  una  s(iuallidezza  francescana,  ai  testi  di  scuota,  ci 
raccomanda  il  cosi  detto  ministero  dell' istruzione  pubblica,  coi 
altre  cenobitiche  virtù;  si  va  d'orrore  in  orrore.  Né  parlo  degi 
atti  accademici,  che  sono  [)er  le  accademie  e  non  per  noi,ivo- 
fano  volf/o;  né  di  altre  somigUanti  pubhìieoMUmi  (comprettk 
mie  ) ,  e  cho  non  si  pubblicano  altrimenti ,  che  per  un  modo  di 
dire.  La  vera  pubblicità  non  ispetta,  siccome  possono  i  miei  let- 
tori vcriticare  ne*  cataloghi  librari,  che  a  un  diluvio  di 


-349- 

zacci  mal  iradc^  o  mal  imitati  dal  francese,  di  libricciattoli  osceni 
(  de'  quali  ho  qualche  cosa  toccato }  ;  e  di  giaculatorie ,  che ,  per 
intitolarsi  cattoliche ,  non  cessano  d' esser  stu[Nde  ed  empie.  Fatto 
grave  e  deplorevole  anche  codesto,  sebbene  i  critici  borghesi  noa 
se  ne  diano  pensiero  I  Perchè  il  diluviare  sovra  il  povero  popolo 
d' istigazioni,  invettive,  pasquinate ,  oroscopi  e  durmerie  in  niodo 
gratuito  0  semigratuito,  e  sotto  forma  di  una  pietà  ipocrita  e 
d'una  sedizione  sfacciata;  è  tale,  che,  s'esso  non  perde  il  senno 
e  la  coscienza,  è  proprio  un  miracolo.  Vengono  .poscia  le  opere 
di  dottrina  e  di  letteratura,  che  godono  una  semipubblicità,  e  che 
non  la  possono  impetrare,  se  non  cominacendo  la  borg^M»ia  ne' 
suoi  gusti.  Scelgono  preferibilmente  le  prime  per  tema  l'econo- 
mia ,  la  statistica ,  la  tecnica  e  la  ragioneria  ;  sebbene  alcune  anco 
le  cose  naturali  e  in  genere  quelle,  cui  chiama  il  positivo  secolo, 
sciente  positive.  Le  seconde ,  per  non  ridir  de'  romoim  e  degli 
almanctcchi,  si  sdilinquono  e  si  struggono  in  profili  ^  in  boMgetti 
ed  in  altri  letterari  sospiri. 


CCXIIVUI.  Arte  perdala  di  firn  i  UteL 

Alcune  opere  più  solenni  e  più  commendevolis'intramettono 
furtive  in  tanta  farraggine:  però  notate  bene,  si  direbbe,  che  an- 
cor queste  F  alito  graveolente  del  secolo  conturbi.  Se  trattano  di 
cose  naturali,  sembrano  poco  più  di  descrizioni,  coUettanee,  rap- 
sodie ,  elenchi  e  repertorii.  I  quali  sono  certamente  utili  agli  stu- 
diosi; ma  ne'  quali  non  si  può  dire,  che  la  scienza  (ordine  si- 
stematico di  cognizioni }  stia.  Se  di  scienze  ideali  e  sociali,  spesso 
0  in  un  solo  e  picciolo  paradosso  si  risolvono ,  voltato  e  rivoltato 
in  tutte  le  guise ,  che  manifesta  una  povertà  di  pensiero  spaven- 
tosa ;  0  in  un'  assoluta  vanità ,  che  unicamente  per  le  parole  strane 
e  le  frasi  contorte  par  persona.  Accettano  una  veste ,  come  si  dice 
ora ,  popolare  :  e  fanno  la  popolarità  consistere  in  una  volgarità 
e  trivialità  di  dettato ,  che  rende  più  perigUoso  l' errore  e  più  ol- 
tracotante la  saccenteria.  La  respingono  :  e  allora  lo  stite ,  die 
adoperano,  è  talmente  rozzo  e  incerto,  che  non  si  sa,  se  lo  si 
possa  chiamar  stile  ;  avvegnaché  né  di  m;igistero  alcuno  siavi  trao- 
da, né  sopra  tutto  di  personale  impronta.  L'uso  o  l'abuso  delle 
astrazioni,  delle  formule  e  de'  cosi  detti  vocaboli  tecnid  risale 
alla  filosofia  scolastica  ed  anzi  a'  bassi  tempi.  Oggkìl  però  è  ginn- 


—  350  - 

to,  per  r imitazione  tedesca,  a  un  tale  eccesso  di  prosopopea  e 
di  /^ofTaggìDC,  die  non  si  sa  più  la  più  picciola  inezia  esprìmere, 
senza  qualctìe  categoria,  senza  qualche  epifonema  e  senza  qual- 
che neologismo.  Sapevano  gli  antichi ,  con  meno  sicumera ,  assai 
meglio  i  concetti  più  profondi  esprimere  ;  e  sopra  tutto  con  um 
l)reviti^,una  semplicità  e  una  lucidezza ,  che  incantano.  Oggi  noi 
solamente  non  debbono  aver  più  veneri  i  trattati  scientifici  :  deb- 
bono anzi  aver  furie,  per  mettere  ne'  miseri  lettori  il  raccapric- 
cio. E  cosi,  mentre  la  mente  degli  scrittori  sembra  spossata  od 
ottenebrata  d' assai ,  per  fino  Y  arte  di  fare  i  libri  è  perduta.  Con- 
ciossiaclifi  non  puossi,  che  per  un  modo  di  dire,  chiamar  ìihri 
certi  zibaldoni,  o  certi  mostri,  in  cui  non  havvi  né  capo,  né  co- 
da, ed  ove  non  si  seppe  dare  a'  pensieri  non  solamente  grazia 
ed  efficacia;  ma  nò  anco  un  naturale  e  logico  svolgimento,  b 
fatti ,  se  avessero  gli  scrittori  nostri  imitato  i  maestri  loro  famosi 
col  rendere  i  libri  irti  di  locuzioni  barbariche,  di  citazioni  dob 
necessarie  e  non  sempre  op{)ortime ,  e  fin  di  nomi  propri  stam- 
pati in  testino  o  in  majuscolo  ;  potrebbesi  dire ,  che  di  que- 
sta guisa  vollero  apparire  studiosi  e  richiamar  su'  propri  studi 
un'  attenzione  stanca.  Col  sussidio  d'  un  dizionario  enciclopedico  e 
bibliografico  poireblie  per  caso  anche  qualche  ignorante  rubar  loro 
il  mestiere  :  ma  almeno  egli  avrebbono  raggiunto  T  intento.  Il  peg- 
gio ò,  che  tutto  il  loro  discorso  procede  anfanato  e  spasmodico; 
e  che  troppo  di  frequente ,  i)erden(lo  il  filo,  pongono  in  un  guazza- 
bnirlio  di  uote  e  d'  appendici .  che  tal  volta  superano  in  mole  il 
testo,  quello  precisamente,  cui  doveano  nel  testo  includere.  Ou>nlo 
l>oi  alla  lingua,  che  usano,  se  non  la  6  sempre  uno  sgraziato  gerffo 
infcrnnzionaìc,  di  cui  hanno  ei  soli  la  chiave;  che  la  sia  sem- 
pre italiana  è  a  dubitar  forte.  Sono  om.*ii  più  di  tre  secoli,  che 
|H?I  farneti(*n  prima  spagnolesco  e  poscia  francesco,  le  buone  let- 
tere e  la  buona  favella  scaildero  insieme  colla  nostra  civiltà  e  col 
nostro  decoro.  Ma,  per  non  ridire  de'  molti,  che  pur  le  fiata- 
rono in  certi  momenti  alquanto;  siamo  ora  a  tal  disordine,  die 
(|uasi  si  direbbe  r  italico  ])ensare  e  parlare  in  dissoluzione.  E  dico 
anche  il  pnisarc  :  dappoiclH"»,  acconciando  le  idee  nosM  alle  vori 
e  frasi  straniere ,  non  può  altriiiìenti  accadere  (  per  qBClT  ìotìM 
nesso  tra  f)ensiero  e  parola,  cui  vanamente  si  nega),  che  grado 
a  grailo  anche  colle  teste  straniere  si  pensi.  In  fatti  Io  smarri- 
mento del  [HMisiero  italiano  nelle  cose  civili  cosi  irrepugnabOmenle 
si  mauifest:!,  che  (come  in  questo  libro  già  si  sente)  il  rieon- 


-  351  - 

giungervisi  ci  costa  estrema  pena.  Tralasciando  però  questo  ora, 
che  sorta  di  letteratura  può  mai  esser  la  nostra,  che  si  dee  valere 
d' una  lingua  morta,  quando  non  la  si  vale  d'  una  Hngua  bastarda? 
Scrivo  tra  rancido  e  barbaro  anch'  io ,  lo  so  pur  troppo  ;  ma  al- 
meno avrei  altrimenti  bramato.  E  avrei  forse  scritto  meno  ranci- 
do ,  se  il  colloquio  de'  cittadini  avesse  avvivato  il  -mio  eloquio  da 
solitudine;  e  meno  barbaro,  se  avessi  tuttavia  potuto  essere  in- 
teso. Perchè  pur  troppo,  pel  predominio  delle  letterature  stranie- 
re ,  e  sopra  tutto  de'  giornali  (che  a  dirittura  copiano  la  sintassi 
e  non  fanno  altro,  che  mutar  desinenza,  ai  vocaboli  di  fuora);  noi 
ci  siamo  disusati  dal  linguaggio  de'  nostri  maggiori  al  punto, 
che  uno  scrittore  castigato  e  puro  parrebbe  oggi  un  gaglioffo  e  un 
pedante.  Ciò,  che  non  toglie,  se  veramente  avessimo  degni  scrit- 
tori, che  questi  non  dovessero  scrivere  a  modo  natio;  e,  cosi  diven- 
tando potenti,  vincere  col  genio  affascinante  la  nemica  fortuna. 


CCXXXIX.  Difetti  degU  odierni  autori. 

Se  non  che  sono  veramente  scrittori  i  moderni ,  o  non  piut- 
tosto semplici  compilatori;  e  sono  opere  le  loro,  o  non  piuttosto 
semplici  volumi?  Tre  virtù,  a  mio  parere,  costituiscono  le  doti 
degli  antichi  scrittori;  e  per  tre  qualità  si  dimandavano  opere  le 
loro  scritture.  Che  in  quelli  il  dotto  non  si  separava  dal  lette- 
rato, il  letterato  dal  cittadino  e  il  cittadino  dall' uomo;  e  in  que- 
ste il  sapere  dall'  arte ,  1'  arte  dalla  patria  e  la  patria  dall'  azione 
non  si  separava.  Nel  divorzio  in  vece,  per  la  barbarica  predomi- 
nanza e  la  borghese  tirannide  seguito,  rimasero,  com'era  d'at- 
tentlersi,  gli  scrittori  monchi  e  le  opere  vuote.  Fin  testé,  sotto  la 
jienultima  servitù  italica,  nel  solo  ateneo  pisano  poterono  (esempi- 
grazia) Puccinotti  e  Bufalini  professare  valentemente  mexlicina,  e 
Forti  e  Carmignani  giurisprudenza,  dettando  tutti  in  forbito  ser- 
mone. Oggi,  spregiate  le  patrie  tradizioni,  poti*ebbonsi  addurre 
esempi  di  celebrali  fisici  e  matematici,  che  non  sanno  connettere 
due  righe  assieme  correttamente;  per  non  dire  degli  stessi  lette- 
rali, che  fanno  d'itali  libri  la  critica  in  ostrogoto.  Né  solamente 
fanno  difetto  gli  studi  estetici  agli  scienziati;  onde  non  sono  in 
grado  né  di  suscitare  un  palpito  generoso,  né  di  dare  al  vero 
quell'unica  veste,  che  gli  si  addice,  il  bello.  Bensì  anco  gli  studi 
lìlosofici  e  storici  (ijuando  non  sieno  obietto  della  loro  professione), 


—  352  - 

e  per  fino  quelli  scientifici,  che  colla  disciplina  professata  vm 
abbiano  strettissima  attinenza.  Pure,  senza  quel  patrimonio  di 
studi  largtii  e  copiosi,  che  danno  i  fondamentali  e  generali  ele- 
menti d'ogni  conoscenza;  non  è  possibile  nenunanco  in  qiie' fra- 
stagli, a  cui  si  vuol  rivolgere  le  proprie  ricerche  e  mercè  cai 
hanno  tanta  fama  oggi  gli  specialisti,  far  molto  di  buono.  Im- 
perocché, anche  fissando  minutissimi  obietti  attentamente  e  ac- 
curatamente, se  il  guardo  non  si  distende  altresì  a  più  largU 
orizzonti  e  non  afferra  il  legame  delle  parti  col  tutto,  non  pnk 
nemmanco  d' essi  soli  avere  una  cognizione  adeguata  e  perfetti. 
E  del  resto,  quando  pur  fosse  il  servigio  di  codesti  sqpedalisti 
buono ,  il  merito  è  tal  volta  così  controvertibile ,  eh'  io  per  me 
credo,  a  riuscire  eccellenti  in  certi  minuzzoli  dello  scibile,  ri 
voglia  assai  meno  ingegno,  che  ad  apprendere  le  più  minute  arti, 
cui  ninno  apprezza.  Non  basta  per  altro  allo  scrittore  esser  cnko 
e  gentile,  s' egli  non  è  comi)enetrato  d'amore  per  la  sua  patria, 
ed  intento  a  senirla  con  tutte  le  sue  forze.  Certo,  egli  è  saoe^ 
dote  del  vero  e  del  bello,  universali  ed  etemi,  cui  deve  dovmn 
que  ricercare  e  adorare ,  e  in  cui  ricongiungere  gV  interessi  dd 
suo  popolo  a  quelli  delF  umanità.  Ma ,  s*  egU  non  parla  come  i 
suo  popolo,  non  pensa  con  esso,  non  palpita  d' esso .  • . ,  non  sega 
d' acquistare  la  eccellenza  degU  antichi.  I  quali  furono  grandi, 
perchè  non  divisero  le  sorti  proprie  da  quelle  delle  proprie  n- 
zioni,  di  cui  furono  profeti  e  campioni;  e  per  cui  si  può  dire, 
supplichino  e  militino  tuttavia  dagli  astri.  Per  converso  costoro, 
rinnegando  il  genio  del  luogo,  cui  non  si  dovrebbe  rinnegar  mai, 
s'anco  non  fosse  il  genio  d' Italia;  e  con  altezzosa  burbanza  di- 
sprogiando,  sotto  nome  di  pregiudizi  locali  e  di  vanità  gentilizie, 
le  i);issioni  di  quel  |)opolo,  di  cui  più*  son  figliuoli,  calcano  in  vaao 
la  materna  terra ,  che  non  rinnovella  le  forze  ai  falsi  AnteL 


CCXL.  Abdicaiione  dell»  affido  lettorarlo. 

Se  non  che  vanno  più  oltre  :  poiché  rinnegano  e  dispregiaso 
Uno  il  proprio  uflicio,  esercitandolo,  non  più  come  un  liberde 
tribunato,  ma  come  una  professione  lucrosa.  Di  fotti  (e  me  ae 
ap|)elio  a  lor  medesimi)  da  pochi  anni  in  qua  è  accaduto  oi 
grave  cangiamento  nella  condizione  de'  letterati  italiani.  Che, 
uìentre  questi  [)rima  nò  di  solito  ricevevano,  né  generalmoBie  si 


—  353  — 

curavano  di  ricevere  guiderdone  alcuno,  e  sfidavano  di  giunta  le 
censure  e  le  polizie,  le  carceri  e  i  patiboli  per  adempiere  l'ec- 
celso ministero;  oggidì  quasi  non  iscrivono  più,  se  non  sieno 
pagati.  Non  dico  io  già,  poiché  le  circostanze  si  sono  cangiate , 
clìpei  debbano  sospirare  il  martino:  bensì,  che  passar  sopra  a 
ciò,  eh'  è  a'  nobili  spiriti  più  grave,  all'  insulto  o  all'  obblio  d' una 
schiavesca  masnada,  non  sanno.  Né  dico  pure,  ch'ei  debbano 
riOutare  la  mercede  delle  lor  fatiche  (poiché  non  vi  é  anzi  umano 
lavoro,  che  più  la  meriti):  bensì,  che  non  lavorare  soltanto  pel 
prezzo,  e  per  quel  po' di  gloriola  casereccia  e  fatua,  che  lo  po- 
tesse accompagnare.  Oltre  monti  si  usa  anche  di  peggio:  onde 
vantansi  le  dovizie  colà  dagli  scrittori  accumulate  e  (intendendosi 
per  professione  una  fonte  di  lucri)  anche  la  letteratura  divenuta 
professione.  Qui  le  tradizioni  erano,  per  la  indomabile  idealità 
della  nostra  stirpe,  contrarie:  e  qui  tanto  e  tanto,  non  ci  es- 
sendo spaccio  per  questa  sorta  di  merci,  rimarranno  i  più  favo- 
riti non  meno  tapini  di  prima.  Ad  ogni  modo,  se  i  libri  si  com- 
pilano, perché  gli  editori  gli  commettono,  e  questi  non  gli  posson 
commettere,  se  non  vi  é  speme  di  lucro;  é  a  temer  forte,  che 
tale  professione  si  cangi  in  mestiere.  Imperocché  gli  autori  in- 
chineranno anzi  tutto  a  compiacere  la  plebe  legicchiaute  e  grassa, 
e  poc'  0  tro{)po  ne  accarezzeranno  e  ne  assumeranno  gì'  istinti  :  e , 
assorti  in  siffatto  traffico  peregrino,  giudicheranno  il  sopraddetto 
tribunato  una  classica  corbelleria.  E  cosi  il  popolo  avrà  perduto 
i  suoi  ultimi  precettori  e  difensori,  che  non  gU  mancarono  in 
tempi  di  maggiori  nequizie;  quando  ì  suoi  savi  e  veggenti  ne 
rasciugavano  le  lagrime,  e  invocavano  dagU  uomini  e  dagli  dei 
vendeitiL  Né  per  tanta  perdita  i  letterati  borghesi  se  ne  avvan- 
taggieranno:  [ìoiché,  divenuti  al  più  al  più  grammatici  o  giufiari 
do'  nuovi  tiranni ,  sentiranno  essi  tutto  il  peso  deUa  propria  abie- 
zione, mentre  insieme  si  avranno  di  cotestoro  le  beffe.  Che,  se  pur 
vommno  tuttavia  restare  gravi  e  scrii,  per  la  separazione  in  loro 
avvenuta  tra  scrittore  ed  uomo,  saranno  cosi  melensi  e  nojosi, 
da  i>iirer  fantocci  di  carta  pecora  rosi  daUa  tignuola.  Svetonio 
mostrò  sino  all'evidenza  in  Claudio,  imperatore  e  filologo,  come 
si  possa  essere  un  grande  erudito  e  un  grande  uomo  dabbene, 
essendo  in  pari  tempo  uno  sciocco  e  un  crudele  (  Vite  de'  dodici 
cesari,  V).  E  cosi  pure  é  seguito,  s'abbia  oggidì  un  genere  nuo- 
vo e  bufi'o  di  scienziati,  che,  sapendo  tante  rare  cose,  queUe 
più  comuni  del  vivere  ignorano;  e  di  cui  niuno  saj^ebbe,  che 

23 


-  354  — 

farsene.  Il  qual  genere  è  appunto  quello,  di  cui  la  borghesia  si 
figura,  sieno  lutti  gli  scrittori:  cioè  uu  misto  tra  il  bimbo  e  i) 
decrepito,  V  allampanato  e  il  cogitabondo,  V  inetto  e  Y  insulso,  lo 
scempio  e  il  permaloso,  il  tisico  &  il  deforme.  Ond'  ella,  nel  pro- 
fondo del  cuore  dà  la  berta  a  tutti,  come  che  alcuno  per  con- 
passione  ne  sopporti ,  o  per  jattanza  ne  onori.  Né  pensa ,  esseri 
eziandio  o  potervi  essere  scrittori  non  borghesi ,  che,  addensando 
nel  petto  tutt'  i  latenti  popolari  sdegni ,  faranno  un  di  crollare  il 
suo  trono  di  metallo  e  di  fango. 


CCXU.  Altre  colpe  degU  aatori  odierni. 

Dal  difetto  delle  tre  sopraddette  doti,  e  massime  deir  ultiim, 
è  naturalmente  proceduto,  che  i  moderni  scrittori  (ben  diversi 
dagli  antichi ,  eh'  erano  spesso  guerrieri  e  magistrati ,  e  dettavano 
cosi  come  operavano,  e  non  disgiungevano  in  somma  la  vita  con- 
templativa dair  attiva),  perdessero  ogni  prestigio  ed  ogni  autorìlL 
Questo  difetto  per  altro  a  molte  cause  esterne  si  deve ,  non  del 
tutto  a  loro  imputabiU,  attribuire:  ma  eziandio  a  vizi,  di  cii 
sono  ei  medesimi  rcsponsali.  i^ercioccliè  non  varrebbe  loro  addfl^ 
re  in  discolpa  la  tristizia  de*  tempi,  s' ei  debbono  appunto  esserne 
i  moderatori ,  e  se  anzi  T  av>'crso  destino  incita  i  forti  alle  nn- 
gnanime  imprese.  Come  per  altro  si  può  esser  forti,  se  manca 
quella  fermezza  di  convinzioni  e  imperturbabilità  di  sentimenti, 
a  cui  ora,  [perduta  la  cosa,  si  è  trovato  il  vocabolo;  voglio  dire 
il  carattere?  Quan<lo  il  perpetuo  oscillare  e  tentennare ,  il  parlanp 
senza  concludere,  il  fare  diverso  dal  dire,  e  il  mutar  pareri  e 
costumi  a  ogni  buffo  di  vento,  costituiscono  una  prerogativa  de* 
cosi  detti  uomini  politici  e  pratici;  è  facile  capire,  come  Tnooo 
inteirro  e  saldo  sia  divenuto  un  essere  piuttosto  unico,  che  nftL 
Sono  del  resto  gli  uomini  di  lettere  quelli,  che  più  a  lungo  $eh 
bino  codesta  integrità  e  saldezza  di  tempra,  ancor  clie  della  sUt 
di  sacrifìcio  non  sieno  più  arsi.  Tuttavia,  per  non  dire  de* via 
d'animo,  non  si  sarieno  essi  tanto  degradati ,  se  alcuni  vizi  d* in- 
telletto avessero  almeno  saputo  schivare;  e  cioè  non  si  fossM 
resi  vassalli  della  cosi  detta  opinione  e  della  cosi  detta  moda,  e 
conse<;uentemente  settari  ed  esotici.  È  un  giusto  vanto  del  secolo 
(luel  possente  accordo  di  voci  intime  e  comuni,  cui  si  denomini 
|)opolare  opinione  ;  e  che ,  sollevandosi  accusatore  e  vindice  de* 


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torti,  infrange  ceppi  e  spade,  come  suono  d'angelica  tromba. 
Ma  in  ogni  cosa  vuoisi  modo  e  misura:  e,  se  gli  scrittori,  anzi 
eh'  esserne  i  primi  motori  ed  attori ,  si  lasciano  da  quella  rimor- 
chiare, accadrà  spesso,  che  piloti  e  passeggieri  naufraghino;  sic- 
come nella  Francia  già  più  volte  in  questo  solo  secolo  si  vide. 
So,  eh'  è  mestieri  di  tutta  quella  originalità ,  cui  i  lettori  miei 
conoscono  ornai  per  prova,  a  voler  pensare  o  bene  o  male  colla 
propria  tpsta.  Ed  a  voler  dire  o  bene  o  male  quel,  che  si  pensa; 
contrastando  al  fiotto  contrario  nel  fitto  della  notte  e  nel  furore 
della  procella ,  senza  che  dal  lito  nemmanco  un  guardo  d' ansia 
0  <li  pietà  e'  incuori.  Pur,  se  gli  scrittori  non  debbono  esser  al- 
tro, che  interpreti  (come  si  suol  loro  raccomandare)  o  araldi  de' 
generali  giudizi ,  avranno  alla  propria  sovranità  e  maestà  abdicato; 
e  correranno  pericolo  di  non  esserne  alla  fine,  che  i  piaggiatori 
e  gli  adulatori.  Per  non  dire,  che  se  ne  potrebbono  convertire 
in  corruttori  e  in  coutralTattori ;  siccome  chiarirò  io  in  breve,  mo- 
strando, qualmente  la  predetta  opinione  popolare  non  sia  soventi, 
che  opinione  volgare  o  borghese.  Intanto,  benché  non  fossero  tutti 
in  questa  vergogna,  molti  in  quella  già  sono  incorsi,  di  seguire 
piuttosto  i  catechismi  di  setta,  che  i  dettami  di  verità:  la  qual 
cosa  pure  in  seguito  si  farà  palese. 


CCXL11.  Visi  speciali  degU  sorittori  itaUani. 

Del  resto  la  smania  di  seguire  in  ogni  cosa  l' andazzo  del 
tempo  fa  si  di  necessità,  sendo  questo  mutabile,  che  non  si  badi 
più,  se  non  agli  ultimi  capricci  e  clamori.  Bastò  (per  esempio), 
che  Carlo  Darwin  pubbhcasse  in  Inghilterra  lo  stupendo  saggio 
sull'  Origine  delle  specie;  perchè  tosto  qui  in  ogni  lavoro  e  di 
qualunque  materia,  magari  anche  di  numismatica  o  dì  gastrono- 
mia, non  si  parlasse  più,  die  di  scimie  e  di  «  naturale  elezione  ». 
Gl'insuperati  esemplari  dell'antichità  giacciono  nell'obhvione;  e 
gli  stessi  dotti  i  magistrali  volumi,  scritti  prima  della  presente 
generazione,  degnano  appena  di  menzionare.  Rejetto  tutto  ciò, 
eh'  è  degli  avi ,  diventano  del  resto  stantie  anche  le  cose  più  re- 
centi in  guisa,  che  in  breve  volger  d'anni,  mutando  pareri  e 
voglie,  solamente  le  novità  godono  un  effimero  regno.  In  un  solo 
decennio,  e  nella  sola  poesia  tennero  tra  noi  la  palma ,  e  si  tra- 
scinarono dalle  trionfaU  alle  gemonie  Prati,  Àleardi,  Zanella,  con 


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una  volubilità,  che  mette  il  capogiro,  e  con  uoa  noocuranza,  che 
inette  lo  spavento.  Jeri  piaceva  la  filosofia  tale,  oggi  la  tal  altra; 
jeri  si  predicava  buona  1  economica  scuola  di  Manchester,  oggi 
quella  d' Eisenach;  jeri  divina  la  melodia  italiana,  oggi  T  armonia 
tedesca,  e  via  via.  Domani  oh  chi  mi  sa  dire,  cosa  si  crederà, 
e  su  che  si  giurerà?  De' quali  erramenti  deUa  moda  non  sono 
gli  scrittori,  che  pur  ne  soffrono  scorno,  incolpevoli;  perdiè  eter- 
ne non  ponno  essere ,  se  non  le  cose  vere  e  belle  :  mentre  à  di- 
rebbe, che  a  loro,  come  alle  semplici  femminette,  non  piacciano, 
se  non  le  nuove  e  forestiere.  Diasi  un'  occhiata  ai  libri  di  scienia: 
e,  quantunque  si  zeppi  di  citazioni,  veggasi  come,  oltre  T auto- 
rità, sin  la  fatica  de'  vecchi  sia  posta  in  non  cale.  CaiMsco,  che 
in  certe  discipline  Y  avanzamento  odierno  gli  abbia  lasciati  io 
dietro  assai.  D'altra  parte,  che  i  cultori  delle  medesime  ignoriDO 
per  sino  i  loro  predecessori ,  e  non  curino  que'  primi  passi  nelli 
via  del  sapere,  che  racchiudono  spesso  la  divinazione  de' futuri, 
è  un  po'  troppo.  Pure  è  cosi  :  tanto  costoro  non  badano ,  che  al- 
l'ultimo  verbo  della  stampa  o  della  cattedra,  non  ostante  che 
possa  essere  fallace  anch'  esso  ;  siccome  chiaramente  si  vede  dalle 
facilità  odierna  d' escogitare  od  evocare  teorie  e  sistemi ,  che  poi 
vanno  giù  rotolando  pel  precipizio  dell'  oscurità.  E ,  poiciiè  natu- 
ralmente, parte  per  la  decadenza  de'  nostri  studi  e  per  la  nostn 
bassezza,  e  parte  pel  prestigio  delle  altrui  armi  e  per  T altrui 
superbia,  il  verbo  non  dev'  esser  solamente  ultimo,  ma  peregrìnoc 
altro  ornai  non  ci  resta,  se  non  d' interrogare  gli  oracoli  e  festeg- 
giare i  reduci  del  boreal  Delfo.  Con  che  io  non  intendo,  che  doo 
si  debba  dagli  stranieri  apprendere  tutto  quello,  cui  sanno:  ami 
vorrei ,  che  veramente  s' imitassero  ed  emulassero.  Da  questo  perb 
al  dispensarci  di  stutliar  noi,  i)erchè  studiano  essi,  al  riprovare 
tutte  le  cose  nostre,  per  esaltar  le  loro;  e,  per  sapere  un  po' di 
tedesco,  al  credersi  doventati  issofatto  altrettanti  baccalari,  ri 
corre.  E  nondimeno  mi  sarebl)e  tropix)  facile  provare ,  come  uni- 
camente per  quest'ultima  supi)ellettile ,  cui  io  del  resto  debbo 
invidiare  lino  ai  valletti  d'osteria,  ai  ciceroni  di  piazza  e  alle  doo- 
ne...  cattoliche;  poterono  molti,  e  senza  che  neppur  sapessero 
valersene  a  compiei^  tniduzioni  corrette  o  compendi  felici ,  acqui- 
stare grande  nomea  e  maggiore  arrog:mziì. 


—  357  — 


CCXLni.  SoMlft  borglufe. 

Dopo  ciò 9  chi  non  si  lascia  dagli  orpelli  abbarbagliare,  dovrà 
mmettcre  la  decadema  della  coltura ,  dell'ingegno  e  del  pen- 
iero  italiano,  non  soltanto  in  paragone  delle  pristine  glorie;  ma 
inche  delle  postreme  ignominie.  E ,  se  in  ciò  non  si  ravvisa  in- 
lontanente  il  mortifero  effetto  della  borghese  industria  od  almeno 
Iella  borghese  accidia ,  potrei  dispensarmi  d' ire  innanzi.  Imperoc- 
he  dovrebbesi  già  a  quest'  ora  aver  compreso,  come  F  annienta- 
nento  dell'  idealità  e  F  abbassamento  delF  intelligenza ,  il  predo- 
ninio  deir  ignobiltà  e  V  orgoglio  della  rozzezza ,  V  ammodernar 
nento  e  lo  straniamento  (  se  lice  così  esprìmermi  )  e  tutt'  i  guai 
opra  notati,  sieno  le  sorgenti  e  le  forze  del  suo  impero  anonimo 
I  zingaresco.  La  qual  cosa,  se  non  lo  è  già,  sarà  in  seguito  vie 
nix  manifesta;  quando  meglio  chiariremo,  come  T  usurpazione  del 
erzo  ceto  sì  consumasse  tra  noi ,  dopo  snaturato  il  piÀblico  reg- 
gimento, travolgendo  la  nazionale  civiltà.  Qn ,  poiché  giova  cono- 
cere  i  suoi  propri  comportamenti  verso  la  intellettuale  coltura; 
,  per  conoscergli,  sapere,  com'esso  o  i  suoi  pedagoghi  e  dilet- 
nti  r  abbiano  diffusa  e  protetta,  parlerò  delle  scuole  e  Ae'meee- 
\ti  borghesi.  Se  per  tanto  il  grado  e  il  favore  alle  scude  con- 
isi si  desumessero  dal  novero  degl'  istituti  e  degl'  istitutori ,  po- 
bbesi  dargli  il  vanto  di  provvido:  non  certamente,  se  il  crite- 
e  r  indirizzo  seguiti.  Avrebbevi  voluto,  per  sopprimere  affatto 
mbblica  istruzione,  molto  coraggio  e. molta  sincerità:  eh' è 
isamente  ciò,  che  gli  manca.  Onde  non  gli  restava,  che  umi- 
i,  confonderla,  barattarla,  e  fame  in  somma  tutto  quel  di 
io,  cui  si  possa  immaginare:  acciò  non  la  ci  fosse,  e  paresse 
erci.  Né  voglio  dire  delle  condizioni  economiche  de'mae- 
perchè ,  se  le  raffronto  a  quelle  de'  magistrati ,  le  mi  sem- 
,  stavo  per  dir,  papali.  E  perchè  ad  ogni  modo  que'tali, 
povertà  schifano  come  una  maledizione,  hanno  agio  d'at- 
\  ad  altri  lucri;  e  ne  ricevono  lode.  Né  deUe  condizioni 
e:  perchè  basta,  che  non  facciano  lezioni,  e  sono  certi 
ere  una  commenda;  e,  se  le  vogliono  fare  e  valenteroen- 
si  certi  di  non  ricevere  un  biasimo.  Possono  per  fino 
beri  coloro,  che  fermamente  lo  vogliano;  dappoiché,  non 
il  pubblico,  sono  da'  loro  aristarchi,  che  non  necapiseono 


-  358  - 

un  jota,  rispettati.  Quando  un  professore  di  matemaiidie  ha  ii 
cert' aulico  dicastero  per  superiore  un  calligrafo,  e  un  protessm 
di  leggi  un  flebotomo,  sanno  naturalmente  di  non  esservi  noti  «che 
in  grazia  del  Calendario  del  regno.  Migliore  felicità  a  questi 
tempi  non  potrebbero  raggiungere,  e  non  hanno  diritto  di  biMft* 
tarsene.  Quanto  a'  supremi  proposti  di  quel  dicastero ,  hanno  bei 
altri  pensieri  in  capo,  che  di  por  mente  a  loro,  aU' islnmoae, 
alla  scienza  e  ad  altre  simili  frottole  istruttive  e  scientiiìche.  U- 
sciando  adunque  il  dire  de'  maestri  ed  anche  della  direzione  seo- 
lastica  (ne'  quali  e  nella  quale  si  nota  il  medesimo  sistema,  che 
con  tutt'  i  pubblici  ministri  e  la  pubblica  amministraziooe,  gii 
innanzi  esposto);  dirò  degli  ordinamenti  soltanto. 


CGXLIV.  Guai  dell' irtnuione  saperiora. 

Vi  erano  in  Italia  pegli  studi  più  insigni  alcuni  stabilimeoti. 
che,  nati  insieme  co'  nostri  comuni,  possedevano  nelF  ordine  coo- 
templativo  le  medesime  franchigie  di  questi  neir  ordine  attivo.  E 
cosi  vigorosi,  che  poterono  a  questi  sopravvivere,  e  serbare  del- 
r  antica  libertà  qualche  vestigio  ne'  più  calamitosi  tempi ,  e  pre- 
nunciare  altresì  Y  alba  dell'  attuale  risorgimento.  Se  non  che  vi 
era  altresì  nella  borghesia  moderna  un  odio  profondo  contro  di 
essi  :  e  fu  più  volte  manifestato  da'  sindacatori  de'  suoi  bìlaod  e 
da  altri  ragionieri ,  che  sogliono  ora  di  queste  cose  giudicare.  I 
quali,  per  ischiacciar negli ,  addussero  più  volte,  che  po'  poi  de- 
V  istruzione  superiore  non  caleva  tanto;  quanto  dell*  inferìfliVi 
che  vedremo  tosto  qual  è ,  e  poteva  senza  di  quella  essere.  Nan- 
ralmente  l'istinto  di  mediocrità,  proprio  della  borghesia,  sfìegi 
coUile  odio  contro  l'alto  sapere,  cardine  dell'umana  intelligeaB 
e  propugnacolo  della  civil  dignità.  L' altra  ragione  però  è,  ck 
codeste  letterarie  repubbUche  ordinate,  voglio  dire  le  umivenHà 
propriamente,  le  davano  gran  noja.  Non  le  sapendo  comprendere. 
0,  compresele,  avendone  paura,  pensò  in  poclìi  anni,  secontoil 
flusso  e  il  riflusso  delle  ondivaghe  opinioni,  a  disfarle  o  rilitfkt 
a  sconnetterle  o  rannetterie ,  a  svecchiarle  o  invecchiarle,  ptf  ^ 
ridurle  in  qualche  maniera  al  lumicino.  Prima  le  ritene^'a  Wfl^ 
e  poi  ne  contralTaceva  altre;  prima,  per  imitar  la  Francia, inl^ 
deva  fonderle  in  una;  e  iK)i,  per  imitar  la  Germania,  sdmkHt 
in  più.  Fuvvi  un  momento,  che  le  voleva,  coramella  dioeat  co*" 


-359- 

vertire  in  scuole  professionali;  perchè  a  sua  detta  gli  studi  più 
sublimi  richiedeano  altri  stabilimenti.  Cliniche  cioè,  musei,  gain- 
netti  9  dove  la  suppellettile  stesse  in  luogo  degF  insegnanti  ;  e  luoghi 
centrali ,  dove  non  vi  fossero  tradizioni  di  sorta ,  e  dove  ^  inse- 
gnanti potessero  ad  altri  affarucci  attendere.  Oggi  le  vorrebbe  con- 
vertire in  scuole  speciali,  dove  possa  qualche  suo  làvorito  regnare 
come  un  satrapo  accademico  o  un  despoto  pedagogico:  domani  non 
so  in  che  cosa.  Si  additano  ancora  ad  esempio  (dacchò  il  fascino 
delle  vittorie  di  Sadowa  e  di  Sedan  non  s' è  dileguato)  le  univer- 
sità germaniche,  le  quali  ebbero  gli  ordini  liberi  dalle  nostre 
antiche.  Ma  in  elTetto  né  d'ordini  italiani,  né  di  libertà,  quan- 
tunque tedesca,  si  vuol  punto  saperne.  E  cosi  grado  a  grado  delle 
università  italiane  rimangono  ancora  i  nomi ,  le  stanze,  le  cattedre, 
le  matricole,  le  lauree,  i  diplomi,  le  tasse,  e  sopra  tutto  le  tas- 
se: la  sostanza,  non  occorre  dirlo,  se  n'é  ita  {Legge  de^  13  no- 
vembre 1859,  47-187). 


CGXLV.  Chiai  déU'  irtnilme  i 

Quando  la  superiore  istruzione  manca,  e  mentre  non  d  sono 
altri  mezzi  per  dispensarla  e  favorirla,  che  gV  insegnamenti  uni- 
versitari; naturalmente  avviene,  che  certi  studi  debbano  essere 
abbandonati  o  negletti ,  e  che  il  popolo  di  que'  huni  e  di  quelle 
glorie  si  privi ,  che  potrebbono  la  sua  grandezza  fondare  o  deco- 
rare. Rinunciando  per  altro  alla  medesima,  gli  si  avrebbono  po- 
tuti lasciare  almeno  quegli  adornamenti,  che  formano  o  salvano 
la  sua  gentilezza.  Se  non  che ,  avendosi  anche  codesti  in  detesta- 
zione, non  si  risparmiarono  accorgimenti,  perché  la  venisse  an- 
ch' essa  meno.  Erano  per  fermo  i  nostri  licei  e  ginnasi  cose 
antiquate  ;  sebbene  da'  medesimi  e  dagli  stessi  seminari  e  convitti 
uscissero  alunni  ignoti,  che  ora,  quantunque  invecchiati,  sanno 
di  greco  e  di  latino ,  d' eloquenza  e  di  logica  qualche  cosuccia 
più  de'  nuovi  celeberrimi  professori.  Poterono  anzi  in  grazia  di 
quelle  anticaglie  qualche  gentUezza  di  modi  e  di  detti,  di  gusti 
e  di  pensieri  apprendere  e  mantenere;  e  sopra  tutto  il  culto  della 
patria  custodire  ed  alimentare.  Ora  in  vece  la  scienza  peregrina 
e  r  economica  signoria  consigliarono  e  prescrissero  ben  altro. 
Prima  di  tutto  dimezzarono  l' istruzione  media  per  la  cosi  delta 
istruzione  tecnica;  parendo  loro  questa  naturalmente  la  cosa  di 


-  360  - 

maggior  momento.  Né  che  vi  fosse  mestieri  per  averla  di  quelle 
belle  lettere  e  di  quelle  umane  discipline,  cui  gli  antichi  nostri 
mercatanti,  da  Boccaccio  a  Davanzati,  furono  cosi  semplici  da 
pre<^are.  E  vi  riuscirono  del  resto  talmente,  che  per  imparare 
un  po' di  lingue  vive,  di  meccanica,  d' ingegneria  e  di  mercatura* 
debbono  tuttavia  i  nostri  borghesi  mandare  i  Qgliuoli  ne' collegi 
di  Svizzera  e  d'Inghilterra.  Poscia  nell'istruzione  non  tecnica, 
e  cui  chiamano,  non  so  bene  se  per  misericordia  o  per  beflii, 
classica,  ridussero  le  cose  a  tal  punto,  che,  se  non  la  è  dati 
per  togliere  la  mente  a'  giovani  e  per  agghiacciarne  il  cuore,  dod 
so,  per  quale  altro  scopo  si  dia.  Ammetto  la  buona  fede  :  ma  i 
facile  capire,  come  tanta  congerie  enciclopedica  entri  in  un  orec- 
chio ed  esca  dall'altro  senza  lasciar  nel  capo  altra  traccia,  se 
non  uno  spossamento  e  uno  scombujamento  inesprimibile.  £  come 
non  v'abbia  altro  risultato,  né  altro  possa  avervene,  se  non  una 
specie  nuova  di  tortura,  crudelmente  inflitta  all'età  de' più  fervidi 
affetti  e  delle  più  dolci  speranze.  Pretendendosi,  che  con  dùjpa- 
rate  attitudini  e  vocazioni ,  la  gioventù  abbia  ad  ingojare  e  smal- 
tire tante  scienze  o  scientilìche  nomenclature,  non  si  ottiene,  ri- 
peto, niente:  fuor  che  dissiparne  le  forze  intellettuali,  Uaccaroe 
il  carattei*e  e  inaridirne  Y  anima.  Onde  avviene,  che  i  meno  o  i 
più  rovinati  giovani,  che  da' licei  e  ginnasi  escono,  posseditori 
di  qualche  tintura  da  scioli  o  belletto  da  saccentuzzi,  le  ingenite 
forze  dell'  ingegno  e  del  cuore  perdino,  e  sieno  a  tre  lustri  già 
da  sonil  gelo  assiderati.  Uomini  veramente  e  cittadini  eletti  dob 
avrebbero  potuto  uscirne ,  se  non  cogli  studi  storici ,  filosoOd  e 
letterari.  Se  non  che  (luesti,  già  il  dissi,  sono  lasciati  in  tolto 
queir  abbandono  o  subiscono  tutto  quel  tradimento,  che  a  questi 
tempi  si  meritano.  Studino  i  giovani  piuttosto  la  teoria  arem 
de'  linguaggi ,  che  saper  parlare  e  scrivere  correttamente  ;  e  bt- 
ciano  piuttosto  certe  notomie  archeologiche  e  filologiche  sogli 
antichi  scrittori ,  che  trattargli  com'  esseri  vivi  e  affiatarsi  seco 
loro.  Badino  sopra  tutto  di  rigettarne  i  sentimenti  :  perchè  qoesti 
antichi  sono  ognora  molto  pericolosi  al  mondo,  e  non  si  potrebbe 
mai  dire  a  pieno  tutto  il  male ,  che  commisero.  Con  quelle  loro 
fisime  patriottiche  e  liberalesi^he,  con  que'loro  decantati  Dioa^ 
Timoleonti  seiido  i  naturali  nemici  della  mercantile  baronìa,  ab, 
so  si  potessero  <lisiruggere  !... 


-  361  - 


CCXLVI.  Guai  dell'  istnuioiie  inferiore. 

Bisogna  esser  giusti:  non  ha  (lessa  piii  implacabili  avversari 
de'  classici  scrittori  ;  né  accusatori,  né  punitori,  cui  piii  debba  te- 
mere. Non  giungerà,  é  vero,  a  impedire,  che,  ravvivandosi  il  lor 
cullo,  ricordi  il  popolo  i  suoi  maggiori  e  ricovri  le  sue  virtù:  in- 
tanto, per  tirare  innanzi  alla  giornata,  ha  mille  ragioni  di  fargli 
abominare  e  vituperare.  E  in  ciò  é  servita  da'  propri  grammatici 
e  pedanti  meglio,  che  non  lo  fosse  Tiberio  dalle  8j)ie  di  Sciano, 
quando  gli  levarono  d' innanzi  quel  Gremuzio  Cordo,  cotanto  im- 
portuno lodatore  di  Cassio  e  di  Bruto.  Per  altro  il  classicismo  non 
istà  solo  negli  scrittori,  ma  serpeggia  in  tutte  le  vene  del  popolo 
italiano:  ed  èqui  principalmente,  che  bisognava  schiantarlo.  Men- 
tre dev'  esser  contento  di  servirla,  e  di  lasciarsi  spremere  docil- 
mente, che  non  gli  frullasse  alle  volte  il  ticchio  di  ridivenire  un 
popolo  d  eroi!  Si  capisce  di  leggieri,  come  lo  spirito  eroico 
e  lo  spirito  borghese  sieno  i  due  poh  opposti  del  mondo  mo- 
rale umano;  e  quinci  spiegasi  tutto  quello,  che  la  regnante  bor- 
ghesia ha  ordito  per  la  popolare  educazione.  Siccome  la  giusti- 
zia é  un  debito  anche  pegU  avversari,  non  nego,  ch'ella  abbia 
cercato  o  tentato  o  promesso  di  dilTondere  T  istruzione  inferiore. 
Vi  sono  ora  in  falli  più  insegnanti  e  meno  illetterati,  che  in  pas- 
sato ;  sebbene,  dopo  tanto  vociare  d' insegnamento  obbUgatorio  e 
gratuito,  la  provvidenza  stia  assai  lungi  ancora  dal  bisogno.  D' al- 
tra parte  ella  teme  gli  alti ,  non  i  bassi  studi  :  un  mezzo  qualun- 
que di  modellare  le  menti  a  modo  proprio  ne  francava  la  spesa; 
e,  quando  si  dissero  le  prementovate  battaglie  di  Sadowa  e  di 
Sedan  vinte  da  maestri  di  scuola,  giovavate  assecondarne  il  grido. 
Per  verilà,  ella  avrebbe  polulo  co'  preti  delle  campagne  estendere 
issofatto  le  sue  scuole  dovunque,  con  minori  dispendi;  e  procac- 
ciando altresi  un  sollievo  a  quella  povera  plebe  sacerdotale,  cui 
lasciò  dair  arislocrazia  episcopale  e  dall'  autocrazia  papale  oppri- 
mere. Non  avendo  in  vece  avuto  né  la  forza  di  fare  arar  diritto 
la  chieresia,  nò  la  voglia,  naturalmente  paventò,  non  che  il  po- 
polo rusticano  si  corrompesse  col  falso  cristianesimo  ;  ma  che  dal 
suo  giudaismo  si  alTrancasse.  Intanto  però  non  ha  potuto,  né  bra- 
mato impedire,  che  i  parroci  restino  di  esso  i  più  vicini  magi- 
strati e  i  più  intimi  maestri;  e  che,  vie  più  ingolfati  nell'  ignoranza 


-  362  - 

e  nelF  abiezione  gli  ammanniscano  quella  sorta  d' educazione ,  coi 
si  può  di  leggieri  immaginare. 

CCXLVII.  Triste  edncasione  impartita  al  popolo  italiano. 

Tre  quarti  della  nazione,  a  dir  poco,  non  ne  ricevono  altra: 
il  che  vuol  dire,  che  non  solamente  di  virtù  civili,  ma  né  di  ve- 
runa specie  odano  consiglio,  veggano  esempio.  SI  bene  di  prt- 
ticlie  e  di  cerimonie,  colle  quali  si  può  fare  a  meno  d'  amore  e 
di  probità;  confessando  i  peccati  veniali,  osservando  le  feste  co- 
mandate, ed  empiendo  devotamente  il  ventre  a  pasqua  e  a  natale. 
Restano  gli  elementi  del  leggere,  dello  scrivere  e  del  conteggiare, 
co'  quali  r  uomo  resta  quel  di  prima,  e  il  cittadino  non  comincii 
a  divenire  ;  e  ne'  quali  si  fa  ora  la  popolare  educazione  consistere. 
—  Ma  dunque  dovremmo  insegnare  anche  a'  contadini  un  pò*  di 
Tito  Livio  e  di  Plutarco  ?  —  Tutt'  altro  :  anzi,  se  credete,  fate  a 
meno  anche  di  quegli  elementi;  i  quali  offrono  meri  strumenti  al 
conoscere,  senz'  aggiungere ,  ripeto ,  niente  alla  mente ,  niente  al 
cuore.  Insegnate  piuttosto  loro  i  buoni  e  forti  costumi:  e  più 
co' monumenti  e  cogli  spettacoli,  che  co' libri  e  colle  lezioni;  e 
più  co'  fatti,  che  colle  parole  apprendete  loro  una  sola  di  qoelk 
idee  generose,  che  possono  esser  germi  di  generose  opere.  Che 
avete  voi  fatto  in  vece  pel  povero  popolo  delle  campagne  e  deUc 
città;  ossia  che  non  avete  fatto  per  estinguerne  tutt'i  nobili  seo* 
timenti,  per  accasciarlo  e  istupidirlo,  e  (  se  aveste  potuto  )  per  ii- 
ferocirlo  e  abbrutirlo?  Gli  avete,  è  vero,  spalancato  i  tribunali  per 
sollazzo:  ma,  intercluse  le  altre  palestre  della  pubblica  vita  e  ia* 
terdettigli  i  negozi  civili,  altri  ammaestramenti  colà  non  gli  of- 
ferite, se  non  che  la  colpa  non  è  sempre  deforme,  né  la  giustiiii 
sempre  vittoriosa.  Ne'  teatri  e  fuora  gli  date  quella  sorta  di  sftir 
tacoli,  cui  vedemmo:  ma  gli  avete  chiuso  i  monumenti  eretti  eoi 
genio  e  col  braccio  de'  suoi  avi,  i  monumenti  suoi  ;  e,  tranne  qui- 
che  ora  ne' dì  festivi,  gli  fate  pagar  la  gabella  sin  per  vedergS. 
Nelle  scuole  gli  strappate  il  catechismo  della  dottrina  cristiaM^ 
che  (non  v'ha  dubbio)  i)otrebb' esser  migliore:  ma  gli  donate  il 
cambio ...  il  libretto  della  cassa  di  risparmio.  Sono  amine  le- 
nerelle  <]ue'cari  fanciullini:  si  schiudono  alla  vita  piene  d'impelo 
e  di  fede;  un  lieve  urto  basta  per  ischiacciarle ,  un  lieve  soflo 
l»er  isi^egnerlo.  Non  im|)orta  :  si  avvezzino  nel  guscio  a  pregive» 


-  363  - 

prima  di  tutto  e  anzi  in  luogo  di  tutto,  il  danaro;  e  penetri  in  loro 
sin  dair  infanzia  non  Y  anelito  del  dovere  e  del  sacrificio,  si  il  de- 
mone della  cupidigia  e  del  guadagno.  Qual  meraviglia  ora,  se  i 
volghi  sprofondati  nella  miseria,  e  insieme  spogliati  della  rasse- 
gnazione e  stimolati  air  avidità,  ci  si  rizzino  contro  colle  pupille 
accese  e  co'  pugni  tesi  ?  In  diciott'  anni  (  che  tanti  corrono  dalla 
costituzione  del  regno  ),  educandola  co'  sentimenti,  che  sono  entro 
questo  volume  e  nel  seguente  sparsi,  si  avrebbe  ora  una  gene- 
razione d' uomini  onesti  e  sobri,  séhietti  e  prodi,  fieri  e  liberi,  da 
rifar  T  Italia.  Questo  non  si  voleva:  e  pertanto  era  troppo  poco 
lasciaria  nell'  ignominia  deir  antica  servitù.  Occorreva  di  giunta 
scuoterne  satanicamente  le  credenze,  senza  surrogarvi  principio 
alcuno  robusto  e  fecondo  ;  portarvi  anche  negl'  intelletti  T  anarchia 
e  il  caos,  e  tuffarla  sistematicamente  nelle  piii  basse  e  vili  pas- 
sioni. Doveva  in  altri  termini  la  novella  generazione  essere  as- 
sassinata: e  lo  fu. 


GCXLVni.  Fanatismo  pegli  attori  di  teatro. 

Se  tali  gr  insegnamenti  impartiti  al  popolo,  facile  è  indovinare 
quali  i  favori  concessi  alle  scienze,  alle  lettere  ed  alle  arti.  Dalle 
quali  ultime  facendomi,  ben  si  vede  nelle  arti  del  disegno  essere 
la  nostra  decadenza  grave  ;  e  appena  appena  la  scultura  (  come  arte 
classica  per  eccellenza  e  per  necessità,  che  ha  di  poclii  mezzi 
materiali  e  tanto  più  d' una  squisita  ideaUtà  mestieri  )  non  poter 
perdere  affatto  neir  itala  terra  il  seggio.  Essa  però  e  V  architte- 
tura  e  la  pittura  come  possono  fiorire,  se  non  vi  sono  più  né 
chiese,  nò  monisteri,  nò  comuni,  né  cittadinanze,  né  signori,  né  pre- 
lati, né  magnati,  che  ne  commettano  i  relativi  lavori  ?  Vorrebbonsi 
per  fino  sopprimere  le  accademie^  ov'  elle  hanno  modo  di  cam- 
pare come  piante  tropicali  in  serre  riscaldate;  allegando,  che  le 
officine  sarieno  più  acconcia  sede.  Il  che  in  massima  non  nego 
io:  ma  in  qual  modo  possono  le  officine  risorgere,  se  mecenati 
di  nessuna  sorte  non  ce  ne  ha  più  ;  e  se  alle  plebi  arricchite  ba- 
stano la  fotografìa  e  certe  minuterie  chinesi  e  giapponesi,  né 
sanno  di  statuo,  di  monumenti  e  di  quadri,  che  farsi?  Gli  artisti 
sono  assai  più  scusabili  degli  scrittori,  se  la  contrarietà  del  se- 
colo grossolano  e  spilorcio  avvilisce  e  doma.  Perché  anche  i  po- 
veri, con  qualche  stento,  possono  pubblicare  un  libro:  le  arti 


-  364- 

belle  in  vece,  senza  mezzi  materiali  e  tal  fiata  costosissimi,  non 
si  possono  coltivare.  Sarebbe  certamente  meglio,  che   i  popoli  e 
non  i  principi  fossero  mecenati:  ma  pur  pure  alcuno  di  qualdie 
sorta  ce  ne  vuole.  E  la  è  bene  una  crudel  facezia  de'  nostri  eco- 
nomisti il  raccomandare  le  predette  arti  alla  libertà  de'  cambi  ed 
alle  leggi  dell' offerta  e  della   richiesta;  se,  per  quanto  le  s'of- 
frano, ninno  le  richiede,  e  ninno  anzi  le  stima.  Non  dico,  che 
alcun  borghese,  tanto  per  atteggiarsi  a  successore  degli   antichi 
gentiluomini,  non  metta  insieme  alla  peggio  qualche  suppellettile 
artistica  od  antiquaria.  Oltre  però  tenerla  bene  rinchiusa  per  tema, 
eli'  altri  non  glie  la  rubi  col  guardo,  grandi  atti  del  resto  di  mu- 
nificenza si  possono  contare!  Guardate,  in  tanto  vantata  opulenza 
ed  eleganza,  le  spese  larghe,  che  si  fanno,  e  che  sorta  di  splen- 
dore ci  sfolgora  negli  occhi!  Entro  le  case  alcuni  ninnoli  leggia- 
dri, nc'quahvi  è  c^rta  rafiinatezza  altre  volte  ignota;  e  ne*  quali 
l'arte  vera  non  hìh.  Fuori,  non  si  dice  già  d'alcuni,  che  T  aite 
moderna  s' è  ricoverata  negli  opificii,  nelle  macchine,  oe'  cantieri 
e  nelle  strade  ferrate  ?  Vi  è  per  altro  un'  eccezione  a  fare  per  le 
arti  del  teatro,  e  particolarmente  per  la  musica:  la  quale,  ac- 
cessibile a  maggior  copia  di  gente  e  acquisibile  in  tante  minute 
quote  di  prezzo,  fu  1'  unica  sotto  la  borghesia  fiorente,  e  per  ciò 
merita  esser  detta  arte  borghese.  Ma  la  quale   io  ho  uo  gran 
dubbio,  abbia  la  medesima  eccellenza  civile  delle  altre  sorelle; 
considerando,  che  attese  gli  ultimi  e  iniqui  tempi  per  prosperare, 
cullò  la  recente  servitù  nostra,  non  s<^ppe  ancora   intonar  l' iooo 
deir  italica  redenzione  degno,  fu  dalla  borghesia  esaltata  (eoo  tale 
un'  esagerazione,  di  cui  non  possono,  se  non  i  posteri  recar  gin* 
(lizio),  e  tinalmente  mostra  d' avere  in  sé  qualche  cosa  d' effimero 
e  di  fugace.  In  fatti  oh  com'  è,  che,  mentre  il  gusto  e  il  piacere 
delle  altre  è  perenne,  invecchia  ella  si  presto,  che  già  di  Rossini 
non  si  rappresentano  più  sulla  scena,  se  non  il  Barbiere  di  Si" 
viglia,  il  Guglielmo  Teli  e  il  Mosè^  e  appena  di   Bellini  b 
Norma  e  di  Donizzetti  la  Lucia  di  Lammermoor?  Pognamo^dif 
mi  i^ìccia  velo  non  so  ({uale  odio  catoniano,  istillato  da  qua'  tempif 
in  cui  si  farneticava  dietro  alle  c^uiore  deità,  e  da  questi,  io  coi 
le  rubano  il  plauso  a  tutte  le  altre  arti  e  virtù.  Pur  non  mi  par 
d'essere  in^'iusto:  poiché,  mentre  per  ogn' altra  forma  dd  belio 
non  \k  più,  che  incuria  e  sprezzo,  e   una  battaglia  vinta  ooo 
darebl>e  onore  e  mercede  pari  a  un  melodramma  ap|daudito;  i^ 
altro  fervore  veggo  di  vita  pubblica,  né  altro  entusiasmo,  che 


-365- 

ne'  teatri,  ove  tocca  i  confini  del  delirio  e  del  parossismo;  io  ho 
ragione  di  temere,  che  si  sia  perduto  e  si  abbia  voluto  perdere 
a  bella  posta  modo  e  misura.  Certo  ^la  odierna  fortuna  degli  ai- 
tori  teatrali ,  e  sopra  tutto  delle  <c  acclamate  dive  »  (  grande  in- 
sulto alle  misere  plebi,  e  gran  smtomo  di  decadenza  ),  assomiglia 
un  po'  troppo  a  quella  de'  mimi  e  degl'  istrioni  nella  decaduta  Ro- 
ma. Dove  Esopo  e  Roselo,  Batillo  e  Pilade,  che  sarebbero  stati 
sotto  la  libertà  infami ,  colsero  nella  licenza  e  nella  comune  igno- 
minia i  lauri  e  i  premi  de'  capitani  e  de'  trionfatori  posti  a  morte. 


GGXUX.  BmtaUU  Teno  le  lettere  e  le  artL 

Se  si  rammentano ,  io  non  dico  i  tempi  de*  nostri  magnifici 
signori;  ma  anche  solamente  quelli,  che  precessero  la  invasion 
gaUica  e  borghese  (quando  in  ogni  città  e  in  ogni  palagio  vi  e- 
rano  gallerìe  e  musei,  parecchi  de'  quali  ora,  alienati  e  trasmi- 
grati, formano  il  vanto  delle  straniere  corti), credo, che  poco  vi 
voglia  a  constatare  de'  presenti  la  sordidezza  e  la  goflàggine.  Non 
ostanti  le  provvisioni  o  le  inibizioni  daziarie ,  da  vari  anni  in  qua 
un  infinito  tesoro  di  cimeli  estetici  e  storici ,  l' oro  britannico  e 
moscovita  trae  fuora  da  questa  sventurata  patria  del  genio.  QueUi 
delle  corporazioni  religiose  si  dileguarono  prim' ancora ,  che  il  fi- 
sco vi  mettesse  gli  artigli  ;  e  da  molte  case  esularono  fin  le  armi 
e  le  immagini  degli  antenati ,  per  servire  di  prove  araldiche  e  ge- 
nealogiche a  qualche  rigattiere  parigino.  E,  se  Napoleone  RI,  ap- 
pena vinto ,  non  ci  avesse  con  sollecito  accorgimento  e  figliale  trepi- 
dazione ceduto  tosto  il  Palatino, .sarebbero  fin  que'  ruderi  in  mano 
di  qualche  società  anonima  passati,  che  avrebbe  messe  aU' incanto 
la  sede  de'  cesari  e  la  culla  di  Roma.  Ma,  che  dich'  io,  se  già 
ne'  i)Oclii  anni ,  da  che  Roma  è  nostra ,  s' è  lasciato  aOa  Germa- 
nia comperare  alla  sordina  quasi  tre  quarti  del  Capitolino?  Poi- 
ché fino  quel  sacro  colle ,  rocca  e  tempio  di  tutta  V  umanità  (dico 
il  Campidoglio)^  è  divenuto  in  buona  parte  un  podere  tedesco,  che 
vi  manca  dunque ,  o  bastardi ,  per  vendere  anche  le  ossa  de*  vostri 
avi  ?  Se  ne  potrebbe,  lo  sapete ,  fare  gettoni,  spilloni ,  bottoni  ;  e  trar 
vantaggio  nelle  raflìnerie  di  zucchero  e  in  altre  vostre  premiate  e 
privilegiate  concie.  Né  mancò  tra  voi  chi  le  adocchiasse  con  cupido 
sguardo ,  lamentando  il  vecchio  romano  pregiudizio,  che  ne  divieta 
il  conunercio  ai  mortah.  Or,  dacché  non  si  tratta  più,  che  di  cooh 


-  366- 

mercio ,  e  nelle  arti  è  cosi  misero  ;  s' immagini  quello ,  cui  si  può 
nelle  scienze  e  nelle  lettere  fare ,  o  cioè  in  prodotti  immateriali  e 
impalpabili  I  Qui  la  incuria  e  lo  sprezzo  giungono  a  tale ,  che  fio 
coloro,  che  aver  dovrebbero  per  pubblico  ufficio  o  per  pubblica 
dignità  obbligo  o  interesse  di  provvedervi  non  se  ne  hanno  oem- 
manco  per  intesi.  Qualche  spesuccia  solamente  per  tenere  in  sem- 
bianze di  vita  alcun  corpo  ac^demico ,  che  sia  bene  incadaverito 
e  mummifìcato.  E  sopra  tutto  per  allestire  spedizioni  e  mostre, 
saggi  e  concilii  d'ogni  quisquiglia,  che  vengano  in  capo  a  certi  mat- 
taccini scientifici  e  cattedratici ,  incettatori  assidui  e  instancabili  di 
nastri  e  di  pranzi.  Ornai  si  può  scommettere ,  che ,  a  cui  venisse 
il  ticchio  d' aprire  un'  esposizione  di  fibbie  da  scarpe ,  di  cuiBe 
da  notte,  di  trappole  da  sorci  e  di  qualunque  altra  escogitabile 
bagattella,  e  d'indire  un  congresso  de'  rispettivi  bagattellieri ,  pre- 
sieduto da  qualche  alto  personaggio,  gli  riuscirebbe  pomposa- 
mente. In  altri  tempi  lo  si  sarebbe  chiamato  con  poco  garbo  no 
ciarlatano  :  oggi  non  gli  mancherebbe  il  grido  di  <c  celebrità  eu- 
ropea »,  nò  un  lauto  festeggiamento,  né  un  diploma  civico,  né 
un'  insegna  cavalleresca ,  né  in  seguito  la  sedia  curule.  Se  io 
vece  osasse  presentarsi  tra  codeste  larve  mascherate  un  uomo 
smascherato;  pognamo,  che  fosse  il  divino  poeta,  Io  scaccie- 
rebhcro  come  un  profano  e  un  importuno.  Né  i  bilanci  dello  stato 
(  e  invoco  il  giudizio  degli  stessi  consiglieri  della  corte  de'  con- 
ti, eh'  é  il  supremo  tribunale  della  borghesia);  né  i  bilanci  dello 
stato  consentirebbero,  gli  si  pagassero  cinquemila  lire  quelle  sue 
canticlie  atrabiliari,  che  non  lasciarono  morir  l'Italia.  —  Per 
altro  non  hanno  finalmente  i  nostri  finanzieri  dischiuso  una  grande 
palestra  agf  ingegni  di  questa  e  fin  delle  stranie  contrade,  co 
sessanta  secoli  attesero  sin  qui  in  vano?  —  SI,  io  mi  dimen- 
ticavo <U  ricordare ,  eh'  eglino  con  inaudita  liberalità  bandiroDO- 
un  concorso  e  proffersero  un  emolumento  non  di  cinque,  mi 
di  cinquantamila  lire  a  chi  avesse  per  la  gabella  del  mactoato 
trovato  il  cantatore  o  il  pesatore  meno  scorrevole.  Registro  a- 
dunque  qui,  per  debito  di  giustizia,  una  data  memorandi  ne* 
fasti  della  magnificenza  borghese^  il  31  luglio  1876:  quasfio 
il  termine  di  tale  olimpiade  degna  de'  tempi  awerossi,  e  bei 
centoquaranta  prodi  si  erano  presentati  in  lizza. 


--  367  - 


CCr^.  stampa  preorolata. 

Non  s'aspetti  lo  scienziato  italiano  altri  premi ,  che  questi 
sulla  farina  degl'indigenti  e  per  questa  sorta  di  molende;  né 
altri  il  letterato ,  che  orrendamente ,  se  possibile ,  peggiori.  Impe- 
rocché ,  che  vi  siano  o  fossero  scrittori  prezzolati ,  lo  hanno  detto 
tanti,  e  delle  opposte  fazioni,  che  bisognerebb' essere  stati  sordi , 
per  non  averlo  udito.  Vi  sono  tuttavia  più  modi  per  indettare  i 
discorsi  e  compilar  le  penne,  che  appena  si  possono  tutti  avver- 
tire. Patti  e  capitoU  co'  giornalisti,  a  cui  si  concede  l'inserzione 
lucrosa  de'  pubblici  annunci  sotto  certe  condizioni  ;  onori  e  ricom- 
pense lasciate  intravedere  a'  piii  facili  e  discreti  ;  comunicazioni 
e  cenni  di  notizie  preziose  e  rare,  che  non  si  attingono,  se  non 
da  certi  luoghi,  e  che  agevolano  lo  spaccio;  e  in  fine  pensioni  e 
mancie  a  dirittura.  Chi  è  in  grado  di  negare,  che  od  uno  od  al- 
tro 0  lutti  questi  mezzi  non  si  adoperassero  ;  e  che  altri  scopi  non 
si  avessero,  se  non  di  surrogare  lo  stimolo  della  cupidigia  allo 
stimolo  della  verità  in  coloro,  che  dovrebbero  della  verità  esser 
sacerdoti  ?  —  Ma  di  dare  un  tal  quale  impulso  e  avviamento  alla 
stampa  periodica  e  alla  opinion  pubbUca,  specialmente  co'  nostri 
ordini  politici ,  vi  è  assoluto  bisogno.  —  Ebbene ,  vedremo  ap- 
presso, quali  servigi  la  stampa  venale  e  l'opinione  artificiosa  ren- 
dano allo  stato  :  intanto  mi  si  deve  accordare,  che  ciò  non  certo 
per  favorire  le  scienze  e  le  lettere  ha  luogo  ;  si  per  la  cosi  detta  po- 
litica. E ,  poicliè  lo  stato  è  legittimamente  (secondo  i  predetti  ordi- 
ni )  in  mano  d' una  o  d'altra  fazione,  ed  anzi  del  maggior  drappello 
d' una  ;  che  questo  altresì  si  proponga  ed  abbia  i  mezzi  e  i  poteri 
di  travolgere  la  popolar  coscienza,  siccome  anco  d'esserne  da 
sezzo  travolto.  Dovendo  però  di  tale  argomento  in  altro  luogo 
trattare,  e  supponendo  qui,  che  i  compratori  e  i  venditori  della 
produzione  letteraria  sieno  onesti;  converrà  pure  ammettere,  che 
tale  mercimonio  non  si  concilia  colla  dignità  di  veruno.  Da  cui 
naturalmente  io  scevero  gli  scrittori  sovvenuti  dal  pubblico  per 
opere  di  scienza  ;  perchè  anzi  credo,  omai  in  Italia  queste  non  si 
possano  più  stampare  senza  una  pubblica  sovvenzione ,  che  natu- 
ralmente non  si  dà.  Fuori  delle  medesime  adunque ,  non  pagano  i 
reggitori,  che  f)er  essere  serviti;  né  gli  scrittori,  se  pur  meritano  tal 
nome ,  servono ,  che  per  essere  pagati  :  e  una  convinzione  mercan- 


-368- 

teggiata ,  benché  possa  essere  veritiera  j  non  è  più  disinteressata. 
Or  (  vedete  quant'  io  rifugga  dal  razzolare  neUe  immondezze  )  dì 
tanti  scrittori  salariati  in  una  o  in  altra  guisa ,  cui  si  menzio- 
narono, e  del  cui  salario  si  allegarono  documenti,  non  ono  ne 
vuo'  nominare  ;  e  non  uno  supporre ,  che  non  sia  stato  con  la  sn 
ragione  convìnto  di  ciò,  per  cui  ricevette  mercede.  Perchè,  se  le 
mie  ossa  dovessero  un  giorno  esser  confuse  nella  comune  fossa 
con  quelle  dell'  assassino  e  del  parricida,  così  non  mi  dorrei;  co- 
me d'avere  a  fianco  uno  di  codesti  sicari  della  verità  e  traditori 
della  giustizia ,  se  mai  ve  ne  furono.  Non  conoscendo  in  solla  terra 
esseri  più  detestabili ,  nò  mostri  più  schifosi  de'  ciarloni ,  che  so- 
stengano per  prezzo  il  torto  e  combattano  il  giusto;  mi  ripu- 
gna il  credere,  che  un  solo  ve  ne  sia  in  Italia.  Se  fosse  altrimenti, 
com'è  stato  detto,  e  che,  facendo  frodo  ai  bilanci,  dalle  tasse 
sulla  prostituzione  si  traessero  i  danari  per  rimeritare  quest'altra 
infamia  ;  in  tal  caso ,  dico ,  che  nemmanco  Radamanto  avrebbe 
potuto  essere  più  arguto  giustiziere.  Laonde ,  poiché  non  possiamo 
que'  bilanci  di  verun' altra  giustizia  lodare ,  di  questa  converrebbe 
aiTrottarsi  a  lodargli.  Che,  facendo  passare  i  frutti  del  traflBco 
del  pudore  al  traffico  della  coscienza,  avriano  essi  almeno  con  le 
loro  inflessibili  cifre  mostrato ,  come  una  sola  mercede  potesse  ìi 
ignominia  superar  la  mercede  delle  femmine  svergognate  :  quella 
degli  scrittori  venduti. 


CCIJ.  Infélìoe  oondiiione  del  oommerdo  litearb. 

Se  lo  stato  provvede  di  questa  guisa  alla  intellettual  eolinn 
della  nazione  e  alle  più  pure  e  imperiture  glorie,  cui  potrebbe 
godere  ;  pronta  è  la  scusa  de'  nostri  economisti.  —  I  principi  me- 
cenati occorrevano ,  quando  il  popolo  non  ci  era  :  ora  anche  i  li- 
bri son  divenuti  merci,  e,  piacendo,  troveranno  acquirenti  a  josa, 
che  ne  daranno  il  valsente.  —  Se  co'  mucchi  d' oro ,  ris^modo  io, 
credete  di  suscitare  gli  scrittori  grandi ,  v'  ingannate  da  vantag- 
gio ;  giacché  solo  le  passioni  grandi  gli  possono  ispirare.  Le  qnA 
non  sorgono  ne'  loro  petti ,  tranne  che  sapendo  eglino  non  iìàatìi 
i  loro  studi,  né  vane  le  opere  loro.  Voi  in  vece  (e  lo  vedremo) 
gli  reputate  teste  cervellotiche ,  ^'li  rilegate  nel  regno  de'  sogni  ; 
e  gli  opprimete  come  vostri  nemici  o,  eh' è  peggio,  gli 
zate  come  vostri  buffoni.  Ciò  non  ostante,  entrando  oelli 


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vostra  mercatanzia ,  come  volete ,  eh'  ei  possano  contar  sul  popolo , 
cui  lasciaste  assopito  e  rendeste  più  incolto  e  povero,  e  che  sul  volgo 
dorato ,  che  ama  ben  altra  sorta  dì  letture  o  non  ne  ama  alcuna  ? 
Odo  generale  un  lamento  contro  gli  editori  italiani,  come  di  gente 
inetta  al  mestiere  e  avida  di  sordidi  guadagni.  Pure,  bisogna  esser 
giusti ,  possono  essi  preterire  da'  gusti  della  borghese  clientela ,  o 
iu  altri  termini  far  buoni  aflari  co'  libri  buoni  ?  In  Germania  vi  è  la 
famosa  fìera  libraria  di  Lipsia;  ogni  lìbrajo  terrebbesi  disonorato, 
se  non  accettasse  d' ogni  nuovo  volume  almen  tre  copie  ;  e  arros- 
sirebbero sin  gli  scaffali  delle  pubbliche  biblioteche,  di  non  pos- 
sedernelo  appena  uscito.  Tuttavia  il  paragone  co'  tedeschi  vale  ora 
si  per  dimostrare  T  abbassamento  de'  nostri  studi  ;  non  anco  la 
dura  sorte ,  eh'  è  qui  loro  serbata.  Qui  un  libro  italiano  neppure  pos- 
sono i  pubblici  bibliotecari  provvederlo;  perchè  i  fondi  stanziati 
dalla  plutocrazia  bastano  appena  pe'  libri  stranieri,  per  rilegame 
0  rassettarne  i  logorati,  e  per  ispolverargli  o  salvargli  da'  topi. 
E  un'opera  grave  è  molto,  se  ha  cento  compratori,  co'  quali  si 
può  francare  appena  un  quinto  della  spesa  dì  carta  e  dì  stampa. 
Ond'  io  (  per  esempio  )  non  potei  mai  trovare  alcun  editore ,  tranne 
una  volta,  in  cui  1'  ho  rovinato  ;  sicché  dopo  non  mi  resse  più  il 
cuore  di  ritentar  la  prova.  Sono  per  altro  sincero,  e  non  ne  do  colpa 
ad  altri,  che  a  me  medesimo  :  perchè  sta  a  vedere,  che  i  librai  do- 
vessero fallire,  per  favorir  essi  gli  studi  !  No,  essi  hanno  certamente 
d' uopo  d' amore  e  d' intendimento  della  propria  arte  :  ma  non  la 
possono  esercitar  bene,  se  non  con  abilità  da  negozianti  e  se  non 
in  grazia  degli  avventori.  Se  questi  appunto  mancano,  o  non  pos- 
sono trovarne,  che  radi  e  sottili,  tortiu'andogU  e  cacciando  quasi 
per  forza  nelle  case  la  dispettata  suppellettile ,  oh  come  si  acca- 
gioneranno della  miseranda  condizione  degli  autori  ?  Sul  finire  dello 
scorso  secolo  vi  era  tra  noi  quasi  in  ogni  patrizia  magione  librerie 
e  archivi  stupendi:  ma  sapete  già,  come  la  maggior  parte  finirono. 
Molti  su'  muriccioh  e  (non  dico  cose,  cui  non  possa  ognuno  e 
tostamente  verificare)  i  più,  venduti  a  peso  e  lacerati  come  carta 
straccia,  servono  ora  ai  tabaccai  e  ai  salumai.  Tirando  il  qual 
vento,  è  facile  immaginare  qual  esito  sia  alle  produzioni  nuove 
serbato.  Sorgesse  qui  un  uomo  d'ingegno,  s'egli  è  povero,  non 
ha  modo  alcuno  di  scrivere  a  stampa:  tranne  se  dotalo,  per  a- 
dempiere  la  vocazione  sua  divina,  di  tal  tempra  eroica,  da  gua- 
dagnarsi tanto  pi^r  pagare  il  tipografo,  facendo  dieci  anni  il  fat- 
torino in  qualche  bottega  o  lo  scrivano  in  qualche  segreteria;  e 

24 


-370- 

da  campare  intanto  d' aria.  Se  alquanto  agiato ,  potrà  contrasUre 
l'avversità,  facendo  egli  medesimo  da  editore,  correttore,  spac- 
ciatore, commesso  e  procaccio,  e  scapitandone  di  giunta,  sicco- 
me un  tale ,  che  mi  so  io  :  ma  avrebb'  egli  per  questo  vinto  T 

CCLII.  Destino  degli  scrittori  Uberi  e  «urti  ia  Ittlia. 

m 

Anzi  tutto,  ninno  più  sapendo  comprendere,  eh'  egli  abbia  a 
stampare  senza  mira  di  lucro ,  si  dirà ,  eh'  è  folle  :  né  varrebbe- 
gli  opporre,  che  in  rendere  omaggio  alla  verità  e  servigio  aUa 
patria,  prova  altrettanta  e  maggior  soddisfazione ,  che  altri  in  h- 
crare.  Allora  si  soggiungerà ,  eh'  è  ambizioso  :  né  varrebbegli  ri- 
spondere, che  sa  di  non  ottenere  plauso  alcuno,  non  aoa  pa- 
rola di  conforto ,  non  un  segno  d' attenzione  ;  nemmanco  da  quel 
popolo,  a  cui  resta  ignoto,  e  per  cui  pugna  e  perde  gli  amici  e 
quella  fortuna  e  quella  fama,  cui  si  fosse  altrimenti  procacciale. 
Oh  quale  strana  specie  di  scrittore  è  mai  codesto ,  mormoreranoo 
sommessamente  tra  loro  i  Pomponii  sopra  encomiati?  Via,  via, 
lasciamolo  solo ,  questo  Decio  letterario ,  velatosi  il  capo  di  negre 
bende  e  votatosi  agU  dei  inferni....  Dico,  ripigliando,  che, se  lo 
scrittore  libero  e  forte ,  non  avesse  a  superare ,  che  la  povertà  e 
hi  calunnia  e  la  persecuzione,  sarebbe  ancora  il  suo  destino  feli- 
ce. E  che ,  s' anco  si  frugasse  nella  sua  pubblica  e  privata  vita  per 
addentarlo  con  qualche  morso  avvelenato  (  e  quanto  se  ne  sareUe 
lieti  !  )  0  in  altra  guisa  gU  si  propinasse  quella  cicuta  di  vituperi, 
che  usa  il  secolo  umano,  non  importerebbe  punto.  È  troppo  natu- 
rale, che  certa  gente  non  supponga  in  altri  i  sentimenti  nobifi, 
cui  ignora,  e  sospetti  in  vece  i  sentimenti  ignobili, cui  possiede.  Im- 
porta bensì ,  eh'  ei  possa  come  che  sia ,  e  seguane  che  può ,  adem- 
piere il  proprio  ministero  ;  il  quale  appunto  gli  s' impedisce.  Dap- 
poiché é  necessaria  condizione  all'oratore  essere  udito,  e  airaotoff 
letto  ;  e  non  vai  parlare ,  non  stampare ,  per  quanto  se  n*  abbiano 
i  mezzi  0  |)er  avergli  si  faccia  forza  alla  rea  fortuna ,  ognora  che 
al  deserto  si  gridi.  Immaginate ,  qual  é  ìsl  sorte  dell' oratore,  che 
abbia  le  sole  |)anche  ad  ascoltarlo:  conoscerete  quella  dell'auto- 
re ,  che  sokimcnte  nell'  immaginazione  può  affollare  un  uditorio 
di  fantasmi.  Questo  scusi  anche  il  tuono  della  presente  opera: 
perché  so  io  prima  e  meglio  degli  altri ,  esserci  una  grande  vio- 
lenza entro  di  voci  e  d' idee ,  la  quale  in  tempi  migliori  non  avrei 
usata.  Se  non  che  non  si  tratta  ora  pib  di  parlare  ad  uomini  de- 


-371  — 

sti;  sibbene  dì  strepitare  a  dormienti.  E  il  sonno  n*è  coA  denso,  e 
cosi  vigili  eunuchi  gli  alloppiano ,  ventilano  e  dondolano  ;  che  assai 
poco ,  anche  di  tal  guisa ,  si  può  sperare  di  scuotergli.  Al  qual  pro- 
posito si  ha  un  bel  porre  in  derisione  que'  gentiluomini  e  quelle 
gentildonne  del  passato  secolo ,  fattisi  della  poetica  Arcadia  pasto- 
relli. Tanto  e  tanto  non  ve  n'  era  quasi  alcuno ,  che  non  onorasse 
le  umane  discipline,  e  non  sapesse  comporre  un  sonettìno  e  un 
madrìgaletto  per  bene.  Guardate  adesso  chi  sa  fare  altrettanto,  e 
che  sorta  di  grazia  e  di  leggiadria  abbiano  questi  nostri  borghesi.  I 
più  culti  e  i  più  prodighi  de'  quaU  (  benché  uomini  del  resto  sti- 
mabili e  laudevoli  )  ampliano  porti  e  fondano  scuole  fabbrili ,  come 
se  mancassero  stimoli  o  incentivi  al  guadagno:  ma  quelte  cure 
sprezzano,  come  trastulli  da  oziosi.  Pognamo,  che  si  avesse  ora 
uno  stuolo  ragguardevole  di  lettori  o  di  leggicchianti  come  allo- 
ra, e  che  le  pubblicazioni  serie  potessero  piacere:  state  certi,  che 
non  giungeranno  sino  a  loro,  e  che  mille  mani  invisibili  glie  te 
scosterranno  con  implacabile  assiduità. 

CCLm.  Goagiuia  M  mutL 

Io  alludo  alla  vile  cospirajsione  del  silenjrìoj  con  cui  si  schiac- 
ciano ora  tra  noi  i  valorosi  d'ogni  specie,  sì  neU' azione  e  si  nel 
pensiero  ;  e  di  cui  potrei  troppe  prove  addurre ,  se  non  mi  fossi 
prefisso  di  non  recar  nomi.  Siccome  ne'  cor[M  mahti  gli  stessi 
succhi  vitaU  colano  nella  sede  del  morbo  a  detrimento  dell'intiero 
organismo ,  e  il  morbo  odierno  d' Italia  sta  principahnente  nella 
faziosità  complicata  di  settarieià  (parole  addatte  alle  cose);  cosi 
qui  non  si  può  più  fondare  compagnia  di  studi  o  brigata  di  piaceri, 
né  accademia,  né  giornale,  che  tosto  non  assumano  le  morbose  forme 
d'una  cricca  o  d'un  conciliabolo.  Le  accademie  rigorosamente  inter- 
dette a  quelli,  che  pensano  di  proprio  capo,  o  si  sollevano  sopra  i  lor 
sillabi  scientifici  ;  e  da'  giornali  giù  a  dirotta  pietre  e  tegole  contro 
chi  non  é  della  propria  fazione  e  setta.  Siccome  poi  questa  ostilità 
é  più  difTicile  e  pericolosa,  ed  é  assai  più  commodo  e  cauto  non 
impegnarsi  in  discussioni,  che  vorrebbono  tempo  e  perizia,  e  in  cui 
si  può  esser  perdenti  e  fracassati;  cod  é  me^o  non  ne  parlare 
affatto.  Di  guisa  che  fin  certe  effemeridi,  il  cui  primo  compito  è 
od  esser  dovrebbe  la  critica  letteraria,  preferiscono  questa  via  del- 
l' obUvione  più  spiccia  e  più  trionfale.  £  ne  potrei  più  d*  una 
mentovare ,  e  assai  celebrate ,  a  cui  trasmettonsi  gli  odiati  volami 


—  372  — 

in  vano  ;  non  si  curando  neppure  d' annunciarne  i  titoli  nel  bollet- 
tino bibliografico  tra  le  cattoliche  giaculatorie  e  gli  esumati  testi 
craschevoli.  De'  politici  diari,  poiché  naturalmente  dalle  filad'ona 
0  d'altra  delle  rivali  fazioni  guidati ,  non  ho  d'uopo  dire ,  che  non 
sono  si  ingenui,  da  prestarsi  a  favorire  la  pubbUcità  di  pensieri 
contrari  al  loro  cosi  detto  programma.  Laonde ,  sendo  questi  non 
solamente  dispensieri  di  fama,  ma  ora  quasi  unici  autori  del  pub- 
blico giudizio  ;  ne  viene ,  che  irremissibilmente  il  lor  silenzio  con- 
danni all'  oscurità  e  all'  impotenza  gli  scrittori.  Cosicché  ho  dimo- 
strato più  di  quello,  che  mi  era  proposto:  qualmente  la  tirannide 
borghese  ben  peggio,  che  non  proteggere  gli  scrittori,  sia  giunta, 
colla  libertà  di  stampa  appunto ,  a  imbavagliargli.  In  fatti  ella  ha 
mestieri  d'un  gran  gridio ,  perché  la  voce  della  giustizia  non  si  bccia 
udire ,  0  perché  almeno  non  s' oda  il  grido  di  dolore  del  popolo. 
E,  benché  qui  sia  più  incolta  e  più  insulsa,  pur,  perché  veggasi, 
Cora' ella  si  comporti  altrove,  chiudo  il  tema  della  sua  brutalità, 
con  questo  S4]uarcìo  delle  Rivoluzioni  d' Italia  (XI)  d'Edgardo 
Quinet.  «  Tutto  il  mondo  vede  oggidì  la  francese  rivoluzione  metter 
capo  al  regno  de'  popolani  grassi ,  la  cui  rassomiglianza  cogli 
antichi  sbalordisce.  La  natura  dell'  uomo  in  breve  tempo  arricchito 
sendo  la  medesima  sempre,  ricorre  adesso  l'identica  avversione, 
r  identico  sprezzo  de'  sentimenti  popolari  e  l' identico  cieco  ripudio 
d'ogni  istinto  di  patria.  La  facoltosa  borghesia,  trascinata  da' suoi 
caporali ,  pass;)  oggidì  nel  campo  de'  trattati  del  quindici ,  come  ì 
grassi  i)opolani  di  Toscana  passarono  nel  secolo  XIV  sotto  Io  sten- 
dardo del  nemico  ghil)eIlino.  Due  cose  per  altro  fortificarono  la 
oligarchia  de'  ricchi  in  Italia  lungamente.  Ch'egUno,  stringendo 
nozze  co'  grandi  d'antica  schiatta,  in  parte  n'ereditassero  il  sangue 
e  il  genio.  E  che,  avendo  in  lor  favore  la  fede  religiosa,  e  il  g^ 
neroso  entasiasino  del  bello  nell'  arte ,  nella  letteratura  e  nella  ci- 
viltà ;  si  fatto  culto  d' un  ideale  etemo  prestasse  loro  alcun  che  delli 
sua  durata.  I  grassi  popolani  in  vece  del  nostro  tempo,  non  avendo 
altra  forza,  che  Toro  ;  imprendono  cosa  non  pure  inaudita  nel  noi- 
do,  ma  temeraria.  Conci ossìaché,  abbandonando  a'  propri  avversari 
Dio,  la  patria,  l'umanità,  T  eroismo,  la  scienza  e  l' arte ,  costoro  il 
verità  vogliono  spogliarsi  oltre  misura,  e  concedere  una  parte  troppo 
belb  air  impaziente  fortuna  ^^'  popolani  magri  ». 


PROSPERITÀ  BORGHESE 


CGLIV.  ProblesAtioa  opilean  de'ptip^li  moienL 

Qui  viene  finalmente  il  capolavoro  delle  industri  api  o  degli 
anfanati  calabroni ,  cui  ognuno  de'  miei  buoni  lettori  si  sarà  con 
impazienza  atteso,  e  che  del  resto  è  Y  unico  tema,  come  si  dice 
ora,  palpitante.  Dopo  avere  sacrificato  ogni  cosa  divina  e  umana 
alla  cura  de' materiali  interessi;  noi,  almeno  di  quattrini,  non  si 
dovrebbe  aver  più  penuria.  È  vero,  che  lo  stato  addossa  ai  comu- 
ni e  alle  provincie  i  suoi  carichi,  o  ne  fa  getto  a  dirittura,  di- 
cendo di  non  averne  più  i  mezzi.  E  che,  quando  si  chiede  al 
medesimo  od  ai  privati  di  far  qualche  poco  pel  pubblico  decoro 
0  per  la  pubblica  pietà,  anzi  che  viversi  cosi  tapini  e  sordidi, 
gridano  in  coro,  che  hanno  le  borse  vuote.  Cosa  veramente  stra- 
na, se  si  pensa  al  passato,  in  cui  non  ci  era  tutta  questa  por- 
tentosa prosperità  odierna ,  e  in  cui  si  largheggiava  nelle  opere 
decorose  e  pie  cotanto  ;  né  sopra  tutto  V  erario  strillava  e  urtava 
dalla  fame!  Chi  sa  per  altro,  che  queste  non  sieno  le  solite  ma- 
linconie degli  avari ,  che  piagnucolano  sempre  e  guaiscono  d' ine- 
dia; mentre  hanno  i  forzieri  zeppi  di  doi^ioni  e  di  zecchini!.- 
Certo,  poiché  lo  stato  borghese  non  é,  come  vedemmo,  che 
un'  azienda  economica ,  e  nel  reggerio  non  havvi  altro  intento, 
che  di  procacciare  a  ognuno  i  più  grassi  afifari  possibili;  parreb- 
be, che  almeno  in  questo  campo  si  dovesse  la  maggior  floridezza 
godere.  Non  essendo  per  altro  Y  azienda  a  comun  vantaggio,  e 
gii  aflari  non  si  potendo  dagli  uni  fiu*  grassi,  se  non  a  disca- 
pito di  coloro,  che  fannogli  magri;  é  bensì  accaduto,  che  soziee 
arpie  si  divorassero  la  mensa:  ma  insieme,  che  il  popolo  con- 
vitato si  rimanesse  alla  porta.  Entrando  ora  nel  quale  argomento, 
io  non  vuo'  negare,  siavi  ora  in  quella  parte  del  mondo,  cui  la 
borghesia  usurpò  (cioè  sopra  tutto  in  Europa  e  in  America),  un 


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cumulo  di  dovìzie  sterminato;  né  che  ciò  possa  esser  utile  ad 
alcun  bene.  Biasimo  le  dovizie  mal  acquistate  e  mal  usate ,  e 
preferisco  la  inopia  onesta  alla  disonesta  abbondanza:  pur  non 
sono  si  rude  e  zotico  dal  desiderare,  per  vezzo  d' eroico  arcaismo, 
che  proprio  altra  suppellettile  non  s' abbia  ad  avere,  che  di  lancie 
e  spade.  Dico  per  altro,  che  anco  in  punto  di  ricchezza  Fera 
de*  nostri  classici  comuni  soprasta  certamente  a  questa  ;  e  ctie  io 
questa  medesima  è  a  dubitar  forte,  siavi  tutta  quella,  cui  si  strom- 
bazza. Voglia  0  non  vogliasi ,  il  grado  d' agiatezza  de'  popoli  doesi 
desumere,  secondo  il  voto  di  ({uel  buon  monarca  francese,  dal 
vedere  in  quante  pentole  bolla  un  pollo  :  e  cotal  voto  non  sembra 
oggi  più  pago,  che  in  passato.  Le  facoltà  mobili  hanno  per  fermo 
raggiunto  queir  apogeo,  mercè  cui  può  qualche  nazione  sovra 
scogU  marini  o  lande  sterili  godere  il  frutto  d'  ubertose  campa- 
gne: ma  in  generale  a  quella  stabilità  ed  equanimità  della  for- 
tuna ,  data  da'  possessi  immobili ,  non  pervengono.  Senz'  esser 
punto  dotti  in  economìa  si  capisce,  come  la  lavorazione  e  il  Ira- 
sporto  aggiungano  valore  a'  prodotti  della  terra,  e  come  nella 
pcnnutazion  de'  medesimi  il  popolo  agricoltore  possa ,  non  roeno 
del  popolo  mercadante,  avvantaggiarsi.  In  pratica  accade  altresì 
spesso,  che  questo  dispogU  quello;  e  che  (per  esempio)  F India, 
resa  tributaria  al  commercio  britannico,  non  ne  riceva  maggior 
felicità ,  che  prima  s' avesse.  Oltracciò  il  balenare  di  tanf  oro  nd 
secolo  presente  (sebbene  non  sia  tutt'  oro  quel ,  che  luce  )  abbar- 
baglia un  po' troppo  gli  occhi.  Perchè,  quantunque  si  sappia, 
come  alla  fin  fine  cali ,  pel  suo  aumento,  il  suo  pregio;  pur,  Ch 
cendosi  ora  con  tanta  facilità  conti  di  milioni  e  di  bilioni,  si  si 
crede  ricconi  sfoudolati,  quando  appunto  si  corre  il  ìrischio  dei 
re  Mida.  Il  qual  re,  per  chi  noi  ricordasse,  avendo  impetrato 
da  un  ospite  dio,  di  poter  cangiare  in  oro  tutto  ciò,  cui  toccasse, 
vide  cangiate  in  questo  metallo  sin  le  vivande,  con  cui  dovvi 
sfamarsi.  Il  suo  pregio  del  resto,  già  ridotto  or  son  più  di  tre 
secoli  a  un  terzo  dalle  miniere  peruviane  e  da'  galeoni  ispanici,  e 
poscia  vie  più;  ci  fa  p^irere  ora  inezie  i  mucchi  di  fiorini  de'Baìrii 
e  de'  Peruzzi,  de'  Medici  e  degli  Strozzi,  che  non  lo  erano  punlo 
relativamente  a'  lor  tempi.  Onde  in  molte  città  si  dice  la  fortui 
cresciuta,  unicamente  perchè  cresciuta  la  pecunia;  senza  nemmaneo 
badare ,  come  la  sia  distribuìui  e  diffusa.  Che,  se  a  quest*  uUma 
circostanza,  eh'  è  la  più  essenziale,  si  bada;  scopresi  tosto,  tpodei 
colossali  palriiiioni  facciano  deserto  intorno  di  squallida  povertà. 


-  375  - 


GCLV.  Kali  eoonomioi  d'Inghilterra. 

E,  poiché  in  questo  tema  delle  dovizie  odierne  esempi  non 
si  potrebbon  addurre  più  eloquenti  o  più  gagliardi  degl'inglesi; 
cosi  voglio  anche  qui  a' nostri  borghesi  compiacere ,  che  gli  usa- 
no sempre  e  per  gravi  ragioni ,  in  luogo  di  quelU  di  casa  propria. 
Sebbene  in  Inghilterra  l'opulenza  sia  maggiore,  che  in  verun 
altro  angolo  del  globo  ;  e  d' altra  parte  la  proprietà  prediale  ga- 
reggi  colà  d' importanza  con  la  mercatura ,  siccome  V  aristocrazia 
di  possanza  colla  borghesia  (tutto  il  contrario  di  qui);  è  noto, 
quanto  dispari  e  disformi  sieno  le  condizioni  de'  ceti ,  e  quanto  la 
poveraglia  lurida  e  disperata.  Londra  sola  novera  107,280  men- 
dici,  che  fanno  alle  80,000  meretrici  degna  compagnia:  e  al  di 
fuora ,  si  negli  opilìcii  e  si  ne'  casolari ,  un'  enorme  famigUa  de' 
medesimi.  A  sfamare  i  quaU  occorre  una  speciale  e  pubblica  im- 
posizione; rimanendo,  in  onta  alla  stessa,  il  dubbio,  che  più  d'uno 
muojavi  di  fame.  La  disperazione  in  conseguenza  prese  colà  due 
diverse  forme,  secondo  il  sangue  e  la  fede ,  ne'  cartisti  e  ne'  fe- 
niani; schiacciali,  ma  non  distrutti.  Avvegnaché,  non  ostante  il 
fastigio,  a  cui  era  quella  nazione  dopo  la  caduta  di  Napoleone 
salita,  necessitò  pegl' ingenti  dispendi  e  accatti  pubblici  aggravare 
i  tributi  in  modo  sì  duro,  da  divenire  alla  sventurata  plebe  fla- 
gelli. Mentre  i  grandi  possessori  e  fabbricatori,  co'  monopoU  da- 
ziari de'  grani  e  delle  merci ,  accumulavano  tesori  ;  i  cittadini  se- 
miagiati scemavano,  i  piccioli  coltivatori  e  mercatanti  sparivano, 
e  i  proletari  cadevano  in  si  estrema  miseria,  che  il  balzello  de' 
poveri  non  bastava  ad  alleviarla.  Nel  1819,  dal  digiuno  stimolati, 
prima  si  sollevarono;  e  vennero,  a  Manchester  e  altrove,  fatti  col 
piombo  tiìcere.  Poscia  invocarono  i  suffragi  generah,  il  parla- 
mento annuo  e  lo  squittinio  segreto;  ed  ebbero  dalle  petizioni 
inesaudite  il  nome.  Questa  è  una  storia  vecchia,  dirassi  :  eppur  può 
darsi ,  rispondo  io ,  che  la  si  ripeta ,  tanto  più  che  le  circostanze 
ve  la  preparano.  Ad  ogni  modo,  lasciando  il  passato  e  venendo 
al  presente,  eccovi  là  lo  spasimo  dell'infelice  Irlanda.  La  quale, 
nel  centro  della  grandezza  europea  e  nell'  apice  della  civiltà  mo- 
derna, rappresenta  un  ceto,  anzi  un  popolo  intiero,  non  solo  po- 
Uticamente,  ma  socialmente  conculcato;  e  dallo  stesso  possente 
impero,  di  cui  è  partecipe.  Ben  più  della  diversità  di  schiatta  e 


-  376- 

dì  religione,  il  retaggio  d' un' odiosa  storia  e  d'un* antica  ingÌB- 
stizia  ^  consumata  nel  cristiano  nome ,  perpetua  ivi  ancora  Y  odio 
d'Albione.  11  possesso  vuo'  dire  della  verde  isola  in  mano  de'  goh 
tiluomini  inglesi  e  de'  preti  anglicani  ;  a  cui  i  suoi  figli ,  originari 
abitatori  e  legittimi  padroni  del  suolo,  non  debbono  essere,  che 
coloni  e  giornalieri,  e  di  stento  e  di  spregio  pasdutL  Or,  che 
valse  a  sollevargli  Y  atto  d' emancipassicne ,  mercè  cui  s' accol- 
sero neir  aula  di  Westrainster  i  lor  propri  oratori ,  e  che  il  tri- 
bunato di  Daniele  0'  Connel  e  i  successivi  conati  e  provvedimenti! 
Non  bastano  per  questo  le  servili  patate  a  nudrirgli,  e  debbono 
a  stormi ,  valicando  i  mari ,  abbandonare  le  care  patrie  zolle  e  i 
lagrimati  sepolcri  degli  avi. 


CGLVI.  Boonomia  borghese  in  Italia. 

Benché  questa  sorta  di  floridezza  sia  Y  ideale  de'  nostri  eco- 
nomisti; confesso,  quanto  a  me,  che  per  la  mia  patria  preferirei 
qualche  cosa  di  meno  splendido  e  di  più  umano.  Poiché  eglino  ad 
ogni  modo  hanno  inteso  di  trasportarla  qui,  veggiamo  adunque, 
come  vi  siano  riusciti.  Il  tema  vuol  essere  sotto  due  punti  con- 
siderato, r  economia  della  nazione  e  la  finanza  dello  stato:  ed 
io,  per  quanto  poco  mi  senta  adatto  a  questa  sorta  di  negozi,  in 
cui  sono  eglino  si  valenti ,  ho  debito  di  non  preterirne  alcuno.  Dal 
primo  de'  quali  cominciando,  ho  pur  debito  di  confessare,  che 
un  (lualche  passo  innanzi  in  alcun  ramo  d' industria  s' è  tatto, 
e  maggiori  agevolezze  allo  incedere  procacciato.  L' agricoltura  per 
verità  dorme  dell'  anterior  letargo ,  i  fallimenti  si  contano  a  ni- 
gli^ja  in  ogni  anno;  e  quelle  nazionali  manifatture,  che  s'erano 
trascinate  sino  al  cinquantanove,  languendo,  ebbero  tosto  dal  li- 
bero scambio,  da'  dazi  e  dalla  concorrenza  straniera  Y  ultimo  col- 
po mortale.  Tuttavia  le  navi,  le  fabbriche,  i  banchi,  le  compagnie^ 
le  imprese,  le  strade,  e  principalmente  le  strade  ferrate,  ebbero 
altr&sl  un  certo  sviluppo.  Non  cosi  notevole,  come  sì  sarebbe 
dovuto  da  gente  aspettare,  che  non  parlava,  se  non  di  questo,  e 
si  sarebbe  voUìta  anche  al  diavolo  per  questo  :  ma  pognamo  pure, 
che  notevole.  Pognamo  eziandio,  che  lo  avere  atteso  unicinienie 
a'  propri  interessi  sia  un  merito  ;  goduto  i  vantaggi ,  cui  Y  onìl- 
cazione  della  peiiisola  e  il  conseguente  allargamento  del  mercato 
prestavano  spontaneamente  un  merito;  profittato  delle  forze  prih 


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bliche  per  tale  intento  un  naerìto;  vuotato  Y  erario  per  opere  pub- 
bliche, la  cui  spesa  fu  spesso  spensierata  ed  eccessiva  e  il  cui 
firutto  fu  ed  è  ancora  inadeguato,  un  merito;  e  che  in  fine  il  poco 
ottenuto  in  tant'anni,  ne'  quali  anche  i  turchi  avrebbero  qualche 
cosa  ottenuto,  sia  pure  un  inerito.  In  questo  argomento  sono  di- 
sposto a  dar  loro  ogni  merito,  fin  quelli  della  pioggia  e  del  sere- 
no; perchè,  se  non  gli  sanno  far  eglino  i  buoni  affari,  oh  chi  dun- 
que gli  saprà  fare?  Tanto  più,  eh*  eglino  in  que'  loro  lunari  astro- 
logici, ossia  annuari  statistici,  provano,  come  due  e  due  ikn  quat- 
tro, che  r  Italia  è  divenuta  il  paese  di  Bengodi ,  dove  fin  le  mon- 
tagne erano  tutte  di  cacio  parmigiano.  Tuttavia  io  dubito  molto, 
non  ostanti  que'  lunari ,  e  ammesso  pure  il  predetto  sviluppo  in 
alcun  ramo  d' industria ,  che  la  prosperità  generale  siasene  avvan- 
taggiata. Anzi  ho  un  grave  timore,  dopo  averci  fatto  balenar  tanti 
gioielli  da  fate,  eh'  e'  ci  abbiano  piii  impoveriti  di  prima  ;  e  co- 
desto grave  timore  è  dalle  seguenti  considerazioni  sulle  sorti  eco- 
nomiche de'  vari  ordini  della  nostra  popolazione  abbastanza  giu- 
stificato. Imperocché,  ripeto,  non  varrebbe  il  dire,  noi  abbiamo 
tanti  bilioni  di  proprietà  stabile  e  tanti  d' instabile ,  e  tanti  milio- 
ni d' importazione  e  tanti  d' esportazione  ;  e  per  ciò  lasdo  a'  pre- 
lodali economisti  questa  sorta  di  criteri  numerici.  Ciò'  quaU  si  sa- 
prebbe, qual  è  il  valore  di  stima  della  nostra  fortuna:  quel  che 
più  preme,  il  giovamento  efièttivo,  che  ne  ridonda  all'universale, 
non  si  saprebbe.  Ora,  di  contro  alle  poche  tasche  piene,  ve  ne 
han  troppe  di  vuote,  e  ai  pochi  ventri  satolli  troppi  di  digiuni; 
per  poter  dire ,  che  il  soperchio  degli  uni  colmi  1'  abisso  degli 
altri.  Primieramente  è  un  fatto  innegabile,  che  le  famiglie  d' ogni 
ordine  e  sin  le  più  agiate,  da  quando  la  borghesia  prevalse  e 
sopra  tutto  in  quest'ultimi  diciott'anni,  dovettero  restringersi  assai 
nelle  spese,  se  non  volevano  rovinare  :  e  questo  non  è  sintomo  di 
prosperità.  Dando  poi  uno  sguardo  anche  fuggevole  a' diversi  or- 
dini, appar  manifesto,  che  una  firazione  dell'  ordine  supposto  mez- 
zano, e  principalmente  della  medesima  un  sinedrio,  potè  arric- 
chirsi non  altrimenti,  che  sulla  rovina  degU  altri.  Il  quale  fla- 
gello cominciò,  è  vero,  sin  dal  finire  deUo  scorso  seodo:  ma 
non  si  può  negare,  che  in  questi  ultimi  lustri  vie  più  si  accele- 
rasse, e  stia  per  giungere  ora  agli  stremi.  Del  clero  non  parto; 
siccome  ordine,  che  già  da  Napoleone  taglieggiato  e  (tranne 
alcuni  alti  gerarchi)  da  noi  alla  fine  dispogliato,  affoga  in 
quella  evangeUca  povertà,  nella  quale  può  disirsi,  che 


-378- 

suo  mal  grado  cristiano.  Quanto  alla  nobiltà,  vi  vuol  poco  ad 
accorgersi ,  coro'  ella  siasi  lasciata  in  men  d' un  secolo  tnr  di 
mano  quasi  tutte  quelle  facoltà ,  che  aveano  i  suoi  antenati  o  bene 
0  male  ammassate;  e  che  insieme  con  quelle  della  chiesa,  dd 
pubblico  e  de' poveri  occupavano  quasi  tutto  il  territorio  deli 
nazione.  Eccetto  alcune  famiglie,  che,  se  non  le  si  possono  pia 
dir  potenti,  meritano  almen  pel  censo  esser  dette  ancora  co- 
spicue ;  le  più  ebbero  da'  gastaldi  e  dagli  usurai  (  di  buona  parte 
della  odierna  borghesia  fondatori)  carpite  le  sostanze.  Privale 
delle  dignità  e  degli  offici ,  de'  feudi  e  de'  fedecommessi ,  costrette 
a  dividere  l'eredità  più  equamente  dal  nuovo  diritto  civile,  im- 
pedite di  spacciare  orrevolmente  le  Gglie  ne'  monasteri  e  i  cadetti 
ne' battaglioni,  non  poterono  all'urto  d'un  giusto  rivolginieiiio 
della  fortuna  resistere.  Reputando  le  armi  e  gli  studi  ciarpe  degli 
avi  rancide,  il  titolo  un  possesso,  il  nome  una  cosa,  Tozio  ob 
diritto,  r  ignoranza  un  decoro,  l' ignavia  un  vanto,  caddeco  e  ca- 
dono inonorate.  Avvegnaché ,  se  la  vera  nobiltà  non  s' acquista  e 
conserva  altrimenti,  che  nel  servigio  della  patria;  senza  diligenza 
e  masserizia  non  Uce  nemmanco  gU  aviti  retaggi  tener  fermi.  Di 
che^  chi  ne  avesse  vaghezza,  può  incontanente  accertarsi,  con- 
sultando i  catasti  0  (eh'  è  più  facile  )  percorrendo  le  vie  di  qual- 
sivoglia nostra  città,  e  chiedendo  in  quai  mani  sieno  pervende 
le  belle  magioni  crollanti,  che  ad  ogni  passo  incontra. 


GCLVII.  Catastrofe  degU  alti  eetL 

Cosi  le  terre  e  gli  edifici  d' Italia,  che  si  valutano  in  38  bi- 
lioni di  lire,  sono  per  gran  ventura  ora  fra  2  milioni  di  proprielari 
sminuzzati.  Ma,  senza  dire  de' debiti  chirografari  o  infrottileri, 
pe'  soli  mutui  iscrittivi  hanno  addosso  6  biUoni  e  500  aiiiioni  d* ipo- 
teche, che  ne  divorano,  al  sette  per  cento,  buona  parte  dell' eiilrat& 
La  qual  sorte  della  proprietà  prediale ,  mostra  chiaro,  com*  eOa  sia 
in  chi  la  possiede  apparente,  e  ridotta  in  sostanza  a  un' amticrm 
de'  cambiatori.  Se  del  resto  non  vi  fosse ,  che  un  trapasso  deDe 
ricchezze  da  una  in  altra  mano,  se  ne  potrebbe  a  certe  cob£- 
zioni  la  legittimità  e  proficuità  sostenere;  come  appunto  coloro 
sostengono ,  che  quelle  delF  antico  patriziato  pretendono  ira 
altri  ceti  spiu*pagliate.  Ora  io  non  nego,  che  in  qualcuno  le  si 
finite:  ma,  che  le  siano  altresì  equabihnente  divise  e  sopra  Mio 


-379  - 

come  rugiada  benefica  su  tutta  la  popolazione  scese,  lo  nego^ 
benché  sappia,  cbc  non  si  potrebbe  agli  economisti  piii  atroce 
smentita  dare.  Evidentemente,  se  non  le  posseggono  più  i  due 
primi  ordini,  le  dovrìano  o  dal  terzo  o  dal  quarto  essere  posse- 
dute. Pur,  dal  terzo  facendomi ,  eccettuatine  quella  frazione  e  quel 
sinedrio  poco  fa  mentovati  ;  non  pare ,  eh'  esso  stia  gran  che  me- 
glio, che  in  passato.  La  possidenza  fondiaria,  prima  ricchezza 
d'ogni  popolo  accostumato  e  solerte,  benché  avvivata  alquanto 
pel  cessare  degli  antichi  vincoli;  pure,  avviluppata  dal  cambio, 
disossata  dal  pegno  e  scaraventata  dalla  voltura,  essa  il  sospiro 
già  d' ogni  prudente  lucratore  e  d' ogni  provvido  padre,  é  caduta 
al  segno,  che  ognuno  se  ne  libera,  quanto  più  può.  Se  il  mar- 
chio ipotecario,  ond'é  quasi  universalmente  bollata,  non  avesse 
altra  causa,  come  pur  si  pretende,  tranne  i  miglioramenti  ope- 
rati, meno  male;  quantunque  sia  un  po' difficile  veramente  col 
frutto  del  tre  far  fronte  all'  usura  del  sette!  Non  temete  del  resto: 
la  borghesia  presta  a'  prodighi  e  investe  ben  meglio  il  suo  da- 
naro, che  neir  agricoltura  ;  arte  troppo  vecchia  e  troppo  onesta , 
per  poter  dare  prò'  solleciti  e  larghi  Rimangono  adunque  i  me- 
stieri e  i  traffici:  ma,  anche  qui,  tranne  l'eccezione  dianzi  fotta, 
vedete  sfarzose  botteghe  e  scrigni  desolati.  I  nostri  artigiani  e 
mercadanti  de'  tempi  andati ,  da  que'  loro  bugigattoli  ed  entro 
quelle  ribalte  tirate  su  colle  carrucole  improntavano  milioni  di  fio- 
rini ai  monarchi,  o  lavoravano  orerìe,  ms^oliche,  bronzi,  broc- 
cati, arazzi,  che  fomivan  le  corti  e  i  manieri  d' Europa.  So,  ch'e- 
rano un  po'  troppo  ruvidi  e  brontoloni ,  e  che  aveano  anche  queUa 
fantasticheria  di  cominciare  ogni  salmo  coli'  antifona  deUa  masse- 
rizia (come  il  buon  Àgnolo  Pandolfini  ),  mentre  ergevano  per  la 
patria  quelle  moli  a  modo  romano.  Nondimeno  ora  la  eleganza 
é  cresciuta:  il  polso,  come  dicono  i  borghesi,  il  polso,  no;  e,  a 
ben  guardare ,  in  tanto  lusso,  le  minute  arti  e  i  minuti  commerci 
sono  senz'  altro  minati.  Lascio  stare  i  cosi  detti  bazzarri  e  le  aste 
e  le  lotterie  private,  che  surrogano  un'industria  vaga  e  zarosa 
alla  ferma  e  costante.  Lascio  i  giuochi  di  borsa,  le  speculazioni 
aleatorie,  i  banchi  usuratici,  le  società  anonime  per  prosciugare 
gli  umidi  tenimenti  dell'  Oceano  o  per  iscavare  le  miniere  argen- 
tifere della  Luna;  e  le  liquidazioni  e  gli  stralci  e  i  (àUimenti, 
che  ne  conseguitano.  Tutto  ciò  per  noi  profani  é  una  fantasma- 
goria, di  cui  non  si  capisce  nulla:  e  in  cui.  per  altro,  se  vi  ri- 
mangono molti  pesciolini  presi,  qualche  pescatore  tende  l'amo 


-  380  - 

utilmente.  Dico  soltanto,  che  in  tal  guisa  uo  ceto  di  mezza  for- 
tuna vero,  e  cioè  numeroso  e  agiato,  non  e'  è  ;  e  clie  anzi ,  men- 
tre si  dice ,  che  con  la  borghesia  nacque ,  precisamente  per 
di  essa  spirò. 


CCLVUI.  DisparMone  delle  aatiolie  di 

Io  ho  in  altro  luogo  presentato  V  inventario  delia  nostra  cosi 
detta  ricchezza  mobile ,  il  quale  certamente  è  inferiore  alla  resdti; 
ma  pur  mostra ,  che  non  si  nuota  neir  abbondanza.  Lo  scorso 
anno  importammo  di  merci  per  1154  milioni  di  lire,  mentre 
n'  esportammo  per  966  :  e  sopra  tutto  esportammo  le  stille  dd 
nostro  stesso  sangue  nelle  caterve  di  buoi  e  nelle  cataste  d' oofa, 
di  cui  assottigliammo  il  nostro  già  si  parco  alimento.  Né  vuo'  twe 
tra  tanta  miseria  un  confronto  e  V  opulenza  degli  avi  nostri  dd 
XIII  al  XIV  secolo,  che  naturalmente  sarebbe  troppo  sconf»*- 
tante.  Prendendo  il  tempo  peggiore  (cioè  lo  scorcio  del  secolo 
passato,  quando  appunto  fé'  capoUno  la  plutocrazia  ),  si  vedri,  che 
il  pessimo  è  succeduto  di  poi.  Che  a  sentir  certa  gente  il  ceto 
di  mezza  fortuna  sorse  allora,  e  ci  fu  portato  di  Francia,  ed  è  da 
questa  borghesia  costituito:  io  in  vece,  ripeto,  che  precisameoie 
in  quel  torno  fini.  La  causa  della  discrepanza  sta  nel  confondere 
la  borghesia  presente  colla  cittadinanza  precedente,  e  nello  affib- 
biare la  giornea  di  borghesi  a  una  minutaglia,  che  non  ne  è,  die 
il  mal  trattato  codazzo.  Nel  senso  letterale  siamo  tutti  borghed, 
poiché  questa  voce  non  vuol  dire  in  italiano,  che  cittadini:  dò 
non  ostante  la  borghesia  (chiamiamola  pur  alta,  se  vi  piace), 
come  ordine,  come  potenza,  come  tirannide,  non  è,  che  di  aloai 
pochi.  Essa  è  dunque  un  baronaggio  alzatosi  principalmente  dd 
ceto  mezzano:  il  quale  per  altro  le  sottostà  non  meno  degli  altri; 
e  venne  vie  più  ora  assottigliato  e  stremato,  che  nel  sopraddeoa 
scorcio  non  fosse.  Di  fatti  allora  questo  ceto,  cui  si  dieea  cìMa- 
dinescoj  coraponevasi  di  tutti  coloro ,  che ,  non  essendo  nobili  e 
insieme  non  rustici  e  non  avventizi,  godevano  in  ogni  oomoM  b 
civiltà,  ossia  le  prerogative  d'oriundi.  E  formavano  veruDeMe 
ne' medesimi  un  terzo  ordine  (tra  noi  secondo ),  eh' era  ne'ceatti 
urbani  il  più  rilevunto.  Di  regola  attendevano  a' mestieri  ed  a*  traf- 
liei,  benché  eziandio  alle  professioni  liberali  ed  anco  alle  Ctflorie 
campestri.  Mentre,  oltre  la  bottega,  avendo  quasi  tutti  casa  e  pode- 


-381  - 

retto,  trovavano  io  tal  grado  appunto  una  sarte  media j  deUa 
quale  erano  paghi.  Perchè,  quantunque  non  potessero  portare  Io 
spadino  e  gli  altri  ninnoli  de'  cavalieri ,  e  fossero  in  quella  spi- 
rante oligarchia  da' sommi  magistrati  del  comune  ammoniti;  si 
pavoneggiavano  delle  lor  corporazioni  d' arti ,  e  de'  propri  statuti, 
massai  e  gonfaloni.  E,  sebbene  non  potessero  cosi  agevolmente, 
come  i  borghesi  ora,  infrangere  le  dure  chiostre  sociali,  tanto  e 
tanto  ivano  di  quelle  prerogative  superbi  Anzi  un  po'  di  targa  e 
d'arbore  genealogico  se  lo  dipingevano  anch'essi  a  lor  modo; 
e  i  più  astuti  agli  aulici  ministeri  salivano,  e  i  più  avventurati 
nel  libro  d' oro  de'  consigli  comunali  e  per  sino  della  veneta  ari- 
stocrazia giungeano  a  scriversi.  Il  qual  ceto  cittadinesco  (eh' è 
forse  il  più  nobile  e  il  più  antico  d' ItaUa  e  del  mondo,  perchè  io 
massima  parte  disceso  dagl'  indigeni,  vendicatisi  a  libertà  da'  bar- 
bari invasori)  io  non  dico,  che  cost  dimezzato  e  chiuso  si  do- 
vesse conservare.  Certo  fu,  al  par  degli  altri,  dalle  democratidie 
fanfaronate  dell'  ottantanove  illuso  e  deluso,  e  dalla  borghesia  so- 
praggiunta scavalcato  e  annichilito. 


CGLIX.  Peggioramento  del  buio  ooto  irbano. 

Rimane  il  quarto  ceto,  al  quale  fu  nelle  città  la  cessazione 
delle  corporazioni  d'arte  funesta  assai  più,  che  propizia.  Impe- 
rocché non  vi  ha  dubbio,  che  il  privilegio  su  cui  le  fondavansi, 
non  fosse  alla  libertà  privata  non  meno,  che  alla  prosperità  pub- 
blica contrario.  Pur,  non  avendosi  sostituito  niente  di  meglio,  ne 
venne,  che  gli  esclusi  dalle  medesime  non  meno,  che  i  partecii», 
divenissero  vassalU  o  servi  della  novella  signoria.  Che  tanto  e  tanto 
valevano  quelle  a  dare  certa  stabilità  alla  volubile  fortuna,  a  raf- 
frenarne gr  impeti  e  i  capricci,  a  contenere  maestri  e  lavoranti  in 
alcuna  forma  d' assetto  fraterno,  a  regolare  1'  esorbitanze  e  l' in- 
giurie della  concorrenza  economica,  e  a  non  lasciar  prive  di  diritti 
aflEatto  le  urbane  plebi.  Onde  ricorrono  oggi  press'  a  poco  le  due 
medesime  calamità,  che  travagliarono  e  spensero  la  romana  re- 
pubblica, e  che  diedero  alle  secolari  tenzoni  per  le  leggi  de'  de- 
bitori e  per  le  leggi  agrarie  luogo.  Poiché  in  sostanza  anch'  oggi 
r  usura  va  ingoiando  il  possesso  territoriale,  e  l' industrialismo 
cangiando  in  servile  la  Ubera  popolazione.  E  come  i  latifondi  aveano 
sostituito  ai  liberi  coltivatori,  fondamente  di  quella  repubblica. 


-382  - 

branchi  di  barbari  schiavi;  cosi  questi  opiflcii  mostniosì  mutano 
in  macchine  semoventi  i  liberi  artefici,  gloria  de' nostri  comm. 
La  servitù  de'  quali  e  de'  proletari  in  generale,  forma  odiema  della 
questione  sociale ,  non  si  avverte ,  se  non  perchè  da  giuridica  è 
divenuta  (che  in  pratica  fa  lo  stesso)  economica.  Gessando  adwh 
que  quelle  corporazioni  ed  altrettali  cose,  dovettero  i  {hù  ddl'  or- 
dine cittadinesco ,  cioè  i  maestri  d' arte ,  farsi  clienti  ddli  bor- 
ghesia ;  0  senz'  altro  patire  una  diminuzion  di  capo,  passando  nd 
quarto  ceto.  Quelli  del  quarto,  cioè  i  lavoranti,  q)rofondare  nelle 
inaudite  sofTerenze  degli  attuali  operai  ;  la  cui  sorte,  benché  gia- 
ridicamcnte  più  libera,  economicamente  più  servile,  non  si  può  a 
quella  degli  antichi  lavoranti  comparare.  I  quali  alla  fin  fine,  d- 
togati  in  private  officine,  provveduti  di  arbitri  nelle  contenziom  dd 
lavoro  col  capitale,  sicuri  di  non  perdere  i  mezzi  di  sostentamento 
e  lusingati  di  superare  i  gradi  del  tirocinio  magistrale,  erano  data 
matricola  deir  arte  protetti.  Onde  si  noti  bene,  che  in  Inghiltemu  ia 
Austria  e  in  altri  luoghi,  dove  i  diritti  storici  d' ogni  specie  noa 
furono  affatto  dalla  borghesia ,  come  qui ,  cancellati  ;  qaalcbe  ve- 
stigio di  tali  istituti  si  mantenne  o  si  riprese.  Qui,  mentre  elh 
provvede  agV  interessi  del  capitale  co'  suoi  tribunali  e  eoDe 
sue  camere  di  commercio,  e  con  tutti  inoltre  gli  ordini  ddo 
stato,  cui  avventura  ne'  suoi  rischi  ;  di  creare  giudici  e  tutori  al 
lavoro  non  si  curò  punto.  Questo,  unica  fonte  legittima  del  ea* 
pitale,  e  supremo  capitale  esso  stesso,  è  considerato  nn  travaglio 
da  ergastolo  a  segno,  che,  se  gF  indifesi  e  traditi  artigiani  si  ra- 
dunano per  moderar  Y  oppressione  de'  fabbricatori  o  per  provve- 
dere altrimenti  all'  abbandono  delle  leggi ,  incontrano  di  sciope- 
rati e  di  sediziosi  la  pena.  Che,  se  non  è  si  grave  qai  la  lor  ' 
sorte,  come  altrove,  non  è  per  pietà  maggiore,  che  si  senta  di  loro; 
non  ne  avendo  mai  alcuna,  né  in  alcun  luogo  la  rabbiosa  Cune 
deir  oro.  Sì  unicamente  perchè  qui  la  danarosa  oligarchia,  inetta 
anch'  essa  e  inflngarda,  non  seppe  ancora  sopra  la  tacile  e  eom- 
moda  usura  estollersi.  Tuttavia  anche  qui,  ne'  radi  siti,  dove  ac- 
cenna ad  imitare  l'oltramontano  industrialismo,  ergendo  opìfidi 
mostiuosi,  issofatto  pari  frutti  produce.  Che  una  moltitudine  cioè 
d' infelici,  ineitaUìvi  dalla  speranza  e  astrettavi  dal  bisogno,  si  ac- 
calchi intorno  pallida  e  consunta,  incerta  del  dimani,  priva  ddfe 
domestiche  gioje ,  e  fin  tal  volta  d' aria  e  di  luce. 


-383- 


GCLX.  Peggioraniento  del  buio  00(0  ruttet» 

Per  altro ,  sebbene  gr  italiani  vivano  meglio  inurbati  degli 
stranieri,  si  potrebb'  anco  prescindere  dal  quarto  ceto  cittadino; 
per  considerar  quello  delle  campagne,  dove  ha  stanza  la  massima 
parte  della  popolazione.  H  quale  ultimo,  a  sentir  certuni,  la  rivo- 
luzion  francese  e  il  napoleonico  impero  avrebbero  redento;  non 
avendo  naturalmente  obbligo  costoro  di  studiar  le  cose  nostre. 
Né  di  sapere,  che  il  servaggio  rustico  era  fra  noi  sin  dal  XUI 
secolo  estinto,  che  il  feudahsmo  non  potè,  se  non  in  alcuni  punti 
della  penisola  attecchire  ;  e  che  anche  le  angherie  baronali  erano 
qui  ben  prima,  che  oltre  monti,  in  generale  dimenticate.  Ad  ogni 
modo  la  condizione  de'  contadini ,  pur  durando  le  decime  e  i 
censi  e  le  prestazioni  personali,  e  tutte  le  altre  reliquie  semiser- 
vili 0  semifeudali,  non  era  in  Italia  effettivamente  più  aspra  d' oggi. 
Perocché,  vivendo  in  numerose  fanuglie  patriarcsdi,  e  fisse  eredi- 
tariamente al  suolo,  stavano  bene  attenti  di  fare  profondissimi  in- 
chini agr  illustrìssimi  padroni.  Ciò  non  ostante,  aveano  una  sorte 
più  ferma;  e,  pagando  di  derrate  0  di  giornate  que' canoni,  del 
resto  tenuissimi,  si  erano  in  sostanza  della  metà  de' fondi  quasi 
impossessati.  Ed  io  ho  un  forte  dubbio,  che  nel  sopraddetto  scor- 
cio molti  di  questi  contadini,  non  possedendo  rogiti  per  documen- 
tare le  proprie  ragioni,  né  polii  a  suiQcienza  per  satollare  quegli 
avvocati  storcileggi  e  azzeccagarbugU  d' allora,  fossero  colla  infinta 
e  col  cavillo  democraticamente  ingannati  e  spogliati  Giacché  in 
quelle  immense  terre  novali  della  chiesa  e  della  nobiltà,  V  antico 
vincolo  della  gleba  erasi  grado  a  grado  col  dissodamento,  se  non 
di  diritto,  di  fatto  in  una  specie  d' enfiteusi  0  di  locazione  eredi- 
taria cangiato.  Dalla  qual  condizione ,  cui  un'  immemoriale  e  ve- 
neranda consuetudine  suflragava,  vidersi  a  un,  tratto  tramutati  a 
quella  di  mezzadri  0  terzajuoli  (  non  più  livellari,  ma  semplici  con- 
duttori ),  quasi  senz'  accorgersi.  Se  per  codesto  legale  assassinio  (  di 
cui  naturalmente  nessuno  fra  tanti  avvocati  ora  si  cura  )  il  medio 
ceto  rurale  dovette  sotto  le  forche  caudine  della  moderna  bor- 
ghesia passare;  almeno  che  avesse  potuto  nel  rt$stico  pròkiar 
riato  trovare  alcun  sollievo!  In  vece,  tranne  in  certe  zone  del 
territorio  nostro  (come  Piemonte,  Romagna  e  Toscana),  ove  la 
colonia  parziaria  e  meglio  T  affittanza  consentono  un  po'  di  re- 


-384  - 

frjgerìo,  sopra  tutto  perchè  o  la  terra  non  ammette  vasta  coltim 
0  l'opera  vi  aggiunge  gran  pregio;  anche  il  quarto  ceto  rurale, 
eh'  è  dire  la  porzione  maggiore  del  popolo,  vìve  nella  più  squal- 
lida miseria.  Dirò  appresso,  discorrendo  delle  regalie,  cooie  il  fi- 
sco borghese  ne  lo  abbia,  insieme  a  tutto  il  rimanente  de'  citta- 
dini, flagellato  e  aflamato.  Non  considerando  qui,  che  il  mofi- 
mento  spontaneo  della  nazionale  economia,  certo  dì  niente  b  sdì 
fortuna  s' è  avvantaggiata.  Né  in  tante  ciarle  filantropiche  e  libe- 
ralesclie,  ninno  ha  pur  pensato  a  sollevarlo,  ninno  a  soccorrerio, 
ninno  (  per  non  disturbarsi  troppo  )  a  compiangerlo.  Nelle  risqe 
lombarde  s' impazza  e  si  muore,  come  prima,  di  peUctgra  ;  e  nd- 
r  agro  romano  e  nelle  maremme,  come  prima  di  febbre.  Mentre 
in  queir  appennina  chiostra,  ove  fu  già  il  Sannio,  ed  ove  ona  ro- 
busta stirpe  non  si  sfìniva  mai  d' armar  legioni  contro  a  Roma,  e 
in  altre  terre  altrici  già  di  liberi  agricoltori  e  di  liberi  guerrieri, 
vagano  ora  sollnghi  falciatori  e  semiselvaggi  caprai,  di  cui  fio 
quasi  r  aspetto  non  è  più  umano. 


CCLXI.  Sorte  misorrima  de*  oontadinL 

Ma  posso  io  in  alcun  modo  esprimere  la  condizione  rerim 
de'  bifolclìi,  de'  pastori  e  de'  giornalieri  in  quel  giardino  d' Italia. 
che  dal  Garigliano  al  capo  Spartivento  distendesi  ?  Credete,  o  pie- 
tosi lettori,  non  vi  voglia  un'  oppressione  spietata,  un  dolore  stn- 
ziante,  un  odio  immane,  per  costringere  in  tanta  fertilità  di  snob 
e  in  tanto  sorrìso  di  cielo  uomini  di  natura  tenera  e  di  s\*egiiaio 
ingegno,  sobri  e  docili  sino  al  proiligio,  a  divenir  jene?  Pure, 
mentre  a  ninno  de'  nostri  danarosi  oligarchi  o  de'  loro  verboa 
mandatari  venne  in  mente  di  proporre  un  temperamento  equOy 
che  correggesse  quella  iniquità  legale  ;  non  si  pensò,  che  a  dar 
C4iccie  e  a  metter  taglie,  appunto  come  si  usa  contro  le  bdre 
feroci.  Se  i  reggitori  dello  stato  avessero  assunto  essi  li  prol^ 
zinne  di  quogr  infelici,  e  si  fossero  affrettati  a  dir  loro  con  imiiB 
accenti,  che  la  republ)Iica  è  madre  di  tutti,  ricchi  e  poveri,  af- 
venturati  e  oppressi  ;  ma  inoltre  de'  poveri  e  degli  oppressi  tatriee 
e  rivrndicatricc.  Se,  agli  umani  accenti  i  romani  atti  ooogio- 
gondo,  avessero  a  Umte  terre  incolte  d'Italia  badato,  e  di  tirii 
boni  incamerati  e  dilapidati  profittato;  e  gli  avessero  in  esfUeofl 
o  altrimenti  fra  tutti,  che  chiedean  pane,  compartiti.  Se  dato  a 


-  385  — 

costoro  avessero  per  padri  e  per  duci  i  veterani  delle  patrie 
guerre  (a  pagare  i  cui  bracci  monchi  vi  è  per  lo  meno  altret- 
tanto debito,  che  a  pagare  la  rendita  pubblica  consolidata),  si 
sarebbe  meno  sangue  e  meno  moneta  versato,  che  nell'orrida 
guerra  servile  del  mezzogiorno;  la  quale  potrebb' esser  pro- 
dromo d'altra  maggiore  e  peggiore.  E  si  possederebbe  ora,  in 
maggesi  deserti  e  in  paludi  insalubri,  qualche  nuovo  distretto  col- 
tivato e  abitato;  e  sopra  tutto  una  gran  famiglia  di  figli  della 
repubblica,  che  avrebberla  benedetta  e  adorata,  e  sarebbero  stati 
del  riscatto  nazionale  testimoni  perpetui  e  campioni  giurati.  Co- 
taU  romane  anticaglie  non  possono  alla  borghesia  moderna  pia- 
cere: la  quale,  piuttosto  di  richiamare  nello  stesso  agro  romano 
una  moltitudine  da  tutta  Italia,  che  cinga  la  capitale  e  attesti  fin 
coi  commisti  idiomi  V  indissolubilità  de'  mutui  legami  e  il  bat- 
tito de'  cuori  concordi ,  ne  farebbe  una  fattoria  inglese  o  una 
soccida  mondiale.  Tuttavia,  mentre  colà  e  altrove  non  fece  ella 
niente,  nò  volle  in  veruna  guisa  esser  gravata  a  prò  delle  plebi 
nisticane;  impose  bene  per  proprio  discarico  a  tutto  il  popolo 
gravezze,  che  prima  non  conosceva.  E,  mentre  non  avrebbe  osato 
dividere  e  livellare  i  latifondi  de' privati  per  pubblica  necessità 
e  con  pubblica  indennità,  non  si  peritò  d'  usurpare  al  popolo 
stesso  i  comuni  averi  e  di  dissipargli  nel  modo,  che  fra  breve 
racconterò. 


CCLXII.  Migrazione  de' contadini  all'esterno. 

Cosi  accadde,  che,  non  essendo  slato  porto  aJ poveri  delle 
ciiu'i  e  de'  contadi  sollievo  da'  vecchi  mali,  ma  la  jattura  loro  es- 
sen<lo  accresciuta  per  le  imposizioni,  usurpazioni  e  dissipazioni 
sopra^^giunte  ;  non  possano  più  sopportare  o  sfuggire  il  crudo  de- 
stino, che  abbrutendosi  o  esulando.  Imperocché,  se  fln  la  questua 
è  divietata  con  pene  e  la  mendicità  sospettata  con  bandi,  non  so- 
pravanza ai  più  altro  scampo,  che  di  contaminarsi  fra  le  strette  del 
bargello  o  di  perdere  la  cara  libertà  ne'pubWici  ricoveri;  i  quali 
del  resto  non  bastano  più  a  tanto  bisogno.  Quelli  poi  tra  loro,  e 
sopra  tutto  i  miseri  coloni ,  che  queste  mura  erette  da  un'  im- 
provvida, quanto  arcigna  carità  paventano  come  una  prigione; 
debbono  seiiz'  altro  sbarbicarsi  dalla  materna  terra  con  uno 
schianto,  che  non  si  può  chre  quanto  agl'italiani  costi.  Mentre 

25 


-386- 

essa  potrebbe  assai  più  abitatori  conteDere  e  nudrire,  ned  anzi  io 
alcun  luogo  bastano  le  braccia  alle  agrarie  cure,  non  è  oeru- 
mente  per  ragioni  naturali ,  eh'  e'  partano.  Se  a  dò  arrogesi,  b 
stirpe  nostra  essere  cosi  al  suolo  avvinta,  che  la  scoverta  d'A- 
merica passò  per  noi  vana,  e  che  tutt'  ora  i  nostri  oltre  noonla  e 
oltre  mare  migrano  quasi  tutti  col  fermo  pensiero  o  col  segreto 
desio  di  rimpatriare  dopo  pochi  anni  ;  di  leggieri  si  capisce,  come 
solo  un  grande  flagello  ve  gli  spinga.  Ned  io  biasimo  del  resto 
la  partita  dolorosa  di  questi  fratelli  ;  né  vincolo  alcuno  approverei, 
con  cui  si  volesse  di  giunta  vessargli.  Cerchino  anzi  la  cara  li- 
bertà altrove ,  e  altre  terre  ;  poiché  queste  son  divenute  agli  sveiH 
turati  si  crudeli,  e  ai  generosi  si  funeste.  Ma  potessero  almeno 
partire  co'  sacri  riti  degli  avi  e  co'  patrìi  penati ,  e  piantare  su 
quelle  lontane  spiaggie  il  vessillo  della  patria;  acciocché  fossero 
sempre  alla  medesima  congiunti,  e  della  medesima  vigili  scoile! 
Per  opposito ,  noi  avevamo  già  nel  1871  in  contrade  straniere 
476,  4U3  connazionali ,  e  poi  questo  numero  crebbe  e  cresce  (giac- 
ché nel  1876  ne  migrarono  108, 807) ,  senza  che  ancor  sapessimo 
dedurre  una  sola  colonia  civile.  Né  parlo  degU  scali  di  Levante, 
ove  i  sudditi  del  regno  d'Italia  hanno  ora  assai  meno  reputaziOM, 
di  quella  si  avessero  dianzi  i  sudditi  divisi  delle  picciole  donùiia- 
zìoni  anteriori  ;  e  la  vanno  vie  più  perdendo.  Quel  quarto  di  mi- 
Uoue  d' iudiani ,  che  migrò  quasi  tutto  dopo  gli  ultimi  eventi  il 
di  là  (Icir  Atlantico ,  vive  colà  confuso  cogV  indigeni  o  cogli  av- 
venturieri senza  cittadinanza  e  incolato,  e  insieme  seftza  propri  sta- 
tuti e  magistrati ,  come  turba  anopima  di  ser\'i  fuggitivi.  E  noi 
basta  :  che  spesso  in  durissime  condizioni  ;  se  pur  possono  ì  nostri 
fuorusciti ,  accalappiati  in  una  tratta  di  bianchi ,  di  cui  oomiB- 
ciano  fìno  i  reggitori  nostri  ad  accorgersi,  salpare  o  approdmi, 
senza  restar  morti  nelle  sentine  o  sui  lidi. 


CCLXlll.  Arrìoohimento  partioolare  a  danna  uimaali. 

Fatto  è,  che,  mentre  il  Belgio  produce  20  ettolitri  di  tira- 
mento per  ettaro ,  la  Germania  26  e  V  Inghilterra  32  ;  Y  Ililii, 
contrada  eminentemente  agricola ,  ne  produce  solamente  da  10  al 
11.  Mentre  la  vita  media  in  Francia  é  di  39  anni,  in  Inghillem 
di  40  e  in  Norvepa  di  48  ;  in  Itaha ,  contra<la  saluberrimi  per 
natura,  è  di  31.  E  qui  T alimentazione  già  da  lunga  pesa  iasof- 


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lìcieDte  a  una  vigorosa  e  fervida  salute,  è  cotanto  scarsa  ora,  da 
minacciare  un  deperimento  della  specie;  siccome  i  400,000  pel- 
lagrosi, 0  alTetti  di  fame  cronica,  attestano.  Le  quali  cifre,  se  non 
indicano  una  grande  infelicità  di  condizioni  materiali  tra  noi,  io 
non  so  quali  altre  occorrano  a  coloro,  che  non  credono,  se  non 
alle  cifre.  Poiché  adunque  non  i  ceti  alti,  non  i  bassi,  e  nem- 
manco  la  porzione  maggiore  del  mezzano;  cioè  non  preti,  non 
gentiluomini,  non  operai,  non  agricoltori,  non  proletari,  e  nem- 
manco  i  possessori,  mercadanti  e  artefici  modesti  hanno  guada- 
gnato niente,  oh  dov'  è  dunque  ita  Y  economica  prosperità,  che  si 
strombazza  a'  quattro  venti  ?  E ,  dopo  avere  soffocato  tutt'  i  senti- 
menti nobili  sotto  r ignobile  appetito  del  guadagno,  abbandonati 
tutt'i  numi  pel  dio  Zecchino,  sacrificato  alla  proprietà  tutti  gli 
altri  istituti  sociali,  converso  tutt'i  servigi  civili  alla  ricchezza, 
degradato ,  falsificato ,  snaturato  lo  stato  al  punto ,  di  non  essere 
divenuto,  che  una  gran  borsa  di  commercio,  della  quale  i  magi- 
strati sono  i  sindaci,  i  legisti  i  sensali,  i  soldati  i  guardiani,  oh 
qual  frutto  dunque  si  è  ottenuto  ? . . .  Vi  vuol  poco  omai  a  com- 
prendere, che  da  un  secolo  in  qua  un' avida  e  c^tuta  confredp- 
glia^  valendosi  di  democratiche  e  liberalesche  lustre,  distrutti 
prima  i  superiori  ceti  coirajuto  degl'inferiori,  si  è  poscia  agli 
uni  e  agli  altri  sovrapposta.  Promulgando  quindi  leggi  ispirate 
air  utiUtarismo,  all'individualismo  e  a  quegli  altri  concetti ,  eh' io 
sopra  esposi  nella  descrizione  dello  stato  borghese ,  dissolvette  gli 
antichi  patrim'oni  e  agevolò  il  procacciamento  de'  nuovi.  Pretermet- 
tendo alla  fine  l'equa  distribuzione  de'  doni  della  fortuna,  e  la- 
sciando senza  freno  il  rovinio  della  speculazione  economica,  s'è 
insignorita  di  tutto  :  e  fruisce  ella  sola  una  prosperità  ;  la  quale , 
dato  che  sia  sua,  non  si  può  dire  più,  che  sia  pubblica.  Cosi  gli 
averi  cangiarono  i  padroni  solamente:  e,  siccome  gli  anteriori 
erano  liberali  e  cortesi,  e  i  presenti...  quel,  che  si  è  visto;  nel 
cambio,  tranne  che  questi  ultimi  fossero  o  più  legittimi  o  più  nu- 
merosi, non  pare,  si  sia  guadagnato  niente.  Se  non  che,  quanto 
alla  legittimità ,  se  questa  sembra  da  un  lato  assistergli ,  poiché 
non  formano  ordine  chiuso  (  e  cioè  può  in  certe  circostanze  ognuno 
seco  loro  imbrancarsi);  dall'altro,  se  si  considera,  che  sorta  di 
mezzi  vi  vogliano  e  che  istinti  e  che  avvedimenti  per  penetrar- 
vi, quella  diviene  assai  contestabile.  Io  per  me,  appena  ebbi  il 
lume  di  ragione  e  m'accorsi,  che  per  essere  in  questo  tempo 
avventurati,  per  vivere  nella  cosi  detta  realtà  e  per  vantarsi  uo- 


-388- 

inini  pratici ,  bisognava  rinunciare  a  corte  facoltà  dell'  aniaui ,  aw 
voltolarsi  nel  fango  e  stimar  la  frode  una  quintessenza  della  sag- 
gezza ;  non  istetti  un  momento  in  forse.  Mi  decisi  tosto  di  pav 
sare  per  uno  smemorato,  per  uno  stravagante ,  per  uu  sogoatore, 
per  un  ipocondriaco  e  per  uu  misantropo  ;  e  mi  dorrebbe,  lira  tanti 
furbi,  di  non  essere  reputato  un  balordo.  Cosi  almeno, 

(c  Me  non  nato  a  percotere 

Le  dm*e  illustri  porte, 

Nudo  accorrà,  ma  libero 

Il  regno  della  morte  ». 
Alcuni  altri  in  vece ,  seguendo  la  detta  ventura ,  realtà  e  pratici, 
0  montando  sulla  ruota  della  fortuna  o  rimanendone  stritolati, 
mettono  fin  la  coscienza  per  ultima  |>osta  ;  e  il  più  delle  volte  per- 
(lonla  a  brandelli.  Perchè  certo  il  lavoro  e  il  risparmio  (cose  vir- 
tuose )  possono  sino  a  un  certo  punto  arricchire ,  e  la  sorte  vie  piii 
0  il  lienofìcio  alti'ui  :  ma  in  tutto  ciò  vi  è  un  limite  naturale.  Le 
improvvise  v.  mostruose  dovizie  in  genere  non  si  spiegano  senz' al- 
meno un  po'  di  sistematica  durezza  verso  i  soggetti ,  di  facile  ac- 
condiscendenza  verso  gli  siìcnsierati,  d  intensa  occupazione,  d*iih 
<lefessa  locupletazione,  di  spirituale  angustia,  d'insaziabile  ingor- 
dia  ,  di  gretta  cordiahtà  o  di  relativa  sordidezza.  Ciò  «indie  nel 
supposto ,  che  la  frode  non  ci  entri  punto  ;  né  che  si  faccia  coOe 
arn^nde  o  co'  monopolii  un  mercato  della  patria  o  della  miseria. 
Ma  dite  voi,  se  non  sia  allo  irrevocidnle  decreto,  che  i  seni  fe- 
deli inuojano  ]»overi;  e  se  non  sieno  più  cauti  que*  commessi  «li 
banco  0  garzoni  di  Imttega,  che  sogguardano  ogni  tanto  e  allec- 
ireriscono  le  ciotole  del  soverchio  peso  ! 


CCLXIV.  Nuora  e  ibrida  speoie  di  baronag^ia. 

lo  vo  (x^nsando,  che  storia  misteriosa  sarebte  quella  di  oertf 
grandi  ditte ,  si'  la  si  facesse ,  come  si  fece  quella  di  certe  granii 
pros^ipìe  :  ma,  oltre  che  non  lice  e  non  merita  occuparsene,  dm 
l>ossianio  |iresein<leme  ;  presupponendo  legittima  tutta  la  lor  for- 
tuna. Sein|)re  i»er  altro  che  si  noti,  non  essersi  con  ciò  avuto  al- 
tro, tranne  una  successione  del  baronaggio  avventizio  al  gentili- 
zio, e  delle  kìronate  pacilii^he  alle  violente.  Taluni  anzi  degli  odierni 
baroni,  cui  tutti  conoscono  e  troppi  invidiano ,  sono  lalmente  po- 
tenti, che,  a  dirla  schietti,  possono  più  de'  re.  Uuanto  alla  rim- 


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nente  baronia,  ella  in  sostanza  non  è  più  dell'amica  numerosa,' 
ed  anzi  lo  è  meno  :  onde  non  s' è ,  né  anche  per  una  maggior 
diffusione,  verun  avvantaggiamento  ottenuto.  Gonciossiachè  ella 
si  addimanda  ordine  terzo  tanto  per  dire,  e  medio  tanto  per  ad- 
dormentiir  la  gente:  ma  in  che  senso  intende  d'esser  terzo  e 
medio?  0  si  riferisce  alla  dignità  intima:  e  può  darsi,  che  sia 
inferiore  al  quarto,  e  a  tutti  gli  altri  ordini  della  popolazione.  0 
(com'è  più  probabile)  alla  ricchezza  e  alla  possanza:  e  allora, 
avendo  de'  privilegi  politici  spogliato  gli  ordini  già  superiori ,  e 
prevalendo  ella  nelle  facoltà  patrimoniaU  a' medesimi;  è  realmente 
divenuta  ordine  primo,  per  non  dire  unico,  dello  stato.  Anzi,  co- 
me s'è  visto,  in  causa  di  tale  prevalenza  sendo  ella  giunta  a 
dominare  lo  stato;  non  si  può  a  rigore  più  parlar  d'ordini:  sì 
unicamente  d'una  certa  accolta  d'uomini,  occupatrice  della  re- 
pubblica. E,  poiché  il  dominio  ora  o  direttamente  o  indiretta- 
mente non  ispetta,  che  ai  facoltosi  (e  mi  parrebbe,  non  occor- 
resse dimostrarlo  di  nuovo);  cosi,  non  dico  nel  vocabolario,  si 
nel  fatto  la  borghesia  vera  e  reale  è  di  poche  persone  costituita, 
il  cui  numero  si  assottiglia,  e  si  andrà  vie  più  assottigliando. 
Come  dunque  l'antica  aristocrazia  di  sangue  fini  a  Venezia,  Grc- 
nova  e  Lucca  nell'oligarchia  famigliare;  cosi  questa  moderna  di 
moneta,  divorando  i  suoi  medesimi  rampolli  con  saturnino  pasto, 
finisce  nel  feudalismo  industriale  e  nel  despotismo  bancario 
irremissibilmente.  Imperocché  (per  quello  almeno,  che  si  osserva 
sin  qui ,  e  non  ostante  quel ,  che  si  dice  )  la  meta  del  movimento 
economico,  abbandonato  a  sé  medesimo,  non  contenuto  da  ostacoli 
giuridici  e  da  freni  morale  e  anzi  da  tutte  le  civili  forze  assecon- 
dato, è  appunto  l' assorbimento  delle  ricchezze  in  sempre  più  po- 
chi ventricoli.  La  «  grande  industria  »  non  può  fondarsi  e  la  gara 
esterna  vincere,  che  annientando  la  minuta  e  libera;  come  ap- 
punto la  grande  agricoltura  non  potè  nel  romano  impero  contrap- 
poi*si  alla  concorrenza  egizia,  che  surrogando  schiavi  barbari 
agi'  itiilici  coloni.  Né  la  «  grande  banca  »  operare  i  cotanto  ce- 
lebrati prodigi,  che  facendo  stillare  nelle  sue  arche  i  sudori  delle 
nazioni,  o  (  jier  valermi  d' una  sua  espressione )  «  mobilizzandone  » 
ne'  portafogli  fino  i  territori  ;  come  appunto  in  Roma  i  feneratori 
avevano  i  piccioli  predii  ingojato.  La  quale  alchimia,  eh' è  il  ri- 
sultato ultimo  a  cui  giunse  o  sta  per  giungere  1'  economia  bor- 
ghese, riducendo  i  cittadini  in  sem,  lascio  considerare  altrui,  se 
sia  popolare  abbondanza. 


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CCLXY.  KianA  Urghm  ia  Ittita. 

Tutto  quello  per  altro,  che  la  plutocrazia  fece  nel  suo  idd- 
vimeuto  spontaueo  e  privato,  è  un'  inezia  in  paragone  a  quello^ 
che  con  T  azione  pubblica  e  coattiva.  L' opera  sua  del  resto  sotto 
il  primo  aspetto  si  svolse  nel  corso  d*  oltre  tre  quarti  di  secolo, 
ed  è  generale  :  mentre  che  sotto  il  secondo  è  puramente  locak  e 
recente.  E  pertanto,  dovendo  io  adesso  della  finanza  borghese, 
e  quindi  d'argomenti  parlare,  ne  quali  si  si  appressa  quasi  a 
persone  determinate,  e  onde  ne  potrebbe  la  lor  fama  soflirire; 
adempio  anche  qui  il  dovere  d*  allontanarne  ogni  sospetto,  ed  anzi 
d' afTermarne  ampiamente  Y  onestà.  Lascio  ai  vermi  e  ai  rettii 
supporre  negli  altri  esseri  la  medesima  loro  anima  vile  e  sdii- 
fosa:  a  me  non  par  vero,  in  tanta  sfiducia,  di  ritrovar  la  virtà 
e  di  renderle  omaggio.  I  reggitori  del  nostro  stato  o,  per  dir 
meglio,  della  nostra  borghesia,  ebbero  troppe  colpe  iotellettoali  e 
vere  per  aver  Catto  dell' ItaUa...  quel,  che  fecero,  senza  che  se 
n'  apponga  loro  di  morali  e  di  false.  Ammisi  la  buona  fede  loro 
fin  nel  rigettare  i  valorosi,  nel  postergare  i  benemeriti,  nel  ri- 
pudiare i  sentimenti  fieri  e  liberi ,  nell'  adottare  spedienti  e  astu- 
zie ignobili,  nel  guastare  la  gioventù,  nell' assonnare  il  popolo  e 
nel  consumare  il  massimo  eccidio  della  civiltà  italiana  premedi- 
tatamente: e  la  ammetto  anche  in  questo  tema.  Colà  amo  cre- 
dere ,  fossero  travolti  nello  errore  da*  falsi  sistemi  e  dalle  false 
scuole,  cui  seguirono;  e  sopra  tutto  d^'  avere  rinnegato  il  genio 
di  quella  patria,  cui  pure  dilessero  e  intesero  di  servire:  ma  cui 
non  si  rinnega  impunemente  mal  Qui  da  due  vizi  d*inleileUo 
ancor  più  grossolani  :  d' essersi  resi  strumenti  inconsapevoli  d' m 
geldra  spatriala,  che  si  valse  di  loro  come  di  propri  ambeOi;  e 
di  non  avere  avuto  queir  indomita  fede  nel  trionfo  immanrihite 
delle  giuste  cause ,  che  respinge  de'  malvagi  la  mano  anche  soc- 
corritrice nel  pericolo.  Chi  si  sarebbe  astenuto  in  una  reqnisiio- 
ria,  qual  è  la  presente,  di  rinfaaiar  loro  le  concussioni,  le  ml- 
versitzioni,  le  coriiizioni ,  le  baratterie  e  i  peculati,  il  cui  namero 
cresce  cosi,  da  impensierir  tutti  gravemente?  Chi  si  aslembbe 
in  (|uesto  luogo  di  parlare  della  famosa  regia  de'  tabacchi  e  d'al- 
tri tali  obietti  di  misteriose  inquisizioni,  che  dalle  aule  slesse  del 
parlamento  suscitarono  un'  eco  dolorosa?  Pure  io  non  mi  valgo 


-  391  - 

di  questa  sorta  d' argomenti  :  perchè  certo  non  sarieno  questi  mali 
giunti  a  tale  eccesso,  nò  si  sarieno  sprecati  tanti  tesori ,  s' e'  non 
si  fossero  lasciati  aggirar  da' tristanzuoli,  cui  stimarono  parecchio. 
E  se  ai  depositari  o  gestori  di  danaro  dello  stato  non  avessero 
imprudentemente  nella  penuria  offerto  troppi  stimoli  a  prevaricare, 
e  nella  infedeltà  troppe  allettative.  Tuttavia  questi  sono  manca- 
menti di  singoli  prevaricatori,  in  cui  non.  ebbero  eglino  conni- 
venza dolosa;  e  la  cui  onta  non  si  può  far  risalire  a  loro,  che 
con  manifesta  ingiustizia  e  cosciente  mendacio.  Fra  tutti  quelli, 
che  tennero  in  mano  la  somma  delle  cose,  e  che  in  tanto  mutar 
di  vicende  e  di  ordini  avrebbon  potuto  cautamente  mancare  ;  non 
puossi  d'  un  solo  addurre  esempio,  che  si  fosse  del  pubblico  era- 
rio, né  della  pubblica  azione  avvantaggiato.  I  più  ebbero  anzi 
dalle  mutate  vicende  e  da'  mutati  ordini  a  soffrir  danno  maggiore 
di  qualsivoglia  privato:  e,  reggendo  lo  stato,  ne  uscirono  po- 
veri come  vi  entrarono,  o  impoveriti  ;  sempre  incontaminati.  Che, 
sebbene  tale  incontaminatezza  sia  un  debito,  e  non  un  merito; 
guardando  quel ,  che  accade  ne'  rivolgimenti  civili  altrove ,  e  quel , 
che  quivi  intorno  a  lor  medesimi,  è  tanto  bella  e  santa,  ch'io  in 
testimoniarla  e  in  glorificarla  mi  sento  allargare  il  petto. 


CCLXVI.  Iniquità  del  sistema  tributario. 

Queste  premesse  davvero  occorrevano:  poiché,  propostomi 
di  far  passare  i  lettori  di  sorpresa  in  sorpresa,  debbo  ora  «  co- 
ronar r  opera  »,  dimostrando  e  provando,  qualmente  l'ammim- 
strazionc  finanziaria  del  regno  non  sia  stata  in  questi  diciot- 
L' anni  altro,  se  non  un  esoso  coacervamento  di  gravezze,  un  cru- 
dele riversamento  delle  spese  de'  ricchi  su'  poveri ,  un  enorme 
si)erpero  de'  pubblici  tributi ,  una  deliberata  oberazione  dello  stato, 
e  una  sistematica  dilapidazione  del  patrimonio  erariale  e  popola- 
re. Il  primo  de'  quali  rimproveri  non  parrebbe  dilHcile  a  suffra- 
gare coir  unanime  lamento,  che  non  se  ne  possa  più  :  d' altra  par- 
te, siccome  il  pagare  a  ognuno  cuoce,  bisogna  vedere,  se  quello 
sia  giusto.  Tralascierò  per  brevità  di  parlare  delle  finanze  de'  co- 
muni e  delle  provincie,  notando,  ch'esse  navigano  nel  medesimo 
mare  di  quelle  dello  stato ,  i  cui  nocchieri  cercano  d' emularsi 
in  tutt'  i  più  acrobatici  ardimenti.  Prescindendo  adunque  dalle 
rsazioni  comunali  e  provinciali,  quelle  regie  (costituite  quasi  esclu- 


-  392  - 

sivamcnte  dalle  pubbliche  imposizioni)  nelFanno  1874  raggiun- 
sero la  cifra  di  lire  1,294,205,3'35;  e  si  supponeva,  che  nel  1876 
raggiungessero  quella  di  1,321,142,386.  La  quale,  se  si  rafTroDU 
alla  somma  de'  tributi ,  che  pagavano  dianzi  gì*  italiaDi  di\isi  e 
signoreggiati,  e  c^n  cui  pur  mantenevano  sette  corti,  governi, 
eserciti,  legazioni,  e  meno  grettamente;  viene  ad  essere  in  poco 
più  di  tre  lustri  circa  raddoppiata.  È  vero,  che  in  grazia  ddb 
eccellentissima  economia  borghese,  anche  gli  stranieri  dovettero 
sopportare  sempre  più  gravi  pesi  :  d' altra  parte  a  lor  coofrOBlo 
stanno  grikiliani  {K^ggio.  Giacché,  se  i  francesi  contrìbuiscooo 
allo  stato  per  capo  lire  61  e  gF  inglesi  52,  mentre  grìuliaoi 
solamente  31;  i  tedeschi  ne  contribuisscono  2U,  e  molf  altri  po^ioli 
anche  mono.  E ,  basta  comparare  T  opulenza  di  Francia  e  Inghil- 
terra coir  inopia  d'Italia,  per  comprender  subito,  die  colà,  dan- 
dosi in  apparenza  di  più ,  si  viene  in  realtà  a  dar  molto  di  meoo. 
Fatto  sta,  che  il  limite  naturale,  a  cui  possono  le  imposizioni 
pervenire,  sembra  qui  su|)erato  al  punto,  che  certe  industrie  ooo 
poterono  vincere  la  gara  straniera,  da  balzelli  nostri  uccise, e gb 
armatori  di  navi  minacciarono  cangiar  paviglione  ;  mentre  la  }4V- 
prictà  stessa  è  stala  vulnerata.  Che  basta  considerare,  come  in 
molte  cittù  nostre  la  imposizione  regia,  provinciale  e  comuioie 
suir  estimo  urbano  tocca  o  eccede  il  quaranta  |)er  cento  della  reo- 
dita  netta;  per  accorgersi  tosto,  come  il  proprietario,  per  quasi 
una  metà  de  beni,  siasi  cangiato  in  un  semplice  e  gratuito  tu- 
tore dell  erario.  Se  poi  si  arroge  la  molUplicità  delle  grattut 
(se  ne  conta  una  quarantina},  di  guisa  che  il  più  oculato  paklne 
di  famiglia  non  è  mai  sicuro  di  dover  scontare  con  multe  le  pro- 
prie involontarie  ommissioni;  e  se  sopra  tutto  le  molestie  e  ve$- 
siìzioni,  che  le  accompagnano,  la  sorte  de' gravati  diviene  ancor 
pili  dura.  A'  quali  si  può  dire,  dia  senz'  altro  una  spietata  e  mortai 
caccia  il  iisco:  i  cui  questori,  su[)erbi  appunto  di  <c  colpire  sino 
ali  osso  »,  escogitano  ciascun  di  nuovi  ferri,  e  i  cui  procuntfori 
nuovi  empiastri,  {hm*  scarniticargli.  Imi^eroccliè ,  tratUuidosi  noi 
d'altro  ora,  che  di  «  pare^'giare  i  bilanci»,  com'ei  dicono:  da  in 
lato  r  abilità  loro  sopratlina  consiste  nel  lasciare  sprovveduti  i  lii$o- 
^'iii  più  esscn/iali  dello  st^ìto  e  manchevoli  i  servigi  più  elementari  e 
necessari;  «^  dall'  .iltro  nel  succhiare  e  diss;mguare  senza  mis(Tico^ 
dia  i  «.governati.  Né  bastando  i  sublimi  avvedimenti  tinanziari  p?r 
tale  intento;  occorre,  che  le  leggi  vengano  in  lor  soccorso,  abbanJo- 
naiHlo  quella  equità,  eh'  è  il  supremo  santuario  della  vita  civile. 


-393- 


GGLXVII.  GraTeno  diiaguM. 

iè  io  faccio  vane  declamazioni;  perchè  ognuno  pab  pren- 
in  mano  la  collezione  delle  predette  leggi,  e  vedervi  co' 
:  occhi  i  principii  della  eterna  giustizia,  che  loro  sovrasta, 
Certamente  esse  trovano  celeberrimi  giureconsulti,  che  (per 
do)  sostengono  lecito  obbligare  i  privati  a  ricever  carta  in 
di  metallo,  non  ostante  il  patto  contrario  e  la  stipulazione 
ore  ;  lecito  colpire  con  la  esecuzione  giudiziale  le  cose  altilii 
ì  il  tributario  moroso;  lecito  render  responsali  i  principali 

ncato  tributo  de'  propri  salariati  ;  lecito  addossare  ai  phr 
augnai  il  carico  d' esattori  pubblici  ;  lecito  trattenersi  sulte 
isse  somme  e  fm  ne'  dovuti  pagamenti  un  aggio  camerate , 
te  tutte  le  altre  loro  enormezze.  Poco  anzi  mancò,  si  sta- 

per  legge,  non  avere  alcuna  vahdità  i  contratti  scritti  e  gli 
Itti  civili,  i  cui  autori  non  avessero  aUa  registrazione  e  a 
[ttre  prescrizioni  fiscali  ottemperato;  e  celeberrimi  giureoon- 
H)stennero,  come  ciò  fosse  giusto.  Quanto  a  me,  che. sono 
ungi  da  siffatta  celebrità  (e  se  ne  saranno  i  miei  cento  let- 
ccorti  );  codeste  enormezze ,  ancor  che  le  si  possano  col  Dì- 
e  collo  stesso  Codice  civile  legittimare ,  le  mi  sembrano 
la  non  poterle,  pei  rispetto  sempre  debito  alle  leggi,  qua- 
e.  In  alcune  regioni  del  regno,  giunsero  per  fermo  nuove  e 
ite,  ed  alla  stessa  magistratura  ostiche  e  incomportabili:  e 
ranno  presso  i  posteri  documento  del  punto,  a  cui  osò  il 
ismo  borghese  in  Italia  pervenire.  E  ancora  non  ho  detto 
:gio  nella  materia  de' vettigali :  poiché,  oltre  eccessivi  e  ini- 
aè  anche  furono  secondo  la  diversa  fortuna  de*  cittadini , 
mente  partiti.  Mentre  si  vede  palese,  nel  secolo  presente  te 
izze  mobili  prevalere  alle  proprietà  immobili  (le  quali  si 
[ire ,  non  servano,  che  d' ipoteca  a  quelle ,  appannaggio  del- 
rna  tirannide);  si  avesse  almeno  cercato  di  sollevar  queste 
disavventura,  che  le  opprime,  benché  dieno  più  ateurtà  di 
onorati  e  d'  ottimi  cittadini  !  In  vece  di  diritto  si  adequano 
'a  noi,  sotto  le  imposte  dirette,  queste  e  quelle:  nel  dito, 
ne  i  feneratori  riversano  su'  possidenti  anche  te  loro,  ne 
,  che  questi  sieno  molto  più  gravati,  e  che  di  giunta  i  ti- 
non  paghino  quasi  niente.  Del  resto,  se  la  imposta  prediate 


-  394  - 

diede  nel  1874  un  frutto  di  189,412,923  lire,  e  l'altra  di  188,197,875; 
non  scguiUì,  che  questa  seconda  graviti  del  tutto  sulle  prcMlette 
ricchezze  mobili.  Perchè  anzi  questa  percuote  nella  maggior  som- 
ma coloro,  che  o  non  ne  hanno  punto,  o  cosi  esigue ,  da  doversi 
piuttosto  chiamare  miserie  stabilì.  Sono  in  fatti  dalla  medesinu 
principalmente  percossi  coloro,  che  traggono  o  dal  solo  lavoro  o 
dal  lavoro  arroto  al  capitale  i  mezzi  di  sostentamento;  e  sopn 
tutto  que'  pubblici  proletari,  che  hanno  il  nome  ora  di  pubblici 
impiegati.  Verso  cui  lo  stato  non  si  comporta  altramente  dì  qvd 
padrone,  che  dicesse  al  proprio  servo:  io  veramente  ti  debbo 
tanto  di  salario  ;  ma  te  ne  diffalco  tanto.  Né  te  ne  dolere,  o 
ignorantcUo ,  che  non  è  mica  un  mancamento  di  parola  ;  ou  è 
ima  «  ritenuta  » I  quaU  proletari,  e  del  pari  i  mutuanti  ipo- 
tecari (ovveramcnte  i  mutuatari  per  loro),  e  le  opere  pie  e  i  pupilli, 
per  forza  creditori  del  monte  pubblico  e  con  designazione  de'  nomi 
nelle  cedole  relative,  non  avendo  scampo  alcuno,  debbooo  di  n^ 
cessitfi  il  proprio  aggravio  soddisfare;  ed  anche  pegli  altri,  che 
lo  evitano.  Gli  altri,  cioè  i  grandi  trafficanti  o  i  grassi  cittadini, 
precisamente  possessori  di  quella  tal  dovizia,  che  dà  il  titolo  alh 
gravezza ,  e  che  sta  ne'  loro  Ubri  mastri  occulta ,  con  ingenue 
dimenlicagioni  all()  ugno  del  fisco  s' involano.  E  potè  dir  questo 
uno  de'  più  illustri  fiscali  del  mondo,  con  quella  grazia,  eh'  è  nota 
a  tutto  il  mondo,  senza  che  ninno  de'  suoi  ammiratori  degni  n^ 
cogliesse  il  guanto.  Ma  chi  avesse  vaghezza  di  cerziorarsene 
cogli  occhi  propri ,  non  ha,  che  a  riscontrare  nelF  albo,  eh'  io  già 
nientovai ,  de'  tributari  per  causa  di  mercatanzia  e  di  cambio,  Ir 
candide  denuncie  di  que'  tali  Cresi,  cui  egli  per  ventura  oooofice, 
e  di  cui  sa  gli  aimui  guadagni. 


CCIAVIII.  eraTMBe  riTersate  n'mlatraUU. 

I.)i  tal  guisa  la  borghesia,  a  cui  profitto  è  lo  stato,  per  b 
cui  tutela  questo  incontra  le  maggiori  spese ,  e  ne'  cui  forzieri  b 
contribuzione  di  tutti  alla  (ine  i)ervienc,  concorre  appena  perin 
decimo  alla  uìedesima.  Siccome  [lerò  non  bastava  a  tale  uopo 
colle  due  predette  iu)(>oste  dirette  angariare  il  possesso  fooditfio 
e  colpire  le  professioni  e  le  arti  (cioè  il  semplice  lavoro)*  e  d'al- 
tra parte  era  ella  stessei  in  (|ueste  coinvolta ,  e  bisognava  pure  ii 
qualche  moilo  nìantenere  lo  stato  suo  e  firuirlo;  nalnnilaieBie 


-  395  - 

occorsero  nuovi  e  più  portentosi  accorgimenti.  Mentre  V  antica 
aristocrazia  s' accontentava ,  che  a'  bisogni  pubblici  provvedessero 
di  regola  i  soli  possessori  di  fondi;  era  già  molto,  che  questa 
così  detta  democrazia,  proprio  essa,  giugnesse  a  colpire  il  sem- 
plice lavoro.  Ma ,  siccome  il  lavoro  non  è  per  lei  punto  un  patri- 
monio, quando  si  tratta  di  rispettarlo,  e ,  se  di  gravarlo,  lo  divie- 
ne tantosto;  ecco,  che  sotto  cotesto  aspetto  sta  in  riga.  Se  non 
che ,  esaurite  già  le  «  risorse  »  de'  patrimoni  meramente  costituiti 
dalla  mente  e  dal  braccio;  oh  che  altro  dunque  restava  da  inga- 
bellare? Io  e  voi,  lettori,  a  questo  punto,  ci  saremmo  perduti 
d'animo:  i  finanzieri  borghesi  non  si  smarriscono  per  cosi  poco. 
Essi  hanno  detto  :  fìn  qui  si  tassarono  gli  averi ,  e  noi  tassammo  i 
non  averi.  Fin  qui  si  tassava  la  ricchezza:  noi  siamo  più  sopraf^ 
fini,  noi  tassiamo  la  miseria.  Or  come  si  fa  a  strappare  monete 
da  tasche  vuote?  come  esecutar  gente,  che  non  possiede  altro, 
tranne  la  vanga  e  il  pajolo?  e  come  quindi  farle  pagar  la  tassa 
sugli  utensili,  prima  che  gU  comperi;  sulle  vesti,  prima  che  le 
indossi ,  e  sui  cibi ,  prima  che  gì'  imbocchi  ?  Risolvono  questi 
ardui  quesiti  le  imposte  indirette  appunto,  da  accessorie  divenute 
principali;  e  che  sono,  a  detta  degli  economisti  borghesi,  la  più 
stupenda  cosa,  che  abbia  il  genio  umano  indovinato.  Le  quali 
sono  per  verità  moleste  e  vessatrici  anch'esse,  e  calpestano  la 
dignità  umana  a  segno,  che  il  cittadino  deve  per  talune  lasciarsi 
frugare  da'  gabellieri  in  dosso,  come  fosse  un  malfattore  a  priori. 
Nondimeno  di  colali  frottole  non  si  tiene  più  conto  oggi;  tanto  più 
eli'  esse,  oltre  i  suddetti  pregi ,  ne  hanno  uno  incommensurabile. 
Vuo'  dire ,  che  i  gravati  non  se  n'  accorgano  ;  e  cosi  si  lascino 
dolcemente  dagli  umanissimi  camerlinghi  dispogliare,  senza  nem- 
manco  un  grido  di  dolore.  Perocché ,  se  il  solo  balzello  del  pesce 
potè  già  tanto  in  Napoli,  da  suscitar  la  rivolta  di  Masaniello; 
immaginate  ora,  che  accadrebbe  in  tutta  Italia,  se  le  più  povere 
famiglie  sapessero  di  pagare  ogn'  anno  alla  camera  pubblica  quasi 
un  centinajo  di  lire  per  ciascuna;  cioè  una  somma,  che  non  giun- 
sero mai  a  mettere  insieme  e  nemmanco  a  contare?  Non  lo  sa- 
pendo, pagano  giorno  per  giorno,  ora  per  ora ,  quella  somma  dolce- 
mente: né  coirono  gli  umanissimi  camerlinghi  il  rìschio  di  finir 
come  Prina.  Vi  era  per  caso  un  certo  articolo  del  cosi  detto  Statuto 
{ il  venticinquesimo),  in  cui  esplicitamente  si  stabiliva  come  pubbli- 
co patto,  che  i  cittadini  o,  com'  esso  gli  chiama,  i  «  regnicoli  » 
avrebbero  contribuito  ai  bisogni  dello  stato  «  nella  proporzione 


-396- 

(leì  loro  averi  ».  Non  ignorate  però,  che  alla  borghesia  pretne 
assai  (c  proclamare  »  i  diritti  degli  uomini  e  le  franchigie  ddle 
nazioni  nelle  sue  «  carte  ».  E,  avendogli  quivi  proclamati,  vorreste 
mo  anco,  che  gli  dovesse  di  giunta  osservare?  Contribuiscano  anzi 
questi  degni  regnicoli  nella  proporzione  de'  loro  non  averi  ;  por 
che  si  possa  senza  pericolo  e  con  certezza  (o  cioè  colle  imposte 
indirette  e  co'monopolii  governativi)  mungere.  In  seguito  acquali 
meravigliosissimi  trovati,  le  tasse,  i  dazi,  le  gabelle  e  le  r^ 
cadendo  sulla  massa  del  popolo  alla  rinfusa,  e  spedabnente  si 
quegli  alimenti,  cui  smaltiscono  i  plebei  stomachi;  hanno  per 
naturale  edetto  di  colpire  i  poveri  appunto.  Anzi  talune  di  esse, 
come  quelle  sul  macinato,  che  fruttò  nel  predetto  anno  1874 
lire  68,879,080,  sul  consumo  58,343,468,  sul  sale  77,933,641,  sui 
lotto  72,938,730,  e  poscia  all' avvenante  ;  sono  a  dirittura  unico 
de'  poveri  flagello.  Perchè  certo  alla  meschina  bisca  e  aDa  vol- 
gare riiìiì,  cui  lo  stato  rese  pubbUco  istituto,  i  ricchi  non  gioo- 
cano  :  quanto  agli  altri  monopolii  e  diritti  su'  commestibili  d*  as- 
soluta necessità,  si  capisce  bene,  come  le  sieno  ineàe  pegli  sto- 
machi borghesi. 


CCLXIX.  Ckibella  del  madBAto. 

Pensando,  che  que'  milioni  del  laitOj  i  quali  si  riteneva  nel 
1870  dovessero  siilire  a  settantacinque,  si  foimano  di  tanti  soMi 
e  centesimi,  carpiti  uno  ad  uno  alla  miseria,  all'ignoranza  e  aDa 
superstizione,  nell  atto  stesso  che  le  lusingano,  accarezzano  e 
fomentano;  pare  impossibile,  che  in  si  vantata  civiltà  si  persista 
in  si  perniciosa,  ignobile  e  sozza  frode  del  vecchio  despotisma 
Pur,  dopo  tutto,  non  si  può  pretender  troppo  da  cotestoro,  che 
dicono:  come  vorreste  respingere  questi  quattrinelli,  coi  i  tapini 
corrono  in  frotta  a  versar  lietamente,  e  su  cui  almanaccano  tante 
rosee  speranze,  e  con  cui  rallegrano  Uno  i  fatidici  sogni  e  mor* 
torli  ?  —  Per  altro,  come  aonestare  la  riscossione  di  que*  milioiii 
del  macinato,  i  quali  si  riteneva  nel  1876  dovessero  salire  a  set- 
tantanove, ed  an/i  nel  1878  a  ottantuno;  giacché  ogn'aoDO  le 
regalie  si  disvilu|)i)imo  o  (per.  dirla  in  stile  flscale)  danno  seu'  ao- 
mento  maggior  prodotto?  «  Quanta  umanità  fosse  nei  ronniii... 
si  vede  in  ciò  che  facevano  in  tutto  esenti  dalle  gravezze  li  po- 
veri: e  noi  ahri  gli  quali  pur  siamo  cristiani,  più  gli  graviaiDO 


-  397  - 

con  le  gabelle  sul  villo  ugualmenle  da  loro  pagate ,  come  dai  ric- 
chi; nò  è  alcuno,  che  mosso  da  carità,  o  da  umano  rispetto  dica 
la  ragione  della  misera  gente  ».  Questo  scriveva  un  onesto  bor- 
ghese del  XVI  secolo, .Uberto  Foglietta,  nel  secondo  Ubro  della 
Repubblica  di  Genova:  ma  che  direbbe  egli  adesso,  in  cui  i 
poveri  pagano  più  dei  ricchi,  ed  anco  pei  ricchi?  Certo  io  credo, 
che  sarebbe  a'  nostri  medesimi  consigh  maggiori  mancato  il  corag- 
gio, pur  pascendo  il  popolo  di  vento,  di  portargli  via  parte  di 
quella  farina,  che  gli  rimaneva.  Tant'è,  che  uno  de' medesimi 
poco  fa  promise,  in  capo  a  qualche  anno  di  non  voler  più... 
commellore  di  tali  azioni.  Tuttavia,  stretti  e  soffocati  entro  le 
spire  deir  illogico  congegno  politico  e  del  logico  cataclisma  finan- 
ziario; tra  le  minacciate  questioni  di  gabinetto  (com'ei  le  chia- 
mano in  lingua  jonadattica)  e  il  minacciato  fallimento  dello  stato, 
dovettero  anche  su  quella  farina  metter  mano.  E  fu  lor  detto  con 
metàfore  feroci  (se  io  cito  bene  a  memoria),  che  questa  è  una 
delle  famose  imposte  «  a  larga  base  e  d'ampia  capacità,  desti- 
nate come  il  riccio  a  intrudersi  piccin  piccino,  e  poi  a  rigonfiarsi 
e  a  pun.LTre  »:  nò  si  sgomentarono,  se  nel  solo  anno  1876  ve- 
tlcsser  chiusi  7,508  mulini.  Intanto  allo  sciagurato  popolo  non  tol- 
sero solamente  il  cibo;  bensì,  sto  quasi  per  dire  e  per  dimostra- 
re, il  sangue  e  lo  ossii.  Che  è  quasi  provato,  T italiano  nudrirsi 
<li  mozza  vivanda  d'un  inglese  o  d'un  tedesco:  e,  comunque  ei 
|)0ssa  |xT  la  buona  schiatta  e  il  dolce  clima  campare  con  meno; 
via,  d'aria  non  può  campare.  Se,  a  detta  de' maestri  d'igiene, 
il  nutrimento  stio,  anche  innanzi  a  questa  fiscal  molitura,  non  era 
adeguato  abbisogni,  per  essere  così  robusto  e  gagliardo  come 
potrebbe;  si  può  facilmente  immaginare,  cosa  sia  oggi  divenuto. 
La  massima  parte  de' nostri  rustici,  cioè  la  maggior  parte  della 
nazione  non  vede  né  carne ,  né  vino,  e  in  molte  regioni  nemmanco 
frumento.  Ed  ho  già  detto,  che  a  migliaja  di  capi  varcano  i  nostri 
slessi  buoi  le  frontiere  e  a  milioni  di  serque  le  uova,  per  sa- 
tollare altro  genti,  che  ne  possedono  di  più.  Diminuendo  il  pasto, 
già  privo  di  cibi  animah,  anche  dell'ultimo  cibo  vegetale,  che 
rimaneva;  la  sorte  degli  uomini  viene  qui  dunque  ad  esser  peg- 
giore di  quella  de'  cavalli  del  regio  esercito.  I  quali  sono  ora 
pasciuti,  corno  ognuno  sa,  di  granone  anch'essi;  ma,  trituran- 
dolo essi  medosimi,  vaimo  almeno  esenti  dal  macinato.  E  cosi 
(|uesta  nobile  razza  umana  (dico  l'italiana),  sottoposta  a  tributo 
rìn  nelle   proprio   cellule    ossee  e  ne'  propri  globuli  sanguigni , 


-  398  - 

se  più  a  lungo  tardano  i  rimedi,  è  lentamente  destinau  a  dege- 
nerare e  a  deperire:  ma  che  imporla? 

GCLXX.  Sperpero  dell'  entrato  pobUlebo. 

Or  bene,  eravi  dunque  necessità,  e  come  si  adopenrono  tott'i 
fruiti  di  queste  imposizioni  oppressive  e  quasi  mortifere ,  eh'  io 
venni  accennando  ?  Si  sta  poco  a  dire,  che  per  «  fare  Y  Italia  > 
occorrevano,  e  che  non  le  furono  mai  troppe  per  si  alta  impresa. 
Anzi  tutto ,  r  Italia  forte  e  gloriosa ,  onesta  e  felice ,  vera  e  le- 
gittima si  sarebbe  fatta  con  la  virtù  sui  campi  bellici,  e  ooa 
con  r  oro  ne'  banchi.  E,  supposto  che  con  Y  oro,  questo  si  do- 
veva dagli  abbienti  fornire,  ed  equamente;  non  da' non  abbienti, 
e  iniquamente  con  le  gabelle  sulla  miseria.  Tanto  più,  che 
per  costoro,  privati  sin  de*  suffragi  e  sbanditi  dalla  vita  civile, 
sin  ora  quella  è  come  se  non  la  ci  fosse.  Ma,  pognamo  pure,  che, 
buona  o  rea,  la  si  dovesse  di  tal  guisa  e  sulle  ossa  e  sul  sangue 
(li  costoro  fare  ;  se  tutto  Y  oro  fosse  ito  per  farla ,  ancora  non 
moverei  lamento.  Che  V  essere  Y  Italia  unita  e  dagli  stranieri  franca 
è  tal  licno,  che  si  [)otrebbe  dire  appunto,  tutf  i  tesori  del  mondo 
non  bastare  a  pagarlo.  Se  non  che  qui  appunto  sta  la  maggior 
condanna  :  che ,  di  qucst'  oro  in  diciotf  anni  versato  all'  erario, 
la  minor  parte  è  quolla,  che  pel  bene  del  popolo  italiano  fu  spesa. 
NV  primi  anni  quante  dissipazioni  non  vi  furono,  dagli  slessi  pre- 
posti alle  finanze,  mano  a  mano  che  si  succedettero,  confessale? 
Si  è  giunti,  dopo  tanto  spendere,  ad  avere  un  esercito  veraoieole 
agguerrito,  od  un'  armata  qualsiasi,  agguerrita  o  disagguerrita?  Noa 
ci  trovammo  in  una  c^rUi  fortuna  di  maree  d'onore  (ahimè, dob 
si  può  rammentarla  senz'  arrossire  )  cosi  bene  allestiti ,  che  noa 
si  sa[)ev;i, donde  e  come  principiare?  Non  dovemmo  testé  vendere 
per  disusato  carcasse  e  |)er  ferravecchi  certe  navi,  il  cui  battesi- 
mo datava  da  un  lustro  appena ,  e  il  cui  solo  nome  dovea  spa- 
ventar r  universo  ?  Quante  somme  ingenti  non  si  sciupano  indie 
attualmente  a  disfare  e  rifar  fortilizi,  armi,  divise;  e  avendo  ao- 
cnra  le  fanterie  in  que'  begli  arnesi  da  inverno  perpetuo,  coi  tadi 
veggono?  Non  si  aggravò  i  carichi  della  camera  pubblica  in  ni- 
sura  enorme  col  giulùiare  un'  intlnitAdi  pubblici  ufficiali,  unicamenle 
per  sostituirvene  altri  a  capriccio?  Nelle  opere  e  prowedigioni  pib- 
iilirhe,  quanto  denaro  non  si  profuse  con  una  Icggereua  speeie- 


-  399- 

rata,  favorendo  le  industrie  straniere  a  danno  delle  nazionali,  e  le 
imprese  a  danno  de'  cottimi  ?  Quanto  non  se  ne  sprecò ,  e  gittò 
via  a  dirittura  ne'  premi,  aggi  e  sconti  di  più  concessioni,  cessioni 
e  successioni  d'  appalli  per  un  medesimo  oggetto?  Non  è  egli 
noto,  che  qualche  volta  per  tali  lavori  e  somministramenti ,  pri- 
m'  ancora  d' iniziargli  e  di  fornirgli,  si  lucrano  dagli  appaltatori 
di  prima,  seconda  e  terza  mano  più  milioni  di  lire,  senza  esporne 
veruno  ?  Non  sono  noti  i  privilegi  concessi  a  certe  compagnie  di 
credenza  e  i  favori  a  cert'  altre  ;  e  i  modi,  con  cui  s'  ottennero,  se 
leciti,  non  sempre  verecondi  o  decenti?  Per  accattar  pecunia,  per 
dissimulare  le  vendite  e  le  passività,  e  per  consumare  le  rendite 
camerali  in  anticipazione,  non  si  usarono  artificìi  da  fanciulli  di- 
scoli 0  da  negozianti  rovinati?  Non  si  costrussero  a  spese  dello 
stato  strade  ferrate,  e  poi,  perdendovi  molto,  non  le  si  vendettero 
a' privati;  dicendo,  che  giovava  lo  sbarazzarsene?  E  non  le  si  ri- 
comprarono quindi,  a  maggior  prezzo  ;  dicendo,  che  giovava  pre- 
cisamente r  opposto  ? 


CCLXXI.  Infrattnodtà  delle  pnbbliolie  spese. 

Da' dubbi  sollevati,  che  in  taluna  di  queste  faccende  innomi- 
nabili, persone  cointeressate  al  loro  esito,  e  per  sino  guiderdonate 
innanzi  o  resene  gratuitamente  partecipi,  dessero  un  voto  efficace, 
consultivo  0  deliberativo;  di  questi  dubbi  io  non  mi  curo.  Per- 
chè, sebbene  il  mero  sospetto  in  chi  attende  a'  pubblici  affari  sia 
una  calamità  grave,  e  chi  vuole  attendere  agli  affari  propri  debba 
almeno  per  cortesia  da  quelli  astenersi  ;  la  santa  presunzione  delle 
leggi,  che  reputa  innocenti  gli  uomini  sino  a  contraria  prova, 
deve  anche  per  costoro  valere.  Anzi  non  solamente  prava  inten- 
zione ;  ma  vuo'  supporre,  che  né  temerità,  né  awentatezza,  né  ne- 
gUgenza  intervenisse:  potendosi  concepire  anche  qui  un  errore 
affatto  involontario  d' inesperienza.  D'  altra  parte  quel,  eh'  è  fatto, 
è  fatto:  e  non  si  tratta  qui  tanto  di  vedere,  come  per  difetto  de- 
gh  uomini  transitorio  e  rimediabile  sia  proceduta,  quanto  per  di- 
fetto de'  sistemi  organico  e  stabile  la  rovina  proceda.  Al  quale 
uopo  niente  di  meglio,  che  considerare  i  bilanci  stessi  del  regno, 
secondo  cui  nel  1874  le  erogazioni  furono  di  lire  1,396,724,209, 
e  nel  1870  di  1,318,012,252  dovevano  essere:  ed  in  cui  è  gran 
ventura ,  se  un  terzo  delle  medesime  vada  a  profitto  della  na- 


-  400  - 

zionc.  Conciossiactiè  (per  non  confonder  la  testa  con  soverchi  ira- 
meri)  negli  stanziamenti  pel  secondo  di  detti  anni ,  alla  sob  am- 
ministrazione delle  finanze  si  addissero  lire  871  ^08,0*28  ;  e  per 
ciò  non  ne  rimanevano ,  che  447,504,224  per  tutti  gli  altri  sfr- 
viffi.  E,  siccome  alle  armi  di  terra  e  di  mare  erano  227,63j,7jO 
lire  assegnate;  cosi  ai  servigi  puramente  e  propriamente  civili 
(giustizia,  diplomazia,  istruzione,  cose  interne,  lavori  pubblici,  eco- 
nomia nazionale)  non  si  potea  devolvere  né  anche  un  sesto  ddb 
spesii  totale.  Quindi,  supponendo,  che  questo  sesto  si  adoperi  ot- 
timumente,  e  dimenticando  (per  esempio),  che  le  prigioni  costmo 
più  delle  scuole  ;  e  supponendo  e  dimenticando  tutte  le  cose  posr 
sibili  ed  impossibili ,  il  principale  è  divenuto  accessorio  a)  punto, 
che,  se  non  si  mantiene  Y  Italia  per  provvedere  alle  finanze  sue 
od  alle  altrui ,  io  non  so  davvero ,  per  quale  altro  scopo  la  si 
mantenga  al  mondo.  E  cosi  è  certamente  facile  ottenere  il  fiuni- 
gerato  pareggio  de'  bilanci  :  e  può  darsi  altresì ,  che  si  potesse 
ottenere  un  avanzo ,  se  d'  altra  i>arte  non  occorresse  serbarla  io 
vita.  Pemcchò  sapete  già  la  storia  di  quel  brav'  uomo,  che  voleva 
avvezzare  air  assoluto  digiuno  il  proprio  giumento;  e  che  ci  sarebbe 
[ler  feriiìo  riuscito,  se  il  buon  animale  non  fosse  nel  terzo  giorno 
scoppiato.  E  cosi  ci  riuscirebhono  gV  implacabili  europei  vampiri  «d 
avvezzar  quest'  luilia  ;  se,  per  su^gerla,  non  la  dovessero  come  che 
sia  tener  viva.  In  fatti,  dopo  avorla  indebitata  sino  agli  occhi,  gridi- 
ronle  con  urli  <]a  jene,  cui  sento  ancora  rintronare  entro  il  petto 
corno  i  colpi  (li  martello  battuti  sul  feretro  d' un  caro  estinto  ;gri- 
•laronle,  elio  or  non  pensi  più,  se  non  a  vivere  per  lavorare,  ed  a 
lavorare  |)or  pagare.  E,  facendole  insieme  balenar  sempre  la  lusinp 
(li  (|U('I  famigerato  {lareggio,  }>erchò  la  non  si  disperì;  hannola  appunto 
;il  destino  di  vittima  del  cambio  cosmopolitico  rassegnata. 

CCLXXII.  Corso  fomto  delle  cedole  di  banco. 

Or,  com'  è  arca<luto  a  lei,  e  come  eziandio  ad  altre  nazioiB, 
<*lie  sotTorissero  si  disumano  destino?  Basta  dare  uno  sguardo  ai 
prodotti  stan/iamonti  in  servigio  delle  finanze  italiane;  per  eoa- 
prouilore  tosto  la  via,  ohe  a  tale  uopo  si  tiene.  Esempio  a* po- 
poli futuri ,  so  mai  i  cosi  dotti  economisti  si  presentassero  anche 
tra  loro  |N^r  roL'olare  la  loro  economia,  e  per  rovinarla  eooooni- 
oanionto  !  Prima  in  fatti ,  che  ci  fosse  la  scienza  economica  nel 
iiioiidn,  alcuni  gontiluomini  e  spt^sso  emeriti  guerrieri  mìDìslnvaio 


—  401  - 

così  rozzamente  la  pecunia  dello  stato  o,  com'ei  la  chiamavano, 
il  «  sacro  erario  » ,  che  ce  n'  era  di  soperchio  e  in  serbo  ne* 
tempii.  Ma  queste  le  sono  anticaglie  classiche,  cui  la  predetta 
scienza  condanna  :  secondo  la  quale  è  meglio  spendere  di  più  per 
riscuoter  di  meno,  e  in  vece  d'accumular  risparmi,  accumular 
debiti.  E  cosi  appunto  noi  eroghiamo ,  per  la  semplice  gestione 
e  fruizione  delle  entrate  pubbliche,  lire  122,140,583  (cioè  quasi  un 
decimo);  e,  per  le  rate  e  i  censi  dei  pubblici  impronti  567,439,881 
(quasi  la  metà  della  spesa  totale).  Tutte  adunque  quelle  esose  e 
crudeli  gravezze,  che  vedemmo,  non  hanno  altro  obietto,  che  di 
soddisfare  Y  usura  de'  debiti  ;  e  dico  Y  usura ,  giacché  del  capi- 
tale non  se  ne  parla  più.  Né  l)asta:  che,  oltre  Y  usura  pagata  dal 
popolo  con  le  suddette  gravezze  palesemente;  altra  ve  n'  ha,  senza 
pagar  niente,  che  tuttavia  esala,  se  cosi  lice  esprimermi,  dalle 
sue  tasche  invisibilmente.  Perocché,  oltre  favorire  i  banchi  e  age- 
volare i  cambi  della  borghesia,  assicurandone  la  fede  e  aumen- 
tandone la  moneta  ;  bisognava  trovar  modo  anche  qui,  che  si  po- 
tesse addebitar  lo  stato  in  guisa,  che  i  poveri,  quanto  e  più  degli 
abbienti,  ne  portassero  i  relativi  pesi.  Per  ciò  s' introdusse  la  mo- 
neta di  carta  e  il  corso  forzoso  della  medesima:  il  che  appunto 
(  per  non  dire  de'  privilegi  concessi  a  certi  stabilimenti  venali  di 
emetterla)  non  fu  altro,  che  fare  un  debito  a  prò'  dei  borghesi  e 
a  carico  de'  cittadini  tutti.  Avvegnaché  i  borghesi  o  gli  agiati , 
del  danaro  prestato  allo  stato,  ricevono  frutto  :  ma  i  cittadini  tutti 
ed  anco  i  disagiati,  accordandogli  con  la  moneta  di  carta  ugual- 
mente credenza,  mentre  pur  concorrono  a  pagare  altrimenti  quel 
frutto,  patiscono  inoUre  senza  compenso  una  diminuzione  d'avere. 
Pel  solo  fatto  cioè  dell'  introduzione  predetta ,  tutti  coloro ,  che 
aveano  mutui,  interessi,  rendite ,  fìtti,  pigioni,  stipendi,  salari  an- 
teriormente convenuti  o  fìssi,  si  videro  di  repente  diminuire  d' un 
quindicesimo  le  somme  relative.  Tuttavia  anche  appresso,  fin  che 
si  conguagliano  i  prezzi  e  le  mercedi  secondo  la  medesima  (e 
pegU  stipendiati  e  salariati  principalmente,  ossia  pegli  alU  e  bassi 
proletari  non  le  si  conguagUarono  ancora),  se  le  videro  e  veggono 
ciascun  anno  diminuite  dall'  aggio  di  circa  un  ottavo.  Per  non 
dire,  che  non  possono  mai  sapere  con  precisione,  qual  valore  si 
abbiano  in  saccoccia,  soggetto  com'  è  ogni  giorno  alle  oscillazioni 
del  mercato.  E,  che,  se  mai  in  momenti  di  distretta  e  di  peri- 
colo sorgesse  il  mero  sospetto ,  che ,  perduta  la  testa ,  si  girasse 
neir  «  olTicina  de'  valori  »  il  torchio,  sopraggiungerebbe  il  caos. 

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-  402- 


CGLXXIII.  Hbgamento  ne'  deUtì. 

Intanto,  che  che  ne  avvenga,  e  non  tenuto  cooto  delle  Pro- 
vincie e  de'  comuni ,  lo  stato  si  è  già  aggravato  (comprese  que- 
ste cedole  monetali  per  880»000,000)  d' una  poissiviià  oominrie 
di  lire  9,883,589,226.  Contro  cui ,  poiché  esso  non  ha  quasi  pii 
niente  di  proprio,  non  havvi  altra  attività  nominale  o  reale ,  che 
faccia  fronte  ;  tranne  i  privati  averi  de'  cittadini  I  quali  nel  pro- 
seguimento della  tirannide  borghese  sono  destinati  appunto  a  om 
lenta  e  metodica  spropriazione  in  cotal  guisa.  Giacché  alia  fin  fine 
il  debito  di  quello ,  è  un  indebitamento  di  lor  medesimi ,  e  ma 
conseguente  diminuzione  delle  loro  facoltà.  Ma  qui  mi  si  può 
chiedere  :  oh ,  che  e'  entra  mo  in  tutto  questo  la  borghesia.  — 
La  ci  entra  si,  rispondo  io,  che,  appena  ella  e  dovunque  spanta, 
gli  accatti  camerali  incominciano;  e,  appena  e  dovunque  fiori- 
sce ,  desolano  e  impeiTersano.  Perchè  generalmente  si  ripone  b 
origine  di  questi  nel  monte ,  che  la  borghesia  florentina  aperse 
r  anno  1345  per  proseguir  lotte,  a  cui  più  non  sovveniva  lo  spi- 
rito d'  eroismo  e  di  sacrificio  antico.  E  in  quel  tomo  o  poco  ap- 
presso i  monti  si  diffusero  in  altri  comuni  iritalia,  mano  a  mano 
che  tale  spirito  veniva  meno.  Erano  tuttavia  inezie  in  paragone 
degli  enormi  presti  ptMIici ,  che  da  men  d'  un  secolo  s'  aeca- 
mularono,  e  opprimono  presentemente  i  popoli  europei.  I  quali  si 
calcola,  che,  solo  per  soddisfarne  gì'  interessi,  debbano  ogn'anno 
pagare  3,895,000,000  di  lire  ;  e  sempre  a  merito  de'  prefati  sublimi 
economisti.  So  bene,  che  in  gran  parte  se  n'  attribuisce  la  causa  agfi 
enormi  eserciti  stanziali  da  Napoleone,  ed  anzi  un  secolo  prima 
imposti.  Ho  per  altro  già  notato,  che  questi  medesimi  hanno  con 
la  borghese  tirannide  una  strettissima  attinenza  :  oltre  a  che,  ho 
più  altre  ragioni  in  pronto  per  dimostrare,  che  non  una  semplice 
coincidenza  storica  mette  assieme  questa  tirannide  e  i  debiti 
delle  nazioni.  Dì  fatti  (prima  ragione) ,  siccom'  ella  non  pnò  do- 
rare senza  que'  5,837,000  armati ,  che  tengono  oggi  la  'pacifica 
Europa  in  freno  ;  così  non  può  esser  servita  senza  quelle  caterve 
di  ministeriali,  di  cui  pure  ho  parlato ,  tra  la  lusinga  e  0  timo- 
re, il  trastullo  e  il  supplizio,  come  i  sorci  da  gatti  tenute  a  hada. 
Se  i  pubblici  uflìciali  fossero  gratuiti  o<l  elettivi,  o  comunque  sìa 
elevati  alla  dignità  di  magistrati  della  repubblica,  non  sarìeno  pia 


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d'alcuna  fazione  borghese  servi.  Volendogli  aver  servi,  e  questi 
non  dando  naturalmente,  che  un  servii  lavoro,  ne  occorre  uno 
stuolo  inGnito  ;  cui ,  per  quanto  si  maltratti ,  bisogna  pur  mante- 
nere. Deve  adunque  di  necessità  una  dominazione  del  terzo  ceto 
od  una  plutocrazia  costar  molto;  tanto  più  che  non  la  può  pre- 
tender servigio  alcuno,  che  non  sia  compro.  Ma  (seconda  ragione), 
anche  pel  soddisfacimento  delle  paghe  e  degli  altri  oneri  pubblici, 
facendo  difetto  ogni  carità  e  zelo  di  patria ,  essa  deve  stimolare 
r  interesse  privato.  E  quindi,  esaurito  quel  tanto ,  fino  a  cui  i  sud- 
diti ponno  esser  costretti  a  contribuire;  prendere  a  cambio  da'  me- 
desimi, allettandogli  col  più  largo  scrocchio.  È  vero,  che  di  questa 
guisa  non  si  muta,  quanto  ai  frutti,  che  la  forma  del  peso  (giac- 
ché il  contribuente  alla  fine  passa  al  prestatore  il  prò');  e  che, 
quanto  al  capitale,  il  peso  predetto  sulla  posterità  trapassa.  D' al- 
tra parte ,  sendosi  la  borghesia  proposto  di  pagare  ella  stessa  e 
la  generazione  vivente  della  medesima  meno,  che  potevano;  per 
ciò  appunto  diede  a'  pubblici  impronti  di  danaro  cotale  sviluppo. 
Mercè  il  quale  (terza  ragione)  ella  su'  poveri  nuovamente ,  e  su' 
futuri,  per  cui  non  ha  viscere,  riversa  i  suoi  medesimi  e  presenti 
pesi  :  e  i  suoi  economisti,  ben  inteso,  ne  la  encomiano  ;  allegando, 
che  i  posteri  ne  godranno  anche  il  beneficio.  Perchè,  quantunque 
il  beneficio  sia  pe'  nostri  molto  problematico ,  è  dogma  della  pre- 
videnza borghese,  che  i  posteri  non  debbano  essere  gratuita- 
mente beneficati  ;  e  che  non  debbano,  se  non  d' assi  oberati,  isti- 
tuirsi eredi.  In  line,  s' anche  non  vi  fossero  state  le  predette  cau- 
se, che  inducevano  a  far  debiti,  ve  n'  era  una  possentissima  :  per 
la  quale  anche  senza  bisogno  si  doveano  fare ,  e  si  fecero.  Che 
cioè  (quarta  ragione)  i  debiti  pubblici  sono  le  ritorte,  con  cui  la 
borghesia  tiene  le  nazioni  avvinte  a  sé  medesima;  e  mercè  cui 
gradualmente  s' intasca  i  loro  averi,  precisamente  come  l' usurajo 
usa  col  prodigo.  Di  fatti  immaginate  il  miglior  congegno  econo- 
mico ,  pel  quale  il  telonio  e  il  ghetto  prima  s'  impadroniscano 
delle  regalie  ed  avvochino  a  sé  i  tributi;  ed  indi  condensino  e 
mobilizzino  le  ricchezze  tutte  de' popoli  ne'lor  forzieri;  e  voi 
avrete  senz'  altro  trovato  il  catasto  usurarlo,  o  il  gran  libro  della 
rendita  consolidata. 


-  404  - 


GGLXXIV.  DilapidAdone  de*  beni  dmudalL 

Cosi  non  è  bastato  alla  borghesia ,  nel  movimento  spontaneo 
della  economia  nazionale,  lucrare  d'ogni  cosa  e  a  danno  di  tutt*  i  ceti; 
e,  impossessatasi  dello  stato,  volgerlo  a  proprio  profitto,  coacervare 
balzelli  sovra  balzelli ,  gravarne  i  poveri  per  esonerar  sé  medesi- 
ma, e  lasciando  sprovveduti  i  pubblici  bisogni  Non  le  è  bastato, 
mentre  diffida  tanto  delle  locali  franchigie,  riversar  parte  de' pesi 
dello  stato  sulle  provincie  e  su'  comuni;  i  quali  a  lor  volta  de- 
cretano sovrimposte  e  s' indebitano.  Non  le  è  bastato,  che  qui  in 
Italia  si  debba  all'  umiliante  spettacolo  assistere  di  censorii  fra 
stato ,  Provincie  e  comuni ,  per  mantenere  assieme  istituti ,  a  coi 
quello  non  vuol  più  o  non  può  da  solo  provvedere.  Né  le  è  ba- 
stato, che  colle  entrate  de'  municipii,  e  quindi  anco  e  sopra  tatto 
co'  dazi  pagali  da'  poveri,  si  dotino  i  grandi  teatri  pe'  divertimenti 
suoi.  Che,  dopo  tutto,  con  ciò  non  si  erano,  che  duplicate  le 
gravezze  dal  cinquantanove  in  poi;  e  questo  era  un  nonnulla  per 
lei.  Ma,  poiché  il  debito  totale  dell'  Italia ,  allora  divisa  e  signo- 
reggiata, non  era,  che  di  lire  1,482,760,  bisognava  per  lo  meno 
sestuplicarlo  ;  acciò  1'  opera  fosse  perfetta.  E  la  \i  è  giunta  in 
guisa,  che,  se  del  regno,  già  di  quasi  dieci  biUoni  oberato,  non 
si  pronuncia  ora  l' insolvenza  e  non  si  decreta  la  cessione  de' 
beni,  la  ragione  è  una  sola:  che  non  tornerebbe  conto.  Pur,  non 
bastando  nemmeno  farlo  giungere  all'  orlo  del  fallimento,  bisognò 
anche  dispogliarlo  quasi  affatto  di  quelle  attività  patrimoniali,  che 
avea  di  proprio ,  acciò  non  gli  rimanesse  per  ventura  niente.  E 
anche  qui  i  prefati  sublimi  economisti  tirano  fuora  le  loro  teori- 
che sublimissime ;  una  delle  quali  è  appunto  che  lo  stato,  come 
pessimo  amministratore,  si  deve  da  cotali  impicci,  quanto  più  puoi 
liberare.  Cosi  i  beni  demaniaU ,  avanzi  attivi  (  per  valermi  di 
questo  gergo  da  ragionieri,  che  con  altre  frasi  levantine  costitui- 
sce la  lingua  borghese) ,  avanzi  attivi  de'  secoli  precorsi ,  sfuma- 
rono in  brevi  lustri  come  per  incanto.  È  vero ,  che  lo  stato,  gii 
posseditore  di  magnifici  e  monumentali  edifici ,  deve  oggi  pren- 
dere a  pigione  iin  le  squallide  e  luride  stanze  pe*  suoi  ofBct  o 
per  le  sue  cancellerie.  È  vero  altresì ,  che  il  popolo  non  se  ne 
avvantaggiò  dalla  vendita  punto  :  ma  che  importa ,  quando  se  ne 
potè  avvantaggiai'  qualcheduno? 


-405- 


CCLXXV.  PriTata  «murptifame  deOa  poroprietà  oonuiei 

Del  resto,  se  soltanto  il  patrimonio  dello  stato,  ossia  V  antico 
demanio y  si  rapidamente  e  infruttuosamente  e  in  quella  guisa, 
che  ognuno  vede,  si  fosse  dilapidato,  il  sacrificio  della  nazione  in 
sull'  ara  di  Fiuto  non  sarebbe  stato  compito.  Già  con  dilapidar 
quello,  eh'  era  proprietà  di  tutto  il  popolo,  e  quindi  tanto  de'  po- 
veri come  de'  ricchi,  si  veniva,  per  mitigar  gli  oneri  ai  ricchi,  a 
privare  i  poveri  d' una  quota  de'  comuni  averi.  Pure  la  inroprietà 
non  n'  era  in  costoro,  che  parziale  e  indiretta:  e,  privatigli  di 
questa ,  si  voleva  anche  di  quella  diretta  e  integrale  privarg^  ; 
acciocché  si  rimanessero,  da  quelle  vili  canaglie ,  eh'  erano,  nudi. 
Alienata  cioè  la  proprietà  in  istretto  senso  pubblica,  e  alle  pri- 
vate naturalmente  i  borghesi ,  cotanto  strenui  sostenitori  de'  di- 
ritti individuati ,  non  volendo  metter  mano  ;  che  cosa  han  detto 
essi?  —  Spogliamo  i  cari  nostri  concittadini  della  proprietà  po- 
polare :  e ,  poiché  non  vi  sono  altri  diritti  sacri ,  che  g^'  indivi- 
duali, e  i  poveri  non  ne  hanno  veruno,  e  ad  ogni  modo  non  vi 
sarà  pur  un  avvocato  in  Italia,  che  gli  difenda,  spogliamo  costoro 
a  dirittura  della  loro  particolar  proprietà.  —  Se  i  miei  buoni 
lettori  non  mi  hanno  ancora  compreso  (giacché  veramente  io  debbo 
in  tanta  fretta  dir  troppe  cose  per  cenni ,  lasciando  a  loro  stessi 
disvilupparle  )  ;  son  qui  pronto  a  chiarire ,  come  andò  la  fac- 
cenda. Debbono  anzi  tutto  sapere,  che,  non  ostante  lo  istituto  le- 
gale della  proprietà,  vi  sono  nell'universo  cose,  cui  i  giurecon- 
sulti chiamano  inesauribili  ^  e  che  per  ciò  non  sarieno  sipprih 
priabiU;  ed  altre  non  occupate  ancora,  che  le  diventan  pro- 
prie di  chi  primo  se  le  piglia.  Anche  di  queste  si  va  assotti- 
gliando vie  più  il  numero  o  la  copia  :  perchè  è  facile  immaginare 
neir  eccessivo  sviluppo  odierno  di  quello  istituto  sotto  la  scorta 
dell'  individualismo,  ch'esso  va  assorbendo  quanto  più  può;  e  che, 
se  potesse  esaurir  l' acqua  e  l' aria,  le  sequestrerebbe  andi'  esse. 
L'  acqua  stessa,  come  forza  motrice  o  hrigua,  e  per  fin  ¥  acqua 
potabile,  è  tal  volta  sottratta  alla  comunione  umana  :  e  potrà  esscrio 
anche  V  aria  in  futuro,  con  qualche  investitura  nuova,  se  non  altro 
per  muovere  qualche  mulino  a  vento.  La  pesca  e  la  caccia  dd 
resto,  che  particolarmente  in  Italia  erano  di  r^la  libere  e  pro- 
miscue ,  son  già  divenute  oggetto  di  dominio  al  ponto ,  di*  è  a 


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me  medesimo  accaduto  di  vedere  in  un  picciolo    comune  ognuno 
di  que'  borghesucci  cingere  a  mo'  di  parco  il  proprio  eampicello, 
e  scrivervi  sul  primo  tronco:  bandita.  E  d'  ora  innanzi  i  pesca- 
tori e  i  cacciatori,  se  non  tendono  Y  amo  nella  cisterna  e  se  ood 
sparano  V  archibugio  dalF  abbaino ,  possono  al  mestìer  loro  ri* 
nunciare.  Poi  vi  erano  molti  usi  patriarcali  in  passato,  cui  quel- 
Taristocrazia  indolente  antica  tollerava,  quali  il  rastrellare,  il  r^ 
cimolare ,  lo  spigolare  ;  e  cui  naturalmente   la  democrazia  alacre 
moderna  esecra,  come  furti  da  villani   o  improvvidi   scialacqui 
(jueste  superstiti  reliquie   adunque  della  prisca  comunanza  delia 
natui*a  si  dileguano  :  e  la  vita   è  cosi  stretta  ora ,  eh*  è  quasi  a 
dubitare,  se  in  avvenire  potranno  gf  indigenti  trovare  piii  un  lembo 
di  terra,  che  gli  sopporti,  o  una  zolla  che  ne  ricopra  i  cadaveri. 
£  certo,  se  quest'ultima  loro  non  manca  .ancora ,  non  è  per  di- 
rilto,  ch'ei  n  abbiano,  o  per  pietà:  ma  pel  vetusto  rito,  e  perchè 
pure  di  quei  cadaveri  o  di  quelle  carogne  necessita  in  qualche 
modo  sbarazzarsi.  Ter  tutto  quesrto  le  leggi  errano  mortalmente, 
lasciando  la  proprieti^  invadere  la  vita  e  l'economia  soverchiar 
la  giustizia,  come  se  non  vi  fossero  anche  altri  beni  da  tutelai 
nel  consorzio  civile.   Non  si   potendo  tuttavia  cotali  loro  mortali 
errori  alle  ilnanziarie  funzioni  imputare,  passiamo  agli  altri. 


CCLXXVI.  Dilapidaiione  de' beni  oomiftU. 

Oltre  le  sopraddette  cose  di  diritto  o  di  fatto  comuni^  ve  ne 
sono  altre,  proprie  dello  stato  o  de' minori  corpi  politici,  ma  de- 
volute di  lor  natura  a  comune  vantaggio:  e  ancor  queste  vaono 
diminuendo.  Le  strade  ferrate ,  pel  cui  sviluppo  tanto  si  spese. 
rendono  certamente  alla  circolazione  delle  persone,  delle  derrate 
e  delle  merci  prodigiosi  servigi.  Se  non  che  bisogna  D0tar^  che 
non  le  sono  e  non  le  possono  essere  gratuitamente  godute,  si^ 
come  goilevaiisi  e  godonsi  le  altre  maniere  di  comunicazìODe.  Ol- 
tre a  ciò,  r  uso  di  molte  coso  pubbliche ,  eh'  era  presso  i  rapici 
pagani  gratuito  ;  e,  |)er  esempio,  in  Roma ,  lino  de'  circhi ,  degli 
antiteatri  e  delle  terme),  in  (fuesta  liberalità  cristiana  non  si  vuol 
più  concedere,  senza  retribuzione.  Costruendosi  quindi  oggi  ■> 
ponte,  un  acquedotto  o  altra  tale  opera  di  generale  utilità,  alino- 
gasi  in  qualche  città  ad  una  delle  solite  compagnie  di  guadagno: 
e  non   par  vero  di  scaricarsi  cosi  del  dis])endio.  lotaoto  aoo  si 


—  407  — 

pensa,  che  di  tal  guisa,  dovendo  gli  utenti  con  certi  canoni  sod- 
disfare a  quel  guadagno,  coloro  che  non  gli  possono  pagare,  non 
ne  debbono  godere.  E  non  ci  si  pensa,  perchè  la  è  una  segreta  ed 
indiscutibile  intesa  dello  sfato  borghese,  che   pel  popolo  non  si 
debba  gratuitamente  far  niente;  ma  tutto  a  profitto  unico  ed 
esclusivo  di  coloro,  che  possono  pagare.  Di  modo  che,  se  le  piazze 
e  le  vie  non  ce  le  avessero  lasciate  franche  di   spesa  i  nostri 
maggiori;  si  può  esser  certi,  che  si  porrebbe  anche  per  passarvi 
un  pedaggio ,  siccome  già  si  è  posto  per  fermarvisi  uno  stazzo. 
Tralasciando  anche  codeste  cose  ;  vegnamo  a  quelle,  che  più  im- 
mediatamente al  popolo  spettavano,  e  a'  poveri  in  principal  modo  : 
cioè  i  beni  comunali ,  gli  ecclesiastici   e  quelli  delle  opere  pie. 
L'  agro  de'  municipii ,  a'  tempi  di  Roma  antica  rilevantissimo , 
si  mantenne  anche  di  poi  ragguardevole,  sino  al  finire  dello  scorso 
secolo  e  all'apparire  della  moderna  tirannide.  Distribuendosene  una 
parte  in  piccioli  lotti  e  con  periodica  vicenda  alle   famiglie  tutte 
del  comune;  l'altra  parte  (costituita  di  grandi  selve  e  praterie, 
che  pur  sono  alla  nazionale  economia  necessarie  )  provvedeva  a' 
bisogni  del  comunal  reggimento.   E  su  questa  medesima  e  sugli 
altri  latifondi  i  diritti,  cui  si  dicono  ora  abusi,  di  legnatico  e  pa- 
scolo ,  e  altre  tali  immemoriali  consuetudini ,  serbate  da'  vicini , 
sollevavano  le  misere  plebi.  Rimane  ancora  qualche  comune,  che 
0  serba  nelle  partccipame  un   vestigio  di  queir  antica  distribu- 
zione agraria;  o  che  può,  in  grazia  del  patrimonio  proprio  gelo- 
samente e  tenacemente  custodito,  dispensar  gli  abitanti  da' pub- 
blici pesi.  Sono  per  altro  comuni  rurali  e  montani ,  radi  e  oscu- 
ri; e  i  rimanenti  in  men  d'un  secolo,  e  sopra  tutto  dall' avvenuta 
redenzione  dallo  straniero  in  poi,  hanno  dilapidato  ogni  cosa.  So 
di  certi  comuni,  ove  i  borghesi   raccolti  in  consiglio  hanno  tro- 
valo un  modo  assai  commodo  di  esonerarsi  per  alcuni  anni  dalle 
proprie   gravezze ,  ponendo  all'  incanto  codeste  sostanze  del  po- 
polo; le  quali  si  può  già  immaginare,  che  sono  fiqite...,  ove  do- 
veano  finire.  Quanto  al  pascolo  e  al  legnatico,  insieme  con  tutte 
le  altre  servitù  attive  de'  poveri   su'  fondi   pubblici  e  privati , 
mercè  cui  i  cari  focolari  e  le  care  greggi  alimentavano;  se  n'an- 
darono e  se  ne  vanno  in  dileguo  anch'  essi,  come  detestabili  vil- 
lanie. Un  valore  inestimabile,  una  sacra  proprietà  è  stata  cosi  ai 
poveri  tutti  rapitii,  senza  indennità  e  fin  senza  titoli  e  documenti. 
E ,  mentre  se  d'  un  solo  centesimo  si  toccasse  la  borsa  de'  bor- 
ghesi ,  strillerebbero   tutti    come   ossessi ,  niuno  per  si   iniqua 


-  408  - 

rapina  mormorò  ud  lamento.  I  detestati  villani  «  se  persevenoo 
neir  esercizio  delle  loro  antiche  ragioni,  sono  come  bMiri  campe- 
stri e  danneggiatori  maliziosi  paniti.  E ,  se  ;  visto  e  oonsidento, 
che  nella  mancata  pro\Tidenza  delle' leggi  e  de'tribimalì  rico- 
vrano  la  incolpata  tutela  della  natura)  ricorrono  alla  privata  fom 
per  farla  valere  ;  sono  come  invasori  e  usurpatori  di  fondi ,  anzi 
come  abbottinati  e  ribelli  alla  pubblica  forza,  puniti.  Tranne  qual- 
che lieve  e  solitario  tumulto,  facilmente  e  con  poche  stìDe  di 
sangue  soffocato,  cessero  per  ventura  tutti  all'  organizzata  prepo- 
tenza, con  una  mesta  mansuetudine,  che  avrebbe  strappato  le  la- 
grime (ino  alle  Aere.  Conciossiacchè  il  popolo  italiano  ;e  di  gioja 
mi  s' innonda  il  cuore  in  attestarlo,  perchè  è  gran  presagio  di 
futura  gloria);  il  popolo  italiano,  come  già  il  santissimo  romano 
popolo,  è  tanto  paziente  e  longanime,  tanto  calmo  e  forte  od 
suo  soffrire,  che  sa  attender  dai  secoli  e  dagr  iddìi  la  regolata  e 
giusta  vendetta. 


GGLXXVII.  Dilapidadone  de'bad  eeotodastlfli. 

Usurpata  cosi  e  dissipata  la  prima  porzione  del  pairimomio 
popolare  immediato,  si  venne  alla  seconda,  costituita  da'beai 
della  chiesa.  Com'è  noto,  quelli  delle  corporazioni  monastidie 
furono  inciimerati  :  ridotti  e  «  convertiti  »  (che  nel  predetto  gergo 
significa  parzialmente  confiscati  )  quelli  d' altri  istituti  religiosi  e 
de'  bcncficii  maggiori  o  semplici.  Trattandosi  al  presente  di  por 
mano  anche  alle  dotazioni  delle  fabbricerie  ed  alle  prebende  et 
parroci  (i  quali  sono,  ri{)eto,  1  più  intimi  e  vicini  educatori  e 
tutori  del  i)opolo,  benché  indegni);  così  lo  spoglio  Qnale  delta 
chiesa  o,  come  lo  dicon  essi ,  V  incameramento  deWasse  eeck- 
siasHco,  accumulato  in  tutta  Y  era  cristiana,  verrà  consumalo  del 
tutto.  Non  parlo  del  modo,  cui  non  posso  qualificare,  tettatosi  io 
procedere  a  tale  spoglio:  cioè  senza  udir  difese  e  senza  ossemr 
forme  legittime,  che  pur  pure  fino  nella  brutal  condanna  e  coi- 
fìsca  de'  templari  già  si  udirono  e  si  osservarono;  e  il  cui  adea- 
pimento  è  un  generale  interesse  degli  oppressi  in  uno  e  ded 
oppressori.  Non  del  titolo,  che  se  ne  addusse,  la  volontà  nazio- 
nale: mentre  si  può  giurare,  che  contro  due  o  trecento  milk 
IMTsone,  che  lo  volevano,  ve  n'erano  almeno  ventisette  miliOBii 
che  non  lo  volevano;  e  quasi  bastasse  a  un  atto  dì  pitpolfl0> 


-  409  ~ 

Tesser  voluto  da' più,  per  divenir  giusto.  Non  della  catisa,  che 
non  si  addusse,  ma  che  si  sottintendeva,  l'appetito  del  fìsco: 
mentre  quell'  immenso  valore,  cui  si  stimava  di  qualche  mighajo 
di  milioni ,  sfumò  anch'  esso  per  incanto,  diede  un  ritratto  me- 
schìnissimo  e  fìnl  nelle  soUte  mani.  Ed  alla  fine  accrebbe  gì'  im- 
pegni anteriori  e  gli  oneri  attuaU  dello  stato,  che  deve  adesso  prov- 
vedere a  tante  pensioni  e  a  tante  altre  bisogne  di  culto  e  di  be- 
neficenza ,  senz'  aver  più  i  mezzi  di  farvi  fronte.  Per  me ,  credo , 
0  benigni  lettori,  vi  siate  già  accorti,  che  di  questa  società  de- 
crepita e  malvagia  non  so  più,  che  farmi.  Ma  la  desidero  rin- 
giovanita ed  emendata  co'  riti  giuridici ,  alla  romana  :  non  con 
questi  baccanaU  barbarici,  che  si  ritorcerebbero  del  resto  troppo 
agevolmente  contro  coloro,  che  gli  usano;  se  le  plebi  fossero  co- 
tanto degradate,  com'  ei  credono,  da  poter  concludere  un  giorno: 
or  tocca  a  noi.  Tutte  queste  cose  le  dissi  io  già ,  quando  si  trat- 
tava di  commettere  quello  spoglio  della  chiesa  (siccome  puossi 
ne'  miei  Scritti  politici  vedere  )  :  or ,  eh'  è  commesso ,  non  mi 
vanto  d' aver  predetto,  che  i  frati  e  le  suore  ci  sarebbero  ugual- 
mente rimasti ,  e  che  l' erario  non  ne  avrebbe  avuto  sollievo.  Per- 
chè questa  e  tutte  le  altre  mie  predizioni ,  quando  le  faccio ,  i 
nostri  uomini  poUtici  le  spregiano;  e,  quando  le  si  avverano,  con 
la  medesima  disinvoltura  le  scordano.  D' altra  parte  le  sono  trop- 
po naturali  e  facili,  perch'io  me  ne  possa  vantare;  ed  e'  non  le 
debbano,  da  que'  valenti  uomini,  che  sono,  spregiare  e  dimenti- 
care. Dico  adunque,  che,  pur  supposti  leciti,  vaUdi  e  giusti  il 
modo,  il  titolo  e  la  causa  di  quello  spoglio,  e  fruttuosissimo  alla 
finanza  ;  non  ci  era  ragione ,  che  quello,  che  doveva  essere  a  ca- 
rico di  tutti  i  singoli,  si  dovesse  a  carico  del  popolo  porre,  e 
principalmente  de'  poveri.  Il  quale  e  i  quaU  per  codesta  rapina 
soffersero  una  novella  diminuzione  de' comuni  averi,  siccome  tosto 
sono  per  chiarire. 


CCLXXVllI.  Indiretta  spropriaidone  del  popolo. 

Anzi  tutto ,  la  chiesa  essendo  composta  da'  fedeli ,  e  gì'  ita- 
liani cattolici  (  secondo  il  censo  del  settantuno)  essendo  26,658,679, 
mentre  soli  142,475  d'altre  confessioni  o  religioni;  è  evidente, 
che  i  beni  tolti  a  quella,  si  tolsero  a  lor  medesimi.  Si  obbietta:  che, 
destinati  al  culto  de'  loro  idoli  ed  al  mantenimento  delle  rispettive 


-410- 

I>aì?odé  e  (le*  rispettivi  bonzi,  dod  senivaoo  a  loro  Dleate.  Piai». 
rispondo  io,  servivano  alla  maoifestaziODe  d'  uo  seatimeDio .  che, 
Ui'levole  0  biasimevole,  è  un  bisogno  de'  loro  cuori  ed  un  conf-jito 
delia  lor  vita;  e  cui  essi,  non  intendendo  vivere  di  solo  pane, 
reputano  altrettanto  necessario  e  {«rezìoso  del  (tane.  Io  per  esempio' 
la  jK^nso  i^ress'  a  poco  come  loro .  perchè  non  ho  tanta  scienza 
soprallina.  Pur,  sauco  la  pensassi  diversamente,  poiché  non  se- 
guo la  vostra  sopraffina  democrazia ,  o  messeri ,  come  ^ni  sodo 
inclinato  alla  sovranità  del  ^K)poio.  rispettando  la  forma  [«litica 
da  esso  scelta:  così  mi  terrei  obbligalo  a  rispettarne  anche  tuue 
le  altre  sue  sui)erstizioni ,  che  non  mi  piacessero.  Pensate  del  re- 
sto, che  dolore  sia  per  loro  veder  cessare  languidamente  quelle 
cerimonie,  che  sono  le  lor  feste  e  le  loro  speranze;  e  chiudersi 
alcuni  di  (|ue' tempii,  unici  e  venerati  loro  ostelli!  Taluni  di  questi 
erano  monumenti  architetlonici  di  qualche  pregio;  e  in  qualche 
città,  nell'imminenza  d'una  certa  guerra,  se  gli  videro  cangiati 
senza  necessità  in  arsenaU  militari,  o  sconsacrati  per  peggiori 
usi;  {sensate  con  quanta  olTesa  perenne  delle  loro  coscienze!  So, 
che  i  più  pregiati  gU  avete  salvi  o  inteso  di  salvargli:  ma  cerio, 
poiché  Tarte  non  aveva  più  altri  rifugi,  che  quelli;  privandogli 
delle  rendile,  con  cui  pur  qualche  statua  e  qualche  quadro  si 
comi^erava ,  anche  Y  arte ,  dalla  borghesia  abbandonata ,  veniva 
insieme  con  quelli  ad  essere  dispogliata.  So  pure,  che  il  senti- 
mento religioso  ed  estetico  è  una  cosa  {ler  voi,  che  non  vai  piii 
niente:  ma  sup|X)nele,  che  il  relativo  culto  non  sia,  che  un  ba- 
locco; con  qual  diritto  [K)teste  diseredare  il  popolo  di  questo  mez- 
zo innocente  di  baloccarsi?  Certo  a  voi  non  costava  niente;  dac- 
ché un  lascito  muniticentissimo  d' almen  sedici  secoU  glie  lo  ave- 
va assicurato.  K  ad  ogni  modo,  se  quel  mezzo  era  pericoloso,  e 
dovevate  proscriverlo;  bisognava  lasciarne  arbitro  esso  di  dispor- 
ne altrimenti,  come  meglio  gU  aggradiva.  Ne  disponeste  per  b 
patria;  sia  pure,  sog^n'ungo  io:  \ycvò  dovevate  allora  dispogliarvi 
anche  d(*lli;  robe  vostre  \m'  la  patria ,  e  non  solamente  dispogliar- 
ne il  |K)polo  e  i  poveri.  Precisamente,  come  certi  ammirati  eroi 
vostri,  che  per  le  pubt)liche  distrette  create  da  loro,  e  per 
«  |)areggiare  i  bilanci  »  (o  |H?r  cantare  T  usura  ai  ricchi),  fin  l'ul- 
timo alimento  agognarono  de'  |K)veri.  E  se  ne  vantarono:  e  fanoo 
ora  il  iironcio  agli  amici,  che  cominciano  a  sentirne  rimorso  o 
a  barcollaa\  Ma  non  cedettero  già  eglino  alle  fauci  del  novello 
Moloch  le  loro  ville  e  le  loro  carrozze,  e  lino  le  loro  suppeikt- 


-  411  — 

tili  e  le  loro  vesti,  prima  di  rivolgere  tanto  zelo  e  tanto  corag- 
gio contro  i  deboli  e  contro  gli  sventurati! 

CCLXXIX.  Diretta  spropriasione  de'poTerL 

Se  non  che  è  un  gravissimo  errore  il  credere,  che  i  beni 
ecclesiastici  d' ogni  specie  sieno  solamente  al  culto  sacro  addetti  : 
mentre  lo  sono  in  vece  tutti  a  qneìh  pietà  ptibbUca ,  che  si  ma- 
nifesta tanto  coir  adorazione ,  quanto  colla  beneOcenza.  Il  divino 
autore  della  cristiana  chiesa  intendeva  ben  altro,  che  fondare  nuo- 
ve liturgie  e  nuovi  sacerdozi  ;  e,  secondo  il  suo  pensiero  e  i  pri- 
mi istituti  di  quella,  gli  averi  de'  credenti  poneansi  in  comune 
unicamente  pel  convivio  loro  fraterno.  Però  anche  nella  cattolica 
chiesa,  e  secondo  i  canoni,  tranne  il  modesto  mantenimento  de- 
gli altari  e  de' ministri,  non  potrebbero  aver  quelli  altro  uso,  che 
il  soccorso  de'  poveri.  A'  quali  di  giunta  n'  è  esplicitamente  una  quo- 
ta assegnata,  e  per  la  quale  si  dovrebbe  il  culto  medesimo  ab- 
bandonare. 1  poveri  quindi  per  istituzione  canonica  sono  del  patri- 
monio religioso  partecipi;  e  per  Ano  dovrebbero  del  patrimonio 
privato,  formatosi  da' leviti  nel  sacro  ministero,  essere  naturali 
eredi.  Che,  se  tuttavia  vedesi  prelati,  vescovi  e  cardinali,  am- 
massare in  cotal  ministero  ricchezze  e  lasciarle  a' congiunti;  ciò 
non  toglie,  eh'  e'  siano,  secondo  la  sacra  dottrina,  nepotisti,  simo- 
niaci e  usurpatori.  Pur  tant'  e  tanto  qualche  briciola  de'  piatti  e 
delle  mense  prelatizie  a'  poveri  ne  veniva ,  e  qualche  po'  di  gram- 
matica da'  seminari  e  qualche  po'  di  minestra  da'  conventi  si  di- 
spensava. Anzi  V  assistenza  pubblica  alla  poveraglia  era,  se  non 
in  modo  condegno,  certo  in  modo  costante,  di  tal  maniera  e  senza 
tasse  tra  noi  assicurata  ;  poiché  non  si  picchiava  a  verun  uscio  di 
san  Francesco,  che  una  democratica  zuppa  non  si  ricevesse.  Quin- 
di col  sopraddetto  spoglio,  rimase  d' un  soccorso  morale  e  mate- 
riale privata,  su  cui  poteva  fermamente  contare;  e  la  cui  priva- 
zione già  in  qualche  luogo  si  fa,  e  più  si  farà  in  seguito,  doloro- 
samente sentire.  Ad  ogni  modo,  ammesso,  che  si  potesse  con  la 
soppressione  delle  corporazioni  religiose,  e  di  altri  tali  istituti  di- 
sertare il  culto  affatto,  que!  beni  dovevansi  ad  altri  usi  popolari 
devolvere;  giacché  o  per  un  fine  o  per  altro  erano  del  popolo. 
E,  se  giudica  vasi  funesto,  che  si  sciupassero  in  arredi  inutiU  e 
in  mantener  frati  oziosi,  o  in  simili  icopi  ascetici  e  mistici;  poteasi 


-  412  - 

prescrivere ,  che  all'  istruzione  e  air  assistenza  pubblica  si  devol- 
vessero: le  quali  almeno  non  sembrano  funeste.  Anzi  per  ciò  solo, 
che  a  queir  uso  si  sottraevano,  naturalmente  agli  altri  usi  passi- 
vano; e  per  ciò  solo,  che  i  detti  istituti  si  sopprìmevano,  i  beni 
nel  popolo  e  ne'  poveri  di  diritto  ricadevano  :  i  quali  consegoeo- 
temente  furono  d' un  comune  avere  spogliati. 


CGLXXX.  Progettata  inoameraiione  del  patriaoiik  déDe  «feri  |is. 

Or  non  rimane,  che  la  terza  porzione  del  patrimonio  popo- 
lare, esclusiva  de'  poveri  :  vuo'  dire  la  special  dotazione  delle  opere 
pie,  il  cui  valsente  si  considerava  in  passato  fosse  di  circa  due 
bilioni  di  lire,  ed  ora  si  considera  di  circa  milledugento  miliooL 
Mercè  un  si  splendido  retaggio,  lasciato  da  generazioni  non  bor- 
ghesi ,  si  poteva  dire ,  che  gli  stessi  proletari  italiani  fossero  in 
qualche  modo  comproprietari.  Ctiè ,  se  la  giustìzia  era  per  costoro 
un  nome  vano;  almeno  la  comune  utìlità,  e  n'avrebbe  avuto  bea 
donde,  dovea  difenderlo.  Mentre  cioè  il  pauperismo  (parola  e  cosa 
borghese)  cresce  a  dismisura,  le  altre  fontì  di  carità  nazionale 
sono  esauste ,  quelle  della  privata  misericordia  inaridite ,  Y  locat- 
tonaggio  punito  ;  parrebbe  almeno,  che  ogni  po'  di  previdenza  con- 
sigliasse a  serbar  quello  inviolato.  Se  non  che  lo  spirito  ingordo 
del  secolo,  abbandonando  per  fìno  ogni  ritegno,  ogni  pudore,  ogni 
prudenza  ;  spensierato  e  cieco  corre  alla  dirotta  verso  il  precipizio. 
Non  si  hanno  dati  precisi  per  conoscere  quale  diminuzione  abbia 
quello  sotTerto:  ma,  argomentando  cosi  a  vanvera  da  taluni  isti- 
tuti, si  può  ritenere,  che  già  in  poclii  anni  sia  spaventosa.  Parte 
de'  beni  stabili ,  con  le  «  conversioni  in  rendita  pubblica  »,  si  re- 
sero valori  incauti,  incerti  ed  effimeri;  avvegnaché  comprooien 
nella  mina  dello  stato,  soggetti  alle  <c  variazioni  della  borsa  »  e 
troppo  agevolmente  allo  sperpero  awenturatì.  Parte  degli  ihri, 
come  ognuno  apprende  da'  bandi ,  si  mettono  all'  incanto  per  eo- 
struir sedi  cospicue  a'  ricoveri  e  sopra  tutto  agli  uffici  relathri, 
0  per  supplire  al  difetto  delle  entrate  col  consumo  del  capitale. 
De' cento  milioni,  in  che  si  valutano  gh  annui  lor  frutti,  treola 
soli  vanno  a  sollievo  della  mendicità;  gU  altri  settanta  assorbiti 
dalla  p^irassitaggine  amministrativa.  Di  guisa  che,  se  fossero  a 
dirittura  abbandonati  agli  stessi  mendici,  anzi  anche  alla  fecda 
degli  ergastoli ,  sarebltero  con  più  prudenza  o  pudore  anunioistrati, 


-  413  - 

che  dair  ordine  spettabile  de'  gaudenti  e  dalla  rispettiva  clientela. 
E  tutto  ciò  si  spiega,  senza  pur  supporre  veruna  infedeltà  o  ne- 
gligenza degli  amministratori,  solamente  considerando  anche  in 
tal  materia  le  regole  e  le  pratiche  delF  amministrazione  borghese. 
Secondo  cui  le  tavole  di  fondazione,  le  consuetudini  inveterate, 
le  tradizioni  de'  maggiori  non  debbono  aver  valore  alcuno  ;  gli 
stessi  stabilimenti  caritativi  si  devono  rimutare  e  concentrare,  le 
aziende  agrarie  de'  medesimi  cangiarsi  in  banchi  di  cambio,  e 
via  via.  Di  maniera  che  la  dev'esser  necessariamente  costosa, 
zarosa,  e  dissipatrice  al  punto,  ch'ella  di  per  sé  sola,  proseguen- 
do, darà  fondo  a  tutto.  Siccome  tuttavia  si  ha  troppa  fretta  di 
vederlone,  giacché  i  gaudenti  suddetti  vivono  di  per  dì ,  e  del  dimani 
lasciano  pensare  a  chi  resta  o  a  chi  viene,  né  a'  pressantissimi  biso- 
gni dello  stato  vi  è  rispitto;  così  si  pensa  adesso  ad  una  <c  grande 
operazione  di  finanza  »  anche  su  quest'  ultimi  avanzi  della  sostan- 
za de'  miserabili.  La  quale  (  eccovi  un'  altra  facile  profezia  ),  la 
quale,  se  mai  venisse  attuata,  darà  fine  al  sistematico  spoglio 
de' beni  tutti  dello  stato,  del  popolo  e  della  povertà:  e  sarà,  co- 
me già  in  altro  luogo  dissi,  «  il  principio  della  fine  »  di  molte 
altre  cose.  Or,  s' io  invocassi  quel  sentimento  di  compassione  e 
di  commiserazione,  che  fin  nelle  belve  si  nota;  s'io  dicessi,  che 
sovra  gli  stessi  interessi  della  patria,  pur  cotanto  adorabile,  vi 
sono  gì'  interessi  dell'umanità...,  so,  che  a  questi  lumi  di  luna 
le  parrebbon  freddure.  Lasciamo  pertanto  da  banda  i  doveri  e  i 
diritti  umani  e  ferini,  e  per  fino  l'articolo  ventinovesimo  del  così 
detto  Statuto,  secondo  il  quale  «  tutte  le  proprietà ,  senza  alcuna 
eccezione,  sono  inviolabiU  ».  Benché  non  consenta  alcuna  ecce- 
zione, né  faccia  differenza  tra  individuali  e  collettive;  sta  a 
vedere ,  quando  sono  garantite  le  proprietà  de'  borghesi ,  che 
anche  quelle  del  popolo  e  de'  poveri  lo  debbano  essere  ! . . .  Invo- 
co adunque  i  consigli  della  paura  e  della  cupidigia,  unici  adatti, 
e  dimando:  quando  avrete  privato  questi  miserabili  dell'ultimo 
tozzo  di  pane,  che  rimaneva  loro,  dell'ultimo  giaciglio,  che  ne 
accoglieva  l' egre  membra ,  e  mentre  in  fameliche  e  inferme  tur- 
be vie  più  si  addensano,  che  farete  di  loro?  Massacrarle  a  dirit- 
tura non  sarebbe  una  cosa  molto  spiccia  e  molto  agevole:  ma 
dunque,  ripelo,  che  ne  farete? 


414  — 


GGLXXXI.  Fallimento  latente  dello  rtate  bor^koio. 

Dopo  ciò  credo,  non  mi  resti  aggiunger  altro  e  per  chiarire 
quel,  che  disisi  intorno  air  usurpazione  del  più  sacro  de'  patrimoDi 
umani  (Anche  almeno  le  umane  pupille  avranno  una  lagrima  per 
la  sventura);  e  per  dimostrjure  e  provare  quel,  che  mi  ero  pro- 
posto, sulla  economia  e  sulla  finanza  del  terao  ceto.  Il  costrutto 
finale  del  sublimissimo  sistema  non  è  altro,  ripeto,  che  il  ridurre 
le  ricchezze  della  nazione  al  banco  e  dello  stato  al  ghetto;  al 
quale  si  può  dir  già,  eh'  è  stato  venduto  o  dato  in  pegno.  Giu- 
seppe, figlio  di  Giacobbe,  grande  interprete  di  sogni  e  supremo  fi- 
nanziere d' Egitto,  tipo  d'  una  tribù,  e  simbolo  del  sistema  seguito 
da'  suoi  neofiti  odierni  d' altra  razza,  fu  quegli  appunto,  che  primo 
insegnò  Y  arte  di  rapire  a'  popoli,  benché  in  diversa  forma,  tutto 
r  aver  loro  pacificamente.  Tremila  secento  anni  or  sono  (  se  pur 
puossi  precisare  in  si  fitta  notte  il  tempo),  egli,  approfittando 
della  fame ,  spropriò ,  com'  è  noto ,  gli  egizi  a  profitto  de'  re  pa- 
stori, 0  degli  angariatori  semiti;  e  mostrò  sin  d'allora  l'alta  vo- 
cazione finanziaria  della  sua  razza.  Se  non  che,  quando  i  natìrì 
se  ne  rivendicarono,  ella  non  potè  involare  e  trar  seco  nella  foga 
altro,  che  i  vasellamenti  d'  oro  e  d' argento  degli  ospiti  (  Esodo, 
XII,  3C).La  quale  era  una  finanza  troppo  primitiva  e  troppo  pe- 
ricolosa, {ìorchò  i  discendenti  di  quella  tribù  e  i  proseliti  hit- 
tezzati  di  quel  sistema  potessero  perseverare  in  essa.  Quindi,  la- 
sciando le  terre  a'  possessori  ed  anche  gli  arredi  agli  ospiti,  fin 
che  credono;  dovettero  trovare  quel  gran  secreto,  mercè  cui, 
senza  parere,  sieno  d' ogni  cosa  i  padroni.  Il  gran  segreto ,  V  ho 
^ià  dotto,  neir  econouìia  è  il  cambio^  e  nella  finanza  il  consoli' 
dnfo,  suidimati  alla  più  alta  potenza.  Quale  ne  fia  il  risultalo 
postremo  per  ciò,  che  riguarda  i  i)oi)oli,  lo  vedremo  tantosto: 
per  (io,  che  i  governi,  non  è  difiicile  di  argomenUirlo  sin  d' on^ 
e  r|uasi  già  dì  toccarlo  con  mano.  Se  una  guerra  o  qualche  altra 
grave  calamità  sopraggiunge,  il  p;ireggio  de' bilanci  ottenuto  o 
supposto  ne'  modi ,  che  vedemmo  (  esaurendo  cioè  tutte  le  possi- 
bili fonti  di  prosperità,  mancando  a'  civili  uffici,  sacrificando  ogni 
cosa  materiale  e  morale);  se  ne  va  in  fumo.  Prescindendo  da 
ciò,  la  servitù  del  governo  agi'  imprenditori  e  ai  creditori  di  tutte 
le  contrade,  e  il  suo  dissesto  perpetuo  e  organico,  palliato  e  lol- 


—  415  - 

leralo  a  forza  di  tergiversazioni  e  di  proroghe...,  eccone  il  ri- 
sultato. Uno  stato  cioè  di  fallimento  latente  di  fatto,  quantunque 
non  decretato  di  diritto;  e  cui  si  dissimula  e  si  maschera  quanto 
più  si  può,  lasciandone  a'  posteri  il  pensiero,  con  una  serie  indefi- 
niU)  di  cambiali  a  babbo  morto.  Anzi  con  una  serie  indefìnita 
d'infingimenti  d'attività  e  d'occultamenti  di  passività,  di  rinno- 
vazioni di  scadenze  e  d'alienazioni  di  sostanze,  d'anatocismi  e 
d' anticresi,  di  ritrangoli  e  di  leccofermi,  di  civanzi  e  di  fltti- 
franchi,  di  barocchii  e  di  scrocchii;  e  con  tutta  in  somma  la 
suppellettile  usuratiea  d'  una  perversa  genia,  cui  auguro  a'  miei 
lettori  di  non  conoscer  mai. 


CCLXXXII.  Esito  naturale  del  sistema  flnansiarìo  borghese* 

Sarebbe  per  verità  tempo,  che  certi  stati  facessero  queir  ul- 
tima istanza  a'  tribunali  consolari,  cui  usano  e  debbono  per  legge 
fare  i  privati,  che  si  trovano  in  certe  condizioni  (  Codice  di  com- 
mercio italiano,  546  e  698).  E,  poiché  la  più  nobile  città  del- 
l' universo  dopo  Roma,  sta  non  solo  per  sospendere ,  ma  ha  già 
senza  sua  colpa  sospeso  i  pagamenti  (né  io  so  quindi,  cosa  mi 

vieti  il  dirla ,  tranne  il  rossore ,  che  mi  sale  sino  a'  cape- 

gli),  ed  uno  o  due  altri  municipii  illustri  e  parimenti  incolpevoli 
già  sono  in  sulla  medesima  via  ;  ci  si  troverebbe  uomini  ora ,  da 
sapersi  acconciare  anche  a  queste  vergogne.  Pure  gli  stati  mo- 
derni sono  troppo  buoni  congegni,  per  avere  in  sicurtà  sino  le 
proprieU\  private  e  in  tributo  sino  il  sangue  de' cittadini,  per  po- 
tergli abbandonare  del  tutto.  Come  si  tiene  in  vita  il  mercadante 
fallito  0  prossimo  a  fallire,  e  si  fa  un  concordato  seco  lui,  e  gli 
si  abbona  anche  il  nonanta  per  cento,  per  non  perdere  il  rima- 
nente; così  giova  gli  stati  decotti  e  morosi  tenere  in  vita.  Vuol 
dire,  che,  se  non  faranno  le  cose  per  benino,  s'interdiranno  an- 
cor essi,  e  si  porranno  «  sotto  amministrazione  ».  Gonciossiachè 
ei  debbono  finalmente  capacitarsi,  che  non  ispettano  più  a  sé  me- 
desimi; ma  alla  borghesia  circoncisa  e  incirconcisa  di  tutto  il 
mondo.  E  già  s'  è  cominciato  alcun  saggio  di  tal  procedura  fi- 
nanziaria qui  e  là;  e  si  vedrà,  od  anzi  s'è  visto  già,  intrapren- 
dere esecuzioni  militari  per  codest'  unico  intento.  Qual  fu  di  fatti 
la  prim'  origine  della  guerra  messicana ,  iniziata  collo  sbarco 
delle  flotte  britannica,  spagnuola  e  francese  a  Veracruz,  prose- 


—  416  - 

guita  da'  francesi  coir  espugnazione  di  Puebla,  ed  espiata  a  Oue- 
retaro  dair  ottimo  principe  Massiniiliano  d*  Austria,  eh'  ebbe  tanto 
ingiusta  e  crudele  la  fortuna,  quanto  T  animo  gentile  e  grande? 
Unicamente,  che  il  consiglio  maggiore  di  quella  repubblica  avea 
nel  1800,  fra  gli  orrori  d'incessanti  scismi  civili,  promulgata  legge, 
che  fossero  per  un  biennio  sospesi  i  pagamenti  (e  quindi  anche 
gr  interessi  del  debito  contratto  con  improntatori  inglesi  ;  e  i 
dazi  di  transito  sulle  merci  esterne  raddoppiati.  Perchè  la  semi- 
viva tirannide  turchcsca  si  sostenta  da  quasi  tutte  le  nazioni  eu- 
ropee; mentre  quel  solo  diritto,  già  cotanto  formidato,  che  in 
passato  avea,  la  scimitarra,  è  ora  spezzato,  e  con  nn  sol  soffio 
la  si  potrebbe  disperdere?  Certo  anche  una  briga  da  masnadieri, 
che  non  sanno  come  dividersi  la  preda,  tiene  esitanti  i  potentati 
su  lei.  Ma  sopra  tutto  V  interesse  degli  europei  borghesi,  che  vo- 
gliono paci  armale  e  armi  pacifiche  come  arcano  d'impero,  e  de' ri- 
spettivi cambiatori,  die  vogliono  essere  della  turchesca  rendiu 
cauti.  E,  se  ancora  non  se  ne  ingeriscono,  non  è  già  per  rido- 
nare a  quelle  genti  della  penisola  greco  illirica  la  prisca  libefti, 
e  per  restituirle  alla  civiltà  d' occidente  :  sibbene  per  regolar  bene 
prima  i  conti  e  i  pegni.  Quanto  air  Egitto  e  a  Tunisi ,  eccovi  di 
già  due  stati  morosi  e  decotti ,  dall'  Ingliilterra  e  dalla  Francia 
interdetti  e  posti  sotto  amministrazione,  per  tutelare  e  assicurare 
appunto  la  cosmopoUtica  usura.  E  questa  è  la  sorte  definiiira: 
né  altra  ce  ne  ha  di  possibile,  perdurando  logicamente  la  tirao- 
nìdc  borgiiese  nel  mondo,  se  non  questa,  ch'ella  serba  nel  suo 
segreto  ai  popoli  vili. 


ARCANI  DELLA  BORGHESIA 


CCLXXXIII.  Simmeati  di  regiM  della  btrglMla  italiuft. 

n  vero  intento  dello  stabilimento  politico  sin  qui  descritto  è, 
s  una  cricca  mondiale,  potente  nel  cambio,  sia  agevolata  a  lii- 

i  in  privato  liberamente,  e  nello  stesso  tempo  lucri  in  pub- 
co  coattivamente,  valendosi  di  quello  e  della  sua  forza  per  as- 
*bire  tutte  le  ricchezze  della  nazione.  E  chiamo  erieea  mm- 
ile  codesta,  che  non  la  è  punto  da  confondersi  col  ceto  rispet- 
tile de'  mercadanti,  e  men  che  meno  co'  reggitori  nostri  (i  quali 
sono  inconsapevoli,  e  puri  altresì  d'ogni  sua  bruttura):  perchè 
sta  piuttosto  fuori  d'Italia,  che  entro;  e  sopra  tutto  è  cosi 
gua  entro,  che  a  poche  migliaja  di  persone  riducesi,  non  tutte 
liane,  che  si  potrebbon  numerare  e  nominare.  Le  quali  tutte 
10  le  vere  sovrane,  le  vere  depositarie  della  tirannide  odierna  ;  e 
Ile  cui  arche  indubbiamente  da  alcun  tempo  in  qua,  previa  una 
rta  alcliimia,  anche  i  sudori  e  le  lagrime  della  nazione  pre- 
tta colarono.  Questa  potrebb'  esser  la  conclusione  del  mio  pre- 
ste lavoro;  se,  descritte  cosi  le  qualità  e  narrate  le  gesta  dd- 
)rrido  portento  sociale,  che  gli  dà  il  titolo,  non  convenisae 
ima  di  porvi  termine,  scrutarne  gli  arcani  e  antivederne  i  de- 
ini.  Considerammo  innanzi  lo  stato,  cui  ha  fondato  e  in  cui 

impunemente  infestare,  la  forma  politica,  cui  a  ragione  pre- 

I    :,  la  natura  del  reggimento,  che  ne  seguita,  i  modi  e  ^  atti 

governo  acconci;  e  que'due  grandi  strumenti,  di  cui  si  vale, 

le  sono  le  falangi  d' assoldati  e  di  pensionati,  servilmente  tenute 

adoperate.  Di  tal  guisa  la  plutocrazia  ha  per  fermo  adeguati 

Ili:  ma  pur  questi  non  basteriano,  se  altre  e  più  malaugu- 

itc  forze,  di  cui  appena  un  cenno  diedi,  non  la  sostentassero. 

erocchè,  anche  nel  sup[)osto,  che  possedesse  le  vìrtb  dd  popolo 

le  altre  doti  de'  maggiori  ceti;  come  potreM)*dla,  che  éofo 

27 


-  418  - 

tutto  appartiene  nel  territorio  nazionale  a  una  ristrettissima  coorte, 
tener  contro  a  tutti  lo  scettro  ?  Il  danaro  fìi  anche  ne'  tempi  an- 
dati un  gran  mezzo  di  possanza  e  un  gran  nerbo  di  guem:  m 
esso  stesso  conquistavasi  ed  acquistavasi  da*  valorosi  e  da^sifi; 
né  poi  il  difetto  di  valore  e  di  saviezza  scusava.  Allora  doè  i 
forti  e  gr ingegnosi,  per  preda  o  per  guiderdone  arrìcchiviBsi: 
ora  i  doviziosi ,  venuti  su  co'  sordidi  o  almeno  co'  bassi  eso^ 
cizi  (  i  quali  ponno  dar  titolo  a'  lucri  e  agli  agi,  non  anche  agS 
onori  e  alle  dignità),  per  ciò  solo,  che  hanno  nella  bottega 
tesaurizzato,  dc^teggiano  nella  città.  Si  capisce,  è  vero,  che, 
adulterata  V  indole  del  consorzio  civile ,  col  convertirlo  in  od'  a- 
zienda  economica,  i  pregi  e  i  servigi  della  ricchezza  si  te- 
ciano  cotanto  sentire,  da  non  esser  mestieri  di  curarsi  d'altra 
Non  essendo,  come  ho  detto,  gli  stabilimenti  politici  del  lem 
ceto  altro,  che  società  anonime  mercantili  in  vaste  proporzioni, 
di  cui  i  borghesi  sono  gli  azionisti,  e  che  hanno  per  ragione  so- 
ciale il  nome  d' una  data  contrada,  oggetto  appunto  dell'  impresa; 
sarebbe  puerile  pretendere,  eh'  ei  tenessero  in  alcun  conto  i  me- 
riti delle  persone  e  i  popolari  diritti.  Gli  uffici  e  i  proGtti  di 
queste  tali  società,  debbono  naturalmente  essere  ripartiti  seeondo 
le  azioni  o  le  carature  rispettive:  e  ciò  è,  anche  secondo  il  C^ 
dice  di  commercio  italiano ,  in  tutta  regola.  Ma,  come  hauo 
potuto  i  popoli  rassegnarsi  a  divenire  un  possesso  da  fhiire,  i 
magistrati  ad  esserne  i  fattori,  i  militi  i  trabanti,  e  via  via;  mea- 
tre  dopo  tutto  stava  in  poter  loro  il  non  ridursi  mancipi!  d'al- 
cuno, e  col  loro  numero  e  colla  loro  virtù  potevano  ad  ogni  modo 
emancipai*si.  Certo  vi  vollero  ragioni  storiche^  e  aggiungo  aache 
provvidenziali,  i)erehè  la  tirannide  odierna  dovesse  alle  teocrali- 
clic  ed  eroiche  de' secoli  trascorsi  succedere;  ed  io  ho  già  ntf- 
contato,  come  vi  succedesse.  Per  certi  conti  anzi  il  tema  di  qo^ 
sto  libro  ò  un  ciclo  della  filosofia  della  storia,  o  un  episodio  del 
frran  viaggio  delf  umanità;  collo  in  flagranti,  e  narrato  un  po' di- 
versamente dagli  autori  approvali.  Pur  vi  vogliono  altresì  m^' 
morali^  perchè  vi  si  mantenga  :  le  quali  ora  mo'  esporre,  qusO" 
lunque  m' avvegga,  come  le  sieno  press'  a  poco  conformi  a  qnefc 
che  sorreggono  qualsivoglia  altra  tirannide.  In  fatti  ogni  tiramiii^ 
risulta  dal  sovrapporsi  di  qualcuni  al  comune:  e,  poiché  le  Ibrxe 
di  costoro  snrebi)0n  sempre  minori  delle  universali  (almen  p^ 
copia },  bisogna,  cif  e'  trovino  modo,  di  tener  queste  forac,  coid^ 
sotto  un  malefico  incanto.  La  iHìrizia  militare  cioè  non  avrebbe 


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valso  a  reggere  il  dominio  de'  guerrieri ,  né  il  terror  religioso 
quello  de'  sacerdoti,  se  non  si  fossero  esercitati  tra  popoli  inermi 
e  divisi ,  sgomenti  e  istupiditi.  E  cosi  non  varrebbe  Y  abilità,  ia 
cupidigia  e  il  traffico  a  reggere  il  dominio  de'  mercadanti,  se  non 
si  esercitassero  sopra  una  massa  d' uomini  illusi,  corrotti  e  fiac- 
chi. Io  e  voi,  lettori,  trovandoci  di  contro  un  rivale,  lo  vorremmo 
istrutto,  onorato  e  forte  :  e,  per  batterci  da  prò'  cavalieri,  gli  da- 
remmo le  armi  uguali  ;  e  per  fino,  se  lo  potessimo,  i  sensi  gene- 
rosi e  i  polsi  gagliardi.  La  borghesia,  che  non  ha  queste  nostre 
fisime  cavalleresche ,  doma  quel  grande  avversario ,  eh'  è  il  po- 
polo, ingannandolo,  pervertendolo  e  affievolendolo  colle  sue  malie; 
siccome  son  io  ora  per  dimostrare  e  per  provare. 


CCLXXXIV.  Ingannamento  deUft  luudone. 

Poiché  la  frode  é  un  mezzo  cotanto  valido,  che  di  regola 
si  osserva  nella  storia  delle  nazioni  aver  prevaluto  alla  violenza, 
e  i  robusti  aver  da  sezzo  soggiacciuto  agh  astuti;  non  é  mera- 
viglia, s' anco  dalla  borghesia  venisse  adoperata.  Sono  queste  anzi 
le  due  grandi  emule,  che  si  contendono  l' impero  del  mondo  mo- 
rale, sin  che  Y  umana  famiglia  quieti  sotto  lo  scettro  dell'  amore 
e  della  verità:  né  la  borghesia  poteva,  priva  d'una,  gittar  via 
r  altra.  Quanto  più  era  debole  e  insieme  odioso  il  suo  dominio, 
e  tanto  ella  doveva  cercare,  che  le  nazioni,  ridotte  a  greggi,  non 
se  n'  avvedessero  ;  e  lambissero  quelle  medesime  mani ,  che  le 
mungevano,  tosavano  e  scarnificavano.  Al  che  vi  é  prima  di  tutto 
riuscita  con  quelle  tali  dottrine  e  forme  di  stato,  che  andò  spar- 
gendo e  instaurando;  e  per  le  quali  sembra,  che  i  popoli  abbiano 
in  mano  il  governo  della  pubblica  cosa,  e  godano  le  più  ampie 
Ubertii:  mentre,  poveretti,  non  sanno  nemmanco,  cosa  le  siano,  o 
non  sanno,  che  farsene.  Le  antiche  tirannidi  italiane  (  non  é  cosi 
delle  straniere)  hanno  sempre  usato  di  conservare  alcuna  appa- 
renza di  viver  cittadinesco  e  di  ordini  popolari:  e  la  imperiale 
di  Roma  in  particolare  conservò  il  nome  di  repubblica,  i  consoli, 
il  senato  e  i  magistrati  relativi.  Posciachè  (  come  ho  più  volte  no- 
tato di  sopra  )  secondo  il  concetto  classico  non  vi  fosse  altra  forma 
legittima  di  stato,  tranne  la  repubbhcana;  e  benché  si  sapesse 
omai,  che  la  podestà  effettiva  stava  nel  principe.  Ma,  su  questo 
punto,  la  presente  tirannide  va  più  oltre  ancora,  ch'ella  sembra 


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al  popolo  non  solamente  il  nome  deir  autorità,  si  Y  autorità  stessa 
concedere;  rendendola  per  altro  falsa  e  illusoria.  —  Il  governo, 
dicono  i  suoi  melliflui  cortigiani,  emana  dal  vostro  suflìragio;  il  re 
regna  e  non  governa;  voi  deputate  al  parlamento  i  vostri  oratori; 
voi  avete  libertà  di  concione,  di  riunione,  di  petizione  eccetera: 
che  volete  di  più?  —  Se  in  pratica  il  governo  sta  in  una  b- 
zione,  il  suffragio  in  una  casta  e  il  reggimento  in  una  rettorica;e 
quelle  libertà  si  risolvono  in  libertà  di  ciancio  e  d' afiarì  pe'  furbi, 
e  pe'  semplici  di  pagare  e  di  ridursi  in  camicia,  è  un  altro  affare. 
Intanto  con  queste  lustre  e  con  questi  paroloni  si  prende  al  lac- 
cio tanta  buona  gente,  eh*  è  generale  credenza  ora,  essere  la  bor- 
ghese dominazione  una  democrazia  ordinata  e  la  costituzionale  mo- 
narchia una  repubblica  sostanziale.  Però,  quantunque  un  inganno 
dalle  istituzioni  ingenerato  abbia  certamente  una  veste  auto- 
revole e  un  alto  prestigio,  è  mestieri  anche  co' consigli  e  colle 
persuasioni  avvalorarlo;  poiché  altrimenti,  dopo  un  certo  seguito 
d' anni,  se  n'  accorgerebbero  Ano  i  bimbi.  Bisogna  dunque  dare 
a'  cittadini ,  se  pur  questo  nome  meritano  i  sudditi  della  pluio- 
tocrazia,  una  mente  e  una  coscienza  d'accatto:  in  grazia  delle 
quali  e' non  ragionino  più  colla  propria  testa,  né  più  sentano  col 
proprio  cuore.  Si  limitavano  le  passate  tirannidi  a  soflocare  colle 
censure,  co'  processi  di  maestà  e  d' eresia,  e  co'  relativi  supplidi 
la  voce  della  verità;  cogU  spettacoli  e  colle  feste  i  risentimenti 
e  le  lamentanze  del  popolo.  Onesta,  come  sopraflina,  le  grida  del 
^Tan  leone  e  le  parole  de' savi  assorda  con  uno  stridulo  perenne 
cicalio,  e  con  cotali  altre  fattucchierie  e  frasi  cabalistiche,  che  ren- 
dono il  pensiero  inutile  e  il  dolore  muto. 


CCLXXXV.  Creasione  d' nn' opinione  pnblilioft  llttlsia. 

Il  modo,  onde  si  manifesta  l' inganno  nella  sua  seconda  for- 
ma, sta  quindi  nel  monopolio  deW  opinione  pubblica ,  cif  è  il 
grande  arcano  e  il  primo  sostenticolo  della  tirannide  predetta,  e 
su  cui  giova  ora  intrattenerci  alquanto.  È  indubitato,  che  si  btti 
opinione,  non  ebbe  mai  come  nel  presente  secolo  tanta  eflScicia: 
né  io,  riprovandone  gli  errori  e  gli  artiflcii,  intendo  negare  i  ser* 
vigi ,  cui  n'nde  e  va  all'  umano  progresso  rendendo.  Sono  nertè 
di  essa  cadut<^  molte  vecchie  signorie,  e  molte  nuove  esaltale;  e 
la  sua  forza  e  tali'  ornai,  che  nemmeno  un  onesto  e  saldo  reggi- 


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mento,  disprezzandola,  potrebbe  durare.  Tuttavia,  s'essa  è  come 
un  presagio  e  un  preludio  del  futuro  regno  delle  convinzioni  su- 
gli arbitrii  e  delle  idee  su'  fenomeni  ;  non  la  è  in  sé  medesima 
altro,  tranne  una  nuova  frode  alle  antiche  sostituita.  S' essa  cioè 
risultasse  propriamente  da  un  generale  consenso^  benché  questo 
potesse  essere  alla  verità  contrario,  sarebbe  molto  autorevole:  non 
risultando,  che  da  una  parziale  intesa,  non  ha  maggior  valore 
di  \in  qualunque  tirannesco  accordo.  Badate  in  fatti,  a  cui  serve 
questa  tale  opinione,  e  come  sorge,  e  chi  le  dà  origine!  Essa  ajutò 
la  nazion  nostra  a  liberarsi  dallo  straniero,  quando  questo  no- 
stro bene  potè  coir  interesse  della  borghesia  nostrana  e  straniera 
accommodarsi.  Ma  non  rimprovera  già  il  ceto  sopraffattore;  né 
difende  essa  i  ceti  sopraffatti,  e  il  popolo  vilipeso:  non  è  già 
ispirata  dalla  dottrina  e  dalla  sperienza  de'  savi,  che  sono  da  essa 
derisi;  né  sopra  tutto  manifesta  il  sentimento  intimo  e  reale  della 
nazione,  che  ne  subisce  il  fascino  senza  parteciparvi.  Egli  è  vero, 
che  assai  pochi  sono  gli  uomini  ragionanti,  e  che  le  umane  man- 
dre  usano  troppo  spesso  seguire  col  muso  chino  la  verga  o  la 
zampogna  de'  mandriani.  Se  non  che  queste  in  passato  aveano 
almeno  istinti  e  abitudini,  cui  dopo  un  secolo  d'anarchia  sociale 
e  filosofica  smarrirono;  e  inoltre,  prima  del  moderno  frastuono, 
giungevarìo  tal  volta  ad  ascollare  i  valorosi  e  gli  assennati.  Ora, 
private  dell'  uno  e  dell'  altro  adiutorio,  rimangono  in  preda  ad  una 
caterva  di  ciarloni,  che  si  arrogano  di  parlare  non  solo,  ma  di 
pensare  e  di  seiìtir  per  loro.  E  costoro  appunto  sono  gli  autori 
dcir opinione  pubblica;  la  cui  genesi,  se  si  volesse  rintracciare, 
non  è  altro ,  che  un  bisbiglio  de'  crocchi  borghesi.  I  quali ,  alla 
lor  volta  ricevono  1'  imbecc<ita  da  qualche  combriccola  d' arruffoni, 
che  in  qualche  luogo  prende  anche  le  forme  d'  una  parte  poli- 
tica e  d'  una  suprema  podestà. 


GCLXXXVI.  MonopoUo  della  stampa. 

Siccome  non  già  l' omaggio  al  generale  consenso ,  ma  Y  in- 
cetta dell'  opinione  pubblica  è  una  condizione  essenziale  di  vita 
delle  dominazioni  borghesi  e  delle  monarchie  costituzionali;  si 
spiega,  come  tutte  queste  debbano  assumere  la  direzione  del 
pensiero  stazionale.  Non  so  anzi  comprendere,  come  uomini  pra- 
tici  possano  oggidì  di  codesta  direzione  e  delle  relative  con- 


-422  - 

segucnze  lamentarsi  :  mentre  vi  vuol  poco  a  comprendere ,  che  io 
mancanza  di  forza  e  di  giustizia,  bisogna  commettersi  air  asluzia 
e  al  sofisma;  e  che  senza  di  ciò  certe  dominazioni  e  certe  mo- 
narchie cadrebbero  incontanente  nel  vuoto.  La  miglior  forma  per 
dirigere  il  pensiero  nazionale  a  un  dato  verso  sarebbe  la  pùb- 
blica istruzione;  con  cui,  volendo,  si  può  una  generazione  d*  idioti 
e  di  codardi  allevare  abbastanza  saccenti  e  abbastanza  prosuDloosl 
Questa  per  altro  richiede  troppi  dispendi  e  troppi  accorgimenti ,  cai 
la  borgliesia  non  vuol  fare  e  non  può  avere  :  e  quindi  la  sì  limitò 
per  le  scuole  a  fare  o  a  non  fare  quello,  che  in  altro  luogo  vedem- 
mo. Ma  le  rimaneva  un'altra  stupenda  forma,  più  adeguata  aDa 
sua  levatura  e  più  conciliabile  colla  sua  masserizia,  e  di  cui  stu- 
pendamente si  valse  :  la  stampa.  Questa  veramente,  bench'  ella  odo 
l' abbia  in  maggior  pregio  del  liuto  de'  trovatori  od  anzi  del  eo- 
lascione  de'  giullari  nelle  antiche  corti  baronali ,  è  il  vero  tramite 
od  anzi  la  vera  ofllcina  della  pubblica  opinione.  La  quale  appunto, 
se  potè  salire  a  tanto  apogeo,  non  è  già  in  grazia  della  pluto- 
crazia ;  ma  in  grazia  del  meccanico  trovato,  che,  rìproduceodo  in 
indefiniti  esemplari  le  opere  degli  scrittori,  le  rende  maggiormente 
accessibili.  La  plutocrazia  per  altro,  a  differenza  delle  testé  spente 
tirannidi,  che  furono  cotanto  cieche  da  sprezzarlo,  impossessatasi 
d'  un  tal  trovato  ;  ha  in  mano  quanto  basta  per  far  credere  al 
mondo  tutto  ciò,  eh'  ella  crede  o  finge  di  credere.  Verrà  certo  3 
giorno,  che  le  sfuggirà  di  mano  :  ma  fin  ora  la  stampa,  od  almeno 
la  slampa  eflicace,  ò  una  cosa  sua;  e  questa  è  tal  mezzo  d'im- 
pero, eh'  io  per  me  ritengo,  cesserebbe  la  presente  tirannide  to- 
sto, se  la  stampa  cessasse  d' esser  tale.  Considerando  adesso  le 
ragioni,  per  cui  la  vittoria  è  rimasta  sAh  stampa  borghese;  anzi 
tutto  comprendesì,  che  dove  la  borghesia  giugno  a  impossessarsi 
del  governo,  ella  può  co'  pubblici  favori  crearla,  nudrirla ,  fortifi- 
carla e  proteggerla.  Prescindendo  da  ciò,  la  causa  principale*  per 
cui  la  stampa  serve  al  terzo  ceto  e,  senendo,  prevale  aUa  popo- 
lare; deesi  riporre  neir  indole  stessa  dell' odierna  letteratura,  della 
quale  ho  altrove  parlato.  Da  quasi  un  secolo  gran  parte  degli 
scrittori  italiani  è  invaghita  di  que' sofismi  i^udodemocratici  e 
adorna  di  quelle  frasche,  dalla  Francia  accattate,  che,  illodeodo 
gli  altri,  fecero  la  fortuna  di  quel  ceto.  La  loro  inferiorità  noorak 
e  intellettuale,  lo  appartener  essi  di  regola  al  ceto  medesimo,  lo 
aver  mutato  Y  ufiicio  in  mestiere  o  almeno  il  sacerdozio  in  pio- 
fessione,  e  il  conscguente  compiacere  a  chi  gli  retribuisce  o  al- 


—  423  — 

men  gli  legge...,  ebbero  per  naturai  risultato  di  rendergli  della 
novella  signoria  vassalli.  Si  presentarono  in  questo  mezzo  Alfieri, 
Foscolo,  Giordani,  Leopardi,  Niccolini,  Guerrazzi,  Mazzini  :  i  quali, 
di  dantesco  lignaggio,  non  poterono  a  meno  d' essere  antibor- 
ghesi. Perchè  ni  uno  può  essere  grande  scrittore,  né  grande  arte- 
llce,  senza  genio  aristocratico  e  senza  cuor  democratico,  o  cioè 
senza  conversar  co'  numi  e  palpitar  col  popolo.  Nondimeno  la  ef- 
ficacia loro  venne  da  quella  degli  scrittori  borghesi  superata:  i 
quali,  oltre  essere  più  facilmente  intesi  per  la  natura  delle  cose 
amene,  che  dicono;  sanno  altresì  acconciarsi  a  quelle  forme  basse 
di  dettatura  e  di  stile,  rese  or  quasi  dalla .  comun  bassezza  ne- 
cessarie, e  a  cui  non  sanno  i  terribili  ingegni  acconciarsi.  Fuor 
delle  quali  forme  rendonsi  tutti  ora,  e  valorosi  e  fiacchi,  impo- 
tenti: i  fiacchi  di  giunta,  disutili  affatto  e  stucchevoli;  e  degni 
veramente  della  vita  nojosa  e  assiderata,  da  pedanti  e  da  acca- 
demici, di  cui  UìTìio  fra  loro  si  onorano.  Ma,  che  vo  io  parlando 
di  scrittori,  se  non  si  tratta  più  d' altro,  che  di  compilatori,  d' e- 
pitomisli,  di  vocabolaristi,  d' almanacchisli  e  di  giornahsti,  che 
sono  i  propri  autori  della  letteratura  borghese?  Contro  costoro  po- 
trebbon  levarsi  il  poeta,  lo  storico,  il  filosofo,  il  giureconsulto,  lo 
scienziato,  meritevoli  di  tali  nomi  ;  e  si  leveranno  un  giorno  :  pur 
la  vittoria  non  può  esser,  che  tarda.  Siamo  in  tempi,  in  cui  non 
solamente  un  pensiero  forte  non  può  prevalere  a  un  debole,  e 
un  libero  a  un  compro  ;  ma  né  un'  opera  a  un  componimento,  e 
né  un  volume  a  un  articolo.  E  il  pensiero  collettivo,  intima- 
mente ora  anarchico,  si  è  esternamente  organizzato  in  una  tal 
guisa,  che  il  pensiero  solitario,  fosse  d'un  Machiavelli,  non  ha 
più  valore  alcuno. 


CCLXXXVII.  Natura  borghese  del  giornalismo  presente. 

Ciò  è  principalmente  proceduto  dal  giornalismo,  che,  disvi- 
luppando gli  eminenti  servigi  resi  dalla  stampa  alla  pubblica  opi- 
nione, è  alla  fin  fine  il  mezzo  precipuo,  con  cui  il  monopolio 
della  medesima  si  esercita.  I  libri  stampati  poterono  raggiungere 
una  diffusione  almen  mille  volte  superiore  a  quella  de' codici  ma- 
noscritti: ma  i  giornali,  se  non  possono  valicare  altrettanto  il 
tempo,  indefinitamente  più  valicano  lo  spazio.  Per  la  specie  e 
attualità  degli  argomenti,  l' arguzia  e  spigliatezza  de' modi,  la  bre- 


-  424  - 

vita  e  continuità  delle  rispettive  pubblicazioni...,  alletUDO,  cir- 
colano e  propagansi  in  una  rapida  guisa,  che  non  può  esser 
da'  volumi  raggiunta  mai.  Da  questo  punto  Y  autore  più  diiaro 
potè  presso  i  suoi  contemporanei  meno  del  più  oscuro  diurni- 
sta; e  il  libro,  serbando  la  sua  autorità  sovrana  sul  futuro,  éfh 
vette  alla  stampa  periodica,  e  particolarmente  alb  quotidiana,  ce- 
dere il  regno  del  presente.  Cosi  la  borghesia,  a  cui  del  fiitiro 
non  cale  niente,  lia  in  questa  efllmera  letteratura  quanto  basta 
per  campare  di  di  in  di  ;  certa,  che  ninno  nelle  cose  del  momenio 
può  attraversarla.  Qui  mi  si  vorrebbe  obbiettare:  non  potreb- 
bon  mo  gli  scrittori  contrari  seguirla  su  questo  terreno  eoo  le  me- 
desime armi;  e  che  necessità  è,  che  la  stampa  periodica  sia  altresì 
borghese  ?  —  Rispondo  primieramente,  clf  è  assai  difficile,  i  forti 
e  liberi  pensatori  (  quando  pur  ve  ne  fossero  )  si  pongano  a  scri- 
vere ne'  diari.  Non  perchè  questa  sia  una  palestra  ignobile,  né  per- 
chè anche  nella  medesima  non  si  possa  coir  ingegno  ris{dendere: 
si  per  altre  gravi  cagioni.  I  diari  sono  compilazioni  anonime  e  ioh 
IX'rsonaU;  le  quali  debbono  non  soltanto  da  un'elaborazione  collet- 
tiva emergere,  ma  anche  un  collettivo  sentimento  esprimere.  Otiando 
pure  alcuni  valenti  scrittori,  per  redigere  i  medesimi,  rinuncias- 
sero alle  proprie  convinzioni,  e  per  lino  alle  individuali  impronte 
del  genio  e  del  cuore  (nel  i|ual  caso  cesseriano  d' esser  valenti ) ; 
e'  debbono  dir  cose,  che  sieno  de*  rispettivi  patroni  o  almeno 
de' rispettivi  clienti  a  grado.  Donde  è  necessita  per  loro,  che  i 
relativi  prodotti  sieno,  come  si  suol  dire,  organi  di  ptUMieiià 
della  nazione  od  almeno  d'  una  data  parte,  che  tal  volta  può  ef^ 
sere  fazione,  consorteria  o  combriccola;  non  già  manifestazioni 
de'  propri  intendimenti.  Certo  il  giorno  verrà,  che  la  stampa  pe- 
riodica sia  antiborghese:  ma  quando  per  lo  influsso  lento  de* li- 
bri e  per  altre  cause ,  cangino  quelle  opiniofii  del  momenio,  a 
cui  per  forza  ella  dee  servire,  se  non  in  tutto  il  popolo,  almeno 
in  una  frazione  predominante  del  medesimo.  Per  ora,  dovendo  es- 
sere i  giornalisti  a  diiTerenza  degli  scrittori,  non  già  ispiratori  e 
precursori,  ma  interpreti  e  seguaci  di  quelle;  è  naturale,  che,  se 
le  son  borghesi,  debbano  eglino  stessi  esserlo.  Diasi  uno  sguardo 
a  tutt'  i  diari  italiani,  e  vedrassì,  la  i)orzione  maggiore  de*  mede- 
simi esprimere  il  pensiero  d*  una  o  d' altra  delle  fazioni  borghesi, 
e  la  minore  quello  della  fazion  nera,  che  ha  molta  probabilità  di 
succedere  alle  medesime:  alcuno  i  voti  d*  un  consorzio  più  sti- 
mabile e  meno  notevole,  e  veruno  l' ispirazione  astratta  e  ineon- 


—  425  — 

dizionale  della  verità.  Inoltre  vi  ha  una  seconda  ragione  grave, 
per  cui  la  stampa  periodica  persevera  nel  patronato  o  nella  clien- 
tela del  ceto  induslre.  E  questa  risiede  neir  indole  economica  de' 
giornali ,  che  quasi  quasi  ne'  medesimi  prevale  alla  letteraria ,  e 
che  cosi  gli  rende  un  patrimonio  de'  facoltosi.  I  giornali,  che  ab- 
biano un  formato,  una  collaborazione  e  uno  spaccio  non  isprege- 
voli,  costano  molto  ;  e  conseguentemente  doventano  anch'  essi  og- 
getto di  qualche  accomandita.  Se  i  principali  giornali  itaUani  non 
raggiungono  un  valore  di  milioni,  come  gl'inglesi  e  i  france- 
si, già  si  mercanteggiano  a  cento  e  più  mila  lire  per  ciasche- 
duno :  somma ,  che  può  esser  messa  assieme  anche  da  gentiluo- 
mini ,  ma  che  comincia  a  costituire  un  censo  borghese.  Di  regola 
quindi  essi  spettano  all'  uno  o  all'  altro  de'  diversi  gruppi  di  mo- 
derati confessi  o  protestanti,  che  si  palleggiano  il  potere  pubblico. 
I  quali  hanno  modo  di  sussidiargli  e  incoraggiargli,  ohre  che  con 
le  contribuzioni  de'  cosi  detti  israeliti  (che  hanno  parecchie  azioni 
0  carature  nelle  accomandite  giornalistiche  d'  Europa  ),  co'  favori 
dello  stato  presenti  e  futuri,  posticipati  e  anticipati.  E  dico  anche 
i  futuri  e  anticipati  ;  perchè  i  giornali  abbandonerebbero  i  so- 
praddetti gruppi  tosto,  se  non  contassero  sul  loro  eventuale  e 
probabile  trionfo.  Dal  quale  si  ripromettono,  io  non  dico  elargi- 
zioni, gratificazioni  e  onoranze  (che  io  non  suppongo  queste  cose); 
si  per  lo  meno  (lue'  guiderdoni  morali,  quelle  confidenze  intime  e 
quel  prestigio,  che  da  esso  procedono.  Di  guisa  che  vedesi,  anche 
in  questo  tema,  novello  esempio  della  pratica  vanità,  in  che  si  ri- 
solvono tutte  le  strombazzate  hbertà  borghesi.  Gli  scrittori  liberi, 
non  avendo  modo  di  stampare,  sono  posti  fuor  di  Uzza  :  però  se 
ne  possono  consolare,  avendo  la  hbertà  di  stampa. 


CCLXXXVlll.  Monopolio  del  yiomaliamo. 

Io  ho  fm  qui  ragionato  nell'ipotesi,  che  i  reggitori  non  as- 
sumano eglino  stessi  a[)ertamente  la  direzione  della  slampa  no- 
zionale.  Anche  non  assumendola ,  si  capisce  del  resto ,  che ,  se 
questa  per  le  ragioni  sovra  discoi'se  è  già  di  per  sé  borghese;  vie 
più  ne  lo  sarà,  (piando  tale  di  giunta  il  reggimento.  Il  quale,  non 
potendo  senza  un  apparente  suffragio  pubblico,  ossia  senza  un 
reale  monopolio  dell'  opinione  pubbhca  star  saldo;  naturalmente 
deve  di   quel   grande  strumento  e  degli  altri  impadronirsi,  che 


-  426- 

ponno  essere  acconci  a  intonare  a  suo  grado  il  belato  della  greg- 
gia. Tra  cui  merita  pur  menzione  la  telegrafia^  eh*  è  non  sola- 
mente una  regia  finanziaria  dello  stato  ;  ma  altresì  intelletluale  di 
chi  ha  in  mano  il  governo  del  medesimo.  Imperocché ,  oltre  es- 
sersi questo  serbato  un  alto  diritto  di  censura  e  quindi  anche 
d' intercettamento  de'  telegrammi  privati;  esso  ha  modo  (  conce- 
dendo privilegi  d' informazioni  recondite  e  di  miti  prezzi,  e  al- 
tri tali  favori  esclusivi  a  particolari  imprese  di  corrispondenza 
telegrafica)  di  comunicare  pel  tramite  di  queste  le  sole  notizie, 
cui  desidera,  e  col  garbo,  che  gli  conviene.  Anzi  là  dove,  come 
in  Italia,  i)er  maggiore  ingenuità,  havvi  una  sola  di  tali  imprese; 
quasi  tutte  quelle  comunicazioni ,  d' indole  politica ,  che  si  tra- 
smettono per  mezzo  del  telegrafo,  e  che  costituiscono  la  parte 
più  avidamente  letta  de' giornali,  porgonsi  da  questa  sola:  né, 
contro  il  governativo  divieto,  quelle  poche  degli  speciali  corri- 
spondenti de'  medesimi.  È  vero ,  che  T  opinione  fittizia  ,  cui  si 
può  telegraficamente  ingenerare,  può  esser  corretta  dopo  un  breve 
lasso  dalla  corrispondenza  postale  sopraggiunta.  Intanto,  per  que- 
sto lasso,  il  dominio  di  quella  è  assoluto  nel  governo:  e  in  un 
tempo,  in  che  gf  istanti  contano  per  mesi,  è  già  molto.  Oltre  di 
che  la  correzione  non  giugne  poi  tanto  facile,  né  tanto  oppor- 
tuna; perchè  chi  può  delle  cose  dare  la  prima  nuova,  e  spedal- 
mcnle  se  a  un  modo  reciso  ed  epigrafico,  qual  é  cotesto,  dà  già 
un  t^d  (]uaie  avviamento  alla  cognizione  futura  di  esse.  La  quale, 
benché  possa  essere  contraria  e  veritiera,  giungendo  tarda,  giova 
alla  storia  ;  alla  pratica  non  piii.  Se  non  che,  non  potejidosi  i  go- 
verni borghesi  limitare  a  questo  monopolio,  devono,  ripeto,  quello 
delle  elTemeridi  stampate  riserbarsi ,  non  certo  cosi  assoluto;  ma 
pur  pure  bastevole  a  indettare  il  basso  bestiame.  La  cosa  riesce 
ardua  a  comprendersi  da  coloro ,  che  credono,  occorrervi  proprio 
un  giornalismo  salariato  per  attuarla  ;  e  non  pongono  mente  ad 
altre  arti,  con  cui  puossi  del  pari  tale  intento  raggiungere,  e  al- 
cune delle  quaU  ho  già  in  altro  luogo  accennato. 


CCLXXXIX.  eioraalkmo  miaititriAle  U  Italia. 

Non  pare  per  verità,  che  senza  qualche  grossa  mercede  e 
qualche  ninnolo  di  giunta,  che  mi  so  io,  si  rendessero  in  certo 
momento  alcuni  celebrati  giornali  stranieri ,  per  la  noetra  rivea- 


-  427  - 

dicazione  e  unificazione  nazionale  sviscerati.  Ed  anco  di  giornali 
nostrani  si  narrarono  fatti  e  addussero  documenti,  e  si  udirono  e 
accolsero  con  tale  disinvoltura ,  che  pare  ammesso  da  tutti ,  non 
siavi  insita  alcuna  ingiuria  od  onta.  Del  pari ,  quando  i  moderati 
protestanti  scavalcarono  i  confessi,  indignati  contro  i  piccioli  trom- 
bettieri delle  Provincie,  che  non  s' accorgevano  ancora,  esser  mu- 
tati i  padroni  ;  senz'  altro  tolsero  a'  medesimi  il  privilegio  de' 
bandi,  che  a  delta  loro  rendevagli  venali  e  servili.  Fosse  impe- 
rizia 0  scialacquo  di  chi  sale  a  nuove  e  imprevedute  grandigie, 
allettativa  agh  accorti  o  a' mal  accorti  minaccia;  tanto  bastò  per 
persuadere  a  questi  lumi  di  luna  i  semplici  dell'amore  di  ve- 
rità e  di  libertà,  che  accendeva  que' magni  riformatori.  I  quali, 
per  quanto  poco  sappiano,  ben  sanno,  che,  se  in  questa  o  in  al- 
tre forme  non  si  ha  una  stampa  assolutamente  ligia,  non  si 
tira  innanzi  nemmanco  una  settimana.  Che,  se  da  principio  la  falta 
de'  diari  di  più  fazioni  o  consorterie  cospirate  potè  render  loro 
qualche  servigio;  per  conservare  i  fedeli  e  per  acquistare  alleati 
e  proseliti,  e  per  schiacciare  se  non  altro  gli  avversari  col  silenzio, 
vuoisi  qualche  cosa  di  più.  Fatto  sta ,  che  quando  ei  salirono  a 
quelle  grandigie  a  un  modo  si  repente  e  insperato;  sentivansi 
cosi  a  disagio  di  tal  suppellettile  e  di  denaro  per  comperarne, 
che  appena  appena  potevano  con  una  decina  d'  araldi  parlamen- 
tare. Ora  ne  hanno  olire  un  centinajo,  i  più  transfugi  dall'oppo- 
sto campo:  i  quali  hanno  per  proprio  destino,  né  possono  averlo 
diverso ,  se  non  di  passare  dalF  una  all'  altra  oste  vittoriosa.  E , 
come  vedemmo  i  moderati  vinti  rimanere  a  un  tratto  disertati 
da  costoro,  e  non  trovare  quasi  più  un  cane,  che  volesse  abbjgar 
per  loro  allegramente;  cosi  vedremo  i  moderati  vincitori,  non 
appena  muli  la  vicenda.  Perchè,  come  è  una  necessità  ne'  governi 
borghesi  d'avere  una  stampa  ciecamente  devota;  cosi  è  una  ne- 
cessità per  gran  parte  di  questa,  prescindendo  da  qualunque  igno- 
bile causa ,  la  cieca  devozione  alla  fazion  dominante.  Da  cui , 
quando  non  la  si  attendesse  guiderdoni  in  moneta,  concessioni  di 
privilegi,  titoli  d' onore,  seggi  ne'  maggiori  consigli,  uiDci  pubblici, 
autorevoli  appoggi,  propalazioni  riservate,  e  via  via;  T indole 
stessa  dei  giornali ,  qual  si  è  di  sopra  considerata ,  consente  ai 
meno  V  opposizione,  e  ingiunge  ai  più  l'ossequio  verso  i  mutabili 
reggitori.  Come  nelle  cosi  dette  camere  costituzionali  la  cosi  detta 
maggioranza  non  è  di  regola  oppositrice  (poiché  amministrano 
lo  stato  coloro,  cui  ella  del  suo  voto  assiste);  cosi  per  una  me- 


-  428  - 

desima  necessità,  innanzi  alla  quale  deve  cessare  per  fino  il  rim- 
proverò,  il  più  de'  giornali  e  di  propria  voglia  sta  con  la  fazione 
maggloreggiante.  Avvegnaché,  se  le  voltasse  faccia,  come  appunto 
di  tratto  in  tratto  accade,  salirebbe  in  maggiorla  V  altra  fazione,  a 
cui  piegasse  :  onde  in  un  modo  o  nell'altro  segue  sempre  i  trioolii- 
tori  del  giorno,  che  di  tal  guisa  possono  vender  sempre  lucciole 
per  lanterne.  E  cosi,  spiegato  dianzi  perchè  il  giornalismo  serva 
oggi  alla  borghesia,  spiegasi  adesso  perchè  il  più  de'  giornali ,  se 
non  propriamente  al  governo  nazionale,  serva  al  governo  di  questa 
0  di  quella  fazione  borghese  :  dal  quale  naturalmente ,  se  lo  vuol 
servire  e  fin  che  Io  vuole,  si  lascia  imbeccare. 


CCXC.  HeceBsarìe  perìpeae  dell'  opiniiwe  pabUiea  flttlriA. 

Come  le  fazioni  ora,  e  sopra  tutte  le  amministrazioni  dalle 
medesime  create ,  si  trovano  alle  volte  d' un  baleno  abbandonate 
da  tal  milizia  ausiUarc;  cosi  accadrà  un  giorno  a  tutta  la  bor- 
ghesia, quando  la  stampa  periodica  muti  col  mutare  di  quella 
opinione  pubblica,  di  cui  è  organo  e  insieme  fattore  infldo.  E  noi 
{M)ssiamo  immaginare,  quanto  grave  fia  questa  catastrofe,  consi- 
derando quella  recente,  in  cui  la  stampa  francese  avvolse  Napo* 
leone  III.  Il  (piale,  conoscendo  per  bene  e  disviluppando  ali*  estre- 
mo (|uesto  possente  niodo  d' adulterare  il  popolar  giudizio;  dalla 
necessità  costretto  di  mantenere  la  meritata  e  invisa  tirannide, 
instaurato  aveva  un  artificioso  accordo  di  plausi ,  tra  cui  la  voco 
de'  sapienti  e  il  grido  delle  turbe  non  più  s' udivano.  Buono  colai 
sistema  pdv  una  decina  d' anni ,  portava  in  sé  il  verme  roditore  : 
dai)poichò  la  verità  è  destinata  a  trionfare  sulla  menzogna  ;  e  non 
vi  ha  forza  di  corruzioni  e  di  vessazioni,  che  possa  quella  delle 
convinzioni  libere  od  oneste  superare.  II  moto  e  il  contrasto  d'al- 
tra parte  sono  nell'  ordine  del  pensiero,  come  in  quello  dell'  azio- 
ne, cosi  indispensabili,  che  dopo  un  certo  lasso  di  quiete  e  di 
concerto  si  perde  la  sostanza  delle  idee  e  sino  il  senso  delle  pa- 
role. E  in  fine  (|uel  medesimo  artincio,  che  valse  a  stabilire  ma 
credulità  falsai,  si  ritorce  contro  gli  autori  ;  che ,  illusi  da  tante 
approva/ioni  prezzolale  o  coartate,  non  s' avveggono  più  de'  propri 
errori  e  de  comuni  |K'ricoli ,  del  sotterraneo  rombo  e  dell*  immi- 
nente fato.  Parve  (>er  un  certo  ten)po,  non  avesse  la  Francia  più 
uno  scrittore  convinto,  e  nennuen  quasi  più  uno  coDlrario  al  de- 


-  429  - 

spoto  abilissimo  e  adulatissimo.  Appena  la  costui  stella  volse  al 
tramonto,  e,  stanco  egli,  si  lasciò  cader  di  «nano  i  fili,  con  cui 
dirigeva  quella  scenica  rappresentazione;  se  non  da  scrittori  con- 
vinti ,  da'  contrari  e  sopra  tutto  da  libellisti  rimase ,  più  coli'  ol- 
traggio e  col  tradimento,  che  colla  sapienza  e  colla  virtù  sopraf- 
fatto. Indarno  chiese  allora  soccorso  a'  nobili  sentimenti  e  alle 
sincere  persuasioni,  ch'erano  stati  posti  al  bando;  e  ai  compri  e 
vili  arnesi  delle  tirannidi ,  che  non  si  ritrovan  più ,  quando  le 
sieno  dalla  fortuna  riprovate.  Tutto  era  falso  intorno  a  lui:  falsi 
gli  alTetli,  i  pareri,  i  consigli,  le  imprese,  le  istituzioni  ;  e  da  ul- 
timo si  scoperse  falsa  fin  la  bellica  forza  sul  campo.  ÀI  qual  colmo 
di  falsità  non  giunge,  e  a  tanta  rovina  non  giungerà  probabil- 
mente mai  il  monopolio  dell'  opinione  pubblica  esercitato  dalla  bor- 
ghesia italiana;  trattandosi  qui  d' oppressione  collettiva,  e  non  già 
individuale.  Ed  essendo  qui  da  un  lato  i  reggitori  incocciati  e 
non  già  disleali  ;  e  dall'  altro  gli  uomini  in  genere  di  tal  tempra, 
da  non  potersi  troppo  profondamente  corrompere,  né  vessare.  Non 
abbiamo  noi,  per  buona  ventura,  né  un  dicastero  della  stampa, 
né  magistrati  censorii,  né  cauzioni  pe'  giornah,  né  patenti  pe' li- 
brai e  tipografi,  né  riprensioni  ed  altre  tali  comminazioni  da  parte 
d' uilìciali  di  polizia ,  né  maneggi  infami  e  né  in  fine  ostacoli  di 
sorte  alcuna  contro  la  legittima  e  giusta  libertà  del  pensiero  e 
della  sua  manifestazione.  Sia  benedetta  dunque  questa  libertà,  che,  se 
non  di  lottare  ora  validamente  contro  le  soverchiami  fazioni,  con- 
cede almeno  ad  alcuno  di  potersi  immolare  a  quel  vero,  eh'  è  si 
terribile  e  pur  sì  adorabil  nume!  Nondimeno  la  illusione  inge- 
nerata da'  concordati  accenti  e  sin  da'  cospirati  silenzi  esiste  an- 
che qui;  e,  dileguandosi  un  giorno,  lascierà  com'è  naturale,  la 
plutocrazia  delusa.  La  quale,  se  si  lasciasse  sopravvenire  una 
guerra  sociale ,  ovveramenle  servile ,  vedrebbe  tosto ,  che  le  var- 
rebbe il  placido  coro  de'  suoi  novellieri,  de'  suoi  grammatici  e  de' 
suoi  sofisti  contro  il  nugolo  de'  foglietti  clandestini,  l' invettiva  de' 
tribuni  ebbri  e  1'  urlo  delle  plebi  foi*sennate.  Se  non  che ,  cam- 
pando essa  alla  giornata,  quando  ha  in  suo  potere  Toggi,  che  le 
importa  del  dimani?... 

GCXCI.  Pervertìmento  AeHa  naiioiie. 

Avendo  nella  sopraddetta  guisa  la  nostra  tirannide  circuito  e 
irretito  la  coscienza  e  la  mente  della  nazione;  ella  potrebbe  tul- 


-  430  - 

tavia  fla  uno  slancio  d' eroismo  e  d*  intelletto  essere  travolta.  E 
per  ciò,  affinchè  T  inganno  riesca  meglio,  o,  non  riusoendo,  possa 
ella  scopertamente  agire  j  dee  cercare ,  che  il  grande  avversario 
suo  rimanga  annichilito.  Consegue  tale  scopo  primieramente  col 
pervertimelo,  quanto  più  può,  nella  guisa,  che  or  farò  manifesta, 
ed  in  quella  medesima  del  resto,  che  usarono  le  altre  tiraonidL 
Le  quali ,  è  ben  noto,  non  tanto  si  giovarono  de*  patiboli ,  deDe 
carceri ,  degli  esilii ,  delle  confische  e  delle  violenze  d*  ogni  na- 
tura; quanto  del  sotti I  veleno  del  \izio,  grado  a  grado  inoculato, 
che  rende  altrui ,  non  che  atto  a  senire ,  contento ,  spregevde  e 
per  sino  immeritevole  di  compassione.  Poiché  della  moralità  bor- 
ghese 1)0  già  in  altro  luogo  discorso ,  qui  non  si  tratta  di  cod- 
siderarne  il  privato,  sibbene  il  pubblico  pervertimento  ;  e  non  per 
malvagità  degli  uomini,  sibbene  per  Y  occulta  ed  indeclinabile  ef- 
ficacia de'  sistemi,  cui  seguirono.  Non  solamente  egUno  in  tant*aDDi 
di  reggimento,  neglessero  ogni  cura  per  dare  aU'  Italia  una  gene- 
razione degna  del  suo  nome  e  del  suo  avvenire  :  ma  non  ne  pre- 
terirono, si  può  dire,  alcuna,  perchè  la  fosse  acconcia  alla  più 
abietta  servitù.  Non  dico,  che  a  bella  posta  b  rendessero  feroce 
0  allatto  prava  :  questo  non  giovava  nemmanco  a*  tiranni ,  che 
possono  da'  sudditi  inferociti  o  affatto  depravati  attendere  piuttosto 
danno,  che  vantaggio.  Pure ,  senza  nemmanco  avvedersi  di  &r 
male,  accarezzarono  eglino  tutti  que'  bassi  istinti  e  diflusero  tutti 
(|ueg1i  ignobili  sentimenti  ;  pe'  quali  le  plebi  soggette  possono  si 
stimare  o  invidiare  i  propri  signori,  non  disfidargli  e  ributtargli 
Quindi,  oltre  il  guasto  della  gioventù,  procacciato  nelle  scuole, 
di  cui  pure  ho  discorso;  cogli  autorevoU  consigli,  precetti,  atti, 
procacciarono  il  trionfo  de'  cosi  detti  principii  utilitari^  on'era- 
mcnte  de'  sordidi  interessi  al  punto ,  che  le  virtù  civili  e  morali 
si  repulairo  ora  fantasticherie  e  corbellature.  È  tuttavia  essenziale 
al  buono  stato,  quanto  punire  la  colpa,  premiare  la  virtù:  non 
[torchii  questa  abbia  bisogrio  d' esser  premiata  ;  sì  perchè  Y  omag- 
gio alla  medesima  reso,  la  colloca  in  quell'eminente  seggio,  io 
cui  merit;i  <r  esser  posta ,  e  da  cui  può  nobilmente  regnare.  Se 
in  vece  il  premio  usurpato  alla  virtù,  si  comparte  a  ciò,  che  non 
è  m  colpa,  nò  virtù;  o  peggio,  se  alla  colpa  senz*  altro,  e  i  cat- 
tivi si  tengono  in  maggior  pregio  de'  buoni ,  lentamente  il  senso 
morale  e  rivile  del  |K){)oI  tutto  si  pen'crte.  Per  lo  meno,  anche 
rlii  reputassi^,  veder  io  trop|K)  fosco,  deve  concedermi,  che  noi 
rotidianamente  assistiamo  allo  schifoso  spettacolo  delle  lodi  e  de- 


-  431  - 

gli  onori  spudoratamente  profusi  al  guadagno  e  al  suceesso.  Non 
vi  è  alcuna  ragione,  che  f  ricchi  non  debbano  esser  lodati  e  ono- 
rati, ognor  che  abbiano  i  meriti  stessi  de'  poveri  :  ma  non  ve  n'  ha 
del  pari  alcuna,  che  in  loro  la  ricchezza  tenga  eziandio  luogo  del 
merito.  Pure  a  tanto  siam  giunti,  che  chi  giugne  a  un  certo  grado 
di  dovizia,  senza  maggior  ingegno  degli  altri  o  maggiori  ser- 
vigi alla  patria;  per  ciò  solo,  che  s'  è  fatto  dovizioso,  può  contar 
d'avere,  oltre  a  qualche  decina  di  medaglie,  un  cingolo  da  ca- 
valiere, una  corona  da  barone  ed  aflche  un  seggio  da  presso  al 
trono.  Né  basta  :  che,  oltre  la  fortuna ,  volendosi  premiare  il  vi- 
zio; non  appena  questo  può  accampar  qualche  mendicata  scusa 
0  rendere  qualche  supposto  profitto ,  eccolo  perdonato  ,^  ed  anzi 
vezzeggiato  e  gratificato. 


CGXGU.  StiM  dd  viito. 

Fu  cosa  buona,  non  fare  alcun  male  agli  sgherri  delle  speùid 
tirannidi,  e  rispettarne  altresì  i  diritti,  e  provvisionargli  di  giun- 
ta; e  degna  dell'equità  avita  e  della  costante  moderazione  di 
questo  gran  popolo  decaduto.  Ma,  prima  transigere  e  patteggiar 
con  loro,  e  poscia  accogliergli  a  braccia  aperte,  porgli  a  fiimco 
de'  patriotti  e  alla  fine  sovrapporgli  a'  medesimi  in  guisa  tale, 
che  questi  debbano  or  quasi  loro  chieder  venia  della  patria  ri- 
scattata; via,  fu  troppo.  E  cosi  puossi  consentire,  in  tanta  vari^ 
di  casi  e  in  tanta  mutabilità  di  pareri,  che  agli  uomini  girevoli 
e  leggieri  si  condonasse  alcun  trascorso.  Ma  tanta  sollecitudine  e 
tant'  ansia  di  far  largo,  e  di  serrare  nelle  proprie  file  i  vacfilanti 
e  i  voltabili ,  tenendogli  in  assai  maggior  conto  de*  costanti  e 
degl'  incrollabili ,  fu  ugualmente  troppo.  Pure  il  modo  più  sgktìo 
ornai,  per  chi  vuole  fuor  della  penosa  filiera  degli  uffici  piÀUici 
e  delle  auliche  grazie,  salir  alto,  è  appunto  codesto.  Faccia  Io  scal- 
manato e  il  furibondo  contro  i  r^gitori  e  la  fàzion  loro,  e  sopra 
tutto  contro  gli  ordini  pubblici;  e  si  atteggi  a  Gatilina  da  fiursa 
e  a  Bruto  da  taverna.  Tosto  tosto  una  vocina  fievole  gli  sosurra 
all'orecchio:  sappiam  bene,  che  hai  troppi  debiti  e  troppi  bi- 
sogni ;  ma  sei  un  caro  ragazzo,  e  fai  per  noL  —  Né  manca  costui 
dì  risponder  subito,  come  sia  stato  finatanente  compreso;  né  di 
gettar  via  il  sajo  repubblicano  e  d' indossare  la  livrea  cortigia- 
nesca con  una  sveltezza,  di  cui  ninno  più  si  meiavig^  PMrei 


-432  - 

citare  a  centinaja  esempi  di  quanto  asserisco:  e  nominare  città 
intiere,  dove  persone  rivestite  di  poteri  e  di  gradi,  ch^io  ti- 
cio,  sollevarono  a  dirittura  tutta  la  feccia,  pur  di  -ooBtnHlWB  ab 
fazione  opposta  e  d' intorbidare  gli  spiriti  ;  e  cor 
pub  facilmente  immaginare.  Ripugnandomi 
schifa  materia  e  non  mi  reggendo  Y  animo  d*  wmtami^  ifciroo; 
basta ,  eli'  io  dica  a'  lettori  miei  :  guardatevi  attorno.  Spesso  ma 
persona,  aspreggiati  e  insultata  fin  che  si  rimase  ferma  in  un  pro- 
posito, che  aveva  almeno  il  merito  di  sembrare  proprio  ed  one- 
sto; fu  encomiata  e  glorificata,  non  appena  capitolò  codardamente. 
Se  poi  im  uomo  puro  e  fiero  sorge ,  cui  non  si  possa  schiacciare 
col  vilipendio  o  coll'obblio;  eccogli  tutti  addosso  a  rimproverare 
quella  sua  austerità  inopportuna,  a  scongiurarlo,  a  insidiarlo  e  a 
tramortirlo:  e  a  non  esser  paghi,  fin  che  non  abbia,  come  toro 
mazzolato,  chinato  la  cervice  alla  codardia  meritoria.  Mentre 
dovrebbero  tutti  trepidare  sui  cimenti  e  sulle  tentazioni,  ch*ei 
deve  attraversare,  e  invocar  su  lui  Faita  de' celesti  (acciò  la  sua 
caduta  non  faccia  disperare  del  genere  umano  e  la  sua  fortezxa 
salvi,  almeno  dalla  maledizione,  il  secolo  malvagio);  costoro  esis- 
tano in  vece,  quando  la  sua  virtù  sia  vinta.  Per  troppe  prove  si 
vede,  essere  T  eroismo  bellico,  benché  cotanto  ammirabil  cosa, 
incommensurabilmente  più  facile  dell'  eroismo  civile.  Perchè,  con- 
tro mille,  che  sfidano  imfiavidi  il  nemico  armato  in  campo,  ap- 
pena se  ne  trova  uno,  die  sappia  all'avversa  fortuna  e  al  vizio 
(Contagioso  resistere  ;  e  molti  furono  prò'  soldati ,  che  poi  altret- 
tanto [>erfidi  cittadini.  Basta  in  fatti  il  fisico  coraggio  [er  com- 
battere in  guerra  :  ma  quanta  invitta  fortezza  d' animo  non  occor- 
re a  disfidare  le  seduzioni  del  vizio  e  le  ire  della  fortuna;  ad 
onoratasi  della  propria  povertà  fra  gì'  insulti  dell'  altrui  fasto,  e 
della  propria  oscurità  fra  i  tripudi  dell'  altrui  oltracotanza?  Quanti 
a  iK'rseverare  nt;l  modesto  sacerdozio  del  vero  e  del  ginslo,  e 
(fuindi  nella  rotta  stima  delle  proprie  convinzioni  e  intenzioni; 
mentre  queste  seml)rano  altrui  delirii,  e  lo  sprezzo  comune  in 
tutte  le  guise  cospira  a  insinuar  nell'  animo  il  dubbio  angoscioso, 
che  le  sian  tali?  OuanUi  ad  otTerire  la  vita  in  olocausto,  non  gii 
nel  fenorc  della  pugna  e  nell'  ebbrezza  della  gloria:  si  grado  a 
grado,  oncia  ad  oncia,  per  una  lunga  sequela  d'anni;  pardi 
scendere  incontaminati  e  dimenticati  nolla  comune  fossa,  stringendo 
ancora  colle  mani  irrigidìt*'  il  vessillo,  a  cui  si  giurò  fede  nelh 
prima  giovin«'zza?  S|)ettacolo  sublime  e  veramente  degno  de'  numi 


-  433  - 

codesto:  ma,  non  potendo  i  mortali  assistervi  di  frequente,  grave 
minaccia  all'onestà  di  tutti  sì  dura  sorte  serbata  agli  onesti,  e 
ai  disonesti  sì  lieta!  Che  ornai,  se  non  per  caso  sono  i  buoni 
onorati ,  e  aggiungo,  che  spesso  nemmeno  per  caso,  se  non  richieg- 
gano  eglino  stessi  d' esserlo.  E  codesti  onori ,  largiti  ai  merite- 
voli e  agr  immeritevoli ,  o  in  peggiori  guise  sciupati ,  divennero 
Uili,  che  i  meritevoli  non  gli  possano,  se  non  spregiare;  e  più 
sieno  onorati  di  non  avergli,  che  d'avergli. 


CCXC11I.  Disistima  deUa  virtù. 

La  costanza  de'  propositi ,  il  culto  ideale  della  patria ,  la  de- 
vozione sincera  alle  cause  sante,  la  fede  nel  trionfo  definitivo 
della  giustizia  sulla  terra,  si  reputano  ciarpe  logore,  da  lasciarsi 
appena  agl'infermi  superstiti  del  ventuno  e  del  trentuno,  agl'in- 
correggibili declamatori  del  quarantotto  e  alla  stremata  falange 
de' mazziniani  veri.  —  Ora  l'Italia  è  compiuta,  dicono  i  fattori 
della  borghesia:  né  si  tratta  di  farla  nobile ,. eulta ,  potente,  e 
reina  (come  la  dovrebh' essere ,  e  lor  mal  grado  lo  sarà);  basta, 
che  la  facciate  ricca,  arricchendovi  ciascun  di  voi,  quanto  più 
potete.  Fate  Imeni  affari,  utili  imprese,  grassi  lucri,  stando  in 
riga  col  codice  penale;  che  noi  vi  daremo  incoraggiamenti,  grazie, 
dignità,  tutto.  —  E  sono  per  fino  da  imberbi  giovanetti,  in  una 
età,  in  cui  bisogna  esserci  sasso  per  non  sentir  la  febbre  delle 
cose  belle  e  generose ,  così  prontamente  assecondati ,  che  sembra- 
no costoro,  non  aver  più  sangue  nelle  vene.  Il  mutar  sentimenti 
a  ogni  fase  di  hma ,  il  non  possederne  anzi  alcuno  d' inconcusso 
e  di  disinteressato,  ò  divenuto  un  titolo  di  merito,  un  chiaro  in- 
dizio d'altitudine  politica,  e  un  sicuro  presagio  di  felice  ventura. 
Gli  uomini  di  natura  ferma  o  (come  si  dice  ora,  perduta  la  cosa 
e  trovalo  il  vocal^olo)  gli  uomini  di  carattere,  quali  visionari  o 
testardi,  sono  tenuti  per  dappoco;  o  per  lo  meno,  qual  gente,  che 
non  serve  a  nulla,  messi  in  disparte.  L'astuzia,  la  scaltrezza,  la 
furberia  scherniscono  all'  aperto  la  schiettezza,  la  lealtà,  l' inge- 
nuità, come  fole  da  gonzi.  Né  vi  é  altro  scampo,  per  chi  disdegna 
la  fama  di  dopi)io  e  d' intrigante,  se  non  di  passare  per  scempio 
e  fannullone;  e  così  almeno  meritarsi  questo  epitaflìo. 

((  Laudato  sempre  sia  chi  nella  bara 
Dal  mondo  se  ne  va  col  suo  vestito: 

28 


-  434  - 

Muoia  pur  bestia;  se  non  ha  mentito. 

Che  bestia  rara  »  ! 
Un  generale  sottinteso  avvolge  inoltre  nella  medesima  indiffewM 
il  buono  e  il  reo,  e  concede  anzi  assai  più  indulgenza  al  tìqo, 
che  ammirazione  alla  virtù.  In  ciò  sono  coocordi  tutte  le  fazioDi: 
per  sino  la  repubblicana,  che  conta  i  più  integri  uomini;  e  ta 
quale  tuttavia ,  preferendo  poch'  anni  or  sono  d' accettar  faki  gre- 
gari, anzi  che  cadere  intatta  co' suoi  degni  campioni ,  tardò  di 
molto  i  suoi  fati.  E  ben  s'a\Tidc  tosto,  quanto  valevano  questi 
nuovi  ausiliari,  bimbi  coi  crepundi  e  in  berretto  flrigio,  venuti  sa 
<r  improvviso  e  non  si  sa  donde  ;  che,  lasciato  il  carniccio,  ssii- 
tajolarono  chi  qua,  chi  la  tutti,  e  la  lasciarono  diradata  e  seo^ 
nata.  I  quah,  quando  T  Italia  si  redimeva  dallo  straniero,  e  per 
rodimci*si  avca  bisogno  d'un  capitano  generale,  le  cui  gesta  do- 
veansi  con  una  religiosa  tregua  assecondare,  T  osteggiarono  come 
implacati  tribuni;  ed  or,  clf  ella  è  redenta,  e  potrebb' averne  mi- 
nor bisogno ,  come  consumati  cortigiani  gli  s' inchinano.  Ciò  dob 
ostante,  fa  parte  della  morale  uiiivei'sale  lo  stimar  le  persone  per  V 
loro  qualità,  e  non  pegli  appellativi  e  distintivi  loro.  Onde  gli  uonù- 
lìi  one.sti,  e  dico  onesti  sì  nella  pubblica  e  si  nella  privata  vita, 
dovrcbbon  essere  accolti  tutti,  se  anche  con  idoli  e  bandiere  di- 
verse :  i  disonesti  (  salvo  il  perdono,  eh'  è  lor  dovuto  )  nemmaaoo 
co' pegni  più  preziosi,  nemmanco  colle  palme  del  martirio.  Che, 
se  una  causa  santa  fosse  da  costoro  abbracciata,  tosto  coover- 
n^bbe  della  sua  santità  dubitare:  e  atl  ogni  modo  meglio  esser 
soli,  che  in  si  mala  compagnia.  Ma,  mentre  in  Italia,  perchì*  un» 
ha  ceitc  devozioni  ed  altro  non  le  ha ,  uno  \iiole  repubblica  ed 
altro  monarchia,  si  odiano  e  sprezzano  a  vicenda;  tutte  le  fazioiii 
in  questo  concordano  :  in  non  guardarsi  da'  tristi.  Così  che  i  no- 
stri uomini  politici,  assidui  a  ribenedire  i  codardi,  quanto  a  re- 
spingere i  valenti,  pur  d'accrescere  le  proprie  ragunaticcie  lan- 
de e  sbaragliare  gli  emuli,  mietono  ora  quello,  che  hanno  semi- 
nato. Come  in  notturna  mischia  cittadina,  confuse  le  insegne  e 
svelati  i  segiìi  di  congiura,  non  sanno  i  comhaUenti  stessi  cui 
s«*gnire  e  cui  ferii'e;  così  ora  non  sanno  quelli  chi  stia  con  Ior« 
e  chi  contro,  o  almeno  chi  l'amico  d'oggi,  che  non  sia  il  ne- 
mico del  dimani.  Quanto  alla  giustizia,  non  se  ne  ha  più  T  amo- 
re, |K)ichò  non  si  detesta  più  T  iniquitii;  e  nemmanco  più  il 
concetto,  poiché  (se  vogliamo  esser  sinceri)  non  si  crede  più 
a  niente. 


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CCXCIV.  AffleTolimento  della  naiione. 

Si  capisce  quindi,  come  in  certe  crisi  delle  società  umane 
possano  un'  irruzion  di  barbari ,  una  moria ,  un  diluvio  o  altrettal 
flagello,  che  spazzi  via  la  terra,  essere  un  beneficio.  E ,  se  queste 
piaghe,  che  ho  fin  qui  scoperte,  affliggessero  tutto  il  popolo,  non 
rimarrebbe  davvero  a  sperare  in  altro,  che  in  cotal  sorta  di  cure, 
cui  i  sociaUsti  dominanti  provocano,  e  i  socialisti  dominati  invo- 
cano. Per  somma  grazia  degU  dei,  non  ne  affliggono,  che  quella 
frazione  esigua,  la  quale  chiama  sé  stessa  popolo  (come  ho  detto), 
quando  si  tratta  di  comandare  e  di  riscuotere;  e,  quando  d'ob- 
bedire e  di  pagare,  la  bordaglia.  Però  quelle  nonantanove  parti 
della  popolazione  italiana,  che  rimangono  incolumi,  benché  da 
tinta  corruttela  contaminate;  occorre  (dopo  averne  attutito  il  senso 
del  dolore)  fiaccare  in  guisa,  che  non  le  pensino  a  sollevarsi.  È 
il  terzo  ed  ultimo  mezzo,  ripeto,  delle  tirannidi  non  violente:  le 
quali,  oltre  ingannare  e  pervertire,  hanno  alla  fine  bisogno  d'af- 
fievolire i  sudditi,  non  dico  fisicamente;  ma  moralmente,  che  fa 
lo  stesso.  E  già  vale  ad  affievolirgli  la  ignoranza,  in  cui  sono  im- 
mersi ,  e  lo  spettacolo  loro  cotidianamente  ammannito  del  vizio  av- 
venturato. Pur  vi  sono  quattro  particolari  modi ,  atti  a  ciò,  e  che 
furono  anche  tra  noi  adoperati  con  quella  sistematica  e  fredda 
costanza ,  che  tosto  si  parrà.  Primo  de'  quali  illaqueare  il  popolo 
sì,  che  non  si  possa  movere:  e  questo  naturalmente  si  attua  colle 
pubbliche  istituzioni  e  co'  pubblici  provvedimenti,  entro  cui  o  sotto 
cui  esso  si  rimane  costretto  e  soffocato.  Né  ho  bisogno  di  spie- 
gare codosio  illaqueamento:  poiché,  quanto  alle  istituzioni,  basta 
solo  notare  la  sua  esclusione  dagli  squittinì,  e  quindi  la  sua  rele- 
<zazione  dalla  vita  politica;  per  comprendere,  ch'esso,  di  cui  è 
lo  stato,  è  dalle  leggi  stesse  o  postone  fuori,  o  tenutovi  entro 
come  cosa.  Quanto  a' provvedimenti,  basta  solo  accennare  Y ago- 
nia finanziaria,  in  cui  la  borghesia  tiene  i  suoi  domimi,  e  que- 
sto nostro  con  più  implacabil  durezza;  per  comprendere,  ch'ella 
ha  {]^i.\  tanto  per  ispanrire  un'intiera  nazione,  come  una  greggia 
all'ululato  del  lupo.  Il  quale  suo  grande  arcano  d^  impero,  é 
insieme  la  cosa  più  agevole  e  commoda,  che  immaginare  potesse. 
Avvei^nachè  ella  non  ha,  che  a  sprecare  il  danaro  pubblico,  a 
fare  accatti  ingenti  e  a  fondere  le  facoltà  del  demanio,  de'  comuni 


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e  delle  opere  pie,  impinguando  sé  medesima;  che  tosto  al  pop(rio 
impoverito,  indebitato,  spogliato,  addossa  enormi  gravezze.  E  eoo 
queste  noi  lascia  più  respirare,  né  ad  altro  pensare ,  che  allo  spsn- 
raccliio  del  fallimento  od  agli  stimoli  della  fame.  Il  qual  popolo, 
se  la  scongiura  a  considerai*e,  eh'  é  composto  di  cittadini,  eh*  han- 
no una  patria,  e  d'uomini, che  im' anima:  che  patria  e  che  ani- 
ma, gli  risponde,  vai  tu  millantando?  Paga  ora,  se,  olir' essere 
impoverito,  indebitato,  spogliato,  non  vuoi  di  giunta  essere  anco 
disonorato.  —  E  mi  appello  a  tutti ,  se  questo  non  fa  il  linguag- 
gio, in  forme  meno  brevi  e  concitate,  ma  non  meno  aspreebro- 
tali ,  usato  non  solo  da'  nòstri  fìnanzieri  saliti  per  ciò  in  gnnde 
riputazione;  sì  da  tutti  coloro,  che  trassero  e  oianipolarooo  le 
sorti  di  questo  sciagurato  poi)olo  sin  qui. 


CCXCV.  Scisma  dTile  e  monde. 

Il  secondo  modo  per  domare  i  sudditi ,  noto  a  tutte  le  tinm- 
nidi  e  da  tutte  praticato,  si  riassume  nel  detto  famoso:  «  dividi 
e  regna  ».  La  nostra,  non  trovando  qui  i  papaveri  di  TanjuìDio. 
a  cui  tagliar  le  teste,  né  possenti  baroni  da  diffidare  e  tenere  a 
bada,  nò  città  disposte  a  rompere  la  fraterna  amistà,  dovette  ad 
altri  spedienti  analoghi  appigliarsi.  Divise  cioè  il  popolo,  prima 
concorde,  e  risorto  anzi  in  un  impeto  di  concordia  prodigioso  e 
divino;  divise  in  reti  astiosi,  in  regioni  sospettose,  in  sette  e  in 
fazioni.  Anche  qui,  al  mio  primo  enunciare  una  proposizione, 
sembra,  ch'io  dica  una  cosa  inverosimile:  ma  abbiate  pazienza, 
miei  p«izienti  lettori  ;  e  vedrete,  quanto  codesta  divisione  sia  vera! 
Cominciarono  già  i  nostri  ultimi  padri,  e  tanto  per  sciroieggiare 
i  francesi,  a  gridar  morte  agli  aristocratici  e  ai  tonsurati  sui 
lìiiire  dello  scorso  secolo,  quando  questa  borghesia  nacque:  e, 
per  ventura,  i  nostri  senza  sparger  sangue.  Ma,  quantunque  al- 
lora si  rallentassero  que^  vincoli  d' unione  o  almeno  d' ossequio, 
che  tenevano  i  diversi  ceti  congiunti;  pure  questa  concordia, 
grande  indizio  d' amabilità  reciproca  e  di  squisita  urbanità,  con- 
tinuò e  continua  ad  essere  un  vanto  della  nazione  italiana;  ed 
una  delle  uia<:!:iori  mie  si)eranze  in  tanto  cniccio.  Un  buon  tede- 
sco, trent' anni  fa,  conqùacendosi  ass;ii,  che  qui  non  si  dess^ 
veruna  importanza  ai  ^rratU  e  alle  cerimonie,  e  che  fossero  altret- 
tanto rispettosi  e  franchi  i  minori,  quanto  modesti  e  afiahili  i 


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maggiori;  notava,  che  «  le  relazioni  delle  diverse  classi  de' cit- 
tadini tra  loro  presentano  una  piacevole  immagine,  che  altrove  si 
ricerca  in  vano.  11  muro  di  divisione,  principalmente  tra  la  no- 
biltà e  gli  altri  ordini ,  non  è  in  Italia  si  denso ,  come  nelle  altre 
contrade  d' Europa  »,  e  sopra  tutto  nel  suo  paese  (  Mittermaier, 
Condtjsioììi  (T Italia,  II).  E  questo  io  rammento:  perchè,  dimen- 
ticandosi oggi  le  cose  dopo  un  anno,  che  le  sono  accadute,  ed 
essendo  general  supposto,  che  il  mondo  vada  sempre  alla  ma- 
niera medesima  ;  niuno  sembra  accorgersi  de'  gravi  mutamenti , 
che  la  società  italiana  ha  subito,  non  dico  ne' secoli  o  da  tre 
quarti  di  secolo  in  qua,  ma  nemmeno  negli  ultimi  lustri.  Frat- 
tanto è  innegabile,  che,  mentre  l'Italia,  a  cui  furono  le  caste  e 
quasi  anco  i  feudi  ignoti,  serba  tuttavia  in  superior  grado,  che 
altrove,  l'invidiabile  parità  de' suoi  ceti;  d'altra  parte  questa 
venne  negli  ulti  [ni  lustri  assai  gravemente  minacciata.  E  i  nostri 
gran  dottori ,  che  cianciano  di  democrazia ,  come  d' un  trovato 
francese,  senza  por  mente  alla  speciaUtà  delle  nostre  condizioni 
sociah,  né  curarsi,  che  noi  l'avevamo  reale  e  perfetta  parecchi 
secoli  innanzi;  fecero  di  tutto  ap{)unto,  perchè  s'indietreggiasse 
anche  di  questo  passo,  piuttosto  che  avanzare. 


CCXCVI.  DlYÌsione  per  ceti  in  ItaUa. 

I  preti  conseguentemente,  separati  dalla  nazione  e  in  buona 
[wirte  contrari  a' suoi  voti,  e  immersi  in  tale  un'ignoranza,  per 
cui  non  sono  in  grado  di  competere  più  col  laicato,  o  cospirano 
contro  lo  stato,  o  si  traggono  in  disparte.  E  passano  per  migliori 
coloro,  che  non  curandosi  d' altro,  se  non  di  picciole  ciurmerie  in- 
nocenti, ungono  il  grifo  e  distendono  la  cotenna.  I  gentiluomini, 
che  avrebbero  a  certi  patti  giusta  ragione  di  pregiare  il  loro  stalo 
(  perocché  dopo  le  virtù  proprie  e  le  civiche  prerogative,  che  che 
ne  dica  questa  zotica  e  falsa  democrazia,  non  vi  è  tesoro,  di  cui 
r  uomo  più  si  debba  onorare,  che  del  nome  virtuoso  lasciato  dagli 
avi  e  de' servigi  alla  patria  resi  da' medesimi);  scordano  troppo 
ciò,  cui  Dante  cantava. 

«  0  poca  nostra  nobiltà  di  sangue, 
Se  gloriar  di  te  la  gente  fai 
Quaggiù,  dove  l'affetto  nostro  Lingue, 
Mirabil  cosa  non  mi  sarà  mai 


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Ghe  là,  dove  appetito  non  si  torce, 

Dico  nel  cielo,  io  me  ne  gloriai. 

Ben  se'  tu  manto  che  tosto  raccorce, 

SI  che ,  se  non  s' appon  di  die  in  die , 

Lo  tempo  va  dintorno  con  le  force  ». 
Nel  medesimo  tempo  i  borghesi,  per  umiliare  vie  pili  la  nobiltà 
e  perch'essa  perda  lo  stimolo  alla  gloria,  che  potrebbe  dalla  me- 
moria rimproveratrice  de' maggiori  sentire;  e  insieme  per  conten- 
dernela  a'  valorosi  e  usurpamela  essi ,  fìngono  dispregiarla.  E  dico 
fingano;  giacché  per  troppe  prove  si  vede,  che  costoro,  appena 
possano  palesemente  insuperbire,  gittando  via  la  maschera,  se 
la  pigliano  essi.  0  almeno  credono  di  pigliarsela,  impetrandone 
il  diploma  e  fabbricandosi  uno  stemma,  che  potrebb'  essere  simile 
al  palvesc,  cui  Giotto  dipinse  a  quel  buffo  borghese  del  trecento 
(Sacchetti,  Novelle,  LXIII).  Di  maniera  che,  non  si  trattando 
più,  se  non  d'una  universale  buffoneria,  o  non  d'altro,  che  d'o- 
norar meglio  costoro;  la  nobiltA  nuova  è  a' meritevoli  negata,  e 
la  vecchia  negli  eredi  derisa.  I  quali  ultimi ,  fjenchè  sieno  ancora 
de' tre  primi  ceti  il  migliore,  e  contino  parecchi  generosi  uomini, 
che  0  si  confusero  col  quarto  pugnando  o  sopra  tutti  primeggiano 
bencfìcando;  in  generale,  quanto  più  d' un' estrinseca  nobiltà  s* ap- 
pagano, nell'intima  ignobiltà  sprofondano.  Perocché,  tranne  ne* 
tempi  (Idia  castigliana  albagia,  non  si  vide  qui  mai,  come  ora, 
i  gentiluomini  invaniti  di  titoli,  che  i  lor  maggiori  non  usavano 
dai*si,  né  ricevere;  e  incapati,  imparentandosi  e  incensandosi  tra 
loro,  a  formare  un  ordine  chiuso.  Né  in  que' tempi  del  resto 
(l)er  quanto  ci  fossero  dal  popolo  scissi,  e  dalla  civile  e  bellica 
palestra  e  dagli  studi  e  dalle  arti  della  pace  alieni  )  viveansi  con- 
finati  ne'  lor  vuoti  palagi  ;  come  ora  si  vivono  que'  di  loro,  che 
non  diventano  cocchieri  o  biscazzieri.  Di  tal  guisa  sacerdoti  e 
patrizi  sono  come  non  ci  fossero ,  e  sotto  un'  apparente  uguth 
glianzoj  non  solamente  prepondera  ;  ma  despoteggia  il  cosi  dello 
ceto  medio,  sprezzante  e  beffardo,  ruvido  e  insolente:  qual,  si 
può  (lire,  in  passato  non  erasi  qui  mai  veduto  ceto  alcano.  Cal- 
cato dal  quale  il  (piarto,  e  tenuto  in  conto  di  canaglia ,  cova 
naturalmente  (|uc1  segreto  rancore,  il  cui  scoppio  trallengoM 
ancora  la  natia  temperanza  delle  indoli  e  la  indomita  bontà 
degli  animi. 


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CCXCVII.  DÌYisioiie  per  regrioni. 

E  così  dunque,  sebbene  la  vecchia  società  fosse  coniposta 
ad  ordini  quasi  chiusi,  ma  pur  pacifici  e  contegnosi  tra  loro; 
questa  moderna  presenta  assai  minore  omogeneità  e  assai  mi- 
nore afllatamento  di  quella,  ne' suoi  non  chiusi  ordini.  Lo  scre- 
zio tra  quali,  cominciato  qui  sul  finire  del  secolo  scorso,  e  ral- 
lentatosi alquanto  nel  torpore  de'  nove  lustri  seguiti  dalla  caduta 
di  Napoleone,  diventò  più  profondo  dopo  la  ricuperata  indipen- 
denza. Né  dissimil  cosa  accadde,  dopo  questo  massimo  evento, 
nella  comune  colleganza,  che  accostar  dovrebbe  anco  le  diverse 
membra  della  patria,  ossia  le  diverse  terre:  le  quali  nell'atto 
medesimo,  ch'esternamente  s'unirono,  sembrarono  interiormente 
disunirsi.  De' diversi  drappelli  parlamentari ,  atteggiatisi  su  distin- 
zioni geografiche,  e  ch'ebbero  successivamente  le  denominazioni 
di  consorterie  piemontese,  toscana  e  alla  fine  ora  napolitana,  non 
[Kìrlo.  Sebbene  queste  distinzioni  sieno  altamente  riprovevoli ,  non 
escono  por  ventura  fuori  dalle  poco  men  che  accademiche  aule, 
dove  lo  spinto  della  nazione  non  penetra,  e  né  quasi  più  il  soffio 
della  vita.  E  del  pari  non  voglio  d\r(t,  che  h  separajsione  degF  i- 
taliani  tra  provincia  e  provincia  sia  profonda  e  possa  includere 
in  tiduna  un  pentimento  neppur  lontano  dell'unione  politica,  o 
un  voto  neppur  sommesso  di   ritornare  agli  anteriori  sminuzza- 
menti. Anzi  cotale  unione,  per  le  eminenti  doti  organiche  di  que- 
sto popolo,  è  già  in  poch'anni  divenuta  un'abitudine  di  secoli; 
e  cotanto  fortilìcaUì,  in  onta  alle  temerarie  imprudenze  degli  sta- 
tuali borghesi ,  che  una  minaccia  d' invasione  sarebbe  con  disde- 
gno accolta,  e  un  tenUUivo  di  restaurazione  con  disprezzo.  Tut- 
tavia costoro,  sotto  nome  d'unità,  imponendo  iim  squallida  uni- 
formità  a  stirpi  di  cosi  diversa  natura,  e  volendole,  se  cosi  lice 
esprimermi,  ristampare  in  una  forma  parziale,  angusta  e  non  la 
migliore;  in  mille  modi  cercarono,  se  le  fossero  state  capaci, 
d'esulcerarle  a  vicenda.  Conciossiachè,  mentre  le  autonomie  lo- 
cali, e  sovra  tutto  quelle  originali  e  immortali  de'  comuni,  doveansi 
rispettare  nel  generale  assetto;  questo  col  senno,  col  volere  e 
coir  oi)era  di  tutte  dovea  farsi,  e  non  d'una  sola  stirpe.  Ned  è 
quindi  meraviglia,  ch'esse,  trovandosi  avere  addosso  ordinamenti , 
non  solamente  disusati  e  contro  grado,  ma  i  più  discosti  dalla 
civiltà  d'alcune  e  i  più  contrari  al  costume,  genio  e  sentir  di 


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molte;  si  rimanessero,  se  non  adirate,  col  broncio.  Il  quale  vie 
più  aggravossi,  (fuaudo  si  pretese  governarne  una  parte  a  modo 
austriaco:  mandando  scribi  dal  settentrione  o  dal  continente  nei 
mezzogiorno  o  nelle  isole  a  vantare  la  onestà  diaccia  loro  e  a 
vituperare  la  bollente  fragilità  altrui,  e  ad  esseni  conseguente- 
mente accolti  come  una  specie  di  tirolesi  o  croati  nostrani. 

CCXCVIII.  Sorad  proYindali. 

Intanto,  sebbene  la  concordia  italiana  abbia  queste  dure  pro- 
ve vinto,  non  {K)tè  non  seguirne  tra  regione  e  regione  una  mal 
dissimulata  diftUlenza,  di  cui  ognuno  potrebbe  accorgersi,  vi- 
vendo fuor  di  casa  sua;  e  con  cui  tutti  manifestano,  come  polli 
accapiglianttsi  nella  stia,  il  dispiUto  della  comun  clausura.  Percliè, 
se  proprio  questa  non  ci  rendesse  X  un  P  altro  fastidiosi  e  ira^ior- 
tuni,  ci  accorgeremmo  bene,  tra  i  vizi  e  le  virtù,  dì  cui  som 
gli  umani  plasmati,  averne  noi  di  quest'ultime  a  suflìcienza,  |«r 
compatirci  ed  amarci  a  vicenda.  Che  rimane  in  fatti  ili  stucchevo- 
le nella  rigidezza  e  formalità  de' subalpini,  quando  si  i>on^7i  menti* 
a  quella  loro  bonarietà  e  schiettezza,  fermezza  e  austerità,  che 
gli  rese  veramente  degni  d'inaugurare,  con  un^illusti'c  prosapia 
e  un'onorata  milizia,  i  nuovi  destini  d' Italia?  Chi  può  la  invida 
scorza  lombarda  spregiare,  se  il  tesoro  di  virili  e  magnanimi 
alTetti  considera,  cbe  vi  sta  sotto;  e  sovra  tutto  T annegazioiie  di  se 
medesimi  pel  glorioso  insubre  i»rimato  della  UberaUtà,  della  carità 
e  del  patriottismo?  (Jome  de' veneti  rimproverar  la  mollezza  «  la 
loquacità  e  l'accidia,  senz'ammirarne  la  docihtà,  la  dolcezza  e 
l'etTusione,  che  testimoniano  scaduta;  ma  non  perduta  la  più 
ralllnata  amabilità  e  urbanità  del  mondo?  Non  sono  i  liguri,  per 
quanto  procaccianti,  anche  alacri  e  ardimentosi;  i  toscani  «  per 
quanto  impertinenti,  anche  arguti  e  gentili,  e  i  romagnuoli,  per 
(|uanto  violenti,  anche  generosi  e  forti?  Ousmto  meglio  di  noi. 
civilizzati  alla  francese,  non  valgono  que' barbari  sardi,  die  re- 
put^mo  ancora  T  ospitalità,  la  parola  e  la  fede  sacre;  e  giusto  il 
risentimento  e  rnespìabili  quelle  onte,  cui  altrove  i  mariti  irafli- 
cano  0  senza  cordoglio  sopportano?  E  iìn  que' cari  nostri  fratdii, 
che  aiutano  oltre  il  Volturno  e  il  faro  di  Messina,  non  haanu  forse 
cotanto  ardor  di  passione  e  {Kitenza  d' intelletto,  da  scusare  il  diielto 
della  nostra  settentrional  calma  e  algida  morigeratezza?...  Ovun- 
que in  souìma  volgasi  lo  sguardo,  vedesi  non  solo  le  buone  alle 


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ree  qualità  sovrastare,  e  molte  non  apparir  ree,  che  ad  uno  scor- 
tese giudizio:  ma  le  buone,  così  varie  e  disparate,  esser  tali 
{ coni'  io  meglio  nel  seguente  tomo  esporrò  ),  da  aversene  il  più 
felice  conserto,  di  grandi  cose  promettitore.  Onde  io  benedico 
ciò,  di  cui  gli  statuali  borghesi,  se  volessero  parlare  aperto,  co- 
me parlo  io,  rimasero  forte  impensieriti  e  turbati.  Che  cioè,  pel 
Iramutamento  della  sede  del  regno  in  sul  Tevere,  fossero  gì' ita- 
liani del  mezzogiorno  più  appropinquati  alla  medesima,  e  più  age- 
volali a  correggerne  le  sorti.  E  (luesto  dico  io ,  quantunque  a  pie 
di  gelide  e  nude  Alpi  nato  :  ove  per  altro,  se  non  sul  capo,  sentii 
nel  cuore  scendermi  i  raggi  dell'  infocato  sole  dell'  umile  e  più 
vera  Italia.  Perocché  non  vi  ha  dubbio,  le  provincie  traspadane 
avere  più  maschi  e  regolati  istinti,  e  una  più  compatta  e  pulita 
civiltà:  ma  bisogna  pur  riconoscere,  come  questa  sia  più  importata 
e  recente,  che  natia  e  costante;  e  sienvi  più  tardi  gì'  ingegni,  e  le 
inclinazioni  e  le  usanze  più  acconcie  a  formare  un  regno  all'  oltra- 
montana, che  uno  stalo  propriamente  nazionale.  Mentre  la  civiltà 
della  media  e  bassa  penisola,  per  quanto  inferiore,  e  in  alcun 
punto  nò  anche  meritevole  di  tal  nome;  pur  pure  è  più  indi- 
gena e  genuina.  E  come  la  bassa  e  media  debbono  con  le  virtù 
aspre  e  ruvide  deir  alla  ritemprarsi,  così  questa  dee  ne' classici 
rollami  e  lin  ne'  selvaggi  sterpi  di  quelle,  rintracciare  e  svolgere 
il  lìlo  della  originale  e  legittima  civiltà.  La  qual  trasformazione 
0  traslazione  meridionale,  se  così  lice  esprimermi,  delle  itali- 
che cose,  auspice  Roma,  già  iniziata  e  omai  inevitabile;  quanto 
utile  e  giusta,  alirellanto  è  ai  voti  degli  statuali  predetti  contra- 
rm.  I  quali,  non  che  adoperarsi  a  rendernela  facile  e  felice  in 
passato,  e  senza  trabalzi  e  sconvolgimenti,  vi  vanno  oggi  incontro 
a  mala  pena;  e  (piasi  paventiuido  le  crastine  catastrofi,  se  del 
dimani  paventassero  essi  mai.  Che,  se  per  tanto  comprimere  e 
livellare  con  assiderate  mani  cosi  opposte  nature,  una  sicula  ri- 
volta 0  altra  tal  calamità,  cui  i  numi  sperdano,  scoppiasse;  egli- 
no direbbon  di  giunta:  vedete,  se  avevamo  ragione?  E  ci  avreb- 
bono  pronto  il  rimedio  essi:  benché  (senza  malvagio  fine)  esauri- 
rebbero innanzi  la  polvere  e  il  piombo,  e  sto  anche  per  dire 
il  sangue,  prima  di  ricorrere  al  rimedio  vero.  Conci ossiachè,  per 
loro,  non  avrebbon  dovuto  (jue' lor  pupilh  uscir  mai  di  minora- 
lico;  ne  poiuio  esser  altro,  che  discoli  e  scappati,  a  lasciarnegli 
fare.  (Juanlo  alla  civiltà,  questa  non  ha  paese;  e  basta,  che  sia 
francese  o  inglese  o  tedesca,  pur  che  non  la  sia  italiana  mai. 


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CCXCIX.  Dinsione  per  sette. 

Il  disaccordo  de'  cittadini  per  ceti  e  regioni  (  av veotuntamente 
lieve,  e  pure  istillato,  quanto  più  si  potè,  dalla  borghese  arte  di 
stato),  è  del  resto  meno  intimo  di  quello,  che  nelle  sette  e  baODi 
si  manifesta.  —  Come,  vi  sono  dunque  anche  sette  in  Italia,  e 
di  che  natura,  e  quante  e  quali?  —  SI  anche  queste:  e  sono  tra 
le  massime  nostre  sventure;  da  cui  se  prima  noi  non  ci  liberia- 
mo, non  ci  potremo  mai  dalle  rimanenti  nostre  servitù  liberare. 
Or  qui,  trattandosi  di  cosa  sottile,  sottile,  cui  piuttosto  io  senio, 
che  saper  esprimere,  deploro  la  imperizia  del  mio  dire:  alla  quale 
sola  attribuirò  la  colpa,  s'io  non  fossi  compreso.  Ingegnandoini 
tuttavia  anche  a  questo,  noto,  che  non  prendo  la  voce  setta  nei 
senso,  in  che  V  adoperano  i  moderati ,  per  vantarsi  ingrati  agli 
antichi  cospiratori;  nò  nel  senso,  in  che  i  clericali,  per  fare  oiMa 
ai  liberi  muratori,  e  nò  in  qualsivoglia  senso  di  società  segreta  o 
delittuosa.  Le  sette  in  vece,  di  cui  io  favello,  non  hanno  ordioa- 
mento  esterno,  nò  statuti,  nò  capi:  ma  sono,  se  cosi  lice  espri- 
mermi, puramente  intellettuali;  o  grandi  correnti  di  pregiudizi  e 
di  superstizioni,  di  sofismi  e  di  fallacie,  commiste  a  qualche  ve- 
rità, e  al  più  alto  grado  esclusive  e  sfrontate.  Vi  è  quindi  la  sella 
ih' razionalisti j  che  reputa  sciocchi  i  credenti;  e  tie' bigoitij 
che  malvagi  gli  spregiudicati:  quella  de'  forestieraiy  che  non  ha 
mai  troppi  vilipendi  per  la  patria;  e  degli  anarchici j  che  pel 
principio  d' autorità.  Seguono  i  falsi  conservatori,  die  rimpian- 
gono il  medio  evo,  e  i  falsi  novatori,  che  T  ottantanove;  gli  sto- 
tisti  airiiìglese  e  i  democratici  alf  americana ,  i  galloniani  e  i 
teutomani,  ed  altri  piccioli  settari.  Prevalgono  su  tutte  le  due  ve- 
rierande  arciconfraternito,  de'  finanzieri,  che  credono  non  si  tnOi 
d'altro  nel  mondo,  se  non  di  tarilTe  e  di  bilanci;  e  de' poliiiah 
stri,  se  non  di  camere  e  di  partiti.  E,  sebbene  qualche  cosa 
di  simile  si  trovi  anche  in  altre  contrade,  qui  per  altro  T angu- 
stia delle  vedute,  congiunta  ad  una  infallibile  sicumera  e  ad 
implacabile  durezza,  raggiunse  il  colmo  talmente ,  che  il 
senno  pare  sotto  a  quelle  correnti  affatto  sommerso.  Se  non  che 
io  non  posso  in  miglior  guisa  farmi  capire  da  que'  lettori,  che  non 
avessero  ancor  gitLito  via  il  libro;  tranne  richiamamlogli  sovra 
r  impressione,  che  ({uesto  eccita  in  loro,  e  sulla  relativa  cagione: 


-  443  - 

la  qualfe  altro  non  è,  che  un  contrasto  tra  il  giudicare  settario  e 
il  popolare.  Eglino  certamente  avranno  avvertito,  ch'io  vo  di- 
cendo cose  tutf  affatto  contrarie  a  quelle ,  che  si  odono  ora  ; 
quantunque,  se  avessi  voluto  esporre  le  opinioni,  che  corrono,  avrei 
avuto  assai  più  agevole  impresa,  quanto  più  fortunata.  Tuttavia 
(luesle  cose,  ch'io  vo  dicendo,  non  le  sono  poi  né  cosi  singolari, 
nò  cosi  strane,  come  posson  sembrare:  anzi  molto  generalmente 
e  da  antico  ammesse;  Umto  che  fin  le  predette  sette,  se  nello 
assieme  tutte  meco  discordano,  in  (|uesto  o  in  quel  punto  cia- 
scuna consentirà  meco.  Consentirà  appunto  ciascuna,  dov'io  il 
vero  da  essa  seguito  espongo;  e  ne  dissentirà,  dove  il  falso: 
mentre  tutte,  su  quel  falso  poggiando,  da  me  combattuto  a  ol- 
tranza, mi  daranno  contro.  Ned  io  me  ne  dorrò  guari:  poiché,  spri- 
gionatomi da  esse  sette  al  pari,  che  dalle  fazioni,  e  propostomi 
non  una  parte  del  vero,  cui  io  credo  tale,  ma  l'intiero  profes- 
siire,  seguane  che  può,  so  bene  di  non  poter  loro  piacere.  Avranno 
inoltre  i  lettori  avvertito,  eh'  io  d'  una  data  tesi  dico  le  opposte 
ragioni  con  la  medesima  forza  e  sincerità  delle  favorevoli;  e  che 
in  sul  più  bello,  che  sembro  accostarmi  a  un  pensiero,  ecco  che 
me  ne  discosto:  onde  si  rimarranno  forse  indecisi  oda  un  cozzo 
di  pugnanti  alletti  turbati.  Perché  (per  esempio)  parlo  io  si  sciolto 
in  punto  di  religioni,  e  tuttavia  ne  ammetto  la  necessità  nel  ci- 
vile convivio?  sospiro  la  redenzione  degli  oppressi,  e  delesto  i 
conati  di  sovvertimento?  anìo  le  plebi  e  non  ho  volgari  istinti 
contro  la  nobiltà?  Parrebbe  chiaro,  che  si  potesse  esser  lìlosoiì, 
deniolìli  e  giusti,  senz'esser  empi,  demagoghi  e  mascalzoni:  or 
questo  ò  (jnello,  cui  non  s'intende  più.  Ebbene,  sta  qui  appunto 
la  [aincipal  differenza,  a  mio  parere,  tra  il  criterio  delle  sette  e 
quello  del  popolo,  del  quale  m'accontento  io:  che,  mentre  que- 
sto, almeno  per  un  confuso  intuito,  la  verità  sposa,  quelle  in  vece 
adulterano  seco  licenziosamente.  D'ordinario  cioè  non  colgono,  che 
un  lato  della  verità,  ne  hanno  un  concetto  monco,  e  ne  fanno  una 
formula  inadeguata,  cui  ripetono  poscia  come  un  dogma  indiscuti- 
bile. E,  dimenticando  anche  l'altro  lato,  pel  (luale  solamente  è 
compiuta,  qui'Uìuo  nel  proprio  errore,  come  in  un  universale  sa- 
crainenlo.  Per  ventura,  sotto  l' Italia  falsa  e  settaria,  sta  la  vera 
e  popolari?:  ina,  siccome  è  quella,  che  si  rimescola  ed  unica  par 
viva;  così  havvi  abbastanza  confusione  nelle  teste  ora,  perchè  la 
borghesia,  dopo  avere  trionfato  di  tante  cose,  trionfi  eziandio 
della  nazionale  intelligenza. 


-  444  - 


ecc.  DiTÌflione  per  fkiionL 

L' ultima  causa  di  divisione  in  quella  tale  Italia ,  che  si  ri- 
mescola ed  unica  par  viva,  giacesi  fìnalmente  nelle  dizioni.  Delle 
quali  avendo  io  già  discorso,  in  quanto  s' immedesimano  col  pub- 
blico reggimento  e  col  movimento  letterario,  non  ho  bisogno  qui 
di  accennare,  se  non  quel  tanto,  che  lo  spirito  stesso  della  na- 
zione concerne.  Non  dico,  che  le  fazioni  non  fossero  un  grave 
sconcio  anche  dell  antica  società  italiana;  sebbene  le  fossero, 
quanto  più  irrequiete  e  iraconde,  altrettanto  operose  ed  illustri. 
Se  non  che,  cangiati  ora  nomi  e  intenti,  legittimate  dalla  costi- 
tuzione polìtica  e  dal  sistema  parlamentare,  e  glorificate  cogli 
esempi  stranieri  e  colle  teorie  moderne,  esse  naturalmente  diven- 
nero una  cosa  santa  e  indispensabile.  Talmente  che  non  si  può 
oggi  nemnianco  concepire,  vi  possa  essere  alcuno,  che  non  debba 
o^ssere  air  ima  od  air  altra  delle  medesime  ascritto.  E  chi  non  lo 
ò,  come  r  oscuro  scrittore  di  queste  imgine,  passa  a  dirittura  per 
uomo  fantasioso  e  intrattabile,  senza  garbo  e  senza  mondo,  che 
non  ha  principii  e  non  ha  passioni,  e  che  non  sa  quel,  che  si 
I)onsi  e  che  si  voglia.  Nò  io  nego,  che  un  tale  uomo  in  uqa  so- 
cietà faziosa  non  debl)a  rimanere  allatto  annientato,  e  non  me- 
riti esser  tenuto  in  maggior  conto  d' un  sognatore  o  d' un  pazzo. 
Imperocché,  s' egli  avesse  voluto  fare  X  uomo  di  stato  nella  me- 
desima, anzi  che  mettersi  fuori  della  vita  pubblica,  avrebbe  do- 
vuto imbrancai'si  con  una  o  con  altra  consorterìa:  tanto  più  che 
la  cosa  s;irebbegli  sUita  più  commoda  e  più  utile.  NoDdimeDO 
credo,  che  (piesta  tale  società  faziosa  non  sia  civile,  e  quasi  nem- 
manco  umana  :  dappoiché ,  interponendo  tra'  cittadini  la  dissen- 
sione e  tra  gli  uomini  la  servitù,  tiranneggia  su  tutti  a  beneficio 
di  n<^ssuno.  —  Dunque,  se  tu  trovassi  compagni  al  tuo  modo  di 
|)ens;ire  e  di  volere,  e  ne  potessi  formare  un  drappello,  oh  cbe 
gli  respingt'rosti,  i>er  viverti  ognora  in  quella  tua  selvaggia  in- 
dìpiMidenza  e  fiera  solitudine?  ~  Non  certamente:  ma  questa  sa- 
rebbe parte,  e  non  fazione;  e,  se  la  fosse  della  venti  e  della  giu- 
stizia [\w\  ipial  caso  la  dovrobb' esser  di  tutti),  potrebbe  anco 
<*ess;ir  cf  esson*  parte.  La  parte  ad  ogni  modo  non  sottomette  le 
ragioni  alle  [nTsone,  non  accarezzai  i  perfidi  e  non  oltraggia  i  va- 
lorosi, non  viiUa  di  vedere  e   pregiare  altri  al  dì  fuori:  e,  pn- 


—  445  - 

supponendo  il  libero  consenso  in  qualche  punto,  non  assoggetta 
in  ogni  punto,  gì'  intelletti  e  i  cuori  a  un  giogo  servile.  Si  può 
quindi  ammettere,  che  più  persone  s'accordino  per  propugnare, 
pognamo,  una  riformagione  del  governo,  una  nuova  legge,  una  qual- 
che franchigia.  Ma  come  altresì,  che  per  uno  o  più  obietti,  debbano 
su  tutti  gli  altri,  ed  anco  meramente  accessori,  declinare  ogni 
propria  elezione  e  individuale  responsalità?  Cosi  del  pari  si  può 
ammettere,  che  una  particolare  affezione  leghi  i  propugnatori 
d'  una  data  causa  tra  loro.  Ma  come  altresì ,  che  debbano  for- 
mare un  corpo  chiuso,  anzi  uno  stato  nello  stato;  e  presumersi 
infallibili  e  impcccabih,  e  vituperar  tutti  gli  altri?  Ora,  a  veruna 
delle  nostre  politiche  brigate  si  può  il  nome  di  parte  dare:  poi- 
ché 0  non  le  discordano  ne'  propositi ,  siccome  i  moderati  bian- 
chi e  bigi.  Oppure  gli  hanno  riprovevoli,  siccome  gì' immoderati 
neri,  che  la  unità  patria  avversano,  e  i  rossi,  che  il  sociale  assetto, 
e  i  verdi  non  meno,  che  una  repubblica  vorrebbon  fondare  senza 
cittadini.  E,  quando  pure  tutte  codeste  avessero  propositi  distinti 
e  retti,  degraderebbonsi  da  parti  in  fazioni,  tenendo  modi  con- 
trari alla  civiltii  e  lino  all' umanità  nel  proseguirgh  ;  e  sacrificando 
ogni  cosa  a'  medesimi,  e  sopra  tutto  le  ragioni  e  le  persone  stesse 
degli  avversari.  Sacrificano  indubbiamente  le  ragioni:  perchè, 
senz'andar  molto  discosto  ne' tempi,  vedemmo  una  fazione,  con- 
ti^ndente  l' impero,  riprovar  quelle  cose,  che  poi,  divenutane  pos- 
seditrico,  approvò;  e  viceversa  approvar  quelle,  che  innanzi  avea 
riprovato.  0,  per  farmi  meglio  comprendere,  vedemmo  testò  i 
bid,  non  appena  insediati  nell'  amministrazione,  porre  in  non  cale 
i  divisiimenti  d'estendere  il  diritto  de' suffragi  e  di  sopprimere  il 
balzello  su'  cereali,  ed  altri  tali,  per  cui  sembravano  volersi  prima 
da' bianchi  contraddistinguere;  ratificando  di  costoro  tutti  quelli, 
cui  prima  dicevano  detestare.  Di  giunta  essi,  già  cotanto  cato- 
niani ,  dimostrarsi  mille  volte  più  zelanti  dell'  autorità  loro,  e  colla 
premura  de'  ravveduti  e  la  boria  de'  novizi  ostentare  palatini  os- 
sequi ed  auliche  i>ompe:  i  quali  e  le  quali,  a  lode  del  vero,  i  lor 
predecessori  in  timt' anni  d'impero  non  conobbero  punto,  paghi 
della  lealtà  nel  servire  e  della  modestia  nello  sgovernare.  A  tal 
che  odonsi  que'  medesimi,  che  dianzi  professavano  questa  o  quella 
opinione,  professarne  adesso  altre  precisamente  opposte,  senza 
stupore  d' alcuno.  E  come  cosa  generalmente  intesa,  che  non  s' ab- 
bia ad  avere,  se  non  le  opinioni  della  propria  compagnia,  quali 
jiiorno  per  giorno  il  caso  fa  spuntare;  e  che  le  convinzioni  non 


-  446  - 

siano,  che  corbellerìe.  SacriQcaDO  poi  queste  politiche  brigale  k 
persone,  e  in  ciò  sono  le  une  alle  altre  siniili,  che  credono  tedio, 
giusto  e  buono  dare  a  dirittura  il  bando,  entro  il  regno,  agli  av- 
versari. Onde  i  più  stimati  uomini  non  credono  punto  macchiarsi 
di  vigliaccheria,  contrapponendosi  in  tutte  le  guise,  a  che  ^  av- 
versari stessi  adoperino  per  la  patria  la  loro  sperìenza  o  la  loro 
rettitudine.  Ed  anche  questa  è  cosa  si  generalmente  intesa,  ch'io 
mi  debbo  qui  giustificare  d' un  atto,  che  fu  il  penultimo  ddla  mia 
vita  pubblica:  inconcludente  per  fermo,  se  non  fosse  una  protesta 
della  coscienza  integra  contro  il  comune  andazzo. 


CCCI.  Eccessi  partigianeadiL 

Quando  in  certa  città  molte  contrarietà  aveva  il  cittadino,  che 
più  In  onora  ;  e  da  certuni  gli  si  facea  carico,  non  tanto  de'  gravi 
e  funesti  errori,  quanto  delle  buone  e  nobiU  qualità  e  fin  de'  hm- 
ghi  e  onorati  servigi  ;  e  qualunque  altro  candidato  gli  si  contrap- 
poneva da  mandare  al  parlamento  (pur  ch'ei  non  ci  andasse,  e 
fossero  contenti  i  suoi  lontani  e  potenti  rivali  della  stessa  faziotie 
e  d' altra  consorteria  ),  non  soffersi  io  tanto  strazio  inflitto  air  ia- 
gejj:no  e  alla  virtù.  £,  benché  già  avessi  al  mandato  pariamen- 
tare  rinunciato,  e  già  mi  fossi  rincantucciato  in  quella  obbli\ione, 
ove  debbono  a  questi  lumi  di  lima  meritamente  i   pari  miei  ri- 
manere; ne  uscii,  ripeto,  la  penultima  volta.  Ne  uscii  per  dire  in 
una  ragunata  d' elettori ,  che  F  ingegno  e  la  virtù  debbono  por 
qualche  cosa  valere  ;  e  che  Y  errare  è  un  mancamento ,  che  se- 
^Miita  dal  fare,  e  del  ({ualc  vanno  esenti  solamente  coloro,  che  non 
fanno  niente.  Or  questo  tale  atto  parve  un  misfatto:  perchè  chi 
più  di  me  avrebbe  dovuto  osteggiare  quell'uomo,  che   fu  ano 
de'  massimi  autori  del  sistema  di  reggimento  borghese  ;  pieno  di 
fede  nel  medesimo,  e  cuUantcsi  in  sì  rosee  visioni,  che  perirebbe 
il  menilo  innanzi,  eh'  ci  s' accorgesse?  Ghi  più  di  me  avrebbe  po- 
tuto lasciare  alle  prese  co'  propri  alunni  imbizzarìti  Y  areiconsolo 
doT  accademia   do' dottrinari  italiani;  e  il  supremo   gerofimte  di 
quegli  arcani  costituzionali,  in  nome  de'quah  avrebb' egli  stesso 
dato  at'li  altri  queir  ostracismo,  che  i  suoi  contrari  davano  alien 
a  Ini?  (]iò  nonriimeno  io  ho. diversamente  agito:  perchè,  sebbene 
sì  profondo  abisso  intercedesse  fra'  nostri  estremi  spiriti,  ed  egli  per 
me  ed  io  |)er  lui,  egli  in  alto  ed  io  tosso,  avessimo  tutta  quella 


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indiflerenza,  che  i  nostri  pari  debbonsi  reciprocamente  professare, 
rispetto  tanto  gli  altrui  convincimenti,  quanto  sostengo  i  miei.  Né 
mi  sapevo  persuadere,  che  un  uomo  onesto,  culto,  abile,  devoto 
alla  patria  sin  da' primi  anni,  e  adorno  in  somma  di  tante  doti, 
com'  egli  ;  dovesse  proprio  esser  messo  fuori  da  quella  vocal 
palestra,  ov'  è  reputato  il  primo  oratore.  Pure  sì  fatto  modo  di 
sentire  giudicasi  generalmente  arcadico:  poiché  appunto  il  do- 
gmatismo fazioso  vuole  anzi  tutto ,  che,  senz'  avere  convinzioni 
di  sorte  alcuna,  si  reputi  di  non  poter  mai  cadere  in  torto  ;  e  po- 
scia, che  chi  seco  non  consenta,  debbasi  senz'  alcuna  misericordia 
stritolare.  Di  modo  che  non  solamente  quelli  d*una  fazione  vie- 
tano a  quelli  d' altra  il  partecipare  all'  amministrazione  dello  stato; 
ma  per  sino  quelli  d' un  manipolo  a  quelli  d' altro  della  mede- 
sima. Né  solamente  vietano  questo  ;  ma  non  si  rimangono,  fin  che 
non  gli  abbiano  del  tutto,  quando  il  possano,  dalla  politica  arena 
scacciati  ed  alla  civil  vita  tolti.  E,  mentre  chi  ha  un  concetto 
degno  di  sé  medesimo,  desidera  aver  emuli  e  valenti,  sopra  tutto 
perché  \)cì  bene  della  comun  patria  da  ambo  i  lati  si  pugna  o 
pugnar  si  dovrebbe  ;  costoro,  anche  co'  poteri  dello  stato ,  non  si 
peritano  d' abbatter  gli  avversari.  Anzi  gongolano  e  tripudiano 
apertamente  (come  i  bigi  negU  ultimi  suffragi  generali),  quando 
veggongli  morti  o  moribondi  giacere  intorno  distesi.  E,  come  sono 
questi  ultimi  ora  cadaveri  o  poco  meno,  così  altri  ne  rimasero 
prima  ed  altri  ne  rimarrano  appresso,  per  la  inflessìbil  logica  del 
sistema,  che  divora  al  par  di  Saturno  i  propri  figli.  La  qual  cosa, 
quanto  sia  buona  in  tanta  penuria  d'uomini  veri,  lascio  altrui 
considerare.  Fatto  sta,  che  di  tal  guisa,  paralizzando  tante  forze, 
e  riduccndo  all'  agonia  d' una  o  due  fazioni  la  salute  della  na- 
zione, questa  è  appunto  come  non  ci  fosse;  eh'  é  appunto  quello, 
che  la  plutocrazia  si  proponeva.  Ma,  quando  pur  si  potesse  di  tal 
calamità  non  curarsi,  spero  ora,  che  i  miei  lettori,  anche  solo 
ammettendo  un  decimo  di  quel,  che  ho  detto,  si  fieno  accorti, 
come  al  dividere  per  regnare  ella  ci  sia  riuscita  d'avvantaggio. 
Conciossiachò,  per  l'astio  tra' ceti  promosso,  e  la  ruggine  tra  le 
regioni,  e  per  codeste  sette  e  fazioni,  travaglia  la  unità  esterna 
e  formale  della  nazione  quella  disunione  intema  e  sostanziale,  eh' é 
del  suo  abbiosciai'si  l'altra  possente  cagione. 


-  448  — 


CCGII.  Assopimento  cìtìIo  e  monlo. 

Nondimeno  i  due  sopraddetti  artifìcii  per  tenerla  neghittosa, 
f)Otrebbon  fallire ,  se  quella  ricovrasse  altrimenti  le  proprie  Iùd- 
zioni  vitali.  Onde  fu  d'  uopo ,  dopo  averla  coartata  e  divisa ,  far 
sì  inoltre,  che  le  medesime  sue  forze  giacessero  inerti.  La  quale 
inerzia  in  altri  due  modi  si  consegue  :  coir  assopimento  del  po- 
polo stesso,  e  colla  persecuzione  di  coloro,  che  ne  potrebbon  pw 
avventura  essere  i  maestri,  i  tribuni,  i  profeti,  i  campioni  e  i  ven- 
dicatori. Facendomi  daW  assopimento ,  che  non  è  fisico,  ma 
morale  ;  questo  naturalmente  si  procura  col  rintuzzare  tutti  quegli 
stimoli,  merc^  cui  a  una  data  occasione  potrebb'esso  riaversi,  ^ 
liberarsi  da'suoi  oppressori.  Estinguerne  quindi  il  senso  ilelLi 
propria  |)ersonnliti^,  integrità,  dignità,  natura  e  vocazione;  di  ^niisa 
che  s' abitui  ali*  ignavia ,  e  vegga  nella  medesima  un  gnuio  di 
vivere  perfetto.  Mentre  il  ridestamento  del  senso  civico  sareN* 
stato  la  gran  leva,  con  cui  del  popolo  italiano  avrebiKSi  potuto 
fare  uri  popolo  eroico  ;  questo  è  appunto,  ciò,  che  la  casta  raer»- 
trice  non  voleva:  poiché  in  tal  caso,  oh  dove  se  ne  sarebbe  ilo 
il  suo  dominio?  E  tanto  vero,  ch'ella  ha  mestieri  di  ben  altm 
|MT  dominare,  che  in  <|ualsi voglia  tempo  ella  dominò,  segna  deDe 
nobili  e  forti  p<issioni  lo  scadimento.  K,  perchè  si  vegga,  come  i 
suoi  andamenti  lunghesso  la  storia  sempre  si  rassomiglino .  r 
benché  le  antiche  cittadinanze  nostrane  sembrino  concili  d'eioi 
a  petto  ili  essa;  vuoMa  testimonianza  d'incliti  spiriti  addurre 
che,  vissuti  in  quelle,  le  accusjirono  appunto  d'  .-ìver  fatto  Irioih 
lare  T  ijrnohilià  e  la  villa.  Marco  Tullio  Cicerone,  quanlunipK 
di'li' ordine  equestre,  ossia  della  nobiltà  liorghese  romana,  e  al 
ctjjmo  «leirli  ivA  e  deirli  onori ,  rimpiangendo  la  prisca  virtù,  no- 
(Miie  la  lino  a*  suoi  teuìpi  così.  «  Ma  questo  ottimo  ordinanoeDia 
dirnno  essiTC  stalo  rovesi^ato  dalle  prave  opinioni  degli  uomini, 
ili»»  n«'lla  ÌLMioranza  della  virtù  {la  quale  come  è  in  pochi  ri- 
<tn*tta  ct-^A  in  pochi  si  giudica  e  si  discerne)  credono  coloro  solo 
l'sv.ri'  oitiini.  che  sieno  ricchi  e  facoltosi  e  nati  di  nobile  slirj*. 
r.-r  qijf^stò  errore  »lel  voliro  non  le  virtù  ma  le  dovizie  dei  pochi 
f.rilM  iij«'niiiincial'>  a  rcirgere  la  repulil»lica ,  que' pochi  pertina- 
'<'ii''\i["  rit>'ii.:oMn  il  nome  di  ottimali:  ma  ottimi  in  fallo  »:« 
'  .'j'».  lii'junM'iJH*'  It'  ricchez/e,  il  nome,  le  facoltà  vuole  Jrt  «•- 


-  449  - 

siglio  e  della  retta  maniera  del  vivere  e  del  comandare  altrui 
sono  piene  di  disonore  e  d'insolente  superbia:  né  v^ha  im- 
magine di  città  più  deforme  che  quella  in  cui  i  ricchissimi  sono 
reputati  gli  ottimi  »  (Repubblica,  I,  34).  Sentasi  ora  Dante  Ali- 
ghieri ,  come  dipigne  la  raccogliticcia  borghesia  florentìna  del 
trecento,  nel  XVI  canto  del  Paradiso,  raffrontandola  coli' antico 
popolo  genuino. 

«  Tutti  color  eh'  a  quel  tempo  eran  ivi 
Da  poter  arme,  tra  Marte  e  il  Battista, 
Erano  il  quinto  di  quei  che  son  vivi. 

Ma  la  cittadinanza,  eh'  è  or  mista 
Di  Campi  e  di  Gertaldo  e  di  Figghine 
Pura  vedeasi  nelF  ultimo  artista. 

0  quanto  fora  meglio  esser  vicine 
Quelle  genti  eh'  io  dico,  ed  al  Galluzzo 
Ed  a  Trespiano  aver  vostro  confine , 

Che  averle  dentro,  e  sostener  lo  puzzo 
Del  villan  d'Aguglion,  di  quel  da  Signa, 
Che  già  per  barattare  ha  1'  occhio  aguzzo  »  ! 
È  vero,  che  qui  si  sente  un  po'  l'aristocratico:  ma  Niccolò  Ma- 
chiavelli, incontrastabilmente  di  sensi,  come  or  si  direbbe,  de- 
mocratici per  eccellenza,  lasciò  tra  le  sue  Sentenze  diverse 
questa.  «  Gli  uomini  che  nelle  repubbliche  servono  alle  arti  mec- 
caniclie,  non  possono  saper  comandar  come  principi  quando  sono 
preposti  m  magistrati,  avendo  imparato  sempre  a  servire  ».  E  nel 
11  libro  delle  Istorie  fiorentine,  narrata  la  rovina  de'  nobili  nella 
riforma  del  1343 ,  soggiunge,  come  fosse  «  cagione  che  Firenze 
non  solamente  di  armi,  ma  di  ogni  generosità  si  spogliasse  ».  Il 
che  è  parimenti  a'  tempi  nostri  da  reputati  storici  e  lutt'  altro,  che 
vagheggiatori  d'  aristocrazia,  confermato:  tra' quali  piacemi  Ed- 
gardo Oiiinet  (Rivoluzioni  d' Italia,  XI)  citare.  «  La  borghesia, 
distruggendo  la  nobiltà,  distrusse  la  sorgente  dell'eroismo  antico; 
e,  temendo  il  popolo  e  disarmandolo,  impedì,  che  un  novello  erois- 
mo si  formasse.  Onde  avvenne,  che  la  guerra  non  si  potesse  più 
fare ,  se  non  con  armi  forestiere.  Come  albero ,  cui  si  recidano 
le  radici,  il  ceto  de'  popolani  grassi  violentemente  separato  dalla 
massa  del  popolo  perdo  a  poco  a  poco  quegl'  istinti  di  città  e  di 
f>atria,  che  gli  aveano  procacciato  il  potere  ». 


29 


-450- 


CCCIU.  BintuBameato  de*  Matìatitl  ertkL 

Ma  io  temo  d' essere  irriverente  verso  i  nostri  maggiori,  pro- 
seguendo il  paragone  tra  le  loro  cittadinanze  e  la  moderna  b(r- 
ghesia.  Avvegnaché,  come  dice  nel  precitato  luogo  quest'ultimo 
autore ,  quelle  assisero  «  fin  dal  secolo  XII  la  società  italiani 
sopra  un  principio ,  da  cui  V  Europa  è  ancora  nel  XIX  assai  di- 
scosta. Mentre  V  antichità  recavasi  a  disonore  il  lavoro ,  V  Italia 
lo  riabilita  al  punto ,  da  farne  il  cardine  del  diritto  sociale  »  :  e 
questo  per  fermo  è  un  nobilissimo  vanto  ;  quando  si  abbia  a  mente, 
come   nello  stesso  lavoro  avessevi  allora  una  gerarchia,  ove 
le  professioni  liberali  (ora  si  umiliate)  prevalevano.  Perocché  in 
quelle ,  che  s'  addimandavano  arti  maggiori ,  insieme  co'  grandi 
fondachieri,  fabbricatori  e  cambiatori,  eranvi  iscritti  i  giudici, i 
dottori,  i  notai,  i  medici  e  in  genere  i  più  chiari  uomini.  Oltracciò 
quella  borghesia  fiorentina  da  Boccaccio  a  Davanzali  noverò  no- 
mini non  solo  ne' geniali  studi;  ma  ne' più  profondi  dell'archeologia 
e  della  filologia  versati,  e  delle  classiche  cose  innamorati.  Per  non 
dire  degli  altri  mercatanti,  e  insieme  artisti,  mecenati,  oratori,  ret- 
tori, capitani,  che  basterebbero  ad  onorare,  non  che  una  città,  il 
mondo.  E  come  si  può  tenerla  neppur  pe'  bellici  esercizi  in  di- 
spregio, s' ella  tante  volte  valorosamente  combattè  ;  e  se  nel  suo 
tramonto  raccoglie  in  sé  quasi  tutta  la  italica  virtù  morente,  e  dal 
suo  seno  esce,  stato  a  bottega  egli  stesso,  l' italiano  Ettore,  dico 
Francesco  Ferruccio  ?  Or,  se  tuttavia  quella  da'  detti  incliti  spiriti 
fu  d' ignobiltà  e  di  viltà  rinfacciata,  che  non  si  dovrebbe  di  que- 
sta nostra  dire;  alla  quale  sembrano  per  lo  meno  teste  sventale 
que'  bottegai,  che  studiavano  Omero  e  traducevano  Tacito,  o  che 
cadevano  a  Gavinana  finiti  e  insultati  da  un  Maramaldo  ?  Ebbene, 
veggiamo  adunque,  che  cosa  questa  abbia  fatto  per  indebolire,  and 
per  annichilire  il  popolo  italiano,  non  dico  come  razza  di  bipedi 
animali  ;  si  come  consorzio  d' uomini  civili.  Evidentemente,  uscendo 
esso  dalla  servitù  straniera,  e  dovendo  un'  impresa  di  riscatto  oom- 
pierc,  bisognava  agguerrirlo:  e  non  di  soli  strumenti, ma  di  sen- 
timenti in  guisa,  che  fosse  non  pur  belligero,  ma  bellicoso.  Né  le 
attitudini  per  esser  tale  gli  mancavano:  poiché  non  solamenle 
neir  epoca  napoleonica  nostrane  legioni  in  Russia  e  Spagna  sq>- 
pero  ricalcare  il  suolo  con  pie  romano;  si  anche  nel  quaranlolto 


~  451  — 

quarantanove  a  Milano,  Venezia,  Bologna,  Roma  e  altrove  cit- 
lini,  che  sembravano  per  lungo  ozio  frolli,  seppero  riprender 
armi,  e  romanamente  agire  o  patire.  E  in  flne  nel  cinquantanove 
sessanta  V  anelito  di  combattere  era  tale,  che  i  giovani  da  ogni 
}go  accorrevano  alle  insegne  o  nello  esercito  regolare  o  nelle 
Bde  garibaldiane  ;  facendo,  come  singoli  soldati,  mirabili  pruove. 
>si  che,  se  lo  si  avesse  voluto ,  tutti  gì'  italiani  slavano  per  ri- 
tentar guerrieri:  acquali  non  sariano  mancati,  se  non  i  buoni 
dini  e  un  capitano  abile  a  tanta  milizia  (che  poi  probabilmente 
Piano  sorti),  per  vedere  rinnovellata  V  antica  virtù. 


CCCIV.  Modi  tenuti  per  rendere  imbelle  il  popolo  italiano. 

In  tal  caso  per  altro  non  avrebbero  essi  si  dolcemente  pie- 
to  il  capo  alla  poltroneria  affaccendata  ;  e  V  ammirazione  pe' 
odi  e  il  pungolo  della  gloria  gli  avrebbero  dall'  adorazione  del 
elio  d' oro  e  dalla  sordida  quiete  distolti.  Dunque  convenne  fare 
[talia  piuttosto  diplomaticamente,  che  militarmente:  e  quel  po', 
e  nella  seconda  guisa,  con  quante  maggiori  umiliazioni  si  potè; 
ciò  si  persuadessero  bene  gli  eroi,  che  stavano  per  ispuntare,  come 
5se  finita  la  lor  stagione.  Vi  fu  anzi  un  momento,  in  cui  si  dira- 
rono  senz'  altro  le  fde  de'  soldati  e  si  mandarono  alle  lor  case  in 
;tta  e  con  un  ebraico  piatto  di  lenti  molti  ufficiali.  E  si  sarebbe 
le  adesso  quasi  affatto  inermi,  se  non  si  avesse  alla  fine  capito, 
e  in  una  Europa  armata  sino  a'  denti,  la  cosa  era  veramente 
)[)po  straordinaria.  D' altra  parte  la  poltroneria  affaccendata,  senza 
a  grossa  soldatesca ,  tenuta  perpetuamente  alle  stanze,  non  può 
corarsi  e  bravare:  e  quindi  le  basta  e  occorre  impedire,  che 
i  guerresco  il  popolo.  Al  che  non  solamente  è  giunta  con  ren- 
re  affatto  in  Italia  impossibile  una  profession  militare,  con  di- 
logliere  alla  chetichella  la  guardia  paesana,  con  omettere  nelle 
iole  gli  esercizi  e  nelle  feste  i  ludi  di  Marte;  ma  sopra  tutto 
n  estinguere  nelle  anime  ogni  senso  eroico.  Mentre  la  vicina 
izzera  ci  dava  sì  contrari  esempi,  e  la  Francia  in  tanta  caduta 
ime  ognora  d'  epiche  reminiscenze  e  di  cavallereschi  istinti;  i 
rghesi  sofisti  gridavano  qui  a  un  popolo,  che  dovea  coli' armi 
ovrare  la  propria  dignità  e  affermarsi  al  mondo:  pace.  E  co- 
>ro,  che  poi  celebrarono  la  fortezza  tedesca,  continuavano  nel 
xlesimo  grido;  e  ad  inculcare,  che  l'Italia  dovesse  essere  una 


—  452  — 

nazione  pacifica  per  eccellenza,  fin  quando  la  GermaDìa  con  cai- 
tedratica  gravità  arrotava  quelle  spade,  che  in  pochi  anni  le  die- 
dero il  primato  della  possanza  in  Europa.  Se  potessi  io  costoro 
supporre  malvagità,  dovrei  per  fino  accusargli  di  tradimento:  ma, 
non  potendogli  reputar  malvagi,  con  qual  nome  dunque  gli  diia- 
merò?  Per  quanto  i  nostri  cuori  sospirino  qud  benedetto  gìonio, 
in  cui  la  giustizia  trionferà  sulla  terra  senza  sangue  ;  come  cre- 
derlo cosi  prossimo  e  anzi  presente ,  da  osar  dire  al  popolo  ita- 
liano, che  il  tempio  di  Giano  era  per  sempre  chiuso  ?  Avesse  esso 
da'  traffici  e  da'  guadagni,  a  cui  lo  si  invitava  con  tanta  tenerezza 
tratto  altro  prò' ,  che  X  inopia ,  la  miseria  e  la  fame ,  in  cui  è 
sprofondato;  come  scongiurarlo  a  depor  \  armi  prima  e  dopo  i 
fatti  di  Custoza  e  di  Lissa,  prima  della  zuffa  e  dopo  la  sconfitta  f 
Voglia  0  non  vogliasi,  i  deboli  sin  qui  sono  stati  sempre  preda  dei 
forti,  e  i  popoli  si  son  redenti  altrimenti ,  che  con  le  cabale  e  con 
le  giunterie.  Fin  che  il  mondo  non  cangia,  è  sul  campo,  che  si  di- 
mostrano le  loro  forze  e  si  traggono  gli  auspicii  della  loro  gran- 
dezza. E  tutta  l'umanità  è  ancora  in  tale  stato,  che  marcirebbe 
nella  codardia  e  in  ogni  peggior  turpitudine,  se  di  tratto  in  tmtlo 
non  la  risollevasse  a  generosi  palpiti  la  guerra. 


CCCV.  Rintimamento  de'  sentimenti  politioL 

Se  io  sia  uomo  in  ritardo,  lo  giudicheranno  i  lettori,  che 
non  m'abbiano  abl^iindonato,  nella  seconda  parte  di  quest'  opera: 
corto  non  sono  si  avanzato,  da  credere,  che  i  popoli  possano  |ier  ora 
ritemprarsi  senza  battaglie  ed  essere  rispettati  senza  vittorie,  l^re 
io,  uomo  di  toga,  credo  CvSsere  il  solo  in  quest'Arcadia  boitegaya 
a  deplorar  quello ,  che  altrove ,  deplorercbbono  tutti.  Che  fino  il 
vecchio  leon  di  Caprera  non  rugge  più:  e,  tra' pacifici  bebti 
del  gregge  e  la  cornamusa  de'  (tastorì ,  naturalmente  le  picciole 
volpi  s(iuittiscono  di  gioja.  Le  quali,  per  inseguir  meglio  la  pre- 
da, oltre  i  bellici  sentimenti,  misero  alla  gogna  tutti  i  senti- 
menti  civili:  onde  il  popolo  non  pur  negli  ozi  della  pace  si  tuf- 
fasse ,  ma  della  pace  non  amasse  più  alcun'  arte  buona.  Sacrifi- 
candosi in  fatti  air  istituto  economico  tutti  gli  altri  istituti ,  che 
ressero  la  società  umana  sin  qui,  cioè  il  domestico,  il  politico 
e  il  religioso,  tutte  le  fonti  delle  virtù  più  nobili  inaridirono. 
Dappoiché   la  operosità .  la   previdenza ,  la  iKirsimonia  e  le  altre 


-  453  - 

virtù,  che  in  quel  primo  istituto  occorrono,  che  sono  mai  in  con- 
fronto a  quelle,  che  negli  altri?  Le  pubbliche  virtù  particolar- 
mente repularonsi  dagli  antichi  le   più  nobili ,  sublimando   esse 
r  uomo  sovra  il  proprio  egoismo  e  spingendolo  lino  a  sacrifi- 
carsi  pe'  suoi  simih.  Or  queste  appunto  sono  in  grande  detestii- 
zione  de'  moderni,  che  per  vituperarle  quanto  più  possono,  vi  op- 
pongono quelle  lor  virtù  private ,  che  spesso  non  sono  altro ,  se 
non  private  vigliaccherie.   Colle   quali  possono   costoro  ,   che 
sono  modernissimi,  separare  i  cittadini  dalla  città,  anzi  distrug- 
gergli del  tutto  in  quella  guisa,  che  oggi  ognuno  vede.  Secondo 
i  consigli  de'  cui  uomini  di  stolto ,  l' Italia  vuol   essere  «  rappre- 
sentiila  da  fattori  »;  non  pensare  ad  altro,  che  alle  «  cure  econo- 
miche »,  ed  anzi  al  solo  «  pareggiamento  de*  bilanci  »  :  tanto  più 
avventurata,  quanto  più  «  non  la  faccia  parlar  di  sé  ».  E,  citando 
a  memoria,  forse  io  non  esprimo  queste  idee  colle  precise  lor  pa- 
role, cui  del  resto  bisogna  il  più  delle  volte  raccogliere  ne'  ban- 
chetti ;  ov'  egli  usano ,  come  ho  detto ,  consultare  e  parlamentare 
alla  nazione,  tra  i  nappi  ricolmi ,  alla  foggia  de'  barbari.  Pure  a 
un  (li  presso  così  riassunsero  il  sistema  Massimo  d'Azeglio,  Marco 
Minghetli ,   Quintino   Sella  eil   Emilio  Visconti  Venosta:  il  pri- 
mo in  un  manifesto,  e  gli  altri  nella  costituzional  dieta  e  ne'  co- 
stituzionali simposii.  E  i  lor  nomi  posso  io  qui  hberamenle  ram- 
mentare; perocché  né  quegli  se  ne  sarebbe  adontato,  né  questi 
si  adonteranno  di  cosa,  eh'  é  per  loro  una  gloria,  e  in  cui  sta  per 
loro  il  segreto  e  la  chiave  dell  avvenir  nostro.  Codesto  adunque  il 
destino,  che  aver  dovrebbe  la  nazione  italiana:  la  civiltà,  la  cul- 
tura, la  potenza,  lo  splendore,  la   grandezza  sono  fisime  da  la- 
sciarsi alle  altre  nazioni.   Non  badi  a  profittp  di  chi  ella  debba 
lavorare  e  sudare:  basta,  che  la  si  reputi  una  fattoria,  che  at- 
tenda a'  suoi  campi  e  a'  suoi  banchi ,  che  paghi  le  imposte  e  i 
debiti ,  e   che  si  viva  oscura.  Per   verità  sarebbe  così  posta  al 
bando  dalla  vita  civile,  e  sin  la  patria  se  ne  sarebbe  ita:  ma  che 
importa  anche  questo,  quando  la  borghesia  non  le  chiede  altro, 
se  non   di  lavorare  e  sudare  ;  e  la  patria  medesima  è   per  lei 
un  idolo  vano  ? 

CCCVI.  Sfacimento  della  storia  e  della  oiviltà  italiana. 

Dico,  eh'  é  un  idolo  vano:  poich'ella,  come  già  si  vide,  è 
un'  accozzaglia  {)iuttosto  mondiale,  che  locale,  ed  esotica,  che  in- 


—  454  — 

dìgena;  e  tutto  quel  ghettume,  clie  ha  indosso,  non  le  permette. 
se  non  di  vivacchiarsi  nomade  e  parassita  tra  le  genti.  Sicché. 
se  lo  potesse ,  allargherebbe  anche  agli  stranieri  le  prerogative 
civiche  ;  e  fino  i  diplomi  di  cittadinanza  convertirebbe  in  titoli  al 
portatore ,  come  tosto  sono  per  chiarire.  Già  pur  si  vide ,  oone 
le  costituzioni  politiche  da  lei  promulgate,  mano  a  mano  che 
si  dilatò  in  Europa ,  fossero  di  base  storica  destituite  ;  e  ivapof- 
tate ,  coni'  ella  usa  appunto  le  merci  da  fuora  importare.  Lo 
sfacimento  della  storia  e  lo  straniamenio  quindi  (se  cosi  lice 
esprimermi)  de' popoli,  sopra  cui  distendesi  codesta  gramigna, 
sono  una  necessità  d' impero  :  ed ,  oltre  che  in  quelle  costitu- 
zioni, si  estrinsecano  in  ogni  altra  branca  della  legislazione,  e  nella 
letteratura,  nel  costume,  in  tutto.  Ella  è  implacabile  odiatrice 
della  storia  ;  perchè  sa  bene ,  che  in  questa  troverebbero  i  pò- 
])oU  soggetti  i  suoi  delitti  e  le  sue  pene ,  e  insieme  riacquiste- 
rebbero la  lor  propria  pei^onaUtà.  Onde ,  se  non  può  una  costi- 
tuzione a  priori  e  una  legislazione  mentalmente  elucubrata  impor- 
re, fa  tesoro  di  tutte  le  ciarpe  aliene;  pur  che  quel  dato  popolo, 
cui  vuol  lener  servo,  non  abbia  istituzioni  proprie.  Il  passato  e  il 
genio  del  quale  debbono  essere  in  tutte  le  possibili  guise  cancel- 
lati e  conculcati;  acciocché  come  materia  bruta  si  presti  ad  es- 
sere rimpastato  e  rimodellato.  E  che  ciò  sia  anche  in  Italia  av- 
venuto, panni  che  niuno  ne  possa  dubitare:  che  ornai  tutte  le 
nostre  istituzioni  sono  senz'  altro  oltramontane ,  e  le  nostre  leggi 
traduzioni  e  copie  di  leggi  straniere  in  gergo  levantino  ;  e  dietro 
ad  esse  le  nostre  lettere,  i  nostri  usi,  e  per  lino  i  modi  d*  espri- 
mersi, di  pensare  e  di  sentire  air  avvenante.  Tutt'  i  nostri  uomini 
di  stato  nelle  nostre  stesse  occorrenze  civiU  allegano  a  ogni  stante 
esempi  inglesi  (come  proprio  fossimo  inglesi  anche  noi,  o  noi  non 
contassimo  più  per  nulla);  mentre  si  vergognerebbero  in  tante  sva- 
riate forme  di  reggimento  ,  che  ebbimo,  e  in  tanti  secoli  di  glo- 
riosa viui ,  di  trarre  alcun  esi)erienza  da'  fatti  nostri.  Non  parlo 
de'  letterati ,  a'  (juali  sembrano  barbari  i  classici  scrittori  «  oè  del 
nostro  conversare  e  vestire  alla  parigina:  ma  iin  le  cose  più  fri- 
vole, gli  spassi,  i  ritrovi,  i  trattenimenti,  e  a  costo  di  fiame  a  una 
caricatura  » ,  voglionsi  alla  moda  peregrina  conformi.  Come  fos- 
simo il  più  vii  gentame  della  terra ,  anzi  un  bastardiune  gene- 
rato nel  trivio  da  notturna  tresca  d'  assassini  e  di  bagaseìe ,  non 
s'  è  risparmiato  nulla  per  insultare  i  nostri  avi  e  le  nostre  noe- 
morie,  l^esando  la  nostra  antica  civiltà,  come  una  milediiìooe  sa' 


—  455  — 

nostri  oppressori,  permisero,  che  l' Italia  materiale  si  rifacesse,  a 
condizione,  che  T  Italia  morale  si  disfacesse.  E  così  vi  riuscirono, 
eh'  essa  non  è  stata  mai  meno  italiana  d' ora  ;  e  chi  non  se 
n'  accorge ,  vuol  dire,  che  tranne  il  nome,  non  ha  più  niente  in 
sé  d*  italiano. 

GCCVil.  Vituperasioiie  del  carattere  nasioiiale. 

Questi  parricidi  conati,  di  cui  si  vantano  certuni,  adducendo, 
che  la  civiltà  è  cosmopolitica ,  la  nostra  storia  esaurita ,  il  genio 
del  luogo  una  favola ,  la  italianità  una  superstizione,  e  via  via , 
ebbero  il  naturale  esito,  che  aver  doveano.  Non  essendo  i  popoli 
cose  informi  e  inorganiche,  ma  avendo  per  necessarie  membra  e 
funzioni  una  data  civiltà  e  una  data  storia  (fuor  delle  quali  per- 
dono fin  la  propria  essenza) ,  se  si  avesse  potuto  spegnere  il  po- 
pol  nostro,  lo  si  avrebbe  a  quest'ora  spento.  E  dico  spento: 
perchè  non  appena  un  popolo  perde  la  propria  integrità  civile  e 
slorica ,  eh'  è  dire  il  proprio  io ,  si  rimane  una  moltitudine ,  a 
cui  un  dato  nome  nazionale  non  si  conviene  più,  se  non  in  un  senso 
etnografico;  e  il  nome  stesso  umano,  se  non  zoologico.  Né  avreb- 
be del  resto  valso  la  pena ,  che  noi  ci  affrancassimo  dalla  domi- 
nazione straniera,  per  cessar  d'essere  italiani:  né  di  sopravvi- 
vere a  noi  stessi ,  per  assistere  ai  nostri  funerali.  Anzi,  come  i 
generosi  uomini  prescelgono  esser  morti,  prima  che  cadere  nella 
vergogna;  cosi  i  popoli,  stati  illustri  e  grandi,  meglio  é  che  pe- 
riscano su'lor  troni,  piuttosto  che  recare  inutile  ingombro  alla 
terra.  La  borghesia  in  vece,  volendo  per  noi  tal  sorte;  dopo  avere 
disfatto  la  nostra  storia  e  civiltà  (  acciò  non  vi  attingessimo  i  ti- 
toli della  nostra  nobiltà  e  i  segreti  della  nostra  redenzione),  non 
si  rimase  da  tutte  le  arti  possibili  per  degradarci,  e  per  rinfac- 
ciarci quindi  la  inflitta  degradazione.  Mentre  non  vi  é  cosa,  che 
im  popolo  non  possa,  quando  lo  si  sappia  alla  virtù  accendere; 
i  suoi  sofisti  con  implacabile  assiduità  ci  esortarono  a  tuffarci 
nella  vita  materiale,  e  a  persuaderci  della  nostra  decadenza  defi- 
nitiva e  inferiorità  irremediabile.  E,  come  i  becchini  picchiano  col 
crudel  martello  i  feretri  de'  cari  estinti,  e  que'  colpi  soli  rompono 
il  lugubre  silenzio  de' congiunti,  che  gli  sentono  ripercossi  ne*  pro- 
pri petti  ;  cosi  questi  becchini  della  patria,  ci  ribadivano,  eh'  essa, 
l' antica  e  legittima  Italia,  era  morta.  Vale  a  dire,  che  potevamo, 
con  Ipr  licenza,  conservare  il  nome  d' italiani  :  pel  resto  dovevamo 


-  456- 

tramutarci  ìd  inglesi,  francesi,  tedeschi,  e  in  che  so  io,  se  vole- 
vamo tirare  innanzi  questo  carcame  di  vecchia  e  putrida  nazione. 
E  cosi  naturalmente  il  patriottismo  dovea  venir  meno:  percbèi 
perduta  la  nostra  italianità  «  perduta  V  anima  di  noi  medesimi, 
ove  attinger  più  la  scintilla,  e  per  chi  anzi  alimentar  più  il  sacro 
fuoco  della  patria?  Alla  line  ei  cercarono  smorzarlo  afiatto,  di- 
cendo, ch'era  un  pregiudizio  o  un  rito  d'altri  tempi; e  che  ora, 
che  ci  eravamo  costituiti  a  stato  indipendente,  non  ce  n'  era  piii 
bisogno.  Gr  inglesi  per  verità,  i  francesi  e  i  tedeschi  sono  prima 
di  tutto  tali:  noi,  appena  jeri  redentici  dallo  straniero,  e  già  pro- 
vetti ed  anche  annojati,  dovevamo  reputarci  cittadini  del  mondo, 
e  «appena  della  penisola  inquilini ,  gittando  via  tutte  codeste  pa- 
ti'iottiche  ubbie.  Anzi  di  giunta,  dimenticando  le  recenti  offese  e 
ratificando  i  nuovi  atTronti,  abdicare  per  sino  il  giusto  risentimento 
deironor  nazionale  oltraggiato.  Tanto  che  si  osò  invitare  Giorgio 
Pallavicino  alle  feste  per  Y  austriaco  imperatore  in  Venezia,  acciò 
quivi  mostrasse  forse  i  polsi,  che  trascinai*ono  le  catene  nel  castello 
di  Spilberga.  E ,  quando  per  male  onorare  il  tedesco  Arminio  si 
scrissero  fra  imperiali  pompe  sul  monumento  di  Teutoberga  pa- 
role false  e  infami  contro  gli  avi  nostri,  commettendosi  in  piena 
pace  una  si  inaudita  scortesia  internazionale;  non  una  protesta  si 
sollevò  fra  tanti  avvocati,  non  uno  fra  tanti  spadaccini  raccolse 
il  guanto.  È  una  fandonia  per  costoro,  che  sieno  avi  di  noi  ba- 
stardi i  romani,  o  che,  essendolo,  ci  dovessimo  doler  noi  dcgF  in- 
sulti ai  morti. 


CCCVIIl.  VituperaiioBe  dell'  onore 

Venne  la  volta,  che  qui  si  doveva  onorare,  non  un  barbaro 
(pavoneggiantesi  delle  nostre  insegne,  prima  di  scannar  le  legiODi 
nostre  a  tradimento  e  d'  essere  tradito  egli  stesso  da'  suoi,  e  del 
({uale  si  .sarebbe  perduta  sin  la  memoria,  se  gli  storici  nostri  non 
r  avessero  scrinata  e  additata  alla  riverenza,  che  merita  chiunque 
pugna  per  la  libertà  e  |)er  la  patria  sua):  bensì  gli  eroi  di  Le- 
gnano. Ebbene ,  si  cercò  in  tutte  le  guise  d' impedire ,  che  dopo 
sette  secoli  fossero  loro  celebrate  le  esequie  dalla  nazione  umlicau 
e  restituita  a  sé  stessa  ;  e  su  que'  sacri  campi  lombardi  un  segno 
si  ponesse  degno  della  lor  gloria.  E,  poiché  sarebbe  stato  troppo, 
che  per  pubbliche   ingiunzioni  si  avesse  ciò  interdetto,  eooo  i 


—  457  ~ 

predetti  sofisti  a  denigrargli  o  iu  segreto  o  in  palese  ;  acciò  fosse- 
ro, se  non  più  obbliati,  oltraggiati.  Àveano  que'  valorosi  dopo  una 
lunga  notte  di  servitù  e  d'onta,  colla  propria  fede  e  col  proprio 
valore  debellata  un'  oste  barbaiùca ,  fatto  risorger  dal  sepolcro  il 
popolo  italiano,  inaugurato  i  comuni,  sparso  i  semi  della  futura 
democrazia  pel  mondo.  Pur  bisognava  vituperargli  anch'  essi:  e, 
lino  a'  trapassali   di  sette  secoli  fa  appiccicarsi  1'  appellativo  di 
«  clericali  »  ;  eh'  è  il  peggior  vitupero  ora  in  Italia,  cui  si  possa 
contro  la  gente  dabbene  scagliare.  E,  quando  tuttavia  la  comme- 
morazione di  quel  massimo  anniversario  ebbe  luogo,  perchè  non 
tutti  gì'  italiani  erano  rinnegati ,  o  l' avrebbe   altrimenti  fatta  la 
fazion  nera  ;  cercossi,  eh'  ella  fosse  men  solenne  e  più  vergogno- 
sa, ctie  si  potè:  e  quasi   clandestina  e  furtiva,  per  tema  di  non 
disgustare   gì'  insultatori  degU   avi  nostri.   I  quali ,  poiché  con 
freddo  t>ensiero  e  veruna  cagione  aveano  si  perfida  calunnia  e  sì 
nera  ingratitudine  commesso;  non  si  avrebber  potuto  dolere,  se 
avessimo   noi  risposto ,  che  mentivano  per  la  gola.  Pur  non  era 
a  temersi  questo:  poiché  essi  insultano  vincitori;  l'Italia,  quan- 
tunque sì   tralignata,  non  è  pur  capace  d' insultare  né  vittoriosa, 
né  vinta.  Che,  s'ella,  lin  che  si  ritiene  a  bella  posta  e  mal  suo 
grado  imbelle,  ha  impreteribil  dovere  di  non  provocare  e  fin  di  non 
rispondere  alle  provocazioni;  bastavale   ora  onorare   i  suoi  primi 
rivendicatori:  e,  non  insultando  alcuno,  megUo  gH  onorava.  Non- 
dimeno il  solo  Incordargli  altrimenti,  che  in  una  semplice  maniera 
archeologica,  attribnivasi  già  a  crimine  di  profanata  germanità 
e  di  lesa  umanità.  E  potevamo  noi  far  questo,  dicevasi,  noi  col- 
l'Auslria  rappacilìcati,  noi  dalla  Prussia  regalati  di  belle  Provin- 
cie, e  tìn  quasi  anco  della  capitale  ?  Imperocché,  a  udir  costoro,  il 
servigio,  che  noi  rendevamo  a'  prussiani  impossessandoci  di  Roma, 
non   pagava  1'  altro ,  eh'  ei  rendevano  a  noi ,  agevolandocene  il 
possesso;  né  il  servigio  della  nostra  guerra  oltre  Po  quello  della 
loro  in  Boemia.  Pazienza,  che  costoro  dimentichino,  com' ei  fino 
al  ciuquanumove  ci  fossero  avversi ,  e  con  segrete  minaccie  al 
Reno  costringessero  il  gallico  soccorritore  ai  patti  di  Villafranca. 
Pazienza,  che  dimentichino,  com'  ei,  divenuti  nostri  collegati,  sti- 
pulassero la  pace  preliminare  di  Nicolsburgo  senza  di  noi,  vio- 
lando il  sacro  diritto  delle   genti;  e   lasciandoci  alla  mercede 
del  vincitore ,  se  questi   non  avesse  già  innanzi  ceduto  ad  altri , 
che  a  loro  e  a  noi,  il  Veneto,  e  promesso  di  partire.  Ma  costoro, 
parlando  di  tedesca  munificenza  e  d'italica  riconoscenza,  ara- 


-  458-    ^ 

mettono  dunque,  che  fosse  un  gratuito  favore  il  rìaoqpiisto  di 
quella  regione,  e  che  i  nostri  combattessero  colà  in  una  commedii 
e  si  lasciassero  ammazzare  per  burla? 


CGCIX.  Vitaperaiioiie  del  sentimeato  miimale. 

Avvezzi  a  ricevere  i  doni  della  fortuna  in  questi  ultimi  ami 
a  calci,  a  tanto  siam  giunti,  che  nemmeno  ci  possiaoio  più  cre- 
dere atti  a  far  niente  di  proprio  ;  e  che  anche  quello,  che  fa  ac- 
quistato colla  infelice  nostra  virtù,  al  merito  altrui  si  allribuisca. 
Questi  gli  abietti  dogmi ,  con  cui  si  vuole  allevare  il  popolo  ita- 
liano :  e  chi  osa  contrapporvisi,  è  tacciato  senz'  altro  di  voler  at- 
tizzare inutili  e  odiose  rivalità  tra'  popoli  ;  come  se  quello,  per  vi- 
versi in  pace  seco  loro,  dovesse  alla  propria  dignità  rinunciare. 
Certo,  il  braveggiare  è  ridicolo  e  funesto,  senza  la  forza:  ood*io 
supplico  gl'iddii  a  tener  lontani  i  flagelli  beUici,  che  ci  sovra- 
stano; fin  che  ci  siamo,  sbarazzandoci  da  questa  cattività ^  ria- 
francati.  I  nostri  incantatori  in  vece,  dopo  averci  premeditatamente 
debilitati  neir  atto  stesso,  che  i  tedeschi  si  fortificavano;  eceogli 
ora  a  dirci:  state  quieti  almanco,  o  poltroni.  E,  se  rispondiamo: 
ancora  vi  è  tempo ,  deh  appellateci  alla  virtù ,  al  dovere ,  al  sa- 
crificio ,  prima  che  ci  capitino  addosso  que'  flagelli  ;  eceogli  di 
nuovo  a  soggiungere:  che  vi  è  egh  bisogno?  CoDciossiacbè , 
secondo  ({uesti  umanitari  j  che  facevano  del  resto  capoiioo 
già  sotto  il  giogo  straniero,  e  contro  cui  Giuseppe  Giusti  av- 
ventò i  suoi  giambi; 

((  Il  puntiglio  discortese 
Di  tener  dal  suo  paese 

Sparirà  tra  gli  uomini  ». 
iVnzi  ò  di  già  per  opera  loro  nella  presente  Italia  sparito  s),  ch*è 
mestieri  tra  tante  assurdità  da  combattere  e  verità  da  sostenere, 
che  per  fino  qui  si  difenda  la  causa  del  patriottismo,  cui  a  dirit- 
tura si  considera  ora  uno  sterile  rancore  o  un  vezzo  da  aotiquirL 
Ebbene,  che  cosa  i)Ossa  accadere  in  un  futuro  molto  remoto  non 
occorre,  eh'  io  il  dica  adesso  :  ma  fin  ora  e  per  ora  non  vi  è  solb 
terra  stimolo,  che  i>ossa  incitare  i  (H)poU  alle  nobili  gare  e  alle 
prodigiose  gesta,  e  per  tino  air  amore  operoso  verso  tutta  T  uma- 
na famiglia,  tranne  questo.  I  celesti  numi  e  i  domestici  lari  pos- 
sono alcune  virtù  suscitare  :  la  patria  sola  può  dall'  aogosta 


-  459- 

chia  deir  interesse  proprio  o  prossimano  volgerle  a  più  vasti  oriz- 
zonti ;  e  rannodar  gli  uomini,  se  non  a  tutta  T  umanità,  a  una  parte 
della  medesima,  per  adempier  cosi  i  divini  disegni  del  raondo  mo- 
rale. Religione  o  superstizione,  che  sia,  cosa  eterna  o  caduca, 
vera  o  fallace,  senza  tale  sentimento  eglino  sprofondano  e  impu- 
tridiscono nelle  fogne  del  materialismo,  dello  scetticismo ,  deir  e- 
goismo,  della  pigrizia  e  della  viltà.  Isella  quale,  se  ancor  non  è 
sommersa  Y  intiera  Italia,  e  non  si  potrà  sommerger  mai  ;  non  è 
certo  per  merito  di  costoro,  che,  alienandola  da  sé  medesima,  e 
domandone  tulf  i  generosi  impeti,  non  si  stettero  mai  di  risospin- 
gervela  entro.  Sieno  pure  velleità  classiche  e  parodie  plutarchesche 
(luesle  mie,  utopie  da  teorico,  sogni  da  solitario,  delirii  da  visio- 
nario (  che  tutte  queste  cose  me  le  sento  io  dire  e  ripetere  ),  che 
importa?  Fatto  sta,  ch'esse  sono  nel  fondo  delle  stesse  anime 
nostre,  come  tutta  la  nostra  storia  prova,  e  per  Uno  gli  ultimi 
assedii  di  Roma  e  di  Venezia  e  la  più  recente  impresa  dei  Mille. 
E,  che  se  in  vece  di  metter  lo  spegnitojo  sulla  nazione  italiana, 
e  di  proporle  lauti  alTari  e  mode  peregrine,  che  non  la  salvarono 
poi  nò  dalla  povertà,  né  dall'  indolenza,  si  fossero  qiieste  cose  a 
lei  inculcate,  lin  dal  suo  primo  sorgere;  ella  sarebbe  oggi  ben  di- 
versa da  quella,  che  è.  Né  si  avrebbe  una  generazione  novella,  che 
sembra  molto  più  cascante  e  decrepita  di  quella,  che  si  va  avviando 
colle  cicatrici  servili  al  sepolcro.  Ma  volevasi,  ch'ella  così  fosse, 
onde  sopportasse  l'abietta  tirannide  senza  sdegno  e  senza  lamento: 
e  quindi  (  ahimè  )  ella  mi  appare  oggi  innanzi  come  cara  e  impas- 
sibil  larva,  a  cui  non  istrappano  più  un  palpito,  né  un  mover 
di  ciglio,  i  miei  scongiuri. 


CCCX.  Guerra  mortale  d  valorosL 

—  Dunque  non  ci  erano  in  Italia  uomini  valorosi^  e  fedeli 
ai  patrii  i)enati,  che  la  richiamassero  al  senso  di  sé  naedesi- 
ma  e  al  proprio  destino  sulla  terra?  —  Certo,  che  ci  erano:  e 
poiché  ai)punto  T  avrebbero  potuta  ammonire  e  scuotere,  furono  in 
tutte  le  guise  ripudiati  e  annientati,  acciò  ella  perdesse  fin  anche 
r  ultima  speranza.  Nel  mentre  uomini,  la  cui  sola  compagnia  vieta 
agli  onesti  di  servir  la  patria  in  comune,  furono  ribenedetti,  e  per 
(ino . . . ,  ma  non  posso  palesare  quel,  che  ho  in  mente  :  ogni  caldo 
amatore  della  [)atria.  che  dissentisse  dall'  instaurantesi  plutocrazia 


—  460  - 

0  dalle  fazioni  contendentisi  il  monopolio  della  pubblica  cosa,  fii 
sen//  altro  scacciato  come  un  reprobo.  E,  nel  mentre  noo  maDCt- 
rono  laute  provvisioni  a'  servitori  d' altri  padroni  ;  tranne  quel  pic- 
ciolo donativo  u'  pochi  prodi  di  Marsala,  gli  altri  veterani,  e  i  o^ti 
volontari  sopra  tutto,  e  i  reduci  dagli  esili  e  i  superstiti  alle  prìgioiii 
e  gli  scampati  da'  patiboli . . . ,  coloro  in  somma ,  die  risuscitaroDO 
questa  Italia  col  proprio  sangue  e  co'  propri  dolori,  se  noo  piegava- 
no la  cervice  alla  nuova  servitù,  altro  premio,  che  di  potersi  morire 
nc'patrii  spedali,  non  ebbero.  Veramente  parrebbe,  che,  come  chi 
presta  danaro  allo  stato  riscuote  un  frutto;  cosi  ne  lo  dovesse  ri- 
scuotere, chi  gli  presta  la  vita.  Pur  non  si  tratta  qui  di  lanseotarsi 
de'  mancati  guiderdoni  :  bensì  del  duro  rifiuto,  che  lor  s' oppose,  di 
servir  quella  patria,  per  cui  aveano  tanto  agito  e  patito.  Or  non  v'  è 
cosa  più  di  codesta,  per  cui  duri  io  fatica  a  difendere  coloro,  che 
ressero  in  quest'ultimi  lustri  le  sorti  d'Italia,  e  la  cui  buona  lède 
ho  io  ammessa.  D' aver  prescelto  il  raggiro  alla  verità  nel  reg- 
gerle, d'aver  guasto  la  gioventù,  spogliato  il  popolo,  tribolato 
gì'  infelici,  rinnegato  la  nostra  storia,  dileggiato  la  n(hirsL  civiltà, 
falsificato  l'Italia  e  via  via,  si  può  in  qualche  modo  scusargli 
colla  erroneità  de' sistemi  e  delle  scuole,  cui  seguirono.  I^  ^u^rra 
implacabile  ai  fervidi  zelatori  della  patria  è  troppo  difficile  a 
scusatasi  :  e  tuttavia,  meco  medesimo  pensando  quali  ragioni  ei  po- 
trehbono  addurre  per  giustificamela,  m' ingegnerò  ora  di  esporle, 
e  di  consi<lerarle  semjilici  errori. 


CCCXI.  Ostracismo  dato  ai  benemoritL 

Prima  di  tutto  ei  potrebbono  addurre,  che,  fatta  T  Italia,  la 
(lignitù  e  r  e(iuità  pubblica  volevano,  si  reputasse  opera  di  tutta 
la  nazione,  e  non  beneficio  di  chi  poteasene  vantare  autore.  E 
({uesto  s^u'ebbe  certamente  giusto,  se  la  si  avesse  voluta'  ridurre 
un  patrimonio  d' alcun  a'to  o  d' alcuna  fazione  di  veri  o  di  sup- 
posti martiri  o  profeti.  Pure,  oltre  che  di  qualche  ceto  e  fuione^ 
che  forse  non  sono  di  martiri  e  profeti,  ella  è  tuttavia  divenota 
preda;  lo  afiularla  preferibilmente  aque'polsi  e  a  qae' cuori, che 
le  si  erano  già  da  lunga  i)ezza  consacrati,  non  significava  devol- 
vorla  e  seiiuestrarla  a  loro  esclusivo  uso  e  consumo.  Probabil- 
mente questi  tali  avrebbon  manifestato  nel  sen'irla  quell*  assoluta 
annogazione  e  rigida  onestà,  di  che  nel  quarantaoove  e  iie*go- 


—  461  — 

verni  provvisorii  delle  repubbliche  veneta  e  romana,  anche  mini- 
strando il  pubblico  danaro,  avean  dato  splendido  testimonio  al- 
l' Austria  e  alla  Francia  ammirate  e  stupite.  I  quali  si  partirono 
per  r esilio  poveri  e  incontaminati;  e  cotanto  dimentichi  di  sé 
medesimi,  che  senza  né  anco  il  viatico  per  sostentarsi  i  primi 
giorni.  Però,  sopra  tutto  giovando,  che  quegli  stessi,  che  iniziano 
un'impresa,  la  compiano,  e  ne  impongano  agl'inetti  e  agl'infin- 
gardi r  alto  valore  :  chi  meglio  de'  palriotti  avrebbon  potuto  quella, 
che  iniziato  aveano,  con  devozione  e  ardore  compiere?  Se  non 
che  qui  viene  la  seconda  ragione,  cui  si  potrebbe  del  loro  bando 
addurre  :  che  cioè  il  fatto  stesso  d' essere  slati  soverchiati  e  posti 
in  non  cale  prova  la  loro  inesperienza  e  incapacità;  poiché,  s'ei 
fossero  stati  cosi  sagaci  e  prudenti,  come  appassionati  e  valenti, 
non  si  sarebbon  lasciate  sfuggir  le  redini  di  mano.  Nondimeno  io 
rispondo,  non  essere  stata  questa  la  prima  volta,  che  cogliessero 
gli  allori  del  trionfo  coloro,  che  non  l'  avean  meritato  :  né  che  i 
corvi  scendessero  a  disfamarsi  sui  corpi  degli  eroi  stesi  sul  campo; 
né  che  d'  un  nuovo  culto  si  facessero  sacerdoti  gì'  ipocriti,  che 
ne  avrebbon  giustiziati  innanzi  i  banditori.  Cosi  può  darsi,  che 
taluno,  a  cui  già  sembrarono  per  lo  meno  temerari  e  sventati  que- 
sti appassionati  e  valenti,  eh'  aveano  fede  nel  risorgimento  d' Italia 
sotto  la  straniera  dominazione  e  l'intestina  divisione;  or,  che  la 
si  é  alTrancata  e  unificata,  ne  la  governi  per  loro.  E,  dopo  aver- 
gli (Ietti  allora  fantastici  e  pazzi;  or,  che  la  coglie  del  loro  san- 
gue e  de'  lor  dolori  il  fruito,  gli  dica  anche  guastatori  e  minac- 
ciatori  de' nuovi  ordini:  siccome  appunto  de' mazziniani  e  fin 
de'  garibaldiani  è  stato  detto.  Tuttavia  queste  cose  avvengono, 
non  per  T  inesperienza  e  l'incapacità  de' sopraffatti  ;  si  pel  di- 
verso intento,  ph' essi  e  i  sopraffattori  sogliono  avere.  Che  que- 
sti, pensando  unicamente  alle  proprie  persone,  naturalmente  si 
comportano  in  guisa,  da  stare  in  piedi  ad  ogni  vicenda.  E,  quando 
veggono  mutarsi  i  tempi  e  non  gli  poter  più  trattenere,  voltansi  alle 
novità  opporlnnamonte:  e,  ado^)ei*andovi  le  medesime  arti  per  usu- 
fruirle fortunate,  che  innanzi  per  avversarle  sfortunate,  e  massime  la 
docilità  e  r  intrigo,  ne  traggono  tutto  il  profitto  possibile.  Gli  altri  in 
vece,  avendo  il  pensiero  unicamente  intento  alla  causa  disposata, 
e  quindi  imnienìori  di  sé,  agiscono  di  tal  maniera,  che,  se  per- 
dono, hanno  per  mercede  un  laccio  dal  carnefice.  E,  se  vincono, 
non  {Olendo  rinunciar  d'essere  uomini  liberi  e  fieri,  finiscono 
rosi  miseramente,  che  se  ne  veggono  alcuni  ora  suonare  gli  or- 


-  462  - 

ganetti  per  le  vie  col  moncherino.  Segue  la  terza  ragione:  h 
quale  è,  che  questi  spensierati  si  possono  sicuramenle  ofleodere 
(come  quelli,  che  per  le  lor  fisime  griderebbono  «  viva  T Italia» 
anche  dalla  croce);  mentre  i  nemici  conveniva  addolcire  e  alleir 
tare.  Anche  qui  per  altro,  senza  tener  conto  del  pervertimealo 
morale  e  dello  illanguidimento  civico ,  che  sorgono  dal  vedere 
calpestati  i  buoni  e  sollevati  i  pravi,  il  viiissimo  stratagemma  noo 
liesce.  Dato,  che  questi  ultimi  alla  prima  fortuna  sioisira  non  si 
svelino  traditori  o  infidi;  per  lo  meno  saranno  anche  nella  buon 
ventura  amici  tiepidi  o  spudorati,  e  così  maneggieranoo  i  si- 
eri depositi  avuti,  che  sembrino  altrui  una  maledizione.  Onde  si 
commisero  certi  atti  e  vi  sono  certe  abitudini  in  certi  luoghi; 
che  se  non  ebbero  ed  hanno  per  iscopo  di  fomentar  V  odio  o  il 
discredito  de'  nuovi  ordini,  non  si  sa,  quale  altro  si  avessero  ed 
abbiano.  L'  ultima  ragione  in  fine ,  per  cui  si  rigettarono  i  pia 
beìiemeriti  (  sempre  che  non  volessero  mutare  il  valore  in  co- 
dardia ) ,  potrcbb'  essere ,  che  questi  erano  cosi  vaporosi  o  pe^ 
vicaci  nelle  proprie  idee,  strani  o  contrari  al  regno  da  fondarsi, 
che  non  si  avrebbe  avuto  con  loro,  se  non  un  elemento  di  di- 
scordia e  di  dissoluzione.  E  questa,  come  più  grave,  roerìui  più 
lunga  considerazione. 


CCCXII.  Cause  ed  effetti  dell' oitradmo 


Badisi  a  tale  proposito,  non  negar  io,  che  coloro,  i  quali  res- 
sero le  sorti  nostre  dal  cinquantanove  in  poi ,  non  fossero  per  b 
iì)a<7^^ior  parte  accesi  dal  simto  amore  d'Italia;  per  la  quale  and 
molti  di  loro  avcano  dianzi  combattuto  e  sofTerto.^Dico  solameolf. 
c\\(\  tratti  a  p(*rdizionc  da'  lor  sistemi,  e  agendo  come  inconsci 
strumenti  «Iella  mondiale  innominabile  accomandita;  avversarono 
tutti  coloro,  che  del  medesimo  amore  accesi,  non  vollero  i  lor 
sistemi  se^^uire  e  divenire  di  tale  accomandita  strumenti.  Eviden- 
temente la  rivendicazione  d' Italia  fu  da  tutt'  i  buoni  e  degni  sooi 
figUuoli  ]treparata,  senza  distinzioni  d'ordini  e  di  parti:  ma  pre- 
cipuamente da  coloro,  che  poi  non  la  ressero.  Av\'egoachè  t  ob 
certo  punto,  ci0(>  quando  la  fu  in  sul  farsi,  questi  forono  ripo- 
diati,  tranne  che  non  accettassero  una  dura  condizione:  gli  shfi 
se  n'  arrogarono  a  dirittura  il  monopolio.  \a  dura  condizione 
era,  che  dovessero  coloro  rinunciare  alle  proprie  convinzioDi,  a' 


proprio  carattere  e  quasi  ali'  anima  propria  :  cangiandosi  a  un 
tratto  da  liberi  e  fieri  uomini,  in  riverenti  e  ciechi  satelliti  degli 
altri.  I  quali  ultimi,  sendo  stati  più  avveduti  e  piii  avventurati,  e 
avendo  recato  a  compimento  Y  impresa,  pretesero  dettame  a  quelli 
le  leggi  ;  e  le  dettarono  cosi  assurde,  che  condussero  appunto  V I- 
talia  al  termine,  che  al  presente  si  trova.  Se  gli  uni  e  gli  altri 
avessero  potuto  servire  in  comune  la  patria,  contribuendovi  il 
diverso  spirito  e  genio,  sarebbe  accaduto,  che  il  fervore  degli 
imi  e  la  calma  degli  altri  si  temperassero  assieme;  e  avesse 
quella  lo  assetto,  che  unico  le  si  conveniva.  Facendosi  il  contra- 
rio, quelli  si  respinsero  alle  navi  de'  mirmidoni  ;  e  questi,  privi  di 
competitori  e  di  cooperatori,  si  privarono  altresì  di  ritegni  e 
d' idee,  e  si  gittarono  air  impazzata  nella  via  degli  arbitrii  e  delle 
fallacie.  Quanti  fossero  cosi  esclusi  dal  ricostrurre  il  santo  edifi- 
cio, onde  or  questo  bai^colla  e  non  è  punto  ancora  italico;  e 
quanto  danno  ne  seguisse  dall'  abbandonare  cotanta  copia  d' intel- 
ligenza e  d' amore,  non  è  possibile  annoverare  e  descrivere.  Per 
non  tener  conto  di  tutte  quelle  forze,  che  avea  l'Italia  prima 
della  sua  liberazione,  e  che  all'  atto  dì  questa  si  presentarono  e 
furono  tosto  oppresse  e  stritolate  ;  basti  notare,  che  in  diciott'  anni 
non  ne  sorsero  più  di  nuove  :  impedite  o  soffocate  da  quel  picciol 
drappello  d' uomini,  che  occuparono  o  si  conteser  tra  loro  il  pub- 
blico reggimento.  I  4uali  a  un  di  presso,  in  diciott' anni ,  sono 
sempre  i  medesimi,  e  con  più  uffici  per  ciascheduno:  né  seppero 
farsi  pure  un  discepolo;  e  si  vanno  in  realtà  estinguendo,  seb- 
bene in  apparenza  di  qualche  tenero  e  pallido  virgulto  rinnovel- 
lando.  E  dico  cosi,  perch'  eglino ,  seguendo  anche  in  questo  gli 
esempi  degli  antichi  tiranni,  pur  di  dannai*e  all'  impotenza  e  al- 
l' oscurità  i  valorosi,  alzarono  al  grado  di  loro  pari  alcuni  bimbi, 
che  non  avessero  altro  giudizio,  tranne  il  loro,  nò  sapessero  bal- 
bettar altro,  tranne  le  lor  parole;  e  che  di  tutto  fossero  non  al 
proprio  ingegno  e  merito,  ma  alla  lor  protezione  e  grazia  obbli- 
gati. I  quali  bimbi  politici  stanno  nelle  moderne  tirannidi  in  luogo 
appunto  de'  castellani  nella  tirannide  medicea  sostituiti  ai  cittadini, 
de'  liberti  nel  romano  despotismo  sostituiti  agi'  ingenui ,  e  degli 
eunuchi  nelle  asiatiche  dominazioni  sostituiti  agli  uomini. 


-  464  - 


CCCXIII.  Esempi  di  predarì  dttadLd  aumdtL 

Or,  poiché  a  questo  punto  dì  tanti  uomini  abbattuti  mi  à 
potria  ctiicdere  alcun  nome,  cosi  per  intenderci  e  per  non  pirer 
io  ragionar  sulle  nuvole,  tre  soli  fra'  più  valorosi  menzionerò, 
cir essendo* da  poco  morti,  possono  senza  gelosia  e  ìnrìdia  mes- 
zionarsi.  Carlo  Cattaneo  fu  certamente  uomo  di  virtù  e  di  sapienza 
antiche  ;  e  probabilmente  delle  discipline  civili  ed  economidie  il 
più  severo  maestro  a'  giorni  nostri  in  Italia.  Francesco  Guerrazn 
ebbe  in  vece  una  natura  alquanto  bizzarra  ;  e  troppo,  per  rendere 
abominevole  il  vizio,  si  compiacque  di  svelame  T orrore  e  di  su- 
scitarne il  ribrezzo.  Ma  fu  si  possente  scrittore,  che,  se  si  volesse 
dire,  ehi  fosse  a'  giorni  nostri  il  più  insigne  di  quella  prosapia  di 
sdegnose  anime,  che  scendono  dal  iiero  ghibellino  e  proibirono  al- 
ritaUa  di  morire;  converrebbe  dire,  che  fu  desso.  Giuseppe  Mazzini 
non  lo  pareggia  forse  nella  titanica  efficacia  dello  stile  :  ma  ebbe 
le  facoltà  dell'anima  tutte  cotanto  nobili  ed  elette,  e  il  divino 
intuito  della  prossima  risurrezione  della  patria  e  una  fede  neDa 
medesima  si  inconcussa ,  e  tale  una  purezza  di  propositi  e  sanliti 
di  costumi;  che  ì  posteri  lo  ricorderanno,  come  il  più  integro 
uomo  a  (luesti  tempi  vissuto.  Perchè,  s'egh  e  i  suoi  veri  seguaci 
caddoro  nella  giusta  obblivione,  che  la  vhlù  merita  sotto  la  villi 
trionfante  (  onde  si  dicono  ora  troppo  astratti  e  assoluti  i  suoi 
principii  da  quo'  medesimi,  che  si  ostentano  repabUicani),  non 
ò  meraviglia,  (juando  ogni  principio  si  rinnega;  od  almeno  ogni 
principio,  che  non  sia  lucroso  e  commodo.  Pure,  d'avere  egli  cre- 
duto a^r  iddii  e  la  religione  del  dovere  professato  in  tanto  mate- 
rialismo e  scetticismo,  egli  in  infìnite  cospirazioni  e  tribolaziODi 
avvolto,  e  le  mille  volte  deluso  e  diloggiato...,  questa  gloria  oiuoo 
glie  la  può  togliere.  Nò  d'avere  per  più  decine  d'anni  tenuto  vivo 
il  culto  della  patria,  richiamato  sovr'essa  la  pietà  del  mondo, so- 
scitato  più  legioni  d'eroi ,  preparato  gU  eventi,  che  poi  seguìrooo; 
e  indetto  alla  stessa  Italia  regia  e  moderata  Y  unità  e  la  capitale  ifl 
Roma.  E,  siccome  la  probità  non  muore  mai,  e  la  verità  è  d^ 
siinala  presto  o  tardi  a  trionfare;  cosi  cgU,  che  volle  un  tato 
vera  e  proba ,  sarà  ne'  futuri  gionii  assai  più  benedetto ,  che  ne 
presenti  calunnialo.  Intanto  però  egli  e  gli  altri  due  sopra  ineitfi^^' 
nati,  e  cento  v  cent' altri,  cui  potrei  menzionare  (i  quali  non  ^^ 


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lero  sotto  le  forche  caudine  del  fìacco  altrui  pensiero  passare, 
per  divenire  generali  emeriti  o  senatori  inutili  ) ,  si  videro  da  quella 
patria,  che  aveano  redenta,  ripudiati.  Cattaneo  sulla  soglia  de' 
Cinquecento  si  stette  perplesso  e  sgomento,  come  uomo,  che  te- 
messe di  perdervi  entro  il  proprio  decoro.  Guerrazzi,  farmatovisi 
a  lungo ,  lo  vidi  io  aggirarsi  tra  que'  scanni ,  sogghignando  e  scher- 
nendo altrui  e  sé  medesimo  di  si  miserando  comune  spettacolo. 
Mazzini,  in  tutte  le  guise  da'  gazzettieri  bufiB  e  scrii  vilipeso,  tornò 
dal  lungo  e  glorioso  esilio  di  soppiatto  e  come  contumace,  ap- 
pena in  tempo  per  lasciare  neir adorata  materna  terra  le  ossa:  e, 
non  appena  s'avrebbe  dovuto  imprigionarlo , era  morto.... 


CCCXIV.  Bejeiione  inffinsta  ée*  iiwJiiiMri. 

Qui  mi  si  può  dire  :  —  sta  bene ,  che  questi  fossero  uomini 
molto  egregi  e  della  nazione  benemeriti  ;  ma  già  eglino  non  avreb- 
ber  voluto  adoprarsi  a  rifarla  in  quel  modo ,  che  la  si  rifece  ;  e 
poi  come  valersi  di  loro,  che  aveano  idee  si  fisse  e  diverse  da 
quelle ,  che  indi  trionfarono  ?  —  Io  rispondo ,  che  veramente  fu- 
rono anche  nel  fatto  assai  piò  trionfatrici  le  idee  loro,  che  quelle 
de'  lor  Minossi.  Perchè,  se  questi  possono  a  quelli  rinfacciare 
di  non  aver  l'alleanza  napoleonica  e  la  dinastia  savojarda  come 
mezzi  di  pronta  sedute  afferrati;  i  mazziniani  possono  osservare, 
che  r  unità  e  la  capitale  in  Roma  e  altre  tali  cose  erano  cosi 
lunge  dal  pensiero  de'  cavouriani ,  che  costoro  pochi  anni  o  pochi 
mesi  innanzi ,  clic  le  accettassero ,  le  reputavano  sogni  Quanto  ai 
punti,  in  cui  i  mazziniani  dissentivano,  o  di  cui  non  seppero  di- 
scernere r  opportunità  ;  non  pare  per  altro,  che  l'esito  seguitone 
sia  tale,  da  doversi  arguire,  che  avessero  eglino  tutto  il  tortole 
i  cavouriani  tutta  la  ragione.  Quello  straniero  ajuto( per  non  dire, 
che  ci  ha  fatto  perdere  due  provincie)  è  ancora  un  tal  vizio  ori- 
ginale del  nostro  riscatto,  che,  se  noi  non  lo  emendiamo  con 
qualche  fatto  d'armi  in  futuro,  ne  porteremo  per  tutt'i  secdi  U 
pena.  E  fatto  sta ,  che  ci  ha  avvezzato  anche  di  poi  a  tirare  in- 
nanzi senza  vittorie  e  senza  glorie,  ed  a  formare  questo  stato 
piuttosto  co'  protocolli  di  gabinetto  e  colle  cedole  di  banco,  che 
con  le  arnìì.  Onde  non  avremo  mai,  tranne  che  dall'emenda,  quella 
riputazione,  che  dà  la  vittoria,  né  quella  dignità,  che  la  gloria. 
Certo,  che  mercè  di  esso  si  potè  liberare  l'Italia  per  forum,  pri- 

30 


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ma  di  quello  si  potesse  per  virtù:  ma  è  a  dubitar  forte  ancora, 
se  più  le  convenisse  attendere ,  per  esser  degna  di  sé  medesimi, 
che  affrettarsi ,  per  non  esserlo.  Che ,  se  non  parve  vero  di  poter 
far  cacciare  gli  austriaci  da'  francesi ,  né  si  avrebbe  a^iito  Y  «ù- 
mo  di  respinger  tanto  soccorso;  bisogna  esser  giusti,  e  riooDO- 
scere,  che  si  giuocava  allora  ai  dadi,  come  di  sopra  ho  raccon- 
tato. Temerità  dunque  per  temerità,  non  era  meno  audace  il  nùDH 
stro  piemontese,  che  voleva  T Italia  redenta  per  sguto  straniero, dd 
proscritto  hgure,  che  per  insurrezione  di  popolo.  Talmente  che, 
se  le  cose  non  fossero  andate  a  seconda ,  noi  avremmo  ora  dae 
oppressioni  straniere  sul  collo,  in  vece  d'una;  e  quegli  la  funa 
dì  Ludovico  Sforza.  Ed  ho  pur  raccontato,  che,  se  le  andarono 
a  seconda ,  parte  fu  per  opera  di  fortuna ,  che  non  é  merito  uma- 
no; parte  per  tale  un  merito,  che  più  al  popolo  spetta,  ed  aDe 
idee  e  passioni  de'  mazziniani ,  che  a'  suoi  reggitori  e  a'  cavon- 
riani.  Avvegnaché,  senza  i  plebisciti  e  la  spedizione  de'  MiHe, 
cose  (almeno  virtualmente)  piuttosto  mazziniane,  che  cavouriane, 
eravamo  noi  quasi  spacciati ,  anche  in  onta  allo  straniero  t^xéo. 
Quanto  in  fine  al  non  avere  i  mazziniani  accettato  subito  e  incon- 
dizionalmente  il  principato  di  Vittorio  Emanuele  II ,  è  onaai  a  sof- 
licienza  chiaro ,  eh'  eglino  e  Mazzini  stesso  non  n'  erano  in  mas- 
sima si  contrari ,  come  poi  si  volle  far  apparire  per  dar  loro  il 
bando.   Le  ultime  pubblicazioni  del  sommo  agitatore,  e  i  cenni, 
che  vi  premise  Aurelio  Saflì  (  il  cui  nome  io  qui  pongo ,  per  te- 
stimoniargli la  riverenza  debita  al  suo  intemerato  carattere  e  alla 
sua  invitta  fede),  persuadono  bene,  com'egli  avrebbe  non  rooo 
di  Daniele  Manin  e  di  Giorgio  Pallavicino,  pure  santi  uomini, 
chinato  il  capo  al  voler  comune ,  che  avesse  quella ,  piuttosto  die 
altra  forma  polìtica  sancito.  La  differenza  stava  unicamente  in 
ciò,  ch'egli  voleva  la  capitananza  regia  fosse  almen  sulle  prime 
affatto  disinteressata,  si  conquistasse  l'indipendenza  prima  d'as- 
sidere  il  monarcato ,  questo  con  ponderato  consiglio  si  deliberasse 
nella  conciono  augusta  della  nazione ,  e  avesse  ordini  indigeni  e 
buoni  ;  mentre  Camillo  di  Cavour,  e  tutt'i  compagni  e  prosecotori 
del  costui  sistema ,  l' opposto.  Onde ,  se  lo  si  potesse  rimproverare 
di  non  aver  avuto  quell'avvedutezza,  per  la  quale  si  sa,  che  certe 
cose  e  sopra  tutto  le  avventurate  s'ingiungono,  piuttosto  che  si 
discutano;  certo  non  è  desso,  che  si  possa  tacciare  di  non  aver 
deferito  a'  sutlragi  del  popolo ,  a'  quali  anzi  si  commetteva  ed 
appellava. 


-467 


GGCXV.  Feneesiiime  ftuMite  W  iwlntut. 

Possono,  ciò  non  ostante ,  gli  emuli,  oweramente  gìk  avver- 
sari suoi,  obbiettare:  che  tale  deferimento  intratteneva  il  corso 
degli  eventi,  e  gittava  il  fomite  della  discordia;  e  che  non  si  sa, 
se  e  come  la  predetta  conclone  avrebbe  poi  costituito  il  regno.  Ned 
io  certamente  mi  nascondo,  che  in  tanta  inesperienza  e  irrequie- 
tudine ,  sopra  tutto  essendo  divisi  gli  animi  de'  patriotti  allora  tra 
monarchia  e  stato  libero,  il  pericolo  fosse  grave.  Ho  io  pure  par- 
tecipato e  aderito  col  mio  oscuro  voto  a'  plebisciti;  perchè,  se 
Niccolò  Machiavelli  avrebbe  un  tiranno  accettato  per  liberare  questa 
Italia  da'  barbari ,  potevamo  ben  noi ,  domando  i  palpiti  del  cuor 
nostro,  acclamar  principe  un  intrepido  soldato  e  leal  cavaliere. 
Non  sono  quindi  estimatore  di  Mazzini  sospetto:  ma,  pure  se- 
guendo allora  Cavour,  e  concedendo  ora  ai  vincitori  e  ai  vinti  la 
stima,  che  si  meritano  i  valorosi;  dico,  che,  se  bisognava  di 
necessità  seguirìo  per  far  l'Italia  in  un  modo  o  nell'altro,  di  a- 
verlo  cosi  ciecamente  e  servilmente  seguito,  ebbesi  insieme  col 
vantaggio  il  danno.  Dappoiché  in  fatti  è  avvenuto,  che  quella  Ita- 
lia, che  così  si  fece,  la  fu  si  mal  fatta,  che  peggio  non  si  po- 
trebbe. Mentre,  se  non  vi  fosse  stata  tale  cecità  e  servilità  negli 
altri ,  e  in  esso  e  vie  piii  ne'  suoi  discepoli  tanta  esclusività  e  a- 
vidità;  se  cioè  tutt'i  buoni  italiani,  di  ogni  parte,  avessero  di- 
retto il  nuovo  ordine  di  cose,  sarebbe  questo  ben  migliore  di 
quello ,  che  è.  Non  si  sarebbe  all'  Italia  imposto  costumi  e  istituti 
alla  barbara,  non  avrebbe  ella  ora  gli  orridi  mali,  ch'io  qui  la- 
mentai; e  il  regno  stesso,  se  avesse  avuto  ragion  d'esistere  e 
di  durare,  avrebbe  più  salde  radici  e  più  vitali  succhi  avuto. 
11  ligure  proscritto  del  resto,  lungi  di  voler  tendere  in  tal  ma- 
niera un'  insidia  alla  monarchia ,  riteneva  (  e  dicevalo  a'  suoi 
famigliari),  che  questa,  impugnando  senza  patti  il  vessillo  del 
popolo  e  commettendosi  a'  suoi  decreti  a  guerra  Anita ,  sareb- 
1)0  apparsa  cotanto  magnanima,  che  niun  volere  avrebbe  avuto 
contrario,  né  ninna  forza  l'avrebbe  potuta  più  scuotere.  E  doih 
dimeno  egli  era  disposto  a  veder  sacrificato  fin  l'ideale  del 
cuor  suo  (onde  non  si  sa,  se  fosse  in  lui  maggiore  il  senno  o 
r  annegazione  )  ;  pur  che  non  calassero  nuovi  stranieri  sul  nostro 
suolo,  e  la  cara  patria  non  fosse  da'  bonaparteschi  tinimid  am- 


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plessi  coDtamìnata  ;  e  come  reìna ,  non  come  ancdla ,  sorgesse 
dalla  tomba.  Ned  è  vero^  che  i  patriotd  ripudiati ,  e  quantuDqoe 
sbeffati  e  incriminati ,  contrastassero  o  inceppassero  V  impresa  mo- 
narchica :  poiché  anzi  V  ajutarono  e  spinsero  innanzi  in  guisa,  che, 
se  si  volesse  riassumer  l'arcano  politico,  mercè  cui  riuscirsi  può 
dire ,  essere  stato  questo.  Aver  quelli  dato  la  materia ,  e  gli  altri 
la  forma  ;  e  quelli  dato  le  leve ,  di  cui  gli  altri  si  valsero ,  pro- 
testando all'  Europa ,  che  imbrigliavan  la  penisola  tanto  per  quo- 
tar le  smanie  e  le  furie  de'  primi  :  quasi  che  fossero  da  un  segreto 
accordo  i  primi  e  i  secondi  congiunti.  Non  pertanto  se  ne  accettò 
sì  il  servigio  disinteressato  :  ma ,  se  non  sempre  a  malincoore , 
sempre  con  dispregio,  e  col  pensiero  riposto  di  schiacdame ,  appena 
ricevutolo ,  i  largitori.  I  quali ,  conseguentemente  non  ftrono  già 
schiacciati,  perchè  si  dimostrassero  imperiosi  o  pretenditori,  cxh 
me  fu  fatto  credere:  si  perchè  non  si  volle  costituire  un'Italia, 
quale  da  tutti  si  voleva ,  ma  quale  da  alcuni.  Ad  ogni  costo  cioè 
un'  Italia  borghese  e  bancaria,  dottrinaria  e  moderata,  diplo- 
matica e  fìnanziaria ,  ignobile  e  impotente,  bastarda  e  falsa,  come 
poi  è  divenula.  Concedendosi  adunque  a'  seguaci  del  sistema  avven- 
turato la  buona  fede ,  noi  dobbiamo  ammettere ,  eh'  ei  cosi  agisse- 
ro, come  fermamente  convinti,  fosse  altresì  il  buono.  Pur,  seb- 
bene chi  ha  la  podestà  in  mano ,  debba  nel  momento  deD'  azione 
comandare ,  e  non  già  consultare  ;  ei  debbono  confessare ,  che 
si  reputarono  veramente  un  po'  troppo  infallibili.  Non  avessero 
commesso  i  mille  errori ,  che  poi  commisero  e  che  io  qui  descrissi  ; 
via ,  come  potevano  essi ,  taluni  de'  quali  venuti  su  d' improv- 
viso, considerare  vecchi  operatori  e  forti  pensatori  gente  cwl  da 
nulla ,  che  meritassero  ogni  derisione  e  vilipendio  ?  -E ,  s' et  non 
fossero  stati,  con  tanta  boria  d'uomini  avveduti,  altro,  se  non 
inconsapevoli  <(  gerenti  »  d' una  compagnia  cosmopolitica  di  cam- 
bio ,  alla  quale  occorreva  sopra  tutto  di  opprimere  gì'  ingegni  ? 
Oui  appunto  sta  Y  ultimo  segreto  della  tirannide  moderna ,  e  in 
cui  supera  le  antiche:  opprimere  gV ingegni,  affinchè  le  nazio- 
ni ,  a  cui  sarebbero  naturalmente  devoti ,  manchino  fin  di  coosi- 
^rlio.  E ,  a  compiacernela ,  si  sono  i  gerenti  predetti  prestati  in  gui- 
sa, che  a  dirittura  fecero  ai  nobili  intelletti  una  guerra  cosi  mor- 
tale ,  come  ai  nobili  cuori. 


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CCCXVl.  Eipnlaa  de*  «ipad  dal  Friaw  otrpo  legUUtlTO. 

Nella  vita  letteraria  si  vide,  che  sorta  di  munificenza  abbia 
la  classe  mezzana:  quanto  alla  vita  attiva,  ella  ne  scaccia  con 
perpetuo  bando  gli  uomini  più  intelligenti.  Benché  non  la  possa 
più  scrivere  nelle  conchiglie  i  nomi  de'  Temistocli  e  degli  Aristidi  ; 
con  un  ostracismo  cheto  e  placido  ha  ugualmente  modo  di  colpir 
quivi  i  giganti  del  pensiero ,  e  di  rendemegli  peggio,  che  morti 
Che ,  non  essendo  ella  altra  cosa ,  tranne  la  mezganUà  oltracotan- 
te, tanto  basta  per  avergli  in  uggia:  ma,  dovendo  altresì  orbare  i 
popoU  d'ogni  luce  intellettuale,  se  vuol  serbare  incontestato  do- 
minio, bisogna  bene,  che  ne  spenga  i  fari.  E  quindi  interdire, 
quanto  più  può,  il  politico  agone  a  quelli,  cui  chiama  idealisti, 
prim'  ancora  d' avergli  provati  :  e ,  poiché  gli  ha  rilegati  in  qual- 
che cantuccio  (ove  naturalmente  non  possono  sperimentarsi  e  ma- 
nifestarsi ,  ed  ove  si  rattristano  e  s' mfermano  ) ,  schernirgli  di 
giunta.  Napoleone  il  grande ,  che  pure  odiava  a  morte  codesti  idea- 
Usti  ,  perchè  in  fondo  air  anima  tribuni ,  creava  tuttavia  un  coir 
legio  di  dotti  e  gli  onorava  di  molto  ;  e,  quando  occorrevagli 
un  valente  uomo  d'azione,  traevalo  proprio  da  loro.  Gode- 
sti pigmei  d'oggi  in  vece,  molti  de'  quali  fecero  le  prime  ar- 
mi con  qualche  sonetti  no  e  qualche  novelletta,  si  vergognereb- 
bero d'imitar  l'ultimo  Cesare;  e  afléttano  verso  gli  studiosi  uno 
spregio,  che  non  avrebbe  un  irochese  o  un  patagone.  Non  ne- 
go ,  che  nel  cosi  detto  senato  del  repo,  almeno  in  sul  princi- 
pio e  quando ,  volendosi  onorare  le  persone  più  illustri  delle  Pro- 
vincie incorporate,  e  non  venendone  quasi  altre  additate,  che  di 
studio  ;  non  ne  dovessero  molte  accogliere.  Vi  si  accolsero  però 
come  in  un  prìtaneo  o,  come  si  direbbe  ora,  in  un  ospizio  d'in- 
validi :  i  quali  vi  entrassero  sulle  gruccie  d' un'  innocua  beneme- 
renza e  f>i  riposassero  su'  letticciuoli  d' una  postuma  fama.  La  età 
senatoria  era  po'  romani,  che  pare,  se  ne  intendessero  alquanto 
di  queste  cose,  a  venticinque  anni.  Noi  moderni,  come  molto  ver- 
sati nelle  etimologie ,  durìam  fatica  a  figurarci  un  padre  coMritto, 
che  non  si  debba  tirar  su  con  le  carrucole  ne'  superiori  piani  dd 
palazzo  Madama.  Né  temete,  ch'io  insulti  i  venerandi  vegliardi, 
che  vi  sono  entro  :  perché  anzi  io  gli  venero  tutti ,  e  non  vi  è 
cosa,  por  cui  senta  cx)sl  umile  e  trepida  veoerizione^eoiiie  l'etik 


-470- 

canuta.  E  reputo  appunto ,  ctie  il  disprezzo ,  in  eh'  essa  è  caduta 
presso  questi  fanciulli  avvizziti ,  che  mi  so  io ,  sia  uno  de'  più  forti 
sintomi  della  corruzione  e  della  buffoneria  presente.  Dico  beosi, 
eh' ci  vorrebbono  esservi  entro  come  forze  vive,  e  non  già  coinè 
corpi  inerti  ;  temperando  con  la  consumata  sperienza  e  il  maturo 
criterio  il  genio  e  T  impeto  de'  giovani.  Avvegnaché  la  essenza  del 
senatorato  sta ,  non  nella  senilità ,  ma  nel  smno  :  il  quale ,  oltre 
che  dagli  anziani  e  provetti  j  è  dalle  menti  vigorose  ed  dette  posse- 
duto. Or,  benché  queste  potriano,  almeno  a  quarant' anni ,  pene- 
trarvi ,  ciò  accade  piuttosto  per  eccezione ,  che  per  regola  :  quasi 
che  un  senato,  il  quale  non  rappresenta  tra  noi  e  non  può  rap- 
presentare un'  aristocrazia  di  sangue ,  non  dovesse  per  serbarsi  in 
((ualche  modo  un  senato ,  rappresentare  un'  aristocrazia  d' intelli- 
genza. Il  chiamar  quivi  in  vece  coloro ,  che  sono  di  per  sé  se- 
natori con  un  titolo  assai  più  sacro  d' un  decreto  regio  o  d' un 
privilegio  agnatizio,  cioè  i  capaci  e  per  agire;  fu  T ultimo  pen- 
siero ,  eh'  ebbesi  in  mente.  Per  non  dire  di  que'  tali ,  che  vi 
partecipano ,  perchè  scritti  nel  libro  d' oro  del  catasto  o  del  debito 
pubbUco  consolidato  ;  prima  si  die  la  senatura  (e  me  n'  appello  a 
tutti)  per  una  semplice  rimunerazione  onoraria,  e  poscia  aUa  più 
corta  per  raccozzar  sullragi  a  un  dato  partito  da  votarsi.  È  anzi 
questo,  come  vedemmo,  uno  de'  congegni  più  plausibili  e  mira- 
bili del  sistema  costituzionale ,  a  detta  de'  suoi  celebrati  maestri , 
che  il  chiamano  nel  lor  gergo  furbesco  «  infornata  ».  Se  quindi 
la  intelligenza  vi  perviene  non  è ,  che  a  caso  e  col  proposito  di 
non  curarsene  ;  o  per  un  ])o'  di  pudore  e  a  Un  di  cuoprìr  meglio 
il  conti'abbando  con  qualche  sdruscito  cencio  d' una  baiMliera  neu- 
tra. E  dico  neutra;  perchè  le  cosi  dette  «  illustraziODi  scientifi- 
che e  letterarie  » ,  com'  ci  le  chiamano  nel  predetto  gergo ,  se 
non  le  sieno  anche  cimeli  da  museo,  e  ben  disseccate  e  im- 
balsamate, non  vi  si  ricevono.  Dovendosi  o  pensare  a  modo  al- 
trui 0  non  i)ensare  colà  entro  punto,  e  d'altra  parte  compiacere 
agli  avventori ,  che  vogliono  codeste  frasche  ancora  ;  bastano  a  tal 
uopo  le  celebrità  algebriche,  lilarmoniche ,  ostetriche ,  farmaceutiche 
e  odontalgiche.  Le  quali  possono  meritare  anche  maggiori  onori, 
che  non  sieno  i  senatoriali  :  ma  le  quali  troppo  facile  è  capire, 
non  avere  idoneità  per  fare  i  legislatori;  e,  se  pur  sapranno  a- 
denipiere  il  proprio  ufllcio  dogalmente,  adempierlo  per  le  oc- 
culte doti  loro  0  per  tutl'  altre  ragioni,  che  pei  titoli,  onde  venne 
loro  conferito.  Ur,  come  lo  adempissero,  e  quale  effetto  dovesse 


—  471  — 

alle  cause  rìspoDdere ,  io  il  lascio  dire  agli  stessi  arcliimamlriU 
parlamentari.  1  quali  vanno  in  tutti  i  toni  salmeggiando,  ossero 
questo  il  corpo  |hìi  innocente  e  candido  dello  stato;  e  elio,  se  non 
d  va  esso  al  limbo,  non  vi  ci  va  |hù  alcuno. 


CCCX  vn.  Eipulaa  da'  «ipaei  dal  seoondo  oorpo  ItfiaUtlTO. 

Rimarrebbe  altra  via  agi'  ingegni ,  i)er  mostrami  e  clmeiH 
tarsi  nella  civit  palestra:  il  voto  de*  cittadini  ne*  cotnizi.  Kppuru 
né  anche  questa,  tranne  che  in  una  guisa  tortuosa  e  furtiva,  non 
la  ponno  percorrere.  Che  già  non  dal  popolo,  dm  tal  volta  h  in* 
grato ,  e  tuttavia  è  unico  della  virtii  degno  estimnton) ,  |Kinnu 
essere  eletti;  bensì  da  una  classe  di  privilegiati,  che  ni  giiiirdami 
d'eleggere  chi  fa  loro  paura,  (ili  elettori,  la  cui  maiwimfl  |mrtif 
vien  designata  dal  censo,  naturalmente  piegaiK)  i  lor  favori  a*  rfN|N)t» 
tivi  patroni  o  cUenti;  e  tra  costoro  a  chi  grida  pib  torUu  Non  h 
la  ciarla,  che  faccia  loro  paura;  ma  il  pétuMiéirOj ri\mUi,  nitÀumm 
molla  tro[»po  irrefrenabile  d'  'd/Àowt,  K,  |i«'rcli/;  non  ni  r<?|iutiinifjo 
a  tale  uopo  bastevoli  i  loro  istinti;  tuuuf  |/Ii  ordini  istetiorali  ««^ 
sistergli,  e  quasi  co^^tringertrti  a  iu'mwì  chi  [Mi  iiia ,  tu  inuìu  um- 
diocrità,  me<li04:re.  lYìm;i  di  tiitt/>,  i  nilMh  |i^|/i%ialJvo  i'miUuU  Im 
noi  gratuito,  u*t  se:/ue,  eh';  que  molli ,  i  quiili  tt^rttUimro  mifUS'M 
d'  esercitarlo  ma  non  m>lo  di  ^ru  tanti  tm^ì  éUhtHU^iK$Ù  m 
non  mezzi  'li  r^ninpr*;  rt^rli^  t'j^\^i2è\t: ,  o  vUtyfimwà  mrU',  |ir'/vH^ 
sionceiie  «Ja  y>::^:iurori  ^  utt-jU^ùm  t'A  kìut:  Sfilili  tmiéMUrMmi'mf, 
ne  sieri'j  a  {on  -viiiti,  'li$iUìtM  ifìu$0iu/jt;  éi^.  y$  é^tstUt^  y^m^ 
dendo  di  <^jì:\o  :  WA:  j  :uj/'.'/pi  ma  |^vli^i//«iy  é4nU$u/M  4'f$Mm/$M 
ima  modr-'^  ,;Arr.*^:/.yr.  ^i  ^,4tì^j0à  *Jti^A  «li  ^U$9m$M  rm  m  U9m$ 

pur  *!:  '>•-%>  .w>.  i  -e  p^Vju#,  'Ì4r4^/  j;»^.  ^im  4i  til^mt^è  *$  4$  kk- 

:.*<*N<.    /U'-<.    ;";*;   uvi   fi    o^fttf'juv  ««IMlg:  MMn  ite  »M«Mi  ^ 
rr^'   K    .i*..i:<ix     *;.<:v'i*<    <    ui.*ì«'Utf  i^u ..  i     iimiOMft:  Mi><lKrtiV  tlifatìlÌMf^ 


-  472  — 

gomento,  la  borghesìa  italiana  ha  trovato  un  secondo  spedieoie 
asvsai  spiccio  per  togliere  a  clii  fosse  o  sorgesse  di  tal  tempra  i 
suffragi;  eh' è  la  circoscrizione  elettorale^  o  la  scelta  dei  sin- 
goli deputati  in  singoli  collegi.  Per  causa  della  quale  questi  doo 
potriano  già  rappresentare  tutta  la  nazione  borghese  ;  ma  al  più  i 
diversi  e  i  divisi  manipoli  della  medesima.  E,  se  ciò  non  importa 
(  non  avendoci  la  nazione  né  borghese,  né  popolare  a  che  fard), 
il  peggio  è ,  eh'  ei  veramente  non  rappresentano  di  questa  guisa 
altro,  tranne  un  meschino  e  bullo  concerto  di  pregiudizi,  di  velleità 
e  di  maldicenze  locaU.  Perchè,  se  gli  squittinì  si  facessero  per  tutta 
Italia  0  almeno  per  disti*etti  più  ampi,  si  che  ciascun  oratore  alla 
dieta  fossevi  dair  intiera  penisola  o  da  una  notevol  parte  mandato, 
allora  le  piccinerìe  di  necCvSsità  scomparirebbero.  Facendosegli  in 
vece  per  ristrette  e  determinate  curie  (ove  solamente  gli  effetti 
del  patronato  e  delia  chentela  si  possano  far  sentire),  accade,  che 
vi  s' inviino  cinquecentotto  personaggi ,  tutti  certamente  rispetta- 
bili ;  ma  di  cui  quattrocento  almeno  sono  affatto,  al  di  là  di  dieci 
chilometri  dal  proprio  campanile,  ignoti. 


CCCXVlll.  DiYìeto  di  sedere  in  oonslfflio  aglMàoneL 

Finalmente  vi  é  un  terzo  modo  assai  spedito  per  esdadere 
i  capaci  anche  dal  supremo  consiglio  elettivo;  il  divieto  o,  per 
dirla  nel  solito  gergo,  la  incofnpatibilità  d' esercitare  uffici  legi- 
slativi ed  amministrativi  insieme;  eccettuatone  un  certo  numero 
d' individui  e  di  casi.  La  diffidenza  essendo  un  dogma  del  si- 
stema costituzionale,  non  é  meraviglia ,  che  la  signoria  mercena- 
ria lo  elevasse  qui  al  più  alto  grado;  giacché  (come  vedenuno) 
ella  non  si  forma  altro  concetto  de'  magistrati  e  de'  capitani ,  se 
non  quello  d' un  branco  di  salariati  timidi  e  vili.  11  fatto  sta  per 
altro ,  che  con  ordini  diversi  il  divieto  andrebbe  bene  :  co*  pre- 
senti, gli  ulliciali  di  pace  e  di  guerra  sendo  stabilì  e  stipendiati, 
é  prccis<ìmente  un  respingere  dalle  pubbliche  consultazioni  coloro, 
che  di  leggi  e  d'  armi ,  e  delf  altre  bisogne ,  che  vi  si  trattano, 
sono  i  i)iù  esperti.  Della  qual  cosa  non  é  del  resto  a  stupire:  av- 
vogiiaché,  prescindendosi  dalla  idoneità  nel  giudizio  de'  giuntfi, 
se  ne  può  anco  prescindere  nella  camera  de'  deputati.  Ouanio  poi 
alla  presunzione  di  venalità  e  servilità  de' detti  ufficiali,  è  Msl 
poco  fondata),  che,  se  si  volesse  trovare  un  mezzo  per  rendere  gli 


-  473- 

tori  della  nazione  incorruttibili  e  liberi,  io  credo,  in  certi  tempi 
logliì  il  migliore  sarebbe  di  provvisionamegli  tutti.  Tanto  più, 
(,  se  ci  è  dato  ne'  parlamenti  da*  provvisionati  attuali  guardarsi, 
quelli  in  fieri  chi  ce  ne  può  guardare?  E  questo  sa  bene  e 
ppo  la  borghesia  :  ond'  ella,  traendo  fuor  V  esca  delle  solite  im- 
buire democratiche,  accende  prima  tra  popolo  e  ufficiali  un  oc- 
to  rancore,  di  cui  poscia  si  vale  per  oltraggiar  questi  e  tradir 
;llo.  Né  spettacolo  più  singolare  di  tale  tragicommedia  saprei 
lurre  di  quello ,  che  in  Montecitorio  ebbe  luogo ,  oonsultando- 
i  il  progetto  di  legge,  che  venne  il  3  marzo  1877  approvato, 
pò  il  quale  confesso,  sMo  mi  fossi  un  di  que'  giudici,  soldati, 
estri  eccetera,  che  venivano  colà  messi  alla  gogna  (certo  senza 
ere  )  con  obliqui  sospetti  e  larvati  affronti  ;  mi  sarei  sentito 
ppo  a  disagio  di  restarvi  oltre.  Pure,  prescindendo  da  ciò,  fu 
;a  ben  dolorosa  vedere  egregi  e  incontaminati  uomini,  in  nome 
la  libertà,  e  sen//  accorgersene,  farsi  d' un  invido,  basso  e  sor- 
0  genio  ausiliari.  Il  quale,  mercè  loro,  potè  questi  quattro  fini 
^giungere  :  primo ,  che  balenassero  agli  occhi  del  volgo  cotali 
>elli  lil)era1eschi ;  secondo,  che  i  pubblici  ufficiali  fossero  nel- 
tpinione  pubblica  e  in  una  guisa  solenne  vie  più  esautorati; 
zo ,  che  di  maggior  senno  quel  maggior  consiglio  si  privasse 
futuro  ;  e  quarto  in  fine ,  che  con  V  ammonizione  data  a'  pro- 
nti ed  alle  cognizioni,  le  ciance  e  le  fantasie  prevalessero.  E 
i  larghi  ordini  di  reggimento  cadessero  in  ulterìor  derisione, 
li  cattivassero  tutta  queir  antipatia,  che  le  fantasie  strane  e  le 
ncie  vuote  si  meritano. 


CCCXIX.  Chiamata  in  ooiudglio  de*  IkootiidiarL 

Avendo  adunque  i  grassi  cittadini  il  privilegio  de'  voti  in 
no,  e  i  soprammentovati  tre  istituti  per  famegli  converger  ne' 
)ni  uomini,  cui  desiderano;  facile  è  capire,  quanto  ne  sappiano 
)rolittare.  E  sialo  già  da  altri  notato,  che  il  predetto  consi- 
),  se  pui*  puossi  con  tal  nome  addimandare,  declinò  mano  a 
no,  che  dalF  aula  del  palazzo  Carignano  passò  in  quella  di 
azzo  Vecchio  e  indi  in  Montecitorio:  e  notasi  da  tutti  ora, 
\  la  declinazione  è  giunta  veramente  a  un  grado  portentoso. 
I  principio  in  fatti  delle  nostre  vicende,  sendo  i  cervelli  im  po' 

tesi  e  i  petti  un  po'  più  caldi,  molti  vecchi  eospìratori  e  gio- 


—  474  — 

vaoi  letterati  ebbero  favorevoli  i  comizi,  a  cai  non  semiNnfUio 
ancora  fìsime  i  uomi  di  patria  e  di  gloria  :  qaesti  per  altro  «n 
po' alla  volta  veonero  messi  all'uscio,  e  dirò  adesso  eoo  quii 
arti  BcDChè  gli  squittini  si  facciano  per  singole  località  e  persth 
ne,  avrebbero  tuttavia  gli  elettori  potuto  essere  dalla  Cuna  d' al- 
cuno sedotti,  che  oltre  il  raggio  de' dieci  chilooietri  andasse. 
Quindi  si  disse  a  costoro  :  badate,  che  que'  di  fuori  non  gli  cono* 
scete  bene,  e  che  forse  hanno  il  fìstolo  addosso;  cooie  s'ei  venis- 
sero di  Barberia.  Dal  quale  gesuitico  suggerimento  segni,  che 
proprio  coloro,  che  in  tutta  la  penisola  avevano  parecchie  mi- 
gliaja  d' ammiratori,  de'  cui  suffragi  sarieno  stati  onorati  ;  nel  pro- 
prio collegio ,  ove  possono  esser  noti  appena  a  qualche  decina  di 
famigliari,  rimanessero  da'  più  oscuri  al  mondo,  e  da* più  chiari 
in  un  bugigattolo,  sopraffatti.  Né  solamente  questo  :  ma  la  gretteiM 
municipale  prevalesse  all'  espansione  nazionale;  e ,  in  luogo 
d' una  rappresentanza  d' Italia,  e  del  comun  sapere  e  volere,  quella 
d'un  consorzio  di  rioni  o  di  villaggi  s'  avesse,  e  del  rispettivo 
sapere  e  volere.  Oltre  di  che  i  candidati  dovessero  co*  bassi  spe- 
dienti ,  anzi  che  co'  propri  meriti,  conseguirla  ;  procacciandosi  i 
suffragi  co' brogli  e  conservandosegli  co' favori ,  e,  per  compiacere 
1  putroni  e  pascere  i  clienti,  cangiandosi  da  legislatori  della  repub- 
blica in  procuratori  di  cotestoro.  Né  io  parlo  dell'  anibito^  che 
già  s'è  manifestato,  specialmente  negli  ultimi  s(|uittini,  in  qualche 
collegio  :  dov'  è  apparso ,  che  il  prezzo  dato  dalla  borghesia  ita- 
liana al  voto  politico  è  di  circa  cinque  lire;  e  può  darsi,  che 
valga  t^mto.  Se  non  che ,  potendo  anche  nell'  angusta  cerchia 
de' predetti  rioni  o  villaggi  qualche  valoroso  trovarsi  e  stimarsi; 
ecco  i  dottori  delle  nuove  libertà  soggiungere:  che  meglio  assai 
del  valore  approda  la  casereccia  abilità  e  la  solerte  masserizia. 
Prima  cominciò  Massimo  d' Azeglio ,  gentiluomo  nelle  lettere  e 
ne'  magistrati  illustre  e  benemerito;  che  ci  avea  coi  campiOBi 
(Iella  Disfida  di  Barletta  fatto  palpitare,  innanzi  di  consigliarci 
a  rendere  la  conclone  italica  un  convegno  di  castaidi  di  campa- 
gna. Nel  che  merita  del  resto  egli  molta  scusa  ;  perchè  non  vi  ha 
dubbio,  che  sarebbono  questi  stati  infìnitamente  migliori  de'Iegidei 
di  città.  Pure,  mentre  occorreva  estollere  la  nazione,  e  darle  im- 
pulsi e  organi,  forme  ed  ordini,  che  la  ridestassero  e  ricostituis- 
sero ;  si  comprende,  come  il  richiamarla  a  cotali  cose  nisticbe  b 
ripignesse  vie  più  nelle  volgari.  I  castaidi  d'altra  parte,  non  es- 
sendo dal  ceto  industre  tenuti  in  verno  conto ,  non  ibcero ,  che 


—  475  - 

aprir  l'adito  ai  faccendieri;  siccome  quelli,  che  meglio  rispoiH 
dono  al  tipo  dell'  ottimo  uomo  di  stato ,  cui  esso  vagheggia.  — 
Vogliamo  uomini,  che  conoscano  bene  le  operazioni  di  borsa,  le 
mercuriali  del  cambio ,  le  tariffe  de'  prezzi ,  i  vantaggi  delle  ar- 
rende, gli  esercizi  delle  strade  ferrate  e  di  tali  altre  imprese: 
a  uomini  d'  affari  ».  —  Cosi  gridò  quello  per  mezzo  de'  suoi 
trombettieri:  e  fu  talmente  servito  bene,  che  or  se  gli  cova,  co* 
me  aspidi ,  in  seno.  Avvegnaché ,  che  costoro  facessero  bene  i 
propri  affari,  io  noi  so:  certo  queUi  della  patria  non  fecero.  In- 
tanto gr  ingenui  (poiché  la  ingenuità,  che  presso  i  romani  signi- 
ficava uomini  non  macchiati  da  origine  servile,  presso  questi  furbi 
matricolati  significa  balordaggine)  ;  gì'  ingenui  dico,  o  in  somma  co- 
loro, che  avrebbon  le  supreme  aule  decorato  con  gentilezza  di  studi, 
purezza  d' intenzioni,  entusiasmo  d' affetti,  e  si  sarebbon  della  i»ro- 
pria  povertà,  semplicità  e  sincerità  onorati,  ebbero  il  bando. 


CCCXX.  Ostraoiflmo  dato  ai  p«BMitorL 

—  Ma  dunque  dovevamo  noi  chiamare  al  reggìnsento  dello 
stato  ì  letterati,  gU  scienzia&  e  tutta  questa  genia  lunatica  e  per- 
malosa? —  Oibò:  anzi  dovevate  chiamarvi  molti  artieri  e  contadini, 
che  fanno  forse  meglio  al  caso.  Però  dovevate  altresì  insieme  eoa 
questi,  e  cogli  uomini  sperimentati  d'ogni  maniera,  chiamare  gU  uo- 
mini di  pensiero;  ponendo  per  lo  meno  accanto  ai  gazzettieri  i 
savi,  ed  ai  causidici  i  legisti.  Siccome  in  vece  voleste  avere  inter- 
preti e  agenti  vostri  solamente;  vi  premuniste  bene,  che  ogni 
idealità  penetrasse  ne'  maggiori  consigli  e  in  op'  altro  agone 
della  vita  pubblica;  acciò  non  la  fosse,  che  da  un  cieco  empiri- 
smo guidata.  E  cosi  è  generale  ora  In  Italia  la  convinzione,  che 
gU  speculatori  ideali  sieno  uomini  da  nulla  e  visionari  per  sopras- 
sello,  eh'  io  ho  qui  mestieri  fin  di  difendergli.  La  grandezza  odierna 
dell'  Àlemagna,  guardando  bene  a  fondo,  viene  tutta  dalla  sua  fi- 
losofìa trascendentale,  a  cui  diede  impulso  la  mental  ribellione  di 
Lutero.  I  suoi  maestri  e  i  suoi  duci ,  anzi  senz'  altro  i  veri  suoi 
fondatori  sono  stati  tre  metafisici,  che  qui  tra  noi  sarebbero  stati 
non  curati  e  probabilmente  derisi:  Kant,  Fichte,  Hegel  E  qual 
nazione  non  ebbe  per  vero  fondatore  alcun  uomo  ispirato,  o  pro- 
feta 0  legislatore ,  o  vate  o  filosofo,  che  si  fosse;  e  chi  può  dire 
quanto  debba  la  Grecia  ad  Omero  e  V  Italia  a  Dante  ?  Ciò  dod 


—  476  — 

ostante,  i  nostri  gaudenti  reputano ,  non  vi  possa  esser  gente  più 
insipida  e  inetta  de'  solitari  pensatori;  i  quali,  se  sono  solitari, 
potrebb'  anco  esser  più  per  colpa  altrui ,  che  loro.  Or,  s' io  ci- 
tassi Tommaso  da  Kempis,  che  scrisse  :  «  ogni  volta  che  fili  tn 
gli  uomini,  io  tornai  meno  uomo  »  (Imitassione  di  Cristo^  1, 20,\ 
citerei  un'autorità  troppo  contestabile  nelle  cose  civili.  Però  il 
sommo  Scipione  era  uso  dire  :  «  sé  non  mai  operar  tanto ,  quanto 
allorché  nulla  operava,  né  mai  essere  meno  solo,  che  allorquando  era 
solo  »  (Repubblica  di  Cicerone,  I,  18).  E  che  dire  adunque  di 
questi  laboriosissimi  e  socievoUssimi  nani,  che  agitano  le  maoi  al 
vento  in  una  compagnia  di  burattini?  La  stofTa,  di  cui  son  fatti 
i  grandi  poeti  e  i  grandi  artefici  é  quella  medesima ,  di  cui  si 
fanno  i  grandi  vincitori  di  battaglie  e  i  grandi  ordinatori  di  stati 
E  in  ciò  sono  soltanto  diversi ,  che  questi  poterono  ne'  canq»  e 
negrimperi  applicar  V  animo  ;  e  a  quelli  non  concesse  la  iniqniii 
delle  circostanze  altro,  che  di  versarlo  in  mute  pagine  o  in  muti 
arredi.  Di  che  siano  capaci  gli  uomini  contemplativi  anche  nelle 
cose  attive,  più  aliene  dalle  loro  abitudini,  non  appena  possano 
sottrarsi  allo  spietato  destino,  che  gli  tiene  inoperosi  e  abietti; 
tra'  molti  esempi ,  che  addur  potrei ,  bastino  questi  tre  prodigi. 
Giuliano,  tenuto  giovanetto  tra'  chierici  a  salmeggiare  da  un  con- 
giunto sospettoso  e  tiranno  ipocrite,  non  appena  può  impiq[iar  b 
daga  e  indossar  la  clamide ,  sulle  opposte  frontiere  dell'  impero 
pugna  come  Cesare,  quando  la  pace  non  gli  consenta  di  filosobr 
sul  trono  come  Marcaurelio.  Maometto,  sognatore  epilettico ,  dal 
suo  ritiro  d'Arabia,  suscita  all'armi  un  popolo  fin  là  oscuro,  lo 
avventa  sul  mondo,  e  fondavi,  tosto  dopo  la  romana,  la  più  pos- 
sente dominazione.  Sisto  V,  di  pastore  fattosi  frate,  per  mezio 
secolo  nasconde  sotto  la  vii  cocolla  il  fiero  animo:  dota  h  tiara, 
ei  che  sembrava  semispento,  rizzasi  cosi  formidabile,  da  parere 
un  imperatore  antico.  E  che  non  avrebbe  ei  fatto ,  se  non  gi 
fossero  rimasti,  che  que'  soli  cinque  anni  di  vita  senile,  attesi  eoi 
s)  lunga  agonia,  e  se  fosse  in  tempi  meno  codardi  vissuto?. •• 
Io  so,  che  questi  prodigi  non  possono  di  frequente  av^-erani: 
ma ,  se  gli  uomini  contemplativi ,  tratti  d'  un  subito  e  imprepa- 
rati all'  azione ,  possono  sì  fatte  gesta  compiere  ;  quanto  boì  i 
ingiusta  r  accusa  d' insipidezza  e  d' inettitudine,  che  gli  grM? 
Dico  anzi ,  clf  ei  son  capaci  tino  dì  saper  per  teoria  quelle  bk- 
(losimc  cose,  che  gli  alti'i  per  pratica;  siccome  lo  esempio  dei 
segretario  iiorentino  luminosamente  inanifesta.  Il  quale,  oert^ 


—  477  - 

mente  versato  ne'  negozi  polìtici  assai,  ma  non  soldato,  por  potè 
conoscere  il  pregio  superiore  delle  fanterie,  e  V  iUosione  del  fi- 
darsi nelle  fortezze  e  del  guardare  i  passi,  e  la  necessità  di  so- 
stituire milizie  proprie  e  cittadine  ordinanze  alle  bande  merce- 
narie, e  del  ripigliare  gli  antichi  e  buoni  modi  di  combattere 
(  ond'  è  venuta  la  rìvoluzion  militare  de'  tempi  odierni  ) ,  più  di 
tre  secoli  or  sono  ;  dettando  sull'^r^e  della  guerra  un  testo,  che 
sembra  ancora  il  comando  d' un  capitano  glorioso. 


GCCXXI.  Jattaa»  del  pratidam 

Appena  appena  del  resto  può  dubitarsi,  che  un  uomo  di  genio, 
fosse  anctie  un  semplice  notajo  e  antiquario,  come  Gola  di  Rienzi, 
quando  assume  un'impresa  di  qualunque  specie,  non  la  disimpegni 
per  bene.  Vero  è,  ctie  si  può  lo  esempio  di  quest'  ultimo  tribuno  ad- 
durre, cui  Francesco  Petrarca  salutò  liberatore  dltalia  in  vano,  come 
prova  di  speranze  fallite:  quantunque, d* aver  ei  quasi  tratto  per  un 
momento  fuor  di  sepoltura  i  morti,  non  la  fosse  un'  inezia.  Ma  co- 
desto esempio  e  gli  altri  d' inani  conati  provano  al  piii,  che  senza 
tirocinio  è  troppo  difficile  lo  eseguir  bene  le  cose  ad  ognuno:  non, 
che  non  le  possano  i  robusti  di  mente,  almen  quanto  i  fiacchi,  ese- 
guire. Oh  dunque  perchè  un  tale  non  seppe  apprendere,  se  non 
qualche  rudimento  di  grammatica,  di  geografia  e  di  storia,  per 
questo  solo  sarà  tenuto  abile  a  ragionar  di  stato  e  a  governar 
la  repubblica  ;  più  di  qualsivogUa  altro,  che  siasi  in  queste  ed  in 
idtre  discipline  approfondito?  Certo,  che  può  quegli  avere  la  spe-- 
rienzttj  die  questi  non  ha:  però  non  si  esigeva  troppo  dalla  bor- 
i^hesia,  cliiedeudole ,  ch'ella  permettesse  cotale  sperienza  a  qiie- 
»to  come  a  quello;  e  che  almeno  in  condizioni  pari  ponesse  i 
lotti  e  gf  ignoranti.  Pur,  mentre  ella  reputa  attissimi  i  più  oscuri 
Qovellieri  o  i  più  oscuri  curiali  a  divenir  uomini  politici,  e  ma- 
3^1ri  anche  a  reggere  i  dicasteri  dell'interno  o  della  marina;  re- 
puta i  sapienti  non  solamente  inabiU  a  governare,  ma  fino  a  ra- 
gionar di  materie  civili.  Ella  per  fermo  non  è  obbligata  a  consi- 
ierare,  ctie  queste  formano  obietto  di  dottrine  speciali  ;  e  che  le 
relative  discipline  hanno  criteri  e  canoni,  e  danno  elementi  e  pre- 
sagi, fuor  de'  quali  non  si  ragiona,  che  a  vanvera,  e  non  si  go- 
verna, che  a  tastoni.  E  che  alla  fin  fine,  come  non  ht  eompe- 
lenza  a  trattai*  di  matematica,  di  medidoa  e  d*  altre  lali  diMpUoe 


—  478  — 

chi  le  ignora,  così  è  altrettanto  incomp^nte  chi  tratta  di  disci- 
pline sociali  senza  conoscerle.  Ad  ogni  modo  guai  a  un  popolo,  che 
fosse  governato  da  un  collegio  di  dotti;  ma  guai  altresì  a'  nafiganti, 
che  veleggiano  senza  bussola  e  senza  nocchiero  !  Ai  teorici  del  resto 
non  manca,  che  la  pratica,  per  far  bene:  ai  pratici  manca,  oltre 
la  teorica,  un'indefinibile  qualità,  che  non  si  acquista  co' denari, 
né  con  le  grazie  de'  principi,  e  che  nemmanco  si  può  apprender 
su'  libri,  e  con  cui  solamente  le  grandi  cose  si  compiono  e  Y  Italia 
tornerà  grande  e  gloriosa,  il  genio.  Àbili  costoro  per  seguire  on 
impulso  ricevuto  e  sulle  orme  altrui,  ed  anche  per  scintfliare 
di  fatui  e  notturni  splendori  nelle  tenebre  e  nella  breve  orbita 
della  lor  vita  ;  niente  di  vivo  e  di  fecondo  lasciano  dietro  a  sé: 

anzi  non  altro ,  che  sterilità  e  squallore Ma,  sendo  io  entrato 

in  questa  controversia  fra  teorici  e  pratici,  pronuncierò  ora  sagli 
uni  e  sugli  altri  un  giusto  giudizio.  I  primi  posseggono  ne'prv^ 
cipii,  cui  professano,  T  aita  onnipossente  de' numi:  e,  posti  hor 
de'  minuti  affari  e  osservando  da  un'  alta  specola  le  umane  vi- 
cende ,  sono  in  grado  di  conoscere  e  antivenir  quelle ,  che  i  se- 
condi non  possono.  Errando  negli  atti,  a  cui  fossero  di  repente 
tratti,  mentano  anche  scusa;  perchè  naturalmente,  di  non  essere 
preparati,  non  è  colpa  loro  :  e  questa  preparazione  in  massima  è 
cosi  necessaria ,  eh'  io  primo  esorterei  di  guardarsi  da'  puri  teo- 
rici. I  secondi  in  vece ,  possedendo  una  lunga  sperienza  d' no- 
mini e  di  cose,  r  arte  e  il  maneggio,  le  notizie  e  gli  strumenti,  i 
fedeli  e  i  seguaci,  ed  altri  taU  beneflcii, sono  in  grado  d'operare 
più  regolarmente  ed  eflicacemente.  E  meritano  anche  scusa,  e^ 
rande;  percliè  sfugge  V  errore  soltanto  chi  non  fa  niente:  e  d'al- 
tra parte,  dovendo  eglino  tener  fisso  il  guardo  in  tante  mionzie  e 
rompersi  il  capo  nelle  medesime ,  perdono  di  vista  i  larghi  orii- 
zonti ,  e  fin  quasi  il  senso  interiore  smarriscono.  Essi  per  altro, 
se  privi  (li  principii,  non  potranno  fare  il  bene,  che  a  caso:  e, 
dovendosi  il  bene  altrimenti  rintracciare ,  ne  viene ,  che  si  debba 
guardarsi  da  costoro  assai  più ,  che  da'  primi.  Che  la  perìzia  è 
per  fermo  una  bella  qualità  ;  ma  la  perizia ,  destituita  d' idee, 
d'ispirazioni  e  di  lumi,  non  approda,  che  nelle  meccanicbe.  Ba- 
sta per  fare  un  artigiano,  e  non  per  creare  un  artista  :  basta  per 
guidare,  tosare  e  mungere  una  greggia,  e  non  per  scorgere,  te** 
tifiaire  ed  esaltare  un  popolo.  Onde,  poiché  soli  i  prìncipii  nobi- 
litano e  salvano  le  nazioni;  al  di  là  di  questo  praticismo,  ch'f 
il  vanto  de'  nostri  borghesi  e  il  degno  palladio  d*  una  socieii 


-  479  — 

scettica  e  crollante,  se  più  oltre  proseguisse,  non  ci  sarebbe  che 
la  morte  e  il  nulla. 


GCCXXII.  Empirismo  dogH  nomÌBÌ  di  iteto  btrghod. 

Strana  è  del  resto  questa  boria  d' uonùni  pratici  ne'  nostri 
dottrinari;  i  quali,  se  io  gli  volessi  definire,  direi,  come  sieno 
retori,  in  una  età,  in  cui  si  tollerano  le  piii  enormi  cose,  dive- 
nuti uomini  di  stato  !  Lo  impratichirsi  inoltre  è  cosi  facile,  che  ba- 
sta por  mente  alle  repubbliche  democratiche  d' Atene  e  di  Firenze 
a'  tempi  andati,  e  di  Svizzera  e  d' America  a'  presenti,  per  capaci-  ' 
tarsi,  come  il  potere  ognuno  per  via  d' elezione  o  della  stessa  sorte 
partecipare  allo  stato,  tramuti  alcuno  inaspettatamente  in  oratore, 
magistrato,  ambasciadore,  rettore,  comandante.  Vedremo  adunque 
que'  molti  di  loro,  che,  ebbri  della  podestà,  dileggiavano  dianzi  i 
più  inc'Uti  spiriti,  condannati  da  loro^  consumarsi  nell'  ozio  o  a  per- 
vertirsi nel  vuoto  delirare  ;  vedremo,  or  che  fur  posti  sul  lastrico 
anch'  essi ,  con  un  lieve  urto  e  quando  manco  se  lo  pensavano, 
cosa  sapran  fare  !  Certo,  ei  vi  giacciono  intanto  smarriti  e  piagno- 
losi  :  e ,  mentre  i  forti  o  vincitori  o  vinti  inculcano  a  tutti  rispetto, 
ei  danno  di  sé  si  miserando  spettacolo,  che,  se  non  fosse  per 
pietà,  sarebbono  il  trastulio  del  comune.  Che  cosa  dunque  hanno 
egli  appreso  in  tant'  anni  di  governo ,  e  che  cosa  si  era  la  loro 
famosissima  abilità  ;  tranne  un  cieco  empirismoj  o  una  sequeh  di 
spedienti  e  di  finzioni,  giorno  per  giorno,  caso  per  caso,  sorpresa 
per  sorpresa?  La  vertenza  quindi  non  istà  più  tra  teorici  e  pra- 
tici; ma  tra  uomini  convinti,  incrollabili  e  scrii,  e  manipolari, 
armeggioni  e  brigatori  di  buona  fede,  che  chiamano  agire  il  di- 
menarsi ,  r  anfanarsi  e  Y  agitarsi  per  nulla.  I  quaU  reputano  (  per 
esempio  )  una  gran  gloria,  dopo  avere  imposto  per  le  loro  angliche 
fantasticherie  una  forma  di  stato  pensile  e  impossibile,  di  spingere 
innanzi  un  reggimento  effimero  ed  estemporaneo  ;  minando  la  pa- 
tria, a  forza  d' imbrogli  parlamentari,  di  vane  parole,  d' inganne- 
voli parvenze,  d'occulte  manovre  e  d'ignobili  astuzie.  E, quando 
hanno  di  tal  guisa  rannodato  una  fazione,  vinto  un  partito,  scon- 
giurato un  perìcolo,  gabbando  in  buona  fede  il  mondo  e  sé  me- 
desimi: vedete,  dicono,  se  siamo  prodi?  Gabriele  Mably,  a  pro- 
posito de' diplomatici  de' suoi  tempi  scriveva:  non  essere  mera- 
vìglia, che  agissei*o  aU'  impensata  e  tortamente.  Dappoiché  <x  un 


-  480  - 

ignorante  non  può  aver  altra  saviezza  politica,  tranne  Y  abitudine 
cancelleresca;  e  un  intrigante  dee  credere,  la  fortuna  d' un  popolo 
si  faccia  co'  mezzi  appunto ,  che  la  sua  »  (  Principii  de'  nego- 
snati,  X).  Siamo  in  altri  tempi,  è  vero:  ma  a  un  di  presso  io 
tutt'  i  bassi  tempi  si  fa  fortuna  sempre  a  una  medesima  maniera, 
e  sopra  tutto  con  la  medesima  furberia.  La  quale,  se  si  volesse 
esser  sinceri,  è  appunto  la  virtù,  cui  più  si  pregia  ora;  e,  si^ 
coin'  ella  è  altresì  T  unica ,  che  i  virtuosi  non  hanno  (  benché 
dovrebbero  esser  candidi  come  colombe  e  oculati  come  serpenti  \ 
è  la  principal  causa  della  presente  loro  sconfltta.  Un  gentilnomo 
illustre ,  che  fu  il  beniamino  del  dottrinarismo  italiano  a*  giorni 
nostri,  non  si  peritò  testé  di  sentenziare  di  Niccolò  MachiaTdi 
a  malvagio  FinjJ^egno  »  e  «  T anima  corrotta  d  {Storia  ddk 
repubblica  di  Firenze  di  Gino  Capponi,  VI,  7).  Or,  mentre 
cosi  si  vitupera  la  più  gran  mente  di  politico  e  il  più  gran  cuore 
di  patriotto,  che  abbia  avuto  il  mondo  ;  la  scienza  di  stato  d' ofp 
non  è,  che  un  ammasso  di  «  frasi  ad  effetto  »  e  di  sproloqnif 
tal  e  quale  si  può  ne'  giornali  imparare ,  e  non  più.  L' arte  di  stilo 
poi ,  tranne  alcune  nuove  cabale  aggiuntevi  dal  sistema  partamei- 
tare,  rimane  in  sostanza  ancora  la  vecchia  diplomazia,  cui  GinBo 
Mazzarino  compendiava  ne' cinque  comandamenti:  «  simula,  dis- 
simula ,  non  credere  a  veruno ,  loda  tutto  e  rifletti  a  quel,  ebe 
fai  e  dici  »  (  Breviario  politico  ).  La  verità ,  la  schiettezu,  h 
fiducia,  la  franchezza  e  il  senno  non  contano  niente:  basta  b 
doppiezza,  l'infìngimento,  la  diffidenza,  l'adulazione  e  la  drco- 
sijczione.  0»*^sla  è  l'idea  della  prudenza,  che  si  formano  ce^ 
tuni  :  la  quale  ne'  tnifTatori  si  chiama  frode  ;  ed  è  del  resto  cosi 
facile  ad  aversi,  che  basta  aver  sortito  da'  cieli  initi  un  cranio 
angusto  e  un  animo  obliquo  per  possederla.  La  menzogna,  il  nfr 
\i\To,  il  sospetto,  I)ench6  non  sempre  anco  la  piacenteria  e  la  ««• 
tela,  sono  appunto  le  qiialit^i  proprie  delle  nature  degradate  e  in- 
forme, siccome  i  direttori  di  ciirceri  e  di  manicomii  potrcbboao 
attcstare.  (]liè.  se  i  delinquenti  e  i  pazzi  non  ponno  educarie,  e  non 
hanno  modo  di  condecorarlo,  chi ,  volendo  degradarsi  e  infenmrsi 
al  par  di  loro,  non  le  polroi)be  svolgere  e  perfezionare! 

CCCXXIII.  Apoteosi  della  fturberìa. 

Vi  e  ima  scienza  esecrabile  e  infame  nel  mondo,  coi  ^ 
cuni  i)cr  tradizione  domestica  o  per  istintiva  prodiviti  appf^ 


-481- 

dono  ed  osservano,  e  coi  i  buoni  e  i  forti  disdegnano.  Goii  qno- 
irta  si  può  strappare  un  segreto  a  chi'nol  vog^a  palesare,  pro- 
caedarsi  grazia  in  penuria  di  servigi,  suscitare  ag^'  innocenti  ona 
briga,  evitare  i  risentimenti  altrui  neD'  offendere,  ottenere  le  cose 
desiderate  a  solo  rischio  e  pericolo  de'  terzi ,  insidiar  r  onestà  e 
irretire  la  lealtà;  velare  il  pensiero  e  schonire  il  prossinio,  sti- 
polare  senza  vincolarsi,  promettere  senza  mantenere,  diseolere 
senza  conchiudere,  vociferare  senza  ragionare,  e  via  via.  B  tutto 
ciò,  stando  in  riga  col  catechismo,  col'  codice  e  còl  galateo,  e 
procacciandosi  nomea  d' uomini  destri  e  venerabili.  Per  dame  on 
saggio,  chi  vuol  strappare  un  segreto  a  chi  noi  voglia  palesare, 
non  ha  sempre  bisogno  di  corromperne  i  servi,  awiloppame  i 
figliuoletti,  sedume  la  consorte  e  inflrangere  i  suggelli  ctelle  let- 
tere. Né  di  cogliere  il  momento,  in  coi  per  ebbrietà,  giuoco, 
lotto,  gioja,  sia  maggiormente  indifeso  e  turbato,  o  s'abbandoni 
a  certa  effervescenza  e  loquacità.  Prescindendo  da  tali  strata- 
gemmi triviali,  e  anche  non  volendo  far  uso  di  ludngbe  e  ca- 
rezze (  che  sono  quelle  tali  sirene,  die  hanno  più  irresistibili  in- 
canti ),  gli  confidi  un'  infinità  di  frottole,  onde  senta  il  bisogno  di 
ricambiare  V  intimità.  Gli  faccia  poi  una  dimanda  improvvisa,  onde 
risponda  senza  studio  ;  e  gli  parti  della  medesima  cosa  in  diverse 
circostanze  e  tra  diverse  persone,  onde  si  contraddica.  Gli  Unei 
intravedere  di  saper  tutto,  onde  supponga  noto  anche  T  ignoto;  e 
gli  narri  un  fatto  reale  con  amminicoli  inventati,  onde  ne  cor- 
regga il  racconto.  Gli  vanti  con  molto  calore  le  cose  da  esso 
spregiate  e  biasimi  le  stimate,  onde  manifesti  il  contrario  parere; 
e  gli  dica  male  degli  amici  e  bene  de' nemici  suoi,  o^e»gli 
sVeli....  Con  le  quali  e  con  altre  tali  circonlocuzioni,  circonven- 
zioni e  circuizioni  si  può  costringer  Y  uomo  più  avveduto,  chiuso  e 
cupo  a  tradirsi:  e,  quando  pure  non  colla  lingua,  fin  odi* alito, 
il  guardo  e  la  contrazione  del  volto  si  tradirebbe.  Ebbene  noi  pos- 
siamo conoscer  questi  e  tutti  gli  altri  mezzi,  con  cui  iUodere, 
eludere  e  deludere  la  gente  dabbene,  e  far  fortuna  nel  mondo;  o 
possedere  per  lo  meno  anche  noi  un  vocabolario  di  parole  mellifloe, 
ambigue  e  a  doppio  senso.  Non  pertanto,  come  il  medico  cono- 
sce i  veleni  e  non  avvelena,  cosi  noi  gli  conosciamo  e  gli  re- 
spingiamo con  tutto  r  orrore,  con  cui  si  respingerebbe  la  lama 
prezzolata  del  sicario  e  la  mercede  della  propria  vergogna.  Co' quali 
sentimenti,  miei  cari  lettori,  noi  non  possiamo  essere  certamente 
uomini  politici  a  questi  lumi  di  luna:  ma  meglio  totLUitfffiù  rs- 

31 


-  482- 

starci  col  popolo,  amare ,  patire ,  piangere ,  sognare ,  sperare  eoo 
esso,  e  passare  per  faDciulli  e  per  ebeti,  che  avere  tanta  acc(r- 
tezza  e  raffinatezza.  £ ,  se  fosse  vero,  tra  gonzi  e  mariuoli  ooo 
si  campi  altrimenti,  che  con  codeste  turpissime  arti  (cui  è,  beo 
inteso,  pessimismo  palesare  e  ottimismo  usare }  ;  meglio  anche  es- 
ser morti ,  che  domare  gY  impeti  de'  nostri  afret(i  e  soprawiTere 
al  vilipendio  delle  coscienze  nostre.  Intanto  però  è  accaduto,  per 
questa  sorta  di  arti,  cui  in  altri  tempi  si  chiamavano  gesuitiche,  e 
per  colpa  di  pochi  mestatori  e  arruffoni,  che  la  nazion  nostra  si 
abbia  presso  le  straniere  una  fama,  cui  non  si  merita.  Mentre  e  per 
questa  e  per  le  altre  cause  sovra  discorse  è  pure  accaduto,  che  oo 
popolo,  la  cui  età  giovanile  ed  eroica  avrebbe  dovuto  ora  nel  no- 
vello suo  risorgimento  ricorrere ,  come  corrotto  e  decrqxto  si 
trattasse  ;  e  si  disertasse  di  que'  tali,  che  come  suoi  naturali  cam- 
pioni lo  avrebbon  difeso.  Avendolo  adunque  privato  di  tanto  soc- 
corso, e  nelle  altre  guise  affranto,  guasto,  gabbato,  e  con  tatto 
un  mostnioso  acervo  d'istituti  e  di  leggi,  d'atti  e  di  spedìeoti 
prostrato  e  ridotto  come  un  cadavere;  potè  la  plutocrazia  sog- 
giogarlo, e  può  ancora  per  alcun  tempo  dominarlo.  Questi  gli  a^ 
cani  del  suo  impero  o,  come  si  dice  ora,  i  suoi  colpi  di  staio^ 
lenti,  |)acifìci,  mascherati:  i  quali  però  non  valgono  a  salvarla  da 
una  catastrofe,  di  cui  già  i  sintomi  e  gF  indizi  si  scorgono. 


DESTINI  DELU  BORGHESÌA 


CCCXXIV.  Pronostioi  buUa  domiiuudoiie  ìwrgliMe. 

Considerando,  che  il  terzo  ceto  è  oggi  al  colnio  de'  suoi  tri- 
idi,  cui  le  viete  memorie  de'  due  primi  e  le  spregiate  aùnaccie 
;1  q  te  appena  turbano  ;  pare,  vi  voglia  molto  coraggio  a  pre- 
1  l'imminente  caduta.  Nondimeno,  ponendo  flne  a  queste 
ine  co'  pronostici  della  gran  malattia  del  mio  secolo  e  del 
io  paese,  cui  tìo  Un  qui  descritta  ;  io  credo,  assai  di  leggieri  si 
>ssa  del  suo  esito  letale  andar  convinti.  E  primieramente,  quanto 
a  giusto,  che  anche  la  odierna  specie  di  signoria  ceda  a  nuove 
rlune,  non  dovrebbe  dubitare  chiunque  reputi,  i  beneficiì  del 
msorzio  civile  doversi  in  maggiore  e  miglior  guisa  estendere  e 
uire.  Avvegnacliè  sin  nel  sup|X)slo,  che  quella  non  fosse  punto 
upida  e  malvagia,  e  clie  anzi  per  la  eccellenza  del  sapere  e 
?lla  viriù  splendesse;  la  naturai  vocazione  del  predetto  consorzio 
di  provvedere  alla  HberU\  e  felicità  di  tutf  i  partecipi.  Or,  pol- 
le in  vece  questo  presentemente  non  giova,  che  a  pochi  signori, 
giova  troppo  più  a' medesimi,  che  a'  sudditi  loro;  cosi  è  giusto, 
le  si  fatta  sostituzione  del  particolare  air  universale  (la  qual  ba- 
a  a  costituir  la  tirannide)  cessi.  Onde,  siccome  d'una  cosa  vo- 
ta dalla  giustizia  ninna  forza  può  impedire  il  trionfo,  benché 
)ssano  la  violenza  e  la  frode  alquanto  rilardarlo;  da  questo  solo 
-^omento  inducesi,  che  al  par  d'ogni  altra,  anche  la  tirannide 
^rghese  avrà  un  termine.  Tanto  più,  che  quella  medesima  nor 
ira^  che  appella  tutti  gli  esseri  al  banchetto  della  vita,  come 
icitò  il  terzo  celo  a  redimersi  da' due  primi,  cosi  ora  incita  il 
uarto  a  incalzarlo,  e  a  dar  luogo  ciascuno  d'essi  al  popolo  so- 
\')no.  (]iò  non  ostante,  chi  non  crede  alla  necessità  della  giu- 
izia  nel  momlo,  e  alle  leggi  indefettibili  della  natura,  che  go- 
?rnano  le  società  umane,  può  da  tale  argomento  presdodere.  Dap- 


—  484  - 

poiché  vi  sono  tante  ragioni  pratiche  o  tante  circostanze  attuali 
e  di  fatto,  che  già  svelano  la  impossibilità  di  noantener  più  a 
lungo  quella  tirannide,  che  bisogna  proprio  cliiuder  gli  occhi  per 
non  accorgersene.  Entrando  a  dir  delle  quali ,  e'  non  ci  ha  dub- 
bio anzi  tutto,  che  la  storia  manifesti  ineluttabili  tendenze  ab 
successiva  emancipazione  de'  ceti,  alla  redenzione  delle  plebi,  al- 
l' allargamento  delle  franchigie,  alla  comunicazione  de'  vantaggi  e 
air  ampliazione  degli  uflici  della  civiltà.  E  questo  io  ho  già  mo- 
strato per  ciò,  che  concerne  i  secoli  andati,  discorrendo  delle 
origini  della  borghesia:  la  quale  appunto  in  gi^ia  dì  tale  iu- 
cesso  potè  allo  stato,  in  cui  trovasi,  pervenire.  Ma  questo,  in  un 
modo  ancor  più  incontra verti bile,  nelle  vicende  del  presente  se- 
colo si  appalesa;  e,  sto  anzi  per  dire,  nella  esperienza  coiidiana 
si  tocca  con  mano.  Così  che  non  vi  è  forse  più  alcuno,  che, 
sperando  o  temendo,  non  sia  presago  del  prossimo  e  Aituro  trioolb 
della  democrazia  vera  e  sincera.  Il  qual  corso  o  ricorso  della  sto- 
ria, cui  niente  può  arrestare,  è  un  argomento  pur  esso  di  tanto 
valore,  che  potrebbe  pel  mio  assunto  bastare.  Se  non  che,  van- 
tando la  plutocrazia  di  posseder  mezzi  d' efficacia  tali ,  da  poter 
quasi  sottrarsi  a'  destini ,  che  V  attendono  ;  dimostrerò  ora  per 
contrario,  non  ne  aver  punto. 


CCCXXV.  Baffionevole  caduta  della  borghesia. 

Basta  in  fatti  riassumere  le  sue  opere,  quali  ho  di  sopn 
esposte  ne'  diversi  obietti  della  vita  sociale ,  per  vedere ,  eh'  ella 
non  ha  altro  intorno  a  sé  accumulato,  che  mine.  Nello  stato 
r  esclusione  e  la  dissoluzione,  nel  reggimento  l' oligarchia  e  1*  a- 
narchia,  nell'  ainiiiinislrazione  il  torpore  e  l' incuria ,  nella  giusti- 
zia r  impotenza  e  Y  arbitrio ,  nella  religione  la  superstizione  e 
r  empietà,  nella  moralità  Y  avarizia  e  la  depravazione ,  nelli  poi* 
tura  la  pedanteria  e  Y  insipienza ,  nella  prosperità  l' aggiotaggio  e 
la  miseria...,  ecco  in  com|)endio  i  suoi  f(isti.  Ora,  gii  è  vero, 
che  vi  sono  esempi  d'uomini,  cui  s'avvezzarono  a' più  ìdudìbì 
patimenti,  e  per  lino  a  trascinare  entro  una  cella  senza  lameoli 
una  vita  da  bruti,  {^ordendo  insensibilmente  sino  il  lume  della  n- 
^nono.  TutUìvia  i  consorzi  civili  non  si  preservano  con  un  sistema, 
<|uale  (>  (luesto  da  me.  ora  compendiato;  od  è  quindi  neressiLi 
se  non  si  emendano,  che  si  sfascino.  E,  quanto  all'Italia,  chi  è 


—  485  — 

grado  d'assicurarla,  non  solameDta  da  molti;  nm  da  tatti 

ti  i  pericoli,  che  per  causa  del  medesimo  le  sovrastano!  Sia- 

certi  io  una  novella  guerra  di  non  soggiacere  a  una  no* 

rotta,  0  di  non  dovere  sopportar  nella  pace  i  precetti  e  i 

4  di  maggior  potentato?  Crediamo  noi  davvero,  conti* 

0  con  queste  orride  gravezze,  preterendo  dag^'  indiapensabili 

-vìgi,  di  far  fronte  cosi  a'  crescenti  bisogni  e  d' evitare  la  ri-* 

0  il  fallimento  ?  Non  è  a  temere,  che  V  empia  discordia,  fo- 

uitata  da  un  giusto  dolore,  tra  regione  e  regione,  se  non  di 

%  d'animi  ci  divida?  Un  mutamento  di  cose  (Atre  Alpi  non 

xebbe  produrre  anche  qui  nelle  forme  politiohe  una  violenta 

turbazione,  o  non  lo  potrebbe  senz'  altro  unt-calamità 

0  '  intema  sollevazione?  È  egli  dunque  posnbile  con  questi 
loqui  parlamentari,  con  queste  fazioni  incorreggibili,  con  qoesti 

ni  disfatti  tirare  innanzi  per  parecchi  anni  ancora?  E,  m 
nella  disperazione  d'ogni  rimedio  ordinario,  si  ricorresse  a^ 

1  dittatura  tra  dinastica  e  miUtare,  ove  si  andrebbe  ptAì...  lo 
so,  che  i  nostri  statuali  non  credono  punto  di  dover  preoocnpani 
ddle  cose,  che  han  da  venire,  e  cotanto  per  loro  dubbie.  Mi, 
piando  pure  non  le  si  dovessero  tenere  in  alcun  conto,  chieggo 
io,  limitandomi  alle  sole  cose  presenti,  se  queste  le  sien  Uìì^  da  po- 
tersi comportare.  E  se  F  Italia  debba  sempre  come  adesso  dorarei 
e  non  abbia  ad  aver  mai  refrigerio  ;  o  se  per  contrario  abbia  e  da 
chi  a  riceverlo.  Ebbene,  la  sua  presente  sorte  è  cosi  infelice, 
che  dalla  precedente  servitù  sotto  lo  straniero  in  fuori,  niente  di 
peggio  si  potrebbe  immaginare.  Mentre  nello  stesso  ìmipo  è  tale, 
che  non  può  esser  cangiata,  se  non  da  fiurze  estranee  alle  cosi 
dette  classi  dirigenti:  e  qui  sta  appunto  la  coodanna  a  morte 
delle  medesime. 


CCCXXVl.  laelattabOe  eaiata  itDa  btrglMi^ 

Imperocché,  se  mi  si  dicesse,  che  vi  sono  ancora  nella  pe- 
nisola nostra  stirpi  generose,  e  nel  mondo  prindpii,  affetti  e  viirift 
capaci  di  rigenerarci,  direbbesi  quello,  in  che  io  fbnnamoite  con* 
fido.  Queste  forze  per  altro  stanno  proprio  al  di  fuori  della  phn 
tocrazìa;  da  cui  sono  anzi  sprezzate,  ripudiate  e  inimicaie.  Di 
guisa  che  appunto  il  loro  prorompere,  quanto  la  salvena  del  po- 
polo, altrettanto  procaccierà  la  perdita  de'  suoi  oppressori,  I  quali 


—  486  - 

in  vece  con  tutte  le  piaghe  incurabili,  che  ho  dianzi  additate, 
non  hanno  punto  in  sé  medesimi  alcun  mezzo,  che  valga  a  sal- 
vargli. Non  la  forza  materiale;  poiché   si  trovano  al  cospetto 
delle  moltitudini  in  una  minorità  spaventosa,  non  essendo  niente 
più  di  esse  robusti  o  periti  nelle  armi.  Non  la  forea  nu>rak, 
che  gioverebbe  più  di  quella;  poiché  si  sono  dalla  tradìziODee 
dalla  sapienza,  dalla  probità  e  dalF  equità  divorziati  :  e  anzi  fio 
quasi  dal  pensiero  e  dalla  coscienza,  non  contando  più  in  altro, 
che  nella  corruttela  e  neir  imbroglio ,  nella  scaltrezza  e  nel  sim- 
cesso.  Che,  se  ora  eglino  nella  loro  prosperità  non  trovano,  se 
non  per  prezzo,  chi  gli  serva,  e  se  non  gente  sempre  più  umile 
e  malleabile;  facile  é  immaginare,  che  cosa  accadrà  loro  ilb 
prima  disavventura.  Quali  soldati,  quali  magistrati  e  quali  scrittori 
gli  difenderanno;  e  quali  insegne,  quali  norme  e  quali  ispirazioai 
seguiranno  questi  per  difendergU?  Per  non  dire,  che  degli  scrit- 
tori, uno  solo,  che  in  futuro  sorgesse  di  grande ,  militerebbe  to- 
sto pel  popolo,  per  la  Ubertà  e  per  la  giustizia;  né  potrebbe  anzi 
divenir  grande  altrimenti.  Non  militando  per  la  mercede,  se  noe 
coloro,  pe'  quali  la  profession  letteraria  non  ha  maggior  valore 
d' una  prostituzione  infame  ;  questi,  non  appena  muti  la  fortuna  il 
viso ,  si  affretterebbero  ad  abbandonare  gli  antichi   patroni  e  a 
propiziarsi  i  nuovi  :  fors'  anco  adulando  e  aizzando  quelle  plebi, 
cui  ora  prostrano  e  insultano.  £  dico  insultano:  perché  tra  gii 
osceni  spettacoli,  a  cui  dobbiamo  oggidì  assistere,  havvi  ancor 
questo,  che  in  romanzi  e  in  giornali  da  letterati  borghesi  si  getti 
in  faccia  a  tutto  il  ceto  più  numeroso,  più  innocente  e  più  af- 
flitto le  scelleratezze,  che  in  qualche  soffitta  o  taverna  di  Londra 
0  di  Parigi  commettono  alcuni  miserabili,  dalle  borghesi  industrie 
abbrutiti.  Certo,  io  non  mi  meraviglierei  punto,  se  dovessi  eoo- 
tra  costoro  un  giorno  patrocinare  vinti  quegli  oppressori,  cui  oggi 
vincitori  ammonisco.  Piatto  é  intanto,  che  da  ogni  parte  i  guai 
sono  si  copiosi  e  sì  enormi,  che  non  si  può  della  borghesia  (in- 
tesa come  forma  transitoria  d*  oppressione  sociale  )  sentenziar  al- 
tro, se  non  eh'  ella  é  spedita.  £  non  solamente  in  un  tempo  lon- 
tano (  che  nella  caducità  delle  terrene  cose  non  sarebbe  da  me- 
ravigliare )  ;  si  in  un  tempo  tanto  vicino,  che  si  potriano  già  mh 
verar  gli  anni  della  sua  cortissima  durata. 


-487  - 


CGCXXVII.  Imminente  oadnta  della  borghesia. 

Contro  la  previsione  d' una  si  sollecita  fine  del  dominio 
de'  gaudenti  non  vi  sarebbe  altro  argomento,  se  non  il  lunghis- 
simo tempo,  in  cui  i  due  ceti  maggiori  dominarono.  Pur,  che 
questi  potessero  per  molti  secoli  imperare,  ed  anzi  non  venir  del 
tutto  in  alcune  regioni  del  globo  ancora  esautorati,  facilmente  si 
spiega.  Conciossiactiè  da  un  lato  il  grado  men  progredito  di  ci- 
viltà ne  agevolava  il  primato  e  quasi  ne  lo  rendeva  benefico;  e 
dair  altro  essi  possedevano  per  tal  primato  ragioni  sufficienti.  1 
guerrieri  primeggiavano  cioè  col  valore  e  i  sacerdoti  col  sapere: 
i  primi  aveano  polso  e  i  secondi  ingegno;  quelli  atterrivano  i  sog- 
getti col  lampo  delle  spade  e  questi  collo  spavento  delle*  folgori. 
E,  poiché  tutto  ciò  è  qualche  cosa  di  molto  eOìcace  e  molto  po- 
deroso anche  oggidì,  si  capisce,  quanto  valesse  e  valga  per  te- 
nere in  piedi  a  lungo  un'  opera  di  violenza  e  di  frode.  I  fenera- 
tori,  gli  arrendatori,  i  imbblicani  e  cotah  altri  gaudenti  d'oggidì, 
non  possedendo  né  1'  uno,  né  l' altro  strumento  di  dominazione, 
come  possono  mantenersi  diuturnamente  in  seggio?  Se  pur  Toro 
l)Otesse,  quanto  il  valore  e  la  dottrina,  già  si  vide,  ch'ai  vanno 
appunto  (  per  procacciarselo  ognuno  a  sé  )  dissanguando  sino  il  co- 
mune stato,  cui  dovrebbono  in  vece  nudrire.  E  cosi  accadde,  che 
in  Roma  e  i]e'  nostri  comuni  medievali,  queir  ordine  di  cittadini,  cui 
si  ])uò  in  (jualclie  modo  all'  odierna  borghesia  comparare  o  raf- 
frontare, avesse  o  una  potenza  men  durevole  del  patriziato  o  in 
(luesto  si  tramutasse,  o  cedesse  all'  oclocrazia  od  all'autocrazia.  Ma, 
se  questo  accadde  colà,  ove  anche  coloro,  che  attendevano  alle 
occupazioni  venali,  sapeano  altresì  impugnare  il  brando,  esercitar 
le  ambascerie  e  i  magistrati,  coltivar  le  lettere  e  le  arti,  e  sopra 
tutto  professare  alla  patria  un'  adorazione,  cui  oggi  appena  si  sa 
comprendere;  che  cosa  non  deve  accader  qui,  in  cui  mancano  tutte 
codesto  iloti?  Dato  che  qui  si  sappia  molto  bene  trafficare  e  lu- 
crare, con  tali  attitudini  si  potrà  al  più  procacciare  il  fiore 
d'  un'  impresa  economica  :  non  mantenere,  come  che  sia,  uno  sta- 
bilimento politico.  Il  quale  va  quindi  crollando  di  per  sé,  anco 
se  la  nazione,  che  lo  sopporta,  non  avesse  a  ridestarsi  dal  suo 
letari^'o  mai;  né  ripigliare  nell' alto  concilio  dell' umanità  l'eccelso 
seggio,  che  le  sj^etta.  Siccome  adunque  io  credo  fermamente,  che 


-  488- 

r  Italia  sia  risorta  per  qualche  cagione ,  e  eh'  ella  debba  alla  prì- 
stiDa  gloria  e  grandezza  ritornare  ;  per  questo  io  credo,  che  V  at- 
tuai vergogna  e  inanità  debbano,  quasi  come  un  orribile  sogno, 
dileguarsi.  Ma  anche  nel  supposto,  che  il  bene  non  dovesse  vìd- 
cerla  sul  male,  dico,  potersi  prevedere  qual  ultima  meta  della  ti* 
rannide  borghese  il  caos  :  non ,  che  questa  abbia  ad  impen'ersare 
per  parecchi  lustri  ancora.  Imperocché,  quand'anclie  ella  fosse 
di  tutte  quelle  armi  provveduta ,  che  valgono  a  sostenere  i  gran- 
de imperi ,  e  non  avesse  tante  iniquità  commesso  e  tanti  rìseoti- 
menti  istigato ,  e  avvilito  le  cose  civili  al  punto ,  in  cui  le  sono  ; 
la  inopia  o  per  dir  meglio  la  Dprvei*sità  spaventevole  ddle  sue 
idee  morali  basta  a  Tarla  perire.  Quel ,  cir  ella  crede  o  pratica 
in  tal  proposito,  io  ho  già  mostrato,  non  esser  altro  in  sostana, 
che  un  grossolano  e  laido  epicureismo  ;  precisamente  peggior  dì 
quello ,  che  ha  sino  a  qui  tratto  in  lutt'  i  tempi  e  i  luoghi  i  gran- 
di e  i  piccioli  imperi  a  rovina.  E,  perchè  meglio  ciò  si  veg- 
ga, come  s'è  fatto  un  sillabo  della  gesuitica  pravità j  eccovi 
anche  quello  dell'opposta  setta,  riassunto  del  suo  sistema  e  sim- 
bolo della  sua  fede. 


CCCXXVIII.  Vangelo  del  secolo  deoirnowma. 

1.  Non  vi  sono  altre  verità,  tranne  quelle,  che  Hveg' 
gono  cogli  occhi  e  si  toccano  con  mano. 
1.  A  chi  dice ,  esservi ,  oltre  la  percezione  estema ,  un  senti- 
mento interiore  ineffàbile  j  ancUcìna. 

3.  Le  scienze,  che  non  sieno  fisiche  e  mcUematiehe^  eiarìr 
pei  gonzi, 

4.  Solamente  tra  le  morali  e  politiche  lecita  T  economia  ^per 
ragioni  facili  a  capirsi. 

5.  Le  lettere  e  le  arti,  pur  che  rappreseniino  le  case  reali ^ 
cui  e'  intendiamo ,  trastulli  permessi. 

(3.  Sempre  che  tengasi  a  mente ,  le  invenzioni  de*  poeti  e  de^ 
gli  artefici  essere  puri  vaneggiamenti,  quanto  le  fisime  ie^ 
gV  ideologi, 

7.  Pratici  pertanto  e  tecnici  vogliono  esser  gli  studi ,  e  mam 
teorici  e  classici. 

8.  Che  non  si  tratta  di  principii  e  d'azioni,  ma  di  spe^ 
dienti  e  d'affari. 


-  489  — 

9.  E ,  quanto  alle  cose  disputabili,  fa  le  veci  deUe  convin- 
zioni individuali  V  opinione  pubblica, 

10.  In  luogo  del  catechismo^  mettere  in  mano  ai  bimbi  su- 
bito un  libretto  della  cassa  di  risparmio. 

11.  Scopo  ddla  vita  il  guadagno y  per  arricchirsi  chi  pud, 
e  chi  non  può  per  campare. 

12.  Onde  interrogare  qualche  volta  la  coscietiza,  raccogliersi 
nello  spirito  o  contemplar  la  naiura,  è  senz*  altro  voglia  di 
far  niente. 

13.  Nondimeno ,  se  senza  danno  de  propri  interessi ,  si  può 
quanto  piace  divertirsi. 

14.  Quantunque  non  vi  Steno  altri  diletti,  che  i  materiali,  e 
supremo  quello  di  tesaurizzare. 

15.  Pur  di  far  danari  niun'  arte,  che  stia  in  riga  col  codice 
penale,  è  riprovevole. 

10.  Anzi  il  tornaconto  è  T  unico  criterio,  con  cui  gitidicare 
della  bontà  delle  imprese  e  del  pregio  delle  opere. 

17.  Mentre  unico  dovere  è  il  non  far  male  agli  altri. 

18.  E  la  probità  sta  esclusi vaìnente  nel  pagare  i  debiti. 

19.  Del  resto  non  importa  tanto  essere  onesti,  quanto  onorati. 

20.  Giacché  chi  è  infamato  una  volta,  non  aspetti  più  perdono. 

21.  Ninn  servigio,  che  non  sia  retribuito. 

ii.  Ognuno  pensi  a  se,  e  non  si  curi  d'altro. 

23.  Taìito  che,  se  alcuno  stesse  per  annegare,  non  occorre 
punto  soccorrerlo. 

24.  E  chiunque  cade  nel  malanno,  non  rimproveri  altri,  che 
sé  m/*desimo, 

25.  /  così  detti  istituti  pii ,  quanto  meglio  sopprimergli  e  in- 
camerargli ! 

2G.  Perchè  ogni  sorta  di  carità  fomenta  Vozio  e  V imprevidenza. 

27.  Ma  appena  appena  convien  quella^  che  ne*  balli  e  in  si- 
mili spettacoli  si  fa  per  sollazzo. 

28.  Non  bisogna  poi  affannarsi  per  la  così  detta  causa  della 
giustizia  o  del  bene. 

29.  /  vinti  hanno  sempre  torto,  e  %  vincitori  ragione. 

^.  E.  se  uno  muore  allo  spedale,  segno ^  che  lo  meritava. 

31.  Aver  debito  ai  maggiori  o  ai  posteri,  modi  di  dire. 

32.  Patria  r  dove  si  soggiorna  e  si  lucra  commodamente. 

33.  Né  giova  aver  per  essa  maggiore  affetto ,  che  per  altri 
angoli  del  globo. 


-  490  - 

34.  Le  religiofii,  mere  imposture. 

35.  La  gloria  e  la  grandezBa,  chimere. 

36.  Il  sacrificio  di  sé,  affatto  un  atto  di  poMSfia. 

37.  Felice  e  stimabile  unicamente  il  ricco ,  e  viceversa  la  po- 
vertà un  delitto. 

38.  Una  sola  qualità  personale  è  mestieri  pregiare  olgiiaii* 
to,  la  furberia. 

39.  Sebbene  in  ogni  cosa  tanto  una  persona  valga  ^  quanH 
quattrini  ha. 

40.  Considerare,  per  esempio,  fonti  di  felicità  le  coH  dette 
gioje  pure ,  fole  da  romanzi. 

41.  Anche  il  grado  della  civiltà  d^  una  nazione^  si  giudica 
da'  chilometri  delle  sue  strade  ferrate  e  da  cotaìi  argcmenH. 

42.  Le  mostre  universali  de'  prodotti  e  delle  merci ,  ecco  le 
vere  olimpiadi  e  i  degni  areopaghi  del  tempo. 

43.  Ah ,  se  si  potesse  trarre  alcuna  utilità  anche  da*  momf- 
menti  e  da'  cimiteri  ! 

44.  Lo  stato  è  indubbiamente  un  patrimonio  degli  uomini 
d' affari. 

45.  E  i  j>t4hblici  uffici  un  passatempo,  con  un  compenso  or- 
rotOy  ai  medesimi. 

46.  Gli  altri ,  che  osano  competere  col  così  detto  ingegno  e 
colla  così  detta  virtù,  gabbamondi. 

47.  Teste  sventate  tutti  costoro ,  che  parlano  in  sul  serio  di 
libertà  e  di  popolo ,  e  di   altre  pari  fandonie. 

48.  La  plebe ,  che  intende  esser  contata  per  qualcke  cosa ,  eor 
naglia. 

49.  E  il  cercare  di  redimerla  una  birboneria. 

50.  Oh  che  bisogno  c'è  di  fare  novità, se  si  sta  così  bene? 


CCCXXIX.  Catastrofe  della  deminaiioiie  btrglma  ìm  Italiib 

Considerando  pertanto,  in  qual  guisa  abbia  la  estrema  esr 
tasfrofe  a  seguire  ;  a  me  pare ,  che  quanto  sopra  acoennai ,  vi 
socialisuìo  e  sul  clericalismo,  ce  ne  additi  le  due  fonne  predestìBatfr 
0  in  altri  termini,  le  cause  tutte  esposte  in  questo  libro,  se  non d 
si  rimedia  a  tempo,  avere  per  naturale  efletto  U  dissobuume 
della  società  costituita,  previa  una  breve  pausa  di  reoftone.  Li 
quale  ultima  sorge  dalle  leggi  stesse  della  vita,  che,  comedi 


-  491  — 

« 

Doto,  altrettanto  ha  mestieri  di  consistenza.  Onde  gF istinti  con- 
ervativi,  che  non  abbandonano  la  società  predetta  mai,  e  che  di 
[iunta  nel  pericolo  rinvigoriscono;  innanzi  alla  minaccia  della  sua 
ulna,  proromperanno  con  rabbiosa  e  senile  agonia  veementi  e 
liechi.  Da  un  secolo  cioè  non  essendosi  fatto  altro,  se  non  di- 
itruggere,  e  le  cose  correndo  sempre  più  a  precipizio,  una  co- 
;pirazione  per  restaurarle ,  spunta  naturalmente.  E  da  questo  viene 
n  precipuo  modo  la  forza  della  fazione,  detta  oltre  monti  oltra- 
nontana,  e  tra  noi  clericale.  La  quale,  emergendo  da  quella  co- 
pirazione,  s'industria  pel  momento  in  opere  sotterranee:  ma  si 
nanifesterà  all'aperto,  come  già  in  qualche  stato  al  di  fuora,  anche 
|ui,  non  appena  vegga  giunto  il  suo  giorno.  Già  anzi  ha  fatto 
auto  cammino,  prima  pegli  atti  e  poscia  fin  negli  animi  de'  se- 
caci delle  contrarie  fazioni,  che  costoro  cominciano  a  parlare  della 
)robabile  sua  riscossa,  senza  quasi  più  stupirsi  e  dolersi.  Concios- 
liachè  veggono  da  un  canto,  eh'  ei  non  sanno  più  come  uscire  dalle 
ante  dinicoltù,  che  gli  attorniano;  e  ch'ella  unica  serba  qualche 
Jlemento  per  restituire  un  po'  di  nerbo  o  di  calma  allo  stato,  e  di 
'ode  0  (li  rassegnazione  ai  soggetti.  Dall'altro,  di  principii  veri 
5  di  sentimenti  virtuosi  non  accadendo  più  discorrere,  e  di  buf- 
bneria  in  bulloneria  andandosi  sino  all'impossibile,  trovano  plausi- 
)iUssimo,  che  anch' ella  meni  un  po'  di  gazzarra  prima  del  diluvio. 
:^erò  5  quando  si  sentono  un  po'  in  lena  e  si  lusingano  di  poterle 
■esistere ,  parlano  di  congiungersi  tra  loro,  bianchi  e  bigi,  mode- 
rati e  scapigliati ,  dottrinari  ed  atei  ;  e  d' avventarlesi  contro  e  di 
schiacciamela.  Tosto  poi  che  si  sentono  fiacchi  e  sgominati,  e  difll- 
lano  di  tenerle  il  campo ,  eccogli  a  concluder  Y  opposto.  E ,  sic- 
come appunto  vie  più  vannosi  persuadendo,  che  fra  tante  loro 
)azzie  ella  si  avanza  fredda  e  corrucciata  nel  suo  lugubre  carro 
rionfale ,  oggi  piuttosto  pendono  al  secondo ,  che  al  primo  sistema. 
Ji  modo  che  udiamo  alcuno  de'  loro  più  famosi  caporali  senten- 
ziare senz'  altro  :  esser  bene ,  eh'  ella  si  metta  nella  cerchia  de- 
^li  ordini  esistenti,  ed  entri  seco  loro  in  lizza.  Che  a  tanto  siam 
giunti ,  che  si  trovi  giusto ,  i  più  lleri  e  incsorati  nemici  della  pa- 
ria ,  proprio  costoro  se  ne  impossessino  oggi,  come  d' una  preda 
h'signata  dalla  sorte. 


-  492  - 


CCCXXK.  Conati  di  reasione  sodale. 

Può  il  mio  giudizio  verso  la  predetta  fazione  sembrare  più 
severo,  Girella  si  meriti;  sebbene,  quanto  dissi  di  sopra,  baste- 
rebbe a  constatarne  la  rettitudine.  Volendo  (juindi  di  nuovo  giusti]!- 
callo,  dico,  die  in  quella  due  cose  enormi  e  perverse  sono  da 
noUire ,  secondo  la  si  considera  riguardo  air  Europa  in  generale, 
od  air  Italia  in  particolare.  Sotto  il  primo  de'  quali  aspetti ,  ella  è 
già  una  calamità  assai  spaventosa:  dappoiché,  per  consena^, 
non  si  proponga  altro,  che  di  ritornare  al  passato,  e  del  passato 
alle  istituzioni  e  agli  usi  più  detestabili.  Vero  è  in  fatti,  che  ora 
si  su  male:  ma  né  allora  si  stava  mollo  bene;  e,  dato  audie 
che  si  stesse  meglio,  non   sarebbe,  che  di  danno,  il  tentar  di 
ripristinare  il  tempo  trascorso.   Il  ({uale  se  si  potesse  ripristi- 
nare (pognamo,  quale  era  un  secolo  fa),  non  però  si  potrebbe 
impedire  di  non  ricondurre  poscia  a  qualche  cosa  d' analogo  al 
pn'sente.  E  cosi,  le  identiche  chiuse  riproducendo  gV  identici  ef- 
fetti ognora,  le  soflerenze  inenarrabili  di  tre  generazioni  andreln 
bon  i)ordute,  e  dovrebbono  i  posteri  ripigliare  il  viaggio  delle 
medesime  cotanto  tribolato.  Dal  tempo  trascoi'so  adunque  vi  e  molto 
d  ai)prondere ;  ed  io  anzi  credo,  non  si  debba  movere  un  passo 
neir avvenire,  se  non  dopo  le  orme  di  quello.  Ciò  nondimeno,  |icr 
causare  i  triboli,  non  si  dee  già  andare  in  dietro  ,chè  bisognerebbe 
rincontrargli  di  nuovo  e  poi  rifare  il  cammino);  si  bene  andare 
avanti.  Laonde  ])er  (jnesto  solo,  che  la  fazione  olU'amontaiia  o  cle- 
ricale, sotto  lustre  religiose,  rappresenta  il  regresso,  costituisce 
tutto  ciò,  che  di  |)iù  esiziale  nella  vita  civile  si  possa,  dal  totale 
sovvertimento  della  medesima  in  fuori,  immaginare.  E,  s'altro 
non  ci  fosse,  chiunque  i)ensji,che  T  umanità  ha  per  supremo  co- 
mando dulia  natura  il  progresso,  ed  è  in  grazia  di  esso  dalla 
brutalità  uscita,  ed  alla  deità  spronata,  la  dovrebbe  respingere  e 
combattere  a  oltranza.  Ma ,  se  al  di  là  delle  Alpi  non  lia  la  predelta 
fazione,  che  ipiesto  pur  si  grave  torto  ;  al  di  qua,  oltre  il  meilesimo, 
ha  l'altro  non  nion  grave  d'odiar  la  ^Kitria.  Nella  S|)agna,  Della 
Fraiicia  e  nel  Belgio  è  anzi  [ùuttosto  a  dubitare,  s  ella  non  sia  supe- 
riore, di  quello  che  {tari  alle  altre  parti  i>olitiche  nello  amore  della 
propria  contrada.  E  nella  stt»ss'  Alemagna,  benché  forse  contraria 
air  luiione  ed  alla  e^^'emonia  prussiana ,  non  lo  è  certo  ali*  iodi- 


-  493- 

idenza  ed  alla  |)Ossanza  germanica.  Talmente  che  colà  puossi 
isi  imputarle  piuttosto  un  errore  d' intelletto,  che  di  cuore  ;  e 
ribuirle  almeno,  in  si  Tatto  inganno,  il  desiderio  del  bene. 

CCCXXXI.  Perfidia  del  olerloaliuno. 

Per  opposìlo  in  Italia  la  cosa  è  assai  diiTerente,  quando  si  vo- 
)  tra  quella  far  distinzione  e  T  immenso  stuolo  di  coloro,  che  se- 
)no  la  fede  cattolica  ed  obbediscono  alla  chiesa  romana.  Giacché 
isti  formano  nientemeno,  che  la  intiera  nazione:  quella  nazio- 
,  che  non  si  sogna  pure,  almen  per  ora,  di  desiderare  diverso 
ibolo  0  diverso  rito.  Onde,  per  causa  de'  medesimi,  non  è  pos- 
ile nò  anciie  un  fantasma  di  fazione ,  di  setta  o  di  altra  tal 
ittura  simulare;  sendo  tutti  ({uanti  concordi  ed  anzi  unanimi  a 
er  essere,  a  lor  modo ,  cattolici  e  romani.  In  codesto  senso  ri- 
0,  che  la  religione  loro  vuol  essere  rispettata;  ed  esser  tutto 
,  che  di  più  iniquo  e  di  più  infame  si  possa  perpetnu*e,  il 
ifonderla  colla  peggior  combriccola ,  che  la  perverta  e  disono- 
La  qual  combriccola  in  vece,  non  avendovi  radici,  e  avendo  il 
•eno  manco  propizio,  che  vi  sia  al  mondo,  venne  qui  trapian- 
i  :  dove  ora  naturalmente ,  oltre  che  degli  ausili  esterni ,  delle 
ndi  istituzioni  sacerdotali  del  luogo  si  vale.  Non  pertanto,  cosi 
•attam(?nlc,  non  avrelibe  mai  potuto  allignare  (  tanto  le  è  con- 
rio  lo  spirito  degl'  italiani,  e  per  fin  quello  della  curia  papale); 
Ila  in  concreto  non  avesse  servito  di  maschera  a  chiunque, 
imendosi  Y  Italia  dal  servaggio  politico  e  appena  redentasi,  ne 
»ggiava  0  m  osteggia  la  redenzione.  Qui  sta  dunque  il  punto 
a  ((ucstiono:  che  non  si  tratta  già  di  credenti,  nò  di  preti,  e 
anche  d'  uomini,  che  abbiano  troppo  a  cuore  le  cose  sacre,  e 

delle  profane;  ma  di  felloni  e  di  traditori.  Perchè  io  non 
imo  clericali  neppur  coloro,  che  nelle  dette  cose  sacre  vor- 
bono  salva  Y  integrità  e  la  libertà  della  nazione)  ogni  eccesso 
sibile.  Bensì  coloro,  che,  traendo  dalle  medesime  pretesto,  tCD- 
nio  già  d'impedire,  ed  oggi  vorrebbono  il  nazionale  riscatto 
:ruggere.  A'  (|uali  certo  necessitava  tale  pretesto,  per  aroman- 
}  tale  p(.r fidici:  ma  tanto  e' sono  più  rei,  che  del  sentimento 

au.misio  de' mortali  Ja  religione)  si  servono  per  annientare 
•Mitiiìiento  più  generoso  (il  patriottismo).  Così,  che,  mentendo 
anzi  appropri  concittadini  ed  alle  proprie  coscienze,  deridono 


—  494  - 

fino  i  comuni  sacramenti  deir  umanità;  e  Un  que'  numi  oling- 
giano,  le  cui  folgori  invocano  contro  la  materna  terra. 

GGGXXXII.  Oondaima  del  oleriealiiiiM. 

I  veri  clericali ,  ripeto ,  sono  coloro,  che  avrebbero  credulo 
commettere  un  sacrilegio ,  combattendo  le  battaglie  o  votando  i 
plebisciti,  ond'  è  sorto  il  presente  stato  italiano.  Coloro ,  che  non 
solamente  niente  fecero  o  bramarono  perchè  sorgesse;  nu,se 
non  dcir  Austria  a  dirittura ,  certo  de*  suoi  satrapi  di  qua  daDe 
Alpi  furono  prima  i  clienti,  poscia  i  fautori  ed  ora  i  ripiagnitori. 
Coloro  in  fine  (  e  con  questo  parmi  sia  detto  tutto  ) ,  che  delb 
unione  e  della  indipendenza  nostra  furono  e  sono  avversari  giu- 
rati ;  ed  anzi  gli  unici  avversari ,  eh*  esistano.  Perciocché  e*  non 
ponno  negarmi ,  che  questi  due  massimi  beni  sorsero  contra  lor 
voglia  e  a  lor  dispetto;  e  che,  se  lo  potessero,  anche  a  costo 
d'  una  guerra  civile  e  d*  una  invasione  straniera,  restituirebbero  le 
cose  allo  stato  di  prima,  tra  cui  la  divisione  e  la  sudditanza.  Or 
(veggano,  quanto  sono  indulgente)  io  voglio  conceder  loro,  che 
sino  a  un  certo  punto  e  momento  potessero  contrariare  o  abo^ 
rire  V  unione,  senza  per  questo  essere  cattivi  cittadini.  Àvvegna- 
elio  sia  dato  ammettere,  die ,  prediligendo  la  regione  nativa,  por 
diligessero  alquanto  la  comun  patria  ;  né  si  fossero  accorti  di 
avere  signori  cotanto  empi ,  quali  erano  quelli ,  cui  adulavano  e 
idolatravano.  Tuttavia  questa  scusa  regge  sino  a  un  certo  punto 
e  momento:  perchè,  dopo  che  la  nazione  si  era  ricongiunta,  Doa 
era  più  loro  permesso  nemmeno  con  vacue  velleità  e  inani  conati 
(li  tentarne  o  anelarne  il  laceramento.  Ma,  anche  prima,  T  unione 
era  cosi  indispensabile  air  indipendenza,  che  V  Italia,  fin  che  si 
fosse  rimasta  sminuzzata  in  quegli  staterelli,  non  avrebbe  mai  po- 
tuto né  sottrarre  le  parti  soggette  alla  dizione ,  né  sé  medesima 
al  vassallaggio  austriaco.  Di  modo  che  a*  clericali  bastava  che  il 
papa  signoreggiasse  in  Roma,  il  Borbone  in  Napoli,  e  va  dicendo: 
ma  die  del  rimanente  costoro  fossero  vassalli ,  e  i  lombardi  e  i 
veneti  sudditi  dcir  Austria,  e  tutti  assieme  lo  zimbello  d*  Europi 
e  la  vergogna  del  mondo,  non  caleva  niente.  Se  non  che,  conce- 
dendo pure ,  cir  ei  potessero  contrariare  o  aborrire  Y  unione  leci- 
tamente; rio  che  loro  non  può  essere  e  non  sarà  mai  scusalo, 
fin  che  abbia  alcun  senso  morale  T  umana  progenie,  è  di  essersi  op- 


-495  — 

i  in  tutte  le  guise,  eh'  ei  poteano,  all'  indipendeiiza  stessa  della 
)ropria  nazione.  Perchè,  che  la  si  acquistasse  malamente,  e  che  ei 

stia  adesso  cosi  male,  come  ho  io  in  queste  pagine  esposto,  tutto 
io  è  quasi  nulla  in  paragone  al  supremo  beneiscio  d*  aver  sottratto 
1  capo  al  giogo.  Eglino  adunque ,  mentre  la  terribile  tenzone  si 
compieva  ;  mentre  un  popolo  pel  più  santo  diritto ,  quello  d'  ap- 
)artenere  a  sé  medesimo ,  scendeva  in  campo  ;  mentre  i  vaticini! 
le'  profeti  e  le  supplicazioni  de'  martiri  e  i  prodigi  del  cielo  av- 
veravano il  sospiro  de'  secoli  :  eglino  s' appartavano  da'  firatdH  e 
la'  figli,  che  pugnavano  ed  esultavano,  e  dalle  madri  e  dalle  spo- 
le ,  che  pregavano  e  piangevano.  E ,  provatisi  indarno  ad  armar 
nercenari  e  masnadieri ,  a  tramar  congiure ,  a  provocare  ostilità 
A  a  chieder  soccorsi  d' avventurieri  e  di  stranieri ,  si  rimasero 
M)i  a  schernire  e  maledire ,  a  oltraggiare  e  imprecare.  E  con 
[ual  nome  adunque  di  belve  gli  chiamerò  io,  se  fin  le  jene  hanno 
|i     he  affetto  per  la  propria  caverna ,  nò  incrudeliscono  contro 

propria  razza?... 


GGCXXXIII.  Aspettaibme  del  derleaUoM. 

Ebbene,  sono  appunto  gli  esseri  innominabili  dianzi  descritti, 
lui  gli  alti  moderatori  della  politica  italiana  invitano  oggi  alle 
ime  elettorali,  e  designano  emuli  od  istituiscono  ^redi.  Imperoc- 
:hè  costoro,  come  gli  hanno  lasciati  per  tanti  anni  impunemente 
;ommettere  ogni  misfatto  ed  ogni  infamia  contro  la  patria;  cosi 
rovano  ora,  la  scelleratissima  lor  sedizione  e  ribellione  un  modo 
scito  di  parteggiare.  Ed  anzi,  mentre  non  consentirebbero  altret- 
anto  ai  vagheggiatori  della  forma  repubblicana ,  benchò  caldi 
matori  d' Italia  ;  consentono  a  quelli  d' esserie  nemici  :  pur  che 
Ila  costituzione  vigente,  od  alla  dinastia  regnante,  a  mala  pena 
'  acconcino.  Or  io  m'  appello  alla  coscienza  degli  altri  popoli  e 
in  de'  clericali  delle  altre  contrade ,  se  non  occorra  un  perverti- 
mento delle  idee  più  elementari  della  morale  umana,  per  sentire 
lei  bene  e  del  male  siffattamente.  Perchè  si  contesta  oggi  per' 
erità ,  se  un  cittadino  abbia  dovere  dì  venerare  e  di  servir  la 
atria  anche  con  proprio  sacrificio  :  ma  in  niun  angolo  del  globo 
mmettcsi  ancora,  tranne  qui ,  che  si  abbia  diritto  di  vituperarla 
d' offenderla  ;  e  di  far  questo ,  passando  tuttavia  per  galantuo- 
lini  e  per  gentiluomini.  I  moderatori  predetti  soggiungono  :  le 


-496- 

vicende  essersi  cangiate  di  molto  ;  dappoiché  costoro ,  entrando 
nell'  agone  parlamentare  e  procedendo  alle  altre  azioni  cogli  or- 
dini esistenti,  accetteriano  V  Italia  qual  è,  e  né  anche  sarieoo  fih 
da'  sentimenti  d' una  volta  animati.  Certo ,  rispondo  io ,  che  seo- 
dosi  r  Italia  alzata  lor  mal  grado  dal  sepolcro,  e  in  onta  alle  lor 
sinistre  profezie  (  secondo  cui  avria  dovuto  almen  cento  volte  ri- 
cadérvi); bisogna,  che  hi  sopportino  ora  viva.  E  cosi  pure  con- 
cedo ,  che  la  potessero  sbeffare  e  premere ,  fin  eh'  ella  s'  aOati- 
cava  ad  alzarsi ,  ed  or,  ch^  ella  è  alquanto  ritta  in  piedi;  debbano 
alquanto  temerla  e  riverirla.  S' ei  vogliono  impossessarsene,  deb- 
bono anzi  Anger  d' amarla  ;  e,  come  prima  della  religione  si  val- 
sero per  ripudiare  il  patriottismo ,  cosi  debbono  di  questo  valersi 
ora  per  padroneggiarla.  EgU  medesimi  inoltre  vanno  mutando: 
poiché  la  morte  dirada  le  file  di  que',  che  accompagnarono  fin  ni 
suolo  straniero  i  fuggiaschi  tiranni  e  scappavano  le  mille  miglia 
lontani  per  V  orrore  dell'  italico  risorgimento  ;  o ,  rimanendo  io 
casa  a  cospirare,  percepivano  forse  da  due  corti  a  un  tempo  gli 
emeriti  stipendi.  Onde  necessariamente  questa  fazione  non  può  più 
rissanguarsi ,  che  di  vecchi  ipocriti  e  scemi,  e  di  fanciulU  viziati 
ed  evirati,  agitando  il  turibolo  e  rispondendo  messa.  I  quali  pro- 
babilmente biascicheranno  e  vagiranno  di  tenerezza  per  le  nuove 
sorti  d'Italia;  e  saranno  creduti  da  questa  gente,  che  mi  so  io, 
a  cui  basta  di  non  credere  alla  verità.  Ciò  non  ostante,  se  e  per 
le  massime  e  per  le  persone  la  fazion  predetta  si  avesse  a  tra- 
sformare in  guisa,  che  non  la  fosse  più  riconoscibile;  allora  b 
non  sarebbe  più ,  che  un  nome ,  e  non  sarebbe  più  da  parlarne. 
Cile ,  s'  ella  in  vece  continua  poco  o  molto  a  rimanere  ella  me- 
desima ,  rappresentando  per  tutta  Europa  la  reazione  del  passato 
contro  l'avvenire,  e  in  Italia  la  pubblica  nimistà,  il  suo  trionfo  ' 
vuol  essere,  ripeto,  come  un'  immensa  sciagura  temuto. 


CCCXXXIV.  Conati  di  mmrersioBe  aooiale. 

Nondimeno  questa  sciagura  non  è  la  peggiore,  né  V  estrema 
che  sovrasti  alla  penisola  e  al  mondo  per  causa  della  tiramide 
borghese.  Perchè,  dato  pure  che  non  si  potesse  evitarta,  sarebbe 
(li  così  breve  durata ,  da  non  arrestare  di  molto  i  fati  iramortib 
dell'  umanità  e  del  popol  nostro.  E  particolarmente  tra  noi,  se  U 
lealtà  del  principe  non  ci  salverà  (che  omai  quella  de'  nwdenion 


-497- 

anzi  accennati  non  ci  salva  pib),  quel  giorno,  in  che  la  penisola 
cadesse,  ne' clericali  artigli,  segnerebbe  il  pmtàfio  d*iin  popolar 
fremito,  cui  ninna  forza  potrebbe  più  frenare.  La  energia  del  cle- 
ricalismo in  fatti  procede  dalla  ritorsione  degli  elementi  compo- 
sti della  società  umana  contro  i  disordinati,  sotto  il  patronato  pa- 
pale 0  gesuitico.  In  onta  alla  medesima ,  sono  però  altrettanto 
vani  i  suoi  conati  per  retrocedere,  quanto  quelli  d'altre  sette  per 
precipitare  :  né,  ridotto  a  que'  minimi  termini  e  infimi  aderenti,  cui 
testò  vedemmo,  è  in  grado  di  proseguir  molto  innanzi.  Cosi  che 
può  raccogliere  per  alcun  tempo  le  redini,  che  cadono  dalle  altrui 
stanche  mani,  e  dare  altresì  un  pò*  di  riposo  agU  spiriti  e  di  tre- 
gua agli  eventi.  Ma  alla  fine ,  mentre  il  pianeta  ha  da  andare  o 
l)ene  o  male  avanti,  quello  cadrebbe,  se  suUto  non  calcato  dal 
genio  della  democrazia,  dalle  furie  della  demagogia  stritolato.  La 
naturai  catastrofe  della  tirannide  borghese,  interceda  o  non  un  periodo 
transitorio  di  reazione ,  sarebbe  conseguentemente  la  dissoluzione 
sociale.  La  quale  oggidì  vien  promossa ,  se  non  più  tanto  da  so- 
(ùalisti  e  comunisti  fantastici,  da  congreghe  e  da  compagnie  d'ar- 
tefici ostinatamente  malefiche.  La  setta,  detta  intem<monale,<aon 
fa  mistero  de'  suoi  propositi  di  distruggere  (benché  per  ora  senza 
violenza)  il  culto  e  lo  stato,  non  meno  della  famiglia  e  della  pro- 
prietà. Ed  è  già  troppo,  a  me  pare,  e  se  non  altro  un  sintomo 
ben  grave,  che  parecchi  milioni  di  lavoratori  morigerati  e  dili- 
genti proft'ssino  tali  propositi;  né  capiscano  più,  quanto  sieno 
dissennati  ed  empì.  Non  pertanto,  supponendo ,  che  quella  non 
avesse  grande  efllc^cia,  né  lunga  vita;  non  manca  materia  ad 
altre  sette  consimili,  od  esca  almeno  agU  ammutinamenti  spon- 
tanei delle  moltitudini.  Probabilmente  anzi  cotali  imprese,  can- 
giando parvenze  e  temperando  alquanto  le  proprie  esorbitanze, 
per  agevolarsi  la  riuscita ,  diverranno  assai  più  cairte  e  poì- 
izliose.  E  gli  sforzi  per  disperderle,  e  i  divieti  e  i  supplicii,  sen- 
z' ovviare  ai  mali,  che  le  producono;  tramutandole  da  palesi  in 
segrete  e  da  abominevoli  in  compassionevoli ,  le  renderanno  vie 
più  inespugnabili  e  formidabili.  Intanto  non  vi  può  essere  am- 
biente più  propizio  degli  odierni  dominii  del  terzo  ceto,  al  loro 
rampollare  e  attecchire.  La  Francia,  nel  1848  e  nel  1870,  ebbe 
già  due  volte  a  sperimentar  di  recente  in  sé  medesinMi  i  lor  fii- 
rori  :  i  quali,  benché  repressi  o  sopiti ,  niente  accenna,  che  sieno 
estinti  0  iiiiiti.  Nella  Russia  cova  sotto  le  ceneri  un  fiiooo  miste- 
rioso di  consunzione  civile,  e  quasi  d'umano  anniffhilimftnlo,  di 

32 


-  498- 

cui  è  assai  diOicìle  impedir  lo  scoppio  o  arrestare  il  eorso.  E  FAle- 
magna  finalmente  comincia  a  destarsi,  e  a  comprendere ,  eh'  ella 
in  questo  campo  è  stata  neir  ultimo  secolo  preceduta  :  ma  eh'  ella 
ha  quivi  il  proprio  secolar  compito.  Avvegnaché  si  per  l'altezza, 
a  cui  giugne  ne'  suoi  ratti  metafìsici ,  e  si  pegl'  istinti  suoi  indi- 
viduali ,  ella  subisce  le  forme  sociali ,  necessariamente  pratiche  e 
collettive,  contra  genio.  Ma  la  sua  mente  e  il  suo  cuore  incUnano, 
come  neir  ordine  religioso  al  razionalismo ,  nel  politico  al  socia- 
lismo: ov'  ella,  arrivando  all'  usata  sua  maniera  tardi,  sta  per  fare 
le  più  mirabili  prove. 


CCGXXXV.  Preordiiuudoni  della  borgheda  al  socialiiM. 

L' Italia  sola  è  in  grado  di  contrapporsi  a  tali  torbide  e  pu- 
tride correnti ,  sola  possedendo,  in  tanta  sua  caduta ,  dell'  antica 
e  unica  civiltà  il  deposito,  e  plebi,  che  hanno  la  mansuetudine 
de'  forti.  E  per  questo  forse  ella  è  più  ritrosa  d' altre  nazioni 
verso  le  novità  socialistiche;  e  si  abbranca,  anche  in  tanto  mar- 
tirio, ai  vetusti  stabilimenti,  come  a  sacri  palladiL  Preservandosi 
sempre  incolume  dai  delirii  e  dai  delitti  de'  volghi  oltramontani; 
inaugurerà  dessa  un  giorno,  ostia  maggiore ,  Y  armonico  conserto 
di  tutti  i  ceti  in  un  popolo  ossequiente  al  diritto  e  all'equità. 
Fatto  è  per  altro,  che  anche  qui  bande  servili  si  raccozzarono 
testò  in  Romagna  e  su  quel  di  Benevento;  né  si  sa  fin  dove  la 
disperazione,  in  questa  disfatta  de'  sentimenti  generosi  e  gentili, 
possa  andare.  Indubbiamente  anche  qui ,  non  meno  d' altrove ,  le 
cose  volgono  ornai  a  tal  termine ,  che  già  di  per  sé  le  si  sconnet- 
tono. E ,  come  negli  organismi  infermi  tendono  i  diversi  elementi 
a  disgregarsi,  fìn  che  nella  morte  non  vi  sia  più  nesso  tra  loro, 
e  ognuno  riprenda  la  propria  individualità;  cosi  accade  ora  nelle 
compagi  politiche.  Il  cui  amalgama,  sciolti  i  legami  della  reli- 
gione e  della  patria,  vulnerate  la  famiglia  e  la  proprietà,  ridotto 
il  consorzio  civile  a  funzioni  meramente  negative,  accarezzato 
l'egoismo  in  tutte  le  guise  possibili,  scrollati  i  fondan^enti  del- 
l'onestà pubblica,  comincia  già  a  disfarsi.  Laonde,  dicendo,  che 
la  borghese  tirannide  conduce  alla  dissoluzione  come  a  naturai 
meta ,  io  dico  meno  di  quello ,  che  dovrei.  Dappoiché  que'  due 
fulcri,  in  che  le  utopie  socialistiche  più  estreme  si  aggirino, 
0  in  somma  que'  due  sistemi ,  che  conducono  all'  anar^ia  ed 


-499- 

alla  promiscuità,  sono  né  più  né  meno  quelli  propri  della  plu- 
tocrazia. Alla  quale  è  già  ìnsito  il  socialismo:  sacrificando  essa 
religione  e  patria  e  famiglia  alla  proprietà,  e  violentando  del 
resto  a  suo  prò'  quelle  medesime  funzioni  economiche,  di  cui 
unicamente  sì  cura.  Ed  è  anzi  essa  stessa  in  azione  il  più  enor- 
me ed  orrido  socialismo,  che  immaginar  si  possa;  importando 
una  rinnegazionc  de'  più  essenziali  istituti  dell'  umana  società  e  de' 
più  puri  sentimenti  dell'  umana  natura.  Né  vi  è  altra  difiérenza 
tra  essa  e  i  socialisti  novatori,  se  non  che  questi  sottopongono 
gr  interessi  morali  del  civil  consorzio  ag^'  interessi  materiali  di 
tutti  gV  individui;  ed  essa  in  vece  di  que'soli,  che  concernono  la 
propria  casta.  Nondimeno  agli  uni  ed  air  altra  è  comune  il  sot- 
toporre la  civiltà  all'economia,  l'intelligenza  all'industria,  F aspi- 
razione all'istinto,  l'umanesimo  alla  ferità,  l'anima  al  corpo;  e 
il  non  preoccuparsi,  che  delle  ricchezze,  o  per  rivendicarle  e 
acquistarle,  o  ()er  mantenerle  e  moltiplicarle.  Mentre  la  plutocra- 
zia, impadronitasi  della  repubblica,  già  se  ne  serve  come  d'una 
fattoria  socialistica;  e  la  sfrutta  per  suo  conto  e,  per  isfhittarla, 
la  va  esaurendo  e  struggendo,  né  più,  né  meno  di  queUo  una 
socialistica  compagnia  farebbe. 


CCGXXXVI.  IstigaiioBi  della  IwrghMiA  al  aMialioMi 

Ma,  prescindendo  da  ciò  e  dal  socialismo  già  attuato  nello 
stesso  ordine  economico  cogl' ingenti  accatti  camerali,  colle  turbe  di 
provvisionati  pubblici,  colle  imposte  spogliatrid,  co' confiscati  patri- 
moni de'  corpi  morali  e  col  larvato  erariale  fallimento;  é  indubitalo, 
la  tirannide  borghese  provocare  suo  mal  grado  il  sawertimento 
li  tutti  gli  ordini  costituiti,  e  ricercare  in  questo  appunto  la  sua 
[)ropria  maniera  d'espiazione.  Perchè  certo  ella  non  vorrebbe  in 
tal  guisa  (mire:  e  tuttavia  non  la  fa,  che  allettare  e  incitare  i  suoi 
sudditi  0  i  suoi  schiavi  a  tinto.  I  quali  non  hanno,  che  a  seguire  i 
suoi  suggerimenti  ed  ammaestramenti,  attendendo  all'utilità  senza 
curarsi  del  dovere  e  procacciando  ciascuno  il  proprio  conunodo 
senza  curarsi  del  prossimo,  per  divenir  ministri  di  quella  espiazio- 
ne. Fino  i  soldati  e  i  poeti  invitano  oggidì  i  popoli  a  non  emularsi 
in  altro,  che  in  quelle,  cui  eglino  chiamano  arti  della  pace,  owe- 
ramente  nelle  industrie  meccaniche  e  mercantili;  e  a  non  ripone 
in  altro  d' ora  innanzi  le  lor  glorie,  che  nelle  mostre  industriali. 


( 


—  500- 

Di  guisa  che  Y  ideale  de'  miei  contemporanei  è  il  considerarsi 
esseri  puramente  industriosi,  o  una  specie  superiore  di  castori 
e  di  formiche,  che  calpestano  e  scavano  questa  crosta  terrestre 
unicamente  per  fabbricare  e  per  ammucchiare,  per  produrre  e 
per  consumare.  Co'  quali  principii ,  se  fossero  a  pieno  osservati , 
credo,  che  in  capo  a  poche  generazioni  gli  uomini  tornerebbero 
a  imbestiarsi;  e  che  a  non  lungo  andare  non  solamente  i  loro 
ordini  e  vincoh,  ma  fino  i  loro  intelletti  e  cuori  verrebbero  me- 
no. Pur,  chi  negasse  cotale  effetto,  non  potrebbe  negare,  que'  con- 
sigli e  (ciò,  che  più  importa)  quegli  esempi,  che  gli  accompa- 
gnano, essere  i  più  atti  a  suscitare  i  conati  sovversivi.  Concios- 
siaclìè  è  vero,  che  i  padroni  o  i  tiranni  Ihtendono,  non  dovere 
ritorcersi  a  lor  danno  :  ma  i  sudditi  o  gli  schiavi  intendono  e  deb- 
bono intendere  altrimenti.  Se  cioè  ognMdealità  è  bandita,  se  più 
niente  di  nobile  e  di  generoso  si  apprezza,  se  uniche  regole  ri- 
mangono il  tornaconto  e  Y  egoismo;  e  se  non  si  tratta  più ,  che 
di  lavorare  e  di  lucrare,  e  di  pascersi  e  di  godere:  la  logica 
vuole,  che  chi  più  può  e  più  soffre  si  alzi ,  e  schiacci  il  fiacco  e  il 
gaudente.  E  pertanto  basta,  che  i  ceti  più  numerosi  e  più  infe- 
lici si  contino  e  si  consultino,  ed  osservino  ed  applichino  fedel- 
mente i  consigU  e  gli  esempi  dati  loro  dal  ceto  più  scarso  e  più 
avventurato,  per  sopraffarnelo.  Imperocché  gli  unici  sentimenti, 
che  ne  ^li  potrebbero  distorre ,  quali  la  benevolenza  e  Y  annega- 
zione ,  r  amor  de'  concittadini  e  il  timor  de'  numi . . . ,  questi  fu- 
rono dalla  borghesia  derisi  e  infamati.  La  quale,  mentre  tolse 
alle  plebi  colali  ritegni  spirittmli,  che  le  potrebbono  almen  ren- 
dere pazienti  agli  oltraggi  ;  d'  altra  parte  moltiplicò  questi  in  tal 
modo,  che,  se  le  avessero  le  virtù  degli  angeli,  appena  potreb- 
bono rassegnarvisi. 


CCGXXXVII.  ProYOoasioiii  della  borgrliesia  al  sodalinM. 

Noi  vedemmo  in  fatti  nel  corso  di  questo  libro,  quanti  torti 
si  sieno  contro  le  medesime  commessi,  e  con  quanta  indifferenza 
e  con  quanta  inverecondia.  Assoggettandole  al  servigio  militare, 
le  si  sono  in  pari  tempo  private  de'  suffragi  e  quindi  defia  citta- 
dinanza nello  stato  col  concorso  loro  fondato  e  da  lor  difeso. 
Spogliandole  dcMasciti  de' maggiori,  che  soccorrevano  alle  lor 
distrette,  le  si  sono  insieme  aggravate,  per  esooerare  gli  ab- 


-501  - 

bienti  e  i  voluttuosi,  in  proporzione  de' loro  bisogni  e  de'lor  pa- 
timenti. Né  quasi  manca  altro,  se  non  fosse  utile  il  lor  servìgio, 
cbe  di  farnele  sgomberare;  poiché  non  vi  é  i»ù  una  zolla,  che  le 
sopporti,  né  vive,  né  morte.  Cosi  ch'elle  in  sostanza,  se  non 
più  per  ragioni  giuridiche  o  di  precetto,  certo  per  ragioni  eco- 
nomiche 0  di  fatto,  vivono  come  masnade  di  servi,  non  curate 
per  altro,  che  per  essere  puUtamente  angariate  e  vessate.  E  questi 
non  sono,  che  alcuni  de' torti  pubblici:  ma  chi  potrebbe  tntt'i 
privati  annoverare,  che  di  per  di,  persona  per  persona,  sono  loro 
fatti  soffrire  da' privati?  Pare  ora  un  portento,  se  alcuni  ricchi 
assegnano  una  tenue  porzione  delle  proprie  entrate  a  edificar 
({uaiche  scuola,  asilo  o  spedale  a  pro'degU  sciagurati,  cui  egli- 
no (per  esempio)  accatastano  e  macerano  nelle  lor  fabbriche,  e 
co' cui  sudori  e  col  cui  sangue  tesoreggiano.  Pognamo,  eh' e' vi 
consacrassero  tutti  quanti  i  lor  frutti  annuali,  e  che  non  mettes^ 
sero  in  serbo  verun  milione  di  lire,  facendo  in  tal  guisa  i  filan- 
tropi. Sarebbe  già  molto,  che  semplici  cittadini  si  atteggino  coA 
ne'  propri  feudi  industriali  a  castellani  benefici  e  a  signori  magnì- 
lici;  e  che  in  pien  secolo  decimonono  si  creino  cosi  unadientela 
d'uomini  ligi,  col  solo  merito  di  sovvenir  la  miseria,  da  loro 
fomcnUita,  co' quattrini  da  costoro  guadagnati.  Pure  questo,  ripeto, 
pare  ora  un  portento:  e  lo  é  di  fatti,  se  si  considera  il  noiodo, 
in  cui  si  compoitano  per  solito  i  ricchi,  e  q)eciahnente  i  ricchi 
rifatti.  Giacché,  se  si  vuol  trovare  ancora  qualche  reliquia  di  cor- 
tesia, d'ospiLilità  e  d'amabiUtà  nel  mondo,  e  fin  di  dolcezza  eo- 
gr inferiori,  d'afTabiHtà  co'mendici  e  di  confidenza  conservi,  bi- 
sogiia  proprio  in  qualche  antica  magione  rientrare.  Menure  nelle 
nuove  case,  custodite  con  altrettanto  sospetto,  che  gli  scrigni,  il 
più  sovente  non  si  assiste,  che  a  scene  di  durezza,  di  burbanza 
e  d' oltraeotanza.  Né  di  regola  vi  é  miglior  segno  per  riconoscere 
i  moderni  Cresi,  compresi  i  filantropi  dianzi  accennati,  se  non 
di  guardare  al  tratto  :  il  quale  naturalmente  tanto  più  6  orgoglio- 
so, arcigno  e  insolente,  quanto  più  vicmo,  fitto  e  profondo  il 
fango,  donde  emersero.  A  non  tener  conto  di  dò,  i  ricchi  vec- 
chi e  nuovi  hanno  questo  di  comune:  di  non  avvertir  punto  h 
marea,  che  monta;  e  colla  loro  prodigalità  brutale  da  un  Iato, 
({uanlo  colla  loro  spilorceria  dall'altro,  disfidare  troppo  incauta- 
mente la  pazienza  de'  miseri  e  de'  tribolati.  I  quali  comportano  al 
il  cotidiano  spettacolo,  eh'  é  già  un'onta  cotidiana  alla  giostiiia, 
dell' impura  sorgente  delle  maggiori  riochezie:  non,  die  ebi  le 


-502- 

ha  male  o  bene  acquistate,  le  usi  insultandogli.  E  assai  piii,  che 
dell'avaro,  il  cui  cuore  e  fors'anco  il  cui  cervello  stanno  ornai 
rinchiusi  nell'arca  de' danari;  s'indignano  dello  scioperato,  che  fon- 
de senza  discrezione  e  fin  quasi  senza  scopo  gì'  immeritati  tesori 
in  cocchi  e  in  giuochi,  in  scommesse  e  in  gozzoviglie:  mentre 
ei  non  hanno  di  che  coprirsi  e  dì  che  sfamarsi. 


CCGXXXYIII.  PosBibilità  deUa  graem  serrUe. 

Intanto  la  condizione  economica  delle  moltitudini,  in  onta  ai 
vanti  degli  economisti,  rendesi  sempre  più  grave  e  intollerabile. 
Tanto  che ,  per  non  ridir  d' altro  (  ed  è  del  resto  tutto  quello , 
che  di  più  atroce  si  possa  asserire  ),  ho  già  notato,  l' alimentazione 
del  popolo  italiano  non  bastare  più  all'  uopo.  Donde  la  fre- 
quente mortalità  de'  bambini  e  la  rada  longevità  degli  adulti ,  io 
confronto  d'altre  contrade;  e  la  senilità  precoce  delle  donne  e 
l'orrida  pellagra  de' contadini.  La  qual  condizione,  ancor  che 
fosse  negli  andati  tempi  uguale,  ora  è  vie  più  resa  grave  e  in- 
tollerabile dalla  stessa  libertà  vera  o  supposta,  che  lascia  senza 
protezione  o  aita  i  bisognevoli.  Perciocché  allora  tutti  ne*  rispet- 
tivi cerchi  della  società,  in  cui  erano  posti,  aveano  un  fermo  e 
stabile  assetto;  e  lino  i  servi  della  gleba  erano  da' {n'opri  pa- 
droni vestiti  e  nudriti.  Oggi  ciascuno  vive  in  una  sorte  precaria 
e  incerta,  lusingato  più  dalla  speranza  e  deluso  più  dalla  for- 
tuna; e  chi  ha  fame,  ha  da  morir  digiuno.  La  carità  non  è  af- 
fatto estinta,  sebben  quasi  già  distruttone  l'avito  retaggio;  per- 
cliè  dall'  Italia  non  potè  né  anco  la  borghesia  del  tutto  bandirla. 
Ella  tuttavia  è  divenuta  si  gretta  e  stretta,  ed  anco  si  fredda  e 
crudele,  che  non  si  sa,  se  la  rimanga  per  beneOcare  o  per  tonnen- 
tare.  È  dogma ,  come  ho  detto,  della  morale  borghese,  che  ognu- 
no deva  ajutarsi  da  sé;  e  che,  se  non  né  capace,  niuno  deva 
assisterlo,  dovesse  crepar  come  un  cane.  Tuttavia  i  migUori  con- 
sentono d' assistere  chi  sa  ajutarsi  colle  casse  di  risparmio  e  eoo 
cotali  istituzioni ,  e  Un  d' alimentare  chi  non  sa  lutarsi  ne'  pub- 
blici ospizi  0,  conr  ei  gli  chiamano  cinicamente,  depòsiti  di 
meìidicità.  In  quest'ultimo  caso  però,  vietata  la  questua,  ne  gii 
rinchiudono  entro  per  forza,  e  gli  mettono  poi  senz'altro  in  pri- 
gione, se  n'escono:  acciocché  paghino  di  libertà.  Ma,  siccome 
la  poveraglia  cresce,  e  cresce  fuor  misura,  mentre  se  n' è  di- 


-  503- 

sporse  il  patrimonio;  cosi  oggi  col  vangelo  di  Malthus  le  inti- 
mano (li  non  generare:  domani  (chi  lo  sa?)  forse  d'uccidersi. 
Che,  se  tuttavia  ella  si  rammarica  e  freme,  non  mancano  i  fa- 
mosi uomini  pratici,  e  per  sino  certi  giornalisti  reputati,  di  proporre 
j)or  ultimo  rimedio  la  polvere  e  il  piomho.  Or,  se  con  tal  sorta 
di  provocazioni  le  vittime  deir  oppressione  mercenaria  non  in- 
sorgono, noi  dobbiamo  confessare,  che  non  è  già  perchè  le  cause 
manchino;  sì  perchè  la  bontà  di  quelle  supera  molto  la  nialva- 
giià  (li  (jucsta.  E  per  fermo  le  inclite  plebi  italiane,  che  furono  già 
onorate  de' consolati  e  de' trioni!,  sono  di  tanta  mansuetudine  do- 
tato nella  lor  fortezza  e  di  tanta  prudenza  nella  loro  magnani- 
mità; che  io  credo,  nemmanco  nel  parossismo  del  dolore  e  nel- 
r  olibrozza  doli' ira,  potrebbono  mai  le  stragi  e  i  saturnali  de* 
vol-rhi  francesi  imitare.  Se  non  che  nella  mansuetudine  e  nelLi 
prudenza  dogli  uomini  poco  è  a  fidarsi,  quando  il  dolore  e  Tira 
trabocchino;  e  vie  più  quando,  p(;r  usare  una  frase  oggi  in  voga,  si 
tratta  (lolla  ((  lotta  per  l'esistenza  )>.  E  pertanto,  die  i  plebei 
(T  Italia  corcassero  d'  arrancarsi  da  quella  oppressione  ne'  modi 
civili  e  legittimi,  come  già  i  maggiori  loro  in  Roma,  sarebbe 
giusto:  e  i)uò  darsi,  che  cosi  facciano.  I  consigli  e  gli  esempi  e 
lo  (irovocazioni  e  tutto  lo  spirito  del  secolo  vogliono  in  vece, 
conn»  testò  vedemmo,  una  l)en  diversa  cosa.  Non  cioè  il  miglio- 
ramento del  civile  consorzio;  ma  la  distruzione  o,  che  fa  lo  stesso, 
r  altora/iono  del  medesimo  in  guisa,  che  non  possa  più  sussistere. 
Non  \^  rivendicazione  de' diritti  alla  romana;  ma,  alla  barbara, 
la  rivoluzione,  la  rivincita  e  la  rappresaglia  delle  prepotenze.  E 
non  lo  torme  calme,  solenni  e  sacre  di  procedura;  ma  i  ciechi 
furori,  i  postumi  risentimenti  e  le  sanguinose  vendette. 


(.CCXXXIX.  Minaccia  della  guerra  serrile. 

dio  appunto  soprasta  ora  all'  Europa  col  nome  di  «  guerra 
sociale  »,  e  cui  io  dimanderò,  secondo  l'uso  degli  avi  nostri, 
<i  servilo  »  :  somj>re  che  la  s' intenda  da  un  Catilina,  piuttosto  che 
da  nno'Spartaco  capitanata.  La  quale,  per  quanto  stolta  e  iniqua, 
che  abbia  facile  esca  di  proromjìcre  e  d' imperversare,  sembrami, 
sia  dimostro  dalle  stosse  circostanze,  in  che  avrebbe  a  sorgere. 
Posciachò,  pur  proscindendo  dalla  materia  attissima,  che  c'è,  e 
dalla  poderosità  immensa  di  chi  l'avrebbe  a  iotrapreodere  (se 


-504  - 

non  altro  per  la  copia  de'  combattenti  )  ;  Y  individualismo  ora  su- 
blimato a  sistema  è  appunto  quella  tal  causa,  che  rende  possibile 
e  il  fare  e  il  tollerare  nelle  repubbliclie  e  negV  imperi  le  mag- 
giori enormità.  Voglio  dire,  che  i  popoli  ogni  poco  uniti  d*  animo 
non  diventano  di  leggieri  preda  di  questa  o  quella  sopralTaziooe  : 
poiché  ogni  cittadino  cospira  anche  tacitamente  cogli  altri  per 
la  reciproca  difesa,  ed  è  pronto  a  insorgere  pel  comun  diritto. 
In  vece  il  contrario  accade  a' popoli  disuniti,  presso  i  quaU  ogni 
cittadino  (  innanzi  al  comun  pericolo  non  pensando,  che  a  salvare 
sé  medesimo)  lascia  commettere  qualunque  scelleratezza  sugli 
altri  ;  né  s' accorge  del  proprio  errore,  se  non  quando  lo  stia  esso 
stesso  espiando.  Così  spiegasi,  come  i  romani  degenerali  soppor- 
tassero non  solamente  Cesare  e  Augusto,  ma  que*  quattro  mostri 
adottivi  della  casa  Giulia,  che  poi  seguirono;  lasciandosi  i  più  il- 
lustri e  i  [)\\i  valorosi  di  loro  vilipendere  grado  a  grado  e  moz- 
zare il  capo  uno  ad  uno  da  quattro  forsennati,  senza  né  anco  re- 
sistere. E  così  accadrebbe  in  un'  impresa  stolta  e  iniqua  d*  af- 
francazione oggidì,  ctie  costoro  appunto,  che  la  eccitano  e  di- 
sprezzano ;  dato  ciie  la  sopravvenisse,  pel  queto  vivere  e  |)el  pi?n- 
sar  ciascuno  a'  casi  propri ,  le  darebbon  licenza  e  favore.  Come 
adumiue  alcuni  de'  due  ceti  maggiori  propugnano  la  reazione  colla 
fazion  clericale,  così  alcuni  del  quarto  propugnano  la  dissoluzione 
della  società  costituita  colla  guerra  servile.  Le  quali  due  Eume- 
nidi,  se  non  ci  si  provvede,  Tuna  prima  e  T  altra  di  foì  aspet- 
tano il  ter/o  ceto  «Mia  iliie  del  suo  cammino  per  punirlo.  Conoedo 
bene,  che  la  dissoluzione  non  si  potrebbe  del  tutto  raggiungere, 
siccome  già  né  anco  del  tutto  la  reazione:  o  che,  appena  rag- 
giunta, tosto  darebbe  a  una  novella  creazione  luogo.  Nondimeno, 
ammesse  V  inanità  e  la  malvagità  de'  conati  sociaUstici  d*  ogni  ma- 
niera, ciò  non  toglie,  che  si  possano  intraprendere  ;  e  che  in  tale 
intrapresa  vi  sia  tutto  che  di  più  estremo  e  di  più  odioso  vi 
l)Ossa  esser  nel  mondo.  Giacché  gli  uomini,  assumendo  T  angelica 
natura,  {)Otrebl)ero ,  io  mi  credo,  senza  i  ceppi  sociali  convivere: 
ma  nello  stato  di  colpa  tanto  più  ne  hanno  mestieri,  quanto  più 
colpevoli.  E  in  tale  stato  il  tentare  di  liberarnegli  colla  Wolenza, 
oltre  vano,  é  anclie  funesto  :  respingendogli  vie  più  lunge  da  quella 
perfezione,  a  cui  non  possono,  che  pel  tramite  della  società,  per- 
venire; {)  ricacciandogli,  se  fosse  possibile,  nel  prìstino  ferìno  er- 
rore. D'altro  evìnto  le  plebi  non  si  possono  alTrancare,  che  pro- 
prio invocando  la  ^'iustizia  civile;  mentre  la  più  santa  causa  (ed 


—  505  — 

è  |)or  fermo  santissima  la  loro  ),  co'  mezzi  crudeli  e  infami  si  di- 
sonorerebbe e  rovinerebbe.  E  in  fine,  il  risultato  unico  d'una 
guerra  servile,  anche  appena  iniziata,  nelle  condizioni  più  miti 
e  nella  ipotesi  più  benigna,  sarebbe  un  tale  sfogo  di  passioni  rab- 
biose e  perveree,  per  cui  io  non  dico  i  rei,  ma  sino  gì' inno- 
centi dovrebbero  tremare. 


(ÌCCXL.  Conolnsioiie. 

Ebbene  io  so,  che  la  tirannide  borghese  deve  finire  in  breve, 
e  che  dalle  proprie  iniquità  sarebbe  di  per  sé  sospinta,  precisa- 
mente nelle  due  guise  testé  dette,  a  capitar  male.  Pure  io  non 
dispero  (  sebbene  ella  a  ogni  modo  deva  capitar  male  ),  che  ambo 
questi  tlagelli,  o  V  uno  o  T  altro,  si  possano  con  un  grande  sforzo 
di  virtù  scongiurare;  e  che  ne' danni  di  quella  non  abbiano  ad 
essere  avvolti  coloro,  che  ne  furono  autori  o  strumenti.  L' uma- 
nità certamente  dee  procedere  innanzi  e  salire  in  alto,  e  la  pa- 
tria nostra  tornar  degna  di  sé  medesima,  seguano  o  non  seguano 
tali  llagelli.  Ned  io  dubito  dell'  incesso  della  prima  e  del  trionfo 
della  seconda:  e  per  parte  mia  sono  già  rassegnato  a  sopportare 
co'  miei  contemporanei  tutte  le  prove  dolorose,  eh'  egli  hanno  vo- 
luto preparare;  confidando  nella  vittoria  de' posteri  e  confortan- 
domi in  (piesta.  Ciò  non  ostante,  sarebbe  desiderabile,  che  il  bene 
avvenire  si  potesse  raggiungere  senza  tanto  male  attuale;  e  af- 
frettarlo quanto  più  possibile  e,  direi  quasi,  goderlo  o  almeno 
pregustarlo  anche  noi.  Ora,  vi  è  un  mezzo,  per  evitare  tanto  la 
retrocessione,  quanto  il  sovvertimento;  e  per  uscire  dalla  presente 
a|/orjia  alla  vita,  senz'affliggersi  con  pericoli  e  timori,  e  senza 
contaminarsi  con  delitti  e  rimorsi.  Vi  è  un  mezzo  per  domare  i 
tiranni  e  per  redimere  gli  schiavi,  quasi  di  reciproco  consenso  e 
certo  con  reciproca  indulgenza.  Un  mezzo,  per  cui  i  felici  d' oggi 
non  sieno  nelle  giuste  gioje  turbali,  e  gì'  infehci  sieno  delle  giu- 
ste gioje  resi  partecipi.  Un  mezzo,  per  cui  i  benefìcii  del  consorzio 
comune  sieno  conservati  a  coloro,  che  gli  fruiscono  adesso,  e  co- 
munieati  agli  altri,  che  ne  sono  diseredati;  e  accresciuti  per  tutti 
nella  majj^giore  e  miglior  guisa,  ne' termini  del  diritto  e  dell'equità. 
Un  mezzo  alla  line,  in  grazia  del  quale  1'  umanità  rientri  nel  regal 
sentiero,  e  la  patria  nostra  riacquisti  in  breve  l' antico  splendore. 
Ed  è  lineilo  appunto  additato  nel  libro,  che  seguita,  e  che  ha  per 


-  506  - 

titolo  la  Riforma  civile  :  al  qiiale,  mici  buoni  lettori,  siccome  \i 
ho  promesso,  io  vi  rimetto.  Passiamo  adunque,  se  vi  aggrada, 
dair  lUilia  vituperata  da'  faccendieri  e  assassinata  da'  pubblicani 
air  Italia  vaticinata  da'  profeti  e  benedetta  da'  martiri ,  dall'  Italia 
bastarda  e  guasta  all'  Italia  legittima  e  santa ,  dall'  It;)lia  presente 
e  falsa  all'  Italia  futura  e  vera,  dal  monoiìolio  oligarchico  alla  so- 
vranit(\  popolare,  dalla  tirannide  Imrgliese  al  buono  stato. 

Bolnf?na,  l  luplio  1S7JI. 


INDICE 


Indizi  della  borghesu 

I.  Introduzione 

II.  Spettacolo  de' mali  d'Italia 

IH.  Dissimulazione  de'  mali  d*  Italia 

IV.  Assunto  deir  opera  presente      ,...,., 

V.  Giustificazione  dell'opera  presente 

VI.  Proposito  di  dire  la  verità  aperta 

VII.  Causa  massima  delle  odierne  soflferentt  .    .    .    . 
Vili.  Tirannide  borghese 

IX.  Seniore  della  tirannide  borghese 

X.  Fisonomia  della  tirannide  borghese     .... 

XI.  Compito  della  tirannide  borghese 

XII.  Idee  antiche  della  tirannide 

XIII.  Elementi  essenziali  della  tirannide    .    .    .    .    . 

XIV.  Tirannide  collettiva 

XV.  Tirannide  impersonale 

XVI.  Borghesia  estrinseca  e  formale 

XVII.  Novero  de'  borghesi  in  Italit 

XVIII.  Boi^hesia  intrinseca  e  sostanxiale 

Origini  della  borghesia 

XIX.  Cenni  storici  sui  ceti 

XX.  Caste  orientali 

XXI.  Democrazia  ebraica  e  borghesia  knkm     .    .    . 

XXII.  Ceti  nella  società  ellenica 

XXIII.  Antiche  stirpi  italiche 

XXIV.  Fusione  delle  antiche  stirpi  italiche    .    .    .    . 

XXV.  Ceti  nella  società  italica 

XXVI.  Indole  della  società  italica 

XXVII.  Rirugio  delle  genti  rejette  in  Roma  .    .    .    . 

XXVIII.  Aggivgazione  de'  vinti  alla  romana  compagoi» 

XXIX.  Guerra  sociale 

XXX.  Patriziato  e  plebe  in  Rofflt 


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XXXI.  Contenzioni  tra  patriziato  e  plebe >  i6 

XXXII.  Riscatto  della  romana  plebe '.  >  i8 

XXXIII.  Bassa  borghesia  in  Roma »  49 

XXXIV.  Alla  borghesia  in  Roma •  50 

XXXV.  Sorte  del  proletariato  romano >  5J 

XXXVI.  Gesta  tribunizie  de'  Gracchi >  53 

XXXVII.  Fazione  popolesca  di  Mario •  54 

XXXVIII.  Guerre  civili >  55 

XXXIX.  Condizione  de*  servi  in  Roma »  57 

XL.  Guerre  servili »  58 

XLI.  Ceti  sotto  r  impero »  59 

XLII.  Vocazione  umanitaria  di  Roma >  60 

XLIII.  Infezione  delle  usanze  straniere »  61 

XLIV.  Potenzialità  civile  di  Roma »  62 

XLV.  Inettitudine  del  cristianesimo  a  redimere  gli  oppressi  ...»  64 

XLVI.  Invasioni  de'  barbari >  65 

XLVH.  Ceti  presso  i  germani »  B6 

XLVIIl.  Sottoposizione  degl'  italiani  a'  longobardi »  67 

XLIX.  Ceti  degr  italiani  sotto  la  franca  dofiinazione >  68 

L.  Ceti  degr  italiani  al  sorgere  de*  comuni t  70 

LI.  Ordine  cittadinesco  ne*  comuni »  71 

Lll.  Condizione  de*  rustici  a*  tempi  de*  comuni >  72 

LUI.  Lunga  durata  della  servitù  nel  cristianesimo »  73 

LIV.  Lotte  tra  nobiltà  e  popolo  in  Venezia  e  in  Roma   ....  >  74 

LV.  Lotte  nella  Lombardia >  75 

LVI.  Lolle  nella  Marca  trivigiana  e  in  Bolopa >  T7 

LVII.  Lotte  in  Genova  e  in  Siena »  78 

LVIII.  Popolo  grasso  e  magro  in  Firenze >  79 

LIX.  Ceti  prevalenti  ne*  comuni  italiani »  81 

LX.  Fiore  della  borghesia  nell*  Italia  medievale >  82 

LXL  Sistema  feudale  d*  oltre  monti »  83 

LXII.  Conali  del  terzo  e  quarto  ceto  oltre  monti >  84 

•  LXIII.  Tardi  vagiti  della  borghesia  oltramontana »  86 

LXIV.  Rivolgiinenli  deli*  ottantanove »  87 

LXV.  Innalzamento  della  borghesia  moderna >  89 

LXVI.  Trionfo  del  terzo  celo  in  Francia >  90 

LXVII.  Fremilo  del  quarto  ceto  in  Europa •  92 

Stato  borghese 

LXVI  lì.  Passata  della  borghesia  moderna  in  Italia       >  94 

LXIX.  Imprese  per  la  redenzione  d'Italia »  95 

LXX.  Cospirazione  popolare  de*  mazziniani »  97 

LXXI.  Cospirazione  borghese  de*  moderati >  99 

LXXII.  Esaltazione  de'  moderati »  100 

LXXIll.  Trionfo  de*  moderaU     .    .    .    .    • »  101 


LXXIY.  Disfatta  de*  mazziniani 

LXXV.  Favorì  della  fortuna  a*  moderati 

LXXVI.  Ajuli  della  nazione  a*  moderati 

LXXVII.  Inopia  morale  de*  moderati 

LXXVIII.  Instaurazione  del  dominio  borghese  per  opera  de* moderati 

LXXIX.  Lustre  democratiche  della  borghesia 

LXXX.  Democrazia  barbarica 

LXXXl.  Democrazia  egoistica 

LXXXII.  Democrazia  folsa •.    . 

LXXX  III.  Contraffazione  della  società  civile 

LXXXIV.  Concetto  negativo  dello  stato  moderno 

LXXXV.  Concetto  ultroneo  dello  stato  moderno 

LXXXVI.  Concetto  estemporaneo  dello  stato  moderno      .    .    .    . 

LXXX  VII.  Indole  cosmopolitica  dello  stato  borghese 

LXXX  Vili.  Indole  mercantile  ddlo  stato  borghese 

LXXXIX.  Indole  economica  dello  stato  borghese 

Reaìt.imcnto  borghese 

XC.  Sovranità  usurpata  dalla  borghesia  in  Italia 

XCI.  Prìvilcgio  de*  pubblici  suffragi 

XCII.  Statistica  elettorale  italiana 

xeni.  Degradazione  civica  inflitta  al  popolo  italiano 

XCIV.  Protesti  per  la  civica  degradazione 

XCV.  Plutocrazia  essenziale  alle  dominazioni  borghesi      .    .    .    . 
XCVl.  Forma  mista  di  reggimento  preferita  dalla  boi^hesìa      .    . 

XCVII.  Ordini  dinastico  rappresentativi 

XCVIII.  Regno  di  specie  germanica 

XCIX.  Costituzione  di  tipo  britannico 

C.  Umile  condizione  del  monarcato  sotto  h  borghesia     .    .    .    . 

CI.  Impotenza  de'  principi  borghesi . 

CU.  Miseria  de'  principi  borghesi 

CHI.  Calamità  de*  prìncipi  borghesi 

CIV.  Senato  nel  reggimento  borghese 

CV.  Disutilità  do*  senatori  borghesi 

evi.  Congegni  parlamentari 

CVII.  Prepotenza  ap|)arente  del  voler  de*  più 

CVIII.  Prepotenza  reale  del  voler  de*  meno 

CIX.  Cosa  pubblica  in  mano  alle  (azioni  .    .    .    .  * 

ex.  Sistema  delle  fazioni 

CXI.  Fazioni  parlamentari  italiane 

CXII.  Fnzioni  de'  moderati  e  de*  progressisti 

ex  III.  Cupitomboio  de*  moderati 

CXIV.  Diversità  apparente  de*  moderati  e  de'progreflistl  .    .    .    < 

CXV.  Identitiì  reale  de*  moderati  e  de*  progressisti 

(*XVI.  Crìterìo  soggettivo  deBe  fimoni  pariamentarì     .... 


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CXVII.  Supposta  necessità  delle  fazioni  parlamentari 

ex  Vili.  Giogo  posto  alla  volontà  individuale  dal  sistema  fazioso  . 
GXIX.  Giogo  posto  alla  volontà  comune  dal  sistema  faiioso  .  . 
GXX.  Arbitrio  della  podestà  esecutiva  verso  la  legislativa  .  .  , 
GXXI.  Arbitrio  nel  costituire  la  rappresentanza  nazionale  .  .  , 
GXXII.  Arbitrio  nel  determinare  la  rappresentanza  nazionale     .    . 

CXXIII.  Governo  privo  d' autorità  e  d'  eflGcacia , 

CXXIV.  Anarchia  insita  al  reggimento  borghese 

GXXV.  Reggimento  senza  ossequio  pubblico , 

CXXVI.  Reggimento  senza  pubblico  seguito 

Amministrazione  borghese 

GXXVII.  Unificazione  romana  delle  genti 

CXXVIIl.  Disunione  barbarica  delle  genti 

GXXIX.  Eserciti  della  borghesia  enormi  e  paciGci 

GXXX.  Maturi  destini  d*  Italia  nel  cinquantanove 

CXXXI.  Guerra  lombarda 

CXXXIl.  Guerra  veneta 

CXXXIII.  Milizia  italiana 

CXXXIV.  Amministrazione  esterna  del  regno  d*  Italia      .    .    .    . 

CXXXV.  Diplomazia  borghese , 

CXXXVI.  Lega  italo  francese 

CXXXVII.  Capitoli  settembrini , 

CXXXVIII.  Lega  italo  prussiana 

CXXXIX.  Neutralità  italica  nella  guerra  renana 

GXL.  Cose  diplomatiche  affidate  alla  ventura 

CXLI.  Venture  diplomatiche  affulate  al  caso       

CXLII.  Amministrazione  interna  del  regno  d*  Italia 

ex  LUI.  Dipendenza  dalle  bizze  parlamentari  e  dalle  brighe  oziose 

CXLIV.  Trascuranza  e  improvvidenza 

CXLV.  Altri  guai  dell'amministrazione  borghese 

CXLVI.  Vizio  cardinale  de' presenti  ordini  amministrativi      .    .    . 

CXLVII.  Italia  antica  retta  per  municipii 

CXLVI II.  Italia  odierna  retta  come  provincia 

CXLIX.  Beni  dell*  unità  e  indipendenza  nazionale  frustrati     .    .    . 

CL.  Danni  e  pericoli  del  falso  assetto  dato  all'  Italia 

GLI.  Casta  ministeriale 

CLII.  Servitù  dicaslerica  ' 

CLIII.  Infelicità  de'  pubblici  provvisionati  sotto  la  borghesia       .    . 

CLIV.  Incertezza  de'  pubblici  provvisionati 

CLV.  Agonia  de'  pubblici  provvisionali 

CLVI.  IVrverlimonto  de'  pubblici  ufUci  sotto  la  borghesia     .    .    . 

(!Ì.V1I.  Avvilimento  de'  pubblici  udìci 

Gfi'stizia  mmGiih:sE 

CLVIII.  Legislaziune  del  regno  d' Italia 


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CLIX.  Infrazioni  della  costìluzìone  politica     .    . 

(ÌLX.  Difetti  delle  leggi  civili 

CLXl.  Difelli  delle  leggi  penali 

CLXII.  Giustizia  nel  regno  dMtalia^  .... 
CLXIII.  Giustizia  punitiva  male  amministratv  . 
CLXIV.  Stato  deplorevole  della  pubblica  sicufeua 

CLXY.  Bassi  spedienti  di  polizia 

CLXVI.  Smarrimento  del  senso  giuridico      .    . 

CLXVII.  Magistratura  giudiziale 

GLXVllI.  Avvocheria  fiscale 

CLXIX.  Istituzioni  giudiziali  della  borghesia 
CLXX.  Giudizio  de*  giurati 


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LXXI.  Patrocinio  forense 

LXXII.  Immunità  procacciata  a*  rei 

LXXIII.  Ristabilimento  delle  taglie 

fAXIV.  Danno  delle  taglie 

LXXV.  Sconvenienza  delle  taglie 

LXXVI.  Tripudio  del  male 

KI.MIONE  liOI\(;iIESE 

f.XXVn.  Correlazione  tra  gli  stabilimenti  civili  e  religiosi  .    .    . 

lAXflII.  Pratiche  conseguenze  delle  religioni 

LXXIX.  Principio  borghese  dell*  ateismo  politico 

LXXX.  Confutazione  dell*  ateismo  politico 

fAXXI.  Concotto  classico  delle  religioni 

LXXXII.  Esempio  odierno  di  gentilesimo 

LXXXUI.  Contrasto  tra  gentilesimo  e  giudaismo 

LXXXIV.  Essenza  propria  del  galileismo 

I.XXXV.  Holuttanza  del  galileismo  agli  ordini  citili 

LXXXVI.  Correzione  parziale  del  galileismo 

CLXX XVII.  Gerarchia  romana  preservatrìce  della  citiltà  .    .    .    . 

LXXXVI  IL  Gerarchia  romana  restauratrice  defl*  impero  .... 

LXXXIX.  Tentato  ritorno  al  gentilesimo  antico 

XC.  Sentir  religioso  degl*  italiani  a  modo  classico 

XCl.  Rivincita  de'  barbari  contro  il  romanesimo 

XCll.  Errori  della  riforma  germanica 

xeni.  Giudaismo  risuscitato  dalla  rìfonna 

CXCIV.  Uroncio  del  papato  per  causa  della  rìronna 

CXCV.  SisiiMna  dagl*  italiani  contrapposto  alla  tirannide  papale  .    . 

(.X(.VL  Riassunto  del  sistema  di  resistenza  cifile 

CXCVll.  Formula  del  sistema  di  resistcnia  civile 

CXCVUL  SisUMiia  borghese  della  indiflerena  religiosa  .  .  .  . 
CXCIX.  Applicazione  del  sistema  della  indifferena  od  regno  (T  Italia 
ce.  Iiididei-enza  accompagnata  dalla  reli|iosi  oppressioiie  .  .  . 
CCI.  Vili|K'udi  inflitti  alla  religiooe  <M  popolo  ilatiino     .    .    .    . 


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CsCU.  Ostacoli  frapposti  alla  religione  del  popolo  italiano      .    .    . 

(XIII.  Spoglio  della  chiesa  in  Italia 

CCIY.  Momentaneo  ravvedimento  della  polizia  ecclesiastica  borghese 
CGY.  Funesti  elT<Hti  della  polizia  ecclesiastica  borghese     .    .    .    . 

GGVI.  Orrida  procreazione  della  bizion  nera 

GGVII.  Probabile  trionfo  della  fazion  nera 

GGVIII.  Sorli  presenti  del  papato 

(XIX.  Apparente  agonia  del  papato 

GCX.  t'orze  della  romana  curia 

GGXI.  Vere  cause  di  possanza  della  curia  romana 

(XXII.  Gesuitismo  competitore  del  giudaismo  borghese    .    .    .    . 

MOHALFTÀ  ROrVGIIESE 

(XXIII.  Gorruttcla  della  borghesia 

GGXIV.  Insolenza  ne'  modi 

CGXV.  Cupidigia  deMucri 

CCXVI.  Culto  di  Mammona 

GCXVII.  Conseguenze  del  culto  di  Mammona 

GCXVIII.  Depravazione  de' costumi 

GCX1X.  Servitù  legale  istituita  pel  pubblico  vizio 

CCXX.  Ordinamento  della  senilù  inlame  in  Italia 

CCXXI.  Orrore  della  servitù  infame 

CCXX  li.  Ingiustizia  della  senitù  infame 

CCXXUI.  Insufficienza  della  servitù  infeme 

CCXXIV.  Superfluità  della  servitù  inlame 

CCXXV.  Spettacoli  turpi 

CCXXVI.  Turpi  letture 

CCXXVII.  Mancanza  d' idealità 

CCXXVIII.  Mancanza  d'amor  patrio 

CCXX IX.  Mancanza  di  carità 

(XXXX.  Uggia  de'  |)opoli  moderni       

(XXXXI.  Paturnia  de'  signori  e  de'  sudditi  borghesi 

CCXX XII.  Interdetto  del  carne\'ale 

CCXXXIII.  Frequenza  de'  suicidii 

Coi.TUIU  BORGHESK 

CCiXXXIV.  Superiorità  della  coltura  intellettuale  antica    .... 
CCXXXV.  Inleriorilà  della  coltura  intellettuale  moderna    .... 

CCXXXVI.  Decadenza  degli  studi  in  Italia 

(XX XX VII.  letteratura  borghese 

(XXXXVIII.  Arte  perduta  di  fare  i  libri 

(XXXXIX.  Difetti  degli  odierni  autori 

(XXL.  AlKlicazione  dell'  ufficio  letterario 

(XXIJ.  Altre  colpe  de';li  autori  odierni 

CCXLIl.  Vizi  speciali  degli  scrittori  italiani 

CCXLIII.  Scuola  borghese 


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CCXLIV.  Guai  delP  istruzione  superiore 

CCXLY.  Guai  deir  istruzione  mezzana 

CCXLYI.  Guai  dell*  istruzione  inferiore 

CCXIAH.  Triste  educazione  iroparllta  al  popolo  italiano  .    .    .    . 

CCXLVIII.  Fanatismo  pegli  attori  di  teatro 

CCXLIX.  Brutalità  verso  le  lettere  elearti '. 

CCL.  Stampa  prezzolata 

CCLI.  Infelice  condizione  del  commercio  librario 

CCLII.  Destino  degli  scrittori  liberi  e  forti  io  Italia 

CCLIII.  Congiura  de*  muti 

PROSPERITÀ  BORGHESE 

CCIJV.  Problematica  opulenza  de' popoli  moderni 

CCLV.  Mali  economici  d*  Inghilterra 

(ICLVI.  Economia  borghese  in  Italia 

CCL  VII.  Catastrofe  degli  alU  ceti 

(^(XVIII.  Disparìzione  delle  antiche  dttadinaine 

(XLIX.  Peggioramento  del  basso  ceto  urbano 

CCLX.  Poggioramonto  del  basso  ceto  rustico 

CCLXI.  Sorte  miserrima  de*  contadini 

CCLXll.  Migrazione  de* contadini  all'esterno 

CCLXIII.  Arriahimento  particolare  a  danno  unitersalo    .    .    .    . 

CCLXI V.  Nuova  e  ibrida  specie  di  baronaggio 

CCLXV.  Finanza  borghese  in  Italia 

CCLXVI.  Ini(|uità  del  sistema  tributario 

CCLXVII.  Gravezze  disuguali 

CCLXMII.  Gravezze  riversate  su*  miserabili 

CCLXIX.  Gabella  del  macinato 

CCLXX.  Sperpero  dell'  entrate  pubbliche . 

CCLXXl.  Infruttuosità  delle  pubbliche  spese 

(^.CLXXII.  Corso  forzato  delle  cedole  di  banco 

CCLXXIII.  Affogamento  ne*  debiti 

CCLXXIV.  Dilapidazione  de*  beni  demaniali 

CCLXXV.  Privati  usurpazione  della  proprietà  cornine      .    .    .    . 

CCLXXVI.  Dilapidazione  de*  beni  comuiali 

CCLXXVIl.  Dilapidazione  de*  beni  ecclesiastici 

CCLXXVIII.  Indiretta  spropriazione  del  popolo 

CCLXXIX.  Diretta  spropriazione  de*  poteri 

C(!LXXX.  Prospettata  incamerazione  del  patrimonio  defle  opere  pie 

CCLXXXI.  Fallimento  latente  dello  stato  borghese 

CCLXXXII.  F^ilo  naturale  del  sistema  finaniiarìo  boifbese  .    .    . 

AU<1\M  DELLV  nORr.IIESIA 

CCLXXX11I.  Sinimenti  di  regno  della  borgbe&a 
CCliXXXIV.  In«!annaniento  della  nazione  .... 
CCLXXXV.  Creazione  d*  un*  opinione  pubbUca  Attilia 


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CCLXXXVI.  Monopolio  della  stampa 

CCLXXXVII.  Natura  boi^hose  del  giornalismo  pnfscnte    .    .    . 

CCLXXXVIll.  Monopolio  del  giornalismo 

CCLXXXIX.  Giornalismo  ministeriale  in  Italia 

CCXC.  Necessarie  peripezie  dell*  opinione  pubblica  Gltizia      .    . 

CCXCI.  Pervertimento  della  nasone 

CCXCII.  Stima  del  vizio 

CCXCIII.  Disistima  della  virtù 

CCXCI  V.  Affievolimcnto  della  nazione 

CCXCV.  Scisma  civile  e  morale       

CCXCVI.  Divisione  per  ceti  in  Italia 

CCXCVIl.  Divisione  per  regioni 

CCXCVIII.  Screzi  provinciali 

CCXCIX.  Divisione  per  sette       

ecc.  Divisione  per  fazioni 

CCCI.  Eccessi  partigianeschi 

CCCII.  Assopimento  civile  e  morale 

cecili.  Rintuzzamento  de'  sentimenti  eroici 

CCCIV.  Modi  tenuti  per  rendere  imbelle  il  popolo  italLmo    .    . 

CCCV.  Rintuzzamento  de*  sentimenti  politici 

CCCVI.  Sfacimento  della  storia  e  della  civiltà  italiana  .    .    .    . 

CCCVIl.  Vituperazione  del  carattere  nazionale 

CCCVIII.  Vituperazione  dell*  onore  nazionale 

CCCIX.  Vituperazione  del  sentimento  nazionale 

CCCX.  Guerra  mortale  ai  valorosi 

CCCXI.  Ostracismo  dato  ai  l)enemeriti 

CCCXll.  Cause  ed  effetti  dell'  ostracismo  borghese 

CCCXIII.  Esempi  di  preclari  cilLidini  ammoniti 

CCCXIV.  Rejezìone  ingiusta  de*  mazziniani 

CCCXV.  Persecuzione  funesta  de*  mazziniani 

CCCX  VI.  Ripulsii  de*  capaci  dal  primo  corpo  legislativo  .  .  . 
CCCXVII.  Ripulsa  de*aipaci  dal  secondo  corpo  legislativo  .  . 
CCCXVIH.  Divieto  di  sedere  in  consiglio  agi*  idonei    .... 

CCCXIX.  Chiamata  in  consiglio  de*  faccendieri 

CIT.XX.  Ostracismo  dato  ai  pensatori       

CCCXXI.  iattanza  del  praticismo 

CCCXXII.  Empirismo  degli  uomini  di  stato  borghesi   .    .    .    . 

CCi^XXIII.  Apoteosi  della  furberia 

Destini  della  BORr,iiHNL\ 

CCCXXIV.  Pronostici  sulla  dominazione  borghese 

CCCXXV.  Ragionevole  caduta  della  borghesia 

CCCXXVI.  Inolultabile  caduta  della  Iwrghesia 

CCCX X VII.  Imminente  caduta  doila  borghesia 

r.CCXXVlII.  Vangelo  del  secolo  diHÙmonono 


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CGCXXIX.  Catastrofe  della  domìnanone  borgbeiie  in  Italia    .    .    . 

GCCXXX.  Conati  di  reazione  sociale 

CCCXXXI.  Perfldia  del  clerìcalismo 

CCCXXXIl.  Condanna  del  clericalismo 

CCCXXXIII.  Aspettazione  del  clericalismo 

CCCXXXIY.  Conati  di  sovversione  sociale t 

CCCXXXV.  Preordinazioni  della  borghesia  al  sodalismo  .    .    .    . 

CCCXXXVI.  Istigazioni  della  borghesia  al  socialismo 

CCCXXXVII.  Provocazioni  della  borghesia  al  socialismo  .    .    .    . 

CC(]XXXVII1.  Possibilità  della  guerra  servile 

CCCXXXIX.  Minaccia  della  guerra  servile 

CCCXL.  Conclusione 


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