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PIETRO ELLERO
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TIPOGRAFIA. FAVA E UAIIAGNAM
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PEOPRIBTÌ UCTTKaABIA
QUESTO VOLUME
RUVIDO ED ASPRO
DEDICO A TE
ANTONIA ELLERO BRASCUGLIA
RACCOMANDANDOLO
ALLA TUA GENTILEZZA DI DONNA
E INDULGENZA DI SORELLA
INDIZI DELLA BORGHESIA
I. Introdusione.
Un modo assai facile di perdere le altrui simpatie è soventi
fìate quello, con cui malavvedutamente si studia di accattarle: il
parlare di sé medesimi. Non ignorando io il qual pericolo, con-
viene, che la vanità sia rimasta vinta da più forte passione, se
tuttavia delibero di affrontarlo. Perchè, a dir vero, le cose mie
sono cotanto umili e oscure, da non mi occorrere molta accor-
tezza per capire, come a ninno piaccia di saperle. Pur d'altra
parte la efficacia d' un libro è maggiore o itiigliore , quando la
figura dell'autore traspare dalle pagine. Il lettore, veggendosi
innanzi , non un semplice volume di carta , ma un essere vivente,
nel segreto de' cui pensieri è posto , può cribrargli e ponderargli
per bene. E tanto più diviene utile e direi quasi necessario il con-
cedergli tale intimità , a costo di divenir segno a' suoi strali , quanto
gli si debba manifestare idee molto lontane, e anzi del tutto dal
comune opinare aliene. In tal caso è troppo giusto, eh' egli , aven-
done uno sfavorevole concetto, desideri conoscere l' essere strano,
che osa pensare diversamente dalla comune, e disfldare con inau-
dita temerità l' universo. Laonde io mi sono avventurato ad espor-
re la mia persona; e qui per sino in sul principiare, svelando
la eausa, che mi move à scrivere. A proposito della quale pre-
metto, com' io pei recenti avvenimenti, che riunirono l'Italia,
e la vendicarono dal giogo straniero e dalle infami signorie
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interne, ho al pari di ogn' altro onesto cittadino esultato. Nondi-
meno questo giubilo contristavano i poco felici auspìcii, con cui
il sospiro de' secoli avveravasi; e le opere, che tosto seguirono,
anche meno felici. Fin che i danni mi parvero sopportabili, e
possibile la loro emenda, fui però nel rammaricarmi trepidante
e sommesso, avvegnaché assiduo e perseverante. Sperava, noi
correggessimo colle virtù i vizi di un riscatto, in gran parte de-
bito alla fortuna; e col senno quelli, che naturalmente accompa-
gnano ogni mutazione di stato. Ma, giunti que' danni al colmo,
e perduta ogni speranza nel ravvedimento di coloro, che gli com-
mettevano, non ebbe più conforti il mio dolore. Di maniera che,
sfiduciato, e convinto, co' principii e co' sistemi vigenti non si
poter far niente, tranne il male; primieramente dimisi il carico
di deputato al parlamento della nazione, ed altri cotali uflici,
che mi avrebbero reso complice di errori e strumento di colpe,
cui detestava. E poscia mi sono affatto da opi sorta di vita pub-
blica condannato ad una volontaria interdizione; e quasi postomi
in contumacia e al bando di una generazione, con cui sentiva
non palpitare più il mio cuore.
II. SpettMolo da' mali d' Italia.
Essendo obbligo del cittadino servir la patria sin nelle più
ingrate guise , cui la tristizia de' tempi consente , non nego , la
mia risoluzione essere stata assai grave. Altri anzi potrebbe, senza
troppo perfidiare, attribuiine l'origine alla misantropia, al tedio,
alla inettitudine comprovata, all' ambizione delusa , e ad altri co-
tali sentimenti, che non mi farebbero guari onore. Ma io vera-
mente, consultando la mia coscienza, me ne reputo scevro; seb-
bene disposto a concedere, che qualche passione non disonore-
vole stenda sulla serenità del giudizio un tenue velo. Può darsi
cioè, ch'io pure condivida quello inganno, cui soffrono di solito
i mortali, non appena raggiunta una felicità lungamente attesa,
di non trovarla in fatto tale, quale se l'erano dianzi col pensiero
figurala. E che, avendo io della patria adorato un ideale, che
non poteva mai essere reso reale ; nemmanco s' ella si fosse riz-
zata dal sepolcro bella e fulgente come un' iddia , ne sarei stato
pago. Ma, pur tenendo di ciò conto, veggomi innanzi cotanta
copia e cotanto orrore di guai, che ne rimango atterrito e sgo-
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mento. Or, se non si trattasse, che de' comuni vizi, che procedono
dagr istituti e dalle persone, e sopra tutto in un nuovo stabili-
mento politico, non vi sarebbe da meravigliare. Il peggio è, ch'es-
si hanno invaso fmo alle più intime latebre la nostra società, e
minacciano di darla tutta in preda allo sfacelo. E die di giunta
r ItaUa non è solamente misera e afflitta ; ma cosi inferiore a sé
medesima, e diversa da quella, che doveva essere, da non sem-
brare più dessa. Di conseguenza il mio partito fu preso: abban-
donare collo spirito quesf Italia falsa e guasta , vituperata da' fac-
cendieri e assassinata da' pubblicani , per serbarmi fedele all'Italia
legittima e santa , vaticinata da' profeti e benedetta da' martiri.
lU. IHBsimiilaiione degnali d'Italia.
Ciò non ostante mi si può chiedere: posto che si sia caduti
io cosi immensa calamità, oh com'è, che ninno se ne accorge?
— Primieramente, rispondo io, se si volesse interrogare l'univer-
sale, vedrebbesi , non già pochi uomini scontenti e abbiosciati , ma
tutta la nazione travagliare e struggersi. Che, s'ella non fa udire
i propri rammarichi e lai, la ragione è, che non sa ancora espri-
mergli altrimenti , se non col mesto silenzio e col pauroso stupo-
re. E, s'anco piagnesse forte, una turba di gridatori, ligi a clii
la strazia , con tale strepito ci assorda , che la non potrebb' es-
sere udita. Ma poi non è arduo a comprendere, quando i pati-
menti di un popolo sieno estremi, non vi sia più alcuno, che
tenti crucciarsene, e né quasi in grado di avvertirgli. Di cosa in
cosa in cosa ogni flagello si sopporta, prima creduto impossibile;
abituando visi grado a grado, e perdendo sino il risentimento e
il decoro. Allora chi ardisce dire, che si sta malamente, é svil-
laneggiato da' tribolati , a cui turba il sonno , non meno che da'
gaudenti, di cui amareggia il trionfo. E tutti costoro a gara gli
si a\'ventano contro, e lo tacciano di pessimismo: dandosi cotal
nome ora al giusto sdegno, che suscita il male, nello indomato
anelito del bene. Che importa dunque, se gli elTetti più enormi
e gr indizi più evidenti d' una perversione e dissoluzione morale,
che non ha più freno o ritegno, si manifestino cotidianamente ?
Se i migliori, nauseati e avviliti, si ritraggano dalla palestra
d¥ile, e un languore e un'ignavia, cui non si sa come descri-
voe, s' impossesàno di tutti gli animi. Se vecchi agitatori ed
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emeriti demagoghi, giunti ad avere lo scettro abbandonato in
sorte, d' un baleno si tramutino in rigidi conservadori e in pro-
vetti cortigiani? Se di cinquecentosettantrè teste umane si ban-
disca il prezzo e Y incanto; e si celebri il trofeo e V omaggio
delle sozze armi d' un masnadiero ucciso, come delle opime spo-
glie d' un re vinto? Se nel lasso di pochi mesi due tra' più fer-
mi reggitori dello stato cadano a un soiBo d' imputazioni ingiu-
riose ; alle quali io non credo, ma credettero coloro, che gli fecer
cadere? Se due illustri municipio, a uno de' quaU può tutto il
genere umano invidiar la rinomanza, immemori di tanti secoli
di nobiltà, stieno per fallire spensieratamente, o sieno già quasi
falliti ? Se poeti laureati stampino rime da bordello, e compilatori
di grido prosa, il cui intento è di glorificare il vizio, vilipendere
la virtù e dileggiar V innocenza ?... Mentre tutto questo accade ,
0 si racconta almeno, e sintomi cosi spaventosi di depravazione
e degradazione generale si scorgono, non una parola di sorpresa
0 di diniego. L' ulcera è resa così insensibile , che , s' anco di-
mani una turba di briganti o di camorristi sforzasse qualche città,
0 un dotto sostenesse lecito Y omicidio, e giustificato dalla lotta
per resistenza, parrebbe la cosa più semplice e naturale del
mondo. Vero è, che gli spiriti eletti dovrebbero dalla indifferenza
comune andare immuni; e in particolare gli autori della nostra
rendenzione protestare : non esser questa Y Italia , che volevano.
Ma, per non dire, che già molti sono o spenti o stanchi; ^li
altri, paghi di aver visto riunita e vendicata la patria, e per
sopra più ricerca e riverita al di fuori, chiudono ora gli ocelli,
quasi temendo il dileguarsi d'un dolce sogno. Né pensano, che
conveniva inoltre renderla grande e gloriosa, e degna di sé me-
desima; né che la corruttela e la viltà contaminano già, quant' ei
fecero e patirono colla probità e col valore. E così eghno per
ansiosa tenerezza, e i più pel quieto vivere, imitano Pomponio,
acconciandosi a un andazzo di cose, che non va loro a genio;
ma contro cui non reputano più possibile alcim rime<tio.
IV. lM8Bt9 dell' tptra premte.
Tito Pomponio Attico, cavalier romano, fu a' giorni suoi uomo
molto famoso , e che a' nostri meriterebbe di esserlo mille volte
più. Navigando, calmo e abile piloto, fra le più terribili procelle
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delh saa patria e del mondo, destreggiossi in modo fra le sirti
delle dittature perpetue, delle proscrizioni « delie guerre civili e
(inalroente della pace d'Augusto, che tutti F ebbero ugualmente
accetto. Non disgustatosi né con Mario, né col costui formidato
avversario, né colle rispettive fazioni, fu nel medesimo tempo
affine a Sulpizio, e vezzeggiato da Siila. Prestò danari a Cicero-
ne, al cui fratello impalmò la propria sorella; di cui fìi amico,
ne' cui dialoj^ e nelle cui epistole onorato, e tra cui ed Ortensio -^
come conciliatore ed arbitro stette. Non parteggiando per Pom-
peo, ma soccorrendo i pompeiani con le sue robe di nascoso, si
fé' grato a Cesare con la neutralità palese. Commensale e ban-
chiere di Bruto, protesse del pari e sovvenne Antonio, alla cui
moglie Fulvia concesse sicurtà e credenza. Talmente che, quando
gU antoniani prevalsero, fu rispettato e riverito: e potè appresso
imparentarsi con Agrippa, addomesticarsi con Ottavio e divenir
quasi nonno di Tiberio. Giunse così placidamente a' settantasette
anni, occupandosi di greco e di genealogia tra que' funerali della
vita antica, ragranellando e ponendo a buon frutto i dodici mì-
Uooi di sesterzi avuti in varie eredità, e campando con tremila
assi il mese. Finalmente , trovandosi entro il corpo un nemico in-
sidioso e mortale, contro cui per ventura non valeano più blan-
dizie e sotterfugi (cioè un morbo occulto e incurabile), pensò
ahneno fargli frodo. E, chiamati intomo al suo letto i congiunti,
volle il loro consenso, per non aver brigbe; e si lasciò morire
d* inedia , forse per risparmiare le spese del veleno , o per non
essere sorpreso col coltello da' triumviri capitali. Prototipo vera-
mente sublime di tutt' i politici e letterati cauti , e di tutti gU
uomini contenti della terra, benché romanamente meno abietto
de' moderni; e capostipite amplissimo 41 tutt'i Pomponii, che
poi seguirono e che fanno oggi fortuna ! Ma , quantunque ei fosse
per tali meriti posto da Cornelio Nipote o da qualche amanuense
nelle Vite degli eccellenti comandanti (XXV), e la sua discen-
denza goda ognora il vanto di ottima; io non conosco, dopo i
commettitori del male, schiatta più funesta di costoro, che gli
rilasciano regolare quitanza. E per questo, in onta alY ottimismo
di tanta brava gente, io quapto a me, preferisco di esser detto
uggioso e bisbetico; ma di proseguire la lotta col male. Anzi,
ripigliando la mia confessione, poiché io aveva preso il partito
leste accennato, il proseguirla diveniva per me obbligo impre-
leribile. Perocché appunto, correndo obbligo al cittadino di ser-
— 10 —
vire la patria in tutf i modi, se io non credeva di potere co' pub-
blio uffici, doveva almeno con qualche spontaneo ministero od
olocausto* consacrarmele o sacrificarmele. L' avrei altrimenti ab-
bandonata, perchè infelice; e, senz'essere Achille, mi sarei ap-
partato presso le navi de' mirmidoni , pur di mantenere il mio
broncio e di sfogare il mio dispetto. Se per tanto al di fuori de'
principii e de' sistemi vigenti , fossevi stata alcuna forza , su cui
poter contai*e, io avrei dovuto subito darmi all'azione. Ma, per
maggiore sciagura mancando tln questa, e trovandomi nel mio
modo di pensare o di sentire isolato, non mi restava altro mezzo
di adempiere a queir obbligo, tranne l' apostolato o il supplizio
della verità. Ed ecco come io mi sono fatto scrittore; ed ecco
8<q[Nra tutto l'origine di queste pagine, che a voi, cari concitta-
dini, presento.
V. 6iii8tifloasione dell' opera presente. ^
Premesse le quali avvertenze, io tuttavia ho bisogno dì giu-
stificarmi presso coloro, che reputassero vana la mia impresa, o
me inadatto a condurla, o sprovveduto di ragioni per assumerla.
Certamente io so, essere la fortuna de' grossi volumi assai dub-
bia a questi tempi; se per fin quella di un breve articolo, cui
non assecondi il capriccio universale e non raccomandi il plauso
deUe insigni combriccole, è incerta, l^e alcun poco |K)nno gio-
vare, non foss' altro scuotendo i dormenti o sferzando gF iniqui,
e suscitando qualche lampo d' amore o d' ira. A peggio andare
varrebbero come documento a' posteri, o come testamento d' un' ani-
ma sconsolata, che si rifugia dal mondo nel sacrario delle pro-
prie adorazioni. Ma inoltre, fin che si abbia la più languida lu-
singa di fare opera buona, non dee ritrarre dal cimento il timo-
re della sua inutilità. Che spesso casi ìmpreveduli, e forse Y ar-
dore e r incrollabilità de' propositi, con cui una causa si difende,
possono dar la vittoria. Parimenti so, essere io assai poco atto a
difenderla, non avendo pulito adeguate air ardore e all' incrol-
labiUtà la grazia e la valentia dello scrivere. Mentre general-
mente si dettano libri tanto |)er comporgli, e si escogitano temi
per isvolgergli, io non ho mai vergato una riga per sem-
plice diletto 0 per procacciarmi il sostentamento o la lode; ma
unicamente per compiere un dovere, e perchè incitato da un se-
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greto impulso. Ed, essendo proprio stato un caso, eh' io mi sia
messo a scrivere le opere, cui non potea fare, non mi ci sono
mai preparato, e ignoro V arte di scriverle affatto. Onde , se i
miei critici le trovassero zeppe di strafTalcioni ed anche di sgram-
maticature, non r avrei a male; siccome non me ne adonto, quan-
do le dicono ferree e rugginose. Perchè è vero, eh' io cerco per
quanto posso di usare la materna lingua : ma si per la mia con-
versazione co' morti, e si per la mia professione quasi di peda-
gogo, non le so rendere spighate e leggiadre, come si conver-
rebbe. E, dovendole altresì prolungare di troppo, per ispiegare
le tante cose, cui vo dicendo, e superare i tanti ostacoli, che mi
si frappongono , io rendo vie più il peso di leggerle grave. Non-
dimeno, dopo vent' anni di costanti e indicibili sforzi, sono giun-
to ad avere un centinaio di lettori, parte spontanei e parte anga-
riati, parte per piacere e parte per cortesia; de' quali mi accon-
tento. Che, se di più non ne posso per ora avere, e se a tutti
gli altri i miei sermoni riescono sgraditi; nemmanco la mia im-
potenza, poiché altri tace, mi può distorre dal sostenere quel tri-
bunato letterario^ a cui mi sono dedicato e votato. Quanto alla
terza obbiezione, che io non avessi per ventura i titoli di eserci-
tarlo (quantunque per l' abdicazione de' migliori e come posses-
sione abbandonata ognuno ne lo potrebbe occupare), o s' intende
del diritto in genere o di una speciale autorità. Se del diritto,
essendo io per grazia de' numi italiano, per quanto umile e oscu-
ro mi sia, ho non solamente facoltà ; ma dovere, come dianzi ho
detto, di parlare, se non in nome, certo a servigio della patria
mia. Se invece di una speciale autorità, confesso e deploro, non
godere io quella, che dalle dignità, da' negozi e sopra tutto da' me-
riti civili procede. Ma, oltre che al postutto il valore delle cose
dette stia nel pregio loro, e non nel prestigio di chi le dice; an-
ch' io posso addurre un segno estrinseco, che le mie parole suf-
fraghi. D testimonio de' fatti, i quali avverarono quelle dette in
passato talmente, che chi volesse considerare i miei scritti di
quattro lustri, troverebbe aver io appunto predetta la sorte, a cui
r Italia presentemente soggiace. Questa voce adunque non curata
aUora, questa voce ingigantita e inselvatichita nella solitudine e
nella dimenticanza, elevasi ora fiera e solenne. Ma non per com-
piacermi empiamente d' un trionfo, cui ho in abominio : si bene
per protTerire piamente quell'ultimo grido di angoscia e di spe-
ranza, che salvi tutti, se è possibile, i buoni e i rei.
12 -
VI. PrapMito di dire la Torità aperta.
Se non che, sendo giunti (e non certo per mia colpa) i mali
al colmo, io non posso più adoperare quel riserbo e quella esi-
tanza, che in passato usai. Allora incorava e consigliava, scusa-
va e compativa, sospirava e pregava: ora si tratta di fremere e
di riprovare. E naturalmente, dovendo chiamare le cose co' pro-
prii nomi, per questo solo le svelo oscene e ributtanti; né, per
quanto io cerchi di esser mite e clemente, posso non parere
crudele e inesorabile. A certuni la voce della verità desta appun-
to il medesimo spavento, che il tuono udito da' fuggiaschi ebrei
nel deserto di Sinai. 1 quali supplicavano Mosè: « parla tu con
noi e noi ascolteremo ; e non parli Iddio con noi, che talora noi
non muoiamo. » {Esodo, XX, 19). Ma, se nel momento del pe-
ricolo, schivasi d' ascoltare la voce della verità, oh in che dun-
que si ripone fidanza ? La calunnia del resto mormora, bisbiglia,
cinguetta, quando air accusa mettesi il bavaglio; e giova meglio
a' colpevoli essere da chi possegga un senso profondo di eciuità
e un abito costante di gentilezza ammoniti, prima che da' torbidi
istinti e dalle cieche furie del volgo travolti. D' altra parte io
non intendo valermi della prerogativa d'accusare, come che insita
e inseparabile dalla mia qualità di cittadino; quanto della libertà
di parlare, promessami dalle leggi, e molto innanzi dalla natura
largitami. Parlerò quindi come uomo, che dagU avventurati e
da' potenti d' oggi non ha niente a temere, né a desiderare ; e di
cui sprezza, non meno de' castighi, i premi. Ma non solamente
senz' alcun odio privato, e non razzolando dal trivio quelle ciarle
e quelle detrazioni, con cui si si atteggia a Catoni oggidì, e nii
sdegnano i pari miei : si bene col più riverente ossequio alle leg-
gi. Chieggo per altro a' miei lettori di praticare verso me que' pre-
cetti almeno, che le medesime ingiungono ai giudici del crimina-
le. Di badare cioè, non al « valore dei termini isolati » e al « sen-
so più 0 meno lato » de' medesimi ; ma a <c quale effetto abbia
prodotto suir animo loro il cx)mplesso dello scritto » {Editto sul-
la stampa de' 26 marzo 1848, LXVIII). Avvegnaché, s' ei mi
giudicassero da qualdie frase o da qualche idea presa a volo,
preterendo dallo spirito, che informa tutto il mio scritto, e fin
dalla retta intenzione; mi avrebbero prima condannato, che in-
- 13 -
teso. Ma parimenti gli avverto, che tutta quella libertà, cui le leg-
gi stesse consentono, tutta quanta io la vuo' usare, palesando là ve-
rità senza reticenze e senza ambagi; poicbò a tanto mi astringe
il bene della patria. Né debbono punto paventarne : conciossiachè
0 le cose, ch'io dico, sono savie, e allora è bene le sappiano;
0 non lo sono , e (ìano tenute in quel conto, che se dette da un
folle. £ tanto più ei ponno vivere tranquilli, eh' io esprimo un
pensiero puramente individuale e universalmente rejetto; e che
sono solo, solo, solo; e non ho pure un complice nella mia spi-
ritual ribellione.
VII. Causa maagima delle odierne soflérense.
Ora, s' io mi limitassi a scovrire le nostre piaghe, ciò non sa-
rebbe senza beneficio; perchè almeno si potrebbe da altri prov-
vedere alla guarigione. Nondimeno sarebbemi mancato il corag-
gio di compiere la prima impresa, se anche non mi fossi sentito
in grado di compiere la seconda. Perchè il contristare senza rac-
consolare, il ferire senza rimmarginare e^ il distruggere senza rie-
diiìcare, avrebbe non solamente presso altrui ingenerato il sospet-
to, eh' io il facessi per voluttà feroce o per tetra fantasia; ma
lacerato il mio cuore. E cosi ho deliberato di adempiere all' uno
e all' altro intento; profferendo, siccome ho detto, un grido, che
fofise, oltre che dì: angoscia, di speranza. Se non che, la materia
sendo naolto ampia, e non potendola io restringere in un solo vo-
lume, debbola in due partire : l' uno de' quaU tratti de' maU, e
r altro de' rimedi. Serbandomi adunque di dare alla luce, ovve-
ramente al crepuscolo, quest' altro, tosto dopo il presente, sicco-
me congiunti tra loro da un comune disegno, ed anzi parti indis-
solubili d' una medesima opera; nel presente io non mi occupe-
rò, che de' mah. Ma qui subito si affaccia la cardinale questio-
ne, sul determinare il compendio o la generazione di codesti mah.
Dappoiché, a sentire certuni, la odierna disavventura d' ItaUa non
viene, che dall' essere o non questo o queir uomo proposto alla
cosa pubblica, o da un dato provvedimento preso o pretermesso,
0 da una fazione soverchiante o soprafatta. Chi si querela de' bal-
zelli, de' debiti e degli sperperi; e clii delte languenti industrie,
de' costosi prezzi e degl' infruttuosi travagli. £ queUi, che vanno
più a fondo nella diagnosi della grande infermità, onde si va con-
— 14 -
sumando il neonato regno, credono aver colto un gran punto,
sentenziandola tabe monarchica. In vece io penso, che, se tuttM
mali stessero qui, sarieno cosi poco temibili e così di leggieri cu-
rabili, che non varrebbe quasi la pena di antivenire F opera del
tempo. Ma, che si tratti d' una infermità mille volte peggiore, di
cui quelli non sono, che sintomi, e nemmanco i più gravi. Or
ecco come, poiché io medesimo mi sono lunga pezza dibattuto
prima d' esserne reso chiaro e certo, ecco come pervenni a co-
noscerla.
Vili. Tirannide borglioae.
Sin da fanciullo ho provato un' indefinibile avversione pel se-
colo, di cui doveva poi esser ribelle; trovandovi un non so che
di fiacco e d' ignobile, di cupido e d' abietto, che urtava di trop-
po con certe velleità plutarchesche, che mi frullavano pel capo.
Cresciuto cogli anni, la maturità, V assuefazione e V esperienza
non avendo valso a riconciliarmi cogli ammaestramenti, cogli
esempi e coi bisogni della vita; mi confortava per altro, sognan-
do, che r astro dell' Italia risorta avrebbe fugato, come spettri
notturni, questi odiosi fantasmi. Ma, vistigli per contrario dopo la
sua apparizione diffondersi e moltiplicarsi air infìnito, e ottenebra-
re e conturbar Y aria; giunsi a quella crisi psicologica, che dian-
zi accennai, e che accadde precisamente nel cosi detto anno di
grazia 1869. E allora mi sono chiesto: mo non sarebbe un ghi-
ribizzo questo cruccio co' miei contemporanei, se il nostro piane-
ta avesse sempre girato e dovesse girare a im modo? In si fat-
ta maniera, disputando e negando, compresi la ragion vera, per
cui eglino ed io non e' intendiamo, e la causa massima de' pre-
senti guai. Avvegnaché, sebbene in buona parte, non tutti però
sieno lo strascico dell' anteriore servitù : tutti, senza quella mas-
sima causa, non sariano stati prodotti, o sariano dalla Ubertà an-
nientati. Ebbene, perché una coorte di sensali e di appaltatori,
come stormo di corvi e di avvoltoi, si é precipitata sul campo di
battaglia a spogliare i cadaveri degli eroi e a s<itollarsi delle lor
carni? Perchè tanto tesoro di affetti e di sacrifici si è violato e
dissipato; e il mercimonio e il guadagno, la menzogna e la fur-
beria, lo scetticismo e il cinismo ne occupano il luogo? Perché
lino r amor di [utria é diventato una malinconia da vecchi riin-
- 15 -
bambiti, e le attrattive sublimi della grandezza e della gloria
vezzi da sgualdrine sfatte ? Perchè il popolo ebbe lo sfratto dallo
stato stesso, cui aveva creato ; e lo si alloppia e dissangua e scar-
nifica ognora senza oìisericordia? Perchè non si parla in tanta
sua nùseria d' altro, che di opulenza e di prosperità, d' economia
e di finanza, di baratti e di cambi; e le lettere e le arti, pie-
gando il capo per vergogna e smorzando le faci, mandano un
ultimo bagliore livido e sinistro ? Donde in somma sono proceduti
tutti codesti abominii, che io descriverò qui entro in più centinaga
di capitoli; da quale antro e da qual mostro d'averno? — La ri-
sposta a tali inchieste è riassunta in due vocaboli, e sta precisa-
mente nel titolo, ch^ posi in fronte a questo volume. Io cioè ho
considerato, soffrire ogni età i suoi dolori, avendo la società umana
sin qui sempre patito or questa or quella maniera di speciale op-
pressione. Ne' secoli andati tal volta prevalse la casta de* guer-
riai; e ogni cosa prendeva un atteggiamento militare, dispensan-
do la violenza i meriti e le ricompense. Tal volta quella de' sa-
cerdoti ; e il terror de' numi comprimeva gli animi, santificando
la frode. Ora prevale queUa del ceto industre; e di tutto si fa
mereatatufiaj e la bottega e il banco sostituiscono il tempio e
U trono. Di guisa che, se un giorno dovesse Y infima turba la-
boriosa prevalere, Y officina avrebbe Y impero, e lo eserciterebbe
cogr istinti ruvidi deUa manualità e cogli stimoli rabbiosi della
fame. Onde la tirannide borghese^ che non è altro, se non la
befiiarda e avida signoria del predetto ceto, costituisce la speciale
oppressione del periodo storico, in cui viviamo; la fase sociale,
cui attraversiamo, e la fonte suprema de' nostri odierni mali. I quali
tutti, siccome io ne darò la dimostrazione e la prova, tranne certe
reliquie delle precedenti tirannidi, si generarono appunto da quel-
la, e in queUa si compendiano.
IX. Sentore della tirannide boifieee»
Veramente mi si può osservare, come la scoperta, che io
ìDleodo aver fatta, non meritava vemre annunciata con tanta pro-
sopopea: giacché tanti altri dicono il medesimo; e in ispecie i
novatori o mestatori, e le plebi indignate o delfre. Ma anzi tut-
to, sebbene ammettasi, oggidì il dominio spettare alle cosi dette
classi medie] la generale persuasione è, che sia un giusto do-
- 16 -
minio. E si è cosi lungi dal riconoscere la sua vera natura, che
i caporali stessi della democrazia sbutTano a udire queste voci di
tirannia e di borghesia, eh' io ho appiccicate assieme ; e gridai»
attoniti e trasognati : oh dove sono e chi dunque questi borghesi
e questi tiranni? Quanto a coloro, che ne hanno qualche sentofe,
esaltandogli o denigrandogli, non sanno come sorsero, in che
stiano, che si facciano, cosa vogliono e come finiranno. £ del pari
le grame moltitudini (come quelle, che più duramente ne soppor-
tano le ofTese), non appena informate o sobillate, naturalmente
gli accusano autori delle loro disgrazie. Ma, senza pur conoscer-
gli; e, imbrattate del resto dal loro stesso fango, procacciando
di rovinare la società umana e sé medesime, pur di strìtolarglL
Noto quindi una volta per sempre, che, tranne il desiderio di re-
dimere queste moltitudini da senno, e cioè in un modo afiEatto
opposto a quello, che usano i loro falsi campioni, io non ho nien-
te di comune co* loro disperati consigli. Sebbene anzi, prenden-
do di mira Y identico nemico, possa parere, eh' io tragga Y is{H-
razione da' loro pregiudizi o mi faccia Y eco de' loro rancori, re-
spingo gli uni e gU altri da me con tutte le forze dell' anima mia.
E, per mostrare quale abisso mi separi da' promotori di novità so-
cialistiche e di tumulti servili ; basti notare, come costoro vorreb-
bero universalizzare e sublimare la cupidigia e 1' abiezione, che
precisamente costituiscono la quintessenza della tirannide borghe-
se; rovesciare gli ordini costituiti, e im la patria esecrare. Io in
vece mi propongo d' infiammare all' annegazione e all' eroismo,
di afforzare ogni ordine, e di ripristinare della patria l' antico san-
tissimo culto. Ma, qualunque sia il sottil filo, che congiunge la
mia impresa piuttosto ai segni, che ai conati del tempo, quanti
diversità non vi è mai tra un confuso intuito e un vago sospetto,
e la inquisizione severa e la descrizione completa, che della pre-
detta tirannide andrò io facendo?
X. nwMmia della tinuudde borglieaa.
Importa dunque assai scuoiare e nolomizzare questo laido mo-
stro, prima che sia riposto nel museo della storia , ove i posteri lo
guarderanno con ribrezzo e con raccaprìccio. E, siccome il compen-
dio e la generazione de' mali presenti stanno precipuamente in esso,
«ì questi anzi non sono, che le sue deformità e le sue perver-
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sita ; cosi , inquircDdolo e descrìvendolo , io gli avrò svelati , e
avrò interamente fornito il mio prìmo assunto. Per tanto, comin-
ciando dal definirlo (poiché Tho testé appena adombrato), s'io
dicessi , eh' é la dominazione esclusiva del terzo ceto , ossia
de' trafficanti , successo a quelli de' gentiluomini e de' preti ; ne
avrei dato una nozione meramente estrìnseca. Della quale, seb-
bene si si possa accontentare , tuttavia per riconoscerne meglio
l' intrìnseca indole è d' uopo soggiungere , eh' é il predominio o-
busivo dette ricchezze. Di guisa che, quand'osso funesta la ter-
ra , il monopolio di alcuni sull' universale non yien già meno ; ma
in luogo de' facinorosi e degli astuti si pongono gli avarì , e la
masserìzia sta in vece di prodezza e d' ingegno. I beni di fortuna
non si acquistano più colle pi*ede o colle ciurmerle, colle rìmu-
nerazìoni pubbliche o colle largizioni devote ; ma , da mezzi can-
giandosi in fini, coir intendere unicamente alle basse cure e ai
sordidi esercizi , che le procacciano. Acquistati , costituiscono un
titolo di stima e di potere ; e si pregiano e onorano tanto , e tal-
mente usurpano ogni ragione, che la proprietà schiaccia a dirit-
tura tutti gli altri stabilimenti sociali. Tutto cade nella loro or-
bita e nel loro vortice, e tutto prende un'aria e un'afa di bot-
tega e di banco. L' economia doventa una scienza , un' arte poU-
tica, un sistema morale, una religione; e il dicastero della fi-
nanza il supremo areopago. D'altro non si parla, che di listini di
borsa e di tariffe di dogana , di compagnie e di mostre indu-
strìali, d'emporì e d'opificii grandiosi, e d'imprese e d'affari
lauti. I magistrati sono reputati vampiri del bilancio, parassiti i
soldati , pazzi i filosofi , malfattorì i poverì : e , mentre i savi e i
valorosi come oziosi e vagabondi si cacciano allo spedale, gli
osorai e i giudei si creano baroni e ministri di stato. Non vi
sono per le menti altrì consigU, che di utilità, altrì battiti pei
euorì, che di tornaconto; e si farebbe anche bottoni delle ossa
amane , pur di trame profitto Ma , poiché il proseguire , tanto
sarebbe come anticipare quello, che in seguito debbo esporre,
tale idea sommaria parmi, possa per ora bastare. E in seguito
appunto si parrà, se questi, cui io accenno, sieno temi rettori-
ci, asserzioni gratuite, vane declamazioni, bieche supposizioni:
oppure (atti incontrovertibili e innegabili.
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XI. Compito della tirannide borglieee.
Ma, pure ammesso ciò, non potrebbe darsi, che sempre le
cose fossero ite a questa stessa maniera, e che le vadino bene;
0 che almeno, oltre la nostra contrada, aflliggano vasta parte
del mondo ? — Che le non sieno sempre ite cosi , io V ho già
Uevemente accennato : ma lo dimostrerò e proverò tosto con tal
sorta di argomenti, che si vedrà in vece, essere altre volte acca-
duto precisamente il contrarlo. 0 cioè, que' consigli e que' cal-
coli, che ora si hanno in conto di ottimi, essere stati reputati
pessimi: e poco meno, che di vili servi, la casta, che ora trion-
fa. Quanto air essere stato un bene , che codesta casta dei vai-
siij 0 codesto ceto de' trafficanti, trionfasse, in un senso assoluto
0 astratto non si può per fermo ammettere. Imperocché , se fu
giusto, che costoro da' bramini e da' csatrii si emancipassero,
0 da' pontefici e da' patrizi, più giusto sarebbe, che anche i
sudrì , 0 ( tralasciando codeste indiche denominazioni ) i lavoranti
si emancipassero da tutti. Ma, se, oltre che della semphce e-
mancipazione , si tratta della oppressione di un ordine di persone
sugU altri ; per essere questa oppressione più distesa e men chiu-
sa, non c^ssa di esser tale. E questo certamente non è bene,
siccome non è bene tutto quel male , eh' ella va commettendo. In
un senso però relativo e concreto concedo , che fosse logico e
provvidenziale si fatto allargamento od accostamento de' mezzi di
signoreggiare. Onde coloro, che mi rimproverassero di non cu-
rarmi degU avanzamenti della storia , di non considerare le lar-
ghezze e le agevolezze maggiori, che oggi si godono, e di ma-
ledire a' portati del tempo , avrebbero un gran torto. Io sono d ac-
cordo con loro , che si sono fatti alcuni passi innanzi in questa via
di accomunare i vantaggi del civile convivio. £ che anche oggi
vanno ai mah commisti molti beni, senza di die il mondo torne-
rebbe al caos. Ma io non mi occupo qui , ripeto , che de' mali ;
e addito e oppugno quelli del mio secolo. Nel quale , trovata-
mi di fronte la borghesia, combatto la medesima, come in altri
tempi avrei combattuto il clero e la nobiltà ; e combatterei il pro-
letariato, se pure questo tentasse a sua volta d'opprimere. Con-
ciossiachè il concetto della libertà e della giustizia , eh' io mi for-
mo , è bene all' in fuora da ogn* idea di sopratTazione e cU ri-
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vincita d' un ceto soli' altro , le quali hanno per naturale conse-
goenza la soggezione e la vendetta. E cosi pure senza ragione
vorrebbermi corre in fallo, notando la grande infermità da me
dianzi indicata non essere speciale d'Italia; ma comune a quasi
tutto r occidente od alla cosi detta cristianità. Anche in ciò sono
d' accordo con loro ; e il dissi testé , dichiarando essere la eiH-
demia propria del momento , cui la nostra contrada soffre insie-
me con tanta parte di mondo. Ma io , non mi occupando , che
della patria mia, non ne ragiono e non ne debbo ragionare, se
non con riferimento alla medesima. Il che non vieta per altro,
che parecchie cose , cui andrò dicendo d' Italia , si possano anche
ad altre nazioni applicare, e sopra tutto alla Francia: né che tutte
non ne possano trar giovamento.
XII. Idee antiche della tirannide.
C!onviene nondimeno ora spiegare anche i due termini , che ,
come danno il titolo, cosi offrono alla presente opera argomento. E ,
cominciando dal primo , poiché ho detto e ripeterò spesso, la domi-
nazione del terzo ceto essere tirannica, e questa parola non può non
eccitare ne' jmù accorti un falso sdegno e ne' meno accorti un' inge-
nua meravi^a , debbola giustificare. « Tiranno , dicea frate Oero-
nimo Savonarola, é nome di uomo di mala vita, e pessimo tra
gli altri uomini, che per forza sopra tutti vuol regnare, massime
quello che di cittadino si é fatto tiranno. Perché prima é neces-
sario dire che sia superbo , volendo esaltarsi sopra i suoi eguali ,
anzi sopra i migliori di sé e quelli a' quali piuttosto meriteria
di essere subieito. E però é invidioso , e sempre si contrista della
gloria degli altri uomini , e massime de' cittadini della sua città,
e non può patire di udire lodar altri, benché molte volte dissi-
muli , e oda con crociato di cuore : e si rallegi*a dell' ignominia
del prossimo per tal modo , che vorria che ogni uomo fosse vi-
tuperato, acciocché egU solo restasse glorioso. Così per le gran
fiuitasie e tristizie e timori, che sempre lo rodono dentro, cerca
dilettazioni , come medicine delle sue afflizioni : e però si trova
rare volte , o non forse mai , tiranno , che non sia lussurioso e
dedito alle dilettazioni deUa carne. E perché non si può mante-
nere in tale stato, né darsi i piaceri, che desidera, senza mol-
titudine di denari, segue che inordinatamente appetisca la roba:
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onde ogni tiranno, quanto a questo, è avaro e ladro, peroccbè
non solamente ruba il principato, che è di tutto il popolo, m
ancora si usurpa quello che è del comune, oltre le cose che ap-
petisce e toglie a' particolari cittadini con cautele e vie occulte,
e qualche volta manifeste. E da questo segue , eh' '1 tiranno ab-
bia virtualmente tutti i peccati del mondo » (Trattato circa U
reggimento e governo della città di Firenze, I, 1). Or, se i
tiranni, di ch'io favello, sieno macchiati di superbia, invidia,
lussuria, avarizia e di tutti gli altri peccati del mondo, che il bravo
predicatore accocca al suo ; lascio considerare a' sudditi loro 9
che gli possono molto agevolmente osservare. Ma non in questo
si dee riporre la tirannide : perchè alcuno può essere nella privaU
vita un mostro di nequizia , senza cessar d'essere giusto signore;
e viceversa un angiolo, essendo tiranno. E, dovendosi quindi
dalla pubbUca vita de' potenti giudicare , 0 per dir meglio dalla
pubblica azione ; rammento , come i greci chiamassero tiranni
quegli stessi, che i romani e noi chiamiamo re. Avvegnaché ^
secondo il classico pensiero non vi possa essere altra sostanxa
di reggimento e governo, se non quella, che al popolo spetta^
Onde Cicerone avvertiva appunto, che per buona etimologia
« la cosa pubbUca... è la cosa del popolo » (RepìMAica, \y
25). E Guicciardini , benché ministro d' iniqui signori , soggiun-
geva : (c tutti U Stati , chi bene considera la loro origine , sono
violenti; né ci é podestà che sia legittima, dalle repubbliche in
fiiora , nella loro patria e non più oltre » (Ricordi politici e ci-
vili, CCGXVII ).
XIII. Elementi eesensiali della tirannide.
Ma , lasciando da parte queste austere teorie antiche , die
le si lasciano sepolte entro le polverose biblioteche per una qual-
che ragione; dico, gli elementi e i caratteri, da cui la tirannide
si forma e si riconosce, secondo il parere di lutti i savi, essere
questi. Primamente , che lo stato sia in dominio di qualche per«
sona , collegio 0 moltitudine ; secondo , che contro il comune con-
senso si possegga; terzo, che si amministri per proprio conto:
e quarto, che non abbia freno al male. I quali elementi e ca-
ratteri sono di tanta forza e significanza , elio uno solo di essi,
rome cosa contraria al diritto, basta a costituire f a s\ elare la
- 21 -
liraoDide senz' altro. Di tal guisa , che Guicciardini lasciò pure
scritto: « come uno principe non ha più rispetto a' populi, non
è |»ù principe , nia tiranno » (CCGXIV). E Cicerone : « giudico
ÌQ primo hiogo , che non sia popolo . . . , se non quello che si regga
pel consentimento del diritto : tolto il quale consentimento , que-
sto popolo cosi riunito non è meno tiranno , che possa esserlo un
sol uomo » (IH , 26). Ma Savonarola , premettendo , che il buono
stato si chiama « governo civile , perchè appartiene a tutti i cit-
tadini » , soggiunge : « e quel governo è cattivo , che lascia il
beo comune, ed attende al suo bene particolare, non curando
delle virtù degli uomini, né del ben vivere, se non quanto è un-
tile al suo ben particolare ; e tale governo si chiama tirannico »
(1, 1). Con che egli del resto non fa, che aderire alla sentenza
di Aristotile , pregna di verità , secondo la quale la degenerazione
de' governi sta neir usufruire gli stati a fini privati. Se non che
Alfieri, che merita in tale argomento esser citato, ripone per
contrario la essenza della tirannide nella malefica forza, dicendo,
che, sebbene i moderni diano nome di tiranni « a quei soli prin-
cipi, che tolgono senza formalità nessuna ai lor sudditi le vite ,
gli averi e T onore », debbonsi chiamar taU tutti coloro, principi
0 cittadini , pochi o molti , « che hanno , comunque se Y £d)biano,
Qoa facoltà illimitata dì nuocere » (Tirannide, 1,1). Onde non
occorre un nocumento effettivo , né alcuna efferatezza ; della quale
BOQ vi potrebbe esser bisogno , dacché , egli nota , la mansue-
todioe de' tiranni moderni non ha altra causa, tranne la man-
Knetodine éet nnxlerni schiavi (1, 6): ma basta solamente, che
b balia di nuocere vi sia.
XIV. Tirannide ooUettdTa.
Co' quali lunù andando in traccia de' viventi Tarquinii, é
prima di tutto dovere di por fuori di contesa la speciale forma
politica, con cui lo stato nostro presentemente si regge. Non per-
chè siavi alcuna cosa indiscutibile sulla terra, sendo la verità un
diritto inviolabile : ma perché appunto alla verità é d' uopo ren-
dere ossequio. In fatti é a dubitar forte , se que' monarchi , a cui
la borghesia consente gU appellativi e le insegne della maestà ,
per mascherare altra specie di regno, sieno in sul serio monar-
chi: ma certo non sono ovunque tiranni. E, quanto alla monar-
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chia, che mi so io, compenetrata nel popolo, fondata e sorretta
dal suo suiTragio, indivisa d' interessi e di danni con esso , ed in
ogni forma dalle leggi e da' costumi vincolata ; non cade eerto
in alcuno di que' quattro estremi , per cui sarebbe un governo
incivile. Che, s'ella nel modo, in che venne costituita, non po-
tesse la felicità della patria procacciare, sarebbene incolpevole
chi, senza propria libertà e responsalità , deve in cotal modo
appunto, e sotto inflessibili oligarghi e caparbi mallevadori, custo-
dire il deposito avuto. Anzi, incombendo ad altre podestà il prov-
vedere, a che lo stato con migliori ordini si regga, tutta la re-
ligione di quello si sta nel serbare incolumi gli ordini vigenti,
a costo di perire col vessillo, che gli venne affidato, e pel patto,
cui ha giurato, l^er tanto (lo rammentino bene quegli amiflapo-
poli, che non avrebbero nemmanco un millesimo di tanta lealtà
e sofferenza), debbonsi i tiranni altrove, che su certi moderni
troni rinvenire. Che spesso ne hanno d'intorno una caterva, e.
forse lo sono eglino medesimi: e non so ne avveggono. Anzi
Roma ne ebbe in una volta dieci, e Alene trenta: ma oggi col
progresso e col lusso sono in aumento e a buon mercato anebe
costoro; e più frequenti e caserecci, che i re nelle fiabe. E però,
^ lasciando i principi ed anche i senati da canto, e volgendosi a
rintracciar la tirannide su più larga base, non faccia meravi-
glia, se una nidiata di tirannelli senza corona ne Ha dato sco-
vare. Per ({uesto solamente , che una parte del |)0|)olo opprimesse
l'altra, avrebbesi la tirannide: e, per essere cotal parte più lar-
ga, si dirà la costei tirannide meno ristretta, non già meno gra-
ve. Che forse a servire un solo Pisislralo o un solo Dionigi avreb-
bero i popoli miglior destino, che a scr>irne più schiere. Anzi,
sebbene un principe o un senato tiranneggianti posseggano più
veemente e rapida forza malefica (per la unità della risoluzione
e della esecuzione, nel bene e nel male più efficace e pronta),
i ceti tiranneschi la |)osseggono più irruente e durevole. Concios-
siacchè le tirannidi solitarie non possano per via di generazione
perpetuarsi; e trovino, se non altro, negU eredi degeneri, ne' mi-
nistri infidi e ne' sudditi riottosi mille difTicoltà. Mentre le com-
pagnevoli si rinnovellano di continuo e senza interruzione, e si
valgono di milioni di cervelH e di braccia: né si si>ossano e stre-
mano, né trovano ostacoli nelle sanzioni e nelle consuetudini, cui
esse medesime hanno creato; e nemmanco in (]uella opinione
pubblica, di cui sono autrici. Vero é, che un'ingiusta signoria
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coDettìva si suole con voce propria addimandare oligarchia, quan-
do ad alcuni, e ochcrasda, quando a parecchi pertiene. Nondi-
meno questi sono i nomi delle specie; siccome quello di auto-
erojBia o di despotismo, quand'ella è angolare: ma non resta
men varo, die il nome del genere è quello di tirannide. La quale
DOD vuol dire altro, se non una signoria ingiusta, per causa dei
quittro vizi organici, che ho indicato, od anche di un solo de'
medesimi. Di modo che , se vi fosse nel regno d' Italia un' accolta
d'aomìni (pognamo pure, che la più ragguardevole e la più or-
revole), la quale signoreggiasse come un suo feudo lo stato, di
proprio arbitrio, per proprio vantaggio, e senza vincoli nelle san-
zioDi e nelle consuetudini, ne' sentimenti nobili, negl' ignobili, e
De manco nell'invidia, che suole essere alle altre tirannidi col-
leuive freno; converrà pure, quell'aborrito nome darle. Ora io
mi propongo di dimostrare e di provare ( giacché vi accorgerete,
0 pazienti lettori , che non affermerò , cosa alcuna a vanvera e
a capriccio, dovessi abusare della pazienza vostra), come la bor-
ghesia anche in altri luoghi d' Europa e d'America ; ma qui in
particolare abbia fondato un dominio quadruplicemente vizioso, e
quindi quadruplicemente tirannico. E , siccome scopo mio non è
ponto di aonestare un vocabolo , e né tanto di rivelare un male
in potenza, quanto di avversare un male in atto; cosi non mi
restringerò a dimostrare e a provare, che la dominazione bor-
ghese abbia i quattro vizi sopraddetti , come a dire , teorici. SI
b^ aggiungerò la pratica conferma , eh' ella ha effettivamente
esercitato ed esercita la tirannia , ed alla patria va recando incom-
inensu^abili danni ed onte.
XV. Tirannide impersonale.
Ma, perché non sia franteso il mio pensiero e il mio intento,
prima di venire a si terribili argomenti, ho pur mestieri di se-
parare affatto la discussione de' principii e de' sistemi da quella
degl'istituti e delle persone; contro cui, ripeto, non mi move
odio alcuno. Sia per tanto detto una volta per sempre , e nella
più solenne guisa : che la temerità degU uni e la scaltrezza ^egU
^ potranno le mie parole a un senso e le mie azioni a uno
scopo ritorcere , che non hanno ; ma io ho impugnato la penna
per debellare un mostro onninamente astratto. Se quindi per ne-
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cessila della favella, e sopra tutto del favellar breve e forte, debbo
di tirannidi e di tirannie , e di tiranni e di tirannelli , e d' im-
prese tiranniche e d' arti tirannesche discorrere , io tUudo, ri-
peto, sempre a prìncipii e sistemi; e mai a istituti e persone
determinate. Imperocché so, che le leggi si debbono osservare
e riverire dal cittadino, quanto dal pensaUnre a libera censura
sottoporre ( appunto perchè le doventino vie jàb di osservana e
di riverenza degne); e che senza piegare il capo a si snto
giogo non è possibile la libertà vera. E del pari, I9 concordii
civile essere un tanto bene , e un fondamento s) necessario alb
feUcità, all'unità e air integrità della repubblica, che il fire
scisma 0 r eccitare pur di lontano rancori 0 dissapori è deDi
patria stessa tradimento. Non dunque per dividere gli animi; 01
per riconciliargli tutti innanzi al tribunale della etema giustizia e
all'ara de' comuni iddii, e per commuovere anche ì rei, e pef
accendere d' un medesimo amore buoni e rei, mi adoprerò. Cbèi
s' io non dovessi chiamare il corpo e i soggetti attivi della 00*
dema tirannide, borghesia e borghesi, e la nequizia palesarne 9
e pungere con mille tratitture i cuori induriti; oh come dovr^
le cose e gli uomini appellare, e come contenermi? Dichiarando»
senz' ambagi e senza reticenze , che non penso « non voglio rif^
rirmi, se non ad un ente impersonale; benché non mi sapes^
spiegar bene, posso io dire di più? Itìmproveratemi adunque, s'iO
mi vo esprimendo male : ma concedetemi , che senza vocaboli noi*
avrei potuto parlare , né senz' armi di sorte alcuna combattere
Anzi, se voi, lettori miei, sarete cosi benigni meco, quali io sper^
(che senza benignità grande non avreste cercato pagine, coi i
cospirati silenzi ricacciano volta per volta nelF obbUo ); concede^
rete altresì, avere io quasi superato l'impossibilità. Dappoiché
ho condensato in un grosso volume un infinità di torti, senz^
pur designare i colpevoli né con nomi, né con cenni; eccetto in
pocliissime inezie, di cui eglino medesimi pubbhcamente inorgo^
gliscono. E , rassomigliando io a clii sovra il lìlo d' una lima
d' acciaio tentasse attraversare le onde ruggenti dell' oceano; aoK
za un sentimento incrollabile di moderazione e di l)enevolenza.
non avrei ()Otuto tenermi fermo.
-«25 —
XVI. B«rg]i6da ettainieoa • fénaale.
Inteso per tanto, che V oste formidata, con cui appicco batta-
glia, è un essere puramente ideale, da vincersi non ne' corpi,
ma negli spiriti ; passiamola ora , come ne' poemi epici , in rasse-
gna. Nei riconoscere gli ascritti alla contraria milizia, due me-
todi si ponno tenere , secondo che trattasi di desumere da condi-
zioni estrinseche, o da intrinseche, chi sia borghese. Il quale
appellativo, sotto il primo aspetto, qualche cosa esprime; poiché
in altri tempi valse a indicare coloro, che aveano le prerogative
di città 0 di borgo; e che d' ordinario alle arti maggiori od alle
professioni venali attendevano. Ned io posso dispensarmi dall' usar-
lo, quantunque in italiano siagli preferibile Y altro di cittadino;
poiché quello, non ignoto del resto agli scrittori, che fanno testo,
è oggidì più generalmente inteso. E d' altra parte questo meglio
è di restituirlo al prisco e classico significato di qualsivoglia or-
dine di persone, partecipi della repubblica. Siccome adunque le
dette prerogative importavano privilegi politici ed economici , cosi
b cittadinanza o la borghesia formava allora un ordine, da'
vassalli 0 da' contadini distinto. £ , in quanto avea sopra di sé i
ceti cavalleresco o feudale, e sacerdotale o ecclesiastico, ebbe
quella denominazione dì terzo ceto o di terzo stato, col quale
suolsi pure indicare. Se non che , venuti meno que' privilegi , non
ie rimane oggidì , che l' antica , se mi Uce dire , vocazione : vale
a dire l' accudire in prìncipal modo agU esercizi lucrosi. Onde
oggidì borgliese, secondo le condizioni estrinseche, é colui, che
direttamente o indirettamente, manifestamente o larvatamente
esercita ogni specie di mercatanzia. Cioè anche prestando dana-
ri, fondando censi, allogando lavori, facendo endiche, prendendo
arrende, assumendo provvedigioni , acquistando carature nelle im-
prese industriali e negli accatti camerali ; e partecipando inoltre ,
s^nza esporsi , a' più sottili e segreti misteri del cambio. E , in
^ senso più largo, chiunque giunto a una certa agiatezza, dan-
<tosi come a peculiare occupazione , e non per le sti'ingenti ne-
<^tà del vivere, ai predetti esercizi lucrosi. Ma, posto tale cri-
i^rio, di quanti capi sarebbe lo stuolo siguoreggiante tra noi?
- 26 -
XVii. Vo¥6ro de' borglieti in Itiaia.
Se si prende per dato il numero degli elettori, supponendosi
in media, che ognuno formi colla consorte e configli una fami-
glia di quattro capi, e moltiplicandosi quindi 605,044 per quat-
tro, avrebbesi il prodotto di 2,420,176. Ma, benché tale prodotto
rappresenti per fermo la classe favorita del popol nostro, ossia
Tunica in possesso almen virtuale del diritto di cittadinanza; non
si può dire, che sia con la borghesia tutfuna cosa, quantunque
in clientela della medesima, l^erocchè quella in gran parte si
compone d' abitanti , che non hanno nemmanco una relativa agia-
tezza e ovunque sparsi ; mentre questa principalmente dimora ne'
centri urbani e versa ne' tradìci. Onde conviene piuttosto pren-
dere per indice della medesima quel titolo, su cui ella fonda la
sua preminenza. Vale a dire la somma de' suoi averi ; per quanto
si può da lei, che non ama palesargli, risapere. E considerare
come suo libro d' oro quegli Elenchi de' contribuenti cUT im^
posta sulla ricchezza mobile, che i proposti al real ministero
delle finanze neir anno 1872 stamparono in due colossali volumi;
dando cosi a divedere quanto stesse loro a cuore il proteggere
i nostri studi e il perpetuare i nostri fasti. Or da tali elenchi
appare, che i « redditi sui quali la imposta si esige per rite-
nuta » sommano a 582,076,654 lire, e i « redditi imponibili »
a 473,625,965: ambo le quali cifre rappresentare dovriano la
« ricchezza mobile » italiana, capace di gravezza. I redditi im-
ponibili si ripartiscono in quattro categorie cosi : circa 180 mi-
Uoni sul capitane, 199 sul capitale e sul lavoro, 75 sul lavoro, e
18 sulla innominata mercede degF « impiegati comunali e provin-
ciali ». E i contribuenti poi sono 631, 580: ma, pe' redditi mag-
giori di KXX) lire, 83,372; e, per quelli maggiori di 2500, sola-
mente 17,597. A rigore dunque non si potriano prendere a cal-
colo, se non i redditi delle due prime categorie e i contribuenti
della ultima s})ecie. Poiché vuoisi pure poco o molto di capitale
per esser borghesi, e almeno due migliaja e mezzo di annui
lucri, per poter comechessia dirsi agiati. In tal caso, computan-
dosi i membri delle famiglie rispettive, ma moltiplicando per tre e
non p<T (|uattro ( laiche già oonipresevi quelle donne e que' minori ,
che [Kìgano tributo), i borghesi d Italia sarieno appena 52J9I.
- 27 -
[1 che è dire , probabilmente in minor numero de' gentiluomini :
)ssia di que' cittadini , i cui casati erano sul finire dello scorso
^colo ascrìtti , come nobili , ne' consigli de' mille nostri comuni.
E per verità credo, ei soli formino Yalta borghesia: ma, do-
lendosi pure tener conto de' pro[»ietari di beni immobili , e de'
pubUici feneratori e ufficiali, la cui gabella si riscuote nel sacco
o ( come dicesi oggi in lingua jonadattica) « per ritenuta », e so-
pra tutto considerando, che i predetti redditi imponibili sono lon-
tani dall' appressarsi alla realtà delle cose o (come dicesi nella
predetta lingua) « inesatti »; le prerogative di borgo si ponno
estendere ad una popolazione , che equivalga al numero de' pre-
detti contribuenti della specie mezzana e de' loro attinenti. Ognuno
in fatti deve ammettere, che tutt'i 631,580 aggravati dalla im-
posizione sulle merci e su' guadagni tra noi non sono, nemmanco
per modo di dii'e, borghigiani. Avvegnaché, mentre il « reddito
medio » loro di 750 lire, e quindi di 250 per testa, non basta
per fermo a vivere civilmente; i più di loro, provvisionati, riven-
ditori e artefici minuti, hanno un reddito inferiore. E molti pon-
no dirsi a dirittura proletari ; il cui braccio, in difetto di sostanze,
potè dal fisco essere ingabellato. Non resta dunque , che la specie
mezzana degli aggravati, aventi un reddito imponibile di almen
1000 lire. Non grande certamente : ma che si può forse più d' una
voha raddoppiare; come nella celebre pubblicazione ministeriale
surricordata, a cui non piacevano in questo affare le sineddochi
e le altre ligure rettoriche de' padroni , con poca riverenza de'
medesimi è detto. E in tal caso, moltiplicando il numero di co-
storo per tre , i grassi popolani d' Italia , maschi e femmine , adulti
e fcinciulli, sarieno 250,116, compresavi la maggior parte de'
35,356 così detti isrc^liii. Il qual numero, poiché nelle campagne
'H>n \i è quasi borghesia punto, e anche nelle città sonovi parec-
chi, che ne hanno i requisiti di censo; ma per nobiltà di nasci-
^ 0 di professione o d' animo si raggruppano intorno a miglior
gonfalone, potrebbesi di nuovo assottigliare. Tuttavia, temendo
*j concedere troppo poco alla verità, io lo accetto approssima-
^Waraente per buono. E concludo: che i nostri signori, tanto di
^Ua giudaica come di cristiana , sono pressoché un quarto di
elione; i quali hanno di sotto e di contro oltre ventisette mi-
^i d' uomini.
- 28 -
XVUl. Borghesia iatrinseoa e aostaiiiUle.
Il novero premesso, se giova a constatare in quanta minorìii
si trovi la classe, che osa chiamarsi popolo, ooo ha del resto
guari impoitanza pel tema propostomi. Benché io detesti il colto
di Mammona ( dio ignoto di certa razza , di cui peggiore è il
dio noto), e né anche senta molta divozione per Pluto e per Mer-
curio, ai ricchi e a chiunque procaccia onesti profìtti con lode-
vole alacrità, professo la debita stima, che ad ogni altro ordine
di cittadini. E , per escludere affatto, eh' io mi abbia in partico-
lare verso que' mercadanti , cui dovrò sferzare , alcuna ingiusti
prevenzione; basti dire, Tuomo più probo, ch'io conobbi e ve-
nerai , essere stato mercadante e mio padre. L' essenziale dunque
per me sta nel riconoscere chi abbia le condizioni intrinseche
per esser borghese: che, quanto alle estrinseche, se non erro,
le posseggo anch' io. Una persona può essere in fatti faeoltosis-
sima, ed altra entro un fondaco rannicchiata, senza per questo
avere né Funa, né T altra il genio o il demone della borghesia.
E viceversa, taluno essere letterato e talaltro artista; e tuttavia,
invasi da codesto demone, e mettendo a prezzo le muse e le
grazie, adorarlo e servirlo. Anzi quegli stessi, che esercitano
professioni liberali, come cattedratici, causidici e giornalisti;
ma con non altri calcoli, che di utilità e di tornaconto, e
sopra tutto accontandosi quali precettori, procuratori e mezzani
presso altri, dati a più sordide e a più proficue occupazioni,
sono borgliesi. E tali per fino quegli affannoni, a cui la fortuna
non arride ancora , né forse arriderà mai ; ma cui tuttavia la me'
desima avidità de' fortunati infiamma e riarde. Di modo che bor-
ghesi in questo più intimo senso sono tutti coloro, che non ri*
cercano e conservano gli averi per le semplici occorrenze della
vita, pei comuìodi e piaceri plausibili, pei nobili diietti e con*
forti, tra cui massimo il beneficare: ma gli averi pegli averi,
E non veggono altro, che (juesto nel mondo; né altro fine daiH
no alla |)ropria esistenza, die il tesoreggiare. Indifferenti verso
la beltà, impassibili verso la sventura, inaccessibili a qualunque
sentimento gentile ed elevato; quasi immemori di avere entro il
petto un soffio divino, cui non interrogano mai in tanta ressa di
f;)rren(lo e in tanta somma di ruimeri : delle rose tutte non fniar-
- 29-
(laoo, se non il Iato economico e finanziario. Sembrano addor-
mentati: ma annunciate loro questo o quell'alare vantaggioso,
e eh' è messo air incanto il tal possesso, o data in appaltOi la
tal regia, o cresciuta d' un punto la rendita pubblica consolidata;
ed eccogli spalancar gli occhi e anelare. Gli ravvisate alla ciera
stupida e contenta , ed a' modi triviali e insolenti : eccetto i più
famosi di loro e i clandestini principi, che hanno quella sparuta
e contrita, e questi incerti e dimessi. E i quali fuggono gli assem-
bramenti e i rumori , vestono di regola panni sudici , camminano a
sghembo e un passo addietro, favellano piano e balbettando; e,
se altri alza la voce, tosto allibbiscono e si raggomitolano. Natu-
ralmente clii ebbe dal destino queste attitudini, si dà di prefe-
renza a quegli esercizi, mercè cui le possano meglio svolgersi
e fruttificare. £ però accade, che alcune volte ricorrano nella
medesima persona i requisiti essenziali e gli accidentali della bor-
ghesia. Ma, ripeto, costoro in quanto hanno tali attitudini , e non
già perchè esercitino questo o quel mestiere, sono i borghesi,
di cui io intendo scoprire e smascherare V ingiusto dominio.
ORIGINI DELU BORGHESIA
XIX Ceud sterìd ni oetL
Dopo tali prenozioni entrando in argomento, seguirò nel trai*
tarlo un ordine , e nelle materie una partizione , che mi pare pre-
scritta dalla buona logica. Dirò cioè prima delle origini della
borghesia: poscia delle opere sue in Italia riguardo allo stato,
al reggimento, all'amministrazione, alla giustizia, alla religione,
alla moralità, alla coltura e alla prosperità pubbUca; e in fine
de' suoi arcani di regno e de' suoi destini futuri. Ma, facendomi
dalle origini, facile è capire, ch'io non posso narrarle, senza
discorrere in genere sulla storia della civiltà, e sopra tutto
della progressiva affrancazione dei ceti, un cui stadio è la
odierna supremazia borghese. Premendomi inoltre di far risal-
tare come il terzo o medio ceto si emancipasse da' due mag-
giori, e come il quarto o infimo aspetti ugual ventura; debbo
pure gli antichi conati per la redenzione delle plebi ricordare.
E , mentre cosi il tema rendesi vie più arduo e vasto , d' altra
parte debbo restringerlo e alleviarlo, quanto più è possibile; non
essendo questo un lavoro di fredda erudizione, né occorrendomi
de' fatti passati toccare , se non quanto è alla retta intelligenza
de' presenti necessario. Per la qual ragione altresì quelli acca-
duti nelle stranie contrade accennerò appena: tanto per dare un
contorno o uno sfondo al quadro degU accaduti in Italia, che
più c'interessano; e che del resto, quantunque obbliati, sono
capitaU non solamente per noi, ma per tutte le altre nazioni.
Ora , eh' io adempia codesto assunto con troppa brevità e fors' an-
co con troppa negligenza, spero, mi fia di leggieri perdonato. E
cosi pure, s'io, menzionando in proposito alcuni autori tedeschi,
non gli menzionerò tutti. Sebbene a questi lumi di luna gli autori
iiaUani rischino di aver sempre torto: perchè o non si valgono
- 31 -
degli sludi loro, e sono ignoranti; o se ne valgono, e senza i
loro ajuti non possono le cose proprie conoscere. Piuttosto io
temo, anche cosi circoscritta e monca , che questa mia narrazione
degr inizi e delle vicende della borghesia rechi tedio a' miei cento
lettori. Ad alcuni de' quali forse non parrà acconcio schierare in-
nanzi , d' improvviso e in sul principiare , una filatessa e un visi-
bilio di popoli e di avvenimenti, di usi e d' istituti, di nomi e di
date. Confesso anzi, che questo timore mi angustia assai: per-
chè , s' io fossi dall' enunciazione dell' odierna tirannide , passato
tosto ad esporre com' essa occupasse . la repubbUca e che atti vi
comntettesse , gli avrei meno distolti dall' argomento e meno assi-
derati. Ma io ho trovato anche a ciò un rimedio, invitandogli a
lasciare questo arido racconto a' piii pazienti , ed a venire senz' al-
tro a quelle pagine , in cui descrivo lo stato borghese. Purché per
altro eglino, sfuggendo qui la noja, non reputino appresso una
fisima dello scrittore il convincimento , che i trafficanti non hanno
semiH'e signoreggiato, né sempre signoreggieranrio il mondo.
XX. Caste orientali.
Dico adunque, cominciando, la causa, ond' ebbero origine i
eeti, essere stata primieramente la conquista; per cui un popolo,
invadendo le ten*e e usurpando le ragioni di altro, ponevalo in
ooodizione inferiore, quando non preferiva cacciamelo o truci-
darlo. E cosi , per più invasioni e usurpazioni dovendo più popoli
nella medesima sede convivere Y uno all' altro sovrapposti , le
caste antiche si formarono. Le quali altro non sono, se non essi
popoli sovrapposti , e le quali poscia si trasformarono ne' presenti
C€<j. Perchè di regola, ove le genti incalzantisi e accavallantisi fu-
rono parecchie, di diversissimo sangue e di disparatissime qualità,
e patirono insieme una dinastica oppressione , le caste spuntarono
e si mantennero. Ove per contro due o tre solamente, quasi con-
sanguinee, dì poco dissimile civiltà e feUcitate da ordini Uberi
(onde poterono lentamente fonderei e contemperarsi), i ceti. E
di regola gU abitanti primitivi soggiacquero a tanto peggiore sor-
te, quanto più antichi e da più irruzioni e occupazioni flagellati:
degradandosi mano a mano da padroni in soci, in fattori, in
inquilini e in lavoratori de' sopraggiunti ; fin che altro loro non
rimanesse, che il senire. La qual sorte appena poterono schivar
- 32 -
quelli, che, possedendo nella debolezza un gi*an tesoro di col-
tura , formarono la casta sacerdotale. Negli orientali imperi quindi
non vi sono propriamente ordini di cittadini, né cittadini affatto:
ma despoti , satrapi e schiavi ; a' quali ultimi le funzioni economiche
rimangono devolute. Tuttavia in alcun luogo il despotismo viene
dalle due caste maggiori, de' sacerdoti e de' guerrieri, moderato:
siccome in queir Egitto, che del resto, tosto dopo il re Mende,
sofferse per cinque secoli un giogo di pastori. V ordinamento
castale più vigoroso, e ancor superstite , è nondimeno quello del-
l'India; la cui società resta divisa in coipi ereditari e chiusi,
tra cui non possono esser promiscue né le nozze, né le pro-
fessioni, né altre facoltà. La prima casta formasi da' drammi
0 sacerdoti , la seconda da' csatrii o guerrieri , la terza da' vai9ii
0 agricoltori , artefici e mercadanti , e la quarta da' sudri o servL
1 quali vaisiì, già si comprende, sono i precursori della borghe-
sia; ma gravati di balzelli e sconsiderati, e cioè l'opposto della
medesima ora. I sudri non solamente da ogni onore e diritto
esclusi ; ma sin da' numi e da' libri sacri delle caste precedenti.
Ultima specie di servi e quasi di belve, i bruni e disgraziati
paria, discendenti dagli originari abitatori e legittimi padroni
del suolo: e pur reputati cotanto immondi, ch'ei debbono fug-
gire i luoghi abitati e contaminano chi appena gli guarda. Ma
conforta in mezzo a taU orrori l'indico Budda, di sangue regio,
che sei secoli prima del galileo Gresù predica l' uguaglianza di
tutti gli uomini, il comun debito d'amore e di pietà, e il finale
etemo loro riposo nella morte.
XXI. Demoeraiia ebraica e borghesia fenioia.
Due popoli ne' piii remoti tempi storici danno luogo per altro
a una grave eccezione nell' assetto castale asiatico : gli ebrei e i
fenici. Anche i medi e i persiani, prima che famosi capitani
fondassero immense dominazioni miHtari, furono probabilmente
popoli semplici e pastorali, e insieme valorosi e liberi. Ma, se-
condo le istituzioni mosaiche, non vi erano caste affatto, né
simili differenze di stato tra' posteri di Giacobbe; benché a' leviti,
oltre il sacro ministero, spettassero l'istruzione, la giurispru-
denz;i e la medicina, siccome agli anziani delle altre tribù il
governo della (mbblic^i cosa. Nel riparto del paese, conquistato
-33-
con tanta crudeltà, ebbero quindi i due figli e i dieci fratelli di
Giuseppe, delle dodici porzioni una, per ciascheduno: ma Levi
solamente certe città e le decime. E, poiché in codesta demo*
Grazia patriarcale e teocratica, negli anni saòatici il terreno
restava incolto e i (rutti naturali ricadevano a' poveri , e ne' git^
bilei i fondi alienati ritornavano a' primi possessori ; vedesi un
duro sforzo per mantenervi V assoluta uguaglianza di beni. Né
anche i fenici , a quel che pare , ebbero vere caste : i quali (con-
federati in più città, rette a governo misto di re, patrizi e pon-
tefici) primi navigarono e mercatarono. E primi diffusero molte
e lontane co?<mt6, a somiglianza delle greche e romane, e i traf-
fici e la civiltà con esse. Eglino adunque, e sopra tutto i cartai
ginesi loro più celebrati coloni, come repubbliche di navigatori
e di mercatori , fiorenti per opulenza e potenza , neir evo antico
arieggiano i nostri comuni del medio. Ed anzi , avendo eglino già
soprafatto gU altri ordini civili , e dato un carattere venale a ogni
cosa e manifestati què' perfidi istinti , di cui rimase nella punica
fede ricordo, debbonsi come i primi fondatori di dominii borghesi
considerare. Ma eccoci alle due alme penisole, dove lo sviluppo
delle condizioni sociali ebbe un sì precoce e possente impulso,
che tuttavia desta stupore.
XXII. Ceti nella sooietà ellenica.
Nella Grecia i pelasgi, probabilmente oriundi e pacifici abita-
tori, vennero soggiogati dagli elleni, prodi di nazione aflìne, e divisi
nelle tre stirpi de' dorii, jonii ed eolici , che poi tra loro si azzuffa-
rono, spogliandosi delle rispettive sedi a vicenda. In Argo, Corinto
e Sicione gli achei furono con pari diritti nella medesima comu-
nità dorica raccolti. Ma, peregrinando i dorii nel Peloponeso, gli
jonii, che non vollero loro sottomettersi, trasmigrarono altrove, e
colonizzarono. Gli altri, che si sottomisero spontanei, divennero
Iributari, conservando la libertà e la proprietà, e perdendo i di-
ritti di città (a Sparta pericci) ; e i sottomessi per forza, servi o
schiavi (iloti). Giusta gli ordinamenti di Licurgo (anni 884 avan-
ti Cristo) le novemila famiglie di spartani^ o di dorii peregri-
nati nella Laconia, ebbero ciascuna ugual porzione di terreno;
uguale, quantunque minore, le trentamila di perieci, e niente na-
turalmente gr iloti. Attendevano i irtìccì alla mercatura ed alle
3
- 34 -
industrie utili (borghesia), lavorando gV iloti le terre de' dorii ;
e questi ultimi esercitavano esclusivamente i magistrati e le armi,
né altra occupazione aveano, fuor di tale monopolio politico e nù-
litare (nobiltà). Sparta quindi era tutt' altro, che democratica: ed
anzi la gran gara tra essa e Atene fu in sost^mza tra aristocra-
zia e democrazia. Onde quella impose a questa i trenta patrizi
per reggitori o tiranni, e questa poi fieramente se ne affranca-
va (403). Si fatta aristocrazia nondimeno basavasi sovra una
perfetta parità, giuridica e per sino economica, tra' dorii; benché
a gravi stenti e con aspri mezzi mantenuta. Agide III e Gleome-
ne, dopo alcun secolo trovando la proprietà stabile in poche ma-
ni ristrettasi, che uniche reggevano lo stato (mentre gli altri cit-
tadini, miseri e falliti, rimanevano interdetti), cercarono restaurar-
ne la costituzione. Al quale uopo proposero, si abolisse F eforato ,
le scritture de' debiti si annullassero, i beni nuovamente si ripar-
tissero, e i precetti e gU ordini ruvidi della età di Licurgo si ri-
chiamassero in vigore. E, non ostante che Agide fosse da' nemi-
ci deposto e morto, il buon re Cleomene riusci, ma per poco, a
vincere. Giacché tosto appresso alcuni re facinorosi, proscrivendo
e spegnendo i più riputati e doviziosi cittadini, quella caserma di
soldati cangiarono in covo di masnadieri (220). Anche Atene, tosto
dopo la morte di Codro, come poi Roma tosto dopo la cacciata
de' Tarquinii, ebbe aristocratico il reggimento. Ma colà il demo o
popolo, forse dagli antichi vinti disceso, lottò contro più volte, co-
me poi la romana plebe, e ridusse lo stato agli estremi. Sino a
che da Solone ricevette quelle leggi scritte, che assicurarne do-
veano il trionfo. Questi lo divise, secondo V annua rendita de' pos-
sessi in quattro ordini^ dando alla popolar concione la podestà
suprema; ma serbando per altro al primo ordine de' possessori
il privilegio di essere arconti e areopagiti. E sanci la seisaehtia
0 discarico: pel quale a' più poveri venne rimessa una parte
de' debiti, abolita la schiavitù de' debitori, e fin sciolta da' vin-
coli la proprietà pignorata (624). Nondimeno la democrazia^ a
cui debbonsi le glorie insuperate delle arti e delle lettere, e le
vittorie immortali di Maratona e di Salamina, non importò subito
in Atene e nelle altre città greche 1' umiliziazione del patriziato.
Ma sol dopo la signoria di alcuni c^pi popolari, tra cui Pisistra-
to, detti tiranni (510). Pericle poi, quantunque di cospicua e
ricca prosapia, fautore della plebe, volle, che ogni cittadino, mi-
litando 0 votando, ricevesse stipendio. Largì donativi agi' indi-
- 35 ~
genti, istituì feste, e protesse le arti e le lettere in guisa, che ogni
cittadino potè esser atto a' pu))blici uffici , e questi per sorte si
poterono distribuire (447). Cosi la popolarità divenne colà il reg-
gimento più frequente e più illustre, quantunque non senza in-
tervalli di licenza demagogica e di reazione oligarchica. L' ulti-
timo de' quali cessò, quando il popolo costrinse Focione, fautor
d' ottimati, a ber la cicuta; rachetandos) poscia, e precipitando
ognor più nella corruzione e nella viltà (317).
XXIII. Antiohe stirpi italiolie.
Anche in Italia la genesi de' ceti alti e bassi .è a rintracciarsi,
come altrove, nella sovrapposizione violenta di una ad altra gente.
Ma, benché ella fosse sin da' più remoti tempi, quanto di biade,
rancissima d' uomini ; onde e come questi da principio venisse-
ro, e quanti e quaU fossero, rimane ancora in folta caligine av-
volto. Secondo uno storico nostrale, molto stimabile, ma che non
ha fama presso gli stranieri, ai naturali della nostra penisola
(nati dalla terra secondo Dionisio d' AUcarnasso o dalle dure quer-
cie secondo VirgiUo, naufraghi della sommersa Atlantide o dal-
l' Asia naviganti) diedero gli antichi il nome d' aborigeni ; indi-
cando con tal nome almeno un'immemorabile e impenetrabile
antichità. Costoro, che forse erano la medesima cosa cogU oscij
vissero prima in istato selvatico e anzi ferino, senza leggi e con-,
nubi, entro gli antri e di ghiande. Ma Saturno e Giano, sommi
iddii e padri della nazione italiana (forse i primi immigranti, di
razza nobile e di professione ieratica), ammaestrarongli nell' agri-
coltura e insieme nella vita civile. Di che rimase nel prisco no-
me della terra nostra , Saturnia , e ne' satumaU ricordo. E cala-
roDO quindi eglino da' monti ai piani e ai liti, diramandosi co' riti
religiosi e le siicre primavere^ mano a mano che moltipUcava-
DO. A detta dello stesso Dionisio i pdasgi, originari della Tracia
e sbanditi dagli cileni, sarieno pure qui giunti, donde furono poi
respinti e dispersi (1700). Ma, preterendo da questa fugace e
misteriosa apparizione, le prime rivoluzioni storiche, che qui si
menzionano, sono quelle de' siculi, indigeni del Lazio; dagli um-
bri in lega cogli osci e co' pelasgi cacciati in SiciUa, ove distrus-
sero 0 soggiogarono i sicani. I quali umbri, di vetustissima ori-
gine itaUca, dal centro della penisola distendendosi intorno, fon-
-se-
darono una prima confederazione e potenza italiana. Ed ebbero
città murate, avanti gli etruschi ; e, co' medesimi, templi e sacri-
fici comuni. Ma furono da costoro sopraffatti, a cui dovettero ce*
dere trecento oppidi, parte restrìngendo le sedi, e parte rimaneii-
dosi tra raccomandati e compagni. Sebbene del resto Erodoto deri-
vasse dalla Lidia codesti etruschi o tirreni, Dionisio gli reputa
oriundi d' Italia ; e certo le più antiche memorie di essi giungono
a' tempi favolosi d' Ercole e degli Argonauti, degli dei e degli
eroi. Dimoravano tra Arno e Tevere: ma in seguito, aggiungen-
do alla vecchia due nuove Etrurie, particolarmente a danno de-
gli umbri, fondarono una seconda confederazione o potenza ita-
liana (1250). La più schietta e virtuosa, forte e libera schiatta
d' Italia, la sabellica, era pure antichissima e nativa; e forse
d' umbri, che, scendendo dal superiore Abruzzo, tolsero agli ab<y-
rigeni la montuosa regione apcnninica dal Piceno al I^azio. E
forse i latini prischi non furono, se non i predetti aborigeni,
che, diloggiando, occuparono il piccolo e glorioso suolo, su cui
Roma sorse. Ned erano probabilmente, non ostanti le greche fole,
che manipoli di aborigeni o di umbri tutti quegli altri popoli,
che dalle vette delle Alpi all'estrema punta delFApennino si as-
sisero; quali i liguri, i veneti, gli ausonii, gli enotri e gli japigi
(Micali, Italia avanti il dominio dei romani, I, 1-20 e II, 4).
XXIV. Fusione delle anticlie stirpi italiche.
In un modo alquanto diverso un più recente ed ora più re-
putato autore ricostruisce la nostra nazionale genealogia. Secondo
il quale, sebbene nel campo morale intimo profondamente diver-
si, i greci e gì' itali sono tra loro fratelli, e cugini ai celti, ai
tedeschi e agli slavi. Av\'egnachè i prischi italici idiomi tre stir-
pi rivelano, procedenti dal gran ceppo indogermanico, tutt' e tre
per altro strettamente congiunte; e tra cui prima gli japigi^ pri-
mitivi abitatori discacciati a mezzodì. Seconda gli etruschi ^ la
cui favella di diverso stipite dalle itnlogroche non si può ancora
conoscere; ma che vennero, come gli altri itali, da settentrione
e per terra, e, innanzi che nella propria Etruria, fissarono intor-
no al Po le stanze. E terza gV itali in istretto senso, consideran-
do per tali anche i latini e gli umbri; e per umbri i sabelK
od osci e le costoro propaggini, che probabilmente migrarono
- 37 -
più tardi. Sino a che, perduto il settentrione e Y occidente d' Ita-
lia, si accalcarono codesti umbri presso e quasi addosso a' latini.
Ma, mentre così il più di essi soggiacque alla prevalenza delle
altre genti, il* ramo loro de' sàbeUi, cercando negli Apennini ri-
covero per isfuggire agli etruschi, ai latini e ai greci, si rese
forte come di macigno. E ne uscirono i più possenti e degni emu-
li di Roma: i sabini^ i sanniti e i marsi; e quegli altri prodi,
che le contesero la primazia nella patria e \ impero nel mondo
[Mommsen, Storia romana^ I, 2, 8 e 9). In seguito, le san-
guinose turbolenze dopo la guerra iliaca fecero andare molti
greci raminghi; e particolarmente gli achei del Peloponeso e i
dorii, parte nelF Asia, e parte ip Calabria, Japigia, Campania e
Sicilia. Popolarono per tanto costoro, nel lasso di quasi cinque se-
coli, di portentose colonie le nostre riviere: dove Cuma fu, a
quei che pare, il primo stabilimento, nel secondo secolo dopo di-
strutta Troja (1150-600). Ultimi in fine calarono i galli \ la cui
prima invasione sotto Belloveso accadde a' tempi di Tarquinio
prisco, rompendo gli etruschi, nella Insubria; e la quinta ed ul-
tima, quella de' senonì, sino al centro d' Italia si spinse (600-391).
E così dierono il nome alla Gallia cisalpina, nella quale del re-
sto accamparono incolti e fieri, aborrendo i luoghi fortificati e
murati; sebbene da un luogo di Strabone sembri, che quelli alla
destra del Po conservassero di etruschi e d' umbri molte colonie.
Onde r antica popolazione d' Italia, che probabilmente noverava
presso che trenta milioni d' abitanti, rimase mista di cinque san-
gui; ma con grande prevalenza de' tre primi. E lingue principali
erano 1' osca, X umbra e X etnisca, se non tutte, certo le due pri-
me d' un' indole comune e con parecchi vocaboli identici : quasi
dialetti d' un medesimo idioma, eh' è forse più del latino il le-
gittimo padre dell' odierna lingua itaUana. Il qual latino del resto,
che gli degradò senz' annientargli (benché poscia, ripulito e am-
modernato dal grecismo, cangiasse in modo, che il Carme de' fra-
telli arvali non si può quasi più ora capire), da principio loro
assomigliava.
XXV. Ceti nella sooietà itaUoa.
Io mi sono testé arrestato sulle origini nostre nazionali;
perchè la notizia del nostro alto lignaggio, oltre giovar molto
-38-
per quanto poscia dirò, importa assaissimo per conoscere le
sorgeotì de' ceti tra noi , e in complesso gli oggetti delle pre-
senti ricerche. Sebbene usisi oggidì i primi passi del progresso
umano ricercare nelle selve teutoniche, e per fino il nido della
borghesia tra que' merli feudali , io posso ad ogni modo essere
scusalo, ricercandogli nella patria mia. Dove qualche decina di
secoli innanzi, e molto maggiormente, le più stupende evoluziom
sociali , come tosto vedremo, ebbero luogo. Riguardo dunque alla
condizione di questi nostri progenitori, nota Teodoro Mommsen,
come c( non trovandosi in Italia una schiatta precedentemente
stanziala d' inferiore attitudine civile , cui soggiogassero gY immi-
granti latini, mancasse la precipua occasione, che fé' nascere le
caste indiche, laconiche, tessaliche e in genere la nobiltà elle-
nica, e fors'anco i ceti germanici » {Storia romana, 1,5}. Né
questo è tutto: ma più circostanze concorrono ad attestare, che
fossero i predetti arcavoli nella massima parte Uberi e guerrieri;
e assai più ferma tra loro la parità, che cruda la servitù. E,
sebbene in quo' remoli tempi questa, che pure indica un primo
alto di misericordia verso i vinti, sussistesse; pur non poteva
sussìstere, se non limitata e tenue. Dappoiché i vincitori stessi
usassero preferibilmente associarsi, che sottomettersi i vinti; ed
erano o pastori o , come i non degeneri romani , dell' aratro or-
gogliosi. E d' altra parte cosi umani , come le istituzioni del /a-
mulato e della clientela manifestano. Tranne anzi gli etruschi,
più tardi, non ebbero eglino, a (juel che pare, servi domestici:
ma rustici solamente, e benignamente trattati. E gli etruschi
medesimi del resto posero si i vinti itali, che aveano centra loro
pugnato da valorosi, in grado inferiore; ma lasciandogU agricol-
tori e soldati. Onde piuttosto, che una distinzione tra liberi e
servi in (|iiella primordiale società, é da notarsi l'altra tra padri
e famoli, patroni e clienti, patrìzi e plebei. Avvegnaché quegli
uomini erranti , dice Giambattista Vico, che , atterriti dal fulmine
e richiamati al |>ensiero religioso, sostarono e fondarono con le
prime famiglie t;il società , dessero come padri principio al patri-
ziato. Ma, accogliendo appresso gU altri, rimasti pri>i di sedi,
come lavoratori delle loro possessioni o famoli, diedero pari-
menti principio alla plebe. <( Le famiglie non posson essere
wState delle con proprietà d' origine altronde, che da questi famoli
de' padri nello stato allor di natura.... Tali si trovano i veri soci
degli eroi, che poi furono i plebei delle eroiche città, e final-
mente ìe Provincie de^ popoli principi ». L'asilo stesso di Romolo
venne aperto anche per codesti padri , che conducevano i loro ri-
fuggiti 0 clienti, in qualità di lavoratori. I quali ultimi non in-
cominciarono, se non con la legge di Servio, a tramutarsi da
fisimoli in cittadini, e da coloni in possessori per dominio boni-
tario de' fondi de' padri. E , benché con le Dodici tavole otten-
nessero anche il quiritario, pur non furono, se non coi connubi
( cui per ciò Modestino defmisce « comunicazione d' ogni divino
e umano diritto »), pareggiati a quelli, e resi della piena citta-
dinanza partecipi. Imperocché con queste nozze solenni ottennero
gli auspica , fonte d' ogni diritto , e , pei medesimi , la patria
podestà , la suità , ¥ agnazione , la gentilità , le successioni , i te-
stamenti e le tutele. Ed indi nella ragion pubblica il consolato e
il pontificato e la cognizione delle leggi: mercè cui la repub-
blica da eroica in popolare tramuiossi {Principj della scienza
nuova, I).
XXVI. Indole della società italica.
La costituzione organica sociale de' prischi itali, e fin de' pe-
lasgi, stette nelle città: vale a dire negli stanziamenti locali di
genti 0 tribù. Le quali città ^ anche di turbe raccogUticce , vi-
veano autonome : ma in confederazioni tra loro , di cui note
r umbra , l' etrusca , la latina , la sabina e la sannitica. Ed bawi
anche memoria di un nesso reUgioso tra alcune di esse; siccome
tra umbri ed etrusclii, e nelle feste della dea Feronia tra sabini
e latini. Il reggimento delle medesime da principio era misto di
moQarchia, ottimati e popolarità: sebbene i lucumoni e impera-
tori etruschi, i meddici osci e i re e dittatori latini fossero
piuttosto generaU o capi di repubbliche, che tiranni ; e questi, se
mai spuntavano, non potessero durare. Ma si trasformò poi di-
rettamente, quasi nel medesimo tempo che nella propria e nella
magna Grecia, in repubbUca tra aristocratica e democratica. Onde
in ogni città o corpo politico la somma de' poteri risiedette in
un senato; i cui membri, tratti dalle grandi famiglie di una no-
biltà ereditaria , possedeano gli augurii , i sacrifici , le leggi , le
magistrature e le scienze. E famosa era quella de' larti in Etru-
ria, proceri e aruspici nel medesimo tempo. Conciossiacchè in
Italia, non meno che in Roma , non ci avesse ordine distinto ed
- 40 —
esclusivo di sacerdozio; il patriziato ed indi il popolo tutto te-
nendo nelle medesime persone l'infuiae Tasta ognora congiunte.
Il che non solamente impedì il sorgere d'una casta sacerdotale
e d'una dominazione teocratica: ma rese tutt' una cosa sublime
la religione e la repubblica , ed anzi la prima non altro, se non
un istituto della seconda. La plebe inoltre sempre partecipava ,
come alle imprese belliche , così al poter sovrano co' suffragi. E
la introduzione de' collegi delle arti per opera di Numa in Ro-
ma, mostra, che questa istituzione, come quasi tutte le romane,
venne da' popoli (initimi tratta. La qual circostanza , e un antico
trattato commerciale di Roma, quand'era semplice cittaduzza la-
tina, con Cartagine ; la grande nimistà punica, dagli etruschi per
cause marittime ed economiche ereditata, e il liore, in cui la na-
vigazione e la mercatura, le manifatture e le dovizie tra greci ed
etruschi salirono, danno ad argomentare, che già una potente bor-
ghesia italica sin dal decimo secolo innanzi l' era volgare esistesse.
Certo i greci nella bassa Italia ebbero città d'indescrivibile opulenza,
quali Taranto e Siracusa, numerose llotte, e democrazie arieggianti
r attica. Ma gU etruschi, che diedero il nome a' due mari nostri,
non furono guari loro inferiori. I quali anzi, per isprofondarsi troppo
nella ricchezza, nel fasto e nella voluttà, caddero poi, al pari de-
gli umbri, nella mollezza e nell' ignavia. Eglino, tra' rottami forse
d' un impero umbro, riaccostarono a sé le schiatte germane, cui
diedero un assetto pacifico, fondato su buoni ordini militari, buone
leggi, ed opere edilizie ed agrarie meravigliose. Di Tarconie,
fondator di città, e di Tagete, creatore della scienza augurale,
e de'terribili libri fulgurali e acherontici, de' carmi saturnini e de'
canti fescennini, e delle tube tirrene e delle tibie eburnee rimane
appena qualche vaga reminiscenza. Ma, non ostante X ingrato sforzo
de' romani, sedotti ed ingannati da' greci, per estinguerne la me-
moria, la raffinata loro civiltà è indubitabile. I romani del resto
trassero da loro, come la sedia curule, i fasci de' littori, la toga
di porpora e le altre insegne della suprema dignità; cosi i riti
religiosi, le divinazioni, le scuole, e parecchi usi, costumi e isti-
tuti. La loro ()Otenza durò ti*a gli anni 1 187 e 587 innanzi la pre-
detta era veramente volgare : e, sebbene già al sorgere di Roma
la discordia funestasse i parlamenti di Voltumna , mentre aveano
contro romani, sanniti, galli, cartaginesi e greci, per cinque se-
coli anche di poi fecero prodigi di resistenza. E di tal guisa gli
elementi, che costituirono la nazione itaUana, vengono ad ^ser
— 41 —
compiuti. Ma resta ora, che Y etema città, formata ella stessa di
tre stirpi cognate, gli rifonda e gli uniiìclii.
XXVII. Siftigio deUe genti rejette in Bonuu
Secondo lo storico tedesco dianzi citato, non sarebbe vero, clie
Roma procedesse da una mischianza di genti italiche, né da un
rifiuto 0 rifugio delle medesime. Ma sarebbe stata un ridotto o
mercato comune, e indi colonia di tre distretti rurali del Lazio
(i Ramni, i Taziensi e i Lucori); e conseguentemente, da al-
cun elemento sabeUico in fuora, tutta di sangue latino. Pure,
quantunque questo sangue (forse misto d'umbri, di pelàsgi e di
cileni) vi prevalesse, ed essa, da principio alla lega latina si ad-
dicesse; non vi è ragione plausibile per negarle quelle umili origini,
cui essa anche nel massimo suo orgoglio non ripudiò. Secondo le
quali adunque il mitico Romolo, duce di turbe raccogliticce,
avrebbe sul Palatino innalzato poche capanne, e aperto ad altri
pastori, debitori e servi fuggitivi un asilo. Cosi la futura capitale
del mondo da una rivolta, da una rivendicazione e da una riabi-
litazione di ceti oppressi ebbe i fatidici natali. E, poiché tosto al
villaggio latino sul Palatino aggregaronvisi uno sabino sul Capi-
tolino ed uno etrusco sul Celio, da tre diverse stirpi (753). In
breve, altro maggior numero di sabini, duce Tazio, s' incorporò :
ma , prim' ancora che contraesse co' medesimi società , avea su
loro conquistato ti'e terre , toltone un terzo de' poderi e traspor-
tatovi abitatori. II che fu inizio delle leggi agrarie e delle co-
lonie e del successivo interminabile ampliamento della città, de-
stinata ad assimilarsi tutte le nazioni. È anche memoria, che
Àppio Claudio sabino, discorde dagli altri, nemici a Roma, e ri-
coveratosi in questa, venisse fatto patrizio; e lo stuolo de' suoi
clienti ascritto al popolo. Ad ogni modo codesti originari cit-
t<idin%, 0 per dir meglio conditori, formarono appresso quel pa-
triziato, che mano a mano che la città, seguendo il suo fato,
cresceva di aggregati , soci e deditizi , quasi giustamente per la
comunione a costoro delle proprie prerogative contese. E di tal
guisa la graduale e progressiva comunione di tali prerogative, se
così lice esprimermi, d' or/^inaWdd, prima internamente a' nuovi
abitatori e indi esternamente ai vinti, forma il nodo della romana
storia. La quale merita ora di essere particolarmente considerata ;
- 42 —
poiché sui sette colli appunto si anticipò , e si fissò la vocazione
de' secoli futuri e dell' uman genere.
XXVIII. A^rgregaiione de' Tinti alla romana oompaffnia.
A quest' uopo , e mentre prima degF itali non sì conosceva
quasi altro sistema verso i popoli debellati, che di spegnergli o
d'incatenargli, giova anzi tulio notare i due sistemi italici, cui
tenne Roma, oltre le colonizzazioni, per ricongiungersegU. E cioè,
se propinqui, di trarnegli tra le sue mura : e, se lontani, di ren-
dergli suoi commilitoni minori e federati inuguali o, come allor
si diceva, soci. Nel primo de' quali modi i nuovi abitatori forma-
rono, insieme co' clienti degli anticbi , la plebe. E primi vi ven-
nero dalla distrutta patria gli albani , scampati all' eccidio , otte-
nendovi domicilio e serbando tenui poderi; ma senza partecipare
a' diritti di città (625). Ad Alba, e in massima ai comuni di poi
incorporati, giusta il costume d' altri popoli italici e in appresso
de' germanici, si tolse un terzo del territorio, che diventava agro
pubblico y 0 fondo comunale. E una parte di questo, poscia og-
getto tra patrizi e plebei di secolari lotte , addicevasi all' erario :
suir altra deducevansi le colonie, d' accosto e tal volta entro i me-
desimi recinti degli indigeni. Colla caduta d' Alba, metropoli delle
trenta comunità latine collegate, colla pace allora stipulata e colla
unione difensiva tra loro intei*venuta, Roma divenne capo del Lazio.
E da principio tale unione era quasi pari: ma naturalmente, serban-
do i romani la decisione e la capitananza della guerra, la egemonia
mutarono grado grado in signoria. Le loro durezze per altro coi
consanguinei non incominciano, che per necessità, e in seguito a
fellonia, e come per giusto castigo : poiché di regola nella prima
e lìn nella seconda volta dolcemente gli assoggettano. Cosi eglino
sotto Tarquinio prisco i latini sottomessi si associano; e ai me-
desimi , ribellatisi ne' conati dell' ultimo Tarquinio per ricuperare
il trono, perdonano, rinnovando la lega, che die origine al fa-
moso gius latino (496). Pretendendo poi costoro di non ricono-
scere più Roma a capo, e in uno di essere ammessi al consolato,
al senato e agli altri uflìci ; essi e i vicini volsci, equi ed ernici,
con estremo sforzo e col sacrificio del primo Decio abbattuti,
sempre come alleati e con proprio governo obbligano a servire
ne' loro eserciti (338). I vejenti in vece, espugnati dopo un lungo
- 43 -
e memorabile assedio, furono parte trucidati e parte venduti al-
l' asta : e dalla ruinata patria trasportati in Roma col simulacro
di Giunone e degli altri dei , supplicati e assenzienti (390). Ma
ai capuani, ricevuti in volontaria dedizione della nobiltà, che
chiamato avea contro il popolo in soccorso quella fiera progenie
di Marte, si mantenne il particolare senato, le immense ricchezze
e le locali franchigie (342). Ai campani lutti accordossi la citta-
dinanza senza suffragi : ai privernati , che avean chiesto di esser
liberi 0 morti, la cittadinanza perfetta; agli umbri e agli etru-
schi, imponendovi molte colonie , il gius italico. Del pari dopo
le terribiU giAerre sanniiiche , questi forti nemici ( coi collegati
umbri, etruschi e galli senoni) vennero sl> domali; ma solamente
costretti a militare come aiuti nelle legioni romane (290). E in
genere, tranne le crudeU eccezioni di Alba e di Vejo, forse da
supremo timore ispirate, i popoli finitimi sono benignamente trat-
tati, e ricevuti appunto nel predetto grado di soci o compagni.
I soci kUini (e tali erano anche gli ernici, equi, volsci ed au-
nmci ) serbavano adunque le istituzioni, le leggi e le milizie pro-
prie, divenute ausiliari: godendo oltracciò i maggiori loro magi-
strati la cittadinanza romana , e tutti la facoltà d' acquistarla a
certe condizioni. I soci italici j spogliati d' una parte, e proba-
bilmente d' un terzo del territorio, gravati di tributo e di un con-
tingente miUtare, serbavano tuttavia propri ordini militari, ed an-
che della romana cittadinanza alcune prerogative. Onde le città
confederate o municipii (diverse dalle colonie, che aveano or-
dini, e dalle prefetture, che rettori romani) si poteano, oltre che
autonome , considerar libere e quasi indipendenti. Era di giunta
invalso r uso , sebbene poscia si proscrivesse , che gf italici si
tramutassero nel Lazio, per impetrarvi le prerogative latine; e
quinci i latini in Roma, per acquistani la cittadinanza romana.
Se non che, contro codesto gius sociale o federale, proprio della
nostra alma penisola, cominciarono allora per esempio straniero,
e sopra tutto cartaginese, a manifestarsi più aspri modi di assog-
gettamento.
XXIX. Chierra sodale.
Dopo la resa di Taranto , seguendo la conquista di tutta la
panta meridionale del continente italiano, dovettero le città greche
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riconoscere la supremazia de' conquistatori , parie come confede-
rate ; ma parte come suddite , e parte anche soggiacendo a una
occupazione di coloni con autorità sui natii ( 272 ). La Sicilia, la
Sardegna , la Corsica e la Gallia cisalpina , a cui pur si uni la
Venezia, furono le prime poste in quella condizione, in cui poscia
le nazioni oltramontane e oltraraarine, non divenute regni tribu-
tari 0 vassalli. Vale a dire, in condizione di suddite, e sotto il
governo di pretori ed indi di proconsoli; o, come allor si dicea,
di Provincie (222). In peggior sorte cadde Capua, ribellatasi
perfidamente dopo la rotta di Canne, i cui nobili vennero truci-
dati, e i plebei tratti in senitù (208). E in genere tutta la ma-
gna Grecia: i cui municipii, perduta la prerogativa del ^tf^ ita-
lico, vennero a un commissario della capitale sottoposti, o a pre-
fetture ridotti. Ma era già per ventura iniziato un moto, mercè il
quale dalla società andavasi alla civilità romana , e questa ' dal-
l'Italia dilatavasi all'orbe conosciuto. Roma assai più lottò per
domare i vicini , che per calcare V angusto pianeta ; né potè do-
margli, se non dopo trasfuso nelle sue legioni tutto il sangue
e tutta la virtù de' popoli congiunti. I soci latini davano circa un
terzo del numero totale alla santa romana milizia, e Y altro terzo
gl'italici: gli uni e gli altri comandati da propri capitani, e par-
tecipi de' vantaggi alquanto. Ma, siccome questi non erano equa-
mente riparlili, e col tempo furono quelli con disprezzo e quasi
come provinciali trattati da' trop|)0 superiori commilitoni , si ri-
bellarono. E, strettisi in lega marsi, piceni, vestini , lucani , ap-
puli, e sopra tutto sanniti, rivolsero contro Roma le armi: non
tanto per esserne divisi , quanto per esservi parificati. « Alle
quali, dice Vellejo Patercolo (Istoria Romana, II). quanto fu
ingiusta fortuna, altrettanto ne fu giusta la causa. Perciocché di
quella città addomandavan la civilità gì' italiani, il cui imperio
coir armi difendevano, ed a cui in ogni anno, ed in ciascheduna
guerra somministravan doppio numero di cavalh e di fanti; ed
era dolente cosa i dritti di cittadino negarsegli da coloro, i quali
essendo \¥tv essi a si gran possanza pervenuti, dimeutichevoli al-
lora del comun sangue ed origine dimostrandosi, come strani gli
dispregiavano ». 1 collegati elessero Corlìnio a capitale ; crearono
due consoli o imperatori e un senato di cinquecento; armarono eser-
citi pari nel valore , nel comando e nella disciplina ai romani ,
coniando monete col santo nome d' Italia e col toro sannite, che
schiaccia la ronmlea lupa. Si aggiunsero quindi a loro gU etru-
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schi e gli umbri: ma (la maggior parte di costoro e i latini, ri-
masti fedeli, e gli altri, che si ritraevano dalla lotta, avendo a un
tratto ottenuta la cittadinanza di Roma ) si divisero d' interessi e
d'animi. Con la qual divisione Roma, e armando i liberti, potè
abbattere i sanniti , ultimi loro campioni. Ma non senza che pe-
rissero in questo supremo olocausto per la libertà, che fu detto
guerra sociale o italiana , più di trecentomila giovani del nobi-
lissimo nostro sangue antico. ^ d' altra parte erano tali i nemici
abbattuti, ch'ella credette alla fine di dover concedere anche a
questi la cittadinanza , incorporando pe' suffragi tutti gr italiani
nelle sue trentacinque tribù : il che accrebbe e rese di poi la sua
plebe prepotente (88). Di tal guisa Y Italia legale ebbe per con-
fini la Magra e il Rubicone: ma non molto tempo appresso an-
che al di là, prima ai galli cispadani e quindi ai traspadani, die-
dersi i suffragi. E in codesto modo non i singoli; ma tutte le
terre e le genti nostrane (cessata la specialità di soci e provinciali,
di municipii, colonie e prefetture) formarono una sola nazione. Se
non che, quando in seguito Augusto fino alle naturali frontiere
d' Italia, e Caracalla fino agli estremi limiti deir impero estesero
la romana cittadinanza , questa non era più , che un nome.
IXX. Patrìaìato e plebe in Roma.
Cosi dunque pria colla conquista si differenziarono , e poscia
nella cittadinanza si uguagliarono tutti coloro , sopra cui stese il
suo scettro la prole di Quirino. Ma occorre soggiungere, come si
distinguessero i cittadini stessi: il che più propriamente ai ceti
ci riconduce. Or, sebbene si facesse distinzione onoriflca tra' cit-
tadini originari e avventizi (genti maggiori e minori )j non vi
ebbero naturalmente caste. Né da principio quasi ceti diversi;
giacché quasi tutti i cittadini , sendo quiriti (cioè astati o armi-
geri) e padri 0 patrizi, possedeano i requisiti militari e gentilizi
per partecipare ugualmente allo stato. Questo venne tanto pe' suoi
elementi , quanto per la sua forma , sopra tutto fondato sulle fa-
miglie (dieci delle quali formavano di regola una gente] siccome
dieci genti una curia , e dieci curie una tribù), E anzi primie-
ramente costituito a dirittura da codesti consorzi domestici : di
cw il senato stesso altro non era , se non un consiglio de' capi
r^hiivi; 0 meglio de' membri delle prime famiglie, ch'erano state
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ceppi di genti. I patrizi soli, in cui forse prevaleva il sangue e-
li'usco, come ordine religioso, possedeano gli augurii e i sacer-
dozi; ne' quali comprendevasi la dottrina delle leggi, i legittimi
imenei, il legittimo dominio e in genere il legìttimo diritto pri-
vato, oltre la forma esclusiva di render valido ogni atto. Ma coi
liberti e clienti , ospiti e inquilini di ogni maniera e di ogni re-
ligione, che fra' sette colli convennero, massime dalle atterrate
0 incorporate città laziali, sorse di fianco al popolo de' patrizi,
esclusivamente fornito delle civiche e quasi anco delle giurìdiche
prerogative, una plebe che n'era sfornita. La quale per altro,
già a' tempi di Numa, istitutore delle corporazioni degli artefi-
ci , dovè colle occupazioni venaU saUre a qualche importanza :
siccome poi colle medesime affermarsi nello stato. Il censo di
Servio, che noverò circa venti migliaja di cittadini possidenti e
atti alle armi, non sostituì veramente tosto una dominazione per
beni ad una per sangue. Ma pure ne iniziò l'avvenimento; giac-
ché , sebbene le centurie fossero istituite pel debito della milizia,
erane il suffragio naturai conseguenza. Ad ogni modo cominciò
egli a dar basi, se non di democrazia, certo di timocraeia al
regno; prima ordinando i plebei della città e del distretto in trenta
tribù con presidi e comizi propri. E indi dividendo in classi e
in centurie i censiti , e ripartendo tra loro diversamente , secondo
gli averi, le gravezze, le armi e i voti. Ma, siccome una sesta
classe , di proletari , era dal tributo e dalla milizia esente , e al-
tresì del suffragio poco meno che priva , e sebbene i più ricchi
avessero obbligo di servire nella milizia pesante. a proprie spese,
pur questi ebbero maggior favore. Onde il re benigno, attiratosi
l' odio de' patrizi offesi , fu ucciso dal re superbo (534).
XXXI. Ck^ntensioni tra patrisiato e plebe.
Del resto nella elezione de' principi e nella deliberazione
delle leggi ebbe sempre parte il popolo, almeno ne' comizi ca-
riati: poiché, secondo la ragione italica, sino da' più vetusti tempi
non è legittimo altro impero, se non questo. Però, anche quando
ne' comizi ceniuriati e ne' comizi tributi (organi della sua po-
tenza) i suoi suffragi ebbero maggiore estensione ed efficacia,
oweramente all' antico popolo il nuovo si aggiunse ; restavagli
assai più d'acquistare. Dopo la cacciata de' re, cadendo la pò-
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desta suprema ne' due consoli e nel senato , benché questo acco-
gliesse nel suo seno alcuni plebei col nome di padri coscritti e con-
fermasse i decreti del popolo e proponessegli i magistrati , ma i più
de* quali da eleggersi tra' patrizi; rimase vie più a costoro la
prevalenza (533 j. Costoro anzi , già dal monopolio delle cose sa-
cre e delle formule legali e da tante altre circostanze favoriti,
oe abusarono tanto, anclie nella sfera degli interessi materiali,
che, assicuratisi definitivamente da' conati monarchici, e non a-
vendo più niente a temere, colle leggi de' debiti oppressarono
i plebei crudamente. E questi , dovendo servire nello esercito senza
soldo , armarsi del proprio , pagar le gravezze su' miseri tenimen-
ti, e insieme, standosi al campo, lasciarnegli incolti , s' indebita-
rono. Né potendo poscia riscattarsi del capitale e dell' usura , che
giungeva sino all'otto e al dieci per cento, doveano con tutti i
propri beni e col proprio corpo pagare; divenir servi del credi-
tore e , se costui vendevagli , schiavi. Determinaronsi per tanto alla
ritirata sul monte Sacro , col proposito di cercare una novella
e meno ingratii patria. Ma, intercedendo Menenio Agrippa, otten-
nero colle leggi sacrate per loro tutori il più stupendo istituto
umano , i tribuni. I quali , pria cinque e indi dieci , sacri appunto
e inviolabiU , ebbero in breve facoltà di porre il veto a' consulti
del senato ed a' provvedimenti de' consoli, che recassero al po-
polo detrimento ; e , se ciò non giovasse , d' interdire la leva dei
soldati e la esazione de' tributi (494). Poco appresso bandirono i
plebei Coriolano , che cercava di strappare a loro con la fame l' a-
boUzione del tribunato (490). E dovettero pure incominciar tosto
una seconda contesa , che accompagnar doveva sino alla fine la
repubblica , e procacciarne la mina. Imperocché, sebbene la proprie-
tà deir agro pubblico spettasse allo stato , concedeasene l' usufrutto
a' pau-izi, che il cedevano a' propri clienti e liberti a coltivare,
osandosi pel pagamento del canone reciproca indulgenza. Chiesero
adunque di quando in quando i plebei d' esser fatti partecipi di
questo comune pati^imonio, formato (come già dissi) da' terreni
in comune conquistati. Ma per molto tempo inutilmente : e Spu-
rio Cassio, console, ed uomo molto benemerito e illustre, che
primo propose codesta universale partecipazione , e cioè le leggi
orarie j venne dalla rupe Tarpea precipitato (486).
- 48 -
XXXII. Riscatto della romana plebe.
Meglio, che in queste due alTrancazioni economiche , prose-
gui poi r inclita romana plebe nelle affrancazioni politiche s), da
potere con le medesime adeguarsi al patriziato. Amministrando que-
sto la giustizia , con un diritto riservato e consuetudinario arbitra-
riamente, chiese primieramente quella leggi scritte. E, benché
i dieci patrizi, deputati a compilarle, tiranneggiando, costrìnges-
serla di nuovo a ritirarsi sul monte Sacro , ottenne le dodici ta-
vole y vangelo giuridico del mondo (448). Ottenne poscia del pari
la comunione delle nozze, ma non anche tosto del consolalo:
in luogo del quale, poiché i tribuni suoi interdicevano la leva
de' soldati , per alcun tempo si crearono da' due ordini i trOnmi
de' militi con podestà consolare (442\ Tuttavia, dopo la partema
de' galli, la plebe scorala, in vece di riedificare i patri abitnrii
voleva passare a Vejento. Onde il patriziato, per non perdere i
diritti, fissi in quegli abituri, la trattenne , demolendo, disertando
e sconsacrando la rivai città. Pretese di poi questo gli antichi pri-
vilegi, e fin di ripristinare le viete leggi de' debiti. Né valse a
Marco Manlio, che assunse il patrocinio degli oppressi, di avere
innanzi salvo il Campidoglio con tanta virtù. Fu egU pure , come
tiranno , precipitato dalla rupe Tarpea ; atterratane la casa , e im-
precatane la memoria (383). La sua morte nondimeno ebbe ven-
dicatori Licinio Stolone e Lucio Sestio , tribuni della plebe , che
proposero (luosti tre famosissimi partiti. Ne' debiti , sbattuto quanto
si era pagato a conto d'interesse, il residuo capitale in tre rate
annuali e uguaH si estinguesse. Nessuno più di cinquecento jugerì
dell'agro pul)bHco possedesse, dividendosi in minute parti e a
sorte il resto : e fosse uno de' consoli plebeo. I quali partiti, dieci
anni contrariati, furono alla per fine come legge approvati. Di
guisa che, (piando più tardi anche gli altri magistrati e i sacer-
dozi vennero alla plebe accomunati , ne s(*gul tra' due ordini la
parità, e tra' cittadini la concordia (3C(1). E cosi il secolo, in cui
]HÙ splendettero la virtù e la felicit;) romana, é circa il quinto
dalla fondazione: (luello, in cui i due ordini vissero paride
concordi i citUìdini.
-49-
XXXin. Basa borghesia in Bona.
Poiché il popolo, oltre gli ufiSci comuni, aveva di proprio
W tribanato (al quale non poteano i patrizi accedere senza ini-
plebearsi ), e ne' suoi frequenti e frementi comizi statuiva le leg-
gi , creava i magistrati , deliberava della guerra e dblla pace e
fìn sentenziava sulle appellagioni ; di leggieri si capisce , esservi
stato un momento, in cui esso divenne politicamente piuttosto
maggiore, che uguale alla nobiltà. Anzi, durante Y invasione d'An-
nibale, quasi in tutte le città della media e bassa Italia la ciur-
maglia, autrice della vituperevole loro ribellione ai romani di
faccia allo straniero, despoteggiava. Ma quinci appunto principia,
sopra tutto colle incette e cogli approvigionamenti per questa ti-
tanica repulsione , la esaltazione d' una popolesca e danarosa oli-
garchia. Imperocché, obbligando i plebisciti ambo gli ordini, e
cangiandosi poi la costituzione stessa del senato, si pub dire,
che allora in Roma la vera aristocrazia avesse cessato. Primiera-
mente né la nobiltà reputavasi più prerogativa de' soli patrizi (sendo
Ja Livio e da Sallustio dimandate nobili la famiglia Porcia ed
altre colali del popolo , antiche e nuove ); né più il senato era
nnicamente un consesso di patrizi. Dappoiché da' censori vi si
ascrivevano mano a mano que' popolani , che stati fossero edili
<^«nili, pretori, tribuni o consoU. E negli ultimi tempi della re-
pubblica ( fatto non abbastanza avvertito ) menzionavasi piuttosto
bordine senatorio j che un patriziato: del qual ordine erano
partecipi coloro, i cui maggiori, sebben popolari, fossero slati
senalori. Ma ad ogni modo, spettando l'imperio al popolo, e
Questo potendo colla intercessione de' tribuni sin 1' azione del
senato moderare , il reggimento divenne popolare. Colai voce per
altro è a intendersi già in senso ristrettissimo, ed equivalente a
Twlla odierna di borghese. Sopra tutto in causa de' comizi cen-
turiati, ne' quali il popolo censito manifestava la sua volontà; e
06' quali un ceto di popolani grassi e di nobili nuovi, che non
sono più i patrizi antichi , prevaleva. Mediante il censo in fatti ,
cbe ad ogni cinque anni rifacevasi,e con cui davasi o toglievasi
tale 0 tale stato a' cittadini ; questi senza distinzione di patrizi e
plebei, erano in due ordini divisi, l'equestre e il pedestre, giu-
^ che militare doveano a cavallo o a piedi. Erano i primi in
4
— 50-
diciotto centurie , e i secondi in sei classi di centosettantasei cen-
turie descritti : e , valendo i voti d' una centuria per uno ne' ge-
nerali squittini, sembrava, che tutti fossero uguali. Se non che,
siccome T appartenere piuttosto ad una, che ad altra sezione,
dipendeva dal possedere gli eqtitti almen centosessantamila se-
sterzi, i pedoni della prima classe quarantamila, e cosi via via
digradando; e siccome le centurie e quindi i voti erano tra loro
in modo ripartiti, che più ne avessero i più abbienti, i quali
sono in minor numero ; in effetto Y ordine e la classe Iort> con-
tavano assai più, che quelle de' meno abbienti. Anzi T ultima
classe de' censiti o de' non abbienti , nomati appunto per ciò capi-
tecensi, non avendo, che una centuria e un voto, benché con
romana giustizia dal tributo e dalla milizia esenti , si può aggiun-
gere che nulla contassero. E, siccome le centurie e i voti de'
fanti della prima classe erano ottanta, chiaro si vede, come ba-
stasse il loro accordo co' cavalieri per dar luogo a' maggiori suf-
fragi: nel qual caso non vi era pur bisogno di chiederne altrì.
Onde un ceto facoltoso o, come or si dice, la borghesia rapi
allora e per un certo lasso lo stato ai più rozzi quiriti.
XXXIV. Alta borghesia in
La Legge Licinia adunque, e le seguenti riforme, che in
men d'un secolo acx;omunarono la censura, la pretura, l'edili-
tà, l'augurato e il pontificato, annientarono la nobiltà dinastica,
0 il patriziato antico, quale corpo sovrano. Ma, mentre davano
poi luogo a un' aristocrazia avventizia , non soUevavano le angu-
stie del popolo; né tra' ricchi e poveri cx)lmavano il profondo
abisso. Le Leggi Valeria, Puhhlia e Ortensia, rendendo le
deliberazioni de' comizi tributi vaHde al pari di quelle de' cen-
turiati ( tranne nelle elezioni principali e nelle altre materie a
questi esclusivamente devolute), favorirono per verità un largo
reggimento. Ma in onta a ciò, se potè in appresso spuntare la
demagogia , non potè una democrazia perfetta consolidarsi ; sendo
la parità pohtica de' ceti vinta dall imparità economica , e n prin-
cipio dal fatto. Erasi appunto formata allora una nobiltà nuowi,
e anch'essa ereditaria, da' plebei ammessi pel tramite delle ma-
gistrature niruli in senato, da' loro discendenti e da' cavalieri per
censo. La (piale, ripetendo i suoi titoli dalla fortuna, non profiegni
— 51 —
verso il popolo diseredato in quel sistema di regolata accondi-
scendeoza deir antico patriziato , che gli ripeteva dal valore. E
cosi inasprì le cose in nnxlo, che le guerre civili e gli altri mo-
stri, che indi spensero la romana libertà, non furono tanto da
un conflitto politico, quanto economico tra' ceti , e propriamente
da ciò, coi oggidì si suol chiamare questione sociale , ingenerati
Lo sviluppo in fatti della economia senza limiti aveva come og-
gidì, ma in due naodi alquanto diversi, resa la sorte del popolo
predetto ins(^portabile. Prima la pecunia aveva colle usure latto
guerra mortale alla proprietà prediale, e alla per flne ingoiatala.
Poscia questa medesima proprietà , raccozzata dalle usure , con-
densandosi ne' Iati fondi , e surrogando T opera schiavesca alla
libera (naturale risultato di un movimento non raffrenato delle
ricchezze), sommerso nella miseria le persone. Dilatato inoltre
r imperio, scemato V amor patrio, perduti gli antichi austeri costu-
mi, tra la sete de' piaceri, il lusso, la crapula, T incredulità e
tutti gli altri maleficii della corruzione greca e orientale; divenne
anche in Roma la caccia agli averi la suprema aspirazione degli
animi. La nobiltà nuova co' proconsolati e le propreture , e colle
rispettive malversazioni e concussioni ( borghesia emerita ); e l' or-
dina equestre, colle endiche e cogli appalti delle gabelle (borghesia
pobblicana) non miravano ad altro nelle Provincie, che a quella
caccia. E le estorsioni giunsero al punto, che le insurrezioni e
iodi le guerre lusitanica e numantina non ebbero altro movente,
che la di^razione de' popoli angariati. Ma anche in Italia la no-
biltà nuova , oltre il monopolio de' lucrosi uffici dello stato, aven-
do grado grado racquistato quello dell' agro pubblico , e sin colla
violenza i predi privati , ridusse il ceto de' liberi coltivatori al
niente. Altre volte fondamento della repubblica, e fonte di pro-
bità, di operosità, di fierezza e di tutte le belliche e civili virtù,
cedeva esso il luogo a masnade servili ; e vagava per la penisola
0 nella capitale accalcavasi , torbido e abietto. Cosi da questo
ceto, e da tutt'i cittadini impoveriti e da' clienti poveri, cui la
vecchia aristocrazia gentiUzia contrappose alla nuova aristocrazia
borghese , emerse la nuova plebe. E il solenne atto, che la rico-
nobbe, fii quella riforma de comizi centuriati, che tolse a' cava-
lieri la precedenza nelle votazioni, die probabilmente a ogni classe
di fanti ugual numero di voti , e rese pari i libertini agi' ingenui.
~ 52-
XXXV. Sorte del proletariato romano.
Fra tali circostanze ebbe nascimento e alimento la sventu-
rata e pur cotanto nobile impresa j che fu detta la sedizione éU^
Gracchi (133-121). La giustizia della quale io non so in qual
miglior modo potrebb' essere testimoniata , che da queste consi-
derazioni , cui uno scrittore di tanti secoli discosto da queste pre-
senti e supposte ubbie del quarto ceto, reca. « Di tutte le terre,
dice Plutarco ( Vita di Tiberio e Cajo Oracchi ), che acqui-
stando andavano colla guerra i Romani da' confmanti , ne ven-
deano una parte, e rendean T altra di ragione del pubbUco, e
distribuivanla ai cittadini indigenti e mendici, che ne pagavano
una moderata contribuzione all' erario. Ma incominciato avendo i
doviziosi ad esibire contribuzioni maggiori , e in tal maniera scac-
ciando egUno i poveri, fatta fu legge la qual proibiva il posse-
dere più di cinquecento jugeri di terreno: e una tale determinsH
zione represse per alcun poco di tempo V avidità de' ricchi , e
diede soccorso a' poveri , che si rimanean ne' poderi ad esso loro
allogati, e godeansi i proventi di quella porzione che da prima
stat' era ad ognuno assegnata. Ma in progresso poi di tempo tra-
sferendo i doviziosi confìnanti in sé medesimi col mezzo dì sup-
positizie persone quelle allogagioni , e alla fine tenendone già pa-
lesemente moltissime sotto il proprio lor nome, i poveri che se
ne vedevano espulsi, più non si portavano di buona voglia alle
guerre, né più si prendean cura di allevare i figliuoli; di modo
che r Italia tutta era per essere ben tosto spopolata in gran parte
d' uomini liberi , e ripiena in vece di schiavi barbari , col mezso
de' quali i ricchi lavorar facevan le terre , donde scacciati aveano
i lor cittadini ». Il primo adunque de' due santissimi tribuni, figli
di Cornelia e nipoti del grande Africano, oltre che di estendere
la civilità a tutti gì' italiani , si propose nel medesimo tempo di
rifare quel ceto de' Uberi coltivatori ( veramente medio, e non quale
oggidì si vanta essere il terzo ceto ), eh' era stato primo fattore
della grandezza italica e romana. Al quale uopo, ritogliendo le
terre demaniali a' privati , che se Y erano usurpate , e contro le
quaU non decorrea prescrizione, ribsciavane loro sino a doque-
cento jugeri, e davano trenta in enfiteusi a' concittadini ed a' con-
federati. Non piacque allora la sua causa, e indi quella del fra-
— 53 -
(elio C^'o e di Livio Dniso agi' iddii , ed a tutti coloro, che re-
putano sempre colpevoli i riprovati dalla fortuna. Ma tuttavia pri-
ma delle moderne viltà non vi avea chi, pur coudannandogli ,
Don gli ammirasse; siccome del resto non vi ebbe mai tra gli
tatichi chi non ammirasse ambo i Bruti. E in prova cedo la pa-
rola ad un antico storico, niente meno che devoto a Tiberio Ce-
sare e fido a Sejano; e il quale, anche dove gli biasima, non
sa quanto gli onori. ,
XXXVI. easta trilnuiiiia da' Bn^obì.
« Tiberio Gracco..., dalla plebe eletto tribuno, sebbene di
costumi purissimi , di fiorito ingegno e di orrevoli concetti , e di
ogni specie di virtude adorno , nondimeno s' incattivi ; ed a tutta
Italia la cittadinanza promettendo , e leggi agrarie agli amanti di
novità, ed a poveri cittadini sempre accettissime promulgando,
in rovine , ed in perigli la repubblica immerse. Deponendo quindi
dal tribunato il collega Ottavio, perchè a ben fare disposto, la
divisione delle terre , e la condotta delle colonie a sé stesso affi-
di, congiungendosi il consolare Àppio suo suocero, e suo fra-
tello Gracco ancor giovane. Ma Publio Scipione Nasica . . . , rag-
gruppatasi al sinistro braccio la toga, e sopra i più alti gradini
delh parte superiore del Campidoglio salito, a seguitarlo esortò
chi la repubblica salva desiderava. Allora gli ottimati, il senato,
la maggiore , e più scelta parte de' cavalieri , ed i pletei da con-
sigli perfidi non travagliati fecero empito contro Gracco, che in
piazia sen stava tra le torme de' suoi , la moltitodìne di quasi
tutta Italia infiammando. Egli fuggi , e dal colle ^^pitolino seen-
deado, colpito da un troncone di banco, con immatura morte pone
fine alla vita, che avria possoto samnamefite render glorìoput
Fvoo queste le prime anni, che RmBa ride impow^meote lorde
di sangue duadioeseo. Da iodi it poi daBa fioirza il dritto oppres^
sossi, i più arditi ebber potsanza ; e le cìyìS ifefiordje, die pria
co' patti tominar si soieaaO; col ferro 6mm <fe«iMr ; e la^m/J^ Oh
giooi , e per priviti fini mtre m kttm f Mfi anmi Af^ h
nme di Tiberio Gracco. Cajo di U iralHIo, dalb ^^mn («ria
b iavaso. Per iagegno e («r 4^0iffKmiz 4» mm hm^ Mip^tMure a
liberk), neOe limitaci nrla. « 4tf^ <M MM» lo mmamtjmx
K posMado pacifir MM Hi? csfatrr i fnm Mb «eioàit^ Jerinterto
-.54 —
di vendicar la morte del fratello , o di prepararsi un regio domi-
nio lo sospingesse, fatto tribuno, concetti più smisurati, e pia
odiosi sul di lui esempio dispiegando : accordava a tutta Italia li
civilità, fino quasi all'Alpi estendendola: dividea le campagne:
proibiva, facendo rivivere la legge Licinia, che niun cittadino
più di cinquecento jugeri possedesse : nuove gabelle inventava :
nuovi coloni affollava nelle Provincie : concedeva a cavalieri in
luogo del senato il dritto di giudicare : stabiliva il frumento da
distribuirsi alla plebe : e tutto infine ravvolgendo sossopra , avea
la pace , e la tranquillità bandite dalla città ; prorogandosi perfino
da per sé il tribunato. Ma armatosi Lucio Opimio consolo, il quale
pretore distrutto avea Fregeila,lo spense insiememente a Fulvio
Fiacco, uomo adorno di consolato, e trionfo, a malvagi consigli
eziandio inchinato, e cui egli nel regio potere associando, trium-
viro nomato avea in luogo di Tiberio. Isconciamente solo Opi*
mio operò nel prezzolare, e mettere a peso d'oro la testa di
Csgo , nel quale il cittadino romano rispettar si dovea. Fiacco in-
fiammando i suoi scherani alla punga, in suir Aventino col mag-
gior suo figliuolo fu ucciso. Gracco fuggendo , e quasi sopragiunto
da' gherri di Opimio, porse il collo ad Euporo servo, il quale
il braccio prestato avendogli, coraggiosamente quindi contro sé
stesso il ferro ritorse » (Istoria romana di Vellejo Paterco-
lo, II).
XXXVll. Wta&Bne popolesca di Mario.
L' aristocrazia borghese per tanto non solamente è colpevole
di non avere alle giuste ragioni del popolo ceduto; ma di avere
per la prima usato la violenza , spregiato i plebisciti , infranto la
costituzione , e posto le mani addosso alle persone de' tribuni , per
legge sacre e inviolabili. Dopo di che imbaldanzì , e non avendo
più contrappesi , sprofondò nelle bassezze talmente , che Giugurta
potè contare sulla sua connivenza prezzolata per commettere ogni
scelleratezza, e fin per far passare sotto il giogo un romano esercito.
Indignato quindi il popolo, creò console Cajo Mario, uomo di na-
scita vile e di ruvidi costumi; ma spregiatore de' grandi, e sol-
dato severo e valente all' antica , che , oltre la guerra giugurtina,
vinse la cimbrica e la teutonica. Sotto il sesto consolato del qua-
le, giunto il popolo al colmo della fortuna , il tribuno SatumiAO
— 55 —
propose, che si distribuisse grano , e nelle Gallie e in Africa
terre, ai [hu mescbioi. Se non che, pel disordine e pel tumulto,
rimase da' giovani patrizi superato. Poco appresso il nobilissimo
e virtuosissimo Livio Druso , parimente tribuno , tentò forse il più
savio e onesto sperimento. Interponendosi paciere, colla restitu-
zicoe de' giudizi e degli altri onori al senato, propugnò pure il
ripristino delle leggi agrarie, la distribuzione di grano e di terre
lontane, e il conferimento della cittadinanza agl'italiani. £ stava
per vincere, se, contrariato dal senato medesimo, invido e venale,
Qoo fosse stato , di ritorno dal foro e tra l' immensa turba , ucciso
a tradimento (100). Sin qui il popolo romano, che nelle sue me-
ste e pietose secessioni non avea pur tocco un fil d' erba , e an-
che di poi non erasi mai macchiato delle crudeltà e degU ecces-
si , ciie usano le briache e forsennate turbe d' oltre monti nelle
lor rivolte ; sin qui , nella graduata rivendicazione de' suoi diritti
luogo i secoli , questo santissimo popolo con soiTerenza e mansue-
tudine si contenne. Da questo punto in vece , poiché tutte le fu-
rie della nequizia del mondo erano in Roma convenute ; da que-
sto punto la carità di patria e fin V umano sentimento tace tra le
(azioni : la democrazia degenera in demagogia affatto , per cedere
iodi il seggio alla dominazione infame de' cesari.
XXXYIII. enerre dviU.
Mentre adunque Lucio Cornelio Siila , capo della fazione ari-
stocratica , accumulava in Asia trofei ; il capo della fazione po-
polana , reduce dalle mine di Cartagine , Mario , unitosi con bande
tumultuarie a Cinna e Sertorio , caporali della marmaglia (quarto
ceto) , entra per forza in Roma , e dà cominciamento alla prima
guerra civile. I suoi corrono la città, traendone bottino e mas-
sacrando i patrizi : ma egli , fattosi elegger consolo la settima vol-
ta, non sazio ancor di sangue, muore (86). Tornato Siila col fa-
vor de' patrizi , scanna nel circo quattromila tra' seguaci di quello e
sanniti ribelli. Né pago delle centomila vittime, già alla discor-
dia immolate , pubblica contro i mariani, affinchè fossero spogUati
e morti , le famose tavole di proscrizione. Le quali , rompendo
i legami del sangue e della pietà, eccitando la delazione, la cu-
pidigia, il sospetto, lo spavento, finiscono di logorare tutto quel,
<^he restava della romana virtù antica. E, nominato dittatore a
- 56 -
tempo indeterminato, promulga le famose Leggi Comelie; mercè
cui restituiva al senato V autorità , sopprìmeva la podestà tribuni-
zia, e riordinava la giustizia e i vettigali (78). Sopravviene la
congiura di Catilina , uomo di casato illustre e d' animo fiero ;
ma, come gli odierni impari imitatori, carco di debiti e di vizL
Il quale , con altri ribaldi suoi pari (di cui forse complice il divo
Giulio, altrettanto indebitato e vizioso), intendeva, usurpando i
magistrati coir aita de' veterani di Siila e de' plebei , ammazzare
i consoli, abbruciare la città, prodigare gli averi e sovvertire lo
stato. Scoverti da Cicerone, fuggono i congiurati in Etruria: do-
ve , pugnando contra consolari eserciti , cadono morti romanamente
tutti (62). in seguito Pompeo, delta fazione sillana, e quindi so-
stenitore del patriziato , vinti nella Spagna gli ultimi mariani , dove
sotto Sertorio voleano fondare altra repubblica ; sale di vittoria in
vittoria alla fama di magno. Ma l'emulo suo. Udivo Giulio, seb-
bene già seco lui e con Crasso congiunto nel primo triumviro-
io , elevaglisi al rincontro come capo della fazione popolana , ognor
più degradata. E , mentre il furore delle fazioni con rapine e stragi
funesta Roma, accesa egli la seconda guerra civile, e debellati
i pompeiani , occupa , dittator perpetuo, la repubblica (44). Il pu-
gnale, che lo trafigge, venne per verità impugnato dalla parte
aristocratica. Ma questa almeno, rimasta repubblicana, finisce
gloriosamente ; e cou Catone e con Bruto rifulge di tale uno splen-
dore , che irradia ancora come un faro perpetuo l'oceano de' se-
coli (31). La fazione demagogica, o cesariaua in vece, che più
non merita esser detta popolana, trionfando indegnamente, e nel
secondo triumvirato di Ottavio, Antonio e Ispido proscrivendo
i più illustri senatori e cavaUeri, finisce nell'impero; ed ha in
Augusto, Caligola e Nerone i suoi ultimi orridi tribuni. Onde ri-
manga ai posteri ammonimento, come tanta repubblica cadesse
per codesta tenzone tra patrizi e plebei, o per dir meglio tri
ricchi e poveri , non composta a tempo secondo equità e giusti-
zia, siccome da principio si usava. Imperocché l'ostinazione de-
gh uni e r esagerazione degli alui , prorompendo negU urbani
dissidi prima e nelle guerre civili poi, fecero tutf a due gli or-
dini sotto la più mostruosa tirannide soccombere. E , dopo un se-
colo di patimenti e di fui^, il bisogno della pace si senti in
guisa, che parve tale il sonno della morte; né gravoso il sacri-
fizio deUa libertà , massimo l>ene de' mortali.
- 57 —
XIXIX. OmidiiioBe de' serfi in Bobul
Se i sudditi per pareggiarsi a' cittadini , e i plebei a' patri-
zi , ebbero i contrasti dianzi accennati ; anche i servi per dive-
nir liberi contrastarono, come che con disuguale ventura. L'at-
titudine di aver diritti presso i romani denorainavasi , com' è no-
to, eap{icità civile. La quale, oltre i rapporti intermedi di società
e di gentilità, comprendeva tre stati o capi: libertà, città e fa-
miglia; la cui perdita, detta per ciò diminuzione di capo, in
massima, media e minima differenziava. Pei rapporti famigliari
sofferìvano tale differenza di stato , e diminuzione minima di ca-
po, le donne e i figli Uberi, sottostanti alla podestà de' mariti e
de' genitori. I liberi , che soli si reputavano persone , distingue-
Tansi in cittadini e peregrini ; e sotto un altro aspetto in inge-
nui , se nati da romana libera , e libertini , se da giusta servitù
manomessi. La prima di codeste distinzioni cessò, dopo che Ca-
racalla, per interesse fiscale, accordò a tutt' i liberi , abitanti nel-
r impero, la cittadinanza; sebbene anche di poi appagano liberti
non cittadini. Ma, quanto alla seconda, giova ricordare, se i ro-
mani conobbero la servitù (del resto universale allora, e non an-
cor cessata in buona parte del mondo) , fra' tanti estranei , eh' c-
glino accolsero tosto nel loro ricetto, esservi stati anche i ser-
vi, 0 fuggitivi 0 da loro stessi affrancali. E la manomissione^
siccome la famigliare adozione e la civica aggregazione, essere
stati per loro istituti principali, ed essenziali cotanto, e si di
frequente usati, che i loro stessi nomi gentilizi non indicavano
punto né 1' unità dell'origine, né l'identità del sangue. Eglino
ÌDoltre, non conoscendo nel miglior tempo guari la servitù ru-
stica, poiché aravano colle proprie mani i campi; trattavano i
servi , cui reputavano per verità cose , se peggio de' posteriori
germani e slavi , megho degli odierni americani (Storia d^l di-
rUto romano di Gustavo Hugo , CCGVllI ). Quando del resto con-
cedevano la libertà , allora i manomessi , divenuti liberti ^ totmàr
vano in certo modo , co' liberatori o patroni una più larga fa-
miglia. 11 vincolo de' quali , de' loro discendenti e de' rispettivi
schiavi affrancati co' patroni e co' costoro discendenti, e di altri
liberi poveri e deboli , dava luogo a' clienti. Su codesto mutuo
rapporto di protezione e di osservanza si fondò appunto la pò-
-58-
tenza del patriziato. Ma , non saputosi poi in tanto vantata frater-
nità evangelica de' popoli sopravvenuti imitare , era nondimeno
tutto ciòcche di più nobile e di più eflQcace si potesse immagi-
nare, per incitare e cautare il transito dalla schiavitù* alla libertà.
XL. G«erre senrilL
Se il genio e i costumi della primitiva Italia si fossero se-
guiti, la servitù, che avea già cosi deboli sostegni, avrebbe do-
vuto in breve dileguarsi. Gritaliani, anche caduti in tanta scia-
gura, pur serbavano tanta virtù, che , avendone Roma armati nella
seconda guerra punica parecchi; ella giudicò doversi loro resti-
tuire quella hbertà, di cui si dimostrarono col valore e colla
fede meritevoli. Ma, pel contaggio de' vizi degli altri popoli, in
vece i servi crebbero smisuratamente; e, non più itaUani, ma stra-
nieri. Anche quegl' italiani mal sopportavano del resto il collare
immeritato : e Livio narra , come nell' anno 294 dalla fondata
città quattromilacinquecento tra banditi e servi , guidati da Appio
Erdonio sabino, occupassero il Campidoglio e la rocca, chiamas-
sero gli altri a libertà ; e fossero in breve presi e giustiziati Ma
i servi stranieri , di cui Y Italia riboccò nel VI e VII secolo di
Roma , per Y abuso sopra notato delle ricchezze lasciate in balla
di sé medesime ; moltiplicarono a segno , che non più semplici
cospirazioni e ammutinamenti commettevano , ma a dirittura falli
d' armi : né si poteano sedare , se non tagUandogli a pezzi. D nu-
mero di costoro non si potè mai sapere preciso , poiché un com-
puto non si osò mai fare : ma era immenso , e forse in certi mo-
menti superava quello de' liberi. E così, come il diniegare la
cittadinanza a' compagni die luogo alla guerra sociale, e il sol-
lievo a' plebei alle guerre civili; il diniegare a costoro la libe-
razione die luogo a tre guerre servili. Nella più famosa delle quali
settanta gladiatori fuggiti di Capua, chiamando a libertà i servi
e raccozzandone settantamila, duce Spartaco, cercarono prima
di redimersi , e poscia malamente di vendicarsi. Divisi per alut>
dalla discordia, dopo sconlìtti due eserciti e atterrita la capita-
le, furono sbaragliati, torturati, massacrati (71).
-59-
XLI. Ceti Mtto V inpvro.
Delìneaodo ora in breve quadro le condizioni sociali a' tempi
degl'imperatori: il patriziato, oltre spaurito e invilito, era, pei
tanti capi mozzi e supposti da costoro , si stremato e contraffatto ,
da non potersi più riconoscere. Claudio, che presumeva appunto
di restaurarlo, siccome narra Tacito (Annali , XI, 25), « di-
chiarò patrizi i senatori più vecchi, o discesi d'uomini chiari:
restandovi pochi di quelle famiglie che Romolo appellò della gente
maggiore, e di quelle che Lucio Bruto della minore, e cosi delle
arrote da Cesare dettatore per la legge Cassia, e da Augusto per
la Senia ». E di tal guisa nella capitale alcune prosapie senatoriali ,
opulente e fastose , e i più insigni gabellieri e i più ladri finanzieri
[tra cui Narciso e Fallante, liberti e ministri del predetto Clau-
dio, e prototipi degli odierni sopracciò della plutocrazia o re da
danari) spiccavano, pel lusso e per la insolenza almeno, tra al-
cuni milioni di miserabili. Una minima parte di costoro, stranieri
e affirancati , attendevano alle arti minute coir opera degli schiavi
[bassa borghesia): la maggiore ne' bagni e ne' teatri oziava. Lo
stesso a un di presso avea luogo anche nelle altre città ; e nelle
caoqttgiie, che si andavano mano a mano spopolando, prima di
liberi e d' indigeni , e poscia anche di schiavi e di coloni. U censo
d' Augusto avendo noverato 4 , 170 , 000 cittadini , la massima
parte naturalmente italiani ; si calcola , che la popolazione franca
della penisola superasse allora appena i dodici , e la servile i sei
milioni d'abitanti; e cioè fosse ridotta alla metà circa di quella
de' migliori tempi anteriori. Ma, fra tanti disastri e stragi, colle
colonie militari e co' terreni rapiti , e indi venduti e dati a col-
tivare a barbari prigionieri , la generazione de' contadini nativi ,
insieme colla prosperità comune , andò vie più sparendo. Nel quarto
s^lo dell' era volgare , i decurioni , che cominciansi a chia-
mar cariali , non formano più del resto soli V aristocrazia de' mu-
oicipii; stando sopra di loro oltre il clero, già commodamente
adagiatosi, gli onoraci , o usciti da funzioni principesche, e i
possessori y dalla servitù curiale immuni. Se non che, acciò in
^ta esultanza d'averno, non vi fosse quasi più alcuno perfetta-
mente libero , mentre codesti nobili la curialità , gì' ignobili af-
^Uggeva il colonato. Avvegnaché , fin da' primordi dell' impero ,
-60-
oltre gli uHici delle curie o de' senati municipali (divenuti pura-
mente onerosi e coattivi), anche i servigi relativi si erano resi
ereditari. Onde , come nelle città i plebei in iscuole eserciCavano
i mestieri, vincolati al comune; cosi nelle campagne, vincolati
a' padroni , lavoravano le terre i coloni. Sorsero costoro parte da'
liberi proprietari e fittuari degradati , parte da' servi divenati in-
nanzi semiliberi, e parte (specialmente a' tempi di Marco Auro-
lio ) da barbari prigionieri ; formando il nocciolo della popolazio-
ne. Ed erano rispetto alle persone liberi, e anzi di sedito citta-
dini romani, conlraendo matrimonio vero e possedendo vera pro-
prietà. NuUameno , non potendo di questa disporre, ed essendo
di giunta addetti ed affissi al suolo, e sottoposti al patrocink) de'
bili , trovavansi pure in una dipendenza , che arieggiava la
vitù della gleba.
XLII. Vooaiione nmaiiitaria di Basa.
Già par di vedere T ultimo fiato di spirito abbandonar V iai-
pero, e l'Italia tramutarsi in un deserto, sparso di cadaveri e di
macerie. Ma, sebbene questa si ritenga oggi naturai cataatnife
dell'antica civiltà, fatto è, che proprio daUa nuova procedette (ae
pur puossi tal nome darle); dalla nuova, che spuntava suìsciando,
e che oggi si ritiene aver salvo il mondo. Quantunque la prohm-
gazione de' comandi militari ne desse agevolezza, e la contenoone
deUe leggi agrarie forma, F intima causa della caduta della ro-
mana Ulicrtà è stata per contrario lo arrestarsi in quel moia di
universalizzazione^ o di progressiva morale espansione, in oà
sta il segreto della grandezza e (a mio credere) il fato immortale
di Roma. Proseguendo nel qual molo , già iniziato dal divo Qbh
rino, ella doveva senza le guerre sociafi, civili e servili (e cioè
ne' modi usati anteriormente ) estendere ad ogni diseredato noi*
r umana famigUa i beneficii del consorzio civile. Ed ella per fer-
mo avrebbe fatto, e nella sua forza di unificcufiane potuto fer
questo, siccome l'esperienza di cinque secoli ne aiOda^se il
genio e i suoi costumi avesse ognora seguito. Che non vi Ai
popolo più sobrio, più casto, più grave, più austero, più equa-
nime, più giusto, più religioso di quello, a cui Numa diede le
istituzioni de' sabini e forse degli altri popoli italici. Talmenle die
la verecondia e la continenza pregiava a segno, da giudicarle
-Bi-
che da un frivolo affetto o da un innocente abbandono otTese ; e
la povertà e il lavoro, da gloriarsene anche i consoli e i ditta-
tori. Non solamente i mimi e gV istrioni reputava infami ; ma per
sino contrarie al suo decoro quelle arti e que' giuochi, in che i
greci , por cotanto degni suoi congiunti , riponevano il maggior
vanto. Né atto alcuno della vita pubblica o privata intraprendeva ,
senz* invocare il consiglio o V assenso de' numi ; supplicandogli in
ogni sventura, espiando ogni vero o creduto torto , e attribuendo a
loro d'ogni vittoria le laudi e le spoglie. Colle quali virtù, divenute
lunghe e indiscutibili abitudini, non era certo a dubitare, ch'esso
popolo, debellando i superbi e perdonando ai soggetti, non perse-
verasse in quella moderazione e in quella magnanimità , che rima-
sero del resto sempre , anche quando perdute , il suo orgoglio.
XLDI. loiéiioiie delle luame straniere*
Se non che all' impuro contatto della corruzione aliena , con-
Ut) cui lottò ben due secoli , prode atleta , rimase alla per fine ,
e quanto più era stata innanzi vergine e vigorosa la sua natura,
contaminato. Già alcun che di freddo e di crudele nella sua con-
dotta traspira , tosto che ebbe pratica co' cartaginesi , ucciditori
de' propri mercenari inquieti e de' propri generali sfortunati. Ma
que' vizi, che principalmente lo tuffarono nel fango, da' greci della
bassa Italia e maggiormente da' greci originari , gli uni e gli al-
tri affatto tralignati e incancreniti , apprese. Or , che non sapesse
t tanta seduzione e a tanto inganno resistere , chi pensa , come
ifimi a grecizzare fossero i Marcelli, gli Scipioni e i Flaminii,
i più incliti spiriti dell' umanità , pub scusarlo. E per fermo me-
rita indulgenza , se dal fascino della greca gentilezza e dall' osse-
quio alla beltà greca, gentilezza e beltà senza rivali nel mondo,
si lasciò allettare e disarmare. Pur gli furono tanto funeste , che
venm castigo avrebbegli potuto l' ira de' patrii iddii abbandonati
ìDfliggCTe , pari a questa vendetta, che gì' inflissero i vinti. L'ine-
sorabile sentenza di Catone maggiore contro Cartagine fu, quanto
ingiusta , perniciosa , togliendo alla corruttela l' ultimo freno , che
veniva dal pericolo. Ma i suoi sforzi per contrappoi*si al grecismo
possono essere condannati , perchè inutile lo andar contro da soli
a UD general delirio de' contemporanei e alla china fatale delle
cose : non perchè V unico modo non costituissero di salvar Roma.
-62 -
Di fatti non solamente quelle empietà e quelle lascivie ; ma sopra
tutto quella filosofia e quella rettorica il genio e i costumi pre-
detti di Roma pervertivano. La quale , quando cominciò a vergo-
gnarsi de' propri numi dì creta, autori di tanti prodigi, e dei
rozzo sermone, e a ripudiare T etnisca e fin T italica parentela,
per adottare F ellenica; quando i suoi figli ebbe educati, non più
da' propri capitani, ma da attici schiavi, cominciò aHMinto la
propria declinazione. La Siria quindi e l'Egitto vi aggiunsero,
come lue pestilenziale, una depravazione immane e stillata da'
secoli, da metter spavento. E in vano poi Catone minore, san-
tissimo uomo, cercò in sé medesimo offerire l' esempio dell' an-
tica e unica virtù; e in vano egli e Bruto restaurar la r^iiiiUMi-
ca. Aveva allora, come oggidì, la virtù ceduto i suoi incanti al
vizio; e i loro concittadini preferivano in vece vendere i suffragi,
depredare le provincie , profondere nelle pompe , imbrattarsi nelle
sozzure ed empiersi il ventre. Quando un popolo giunge a tanta
infamia , è necessario e , sto per dire , è giusto , eh' esso patisca
la servitù. Onde è vero, che la repubblica pe' motivi anzi detti
minò ; ma questi senza l' ellenica e V orientale infezione sareb-
bero mancati , o non avrebbero potuto niente. E , in onta a' me-
desimi, queir agonia della repubblica stessa durata quasi due se-
coli, cosi grande, cosi tremenda, cosi portentosa, svela quanto
la romana fibra fosse gagliarda.
XUV. Potemialità dvila di Boayu
Ciò non ostante in quella classica civiltà, benché tanto decre-
pita, vi erano tali mezzi ancora di rinfrancarsi, e sopra tallo
nella etema città tal palladio, che, se questa non avesse dovalo
subire, insieme con un nuovo e veramente poderoso a\'yersario,
una nuova e veramente poderosa infezione, avrebbe in sé mede-
sima a' suoi mali trovato rimedio. Certo ella mostrò di potere
colle proprie forze riaversi; dappoiché, fin sotto i più perversi
cesari , parecchi suoi figliuoli furono prodigiosamente virtuosi Né
del resto le sue stesse legioni veniano meno in pugnare secondo
gli antichi auspicii, e in estendere altresì per qualche altro secolo
r impero. E questo, sotto i Flavi e gli Antonini , quando l' ammi-
nistrazione pubblica raggiunse un assetto, e fin sul trono splen-
dettero savi ed eroi, che destano ancor oggi meraviglia; queslo
- 63 -
medesimo impèro potè sotto imperatori, capitani e giureconsulti
pagani, con istituti, costumi e spiriti pagani, emendarsi e pro-
sperare. Vero è, che i barbari ne lo distrussero: ma quanti
sciami di costoro non aveva esso dinanzi messi a fil di spada , o
ammansati? In breve aveano assunto ordini e forme romane; e,
degli stessi germani, anche dopo la rotta di Varo, parte erano
stati respinti , e parte assoldati nella guardia pretoriana , collocati
sofle frontiere o ridotti per sino in condizione civile. I primi , che
ìTmppeTO dal settentrione, quali i vandali e gli eruli, i visigoti
e gli ostrogoti, e fmo a un certo punto i franchi, si romanizza-
rono. Ma, se poi contro a tutti ed al comune loro farnetico di
dissoluzione civile, non potè Roma, divenuta madre delle genti,
proseguir le vittorie; la ragione appunto fti, che una civiltà di-
versa, 0 per dir meglio una nuova depravazione, dall' anteriore
agevolata, soffocavala ed esinanivala. Come la Grecia erasi ven-
dicata della sconfitta, pervertendone il genio e i costumi; cosi
TAsia, 0 per dir meglio la Palestina, vendicavasi ora, ributtando
nel di lei seno un aspide, che ne doveva fiaccare il polso e to-
gliere il senno. Fra que' siri ed egizi , che capitavano nella città ,
tramutata in sentina de' vizi del mondo, e sopra tutto tra que'
giudei, che sin d'allora sparpagliavansi qui e colà, e massime
in Antiochia e Alessandria , co' loro banchi e sinagoghe ; i più
irrequieti e fantastici erano certuni, che le dottrine frantese e
falsificate di un essere incomparabile e adorabile, da loro posto
a morte, seguivano, detti cristiani. Per non mentovarne tutte le
rabbiose dispute e le orride stravaganze ( cui del resto può ognu-
no ne' cosi detti padri della chiesa leggere ), le più essenziali
massime di costoro, se buone per la vita mistica, erano del tutto
alla vita profana contrarie. I quali non solo la intolleranza, la
indolenza, la ignavia, l' abiezione e la viltà predicavano; ma sopra
tutto l'odio e lo sprezzo della medeshna civiltà, e il gaudio e
la voluttà della morte. E , lungi d' arrotare i brandi contro i
larlari, che calavano infuriati ; dopo avere divisa e prostrata la
patria , gongolavano e tripudiavano ora dell' imminente flagello e
del sospirato finimondo. Tanto che , ed io cito un lodatore e ve-
Dcrator de' medesimi , « quando Roma fu presa dai Goti , il mon-
do cristiano esclamò esser vendicato il tanto sangue de' martiri;
e da molti discorsi , anche di sant'Agostino, trapela una specie
di contentezza per questa grande giustizia » (Cantò , Storia deUa
k^eraiura latina, XV).
- 64 ^
XLV. Inetiitadiiie del cristiamniBio a rediaere gli tppr— i
Cosi adunque, come la repubblica per la greca e orientale,
così r impero per questa giudaica corruzione cadde, che gittoUo
tramortito e indifeso in preda alla barbarica furia. Or, che nella
cosi detta civiltà , susseguita dall' accoppiamento del giudaismo
colla barbarie^ e non ostante che corretta per ventura dal risor-
gimento della precedente e vera, si avessero beneflcii inestima-
bili; 0 che almeno i deboh, i poveri, i puri, i sempUci e gli
sventurati sieno stati secondo le promesse ristorati ed esaltati;
questa è cosa da ninno ancora veduta. Ma, che importa, se,
nel silenzio de' morti e nella gazzarra de' becchini, la si ripete
e la si crede da tanti secoli e da tante generazioni? Il fabbro
di Nazaret per fermo mirava a sciogUere da ogni ceppo e da
ogni laccio V umana famiglia, tutelandola colla reciproca innocenza
e felicitandola colla reciproca benevolenza. E profetizzando quel
trionfo del quarto ceto, che i suoi seguaci gerosoUmitani , apo-
calittici, ebioniti, nicolaiti, chiliasti eccetera aspettarono poi lunga
pezza in vano. Ma , comunque il sistema evangelico sia veramente
una divina rivelazione , considerato ne' più intimi e arcani pene-
trali della coscienza; maggior prova della sua inettitudine asso-
luta alla vita mondana, e della sua impotenza a produr niente
quaggiù negli ordini civili, non avrebbe potuto dare, che il suo
fallire appunto in quell' intento, che gU doveva esser precipuo.
Avendo cioè predicato la fraternità umana , e avendo sotto il per-
fido Costantino la romana potenza e indi le nordiche monarchie
a' suoi piedi; se vi era cosa, ch'esso dovesse per prima pro-
porsi, e in cui prima dimostrare la propria efficacia, era, non
vi ha dubbio, l'emancipazione degli schiavi. E questa appunto
( benché il contrario si ripeta e si creda universalmente ), non
che raggiunta, fu in vece da esso, come in seguito racconterò,
tardata. Imperocché tutto nella Roma pagana accennava a una
cessazione graduale e, sto anche per dir, prossima della schiavi-
tù; cui da un lato le conquiste rallentate tralasciavano d' aumen-
tare, e dall'altro le manomissioni prodigate fin quasi eccessiva-
mente ne' testamenti , nelle mercedi e in altre tah occasioni, iva-
no assottigliando. E, se nella capitale già a' tempi di Nerone la
maggior parte de' liberi erano Uberti o libertini (Tacito, Ann4Ui,
-65 -
XIII 9 27 ); e se dì poi , come testé vìdesi , fin ne* contadi i bar-
bari i»igiomeri elevavansi alla condizione di coloni, facile è im-
magioare, in breve corso di secoli a che si sarebbe giunti. Or
cosa sia in vece seguito nella famosa era di redenzione, quanto
a lungo durassero gli schiavi, che poca pena si prendesse la
stessa chiesa di affrancargli, come popoli cristiani in un nuovo
moDdo scoperto ne moltipUcassero sterminatamente il numero, e
come si tardasse o si tardi ancora a redimergli, si vedrà appres-
so. £ si vedrà anche , che i rinnovati conati per parificare i ceti
e rialzare le plebi, alle classiche e romane reminiscenze si deb-
bono. Non alla cristiana rassegnazione ; e non a que' barbari , che ,
portandoci di proprio il sistema feudale , ci costrinsero dopo infi-
niti patimenti a rifarci da capo.
XLYI. LiTaaioni da' barbari.
De* quali barbari dovendo ora discorrere, giovi rammentare,
come gr imperatori ne avessero già col nome di leti per debo-
lezza 0 per difesa accolti nelle frontiere, e loro assegnato stanze
e possedimenti. Tanto che, quando, straripando, si presero qui
il terzo delle terre, imitarono il sistema di acquartieramento ne'
bassi tempi de' soldati nostri , che si faceano colà d' un terzo delle
abitazioni ospiti. Erano quelU inoltre da lunga pezza agli stipendi
dell' impero ; sul quale poi si rovesciarono, violando la fede, piut-
tosto per la loro efferatezza e rapacità , che pei vantati liberi sen-
si. E ad ogni modo per molto tempo le loro sollevazioni e scor-
ribande lasciavano in piedi il medesimo impero occidentale, che
veramente sin sotto Odoacre e Teodorico deesi ritener prolun-
gato. Certo gli eruli e i goti ne conservarono la costituzione;
non formando in certa maniera essi , se non Y esercito della re-
pubblica, di cui i re loro erano i dud. Sebbene Teodorico, oltre
che de* suoi , si facesse capo di quella , e di fianco ai canti ro-
mani ponesse i conti goti , per decidere nelle querele tra' due
popoli conviventi. Gli eruli del resto tolsero un terzo de' fondi
( non de' frutti , come la prima volta di poi i longobardi ); nel
qual terzo succedettero i goti. Il che non era ti'oppo grave, con-
siderando, come i predi costituissero allora vastissime unità cata-
stali e agrarie, che si dividevano, come gli assi di una eredità,
in onde o in quote parti. Cosi nel regno di Teodorico, principe
5
-66-
degnamente illustre, sopra la colluvie de' coloni e de' servi, quasi
due caste, o due ceti etnici, stavano per formarsi: da* romani, che
attendevano ai magistrati e alle arti della pace, e dsi'goii, che
esclusivamente al presidio e alle armi ( anni 47&-489 dopo Cristo).
Se non che le invasioni degh eruU e de' goti , come più tardi
quelle degli arabi e de' normanni , non si potendo per la loro
tenuità considerare vere migrazioni , e non essendosi quindi fissate
0 non avendo di molto inquinato il nostro sangue e la nostra
società, non meritano ulteriore considerazione. Bensì occorre più
a lungo ristarci su' loro successori , i longobardi , che effettiva-
mente la compage romana disfecero, e furono qui i ministri del-
l' ira de' numi (568).
XLVn. Ceti presso i germani.
La costituzione sociale primitiva de' popoli teutonici com-
prendeva quattro ceti: i nobili, i liberi, ì semiliberi e i servi.
Né si alterò, quando passarono in Italia e nelle Provincie; tranne
che aggiungendovisi il quinto ceto de' romani, che si rimase affatto
da* quattro primi separato. La condizione de' liberi non s' inten-
deva in un senso negativo; ma, quaU partecipi della città, posi-
tivo: e veniva dall' esser guerrieri, ossia compresi nella leva mi-
litare 0 noli' eribanno. I liberi franchi chìamavansi buonomini o
rachimburgi, ed esercitali o arimanni i longobardi liberi: seb-
bene poi con questo nome si designasse un ceto distinto fra i
liberi, ed alla fine anche un ceto aggravato. Prerogativa de' quali
liberi e guerrieri era l'esser giudici ciascuno: sebbene questa poi
si restringesse ad alcuni eletti o scabini, che formarono come
un ordine dello stato; e che, presieduti in ogni distretto da un
conte, ebbero giurisdizione su quelli. La proprietà legittima pure,
quale un gius quiritario, era loro inerente; e dinotavasi col nome
in Francia di (erra salica e in Italia con quello d' arimannia,
die significava in origine la società de' Uberi invasori. Ma ella
venne a mancare , prim' ancora dello stato d' uom libero , pel
sopraggiunto istituto de' feudi. Quanto a' longobardi in partico-
lare , essi co' gepidi , bulgari , sarmati , svevi e norici formavano
un sol popolo e un solo diritto : quello de' liberi. Si distinguevano
tra loro i nobili o edcliìigi; e venivano dopo di loro i semiliberi
0 aldii, e da sezzo i servi massai e rusticanL Essi Dondimeoo,
-67-
come gli altri germani, noD conosceano da princìpio servitù do-
mestica: e, quando, valicate le alpi, si compiacquero d' aver servi
ministeriali, gli trattarono bene, equiparandogli a' semiliberi. Ri-
mane per altro da constatare la sorte da loro serbata a quel
quinto ceto de' romani , dianzi accennato ; e sulla quale pende
tuttavia incerto il giudizio. Conciossiachè eglino per fermo si po-
sero in luogo de' grandi e dignitari dell' impero (nobiltà indigena)
e de' curiali e possessori delle città ( borghesia indigena ), pur
dianzi accennati; a cui prestavano dati censi que' coloni, che abi-
tavano allora la maggior parte del suolo italico, avvintivi indis-
solubilmente. Ma come trattarono codesti nobili e borghesi, e i
medesimi coloni; e in somma, che cosa fecero eglino degli avi
nostri?
XLVni. Sottopodsioiie degP itaUani a' longobardi
Tra r opinione di Lupi (Codice diplomatico hergomense),
che i romani , fuori di poca gente minuta , fossero tutti da' lon-
gobardi distrutti; e quella di MaiTei (Verona illustrata), che,
sendo questi pochissimi, il sangue di quelli rimanesse in gran
parte incontaminato, la seconda è tanto più preferibile, che la
razza e la lingua superstiti 1' av^^alorano in un modo irrefraga-
bile. Ma il mistero da svelare è , s' ei permanessero in libertà o
cadessero in servitù ; non avendo noi in proposito, che due passi
di Paolo Diacono {Fatti de' longobardi, II, 32 e III, 16), sulla
cui interpretazione contendesi tuttavia tra' dotti. Ultime parole
davvero d' un testimonio , che narra , inorridito e balbettando , il
freddo e codardo assassinio d'un popolo spogliato e disarmato!
n primo de' quali dice: che dopo la morte del re Clefi « molti
de' nobili romani furono per cupidigia trucidati: i rimanenti, as-
segnati agli ospiti , acciocché la terza parte de' frutti pagassero
a' longobardi , si fecero tributari ». E l'altro: che i duchi diedero
al re Autari la metà de' loro averi ( probabilmente quella già
regia, che si erano nell'interregno usurpata); « ma i popoH ag-
gravati dagli ospiti longobardi si partirono ». Onde, pur dato
che la prima volta i nostri dovessero cedere agi' invasori un terzo
deUe rendite; non si sa la seconda, se la perdita anche del terzo
de' beni , o qual peggior partizione sofferissero. A meno che
un' identica sorte la prima volta i soli maggiorenti avessero sof-
-68 -
ferto/e la seconda tutt'i cittadìDi. Federigo de Savigny (Storia
del diritto romano nel medio evo, I, 5) opina, che rimanessero
le co$e come avanti ; e che anzi , mutandosi il canone del terzo
in uno spossessamenlo del terzo , colF infrazione de' vincoli del-
l' aborrita ospitalità migliorassero. Carlo Hegel in vece ( Storia
della costituzione dei munidpii italiani , III , 2 ), che i romani
conservassero una proprietà vincolata e una libertà dimezzata,
addetti alle schiatte dominanti, e privi di proprie leggi e istituzio-
ni: quantunque per alcun tempo con differenze ne* diritti personali,
siccome nella favella e nel costume. La quale libertà dimezzata,
stato di mezzo tra' Uberi e servi , oltre che de' manomessi colla
riserva del mundio e della successione a' patroni , era propria
degli aldii predetti , in cui conseguentemente si sarebbero tramu-
tati i romani. Ma Lupi, Fumagalli, Leo, e sopra tutti Carlo Troja
(Condizione de* romani vinti da' longobardi) sentenziano più
rigorosamente: che venissero spossessati di tutto a dirittura, e
alGssi, quali aldii, alla gleba. Alla qual sentenza, considerando,
che in progredire di tempo non si ode più delle sorti barbariche,
delle terze e de' terziatori parlare , se non in senso improprio ;
e che nelle leggi longobardiche non h^wi guidrigildo o compo-
sizione ( e non quindi prezzo alla vita e non riconoscimento della
personalità) pei romani, di cui si fa appena menzione, vi sono
gravi ragioni per aderire. Tanto più, che non si sa, come avreb-
bero codesti barbari e armigeri rispettato, e neppure compreso
una classe di liberi e proprietari più numerosa di loro, e priva
si de' diritti politici ; ma pareggiata ne' civiU , ed esente in uno
dalle gravezze e dalla milizia.
XLIX. Ceti degr italiani sotto la franca dominailoiie.
Per altro non tutt'i romani caddero nella servitù aldionale:
ma soli que' maggiorenti e que' cittadini della superiore e di quasi
tutta la media Italia, che, risparmiati da' longobardi , non si ri-
fuggirono nella rimanente. E tranne anche quelli , che , divenendo
gasindi o convitati del re, o guargangi o forestieri aggregati,
0 accorrendo ausiliari, o patteggiando combattenti, o nelle città
murate addicendosi a' pubblici ministeri , si fusero tosto cogl' in-
vasori. Probabilmente poi que' coloni romani , che non si salva-
rono nella predetta servitù, pure stato di semilibertà, degrada-
- 69 -
ronsi in servi massai ; rìmaneDdo su' campi i vecchi servi rustici
di prima. Ma dal secento in giù , grazie alla conversione de' lon-
gobardi ariani al cattolicesimo, ed alle affrancazioni condizionate ,
che nelle disposizioni d' ultima volontà e nelle donazioni a favore
delle chiese dall' ottocento spesseggiano ; tra la libertà perfetta e
r aldionato, si frammise un ceto rurale nuovo , libero e non guer-
riero, di livellari. Vale a dire di aldii e di servi affrancati, o
IMX)genie de' medesimi; affrancati, dico, coli' onere di certi canoni
e di prestazioni personali. Nelle leggi inoltre di Liutprando ve-
desi già un ceto non possidente ; e in quelle di Astolfo uno urba-
no e mercantile, ragguardevole e probabilmente dagli originari
romani , che si riavevano , e da' longobardi impoveriti emerso. Il
quale era pure libero e per sino esercitale (cioè, come libero lon-
gobardo, obbligato alla milizia ); e il quale , co' maestri comacini
e altri tali artefici, dir si può, che desse a una terza borghesia
italica principio. Se non che , soprarrivando i franchi, ìlfeudor
lisfno (i cui germi del resto già preesistevano) é la ministeria-
ÌUà alte'rai'ono i vecchi e crearono nuovi rapporti (794). Ne sorse
un nuovo ceto superiore, o la nobiltà feudale de' cattani e valvas-
sori, tratto principalmente da' nobiU longobardi e franchi: ma anche
di meri liberi e da romani. Ed anzi, in seguito, degU antichi ceti
degl' invasori non rimase più , siccome ( per esempio ) nelle leggi
personali , che qualche privilegio e qualche rimenibranza. Coli' a-
dozione in fatti de' feudi , che furono una concessione territoriale
e giurisdizionale de' principi transalpini a' lor leudi e antrustioni,
0 comiti e fedeli , verso il debito dell' omaggio e 1' obbligo della
milizia ( resa ereditaria da un capitolare di Carlo il calvo dell' an-
no 877); anche in Italia i liberi delle campagne vennero in bre-
ve tempo novellamente a mancare. Perocché, sebbene entro i li-
miti del feudo gli abitatori si distinguessero, giusta che uomini
del signore o servi, oppur soggetti solamente alla sua giuiisdi-
zione; venne tempo, in cui non ci ebbe più salvezza, che addi-
cendosi entro e fuori tutti alla feudalità. Trovandosi cioè i pos-
sessori, quanto più i poveri precipitavano nella servitù, esposti
anch' essi al medesimo pericolo, cercarono porsi nella condizione
àe' signari, offerendo i loro allodi a un vassallo maggiore, e
riavendogli, quali minori vassalli j col nesso feudale. E, quanto
a' poveri, non avendo niente da offerire, tranne la loro opera o
la loro persona, si fecero in varie guise commendati alle chiese
0 ad altri potenti ; formando alla fine la classe servile degli anga-
-70 —
rici 0 degli aggravati. Alla quale quasi interamente ne' secoli X
e XI della cosi detta era di redenzione il popolo rusticano si
ridusse. E cosi nel vassallaggio e neir accommandigia finivano,
sotto i famosi nordici introduttori della libertà personale, le ulti-
me reliquie della medesima nel mondo, se la conculcata romanità
non rialzavasi.
L. Ceti degl'italiani al sorgere de'oomnnL
Tra regione e regione d'Italia deesi certamente distinguere:
dappoiché, mentre le città soggette alla dizione bisantina rima-
sero meno imbarbarite, il reame di Napoli, e maggiormente la
Sicilia e il Friuli, funestati più da' baroni, si ebbero colle con-
trade straniere sin troppi punti di rassomiglianza. Nel Friuli ( per
esempio) solamente i castellani partecipavano al parlamento
della patria, ed ebbero appena le comunità libere un tardo e
fioco albore. Spuntarono queste da' consorzi tra gli abitatori no-
bili delle castella, vicini, aldi! ed emancipati, che corrisponde-
vano la viària o tributo alla cliiesa aquilejese. E ne' primordi
da arringhi di capi di famiglia, e più taidi da consiglietti di
gentiluomini e borghesi , prevalendo per altro sotto la veneta ari-
stocrazia i gentiluomini , si governarono. Ma pure V Italia ha il
vanto di avere da prima gì' invasori, se non all'atto annicliiUto, certo
nella sua propria vigorosa complessione assorbito; e poscia ria-
perto alla democrazia gli anticlii fulgidi orizzonti. Non debbo io
qui (sublime tema) raccontare per disteso come tanto prodigio
col risorgere de' comuni accadesse. I (juali, agevolati forse dal-
l' accostarsi de* longobardi a' romani negli urbani recinti di que-
st' ultimi , e indi favoriti da Ottone I , a cui le cronache grate
ne attribuiscono le più vetuste franctiigie; certamente al comiiH
ciare dell' XI secolo, in cui vi è cenno di leghe e di guerre co-
munaU, cominciano ad esistere. Dovendo per altro dire de' ceti
a quel tempo, noto, che già nel secolo XI si scernono nelle città
le due classi de' nobili e de' cittadini ; e che questi anzi a Mila-
no per alcun tempo cacciarono quelli. Alla metà poi del XII la
popolazione delle città lombarde è distinta in tre ordini: i can-
toni (alta nobiltà), i valvassori (bassa nobiltà) e i cittadini (bor-
ghesia). I due primi procedevano dalla nobiltà feudale predetta,
e casiituirono la nobiltà cavalleresca, nel fondo di origine lon-
— 71 -
gobarda; oomechè con alcune fanr)iglìe romane, e molte franche
e tedesche. Il terzo nella minor parte da' decaduti arimanni lon-
gobardi j e nella maggiore da' romani liberi , dati alle arti e alla
mercatura; tra cui vi è già indizio di una specie di nobiltà
civica.
LI. Ordine oittadineioo Be' comuni.
Il corpo di tali cittadini, detti anche popolari, fuor del
quale erano i servi, componeva in senso ristretto il comune;
fornito della sovranità e di una rappresentanza nel consigUo ge-
nerale : ove la nobiltà , specialmente per Y inurbarsi de' maggiori
e minori vassalU delle campagne , predominava. L' universaUtà
de' cittadini, in lato senso, del resto non si adunava, che rade
volle e in modo straordinario; siccome per riformai* lo stato o
per riconciUar le parti. Ma la giurisdizione e la elezione de' pro-
pri rettori , non mai affatto perdute dalle città , avean già cessato
di essere subordinate a' conti; il cui officio o direttamente, o per
mezzo de' vescovi indirettamente , era passato ne' consoli. Questi,
dì vario numero e scelti fra' tre ordini , spuntano fuor dell' Esar-
cato al finire dell' XI secolo, si generalizzano al principiare del
XII ; e doventano precipuo oggetto della lotta per le regalie col-
l'imperadore Federigo I. Se non che, quantunque la pace di Co-
stanza (1183) avesse riconosciuto la libertà della loro elezione,
cui già vantavasi antica, cedono tosto à' podestà; tratti di fuora,
forse più per necessità di fiaccare i grandi, che di pacificar le
fazioni. Imperocché , durando la lega lombarda , non vi è più cen-
no in Milano de'cattani, valvassori e cittadini come ordini di-
stinti : ma si di una milizia equestre e pedestre. E , poiché quella
anche di ricclii borghesi componevasi, un ceto di nobiltà tra
feudale e cittadinesco già esisteva. Onde il contemporaneo Ottone
di Frisinga (Gesta di Federigo I) se ne meraviglia; ed anzi
da buon tedesco inorridisce , che i signori rurali avessero dovuto
cedere alle città. E che in queste « gente di vile origine e data
ad arti meccaniche, respinta come peste altrove, assuma il cingolo
de' cavaUeri e le alte dignità ». Di fatti dopo la pace suddetta
anco i vassalli delle campagne, o debellati o spontanei, vennero
alle città aggregati. Compresivi que' possenti marchesi , che sin
d'allora accennano a formare signorie indipendenti: ma recan-
- 72 —
dovi le discordie, le brighe e le violenze. I nobili nondimeno,
particolarmente di sangue germanico, che aveano da prima pre-
valso, e tanto operato per la rivendicazione dal Barbarossa; in-
nanzi al ridestamento de' plebei , particolarmente di gentil sangue
latino, avean perduto terreno. La classe de' semiliberi, divenuta
potente colle arti, e unitasi ai liberi non nobili, avea nel XIII
secolo con le proprie corporazioni e magistrature fondato un nuovo
comune, E poscia anche distrutto con la propria la politica liber-
tà, creando capi delle repubbliche, per fiaccare vie più i grandi,
que' capitani del popolo, che generalmente nel XIY si cangiano
in tiranni.
LII. Gondiidoiie de'mstid a' tempi de'ooaiiBL
I rustici si assisero ultimi al banchetto della libertà: né altri-
menti ( se non s' inui*bavano ), che mutando grado grado la terra
servile in enfiteolica, questa in feudale, e questa in allodiale. In
generale sotto i germani la servitù si raddolcì; rassomigliando i
loro servi piuttosto a famigli, che agli schiavi yerìyO mancipii,
de' romani. Nondimeno i nomi usati in Italia lungo il medio evo
verso gh agricoltori di ospiti, terziatori, pertinenti, massai, ma-
nenti , villani , ascrittizi , oblati , commendati . . . , ricordano pur
troppo codesti servi o servidori, chiamati in Francia tagliabili.
Ma nella seconda metà del secolo XIII, imponendosi loro una
tassa pel riscatto, si moltiplicarono gli statuti e i provvedimenti
per alTrancarnegli. Ed era regola, che i servi fuggitivi, stati un
anno e un giorno entro le cerchie cittadine, acquistassero la
dolce lil)ertà. Celebri in tal proposito le due leggi di Bologna e
di Firenze: la prima delle quaU, dell'anno 1256, affrancogli a
spese del comune, rendendogli lavoratori fumanti e braeenti.
La seconda, dell'anno 1289, cinquantasette giorni dopo la bat-
taglia di Campaldino, ogni sorta di servaggio o colonato proscrìs-
se; ingiungendo le emancipazioni, e divietando il comperare e
il vendere diritti d' angheria. Una bolla papale del 1260 dichiara
liberi i servi di masnada della Marca trivigiana, per isferrargli
vie più contro gli EcccUini, prima che Cunizza gli manomettesse
con testamento del 1265. E, sebbene questo nome di servi di
masnada perdurasse ne' loro discendenti, essi dallo sterminio di
que' tiranni in poi , si cangiarono in censuari o livellari , e prò-
-73-
babOmente del quarto de' frutti. Nondimeno , ove la gerarchia o
i principati imperavano , codesto movimento d' affrancazione non
fu altrettanto generoso e sollecito. Di guisa che la schiavitù non
cessò intieramente in Italia , se non nel XTV secolo ; ed anzi della
servitù della gleba e del traffico degli schiavi stranieri rimasero
fin qualche secolo appresso vestigia.
LIO. Lunga durata della servitù nel oristianesinio.
L' empio dominio sugli esseri umani fu più tardo a scompa-
rire su' beni ecclesiastici, non si potendo (già si sa) alienare i
divini diritti; ed, anche nello scomparire, lasciava dietro a sé
qualche addentellato. Onde nel Friuli la chiesa aquilejese, pur
alIi*ancando i servi, conveitivagli in diesmani, o in ministeriali
obbUgati a prestare ossequio e alcun' opera. Né tuttavia la ser-
vitù cessò ivi del tutto, se non qualche anno ' dopo la dedizione
a' veneziani , a mezzo il XV secolo ; rimanendovi più a lungo av-
vinti i villaggi di orìgine e nome slavico sulla ripa sinistra del
Tagliamento. Peggio per altro avvenne a pie delle opposte Alpi,
in quella regione per le fisiche condizioni simile alla porta orien-
tale d' Italia , e pegU esotici flagelli parimenti infeUce. Quivi so-
lamente nel 1561 il duca Emanuele FiUberlo ordinò, si Uberas-
sero i tagUabiU , Ugi , manoìnorte ; e appena ne' secoh XYII in
Piemonte, e XVIII in Savoja, le ultime catene servih s'infran-
sero (Cibrario, Schiavitù e servaggio, I, 5). In tutta Italia per
altro la servitù domestica, qualora cadesse su pagani o su sara-
ceni, tardò più della rustica a dileguarsi. Che, quantunque dalla
seconda metà del milletrecento non si trovino più servi gene-
rati in casa, tuttavia anche di poi si comperavano. Schiavi case-
recci anzi di razza cristiana dal millecento in poi probabilmente
non ve ne furono più; si bene tartari, turchi, barbareschi ed
etiopi. Ma le ultime traccio della servitù domestica di uomini com-
penti , in ItaUa ( e cioè sotto gli sguardi e le benedizioni de' papi ),
durano sino al finire del XVI secolo: quando il traffico vene-
ziano degli orientali schiavi svanì , e cominciò la cristiana tratta
degli africani per l'America. E vi sono documenti, che la pro-
vano indubbiamente sussistente ancora negli anni 1405, 1441,
1498, 1531, 1537 e 1566 (Zamboni, Eezelini, Dante e schia-
vi ). Nondimeno l' ItaUa precedette , come in tutte le altre cose ,
-74 ~
anche in questa le altre nazioni: non esclusavi quella famige-
rata Francia, che sin quasi a Luigi XVI vide sussistere nel suo
seno la servitù della gleba. Neir anno 1834 contavansi ancora
in Russia ventidue milioni di schiavi; né in altri punti d'Europa
certe gravezze servili (curvate o robote) erano del lutto sparite.
Continuate in alcuni domimi austriaci sino al 1849; in Poioma
solamente nel 1864, domata Y ultima sollevazione, furono da Ales-
sandro II abolite. Questi, che già avea dopo la sconiitta nella
penisola taurica emancipato neir ampio impero i servi della gle-
ba; mutò allora colà i livellari in proprietari, gravandogli d*una
sovratassa per indennità agli spropriati. Con che egli, facendo
pel ceto più miserevole quello, che i magnati poloni non aveano
saputo ( e fu gran danno); e insieme parificando agU altri sudditi
gU ebrei, ripromettevasi di avere amico il gregge pasciuto, e
devoti gr inseparabili mugnitori. Le ultime leggi europee contro
la servitù della gleba sono del 1708 in Prussia, del 1761 in
Danimarca ,^ del 1798 in Svizzera, del 1807 in Polonia, del 1808
in Baviera, del 1832 in Sassonia e del 1863 in Russia. Dal qoal-
r ultimo anno 1863 data anche la legge , che proscrisse la schia-
vitù de' negri negli Stati uniti d'America , si freddamente e cru-
delmente colà tra. un versetto e Y altro della Bibbia mantenuta
a lungo. E cosi manifestasi, per tale sperienza di diciotto sec(di
(in onta a cui del resto la servitù funesta ancora la maggior
parte del globo), qual prova facesse in questo supremo argomento
il cristianesimo.
LIV. Lotte tra nobiltà e popolo in Yenoiia e in
Ma , tornando alla popolazione libera ne' nostri comuni , qui
la disputa repubblicana tra patriziato e pkbe si rinnova , general-
mente vinta da quest' ultima ; benché poscia dalla borghesia e
alla fine dal principato sfruttata. Al quale uopo , non essendo ella
stata dovunque uguale , giova dichiarare distintamente , almeno
ne' principali comuni , qual corso ed esito avesse. Nelle città dun-
que, sin dove non arrivò la lunga spada de' longobardi (sebbene
poi questi e franchi e tedeschi da Carlo magno in poi vi pene-
trassero), potè esservi tosto o per dir meglio rimanere un ceto
nobile, cittadino e romano, disceso dagli antichi curiali, onoriti
e possidenti. E questa é la ragione forse, per cui Venezia, non
-75-
violau da' barbari, diversiflca dalle altre italiane repubbliche co-
tanto. Nella quale da principio il governo tra monarchico e de-
mocratico stette nel doge e nella convocazione del popolo. Ma
i più antichi ed illustri cittadini , domando la podestà dogale , che
a sua volta avea domato quella de' tribuni deUe isole , esaltarono
un patriziato, che del resto alla navigazione e ai commerci ac-
cudiva, quanto alla guerra e ai magistrati. Cosi, dopo V uccisione
di Vitale Michieli istituendosi il maggior consiglio (1172), e que-
sto colla serrata di Piero Gradenigo rendendosi nelle famiglie già
entratevi ereditario (1297), quella temuta e gloriosa aristocrazia
ebbe vita, che non si lasciò più spodestare. Il popolo, non avendo
potuto né colla congiura di JBajamonte TiepolOj né alti'imenti
ricuperare la propria sovranità, fu indotto al silenzio. E si dovè
acquetare in q\xe\ì ordine de' segretari o de' cittadini originari,
per verità rispettato; ma, tranne che pegU ullìci di cancelleria,
privo delle prerogative politiche. Peggio accadde in Roma, che,
nel mille e poco appresso , agitavasi in preda a un' anaixhia di
primati della città e della campagna, specialmente pullulati da-
gU uffici della papal curia, resisi ereditari. I costoro caporioni,
co' nomi profanati di consoli o di senatori , ed anche di senatri-
ci, faceano e disfaceano i papi appunto, e il popolo tiranneggia-
vano. Né per quante volte poi questo tentasse di rivendicarsi, e
quantunque giungesse nell'anno 1143 a fondare per poco con la
rinnovazione del senato un Ubero comune, vi riuscì.
LV. Lotte nella Lombardia.
NegU altri comuni in vece , la cui prima nobiltà specialmente
constava de' militi di ceppo barbaro ; il popolo , anzi che cadesse
neDa seconda, de' concivi di ceppo romano, contrastò a lungo.
Ma diversamente in questo e in quel luogo , secondo sono per
dire. Perocché nell'ItaUa traspadana e circumpadana trionfò in
breve, venendo anche in breve da' tiranni domestici sopraffatto. À
Genova e a Lucca fu tosto da un' aristocrazia elevatasi dal suo
medesimo seno, ossia dalla nobiltà borghese, avviluppato. À Siena
degradossi in un fazioso e triviale monopolio; ed a Firenze
prosegui più a lungo la pugna e più oltre la vittoria , si da emu-
lar quasi r antica romulea plebe : ma da ultimo cadendo inelutta-
bilmente sotto alla tirannide. A mezzo dunque il secolo XII , quan-
-76^
do le città lombarde rifioriscono , rivedesi quella costituzione ari-
stocratica , che già ne' municipii romaoi al cader dell' impero la-
sciossi. Se noD che, alla fine di questesso secolo , e più al prin-
cipio del seguente, la democrazia co' corpi deUe arti e co' rela-
tivi proposti comincia nelle medesime a spuntare. E il successivo
loi*o sviluppo ne' secoli XIII e XTV si basa appunto nell' antago-
nismo tra' grandi e popolani , tra il vecchio comune gentilizio
e il nuovo comune artigianesco , che poi termina col trionfare. A
Milano per tanto i fornai , macellai ed altri artefici minuti creano
nel 1198 con la credenza di sani' Ambrogio un comune a sé,
che poi si sovrappone alla nobiltà ed alla borghesia. Gessata quivi
appena tra potenti e plebei quell' amistà, che per combattere il
comune nemico aveano poc' anzi stretta ; il popolo , ponendo sul
più alto seggio, in luogo di consoli, un podestà forestiero, ac-
cenna tosto a rivendicarsi. Benché conservasse come consiglio di
credenza questi consoU , cresciuti a dodici e tratti da' nobili ; ot-
tiene primieramente, che da un corpo di cento artigiani, deputati
dal consiglio degli ottocetito , assemblea cittadina , si eleggessera
£ poscia, benché la nobiltà cessasse di signoreggiare (1221),
nella pace di sant' Ambrogio conviene, che gli uffici pubblici
tutti fossero accomunati : né pare , che tra nobiltà vecchia e nuovi
si facesse più distinzione. Primeggiando tuttavia la medesima per
concorde spirito e militar perizia, esso per domarla crea un co-
pitano generale e varie compagnie : tra cui precipue quella ple-
bea di credenza e quella borghese della motta. Intanto la nobiltà,
che serbava i due consigli de' cattani o nobili maggiori e de' val-
vassori 0 nobili minori, e che davasi proprie leggi nel tempo
stesso, che il popolo le sue (a un di presso come a Roma per
un certo lasso il senato e i comizi tributi); assecondata dalla mal-
ta y contrappose un proprio al podestà del popolo. Ma questo,
superandola , elegge Martino della Torre a tribuno e duce , ov-
veramente a protettore e signore. E in tal guisa contro i gentil-
uomini armati si afforzò, gU sconfisse, ed otto o nove cento di
loro , avutigli a discrezione , sottopose ad oltraggio. Il quale esem-
pio deU' insubre metropoli seguirono le altre città limìtrofe: ove,
pur sotto il medesimo protettore e signore, il popolo schiacciò la
nobiltà e soggiacque alla tirannide. E, benché poscia dovesse sotto
i Visconti e gU Sforza espiare più duramente tanto faUo, direb-
besi , eh' esso , pago di aver tirato i suoi rivali nella propria bas-
sezza, deUa libertà non gli calesse più niente.
-77 —
Vfl. Lttto ■•a* SfeiM triifigiaaft e in Bologna.
•
Similmente a Verona, Vicenza e Padova, e in genere nelle
città della terra ferma veneta , sul finire del trecento la parte pò-
pofama, prevalendovi, bandi i gentiluomini dal governo. E questo
alle compagnie éFarti affidò, i cui gastaldi quasi tribuni diven-
tarono. Ma , avendo pur dovuto , per battere e avvilire le fazioni ,
creare suoi capitani i signori da Romano , della Scala e da Car-
rara , tra gli artigli di questi tiranni atrocemente spirò. Il celebre
apostolo della pace , frate Giovanni da Schio , che con la possen-
te parola adunò a concilio in Paquara quattrocentomila italiani,
e riformò quasi tutti gli statuti delle dette città , fu altresì autore
d'un grande movimento democratico •(1233). Assunto in Vicenza
e in Verona alla suprema autorità, con presidi i e ostaggi atterrò
i baroni d'intorno, e fece leggi per distribuire all'universalità gli
uCBcL Se non che , quale persecutore degli eretici e insiememente
tiranno, suscitò ne' padovani tanto sdegno, che ne lo cacciarono
in bando. Anche a Bologna la parte popolana o guelfa, capita-
nata da' Geremei , giunse a proscrivere diecimila avversari : ma ,
dovendo poi invocare la protezione de' papi , pose l' irrequieta città
sotto il costoro giogo. Nella quale da principio un'eletta di po-
polo , detta comune , avea la podestà pubblica ; siccome ne' romani
monicipii la curia. E, secondo i più antichi statuti, doveano i con-
soli e gli altri ufficiali essere eletti tra' nobili. Onde, comunque
vi fosse un arringo generale di tutt'i cittadini, non lavoranti e
non proletari, e un consiglio di ottocento, la forma del reggi-
mento era alquanto aristocratica. Ma già nel secolo XII la ple-
be, detta popolo^ si rizzò colle compagnie d'arti e d'armi, che
innanzi erano quasi passate inosservate , e che allora cominciarono
a partecipare allo stato. E nell'anno 1228 accadde anzi, come or
ri direbbe, una rivoluzione democratica: dappoiché, non paghi
i plebei d'entrare co' capi artigiani e cogh anziani loro nel mag-
giore e nel minor consiglio, creandosi un capitano del popolo si
segregarono dal comune affatto. Ebbervi così per un certo tempo
dne repubbliche : fino a che la popolare prevalse ; e sacrificò ai
Pq)o!i, ai Bentivogli,e più ignobilmente ai papi, la cara e pro-
digata libertà.
-- 78 -
LVII. Lotte in GenoT» e in Siena.
Genova in vece, pur sempre da intestine discordie lacerata,
fin da' primi vagiti della sua non meno cara e non meno prodi-
gata libertà fu dominata da' grandi ; sebbene a canto ai consoli
avesse i quasi tribunizi capitani. Né si avvantaggiò guarì da quel-
lo, che fu altrove rimedio: la surrogazione del podestà a' con-
soli. Poiché i grandi medesimi , congiunti fra loro in otto €omp(i-
gnie^ sceglievano il consiglio di credenza, da cui era il podestà
assistito e frenato ; e che , come slabile , poteva assai più della
popolar concione. Contro tale oligarchia i ceti conculcati , che già
aveano nello abate una ulterior specie di tribuno, insorsero, e-
leggendo GugUelmo Boccanegra capitano del popolo. Ma non tanto
domaronla , quanto alla vecchia una nuova aristocrazia , nutricatasi
del mercimonio, sostituirono. Di guisa che, per quanto reietto
facesse; principalmente dopo la liberazione d'Andrea Dona e la
ridìizione degli alberghi, non vi ebbe più contesa, se non di
dividere lo stato , come un comune feudo , tra' nobili vecchi e
nuovi , 0 militi e borghesi. A proposito di che Uberto Foglietta no-
ta, che ne' primi tempi della libertà in Genova il titolo di nobili
si dava a tutti coloro, che a' più alti uflìci della repubblica per-
venivano. Ma che, per metter freno agli eccessi de' grandi scn-
dosi con la riforma del 1270 concesso a' popolani esclusiva-
mente la dignità del dogato, e altre appresso, che miglioravano
la sorte di questi su quelli , cominciossi a distinguere i due cdhri
de' nobili e de' popobmi , chiamandosi ognuno come meglio ag-
gradiva. Cosi che tra' popolani genovesi non vi sono meno casati
antichi , che tra' nobili ; né meno cospicui. Non quindi men nobili
de' cosi detti nobili; siccome quelli, che possono ai Dorìa, Spi-
nola, Fieschi e Grimaldi opporre gli Adorni e Fregosi e altre non
meno insigni prosapie. E quindi egli ne' suoi dialoghi della JR^^
pubblica di Genova^ clie sono una rivendicazione non tanto delh
popolarità, com'egli credeva, quanto della borghesia genovese nel
cinquecento ; duolsì , che la riforma del 1528 (riducendo, secondo
una consuetudine vetusta , a ventotto alberghi o consorterìe le
principali famiglie nobili e popolari con preferenza delle prime)
desse a tutte il titolo di nobili e il governo dello stato con esclusione
della plebe. Dappoiché, in vece di togliere i colori sopraddetti e
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di mure i ceti , creasse ivi un' aristocrazia , dove non ci era mai
stata. Anche Lucca , sin da' primordi retta da ottimati , soggiacque
tosto a una nobiltà nuova , che la vecchia respinse , e che con radi
intervalli tenne come possessione propria la repubbUca. Ma in
Siena sin dal Xni secolo il popolo oppresse la nobiltà , prepo-
nendo al reggimento , in luogo della signoria de* qtnndici , nove
oflSciali cittadini col titolo di governatori e difensori di esso me-
desimo. Però sofferse anche da allora quella oligarchia borghese,
che poscia in una oclocrazia settaria flnl, e con la perdita della
libertà e dello stato. Che , per non dire de' grandi , esclusi quasi
sempre da' magistrati, erasi la cittadinanza divisa ne' quattro ordi-
ni, che, congiunti o disgiunti, per tre secoU usurparono la potestà
pubblica. Il monte de' nove cioè, o de' primi oligarchi borghesi;
quello de' dodici , o de' secondi ; quello de' riformatori , o de' borghe-
si inferiori ; e alla fine il monte del popolo, o dell' infimo ceto.
LVIfl. Popolo grasso e magro in Firenae.
Codesto sollevamento della popolarità, che in Siena assunse
forme cosi brutte e strane, per ventura sale nella gentile città
de' fiori a una subUme e splendida altezza. Qui pure la somma
delle cose stette primieramente nelle mani di quattro o sei conso-
li, di un podestà e di un senato di cento , tratti dalla nobiltà ur-
bana , a cui poscia aggregossi la rurale ; e i quali nelle straordi-
narie bisogne convocavano il popolo tutto. Questo per altro , umi-
Uato, quando nel 1250 la parte ghibellina riportò una grande vit-
toria , insorge ; ed istituisce un proprio capitano e dodici anzia-
ni, e dal suo seno venti compagnie d'armi. Vinto nella batta-
glia d' Arbia subisce di nuovo la prepotenza de' gratuli : ma ,
rientrati i guelfi, ordina nel 1266 le sette arti maggiori e le
cinque minori (poi divenute quattordici). E nel 1267 i dodici
huonomini in luogo degli anziani , la credenza di ottanta citta-
dini , il consiglio generale de' centoventi , e i capitani di parte
guelfa^: con che diede allo stato una base democratica. Né pa-
go di ciò , nel 1282 crea i tre priori ( poi divenuti sei ed otto),
e nel 1293 il gonfaloniere di giustizia; co' famosi ordinamenti
di giustizia di Giano della Bella , patrizio e tribuno del seme
de' Gracchi, che vietano la signoria ai grandi. I quah, resi poi
affatto incapaci a' pubblici uffici , restano cosi inviUti , che il ve-
- 80 -
nire ascritti all'ordine loro valeva essere ammoniti, o colpiti di
civica degradazione. Non {stancandosi tuttavia, nel 1307 il popolo
rinnova le compagnie d* armi e nomina Y esecutore contro i gratk-
di, e nel 1323 prescrive le imborsazioni àé magistrati. E nel
1343, costringendo molti di quelli a farsi popolani, e dando la
signoria a due del popolo potente , due del mezzano e due del
basso, av\^oca a sé intieramente l'impero. Se non che, la sover-
chia oppressione de' migliori tornando a suo danno, nel suo
seno medesimo tosto appresso alza le coma la classe de' popò-
lani grassi, che attuano, come or si direbbe, la dominazione
del terzo ceto. E da questa esce una nobiltà nuova; la quale in-
solentisce talmente , che la nobiltà vecchia e i popolani magri
si accordano quasi tra loro per ischermirsene. Gli eccessi della
borghesia generano quindi nel 1378 il tumulto de ciompi; per
cui causa l'infima plebe o, come or si direbbe, il quarto ceto,
occupa ed agita la repubblica. In grazia di tal tumulto i sudditi
e rejetti delle arti maggiori e minori , o cioè i bassi e poveri la-
voranti , aveano ottenuto tre arti proprie minute , un terzo degli
uffici e mezza la signorìa. Ma, stravolendo e abbandonando Mi-
chele di Landò, secondo tribuno florentino, che mento, come il
primo, le laudi di Niccolò Machiavelli , e tipo stupendo delf ope-
rajo italiano , dopo tre soli anni rimangono oppressati. E cosi potò
quella oligarchia borghese consolidarsi , fiacca e scettica ; la quale
prima co' bandi e co' supplizi assottigliò e impauri l' infima ple-
be, che avea dianzi trionfato: poscia infelloni, e alla fine servi
la tirannide medicea. Ma lo spirito di classica democrazia in quella
Atene nostra penò tónto a spegnersi, che dal 1494 al 1512, cac-
ciati per poco i tiranni; il consiglio grande, instóurato da frate
Geronimo Savonarola era, anche a detta di Guicciardini e Gian-
notti, la speme e l'idolo de' fiorentini. Considerando quanto la
corruzione alimenti la servitù, tentò nel 1489 questo frate una
riforma morale, veramente un po' troppo ascetica, co' suoi pia-
gnoni. E nel 1495, sostituendo alle &aZt> nominate in parlamenti
tumultuari il predetto corpo di millottocento e più cittadini, aventi
stóto , attuò pur anco una riforma democratica. Né , quantunque
poscia venisse, come impostore, abbandonato, e, come eretico,
arso; si può negare, che fosse senza efficacia il suo apostolato.
Mercè il quale potè almeno quel popolo, nel memorando assedio
del 1530, mandare le ultime scintille della virtii italiana, che
stava per ottenebrarsi.
- 81 -
LIX. Ceti prendenti ne' oomnni italiani.
Le imprese del quarto ceto per riscattarsi in Firenze e in
qualch' altra città destarono appena una languida eco nelle cam-
pagne : dove i conati analoghi ebbero , come oltre monti , piuttosto
un'indole religiosa e anarchica, che ordinata e civile. Ciò accadde
una volta ne' puri campi dell'ortodossia, quando il santo d'Assisi
sognò il dolce sogno d'avverare in terra coli' umiltà e la carità
r uguaglianza e la beatitudine de' cieli. Ma, non avendo lasciata
dietro a sé, se non una zotica frateria; altri cercarono , ribellan-
dosi non meno alle spirituali , che alle temporaU podestà , di pa-
trocinare pei più miseri e derelitti, se non le celesti, le terrene
gioje. Gli eresiarchi dall' XI al XTV secolo , noti principalmente coi
nomi di albigesi in Francia e qui tra noi di paterini^ contrap-
ponendosi alle recenti deGnizioni dogmatiche e istituzioni disci-
plinari della chiesa ; mentre miravano a una restaurazione dell'ob-
bliato vangelo , proseguivano altresì la rivendicazione delle grame
moltitadini. Se non che fra Dolcino appunto, profeta e capitano
de' nostri volghi rustici ed eretici, nel 1307 da' cospirati preti,
nobili e borghesi rimase schiacciato. Ned è meraviglia , che questi
volghi fossero da' principi in uno e da' comuni perseguitati a mor-
te; e per sin rinnegati da' nostri triumviri letterari del trecento,
che pur covavano contro la corte papale e le intemperanze del
clero la medesima collera. Dappoiché , anche quando i più istrutti
avessero saputo allora ne' contadi comportare quelle medesime
libertà , che ne' comuni sopportavano ; non poteano o non doveano
reputare, se non un delirio, codesto modo di procacciarle disor-
dinato e incivile. Ma , riassumendo , ne' comuni dal lor fiore al lor
languire , a qual ceto veramente appartenne il primato ? Enrico
Brougham osservò , che , sebbene i mutamenti di costituzione es-
ser dovessero acconsentiti da quell'assemblea di tutti i cittadini,
che col tempo cadde in dissuetudine, ma da principio divideva
insieme colla nobiltà lo sUìto ; pur l' effettivo esercizio della sovra-
nità stava nel consiglio piccolo o di credenza e nel consiglio
grande o generale, ambo i quali più o meno d'indole aristocra-
tica. Laonde concluse : che « l' errore di rappresentare queste
repubbliche come dcmocraliche provenne dal considerare la loro
resistenza ai baroni , quale opposizione agli ordini del patriziato ;
6
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mentre era in vece resistenza dell'aristocrazia cittadina a quella
campagnuola » (Filosofia politica, I, 16). Per contrario Fede-
rigo Sclopis ritenne, F indole del comune italiano medievale, a
differenza dell'anteriore romano municipio, democratica; poscia-
chè « la somma della potenza sovrana stava riposta nel popolo »
{Storia della legislazione italiana^ lY). E veramente, di di-
ritto e di fatto prima, e almen di diritto poi, la conclone popo-
lare, detta arringo o parlamento, possedeva allora la podestà
costitutiva ; sendo , ripeto , essenziale al diritto pubblico nostrano
d' ogni tempo , anche sotto X usurpazione de' tiranni , che la so-
vranità spetti al popolo. Altresì in alcuni comuni e in alcuni mo-
menti godettero i nobili minori prerogative e guarentigie de' po-
polani Erasi di più in Firenze inventato come una specie d' ostra-
cismo, nobilitando i popolani invisi: tanto che si dovè fissar con
legge , che , se non per omicidio o per altro misfatto , non si do-
vesse ciò fare. Ma da quanto ho sopra esposto appare , che , tranne
quelle poche città, in cui l'aristocrazia si rassodò, e salvò del
resto la forma repubblicana ; e tranne anche quelle , ove la plebe
ebbe un proprio periodo di prevalenza, nelle altre in generale
occorre quattro perìodi distinguere. Nel primo prevale la nobiltà
de' grandi o di sangue , nel secondo il popolo ( purché in un senso
di contrapposto a quella s' intenda) , nel terzo la borghesia, e nel
quarto la nobiltà de' borghesi o d' oro : il che press' a poco anche
in Roma era intervenuto.
LI. Fiore della borgheiU neU' Italia mediefale.
In complesso adunque bisogna riconoscere, tanto più che il
popolo stesso era costituito da mercatanti e artigiani, che il ce-
to, che più di tutti e più a lungo ne' comuni nostri dominò, fu
appunto il terzo. Ma, quando si parla di cotal ceto a Roma e
ne' comuni , conviene aver fisso , come si alluda a una borghesia
ben diversa dall' attuale. Imperocché la borghesia romana e comu-
nale é ben vero, che al pari di questa non formava un ordine
chiuso, era nata dal popolo, ed attendeva o aveva atteso alle arti
e alla mercatanzia ; e che in somma fondava al pari di questa il
suo primato politico suU' elemento economico. Ma d' altra parte
pegU spiriti civili e bellici , da cui era animata , per la gentilezza
degli studi, per la munidcenza e pel culto della |)atria, non avea
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niente con questa, cui chiameremo, per distinguerla da quel-
la, neogiudaica ^ niente di comune. Fece quella tali prodigi di
valore e d' ingegno , e la stessa pecunia accumulata con tanta
magnanimità profuse pel pubblico decoro, che il paragonarla a
questa diventa per sino ingiusto. Comunque sia per altro, anche
quella decadde si ignobilmente, che ne' tre o quattro ultimi se-
coli , che precessero la presente nostra Uberazione dallo stranie-
ro, dalla sua incredulità e perversione richiamato , appena della
sua esistenza si si avvede. Il sopravvento delle arti maggiori sulle
minori avea finito coli' annientare in sullo scorcio del secolo XV
il vero popolo, tanto grasso come magro. Ebbevi sì in Napoli,
nella sovraggiunta accidia e sotto la spagnolesca insolenza del
XVII, una larva di tribunato e di riscatto dell' infima plebe : ma
senza durevoli effetti (1647). D'allora in poi, senza distinzione tra
le antiche città aristocratiche e democratiche, vedasi ovunque la
nobiltà prevalere, parte della remota e parte della recente origi-
ne. Dico prevalere per quegli onori o disonori , che possono so-
pravvivere alla servitù della patria ; per l' arroganza , per la bo-
ria, per la vanagloria, e pel triste privilegio d'esser prima a
servire. Onde in sullo scorcio del XVIIi secolo, quando questa
borghesia capitò , tre ceti trovò (quello de' chierici non essendovi
mai statò) tra noi. I gentiluomini^ non digiuni almeno di lettere,
che oziavano e poltrivano nelle cariche inutih di corte, di governo
e di municipalità , che portavano la parrucca inanellata e lo spa-
dino a traverso ; ma che si mantenevano provveduti bene , in grazia
delle eredità e de' fedecommessi. I cittadini , reliquie dell' antica
borghesia nazionale , quasi affatto privi de' diritti o degli uflBci po-
litici , che serbavano ancora le lor botteghe e ofiìcine ; ma non
prospere , e in cui campavano oscuri e sommessi. E finalmente i
rt'Uic» , insieme cogV inferiori abitanti delle città, umiliati peggio,
che ora; sconsiderati, come ora; e trattati meglio, che ora.
LIL Sistema feadale d'oltre monti.
Ma, venendo a discorrere della borghesìa neogiudaica, alla
quale dal finire del passato secolo in poi si addissero tra noi
alcuni usciti da' tre ceti predetti , e sopra tutto dal secondo colle
oidiche e le arrende , e dal terzo colle fattorie e le fittanze ; natu-
ralmente è mestieri al di là delle alpi scovarla. I territori delle
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Provincie romane , conquistate da' barbari , venivano di regola in
tre parti divisi : una al re , l' altra agi' invasori , e la rimanente
agli originari abitanti. Conferendo poscia il re i suoi possessi a*
suoi fedeli in beneficio, ed anche i liberi possessori i propri ai
fedeli loro , prima a vita , e poscia ereditariamente , sorsero i feu-
di. Ed, estorcendo i più potenti tra' liberi possessori o ricevendo
gli allodii infeudati da' men potenti , rimasero costoro soggetti a
coloro , benché men duramente de' servi della gleba. I quali tutti
viventi in rapporti o di soggezione o di servaggio , erano per tanto
alla prestazione di frutti e di censi , di oneri e d' opere , e di al-
tre 0 feudali o servili gravezze obbligati. Ma tra' due ordini, che
dalla feudalità derivarono , di sovrapposti e sottoposti , gli uni av-
ventizi e gli altri indigeni, potè colà incastrarsi un ordine in
gran parte romano, quello de' sacerdoti. I quali in Italia, dove
la coltura era del luogo, non ebbero punto un valor politico lo-
cale : ma all' estemo , rappresentando i vinti civili di fronte a' vin-
citori inciviU , r acquistarono da vantaggio. E , analogamente a
quanto era negU orientali imperi occorso, avrebbero per sino po-
tuto dar vita a una casta, se per ventura il celibato non avesse
loro impedito la successione. Cosi nelle più fitte tenebre del me-
dio evo , de' tre ceti , che colà si formarono , la milizia compren-
deva la nobiltà e la cavalleria ; e questa risultava o dal lignag-
gio 0 dalla professione. Il clero ^ potente spiritualmente e tempo-
ralmente , custodiva 0 bene o male il deposito sacro della genti-
lezza e della dottrina tramandata. Ed alla produzione economica
attendeva un terzo ceto in massima parte, sin che si rimaneva
rustico , privo di libertà. Ma questo medesimo ceto degradossi in
quarto (e però furonvi da allora quattro ceti oltre monti), dopo
che con gravi tenzoni nelle città, o per dir meglio ne' borghi ^
dove i soli nobili aveano stato, poterono anche gl'ignobili coDe
maestranze ottenerlo. Donde è venuto, che, a distinguergli daUa
milizia e dal clero superiori e dalla contadinanza inferiore si
chiamassero costoro borghesia o terzo ceto. E tuttodì si chiamino
anche tra noi; ove più proprio sarebbe, come ho pur detto,
chiamargli cittadinanza o ceto secondo.
LXll. OoBAti del ten» e qiArio eato oltre meitL
Questa riscossa per altro delle persone vendereccie e mecca-
niche, come oltre monti assai men gloriosa, cosi fu più tarda.
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che tra noi. E là, dove più alle italiche cittadinanze rassomigliò,
siccome nelle repubbliche mercantili della Magna e della Fian-
dra , di molto a quella Roma è debitrice , che aveavi o i ruderi
delle sue colonie o le tradizioni de' suoi stupendi ordini munici-
pali lasciato. Quanto del resto la podestà regia in que' raccozza-
menti neobarbarici , detti adesso monarchie neoromane , logorava-
si, e tanto più la feudalità infelloniva. La fortuna e gli eccessi della
quale non erano venuti meno né anco in quel tempo , che più qui
fiorivano i comuni. Tanto che nel regno cristiano di Gerusalemme
e Dell' impero latino di Costantinopoli , come negli altri possedi-
menti di levante, i crociati trasportarono senz'altro il sistema feu-
dale ; avvincendo i nativi per la più parte alle materne zolle (1204).
E i cavalieri dell' ordine teutonico , germanizzando e cristianizzan-
do la Prussia slava e pagana , assoggettarono alla medesima ser-
vitù i liberi coltivatori, che vi abitavano (1309). In molti stati
poi, e massime ne' regni anglico, ungarico e polono, ch'erano
piuttosto repubbliche di magnati , la feudale anarchia funestò
pft a lungo. Sotto di essa un ceto medio non poteva dunque alli-
gnare : ma (come tuttogiorno nella sventurata Polonia) al cambio
e alla mercatura , ovvero all'usura e alla ricettazione , accudivano
gli ebrei, unici borghesi allora in que' luoghi. Imperocché, ove
il ceto medio manca, suppliscono alcuni parassiti o girovaghi:
come appunto codesti ebrei in tutto il mondo e in ogni evo ; i
lombardi e i toscani in Europa e ne' tempi mezzani , e oggidì
gli armeni in Turchia e i franchi in Egitto. Nelle quaU ultime
due Provincie si può tuttogiorno assistere quasi al momento sto-
rico , in cui un popolo invade ed altro é invaso senza fondersi ;
considerando le opposte sorti degli ottomani e degU arabi da un
lato , e de' rajà e de' fella dall' altro , tra cui lucrano i predetti
parassiti o girovaghi , senza riguardi pegli uni e senza viscere pegU
altri. Carpiscono essi a buon mercato , e nascondono ne' propri for-
zieri e portafogU la preda , che i violenti strappano ai mansueti. Ne-
gli stati oltramontani nondimeno le crociate , quanto di una classe
di liberi coltivatori , affrancando molti servi della gleba ; e tanto
favorirono il formarsi d' una classe di agiati borghesi , agevolando
le comunicazioni, i baratti e le industrie fabbrili. Ma questa e
quella dovettero molto penare, prima di potere tra quelle orgie
secolari della prepotenza e deUa brutalità respirare. I nobili e i
cavalieri della Germania erano né più , né meno , che ladroni an-
nidati ne' propri castelli, per isbucare e piombare su' miseri vian-
-se-
danti. Di guisa che , non patendo gV imperatori largire agi' infelici
sudditi la pace , dovettero costoro colle leghe anseatica e renana
ed altre simili , e sin co' segreti tribunali vesfalici , o colle corti
vemichcj provvedere alla propria salvezza. La repubblica che-
tica ebbe auspice appunto una di tali leghe , stretta sul Rùtli
daUe plebi rusticane de' tre cantoni originari di Schwitz, Uri e
Unterwalden (1128;. Ma, in seguito ad una guerra cattoUca e
feudale di sterminio, la repubblica rusticana di Stedinger sul
Hunte rimase in vece schiacciata (1232). E, quando le città di
Svevia, Franconia e Reno, per frenare le violenze e le rapine
baronali, strinsero la lega sveoa^ vidersi arrivar contro le le-
ghe de cavalieri (1388). Egualmente il jQore di cortesia e pro-
sperità quasi italico , che presto nella Provenza e nella Ldnguadoca
aveva la borghesia raggiunto , colla sconGtta degU albigesi appassì
(1226). E, quando poi il popolo francese, dalle gravezze oppres-
sato , sollevossi contro la nobiltà e la corte nel medesimo tempo ,
che i borghesi tedeschi e i contadini svizzeri, cadde per la discor-
dia in peggior stato (1383). *
Lini. Tardi Tagiti della borghesia oltrammitiiia.
Se tuttavia nelle città poteasi in qualche modo resistere alla
prepotenza de' predetti ladroni , che costituirono appunto lungo il
medio evo l' eccellentissimo patriziato germanico ; la sorte de' con-
tadini, privi di tutela e anzi di giustizia, e le cui messi e capanne
erano dalle scorrerie di queUi desolate , permaneva durissima. Le
insurrezioni de' paesani per alleviarla in Inghilterra, Francia,
Svevia , Franconia , Turingia , Elvezia , Boemia e Polonia dal XTV
al XVI secolo , ebbero il medesimo esito di quelle degU albigesi
e paterini poc' anzi accennate. Né in genere i conati de' ceti op-
pressi di là dalle Alpi poterono mai dal comun vizio Uberarsi , che
gU frustrava e disonorava, il farnetico anarchico e religioso. Gli
sciagurati anabattisti nell'agitazione degli animi, seguita alla fra-
tesca ribelUone di Martino Lutero, aveano per verità pensato me-
glio di costui, n quale appagavasi di mere novità teologiche a
prò' de' grassi cittadini , e sotto gli auspici dell' elettore di Sasso-
nia e del Langra\io d' Assia ; e col furbesco dogma , che la fede
e non le opere salvano l'uomo. Chiedeano quelli per opposito,
non nuovi catechismi , ma Ubertà di predicare il vangelo e di elef»
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geme i ministri ; libertà di caccia , di pesca e di legnatico , e
dalle dedale, dalle prestazioni personali e dal vincolo della gleba:
in somma quella libertà, che il bravo frate agostiniano non vo-
leva. Onde, prim' ancora, ch'eglino precipitassero in quelle fre-
nesie e in que' saturnali, con cui ebbero in Mùnster le guerre
de" eofUadini tedeschi fine , incitava i principi a stirpargli senza
pietà. E venne in maniera esaudito, che i combattenti, sfuggiti
alla spada , furono morti colla scure ; mentre si riaggravò sui su-
perstiti più fieramente U servaggio (1525). Né si liberò affatto
dal testé detto farnetico la rivoluzione inglese (1644): la quale
disseminò poscia que' settari e quegli avventurieri, che inaugu-
rarono nel nuovo continente una democrazia, che servi alla bor-
ghesia del vecchio da allevatrice. Perché certo dalla famigerata
riforma germanica in poi , sé non altro per avere scosso il prin-
cipio d'autorità o il giogo dell'abitudine, si cominciò anche di
là dalle Alpi a comprendere quanto fosse esecrabile quel feudali-
smo, che v'imperversava. Poscia la formazione delle despotiche
monarchie e l'oppressione de' potenti magnati, i grandi eserciti
e le grandi spese dettero al terzo ceto una maggiore importanza.
Questa in fine crebbe vie più nello scorso secolo , quando , parti-
colarmente per influsso degli scrittori francesi, sino i dinasti o-
stentarono il ticchio di esser fautori del cosi detto popolo, od
almeno di riforme economiche. Nondimeno essa borghesia, che,
come si vede, apparve colà e assai malamente, parecchi secoli
dopo che in Italia avea per la seconda o la terza volta rigoglio-
samente fiorito, ebbe dalla rivoluzione americana (1783) molto
giovamento. La quale appunto avea fondato e fatto trionfare oltre
r Atlantico uno stabihmento politico d' avventura , senza gradi so-
dali e senza quasi ordini civili, sulle uniche basi dell'egoismo e
del tornaconto.
LXIY. Rivolgenti dell' ottantanove.
Ma, siccome tale borghesia malescia e serotina sopra tutto
spuntò in Francia , dove anche oggi prospera , e donde si trapiantò
in Italia; cosi delle ultime sue prove in quella provincia giova
ora parlare. Di regola dunque ne' secoli di mezzo e fin quasi a
00 secolo la, non possedeano di là dalle Alpi diritti di stato, se
non i due ordini privilegiati del clero e della nobiltà, che di
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giunta erano esonerati da' tributi. £ questi in vece unicamente
incombevano a' due ordini inferiori, privi di que' diritti; e cioè ai
borghesi ed ai contadìoi. I quali ultimi vedemmo pure, come
fossero tuttavìa quasi ovunque o servi della gleba, o da esose
angherìe torturati e per sino oltraggiati. Turgot e Malesherbes,
prìm' ancora di Necker, aveaoo in Francia consigUato il re a
pareggiai'e tutt' e quattro gli ordini tanto oelle gravezze , quanto
nelle prerogative. Ma quello, che negli stati austriaci fece un prin-
cipe di magnanimi sensi e d'opere audaci, Giuseppe li (1782),
non seppe Luigi XVI antivenire. La rivoluzione francese ebbe
cosi per cause immediate e prossime da un lato lo sperpero delle
fìnanze e dall'altro L'esorbitanza delle imposte. Le due medesime,
tra cui ora Y Italia s' affanna ; e per ovviare alle quali vennero
allora convocati g\\ stati generali ^ sin dal 1614 caduti in dissue-
tudine. Ma d' allora cominciarono a manifestarsi pure le cause
mediate e remote, negli abusi inveterati delle classi favorite e
ne' covati risentimenti delle rejette. Lo avere gli uni per delinir
le cose atteso la resistenza, indugiato a cedere a' giusti desideri,
e poi accondisceso a' colpevoli ; e gli altri accarezzato troppe il-
lusioni e fallacie, e piuttosto cercato di sfogar X ira e la vendetta,
che ciu*ato il vero bene, fecero quella rivoluzione scoppiare. Il
cui intento era si la rivendicazione de' ceti oppressi: ma immo-
lando i ceti oppressori, cancellando il passato, distruggendo la
storia, conculcando i diritti acquisiti, imponendo ai renitenti col
terrore, idolatrando la forza materiale, tuiTando le memorie nel
sangue, rifacendo di pianta la società annichilita, e adequando
e Uvellando ogni condizion di persone nella bassezza e nella igno-
bilità.ll che tutto costituisce quella specialità, per cui la demo-
crazia moderna e gallica diversitica dall'antica e classica; e le
imprese di Ubertà alla barbara da quelle alla romana. Or non è
d' uopo raccontare le vicende e le fasi , né riprovare gU eccessi
e le infamie di quel terribile commovimento sociale, che da un
certo punto ebbe a compagne la crudeltà e la follia. Basti pel
nostro assunto notare, che, mentre si voleano gli stati geoenlì
riconvocare come a' tempi andati , si composero allora in vece
di trecento nobili ed ecclesiastici, e di secento borghesi; e col
voto per capi , anzi che per bracci. In codesto modo il terzo ceto
ebbe una cotale prevalenza, che, associandosi alcun membro de-
gli altri due, dichiarossi senz' altro assemblea nasianale. E
questa, riputando la costituzione data dal re, ne deliberò una
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proprìa, che restringeva la podestà monarchica, e la legislativa
affidava a una camera a suSragi universali. Innanzi per altro
(mercè una generosa rinuncia degli stessi privilegiati) abrogando
i privilegi ecclesiastici e feudali, conQscando i beni reUgiosi, sop-
{Himendo i gradi di nobiltà , e facendo altri tali provvedimenti una
giusta parità attuava. Colla quale, e cAUe posteriori riforme in
senso classico vagheggiate dsì' girondini, avrebbe potuto raggiun-
gere il legittimo scopo; se sin da qui V anarchia, già nelle menti
insinuata dagU enciclopedisti, non le avesse del tutto travolte.
LXV. Innalaamento della borghesia moderna.
Allora sorsero i cerchi popolari, che poscia colla guardia
nazionale e co' consigli municipali , e da ultimo co' tremendi
comitnUi pubblici , in gran parte air azione delle diverse assem-
blee si sostituirono. In ognuna delle quali prima la fazìon regia
cedendo alla repubblicana , e indi i girondini a' giacobini , e i
più miti ai men miti, e i più savi ai men savi; accadde, che il
disordine arrivasse al colmo : sino a che la sazietà o la stanchezza
non rimettessero le cose a luogo. Onde , benché in cotanto oiTida
guisa la feccia del volgo in que' tumulti orridi operasse , non si
può dire, che uno stato veramente popolare venisse mai colà,
nemmen per poco, stabilito. Dappoiché, provocali quelli da gen-
tiluomini e letterati in buona fede, non furono poi, che da pazzi
e da malfattori governati e proseguiti ; e quindi pervertiti e diso-
norati, e alla fine frustrati e rovinati. Ad ogni modo il dominio
legale della plebe in Francia cominciò certamente colla disfatta
de' girondini nel 2 giugno 1793 e fini con quella de' montagnardi
nel 26 ottobre 1795 (Mignet, Storia della rivoluzione francese,
X). In questo periodo il quarto ceto colla costituzione del no-
nantairè aveva ottenuto la repubblica e i suffragi, la perfetta
uguaglianza politica e l' illimitata sovranità popolare. Il che era
bastevole per fondare la democrazia : ma per soddisfare la dema-
gogia non bastava. Onde di eccesso in eccesso 1' una e l' altra
rimasero dome; e superate dal terzo ceto, che, sbarazzatosi del
primo e del secondo coli' aiuto degli straccioni, si sbarazzava
ora anche di costoro, e si poneva in luogo di tutti. Mise quello
io fatti termine alla convenzione, abrogò la costituzione predetta,
sperdetie i comitati, disarmò le moltitudini e le escluse dalia
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cosa pubblica. Private queste di ogni forza, e spossati e quasi
annientati gli ecclesiastici e i nobili, le dovizie e il potere natu-
ralmente passarono agli ebrei , a' feneratori , a' pubblicani , agli
oblatori alle aste de' beni nazionali , agli assuntori delle prowe-
digioni militari e ad altri tali capostipiti della regnante borghe-
sia. Tra cui meritano la precedenza i semiti : poiché è facile ca-
pire in qual modo costoro, sciolti allora dalle lor catene (il che
era giusto), e vistisi onorali e protetti in quegli esercizi, per cui
furono in si lunga età straziati e vilipesi, sapessero (il che era
ingiusto) avvantaggiarsene. Disseminati su tutta la superflcie del
globo, stretti tra loro dalle nozze incomunicabili e separati da
altrui co' riti indelebili , disalTezionati alle non proprie patrie, abor-
renti dalle sante fatiche e da' modesti proGtti dell agricoltura, in-
teressati ad ammassar ricchezze mobili e invisibili , addestrati da
immemorial consuetudine ai più reconditi e mirabili segreti della
mercatura e del cambio, e inclinati alle cose economiche con
una propensione irresistibile, irrefrenabile, inesprimibile; costoro
doveano lasciarsi di molti passi addietro i neoOti d' altra razza*
£ talmente in fatti avvilupparono nelle lor reti V Europa, i cui
tesori racchiudono ne' propri forzieri e portafogli e a cui regalano
le dinastie dorate, che la borghesia regnante merita appunto da
loro essere soprannominata.
LXVI. Trionfo del tene oeto in Francia.
Il risultato per tanto della « grande rivoluzione » essendo stato
la esaltazione del terzo ceto, questo in Francia e in Italia, ove
non ebbe nella nobiltà quel freno, che ha in Inghilterra e in
molt' altri stati , doveva insolentire più , che altrove. Napoleone
colle sue vittorie e co' suoi ordinamenti , distruggendo in buoni
parte d' Europa i troni , i feudi , i privilegi , le consuetudini e te
memorie, e diffondendo e mantenendo di quella i beni e i mali,
apersegli anche tra noi il varco. E , tra' pochi beni diffusi e man-
tenuti, è da mettere in primo luogo la parità tra' cittadini, alme-
no per quanto concerne il privato diritto: la quale del resto noi
molti secoli innanzi, anche per quanto concerne il diritto pub-
blico, possedevamo. Ma del rimanente, mentre il nuovo impero,
imponendo tributi d' oro e di sangue senza fine e non accettando
contrasti e consigli, era assai più despotico e oppressivo dell' an-
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tìco regno; accanto alla sua corte fastosa gavazzavano la nobiltà
nuova e la borghesia grassa, che già in brevi anni la vecchia
nobiltà simulavano (1814). La qual fortuna della gente rifatta giunse
poi al cohno sotto la monarchia orleanese di Francia (1830),
di cui non è per avventura, che una squallida contraffazione,
questa presente d' Italia. Rimasto quindi il quarto ceto nella guisa
or detta deluso e giuntato, cercò esso con que' vani e perversi
tentativi , a cui oggi si dà Y appellativo di socialistici , di tifarsi.
Già nel parossismo della grande rivoluzione, Babeuf agognava
la conversione dello stato in una comunione economica; ed Hé-
bert a dirittura il libito e la licenza, il sacco e la strage. Ma il
socialismo, con una serie di scrittori bizzarri e fer>idi , fattosi ap-
presso teorico, appena con la rivolta del febbrajo comincia ad
agire. Il ceto nuotante negli agi e tuttavia sitibondo di guadagni,
a favorire e mascherare i quali le cosi dette forme monarchico
costituzionaU sonogli le più acconcie, naturalmente puntellava il
seggio del re borghese. Tuttavia, ricusando costui di allargare
il monopolio elettorale a' minori censiti , attiepidì parte de' soste-
nitori: e lo stuolo de' lavoranti , che più n'era offeso, s'indignò.
Quest'ultimo, ispirato da Proudhon e da Blanc, nella sua som-
DQOssa mirò a trasformare le condizioni sociali della Francia, ed
anzi a porre in atto senz' altro alcuno de' sistemi de' novatori.
Tanto che la repubblica democratica, creata da esso, dovette
appagarlo, fondando gì' improvvidi opificii nazionali. Non bastan-
do per altro questi a sfamarlo, mentre i ricchi impoverivano e
la società costituita pareva crollare ; e avendo però Y assemblea
costitutiva decretato la loro soppressione e la cessazione d' ogni
sussidio, seguirono per opera de' proletari le sanguinose ^tomo^e
del luglio ( 1848). E queste furono per verità uno sforzo per pro-
cacciare al quarto ceto il dominio: ma ebbero per effetto, sicco-
me era da prevedere, prima la dittatiu*a di Cavaignac e indi la
presidenza di Bonaparte, seguita dal costui impero. Il quale im-
pero, benché inaugurato e raffermo da' suffragi universaU, e
ostentante zelo verso le moltitudini grame, rimase ugualmente
deUa borghesia alleato. Ed ebbe anzi per unici sostegni l' inte-
resse , il mercimonio , Y avidità , lo scetticismo e la corruzione :
geoii 0 demoni famigUari della medesima. Conciossiachè , seb-
bene (in causa delle sue velleità marziali) questa non gli fosse
guari benigna, e si ritenga generalmente la età aurea di lei col-
r esigilo di Luigi Filippo finita ; d' altra parte quello le concesse
-92 -
un'utile tregua pegli affari. E, mentre addusse la Francia a una
portentosa opulenza, di cui si veggono tuttavia i frutti, segnò
r apogeo di ciò, che or dimandasi spirito di speculazione, e eh' è
r anima della borghesia (1836). Donde la febbre generale de' su-
biti e facili lucri, il rovello delle compagnie e delle imprese in-
dustriose e rischiose , il vanto e V orgoglio della prosperità ma-
teriale, i rapidi e capricciosi mutamenti di fortuna, la sublima-
zione dell' aggiotaggio e la gloriflcazione della borsa , i cui listini
furono assunti ad annali e ad oracoli di stato: e cotali altre cose,
che da alcun tempo in qua si conoscono anche nella mia povera
patria. Nel qual modo la Francia si preparò que' disastri , che
aspettano da ben diverse cose il rimedio.
LXVII. Fremito del ^puurto ceto in Bnropft.
Àveano appena i tedeschi stretto i patti preliminari di pace
cxAY asseniblea di Bordò, e attraversato Parigi, per farle onta,
che i proletari, disdicendo l'obbedienza a quella larva di potere
legittimo, che in tanto naufragio ondeggiava , istituirono il comune
socialistico. Cominciò questo coli' uccisione de' generaU Lecomte
e Thomas, colla strage de' cittadini pacifici e pacieri, colla de-
vastazione della casa di Thiers, e con sequestri di persone e
requisizioni di danari. E, quando fu in sul finire, atterrando la
colonna Vendòme, simbolo delle beUiche glorie della nazione,
appiccando fuoco a' più cospicui palagi, scannando gU ostaggi e
imprecando a' più santi affetti de' mortali; die a temere, che,
smarrita nella disperazione la coscienza, così nella rabbia venis-
segH meno l'umana natura (1871). Un pari fìiovimenio sower^
sivo degU operai , che del resto hanno loro precursori ne' paesani
rivoltati del medio evo, negli anabattisti del cinquecento e ne' set-
tari di Uébert e di Babeuf dianzi rammentati, poco appresso
strappa le redini del governo anche a Nova Cartagine, e leva
eserciti riottosi e promulga leggi msane (1873). La cospirazione
degU artieri detta intemazionale y iniziata a Londra nel 1864,
dopo un decennio contava quattro milioni di ascritti, e già comin-
cia co' tentati regicidii ad atterrire i popoU. E in Germania le
utopie socìaU , giuntevi con passo tardo e grave , tanto più s' ar-
mano di fredde e poderose forze cogitative, e come su propria
predestinata sede si fissano. Ma, siccome tutti codesti conati ese-
- 93 -
crabili e infarai, che del resto potriano divenir maggiori e peg-
giori , non esprìmono, se non una collera feroce e inane da schia-
vi, cosi a niente approdarono. Non solamente le plebi straniere
furono impotenti a fondare co' medesimi que' gloriosi stabilimenti ,
che in Roma e in Firenze le plebi nostrane in si degna guisa
fondarono. Ma, per difetto di senno e di virtù, da un ceto sot-
tile e meschino, senza ingegno e senza nerbo, le si lasciano vie
più intorpidire e stritolare. Il quale cosi adesso, allegro e spen-
sierato, stende il suo uggioso e stupido impero non solamente
ne' cosi detti stati cristiani ; ma sto per dire in Turchia e fino
ìd Giappone. Perchè , non appena si vede uno stato dibattersi tra
le angustie finanziarie e cercar salute negli ordini rappresentati-
vi; si può esser certi, che allora esso se n'è impadronito o sta
per impadronirsene. Né trattiene il suo tripudio, per quanto oda
intorno le grida selvaggie e gli urti ferini delle sue vittime, e il
rombo de' vulcani sopiti ; ma non spenti.
STATO BORGHESE
LlVni. Fusata della borghesia moderna la Italia.
Appare dalle cose anzi discorse, che quel ceto, cui oggidì
appellasi borghesia, ebbe in ItaUa due volte una notevole preva-
lenza sugli altri, come che in modi assai disformi e incompara-
bilmente migliori de' presenti. E cioè, non tenuto conto dell'era
etrusca, in cui qualche indizio vi ha già di traffici per terra e
per mare fiorenti , indubbiamente in un certo periodo delF era
romana e della comunale. NelF ultima delle quaU anzi , e nel
maggior splendore della medesima, ebbevi un momento, in coi
senz'altro le cittadinanze , date alle arti maggiori od alle profes-
sioni venali, sopraffecero la nobiltà. Ma, poco a poco, sebbene
non le rimanessero affatto poste in non cale , sotto le tirannidi
intestine e le dominazioni straniere (tra cui pessima la spagnola),
che si affiatavano più volentieri co' gentiluomini degeneri , cad-
dero in grande avvilimento. Di guisa che nel secento, l'antica
popolana Ubertà appena rimpiangevasi ; e ne' principati vanitose
e melense cortigianie, e nelle repubbliche, senili e paurose oli-
garchie serbavano quel poco, che vi reslava, di dignità tra gì' in-
digeni 0 di preminenza tra' servi. Cosi stavano le cose , quando
nel secolo scorso la borghesia transalpina cominciò, dopo secolari
vagiti, ad essere adulta. In Francia sopra tutto le dissipazioni e
le strettezze della camera pubblica, cotanto propizie alla sua vita,
agevolaronle il trionfo. E di là , prima co' filosofemi enciclopedici
e poscia colle aquile napoleoniche , pervenne sotto nome di « de-
mocrazia » nella nostra penisola. Dove le nostre cittadinanze deca-
dute, ma non dileguate ancora, e inoltre taluni de' nostri gen-
tiluomini di liberali sensi e di spirito inquieto l'accolsero, come
cosa nuova e prodigiosa. Che i nostri avi adunque avessero ben
due volte |ireooduto, oil anche avanzato questa fase deUa civiltà,
- 95-
e io modo mille volte piii fausto e più insigne , non importava.
Dimenticatosi per fino, che tra noi il feudalismo o non aveva po-
tuto attecchire od era già debellato, quando oltre Alpi più imper-
versava, e che parecchi secoli innanzi gli ordini più larghi e
più arditi di popolarità si erano tra noi sperimentati ; si die il
merito alla rivoluzion francese di avere schiacciato quello e inau- ^
gurato questi. Donde Y odierno terzo ceto in Italia , sciolto dal
vincolo, che lo legava alle patrie tradizioni, ridestato e ravvivato
per forza aliena , assunse queir indole esotica , da cui tuttodì
non va scevro; e per cui dovrò sempre come di una importa-
zicfne straniera parlarne. Il suo sentire intanto è cosi diverso
da quello del popolo, di cui si arroga il nome , e la sua vernice
di civiltà cosi in contrasto col genio, sia pur ruvido, del luogo;
ch'esso ha per vanto di disprezzare tutte le cose nostrane, e
per impresa ( siccome io farò tosto palese } di annientarle. Del
resto anche tra noi la ostentata democrazia in breve si tramutò in
ima ristrettissima brigata d' uomini arricchiti cogli appalti, co' mo-
Dopolii, co' prestiti; e cogli acquisti de' beni, innanzi inaUenabiU
per causa delle manimorte e de' fcdecommessi , e d' un baleno
sparsi sul mercato e spacciati quasi per nulla. La qual brigata
non solo tesaurizzò sulla rovina de' corpi morali e delle prosapie
iDostri; ma si sovrappose altresì a quegli artefici e mercatanti
modesti, ^e costituivano le predette cittadinanze, e che furono
p(^ in condizione di poco inferiore a quella del quarto ceto.
La fortuna del terzo per altro si arrestò alquanto tra noi , dopo
h caduta di Napoleone ; mentre in Francia potè sotto la monar-
dìia orleanese giungere al sommo grado. Ma nondimeno, in onta
i qualche velleità contraria de' dinasti ripristinati ; esso rimase
poi sempre , anche tra noi , il ceto prevalente. E così ebbe in
ostaggio l'Itaha risorta, e ottennevi tosto i medesimi favori, che
in Francia sotto la monarchia orleanese; della quale innalzò qui,
ripeto, un pallido simulacro.
LUX. Imprese per la redenidone d'Italia.
Veramente furonvi alcuni tentativi , perchè l' Italia risorta
spettasse a tutto il popolo, di cui doveva essere , anzi che cadere
in braccio delle sole classi mercenarie. Le quali , naturalmente
avendo per la superiorità de' mezzi qualche superiorità di lumi ,
- 96 -
usano chiamarsi con non troppa modestia dirigenti. Ma que* ten-
tativi, rìmpetto alla possanza ornai assicurata delle medesinie,
caddero vani: e così esse domarono la nazione, ed aggiogarono
al lor carro. Per ispiegare la qual cosa io non ho, che a rac-
contare ora per sommi capi gli avvenimenti , onde è uscito il pre-
sente regno d' Italia alla luce. Il momento adunque più doloroso
della passione e il punto più alto del calvario, che da oltre tre
secoli la nazione sofTeriva e saliva, fu nell'anno 1815, quando da*
settentrionali despoti, cospirali in Vienna, venne consegnata, pal-
pitante preda, airAustrìa, ed a' suoi propri tiranni, resi di giunta
austriaci sgherri. Imperocché gli è vero, dalla galHca fratelle-
vole jattanza, da cui in sullo scorcio del secolo passato si lasciò
tanto irretire, non ricevesse che danno; assai più tributaria e
assai men libera divenendo sotto lo scettro napoleonico, di quel
che innanzi fosse. Pur quel nome di regno italico e queir evoca-
zione d' un impero ktino, e le belliche glorie e la hisinga non
anco perduta, che il novello cesare riconducesse le vittoriose
aquile sul Campidoglio, faceanle tollerare la servitù senza vergo-
gna , e quasi senza lamento. Ma , caduto Y idolo , e tentatosi in
vano di salvare a Milano e a Napoli i firantumi deir opera sua ,
soggiacque, come nazione priva di diritti, a si crudel sorte, che,
se avesse potuto morire , sarebbe morta. Benché molte colpe ella
avesse, certo i barbari vincitori, che, invocando la santissima
Trinità, prometteano di restaurare in Europa la legittimità e la
storia, non possono imputartene di tali, per cui dovessero i di-
ritti delle repubbliche di Genova e di VeneziìT venire miscono-
sciuti, i principi italiani mutare in assoluta odiosa signoria il
dolce paterno reggimento ; e la casa lorenese padroneggiar diret-
tamente, oltre r antico milanese ducato, la veneta dizione, e in-
direttamente il resto della tradita penisola. Ma é per altro supre-
ma colpa de' popoli lasciarsi strappar di mano le armi. E , quan-
do si furono le ultime milizie del viceré Eugenio e del re Gio-
acchino arrese, non rimase altro modo, né altro campo di bat-
taglia agli ultimi soldati della patria, se non le cospirazioni e
le sommosse, le carceri e i patiboli. Cosi ebbero origine quelle,
che si 2ìddimandarono per onta sette , non tanto dagli stranieri,
che non concedono altro diritto ai vinti, se non di lasciarsi sgoz-
zare; quanto da rinnegati italiani, che, potendo ora con molto
agio suir Italia Iil>erata trafficare, trovano giusto condannare co-
loro, che per lil>erarnela si olTerivano allora senza speme e fin
- 97-
senza il conforto delle altrui lagrime al martirio. Per opera delle
quali, com'è noto, e particolarmente della congiura detta de' car-
bonari, accaddero i moti del ventuno nelle due estremità della
penisola, e del trentuno nel centro. Questi tuttavia, tranne il sangue
propiziatorio delle vittime, riuscendo a male, venne in mente a
nn giovanetto genovese ( mentre ne vedea gli autori superstiti
partir per Y esilio, col ciglio umido di pianto ) di surrogare altra
congiura a quella; e che fosse cosa grande, e degna dì tanta
sciagura. Perchè i carbonari aspettavano di Francia il segnale
della riscossa, non aveano di quel, che si volessero, chiari
concetti ; e contavano quasi unicamente su' ceti maggiori , sulle
forze militari e sulle arti politiche. Egli in vece, il fondatore
della giovane Italia e di altre compagnie segrete , rampollate
daUa medesima, fidava sul popolo italiano, che, interprete e
ministro di Dio (nel quale fermamente credeva), dovesse non
solo colle proprie virtù risorgere; ma schiudere una novella era
al mondo.
LXX. Cospirasioiie popolare de' massdniani.
Laonde, come che egli appartenesse alla scuola letteraria ol-
tramontana, falsa e vacua, detta de' romantici , e si lunga parte
di vita trascorresse su suolo inglese, né fosse affatto immune da
non so qual mistico velo; era nelle cose civili ispirato da un
pensiero puramente classico, e intuitivamente romano. L' Italia e
la sua capitale eterna aveano, secondo lui, la missione provvi-
denziale di dare nuova unità alle genti, e di redimerle colla na-
tiva idealità, mercè un terzo morale primato. Di modo che quello,
che fecero già Roma pagana col diritto -e Roma cristiana col
dovere; farebbe una terza Roma, quella del popolo italiano, col
diritto e col dovere, congiungendo il cielo e la terra. E per muo-
vere cotanta forza non poggiava, se non sul popolo stesso, e sulla
fede di questo in tale missione : all' adempimento della quale non
dalla cupidigia, ma dall' annegazione sarebbe un di acceso. La
democrazia quindi, cui egli vagheggiava, ben diversa dalla fran-
cese (la quale, fermatasi alla ricognizione de' diritti, non polca
condurre, che all'egoismo individuale e nazionale); dovea per
contrario fondarsi sulla ricognizione de' doveri. E però reputava
giusto, che la rivoluzione futura facesse i)e' proletari quello, che
7
- 98 -
le passate pe' borghesi , da lui pur detestati ; ma le dottrine del
comunismo e del socialismo ripudiando, e la democrazìa comuni-
stica e socialistica insieme con esse. La quale in sostanza , proce-
duta da Helvétius, Volney, Bentham e da altri tali moralisti bor-
ghesi, non professava altra morale, che quella della materia (/Si-
stemi e democrazia e gli altri Scritti di Giuseppe Mazzini ). Fin
da quando T Italia, or son più di tre secoli, disperando di Dio
e della virtù, e viste fallire le ultime prove de' veleni e de'pu-
gnaU, delle frodi e de' tradimenti per respinger la servitù, vi si
era col capo chino e torvo sottomessa, non erasi udita voce più
nobile ed elcvaUita. E Y udirla e il seguirla fu segno , che X ora
estrema della servitù straniera non avrebbe per noi tardato. Con-
ciossiachè, mentre altrove muggiva la rabbia de' materiali inte-
ressi, e le stesse plebi oppresse non isperavano, che nella super-
stizione sansimoniana o in altre tali imposture, promettitrici di
vantaggi e di piaceri a josa; si sacrarono qui angeliche legioni
d' adolescenti al dolore e alla morte , nel nome di Dio e della
virtù. La spedizione di Savoja (1833Ì, ciucila de' fratelli Bai^
diera (18i3\ ed altre tali improse, seguile da supplicii crudeli,
non parvero por verità a' soliti uomini avveduti, che ecatombi:
ma assai più di fortunate battaglie valevano. E, non foss' altro,
come il grido della scolta avverte di tratto in tratto nel pro-
fondo della notte, ch'ella vigila; cosi l'eco de' colpi iterati del
piombo, che spezzava i santi petti de' nostri martiri , attestava di
tratto in tratto all' Europa lo spasimo d' Italia. E si era cosi ve-
duto fra noi il più alto portento, a cui possa giungere l'umano
eroismo; se è vero, che il votarsi nell'aurora della giovinezza e
della speranza a trar la vita in catene o a perderla sotto la scure
del carnofice, come malfattori infami, sia l)en maggiore virtù,
che il perderla sul campo o in altre inclite gesta. Però questa
virtù era troppo sublime: e i grassi cittadini, il cui sonno era
dal sinistro cigolio di codesti arnesi di ferro turbato; e i pia-
gnolosi lottorati della scuola cattolica, che trovavano ben più
commoda la devota rassegnazione ( benchò in fondo avessero qual-
che carità di patria, e compiangessero anche i buoni figliuoli,
che davanle il sangue \ incominciarono appunto, circa nel 1843,
a gridare: basta.
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LXXI. CoepiraBione borghese de' moderatL
E cosi fecesi avanti la parte de' moderati: la quale avea più
ragioni, per prevalere alla parte eroica , si perchè le sue qualità
e le sue tendenze, erano meglio adeguate alla bassezza e igno-
biltà de' tempi; sì perchè sohtamente d'ogni religione diventano
1 ìrdoti coloro, che ne avrebbero innanzi croceflsso i profeti
cercano, non appena questi vincano, di rizzarne i trofei e di
ne mercato, adulterandone la fede vera e scomunicandone i veri
ci); e si in fine perchè la probabilità del vincere stava più
0 meno co' moderati predetti, che cogli eroi. Di fatti i mazziniani,
ido della patria la indipendenza, la unità e la libertà, tutte
io una volta e d' un subito ; e proponendosi di fondare la repub-
blica e di cacciare i tedeschi con una insurrezione di popolo e
a straniero ajuto, invocavano quasi un prodigio. I moderati
• opposito, prima fidando su tutt' i tiranni nostri, e poi sul papa
0 sul re saj'do solamente; prima chiedendo franchigie interne ne'
dive stati, e poi una lega tra questi o solamente un regno
ìdano ; prima chiedendo la cacciata de' tedeschi , e poi un
principato austriaco o solamente un giogo meno aspro sulle Pro-
vincie soggette, e via via: i moderati, dico, appagandosi di cose
mediocri, e proponendosi di conseguirle colle forze costituite e
cogli elementi legali, e in somma colla licenza de' superiori, me-
glio si mostrarono acconci a pigliare pel ciuffo la fortuna. Or,
poiché è d' uopo, per conoscerne l' indole e la efficacia tra fausta
e infausta , dir della genesi storica di codesta parte , che condusse
la nave italica in porto, come nuda carcassa; io non nego, che
Qoa lontana e languida affinità possa ella avere co' principi e
ministri riformatori del secolo scorso. I quali in molti luoghi
d' Italia , e particolarmente nelle due Sicilie , in Toscana e in
Lombardia, aveano la cosa pubblica avvantaggiato, innanzi alla
firancese rivoluzione, con assai più prò', che questa facesse. Ma,
per non dire , eh' ora l' ha del tutto rinnegata o perduta , ella
ha più veramente (siccome Giuseppe Mazzini in più luoghi de'
suoi Scritti notava) i suoi genuini progenitori in Francia. E
primieramente in Mounier, Malouet, Lally Tollendal, Necker,
TaUe>Tand, Monlmorin, e in cotali altri membri della, pratica le-
gislativa, istituita dall' assemblea nazionale al principiare della
— 100 —
rivoluzione suddetta. Indi in Broglie, Royer CoUard, Guizoi,
Cousin, Tliiers, Odillon Barrot, Dupin, Sebastiani, Périer, e in
quegli altri sozi , che ne' quindici anni del regno borbonico resi-
stettero, e ne' diciotto seguenti del regno orleanese colà trionfa-
rono. I quali, com'è noto, volendo un dominio monarcale, ma
temperato da un consiglio di patrizi ( tosto senza forza rimaso )
e da un consiglio di borghesi; e separandosi dal , popolo, in cui
nome e per cui mercè aveano vinto, esaltarono colà il terzo ceto
e quella, ch'ei chiamarono monarchia repubblicana, e che non
fu alla fine, se non una tirannide borghese. E } quali, sé chia-
mando moderati, come gente che voleva conciliare la repubblica
colla monarchia, il moto colla immobilità e la verità coli' assur-
do; furono in vece chiamati, come gente contenta di formule
vocah in assenza di opere civili, dottrinari. Questi appunto i
babbi legittimi de' moderati e de' dottrinari nostri , che hanno
comuni con loro lo spirito borghese e il simbolo costituzionale,
le false teorie e le parole risonanti , le lustre di libertà e i fron-
zoli di legalità, le opinioni per credenze e i fatti per principii,
r empirismo in luogo di logica e I' opportunità in luogo di giu-
stizia, sovra un mal dissimulato fondo d'ecletismo, di materia-
lismo, di scetticismo, d'ateismo e di nichilismo.
LXXII. Esaltailone de' moderati.
Costoro adunque cominciarono tra noi a manifestarsi nell' an-
no 1814, sperando Ubertà dagli austriaci invasori in Lombardia;
nel 1821, confidando la rivolta a un principe cospiratore in Pie-
monte, e nel 1831, dando indole locale e legale alla rivolta in
Romagna. E si assettarono tosto appresso, quasi nella presente
forma, in quella compagnia segreta, ma di poca importanza, detta
de' veri italiani; h quale, contrapponendosi alle congiure repul>-
blicane, dalla ten'a straniera salutò prima la croce di Savoja co-
me italico vessillo. Nondimeno solamente nel 1843, quando appun-
to colsero i fratelli Bandiera a Cosenza la palma del martirio,
si costituirono in parte politica italiana; avendo a maestri Rossi,
Gioberti, Balbo, D'Azeglio, Durando, Mamiani e quegli altri, del
resto virtuosi e honomeriti uomini, che sopra tutto mercè una
federazione de' regoli italiani propugnavano , tra guelfi e ghibel-
lini , r emancipazione d' Italia eoo modi blandi. E le riforme del
— 101 —
pontefice Pio IX nel 1847 e quelle degli altri regoli nel seguente
anno, sembrarono avverarne in breve le speranze. Ma da un lato
la perfida prodizione di costoro, tranne uno, e Y esito infelice della
guerra regia in Lombardia; e dall'altro la imperterrita difesa di
Venezia e di Roma, nelle quali risplendette V antico popolano
valore, lasciavano ancora in dubbio nel 1849, se la direzione de'
destini italici dovesse a loro o agli emuli spettare. Se non che
aUora occorse un fatto, che ebbe nelle vicende ulteriori una mas-
sima eiTicacia, e che diede a' moderati il trionfo. Vittorio Ema-
nuele II di Savoja, mentre il padre partiva per l'esilio (ove
subito mori d' un intimo martirio , che il rese all' Italia santo ),
raccolse con lo scettro il vessillo caduto su' campi di Novara ; e
giurò, che non sarebbe più di sua mano uscito. La natura delle
probe stirpi subalpine è cosi fortemente temprata , .che niun ti-
ranno avrebbe loro potuto strappare quello, che alle altre italiche
venne di leggieri tolto. Pur fu gran ventura, ch'elle avessero al-
lora questo miracolo di re, che il giuramento e le concesse fran-
chigie mantenne, non suo mal grado; ma per animo incrollabil-
mente buono. Onde d' allora in poi tra principe e popolo non
fuvvi più (come altrove) tenzone di reprimere e di resistere,
né più la gelida lama della difiìdeuza si frappose; ma gara tra
loro, come prodi che gli erano entrambe e leaU, di onorare
la libertà e di vendicar la patria. E , poiché nelle altre contrade
d'Italia i tiranni spergiuri aveano ogni vestigio di reggimento
civile distrutto, e l'austriaca oppressione aggravato; così i fuo-
rusciti quasi tutti convennero, e i rimasti sotto il giogo fissarono
colà gli ocelli, siccome a luogo, donde il sole della itaUca re-
denzione sarebbe in breve spuntato.
LXXIII. Trionfo de' moderati.
Da questo istante quindi fu deciso quale fra' due sistemi di
redimer l'Italia, se quello della popolare insurrezione o quello
della regale capitananza, avesse ad essere di preferenza accolto.
Imperocché, se il primo alla dignità e alla viriUtà della nazione
era più adatto, e avrebbe più sani e più saporosi frutti dato;
d' altra parte richiedeva cotanta fortezza e cotanta fortuna , che
quelle stesse degli avi nostri romani avrebber dovuto pareggiare.
Mentre il secondo poteva con meno delusioni amare e meno duri
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patimenti avere un effetto, che non sarebbe stato tanto glorioso;
ma certamente più possibile, più sollecito, e più alla natura de'
desideri odierni e delle forze comuni conforme. Cosi non sola-
mente nel Piemonte; ma in ogni regione della penisola, la mas-
sima parte di coloro, eh' eransi alla patria serbati fedeli nella sven-
tura , seguirono quella , che fu detta egemonia piemontese. E non
solamente i moderati del quarantotto, che aveano per verità con-
dotto non molto bene le cose allora ; ma ( notisi bene ) i più degli
stessi loro competitori e precursori furono di cotal numero: dan-
done Giorgio Pallavicino, Daniele Manin, Giuseppe Garibaldi, e
cotali altri gentili e lieri spiriti, per primi T esempio. D quale per
altro non venne da una ristretta coorte mazziniana seguito, né sopra
tutto dal maestro. I fatti di Milano nel 1853, pur essi nel san-
gue e senza palese beneficio sedati, ed altri piccioli fatti avea-
no già mostrato quella decadenza della coA iì<èi\aL parte d' azione ,
che andò poi vie più crescendo. Quando a Garibaldi, dopo crol-
lato un regno, che non avea più altre basi, che la indifferenza e
la codardia, e divenutone dittatore, balenò il magnanimo pensiero
di precipitare colle milizie popolane su Roma (ove forse un'Italia
ben diversa da quella, che è, la concione armata delle genti ita-
liche avrebbe potuto decretare); lo rattenne il timor giusto e pio
di una civil discordia (Ì8G1). E, sebbene egli appresso, insoffe-
rente quasi della patteggiata sottomissione alle forme legittime di
stato, a Sarnico e Aspromonte (1802) e a Mentiuia (18G7) conti-
nuasse un modo di pugnare piuttosto da franco paladino, che da
generale monarchico; pur quella parte, divenuta fazione, e ogn' al-
tra fazione avversa, aveano già finito il lor tempo. I moderati co'
nuovi elementi eroici, di che si erano nel decennio precedente ri-
sanguati , e incalzati alle calcagna dagli stessi competitori e precur-
sori, aveano omai niente meno, che unificato e affrancato Tltalia.
E il conquisto della Lombardia (1859), la congiunzione della cen-
trale e della bassa Italia (18G0), lo stabihmento del regno italiano
(18G1), il ricevimento della Venezia (1860) e finalmente l'occupa-
zione di Roma (1870), enmo state le fasi principali, rapide e por-
tentose deir opera da loro diretta.
LXXIV. IKsfktta de' maniniftiiL
In un tempo, in cui non vi ha altro titolo per aver lode, né
altro criterio di merito, che il successo, Mazzini e i suoi seguaci
- 103 -
fidi furono per ciò senza cittadina e umana misericordia rampo-
gnati e straziati. Avendo anch' io dato il mio voto affermativo ne'
plebisciti, e rimanendo lealmente fermo ne' medesimi (ma anche
al dogma implicito della sovranità popolare ), non sono verso i maz-
ziniani giudice parziale. Ebbene, forse di non avere reso sollecita
obbedienza a' voleri della nazione chiaramente manifesti e a' de-
creti del destino non meno manifesti ( che cioè l' Italia si affran-
casse e unificasse a mezzo della casa savoiarda ) debbonsi , se non
di poca annegazione, di poca antiveggenza rimproverare. Ma ri-
mangono tuttavia ragioni per iscusar loro, che perdettero, quante
per non encomiare gli altri , che vinsero. E primieramente , quan-
tunque eglino si stessero sdegnosi in disparte, non opposero a quella
casa nel fare il bene ostacoli ; e furono anzi contro il comun nemi-
co, se non collegati, vedette. Il che non è molto, io lo so, consi-
derando che la presente Italia si fece fuori del lor pensiero; e che
dunque , s' eglino avessero potuto impedirlo , non si sai'ebbe fatta ,
io non dico in miglior modo, ma non certamente in questo, in
cui le fu dato almen per ora di farsi. Onde questa unità e questa
indipendenza , sogno de' secoli e sospiro sopra tutto di lor mede-
simi, non avremmo, se fosse sUito in loro, si tosto avuto. Pure
possiamo noi biasimargli, perchè osservarono le promesse giurate
sovra le ossa de' compagni premorti; e perchè forse la fortuna,
da cui gran parte dipende delle umane cose, ha dato lor torto?
È certamente molto il chiedere suU' altare della patria anche l' olo-
causto delle proprie convinzioni , più che quello delle proprie mem-
bra, alle anime forti penoso. Dato che si possa rassegnai'visi , e
che, pognamo, un repubblicano si accosti temporariameule ad un
signore, fosse pur un tiranno, pur di vendicare la patria; è assai
arduo poi nella lunga dimestichezza o nella continua dissimulazio-
ne (siccome per troppi esempi si scorge) non contaminar l' anima.
Ad ogni modo, tra chi, fuggendo sino il pericolo della contami-
nazione, tetragono a tante contrarietà, delusioni e abbandoni,
quanti Mazzini sofferse, rinian fermo nel primo amore e nel pri-
mo culto del cuore ; e chi , cedendo alla stanchezza , alla tentazio-
ne e alla sorte , muta secondo le vicende : che che si possa a lode
dell' accortezza de' secondi dire , la simpatia è \^r la fenuezza de'
primi. Or appunto alcuni di quelli, che alla paile e indi alla fa-
zion vincitrice si addissero, pognamo, che fossero prudenti assai,
ed io per me gli reputo anche onesti; furono altresì uomini, la
cui sagacia stette principalmente nel ritrarsi da una via di perigli
- 104 -
e di sacrifici. E i quali, che che sembrino agli occhi altrui, in-
nanzi a' propri e a quelli del maestro arrossendo ^ dovettero sen-
tirsi, come se mancatori di una parola data e apostati di una fede
professata, punti di vergogna. I mazziniani costanti in vece, che
sono ora poco più d' un manipolo , e a cui punto non sono da
equiparare i più recenti accoliti ; pur vinti nelP esito, rimangono nel
principio vittoriosi. E quella indegna progenie, che fa ressa loro
intorno, rimproverano tacendo; e chiudendo nel petto le ultime
italiche virtù della generazione, che si muore.
LXXV. FaTorì della fortuna a' moderatL
Ma , anche ritenuto il torto loro ne' di passati , quanto al giu-
dicare politico; forse, se l'esito non avesse i loro successori e
avversari glorificato, chi più si dovesse di leggerezza o di teme-
rità imputare, rimarrebbe dubbio. Imperocché, che la fede in chi
alla fede ha già mancato, e sopra tutto negli stranieri non si debba
mai riporre , era ed è regola , a quel che sembra, da doversi piut-
tosto commendare, che condannare. Fatto sta, che i regoli nostri ,
in cui pure i moderati per tanti anni sperarono, fallirono, tranne
uno, tutti (siccome era degno di loro); e che i francesi, riponendo
nel quarantanove il papa in Roma, aggravarono con fratricide, e
anzi con jiarricide armi le nostre sciagure. Che, se allora quegli,
ch'era sUito nel ventuno principe di Carignano, pugnò come sol-
dato fetide d' Italia , e il figliuolo ne divenne strenuo campione ;
e se indi Napoleone 111 scese sui campi lombardi e battè l'Austria,
non chiedendo maggior mercede della cessione di due provincia
e del vassallaggio delle rimanenti; erano cose codeste, che non
si poteano facilmente prevedere, e che, non riuscendo, avrebbon
lasciato r Italia più di pria lacera e minala. E in fine , prevedutele
e riuscendo, i frutti avriano potuto essere di tale acerbità, che
avriasi [)Otuto esitare tra il desiderarie e Y aborrirle. Siccome quel-
le, che |)er un lato ricomponevano ed emanci|)avano Y Itiìlia ; ma
per r altro anche ( e in breve lo vedremo ) ne la disfacevano e
svergognavano. Di modo che le conseguenze mediate e remote,
che ne procedettero, diedero ai fautori dell' insurrezione jx)polare
e contrari (Iella capitananza regia piuttosto ragione , che torto. Ma,
pur dando a questi biasimo, non ne viene, che quelli delF altra
l)arte si |K)ss;ino arrogare il merito di aver essi alTrancalo Y Italia.
- 105-
La cui redenzione materiale ed esteriore fu veramente secondo il
lor disegno compiuta , e sotto la loro podestà condotta ne' presenti
termini: ma non anche per la loro virtù. Ed anzi tutto non può
negarsi , che Y avita fortuna non ci sorreggesse , e che con assai
meno travagli, sforzi, eroismi di quelli, che caddero altre volte
inani, e di quelli, che forse erano necessari, potemmo adesso il
sospirato secolare intento raggiungere. Fortuna fu, per esempio,
che non so quale sentimento arcadico di Ubertà e di giustizia pro-
gredisse e imperasse nel mondo ; onde la causa nostra acquistasse
ovunque favore. Fortuna, che i tiranni nostri fossero cotanto osti-
nati e cieclii, da essere fin contro a sé medesimi felloni; onde,
l' afTetto per le autonomie locali venendo meno, quello per V unità
nazionale prevalesse. Fortuna, che Napoleone III, salito in sul
irono violentemente, e a dispetto delle vecchie dinastie, avesse
bisogno di fare con alcuna gloria sopportare alla Francia la sua
usurpazione , e di cangiare ordini all'Europa, rimestando le cose;
onde si decise air italica guerra. Fortuna , che tra Prussia ed
Austria s' ingarbugliassero quelle lor brighe da tedeschi ; onde
potemmo la Venezia avere, ahimè, in dono. E che in fine gia-
cesse a Sedan prigione il nostro medesimo benefattore ; onde libe-
rarci dalla costui prepotenza. Or egli è vero, che Y opera di codesta
immortale dee porsi in conto più di quello, che oggidì si usi , ne'
privati e ne' pubblici eventi ; e eh' ella dev' essere anco riverita a
modo romano. Pur nondimeno ciò , eh' è suo , non può a gloria
d'alcun mortale attiibuirsi.
LXXVI. Ajuti della nasione a'moderatL
E, quanto alle vicende della recente storia per opera umana
seguite, cosi poco puossi a' moderati attribuirne, che il meno è
quello, che loro spetta. Mentre è cotanto la gloria dalle colpe supe-
rata, che meglio saria stato per loro essere morti oscuri, che
avere ac(iuistato celebrità con tanto assassinio della povera patria.
Anzi tutto, siccome gli eventi storici sono tessuti da lunga trama
di secoli, cosi assai più, che dalle picciole pugne testé combattute
e da' piccioli maneggi de' nostri oratori ( e guai s' elle non aves-
sero altra origine, che codesta!) le sorti nostre presenti vennero
largite dall'opera di pareccliie generazioni. Mercé la quale, come
frutto maturo, che a un lieve urto cade, noi le cogliemmo. Ma,
- 106 -
sebbene anche i viventi abbiano qualche cosa per la patria ope-
rato, assai più operò il popolo, de' suoi reggitori; e assai più co-
loro, che la pubblica autorità infiammavano e incitavano, di coloro,
che n' erano moderatori. Il popolo italiano (di cui io dico nell' altro
libro i pregi) mostrò in fatti tanta temperanza, mansuetudine e
dirittura in tutte le fasi del suo risorgimento; e tanto intuito, av-
vedimento e senno ne' plebisciti , nel debellare la papal curia e
altrimenti, eh' io non so chi non lo avesse potuto guidare. E non-
dimeno i moderati di tale bontà sua appunto si pavoneggiano come
di propria sapienza; e dicono: noi abbiamo fatto questo e code-
sto, e guai se non ci eravam noi! No, ripeto: eglino da circa
im quarto di secolo moderano le cose d' Italia , siccome se ne ar-
rogano gli auspicii e gli onori; e secondo il lor sistema l'Italia
è divenuta quello, che è: ma le forze di cui si valsero, le virtù
non sono le loro. Non solamente la impresa di Sicilia e altri tali
avvenimenti furono appena appena col loro beneplacito seguiti:
ma essi il più delle volte furono da una corrente spinti ad agire,
che non era né di loro, né di lor grado. Né , per quanto la unità
dello stato e indi anche il tramutamento della sede in Roma sop-
portassero, essi (se vogliono esser sinceri) |K)trebbon negare, che
questi e cotaU altri avvenimenti trascesero le loro aspettative e
precorsero le lor brame. E ad ogni modo con quelle nature poco
vigorose, di cui fu primieramente la parte loro composta, e manco
con quelle ( io non vuo' dir quali ), tU cui poi sconciamente si ri-
gonfiò, avrebbe ella fatto niente; se gli elementi attivi ed efficaci,
siccome i più generosi |)ensieri, non glie ìì avesse l'altra parte
dati? Imperocché due sorta di persone sono qui da distinguersi:
quelli, che veramente nacquero moderati, e queUi, che vi vennero
poscia adottati, cangiando o non natura. I quali ultimi, che noD
desiderano esser moderati punto, sono per altro da reputarsi taU;
poiché, vogliano o non vogliano, accettarono da rpielli il modo di
far r Itiilia a modo. Anzi , <iualunque sia il nome che prendono ,
e comunque siano secondo i famosissimi simulacri di pugilato par-
lamentare in due confraternite divisi ( quelli eh' ebbero tre lustri di
dominio testé , e ([uelli che Y hanno ora , i vecchi e i nuovi ); cosi
gli lascio tutti quanti nella medesima compagnia. Che diivvero non
si può s[)erare niente più dagli uni, che dagli altri: né si può
sedere a scranna ora, come non si potè testé; se non essendo
moderati, confessi o convinti, genuini o bastardi, contenti o scon-
tenti, che siiino.
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LXXVII. Inopia morale de' moderati. •
Ripigliando dico, che, siccome poco di buono o molto di
cattivo la suddetta parte , da' cortigiani o almeno da' consiglie-
ri delle spente signorie, attinse; cosi ella dovette ciò, che ha
di vitale in sé, trarre dall'altra parte. Ond'ella ha certo un gran
guaio: di non avere in sé medesima né forza, né virtù, né spiri-
to , uè genio ; ma unicamente astuzia , scaltrezza , circospezione ,
pratica. Anzi, priva d'affetti e di lumi a segno, che l'unità stessa
dovette dall'altra parte piuttosto subire, che apprendere, e non
sapendo nelle materie civiU altro, fuor che ricopiare gli usi e
gl'istituti oltramontani; ella appunto si vanta ne' momenti, che
l'ebbrezza della vittoria la rende più hnguacciuta e incauta, di
poter fare a meno di quelli. Nondimeno la sua arte di stato, a
l)en ponderare, non la fu gran cosa : dappoiché la si ridusse quasi
tutta a lasciarsi forzar la mano ed a forzarla altrui; dicendo di
non poter resistere e di dovere pel ben d' Europa metter l' ordine
in questa vulcanica terra , dove i patriotti rompicolli metteano tanto
disordine. E sopra tutto dicendo a' compari diplomatici d' oltre
monti bugie ancor più grosse, che costoro e le donne pubWiche
non usino. Nel che per verità, non vi essendo bisogno d'esser
coerenli , e potendolesi mantenere anche quando contraddette (co-
me per cotidiani esempi si vede), non occorre esser molto de-
stri. Io tuttavia riconosco i servigi, che alla patria Camillo di
Cavour, Luigi Carlo Farini, Bettino Ricasoli, Alfonso Lamar-
mora, Urbano Rattazzi, Marco Minghetti e gli altri orditori del
presente assetto di cose, resero: a' quah (sia detto una volta per
sempre) io imputo errori d' intelletto , e non di cuore. Ma , dopo
lutto, che avrebbono egh fatto senza la connivenza, senza l'in-
tesa, senza il permesso, senza il consiglio e lìn senza l'impulso
del tiranno di Francia , cotanto alla presente Italia amico ? E chi
più tra loro e hii, ed anzi, ahimé, tra noi e lui, a ben ponde-
rare, fiu'ono dell'Italia presente autori? Ma, pognamo pure, che
la prudenza politica, la quale é piuttosto della nazion nostra,
che de' moderati , fosse in costoro meravigliosa , e che le fossimo
debitori di tutto quello , che é accaduto ; di quanti mali anche non
possiamo noi chieder conto agi' instauratori della tirannide del
terzo ceto tra noi ?
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LXXVill. Instauraiioiie del dominio borghese per opera de' moderatL
Posciachè il sistema prevalso fé' rinascere Y Italia col pec-
cato originale dell' ajuto straniero e delle subdole finzioni , e cre-
scere coir onta della sconfìtta e delle umiliazioni; e insieme ne
ha incestuato T anima, tradito la vocazione, e Tha condotta in
tanta abiezione, quale io sarò tosto per disvelare (parlando de'
fasti della borghesia , che lo impose ) , quasi respingerebbersi
per disdegno i suoi doni. Ben più degno era in fatti di noi e
degli avi nostri patire ancora romanamente , pur di agire romana-
mente; e, se non si solleciti, ben più stupendi e immarcescibili
se ne vedrebbon ora i frutti! Ciò non ost^mte, la indipendenza
e la unità d'Italia, ancorché fossero con discapito della sua digni-
tà, della sua libertà e fm della sua stessa nazionahtà (siccome
appresso dimostrerò ) sollecitate ; sono cotali beni , e da cotanto
sospiro di secoli e di generazioni attesi, che, dovessimo contem-
plargli dalla croce, ne dovremmo esultare. Onde ho d'uo[)o ri-
petere, almeno per quegli schiavi e giullari, che fìngono qualche
volta di esser scrii : che dolere ci possiamo dell'attuai stato, da cui
fìno il popolo, che lo creò, è stalo sbandilo. Non della indipen-
denza e della unità acquistate, sia pure in sì fatto modo; e per
le quaU si ponno anche maggiori pene soffrire di quelle, che si
soffrono. Pure, perchè quo' beni sono di supremo pregio e tali da
poter col tempo produrre tutti gli altri; non vi è ragione, che al-
tri non se ne debbano desiderare. Né (ripeto anche questo), per-
chè ci siamo d'alcuni mah deUberati, che dagli altri non ci dob-
biamo deUberare. È già lunga pezza , che la parte de* moderati ,
restringendosi vie più in consorterie e in conventicoli , schiac-
ciando gH spiriti magni, fornicando co' nemici della patria, e
anzi più contando su questi, che sugh amici; divorziandosi dalla
nazione, dalla realtà e dalla verità, e rendendo il governo (sic-
come lo chiama nel suo gergo senza pudore) organo di un par-
tito j è divenula anch' ella fazione. Ma, non lo fosse, e pure am-
mettendosi, che una dura necessità costringesse a far T Italia di
questa maniera; ora appunto, che la è falla, non doveva forse
emendarla ? Non potendo per altro nutricarsi , se non de' succhi
altrui, cui la generazione da lei allevata non è in grado di darle;
e isterilendo naturalmente e disertando ogni cosa all' intorno , co-
- 109-
me funesta gramigna, finisce in vece coli' estinguere la stessa co-
mun vita. E, poiché in sostanza non il Principe di Machiavelli
e i Ricordi politici e civili di Guicciardini, come taluno ha
detto; ma propriamente il Breviario politico di Mazzarino e i
Moniti segreti di Lojola sono i suoi testi , i suoi codici e i suoi
vangeli, non le è dato più sottrarsi alle conseguenze d'una dot-
trina perversa. Ci poterono adunque i raggiri diplomatici valere
per uscir dalla selva selvaggia, e le menzogne per ingannare i
nostri vecchi cerberi. Tuttavia, sbanco non desiderassimo uscire
dal limbo, vuoisi ben altro ora, per non perdere quel, che ab-
biamo acquistato , e eh' è venuto troppo facilmente e troppo ma-
lamente. Conciossiachè per detergere le macchie della impura for-
tuna e per meritarla pura , non basta V essere indefessi e furbi :
occorre esser forti e virtuosi. Qualunque sia del resto la futura
fortuna de' moderati , agevole è capire dalle cose testé dette , che
la presente procede dall' esser eglino una naturale emanazione
della borghesia, a cui spetta per legge storica il dominio del
momento. I dottrinari anzi non ne sono nella palestra politica , che
gli umili servidori e spesso gì' inconsapevoli strumenti ; siccome
dalla cattedra del fiacco e morente pensiero gì' interpreti e i teori-
sti. Ai quali lascia ella le parvenze del regno, e permette, che
possano cingere le lor corone di papaveri ; purché nell' armeggio
delle studiate ciancie e nel ludibrio delle vane franchigie, tra le
loro illusioni e delusioni da giocolieri , possa carpire o sequestrare
di sotto 0 di nascoso tutt' i beneficii del consorzio civile. E così
accadde, che alla fazione de' moderati e alla scuola de' dottri-
nari toccasse il fare e il disfare l'Italia; non per altro, se non
perché codesta fazione e codesta scuola furono i mezzi, di cui
quella si servì per usurpare le ragioni del popolo e per impos-
sessatasi della patria. Come poi con tali mezzi abbia raggiunto il
suo fine, si parrà tosto dal considerare, che sorta di stato poli-
tico abbia qui fondato, di reggimento e dì amministrazione; per
venire quindi alle altre malaugurate sue imprese.
LXXIX. Lustre demooratiohe della borgheda.
La borghesia italiana non essendo, come ho detto, cosa in-
digena , e gloriandosi anzi della sua esoticità , è così stretta d' in-
tima parentela o di basso vassallaggio colla straniera , da non
- HO -
avere della civiltà altre idee, se non oltramontane. Le quali es-
sendo errate , come tosto si parrà , ma insieme proprie della mo-
derna democrazia^ cui quella vanta di rappresentare (fln col-
r escludere da' suffragi quasi tutt'i propri concittadini); sono ap-
punto cagione, che i fautori di ordini liberi e popolari si asten-
gano dal combatterla, e quella impunemente imperversi. Onde io
debbo prima di tutto scoprire e smascherare questa impostura
solenne, cui ella usa e usufruisce naturalmente; ma di cui noi
soffriamo , illusi e delusi , il nocumento e la vergogna. E , benché
ne' miei giudizi abbia contrario il genio del secolo , che si muo-
re; poco mi cale, se avrò amica la verità. Adunque rammento,
che la moderna democrazia ebbe origine in Germania sul tramonto
del medio evo fra quelle sette protestanti , che finirono colà male;
ed in Inghilterra poterono alla metà del XVII secolo insorgere
con più fortuna. La rivoluzione inglese non fu in sostanza, che
uno scoppio terribile della continua rivalità tra corona e parlamen-
to; ed anzi della perpetua tenzone tra monarchia e repubblica,
che, occulta e regolata, costituisce ognora coir alterna prevalenza
delle parli regale e tribunizia T arcano della costituzione poHtica
d'Inghilterra. Venne per altro allora dalle passioni teologiche causa-
ta : dappoiché primieramente si manifestò come resistenza de' settari,
detti presbiteriani e puritani , contro la chiesa dominante epi-
scopale. Ag^Mungendovisi poscia l'opposizione de' partigiani del par-
lamento, detti teste rotonde, contro quelh della corona, detti cava-
lieri , condusse alla esiiltazionc del jwpolo ed alla instaurazione
(fun'enimiTa repubbhca. Se Oliviero Cromwell,il grande protet-
tore della medesima , avesse più a lungo vissuto e saputo domare
affatto le gelosie de' suoi e i contrasti degli avversari , l'aristocrazia e
la gerarchia anglicana non sarebbero forse più risorte. Nondimeno,
dopo un sol deceimio, Giorgio Monk, ponendo sul trono Carlo
Stuard, e dando per sempre s<*poltura allo stato democratico nella
famosa isola (Ì660Ì; non potè impedire, che que' semi germinas-
sero oltre TAtlantico, e col temix) fruttificassero. Lahberazione delle
colonie inglesi d'America dalla metropoli e la loro costituzione in
stati uniti, segnò quindi il trionfo d'un basso ceto, in gran parte
(lisi^eso da' imritani e dagli altri settari fuggiaschi (1783). Esso
fondò colà, fra' trucidati nativi, una democrazia avventuriera, senza
distinzione di nasciUi e di professione; ma anche senz'altro cose
umane. La quale , divenuta T idolo della filosofia francese nel secolo
scorso, e reduce colla rivoluzion francese in Europa (1789), co-
- Ili -
stituisce ora in buona parte di questa , e particolarmente in Italia ,
a cui la imposero i libri e le armi di Francia , il sogno e il de-
lirio delle menti.
LXXX. Democrasia barbarica.
Io dico il sogna e il delirio : perchè , tranne coloro , che ten-
gono la fronte volta al passato, tutti noi, anelanti all'avvenire, siamo
de' cosi detti principii delVottantanove imbevuti e satolli al punto ,
che non sappiamo comprendere altrimenti la libertà e la popolarità.
E nondimeno essi , per non dire , che ci hanno in effetto condotti a
questa borghese tirannide, anche virtualmente non aveano altra
altitudine, che di poter condurre ad un' affrancazione de' ceti e de-
gl'indi vidui; la quale per altro, priva di buoni ordini , conduce di-
retlamenle al caos sociale. Sorti, come si vide, in Alemagna e
nel fermento delle guerre religiose, sviluppati in Inghilterra, tras-
migrati in America e naturalizzati in Francia ; essi di necessità rap-
presentano, insieme con un confuso intuito della verità, la sedi-
zione e il fanatismo. L'ItaUa, il cui pensiero civile era già da
secoli in decHnazione, non fu più in grado di contrastarvi ; e così
ne dovette, dojX) la Francia e mediante la medesima, subire più
passivamente il dominio, protestando alcuni suoi degni figliuoli in
vano. Avvegnaché, se innegabile il fascino degli scrittori francesi
su nostri d' allora , e principalmente di Montesquieu ; giova ricor-
dare, che le riforme civili, in grazia di Tannucci e di altri sa-
pienti ministri de' principi nostrani , cominciarono qui prima , che
colà. E che Beccaria col libro Dei delitti e delle pene nel 1764
e Alfieri con quello della Tirannide nel 1777 aveano già dato
contro il dispotismo legale e politico i primi , i più audaci e i più
forti colpi. Anzi il libro del fiero astigiano , che dichiarava le mo-
derne monarchie « intere e schiette tirannidi accomodate ai tem-
pi », e doversi ogni specie di tiranni spegnere (II, 5 e 8); non
potè giacersi e rimanere scordato, se non perchè ancora, dopo
un secolo, mette negli schiavi spavento. Ma egli appunto, ama-
tore di libertà e di popolo alla classica, scese nel sepolcro ma-
ledicendo alla moderna democrazia barbarica , che spuntava. Onde
tosto appresso , estintosi affatto il pensiero civile d' Italia , non ci
restò più , che ripetere come pappagalli le frasi , e contraffare come
scimie le smorfie altrui. Il quale pensiero, che cosa sia, manife-
- 112 -
stero io lungo tutto questo e il seguente volume; colla scorta del
medesimo rigettando il presente andazzo e sufTragando le future
speranze, e chiarendolo unico pensiero verace e giusto. Intanto
abbiasi per fermo (lo che del resto i nostri moderati e dottrinari
ammettono assai volentieri), ch'esso è nel comune opinare estin-
to; benché debba risorgere. E che appunto per tal causa io intra-
presi il presente fatto d'armi, senz'essere approvato da alcuno,
e forse nemmanco compreso. Al quale proposito prego i miei let-
tori altresì di non conturbarsi, s'entro queste pagine troveranno
un grande odio delle cose recenti e forestiere , e un grande ram-
marico delle passate e locaU. Sono dopo tutto anch' io figlio del
mio tempo, ^ arde anche nel mio petto l'amore di tutto il ge-
nere umano. Ma , come italiano , io non posso non odiare una mo-
dernità, che coincide colla nostra servitù, e una peregrinità, che
con la nostra vergogna ; né non rammaricarmi della libertà e della
gloria svanite. Non per altro, che per questo, Niccolò Machia-
veUi diceva , che chi nasce in altre provincie può forse esser Ueto
dell'oggi. In vece « chi nasce in Italia ed in Grecia, e non
sia divenuto , o in Italia Oltramontano o in Grecia Turco , ha ra-
gione di biasimare i tempi suoi e laudare gli altri ; perché in quelli
vi sono assai cose che li fanno maravigliosi ; in questi non é cosa
alcuna che li ricomperi d'ogni estrema miseria, infamia e vitupe-
rio » (Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, II). Di
guisa che , difendendo il genio della mia terra , io difendo quello
della eterna e universale civiltà ; e seno tutta X umanità , onorando
la mia nazione. Che . quando pure in questa pugna , eh' io solo
accetto per cotale civiltà e pe' patri penati , cadessi come postumo
e oscuro superstite d'una generazione estinta; confesso, non n>e
ne avrei punto a dolere. Meglio, s'io fossi degno di esser rice-
vuto nel santo coro di quegl' incliti spiriti ; meglio restarmi con
chi « dopo morto , é più vivo di prima » , di quello che con « que-
sti sciaurati, che mai non fur vivi »!
LXXXI. Demooraiia egoìBtiea.
Poiché dunque l'ideale, che noi ci formiamo del buono slato , è
la Unione americana (tollerando per altro nel Continente europeo la
forma monarchica , almeno come transitoria ^ , io debbo primiera-
mente qui sfrondarne alquanto gli allori. In America si palesarono,
- 113 -
a giudizio de' così detti scrittori democratici , e particolarmente di
Gervinus (Introduzione alla storia del secolo XIX , 36) , « la
democrazia sovra mio spazio immenso, conciliabile coli' ordine e
colla prosperità; la più mobile costituzione coir affezione agli usi
sperimentati e consacrati, la più grande libertà di culto col senti-
mento reb'gioso , la mancanza di forza militare collo spirito bellico-
so , il colossale incremento di una popolazione avventizia colFamor
patrio radicato nella libertà; e l'amministrazione e il governo in
mano di ufficiali poveri , eletti fra poveri , colla stabilità politica e
la parsimonia economica ». Ebbene , non ostante questo panegi-
rico, se basta una società popolosa e industre, senza distinzione
di ceto ne' costumi e prescrizione di censo ne' suffragi , per rag-
giungere l'ideale del buono stato; quella ne offre certamente l'e-
sempio più enorme e più strepitoso. Ma , se il valore della civiltà
giudicasi altrimenti; in onta alla sua ampiezza e alacrità, ed
anco alle giovanili e mirabili sue .imprese , quella è assai lungo
dal contare nella storia del mondo, quanto la sola e piccola
città di Firenze ; e per fino dall' aver conseguito un grado
elementare di vita civile. Priva affatto d'idealità, e dello incanto
della gentilezza, dell'arte, della gloria e per sino della stessa
indicibile opulenza (a cui, per esempio, pervennero le greche co-
lonie dell'Asia minore e della bassa Italia); essa a buon conto
è molto al di sotto dello splendore della classica democrazia. Non-
dimeno prescindasi da ciò, che pure è causa, onde le nazioni
adempiano una morale vocazione nell'umanità, e non passino ste-
rili e dimcntic^ite sulla terra. Havvi colà un campo franco , in cui
gl'individui convengono da ogni dove a lavorare e a trafficare,
ed a professarvi le lor solitarie credenze , ed anco a rompere le
catene d'una decrepita società incancrenita : ma in cui si rimangono
sempre individui. Stringono conseguentemente un patto di reci-
proco rispetto tra loro, o al più una lega difensiva : ma la città,
nel senso vero e proprio di questa voce, non l'hanno ancora fondata.
Né forse del tutto ancora la umana religione ; siccome i nuovi
coloni, che vi approdano e sarebbonvi lasciati morir come cani,
se non si salvassero da sé medesimi , potrebbono attestare. 11 che
certamente basta alle fredde tendenze di tale associazione: seb-
bene in avvenire l' anarchia , eh' è il perno della medesima , e
in uno lo spirilo della moderna democrazia barbarica, o della pretta
demagogia generale, non possa non travolgeria in quella mina,
di cui già veggonsi gl'indizi. Qualche cosa in fatti d'analogo
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alle antiche repubbliche stava ivi per succedere nella Virginia e
negli altri stati meridionali: i cui abitatori poterono, commettendo
il lavoro a una nuova specie d'iloti neri, attender meglio alla
cosa pubblica; e aggiungere una certa floridezza di coltura, di
cortesia e anche di lusso, diverse troppo da quelle degli stati
settentrionali. Provenne anzi da tale diversità, e dalla gelosia e
dairantagoni^o derivatone, tra gli uni e gli altri, assai più, che
dalla contesa della schiavitù , la gran guerra intestina o sociale dal
18C1 al 1865 spietatamente ivi combattuta. E vi volle codesta
gran guerra, perchè la razza anglosassone, famosa per integrità
e onestà , ma a cui sono sentimenti detestabili la carità e la mi-
sericordia; si decidesse ad abolire colà la schiavitù parecchio
tempo dopo, che era stata nel nostro emisfero abolita dalle
altre cosi dette razze cristiane. Non fu questo per tanto, che un
prodromo di ciò, che potrà seguire, s'ella non si rimette nel
sentiero della civiltà propria e vera; la quale significa prima di
tutto corrispondenza ed espansione d' affetti e d' uffici umani. Per-
chè, se quella sua crudel giustizia, ministrata a modo primitivo
e tumultuario , e quasi privato e selvatico , e quelle pugnaci forme
di eleggere i magistrati e gli stessi c^pi della repubblica , mani-
fesUìno uno slato appena rudimentale di società; il broglio, la ba-
ratteria e la concussione, che ne deturpano già le funzioni, ne
manifestano anche il tarlo senile. Nella elezione del presidente , lo
scorso anno avvenuta , si scoperse evidente , quanto essa covi nel
seno, ognor vivo, lo intestino dissidio. Basterà, che ne' sopravve-
nienti travagh siavi bisogno di grosso milizie e di prolungati comaih
di, ove abbia modo di formarsi e di acquistar laude e prestigio un
capitano astuto e avventurato, che non abbia di Giorgio Wasliington
le sante e classiche virtù , per dovere onorarlo vittorioso e subirlo
potente. Alle quali tutte cose dovriano por mente coloro, che di
si fresca repubblica decantano la felicità, senza curarsi degl'inti-
mi suoi mali, senza attendere le ultime sue prove; e senza pur sa-
pere, dove r andrebbe a finire, se appunto non cangiasse quel si-
stema, per cui è decantata felice.
LXXXII. Demoorasia ftilsa.
La borghesia continentale del resto, mentre si sene della
transatlantica democrazia come di un logoro per impaniare i goo-
— 115 —
zi, a cui lascia balenare da lunge il trionfo delle loro nfial dissi-
mulate speranze; non accetta naturalmente della medesima, che
quanto le giova. Vuo' dire il basso e falso concetto della società
civile, cui le schiatte germaniche, declinando la romana civiltà,
giunsero a far prevalere. L' idea , che dello stato si facevano i
nostri maggiori, era: che non emergesse da un accozzamento for-
tuito e violento d' elementi eterogenei e discordi ; ma fosse un
ente organico e immortale, nel quale solamente l'uomo si com-
piesse. Onde avranno eglino forse chiesto troppo al cittadino per
la sua patria (che è dire per quella parte d'umanità, che più gli
è vicina e congiunta); e avranno forse anche fatto di essa un
nume troppo esclusivo e terribile. Ma fatto sta , che di tal guisa
prescrivevano annegazioni e azioni , e suscitavano passioni e sacri-
ficii , cui solo il gelido e vile egoismo può abominare. La natu-
ra , etema regina delle cose , che chiama l' uomo alla conversa-
zione e all' amore , dice essa con le sue infallibili leggi , chi abbia
tra i romani e i barbari ragione. Nondimeno questi, sopraffacendo
due volte quelli , prima dal quinto all' undecime secolo e poscia dal
decimosesto in poi, imposero quel basso e falso concetto, a cui ora
i nostri romanastri rendono cotanto omaggio, e cui cotanto celebra-
no. « Ne' tempi di mezzo (nota il testé citato storico tedesco e neUa
medesima opera) lo spirito di corporazione era appunto quello, che
sorreggeva il principio della libertà aristocratica. Ma quello spirito
ne' tempi moderni si è trasformato nella tendenza all' individualismo,
il quale ha sparso il seme della libertà democratica.... Questo
grande insegnamento impartirono i popoh germanici ai tempi mo-
derni, di fronte al mondo latino d' allora ^e al mondo slavo d'og-
gi ». E , a proposito dell' America , naturalmente si compiace , che
« l'individualismo, segnale caratteristico de' tempi moderni e del-
FumanitA protestante, ha quivi conseguito i maggiori suoi diritti »
(19 e 36). Non cito adunque un' autorità sospetta per documenta-
re, che il concetto, come a dire monastico, dello stato attuale
è proprio una degna gloria de' posteri d' Arminio e de' proseliti
di Lutero. Or, ch'esso conduca a rovina e che alla fine, disvi-
luppato nelle sue ultime conseguenze , sovverta a dirittura il con-
sorzio umano; pare, che anche uno scrittore di Francia, borghe-
se, moderato e dottrinario, se ne accorgesse. Il nodo in fatti de-
gli errori della democrazia socialistica , avvertiva Guizot (ed an-
che, soggiungo io, della presente civiltà o inciviltà teutocristiana),
sta in ciò : die , quando ella mentova gli uomini , non intende già il
- 116 -
genere umano, ma gli umani individui. Di maniera che, soppri-
mendo le tradizioni e le istituzioni, che rappresentano la unità e
la continuità, e la storia e la nobiltà loro; sopprimendo niente
meno, che X umanità ^ « ella non vede negli uomini, che esseri
isolati ed effimerì. I quali non compariscono nella vita e su que-
sta terra, teatro della vita, se non per prendervi il proprio cibo
e il proprio diletto; e ciascuno per proprio conto, coir identico
titolo e senz'altro fine. Tale precisamente la sorte de' bruti: fra
cui non vi è punto legame, né azione, che sopravviva ai sin^oU
e si estenda a tutti ; né appropriazione permanente , né trasmis-
sione, né unione, né progresso nella durata della specie. Onde
non si hanno, che individui, che vengono e passano, prendendo
in passare la lor porzione de' frutti della terra e de' piaceri della
vita , secondo il loro bisogno e la loro forza , che sono i loro di-
ritti )) (Democrazia in Francia ^ IV).
LXXXm. Oontraltkiione della soeietà ciTile«
La borghesia, è vero, non si cura di sapere, che cosa possa
l'indomani accadere: ma questo pensare politico diventò tosto il
simbolo supremo della sua fede; poiché suffraga e cresima oggi
la sua tirannide nel modo più gradevole e proficuo, che immagi-
nar si possa. Che di meglio, quando una qualsmsi combriccola
vuole usurpare le ragioni del popolo, porre in detestazione il culto
della patria e la carità del prossimo, esaltando l' egoismo al grado
di un principio? E che é tale teorica del singolarismo e parti-
colarismo germanico contra il collettivismo e universalismo
romano, se non appunto l'egoismo reso un sistema; prima ne'
rapporti del cittadino colla patria , e poscia in quelli dell' uomo col
prossimo? Pure a servi, che non desiderano agire e patire pe' com-
pagni di sventura, e che intendono per libertà la facoltà di ub-
briacarsi e d' istupidirsi liberamente , non |)ar vero udire simili
accenti. È di fatti un grave errore il credere, che le lil>ertà pri-
vate crescano insieme con la pubWica libertà: mentre questa per
contrario, assai più della pubblica servitù, vuole il freno di quelle.
Di che sono esempio tutte le antiche repubbliche: dove non sota-
mente i traffici, le arti e le mercedi non erano guari liberi; ma
le legixi moiioravano fin le spese e i costumi de' cittadini. Anzi i
più grandi largitori di queste private libertà, die or tanto si va-
- 117 -
gheggiano, furono e sono i tiranni più famosi; acquali giova trop-
po, che ognuno faccia quel, che vuole, senza curarsi del coraun
nesso e del reciproco bene. E cosi può oggi ognuno tesoreggiare
all' impazzata , anche se da* suoi lucri potesse per ventura la salute
altrui soffrirne, o la pace perturbarsi, o lo stato precipitare al
fallimento o in peggior jattura. Io non intendo certamente appro-
vare le leggi suntuarie e censorie de' vecchi, né il giogo, che tal
volta ponevano alla personale autonomia: sebbene per verità que'
savi e guerrieri fossero nelle cose oneste ben più liberi di quello,
che si sia ora. Nondimeno, come in una famiglia non è più li-
bero lo sposo di essere infedele, il padre di esser prodigo, il
figlio di essere ingrato, e via via; cosi nella città non può esser
sciolto il cittadino dal debito civile , adducendo , eh' egli ha da
pensare a' casi propri. Se lo individualismo e il particolarismo non
fossero da un contrario spirito rattenuti, si tornerebbe non sola-
mente alla vita selvatica , ma alla ferina. Però anche cosi rattenuti ,
come lo sono tuttavia, dai ruderi di Roma, lasciano da un lato i
più forti 0 i più astuti soperchiare , e dall' altro i più deboli o i
più semplici alla sprovveduta. Il che spiega, come questi ora nel
delirio del dolore e nella cecità dell' ignoranza , passando da uno
ad altro estremo, invochino come rimedio V assoluta e despotica
comunione. E intanto, se non accade, che un sol uomo si serva
e s'impossessi di tutti gli altri, come di meri strumenti, la causa
non sarebbe più, secondo quel sistema, per difetto di ragioni; ma
unicamente per difetto di mezzi.
LXXXIV. Concetto negatÌTO dello stato moderno.
Contro tale argomentazione non possono i partigiani del me-
desimo addurre, se non: eh' ei serbano tuttavia allo staio la tutela
di tult' i singoli ; mercè la quale niuno potrebbe impunemente op-
primere altrui. Se non che di tal guisa, in primo luogo ei ridu-
cono lo stato stesso a un ufficio meramente tutelare. E in tal
caso al concetto egoistico aggiungonvi un concetto negativo; per
cui cagione esso non dee far altro, che difendere. Siccome in
vece r umano consorzio ha altresì e principalmente per fine d' in-
dirizzare gli uomini, e di far cospirare tutte le lor forze, al
compimento di un disegno, cui non ponno isolatamente compiere;
cosi eglino da tale alt«ì vocazione brutalmente preteriscono. In
— 118 -
secondo luogo, nemmanco alla tutela giuridica, in cui fanno egli-
no unicamente consistere TuOlcio dello stato, approdano. Dap-
poiché, non riconoscendo, che i diritti de' pailicolari, quelli del-
l' universale ingiustamente misconoscono. E con ciò è facile capi-
re, divenendo i diritti stessi ingiurie, quando non si coordinino,
temperino e osservino vicendevolmente, come la sorda prepoten-
za degli uni sugli altri, non il mutuo rispetto fra tutti, s'in-
stauri. E, quanto a' diritti de' medesimi particolari, die non hau^
no modo di esplicargli col fatto, si rimangono virtù morte, quan-
do, dispensati i terzi da' doveri di trarnegli in vita , ogni coriiia-
lità dal civile convivio è bandita. Al qual proposito cito ora un' au-
torità , che dovrebbe avere alcun valore anche pe' nostri amatori
di ordini progressivi infranciosati; Giuseppe Mazzini, nello scritto
I sistemi e la democrazia. « Per oltre a sessanta anni, la dot-
trina (che reputa l'individuo mezzo e line ad un tenipo) ebbe io
Francia fìlosolì, moralisti, apostoU, soldati, vittorie; 1789, 1830,
1848. La Ubertù fu conquistata; la dottrina dei diritti individuali
s'incarnò in ogni cittadino; ma con profitto di quanti? Perchè le
condizioni dell' oi)eraio non mutarono ? Perchè le rivoluzioni non
giovarono che alle classi medie, ai cittadini proprietari di capitali
0 di terre? Le classi medie pugnarono pei diritti; e logicamente
fedeU al principio in nome del quale insorgevano, conquistati una
volta i loro diritti, posarono; che importava ad esse d'estendeili
ad altri ? Le moltitudini rimasero escluse dai frutti della eon(]uista.
Che sono i diritti per quei che non hanno potenza d'esercitarti?
Cos' è la libertà d' insegnamento per chi non ha tempo da consa-
crare allo studio? Cosa la libertà del commercio per chi manca
di capitaU e di credito »?...
LXXXV. Concetto ultroneo dello stato moderno.
Evidentemente il sistema dell' individualismo e particolarismo
germanico (innanzi al quale sin la voce repubblica jìerde ogni
senso); (luesto sistt^ma, anche corretto dal concetto tutekire, ma
giuridico e negativo della it^pubblica stessa, ad altro non valse,
se non a stahiHre il dominio legittimato e inconti'stato de* grassi
poiK)laiii. I ({uali però in Francia, e quindi di seconda mano in
ll;dia, traendolo dall' ide;i, clu; se n erano gli appsloli della J?«ct-
clopedia e i ca|X)rioni della Convenzione formata; vi aggiunsero
- 119 -
di proprio altri elementi, che il resero vie più basso e falso. A
lor modo cioè di vedere , la società costituita non ha una base ne-
cessaria e prefissa , ma sorge dal comune arbitrio e volere. Il che ,
vero quanto alla forma, non lo è parimenti quanto alla sostanza.
Avvegnaché , quale Ila V ultimo destino dell' umanità , non è qui
luogo di esporre: ma intanto ella è dalla natura stessa chiamata
agli stabihmenti sociali in guisa , che senza questi né potrebb' ella
a quell'ultimo destino giugnere; né nel presente campare, che
come un branco di fiere. E i diritti medesimi si manifestano e
disviluppano si nelle diverse condizioni di fatto : ma hanno le loro
leggi anteriori e immutabiU, cui la intelligenza e la elezione no-
stra afferrano e affermano, senza per altro creamele. Indubbia-
mente fu bene, dopo aver detto i monarchi, esser legge il loro
beneplacito, che i popoli rispondessero, esser legge per opposito
il patto loro. Ponendosi per altro a fondamento della società, e
quindi della giustizia, un atto qualunque di volontà o degU uni
0 degU altri, la tirannide sta salda. Né, per essere di molti o di
tutti, anzi che di singoli o di pochi, cessa di esser tale. E che
questa non sia più di singoli é certo: ma è altrettanto certo, che
ne'dominu borghesi (e particolarmente in Italia) non la é né di
tutti, né di molti; ma di assai pochi, come tosto vedremo. Oltre
di che facile é vedere anche in Italia, come gli usi vetusti e i
diritti aciiuisiti non abbiano più /Valore alcuno innanzi alla onni-
potenza del così detto suffragio universale; tosto che vogliansi
conculc-iire da coloro, che se ne arrogano il monopolio. E in
ciò borghesi e pseudodemocratici o demagoghi vanno d'accordo:
sebbene i secondi apertamente dicano, che la rivoluzione (per
usare una lor voce cara) da codesti impacci delle consuetudini
e delle regole si deve liberare; e i primi agiscano di confor-
mità tacendo. Per tutti loro quindi la presente Italia non sorse
da un precetto eterno della natura , che prescrisse agi' italiani
di formare una nazione, e di esser liberi, lo volessero o non
lo volessero: ma unicamente da' plebisciti. Questi per contrario
potemmo dare aUa medesima una data forma, e, fin che i voti
de cittadini non cangino , valida. Nondimeno la patria e la liber-
tà, che è tUre la sostanza, stanno al di sopra di quella forma,
ed anche di tutt' i nostri possibili capricci. Se non che , venendo
queste sante cose appunto dalla natura , e la natura de' po-
poli manifestandosi principalmente nella storia; così é accaduto
che il concetto volontario o spontaneo dello stalo , principal-
— 120 —
niente si traducesse in un concetto antistorico, come tosto sono
per dire.
LXXXVI. Concetto estemporaneo dello stato moderno.
È noto a tutti, come la francese democrazia, che prima die
opera allo sfacimento della storia nelle più intime fibre e latebre
sociali, cangiasse per sino il calendario, le misure, le denomina-
zioni geografiche e ( se avesse |K)tuto ) il cielo e la terra , pur di
rifondere , com' ella dicea , la società in nuovo stampo. Ne' quali
atti è in parte scusabile: dappoiché, suscitata dal furore della di-
sperazione, non le paresse vero cancellare in tutt' i modi un pas-
sato, che le era giustamente odioso. Però, essendo tosto oppressala
dalla borghesia, non le rimase di ciò, che il danno e Tonta;
avendo questa potuto servirsene, per conseguire commodamente e
plausibilmente il suo scopo. Colà, e dovunque poi questa distese
le sue tende da zingara, non fece quindi, che disfare il tessuto
storico de' popoU soggiogati ^ togliendo loro (U tal guisa la coscien-
za, e fino la reminiscenza. È suprema necessità in fatti per tutt'i
tiranni, che non vogliano o non debbano servare onUni civili punto,
mutare quanto più possono istituti, magistrati, uomini, nomi. Se
non che la moderna tirannide non solamente avverò questa acuta
osservazione di Niccolò MachiavelU; si che l'Italia, fatta a nuovo,
non la si riconosce più. Di più giunse a persuadere a' suoi schia>i
0 a' suoi buffoni, che ciò è bene; si ch'io debbo per sino qui
contro i medesimi difendere la storia. Io ne faccio appunto un
grande uso in questo e nel seguente volume; poiché non reputo
possibile discorrere praticamente di cose civili fuori di tale arena,
in che le si svolgono. La quale é pel pubblicista ciò , che la cli-
nica pel medico e il mondo fisico per lo sperimentatore. Ma , ben-
ché ciò non salvi me dall' e^;sere riputato a questi lumi di luna
un visionario o un antìqmirio, secondo i casi; sì persuadano bene
i popoli , e il popolo italiano innanzi a tutti , che fuori della storia
non possono ridursi ad altro, che ad animalesche torme. L* uma-
nità é sorta non quel giorno, in che i bì^^edi animaU mquieti spun-
tarono sulla terra |)er la prima volta: bensì <iuello, in che raccol-
sero e tramandarono le prime invenzioni v le prime memorie. Qual-
che po' di storia hanno anche i selvaggi : ma costoro da tale stato
non escono, perché le imperfette loro associazioni non consentono
- 121 -
il serbare e l' accrescere si prezioso deposito. E però tali sono
adesso, quali pareccliie raigliaja d'anni addietro erano: e, s'ei
non avessero nemmanco quel po' di storia , che è dire di cogni-
zioni e di tradizioni delle generazioni precorse, sarieno anche in
peggiore stato; cioè bruti a dirittura. Distruggere quindi la sto-
ria , se pienamente lo si potesse , equivarrebbe pe' popoli a dover
ricominciare da capo il loro incessante e faticoso viaggio, e a non
poternelo proseguire più oltre, che una sola generazione. Or, se noi
vogliamo andare avanti , abbiamo mestieri della preparazione e della
sperienza degli antenati. Mentre che certo, prescindendo da queste ,
non i)Ossiamo, che retrocedere, rinnovellando gli errori e gli orrori
de' prischi mortaU. È ben vero , che la storia non si può affatto
affatto distruggere, perchè altrimenti perderiano gli uomini sino
il linguaggio , eh' è dire lo strumento della loro intelligenza. Pur
tuttavia il folle tentativo da un secolo in qua è cominciato: e in-
tanto per causa del medesimo è già accaduto, che la società fran-
cese sia da ansie, smanie e tedii inesprimibili affannata, e la nostra
per la medesima via corra.
LXXXVII. Indole oosmopolitioa dello stato borghese.
I novatori del secolo scorso del resto, annientando i lasciti e
le Inflizioni del tempo, acciocché i popoli si acconciassero come
materia vergine a una novella impronta; si proponevano almeno
di trasformargli co' principii e colle teorie. Come se gli organismi
sodali non fossero il parto di una lunga gestazione storica , eglino
cosi gli procreavano mentalmente, o per dir meglio fantasticamen-
te. Donde quelle loro costituzioni politiche a priori, di cui le di-
verse costituzioni galliche, e anche l'angloamericana tuttor vigente,
sono i tij)i. Avrebbegli la plagiaria democrazia itaUana imitati:
ma la nazione non essendo apparentemente stata restituita a sé stes-
sa, che da poco più di tre lustri, la borghesia in questo mezzo
divenuta reggitrice della medesima , naturalmente non gli volle imi-
tare. S' ella avesse voluto dare uno statuto pensato alla società ita-
liana, non lo avrebbe \}er avventura dato diverso da quello di una
società mercantile. E probabilmente di una società anonima, se-
condo gli articoli I'29, 130 e 131 del nostro Codice di commercio;
non potendo andare al di là le sue inclinazioni e le sue nozioni civili.
Pure, nemica acerrima de' principii e delle teorie (come in seguito
- 122 -
si farà manifesto) potè ugualmente disfare la storia nazionale, so-
stituendovi la storia straniera. Questo spiega , come i nostri cosi
detti uomini di stato non abbiano sulle labbra , che esempi e testi
francesi, inglesi, tedeschi; e magari anche tartareschi, cinesi e
giapponesi, pur che non sieno nostrani. E sopra tutto perchè aves-
sero eglino itì tanta detestazione la decaduta , ma pur classica civiltà
indigena, e con ogni mezzo si adoperassero a straniare Tltalia.
Vedi'emo in breve, che sorta di costituzione le abbiano data: qui
basti notare, che per sino i codici, nella sede del diritto, e per
sino gli ordini municipali , nella sede de' comuni , trassero da
fuora. Volevano annientare la essenza e la integrità morale della
nazione; e la spuntarono talmente, che questa, tranne il nome,
di proprio non serba più niente. Cosi la sostanza antistorica dello
stato borghese è divenuta cosmopolitica o nomade, o con quale
altro più adatto predicato piaccia qualificarla. E le menti ne sono
sì invescate, che io, per sostenere la italianità del mio paese,
passo a dii'ittura per uomo discortese ; come se , pel rispetto agli
altri popoli , dovessi lasciare gallicizzare, anglificare e intedescare
la patria mia, senza un grido di protesta. I popoh debbonsi reci-
procamente rispettare, ed anzi (soggiungo io) assistere : ma ognu-
no |)er altro serbando la propria personalità, eh' è quella appunto,
che gli consente di cooperare ai lini delF universo, e insieme di
esser popolo. Togliete da me, verbigrazia, queste mie idee e
queste mie passioni, e sien pure questi miei pregiudizi e questi
miei vizi: che resto io? Sarei rifatto molto stupendamente, e
potrei essere di molto migliore: ma, dicovi il vero, io preferisco
di restare qual sono ; né m' importerebbe im jota del paradiso
de' panteisti , se dovessi colà perdere la mia identità personale.
Cosi è delle nazioni, e cosi sopra tutto dell'Italia; la quale am-
modernata, alienata e falsificata) com'è, fosse in un paradiso,
che le importa, se non la è più dessa? Codeste cose le dico a
voi, buoni lettori, che l'amavate bella o brutta, che la si fosse;
e che, amandola, la trovavate ad ogni costo bella, come tutti
gl'innamorati. Ma veggo bene, che, quanto ai borghesi, le son
proprio fole da raccontar sotto il camino codeste. Poiché, il
cosmopolitismo sendo Y ideale del loro sistema, non sono per
loro i paesi, se non fiere, dove possano convenire tuU'i giro-
vaghi del mondo a barattare, o ghetti, a ricettare le spoglie
furtive. Ed anzi in Egitto convengono da ogni parte giudei, tur-
chi , greci , armeni e franchi ; al cui cospetto farebbero fin ridere
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i tralignati arabi o i miseri copti, se sognassero di avere una
patria egizia.
LXXXVIII. Indole meroantile dello stato borghese.
Benché i nostri cosmopoliti non abbiano potuto ancor dare
alla società italiana quel tale statuto, di cui poc'anzi parlava,
cosi si comportarono come se glie lo avessero dato. Guardate , se
vi piace, le disposizioni del predetto codice; e vedrete, se io
abbia ragione. La società anonima risulta da una « riunione di
capitali », i vantaggi e i danni si ripartiscono secondo le « azioni »,
i soci non soggiacciono ad altre « perdite », che a quelle della
propria quota; né gli amministratori stessi « contraggono a causa
deir amministrazione loro veruna obbHgazione personale »: ecco
tutto. La patria non ci entra, che come oggetto della ditta so-
ciale: la quale prende, per esempio, il nome di regno d'Italia,
come potrebbe prender quello di compagnia delle assicurazioni
0 delle miniere del tal paese. E la direzione di essa si guida
co' medesimi criteri delle altre simili ; e massime a modo anoni-
mo, empirico ed effìmero, come appresso vedremo. Imperocché,
tra le altre condizioni delle predette imprese, é di campar sempre
alla giornata, facendo fruttare le azioni quanto é possibile, ed
anche quanto è impossibile. Tanto più, che non si arrischia oltre
le medesime niente, e che a tempo opportuno uno « sciogli-
mento » e una « liquidazione » si ponno sempre, anche seguendo
il predetto codice , a buoni patti e regolarmente fare. Ned é me-
raviglia, che i borghesi cosi pensino ed operino, pur rimanendo
onesti: giacché qualunque ceto, che occupi la repubblica, secon-
do il suo diverso genio naturalmente estrinseca i propri istinti.
E, come le antiche caste de' guerrieri costituivano la società
civile in forma mihtare, e teocratica quelle de' sacerdoti ( di che
le loro leggi fanno anche oggi testimonianza): questa odierna
de' bottegai lo costituì in forma mercantile. Con che io sono
entrato a dire , eh' eglino , oltre avere accolto que' tah concetti
di stato, che dianzi vedemmo, ve ne aggiunsero uno speciale,
eh' è il vero intento loro : il concetto meramente economico. Già
la teorica de' diritti, assunta a fondamento del medesimo, condu-
ceva a dirittura a non vedervi altro, che un' utilità da raggiun-
gere: individuale pe' tedeschi , alquanto collettiva pe' francesi. Ma
— 124 -
il concetto utilitario dello stato, eh' era nella democrazia francese
enfatico, vago e vaporoso, fu bene dalla borghesia ridotto in for-
mule precise o almeno in conti chiari. Per essa dunque la società
civile, mei^fre si rimane in quell'angusto campo individuale e
tutelare , che vedemmo , non ha da curarsi , se non degV inte-
ressi materiali. Perchè i diritti sono di varie specie , e Y utilità
stessa in vari modi si ricerca: ma per un mercadante, come
tale, rutilila naturalmente risolvesi in un guadagno. Né conce-
pisce egU altri diritti, se non quelli, che emergono dall'acqui-
sizione e traslazione della proprietà, e da' rapporti di debito e
di credito. I diritti quindi delle persone, ed anche i diritti na-
turali, innati e inalienabili gh sembrano frottole in paragone di
quelH, che procedono da' contratti di compravendita e di mutuo.
E la stessa onestà per lui si riassume nella puntualità de' paga-
menti, il libro mastro è lo scandaglio della sua coscienza, il
giornale la cronaca della sua famigha, il bilancio il compendio
della sua vita: mentre i hslini di borsa sono i suoi vangeli, e
gli economisti, quando abbia tempo da perdere dietro a loro, i
suoi profeti. Le quali cose io dico, senza punto menomargli il
rispetto, che gli è^lebito: perdi' egli è costretto a contemplare
cosi il mondo, per la medesima ragione, che l'operajo lo ritiene
una grande officina; ne vi vede, che telaj e ruote, nò altre que-
stioni, che di orari e di salari.
LXXXIX. Indole eoonomioa dello stato borghese.
Qui appresso per qualche centinajo di pagine verrà appunto
dimostrato e provato, che la borghesia italiana (giacché della
straniera lascio il dire ) non si raffigurò il consorzio poUtico
altrimenti, che come un'azienda economica: e, ciò eh' è peg-
gio, lo ha di fatto reso tale. Ora, non si trattando, che di giu-
dicare il suo malefico influsso suH' idea stessa elementare ed
astratta di quello; basti notare, che per tale concetto monco e
triviale, ne lo ha senz'altro pervertito e decapitato. Gli uomini
vivono a modo regolato e pacifico in grazia di quattro supremi
stabilimenti, che sono la proprietà, la famiglia, lo stato e la
religione, da si fatto nesso stretti fra loro, che se uno mancasse,
verrebber meno tutti. Io ho in un grosso volume ( la Questione
sociale) chiarito ciò; e spero di esseme scusato, se mi dispenso
~ 125 -
a chiarirlo di nuovo. Mi limito solo a ripetere per coloro, che
reputano superstizioso uno de' detti stabilimenti , che potrebbono
essere superstiziosi anche gli altri, cosi come stanno: ma, dac-
ché e finché dura Y umano errore, distruggerne un solo, é distrug-
gere Fumana compagnia. La borghesia dunque, per favorire il
primo di essi , non gli ha ancora del tutto distrutti ; ma affievoliti
e logorati quanto più potè. E, se si considera quanti pochi go-
dano i guiderdoni o i privilegi del medesimo, e da quali forze
sieno gli altri, che ne soffrono, trattenuti, e fin coloro, che si
muojono di fame o si uccidono per non offenderlo; tosto si sco-
pre, quanf ella sia temeraria. Nondimeno la famiglia é scossa,
come ognuno s'accorge; lo stato è ridotto a quella miseria,
che testé notai, e per cui il nome stesso di patria è una profa-
nazione ; e della religione non lice più nemmanco parlare. Il con-
culcamento o, se non altro, la preterizione di questi tre supremi
ordini sociali, che nelle odierne leggi e più negli odierni costu-
mi é evidente, ha naturalmente al più nobile e men necessario
rotto ogni freno. Come in passato il prevalere e il trasmodare o
della famiglia o dello stato o della religione, secondo le diverse
eia , teneva la società , che ha bisogno di tutt' i quattro ordini
mutuamente sorretti e corretti , inferma ; cosi ora la tiene il pre-
valere e il trasmodare della proprietà. La quale é certamente
sacra e inviolabile al pari degli altri: ma, non raffrenata da
questi, corre alla dirotta, e perde la società e sé medesima.
Come sognino taluni, che vi possa essere soggetto di buona re-
pubblica in questa sorta di 'società, io noi giungo a compren-
dere. Dimenticano costoro Y avviso di Niccolò Machiavelli , che
« dove è equalità non si può fare principato, e dove la non è,
non si può far repubblica » (Discorsi sopra la prima Deca
di Tito Livio y I, 55). Oppure non s'avveggono, che gli am-
massi di tesori immani in poche tasche hanno talmente infranto
i termini della parità civile, che in questa società economica
abbiamo grandi feneratori più possenti de' monarchi, e altret-
tanto infesti de' grandi patriarchi, conquistatori e gerarchi nelle
antiche societi\ domestiche, eroiche e jeratiche. Ma, prescin-
dendo da ciò (che naturalmente della buona repubblica a pochi
cale), gli stessi diritti personali non hanno più valore alcuno,
e la stessa compagnia umana corre pericolo. La libertà, illimi-
tata ed esclusiva, lasciata all'istituto economico, o cioè alla pro-
duzione e alla distribuzione delle ricchezze, spezza ogn' intoppo,
- 126 -
che r attraversi; fosse anche la gioventù, la gracihtà, il pudore,
il sangue o l'anima di qualcheduno. E, quanto alla società uma-
na, tendendo a sovvertirla per la causa anzi detta, che questa
emerge dallo accordo e dal temperamento reciproco di più liber-
tà , r ha già ridotta una società schiavesca o buflbnesca : della
quale appunto non si avveggono coloro, che la meritano.
REGGIMENTO BORGHESE
XG. Sinrranità usurpata dalla borghesia in Italia.
Lo strano e orrido stato , eh' io ho testé descritto, si capisce
facilmente di chi dovesse esser preda. Senza bisogno d'altro e,
se cosi lice esprimermi, per le semplici e potenziali sue qualità,
cadeva nel pieno e despotico dominio del ceto ora superiore. Il
quale, non potendo altrimenti staggirne i frutti, doveva esso
medesimo dirigerlo, almen come si dirige un'impresa lucrosa.
E a tale uopo primieramente « occupare la repubblica », come
diceano gli antichi: ossia usurpare la sovranità al popolo, e
tener questo, quale un proprio possesso. La specie di reggimento
conseguentemente instaurato, potrebbesi in brevi parole riassu-
mere: una plutocrazia sostanziale, larvata da una logomachia
formale; o, se volete, il regno delle monete in effetto, e la zuffa
delle ciancie in apparenza. Ma, poiché cosi in breve non sarei com-
preso; e, quando si asseverano cose tanto gravi e inverosimih,
si ha il debito di renderlene palesi ed evidenti; ecco, che mi ac-
cingo a questo. Avendo dunque nelle età trascorse i combattenti
fondato sul brando i loro diritti , e i sacerdoti sul lituo ( ovve-
ramente sugli oracoli, sugli augurii e su cotali altre aeree bagat-
telle, che allora si pregiavano, quanto le bagattelle auree ora);
non é meraviglia, che nella età presente i cambiatori fondassero
i loro sulla cambiale. Vi sono per verità antichi esempi di stati
soggetti a mercatanti, quali le repubbliche fenicie e cartaginese,
le città anseatiche, e per alcun tempo gli stessi nostri comuni.
Tuttavia, come di sopra ho raccontato, non punto identici al-
l' odierna signoria delle plebi arricchite. Le quali non attingono, che
da' lor banchi l' autorità di governare gli stati , e come banchi a
dirittura gh governano. E ad ogni modo per criterio di capacità
civica , e come causa di speciaU prerogative , pongono proprio
- 128 -
quell' oro , mercè cui riuscirono a farsi valere. Or , siccome le
condiziooi de' popoli non risultano dalle sole determinazioni di
diritto, e queste non dal solo diritto scritto; per isvolgere ap-
pieno codesto tema io dovrei di tante condizioni di fatto e con-
suetudini parlare, e cosi diffìcili a cogliersi o a defìnirsi, che
ora sprecherei forse inutilmente il tempo in tale tentativo. Ri-
serbandomi di farle apparire in seguito una ad una: per ven-
tura, a constatare la signoria del predetto ceto su noi, basti
per ora considerare le sole determinazioni di diritto scritto. Ed
anzi solamente il diritto de' suffragi; come quello, che, sendo
il più spiccato ed dementar modo, in che si manifesta la signo-
ria politica, addita nel modo più lampante e incontrastabile, a
cui spetti quella dello stato italiano. Conciossìachò , se questo non
si fosse tolto al popolo, naturalmente tutt' i cittadini maggiori di
età e non interdetti, o almeno quelli del sesso violento, dovreb-
bero alla sovranità relativa partecipare; e quindi anco a' suffragi,
siccome in America e nella stessa Francia e Germania accade.
E quivi appunto si ossepi, come le determinazioni giuridiche non
bastino a (linotare le condizioni reali di un popolo : che la Fran-
cia e la Germania sono assai lungo anch' esse dall' appartenere
realmente a sé medesime. Ma in Italia la cosa è più chiara e
recisa: giacché quivi nemmeno per Icjrixe il popolo gode la sovra-
nità, come tosto sono per dire; e questa venne legalmente da un
ristretto numero di privilegiati sequestrata.
Xa. PriTUegio de* pabblioi snfBragL
Per la ragione poc' anzi detta , che gli abbienti affermano la
lor conquista sui prodi e sugli scaltri cogli stessi loro averi, la
facoltà de' voti pohtici ne' reggimenti borghesi si desume dal censo.
Tennero cotale sistema le l>orghesie ben diverge e assai meno
inflessibiU di Atene e di Roma, in grazia alle riforme di Solone
e di Ser>'io; e questo naturalmente anche le moderne. Ma senza
punti riguanli l'italiana, che, sempre arrogandosi il nome di
popolo, quando la vuol comandare e riscuoten\ ha senz'altro am-
monito e diminuito di capo i cittadini tutti. I quali, se partecipano
a' voti, non è già come tali , o per avere il medesimo sangue o per
esser nati sul me<lesimo suolo; ma unicamente per c^^rti requisiti
estrinseci, e particolarmente di fortuna. Si noti, che anche i giudizi
~ 129 -
(altro modo, in che la sovranità del popolo presso gli antichi
manifestavasi )y spettano pure in gran parte, come innanzi espor-
rò, ad essa. Si noti poi , eh' essa ha anche buona parte in uno
de' due maggiori corpi politici dello slato, per Y articolo 33 dello
Statuto del regno de' 4 marzo 1848. H quale, tra le categorie
de'vocati alla senatura, pone ultimi al numero 21; ma primi in
realtà coloro, che pagano un tributo diretto di tremila lire. Pre-
scindendo da ciò , e quantunque tale statuto ( base co' plebisciti
del diritto pubblico italiano vigente ) neir articolo 24 dichiari, che
i €< regnicoli . . . tutti godono egualmente i diritti civili e politici »,
né faccia menzione di censo pei diritti di elettorato e di eleggi-
bilità; essa ha ben trovato modo di porvelo. La Legge elettorale
de' 17 decerabre 1860 pone appunto all' articolo 7 come regola,
benché per verità con parecchie eccezioni, tra' requisiti per avere
il voto, il tributo diretto di lire quaranta. E cosi è avvenuto, che
in uno stato d' oltre ventisette milioni d' abitanti, gli elettori
iscritti nel 5 novembre 1876 fossero 605,044 e i votanti 356,437
solamente. La quale differenza tra iscritti e votanti attesta in
qual pregio i favoriti stessi tengano le loro franchigie; e qual
conto un buon terzo de' medesimi faccia o della patria o della
forma politica, che la regge. Ciò non ostante si vede bene,
dato pur che 1' azione dello stato si manifesti per tutti codesti
favoriti, come la sovranità indubbiamente venne al popolo tolta.
Ritiensi, è vero, che, se tutti coloro, che possiedono i requisiti
della testé citata legge, fossero regolarmente nel lustro, ossia
( per farmi meglio da questi barbari comprendere ) nelle liste
elettorali descritti, salirebbero a circa un milione. Però anche
in tal caso la medesima cosa si vedrebbe: sendo questo numero
di troppo inferiore a quello de' sette milioni e mezzo di maschi
maggiorenni , cui l' Italia conta ; ed anche a quello de' quasi tre
milioni , che sanno fra loro leggere e scrivere. Si può quasi dire,
che non ebbe mai, come ora l'Italia detta democratica, un nu-
mero cotanto ristretto d' uomini aventi stato , e sopra tutto la
prerogativa de' suffragi. Nel censo di Claudio in fatti si nove-
rarono 1,797,009 uomini da poter armi, e 7,044,000 cittadini;
poiché allora avevamo a' galli data la civiltà, e questa erasi già
molto oltre monte e oltre mare distesa: ma anche nel censo
anteriore d'Augusto si noverarono 4,170,000 cittadini romani.
Sottraendpvisi quindi gì' incoli delle colonie esteriori , le quali
pure protendevansi della terra sacra appendici e della città eterna
9
- 130 -
immagini ; vi erano allora per lo manco tre milioni d' italiani j
e nella soia Italia , partecipi de' suffragi. Vedete adunque , che bel
progresso abbiamo fatto noi dopo que' romani prepotenti, ingiusti,
falsi , ladri eccetera , come si sogliono ora chiamare ! De' tempi
de' liberi comuni non parlo : ma è a dubitar forte , se anche sul
0nire del secolo scorso, in cui quel po' di prerogative civiche,
che restava , si restrinse e salvò in poche mani , il numero de* pri-
vilegiati fosse al presente inferiore. E, se nella stessa città di Ve-
nezia aveavi circa un migliajo di patrizi , ammessi non solamente
air elezione , ma in maggior consiglio, e cioè senz' altro alla con-
sovranità; e quel reggimento chiamavasi aristocrazia, ed anzi
oligarchia, oh come dunque chiameremo noi questo?
ICU. Statiftioa elettorale italiana.
Per conoscere quanti cittadini attivi possa ora T Italia dare , è
mestieri prima di tutto por mente alla popolazione di essa. E per
ventura questa ricerca è molto facile ; poiché i fattori della borghe-
sia nostra lasciano si , come vedremo , le buone lettere senz' ajuto
e le buone azioni senza premio. Ma in modo riconoscono Y alta
importanza delle tabelle e delle cifre, che, fuor di metafora, si
può erigere un colosso di Rodi co' relativi volumi in foglio, eh' e-
gli hanno per tre lustri ammuccliìato , acquistandosi una celebrità
mondiale. Dalle predette cifre e tabelle non può sapersi, è vero,
se e quali palpiti fervano in petto a' cittadini ; e potrebbe scop-
piare il terremoto, senza che il sismografo dell'osservatorio stati-
stico della capitale ne avesse dato avviso. Pur è una meravigha
sapere precisamente nella mezza notte, che divide il morente dal
nascente anno, quanti cavalli vi sono in ItaUa, quanti muU, quanti
asini , quante pecore , e per lino saperne il sesso e l' età. Ór , pe-
netrando entro a quell' immane acervo di carta, cui si noma ^/o-
tistica del regno d' Italia , si giugne, sudando, a concluder
questo, cui forse unicamente bastava stampare. Che cioè nello
stato vi erano l'anno 1874 abitanti 26,801, 154, di cui masclii
13,472,213 e femmine 13,328,892. Che i maschi cDnjugaU
erano 4,755,756, i vedovi 551,491, i celibi 8, 164, 966, gl'i-
struiti 4,440,377 e gniletteraU 9, 031, 8,%. E che le femmine
coniugate erane 4,781,938, le vedove 1,221,383, le nubili
7,325,571, le islniite 2,806,936 e le iUetterate 10,521,956.
- 131 -
Siccome della gentile metà del genere umano non sì pub ora par-
lare, resta solo ad aggiungere, che i maschi minori di 21 anno
erano 6,091,193, e quelli minori di 25 erano 6,995,741. On-
de , se tutti gr italiani maschi e maggiorenni avessero voto , do-
vrebbervi essere 7,381,020 elettori; e se queUi solamente, che
compierono il quinto lustro, 6,476,472. Gli elettori in vece, che
vi sono adesso co' suffragi ristretti , non formano di queste due
ultime somme, che una tredicesima o un'undecima parte: e la
enorme eliminazione di tutte le altre procedette principalmente dal
mancato censo. Preterendo dal quale affatto , è giusto , che si deb-
bano, oltre i non adulti, escludere tutti coloro, che per difetto
di mente , per pena o per altra simile cagione si constatarono giu-
dizialmente inetti 0 indegni di esercitare i politici non meno , che
i privati diritti. Se non che , non importando ciò , che una lievissima
esclusione , quale criterio doveasi seguire per estendere il voto a'
rimanenti ? Per me non ve n' era, che un solo : la capacità mo-
rale, che si dee presumere in chiunque non sia fanciullo, pazzo,
infame o altrimenti inabile o interdetto, e per la semplice qualità
di persona. Adesso nondimeno propugnasi per unico requisito eletto-
rale il saper leggere e scrivere, mercè cui si avrebbe quasi se-
stuplicato il presente ordine di elettori. Pur, se si parte dal prin-
cipio, che vi occorra un'idoneità speciale riconosciuta; basta per
affermarla o negarla un si lieve grado d' istruzione ? S' intende
facilmente, che il minorenne dalle leggi civili tenuto incapace, e
dalle penali punto o meno imputabile; non abbia di regola cosi
maturo senno o cosi matura sperienza da comprendere il pubblico
bene , come da attendere a' negozi della vita. Non è però altrettanto
facile capire , che ognuno di questi tre milioni di leggitori e scri-
vilori valga più di Carlo magno , che non sapeva né leggere , né
scrivere. Tanto più, che codesta istruzione dà gli strumenti per
isvolgere la propria intelligenza e la propria virtù ; ma non ag-
giugne una cognizione alla mente, un sentimento al cuore. Onde in
luogo di questi tre milioni d'uomini così per modo di dire culti, io
preferirei avesse l' Italia solamente trecentomila rozzi agricoltori , che
avessero il polso e l'animo degl'illetterati compagni di Cincinnato
e di Dentato. Av>^egnaché quel, che preme, è di conoscere, tra
tanta calca di schiavi , qual sia degno di esser uomo libero : e
a tal fine vuoisi andare in traccia non de' possessi e delle robe,
né degli alfabeti e de' cartolari; ma d'intelletto e d'amore.
- 132 -
XCin. Segndiiiaid diioa lillitto il p^poto itiUaM.
Voi dunque , signori , siete disposti , come dite , « a diminuire
il censo elettorate », e ad ammettere per sino, senza censo, i leg-
gicchianti e gli scrivacchianti. E a coloro, che per la patria sof-
fersero, e nella patria credettero, quando certuni tra voi forse
non credevano , non avete nemmanco pensato. Lasciate cosi privi
del diritto di servir la patria nel foro molti di quelli per sino, che
portarono testé in carcere le catene per essa , e ne portano ancora
le cicatrici. Ogni anno togliete 65,000 giovani alle famiglie del
popolo: avete 204,255 soldati di primo bando e sotto le armi,
ed oltre un mezzo milione di veterani, che sono stati militi vo-
stri buoni e fedeli, mansueti e valorosi, cui voi stessi educaste
e disciplinaste, e che senza speranza di premio e di gloria erano
pronti a morire, nelle selve contro i masnadieri, nelle inondazio-
ni, negr incendi e ne' contagi, ovimque gli mandavate; perchè non
poteano morir per la patria mai. E voi nemmanco a questi avete
creduto , nemmanco a questi : e non dico di più , perchè mi si
^zzerebbe il petto.... Reputavano per contrario gU antichi, la
sovranità del popolo conculcata, ognora eh' esso stesso direttamente
non ratificasse le leggi , creasse i magistrati , e altresì deliberasse
della pace e della guerra e ricevesse le appellagioni ; come ajH
punto faceva il popolo romano , ne' cui comizi aveano i sufTragi
tale estensione. E per lo meno , rìducendo anche la sovranità sua
a' minimi termini, niun popolo appartiene più a sé medesimo,
quando non solamente non si regge più da sé; ma né può costi-
tuire coloro, che avranno a reggerlo. Onde, siccome primo requisito
deUa cittadinanza é il possedere le prerogative politiche o almeno
le elezioni; é palese, che gl'italiani privi delle medesime, cioè
quasi tutti , non si ponno dir cittadini , se non per ischemo. Il
reggimento attuale loro è quindi aristocratico ed anzi oligar-
chico : con questa sola differenza , che altre volte lo era per causa
de' privilegi della consacrazione o del sangue ; ora per causa di
quelli dell'oro. E per verità, non essendo questo miglior titolo
di quelli, la oppressione degli uni sugli altri cangiò nome, ma
non natura ; come che si possa con un specioso sofisma adone-
stare. Il quale è : eh' esso popolo , quantunque virtualmente chia-
mato alla sovranità, non essendo in grado di esercitarla efietii-
— 133 -
vomente, debbasi come pupillo considerare; e i più saggi e i
più probi assumerne, per suo stesso bene, la tutela. Vedremo
appresso come lo abbiano codesti suoi tutori trattato : ma cer-
to, s'ei non si ritiene abile a costituire i suoi reggitori, a mag-
gior ragione non lo si poteva ritenere abile a costituire lo stato ,
0 il denominato regno d'Italia. Votarono i plebisciti 3 j 038, i6S
italiani contro soli 29,828: e, se vi avesse partecipato la Lom-
bardia, sariano i votanti stati oltre quattro milioni. Questi per lo
meno avrìano dunque dovuto essere elettori ed eleggibili ; e que-
sti un giorno potriano, di essere stati resi stranieri nella stessa
lor patria e fin nel regno da loro costituito, e di essere stati
ingannati e traditi e quindi dal patto disobbligati, protestare.
Frattanto il solo dubbio gittato sulla loro capacità politica ora,
si riversa su quella d' allora ; e invaliderebbe senz' altro i ple-
bisciti. Per ventura questo dubbio , che il ceto signoreggiante ac-
campa, senza pur badare alle conseguenze della sua enorme te-
merità, non ha base alcuna di ragione. Imperocché le uniche
qualità, per cui potria scusarsi di tenere in minoratico la nazione
non potriano esser altre; tranne quelle virtù e cognizioni, cui
esso crede di possedere, e di cui questa a suo credere difette-
rebbe. Ebbene , su quali fondamenti ha dunque esso tanta stima di
sé e tanta disistima dell' universale ?
XCIV. Pretesti per la civica degradaiione.
Certamente chi vive negli agi od almeno fuori degli stenti
può megUo erudirsi, e con meno fatica e merito essere onesto.
Si può quindi (vegga la borghesia, quant'io le concedo) per
queste sole cagioni accogliere in astratto una certa presunzione
odiosa a favore de' ceti agiati e a disfavore de' disagiati. Non
pertanto, mentre in concreto potrebbe taluno dubitare, ch'ella fosse
tutta un' arca di scienza e di virtù ; via , una presunzione assoluta
d' ignoranza e d' improbità della nazione non la può decretare. Io
conosco molti famosi dotti e letterati, che sono di due piccìole
doti privi, che il popolo ha, e in confronto delle quali tutta la
lor dottrina e letteratura mi sembrano un « fiato di vento »: il
cuore e il buon senso. Con queste si fecero i plebisciti; e con
queste operarono gì' italiani gloriosissime cose ne' tempi andati , e
ne' fiiturì opereranno. Elia si vanta in vece di quelle spedali atti-
- 134 -
tudini, onde Aristotile vagheggiò il governo in mano degli uo-
mini mezzani. Ora, autorità per autorità: Platone nella sua Be-
ptMlica, fra' due ceti liberi, concesse lo stato unicamente ai savi
e ai guerrieri ; e ne lo tolse ai possessori , agli agricoltori , agli
arteflci e ai mercatanti , cui egli chiamava mercenari. Era vera-
mente un ghiribizzo , come si suol dire , platonico : pur tanto e tanto
le attitudini air economia valevoli , potrebbon non esserlo alle ci-
vili discipline. E ad ogni modo, se si vuol contraddire quel fi-
losofo, bisogna concludere: che per ciò solo, che si appartiene
a un ceto, non si ha diritto a pretendere quella intelligenza, cui
in ogni ceto e per più intrinseche ragioni si può trovare. Quanto
alla morigeratezza, o ella intende pai*lare de' buoni costumi in
generale ; ed io lascio a lei medesima giudicare , chi più buoni
gli abbia, s'ella o i popolani. £ che mai sarebbe, per esempio,
della intiera nazione , se i contadi , destinati a risanguare le città
esaurentisi , si avessero i medesimi vizi di queste. 0 ella intende
solamente, com' è più consono alla sua natura, parlare de' buoni
costumi , che si traducono nel rispetto a' contanti ; vegga , ci pps-
son essere varie opinioni. Io non mi nascondo, che i poveri non
sieno dalla nemica fortuna più istigati ; ma non mi nascondo al-
tresì , che coloro , poveri o ricchi , che hanno peculiarmente edu-
cato e abitualmente applicato il bernoccolo della cupidigia, non
sieno più inclinati a peccare. Ella teme , affidando Y erario a' po-
veri (pognamo pure, che lo si dovesse puramente affidare a co-
storo) , 0 il diritto di stabilire le pubbliche entrate e spese ; che
senz'altro s'intascherebbero quello, e queste stabilirebbero in
guisa da dispogUare i ricchi. Io in vece , se avessi un grande te-
soro e dovessi per un lungo viaggio partire , tra due persone pa-
rimenti oneste, preferirei lasciarlo in custodia alla {mù povera^
perchè la onestà di questa fu più cimentata e provala. E scomel-
to, che la mi restituirebbe il deposito, anche s' io n'avessi perduto
il documento, e sopra tutto senza bisogno di liti e di avvocati.
Dico cosi, poiché ho per ragioni di professione dovuto spingere
qualche passo ne' tortuosi sentieri di questo labirinto deir anima
umana. Ad ogni modo , fede per fede : ella dubita de' poveri, e i
poveri potrebbon d' alcun altro dubitare ; tanto più che la stima
è là a dar loro ragione. Avvegnaché le pubbliche casse corrcao
assai maggior pericolo , quando le sieno da cauti e bravi cassieri
tenute, che quando abbandonate alle turbe in piazza, e per fino
alle turlte tumultuanti e deliranti. Ella le pubbliche casse le ha
- 135 -
custodite bene; perchè de' peculati di questo o di quello io cer-
tamente non do , e non devo dar colpa a lei. Quanto alle pub-
bliche entrate e spese , che il popolo si abusasse del diritto di
stabilirle , per dispogliare i ricchi , non vi è esempio. S' ella poi
di tal diritto si abusasse , per dispogliarne i poveri e il popolo
tutto 9 lo vedremo appresso.
XGV. Flntocrasia esBensiale alle dominasioiii borghesi.
Io mi sono dianzi alquanto intrattenuto; poiché, non vi es-
sendo potenza alcuna, a cui sia disposto arrendermi, tranne la
verità; se gli avversari avessero avuto alcuna ragione, tosto le
avrei prestato omaggio. Ben si vede però , quella , eh' egli addu-
cono esser falsa: e, senza dire, che, sussistendo, avrebbero, in
questi tanti anni di lungo promettere e di attender corto, dovuto
e potuto in tutt' i modi adoprarsi per dare al popolo quella ca-
pacità civile, di cui lo giudicano • indegno ; senza dire ora di
questo, ben si vede, il motivo reale essere stato la oppressione
e non la tutela. Per lo meno e' doveano, privando i proletari dal
voto, esonerargli, come i romani, altresì da' tributi e dalla mi-
lizia. Imperocché con quale equità imporre questi civici dove-
ri, senza concederne i beneficii relativi? Ma, immaginatevi, que'
romani erano prepotenti, ingiusti, falsi, ladri eccetera: e vi é
pena di scomunica ora il nominargli. Anche in Firenze del resto
vedemmo , non appena i grassi popolani , grazie all' ajuto de' ma-
gri, vinsero la vecchia nobiltà, contro i compagni rivolger le ar-
mi. Ed in Francia valsero si le denoocratiche lustre alla borghe-
sia per liberarsi da' gentiluomini e da' preti col sudore e col san-
gue della plebe : ma , raggiunto lo intento , che le calse di que-
sta? Siéyes, benché abate e teorico, ebbe una grande effica-
cia a que' tempi; e fu, si può dire, quegli, che cogli scritti e
colle consulte legittimò la possanza di quella. Ebbene , propostosi
di definirla , sapete come la definì ? — « D terzo ceto é la na-
zione »; precisamente come prima Ludovico XIV avea detto: « lo
stato son io ». Cosi fece ella qui : e in un modo tanto più ingiu-
stificabile ed esoso, che qui non ci erano rancori, né follie di
ceti ; né vendette da compiere , né prepotenze da domare , né pre-
minenze da vantare. Tutti eravamo sotto l'anteriore servitù ade-
guati nel comune vitupero: i nobili per averla corteggiataci preti
- 136-
beoedetta, i ricchi fruita, i poveri sopportata. A un tratto molti
valorosi , usciti da tutti questi ceti , senza distinzione fra loro , e-
spiano le colpe di tante generazioni e vendicano a libertà la na-
zione. Alcuno era per lino prete (e le ombre di Ugo Bassi e di En-
rico Tazzoli evoco, che dall'alto del patibolo protestano contro li
reo sinedrio). Gli altri tutti non badarono , sacrificandosi alla pa-
tria , se fossero gentiluomini , proprietari o proletari. Nelle mede-
sime prigioni cinsero le catene il polso delicato e il robusto , pen-
zolarono dalle medesime forche i corpi de' patrizi e de' plebei ; e
sul medesimo campo diedero in olocausto la vita, e stringendosi
firatemamente la mano , padroni e servi. Questi i veri autori della
nostra redenzione : e , poiché questi ci aveano da quella servitù e
da quel vitupero redenti, tutti noi, per gitts di postUminio tor-
navamo al pristino stato , o al pien possesso de' nostri diritti di li-
bertà e di città. Ed anzi, ricongiungendosi a noi dopo tanti secoli
di doloroso schianto Roma , tutti cittadmi romani. In vece , ecco
sopraggiungere una piccola falange, e dire : questi erano poeti va-
neggianti e paladini erranti, che finirono cosi malamente, come
sapete. Noi soli vi abbiamo ricomprati ; e che pretendete dunque
ora da noi vile canaglia ?
XGVl. Forma mifta di reggiatiito preferita dalla bergkeda.
Tale la sostanza del reggimento borghese : ma , venendo ora
alla forma, cui ho defìnita un contrasto di parole; debbo primie-
ramente spiegare, come abbia avuto luogo. La critica, ch'io mi
accingo a fare de' nostri politici istituti, s' intende, non debba
punto diminuire praticamente 1' osservanza a loro debita. Peroo-
che , sebbene io giudichi , che vadano perdendo la patria , e di
palesarlo abbia come scrittore diritto e dovere; noi tutti dobbia-
mo, come cittadini, obbedire le leggi della patria noedesima. Le
quali , fossero anche ingiuste , sono l' unica forma regolare , in cui
hi giustizia sociale si manifesta; né lice, se non in altra forma
parimenti regolare, come usavano que' romani, emendarle. Ho an-
che bisogno di soggiungere , se non mi fossi chiarito bene di so-
pra , che io reputo tutt' i tentativi violenti o fraudolenti per rove-
sciare od anche solo per modificare la costituzione dello stato,
criminosi : siccome sforzi o inganni d' impercettibiU drappelli per
contrapporsi alla volontà universale. E che in particolare e di giunta
- 137-
io reputo nelle presenti condizioni, e nelle imminenti perturbazioni,
la regalità un palladio per tutti. Onde (e questo mi sembra par-
lar chiaro) la repubblica vera ora, con questa gente, non la vor-
rei , nemmanco se me la regalassero. Noto adunque , che esterior-
mente sembra la costituzione d' Italia una monarchia temperata
da' cosi detti ordini rappresentativi; benché interiormente sia
ben diversa cosa. E che questa specie di governo , detta ora per
antonomasia costituzionale j universalmente si vede, esser quella,
cui la borghesia adotta come propria. Tal che , come ho avvertito ,
dove questa viene adottata, è segno, che quella prospera o comin-
cia a prosperare. — Dunque , poiché adesso anche la sublime Porta
raccolse o disse d'accoglierla, sarebbero Imo i turchi borghe-
si? — Essi no, poveri disgraziati: si bene la borghesia europea
( già quasi di loro impadronitasi , e che per ciò gli sostiene co-
me la corda %X impiccati) impose a loro questa specie di governo ,
egualmente che agU altri popoli non turchi. Vi deve adunque es-
sere una ragione , per cui quella ha tanta predilezione per que-
sta : la quale merita di essere qui rintracciata. Sommi maestri del-
l' arte politica , da Aristotile e Cicerone sino a Machiavelli , Guic-
ciardini e Giannotti, assai prima di questi anglomani ritennero
ottima forma di i*epubbUca , quella composta di re , ottimati e po-
polarità. La qual cosa naturalmente costoro vantano, senza pur
curarsi del motivo, per cui gU antichi la forma mista consigUa-
vano; ch'era lo impedimento al degenerare e al conseguente fi-
nire delle tre forme semphci, da Cicerone nella Repubblica es-
pUcitaroente addotto. E senza nemmanco riflettere , eh' egUno per
forma mista intendevano il feUce conserto del consolato, del se-
nato e del tribunato ; e tutt' altro in somma , che le loro ibride
accozzaglie. Aristotile del resto poneva la degenerazione de' go-
verni di qualsiasi specie nello usufruire gU stati a fini particolari
di persone, di collegi o di moltitudini; perché cosi si tramutano
in tirannidi despotiche , oUgarchiche o demagogiche , e cosi ca-
dono. Ora, i sodalizi, che usufruiscono gU stati moderni a fini
particolari , si guardano bene dal citarlo a questo luogo : e qui
sta appunto il segreto , per cui la predetta forma preferiscono.
Perché da gran pezzo in buona parte d' Europa il monarcato , inteso
come potere autonomo , era soggiaciuto alla fortuna delle cadu-
che cose terrene; non si però, che se ne fosse reso, come in
Roma , il nome odioso. E per tale evento avrebbero dovuto i po-
poli ricoverare i loro diritti , riducendolo alla popolare capitananza
- 138-
antica. Avendogli in vece carpiti que* sodalizi, e oocorreBdo un
inganno, ctie velasse il loro impero e consentisse di avvantag-
giarsene, e in pari tempo gli assicurasse da' carichi e da' peri-
gli; eressero certi simulacri di principato, di ottimati e di po-
polarità, dietro a' quali regnano e lucrano incolumi.
XCVII. Ordini dinastioo rappresentatiTL
Negli albori dcir attuale risorgimento d'Italia, due opinioni,
come ho detto , dividevano gli animi , sulla forma politica da dar-
le, regia o repubblicana. La borghesia naturalmente preferiva la
prima: e a questa accedettero tosto in massima parte anche
coloro, che avrebbono diversa forma preferito; acconciandosi a
un titolo, che poteva esser simbolo di concordia e di forza. U
popolo cogV intimi plausi, che valgono assai più de' brevi gettati
nelle iu*ne ; ma ad ogni modo ancor con questi sanci cotal forma.
Diviene essa dunque, finché tali suffragi la sorreggano, sacra: e non
cade punto qui disputa sulla medesima; benché su' modi, con cui
venne applicata. Se non che i fautori a oltranza o i per\'ertitori della
medesima, che poi la ebbero in mano; doveano, se non per con-
formarsi al decreto de;' popolari comizi, almeno per mostrarsi sud-
diti ligi e ministri fedeh,cosl costituirla e custodirla , che la po-
tesse esser vitale e durevole. L' impresa era per verità ardua :
perché (io Y ho già nel 1859 e nel i8G5 detto, ne' miei Scritti
minori e politici) la forma repubblicana è cosi insita all'Italia,
che ne é (piasi V unica forma naturale. Chi legge i nostri classi-
ci (per esempio ) vede, che in ogni tempo e in ogni circostanza
adoperano la voce di slato e di governo civile , quale contrappo-
sto a stato e governo principesco; e troppe volte quelhi di ti-
ranno per si^milìciir principe. A non tener conto di ciò (che del
resto troppo tradisce il pensiero riposto della nazione) , la storia di
questa ammaestra, il principato essere qui stato cosa servile; e,
tranne un lembo della i)enisola, il cui italicismo ridestossi più
tardi e più bene, violenta. Onde chi avesse voluto dare all'Italia
un assetto veramente pacifico, veramente conservativo, non le
avrebbe potuto dare altro, se non quello, che ora da certuni si
reputa ostile e rovinoso , e eh' ella stessa del resto non vuole e non
merita — i^erò, se ardua, quella impresa non era affatto impossi-
bile ; (piando coloro , che per debito di sincerità e di lealtà la do-
- 139 -
veano compiere , avessero voluto al genio del luogo e alla neces-
sità storica chinare il capo. Avrebbero eglino allora riconosciuto ,
che presso i popoli nordici , per la cui fiera libertà vanno in sol-
luchero y il diritto feudale , patrimoniale o dinastico de' principi
su' popoli si ammise : qui tra noi nemmanco di nome mai. À-
vrebbero ricordato, che sotto lo stesso impero romano lo stato
chiamavasi legalmente repubblica. Avrebbero saputo, che fino
quegli esecrandi e indiati mostri , che la oppressero , non sogna-
vano d' imperare per un proprio diritto. Bensì per V acclamazione
de' soldati e pel consenso de' padri, e pe' diversi magistrati, di che
erano investiti; e sopra tutto per la tribunicia podestà, che gli
rendeva sacri e inviolabili. E avrebbero in fine compreso , che un
principe in senso italiano non poteva essere, se non duce delle
cittadine milizie, preside de' pubblici consigli e supremo dignitario
della nazione. Pensando in vece, che, convertitolo in un re spar-
tano 0 in un doge veneto , avrebbe perduto , se non la maestà ,
la essenza del principato ; a che lo hanno eglino ridotto ?
XCVIII. Beg^o di specie germanica.
Prima di tutto ei concepirono il re desiato d' Italia c#me un re
alla barbara, importando qui nel secolo XIX ciò, che in niun secolo
potè attecchire. Una monarchia cioè d' indole teutonica ; o del ge-
nere di quelle, che oltre monti si stabilirono nelle antiche pro^
vincie nostre , tosto dopo la caduta dell'impero. Il qual pensiero,
che certo non ebbe Dante propugnando la sua Monarchia^ né
Machiavelli sospirando il suo Principe, è cosi alieno dal pen-
siero civile nostro , e cosi strano ed assurdo ; che chi avesse vo-
luto qui fondare uno stabilimento politico, che non avesse radici
nel suolo, né potesse essere da alcuno riverito, e anzi neppure
inteso, questo precisamente avrebbe fondato. Or, s'io mi valessi
dell' autorità di que' romani antichi , e di Dante e di Machiavelli ,
e di cotali non tralignati romani posteriori; veggo, che farei ri-
dere questi romanastri d' oggi. Citerò loro piuttosto l' autorità d' un
tale , cui venerano come maestro ; di uno de' precursori dell' Italia
monarchica e moderata, di Cesare Balbo. Il quale, ottimo uomo e
integerrimo servidore della casa di Savoja, della idea d'un regno
italico, come poi venne attuato, scriveva nel 1843 cosi. « Io
non so per vero dire qual possa dirsi sogno politico, se non di-
— 140 -
casi questo : d' un ordioamento , che non ha nella storia patria se
non un esempio di quattordici anni , e che non sarebbe se non una
restaurazione di un regno barbaro di mille quattrocento anni fa »
(Speranze d Italia, II ). Or chi avrebbe detto, che proprio a tal
sogno noi si dovesse ora assistere, come ad una realtà; e che
neir alma Roma dovesse il fatidico veltro entrare proprio in quella
guisa , che vi entrò « mille quattrocento anni fa d Y erulo Odoa-
cre ? E , se colà non si trova un' amorosa corda , che risponda , e
che avrebbe tosto a certi suoni risposto ; e se di settentrional ug- '
già sembra tutta Italia presa , qual maraviglia ? Avevate da un
lato un principe, nel cui petto T amore del popolo ardeva, del
vivere cittadinesco pago, la cui fede era incrollabile , e che a voi
intieramente si commetteva. Dall' altro un popolo al medesimo ri-
conoscente, che lo avrebbe con vive simpatie assecondato, e eoo
una discrezione e una temperanza; alle quali non può rinunciare,
come vedete , nemmanco nelle sofferenze e nelle delusioni , in che
r avete immerso. Ebbene, io non dico, che gU abbiate Tnno e
r altro traditi, perchè non suppongo in voi malvagità alcuna: ma,
che non avete involontariamente fatto per separargU e per ini-
micargli ? Voi avevate , è vero , sin dal quarantotto data alla mo-
narcliia in Piemonte quella tal forma, cui preferite : sicché questa
si presentò a tutta Italia da principio quale unica forma possibi-
le. Però voi potevate grado a grado , riappellandovì a* comizi ,
in quella regione e nelle rimanenti correggerla in guisa, che la
si rendesse meglio air universale accetta e acconcia. Né vi sa-
rebbe mancato il consenso del principe, se non aveste avuto 1* in-
tendimento di far trionfare ad ogni costo il sistema vostro. Sprez-
zaste adunque il precetto di Machiavelli , che nelle cose straor-
dinarie , e sovra tutto nel formare e riformar gli stati , i modi ordi-
nari non bastano. Sprezzaste V esempio di Roma , che un' infinità
di volte si commise a' dittatori ; né (sendo venuti in autorità Sii-
la , Cesare e i seguenti tiranni non dalle dittature , ma da' pro-
lungati contandi mihtari), nò sene ebbe unqua a pentire. E vo-
leste co' consigli adunati e colle tribune romoreggianti compie-
re, o per dir meglio preterire, l'eccelsa opera della ricostitu-
zione d' Italia , attesa dai secoli. Tralascio di notare , che in so-
stanza questi consigli e queste tribune non furono per molto leai-
po , se non l' eco di una voce imperiosa. Onde in sostanza una
dittatura , quantunque larvata e dissimulata , ci fu ; e guai se doq
la ci fosse stata I Ma perché ciò , se non appunto per incorporare la
— 141 -
Dazione a una sua parte , piuttosto che congiungere in un comune
corpo le divise membra di essa; e se non per imporre a tutte e
per forza il predetto vostro sistema?
XGIX. GoetìtmioBe di tipo britaimico.
Ora io non dirò , qual danno venisse air Italia dair essere
co' fiacchi e coartati propositi d'un parlamento ricostituita, e
dall' aver dovuto subire all' impensata e all' impazzata ordini e
leggi d' una sola regione. I quali non erano sempre i migliori , e
ad ogni modo aveano tutti queir angustia e improprietà, eh' è facile
troppo congetturare. Fermandomi al sistema, cui le si volle con
tai mezzi imporre , e eh' è appunto il cosi detto sistema parhh-
mentare; i sostenitori del medesimo credono di aver detto tutto
a sua giustificazione e lode , quando l' esempio dell' Inghilterra
adducono. E pare gran cosa a loro, dimenticando fin le costituzioni
longeve di Sparta e Venezia, che quella inglese, benché a tante
trasformazioni soggiacesse e accenni già a declinare, risalga a
re Giovanni Senzaterra. Per verità io credo, che l'Inghilterra
con qualsivogUa ordine e legge sarebbe ugualmente potente e
grande; e avrebbe modo di manifestare la sua eccentricità ugual-
mente. Nondimeno la sua forma politica le giova prima di tutto,
perchè è sua projyria e dalle sue tradizioni e costumanze sorta,
sorretta e corretta: e poi perchè è vera, o cioè non fittizia, ba-
starda e falsa, come altrove. In quell'isola appunto, come in
parecchi altri stati dell'evo medio e antico, compresavi Roma
sotto i re, la costituzione speciale del reggimento ha fonda-
mento sulle orìgini storiche della stessa sovranità politica. Pe-
rocché ivi , non avendo potuto il principato schiacciare la nobiltà
(come in Francia) o la nobiltà decapitare il principato (come in
Polonia ), né impedire il successivo affrancamento del popolo (come
in Ungheria); è avvenuto, che lo stato divenisse e restasse in
certo modo condiviso fra tre sovrani: re, pari e comuni. E che
quindi il governo fosse e sia, quasi per una sottintesa tregua
continua, un misto di monarchia, aristocrazia e democrazia. Onde
colà la cosi detta corona e le cosi dette camere non sono meri
organi costituzionali (per valermi di queste espressioni ostro-
gote ); si veramente poteri consovrani , e quasi rappresentanze di
tre diversi stati in sul medesimo territorio consociati. Parvi dunque,
- 142 -
che ciò intervenga anche negli altri luoghi, dove di monarchia,
aristocrazia e democrazia, né unite, né divise, non si pub a ri-
gor di termini neppur parlare? Fatto é, che la forma po&tict
d' Inghilterra, quanto la forma giudiziaria (di cui appresso dirò),
é sotto r aspetto della società e della civiltà una fo^ma rudimen-
tale. E una forma sopra tutto, che svela e consacra queir intesti-
no dissidio degli elementi sociali, proprio delle razze germaniche,
e in cui ripongono esse la loro libertà. Queste V aveano in ogni
dove accolta: tal che fìno in Italia, per loro diretto o indiretto
influsso, le provincie più travagliate, la patria del Friuli e il rea-
me di Sicilia si ebbero, insieme colla feudalità, i nordici parla-
menti. Potè adunque T Inghilterra, pel prevalere de' baroni ed
indi pel riscattarsi de' borghi , abbassando il principato, disvìlop-
pare que' malli o campi di maggio barbarici , che caddero altrove
in dissuetudine, e cosi porre in salvo le sue libertà. Ma, por
proclamandosi ottimo il suo reggimento, e pessimi tutti queDi,
che resero altre volte questa Italia potente e grande; come po-
teva essere qui adatto in sì diverse condizioni di società e di
civiltà, e fìn d'intendere e di sentire? Quanto fosse alla Francia
adatto, la monarchia orleanese, eh' é il tipo della monarchia pre-
sente d'Italia e d'ogni monarchia borghese, e l'idolo de' nostri
dottrinari , informi. Se qui ugual sorte l' aspettasse, non cale alU
ristretta classe della nazione, che se ne avvantaggia e schermi-
sce, punto. Perché in primo luogo ella cosi é giunta ad attuare
lo stato antistorico, che ho detto essere nelle sue idee: dandogli
una costituzione, che può essere storica in Inghilterra, non qui
certamente; e che del resto non è della inglese, se non una contraf-
fazione e una parodia. In secondo luogo, e questo è il suo recon-
dito fine , ad attuare per alcun tempo un reggimento, di cui altri
abbia le pompe e i perìcoli, ella i guadagni e i salvacondotti.
C. Umile MmdiiloBe del menaroato sette la berglMiUL
Io dissi dianzi, che i dottori del sistema costituzionale e
gì' inconsci strumenti della mondial lega cambiaria, avrebbono
temuto, costituendo Y autorità regia a modo classico, di degra-
darla. Vediamo adunque ora prìmieramente, che cosa ne abbiano
di essa fatto; per poi vedere quello, che degli ottimati e della
popolarità, su cui (a detta loro) la monarchia costilusùmale si
- 143 -
basa. Anche in un sistema sincero e sostanziale , come il britan-
nico al presente, è grave dubbio, se la monarchia si possa dire
invulnerata. Conciossiachè , se Vittorio Alfieri notava, che « una
monarchia limitata non è monarchia, ed una monarchia non limitata
è tirannide » (Tirannide, 1, 2), Francesco Guicciardini questo os-
servava. « La sustanzialità del principe, V anima del principato è
il comandare ; però come ha a obedire , ancora che abbia il nome
del principe, i vestimenti e le immagini del principato, è in fatto
ogni altra cosa che principe » (Discorsi politici , XIV). Apparen-
temente sembra per tanto, che negU ordini rappresentativi il monar-
ca alcuna podestà serbi : siccome il partecipare alla legislazione^ le
nomine, le grazie, il comando militare, le stipulazioni internazionali;
e in particolare quella, cui si addimanda ora podestà esecutiva.
In effetto ei non può alcuna di queste azioni a propria voglia
fare: non leggi, non guerre, non paci, e non cosa alcuna, a cui
i due supremi corpi dello stato si oppongano, o direttamente,
rigettando i partiti proposti; o indirettamente, negando le con-
tribuzioni, 0 prescrivendogli co' biasimi o in altra cotal guisa le
voglie loro. Nemmeno ei può scerre que' consiglieri o cancellieri,
cui desidera ( giacché questi nella predetta guisa indiretta gli sono
imperiosamente designati o rivocati); e nemmeno co' medesimi le
più minute provvisioni dare. Avvegnaché questi , dovendo dal be-
neplacito de' predetti corpi dipendere , non Io potrebbon compia-
cere, senza perdersi: ond' ei deve alla fine a loro od ai loro suc-
cessori, che abbiano tale beneplacito, obbedire. Si paragoni ora
la sorte di tal monarca con quella di un prìncipe, la cui podestà
sia stata classicamente ridotta a' più minimi termini (pognamo,
il veneto doge); e vedrassi, non essere la sua punto migliore.
Presiedeva almeno questi a tutt' i consigli , trovavasi in tutte le
azioni della repubblica presente, e stava in palazzo co' patrizi e in
piazza colla plebe in una perenne splendida mostra del principato.
Né si poteva dolere di non governare, né di far niente a suo modo,
reputandosi quel, che gli era j serenissimo principe ; o semplice
capo di un governo e di uno stato non suo, e capo cinto di tanta
maestà. Gli onori e le insegne semplicemente ducali , eh' egli
avea, e la forma elettiva e vitalizia del grado, non impediscono
di reputarlo incoronato. Perchè i principi della repubblica polena
avean nome di re; e parimenti quelli della spartana, che di giun-
ta erano due ed ereditari. Pure , qualunque si fosse l' autorità di
questi re e di quel doge , e quantunque solamente di repubbliche
— 144 —
principi e non signori di popoli , egli erano tuttavia in maggior
grado de' moderni monarchi. I quali per colmo di sventura, pati-
rono in grazia del sistema parlamentare un* escuUor anane, ebe
in altri tempi sarebbesi reputata contraria, non che alla monar-
chica, air umana natura. Uno stato cioè d' interdizione e di tute-
la perpetua: anzi, peggio ancora, d' inimputabilità e d*irreq)0Q-
saUtà, simile a quello di coloro, che sono del lume di ragione
privi. Tralascio di notare, che questo stato gli soffoca e umilia
fm nelle cose private e famigliari, ov'ei sono men liberi de' più
oscuri cittadini. Perchè è forse necessario in certe dignità il do-
ver Ano i vincoli del sangue e i voti del cuore sacrificare al
cosi detto bene de^ popoli. E tralascio anche di rammentare , che
in certi paesi si estese o si parla di estendere la predetta inter-
dizione e tutela anche all' amministrazione e disposizione del lor
proprio danaro. Il che, se venisse contro di noi proposto, o let-
tori, noi certamente come di un sanguinoso olti*aggio ci senti-
remmo trafitti. Limitandomi però alle sole cose pubbliche, è ine-
vitabile nelle monarchie costituzionali, che i ministri sieno mal-
levadori de' monarchi, e che questi non possano di per sé (ar
niente; nemmeno Ormare un atto, e né quasi parlare o zittire.
Oh, che vi pare dunque d' un' autorità , cotanto combattuta, e
che deve di giunta una si dura condizione sopportare? Poca o
molta, che noi ne avessimo, vorremmo degli atti nostri contrarre
il debito e mendarc il fio noi medesimi. Dappoiché tutta la ec-
cellenza dell' uomo stiasi in tale capacità d' obbligarsi e di man-
tenere ; e non già nell' esser parificato ai folli e agi' infanti. Quanto
poi quella supposta mallevadoria de' ministri, che vieta a' mo-
narchi di fare il bene, se lo volessero, e d'impedire il male;
quanto valga in effetto a salvargli ( giunto il momento, in eh' ei
debbono soggiacere alle conseguenze degli errori altrui , e quando
appunto altri dovrebbe per loro mallevare ), facile è congetturare.
Senza parlar di coloro, cui viH assassini perseguitano, chiedete,
che valse tale egida a Luigi Filippo e ad Isabella di Spagna,
quando si partirono scorati per l' esilio ; e che a Carlo I d' In-
ghilterra e a Luigi XVI, quando rotolarono giù dal palco i lor
capi mozzi.
145
CL bip«tewM de'iriaflipi btrg^eri.
I
Se il destino de' monarchi eostitujsionali è si crudele an*
cbe nella ortodossa e legittima costituzione inglese; immagina-
tevi, qual debba essere, in una contraffazione e parodia della stes*
sa, quello Ae' principi borghesi. In Inghilterra jHÌma di tutto
la lealtà, cioè una tal quale legalità intesa a modo cavalleresco,
importa verso il trono un condizionato, e nondimeno inconcusso
omaggio. Inoltre, standovi di contro colà quelle due potenze
rivali, che ho dianzi ricordato, aristocratica e democratica, la
potenza monarchica naturalmente diviene arbitra o conciliatrice
tra loro: ed ambo s' interessano, per la reciproca salute, a man-
tenerla inviolata. Il giorno, in cui il contrario accadesse, e fos-
sero questi termmi scomposti (e già qualche indizio t,rapela di
un lento e lontano mutamento), quel governo diverrebbe demo-
cratico; e quindi sarebbe cangiato affatto. In vece negli altri
stati, ove non ci sono simili condizioni , né le rispettive tradizioni
e abitudini ; ed ove sopra tutto manca ai monarchi o V ingegno
0 r ambizione o la malvagità, e si lasciano o per indolenza o
per modestia o per bontà passivamente condurre, ei doventano
un istituto inconcludente. Perchè è possibile nella storia inglese
addurre esempi d' imprese volute dalla corona , come proprie : ma
negli altri luoghi, eccetto che per inezie personali o con sini-
stri effetti, chi può dire, che manifestasse volontà alcuna? In
tal caso essa è neutrale e neutraUzzata , quanto il corno del
veneto doge: con la differenza, che questo dopo tutto era
r insegna d' un magistrato pubblico ; e quella un' insegna , sotto
cui celasi una sovranità misteriosa. Prescindendo per altro da
ciò , e da molte altre ragioni , eh' io penso e non posso dire ; la
prima, se non unica cagione, per cui faccia mestieri a una data
società politica il regno, e quella dal cui filo pende ne' tempi
presenti la durata delle dinastie , è il prestigio, che le possono
avere, e la utiUtà del medesimo all'universale. Vi sono popoli,
cbe non sanno adorare gli dei senza idoli; ed altri, che non
venerar le leggi senza repanti , e a' quah per sino parrebbe
squallido uno stato, che non avesse di (ali fastigi. DovendogU di
necessità compiacere, bisogna assecondare i loro affetti; e far
si, ck' ei credano in questa terrena provvidenza. Al quale uopo
10
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bastava ne* tempi andati , e basta ancora a' popoli orientali nn
despoto, che metta spavento fin col guardo. Però, sebbene questi
lo abbiano più in riverenza quando temibile, che quando ama-
bile, e sebbene di regola anche altrove sia più sicuro un dinasta
temuto, che amato; bisogna por mente altresì alle eccezioni.
E, trovandosi popoli, che solamente un re buono comporte-
rebbero, e re altresì, che spezzerebbero lo scettro, piuttosto
di esser malvagi; cercare in altrui di suscitarne o fortificarne
r amore. Un sommo grado di venerabilità per altro è necessario
assai più ai re amati, che ai temuti, specialmente quando privi
di real potere. Perchè, se mai con una ignobile e bassa vita,
vera o supposta, si rendessero altrui spregevoU, oh dove sareb-
be ita la loro maestà? Certo chi volesse nelle predette eccezio-
nali circostanze spegnergli, non avrebbe miglior via a tenere ^
che tufiargli nelle abiezioni o simularle : aflinchè la pubblica fama
se ne impadronisca , e di sbieco fin neir aule de' tribunali gli
trascini. Allora a'popoU si potrebbe dire: voi pretendevate di
aver bisogno di que' fastìgi , per tenere gli animi cheti e obbe-
dienti; e non vi avvedete, come sono caduti nel fango? Se non
che, prescindendo pur da ciò, il miglior modo di farsi voler
bene è anche pe' principi Y operarlo. E a questo per lo appunto
interclude loro ogni adito il reggimento borghese, come tosto
sono per dire.
GII. Miaeria de* prineipi iKirglieaL
Il naturale officio de' prìncipi e il solito vanto de' tiranni, non
che il segreto della formazione e della forza di ogni monarcliia
(come la storia universale ammaestra, e in una guisa assoluta),
è difendere il popolo contro i grandi e tutelare gli oppressi. E
giuravano del resto fino i barbari duci di essere numdualdi ddle
vedove, degU orfani e de' poveri. Se non che, tale ufficio essen-
do naturalmente a' re tollerati dalla plutocrazia vietato (poiché
sarebbe la rovina della medesima), facile è argomentare, quali
ne fieno per loro in futuro le conseguenze immancabili Ei deb-
bono apporre la lor firma anche agU atti odiosi, come i cosi
detti gerenti ne' giornali incriminabili : e in certi luoghi i famosi
fautori del dogma costituzionale, « che non si deve esporre U
corona », sono i primi, non appena si sentano in disagio, t
- 147 -
rovesciarne Y odiosità su loro. Mentre sono a ciò astretti, e
mentre le straziate plebi gli esortano in vano a proteggerle, ei
debbono udirne i lai, e forse sentirne pietà, senza potere in al-
cun modo soccorrerle. Qual seguito e qual gloria troverebbe un
principe , il quale ascoltasse anche questo . « grido di dolore » ;
e si proponesse, dopo vendicata la patria col brando, di voler
essere de' ceti conculcati vendicatore colle leggi , io noi vuo' dire.
Cbè sarebbero tali e tanti, da mettere in petto ad ogni uomo
libero sgomento; se 0 vendicatore non avesse di Agide III e di
Qeomene, che simile impresa virtuosamente tentarono, insieme
co' semplici costumi e colla ci vii modestia , la dorica tempra e
il culto ai santi ordini di Licurgo. Ma, s' ei non possono, i mo-
narchi borghesi, con veruna maniera di pubblica azione operare
il bene (tranne che appena indulgendo a' colpevoli); potessero
almeno rendersi colla magnificenza e colla carità grati I Simili
in vece ai numi impassibili e impotenti di Epicuro, ei debbono
essere supplicati , senza aver modo di fare a' supplicanti benefi-
cio; e, in ricambio delle offerte e degli incensi, di far scendere
sulla terra qualche rugiada e qualche splendore. Invidiava il
magno Alessandro al valoroso Pelide V eterno canto d' Omero : e
da esso a Napoleone tutt' i trionfatori , che apparvero cinti ai
posteri di luminosa aureola, debbono alle lettere ed alle arti la
propria immortalità. Da' popoli anzi , che non si figurano i principi ,
se non quali usurpatori del comune stato, non hanno questi altri
mezzi di farsi sopportare, se non quella gentilezza e quella libe-
ralità, che Pisistrato e Pericle in Atene, e tra noi i Medici e gU
Estensi e quasi tutti gli antichi nostri signori usarono. Le lettere
e le arti sono pur troppo le uniche allettatrici sirene, mercè cui
presso codesti popoli doventano i principi orrevoli, e fino i tiran-
ni decenti. E adunque chi gli volesse spegnere , non avrebbe mi-
glior via a tenere, dopo quella dianzi accennata, che di farle esu-
lare dalle lor corti affatto. 0 di far si, che non un poeta, non uno
storico, non uno scultore, non un pittore traggagli dall'oscurità;
e che non sentano veruno degl' incanti del bello; e che pregino più
un cavallo d' un monumento, più una caccia d' un' epopea , più un
valletto d'un savio; e che tra' triviali e ignobili esercizi sino all' in-
coronata brutalità di Ferdinando IV di Napoli , se possibile, spro-
fondino. Se non che, quando pure il genio de' predetti monarchi
incitassegli ad essere magnifici e caritatevoli, o rispettassero al-
meno i cortigiani la dignità loro e la propria; la borghesia non ne
- 148 —
consente loro i mezzi. Per quanto le sue cosi dette Uste dviH (per-
chè parla ella sempre con questi vocaboli da banco) sembrino
^normì, considerata la povertà delle nazioni, che le pagano; sono
tuttavia insufficienti a mantenere il prestigio del principato. Av-
vegnaché in una repubbUca i cittadini stessi premiano i valorosi;
e in questa forma di stato il plauso pubblico ed anche un sem-
plice serto di verde alloro hanno cotal valore, che niun gran cor-
done e niun grande appannaggio dinastico ponno equiparare mai.
In vece e sopra tutto nelle monarchie borghesi ( scodo ne* capitoli
de' bilanci prefisse le pubbliche spese, e con tutta queUa lesineria
e grettezza, eh' è agevole indovinare) rimangono tali e tanti bisogni,
e massime quelU del pubblico decoro e della pubblica pietà, a'
quali se non provvedono i prìncipi, chi può provvedere? Ora,
non isprecassero eglino in veruna guisa il loro peculio, e tenes-
sero anche la stretta e sordida masserizia delle case d' Orleaoo
e d' Inghilterra ; non possono a' medesimi far fronte , che con
un' impari lotta e una successiva rovina. Commetter statue e qua-
dri, erigere palagi e templi, sollevare dalla obblivione i dotti e
i prodi, mantenere alle reggie il lustro, ricevere gli ospiti regal-
mente, largheggiare nelle peregrinazioni e non una mano respiiH
gere, che chieda aita, non possono. E, quando, seguendo gl'im-
pulsi del cuore e le naturali propensioni del grado, cadono nel
vano conato affranti; i borgomastri naturalmente sopraggiungono
e, dopo avergli condotti in limine di fallimento, gli dichiarano
pupilli.
ail. OikiidU de'priadpi b«rgk6iL
Io ho in questa descrizione de' monarclii apparenti delle |dft-
bi censite parlato in astratto : non tanto, perchè in concreto sianù
divietato; quanto per la ragione anzi ripetuta, che vaw deter-
minate persone di qualsivoglia specie non ho veruna ragione
d' odio , e , avendola , non lo saprei sentire. Per fermo quelle, che
doppiamente si rendono pubbliehe (e per essere congiunte t n
istituto e per appartenere alla storia ), hanno il buono o triste
privilegio di dover essere senza misericordia osservate, anche neBe
loro più intime qualità. Però, quanto a quelle, di che io avrei
potuto parlare in concreto, dichiaro qui esplicitamente, che le
opere egregie da loro compiute per la patria e le motte vMi
- 149 -
eccitano in me un' ammirazione e una riverenza , da uomo bur-
bero veramente e che sprezza il servire, ma sincere. Io non atr
tesi , che le spoglie di Vittorio Emanuele li fossero rinchiuse nel
feretro , per onorarlo di postumi onori : si V ho in vita salutato
campione d' Italia. Né ommetto in queste ruvide ed aspre pagme
di salutare Umberto I, immacolato e intrepido cavaliere, degno
del padre e degli avi, e di esser capo di una nazione libera e
virtuosa. Nondimeno , se i monopolisti e i manipolari , che e' in-
tendiamo, abbiano anche in Italia avventurato e degradato il
monarcato nella guisa anzi descrìtta, io mi asterrò di giudicare.
S'ei non lo negassero, dovrebbon confessare, che peggio non
potean fare per rovinarlo; né saprebbono quale scusa allegare.
Forse di aver voluto ( da que' Tirooleoni e Bruti reconditi e
incompresi , che fossero ) costituirlo e indirizzarlo siffattamente ,
che avesse a precifHtare, o ahneno a stare in piedi come un
fantasma? In tal caso per altro ei lo avrebbono tradito; né tale
tradimento si può passar buono, e né anche supporre. La va-
cillante e infida fortuna del resto de' regni odierni non sarebbe
proceduta per merito loro ; e né a' popoU oppressi dalle loro
barbariche costituzioni gioverebbe. Si vede in fatti chiaro, in
questo secolo e in molte contrade, la professione de' regnanti es-
sere molto ardua. E che anzi, quasi colpiti da un contagio spe-
dale, 0 perdono il sogUo ( come in Francia e Spagna ), o non vi
si possono tener saldi, che capitolando. Il qual sintomo a che
accenni in un futuro non molto remoto, non é qui luogo di dire.
Basti , che , se questi regnanti serbano o perdono la propria auto-
rità , non viene da questo o queir artificio ; si dall' avere o non
la medesima nello spazio e nel tempo radici. Date un popolo, che
possegga certi costumi e certe virtù ; e voi avrete una repubblica
genuina e ferma. Date un altro, che, seguendo un processo sto-
rico inevitabile , si avvii lentamente all' emancipazione , ma che
precariamente soggiaccia a una lega di occulti oligarchi ; e avrete
una monarchia posticcia e caduca. E ciò naturalmente è provvi-
denziale : che sia poi anche utile , rispetto a quel periodo di tran-
sizione, che il secondo popolo dee attraversare, non lo crediate.
Anti tutto manca la sincerità: e meglio alla prima saria prescri-
vere a questi repanti gh ordini del dogato, mercé cui sapessero
^ altri ed egU medesimi le loro attribuzioni; anzi che.assidere
la menzogna fin sul vertice della politica piramide. Poi, quando
in ona data forma, la feUcità dello stato e la essenza del governo
- 150 -
si fecero da tre podestà consertate dipendere; annientar quella, che
doveva le altre due contenere e moderare, è precisamente sdorre
il freno a', predetti oligarchi, e sul popolo stringere vie più il giogo.
Dicano mo que' tali , che sempre hanno le britanniche frasi sulle
labbra, e che non so, come non abbiano anche qui iotrododo
il <c cancelliere dello scacchiere », il « guardiano della borea pri-
vata », il c( gran falconiere » e tutte le altre stupende rarità
della corte britannica ; dicano, che ne sarebbe colà della corona, se
non vi godesse un omaggio incontestabile ? Dove per contrario non
ci ha né tradizioni , né abitudini , né pari , né comuni , né niente di
reale e di vero; facile é capire, qual debba la sorte del popolo
essere, a cui manca fìn T ultimo rifugio de' servi rejetti, il trono.
CIY. Senato nel reggimento borglieae.
Veduto, che sia nelle monarchie borghesi in genere la cod-
dizione del principato; veggiamo ora, quale in Italia quella de'
due corpi politici, che dovrebbono con esso dividere la sovranitL
Noi abbiamo per ventura, se non un senato d' Italia, un senato dd
regno, come é d' uopo secondo lo stile di legge chiamarlo: ma,
che cosa questo veramente qui rappresenti, io non so. La natura
essenziale di qualsivoglia senato, lo si dovesse nel mondo ddla
luna concepire , é di essere un' aristocrazia : né ve ne può esser
altra, se non che d' icore o di valore. Fino a un certo punto an-
che la prima in date contingenze può esser legittima, come io
Roma, in Venezia e in parecchi altri nostri comuni. Dove i primi
abitatori, avendo fondato lo stato, e mantenutolo cerila propria
virtù, doventarono naturalmente padri e patrizi, e dieroDO fin
alla patria il nome. Né si possono affatto rimproverare , se a'
nuovi venuti non accomunarono tosto tutte quelle prerogative, di
cui costoro il merito non aveano, né conoscevano il pregio. Qual-
che cosa di simile potrebbe la baronia inglese accampare, avendo
colla sua ostinata costanza ai Plantageneti e a' successori strap-
pato la magna carta e le altre posteriori franchigie della nazio-
ne. Qui in veruna di tali contingenze ci trovavamo; e di giunta le
erano qui cosi diverse e disformi , che il pensiero di un senato
gentilizio non venne pure in mente. Anzi tutto occorreva conten-
der molto, per poter decidere chi siano più nobili in Italia, i ti-
tolati 0 i plebei. E le ricerche , che di sopra io fed per rio-
- 151 -
tracciare la genesi de' nostri celi sono forse più ai secondi, che
ai primi propizie. Supponendogli nobili tutti (com'io credo,
che siano gV italiani , e insieme co' greci d' alta prosapia cele-
ste); se non trattasi, che della nobiltà stemmata, questa era già
da lunga pezza morta. Non vi era qui , al fondarsi del nuovo
regno, più alcun ceto, che possedesse speciali prerogative; né
più alcuno , che le potesse pretendere. Questa nobiltà pure era
stata passata sotto il giogo : e , quando lo si ruppe , que' tali di
essa , eh' erano nobili davvero , si dimostrarono tali colle opere
e non colle pergamene. E si fusero col popolo, di cui sono i più
cospicui ornamenti, mille volte più della borghesia. Gli altri,
tranne il nome, altro di nobile non serbano : e in pochi anni per
influsso de' gesuiti, che gli educano e accarezzano, e de' gallici e
belgici esempi, vanno ostentando un non so quale legittimismo
bullo colle giaculatorie e colle cerimonie , che non s' era qui
mai in passato sotto la peggiore servitù veduto. E il quale del
resto non potrebb' essere più ridicolo , se gì' illustrissimi cada-
veri ambulanti non ispargessero intorno a sé il lezzo delle bla-
sonate sepolture. Fatto sta , che per tali cause , sendovi da un
lato una nobiltà magnanima, e dall'altro una cadaverica, e non
ci essendo quindi materia per prerogative di stirpe, la borghesia
paté e può senza contrasto despoteggiare. Or qui , appellandomi
nuovamente all' anglica sapienza de' nostri dottrinari e moderati ;
chieggo loro, che sarebbe della costituzione d' Inghilterra, se colà
quella eulta e superba aristocrazia sparisse! Ma anche altrove si
vede, il sistema costituzionale meno infelicemente approdare, ove
un serrato ordine di magnati o di diritto o di fatto prevale, come
in Isvezia, Danimarca, Germania, Ungheria e nello stesso Belgio.
Ed essere poco meno di un vano simulacro, ove soggiacque, co-
me in Francia e Italia, all' avverso fato. Il che spiega, come que-
ste due Provincie più irrefrenata e oltracotante sopportino la op-
pressione del terzo ceto , che il rimanente d' Europa.
GY. IHsntmtà de' senatori borgbed.
Se adunque non si poteva qui costituire un consiglio di mag-
giorenti a titolo ereditario , Y altro mezzo , che restava e veniva
necessariamente additato , era di fondarlo sul merito. E sarebbe
stato il migliore : e gran causa di vanto e di gloria all' Italia ne'
- 152 -
secoli venturi, di avere la prima, cogliendo la necessità al virio,
riverita la sovranità eterna de' forti ingegni e de' gagliardi cuori;
conciossiactiè i veri ottimati siano appunto gli ottimi. Vedremo io
seguito, tra gli ai*cani di regno della borghesia, dood' esuma elh
i suoi geronU. Sin d'ora è agevole congetturare, scodo il merìfo
una merce troppo vile per essa, e non valutata ne' listini di borsa,
quanto ne lo avesse in dispregio. Da'plausi dell'Italia appena risorta,
e dalle troppo recenti memorie de' beneficii e de' martini, fu elli
ben costretta da principio a porre in sulle sedie curuli molti va-
lorosi e molti sapienti. Ma, quando il merito non fosse, che ma
semplice reminiscenza ; ed ella vi potesse scriver sopra, come in
su' letti degli spedali : cronici. Onde in effetto è seguito quello ,
che si doveva aspettai*e : che non avesse V amplissimo consesso
autorità, né volontà alcuna. Avvegnaché non chiamo v<^ODti
qualche velleità, eh' esso abbia tal volta potuto mostrare di aver
propositi propri, come ( per esempio) contrapponendosi all'altro
consiglio per conservare l' infame ministero del carnefice. E che
sorta del resto di giuridici lumi abbia con tali deliberazioni ma-
nifestato, e d' interessi conservativi propugnato, lascio altrui giu-
dicare. Certo, per poche deUberazioni, con cui simulò atteggiarsi
a competitore dell' altro consigho ; non viene, eh' esso possa dire
di possedere un valido arbitrio. Già, se non in semplici contro-
versie metafìsiche ; ma in cose attinenti al reggimento effettivo
deUo stato, accennasse avere un parer contrario a quello degli ef-
fettivi i*eggitori, questi hanno modo di deluderlo, introducfifr-
dovi nuovi elementi. Imperocché é ammesso, che questi, perestor-
cere i voti desiderati , possano con nuove nomine ( o oom' et
dicono con voce da panattieri ) infornate^ ottenere la maggiorili
occorrente. E in tal caso, se la volontà loro o quella del senato,
com' era anteriormente composto , prevalga , non ho pur d' uopo
di dire. Senza di che, discutendosi e deliberandosi nell'altro
consiglio il bilancio , eh' é il fulcro ( come puossi fin d' ora ca-
pire) del meccanismo politico borghese, e in genere le cose più
importanti prima o più largamente; tutta la vita o almeno quella,
che per la trachea spira, tutta nel medesimo si concentra. In pnn
tica poi accade anche peggio: dacché con una disinvoltura, che
sfida la verecondia, si osa le cose piii importanti, su cui potreb-
besi un buon mese consultare, e per fin quelle, che non sofflroDO
indugio, proporre al senato, proprio alla vigilia del di, in che il
comune parlamento de' due consigli ha termine. Di modo che
— 153 -
esso, non avendo né tempo di consultare, né modo di prorogare
le consulte, per non privare lo stato degF indispensabili e urgenti
provvedimenti, dee di necessità chinare il capo alla jugulcusione
inflittaglL E, se questa sia autorità, efficacia, serietà, o che cosa
altro sia, lascio parimenti altrui giudicare. Che, se i predetti bar-
bassori , come a proposito de' monarchi da lor rovinati , rispon-
dessero , di aver qui inteso un semplice gerontocomio fondare ;
allora oh dove vanno le famose loro teoriche costituzionaU ? Se-
condo le quali dovea questo senato essere V arca del senno , il
sostegno dell' ordine , il contrappeso degli altri istituti ; questo
senato inutile. E dunque, se né i monarchi, né esso hanno una
vera e reale podestà , oh chi dunque \ avrà ? Parrebbe , che la
dovesse il popolo, od almeno il secondo consiglio avere: ma
ora farò palese, che nemmen questo.
GYI. Congegni parlamentari.
Anzi tutto il popolo, escluso da' suffi*agi, non ha voce in par-
lamento : e non potrebbe averla direttamente o indirettamente ,
che un ceto privilegiato o il satellizio de' rispettivi clienti. Pre-
scindendo da ciò (poiché io, quantunque da solo combatta, ho
Della verità tante armi, da poterne gittar via buona parte), con-
sentirò alla contraria oste, il cui numero sdegno contare, un gran
beneficio. Le consentirò niente meno, acciocché abbia maggior
probabilità di vincermi , che il popolare consiglio o ( come lo
chiama ella nel suo gergo cosmopolitico ) la camera dei depu^
tati, sia davvero e del tutto popolare; e non un mero consiglio
borghese, come per avventura potrebb' essere. Rimanderò anche
ad altro luogo, e tra gli arcani di regno, il discorrere delle qua-
lità personali, che i mandatari della borghesia debbono avere. E
supporrò qui, eh' e' siano tutti, invitti tribuni del popolo, e altret-
tanti Gassii , Manlii , Stoloni , Gracchi e Fiacchi. Ciò non ostan-
te, la predetta camera é cosi lunge dall' essere una medesima
cosa con la nazione, cui crede di rappresentare, che questa,
oeppur espiandone duramente gli errori , se ne ha per intesa. Il
qual (atto può procedere anche dal non curarsi questa d' istituti ,
cai non ama e non éomprende : ma principalmente procede perché
quella per la sua propria natura non ha niente di comune con
essa. E certamente di tal fatto non se ne accorgono que' Gassii,
- 154-
Manlii eccetera, che forse non si sono manco curati d' interfogir-
sìy se i provvedimenti da loro decretati fossero mai dalia oaziODe
acconsentiti. Perchè sarebbe molto, se, computando a nM)*di ra-
gionieri (come si usa ora), il dieci per cento de' medesimi avene
avuto gr intimi suffragi dell'universalità. Mentre in verità Ibisogae-
rebbe esser ciechi per non avvedersi almeno, che questa né la gra-
vezza del macinato, né quella tale operazione suir asse ecclesiasiico,
né simili altre carezze le avrebbe volute. Qui mi potrebbero gli
avversari rispondere : eh' ella si sarebbe ingannata, e che non me-
ritava esser compiaciuta né nella sua spilorcia renitenza a con-
tribuire a' pesi dello stato, né nelle sue cattoliche superstiziooii
Or dunque ammettiamo, eh' ella s' ingannasse e che la non dovesse
essere punto compiaciuta: in tal caso però voi sostituiste al suo
giudizio il vostro, ed alla sua la vostra volontà. Vi mostrerò lira
poco, che voi non rappresentate nemmeno la volontà vostra: ma
supponiamo, che si, e che la sia retta e giusta. Tanto basta per
concludere, che nelle deliberazioni della camera predetta, la vo-
lontà della nazione non ci entra punto, o può essere preterita. E
in un sistema, che si fondava sul concorso e sull' accordo di tre
volontà, e la prima e la seconda sono sparite, e voi fate (HH spa-
rire anche la terza; ditemi ora voi, che resta.
CVII. Prepotenn apparento del reler de' pik
Volendo rintracciar le ragioni di ciò, io credo, tra le molte,
che potrei addurre d' indole accessoria e particolare , su due
principali e generali arrestarmi. La prima delle quali Io avere
instaurato, come sorgente d' impero , il cosi detto voler de* più,
che poi si traduce nel voler de* meno, come sto per chiarire.
Evidentemente, quando in qualsivoglia corpo o collegio occorre
alcun partito prendere, é giocoforza commettersi a' voti maggiori.
Questo però non si deve intendere in un senso assoluto; e doè
non nel senso, che una qualsiasi cospirazione di voleri possa ren-
dere intrinsecamente legittimo un atto alla giustizia contrario: né
eh' essa possa sempre nelle cose di grave nìomento bastare. Al-
meno in astratto si dee supporre, per poter dire propria del po-
polo una data determinazione, che non la maggior porzione di
esso, ma (|uasi tutto la desideri. Alurimenti questa e le altre por-
zioni non saranno, che da ona semplice lega disuguale oongiuote
— 155 -
(come nella confederazione americana settentrionale accade ora),
piuttosto che formare un solo stato omogeneo. E, quanto durino
le leghe, al venir meno il reciproco beneplacito interno de' colle-
gati, gli uomini versati nella diplomazia sanno. La romana chiesa
conseguentemente, per la romana tradizione maestra in queste
cose, richiede ne' concili V unanimità almeno presunta; racco-
mandando a tutt' i padri congregati di accedere alla medesima
sentenza , e gli stessi dissenzienti ritenendo assenzienti in futuro.
Ciò è naturale: perchè, se vi fosse una frazione piuttosto note-
vole dissidente, lo scisma non tarderebbe a spuntare; né si po-
trebbe dir più concorde la sentenza approvata. Or ciò a un di
presso interviene anche nelle bisogne civiH di grave momento;
perchè, se una semplice maggioranza di voti i relativi provvedi-
menti approva, questi si potranno dire imposti , non già concor-
dati Tal che, se (per esempio) ne' plebisciti e meglio ne' sospiri de-
0i animi, che costituirono la italica unità, non ci fosse stata quella
quasi unanimità, di cui dianzi ho dato le cifre, ma una frazione
piuttosto notevole l'avesse riprovata; ella sarebbe assai men salda.
Il che puossi anche ad altre azioni pubbliche appUcare; e ve ne
avvedreste tosto, non appena quella maggioranza e le rispettive
minoranze secondo le circoscrizioni geografiche si disegnassero,
come r unità se n' andrebbe. E , sebbene questo per somma beni-
gnità de' cieli tra noi non sia ancora accaduto , se non per hevi
differenze e d' indole piuttosto amministrativa, che politica; anche,
preterendo da quelle circoscrizioni, lo intestino dissidio è fatale.
CVIII. Prepotensa reale del voler de* meno.
Oggi, col pretestato voler de' più, le più enormi cose si com-
piono : ma , se questi più , in oltre ventisette miUoni d' uomini ,
sono due o quattrocento mila, è il maggior numero, che possano
essere. Vedremo in seguito, come la cosi detta pubblica opinione
si fabbrichi , e conseguentemente come si falsifichi la pubblica
volontà. Limitando ora le nostre considerazioni a' semplici isti-
tuti di legge, la massima parte de' partiti passano intanto ne' con-
sigli per una semplice maggioranza. La quale è quella precisamente,
che sostiene o combatte i depositari mutabiU della potestà ese-
cutiva; né di altre ragioni si cura. Almeno, poiché la nazione
Qon partecipa direttamente alle deliberazioni, come nelle antiche
- 156 -
repubbliche ; potesse ndirettamente , per mezzo de' suoi oratori ,
partecipare ! In vece anche nel momento , in cui ella delega la
propria sovranità , e in cui quindi tutt' i cittadini dovrìeoo iiegU
opposti pareri essere rappresentati, ella non ha modo di eleggere,
che quelli dalla maggioranza voluti. Già, facendosi gli squittini per
circoli determinati, ne viene, che ciascun elettore non possa, se non
tra due o tre persone designate determinarsi ; anzi che per quella,
cui avrebbe preferito. Se il candidato della sua coscienza non
ha il favore delle prefetture, de' comitati, de' giornali e degli altri
patronati , o se non quello almeno d' un buon numero di elettori
del luogo ; è inutile , egli si rechi all' urna. Non gli resta quin-
di, che scerre tra' due o tre proposti , V uno de' quali avrebbe il
suo pensare e non la capacità , V altro la capacità e non il suo
pensare, il terzo queste due cose senza l' onestà. L' onestà essendo
una fisima d' altri tempi, e la capacità stessa una frottola, innanzi
alla burbanza de' propri infallibili pregiudizi , facilmente propen-
derà a quest' ultimi. Ad ogni modo o egli è costretto di nuo-
vo a ritrarsi dall' urna o , recandovisi , a deporre un voto coar-
tato. E, in onta a tale coartazione, non ancora può la nazione
co' propri voti mandare al parlamento gli oratori , cui desidera ;
siccome è facile anche con cifre constatare. Di fatti nelle 508
cui'ie, tra cui vennero in Italia partiti gli elettori e i deputati da
eleggersi, negli ultimi squittini de' 5 novembre 1876, votarono
356,437 e si astennero 248,tK)7 cittadini. I primi diedero in com-
plesso circa 227 mila voti ai candidati del governo, e 123 mila
a quelli dell' opposizione ; andandone gli altri dispersi. Ciò non
ostante, riuscirono eletti, per quel che si presunse allora, 423 candi-
dati della prima e 85 della seconda specie. Questi ultimi adunque
non furono nemmeno la metà del numero, che avrebbero dovuto
essere, se i voti di tutto il regno, anzi che quelli de' singoli col-
legi, si fossero computati. Ma il peggio è, che gli altri, che sono
precisamente i padroni putativi dello stato per un dato tempo^ e
che attingono unicamente da' suffragi il titolo del loro uiBcii^ non
avendo avuto, che appena un terzo de' suffragi totali e possibili ,
non rappresentano la maggioranza de' cittadini né in guisa a»-
sftluta , né relativa. Ed io parto sempre dal supposto , che cpie'
605,044 privilegiati costituiscano essi, essi soli, l'augusto popolo
italiano. Il quale conseguentemente né ne' consigli, né ne' conuzi
vede la le^e e artificiale, ma comune e ipotetica volontà sua,
espressa. È vero, che questo sistema si può correggere: pare.
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per quanto si corregga, Y abuso del numero plurale in esso non
verrà mai meno. Imperocché si potrà scemare V arroganza delle
maggioranee e la oppressione delle minoranee puramente par-
lamentari ed elettorali. La prepotenza intrinseca e sostanziale del
voler de' pochi sotto la maschera del voler de' molti , è troppo
insita allo stato e al reggimento borghese, perchè non altrimenti
possa, che con esso cadere.
GIX. Coia pnbUioa in mano alle fiudmiL
L' altra ragione, ond* è seguito, che la volontà comune é ipo-
tetica sparisse anche dal supremo corpo elettivo del regno, sta
nel sostituire le fazioni alla nazione, e i voleri di quelle al
voler di questa. Io tornerò su tal tema , descrivendo, com' esse
sieno penetrate fin ne' meati più riposti della nostra società, e
l'abbiano guasta e contaminata. Qui ne descrivo l'altissimo magistero
nel nostro reggimento: a proposito del quale sostengono i suoi
corifei , che le fazioni suddette ne siano i più necessari e mira-
bili congegni. Dicono egli veramente partiti: ma, siccome que-
sta voce in italiano significa proposizione , convenzione, risoluzione
e per sino, se apphcata a femmine, peggior cosa; debbola tra-
darre in fazioni, senza per altro annettervi alcun senso ingiurioso.
Che, se, chiamando le cose co' loro propri nomi, le si manifestano
incontanente... quel, che sono: sendo buone, non è mio il me-
rito; né, sendo cattive, la colpa. Noto adunque, ch'eglino, non
polendo altrimenti concepire la repubblica, che come una società
d' individui, nt)n sanno pur formarsi l' idea d' un governo continuo
e impersonale. Laonde non credono già, che i reggitori dal punto,
io che sono a si eccelso grado esaltati , debbano quasi cessare
d' essere sé medesimi, e sovrumanarsi , e non avere innanzi agli
occhi, che la patria, senza maggiore accettazione di questa o quella
persona, e di questo o quell'ordine di persone ; bensì a queste sole
debbano por mente. Non le vorranno certo favorire per fini pri-
vali, né approfittarsi per favorirle de' pubblici mezzi : ma credono
sioceramente, che le sien quelle , che formano il governo ; e dal
coi beneplacito debbono eglino pendere, e col cui appoggio reg-
gere. Se le fossero affatto isolate, poco si potrebbe contar su
loro: neir unità della patria non le si vogliono fondere: bisogna
danque raccozzarle in qualche guisa , affinché dieno il proprio
- 158-
appoggio; ed ecco ie bziODi. Quando un dato numero di persone
si accorda in una data serie d' intendimenti, cui chiamano eglino
programma y mirando ad avere in mano la pubblica azione, e
magari anche a surrogare le proprie voglie a quelle delf univer-
sale ; diviene pertanto una fazione costituzionale e un istituto le-
gittimo. Da tale istante od ella è (come si suol dire) in mino-
ranza, e deve assiduamente e implacabilmente contrastare il go-
verno, tanto se fa il bene, quanto se fa il male; cercando ogni
via per rovesciarlo e per succedergli. Oppure è in maggioranza,
e deve crearlo ella stessa, e come creatura propria plasmarlo o
rabberciarlo; non d' altro curandosi, che di appoggiarlo co' propri
voti in ogni incontro, per ogni motivo, faccia bene o faccia male.
D governo quindi emana dalla fazione maggioreggiante , con cui
ha la sua vita indissolubilmente congiunta, del cui spirito è in-
vaso, e per cui sorge, sta e cade. Ed è anzi senz' altro, come i
predetti corifei non si peritano di pronunciare, il « governo d' un
partito D. Vero è, che questa formula od altra meno spudorata,
la quale usavasi nelle più solenni circostanze apertamente proflé-
rire, e dagli uomini delle più alte dignità rivestiti; venne di re-
cente in una certa circostanza a parole ripudiata. Se poi lo fosse
anche co' fatti , o non piuttosto vie più applicata e ritorta con
tutto r accanimento e V orgoglio della rivincita, non importa dire.
Dappoiché basti conoscere , che co' fatti non la potrebbe essere
ripudiata giammai, né anche per fare il bene. Onde, se gV intemerati
e generosi uomini , da cui s' appella la presente amministrazioiie
(dico Benedetto GairoU e Giuseppe Zanardelli) oseranno ripudiar-
la, saranno fin dagU amici disertati e disfatti. A tanto dunque
Siam giunti, che, senz' arrossire, un qualunque maniiJOlo d* nomini
parli d' un proprio governo , o d' un governo de' propri amici ; e
che la nazione , di cui credevamo noi gente alla buona , dovesse
il governo essere, né dell' errore s' accorga, né dell' oltraggia
CI. Siiteitt delle flakiL
A questo punto i miei avversari, co' quali ( come si vada)
spesso interloquisco, e di cui cerco penetrare, se possibile, gii ar>
ruflati e inconditi pensieri, mi potrebbono cosi apostrofiure. — Ti
non t' avvedi, teorico ostinato, che sempre , da che é mondoi, h
direzione delle cose é stata nel pugno di taluni, che, inalbeniÉo
- 159 -
questo 0 quel vessillo^ » trassero dietro la innumere folla. E che
in quella medesima rancida Italia, la quale si capisce ornai es-
sere il tuo idolo, e in quella tua Roma e in que' tuoi comuni
indiavolati , le parti infuriavano. — È certamente vero , rispondo
io , che ogn' idea ha bisogno di esser seguita da parecchi p^
trionfare. Ma, se appunto una qualunque idea alle vostre fazioni
mancasse, queste non farebbero, che seguir sé medesime , o sa-
rebbero di occulti tiranni mancipie. E ad ogni modo, se Tidea
non mancasse, dovrebbero propugnarla ne' giusti modi ; e non già
usurpando lo stato, e convertendo a dirittura il reggimento in
un loro monopolio. Quanto agli esempi di Roma e de' comuni ,
che mi recate, se fossero perversi, dovrebbonsi rigettare. Parvi
però, che la lotta tra patriziato e plebe , oppressori e oppressi ,
privilegio e parità, possesso e diritto, vecchio e nuovo, passato e
futuro, essere e divenire, eh' è la gran lotta del genere umano;
parvi , che questa lotta per sette secoli durata su' sette colli a
prò' del genere umano ; si possa alle vostre gare faziose confron-
tare ? E quelle stesse parti de' comuni , che del resto furono
quanto alla pace infeste, altrettanto di gloria feconde, e che in
sostanza le si accentrano tutte nella gran contesa del ghibellinismo
e del gnelfismo ; vi pare, che si possano alle vostre rimbombanti
meschinità paragonare ? Questa contesa è tale , vedete , che io ,
venuto tanto tempo appresso , e qui nel silenzio della morte e
nella calma del sepolcro, che voi ci avete benignamente largito;
io medesimo , che ( a quel che pare ) ho concetti abbastanza re-
cisi e decìsi, sento, se fossi vissuto allora, che non mi avrei sa-
puto decidere. Sarei stato ghibellino con Dante e guelfo con Fi-
renze ; avrei sentenziato co' dottori di Bologna e combattuto co'
guerrieri di Legnano. Perchè appunto la contesa suddetta, che a
voi non sembra, che una picciola discrepanza tra imperadore e
papa, è la gran contesa non ancora risoluta tra umanità e nazio-
nalità, universalità latina e particolarità italica, stato e municipii,
poter sovrano e franchigie locaU, autorità e libertà : cose eterne. Or
con questi domestici esempi temo, che voi stiate troppo a disagio :
e del resto, so bene, che non valgono niente per voi, al cospetto
delle solite chincaglierie inglesi. Ebbene , attraversiamo la Ma-
nica: e, poiché colà sì avvicendano nel reggimento le due fami-
gerate parti, e Y amministrazione con le medesime cangia, eccovi
il vostro ideale. S' io dunque vi dicessi , che quella sorta di go-
verno discontinuo e personale, alternativo e voltabile, é una cosa
- 160 -
barbarica; so, die sarebbe per voi ud bestemmiare. Nondhneiio
quelle parti, che hanno un fondo storico e secolare, rappresmh
tano alcun che di fervido e di splendido, di reale e di vero; e
arieggiano quasi la titanica tenzone di Roma diami aceemiala.
Or, che rappresentate voi, che imprese proseguite, che principii vi
avete, che cosa in somma vi volete? — Per rispondere andie a
questo, io debbo adesso delle nostre fazioni la specie e la natura
dichiarare.
CXI. YarioBi parUaentari iiiOlaat.
Ne* primordi del nostro ultimo risorgimento, e meglio ne' gravidi
anni, che lo precessero ; vi erano , come ho raccontato , doe di-
versi intendimenti per affrancare Y Italia, che potevano veramenle
dar luogo a due parti, degne di cotal nome : e degne anche di
rispettarsi a vicenda, poiché chiare e distinte idee pnrfessavano.
Gli uni volevano, che per propria virtù si afl^^ancasse, per opera
e per beneficio del popolo, e secondo il natio genio : questi chia-
meremo, tanto per intenderci, cUissici o mazziniani. (Mi altri, per
opera de' principi confederati o di un principe solo, colle sole
forze regolari o coir aiuto straniero , a servigio della borghesia
e su esotico stampo : e questi chiameremo romantici o cavouriani.
Vi erano anche altre diversità tra loro, come sulla forma politica
0 sul modo di costituirla: tuttavia, per non accrescere di troppo
la materia, per ora le tralascieremo. Nel condurre a termine la
impresa prevalsero i secondi, cogliendo per altro il frutto maturo
delle fatiche dei primi. E la condussero ( il che Ai grande sven-
tura ) coli' aiuto straniero, e con un principe solo ( il che fii grande
ventura ); anche in onta a' loro antichi propositi, contrari ali* imita
da loro non desiderata o non isperata. Da cotesto momento i
primi dispanero dall'arena politica; o quelli almeno, che (tarooo
al maestro fedeli e al culto de' propri cuori. E, sebbene hi loro
fede non possa perire, e siale serbato il futuro, non avendo ew
né alla costituzione del nuovo stato, né al successivo reggimento
partecipato; di essi, come di parte politica, non lice più parlare.
Restandosi l' altra parte sola, e avendo da sola fino a qui diretto
le cose ; questa, politicamente divenuta il tutto, cessava ugoalmeole
di esser parte. Né, per quanto la cercasse e cerchi (come vedre-
mo in seguito) di sollevare al grado di parte politica quella, che
- 161 -
staggia la patria col vilipendio delle sacre cose » e cui per ciò
hiameremo la fazione esecrabile; vi è ancora riuscita. È molto
trobabile, prima del di novissimo, che il ceto de' gaudenti si getti
i tal (azione in braccio, e che questa per alcun tempo regni,
mperocchè già a quest' ora, recandosi alle urnb, ella sarebbe in
^do di pugnare con una certa forza sotterranea contro gli arbitri
Ielle stato. Moltiplicandosi in appresso gli errori di costoro, e tro-
vandosi gli alti ceti vie più calpestati, i bassi spogliati, tutti offesi
lel sentir religioso, e il ceto stesso de' gaudenti crollante e sotto le
ninaccie d' una guerra servile sgomento ; ella parrà una benedizio-
le. Per cui causa, venendo in grado di competere in modo sicuro
^gli arbitri predetti, e anche di soverchiargU, accetterà natural-
nente le novità contro sua voglia seguite; e nascondendo gli sna-
urati istinti verso la patria, potrà entrare in Uzza e vincere il
)remio. Se non che per ora, neppur ella partecipando alla pubblica
izione, in una guisa almeno visibile e formale, o ( come si dice )
M)stituziORale ; non vi è pur luogo a parlai*e di lei. Dunque, re-
cando padrona e donna delF agone politico , senza veruna inter^
mittenza e verun contrasto, da dicioUo anni in qua la predetta
parte de' cavouriani ; questa , sendo il tutto , non si può più
chiamar parte. 0 , se la volete chiamar tale tuttavia , chiamatela
por cosi: ma, poiché sola, parlate di una parte sola, e non di
più. E allora oh dove vanno la vantata altalena di coteste parti
:il governo , la rotazione politica , X anglico antagonismo e tutte
«[nelle altre corbellerie, che ci andate sciorinando?
CXil. Fasdoni de'moderati e de' progressisti.
Do (h nuovo la parola a' miei avversari, ai quali non voglio
alcun male , perchè gli reputo in buona fede ; e i quali mi po-
trebbono questo soggiungere. — Mo non ti accorgi di quelle due
eccelse schiere de' moderati e de' progressisti^ che seggono lassù
oel parlamentare Ohmpo? — Se me ne accorgo, figuratevi: non
sento che i loro frastuoni intorno a me ; né veggo altro, tranne le
mine, cui vanno ammucchiando ! Tuttavia, che quelle inclite schie-
re sieno davvero parli, voi prendete un grosso abbaglio ; e quasi
quasi io scommetto di farvene persuasi. Conciossiaché i criteri
eslrinseci migliori, cui voi possiate addurre per contraddistin-
kMierle, vSono:che T una siede alla destra nel predetto Olimpo, e
li
- 162 -
r allra alla sinistra ; e che V una ebbe X ammìoistrazioiìe sioo al
18 marzo 1876 , e F altra di poi. I criteri intrìnseci; cioè i propo-
siti, i disegni e i principii diversificativi, me gli sapete voi addur-
re ? Io comprendo bene quello , che i moderati , col loro fiacco
volere, si volevano: cosa si vogliano i progressisti, sono tanti
anni, che il vo chiedendo, e non l'ho ancora saputo. Per wm
dire del subalpino , nel parlamento italiano spuntarono questi per
la naturale e ìrremediabile varietà , eh' è ne' cervelli umani. Indi
sopra tutto nella loro schiera entrarono que' molti deU* antica parte
classica, che si acconciarono all'Italia legale a mala pena. Che
cosa in fine vi possa aver aggiunto il pisano soccorso deglMIlusi,
de' delusi , de' malcontenti , degli scontenti e de' tanti , che non
sanno quel, che si vogliono ; tralascierò di notare. Fatto sta, die
da principio la loro opposizione sembrava piuttosto un' ostilità agii
ordini costituiti, che una costituzional tenzone. Quando im tardo
barlume di senso pratico resegli accorti, che di tal guisa non
avrebbero potuto far niente mai, si posero (senza voler qui scru-
tare i segreti di questo o di quello) affatto sul terreno della le-
galità. Rimanevano per altro ancora disordinali; e cosi nuovi e
bizzarri , che , se un destro maneggiatore , voltatosi a loro con una
vocina sottile sottile, non gli avesse imbrigliati , e indirizzati sufla
via maestra , avrebbono lungo tempo ancora scorrazzato qui e là.
Ciò non ostante , privi della sperienza di stato , che i moderati
possedeano, di assai minori doti d'ingegno, in inferìor numero,
e con parecchi altri difetti per soprassello, non poteano scavalcargli.
Se i moderati fossero rimasti uniti, poteano condurre essi stessi
fino al capezzale la loro creatura , sacramentarla e chiuderle pia-
mente gli occhi. Benché riducessero la nazione allo stato, che
poi vedremo, e benché si fossero resi uggiosi fino ai pipistrelli,
aveano compiuto essi l' Italia legale , e fondata un' amministrazione
tutta a lor modo e di soggetti propri. Ma per quel tedio univer-
sale, che aveano ingenerato, e per l'osceno spettacolo di aversi
resi un feudo la nazione e il parìamento, essi gl'illustri cam-
pioni della vicenda delle parti , aveano troppo bisogno di tenersi
stretti. Se non che le dorate illusioni , in cui si cullano sempre
i fortunati, e che sono della placida e serafica natura de' mode-
rati una qualità essenziale, impedirono loro di porre a' propri
appetiti freno. Non avendo eglino mai [lermesso a' rivali , non-
manco per un momento, di deUbare una goccia di quel loro net-
tare celeste, e volendo tra loro medesimi sorseggiarlo in placida
- 163 -
e serafica quiete, quanti più pochi potevano; è naturalmente acca-
duto, che tra loro si dividessero.
Cini. Capitembolo de' modentL
Sorsero cosi i conventicoli o ( come si dissero ) le consorte-
rie; le quali nel lungo periodo, che al 18 marzo 1876 fini, si
palleggiarono tra loro il governo, sostituendosi alla predetta vi-
cenda delie parti parlamentari. La schiera opposta era o si repu-
tava, come non ci fosse : nella destra dunque non si trattava, che
di cogliere la palla al balzo or Tuno or l'altro drappello. Tutta-
via , per continuare a lungo in questa giostra , occorreva conce-
dere alternativamente il pallio a tutt' i drappelli , acciocché ninno
rimanesse disgustato. Perchè naturalmente, avverandosi questo,
fl drappello o i drappelli , che si fossero gittati al corno manco ,
avrebbergli data quella prevalenza numerica j che (com'è noto)
basta a stabilire il reggimento costituzionale. Oltre a' conventicoli,
vi era lo squadrone vohnfe: denominazione, ch'io prendo dal-
r antico stile de' conclavi ; ove appunto accadeva , tra le diverse
fiizioni contendenti , che un piccolissimo numero di cardinali oscu-
ri, accedendo d'improvviso all'una o all' altra , fosse arbitro della
elezione del futuro papa. La forza del quale squadrone, già no-
tata da' nostri vecchi politici , viene da questo : eh' esso , con ap-
parente e sonnacchiosa imparzialità tenendosi in mezzo e in bilico
tra le contrarie fazioni, anche con pochissimi voti è in grado di
far pendere la bilancia, ove vuole; e di decidere nell'estremo
momento e per sorpresa della vittoria. Bastò dunque, che con
questo 0 quel pretesto ( pognamo , dell' insidiata libertà mercantile
o della esosa moUtura fiscale) , una o due consorterie de' mode-
rati in un dato giorno passassero all'opposto campo; e dietrovi
il predetto squadrone e qualche infido amico di giunta, perchè
fodero i moderati stessi cacciati di sella. Io espongo le cose a
no modo laconico , cioè rozzo e schietto : ma a un di presso ma-
nifestò il medesimo pensiero in un modo placido e serafico un
santo padre de' moderati; e precisamente quegli, che catechizzava
e benediceva la schiera in quel giorno abbattuta. Parlo di Marco
Minghetti : il quale nel banchetto di Legnago ( perchè , se non ci
possiamo mostrare inglesi altrimenti , bisogna bene , che ne' brin-
disi politici), il 29 ottobre 1876 confessò appunto, quel capitoni-
- 164 -
bolo essere seguito per un cumulo di malumori perscHiali , gaie-
rati da desideri inappagati, da vanaglorie umiliate e da.insaziile
ambizioni; repressi durante la ricerca del famoso pareggiamento
de' bilanci , e scoppiati tosto , eh' egli lo avea cosi bene raggiunto.
Egli veramente non si avvide, se non quel giorno, di che sor-
ta elementi fosse quella sua famosa parte composta, e da che
sorta motivi ispirata; né di perder la sella, se non dopo perdu-
tala , e guardandola di sotto : il che è a lode del suo candore*
Fatto sta , che quel giorno egli e i commiUtoni o i confrati rima-
sero , come trasognati e stropicciandosi gli occhi , in atto sconcio
a terra: gU altri si videro di repente saliti, e di tanto capriccio
della sorte attoniti. Rimaneva un' ulteriore difficoltà a superare,
avendo questi ultinù in generale poche arre di prudenza politica
a dare, e alcuni non godendo molta fiducia presso un tale, il cai
consenso era necessario. Avrebbe questo tale , anche con quella
sua incrollabile religione de' patti giurati (a cui non numcò mai )
e per un certo appello, che gli ordini costituiti consentono, po-
tuto impedire il rovescio. Ma, prima di tutto, non ci era co-
sa, cui non fosse stalo disposto di concedere a quelli, ch'ei
reputava voti del popolo ; e poi de' vecchi annaspatori era egli
medesimo, msieme con tutta quanta la nazione , ristucco. Quanto
al dubbio sui sentimenti di qualcuno de' nuovi , il rimedio era bel-
r e trovato , e anzi di già prepai'alo. Siamo in tempi , che si può
d' un istante cangiare in livrea il berretto frigio ; esaltare oggi
le cose e gU uomini , che ieri si vituperavano, e tramutarsi d'ar-
rulTapopoU in cortigiani nò più , nò meno che in sulla scena. I^on
dico, che qualcuno de' nuovi facesse veruna di queste cose; né
che colle adulazioni si cattivasse la stima di chichessia, carez-
zando il cagnohno pel padrone, e scuotendo fino i sonagli del
giullare per acquistar grazia. Pur certamente tra le molte doti,
che i vecchi ebbero, non conobbero mai, che fosse quell'arte
aulica ; sulla quale si scrissero nel cinquecento e nel secento spe-
ciaU trattati , e della quale vi è sempre bisogno in certe forme
di reggimento.
CXlV. SlTonltà apparente de» mederati e de* pregreslatL
È questa la celebre a rivoluzione parlamentare de' 18 mar-
zo » : perocché ci accontentiamo noi ora di questa sorta di rivo-
- 165 -
lazìoni, e le sono anche di troppo per la nostra lena. Che che
però la si fosse, se, per essere cangiati i maestri di cappella,
crediamo cangiata anche la musica , e' inganniamo da vantaggio.
Tranne qualche stonazione di più , i molivi saranno sempre iden-
tici , per la semplice ragione , che non ve ne possono esser altri.
L'unica parte possibile, coir attuai nosti*o indirizzo di governo,
rimane sempre la parte detta moderata, che, per esser sola, ho
già detto , non si potere più chiamar parte. Essa dunque è scissa
in due fazioni o sottofazioni , di cui l' una si chiama de' mode-
rati per eccellenza , e l' altra de' progressisti ; ma le quali , per
essere la medesima cosa, non merìteriano, che il medesimo no-
me. Le chiameremo, per contraddistinguerle, la fazion bianca e
la fazion bigia ; intendendo per quella i moderati primi , puri ,
ortodossi (o gli scavalcati); e per questa i secondi , impuri , ete-
rodossi (o gli scavalcatori ). Degli uomini io non parlo ; perchè
ve ne sono tanti d' illustri e virtuosi sì nell' una , che nell' altra ;
e sopra tutto cosi intemerati e generosi i presenti reggitori dello
stato, che maggior prova non potrei dare della fallacia de' loro
sistemi, che il loro annientarsi appunto ne' medesimi. La diffe-
renza tra' quali non è , ripeto , che formale : imperocché gli uni e
gli altri (non come individui, ma come gregari di questa o quella
fazione) non sono in sostanza , che moderati , come meglio adesso
vedremo. Già la fazione ora vincitrice ha per ausiliare una por-
zione abbastanza notevole dell' altra : senza di che né avrebbe
vinto, né potrebbe custodir la vittoria. Può darsi anche, quando
la discordia entrerà nel campo d' Agramante, ch'ella medesima si
commetta per misericordia o si tramuti nell'altra ; da cui unicamente
può attinger forza, se vuol stare in piedi. E può inoltre darsi , ch'ella
pure in conventicoli o in consorterie si divida, per la morbosità con-
sortesca insita a' sistemi predetti. Di guisa che, staccandosi e
annettendosi le vecchie e le nuove consorterie tra loro , ne nasca
un tal guazzabuglio, che ninno possa capir più niente. In tali casi,
^^k persone sarieno quelle stesse: ma, ammettendosi, che queste
^ieno e rimangano distinte; il peggio é, che non ne sono distinte le
idee. Il disegno , il lavoro e il merito (ahi qual merito ! ) di avere
condotto r Italia agli attuali termini è tutto de* moderati bianchi ,
^i cui non sono al più i bigi , che un' inconscia eresia. Se quelli
si lasciarono sfuggir di mano la direzione ddle cose , ciò non to -
^ie,che questi non debbano imitargli: dappoiché né hanno prin-
tipii diversi, né gli potriano avere. Diversi (per esemi»o) sa-
- 166 -
rìeno, buoni o cattivi, che si fossero, i priocipii entro questo
volume accennati ed entro il seguente svolti; perchè tutti, niimo
eccettuato, affatto pugnanti con quelli de' moderati. Si capisce, che
con essi si sta affatto di contro a loro ; e che anche con un solo
fascio de' medesimi ( se più d' uno gli professasse ) potrebbesi
avere una parte politica, buona o cattiva, che si fosse. N'ebbe
mai la schiera sinistra del parlamento alcuno? pensò ella, che
cogli altri si andava corrompendo e falsificando V Italia ? pewb di
ravviarla pel sentiero sovrano della sua storia e della sua civil-
tà ? si curò di suscitarne la virtù e la fede ? si curò de' ceti op-
pressi ? si accorse della tirannide borghese ? si accorse de' segni
del tempo?... Io naturalmente non parlo delle idee individuali,
che questo o quello de' Cinquecento si abbia nella propria testa;
e cui suppongo tutte luminose , fin quelle de' trecento ignoti. So
anzi, che taluni si hanno idee molto originali e veramente stra-
ordinarie: ma, ripeto, come fazione parlamentare, legale, efficace,
seria, altre i bigi non ne hanno, eccetto queUe stesse de' bianchi.
CXV. Identità retto de* moderati e de* FregreadsiL
— Ah, mi si può dire, e gli audaci intendimenti, ch'egli
hanno nel profondo dell'animo, ti pajon dunque cose da nulla? —
SI veramente , rispondo io , dicevano d' averne qualcheduno , quaii-
d' opponevansi all'amministrazione de' bianchi. Per esempio , d' al-
largare i suffragi, di rendere il senato elettivo, di restituire l'au-
tonomia a' comuni , d' effettuare il sindacato de' pubbUci uflidali ,
d'abolire il balzello su' grani macinati, di togliere il monopoUo ai
banchi privilegiati , di sopprimere il corso coattivo delle cedole mo-
netaU , d' assestar le finanze , e via via. Già qualche cosa biso*
gnava ben dire , per mostrare una qualche differenza d' opinioni ,
0 se non altro per votare contro all' ammiuistrazione suddetta. Or
però, che anuninistrano essi, molte di codeste riforme rìnnegaiio; e
le altre (che fa lo stesso) prorogano alle calende greche , quasi le
fossero tutte quante state canzonature. Io ho già tra tutti colorOi
che adirono l'eredità de' 16 marzo anzi menzionata, sceverato i pre-
senti reggitori , degni di maggiore e miglior destino. E credo , che
codesti uomini , amatori della patria e della Uberlà a niiiiio se-
condi , non mancberiano , se stesse in loro , di fare aiciiii bene
all' infelice popolo. Saranno eglino , o i loro non i
— 167 —
ìd futuro , dalla propria fazione assecondati ; la quale del resto non
si sa più, qual sia? Qui sta la questione : avvegnaché in que' me-
desimi argomenti , per cui ella votava contro in passato , vota ora
a favore , e viceversa. Né si peritano ora alcuni de' suoi caporioni
di dichiarare , che le cose , conoe le aveano i predecessori lascia-
te, andavano ottimamente; e per sin quelle, che furono pretesto
alla recente catastrofe di costoro. I quali migUor conforto in tanto
ramaiarico non poteano per verità avere, che di vedersi in sinùl
guisa approvati ; e di ricevere dagli antichi nemici gli onori del
postumo trionfo. Se non che , supponendo pure , che i bigi aves-
sero già quelle lor riforme attuato o che in seguito le attuino ; pri-
ma di tutto é dubbio , se queste sole , cosi slegate e a franunenti ,
si possano dire un conserto d' idee e quindi un obietto di parte
politica. Forse anche i bianchi contavano, quantunque con molto
commodo , di attuarle. E ad ogni modo vuoisi ben altro per disfare
r opera loro : che é dire tutto V avviamento civile e morale , cui
r Italia ha preso , e tutta questa buffa e sordida tirannide , cui
vo io qui descrivendo. Ciò non ostante , supponendosi , che per
quelle ed altre tali riforme si avesse il detto conserto e obiet-
to ; allora e la fazione bigia ed altre congeneri cose andrebbono a
catafascio , anche senza volere. E di quello , che possa venire in
sua vece e in lor vece, non è qui luogo di parlare. In tal senso
dunque può la predetta fazione alcun servigio rendere air avvenire
(il cui principio spunta già nella crescente dissoluzione del pas-
sato): come del resto avrebbe potuto renderlo T altra, moltipli-
cando gli errori e le insuperabili diflìcoltà. Ma é probabile, che
quella si presti a tal fine meglio , disviluppando più celermente i
btti storici ; o intorbidando cosi le cose , che sopraggiunga a chia-
rirle la logica inesorabile de' tempL Sempre per altro , eh' ella
non giunga colla sua avventatezza troppo presto agU stremi; nel
qual caso sopraggiungerebbe l'altra, che potrebbe dire, a torto
0 a ragione, cosi. — Vedete mo, dove vi hanno condotto, o bravi
figliuoli, questi rompicolli? Noi commettevamo qualche peccadi-
glio, ma veniale; e ordivamo qualche imbrogliuzzo, ma per alte
ragioni di stato. Tranne in quella battisoOSola , che segui imme-
diate al tafferuglio di Mentana, non ostentanmio aiai l'autorità
nostra ; sempre lasciando Ubero il giudizio su' nostri atti , e man-
teaendo alle nostre Ubertà verbali un' indomita fede. Paghi di vi-
verci assorti nelle beatifiche nostre visioni, non peregrinammo
per ia penisola , come cavadenti e saltimbanchi, in traccia di spi-
- 168 -
gnolesche parate, e di plausi monelleschi. Non fummo piaeeo-
tieri e mezzani di veruDO ; né di cospirazioni tenebrose e ìuCubì
ci valsimo per atterrire e per imporci. Non abbiamo per noetrì
particolari vantaggi usale le nostre innocenti furberie ; né disono-
rato la nazione, né sparso il fango dovunque, e sollevtloio fino
a' capegll £ dopo tutto , di avere instaurato un governo da con-
venticoli , ci potrete si accusare : ma , di avere instaurato uo gover-
no... , da non potersi nominare , no. — Dico , a mo' d' ipotesi ,
che, se mai queste cose, o vere o false, si potessero rinfacciare,
i moderati bianclii tornerebbero per alcun tempo in auge. Né anzi
altre , che queste , gU rialzerebbero dal suolo , ove giacciono boc-
cheggianti : e avrebbesi naturalmente allora una sosta. Cionnondime-
no, 0 con tale sosta o senza, Un che dura V assetto da' medesimi sta-
biUto, non possono i moderati bigi, che farsene prosecutori. Dappoi-
ché ciò , che si vede , è tutta opera de' primi : la scuola , la dottrina ,
il pensiero , e (atiimè ) fln la generazione rachitica in culla e col lat-
time costituzionale. Onde poterono i secondi cacciaruegli via, e
occuparne il luogo : ma sempre col debito degli eredi o coli ossequio
de' discepoU , ancora che per verità eredi alquanto degeneri o di-
scepoU alquanto ignari. Sono pertanto questi , vogliano o non vo-
gUano, moderati di seconda roano, e pur moderati anch'essi:
tantoché io, parlando di tutti in questo libro, non avrò mestieri
distinguere tra loro. Imperocché certamente sono i primi mille
volte più responsali di ciò, che noi solTriamo e che io lamento;
per avere eglino per più lungo tempo infestato , e sopra tutto dato
l'abbrivo indeclinabile e l'impronta indelebile all' attuai ordine di
cose. Non calendo tutta>ia a me più degli uni, che degli altri, e
ad ogni modo combattendo io non gh uomini, ma i sistemi , e
trovandomi qui di contro un sistema solo; cosi sono costretto a
trattargli tutti in pari guisa.
GXVL Griteria MggetttTO dalle futad parlaMirtuL
Ecco il mom^to finalmente di risolvere il quesito, di* io
m' era dianzi posto, su' criteri intrinseci , che potretibooo per av-
ventura determinare le nostre fazioni parlamentari. Constatalo,
che le idee, da cui dovrebbono emergere , non ci entrano punto;
converrebbe concludere, anche senz'essere maliziosi e iogmati,
che la vertenza tra loro agitata non sia, se non quella, cbe si
— 169-
saole in questi due brevi detti riassumere: via tu, che ci sto io;
0 via tu , che mi ci debbo metter io. Pure , per quanto si vogUa
da considerazioni meschine e ignobiU prescindere, dal testé di-
scorso incontrastabilmente argomentasi, altra causa di differenza
non avervi tra loro, se non quella che o di sostenere o di combat-
tere una data amministrazione. Il quale se sia un criterio intrin-
seco, mi asterrò di pronunciare (poiché si si accontenta d'assai
poco ora, e bastano anche le frasi in luogo de' pensieri): fatto
sta , eh' esso é V unico , e che si reputa bastevole. Il reggi-
mento, a detta de' nostri subUmi poUtici , non si forma , né può
fungere, se non tra Y antitesi e il cozzo delle fazioni; e dunque,
se non le ci fossero, bisognerebbe ci*eai*le. Ghè, se que' cinque-
cento legislatori , che seggono in Montecitorio ( di quelli , che
Dell' altra aula, non occorrendo punto occuparsi), fossero tutti
d'accordo, si renderebbe il reggimento impossibile. Or, poi-
ché debbono per forza discordare, e nelle idee non discor-
dano, oh qual dunque sarà la ragione, per cui si siedano piut-
tosto al sinistro, che al destro lato? Certamente occorrerà, se
non per causa, che almeno in occasione di qualche partito pro-
posto dal cosi detto ministero, o in altra simile circostanza, espri-
mano un consenso o un dissenso dal medesimo. E, benché si
possa provare co' fatti , che intorno a un medesimo argomento
cangiano i pareri, secondo il cangiare de' cosi detti ministri, non
importa niente. Parrà ugualmente, che non per riguardo alle per-
sone, si per riguardo alle cose, si atteggino a partigiani o ad
avversari. Ma, anche posto che veramente per riguardo alle co-
se, vi è egli motivo per questo o quel progetto di legge o per
simile alto, che debbano sempre e in tutte le cose possibih e
impossibili rivaleggiare, propugnando od oppugnando una data
amministrazione; e costituire in somma una fazione? Certo, che,
se le fazioni sono in questo sistema indispensabiU, bisogna bene,
che in un qualunque modo le si disegnino, e magari anche co'
colorì degU aunghi. Si sa appunto, che nell' impero incancrenito di
Bisanzio le fazioni verde e azzurra dividevano i sudditi , ed eser-
citavano dall' ippodromo la loro efficacia fin sul trono. Per altro,
sebbene ne' bassi tempi tutto si possa vedere e rivedere , queste
le sono fazioni appunto bisantine. E cioè il loro appoggio o il
loro contrasto (notisi bene, generale e continuo) è anche oggidì,
se non da' colori, da poco men futiU motivi giustificato. A me
parrebbe, che quando si rappresenta un popolo e la propria co-
— 170 —
scienza, si dovesse secondo il bene di quello e la voce di questi
decidersi, senza curarsi un jota, che la tal cosa ad altri piaccia
0 dispiaccia. Oibò, quando anch'io mi sedevo in so qoe' stalli,
facevo ridere Ano i più ingenui, a cui andavo di queste frottole
del popolo e della coscienza favellando. E davvero, quando non
si tratta più, che di sostenere o di combattere i depositari muta-
bili della podestà esecutiva, e quindi di votare con la propria
fazione, si capisce, che le sono frottole.
CXVII. Sapporta neoesdtà delle ikilfai parlaMOrtiri.
— Com'è possibile, dicono i nostri uomini di stato, gover-
nare , se non si ha Y appoggio d' una di queste fazioni ; e come
averlo costante e incondizionato, se tutt' i seguaci non sacrificano
le loro convinzioni alla reciproca intesa? — Certo, che non è
possibile, rispondo io, col vostro sistema, se pur governate voi:
ma voi non pensate nemmanco, che ve ne possa esser altro, in
cui pel popolo e colla coscienza si governa. Voi non pensate,
che senz'accordi, senza vincoli, senza ceppi, votando ognuno
secondo le proprie convinzioni, avrebbesi appunto per risultato
l'espressione d'un pensiero comune; ma spontaneo, autentico,
vero. Si manda (per esempio) a partito la tal riforma in consi-
glio : se anche ognuno giudicherà con la sua testa , tanto e tanto,
sommando i giudizi, ne verrà, che sia o approvata o disappro-
vata, come nel vostro sistema. Con la differenza per altro, che
voi avete un consenso artificioso e coartato, e che quello sareb-
be libero e naturale. — Oh, soggiungete voi, come avventurarsi
al caso, 0 ai capriccio di tutte queste teste diverse, che in cia-
scun giorno e per ciascuna controversia avrebbero in propria
baUa la sorte nostra? — Dopo che, replico io, voi poneste ne'
voti d' una fazione la fonte e la durata del poter vostro , è ben
necessario, che voi la desideriate e la deggiate aver ligia e fedele.
Se voi vi credeste i>er contrario gli esecutori deUa volontà pubblica
e non della vostra; vedreste, che il conunettervi a quella sareb-
be, anzi che umiliante e periglioso, doveroso e cauto. Si degna-
vano i romani consoli di obbedire a' decreti del senato e del po-
polo, senza sentirsi offesi nell' amor proprio, e senza porre, come
fate voi per ogni nonnulla, le vostre famose « questioni di gabi-
nelto »; e vi potreste degnar voi. Tuttavia, prescindendo da quo-
sto, vi è egli ragione per ogni diversità di pareri, che Ira voi e
- 17i -
il consiglio de' Cinquecento si manifesti , che tantosto si debba
intendere la fiducia scrollata, e il segno di ritrarsi? Coi vostro
sistema si , perchè gli volete essere suggeritori , e insieme lo vo-
lete di continuo assaggiare e scandagliare, anunonire e intimo-
rire, per sapere quanto possiate sulla sua docilità contare: non
con r opposto. Perchè o la questione è lieve , e non riguar-
da lo spirito complessivo dell' amministrazione ; e allora ( sondo
troppo naturale , che uno la pensi a un modo, e altri a un altro)
non vi è bisogno d' ingrossar la voce e di montare in furia ; né
di fare tutte le altre smorfie e scalmanate, cui voi fate. Oppure
la questione costituisce il cardine delf amministrazione, od è altri-
menti grave ; e allora dovete cedere ad altri il luogo. Non perchè si
siano cattivata la lìducia personale , cui voi perdeste ( giacché voi
ragionate sempre a questo modo, non sapendo pur concepire un
governo superiore alle vostre persone): sibbene perchè altri si faccia
interprete del pensiero vittorioso. Del resto anche tal caso è cosi
difficile ad avverarsi in un governo diverso dal vostro, cioè figu-
rato qual ente ideale e immortale, che non si vedevano appunto
ne' classici reggimenti tutte quelle sorprese , que' volgimenti e que'
capitomboli , cui voi ne' reggimenti romantici subite. Una sola
eccezione seria potreste a vostra difesa allegare: che i ministri
del principe debbono ne' parlamenti la volontà anche del principe
osservare; e quindi non lice loro a quella del popolo o de' consi-
gli esclusivamente badare. Se non che per una eccezione, io ve ne
contrappongo tre; e tutte, come dicono gli uomini di legge, pe-
rentorie. Prima, che codesta necessità viene da' reggimenti vostri,
e non già da' reggimenti razionati : seconda , che dopo tutto per
volontà del popolo o de' consigli predetti dite voi stessi di salire,
rimanere e scendere; e terza, che in certi luoghi queir altra vo-
lontà è divenuta ... l' araba fenice. E , se per ventura , in vece
di queste due altre volontà, non vi fosse, che la vostra; o, peg-
gio ancora , nemmanco la vostra ? La cosa veramente sarebbe enor-
me, e voi siete uomini capaci di non accorgervene: ma, guar-
date , mi vo' provare a convincervi anche di questo.
Civili. Oiogo poeto alla volontà individiialo dal ristema fiuiooo.
Abbiamo veduto, che il parlamento è diviso in fazioni, che
queste non hanno proprie idee; e che l' unico carattere per diffe-
renziarle sta in sostanza nelf essere o fautrici od osteggiatrici di
« 172 —
una data amministrazione, cogliendo pretesto da questo o quel-
Tatto della medesima. A quest'ora dunque si comprende , pre-
scindendo da considerazioni puramente personali, e presupponen-
do le più rette intenzioni, che le fazioni stesse sono, per dirla
alla tedesca , soggettive e non già oggettive. Ma sopra tutto, che
non è propriamente la volontà del consesso elettivo quella, che
regge per un dato periodo lo stato: si al più la volontà delia
fazione in esso prevalente. £ ve ne potete, miei buoni lettori,
persuader tosto, guardandovi attorno e considerando, che prima
lo stato era da' moderati vecchi retto, ed ora lo è da' nuovi , so-
prannominati progressisti. Ciò in quel giorno accadde, che i vec-
chi si scompaginarono per quelle gravi ragioni, cui «q)ete; e i
nuovi, cosi rinforzati, poterongli balzare dal seggio. Prima non
vi era, e in seguito non vi sarà bisogno di tanto: perchè non pei
battibecco delle fazioni, ma per quello più casereccio delle con-
sorterie d' una medesima fazione, tramutavasi e tramuterassi il
governo; e potete immaginar\i con quali principii! Testé per altro
una fazione in corpo scavalcò V altra : è da questo punto si può
vedere della pallida luna parlamentare una nuova fase. £bt)ene,
da questo punto la prima, se non vuol perdersi, deve sostenere
a tutta prova i suoi duci , lìn che creda o possa dar loro lo scam-
bio; e la seconda, senza misericordia combattergU. Si potrebbe
lusingarsi, che, almeno in tal guisa partigianesca, quella potesse
prescriver loro i suoi propositi, o se non altro consigUargli : ma
come? I propositi, per potergli dir suoi, bisognerebbe prima di
tutto, che fossero de' suoi membri : e questi non ne lianno, e non
ne possono avere. E dogma de' nostri sublimi politici , che i de-
putati non debbano secondo le proprie convinzioni votare. Beosi
secondo un' ispirazione , che dee naturalmente da qualcuno venire
( e vedremo da chi ): ma che s' impone a loro. A me sembra
questa una sommissione fratesca: essi nel lor linguaggio furbesco
la chiamano <( disciplina di partito ». Ed è tanto rigorosa e infles-
sibile , che chi la infrange è tosto additato come misleale; e qoe*
pochi , che non vi si acconciano (che saranno appena una dedui^
e tra' (juali ci ero io \ ne' loro elenchi gli notano , sogghignando,
sotto la rubrica : incerti. Qualsivoglia legge o provvedimento man-
disi a partito, non si dee dunque giudicare con considerazioni astrat-
te, cioè secondo che sia buono o cattivo in sé medesimo; bensì
secondo che grato o sgradito a' moderatori temporanei deli' ammi-
nistrazione imbblica. Se in certi momenti uno spirilo reeondito
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grida dal profondo del petto, che una tal cosa non va; tosto ac-
corrono gli esorcisti di scanno in scanno a cacciamelo, coli' asper-
ge della predetta disciplina. — Ma noi non possiamo contro i
cittadini , che hanno la franchigia del ragunarsi , approvare la di-
spersione violenta delle lor ragunate; non possiamo al povero
popolo, che abbiamo dispogliato, aggiungere nuove avanie; non
possiamo fare ciò, che alla nostra mente e al nostro cuore ripu-
goa. Deh, lasciateci liberi almen questa volta, questa sola volta,
per carità: nel resto, o crudeh, vi obbediremo! — No, sarebbe
un voto di sfiducia ; il ministero cadrebbe ; la dareste vinta a' no-
stri avversari ; e dopo ne verrebbe il finimondo. — Di modo che
gli scongiurati, loro mal grado e anche a fin di bene, si rasse-
gnano a quella , cui reputano necessità. E le immolano Y ultima
libertà , che serba Y uomo anche servo, la libertà dell' anima.
CXIX. Giogo posto alla volontà connine dal sistema fikiioBo.
Per tale necessità è evidente, che anche la volontà delle sin-
gole persone , componenti la fazione predominante , se n' è ita.
E , poiché la volontà dopo tutto è una facoltà propria di ciasche-
dun uomo, ed anche questa disparve; che cosa sia quel, che vi
rimane, io non saprei dire. Potendosi tuttavia accampare una
volontà collettiva , che facesse le veci dell' individuale , e che del
resto la sarebbe sempre una fineione di diritto e non una realtà
di fatto, consideriamo ora anche questa. Anzi tutto tale volontà
collettiva non potrebbe, che da un accordo di più seguaci della
fazione predominante emergere. Onde, dopo avere la maggioranza
de' cittadini creato il reggimento , la maggioranza degli elettori il
coiisigUo, la maggioranza de' deputati la fazione predominante e
la maggioranza de' faziosi la volontà della medesima ; di maggio-
ranza in maggioranza apparente andrebbesi a una tale minoranza
effettiva , che la potrebbe anco essere un' inconcludenza. Ad ogni
modo, se questa, chiamiamola pure, maggioranza della fazione
predominante (eh' è quella in sostanza, che tiene a baUa lo sta-
lo) dovesse veramente avere una propria volontà; converrebbe,
avesse un tal quale organo per generarla, e per esercitarla. Il
che in qualche modo si è cercato di fare con que' taU comitati
della fazion bianca e bigia e altrettali: a' quali si è per sino data
una costituzione regolare e perenne, come fossero ordini del par-
- 174 —
lamento anch' essi , e qualche cosa di analogo al magistrato della
parte guelfa nella repubblica fiorentina. Si è anche conteso, se
il comitato della fazione predominante dovesse essere diretto e
presieduto dall' arcicancelliere del regno, o (come Io diccm essi)
« capo del gabinetto »; oppure da persone diverse. Nd primo
caso è più evidente, che questi lo ha in soggezicHie: ma anche
nel secondo, cotali persone diverse o sono una specie di suoi
commissari e procuratori , o noi sono. Se suoi procuratori e com-
missari , toma lo stesso, eh* egli Io dirìgesse e presiedesse. Se in
vece neutri affatto, puri interpreti della volontà del comitato, e
semplici araldi di questo presso il sullodato gabinetto, sarebbe
la cosa ben grave. Allora si avrebbe una specie di conciliabolo,
simile agi' inquisitori di stato e ai dieci , che nella decadoite ve-
neziana repubblica segretamente si sostituirono ali* azione pubblica
de' pregadi e del consiglio maggiore. Con la differenza per altro,
che quivi solamente in torbidi casi di stato e in servigio ddla
gelosa Nemesi repubblicana; e colà sempre, e in servigio di non
si sa chi. n governo ad ogni modo spetterebbe allora a codesto
conciliabolo, che agisce in privato, senza riti e forme di legge,
contro gli ordini costituiti palesi ; e con un' autorità sopra tutto,
cui ninno gli ha mai data. In tal supposto avrebbesi a diritture
un reggimento nel reggimento: né sarebbe meraviglia, che si
avverasse anche questo. Dappoiché non vi é assurdo, a cui non
possa giimgere la logica faziosa; né assurdo, che non si possa qm'
ora collaudare. Frattanto nìun nomo di senno, tranne che volesse
rovinare lo stato deliberatamente o, per pascere la propria vanità,
divenire il trastullo d' una congrega settaria , vorrà tali condi-
zioni accettare. Vorrà in vece moderare egli stesso il comitato
predetto : e in tal supposto, oltre il parlamento ampio e pubblico,
avrebbesene altro ristretto e famigliare; al quale ultimo ricadrdi-
be in sostanza il potere, da quello abdicato. Comunque sia,
facendosi egli moderatore del medesimo direttamente o indirellt-
mente, o in altro modo indettando i propri partigiani, lo teirà
obbediente. E dico in altro modo indettando: panche si può e
si suole , anche senza Y opera de' comitati , pari effetto raggimi-
gere, mandando fra gli stalli certi armeg^noni, che bisbigliaiio die
orecchie di questo o di quello il tal voto, sollecitano i tardi,
riscaldano i tiepidi, rinfrancano i vacillanti. Per non dire, che
fanno altresì girare intorno le proposte e gli schemi, e fino le
cartoline de' designati a certi uIBci e a certe pratiche.
- 175 —
CXX. IrUtria della padeità eoeeatiTa Tane 1» legridattn.
•
Si capisce quindi, che, se i ministri non possono obbedire
la iMt)pria fazione, deve di necessità questa obbedire loro: ma
oom* è , che gU obbedisce ? Io tralascio tutte le considerazioni
d'un* indole, da cui troppo la natura noia rifugge, e che del re-
sto od giudicare deUe cose umane, hanno troppo spesso un va-
lore essenziale. Vuo' supporre , che per niun premio, favore , pro-
messa, aUettativa, speranza, sieno i voti carpiti. E che ninno si
determini a prendere tal luogo, piuttosto che tal altro, figurandosi
di trovarvi qualche beneficio diretto o indiretto, immediato o me-
diato, prossimo o remoto, lucroso od onorìfico, visibile od invisi-
bile. Né, che alcuno mai, stanco del lungo mirare in vano l'ofla
e di vedersi entro quell'aula menato come il can per l'aja, per-
da la pazienza e si rivolti all' opposta parete. Dico, per la propria
eflBcacia del sistema attuato accadere, che per un certo tempo si
abbia una cieca obbedienza colà entro, né sì possa non avertavi.
Imperocché, quando un certo numero di persone é sollevato alla
podestà esecutiva dello stato, ciò naturalmente significa, che una
gran copia di suffragi patenti o latenti della propria fazione ve
r abbia portato. Tosto , tosto adunque una diserzione non si pub
dare, tranne che proprio per fare una ragazzata: ma ad ogni
modo, se si avverasse uno screzio, la fazione ne andrebbe rotta.
Dopo avere con una penosa agonia sospirato il giorno di porre
essa alla coronati sostentaceli, ella é già impegnata a far da ca-
riatide: giacché altrimenti vedrebbe ito in dileguo il suo sogno.
Per un dato tempo cioè dee, per la sua stessa esistenza, stare
unita ad ogni costo: giacché, se una scissura anche ragionevole si
manifestasse nel suo seno, sarebbe un darla vinta alla fazion con-
traria. Oltre a codesti voti, cui si potrebbon dire appena cordiali
e simpatici , il ministero da essa creato ne ragranella mano a mano
litri, qui e là per r aula. Prima di tutti, quelli degli uomini cosi
detti govemaiivi, e che sono i migliori tra tutti: i quali, consi-
derando, che lo stato ha bisogno di stabilità, e che con tutto
questo cangiar di ministri se ne va a rotoli, sosterrebbero anche
0 diavolo, se si degnasse di fare il ministro, lasciando queU' altro
inferno per questo. Poi queUi de' cosi detti uomini ministeriali;
i quali, se vogUono serbarsi costanti, debbono bene ad ogni mini-
— 176 -
stero, che si succede, cangiare e mostrarsi ossequientL E non parlo
di coloro, che danno sempre ragione ai vittoriosi , e sempre torto
ai vinti Se tutto ciò non basta, i| ministero nuovo ha subito
in mano tutta la immensa possanza dello stato per « Care una
camera » (come si dice) di suo genio. Il seggio della medesima
già è composto de' suoi creati , o da persone tratte dalla propria
fazione. Di modo che fin nell' autorità intema d' un corpo, la qual
dovrebbe naturalmente rappresentare , quanto più possibile , la va-
rietà delle diverse opinioni acxx)ltevi senza differenza di fazioni,
od essere serena ed imparziale tia le medesime, la esdusione fa-
ziosa è posta a fondamento. E , quanto questa possa avere efficacia
anche nelle consulte e deliberazioni, che poi vi si prendono, è
una cosa, che ai trascurati sfugge. I quali, se considerassero,
quanto prema suir esito delle medesinoe il metodo e X ordine di-
verso di porvele, per altro se ne avvedrebbero. Ma anche ciò del
i^esto è un' inezia in paragone di quello, che il ministero può tare.
Dappoiché, per certe circostanze, di cui in sostanza il più delle
volte è arbitro esso medesimo, indicendo le generali elezioni, possa
a dirittura costituire esso medesimo la nazionale assemblea in
quella guisa, che vuole: ed ecco come.
CXXI. Arbitrio nel oostituire la rappresenttan aaajaaala.
Primieramente esso ha la stampa cotidiana o la maggior
parte della medesima a' propri servigi ; e a questa dà il comando
(li patrocinare i candidati, che gU sono benevisi, e di vituperare
gr invisi. I suoi amici corrono qui e là per la penisola come suoi
mess;iggieri a ordire accordi, adunar congreghe, pubblicar mani-
festi ; acciocché le candidature si formino secondo il suo disegno,
ordinariamente preparato dalle capitudini della fazione. Per non
dire de^li altri ufliciali pubblici, ogni prefetto, ogni vicq[)refèttOy
ogni sindaco (chiamansi siìidaci ora i capi de' comuni, il che
sarebl>e cx^me chiamarne gonfalonieri i computisti); ognuno, dico,
di questi ufliciali conosce ne rispettivi distretti, qual è la persona
dalle predette cai)itudini pro[)Osta o proscritta. Tosto si accingono
a un grande lavorio, nel (juale tutta la loro attività assorbesi, e
specialmente quella de' prefetti: i quali anzi, si può dire, non
hanno altro da fare , che codesto. L' esercizio del loro ufficio è
una cosa da nulla in |>aj*agone deir arduo couipito elettorale, a cui
— 177 —
eglino e i loro dipendenti son destinati. Se non sono creduti ac-
conci a questo, si tramutano di sede o si destituiscono: i rima-
sti, se si mostrano inetti, fiacchi od anche, senza lor colpa, nel-
resito sfortunati, si attendano una punizione. Tutto il loro mte-
resse gii spinge ad essere zelanti flilo alla temerità, ed a capire
anche quello, che non è loro comunicato. Perchè, di ammini-
strare bene o male le provincie, ninno chiede loro conto: bensì,
se non vogliono cadere in disgrazia, debbono a ogni costo vin-
cere negli squittinì. In qualche distretto, lo spirito civico è cosi
languido o la pecoraggine umana cosi supina, che basta senz'al-
tro si sappia , qual è il beniamino prefettizio, che tutti votano per
lui. Tanto più che qualche croce cavalleresca o qualche altro nin*
nolo pedestre ne potrebb' essere il guiderdone. Nel più de' distretti
la renitenza in vece sendo grave, non si risparmia maneggi d' ogni
sorta per superamela. Se la generalità degli elettori è risentita,
le si promette una strada ferrata; se il candidato ministeriale non
piace, gli si fa contrapporre altro o più altri, che non riusciranno;
se vi è un terzo candidato, che incommoda, lo si fa senatore; e
via via. Occorrendo ancora un soccorso di voti, si fruga negli
archivi del censo e in altri cotali ripostigli, per « completare i
ruoli degli elettori »; e lo si fa scaturire. Alla più disperata, non
manca la disgraziata famiglia degli scrivani , de' gabellieri , de' birri
e di altri provvisionati pubblici, da cacciare alle urne. Sanno già
costoro quello, che i superiori vogliono; e, se non lo sapessero,
ne saranno con qualche ufficio informati, e magari con qualche
esortazione incitati. Vennero alla luce per fino documenti pubblici ,
ne' quali tale esortazione appariva senz'altro un'ingiunzione. Que-
sti per altro e le congeneri cose, che sopra io esposi, in massima
ora da' moderati bigi le si disconfessano. I quali affermano , che
la volontà del popolo si manifestò negli ultimi suffragi sincera,
libera e sovrana: e, quando lo afferman essi, chi ne può dubi-
tare ? Fatto sta , che le predette mene si potranno abbandonare ,
o finger d'abbandonare: ma che, anche abbandonandole del tutto
e da senno, fa parte delle teoriche costituzionali qui universal-
mente accettate, che il ministero abbia diritto e dovere, almeno
in modi decenti , di dare un tal quale impulso alle elezioni. Come
potrebbe , protestano i dottori delle medesime , cimentarsi altrimenti
al cieco responso delle urne , lasciare la moltitudine sciolta e priva
di lumi, concedere ampia balia a' nemici di soverchiarlo? E doversi
rimanere inerte e passivo spettatore, senza nemmeno poter oon-
12
- 178 -
tenere il fiotto contrario? A noi, gente alla buona, parrebbe, che
le singole persone, componenti il ministero e la fazione ministe-
riale, potrebbero ugualmente fare codesto come privati: non già
valendosi della pubblica veste e deUa pubblica autorità. Già al co-
spetto degli altri trovansi in una condizione migliore, per lo staio
(U possesso e pel lustro, che il grado aggiugne loro inavvertita-
mente. Che, s'ei non possono nella qualità di privati conseguir
quello, che co' pubblici mezzi si propongono; vuol dire, che noi
debbono. E , se tuttavia possono per le anzi accennate teoriche va-
lersi de' pubblici mezzi , costituendo la nazionale assemblea a lor
modo; questa, cosi costituita, non è più la rappresentanza del
popolo: è la rappresentanza del ministero.
CXXII. ArUtrio nel determinare la rappresentaatt aarimiale»
Ck)n tal sorta di natali , si può di leggieri comprendere, quale
volontà possa la predetta* assemblea esprimere, e quale Ubertà
avere verso chi la costituì. Oltre la simpatia di fazione, oltre
r omaggio delle s|)ontanee reclute , di giunta professar dee la ine-
vitabile deferenza , che viene da' rap|>orti di clientela e , sto quasi
per dire, di procreazione. Le ufficiali commendatizie agli elettori
si volgono naturalmente sovra amici giurati ; o sovra persone, che
non hanno propositi propri , e che cominciano allora per la prima
volta ad avere gli altrui. Il titolo, mercè cui traggonsi dall'oscu-
rità, è generalmente quello di essersi poste in evidenza, arrin-
gando nelle ragunate e nelle compagnie, sotto qualunque pretesto
fondate a bella posta, perchè le possano arringare, non importa
su che. Basta anche essere ascritti in una brigata camescialesca ,
ed essere stati i più verl)Osi tra gli zanni raccoltivi. £ cosi, in-
sieme con la povertà delie idee, viene tutta quella docilità accap-
parata, che si può al mondo trovare; e che per soprassdlo è
resa dal pratico andamento delle cose parlamentari maggiore. Ha
in fatti abbastanza di che lottare una fazione per difendersi dalla
rivale , senza che vi aggiunga di proprio la lotta co' propri capi-
tani. E questi sono abbastanza impediti nell' esercizio deDe pro-
prie funzioni, dovendo continuamente lottare contro gli avversari,
senza che vi aggiungano nuove ostilità i propri gregari. Ijo stesso
amor di patria in fine dee costringer gli ultimi a sostenere i primi
in ogni incontro e in ogni affare ( ragione o torto, che si abbìuìoX
- 179 -
se uon vogliono vedere afiatto sfasciarsi il governo. Or si con-
sente loro una cosa e or V altra, or si chiude gli occhi su questo
e or su quell' errore ; di necessità in necessità , di arrendevolezza
in arrendevolezza lasciando al postutto , eh' ei facciano tutto ciò,
che vogliono. Se mai accennano del resto i gregari a piegare,
subito i capitani pongono quelle immancabili questioni di gabinetto,
che gli sforzano a compiacergli. Tutt' i lor voti sono da tali que-
stioni adulterati, avviluppati, confusi, soffocati, estorti: né vi ha
manco bisogno per le medesime , che Y oggetto sia d' alcuna im-
portanza. Qualunque inezia basta a tanto, e anzi precisamente
un* inezia : perchè appunto è sottinteso, eh' esse e per fino quelle,
che decidono della caduta d' un gabinetto , non hanno alcun va-
lore in sé medesime; ma semplicemente strategico. Fosse anche
per giuocare un terno al lotto, quando un gabinetto pone o accetta
una data proposta, quale indice di fiducia o di sfiducia, la divie-
ne tantosto essenziale: né vi ha anzi altra essenzialità, che questa.
La volontà dunque, nemmeno quella della fazione ministeriale
e' entra più : onde unicamente ci potrebbe quella de' ministri entra-
re. — Se non che , qui mi si può osservare , veggiamo pur qual-
che volta, i suffragi degli elettori non assecondare i ministri,
0 quelli degli eletti abbandonargli. — Certo, che questo acca-
de; altrimenti non si muterebbero i ministri stessi: ma questo
appunto mi avvia a dimostrare Y ultimo assunto , eh' io m' era
proposto. Vale a dire, che nel nostro sistema costituzionale fino
la volontà de' depositari della podestà esecutiva vien meno. Ed
anzi tutto si vede chiaro, ch'essi quella speciale funzione loro
demandata , e da cui prendono il nome , eh' é di ministrare lo
stalo pel principe , non la esercitano, né la possono esercitare. As-
sorti nelle guerricciuole parlamentar[ continuamente e quasi esclu-
sivamente, tengono il proprio ufficio come cosa secondaria; e lo
commettono alla balia de' propri dicasteri , che a lor volta lo
commettono alla balia della ventura. Tutta la loro attività si spie-
ga, logora ed esaurisce in tali guerricciuole: né si possono curar
d'altro, che di tenere in ordinanza i propri seguaci, e di vigila-
re, infiacchire e debellare gh antagonisti. Niente quindi di pro-
prio, di originale e di vigoroso possono anche in questo campo
fare : eccetto che se per Y aura d' una gran fama potessero
fare i prepotenti, e governare in effetto, come Camillo di Cavour
per alcun tempo, a modo assoluto. Si usa anzi contro la intrave-
duta loro inanità costituzionale invocare cotale esempio, adducendo,
- 180 -
come quegli potè co' consigli ragunati io parlamento « fare V Ita-
lia ». Per altro in questo caso il parlamento non sarebbe, che
una mera parvenza, governandosi non con esso e in grazia di
esso, ma in onta e contro: e si vanterebbero i suoi ordini, pro-
prio per deludergli. Tutta V abilità starebbe nel fingere , che ci
sia, e nel trattarlo, come non ci fosse, mediante un giuoco di
lustre e di pressioni: il che, quanto sia decoroso e leale, lascio
di giudicare. Nondimeno, poich' esso non sarebbe più die un im-
paccio; e, in vece di trarne vantaggio, si avrebbe a schermirsene,
tanto sarebbe, che alla bella prima si preterisse.
GXXIII. GoTemo prÌTO d' aatorìtà e d' effloadfti
La podestà dittatoria di quel valente uomo, e cosi quella,
cui i)oscia imitò in Germania Ottone di Bismarck , erano dei resto
dalle circostanze straordinarie, che richiedono mezzi e di regola
anche uomini straordinari imfìo^e: e megho anzi sarebbe, che
le fossero state più risolute e più sincere. Quando poi da codeste
straordinarietà si prescinda, nelle quaU press' a poco i parlamenti
si degradano sino alla bassezza di stupide turbe plaudenti; non
si può tirare innanzi, che pjiscendosi e pascendogU di vento. La
forza e la durata de' ministri dipendendo dall' appoggio della ri-
spettiva fazione, bisogna cioè costringere questa ad arar diritto.
Onde, il pungolo non potendosi usare, usasi a tale uopo un seguito
continuo di compiacenze e di astuzie, nelle quah le idee e le con-
siderazioni in genere del pubblico bene non hanno punto luogo.
Imperocché, se la fazione avesse proprie idee, come le avrebbe
una vera parto politica, allora sarebl)e da queste ispirata e unita.
Sendone in vec« priva, bisogna con argomenti per lo meno acces-
sori e artilìciosi guidarla e raffermarla. Il modo migliore sarebbe
quello di far niente; perchè appunto è impossibile con tal sistema
di fare alcuna cosìì bene, o di proprio capo. Tanto che, quando
occorse tra noi compilar coglici o leggi organiche, convenne,
traendo pretesto da una guerra o da altro tal motivo estraneo
alla legislazione, im|)etrarc pieni poteri dal parlamento; e cioè
prescintlere dalla sua oj^era, ch'esser diceasi legislativa. Ma, do-
vemiosi pur 4|ualche cosa fare, è giocoforza farla male e non
di i>roprio ca|)o (cioè non nel modo, che si presume voluto); e
per soUto a vicenda ingannandosi, benché senza malvagio fine.
— 181 -
rninistri e deputati. L' anìbiguità quindi è la naturale strategia ,
a cui bisogna ricorrere; e che si vede appunto abbracciata per
superare in genere tutte le difficoltà superabili. Noto è, come
tra noi, nelle consulte e nelle deliberazioni del parlamento, le
formule de' partiti o ( come le si chiamano ora ) gli « ordini
del giorno » si succedano, s'incrocino, s'arruffino, s'azzuffino
e s' arrabattino con una tal vertigine , da convertirsi in disor-
dini del giorno. Chi è buono di capirne qualche cosa, vai più
di Edipo; ma è a dubitar forte, che molte volte non gli capi-
scano le sfingi stesse, che gli presentano. Dovendosi conciliare
gli opposti pareri, e a tale uopo cercai'e, che ognuno vi sembri
incluso; vince di regola la formula equivoca, o quella, che non
lia venin senso affatto. Il risultato è, che il pensiero di nessuno
si può manifestare; e che, mentre le necessità urgenti dello stato
dettano i loro imperiosi comandi, fra le medesime si naviga co-
gli spedienti , co' capricci e cogli enigmi , fin dove si può con
tali timoni navigare. Non più quindi la libera elezione; ma il
caso 0 una possa indefinibile, dì cui sono vittime e strumenti
inconsapevoli, deputati e ministri, regge lo stato. Come uomini
ascrìtti a una segreta congiura, mossi e tenuti sgomenti da capi
ignoti, né gh uni, né gli altri possono più del proprio arbitrio
usare, e nemmanco un proprio discernimento conservare. Il ri-
spetto alle convinzioni individuali , alla voce della coscienza e alla
volontà del popolo, che unico potrebbe stabilire un governo per-
petuo e impersonale, e in uno fervido di consigli e d'opere, fu
proscritto, per avere una fazione ligia e fedele; senza cui, dicesi,
che non si può governare. Ciò non ostante, questa per quelle mede-
sime considerazioni puramente soggettive, da cui ebbe vita, lan-
gue, ondeggia, periclita. E viene finalmente il giorno, che i duci
si trovano disertati dalle milizie, in quella medesima guisa, che
le rannodarogo. Ch' é quella appunto alla barbara, tra i nappi di
cervogia... , cioè no , tra i calici di malvagia , confessata a Legna-
go da un celebrato maestro di questa sorta di dottrine civili.
CXXiV. Anarolda insita al reg^grimento borpheae.
Quanto é fin qui stato esposto sulla pratica applicazione della
nostra forma politica chiaro manifesta, che né la volontà del
prìncipe, né quella del senato, né quella del popolo (supposto,
- 182 -
che fosse tale il corpo elettorale o il corpo da esso eletto), e
nemmanco quelle delle fazioni e de' ministri comandano. Qualche
volontà clandestina naturalmente si sostituisce a tutte queste, che
potrebb' esser quella della plutocrazia o della tirannide, cui io
qui svelo. E certamente, quando nel seguito di questo libro ve-
dremo, come con questa forma si è resa la nazione un patrimonio
deUa borghesia e ricettata fln la patria in ghetto, ci dovremo
convincere, che quella sola volontà impera, e che tutti dall'alto
al basso, senz' accorgersi , la riveriscono. A non tener conto di
ciò ora , siccome la borghesia ( dico quella vera } di regola non
ambisce di governare direttamente, né il ghetto osa esporsi di
troppo; già il lor fìne è raggiunto, quando ninno governi, e
possano essi impunemente attendere a' loro affari. La essenza del
governo borghese è quindi Y anarchia: nel doppio senso, che effet-
tivamente non si governa, e che ninno ha virtualmente il potere
e il modo di governare. Volendosi, in altri termini, senza freno
alcuno succhiare il sangue al popolo, e senza proprio pericolo rovi-
nare Io stato, si è inventato il parlamentarismo. Il quale non po-
trebb' essere più acconcio a favorire gli abusi , e insieme più atto
a mascherargli : dappoiché T assurdo e X illusione sono i suoi car-
dini. Sotto nome di separazione de' poteri costituzionali, di ^^t-
lihrio tra gli ordini supremi, di vicenda delle parti e di die
so io; si é fondato il reggimento sulla diffidenza, sulla discor-
dia e sull' impotenza. La podestà esecutiva é inceppata ne' suoi
movimenti; e insieme, ponendosi sotto T egida de' corpi legisla-
tivi , e dando una forma legittima e un' aria liberalesca a' pro-
pri atti, perde quel principale stimolo al bene e ostacolo al
male, che potrebbe nella propria responsalità trovare. I corpi le-
gislativi a lor volta si struggono in vane gare e in vane ciancie:
nelle quali non é lecito nemmanco a' più valorosi uomini ( molti
de' quali seggono, come ho detto, in essi ) operar niente dì buono.
Il lor cuore e la loro mente, i loro affetti e le lor cognizioni
non valgono niente colà entro: anzi d'ordinario, essi i primi,
sono il ludibrio de' più furbi e de' più oscuri. Essi prestano i lor
nomi illustri, i lor passati gloriosi, le loro fame pure, le loro
nte incontaminate a pochi altri, che se ne valgono di bandiera
e di salvaguardia. E il peggior guajo é, che questo inutile tra-
mestio e questo sonoro vaniloquio si prendono per libertà; dap-
poiché appunto i nostri moderati di ogni specie credono e fìinoo
credere, che la libertà stiasi in tale logomachia! Non nego, eh'
- 183 -
tatti non Y amino sinceramente , né che la forma da loro instaurata
non ne conceda molta, e anche per certi conti soverchia. Ma è una
libertà formale , e sopra tutto falsa : è la libertà ai malvagi d' in-
festare, e agr innocenti di rompersi il collo. È la libertà, con cui la
borghesia ha raggiunto il suo intento; e, raggiungendolo, ne lo ha
reso grato. Ha mandato censettanta avvocati alla camera: potea
far di più , per ammannire al pubblico uno spettacolo permanente
di fasti curiali, di orazioni prolisse e di dispute sottili? Costa ve-
ramente un po' caro tale spettacolo, cui la nazione paga colla pro-
pria umiliazione e col proprio scadimento: ma che importa?
CXXV. Reggimento sensa ossequio pubblico.
Oltre le calamità , che col reggimento politico dianzi descritto
si andarono accumulando per un'ineluttabile conseguenza, e che
verrò in seguito esponendo ; due sinistri sintomi si sono sin d'ora
manifestati. Da un lato la stima e la riverenza universale non
lo suffragano, e dall'altro i buoni lo sfuggono: onde si è, per
causa d'entrambo, dalla nazione divorziato. Que' pochi, che si
affaccendano o sognano d' affaccendarsi , reputano , che lo spirito
della nazione sia tutto raccolto e intento nel loro perditempo e
perdifiato parlamentare: né s'avveggono, ch'essa gh ascolta tra
indifferente e nauseata. Spesso i consigli vanno deserti , o fungono
irregolarmente con una pienezza fittizia e coatta; perchè i più
degli stessi consiglieri si stancano di dovere assistervi, come sem-
plici uditori e pazienti. E spesso dalla urgenza de' bisogni pub-
blici e dalla imminenza de' termini fatali , se non anche dalla vo-
glia di sciogliersi per le ferie natalizie e pasquali, si decidono
senza riflessione e senza serietà. Tre quinti appena degli elettori
partecipano a' comizi; e i più, tirati per forza o da privati riguar-
di 0 scongiuri, come se si trattasse di cosa, che a loro non cale.
È un fatto innegabile, che questi medesimi non pregiano niente
il proprio privilegio; e parlano de' propri mandatari generalmente
a un modo, che arieggia ]a noncuranza o il fastidio. La stessa
stampa ministeriale , sotto il governo de' moderati primi , ogni
qual volta l' uno o l' altro consiglio mostrava alcuna velleità d' in-
dipendenza, ricolmavagli d'oltraggi impuni, o gli trattava come
branchi di chiacchieroni e di fannulloni. È questo il rispetto, che
gi' ispiratori di cotale stampa professavano verso i supremi corpi
— 184 -
dello stato, partecipi della sovranità, e a coi spetta la medesima
maestà del principe! SQdo del resto chiunque a dimostrarmi, che
tali corpi godano il prestigio, io non dico delle camere inglesi;
ma nemmeno de' più oscuri consiglietti de' più oscuri staterelli.
Le p(^rsone tutte, che ressero lo stato, anche le più integre e
le più devote al pubblico bene, furono tal volta da Ubellisti e
novellieri spudorati vilipese con una furia, che minacciava le ri-
putazioni più inconcusse e più degne; e costringeva quasi gli
onesti a ritrarsi da un agone , ove non era più salvo V onore. E
cessai'ono codesti novellieri e Ubellisti prima per propria stan-
chezza, che perchè ne' terzi venisse meno il piacere dello scan-
dalo 0 la voluttà del fango. Quanto al governo, se si reputasse
un'entità astratta, superiore alle discordie, alle passioni e agli
stessi uomini, avrelibe quell'augusto carattere, per cui gli anti-
chi come capo della patria lo veneravano. Inteso in vece come
cosa faziosa , non dà luogo, die a' sentimenti , cui le fazioni pos-
sono meritare; gli atti improvvidi e le persone scrollate nella
lor fama, insidiate nella loro autorità, spossate nel loro pensiero.
In fatti r etemo cicaleggio e la ignobil zuffa , a cui devono que-
ste assistere e da cui schermirsi, ne logora fino le forze mprali
in guisa , che si può dire essere tra noi l' agone politico un Sa-
turno, che le divora, come per troppi esempi si potrebbe com-
provare. Nel primo trimestre del 1877 assistemmo alla enormità
di una scissura fìn tra' medesimi governanti, i cui giornali divisi
faceano strazio dell'uno o dell'altro di loro: ed è facile conce-
pire, che ossequio possa%un governo con tali mezzi mantenere.
Poco appresso assistemmo pure alla vergogna , che due cosi detti
ministri delV intemo, cui io presumo a torto imputati , si do-
vessero di seguito dimettere (come dicono nel loro gergo questi
giornali ) <c per causa di pubblica moralità ». £ , nella tornata
de' 14 decembre 1877, chiedendo 162 deputati contro 184, cbe
il governo rispettasse il segreto telegrafico, non si sa tra costoro
stessi chi avesse della pubblica dignità concetto peggiore. Pre-
scindendo da ciò ( eh' è difetto anche d' uomini ) e solamente
curandosi del difetto de' sistemi , questi soli bastano a gettare il
discredito su tutta la pubblica azione. Noi siamo a tal punto,
che il governo del regno d'Italia, cioè d'uno stato d'oltre ven-
tisette milioni di regnicoli; non ha una millesima parte del pre-
stigio goduto dal governo della repubblica di Sanmmrino, cioò
d'uno stato di appena settemila cittadini. E chi ne dubitasse.
- 185 -
salga il Titano, che non è lunge; e vegga in si umil fortuna,
cosa sia un governo air antica, e quale venerazione e quanto
amore lo circondi!
CXXVl. Beggimento senaa pubblico sefiniito.
Vi è poi r altro sintomo, che troppi si ritraggono dalla civil
palestra, quasi non vi possano più trovare né il modo di fare il
bene, né la possibiUtà di rimanersi buoni. E questo non potreb-
be esser peggiore; perchè non vi può essere più terribile con-
danna per una (]uaLsiasì specie di reggimento, che di essere da
quelli abbandonata. Avendo sotto gli occhi un numero cosi con-
siderevole di strepitosi attori, noi non ci accorgiamo di tutti gli
altri, che lasciano loro il campo franco; e che sono i più. Già
in dieiott' anni , e in tanta impazienza senile della gioventù di af-
frettare il corso d' un' eflìmera esistenza ; ninno è sorto , degno di
succedere a coloro, cui le inesorabiU Parche incalzano alla triste
riviera d'Acheronte. Molti uomini egregi quindi son morti, senza
che i vivi ne occupino il luogo : e lo stabilimento da' primi eretto
non dà più alcun frutto, né mette più rami, come albero esausto,
che attende la bipenne. Oltre a tanta sterilità nuova, quante vecchie
forze, che avrebbero potuto agire per la patria, non si rimasero,
rimangono e rimarranno inerti? Sono forse le intelligenze più ro-
buste e le coscienze più trepide: le quali sdegnano un arringo,
ove la mente è un impedimento e il cuore un tormento; ed ove il
maneggio e l' astuzia ne assumono le vecL E anzi tutto da quale
ambizione potrebbono esser lusingate, se da canto alle vittime
degli antichi carnefici siedono i satelliti di costoro; e omai non
avanza più alcun pubblico onore, che non meriti di essere negletto?
Pognamo, che le stalle d'Augia si ripulissero, e che i buoni non
si trovassero in altra compagnia, tranne co' pari loro: che cosa po-
trebbono eglino fare? Io ho attentamente e religiosamente conside-
ralo le ragioni, che Marco Tullio Cicerone adduce nella sua Re-
pubblica a biasimo di coloro, che ne' difDciU momenti della patria
ricusano di prestarle soccorso: e sono veramente gravi e giuste.
Ma egli (Umeuiicò quella, che sta a discolpa de' suoi biasimati;
e per cui cagione appunto egli si affaccendò inutilmente e inglo-
riosamente a salvare la crollante libertà romana. Che cioè vi so-
no certi sistemi, co' quali a niun modo si può fare il bene; e
- 186 -
ne' quali la propria partecipazione non farebbe altro, che coadiu-
vare e condecorare il male, e addosvsarne il carico e il rimorso.
Le cause sante si debbono per fermo difendere, con ogni mezzo
e ad ogni costo: ma più difesero, presso i secoli futuri, la causa
di quella libertà Catone e Bruto, offerendole la vita; ch'egli,
arrovellandosi e dimenandosi, Ano a che Antonio gli conficcasse
il teschio sui rostri. Il ricusare, non di servir la patria, ma di
servirla co' sistemi predetti, è una determinazione da tempi di-
sperati; la quale può essere da' medesimi resa necessaria. Peroc-
ché, sebbene non vi sia scusa alcuna, che possa dispensare dal ser
vir la patria: per servirla, bisogna scerre altri modi, che quelli
con cui si servirebbero in vece i suoi nemici. Se più fossero
valorosi, questi si potrebbero valere de' cattivi ordini, per ti r
gli e per rovinargli: e allora non sarebbero leali. Se vogl
esser leali, come debbono, osservando certe forme e accett
di agire con le medesime, debbono di necessità rendersi fazi
per avere alcuna efficacia ; e cosi cooperare all' esito loro fi
e contrarne la relativa mallevadoria. Se poi i valorosi sono pochi
è anche peggio : giacché non hanno né la possibiUtà d' in din
gli errori , né di far udire tra gli urli congiurati la digni
protesta della verità misconosciuta. Se taciono, approvano col sii
zio; se parlano, eccitano la beffa, e rendono di giunta spr
vole la causa vinta. Cosi scende ignoto e inutile il lor voto
l'urna: mentre la lor memoria si rimane gravata, per essere s
complici, benché ricalcitrando, benché gemendo, del lento j
sinio della patria. Verrà tempo, che non si troverà più alcun u
di senno, il quale voglia assumere tal sorta di complicità; e
il segno più chiaro della già incominciata dissoluzione. I
perché si arrabattano taluni a inferir colpi a un mostro monboo-
do? che di meglio, di lasciarlo in balia della propria sorte? (
chi lo può salvare, se gli manca la vita?...
AMMINISTRAZIONE BORGHESE.
CXXVII. Unifloaiioiie romana delle gentL
Concepito lo stato e attuatone il reggimento nella guisa anzi
esposta , se ne potrebbono argomentare le imprese , senza bisogno
d' altro. Accingendomi però ora a raccontare anclie queste , pri-
ma di considerare il pratico andamento de' pubblici servigi , e i
frutti amari, che la nazione ne colse; gioverà, ch'io tratti della
gestione de' nazionali affari, intesa come politica funzione in ge-
nerale. Al quale uopo, siccome ciascun popolo vuol essere con-
siderato rispetto agli altri e a sé medesimo (perchè la sua vita
civile in ambo i modi si manifesta), parlerò partitamente dell' am-
ministraeione sotto l'uno e l'altro rispetto. Cominciando adun-
que da' rapporti esterni^ parrebbe, che ne' tempi moderni non
la potesse esser migliore, sia che si riguardi all'Europa intiera,
sia che all' Italia sola. Perciocché l' Italia potè con quella racqui-
stare un' unità almeno esteriore , e una libertà almeno formale ;
e r Europa instaurare il proprio primato sulle genti , e migliorare
il diritto delle medesime. Non vi ha dubbio in fatti, che questa
oggidì prevalga sulle altre parti del mondo, non solamente per-
chè ninno de' 309,580,000 europei obbedisce alle altre parti (men-
tre 292,820,000 tra asiatici, americani , africani e oceanici obbe-
iliscono a lei) : si perchè in sostanza la potenza sua si fa in tutto
il globo sentire. Né vi ha pur dubbio , che con le legazioni per-
manenti e i molteplici trattati^ che collegano i popoli tra loro,
le relazioni internazionali non si sieno da alcun tempo in qua
alquanto avvantaggiate. Ma è a dubitai* molto tuttavia, se questi
fatti tutti sieno ottimi; specialmente paragonandogli a quelli, cui il
genere umano sospira, e cui Roma, diciotto secoli or sono, quasi
avverò. La grandezza della romana opera è tutta espressa in que-
ste parole di un ignaro e inconsapevole giudeo, che non potreb-
- 188 -
boro essere più semplici e pifi sublimi. « Un decreto usci da parte
di Cesare Augusto , che tutto il mondo fosse rassegnalo » ( Van-
gelo i^ Luca, II, 1). Prima non conoscevano le genti assetto fer-
mo e generale fra loro : poiché tale non chiamo quello degli asia-
tici dispotismi; né quelle stesse leghe greche e italiche, tra stirpi
del medesimo sangue e supplici alla medesima ara. Roma sola as-
sorge al divino concetto di ricongiungerle tutte nell'umanità, in-
vitando Torbe a inurbarsi. Ninno può negarle la gloria di aver
fatto quello, che innanzi non si era mai veduto, né più dopo si
vide: chiuso il tempio Ai Giano, comunicato la sua cittadinanza
ai sudditi , e uguagliato i vincitori e i vinti. D vocabolo stesso di
civiltà , con cui noi indichiamo ancora il regolato e progredito vive-
re de' mortali , viene appunto da codesta estensione delle prerogative
della città eterna al mondo. Onde l'imperatore Claudio, arriDgando
per estenderne la più cospicua ai galli transalpini, disse: che « di
tutt' Italia furono chiamati uomini in senato; e in ultimo fino dall'Al-
pi, a fìne d'accrescere, non a un uomo per volta, ma a cittadi,
a nazioni il nostro nome.... I loro discendenti ci sono, e amano
questa patria al par di noi. La rovina de' Lacedemoni e degli
Ateniesi, si forti d' arme, che fu, se non il cacciar via i vinti,
come strani? Ma il nostro padre Romulo ebbe tal sapienza, che
molti popoli vide suoi nemici e cittadini in un di ». E Petilio Ce-
nale legato, scongiurando all'amistà i treviri ribellati e da hii
domi, disse: che omai essi e tutt'i popoli aveano per patria co-
mune Roma ; e co' figli di questa formavano una famiglia sola ,
cui era massimo bene mantenere. « Perciocché cacciati (gli iddii
ne guardino) i Romani, chi non vede che tutte le genti s'azzuf-
feranno tra loro ? Fortuna e militare scienza hanno per ottocento
anni si tenacemente (]uesta macchina d'imperio collegata, che
ninno tenterà scommetterla , che sotto non ci rimanga » (Annoti
di Tacito, XI, 24, e Storie, IV, 74).
CXXVIII. Disonione barbarica delle geBtL
So, che queste cose non piacciono adesso: bastano al aito
intento di dimostrare , ciie anche quanto air umana colleganza sia-
mo bene inferiori noi di quegl' infamati romani. Imperocché, per
opera de' consanguinei di que' famosi treviri, appunto accadde,
che, cacciatine i romani, le genti s'azzuffassero tra loro e, sconn
- 189-
messone rimperio, vi rimanessero soUo. Mentre in oriente T im-
mensa mole, minando per più di dieci secoli sino al principiare
dell' evo moderno sotto i colpi de' parti , de' persiani , de' bulgari ,
degli slavi , degli arabi e de' turchi , lasciò alla fine quelle celebri
contrade in preda a tal desolazione, che tuttavia le rimangono
squallidi deserti; in occidente i barbari irruppero, e ne distrus-
sero la civiltà presto. Per più di cinque secoli regnano anche quivi
le tenebre della morte : né in altra guisa la luce della vita riap-
pare, che risorgendo la romanità oppressa e ricostituendo un si-
mulacro degU antichi ordini. Alla fine, crollati anche questi al
principiare dell' evo moderno , viene meno di nuovo tra' popoli ogni
nesso; se non si vogUa dir tale quello, che la pace di Yesfalia
inaugurò e che tuttavia dura. Da questo punto, sebbene spuntas-
sero e splendessero le grandi nazioni moderne e le grandi mo-
narchie oltramontane , l' Italia decadde , le razze settentrionali per-
dettero le loro domestiche libertà, e l'Europa si disgregò. Si fa
oggi sentire il bisogno d'un arbitrato internazionale, che non sa-
rebbe del resto, se non un parziale ritomo alla pristina unità:
ma intanto la concordia europea non ha, che una base incerta e
falsa. L'equilibrio e il contrappeso delle forze (cose puramente
negative e fittizie ) non consentono alle diverse genti di amarsi , di
agire secondo un comune disegno e di osservare gU eterni decreti
all' umanità prefissi. Ne hanno pur modo di consenarsi ; dappoiché
ogni potentato, che lo abbia veramente voluto, gU disprezzò. E,
per non dire, che de' più recenti casi, in men d' un secolo prima
Napoleone Bona|»arte, poi la nordica tetrarchia ed oggi la casa di
Brandeburgo gì' infransero ; e minaccia infrangergli 1' autocrazia
nioscovitica. Se, in questo impossibile slato di cose, il diritto
intemazionale , eh' è precisamente il diritto dell'umanità disgre-
gata , si disviluppò , ne daremo noi merito a quelli ? Fatto sta , che
in onta a più umane regole di pace e di guerra , la pace ora non
è meno vacillante e infeconda, né la guerra meno frequente e fu-
nesta. 11 diritto di conquista fino su popoli afiìni e finitimi e
ammesso, e testé sull Alsazia e sulla Lorena cinicamente esercitato.
Sugli strani e sui lontani poi , con una bmtalità , che gli antichi con-
quistatori dell'universo non avTebbero, neppur contro antropofagi,
usata. 1 coloni euro|iei si stabilirono oltre l'Atlantico, macellando
a dirittura i nativi : e a un di presso anche al presente si stabili-
scono in Asia , Africa e Oceania , ricacciandogli , assottigliandogli
e decimandogli come armenti. La più illustre nazione d' Europa
- 190 -
goveraa un ampio impero, come una fattoria, e gli altri suoi pos-
sedimenti , come scali. Né considera i suoi rapporti con altre con-
trade , se non ne' riguardi mercantili , e queste , se non quali piazze
del suo traffico cartaginese. Tratta cristiani e maomeitani aDa
medesima stregua : sacrifica anche gli uni agli altri : soggioga ,
domina e baratta i popoli , cui non innebria , non addormenta e noo
avvelena. E le pare di aver adempito anche di troppo il suo de-
bito verso la grande umana famiglia, quando, sicura ne' suoi lìdi,
sfugge le pugne , a cui incita , e plaude agli oppressi , cui abban-
dona .... Cosi r Europa è assai lunge ancora di vedere accomo-
date le proprie controversie: e, mentre la Polonia e la Grecii
attendono la propria risurrezione , la Slavia sta per assodarsi e la
Turchia per dissolversi , la Francia cova il risentimento e inedita
la riscossa, e la Germania e la Russia gravitano coli* immane
peso; l'Europa tutta arde nelle viscere come un volcano. La
sua diplomazia non lia ornai altro compito, che di differire e at-
tutire le ostilità aperte , aumentando e inasprendo le nascose ; sahro
a ratificare ognora i fatti contro sua voglia compiuti. Prova nng-
giore della sua inanità, della gelosia, della diffidenza e delF egoi-
smo odierno internazionale, non si potrebbe addurre, di quelli
questione d* oriente j obietto di dispute sterili e secolari Che,
mentre un sol cenno dell'Europa unita basterebbe a risolverla, e
a ridonare alla civiltà e a sé medesima la comun culla del genere
umano ; pure non sa o non vuol darlo. Né probabilmente avrà
altro esito quella questione , che una partizione tra gli arbitri neu-
tri , come tra masnadieri sopraggiunti , delle spoglie degli assas-
sinati. Ma può esser Io stato d'Europa peggiore, quando si con-
sidera, ch'ella in piena pace ha bisogno, e per ritardar la guer-
ra , di 5, 837, 000 armati ? E , se non é sintomo di orrìbil male
codesto, che travaglia i tempi presenti, qual dunque sarà?
CXXiX. Ewroitì della borgrheiiA «Mrmi e ptdid.
Uno de' punti più ardui , per cui io ho affaticato a rendermi
ragione , di certe circostanze , che accompagnano la signoria bor-
ghese in Europa ; é appunto questa coincidenza della roedeaimi
e delle enormi e pacifiche soldatesche. Essa naturalmente aborre
le armi : si consuma o , a dir meglio , consuma i popoli per man-
tenerle co' danari , che altrimenti diverrebbero suoi ; e privasi di
- 191 -
taote braccia, che potrebbono nelle oflicine e ne' campi servirla.
Qualche cosa certamente guadagna nelle aziende e provvedigioni
militari j ne' grossi improntaroenti di pecunia , che occorrono a tale
uopo , e ne' bottini , che ne seguitano. Ciò non ostante , se in com-
plesso pur ci dee perdere, oh perchè dunque tiene ellarin armi tanta
moltitudine? Per rispondere anche a questo, io penso prima di
tutto, ch'ella dovesse soggiacere di necessità alle conseguenze
del barbarico assetto mondiale ora accennato, ed entro il quale
pullulò e prosperò. Quando una gran parte del mondo quetava
nella romana unità , benché vi fossero mfiniti nemici vigorosissimi
da respingere alle frontiere; bastavano dugentomila soldati nelle
legioni nostre, e circa altrettanti d'ajuti. Queste erano appunto le
belliche forze sotto Tiberio: ma, venuti i barbari, tutti costoro
erano in armi. E anche di poi , quando con la caduta deir impero
romano germanico e della politica primazia papale , risollevarono il
capo, dovettero adottare qualche cosa di somigliante. Si dà ge-
neralmente a Napoleone Bonaparte la colpa di aver ingiunto al-
l' Europa gli eserciti stanziali : quantunque veramente la Sve-
zia , la Prussia e gli altri vassalU , al predetto impero felloni , ne
lo avessero preceduto. Vero è , che prima di lui la Francia e molti
altri regni si accontentavano di poca gente d' armi , di poche cerne e
di pochi svizzeri. Nondimeno , co' nuovi vapori di Marte , che quindi
avvolsero l' Europa , dovettero di necessità commettersi tutti alle
grosse milizie. La prevalenza della cavalleria erasi col dechino della
nobiltà feudale e delle compagnie di ventura dileguata: ingaggiare
lanzi e altre milizie a soldo non bastava più ; e naturalmente si
venne alla coscrizione forzata de' sudditi. Entrate le potenze su
questa via , non conobbero più termini : perchè (volendo vivere
divise , dovendo vigilare alla propria conservazione e avendo un
mezzo molto spiccio d'agguerrirsi) una sola, che tenga un forte
nerbo di guerra, costringe le rimanenti a imitarla. Parrebbe si,
che le potessero tuttavia accordarsi a diminuirle proporzionata-
mente , secondo il ragguaglio delle rispettive forze attuali. In modo
che clii ne ha cento, le riduca a dieci, e chi cinquanta, a cin-
que ; e cosi tutte di conserva , senza che niuna si trovi più affie-
volita in faccia alle altre. Ma nemmeno tale accordo è possibile;
dacché primieramente occorre impedire a' soggetti di ribellarsi.
Onde (per esempio) le tre potenze, che si divisero la Polonia,
s'anco non avessero a temer niente, né ad agognar niente al di
fuora, solamente per non perdere i frutti dell'antico misfatto,
- 192 -
debbono appuntarle contro due o tre cento mila baionette. Poi,
per le controversie esteme non composte e pe' fomiti d' odio ri-
masti, debbono anche verso gli stranieri premunirsi. Onde oob
potrebbe la Germania disarmare , sin che possiede di qua dal Re-
no un lembo *di terra ; né conseguentemente la Francia. La soh
adizione della eredità turchesca è una perenne causa di litìgi :
ed, anche se questa non ci fosse, lo assetto a nazioni (a cui
tendono irresistibilmente le politiche compagi ora, e secondo coi
dee ri mutarsi Y Europa ) basta a tener vivo per hingo tempo no
focolare di guerra. Or dunque la borghesia si trovò esaltata al
troqo tra queste difficoltà, ingenerate dal dissidio e dalla rapi-
na , cui deve suo mal grado soffrire : ma di proprio vi aggiunse
quella creata da' suoi freddi e codardi istinti. Senza di esse in
fatti, ella avrebbe a un di presso fatto ciò, che Cartagine a' tempi
antichi ed indi (quando il terzo ceto prevalse) i conmni italiani:
vale a dire condotto bande mercenarie y che sono le vere milizie
borghesi. Per causa di esse in vece dovè alla coscrizione militare
ricorrere ; e quindi , per la propria avidità e per la propria paura ,
spingerla allo stremo, che presentemente si vede. Imperocché,
s' ella non ci fosse, tutta questa gente, che tiene le mani suir elsa,
(mainerebbe la spada : e almen si saprebbe una volta, dì che morte
si dovesse morire. Ella in vece, sapendo che le guerre min^iebben)
i suoi commerci e insieme susciterebbero istinti contrari a' suoi,
e cercando di allontanar la catastrofe , che V attende , s' oppone di
di in dì alle medesime. 0, quando le scoppiano, le soffoca ti>-
sto, e insieme ne sperde i dolorosi beneflcii, cui potrebbon dare.
Non risolvendosi cosi mai le contese , bisogna star sempre prqMH
rati alle battaglie , per prorogarle o deludere ; e prepararvisi tanto
più vigorosamente , quanto più le si prorogano o deludono. E qmnd
si spiega, come i molti e inoperosi soldati sieno della tinumide bor-
ghese gli adatti e indispensabili pretoriani.
CXXX. Katiiri deetÌBi d'Italia ael dafiaataaiifa.
Non pare adunque per quel , che si vide fin qui , che le aorti
d'Europa sieno molto felici: ma, tornando ora alle cose noatre,
qui a primo as|)etto parrebbe, non ce ne dovessimo, che ralle-
grare. E veramente vi è tanto di che rallegrarsi, ch'io, sebbeoe
in queste tanto crucciate pagine, per parte mia esulto. In bravi
— 193-
aimi vedemmo TltJdìa sorgere dal suo sepolcro , riimita nelle sue
membra, libera dallo straniero, seduta tra' primi potentati del gky-
bo. Cioè vedemmo noi ora quello , che non si era più veduto da*
romani in poi , e che cinquanta generazioni qui sepolte so^irarono
in vano. Al che dovriano por mente que' giovanetti : i quali, giunti
cosi commodamente a una felicità , che sembra a' vecchi un so-
gno , né si curano di rendere la patria risorta degna del suo no-
me, e nò quasi d'amarla e di stimarla; vantandosi essi, nati da
servi , già cittadini del mondo. Dico tuttavia, che, sMo mi sento
inondar di gioja il petto e inumidire il dgUo , considerando la pre-
sente fiMluna della patria; ciò non vieta, che debbansene deplo-
rare i mali orribili , che ancora la travagliano , e fin quasi i mo-
di , ond' ella vi giunse. Anzi , s' io non attribuissi il merito della
sua risurrezione ai patimenti e alle virtù de' tanti suoi figli , che
ne' tempi anteriori la predisposero ; dubiterei , potessimo noi go-
dere ora una felicità, che non fosse meritata. Il vero è per altro,
che le cose italiane volsero a bene , perch' erano ornai prossime
al porto : e talmente , che , se non in si rapidi istanti , in un tempo
più lungo, ma forse anche meglio, sariano approdate. L'Italia ha
il vanto di avere la prima alle altre nazioni europee, e anche alla
tedesca, dato l'esempio di ricostituirsi una e indipendente. Non per-
tanto il movimento ricostitutivo delle nazioni è nell'età nostra cod
deciso e spiccato , che , se vi è concetto storico e vocazione propria ,
da discemersi nella medesima, è appunto questo. L'Italia precede (e
io non so, in che cosa non abbia preceduto altrui), perchè più
oi^ressa di tutte , e più di tutte dall' empia congrega , che si di-
mandò santa alleanza , abbandonata a una sorte insopportabile ;
e perchè insieme, come più nobile, più insofferente del giogo.
Non era un' inezia , dopo tutto , tenere sotto il capestro più di ven-
tisette milioni d'uomini, di una stirpe generosa, con gloriose me-
morie , e non affatto decaduti , non rozzi , non vili. Occorreva una
continua oppressione in urto co' sentimenti umani ; e un incessante
spettacolo di crudeltà, minaccioso a tutti. Tanto più, che, per
quanto quella imperversasse, non ne era mai la nazione doma:
né mai si stancavano i suoi profeti di protestare , d' imprecare e
di lamentarsi; né mai i suoi martiri di cospirare, di pugnare e
d'immolarsi. La violenza più brutale durava ornai da quasi mezzo
secolo; e, massime dopo il quarantanove, senza tregua e senza un
barlume di speranza, che potesse cessare o temperarsi mai. La
stessa barbara Europa n' era infastidita : e co^ comiocijAòno quel-
13
— 194 —
le, cui si dissero sue simpcUie , verso questo popolo di eanUmti,
di pifierari e di lazzaroni , che qualche volta si trasformava (sem-
pre a sua detta ) in un popolo di proAighi , di banditi e di re-
gicidi Cosi r Austria , diretta e indiretta autrice di quella op-
pressione, si trovò da tutti quanti gli antichi sozi deserta. E, poi-
che era di giunta dagl'intestini travagli aOannata, bastava minor
possa per oppugnarla. In tal condizione di cose, e preosameole
nel cinquantanove , un concorde e forte volere de^' italiani , die
tutti fossero accorsi sotto il vessillo del re , a cui diedero il nome
di galantuomo, avrebbe potuto affrontarla. Prevalendo per altro
un volere concorde si, ma (per causa della borghesia) fiacco, potè
questo solamente colle armi alleate d' un usurpatore straniero, a
cui necessitava infrangere i trattati del quindici e dare alcun fol-
gore alla propria pallida stella , e a cui T Europa , per le or dette
ragioni, lasciò libero il passo; potè, dico, affrontarla e scon-
figgerla.
CXXXl. CKierra Umbarda.
Fin qui non lice air arte politica borghese menar vampo :
perchè , pronta la materia e scoccata Y ora , in un modo o nefi' al-
tro qualche cosa doveasi fare ; e non si è fatto il meglio . U me-
glio era , che queir unanime impeto degV italiani a sbarazzarsi de'
propri tirannetti , si fosse manifestato prima o air infuori del na-
poleonico patrocinio. E che quindi il re , unendo le piemontesi alle
altre armi regolari delle dedite Provincie, e invitando gl'italiam
tutti al gran cimento, atteso da* secoli, fosse cosi sceso in cam-
po. Nel cinquantanove, per le ridette ragioni, T Austria non era
piò in grado di difendere i suoi satrapi di qui centra i
che si fossero ribellati. E, qualche anno appresso , poteva V
opporle un esercito, non punto inferiore a quello, di che
vrebbe potuto ne* suoi dominii cisal[Hni disporre. Se questo parti-
to, certamente eroico, ma unico degno e salutare, non prevalse,
la colpa è tutta del terzo ceto. Il quale non ama tal sorta di lodi mar-
ziali punto ; e preferi in vece, si sollevasse la patria dal aepokra
tra impuri amplessi , e quasi violata. Ad ogni modo , aceo^g^ie»-
dosi questo mezzo, e posto altresì, che T altro fosse temerario, e
non si potesse del predetto patrocinio fare a meno mai : diedièy
mercè sua, erasi cacciato dalla Lombardia T oppressore, e qoiici
- 195 -
maoo a mano incorporata al Piemonte la massima parte della pe-
nisola; doveasi, almeno da questo punto, provvedere, che si com-
piesse r impresa con la nostra virtù* Dato cioè, che per riscat-
tarci, noi fossimo stati costretti a chiamar di nuovo armi stranie-
re, e a collegarci con un usurpatore o , a dir meglio, a porci sotto
la sua tutela ; bisognava ad ogni costo emendare questo peccato
originale del nostro presente rinascimento. La via di emendarlo
eraci per sino dallo stesso collegato o tutore additata: tramutarci
tosto in soldati, per divenire quel giorno cittadini, in cui con le
sole nostre armi avessimo Anito la guerra , sospesa a Yillafranca.
Àrdeva X Italia di tal fiamma , che si penò assai più per più anni
e con ogni spegnitojo ad estinguerla , di quello che si dovesse fare
per accenderla. Né sarebbero mancati i duci, che sempre nelle prove
si formano , ed in qualunque insurrezione di popolo si svelano, n
solo periglio, il solo sacrificio, la sola vittoria avriano potuto ridona-
re agritaUani quel sentimento della propria dignità, quella riputazio-
ne all' estemo e queir amore verso la Ubertà conseguita , cui non si
può manco pregiare , quando non costa niente. Or tutto ciò alla bor-
ghesia non piaceva : sarebbe sorta T Italia popolare , forte , one-
sta, genuina e vera; in vece dell'Italia falsa, debole, corrotta,
ba^arda e borghese. Armò quindi ella, se non altro per mostra,
per vuotare V erario e per succhiare i poveri ; e perchè altrimenti
le armi volontarie avrebberla rovesciata. Ma col recondito pen-
siero di non valersene, contando in vece di compier l'impresa
co' protocolli , colle astuzie e co' presti pubblici.
CXXX11. Guerra Teneta.
Venne finalmente l'occasione, e non da lei predisposta, che
si dovesse ripigliar la pugna col nemico: e questa si fece; ma
(ahimè) per la gloria bellica della nazione in guisa, che meglio
sarebbe, non si fosse fatta. H valore italiano non si smentì: ma
noi vi giunsimo sì impreparati , e sì ci comportammo , che , se la
cessione delia Venezia non fosse stata innanzi stipulata, e la
Prussia non avesse in Boemia e sul Meno quelle fulminee vittorie
ottenuto, noi restavamo dopo Custoza, come dopo Novara, fracassa-
ti Con questa grave macchia per altro, che allora quasi il solo
Piemonte eimcntavasi contro l' Austria integra e oltracotante : ora
tutta Italia, e colla prima potenza militare del mondo, contro
- 196 -
r Austria vulnerata e avvilita. Né aveva fino allora T Adriatico,
testimone di tanti trionfi delle venete galee , e i cui flotti sospi-
rano ancora il nuzial dono di san Marco , subito V onta di Lu-
sa. Noi potevamo, valicando F Isonzo, e approdando in Istria o
in Dalmazia, non solamente impossessarci della porta orientale
d' Italia : si annientar per sempre V austriaca marina , e calpestare
il suolo straniero sino a Vienna. Questo era implicitamente prescritto
dalle clausule stesse della lega, per renderla pari ed efficace;
anche se dal giusto orgoglio di far risonare il nostro nome nel covo
degli antichi nostri oppressori non fosse stato consigliato. Questo
non si volle : e cosi si condusse la guerra , che il nostro alleato
osò malignamente reputarla un* infinta ; e ( patteggiando da solo
r armistizio) finh*la , senza nemmanco più curarsi di noL So , cbe
queste vergogne le si sono già dimenticate , e che anzi nemmanco le
si avvertirono , quando inflitte : ma non vi sarà italiano un giorno ,
die le dimentichi , fino a che non le abbia espiate. Che non sogni
r Italia di godersi con sicurtà e con decoro la propria fortuna ;
non sogni di rialzare il capo fermamente e alteramente, se non
ricovra sui campi bellici la propria coscienza e la propria rirlù !
Ma chi non consente ora meco in tale opinione , per lo meno dee
concedermi, che la borghesia, vantantesi di aver essa liberalo
r Italia, certo non la liberò a quel modo, che sogliono i popoli
onorati. Ella in fatti, appena insediata nel nuovo regno, rintinzò
gli aneliti fieri del popolo in que' modi, che appresso dirò: per-
chè è questo uno de' suoi segreti di stato. E , mentre avrebbe po-
tuto, e i)er le nostre angustie economiche dovuto, addestrarlo
tutto a' bollici esercizi , ordmando una milizia simile a quella, che
tengono gli svizzeri; eonformossi al sistema europeo ddle truppe
grosse e (Kicifìciie alle stanze. Fino a un certo punto , cioè lino
al tramonto della pallida stella dianzi accennata , segui a tale uo-
po il francese esempio : quando tramontò , il tedesco. E cosi an-
che noi abbiamo ora, non tutta la nazione atta a cangiarsi in
esercito nel momento della guerra, a modo classico: ma un si-
mulacro d' esercito di tutta la nazione in pace , a modo barbari-
co. Sarebbe troppo per verità chiederle , eh' ella avesse la neoes-
saria penetrazione per cogliere queste differenze, e la neoenaria
originalità per abbracciare un sistema diverso dal tedesco. Non-»
dimeno anclie con questo, a quel che sembra, noi non
piò forti.
— 197
CXXXIII. UliiU italiana.
Secondo la Legge de 7 giugno 1875 y il servigio militare
è qui obbligatorio per tutti, e il oootingente amuiale è di 65,000
Domim di primo bando, 35,000 di secondo e 45,000 di terzo. A
mezzo Tanno 1875 avevamo 867,886 uomini descritti, benché so-
lamente 409,426 nella milizia stabile, di cui 204,255 sotto le in-
segne. E, poiché si ritiene, che siamo in grado di riunire al bi-
sogno 300,000 soldati in prima linea, con 185,000 di supplemen-
to; parrebbe, che noi avessimo la medesima forza de' nostri rin-
negati avi. Certo da* romani in poi , non ebbimo tanti militi nostri
sul nostro suolo : e sia benedetto questo giorno, in che gli abbiamo.
Oh, avessimo in vece solamente dieci delle lor legioni, e per tutto
fl rimanente popolo gli ordini della loro milizia! So anche, che
sono anticaglie questi ordini: pur chi considera quel mirabile e
possente organismo delle legioni , eh* erano come città mihtari e
ambulanti , e quella lor discipUna rigida , e tuttavia accompagnata
da tanta espansione fraterna ne* fatti d* ai*mi, e negU accampamenti
da tanto vigore di vita civile e Ubera; si strugge con Machia-
velli di rivedergli. Gli uomini qui «sono que' medesimi: e, per ri-
divenir pari a* loro rinnegati avi , non mancano, che i santi ordini
antichi , e la possibiUtà di mostrare il lor valore. Grazie al primo
nucleo, eh* è la maggior gloria del Piemonte, e il maggior bene*
fido da esso reso alla comune patria, noi potemmo per altro in
brevi anni costituire un esercito; la cui fedeltà è incrollabile, e
in cui si concentra, corrobora e sublima tutto 1* eroico cuore del
popolo. Rimanga esso sempre fedele, perchè debbono i buoni
soldati morire a piedi di quella bandiera, a cui hanno giurato
fede: ma non isperi,fin che la borghesia regna; non isperi pro-
pizio il patrio Marte. Questa non ha lauri per esso, poiché aborre
cordialmente i prodi: non simpatia, non ammirazione, non vo-
ghi d* adoperarlo. E , se lo potesse , come accennò in un certo
momento di stremarlo, ne lo discioglierebbe tosto del tutto. Non
poteodone fare a meno, lo sopporta: e cosi lo strazia, che né
una professione propriamente militare abbia luogo, né uno sfàrito
bellieoso spunti, precludendone ogni via. I mmori ufficiali non
hanno altro avvenire, che d* imbrancarsi nella vecchi^ga cogli
altri invaUdi dell* amministrazione pubblica, quando ncm sieno
- 198-
prima, col pretesto di qualche riforma o riduzione organica, li-
cenziati; e i generali, che di cangiarsi in diplomatici. Ha, se
ad ogni modo la milizia di terra e' è, benché mal ordinata e mal
tenuta; oh, la marittima chi la sa trovare? Non vi è in Europa
contrada, nemmanco la stessa insulare Inghilterra, che per la
propria conformazione e ubicazione, anche a prescindere daUe
tradizioni storiche, sia dalla natura destinata ad esser potenza
navale, più della penisola nostra: tutta coste e porti, signora di
due mari e chiave di tre parli del mondo. Appena ritornala in
possesso di sé medesima , gridarono tutt' i suoi figli , che sono
anche i piii bravi marinai: al mare. Né risparmiarono sacrifici,
pur di vedere un naviglio risolcarlo, e il paviglione italiano por-
tare alle lontane spiaggie il saluto della patria risorta. In vano:
avevamo nel sessantasei quelle famose prore rostrate e quel Cunoso
ariete marino, cui poterono le sdruscite carene di Teg^of affon-
dare. Né pare, sebbene sieno anche i nostri soldati di mare va-
lorosi, die abbiamo adesso armata migliore. Poco fa misersi al-
l'incanto come carcasse disusate e ferravecchi quelle navi già
avariate, prima che le fosser varate; e tuttavia battezzate per
formidabili. Ed io temo, o Cajo Duilio, che fino il tuo santissimo
nome mandino questi cartaginesi a picco. A' quali , dopo gittato,
come in una voragine senza fondo, più centimua di milioni di lire,
par gran cosa di poter noverare ora 40 legni da guerra e 25 da
trasporto. E cosi in diciotf anni, e con tanto sprezzo de' nostri
maggiori, tutta la borghesia italiana non fu in grado d'alleslire
un decimo di quelle flotte, che tal volta in pochi mesi le sole
cittadmanze di l^isa o di Genova o di Venezia armarono.
CXlXiY. Iniaiaiatnudoiie Mtana dal regat d'ItaUAi
Il vitupero d' una marina ( parlo del materiale \ inferiore per
sino a quelle, che testé V Italia serva possedeva, é certamente la
meno scusabile colpa, che si possa air amministrazione del nuovo
stato imputare, ed anche a* singoli suoi ammmistratori. Nondime-
no io ho già detto, che degli errori degli uomini non mi caro: e
d* altra parte credo, se non per questa e per alcune iHre colpe,
per molte si debba loro indulgere in considerazione di <pidta
inesperienza, eli' è troppo facile concepire. Essi per verità non
potrebbono allegare nemmanco questa scusa: peroccfaè, dispre-
- 199-
giaDdo i priDcipii con tanta sicumera, avrebbero avuto obbligo
impreterìbile di dare del loro insolente praticismo migliori saggi.
Però, come debito di giustizia, T allego io per loro; sendo na-
turale, che, trovandosi sugli omeri il colossale carico di reg-
gere uno stato appena costituito senz' aver potuto innanzi fare
alcun tirocinio, commettessero qualche perdonabile errore. Dico
tuttavia, che la fiacchezza e inerzia, con cui raccolsero e con-
dussero le nostre forze e imprese militari, se non per deliberato
proposito loro, è proceduta dal^ disegno borghese, di cui furono
esecutori ciechi : di costituire uno stato debole e imbelle. Vedre-
mo appresso, parlando della scuola e della letteratura borghesi,
come queste ci esortassero agi' idilli economici , quando la Ger-
mania preparavasi alle battaglie. Ed or, che le hanno raggiunto
il loro perverso intento, e che questa si è glorificata, ci rinfac-
cino di giunta la premeditata impotenza. Prescindendo da ciò, la
borghesia italiana non ha mai dissimulato, che fosse meglio fare
r Italia diplomaticamente , anzi che militarmente. E reputa anzi
questo un titolo, per cui andrà nella storia de' secoli venturi fa-
mosa. Creare e mantenere lo stato a forza di cabale, di sotter-
fugi e di vergogne: ecco il suo sistema nelle cose intemazionali
0, come si dice ora, la sm politica estema. E, poiché il successo
Tha coronata, chi più di lei ne deve insuperbire e gongolare?
Se non che gli uomini onesti devono ripudiare questo suo ma-
chiavellismo goffo, volgare e falso; e i popoli tremare, quan-
do la lor fortuna potesse venir condannata dal tribunale supremo
della moralità umana. Vi sono nella recente nostra storia certe
pagine, le quaU io per carità di patria non apro, e supplico
gr ìddii a distruggerle. Ma appunto il bisogno, eh' io stesso sento,
di seppellirle nell' obblio, io della verità sì audace confessore , mi
sgomenta. Che, se, per ^sser cinti da assassini, e come per in-
colpata tutela, dovemmo alla frode e a peggiori arti ricorrere; non
si vantino almeno cotali arti, che ad ogni modo, tosto scampati,
dovevamo smettere I Perchè con esse si può deludere altrui, fin che
ci sta sopra col pugnale: ma, perdurando nelle medesime, non si
rialza la fronte mai ; e si finisce col deludere sé stessi. In vece la
borghesia crede intimamente, che non le sieno già dolorose e tran-
sitorìe necessità, da orrendo fato prescritte; sibbene plausibili e
perenni strumenti della felicità umana. È un'ingenuità da fan-
ciulli, a suo credere, r aver fede nella virtù: fi mondo é de' fur-
bi; ed un popolo, che risorge, deesi governare cogli stessi spe-
-200-
dienti d' una monarchia decrepita. L' ingaono verso i nemici,
versò gli stranieri e per sino verso i coacittadini: la menMogna^
anche nel concilio fiìx solenne della nazione, ed anche quella, eh' 6
palese e che può siili' istante venire scoperta e contraddetta; ecco
il sunto della sua dottrina civile.
CXXXY. IMplAmailA borglma.
•
Per tal degno vestibolo io sono entrato nel tema della diplo-'
mazia italiana; la quale gode ornai fin presso gli stranieri qualche
fama, e nella quale compendiasi tutto il metodo seguito per Jbre
r Italia, e tutta V afte di stato de' suoi reggitori. Il giudizio favo-
revole degli stranieri veramente dipende dall' inattesa a^iarizione
d'un nuovo potentato di prima classe in Europa; la cui origine,
non potendola attribuire alle guerresche fazioni, attribuiscono alla
difdomatica abilità. £ssi non considerano , che V assennatezza , la
temperanza, la fermezza, la moderazione, la finezza sono doti
peculiari del popolo italiano; e che questo le usò mirabilmente,
e se ne sarebbe valso, qualunque diplomazia avesse avuto. Io del
resto non nego affatto la diplomatica abilità a' nostri: massioie
a Camillo di Cavour, di cui in sostanza sono tutti alunni; e cui i
tedeschi comparano ad Armando di Richelieu, e degnano per sino
reputare un precursore di Ottone di Bismarck. Credo anzi, che
miglior uomo in questa prima e tenebrosa fase del nostro risor-
gimento non potessimo sortire da' cieli ; e eh' egU abbia reso alb
patria servigi imperituri Ma, prima di tutto, se utile la sua opere
nel cattivarle una stima diplomatica, neir attribuirle un valore pres-
so i diplomatici areopaghi , nel forzare la mano al diplomatico sire
di Francia e in altrettaU diplomatici maneggi; fu anche nociva
nel dare all' Italia, entro e fuori, tutto questo diplomatico andazio,
e nello accontentarsi del medesimo... diplomaticamente. Pwcbè la
dif^omazia, posto che occorresse per cominciare e favorire la
impresa, certo non era cotal forza, e sopra tutto una diplomazia
di vecchio conio, da rìsoUevare un popolo, ordinare un reggi*
mento e amministrare uno stato novello. Oltre a ciò eg^, quan-
tunque ottimo cittadino, pur come insigne economista, idoiatn
degli ordini inglesi, e alieno dal classico genio della sua terra, di
cui non un raggio penetravagU nella mente, e cui anzi derideva
come una fisima da pittori e da poeti; fu tra noi della sovramlà
-201 —
borghese appunto il padrino. La quale ha ben ragione ora di
venerarne V ombra, come proprio dio tutelare. A non tener conto
di ciò, e per quanto sia il suo merito, non deesi in fine dimen-
ticare, commesso e gli alunni, che gli successero, non avessero
poi tutta quanta quella sagacia, cui si volle loro attribuire. Cer-
tamente, che Y esito fa velo al giudizio; specialmente in tempi,
in cui non si stima altro. Laonde, vedendosi ora un grande regno
e con qualche preferenza presso le genti , pare , eh' ei n' abbiano
avuta parecctiia. Non pertanto, considerando, quanto le circostanze
fossero loro propizie, come la nazione gli assecondasse, ed anzi
gr indirizzasse e sospingesse, e cotaii altri favori , che si sogliono
alla fortuna attribuire; vi è molto da levare alla lor fama. E, per^
che non sembri, che con vaghi accenni io vogUa scuoterla, farò
ora sulle gesta della diplomazia italiana, ovveramente borghese,
dottrinaria e moderata, alcuni calmi riflessi.
GXXXVI. Legra italo francese.
La maggior gloria, cui essa vanta, è naturalmente V alleati^
sa napoleonica, mercè cui venne cacciato lo straniero e auspi-
cato r italico regno : ma , se non avesse nemmen di questa il
merito, che ne sarebbe? Potrebbesi forse documentare, che fino
il pensiero della medesima, fissato poscia a Plombières (1858),
devesi piuttosto air imperatore francese, che al ministro sardo. E
certo il primo, per portar fuora le aquile sue spennate, e supe-
rar le chiostre della santa alleanza, di cui era bandito ; e per far
questo col consenso d' Europa ( dopo aver detto , a quetame le
gelosie e i timori, che « Y impero era la pace »), non aveva altro
modo, tranne codesto. Pur, nel supposto, che codesto gli fosse
dal secondo suggerito, e che si possa far buona la temerità di
far ripassare le Alpi a nuovi stranieri, contrapponendo francesi
a tedeschi (cosa non nuova, e usata innanzi da perfidi italiani,
e sempre con calamitoso fine, e reputata in ogni dove primo
capo d' alto tradimento ); Y esito buono da che questa volta è
dipenduto ? Nelle guerre anzi tutto, e più quando le s' intrapren-
dano ofiensive e volontarie, bisogna fare i conti in maniera, che
si preveda Y uno e Y altro evento; e che si possa cosi della vit-
toria godere, come nella sconfitta campare: ma, se non si fosse
vinto, che ne sarebbe avvenuto? E, supponendo anche, che si
dovesse esclusivamente vincere, o che V Europa non avesse tol-
-202 -
lerato il nostro finale strazio: ma, se si fosse vinto del tatto,
che ne sarebbe ugualmente avvenuto? 11 non condurre a termine
la campagna, fu per causa dell'Europa medesima, che a un
tratto insospettì, o per qualsivoglia altra causa, tranne che per
volontà nostra: e di questo adunque ninno può, né ama darsi il
merito. Se poi A fosse condotta a termine, e ammesso pure, che
vi possa essere tra lupo e agnello giusta lega; oh, sta a ve-
dere, che nel dividersi la. preda quello si sarebbe preso niente
0 la mhior parte, e noi tutto o la maggiore! Anche andando le
cose cosi, come le andarono, gli dovemmo dare in baratto una
certa quantità di terre e d' anime italiane ( secondo capo d' alto
tradimento): il che non è motivo di gloriarsene. Ebbene, che gli
avremmo dovuto noi dare, se, come si desiderava, le fossero andate
diversamente? Avrebbesi avuto un regno savojardo nell' alta Italia
certamente, ma a lui vassallo; e di giunta un regno bonapartiano
nell' Italia centrale , e forse un altro murattiano nella meridionale.
Per verità su questi due ultimi regni non insistè Y allegorico lupo
troppo: ad ogni modo (oltre alla sua naturale peritanza) il divieto
europeo, la sospèsa guerra, T avversione assoluta degF italiani, e
principalmente V intuito e il proposito loro di ricongiungersi in una
sola famigUa, gh recarono intoppo. H quale si può dire, che in
parte gU venisse dal predetto ministro sardo e da' colleghi frap-
postq co' plebisciti , o colle cosi dette annessioni preci[Htosameote
alTrettate. Tuttavia , senza la dissoluzione delle tirannidi domesti-
che già seguita , senza Y annegazione e la saviezza del popolo,
e senza le scappate di Giuseppe Garibaldi punto diplomatiche,
nemmeno qui la diplomazia avrebbe approdato. E, quanto al se-
greto , di cui la si valse per adoperare all' interno modi irrego-
larissimi e rendergli all' estemo regolanssimi ( cioè, eh' ella occu-
pava le Provincie da lei stessa agitate, per sottramele all'agita-
zione); via, era presso le corti oltramontane divenato coiai il
segreto di Pulcinella. All'Europa né del dominio austriaoo in
ItaUa caleva più, né degli altri feudi austro itaUci: e, temendo
ella ora, che l'astuto nipote del moderno Cesare vi prevalesse,
ci lasciò Uberi; e ci avrebbe quasi anco lyutati, perchè ce ne
sbarazzassimo più presto. Se però codest' impacci impedirooo, a
chi fu in sostanza della presente ItaUa massiiho autore, di tut
tutto quello, che avrebbe desiderato; non gì' impedirono d'assu-
mere e d'esercitare, fin che visse, una specie di prolectonto
sulla medesima molto fastidioso e importuno.
-203-
CXXXVU. GapitoH settembrìiiL
C impedì egli anzi tutto , ned era da dargli colpa ( perchè
quanto piii favoriva noi, e tanto più appo i suoi perdevasi), di
ricongiungere air Italia la capitale da' secoli designata. I conati
d'Aspromonte e di Mentana, dovuti al cosi detto « partito d'a-
zione »; ma incuorati e guastati da una transitoria amministra-
zione di legulei, alquanto eterodossa, e che non avea né la lealtà
del bene , né la perseveranza del male , non si possono all' am-
ministrazione ortodossa de' nostri reggitori imputare. Però la se-
conda lor gloria, che fu la Convenzione de 15 settembre 1864,
mercé cui lasciarono i francesi Roma, é anche questa cosi con-
troversa, che quasi tutta la nazione la imputò loro a biasimo.
L'unico intento evidente, che la potesse avere, era di fatti la
rinuncia per parte nostra a Roma. Perché a quale altro scopo
intorbidare la pace interna, ailìevoUre e porre a rischio il re-
cente stabiUmento politico, tramutandone la sede da Torino a
Firenze, se non la doveva esser quivi deflnitiva? Ammesso pure,
che vi fosse un intento riposto, e che ambo i contraenti mirassero
ad ingannarsi a vicenda (cosa lecita e laudevole in diplomazia);
chi sa mo, l'inganno maggiore, a cui sarebbe toccato. Quella
partenza degli ausiUari o giannizzeri papalmi era del resto cosi
precaria e illusoria, come poi si vide. Né noi saremmo entrati
Dell' ahna città, a detta d'un energumeno, mai; se i tedeschi
(cosa, cui la diplomazia moderata non prevedeva) non avessero
mandato il più scaltro de' contraenti e tutti ì suoi sogni in aria.
Ad ogni modo questa convenzione e tutti gli atti anteriori e po-
steriori, sino alla sventurata fine di quello; e tanto i buoni,
quanto i cattivi, e più forse i buoni, furono da esso consigliati o
indetti. Per una decina d' anni , una potenza di prim' ordine fu
costretta quindi aggirarsi entro la sua orbita; e noi non poteva-
mo muover braccio, né batter ciglio, senza la sua guida o la
sua licenza. E , se l' astro suo non tramontava e non fossero tra
lui e la Germania sopravvenute rivaUtà mortali, di cui non ab-
biamo noi il merito; come avvinti dalle sue viperine spire, e
dal suo avvelenato alito sofTocati , non potevamo piii liberarcene,
né respirare. Questa era, io lo so, la naturai conseguenza della
predetta lega tra liqK) e agneUo, ossia tra forte e debole, che
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dee di necessità essere disuguale, e per lo meuo tramutarsi in
accomandigia. Ma non la è dunque cosa, di cui possano i di-
plomatici nostri, che la stipularono, vantarsi.
GXXXVUL Lega itti» praiiiaiia.
Io dissi, che Ano i buoni atti loro debbonsi air imperiai
pedagogo aggiudicare : e questo principalmente nell' aìUanea pru»-
siana si vide, eh' è la terza gloria, cui vantano. La qoale Ita
non solamente da lui permessa ( senza di che non V avriano po-
tuta concludere), ma incoraggiata, come gli spacci degK ^essi
nostri legati svelano : e ciò nondimeno assai poco onorifica. Qoe*
sentimenti di patria e di libertà, che aveano schiacciato il pri-
mo Napoleone , e riposto e raffermo su' germanici troni gli anti-
chi signori, erano stati da costoro e particolarmente in quella
Prussia feudale e despptica, che or se ne ostenta ispiratrice e
altrice, repressi anche col sangue de' popoli. Quelli per altro,
grazie principalmente al solito lievito di Francia, nell'anno 1848
nuovamente fermentarono e scoppiarono. Go»cchè in alcun luogo
proruppero conati repubblicani , e quasi ovunque s' imposero alle
monarchie ordini rappresentativi. Due grandi cose altred allora
si proseguirono ne' parlamenti e nelle diete di Francoforte e di
Erfurt, di Vienna e di Kremsier: il tramutamento della Confe-
derazione germanica in una Germania federativa, e 1' allarga-
mento delle forme politiche. Questo, accolto subito, fti poi re-
spinto indietro e attende ancora il suo tempo: l'altro veraie in
seguito da quella dinastia attuato, che allora l'impero tedesco
rifiutava, e i fautori di patria e di libertà tradiva. La casa di
Brandeburgo del resto, che avea già dato all'antico impero ro-
mano germanico colpi feroci , fin da' tempi del grande éktUwt
mirava sopra tutto a schiacciar l' Austria e a prussificar 1* Ale-
magna. Ned erano ancora nel 1866 le ultime discrepanze, aorte
per dividersi in famiglia la preda de' principati dano germanici,
assopite. Il più elementare accorgimento avrebbe bastato id ammo-
nir l'Austria, che s' ingrossava da secoli questo temporale ledeeoo;
e che, sovrastandole tanta ira de' cieli, doveva almoio tu* d di
non trovarsi contra due nemici ad un tempo. Preferì in vece
cedere la Venezia, come poi Napoleone III Roma, in modo da
non cattivarsi la grati tudme; cioò per forza e troppo tardi Onde
- 206 -
erano già le cose giunte a un punto, che, anche senza stipular
lega , il solo attacco della Prussia a settentrione movea fatalmente
e ineluttabilmente quello dell'Italia a mezzogiorno. La lega, colla
predetta guida e licenza, si fece: non senza per altro, che i
patti leonini della medesima (tra cui la Prussia sola serbavasi
r arbitrio della guerra ), e le biasimevoli dimenticanze riguardo
al Trentino e ai lembi di suolo italico, che vanno sino al Quar-
naro; e la triste sorpresa della Venezia regalata a Napoleone III,
r oltraggio subito a Nicolsburgo e cotaU altre circostanze mani-
festassero, che noi fummo altrettanto nelle pratiche perdenti,
quanto ne' combattimenti. E, se fosse abilità diplomatica, dopo
una guerra, e guerra di nazionale riscatto, ordire cosi i nego-
ziati, che quella regione, non come frutto della vittoria o alme-
no come prezzo della lega; ma come dono e da un terzo si ri-
cevesse, non ho d'uopo dire. La abbiamo noi ora: e questo
basta per gente, che insuperbisce appunto e gongola degli^^ui-
sti a buon mercato, e delle grazie dalla fortuna avute a schiaflS.
Né in modo troppo migliore ebbesi Roma: tranne che almeno,
per questa quarta gloria della nostra diplomazia, non si dovè
le armi nostre umiUare. Legati com' eravamo al carro del tiran-
no di Francia , per verità d' Italia amico , noi avremmo dovuto
seguirlo, quali commilitoni in sul Reno. Questo avrebbe dovuto
essere, e assai probabilmente era, il segreto desiderio della di-
plomazia nostra; il quale sarebbe anche stato alquanto scusabile.
Conciossiachè , sebbene in parte, non del tutto fosse quella im-
presa ingiusta; considerando, ch'ei proponevasi di restituire alle
GaUie le frontiere da' germani oltrepassate; e d'arrestare la ger-
manica predominanza in Europa, e il conseguente avvilimento
delle schiatte neolatine. Questo non si comprende ora bene da
noi, intenti alle cotidiane minuzie : ma chi guarda i larghi oriz-
zonti storici, sa, che dal divo Giulio in poi si combatte colà
una gran tenzone di stirpi e di principii, che dura da dician-
nove secoli, e che non è punto fìnita. Di guisa che, se una sola
stilla di romano sangue fosse nelle vene della borghesia italiana
rimasa, avrebbe questa troppo forte sentita la seduzione di far
riecheggiare tra' campi , seminati dalle ossa de' legionari di Varo,
lo squillo delle tirrene trombe.
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CIXXIX. Hotttrtlità itiliea Bèlla gi«m r«Mia.
Oltre a questa ragione, avrebbero ì nostri borgomastri me-
ritata alcuna indulgenza, se mai avessero avviluppata F Italia
ne' guai del vinto a Sedan, anche pel debito di restituirgli comec-
chessia il beneficio, e di non abbandonarlo nella sciagura. Gerla-
mente egli avea per V Italia molto operato, e la fortuna di questa
fu causa potissima della sua rovina. Perchè dapprima inimicossi
per noi vie maggiormente i suoi; e poscia, s'ei non avesse dato
all' Austria nel cinquantanove quel tracollo , e lasciatolo nel ses-
santasei compiere dalla Prussia, non si sarebbe poi trovato nel
settanta al rincontro un si formidato e perfido rivale : da sembrar
provocatore , egli il provocato , e da doverlo insieme disfidare e
far trionfare. Per quanto anzi egli debba essere giudicato seve-
ramente ne' suoi rapporti colla Francia ; V Italia presente, che gii
deve la propria liberazione , e a cui affidò egli il proprio nome
presso i posteri, non può condannario, che condannando sé stessi.
Ma , s' anco non gli dovesse esser grata , pur , soccorrendolo,
avrebbe avuto modo di cangiarsegli da soggetta in compagna , e
d' acquistare quella bellica reputazione, che le mancava e manca.
Fu conseguentemente bene, che il contrario accadesse, solamente
perch' egli fu vinto (il che non fu merito della medesima) : s' egli
fosse stato vittorioso, non sarebbe stato bene. Onde non si potrebbe
attribuire alla nostra diplomazia altra virtù, se non quella di essersi
astenuta dal soccorrerlo, perchè doveva e meritava essere abballuto.
Tuttavia, quanto al dover esser abbattuto, s'egli non fosse stato innanzi
ingannato da' suoi, se la temerità francese non avesse superato sé
stessa, e se non gli fosse fallita la lega d'Italia, d'Austria e de'oiinori
stati germanici, che doveano poi essere dalla Prussia « mediatiz-
zati » (lega, su cui contava e poteva con un certo fondamento
contare ), la certezza della sua sconfitta non era evidente. E, quanto
al meritarla, sebbene l' intento della sua impresa, giudicato erro-
neamente contrario al diritto delle nazioni , gli nuocesse appo il
popolo nostro; eh via, non se ne sarebl)ero molto scandaìezzati
que'tali, che, barattando innanzi italiani per italiani, avrebbero
almeno questa volta per italiani barattato tedeschi. Fatto sta, che
il popolo nostro appunto , e non altri , colla istintiva sua sagacia
comprese, quella essere una partita da giocatore disperalo. Né vi
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essere punto ragione d'avventurarsi per chi non godeva le sim-
patie de' sudditi, e aveva le nostre perduto. Ma forse, s' egli non
ci avesse innanzi indispettiti colla lunga prepotenza , e se le ne-
cessità di stato non lo avessero costretto, per compiacere la bac-
chettoneria francese, a tener Roma in pegno, anche questa saga-
cia sarebbe rimasta sopraffatta. E fu quindi ventura, eh' ei prima
accumulasse qui tanti rancori, e poscia tardasse lo sgombero di
Roma sino a queir estremo punto, che non gli potessimo più es-
sere riconoscenti. Altrimenti saremmo forse stati travolti sotto le
ruote del suo carro : giacché, per esser veritieri, gli avremmo po-
tuto dar noi, se sicuri dell' Austria, dugentomila soldati, che non
si sarebbero arresi in corpo, come que' suoi; ma che non avreb-
bero valso a raitenere la fuggente vittoria. Cotesto pericolo per-
tanto causammo per cagioni affatto estranee alla nostra diploma-
zia : la quale anzi ( per non dire , eh' è tutta di napoleonica fat-
tura) non avrebbe osato mai sviticchiarsi dal pedagogo predetto,
ognor che fosse stato in grado di esercitare sulla medesima le
antiche pressioni. Il coraggio le è venuto, quand' egli, già fisica-
mente e intellettualmente spossato, non riuscendogli alla inflessi-
èile e corruttrice dittatura sostituire ordini di reggimenti meno ri-
stretti e disleali ; tradito da' cortigiani e sopraffatto dagli avver-
sari, senza scampo e rimedio dovè commettersi a Bellona. Men-
tre gli stava addosso tanto nemico , era troppo naturale , eh' ei
non potesse più comandare, e che noi, per quanto deboli e anzi
perchè deboli, potessimo disprezzarlo. Se potevamo per sin fargli
paura allora, piegando verso il suo nemico, tanto più potevamo,
standoci neutrali, osare di non far niente. La cosa era tanto più
coromoda, che bastava, per mostrar coraggio, la viltà ; e che, stando
egli per essere stritolato, potevamo, esortati e istigati dalla Prus-
sia stritolatrice, dargli l' ultimo calcio.
CXL. Cose diplomatiolie affidate alla rentora.
Così entrammo fra' sette colli e compiemmo il nazionale
riscatto: e così la sua disfatta, la sua prigionia e la sua morte
farooo la salvezza nostra. Le disgrazie quindi degli amici e de'
nemici , gli errori nostri e gli altrui , gli accidenti fortuiti e le
trivialità avventurate, ci permisero di cogliere un frutto, che, ri-
peto , era maturo. E guai , se da' superiori decreti della natura ,
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dalle colpe traboocanti de' nostri oppressori e dai dolori de' nostri
predecessori non fosse stato maturato ! Frattanto, né di averlo mata-
rato può la politica astuzia de' nostri reggitori gloriarsi; né iuapocOj
come vedemmo, di averlo proprio essi colto. Le cose hanno già on
tale avviamento , che non mi meraviglierei , potessimo noi rao-
quistare quaich' altro lembo d' italiana e per sino di terra stra-
niera, senza molta fatica e standoci colle mani alla cintola. Im-
perciocché, tra' tanti difetti del sistema vesfalico o del cosi detto
conserto europeo, e' é anche questo : che le minori potenze som,
per la vita internazionale , come non ci fossero. Costrette ad ag-
girarsi nell' orbita delle maggiori , a ricever legge da loro e a
perder parte della propria indipendenza coU'essere grado a grido
(per valermi di voci diplomatiche) « guarentite e neutralizzate »,
eh' é dire degradate e interdette ; esse sono destinate a disparire,
se in grembo a una federazione europea non si salvano. L' Ita-
lia, se non altro pel numero de' suoi abitatori e de' suoi militi ,
imbrancandosi fra le sei più membrute ( perché la Turchia non
si conta più ) , naturalmente , e per quanto mal si diporti , sta
con quelle, che delle altre dispongono. Sotto lo influsso di tale
spudorata prepotenza de' grandi su' piccoli, é quasi una necessiti
divorare altrui, per non esserne divorati. E mercé una ludifieor
jsione di alleanze e di neutralità, anche senza battersi, la cac-
ciagione pub venire in bocca. Il primo favore, che si focesse, od
anzi il primo sfavore, che non si facesse alla Francia o airAukria
impegnate in grossa guerra, darebbed la contea di Nizza o il prin-
cipato di Trento, anche senza colpo ferire. Vedremo quello, che
la diplomazia italiana saprà nelle complicazioni turchesche gua-
dagnare ; sebbene fin d' ora non pare, siavi di che confidare. Qua-
lunque bottino consegua, vorrà ella darsi il merito di eventi, che
sfuggirono e sfuggono al suo impulso e alla stessa sua direzio-
ne? Spesso è assai più facile ampliare Y impero, che conser-
varlo ; e troppe volte è accaduto, che lo ampliamento alla conser-
vazione nuocesse, e fosse anzi della distruzione principio. In ogni
modo la saviezza non istà nel commettersi alla ventura; si bene
nel governarsi con propri e ponderati consigli.
CXLI. Yentiure diplomatiolie affidate al eaat.
Ora, io non chieggo alla diplomazia, s' ella sappia quale f»-
razione abbia , e quale intento debba la nazion nostra proporsi
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tra le gemi; che sarebbe troppo per lei. Ma sa ella veramente
quel , che dee fare, o anzi soltanto quel , che si faccia, o che si
voglia; e può ella spingere il guardo al di là di un sol giorno
da oggi ? Ha ella trovato il punto fermo, su cui fissare la poli-
tica estema d' Italia ; come in passato Roma di ampliarsi e Ve-
nezia di conservarsi, ed ora V Inghilterra di signoreggiare i mari,
la Russia di succedere al bisantino impero e la Germania di pri-
meggiare in occidente ? Ha ella considerato i radicali mutamenti
oell' assetto internazionale iniziati , i gravi spostamenti di forze
già seguiti , e le probabili conseguenze terribili neir avvenire ?
Conosce ella almeno precisamente qual è la potenza predominante,
quali le rivaU, quali le aderenti, e qual luogo fra queste air Ita-
lia spetti ; e qual sia di noi la potenza naturalmente nemica , e
quali le naturali alleate ? . . . Ella mi potrebbe soggiungere, che di
questi vieti misteri della vecchia diplomazia non si cura. Eb-
bene, che cosa è altro quella, cui segue (dato, che sia qualche
cosa), se non appunto una diplomazia antiquata, barbogia e stan-
tia, all' uso di Richelieu e anzi di Mazzarino ? Su questo campo
r appello, eh' è il suo : perchè , se la dovessi appellare al tribu-
nale de' popoli onesti e forti , e dell' Italia futura ; riproverei io
ben altramente quelle sue versipelli astuzie. Dico su questo
campo, eh' ella non ha concetti determinati e chiari , che ignora
i perigU sovrastanti alla patria ; e che in sostanza subisce non
solamente gli eventi, ma i consigli altrui , senz' avere né propria
elezione , né proprio discernimento. Nemmanco un' inezia , come
(per esempio) d'occupare improvvisamente con dieci carabinieri,
in nome della dignità nazionale e de' buoni costumi del mondo ,
e prima che divenga un possesso francese o una stazione inglese,
quella bisca di Monaco e quel ridotto d'avventurieri su suolo italiano;
nemmeno quest' inezia sa fare. E lascia di giunta, che a Londra
si movano doglianze sulla sicurezza pubblica delle nostre con-
trade ; e che i fanatici degh altri paesi , e per fino nel picciolo
parlamento belgico, inurbanamente c'insultino e braveggino, e,
che più? mostrino certe velleità buffe d' intromettersi nelle faccende
nostre. Se poi la Germania ci fosse più propinqua ( e ad esserlo le
agevola ella in tutti i modi la via), e non avesse bisogno per qual-
che tempo ancora d' accarezzarci, vedrebbe, che libertà di decidersi
ci lascierebbe ! Già dal sessantasei, e vie più dal settanta noi ne sop-
portiamo la fenila pedagogica in quella maniera, che ognuno vede.
Però , se non vi fossero le dette circostanze, ed altre procedenti
14
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dair ordine o dal disordine europeo, non si sarebbe ora, che dal
protettorato (ìraDcese passati al prussiano. Probabilmente V amistà
nostra colla Prussia non durerà a lungo, poiché questa stessa doo
tarderà molto a scoprire, sotto le zampe vellutate, Tugoe adun-
che : fors' anco a lasciarci soli con quel papato , contro coi testé
aizzavaci per tutto suo vantaggio e con tutto nostro rischio. In-
tanto, mentre io scrivo, quasi tutti gli statuaU nostri sono prussiani,
come jeri francesi ; e i più caldi amatori di libertà e di popolo
quelU, che ne vaticinano il trionfo da un GugUelmo di Hohen-
zollern e da un Ottone di Bismarck. La spontaneità ad ogni mo-
do, che ci rimane, non é quella, che ci concede la nostra virtù.
Bensì un urto di venti contrari, a noi propizi, tra cui neir incerto
pelago si mareggia , con quella benigna costellazione , che suole
assistere gF incauti e gV infanti. D' ordinario appunto si pende qui
e là, senza che gli altri possano capire, a che tendiamo. Onde
attribuirono a doppiezza quel tentennare tra Berlino e Parigi , e
poscia tra Austria e Germania, ed ora tra Russia e Inghilterra:
come fosse un tenere a bada amici e nemici; mentre non era,
che un vacillare in preda all'ondivaga fortuna. Tale in compendio
la condotta degli affari estemi del regno d' Italia, dopo i mera-
vigUosi eventi, che Io auspicarono, e che sbalordirono Y Europa.
E, se possa reggere a lungo e quanto valere ne' momenti d' un
supremo pericolo, quando ci vogUono ben altro, che titubanze , in-
trattenimenti e sotterfugi, non aventi del resto più il pregio della
destrezza o della novità; traltscio di dire.
CXLII. AraministraiioBe interna del regno d'ItalùL
Passando ora a considerare la condotta degli affari interni^
come quella fu nel torto e biasimevole senso diplomatica, questa
si può dire, che in senso parimenti obliquo e improprio fosse
politica; sebbene assai maggiori rimproveri le si debbano fare.
Col quale appellativo di politica , aggiunto a una data ammini-
strazione, intendesi neir odierna favella zingaresca, eh' essa o del
procacciare il bene degli amministrati e delF adempiere i suoi pe-
culiari doveri non si cura punto, o solamente come di cosa se-
condaria e dipendente dalla supposta ragion di stato. Il che ap-
punto é acciìduto tra noi: ma nella peggior guisa; e con questo di
giunta, die, per ragion di stato intendendosi le giostre del pirla-
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mento e il cozzo delle fazioni , si die il parlamentare e fazioso
indirizzo anche all' interna amministrazione dello stato. Non ne do
colpa a veruno, perchè viene da' sistemi sovra esposti : ma il fatto
è , senz^ esagerare , che un guardo anche fuggevole , dato alla
medesima, ce la dimostra tutta quanta inquinata da si perversa
tabe. Quando si parla comunemente e apertamente di un' esalta-
zione al poter pubblico, o a dirittura di un governo deUa fazione
tale ; facile è capire , che sorta d' amministrazione ne possa se-
guire. I moderatori supremi di questa , come già dissi , tutt' in-
tenti ad orare o a contraddille ne' consigli, a tenere in ordinanza
i partigiani ed a schermirsi dagli avversari, non sogliono, né pos-
sono ad altro attendere. E i pubblici ufficiali tutti, se pur possono
questo nome meritare , reputati non funzionari dello stato e cu-
ratori della nazione ; si semplici fattorini d' un dato ministero e
servi di chi gli paga, debbono a tai concetti uniformarsi. Potreb-
bonsi addurre esempi, sebbene smentiti, che fin nell'amministra-
zione della giustizia codesto andazzo ha luogo. Nelle altre am-
ministrazioni, e sopra tutto in quella sottoposta al cosi detto mi-
nistero dtlV interno^ esso è indubitabile e incontroverso ; ed anzi
confessato come regolare e plausibile. Tosto che quindi una data
fazione prevale e regge , essa ha il diritto e 1' obbligo di riem-
piere gli ofQci di tutt' i suoi fidi; e di cacciarne via, quanto più
può, i discontenti. Per cause unicamente politiche ed elettorali o,
come diremmo noi, partigianesche e personali, si assumono, pro-
muovono, tramutano, sospendono e dimettono prefetti, viceprefetti
e colali altri governativi agenti; senza nemmanco che costoro abbiano
motivo di lamentarsene o di meravigliarsene. E dico personali ,
non nel senso che Tizio e Gajo facciano queste cose pe'loro
privati interessi : ma perchè quelle nove persone^ le quali hanno
prò tempore la somma delle cose in mano, informano cosi l'am-
ministrazione pubblica, che questa nasce, vive e perisce con
loro.
CILIII. Dipendensa dalle bise parlamentari e dalle brighe fiotose.
Come possano le corti straniere , i corpi morali , gì' impre-
sari, i fornitori e in genere tutti trattare con tal sorta di gover-
no, senza' legame e seguito , e abbandonato alle vicissitudini e
Ji' capricci di ciascun giorno, agevole è immaginare. Uno de' mi-
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gliori argomenti, che può appunto la cuna romana allegare a sua
discolpa, è: che, qualunque cosa avesse con esso concluso, non
ci essendo neppure un vincolo morale tra predecessmì e saccessori,
sarebbe stata precaria e vana. Del resto lo sconcio è ancor mag-
giore, se si considerano i rapporti gerarchici neir amnùnistrazione
medesima. Perchè i nuovi superiori, la cui vita di regola non va
oltre il semestre, debbono, appena insediati, soffrire una caterva
d'inferiori naturalmente ligia ai vecchi; a cui forse fa qualche
confidenza, o cui con un' indolenza connivente compiace. Per quanto
e' cerchino di levarsegli d' attorno ( come testé fecero i moderati
bigi, ma non quanto occorreva , per disfare la precedente opera
de' bianchi ), sempre , palesi od occulti , n' hanno d' avversi. An-
che se gli scambiassero tutti co' propri creati ; questi, dovendo
barcheggiare tra loro e i futuri , per non essere dalle procelle
parlamentari e dalle raftìche faziose sbattuti, vanno lenti e in-
certi. E tanto più, quanto il pericolo sovrasta e il bisogno di co-
storo urge: perchè allora senza riguardo e misericordia gli ab-
bandonano, per scampare dal naufragio. Cosi ne' dicasteri centmli
notasi come una specie di tacita insubordinazione e di pacifico
ammutinamento delle turbe accoltevi , non appena fiutino I' odor
dei cadaveri de' sopraddetti capi. I quali tal volta anzi non ghm-
gono a conoscere la imminente fine altrimenti, che dalla tiepida
riverenza e dalla impertinente accidia di quelle. Anche la sorte
per altro degl' inferiori è assai dura : perchè, se il governo stesse
veramente in quella olimpica altezza degli antichi, o fosse almeno
a' servigi d' un despoto ; oltre esser egUno riconosciuti e premiati
delle proprie fatiche , sarieno certi , seguendo il proprio dovere ,
di non pericolare mai. Trovandosi invece fra le bizze parlanoentirì
e le brighe faziose, di cui debbono, eglino i primi, sopportare la
volubilità e l' incuria ; non sanno come o non hanno modo di sal-
varsi, che a duro costo. Se mirano astrattamente al pubblico be-
ne, sono considerati come dappoco; ma, ogni qual volta questo
disgradi a chi transitoriamente comanda, sono per soprassello di-
menticati, rimproverati ed anche destituiti. Niuno cioè si cura di
quel, eh' e' facciano per la patria; ma, senza mostrar zelo ai mu-
tabili sopracciò del giorno , non ponno acquistarsi grado pressa
alcuno. Di guisa che lo zelo , che cattivava a loro il favore de'
sopracciò di ieri, nuoce a loro presso quelli del dimani, che prò*
babilmente ne gli puniranno. L' unico carattere, che in tal pe-
uosa situazione potrebbero conservare, sarebbe quello, i costo
— 213 —
della propria perdita, di restare obbligati nella cattiva fortuoa a
coloro, da cui furono nella buona favoriti. Or questo è natural-
mente loro divietato : ond' ei ponno si mostrarsi faccendieri poli-
tici della fazion vincitrice; aderenti politici della vinta, no. Il
che appunto inculcasi di sovente a loro, coir ammonimento dal-
l' alto , di restarsi dalla politica alieni. Alieni cioè dalla politica
della fazion vinta , e sopra tutto da quella della nazione e deUa
coscienza : sempre che seguano, spregevoli e ciechi automi, quella
della fazion vittoriosa. E, che onestà e che dignità possano cosi
custodire, mi astengo di sentenziare : basti, che intanto V ammini-
strazione pubblica viene cosi irremediabilmente spacciata.
CXLIV. Trasonransa e improTYidenn.
Ho detto , che lo andazzo pseudopolitico non era del resto
il maggior biasimo , che si potesse air amministrazione nostra
muovere. Perchè, sebbene per causa di questo ella si degradi e
perverta, vi sono altre maggiori cause, che la adulterano e pro-
strano. 11 concetto dello stato, che la borghesia si forma, e in
grazia di cui i soli interessi economici de' fortunati si tutelano ;
basta di per sé solo a far si , che manchino que' sei'vigi , a cui
sarebbe destinato. Aggiungendovisi poi le angustie finanziarie,
delle quali dirò appresso, e tra le quali travagliasi ; viene di con-
seguenza, che i più necessari ed elementari provvedimenti ri-
mangano trascurati. Educare il popolo e glorificare la patria, sono
cose , che naturalmente non entrano ne' computi e negli sconti
della borghesia. Le gioverebbe si fino a un certo punto promuo-
vere la pubblica prosperità; ma anche di questa non si prende
pensiero, se non in quanto, mediante il fisco, il baronaggio industriale
e cambiario se ne avvantaggi. 1 nostri finanzieri conseguentemente
non guardano il moltiplicare delle ricchezze, se non sotto il punto
di vista de' « maggiori prodotti » , che di tal guisa avranno ,
come dicon essi , i diversi « cespiti delle pubbliche entrate ».
Quanto alla giustizia pubblica, non rende niente; e, se ne potessero
fare a meno, sarebbe una bazzica. Ma per lo meno quella puniti-
va, se non altro per difendergli da' ladri , e quanto più pongono
gr impoveriti nella condizione di divenirlo, è indispensabile. Anche
qui lesinano per altro, quanto più possono: e inoltre delle 3,000
grazie , che in media concedono ciaschednn anno , non ultima
- 214 -
cagiooe è il desiderio di vuotar le carceri e di alleviarne i di-
spendi. Né fu ultima cagione questo desiderio anche per con-
cedere testé con legge ai condannati tutti , presenti e futuri , la
remissione condizionale e revocabile de' residui di pena. Anzi la
borghesia mira anche più in là; dappoiché il movimento legisla-
tivo in Italia e fuori accenna ora a rendere di ragion privata
molti delitti, che prima si perseguivano con pubblica azione: il
che é dire a rendergli praticamente impuni. In fatti un codice
penale borghese potrebbe restringersi alle comminatorie del fur-
to : perché cosa può mai impoilargli della libertà, del pudore e delle
altre superstizioni de' disperati ? Essendo lo stato un' aeienda eco-
nomicaj Y amministrazione naturalmente non ha altro compito, che
di prestar man forte a' lucri privati e di non mancare agi' impegni
del debito camerale. Scenderò tosto a' particolari della medesi-
ma, discorrendo della legislazione e della giustizia, della religione
e della moralità, della coltura e dell' istruzione, della economia e
della fìnanza. L' essenziale sta tutto qui : eh' ella od é niente, od é
un' amnynistrazione puramente mercantile e liscale.
CXLV. Altri gohì dell' ammlnistraiioiie borgkeae.
Oltre a' due vizi testé mentovati, non uscendo dalle genera-
litàj molti altri se ne potrebbon notare, che però mi condurreb-
bon troppo lungi. Darò solamente de' principali, e fìn dal volgo
avvertiti , un cenno : l' arbitrio con apparenza di legalità, . V abuso
degli spedienti di buon governo, la casistica legislativa, la pedan-
teria cancelleresca e il concentramento oppressivo di tutti i pubblici
servigi , per venir tosto al nodo di tutti gU amministrativi errori.
De' criteri empirici, con cui si governa lo stato, e onde par d'as-
sistere a un governo estemporaneo, che supera le diflicoUà cod
palliativi e con frasi, piuttosto che con opere e con fatti; già
qualche cenno ho dato, e più ne darò in seguito. Prescindieiido
ora da ciò, siccome é una delle qualità più spiccate del reggia
mento borghese, dottrinario e moderato un gran lusso di forme
e di formule, per apparir popolare, giusto e libero; cosi trovisi
troppe volte tra queste impigliato. Or, se ne viene un grave dck
cumento al pubblico bene, tira innanzi senza guardarsi indietro*
E cosi appunto, avendo alla chiesa promesso libertà, e per chiesa
intendendo il clero, e per clero una cospirazione infame; lasciò
— 215 -
lungo tempo questa, sciolta da ogni freno, guastare il popolo e
insidiare lo stato. Che, se trovasi nel proprio movimento impac-
ciato , non bada poi punto alle regole : e , protestando le solite
eccezioni e rettificazioni a' propri famigerati principii, vi sostitui-
sce la discrezione. Della quale vi è nelle azioni civili fino a un certo
punto bisogno: ma, abusandosene, e sopra tutto in quella turpe
guisa, che usa il bargello, si giugno a coiTompere e a infiacchire
tutta la nazione. La polizia appunto è il vanto dell' amministra-
zione italiana, dìscepola anche in questo del terzo Bonaparte: e
ne vedremo, a proposito'della nazional giustizia, gli orridi eccessi.
Quanto alla nostra legislazione, de' sostanziali suoi difetti non par-
lerò qui : né del gergo levantino e dello stile scolastico, anzi che
imperioso, in cui e con cui scritta ; né de' plagi e rubalizi , onde
si é tutta impinguata. Un sol punto qui merita esser notato: la
minuzia chinese de' suoi precetti, che sembra appositamente adot-
tata per favorire i cavilli e le esitanze. Quello spossamento intel-
lotluale e, sto per dire, quel rammollimento cerebrale, di cui ve-
dremo le cause e gli effetti nella nostra coltura e letteratura, si
manifesta anche in sì grave argomento. Le menti non sapendo
innalzarsi alla sintesi in veruna cosa, e i famosi uomini di mondo
dalle profonde speculazioni aborrendo, danno per frutto una legi-
slazione puramente analitica, che non ha valore alcuno né teo-
rico, né pratico. Contemplandosi, anzi che i tipi ideali ed eterni
delle cose, i fenomeni esteriori e fuggevoli; la buona giurispru-
denza, che unicamente foraiasi dalle rigorose deduzioni di essi ,
manca. Apparentemente sembra, non vi possano esser leggi mi-
gliori di quelle, che caso per caso procedono: in sostanza, i
casi lutti sendo inescogitabili, e indefiniti gli ommessi , le lacune
restano enormi, e nelle lacune le tenebre. Quinci seguita, per non dir
d'altro, quella colluvie di regolamenti, di declaratorie e di note,
eh' é il lato più comico dell' anuninistrazione borghese , se non
fosse anche il più seccante. Le persone addettevi non debbono
avanzare un passo, che non segua le prescritte norme ; ma, come
inanimati fantocci, guidansi col filo dalle supreme cancellerie.
Ninna occorre, che abbia genio, intuito, previdenza, spontaneità,
libertà ; poiché il più delle medesime anzi non hanno altra incomben-
za, che di compilar verbali, specchietti e protocolli. Preparati an-
che questi innanzi, e stampati in modo uniforme, secondo i detti
regolamenti; per poi seppellirgli negli archivi, dove ninno gli
guarda. Quel po' d' impulso proprio adunque, che rimane all' am-
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ininistrazìODe , ricovrasi ne' dicasteri centrali , enormi ergastoli di
scrivani pubblici. I quali, tra svogliati e insolenti, riversano sulle
Provincie il tedio e V afiianno. E in queste poi langue ogni azioiie
civile si , che si può dire non solamente la direzione, ma tutto il
governo starsene nella capitale : dalla quale si può i lor voti co-
noscere, e i lor bisogni satisfare in quella guisa, eh* è focile in-
dovinare.
CXLVI. Viiio oardinale da' premitì ordini andaistratiTL
Cosi io sono venuto alla fonie de' guai amministrativi ; la
quale giacesi nel modo stesso , onde venne Y amministrazione del
regno d' Italia costituita o, se cosi lice esprimermi, negli organi
alla medesima dati. Querelansi sino i nostri pubblicisti borghesi
della ressa de' pubblici negozi nel centro , e propongono di spar-
gergli (ben intero, a modo inglese o americano) pel territorio. Ma-
le , che la questione sia ben più grave delle misere questioncine dì
accentramento e di discentramento, ch'ei vanno agitando! Non
viene nemmanco in mente a loro , che vi possa essere un organa-
mento j allatto diverso e contrario air organamento gallico qui si-
tuato, e all'inglese o air americano , cui vorrebbono sostituire.
Per verità è italiano : ed è a questi tempi e con questi padroni
una grave disgrazia , e una giusta ragione perchè sia abominato ,
ed anzi ignorato. Perdonino quindi , s io debbo anche in tal teoui
addurre i patrii detestati esempi. Ma tant'è, sappiano, che Fo-
nico sistema possibile d' amministrazione per Y Italia è quello es-
senzialmente ed esclusivamente comunale. Delle altre nazioni tra-
lascio discorrere: quanto a questa, fosse anche un sistema ri-
provevole, è cosi insito alla sua compagine, ch'ella noo può
avere altre membra e altri plessi , tranne i comuni Non ne ebbe
altri per la picciola bagattella di tremila anni ; e non ne pub avere
altri mai , se non a costo d' infenfiarsi e di perire. Questi , clie
sopravanzano, sembrano a loro comuni, perchè non ne htimo
pur il concetto, e, quando delle cose vi è il nome, si appagano:
ma , per averne la sostanza , vuoisi ben altro. Mentre possedeano
un materiale cosi ricco d' istituti indigeni, e un tesoro si cospi-
cuo di diritto amministrativo ne' nostri statuti ; non è por passato
loro pel pensiero , che se ne dovessero valere. Bisognava portar qui
ogni ciarpa oltramontana ; e pareva a loro , che i oomom d
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sero, quando, come in Francia, alcuni corpi ci sieno, a cui af-
Gdare le riliulaie faccenduole locali. La nosti'a Legge de' 20 marzo
1865 (10-151), suiramministrazione comunale e provinciale, basta
per condannargli , senza eh' io altro soggiunga. Non sofferse del
resto mai X Italia uno spettacolo cosi desolante e obbrobrioso ,
come quello de' suoi cosi detti comuni ora ; molti de' quali im-
mersi nelle passività e taluni a dirittura oberati, e da tutt'i quali
esulò ogni vita. Per lino essi, santuari e palladii della società ita-
liaua ne' più infelici tempi , sono in tale bassezza caduti , che le
persone più serie e modeste, e più atte e proclivi a spiegare la
propria attività in umili ambienti . ne sono nauseate e aliene. Di
regola stanno in balia de' cosi detti consorti del luogo, o di protervi
ragazzi , che concionando ne' rispettivi parlamentini e profonden-
do la pubblica pecunia, fanno le prime armi per divenire uomi-
ni di stato e dì flnanza celeberrimi. Gli affari loro commessi per
ventura riduconsi a poco più dell' edilità, della sanità e dell'istru-
zione locale; e le franchigie sono puramente nominali. Che, se
si allarga alquanto la sfera della loro giurisdizione, o proponesi
di allargarla, non è già per accrescere tali franchigie, né per
ovviare ad un' amministrazione troppo improvvida ; si bene per
alleviare un'^amministrazione troppo costosa. Non bastando cioè
più l'erario dello stato ai gravi sperperi, cedesi a' comuni or
Tuno or l'altro servigio; acciocché tosino questi le pecore am-
ministrate di seconda mano, e al par di quello s'indebitino e si
rovinino. Qualche cosa di simile abbiamo già visto, essere occorso
alle curie del basso impero, nella costoro ignominiosa decadenza;
ove i decurioni divennero una specie nuova d' angariatori e d' an-
gariati fiscali. Perché appunto altro favore i servi non possono
da' tiranni avere , se non d' essere strumenti delle offese , eh' ei
medesimi patiscono. Nondimeno esse curie, cotanto degradate,
serbavano maggiore importanza degli attuali municipi!: i quali
non sono ad altro destinati, che a raccogliere, se cosi lice espri-
mermi, le briciole amministrative del governo. Onde non basta,
come credono i predetti pubblicisti , estenderne la sfera di azione ,
e nemmanco afforzarne l'autonomia. Occorre, per giungere al con-
cetto del vero comune, reputarlo un ente altrettanto sacro e ne-
cessario quanto lo stato, e legittimo e naturai depositario della
pubblica amministrazione. La qual cosa non pare a loro possibi-
le, non sapendo pur figurarsi, ripeto, un sistema del tutto disfor-
me dal presente, e in uno conforme alle nazionali tradizioni; e
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dimenticando per sino, che con esso reggeasi la immensa romana
mole.
CXLVII. Italia antica retta per maniGipii.
lo dovrò alcun che degli ordini comunali trattare nel volume ,
che farà seguito a questo : ma è mestieri sin d' ora premettere , che
qui non si reputò mai libera e civile altra specie d'amministrazione,
se non qixeìhì per comuni ; e che l'opposta, cioè qneWai per Provin-
cie si reputò sempre domenicale e servile. Ho già raccontato , come
tutt' i popoli , che qui fiorirono prima di Roma , e massime gli
umbri , gli etruschi e i latini , vivessero in città confederate tra lo-
ro ; e in una guisa assai più sciolta de' moderni cantoni elvetici.
E Roma, benché unificando la penisola e il mondo, di regola ren-
desse soci i popoli circonvicini o, come si direbbe ora, compa-
gni ; lasciandogli nelle cose interne arbitri di sé medesimi. Nel-
r antico diritto italico e romano non si conosceva anzi lo istituto
delle provincia o de' popoli tributari , cui Roma apprese al con-
tatto degli stranieri ; e cioè de' cartaginesi , dominatori di Sicilia
e di Spagna (Storia romana di Teodoro Mommsen, III, il).
Cosi rese ella provincia la GaUia togata; ma sollevando poscia
anche questa al grado libero e civile delle genti consorelle. Che,
sebbene dalla Legge Giulia in poi (allarg:mdosi Y urbanità ai la-
tini, etruschi ed umbri, e quindi a tutt'i popoli italiani) i patti
|)articolari di società o compagnia venisser meno, e si desse a tutta
la penisola un assetto municipale uniforme ; questo rimaneva la
base della portentosa amministrazione romana. Per fin sotto l' im-
pero non ve ne ebbe altra : né l' Italia tutta si resse per due se-
coh altramente, che per mezzo de' municipii; i quali anche la
giustizia amministravano , salva l' ultima istanza ai pretori. Sola-
mente nella decadenza dell' impero cominciano a fungere alciaii
messi del principe: i consolari stabiUti da Adriano, e resi gim-
ridici da Marco ÀureUo , per dar luogo nella metà del terzo se-
colo ai correttori. Da qui principia l'amministrazione provìDciale
in Italia; sin che Costantino con un nugolo di funzionari corti-
gianeschi e militari, e indi Giustiniano vi stabiUssero del lut-
to r asiatica autocrazia (Istoria della costituzione dei mmU^
cipii italiani di Carlo Hegel, I). In tal guisa le curie munici-
pali degradaronsi nella guisa anzi detta : ma probabihneDte, seb-
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bene questo punto sia ancora controverso, non disparvero del
tutto iiemmen sotto i barbari , quali umili magistrati de' vinti. £
ad ogni modo , o si trasformassero o cessassero , fatto sta , che i
vinti stessi si risollevano e alla fine si rivendicano, restaurando i
comuni; e con questi la propria civiltà e libertà, di cui sono for-
me uniche eterne. Dal duodecimo secolo deir era volgare in poi ,
ebbero essi quello splendore, cui ogni pietra attesta: e, se con
danno della politica unità e indipendenza, ne fu cagione, l'es-
ser divenuti stati, e discordi e nemici fra loro; non già Tesser
comuni.
GXLVIII. Italia odierna retta come proTincia.
Dante patrocinandola monarchia e Machiavelli il principato,
pe' supremi bisogni appunto della conservazione, non si sogna-
vano pure , che il loro caro comune e gli altri dovessei^o esseni
sacnfìcati. Era inteso da ognuno, e non si concepiva nemmeno il
contrario, che l'Italia dovesse essere comunale; eh' è dire libera
e civile. Anche quando i tiranni oppressero le repubbliche, o le
maggiori repubbliche le minori ; serbavano quest' ultime le loro
proprie leggi e magistrature. I signori o le città dominanti arro-
gavansi al più, rispetto a queste, la nomina di un rettore, la ra-
tifica degli statuti e il supremo appello ne' giudizi: del rima-
nente lasciavangli ne' medesimi ordini antichi. Così Venezia go-
vernò un dominio abbastanza vasto ed anche oltramarino ; osser-
vando, delle più piccole e oscure terre avute in dedizione, sino
alla sua caduta i patti, come se gli avesse colle più illustri e
formidabili potenze conclusi. Vero è, che tah terre erano in con-
dizione di suddite, e cioè solamente i signori o le città domi-
nanti aveano il diritto di guerra e pace, e in genere il potere
politico : ma amministrativamente reggevansi da sé sole. Fu sola-
mente per influsso straniero, che i detti ordini vennero n^no,
prima nel reame di NapoU e nel ducato di Milano , sotto l' oppres-
sione spagnolesca; e indi anche altrove. Per altro sino al finire
del secolo scorso l'amministrazione italiana era ancora piuttosto
comunale, che no; sebbene allora appunto tra le altre false liber-
tà, che qui la Francia importava, fossevi anche questa reale ser-
vitù. Le antiche consuetudini e i diritti storici non essendo più
sacri, sotto aspetto di rinnovare la vecchia società, nella squallida
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uniformità del dispotismo orientale cancellavasi. Non panre vero
ai tirannelli, dopo la catastrofe napoleonica sovraggiunti, di man-
tenere il vuoto letale, che la demagogia francese avQa fatto. Fin
la corte papaie, che si mostrò naturalmente più zelante a disep-
pellire il passato, guardossi hene di ricolmare quel vuoto, ch'era
tanto atto al poter impunemente tiranneggiare. Teneva essa in-
nanzi Bologna piuttosto come città collegata, che sottoposta: ma ,
racquistandola , pose in non cale i patti antichi, per trattenerla
secondo i dettami della predetta demagogia. E cosi a un di presso
fecero tutti quegli altri , che restaurarono qui la precedente tiran-
nide ; non già que' freni , che le avrebbero potuto recare intoppo.
Altrove di fatti vi sono usi venerati o caste potenti, che inco-
iano gli stessi despoti , e lentamente resistono a' costoro voleri :
tino il gran Turco ( per esempio) è dal Corano privato della po-
destà legislativa , e dalle moschee della interpretativa. Noi in vece
non abbiamo qui freno alcuno , né tradizioni, né caste, né nobiltà,
né comuni: né la legge del profeta, né la interpretazione degli
ulemi. E così, despoteggiati innanzi da altrui, andiamo ora de-
mocraticamente despoteggiando su noi medesimi.
CXUX. Beni dell' nnità e indipendensa nniignale fkvftrntL
Bella libertà davvero amministrare la patria a modo di pro-
vincia conquistata , che tanto significa il sistema qui mantenuto e,
dopo i recenti eventi, raggravato! La unità e la indipendenza
sono ottime cose ; ma pur semplici mezzi rispetto a' veri Ani de*
popoU, la hbertà e la gloria, la felicità e la virtù. E, se on i
ventisette e più milioni d' italiani avessero di questi beni minor
copia , che in altri tempi centomila di loro , quelle stesse oiUme
cose a che gioverebbero? Poiché Firenze sola dal XIII al XVI
secolo conta più nella storia del mondo di tutta Italia ora, e il
valore di un popolo deesi da ciò , che opera , desumere ; tulU In
nazione non vale ora quel , che un unico comune allora. Noo
dico quindi, che la dovesse restare smembrata e soggetta: ma
certamente coloro , che deplorano il suo stato d' allora , non po^
sono del presente |>avoneggiarsi. Imperocché, per quanto {»aecùi
una gran massa di carne a chi pregia le cose dal volume, que*
sta nuissa informe e inerte occupa inutilmente la terra, e la
usurpa iogi ustamente fui colle proprie ossa, cui va adaslellaDilo.
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Due sole obbiezioni mi si posson fare : che Y Italia , anche re-
staurandosi r antica comunalità , non potrebbe riavere quello splen-
dore antico; e che ad ogni modo i singoli italiani meglio nell'o-
dierna aurea oscurità si vivono. Ma , ammesso pure, che fosse
lecito agli uomini curarsi di lor medesimi solamente, rompendo
il vincolo, che gU unisce all'umanità tutta; s'ei sieno oggi più
prosperi e Ueti , lo vedremo in seguito. Quanto al non potere V Italia
risplender più, rispondo, che, a farla risplender, certamente non
basta la restaurazione de' comuni. Bensì vi vogliono e questa
e le tante altre cose , di cui vo io deplorando il difetto in questo
volume, e di cui raccomanderò nel seguente l'adozione. Se non
che qui appimto sta tra gli avversari miei e me il punto mortale
di discrepanza : eh' ei dissimulano i mali , cui io svelo , né i ri-
medi , cui io propongo , accettano ; dicendo , che l' Italia sta troppo
bene così, e che o bene o male dee starci, come l'hanno essi
adagiata. Fatto è per altro, che la vita civile langue nella medesi-
ma ; e che, sebbene sia il farla languire uno de' segreti di stato della
borghesia, con mille arti applicato, di cui darò alcun cenno appres-
so , non ultima è V annichilamento dello spirito comunale.
CL. Danni e perìcoli del lUso assetto dato all'Italia.
Fu nobile e degno dell' avita magnanimità l' impeto generoso
di tutti gì' italiani nel cinquantanove, di dimenticarsi fm quasi del
proprio essera, pur di ricostituire la comune patria. Dato però, che
intendessero Y unità a quel modo, in che venne attuata (di che io
dubito forte); un'unità, che avrebbero con disprezzo rigettata i
due massimi e immortali unificatori , Dante e Machiavelli , e anzi
neppur potuta così figurare ; un' unità puramente materiale e mec-
canica: proseguendo eglino in essa, ucciderebbero sé medesimi e
la patria. Queir indifferenza, quell'apatia, quell'uggia, in cui sono
ora tutti sprofondati, sarebbero in verità assai minori, se il sim-
patico squillo della campjma del comune gh ridestasse, rincorasse
e rallegrasse. Né ci ha forse altro modo per assestar le finanze ;
e sopra tutto per impedire, che dal disgusto si trapassi al rancore,
e i giusti sentimenti del natio nido conculcati prorompano in a-
perta ribellione, se non questo. Il grido delle regioni , che si
udì spesso bisbigliare lungo questi diciott' anni, come protesta in-
conscia e sconsigliata contro un assetto falso ed esiziale ; ha molti
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seguaci nelle file de' cattivi ed anco de' buoni. I buoni, e fra essi
taluni uomini egregi e stimabili , vorrebbero , cangiando Y Italia
unita in una federata , ricacciarci a quella divisione, che tanto
ci costò nel soffrirla ed indi nel liberarcene: i cattivi rovinare ogni
cosa. E, poiché ne' tempi corrotti sono mille volte piii solleciti e
agevolati i cattivi a fare il male, che i buoni il bene, e intiere Pro-
vincie nel predetto assetto gemono, come sotto un giogo insoppor-
tabile, sappiam noi dove andremo? Io credo fermamente, che
r Italia si salverà: ma della nobile Sicilia (considerata poco meno
d' un paese di conquista ) qualcuno già teme. E , se noi dovessimo
spargere sangue fraterno, sia pure d' illusi e di traviati , io non
so chi desterebbe orrore o meriterebbe compianto maggiore, se
loro 0 noi medesimi. La borghesia non si cura di questo: per-
chè intanto levasi d' impiccio colle ammonizioni, colte taglie,
colla vigilanza, col confino e colle altre suppellettili del suo ar-
senale amministrativo. Né in caso d'una rivolta, un'esecuzione
militare, che sarebbe peggio d' una novella battaglia perduta,
le farebbe spavento. Però evidentemente sonovi due stupende cose,
cui conciliare in Italia, e cui ella in vece scambievolmente ini-
micò: l'unità generale e la varietà particolare, l'istinto di pa-
tria e r istinto dì comune. E queste non si possono conciliare
altrimenti, che con una patria forte e con un comune libero.
Assidendosi l'amministrazione su' comuni, per ciò solo e non
parlando degli altri beni, che ne verrebbero, e sopra tutto deDo
slancio prodigioso di vitalità morale; le spense di quella si ridur-
rebbero alla metà ed anche a meno. Il che naturalmente sarebbe
un risparmio alla borghesia grato, sempre che ridondasse a suo
profitto. Ma non dubitate, gentiU lettori, in onta allo stesso, accdgi
ella una riforma, che sareblje troppo sostanziale e troj^ verace
per piacerle. Prima di tutto l' Italia deve aver forme esolicbe e
non proprie: e poscia tali, mercé cui possa ella sovraneggiarla
a suo libito, e usufruirla con suo commodo. Sia quindi retta a
modo provinciale: ed, anzi che dsi' cittadini magistroH^ con
quelle tali falangi di pubblici provvisionati , di cui m' aodngo
ora a discorrere; e che costituiscono una delle mille piaghe degli
stati odierni borghesi, e sopra tutto dell'italiano.
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LCI. Casta ministeriale.
Preteriti i comuni classici e distrutti i feudi bai*barici, le
grandi monarchie, che si formarono in Europa dal cinquecento
in poi, dovettero ineluttabilmente trovare un modo di ammini-
strare i sudditi, analogo a quello degU orientali despotismi. Co-
me questi si governano co' satrapi , cogli eunuchi e con cotali
altri arnesi da serraglio ; cosi quelle co' cancellieri , cogli scribi
e con cotali altri arnesi di palazzo: donde sorse V aulico satel-
tizio. Il concentramento de' pubblici servigi diveniva naturalmente
una necessità, dacché tutta l'amministrazione doveva seguire un
unico impulso e avere un moto uniforme. Tuttavia il guajo non istà
tanto in quel concentramento, quanto in questa unicità d' impulso
e uniformità di moto. Per cui causa coloro, che esercitano pub-
blici uffici, perdono ogni spontaneità e autorità, e possono chia-
marsi ministri; non più, a rigor di termini, magistrati. In
oriente l' apoteosi di tal sistema vedesi nelF amministrazione del
chinesc impero, regolata e sollecita sin nelle più frivole minuzie;
e affidata a una gerarcliia vasta e orrevole di mandarini e di let-
terati. Il punto più cospicuo, a cui pervenne in occidente, fu
quello dell' amministrazione da Maria Teresa e Giuseppe II in-
staurata; la quale die prove di saggezza e provvidenza veramente
rairabih. Tanto che, fino a' giorni nostri, chi avesse voluto definir
r indole dell' austriaco reggimento, avrebbe dovuto per certi conti
addimandarlo un' aristocrazia cancelleresca o, se vuoisi, una seri-
niocrazia. Col qua! sistema debbono i sudditi per fino non man-
giar troppo, acciocché il soverchio cibo non gravi loro lo stomaco:
ma almeno vengono con una tal quale patiiarcale e pedagogica
bonomia trattati; e i pubblici provvisionati sono certi di essere
ODorati e protetti. Se non che la borghesia , accogliendo il sistema
clìinese e austriaco, come ottimo per esercitare le sue fattorie poli-
tiche e per ridurre i soggetti alla condizione di lavoranti non
salariati; si guarda bene dal promuovere il bene di costoro, e
insieme dal porre in una condizione sopportabile i suoi salariati
faiiori. È un articolo della sua fede politica, che lo stato non
^eva curarsi del bene di nessuno , e deva lasciare ampia Ubertà
3 tutti di morirsi tanto d' indigestione , come di fame. Quanto
^gli ufliciah dello stato , ella non gU ha e non gli può avere in
— 224 -
maggior conto de' suoi garzoni dì bottega ; se pure non gli pregia
assai meno, come adesso vedremo.
CUI. Senritìi tUeasterica.
Delle molte maniere di servitù, cui io vo in questo libro descri-
vendo, simili 0 dissimili alle antiche, non ne conosco una più biz-
zarra e singolare di quella, cui soffrono le magne e dolenti turbe
de' pubblici provvisionati in Italia; e la quale per ciò chiameremo
servitù dicasterica. Avvegnaché, se per alcuni riguardi potrebbesi
alla servitù curiale del basso impero paragonare; se ne scosta
di molto, considerando lo stato di perpetua miseria, in cui è
tenuta, e di perpetuo scherno. Avendo la plutocrazia moderna
ripudiato gli ordini civili e liberi d'amministrazione, dovette al
pari delle suddette monarchie commettersi a un numeroso e ino-
peroso ministero; come pe' bisogni della difesa a una soldatesca
enorme e pacifica. Cosi nel nostro regno Tanno 1873 novera-
vansi 68,396 persone addette all'amministrazione non militare.
E, wsebbene T anno 1876 in vece 49,064; aggiungendovisi gli
avventizi , quelli delle provincie e de' cosi detti comuni e la basa
forza doganale, il conto torna il medesimo. È probabile anzi^
che vada sempre più crescendo: perchè, sebbene i piloti s'ac-
corgano ogni tanto,
« Che la ciurma è d' impaccio alla galera »,
e minaccino anche di gittarla in mare; vogliono bene, che senza
di essa non ponno trasjìortare il carico, o trafugare il contrabban-
do. Con la metà ed anche con meno si farebbe mille volte meglio,
quando fossero uomini eletti, e condegnamente stimati e rimunerati.
Sventuratamente, quanto più il lavoro è mal compensalo e disono-
rato, tanto più rendesi servile; e, quanto più servile, tanto più ste-
rile. Non mancherel)l>ero alla patria i figli anelanti di sacrificarsde:
ma i padroni della medesima , non potendo trovare , che mintste-
riaU a prezzo, debbono di necessità raddoppiargli, secondo che
gli privano d'olmi nobile stimolo all'alacrità. E, dovendo pascer-
ne troppi, e volendo sj^enilere men, che possono, e rendergfi
docili più, che possono; assottii:liare loro di tanto la razione, die
a{)pona rampino, e conie fainelìci accattoni tremino. Meritano, ^
non ostante, tutti costoro, senza eccezione, di essere commendati
<* laudati: perchè , dojK) i nostri soldati, sono essi i più eloqueoU
- 225-
e irrefragabili testimoni della tribolata e invitta virtù di questo
popolo. Ma essi uscirono da que' ceti gentili o disinteressati , cui
va la plutocrazia stremando ; e si trovarono neir amministrazione
avviluppati in un momento, che i cuori tutti aprivansi alla spe-
ranza , ed e' credevano di dover essere della patria risorta ma-
gistrati , e non di alcun padrone incognito servi. Procedendo cosi
le cose, poiché niun uomo di senno vorrebbe d'ora innanzi av-
venturarsi a una sorte si molesta e umiliante; in capo a una
generazione, gli abili e gli onesti cederebbero affatto il luogo ad
uomini più acconci al servire.
CLIII. Infelicità de'pabbUd prorrisioiiati sotto la borghesia.
Io dissi dianzi, che la borghesia gli pregia assai meno de'
suoi garzoni di bottega: e or dunque consideriamo la sorte di
quelli e di questi, per vedere phi stia più a disagio. Con un
decimo dell'ingegno, dello studio, del tirocinio, della fatica e
della responsalità occorrente, popamo, a un giudice, può qua-
lunque uomo oggidì fare una discreta fortuna. Ebbene, poiché é
molto, se un giudice diventi consigliere d'appello, né vi diviene,
che in età matura, e, divenuto, riceve da cinque a settemila lire
l'anno colle rispettive deduzioni fiscali; torna più conto certa-
mente in Italia fare il droghiere o il pizzicagnolo. E, quanto agli
altri ufficiali, le cui mercedi non giungono in media a cinque
lire il giorno; dovendo viver nomadi, e nudrire, vestire e afiog-
giare sé e le famiglie un po' meglio de' semplici braccianti , di
regola non hanno modo di risparmiarsi in tutta la vita la paga
d'uD mese. Non si tratta quindi più di chiedere per tutti una
condizione decorosa o almeno decente; ma il necessario pane,
che a loro manca. Ned io mi curo d' un picciolo errore di com-
puti, pel quale certi alti d\gnitari dello stato proposero e conse-
guirono non ha guari un aumento al loro stipendio di qualche
migliaio di lire. Avvegnaché, dopo tutto, costoro stessi sono dalla
plutocrazia retribuiti con tanta spilorceria, che si reputano feUci,
quando da reggitori dello stato possano in direttori d' un banco can-
giarsi. Inoltre, com' é noto, per una recente legge gli stipendi a
tutti cosi detti impiegati vennero aumentati in media di una
lira e ventiquattro centesimi il mese, e taluni di un centesimo e
^oni. E questo fu il più splendido atto sin ora dell' alta libe-
15
-226-
ralità borghese : la quale forse ne andrà commettendo alcun altro
in qualche suo caritatevol furore. Nondimeno, per quanti ne com-
metta , e anco se potesse al sempre maggior numero de' propri
stipendiati provvedere , e fosse d' oro satoUa ; non gli deve dalla
molestia e dall'umiliazione sollevare. Perchè, se lo avere uno
sterminato e ozioso servitorame è cosa comune a tutte le signo-
rie assolute; quella del terzo ceto deve di giunta averlo torturato
e svergognato. Onde le giova si trattarlo male, e dire, eh* è trat-
tato troppo bene (come spesso usa), per tenersi i suoi o gli altrui
quattrini: ma senza tale intento lo tratterebbe male ugualmente.
L' odio 0 lo sprezzo, che in tutte le occasioni manifesta , e ne'
luoghi più augusti e ne' momenti più solenni , contro gli ufficiali
dello stato, procede appunto da ciò , eh' ella gli vuole suoi sche-
rani , mentre costoro non se ne possono rassegnare. Con una tenue
porzione del danaro pubblico, che vedremo poi come ammassato
e dove profuso, gli paga dunque sordidamente ; e ancor grida allo
spreco, e gli svillaneggia. E, mentre trova giusto e bello, che
qualunque bottegajo possa ammucchiar tesori e vivere sfarzosa-
mente ; le pare un crimenlese, se un magistrato, logorando la \ita
in un indefesso e pernicioso lavoro, lasci un modesto censo alla
famiglia e scenda nel sepolcro con dignità. In ciò la soccorrono
mirabilmente gì' infatuati delle democratiche superstizioni alla fran-
cese, di cui quella si sene ogni qual volta ha da perpetrare e
legittimare qualche tradimento. I quali appunto, prendendo per
democrazia la volgare invidia e il livellamento brutale, vorreb-
bero, che i superiori uflìciali fossero agi' inferiori parifìcati. Cioè
tutti miseri e abietti , e misera e abietta la virtù ; mentre il mer-
cimonio insolentisce e infuria , e superbi e snaturati oligarchi op-
primono il popolo e barattano la patria.
CLIV. Inoertena da' pabbli^ prorriiiMUitL
Oltre per altro, che pei vili stipendi, soffrono gli ufficiali
tutti una reale servitù, per la condizione precaria e incerta, in
cui son posti; e in conseguenza della quale debbono continua-
mente stare trepidanti e sospesi. Le nostre leggi riconoscono li
magistrati giudiziali (almeno in dati gradi) e ai professori uni-
versitari una tal quale stabilità d'ufficio, che può per altro esser
resa illusoria , non foss' altro co' guiderdoni agi' immeritevoli e
- 227-
coir inverecondo obblio de' meritevoli. Gli altri ufficiali non han-
no guarentigie di sorte alcuna, e direttamente o indirettamente
possono esser licenziati, o per riforme di leggi od anche per
quelle tali cause politiche ed elettorali, cui sopra accennai. Òr,
quando si volle, per non affidarsi alle elezioni, alle condotte o
ad altri mezzi più liberi e civili, accoglier le qomine; e creare
una professione abituale e speciale de' cosi detti impieghi, non
è tale licenza più lecita. Questa professione richiede una spesa
non Ueve di preparazione , esclude nel fiore della giovinezza ogni
compenso, progredisce di stadio in stadio, e assorbe le personali
attitudini cosi, che chi più atto in essa, diviene precisamente
nelle altre più inetto. Da che dunque un disgraziato avventura
il suo presente e sequestra il suo avvenire in questa forma; il
pubbUco contrae verso il medesimo il debito di non mancare ad
impegni, che, s'anco non espliciti, sono tuttavia impliciti. Tranne
il caso , eh' e' si rendesse indegno , e in cui quasi dee perdere
sino il diritto alla pietà; la naturai giustizia vieta al pubblico
(anche se non sapesse più , che farsi di lui), vieta d' abbandonar-
lo. E, se, accommiatandolo, non lo risarcisce delle somme per-
dute, degU studi professionali, de' lucri mancati nell'alunnato,
delle defraudate aspettative d' avanzamento, e de' danni dell' ozio
forzato, a cui sarebbe nel rimanente della sua vita dannato, com-
mette moralmente un furto. In onta a ciò, certa brava gente , che
sa far tanto bene i suoi conti, e che, quando le capita fra gli artigli
un prodigo, si rivale fin de' minuti , in cui è rimasto giacente il
suo capitale, e colla grossa usura si rassicura fin de'pericoU del
diluvio e del finimondo; reputa chimeriche queste liquidazioni.
Se lo potesse, caccierebbe all'istante sul lastrico tutte le sue
68,396 \ittime più immediate (siccome ha qualche volta minac-
ciato); né le verrebbe pure il dubbio di non far cosa buona. È
universal persuasione, ch'esse non abbiano diritti: tanto che,
mentre dopo tutto per tenerle in \ita o in agonia non si spende,
che la minima parte delle somme stanziate ne' bilanci dello stato,
e, s'anco le si cassassero tutte, vi vorrebbe ben altro per riem-
pierne le voragini; fino un Giuseppe Garibaldi propose, che la
nuova economia si facesse proprio sulle lor ossa. Ed io cito questo
gloriosissimo nome in prova, che della sordida e spietata tiran-
nide, cui vo qui svelando, nemmeno il cuore d'un eroe s'è
accorto.
- 228 -
CLV. Agonia de'pabblid proTridonatL
Comunque sia, le predette vittime non sono nemmeo certe
della presente vita o agonia ; e nemmeno dell* osservanza de* patti
per la loro invalidità o vecchiaja convenuti. Più volte si è buc-
cinato di toglier loro il diritto alle pensioni, e di fare altresì
sulle già acquisite una di quelle famose « operazioni di finanza »,
in cui la finanza borghese è maestra. Non mancano a dò prete-
sti: perchè, astrattamente parlando, che di peggio dì questi scia-
mi di gente spensierata e incauta, che non sa provvedere a* tardi
anni , né a' cari superstiti ? Certamente , poiché si aspra sorte sop-
porta , credo io, eh' ella dovrebbe colla medesima regolare i suoi
appetiti ; rinunciando a ogni sorta d' agi , e fin nelle maniche rim-
boccate pareggiandosi a* più umili artefici , pur di mettere in ser-
bo qualche cosa pel futuro. Ma tale, austerità spartana in tempi
di fastosa ostentazione e d' avida bramosia, come i presenti, non
è facile; e non varrebbe del resto per chi ha tenue o breve il
soldo. Ónde, poiché la si è posta in si fatta sorte, da dover
di per di consumare i propri guadagni e da non potere ad altro
attendere; bisogna bene reputarla come in un continuo stato di
minoratìco o d'imbecillità. E quindi nelle distrette soccorrerla,
a un di presso come i servi, che infermano e incanutiscono in
c^sa; e soccorrere eziandio per un certo tempo le vedove e gii
orfani , che alla morte de' mariti e de' padri rimangono abbando-
nati alla nazionale misericordia. Per queste cause sorse il diritto
alle giubilazioni de' pubblici provvisionati, sacro in tutt*i reggi-
menti onesti, ove un ceto cancelleresco formossi, ed ove non affoga
in tanta miseria e abiezione. Tuttavia, benché nel reggimento
nostro trovi un ulteriore fondamento in certa falcidia degli stipen-
di appunto per si fatta ragione, mercé cui assume esso la natura
anche d'una bilaterale obblipzìone; i giurisperiti della borghesia
noi reput^ino assoluto e irrevocabile. E del resto, qualunque siano
i loro responsi, i finanzieri della medesima, sì può esser tran-
quilli, che, prima di mancare agi' impegni del debito consolidalo,
a questi mancherebbero. Conciossiaché strillano tutti , come osses-
si, se alcuno propone ridurre lo interesse sC pubblici feneratari.
Se in vece si togUessero le pensioni ai giubilati, e fin «pelle
già fissate e divenute un censo vitalizio e un credito intangibile,
ninno ne avrebbe onta. À tale uopo manca loro il poterei
- 229 -
la voglia : e ad ogni modo già in parte , facendola ogni tanto ba-
lenare, raggiungono lo intento. Il quale è, che i pubblici servi
per si fatto sgomento restino tramortiti; come i popoli, e lo ve-
dremo appresso, sotto l'incubo del fallimento.
CLVI. Pervertìmeiito da' pabblioi iifftoi Botto la borghesia.
Le angustie e le tribolazioni economiche sono del resto un'
inezia in paragone delle altre arti, con cui si tramutò la popo-
lare magistratura in servitù dicasterica. Perchè, sebbene la feb-
bre de' lucri e la sete de' piaceri sembrino generali, pur tale è
ancora la stoiHa del popolo italiano, che non mancheriano uomini ;
i quali, in onta a quelle angustie e a quelle tribolazioni^ vor-
riano servir la patria degnamente. E i pubblici ufficiali appunto,
pegli studi gentili e per la natura stessa delle loro occupazioni,
sono da quella febbre e da quella sete meno arsi. U peggio è,
che , non solamente da' bisogni dell' esistenza materiale marto-
riati, ma oltraggiati per fino nella loro morale dignità, togliesi
loro il più forte stimolo alle azioni belle de' mortali. Io ho già
accennato a questo , dicendo di sopra , eh' ei sono considerati
agenti e servi delle fazioni, e di coloro, che per le fazioni mo-
mentaneamente e mutabilmente dirigono la pubblica cosa: tra'
quali e le quali non sanno come contenersi, e nemmeno come
rimanersi integri , fedeli e costanti. Questo solo basterebbe a per-
venire affatto l'indole del loro ministero: ma, se vi si arrogo
la convinzione borghese in più modi manifesta , eh' ei sieno al-
tresì agenti e servi di chi gli paga, facile è argomentare, com' ei
debbano del loro amaro caUce trangugiare fin l' ultimo sorso. E
quanto sia irriverente questo Unguaggio, che usano particolar-
mente i diari moderati, e i più sfegatati monarchici; se si con-
sidera, che anche il capo dello stato è pagato, non ho d'uopo
dire. Veramente, poiché lo stipendio non è altro, tranne il cor-
respettivo del loro lavoro, parrebbe, che intervenisse tra loro e
lo stato un contratto, per lo meno non dissimile da qualsivoglia
altra mutua prestazione d' opere e di cose. E , poiché anzi le
opere loro sono si mal retribuite, che, se vi è alcuno, il quale
rimanga in debito tra quelli , e debba esser grato , dovesse preci-
samente esser lo stato. Di guisa che , se (per esempio) vi sono in
Italia professori , che godono all' estero qualche fama e potreb-
boDvi ricevere un onorario di venticinquemila lire, e tuttavia, non
-230-
reggendo loro il cuore d'abbandonare la patria adorata, si accon-
tentano qui di cinquemila; parrebbe, ripeto, che, se vi è alcuno
qui, che dona, fossetto precisamente essi. Il che del resto non è
un merito, perchè per la patria si dee fare questo e ben altro.
Ad ogni modo, come i lor diritti di essere professori, giudici o
cotale altra cosa vengono dalle doti loro , e non da' favori di nes-
suno ; cosi i loro doveri , non dal prezzò ricevuto , ma da' vin-
coli santi e indissolubili verso la patria procedono. E, ammesso
pur, che dal prezzo, allora saranno al popolo obbligati, colla cui
pecunia e fin colla cui farina vengono alimentati; e non già a chi
passa nelle lor mani i rimasugli de' contributi del medesimo. Chi
dunque usurpa le ragioni di questo, che dopo tutto è il legittimo
sovrano, e da cui eglino ripetono i lor titoli , arrogasi di maltrat-
targli, di vilipendergli ed anche di sbarazzarsene. Eglino nondi-
meno hanno obbligo di procacciare comecchessia il bene di esso
in tutt'i modi possibili e fin che, venendo destituiti o dovendo
dimettersi, non ne sia schiuso loro ogni adito. Ond'ei debbono
per fermo obbedire a' loro superiori in tutte le cose legittime,
ed alle leggi sempre : ma tradirebbero il proprio ufficio e per fino
carpirebbero la mercede , se si reputassero d' altri , che di questo
popolo tutori e difensori.
CLVU. iTTilimento de'pabbUd nffloL
Ora io non dico, eh' ei siano violentati aflatto a tradire sif*
fattamente l' uflicio e a carpir la mercede : perchè la tirannide
borghese è una tirannide floscia e fiacca, e la cascaggine e b
frollaggine sono mali comuni ora ai tiranni e agli schiavi. Beod,
eh' ei non si reputano più dalla patria investiti d' una particolare
autorità , ed alla patria unicamente vincolati ; ma semplici salariati
e clienti de' momentanei e mutabili reggitori dello stato o que-
stori dell' erario. I quali , mentre non avrebbono altro diritto, cbe
alla soggezione gerarchica de' medesimi, pretendono in vece di
avergli peggio, che vassalli e raccomandati. Talmente che par
loro un gran vanto il poter dire : vedete , noi vi potremmo schbo-
dare, e tuttavia vi lasciamo tirare il fiato. Come se questi ma*
gistrati, anche cosi impropri come sono, non tenessero per altre
titolo, che per il beneplacito di quelli il proprio ufficio: e come
se il rapirlo loro non fosse una soperchierìa fatta a tutta la na-
zione, lo del resto non mi curo di deplorare i torti effettivi , cbe
- 231 -
si commettono o si posson commettere: riprovo unicamente que-
sto basso sentire sulla natura e sulle prerogative de' pubblici
ufficiali, che non potrebb' essere più erroneo e funesto. È comune
opinione ora, che le dignità e i carichi, anzi che aggiungere la
più splendida aureola civica a coloro, che ne sono investiti ( sic-
come r aggiungevano agli avi nostri ), gli sottopongano a una
condizione molto peggior di quella del più oscuro operajo. La
borghesia, reputando, chi gli accetta non miri, che a riscuotere
un salario, stupisce, che i ricchi gli possano desiderare; e rim-
provera i poveri , che gh osano chiedere. A' quali ultimi dice
appunto nelle scuole e su' giornali , che, mentre vi sono tanf altri
modi assai migliori d' occuparsi e di lucrare nelle officine e ne'
banchi, è una poltroneria, ch'ei vogliano vivere ad ufo. Non
pensa ella nemmeno, che vi possano esser taluni , i quali cerchino,
anche sotto la sua dominazione e in onta a' suoi maltrattamenti ,
di servire la patria almeno in quegli uffici , che non si collegano
agr interessi degli oppressori , e fin che questi abbiano il corag-
gio di cacciarnegli via. E così chiama ella, dopo liberata la pa-
tria, e quando il primo sospiro di tutf i cuori avrebbe dovuto
esser quello di servirla ; chiama « parassiti del pubblico bilancio »
0 più brevemente « mangiapagnotte » coloro, che s' immolano alla
medesima. Ora, se il popolo venne diminuito di capo, e se le
autorità tutte dal sommo all'imo, come vedemmo sono vane, e
le inferiori di giunta angariate e vituperate, e sottomesse affatto
a una condizione servile, e i cittadini stessi alleVati in codesti
sentimenti da servi ; io spero, che i miei cento lettori fieno accorti
finalmente della ignobile potenza sotterranea , che governa o sgo-^
verna lo stato. La quale deve naturalmente avere un qualche in-
tento; e, poiché costituì lo stato stesso per favorire le ricchezze,
deve proporsi il conseguimento delle medesime. Ned è anzi da
farne meraviglia: perchè, come le antiche caste de' sacerdoti e
de' guerrieri si proponevano la ciunneria e la conquista, cosi
questa moderna de' mercatanti proponesi il lucro. Ma , siccome a
ciò non basta la sola finanza, e a questo più diretto obietto de'
suoi pensieri bisogna far convergere tutr i pubblici servigi e con-
laminare tutta la società civile; cosi è d'uopo ora constatar ciò
ne' particolari rami dell' amministrazione e nelle particolari fun-
zioni della vita pubblica, cominciando dalla giustìzia.
GIUSTIZIA BORGHESE
CLVIII. LeflrifllaiioBe del regno d' Italia.
Dappoiché un principe, un collegio o un ceto, indebitaaieQte
occupando la repubblica e violentemente tenendola, debbono di
necessità la giustizia misconoscere e conquidere, ed ogni domi-
nio tirannico è di necessità ingiusto; non è a stupire, se anche
il borghese lo sia. Per altro può darsi, che una tirannide sia
pe' titoU del suo dominio e pe' modi del suo impero ingiusta ,
ossia ne' soli politici riguardi ; ma non anche ne' privati. Questo
mirabilmente avverossi nelF oligarchia veneziana , signoreggiante
il popolo a comune e non a particolar benefìcio, ed anzi con suo
proprio sacrifìcio; e la cui giustizia sopra tutto fu si inflessibile
e inesorabile, da doverla temere assai più i signori, che i sudditi
l^er contrario V odierna oligarchia del terzo ceto, che non ha deUa
patria il fìero e geloso culto di quella , né il sentimento e né pure
il concetto della equanimità e dignità, che ogni signoria ^ptlima
0 illegittima deve avere; considerò la giustizia come un aSuie,
di cui anche il turco ha bisogno, e da trattarsi appunto tur^
chescamente. £ , siccome Y ingiustizia ne' reggimenti degli stati
in due guise si perpetra, colle leggi e co' giudicati, ossia oome
precetto e come pratica ; d' ambo ora dirò , facendomi dalie leggi
À proposito delle quaU , basterà mentovare la restrìziODe de' sol-
fragi a un ceto di persone , che non é il popolo, e l' awocazioiie
de' giudizi criminah, detti di fatto, al m^esimo ceto, eh' è pc^
cisamente il dominante e soverchiatore del popolo stesso; per co-
noscere tosto, come la ingiustizia sia proprio stata posta a fot-
damento dello stato. La cosa anzi é cosi enorme , che si seole
vergogna di confessarla, chiamando popolo a dirittura quel celo,
e suffragi e giudizi popolari i suoi; con una di quelle flgure rei-
toriche, che usa appunto quel ceto per coonestare le sue iniquità.
-233-
Per ventura io crederei perdere il tempo, se volessi dimostrare,
come il popolo sia in sulla terra V unico signore dì sé medesimo.
Perocché fin la chieresia ammette non abbia altro signore, che in
cielo ( di cui sono i principi quaggiù colla permissione di lei sem-
plici vicari): e la borghesia vanta troppa democrazia, per negarlo
con le parole. Dunque, se ciò è vero, ella deve ammettere, che,
concedendo le prerogative elettorali solamente a 605,044 italiani e
ad un minor numero quelle giudiziali , fece torto a tutf i rima-
nenti; i quali non sono quindi cittadini attivi, ed anzi nemmanco
cittadini. Mentre tutti gì italiani, redentisi dalla servitù straniera,
erano per ciò solo tornati liberi di lor medesimi; con tale esclu-
sione da' comizi e da li*ibunali, que'soli divennero signori, e gli
altri sudditi. La qual cosa, siccome contraria alla parità civile,
è non solo ingiusta, se la si considera secondo la naturai ragio-
ne : ma anche secondo le romane leggi ( il cui gius di postliminio
venne cosi posto in non cale), e per fino secondo i patti, che
stabilirono il regno d' ItaUa. Perocché , per non dire de' valorosi ,
che r ebbero innanzi con meriti e dolori d' ogni sorta preparato ;
i fondatori esteriori e formali del medesimo, dennosi almeno ri-
tenere que' 3,538,468 italiani , che votarono i plebisciti. Or chi
avrebbe potuto immaginare, che nemmeno essi, capaci di fon-
darlo, non fossero stati dichiarati tutti capaci di conservarlo? La
borghesia nostra cosi e di loro e degli altri si valse, come già
la francese dello anelito di libertà e del farnetico di popolarità, a
guisa di ponti per assidersi in sul trono. Or, che la vi si è assisa,
pensa o dice dì aprire un usciolino ad alcuni altri piccioli suoi
clienti 0 alunni : ma fatto é , eh' ella nega tuttavia i diritti veri
di cittadinanza , manifestantisi negli squittinì e ne' placiti , alla
Duiggior parte degl' italiani E , benché ella non ne sia più ido-
nea, accampa la costoro inidoneità in iscusa; come se questa,
che può valere in uno stato d' ottimati , si possa in uno stato po-
polare far buona. Del resto é troppo naturale, che la dovesse
essere in questo argomento ingiusta; perocché, se il suo dominio
ftok dipende dalle tante cagioni, cui vo in questo volume spo-
Dendo; il legale in vece da codesto monopolio degli squittinì e
de' placiti. Non la potendo dunque più rimproverare de' titoli e
de' modi, onde legalmente tiranneggia, passerò a considerare le
^ opere all' infuori di tal campo : e cioè non nelle leggi statu-
tive, ma nelle leggi statuite.
- 234 -
CLIX. Infrisioni della oottitiiiioiie politiea.
Qui prima debbo notare, eh' ella, dopo avere dato tali ordim
allo stato, per eui questo come cosa sua stesse in suo arbitrio,
avrebbe potuto accontentarsene, e dovuto osservargli In vece le
sue leggi (supponiamo per un istante, che le fossero giuste
sempre ) infransero quegli ordini appunto, eh' ella avea dato. Se
io adducessi gli atti di questa o quella autorità pubblica contrari
alla costituzione prammatica , entrerei in un tema irto di difficolti
e di amarezze. Intendendo di condannare le colpe, e non avendo
altro sentimento, che di compassione verso i colpevoli; è più
spiccio e più misericordioso richiamar Y attenzione de' leggitori
sugli stessi provvedimenti legislativi. Prendano adunque in oumo
il cosi detto Statuto del regno; e veggano, quanti articoli del
medesimo furono da questa o quella legge, per dir poco, prete-
riti. La preterizione comincia sin dall' articolo 1, che sancisce una
a sola religione dello stato » ; e contro il quale sta non solamente
la cosi detta « politica ecclesiastica »: ma tutta una sequela di pre-
scrizioni, che attuarono precisamente l'opposto. Non è sincerità dire
una cosa, e fame un' altra ; violando anche a fln di bene un patto, in
cui si sono i cittadini commessi e compromessi sotto l' egida della
pubblica fede. Ed è pericolosissimo alla libertà, oltre che illegit-
timo, che i consigli legislativi si arrogliino i poteri d' una balia
0 d' una dittatura , cui ninno ha loro conferita : tanto più che oggi
quel patto sarà violato a danno degh uni, e domani degli altri. Se
non che , prescindendo da ciò e supponendo un gran bene il trasgre-
dirlo, certo però è intanto, che fu trasgredito. Quanto all' articolo
24 , secondo il quale i cittadini a tutti godono ugualmente i diritti
civiU e politici )>, non ho bisogno di ripetere, che vi stanno con-
tro i privilegi nella Legge elettorale e nella Legge sulT ardma^
mento giudijsiario sanciti , e testé ricordati. Segue l' articolo 25,
secondo il quale « essi contribuiscono indistintamente, nella pro-
porzione dei loro averi, ai carichi dello Stato ». E il quaie è
stato in guisa applicato ( come in seguito farò chiaro ), eh' ei Oli-
rono in vece gravati proprio nella proporzione dei loro non averi*
Pegli articoU 2G e 27 la « libertà individuale è guarentita » e
c( il domicilio è inviolabile »: ma ciie sorta di guarentigia e d' in-
violabilità abbiano nel nostro Codice di procedura penak e
— 235 -
nella nostra Legge sulla sicurezza pubblica trovato, lascio a
tutti considerare. Per \ articolo 29 « tutte le proprietà , senza
alcuna eccezione, sono inviolabili »: e nondimeno quelle della
chiesa ed altre proprietà del popolo e de' poveri , che appresso
ricorderò, furono dalla Legge per la soppressione degli ordini
e corporazioni religiose e da altre tali, io non dico violate, ma
solamente ingojate. Quanto alle ragunate e compagnie, pacifiche
e inermi , di cui X articolo 32 afferma i diritti , ben inteso invio-
labili; mi sarà forse sfuggito, ma io non saprei addurre un sol
caso, che il popolo potesse manifestare i suoi voti, contrari a
quelli della fazion dominante o di chi ne tiene il timone, che
non ne fosse impedito o turbato. Onde senz' altro , quando è in
qualche circostanza da' soliti manipolatori convocato, si pub esser
certi , eh' è per compiacere alla medesima e per incuorarla con
un po' di strepito a tirar via. Alcuni di coloro, che, appunto ti-
rando via con tale strepito, benché senza malizia, fecero alla pa-
tria i danni e le onte, ch'io in questo libro novero, sarebbero
giusta r articolo 67 mallevadori. Pure, non che porgli a sindacato
mai, dopo tanto promettere e consultare, non si è creduto o sa-
puto ancora fare una legge, che la mallevadoria rendesse effetti-
va e verace. E quanto meglio stavate voi , o giudici , e quanto più
fermi e onorati su' vostri seggi , prima che Y articolo 69 vi dichia-
rasse « inamovibili »! Se poi l' articolo 72, che prescrive la pub-
blicità delle udienze vostre sia stalo osservato, vedremo tosto:
certo non lo fu il 76, che istituiva la « milizia comunale ».
Sopprimendosi la cosi detta guardia nazionale, con una disin-
voltura portentosa, alla chetichella e senza pure un lamento, si
levava una gran seccaggine a' borghesi : a' quali in breve se ne
leverà altra, che non vuo'dire. Veramente, benché quello istituto
fosse il palladio d'una inutile libertà, dir non si può, che fosse
anche della libertà un palladio inutile. Implicando la ricognizione
del popolo, armato custode delle proprie franchigie, e del diritto
eventuale alla resistenza contro l' oppressione, era non solamente
fastidioso ; bensì da' padroni e da' servi alla pari temuto.
CLX. Difetti deUe leggi oiviU.
Discostandoci ora un po' dal campo politico , basta im fug-
gevole sguardo alla legislazione borghese , per vedervi si nel di-
-236-
ritto civile e s) nel penale il vizio radicale dell' ingiustizia. Av-
vegnaché la borghesia, s'anco volesse ^sser giusta, non avendo
in pregio altri interessi, che gli economici, naturalmente sotto-
pone a' medesimi tutti gli altri. I favori quindi, ch'ella concede
alle ricchezze non doveano limitarsi agli onori spontanei, agli o-
maggi moraU e alle prerogative politiche ; ma altresì trasfondersi
nel suo privato diritto. Il quale si può riassumere nella tutela
fiera e gelosa della proprietà j dimenticando o conculcando tutti
gli altri sociali e umani beni. Di che appunto nessuno s'accorge,
perchè più nessuno sa concepire, vi sieno beni, che non sieno
materiali , da tutelare. L' istituto della famiglia e quello della re-
ligione (per esempio) sono altrettanto essenziali alle umane con-
sociazioni, quanto la proprietà. Pure a nessuno calse, che Tuno
in men d' un secolo si logorasse , e T altro in men di quattro lustri
si combattesse come un nemico vile. E, fuori e al di sopra deUa
società , sonovi altri diritti assai più sacri , come ( per esempio }
la libertà ; di cui nessuno ha pur sospettato , potesse fornire ar-
gomento a leggi ampie dichiarative. Nella congerie di responsi,
di editti e di costituzioni, che prende il nome di Carpo dd
diritto romano , benché raccozzata in momenti dì decadenza e di
servitù ; nel diritto canonico , nello statutario e nel consuetudina-
rio, non erano del tutto negletti quest'altri interessi, beni e isti-
tuti , cui io accenno. Però , quando la borghesia francese raceotoe
0 intese raccogliere nel suo codice civile, che servi poi di mo-
dello al nostro e a parecchi altri , lo sparso diritto privato ; traone
che alquanto della famiglia , si può dire non si curò d* altro , cbe
della proprietà. Appunto perché, secondo la borghese giurìspni-
denza , eh' é poco più d' una giurisprudenza economica , il diritto
privato é poco più del diritto di proprietà. E cosi de' 2147 artiooG,
in cui é diviso il nostro Codice civile j appena 405 promettOM
trattare de' diritti delle persone. Ma , eccetto che della coodizioie
di esse, sopra tutto pe' rapporti di parentela e sopra tutto per
ragioni di materiale interesse , d' altri rapporti e ragioni nm m
curano. I 1742 rimanenti in vece non versano direttamente o in-
direttamente, che sulla proprietà : e di quante cautele la tingono,
e con quanto zelo ! Lo stato , che , secondo le massime borghesi
non dee proteggere gì' incauti ; protegge ben qui , poiché si trat-
ta di ragioni patrimoniali, i minori, i pazzi e i prodighi secondo
l'antica giustizia (articoli 240-349). Né solamente costoro: s)
bene col pegno privilegiato e colla ipoteca legale fino i credilori
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non pupilli, non interdetti e non inabilitati, che non pensassero
a cantarsi da sé medesimi (1952-1969). E, poiché stavagli tanto
a cuore lo istituto economico, guardate mo, se ha protetto in
simile maniera i lavoratori : o se neppur vennegli in mente , vi
potesse essere un diritto del lavoro, come vi é un diritto del ca-
pitale I Si avrebbe sperato , che qualche cosa ne dicesse a pro-
posito del contratto di locazione d' opere : non dubitate , se la
spicciò assai corta, e anzi non se ne curò punto, tutelando an-
che quivi piuttosto le cose, che le opere (1627-1646). Hanno
inoltre i mercadanti un codice proprio , ed altro i naviganti : quanto
agli operai, la borghesia tolse loro sin quello, che aveano ne-
gli antichi statuti delle corporazioni d' arte. Ond' ella , non sola-
mente pose la proprietà al vertice dello stato e del diritto, e le
sacrificò ogni altro tesoro : ma nel campo stesso di essa i ricchi
assicura, e i poveri abbandona.
GLXI. Difetti deUe leffffi penalL
A questo punto mi si può obbiettare: che de' diritti trasan-
dati dalle leggi dichiarative o civili, si occupano le leggi Inter- *
dittive 0 penali. Le quali, dettando sanzioni contro le offese alla
vita, alla salute, al pudore, alla libertà, all'onore eccetera, ben-
ché a un modo obliquo e negativo, ugualmente gli affermano.
Mancherebbe altro, che i borghesi, oltre le borse e se non altro
per le borse, non avessero comecchessia difeso anche i portatori
delle medesime ! Dico per altro , che anche nel Codice penale , e
precisamente anche nel nostro (dove la borghesia mantiene an-
cora restremo supplicio, in onta al raccapriccio universale), il
medesimo sprezzo si scorge pe' diritti diversi dalla proprietà , dianzi
notato ; la medesima deferenza a' ricchi e la medesima derelizione
de' poveri. Date un' occhiata anche a questo , lettori miei , col lu-
me della ragione ; cioè liberandovi da que' pregiudizi , pe' quali
sembra sacro tutto ciò, ch'é vieto o dall'uso consentito. E trove-
rete gì' identici delitti scontarsi dal ricco con una breve villeggia-
tura 0 con un tenue esborso, e dal povero indeclinablimente colla
perdita della libertà ( articoli 29 , 30 e 67 ). Troverete , che il de-
linquere contro la integrità e la libertà de' popoli e degli stati
stranieri non é punito : bensì e fortemente il delinquere contro
le loro monete e cedole di banco ( 153-178, 316-331 )• I concerti
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de' principali per angariare gii operai debbono, per esser puniti,
imporiare uà costringimento ingiusto ed abusivo ed anche un prio-
cipio d' esecuzione : quelli degli angariati basta , che mirino a pre-
mere « senza ragionevole causa » ( 385 e 386 ). Gli oziosi , i va-
gabondi e i mendicanti , pognamo j che non potessero trovar la-
voro, né starsi fermi, né senza questua campare, conunettono
senz'altro un delitto (435-452). Il duello in vece, ch'é il diritto
di prepotenza e di soperchierìa , e di vita e di morte nel ceto pri-
vilegiato, ha una pena, eh' é a dirittura una celia, e che del re-
sto non viene quasi mai applicala (590). Che, se per la borghe-
sia la carità è uno scialaquo e la povertà un abominio, facile è
immaginare , qual debba esser la sorte del ladro. Potrei co' suoi
giudicati dimostrare , eh' essa lo reputa assai peggiore d' un as-
sassino e d'un parricida: ma dalle sue stesse sanzioni appare,
eh' essa sente assai più tema de' ladri , che ribrezzo de' più per-
versi malfattori. Il furto, con certe circostanze arrote, dev'espiarsi
con vent'anni di galera: per la truffa bastano al più cinque anni
di carcere, uno per la violazione di domicilio, mezzo per l'ol-
traggio al pudore ( 205 , 420 , 605-634 ). Capisco , che i truffatori
meritavano tutt' i possibili riguardi, specialmente quando diventano
milionari. Non pertanto la pace domestica e la verecondia , benché
le fossero cose da disperati anche queste , parrebbe y che dovessero
valere un po' più di cinquecento lire. E com'è dunque avvenuto,
che il ladruncolo debba scontare una colpa, che suppone una gran-
de degradazione , ma non la malvagità dell' animo , molto più du-
ramente del vile , che le più sante gioje umane viUpende ?
CLXU. Ginstisia nel regno d' Italia.
Ciò certamente non fa onore al senso morale de! celo so-
verchiatore : d' altra parte questo adora Pluto , e le cose mobili
(strumenti del suo regno e obietti del furto) doveansi ad ogni co-
sto difendere. I romani, maestri in diritto, e della stessa proprietà
etemi e inesorati legislatori, non osarono il furto consideràre per-
fetto delitto; dettandogli contro, più multa, che pena, la sanzione
del duplo 0 del quadruplo. Ma la borghese giurisprudenza, non
ismarrendosi di coraggio per cosi poco, ha da' barbari dottori e-
sumato e disviluppato una famosa serie di casi, cui ella nd suo
gergo dimanda « qualifiche », e con cui manda appunto il re-
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mo , in causa d' una scala o d' un grimaldello , anche i notturni
desolatori d' un pollajo. £ , che vale , dopo ciò , la proclamata ugua-
^anza di tutti innanzi alle leggi, se queste medesime leggi non
sono uguali per tutti ? Venendo alla pratica attuazione delle qua-
li , io godo ora di constatare, per quanto riguarda il diritto civile,
che non vi sono gravi sconci da lamentare. Nelle umili contese
del mio e del tuo è assai difficile concepire , che in un modo ge-
nerale e deliberato si possa pronunciare pel torto. Vi sono involti
interessi puramente privati , conviene tra V una e Y altra parte de-
cidersi, Tommissione è appena concepibile: e sarebbe uno spet-
tacolo troppo ributtante, che si favorissero i potenti e si oppres-
sassero i deboli. La plutocrazia non è quindi giunta ad imporre
a' magistrati di sentenziare secondo i suoi interessi ; né vi giun-
gerà,-io spero, mai: tanto più che la miseria ha poche ragioni
da far valere presso i tribunali. Un solo sconcio non grave debbo
per altro notare , perchè agH occhi di tutti risalta : che la sua giti-
stizia civile è molto cara e molesta. Oltre le formalità da osserva-
re e le lungaggini da superare , sopraggiungono tali tasse da pagare
e arringhe da rimeritare , che i poveri litiganti non possono co' ric-
chi competere, o n'escono spesso rovinati. I lombardi e i veneti
(per esempio) erano poc'anzi avvezzi a una certa giustizia, che
aborriva le Pandette , più che il diavolo Y acqua santa. La quale
tuttavia, supplendo col buon senso all'eloquenza e alla dottrina,
arava diritto alla carlona. Ora naturalmente di dottrina e d' elo-
quenza occorre tale sfoggio, che tra esse e le spese, che accagio-
nano , molti sonosi accorti e vie più accorgerannosi , esser meglio
alla prima accomodare e risolvere le hti tra loro ; se non cedere
tal volta e darsi vinti , pur di cansai*e codesti trionfi di Pirro. Il
qual modo del resto di amministrar ìac giustizia, costringendo i
cittadini a star lungi dal foro, è troppo originale, spiccio e par-
simonioso , perch' io me ne possa dolere.
CLXIll. Giustùda ponitÌTa male amministrata.
Se non che, passando alla giustizia penale j questa zoppica
talmente, che bisogna proprio averla confusa con la polizia, per
non accorgersene. Se per ventura il delitto non avesse nella na-
tura, nella educazione, nella religione , nella coscienza, nella be-
nevolenza e nella vergogna sanzioni assai più potenti, che nelfe
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leggi ; vedrebbesi , che lanpida forza avrebbero per impedire qui
il soverchiare de' tristi su' buoni. Pur, siccome alla fin fine la
società umana in una o in altra maniera sta, e i tribunali sono
aflaccendati e le prigioni zeppe ; pare anche qui , che una giusti-
zia penale ci sia. Non dico, che T innocente sia pensatamente op-
presso: sarebbe anche questo uno spettacolo troppo ributtante,
per potersi comecchessia tollerare. (Corrono però gì' innocenti poveri
ugual rischio de' ricchi ? sono i giudicabili ugualmente sicuri per
quelle imputazioni , che da vicino l' odio o il favore dellt classe
dominante o della fazione prevalente eccitano? sono tutti i delitti
veramente e inevitabilmente perseguiti ? e quelli contro la proprietà
alla pari repressi degli altri , che offendono le persone o lo stato
medesimo? Io preferisco interrogare, piuttosto che rispondere:
perchè , se ci è dato numerare tutt' i delinquenti processati e con*
dannati, non ]X)ssiamo con altrettanta esattezza conoscere qadBy
che noi furono, o lo furono con dispari misura. Certi famosissimi
processi , le cui cause e i cui nomi risuonano nelle bocche di tat-
ti , ebbero sotto una tale amministrazione pubblica un esito pra*
cisamcnte diverso da quello, che awebbero sotto una tale altra
avuto. La impunità assoluta , che godettero i duelli per un lasso
ragguardevole di tempo; e quella relativa, che godono i delitti di
stampa ed altrettali, cui si dimandan politici..., questi sono Hali-
ti, cui ninno può negare. Che il ladro in vece non incontri mai
pietà: e che, sommando le pene decretate ed eseguite, veggasi
più gravemente castigato chi toglie le robe di chi sparge il san-
gue; 0 che assai rade volte costui co' sotterfugi dell* impeto ,
dello silegno, del dolore e fìn delle passioni più strane e inre-
rosimili non si sottragga alla sanzione propria del suo misfiitto...,
è pure un fatto, cui ninno può negare. Ijì straordinaria indul-
genza anzi de' giurati, non solamente pe' barattieri e pe* blsari,
ma pe' parricidi e pegli assassini (che spesso solvono con pochi
anni di pri^^ìonia gli orridi misfatti, se pure col sotterfugio delb
coazion morale irresistibile non Lsfuggano ogni pena), è lamen-
tata dagli stessi magistrati della pubblica accusa. Alle cui ora-
zioni inaugurali delle giuridiche si'ssìoni io rimando coloro, che
ne dubitassero. Ronchè questi fatti deplorandi e deplorati ince-
rino un serio timore, cui lìn la coscienza ])opolare, cotanto ora
coartata e contraffatta , sembra dividere ; noi doblriamo in quella
c( presunzione di verità della cosa giudicata » quietare, ch*è co-
tanto necessaria al buon vivere civile. Senza dunque pom in
- 241 —
forse la giustizia effettiva delle sentenze, basti proceder ora alla
dimostrazione , che la giustizia non è colle istituzioni nostre
possibile.
CLXIV. Stato deploreTole della pubblica tioiireBa.
I mali y che si commettono nelle forme giurìdiche , per quanto
sieno da esecrare , non sono cosi temibili , come quelli , che fuori
delle medesime avvengono. Ma pur troppo V odioso spettacolo de'
malfattori minacciosi e quasi invitti , e il difetto di quella serenità
di Diente e di quella fermezza di cuore, che occorrono per affron-
tarlo efficacemente, fecero si, che in Italia fin nella stessa forza
calma e solenne della giustizia si perdesse fede. Non darò colpa
a' nostri reggitori ( veggano , s' io son giusto ) del brigantaggio e
del malandrinaggio y della camorra e della maffia , cui dovea-
no per altro in ben diversa guisa, che colle repressioni schian-
tare. Non darò colpa a loro di tali piaghe, di cui fino i nomi
SODO abominevoli, che funestarono e funestano alcune parti del
regno; e tra le quali eglino per altro si smarrirono e si smarri-
scono. L' imperversare delle medesime anzi è scemato , e di que-
sto do loro lode : non del modo tenuto per infrenarle , il quale
io in altro luogo riprovai, e qui nuovamente riprovo. Con una
lunga, ignobile e atroce guerra (che in sostanza fu una guerra
servile ) aver dovuto por tregua alle scorribande de' masnadieri
nel continente : dovere poi con provvedimenti quasi statari e ar-
bitrari avvolgere tutta una gloriosa isola nel sospetto e nell'onta
de' suoi propri aguzzini ; e non vedervi là altro , che un covo di
banditi palesi e di segreti complici , non preoccupandosi d' altro . . . ,
tutto ciò spiegasi in chi non sa compenetrarsi delle condizioni
morali, sociali e politiche di un popolo. Né vuol suscitarne quelle
intime virtù , di cui solamente i codardi dovrebbon paventare ; né
concedergli quella fede, fuor della quale il supcriore si cangia im-
mancabilmente in satrapo, e l'inferiore in ribello. Tuttavia supposto,
che la necessità dolorosa del colpire il male si dovesse a quella
piacevole dell* ovviarne le cause preferire; dico, che, anche nel
colpire , si è dell' azione regolare della giustizia diffidato. Dappoi-
ché, per non dire, che al postutto colà assai più si contò sulla
sciabola , che su' santi riti della pace , come fossimo tra' nemici e
non tra* concittadini ; é giocoforza confessare , che in tutta la peni-
le
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sola sembra, la magistralura non possa andare innaiuù, se dod la
è dal bargello preceduta.
CLXV. Basd spedienti di polita.
Non sono si alieno da questi studi, né teorico si ingenuo,
da ignorare, che nelle presenti società civili la persecuzione de'
reati non approda, senza lo inapulso degli ufficiali di buon governo.
E di più godo constatare , che questo pubblico servigio ministrasi
in alcune regioni d' Italia ora con uno zelo e spesso anche con
un successo decuplo del passato. D' altra parte , oltre essere il suo
fiorire un sintomo da basso impero (come quello che risponde allo
illanguidire dello spirito civico) ed oltre avventurare la libertà
pubblica e privata a' maggiori cimenti : certo non si può appro-
vare in veruna guisa , che Y azione della polizia surroghi queOa
della giustizia. Non dico adunque, che quella occupi il luogo di
questa ne' tribunah ; che, per grazia de' numi, non siamo a tanto
giunti. Bensì , che quella , troppo temerariamente nella inquisizione
giudiziale inframmettendosi , questa quasi d' un soffio impuro rattri-
sta. Che la venale delazione debba in tempo di servitù alla libera
accusa supplire; e che per tale intento debba l'autorità pubUica
valersi di luridi ed esecrati ministri, è sin troppo vero. Ma scen-
dere in luoghi infami e infetti a favori e a patti ; porre finti o
compiacenti rei nelle celle stesse de' distenuti per istrappanie i
sospiri e i gemiti ; promettere impunità o concedere clemenza ai
dehnquenti, che rivelano i soci; bandire premi per la cattura de'
contumaci , vivi o morti . . . , sono orrori , cui la dignità pubbUea
non comporta. Indubbiamente alcune italiane regioni , pur da dora
servitù oppresse in passato, gli appresero per la prima vetta ora:
né basta a scusargli la pubblica impotenza, la quale ad ogni
modo cosi si manifesta e tradisce. Perché, sebbene la sooverta e
il castigo de' col|)evoli sieuo indispensabili; sovrastano altri mag-
giori interessi nell'umano convivio, e massime quelli ddl* uma-
nità, che sta sovra alla stessa giustizia. E le taglie, pognamo,
che facciano la giustizia approdare , X umanità fanno appunto nau-
fragare; eccitando i più vili e crudeli sentimenti, e abituando
gU uomini a considerarsi vicendevolmente fiere. La pubblica im-
potenza si é inoltre con quelle orride ammonieicni manitìrfrtati
e tradita ; le quali sono in sostanza un provvedimento pi^^^^rt1^ di
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polizia , che di giustizia ; e reso stabile e organico per difetto di giu-
stizia. Chi noD le conoscesse a pieno , e voglia anche prescindere
dagli abusi, che se ne possono fare ; guardi la Legge de 28 ago-
sto 1870 , promulgata per aggiungere nuovi misteriosi terrori ai
malvagi e nuove misteriose minacele agi' innocenti. In seguito alla
quale i miserabili , senza legittima difesa e solenni riti , anzi senza
colpa constatata o per colpa già espiata, possono essere e sono
vigilati e vessati, staggiti e confinati. In somma della propria li-
bertà e del proprio onore spogliati , e posti a dirittura fuori leg-
ge , come miserabili , eh' ei sono , per un semplice sospetto d' i-
gnota 0 di futura colpa (articoli 70, 71, 76, 105 e 106). Ah,
chi avrebbe detto, dopo tante giuste onte alle polizie borbonica,
pontificia ed estense inflitte, e dopo tante frasi, lustre e farse
liberalesche, che si avesse nella seconda metà del secolo decimo-
nono, dovuto assoggettare la nazione italiana a tanto obbrobrio?
E {Mj ch'ella dovesse si al basso scendere, che, a voler essere
sinceri , la ti*anquillìtà di molte sue Provincie è piuttosto a questi
ordini di polizia raccomandata, che agli ordini di giustizia?
CLXVI. Smarrimento del senao ginrìdioo.
Se non che la povera giustizia non solamente è costretta nel
dubbio e a caso aggirarsi, poiché sentesi inetta ad agire con cer-
tezza e con senno : ma fino il senso di essa , in questa classica
culla del diritto, si va perdendo. Noterò appresso, come prin-
cipii inconfutabili e indiscutibili del diritto fossero dalle nostre
leggi finanziarie offesi. Non dipartendomi dalle istituzioni penali,
quando ( per esempio ) non veggo alcuno accorgersi , che quella
mallevadoria de' prestanomi ne' giornali , statuita dalla Legge de*
26 marzo 1848 (37-49), è precisamente un assurdo; ho ragione
di dire, che fino il concetto del magistero punitivo è perduto. Che
alla tirannide borghese occorra artificiare e giuntare l'opinione pub-
blica , e che a ciò le giovi una stampa anonima e immune , di cui
veruno possa smascherarne l'ignoranza e flagellarne la viltà, siamo
d'accordo. Ma, che si voglia ad altri addossare il fio del delit-
to , tranne all' autore del medesimo : e che si debba di continuo
assistere alle ridicole , se non fossero vituperose , processure con-
tro prezzolati non rei, per cantare l'audacia e la jattanza de' rei
prezzolatori , è troppo. Dite alla prima, che non vi è pena pegli
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scrittori ribaldi : dappoiché, vi assicuro io, quella, che infliggete
agli assuntori inconsapevoli del loro carico, è inutile. E, poiché
questo ho io sostenuto in uno de' miei Trattati criminali j con-
tro i precetti ed esempi anglici e gallici, a cui erano i nostri
prima della vittoria di Sadowa riverenti ; passo a considerare, che
la giustizia non é possìbile nemmanco per la forma delle nostre
giudiziali istituzioni. Imperocché due sole forme rette sono in
tal proposito concepibili: o che i giudizi presso il popolo stiano,
siccome nelle antiche repubbliche; o che, siccome i tempi can-
giati richiedono, a un ordine giudiziario si deleghino. Il quale non
solamente sia dal deliberativo e dall' esecutivo distinto, ma da'
medesimi franco e sciolto. Confermano ciò anche i nostri , prote-
stando una di quelle loro famose teoriche, cui chiamano costitu-
zionali : però anche qui , quando ci sian le parole , che importa a
loro de' fatti ? Avendo a' giudici assicurato o promesso la stabi-
lità 0, come la dicon essi, inamovibilità j par loro di avere com-
piuto ad esuberanza il lor debito. È vero, che soggiungono, essere
codesta inamovibilità non di luogo, ma di grado; che non la con-
cedono a tutf i giudici, e che, trasferendogli, redarguendogli o
preterendogli , hanno egualmente modo di colpirgli, e per fino, se
i colpiti hanno cara la propria dignità , di costringergli a congedar-
si : però che importa a loro anche di questo ? Quantunque di pres-
sioni esercitate su' magistrati siasi troppe volte buccinato , e alcune
per iìn veduto, dopo certi giudizi, gli uni onorarsi, insignirsi o
promuoversi, e gli altri appunto preterirsi, redarguirsi o trasfe-
rirsi ; io vuo' supporre , che tutto ciò non sia vero , o sia stato
puramente accidentale. Del resto, prescindendone, com' è possibile
una magistratura senz' apprensioni o senza lusinghe, e realmente
libera e incolume, se nelle istituzioni stesse vi é di tutto ciò il
sospetto, il pericolo, la minaccia?
CLXVII. Kagistratnnt gindisiAle.
Ned io parlerò della insopportabile condizione , a coi le per-
sone depositarie delle giurisdizioni sono sottoposte ; sendo qoelb
medesima degli altri ufllciali pubblici, cui sovra ho svelata. Ma
qui il danno torna assai più grave: perché, posto pure, che gii
altri uflìci dello stato (quelli compresi dell' istruzione nazioiiale)
si possano adempiere da una catena d' infelici , tenuti odia mi-
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seria, neir incertezza e nell'abiezione; com'è possibile, che gli
ufiici di giustizia in simil guisa comecchessia si adempiano? Se
un giovinetto , appena uscito di scuola , può già , avvocando nelle
curie, trarre lucri e plausi maggiori non solamente d' un giudice
d'infimo grado, ma d'un giudice delle appellagioni ; com'è pos-
sibile , che chi ha ingegno preferisca all' awocheria un ufficio
giurisdizionale , nel quale, incanutendo, dee vivere di stento e d'ob-
blio? E questi giudici d'infimo grado, cui la borghesia chia-
ma , forse per ischerno , col romano e glorioso nome di pre-
tori ( mentre serba nomi palatini e barbarici a' superiori magi-
strati); questi giudici solitari e poveri, e in uno gravati d'immenso
carico, e per fin compromessi nella vita per quella facoltà d'am-
monire poc' anzi accennata ; con qual calma e con qual dignità
possono essere della legge ministri e sacerdoti ? Già si comincia
a non trovar più persone, che vogliano cotale ministero e sacer-
dozio assumere. E verrà tempo , che gli uomini capaci , come gli
altri rami di pubblica amministrazione, questo fuggiranno; sen-
done ben pentiti coloro , che nell' alba del nostro risorgimento la-
sciaix)nsi da menzognere promesse adescare. Se io rammentassi,
che le loro paghe sono di molto inferiori a quelle de' mazzieri e
de' tavolaccini delle corti britanniche , so , che non varrebbe. Impe-
rocché è noto, come alcuno di quegU alti magistrati riceva uno
stipendio, che merita piuttosto esser detto appannaggio regale; e
che supera tutti gli stipendi de' supremi dignitari del nostro stato ,
sommati assieme. Nondimeno in questa medesima Itaha , i giudici
delle prime istanze lombardi e veneti erano testé più largamente
retribuiti, che ora quelli delle superiori. Oltre che erano nelle
cause politiche rispettati ; non aveano , che una gerarcliica dipen-
denza tra loro , e fino avanzavan ne' gradi per concorsi e per
proposte di lor medesimi. Solo di questa guisa, tracciata o al-
meno sbozzata da un reggimento despolico, qual era l'austria-
co , ma disviluppata e perfezionata in libero reggimento ; solo e-
saltando il corpo de' giudici a podestà cardinale e fondamentale
dello stato, terzo tra gli altri ordini, e insiememente con essi
sovrano , si può veramente concepire un ordine giudiziario. Per
contrario basta a' dottrinari borghesi la formula feudale , che « la
giustizia emana dal re », quasi si avesse potuto dubitare, che spet-
tasse ancora a' baroni il mero e misto impero.* Del rimanente,
se il re non ci entra punto, se i suoi ministri designano essi
stessi e cassano i giudici , e gì' invigilano e sindacano per mezzo
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de' propri procuratori, anzi gli sottopongono a' procuratori mede-
simi; questa è cosa, che non gli riguarda.
CLXVllI. ATToeheria flacale.
So, che alcuno qui nii vorrebbe contraddire : ma pognamo pure,
che io non abbia ragione^ E che quindi la magistratura giudicante
non sia oppressala, né con premi o castighi tentata, uè dall' istitolo
emulo e parallelo della magistratura requirente quasi scalzala;
siccome quello, che gareggia seco lei negli emoltmienti e nel
lustro, e su lei informa, e lei stimola, e comunica direttamente
con chi la può premiare e castigare. Come non vedere tuttavia
in codesto istituto, o cioè nel così detto pubblico ministero^ oo
rivale e un sopraflatiore di ({uella? Fin qui erasi in Italia cre-
duto, che la rappresentanza della legge e la tutela del diritto
incombessero proprio agli stessi giudici: perchè, se non ne sono
essi i custodi e i vindici, oh chi mai altro lo sarà? Si può non-
dimeno concepire, che, diffidando d'essi stessi, pcmgasi tra gli
ordini supremi dello stato, come a Spaila, Roma e Venezia, una
podestà d' efori , tribuni e avTOgadori , arbitra e frenatrice di tutti.
In tal caso però la dovrebb' essere autonoma affatto ed anzi ba-
liosa ; e rivestire in somma V eccelso e augusto carattere tribu-
nizio. Ma , che non si voglia a' giudici affidare lo scudo della
legge e il vessillo del diritto, per affidarnegii a coloro, che deb-
bono essere in vece persecutori de' rei, e che insieme dalla po-
destà esecutiva dipendono, è il colmo della confusione. Ciò non
ostante, pur di calpestare i domestici e classici ricordi, nel br-
netico d' una senile imitazione si trapiantarono qui qa/e^' procmra-
(ari regi; in origine avvocati deUe corone di Francia e d* Inghil-
terra, che patrocinavano tra le cause cameraU anche le penali,
pel puro fme di esigerne le mul^. Questi poterono, quali manda-
tari de' principi, scomporre la giusta parità, che tra accusa e di-
fesa ci doveva essere. E cosi , da patrocinatori del fisco, convenìnà
in sostenitori delle azioni penali; ed atteggiarsi quindi a mode-
ratori deUa società costituita, essi i mandatari d'una ddle parti
in lite. Del quale, come di tanti altri assurdi, noi non ci accor-
giamo pili, perchè ci pasciamo non più d'idee, ma di parole: e
nemmeno temerne, perchè vediam bene, che ci aggiriamo tra
cose nx>rte. Che, se di mezzo a tali cose morte e a tali
- 247 —
e alle infinite sirti, tra cui naviga la magistratura italiana, questa
si mantiene tuttavia illuminata e incontaminata, ringraziamone i
patrii numi. I quali le dan forza di durare una gran battaglia ci*
vile, dimostrando ancora quanto siano forti la sapienza degF ita-
liani non degenerati, che resiste air anarchia legislativa, e la
coscienza, che alla corruzione trionfante. E queste naturali virtù
del popol nostro, di cui i magistrati tengono alta e pura la fama
(pai'te per le vecchie tradizioni, cui seguono, parte per T ufficio,
che gli richiama alle romane cose, e parte per la vita, cui me-
nano severa e dal lezzo delle fazioni scevra), io esulto in atte-
stare. Nondimeno, ripeto, egli è a temer forte, che il loro valoroso
drappello si assottigli e stremi ; e , se tuttavia per Y onore italiano
combattono, è tutto lor merito. Avvegnaché siano le istituzioni
tali, che non vi mancano, se non gli uomini adatti, per ritrovare
qualunque oppressione i più vili e crudeli strumenti.
CLXIX. Istitiudoiii gindisiaU della borghesia.
È facile capire da quello, che testé dissi, ed era facile da-
gr istinti della plutocrazia congetturare , anche se non lo avessi
detto, che questa , come sprezza Y esercito, cosi teme la magistra-
tura. Laonde, non paga di umiliarla e diffidarne nella guisa, cui
testé vedemmo, essa a dirittura la scaccia, per quanto riguarda
la penale giustizia, dal seggio. E ne la scaccierebbe altresì, per
quanto riguarda la civile, se ne' litigi di quattrini non le spiacesse
commettersi al giudizio d'ignoranti. Qui ripresentasi il dilemma
dianzi posto: o si voleva creare un ordine giudiziario, veramente
ordine dello stalo, e bisognava diversamente istituirlo; o lasciare
al popolo la giustizia, e bisognava gli antichi comizi giudiziali re-
stituirgli. Puossi anche immaginare una giudicatura mista di ma-
gistrati e di citLidini: e questo disse appunto ella di fare; ma,
che lo facesse, figuratevi! Né poco, né molto, né in foro, né in
curia il popolo deve penetrare: basta, che lo si nomini. Cosa ha
ella dunque fatto, per dare una parvenza di giudizio popolare ,
senza che ve ne fosse la sostanza (stabilendo uno di que'suoi
vantati congegni di guarentigia e di contrappeso, come gli dice,
costituzionali); e per avvocare inoltre i giudizi a sé medesima.
Vi era e vi é una famosa isola nel mondo; i cui abitatori, oltre
essere in ogni cosa molto nuovi ed eccentrici , hanno ancora nelle
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cose civili un non so quale dìsorganamento. In onta al quale, avendo
potuto essere ugualmente liberi, potenti e gloriosi a lor modo,
destano la universale ammirazione. Questa, non sapendo volgersi
alle loro virtù , prima delle quali il custodire gelosamente la pro-
pria storia e il non voler essere scimie degli altri popoli; e In-
cendo quindi il contrario di ciò, cbe fare doveva, si volse alle
loro istituzioni. Or, come gr istituti politici , fondati colà sul cozzo
d' elementi irrequieti e discordi , non escono da' primi rudimeoti
della civiltà; cosi gr istituti giudiziali rappresentano tuttavia la
civile infanzia. Perchè il sublime italogreco concetto d* uno stato,
che sovrasta alle gare individuali, che integra la vita, e a cui i
cittadini aderiscono, quali membra d' un unico corpo, ripugna alla
fiera e indomita indole loro. Ed è inoltre gran mercè, se la penalità
come pubblica funzione ravvisino, e la noedesima giusdicenza co-
me autorità pubbUca. Tal fiata anzi accade colà ancora, come
ne' primordi del viver sociale, che, se gli offesi non proveggano
di per so, non curi lo stato di vendicargli. Ad ogni modo oflési
e offensori non posano, se prima tra' lor medesimi non rinnovino,
almeno in parole e in simboli, T antico decisorio duello, e non
sieno da terzi e da privati giudicati. Onde il germanico istituto
del certame tra le parti, della mallevadoria de' vicini e della de-
cision de' pari, cacciato in bando altrove dalla risorta ragion ro-
mana, sopravvisse in queir isola. E, dopo che la falsa democrazia
francese volle come palladio di Ubertà ripiantamelo nel continen-
te, senza nemmanco comprenderlo, o adulterandolo (come in ge-
nere tutte le altre cose inglesi); non pane e non par vero alle
altre nazioni , in questo barbarico risveglio, di seguirne le orme.
L'Italia, prima quasi degli stessi tedesclii, premendole di mostrar
zelo di servitù: che non paresse alle volte men di loro anliro-
mana, o troppo nello straniarsi lenta. E i suoi legislatori per
maggior jattura, copiandolo di seconda mano, non cercarono nem-
meno di attingerlo alle Leggi criminali di Malia (dal britan-
nico impero promulgate), nelle quali esso serbava una A>rma
quasi originale e nello stesso tempo quasi addomesticata. Ma (pe-
rocché eglino queste cose non sono obbUgati a saperle), tradu-
cendo in vece il Codice d'istruzione criminale francese, ne
feaTo tale una contraffazione, di cui tutti s'avveggono, tranne
loro. •
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CLXX. Giudizio de' ginratL
Io ho già di questo istituto, che non ha nella lingua italiana
un nome, e non lo merita, discorso in uno de' miei Opt4scoli
criminali e in altri luoghi; e. preveduto lungo tempo innanzi e
in vano quel, che ne doveva seguire. Né voglio qui ripetermi:
tanto più , che basta ripudiare le superstizioni peregrine e le frasi
altisonanti, per comprendere, quanto i cardini, su cui aggirasi,
vacillino. Cioè, che si possa in criminale il giudizio del fatto da
quello del diritto scindere, che la certezza venga dalla coscienza
e non dalla critica, che la prova sia intuitiva o istintiva e non
riflessa o logica; e che nelle pubbUche e in ogni sorta di pro-
fessioni si possa dalla idoneità personale prescindere {Codice di
procedura penale italiano, 486-510). Però, quando udiamo ce-
lebrati giureconsulti, e per sino i cosi deiii guardasigilli , in par-
lamento sostenere questo; e che inoltre i giurati hanno facoltà
di temperare le leggi, e di correggerle e di raddi'izzaile ; che
altro rimane a noi, seguaci del buon senso antico, se non di ta-
cere in faccia a tanto sopraffina scienza moderna? Fatto sta in-
tanto, che di tal guisa il censo venne assunto anche a criterio
di capacità giudiziale; e che non solamente per questa giudica-
tura di borghesi il popolo non è. da sé* medesimo, né da un
ordine intermedio, tutelato: ma si può dire, tranne la borsa, che
altro di tutelato non vi sia. Innanzi a panciuti bottegai le accuse
di stato trovano tutta quella olimpica indifferenza, che si può im-
maginare; mentre la spietata ira verso i ladri, alcun de' quali (per
certi amminicoli) vien condannato fino a vent'anni di lavoro for-
zato, alternasi col pietoso indulto ai facinorosi , e col placido sor-
riso agU scostumati. Per fino i legislatori cominciano a travedere,
che vi sia qui un po' di confusione, e pensano a' rimedi; come se si
potesse questo istituto emendare altrimenti, che vulnerandolo. Im-
perocché, introducendovisi la elezione o la scelta, avrebbonsi giudi-^
ci elettivi e gratuiti, assessori o scabini: non più giudici spontanei,
estemporanei , casuali ed imperiti; quaU i giurati debbono essere,
per non rimaner tali, che di nome. Commettendosi alla sorte
0 alla ventura , d' uopo é naturalmente da' medesimi , come da
scapestrali, guardarsi. E quinci spiegasi la Legge degli 8 giu-
gno 1874 ; il cui articolo 49, poscia per grande benignità abro-
- 250-
gaio 0 derogato, era appunto sostanzialmente difensivo. Con esso
due supreme franchigie viola vansi, la libertà della stampa . alle
cui discussioni oneste niun tema vuol esser interdetto; e h pub-
blicità de' giudizi , che assai meglio dal volontario e universale
colloquio de' cittadini emerge, che da un muto e ristretto croc-
chio di curiosi. Dopo la incrollabiiità de' giudici , la miglior sicu-
rezza anzi de' giudicabili sta nel sapere , che tutta la nazione as-
siste per mo' di dire alla terribil tenzone de' tribunali , e ode e
pondera le lor ragioni. Onde io reputo una dottrina servile, que-
sta oggi in voga, che, quando e fìn che pende sovra alcoiio un
giudizio, non se ne debba più parlare: mentre allora appunto il
popolo, a cui venne tolto il diritto di giudicarlo, deve almaM
vigilare. Temendosi per altro, che questi buoni giurati non si la-
scino da' giornah sobillare, come troppo buoni, che ^i erano;
dovettesi la relazione de' piati criminali innanzi la sentenza divie-
tare. Il che, se è stato un confessar chiaro, giovare per costoro
il silenzio più della parola, e il bujo più della luce; non impedi-
va tutta\ia, eh' entro i tribunali fossero dalla luce abbarbagliati e
dalla parola sgominati. I pubblici accusatori conoscono tanto codesti
lor polli, ch'ei non solamente ingrossano la voce e mostrano i
denti, oltre il convenevole e contro la loro giovial mansuetudine,
per contrapporsi alla facondia delle contrarie togate sirene; ma deb-
bono ben peggio fare. Conciossiachè , per altre cagioni, l'azione
penale a loro commessa procede a rilento; e, mancando il loro
impulso, la giustizia spesso rimansi inattiva , e tal volta in famosi
processi vedesi alcun de' complici, quasi palesemente additato, pa-
rarsi sotto il loro usbergo. Ma ei debbono pure innanzi a' giurati
fare di necessità, virtù: e, quando una causa di stampa od altra
tale temono non poter definire, accontentarsi di qualche sequestro
e arresto, quasi con la certezza di non proseguir oltre ( il che dd
resto è un atto di polizia, larvato sotto specie processuale), por
di tutelare alla men peggio la società. 0 per fino mutare dàsse
ai reati e ordine alle giurisdizioni, invocando (pognaroo) io ma
causa di fratricidio la competenza de' giudici inferiori ; tanto che
non venga nelle assisie giustificato, e soggiaccia almeno alla
pena d' un furterello campestre.
- 251 -
CLXKI. Patrodnio forense.
Quando sieno gli altri arringhi della civil vita chiusi, è fa*
Cile capire, come il fervore di questa, o almeno della rettorica,
raccolgasi nelle tribune giudiziarie; e dieno le medesime i lucri
e gli onori, negati altrove. Sotto gr imperiali mostri della casa
Giulia in Roma, e lo scorso secolo nel reame di Napoli accadde
appunto, che fra il trono e la piazza sollevasse il capo un' avvo-
catesca oligarchia, le cui glorie meritano di riviver ora. Al quale
uopo, non giovando più sostenere la popolare accusa (che non vi
è più la pubblicazione de' beni, a cui partecipare, né il vantaggio
di compiacere al principe ), giova quel privato patrocinio assumere,
cui la Legge Cincia non frena. Vietava questa di ricever prezzo
per le dicerie forensi, e Gajo Silio, riproponendola in senato, al-
legava : « gli antichi dicitori aver vedute^ il vero premio dell' elo-
quenza essere la fama eterna »; e, « come le molte malattie la
borsa empion a' medici , cosi la peste del piatire agli avvocati »
(Tacito, Annali, XI, 6). Ma quella generosa austerità antica,
lino in tempi si infami e da si infame bocca rimpianta, siamo
d'accordo, che oggidì fa spuntare sulle labbra il riso. Dacché Yav-
vucheria é cristianamente divenuta una lucrosa professione da civile
ufficio, eh' era presso i nostri antenati pagani; é troppo naturale,
che ognuno dell' opera propria riceva mercede. E che di giunta i
grassi mercadanli dicessero ai magri causidici: le poche briciole,
che avanzano, raccoglietele voi, che avete buoni denti. Io suppongo
anzi, che la mercede, oltre esser giusta, non abbia mai mala origine;
e che ogni qual volta veggonsi in giro famosi oratori ai servigi di
qualche mascalzone, dal debito di sangue lo Uberino per pietà o
per gloria. Né mai, mai quella mercede sia parte d'orrido bottino,
e grondi ancora il sangue delle vittime; come forse taluno potrebbe
temere. Ciò non ostante , il decantato splendor del foro è un sini-
stro sintomo pur esso, di dubbia giustizia e di povertà derelitta.
Avvegnaché, sotto retti ordini, non abbia l'innocente bisogno di si
famosi oratori; e assai più prometta quello splendore ai rei, che
agl'innocenti. I quali per lo meno, se poveri, non posseggono le
dieci e più migliaja di lire, che qualche volta occorrono per procac-
ciarlo: mentre i rei possono trovarle. E questi, con un valente difen-
sore, imbattersi e quasi con certezza contare in giurati misericor-
-252 -
(liosi j che ammetteranno la grave provocazione nel falso, la forza
irresistibile nella libidine, e V impeto vorticoso nella premeditazione.
La legge anzi , insospettita di tanto lusso e vampo oratorio ( il quale
col sacro diritto della difesa e col nobile ministero della medesima
non deesi confondere), permise, che il presidente delle assiste,
riassumendo i fatti e le ragioni , ne sperdesse un po' V iDcanlo.
Tuttavia , facile è immaginare , quel fidgore e quel tuono de* pa-
trocinatori (tal fiata in drappelli o, come dicon essi, in collegi,
strepitanti per dieci e più giorni) scombigano, quando non si tratti
dello scrigno, quel po' di comprendonio, che a' dodecemviri rima-
neva. I quaU, nel dubbio dovendo giustamente propendere alla
clemenza, e finir la noja d' udienze tal fiata mensili, e dì arringtie
eterne, e di quesiti infiniti, dan torto aUa società; se non altro per-
chè gli ha essa medesima seccati. E cosi sogliono di frequente chiu-
dersi questi forensi spettacoli, in cui gentiU e vezzose dame, fissan-
do le pupille in torbe e sinistre faccie, che sconcierebbero fino
alle streghe i parti, studiano T agonia; e cercano le emozioni, di
che i loro cuori abbisognano, e che V arena più non dà. La plebe
impoverita , in mancanza d' altri ludi , di queste pugne incmeote si
compiace, e dal labbro pende degU strenui campioni della parola:
i quali intanto accumulano trofei, e passano poi, trionfatori della
giustizia, a più alti consessi.
CLXXIL Immunità proeaedata a'reL
Trattandosi non d'altro, che di spettacoli, si capisce, parie
per (]ucsto , e parte per le susseguenti cassazioni , evasioni e re-
missioni, potere tra noi con un qualche fondamento i rei ripro-
mettersi la impunità. Quando in fatti una lungtiissima e dispen-
diosissima processura sembra riuscita; ecco sopraggiungere m
mancamento ne' riti, prescritti con la sanzione di nullità. E, oc-
correndo e spesso dovendosi gli errori di sostanza travisare ed
emendare sotto errori di forma; ecco un appiglio per mandar
tutto in fumo e ricominciare da capo. Che, se la condanna passa
finalmente in giudicato; i)er la diversità e pel disordine degli sta-
bilimenti penali del regno chi la es{)ia a un modo e chi a un
altro: ma i più depravandosi vie più, e parecchi infirangendoia
affatto. Il nostio sistema carcerario, oltre non essere nelle di-
verse regioni praticamente uguale, e offender quindi la parità de*
- 253 -
cittadini almeno innanzi air ergastolo; di regola appunto corrompe,
infama e abbrutisce i puniti, che non giungano a spiccare il volo.
Che , se r alipede Mercurio non gli soccorre , possono alla flne ,
supplici air ara d' una falsa Minerva , trovare scampo contro le
irate sociali Eumenidi. Ed io dico falsa questa dea: perchè la
vera, benché fosse a' colpevoli pietosa, come sapiente e armata,
non avrebbe della grazia sofferto tale spreco, che i malvagi in-
cuora e lascia la società inulta. La qual grazia è certamente cosa
di numi: ma, se non è con quasi divino consiglio dispensata, e se,
in vece di correggere gli umani errori, prodiga favori senza me-
rito, senza ragione e senza necessità; logora la forza delle leggi
e induce agli arbitrii. Pure, parendo, che fin del punire non im-
porti più niente, i rei non solamente a capi, ma a branchi tal volta
si sciolgono dalle catene ; o per lo meno condonasi loro il resto del
castigo, per economia o perchè non gli cape più la galera. Anzi
in una recente solennissima occasione (acciocché soli i malvagi
tripudiassero, mentre i buoni non si soccorrevano e i valorosi non
si premiavano ), a dirittura dell' intiera pena o di parte si grazia-
rono tutti quanti i delinquenti; molti de* quaU poi di soppiatto si
dovettero per la comune salvezza rimettere al sicuro. Ora, guai
alle punizioni , che non sieuo misurate ed umane ; ma guai altresì
a quelle, che non sieno osservate e inevitabili! Perchè la loro
efficacia non viene dalF intensità e dal rigore, quanto dalla loro
osservanza e inevitabilità. E, quando adunque per le sopraddette
ragioni ingenerano tante lusinghe d'irne immuni, le leggi stessse
fomentano i delitti: pel cui imperversai*e prima incrudeliscono, e
poscia, sbigottendo, di sé medesime disperano. Il che spiega,
com' elle sieno in Italia inconsulte e impotenti; e in faccia alle ca-
terve de' malfattori ignoti e sbandati, cui non seppero regolarmente
rintracciare e colpire, dovessero alla fine a' legittimati arbitrii
dar luogo, se volevano la società salva. Cioè a' precetti e divieti
di buon governo, alle vessazioni e proscrizioni larvate, e così
alla cieca e alla rinfusa profuse, che nel 1876 vi erano nel re-
gno 6,457 confinali o (come si dice in lingua jonadattica) « asse-
gnati a domicilio coatto », e nel solo circondario di Palermo
3,700 ammoniti. Né per questo la generale incolumità in Sicilia
migliorava : ed anzi tale perdurava nel seguente anno, che alcuni
inglesi osarono querelarsene al proprio governo ; affinché non man-
casse air Italia anche quest' oltraggio, cui non avrebbe una tribù di
selvaggi tollerato. Onde, conchiudendo, io so, che la plebe arric-
- 254 -
chita ha talmente fatto il callo, che di queste , come di tante altre
piaghe non si cura. E, come di lasciar la cosa pubblica in mano
alle fazioni, cosi trova ottimo, serbando alla giustizia il nome,
d' incestuarla colla polizia , d' umiliarla nella magistratura e di
conquassarla coir eloquenza. Ma cliì vorrà con intelletto e con
amore considerare le cose sovra discorse, dovrà meco convenire,
che, se gli altari della celeste Temi non sono qui del tutto ro-
vesciati, gU è perchè non può verun umano consorzio dorare
senza un vestigio o un'ombra di tanto nume. Se non che poi,
siccome quanto cedesi della giustizia, altrettanto dee chiedersi
all'ingiustizia; spesseggiando i dehtti appunto, si ricorse alle
ammonizioni, ai confini, alle transazioni ignominiose co' malfat-
tori, e alla fine alle taglie anzi dette. A proposito delle quali, come
più orridi spedienti, io ho bisogno di ripeter qui una mia protesta,
pubblicata nel giornale il Secolo di Milano a' di 12 marzo 1877«
e di cui non mi accade pur troppo di cangiar verbo.
CLXXIII. BistabiHniento deUe tagHe.
— Un recente atto del governo mi costringe a uscire per od
istante dall' oscurità, ed a pregarvi ^\ pubblicare queste mie pa-
role in nome di que' supremi interessi civili e morali della na-
zione, cui nemmeno le fazioni, che se ne contendono il mono-
polio, possono impunemente conculcare. È già parecchio tempo,
clic si usa in Italia da' comuni , dalle provincie e anche da altre
autorità dello stato promettere un prezzo a chi consegna alla pub-
blica forza i banditi, ed altrettali ribelli o contumaci alla legge.
Ned io ho mancato, sin da quando quest'odioso spediente con-
turbò r alba del nostro risorgimento di protestare, che ricacciava
indietro la nostra civiltà; e minacciava direttamente la nostra
moralità, già por altre cause, die non occorre qui ripetere, av-
venturata di poi a troppo gravi cimenti. Se non che ora , con la nota
circolare del regio ministero dell' interno, data il di primo del pre-
sente mese, divenendo tale spediente un istituto generale, nor-
male e organico, io debbo riparlarne. E, poiché non una voce
ho udito, che avverta \ orrore di esso e manifesti il ribrezzo ddle
coscienze otTese; mi accora non so dir quanto, che a me solo
si lasci la troppo facile e infelice gloria di dimostrare dò, ette
non dovrebbe aver bisogno d' essere dimostrato. La iagìia ( cbi>
— 255 —
tale è il nome del preéetto istituto ) venne da' riformatori dello
scorso secolo riprovata, insieme con la tortura e con tutti gli
altri detestabili strumenti delle antiche tirannidi: onde fu quasi
ovunque proscritta. Alcune provincie italiane non ne serbavano
a' giorni nostri, che la memoria; e, benché altre anche Taso,
questo appunto additavasi all' Europa, come prova della impotenza
e della infamia de' loro tiranni. In genere il consenso de' savi e
quello delle genti non abbrutite (tranne una schiatta illustre e
vigorosa, la cui inflessibilità e singolarità sono del resto note)
le si sollevano contilo sdegnosi , come ad onta inflitta alla società
politica e alla natura umana. Or, volendo espor le ragioni di
ciò, s'io dicessi esservi cose utili, cui i popoli, che reputano
doversi osservare la eterna giustizia , e reggimenti , che rispettare
la propria dignità, non possono fare, pera il mondo; addurrei
argomenti, che in certi luoghi e tempi non hanno più valore
alcuno. Ponendomi dunque a considerare il tema sotto l'unico
aspetto della utilità, dico appunto e tosto paleserò, la mercede
patteggiata per la cattura de' rei latitanti essere mille volte più
funesta, che profittevole al pubblico bene e alla stessa pubblica
sicurezza. Perchè io non nego, che, quando di un popolo si sono
tutt' i nobili e generosi istinti soffocati ; non sia la cupidigia del
lucro r ultimo stimolo, con cui si possa un barcollante ordine di
ci)se, per alcun tempo ancora, sostenere. Né, cl)e fra tanti affari
e traffici, convertita la patria in un mercato, non si possa con-
vertire in viUori di borsa anche la libertà e la vita de' cittadini ,
e in titoli al portatore le lor persone. Tuttavia probabilmente in
questa circostanza il prezzo profferte, per la sua inverecondia o
tenuità, non sarà troppo atto o adeguato ad accendere uno zelo,
che altrimenti mancasse. E d' altra parte il valor disperato e
gl'impenetrabili recessi delle vittime designate, e il pericolo e
la pietà degl' istigati persecutori opporranno troppi ostacoli, a che
si abbia un'efficacia appena sensibile. Ma, pur supponendo, che
r abbia piena e assoluta ( di modo che per l' esca di 100 o anche
di 5,000 lire lutti que'573 lupi della legge, alcuni de' quali han-
no già varcato 1' Oceano, sieno scovati e presi ), ancora , ripeto ,
il danno soverchia di gran lunga il vantaggio. Al quale uopo,
dovendosi tra le persone sguinzagliate a sì fatta caccia distinguere
quelle, che per proprio ufficio, da quelle, che per privata passio-
ne, delle une e delle altre parlerò parti tamente.
— 256 -
CLXXIV. Dftimo delle taglie.
Non vi ha dubbio, che le prime j anche senza un turpe gui-
derdone, non debbano il doloroso mandato compiere: e, che lo
abbiano sin qui compiuto, tanti nostri soldati e carabinieri , morti
in quelle inonorate pugne con mirabile annegazione e invitlo co-
raggio, splendidamente lo attestano. Quello però , eh' ei fecero sin
qui per virtù, facendolsi ora per T allettativa di un premio, con-
tro cui freme il cuore , sarebbe senz' altro reso triviale e abomi-
nevole. E V ammirazione , che desta in noi il loro eroismo, e lo
stesso loro sublime entusiasmo di sacrificarsi al dovere, verrebbe
meno innanzi al solo dubbio, che per quelle vili monete espones-
sero la propria e insidiassero Y altrui vita. Se ripugna, che gli
ufficiali di finanza riscotano su certe tasse e multe una provvi-
sione, quanto più non dee ripugnare, che ricevano gli altri un
prezzo, che potrebbe grondar sangue? E, se gli ufficiali tutti dello
stato, già abbastanza umiliati ed esautorati, fin nelle supreme
aule, si reputano ora cotanto degradati e spregevoh, che abbiano
da spingersi innanzi con tati sproni, oh fin dove andrà la loro
immeritata abiezione? Certo, per esser logici, bisognerebbe^ fare
altrettanto pei processanti, pei fiscali e pei giudici, affinchè rad-
doppino di zelo. Ma, se un po' di vergogna trattiene ancora il sor-
dido genio dominante sulla soglia de' tribunali, già tutta T ammi-
nistrazione pubblica perde, per questa sorta di sconsigUati compensi
e d'indiretti oltraggi, il suo prestigio. E nel supposto, che si
volessero militi prodi e magistrati integri (siccome ei ftirono sin
qui, in grazia solamente della incrollabile loro costanza), e gK
uni e gli altri degni d' un popolo libero e d' un reggimento one-
sto; comportandosi di tal guisa seco loro, si fa dunque tutto il
possibile, sebbene senza volere, perch'ei si tramutino in abietti
arnesi d* oppressione. Venendo poi a coloro, che non per obbligo,
ma spontaneamente accettassero la impresa, a cui a adescano
ora con pul)blico bando; la jattura diviene incommensurabihnenie
più grave. Può darsi , che di tal guisa si conceda ad ognuno una
patente di divenir arbitro della persona altrui , di sfogare una pri-
vata vendetta, di arro|zarsi una podestà sovrana, e di soi
a dirittura gli ordini del sociale regobto consorzio. Pure,
dendo da ciò, già è enorme esulare dall' umanità e pareggiare
alle belve quegli sciagurati , che, per esser colpevoli o forseoDati,
— 257 —
non cessano di esser uomini ; e d' incitare altrui obbliquamente
alla crudeltà, e forse al tradimento degli amici e degli ospiti.
Perchè è certamente necessario, che gli esecutori della legge ne
adempiano i sacri precetti; e desiderabile, che i cittadini gU as-
sistano: ma, stimolandosi questi ultimi con motivi per lo meno
ignobili ad atti per lo meno ingenerosi, si semina la iniquità,
cui si vuol reprimere. Giusto è pure, che la legge colpisca i
rei: ma, logorandosi e spegnendosi que' sentimenti di benevolenza
e di misericordia , mercè i quali viviamo a modo civile e umano,
si pone a repentaglio la comun sicurezza assai più, che non si
protegga con sinistri avvedimenti. E, avvezzandosi gU uomini a
considerare nel proprio simile e nella sventura del proprio simile,
e forse anco nella morte (giacché una colluttazione può tal esito
avere), un oggetto di preda e di guadagno, si sferrano quelle
passioni selvaggie e quegF istinti ferini , cui è suprema necessità
di tutti mantener domi.
CLXXV. SoonTeniensa delle taglie.
Sommati ora e comparati i mah e i beni del provvedimento,
eh' io presi ad esame , e che del resto venne con rette intenzioni
dato; cliiunque guarda alle conseguenze mediate e remote del
medesimo, oltre die alle prossime e immediate, è in grado di
vedere, quanto i primi ai secondi prevalgano. Ma a chi mi os-
servasse : eh' io, ostinato difensore delle cause de' vinti , ho un
bel dire, e che, quando si è da tante calamità infestati, bisopa
pure in un modo o nell' altro schermirsi, e anche con mezzi per-
fidi; io risponderò quello, che ai fautori del patibolo. I quali ap-
punto ad ogni atroce misfatto, che accade, dicono: che senza
carnefice non si può stare; e dicono eglino questo, mentre veg-
gono, clie, in onta al carnedce, gli atroci misfatti si commetto-
no. Vi sono cioè nelle società, come negl'individui, morbi incu-
rabiU; ed altri, che si debbono curare altrimenti, ch'estinguendo
le fonti della vita , le facoltà dell' anima e le forze della natura.
La taglia appunto, l' ammonizione, il domiciho coatto e altri tali
orrori, ignoti a molte nostre Provincie sotto la servitù straniera,
e sostituiti ora all'azione calma e regolare della giustizia e ad
ima provvida e decorosa tutela , ci dimostrano, a che possano certi
rimedi servire. Per ogni malfattore, che si cogHe, gettiamo il
germe di mille altri malfattori futuri od occulti, e in tutta la
17
— 258 -
coscienza del popolo Y odio o la contaminazione. Io so ( poiché
la cosa pubblica è divenuta un' azienda economica , e non ha
omai altro destino la nazione, a detta de' suoi celebrati statuali,
che di lavorare e vendere, almeno per pagar le imposte e gì' in-
teressi del debito pubblico), io so, che non si deve richiamarla
a sensi virtuosi e forti. In tal caso desterebbesi essa dal grave
sonno, spezzerebbe il giogo della plutocrazia e il balocco della
logomachia; e correrebbe di nuovo dietro a quelle fisime di
libertà e di gloria, per cui hanno palpitato i suoi profeti e ver-
sato il sangue i suoi martiri. Nondimeno a me sembra, avendosi
già al popolo dissipato il suo patrimonio, e diminuita la farina
(quasi unico e insuifìciente suo sostentamento), e diniegati i suf-
fragi, e conseguentemente interdettagli la cittadinanza effettiva
nella stessa sua patria, e dileggiatolo di giunta; a me sembra,
che tanto possa bastare. Se , perch' esso stia meglio docile e chi-
no sul solco a servigio d' un' accomandita mondiale innominabile,
occorre, che sia anclie corrotto; basta a tale uopo lo spettacolo
dell' universale mercimonio, delia bufToneria decorata e della viltà
trionfante. Lo inferocirlo per sopra mercato ritarderebbe, è vero,
la sua redenzione: ma può affrettare altresì una certa catastrofe,
prima di averne spremuti e tesaurizzati gli ultimi suoi sudori e
le ultime sue lagrime. E quindi io concludo: che gli si tolga da-
gli occhi questo novero di teste umane ora più solennemente
messe all'incanto; e ad ogni modo innanzi al medesimo respingo
da me, come uomo e come italiano, e con tutte le forze dell* ani-
ma mìa, la comune complicità del silenzio. —
CLXXM. Tripudio del male.
Or bene, che la protesta siuriferita cadesse vana, e che,
tranne cinque o sei giornali, da cui venne ripubblicata, gji altri
tutti, e per sin quelli della fazione scavalcata, non ne fiatassero;
è quello precisamente, ch'io m'aspettava. Pure uno spettacolo,
se fosse stato possibile, ancor più ignobile e spaventoso, e ch'io
non avrei preveduto, la seguiva come risposta. Dappoiché prima
con evidente compiacenza il governo notificava giorno per giorno
i nomi de' latitanti arrestati o uccisi; e le provincie, i comooi
e fino i privali a gara gli si imivano nel promettere e dare ri-
compense. Indi, nel successivo mese, un manifesto del regio pre-
- 259-
fetto dì Palermo sviluppava un concetto , eh' io non osava nella
circolare precitata sospettare ; additando di nuovo i lupi della leg-
ge, e bandendo grossi premi ^r « chiunque arresterà o farà
arrestare, od in qualsiasi altro modo libererà la società dagli in-
franominati malandrini ». E con qual diritto, chieggo io, puossi
provocare all'omicidio proditorio i cittadini, che tanto vuol dire
quel qualsiasi altro modo di liberare la società; mentre tale
provocazione è dallo stesso nostro Codice penale (468-473) in-
criminata? Alla fine, su quel di Termini cadendo il primo del
giugno seguente massacrati da ventisette militi tre masnadieri;
coloro, che ne aveano comandato ed eseguito la caccia, oltre i
guiderdoni in pecunia sopraddetti, ebbero alte lodi, feste e ono-
rificenze. Anzi fuvvi un delirio tale, che il massacro venne in-
contanente e con gran pompa annunciato ai due rami del parla-
mento esultanti , come se si fosse espugnata Cartagine. E Ai per
fino detto (il che io non debbo credere), che le anni del più
famoso di que' ladroni , venissero deposte, sinistro trofeo, su' gra-
dini del trono. Sembra, eh' io narri cose avvenute parecchi secoli
fa, e fra' selvaggi àell' Oceania: e sono in vece avvenute or è un
anno, e in questa mia patria; si decaduta in brevi lustri, che
non n'ebbe nemmanco meraviglia. A tanto si giugne, quando
perdesi la fede nella giustizia; e quando la spavalderìa sta in
luogo di fortezza , l' empirismo di ragione , il praticismo d' intel-
ligenza, la spensierataggine di saviezza e il faccendierismo di
provvidenza. Ma, posciachè di queste cose non posso (ahimè)
più chiamar giudici i miei contemporanei, chiamo giudici i po-
steri: i quali vedi*anno, quali dolorosi frutti lascierà loro questo
presente modo d' agire. E comprenderanno, come sia impresa te-
meraria e folle voler seguire, quantunque a fin di bene, i mal-
vagi nelle vie, per cui costoro si sono messi e di cui sono insu-
perabili maestri. Giacché, entrandovi noi colla persuasione, che
il fine giustifichi i mezzi, diamo a costoro tutt' i vantaggi possi-
bili , perdiamo tutte le armi , che il senno e V onestà ci sommi-
nistrerebbono; e da ultimo cadiamo in quelle imboscate, ove non
si menta scusa o compianto. Se non che, degli oltraggi inflitti
alla diva figlia d' Urano avendo a sufilcienza discorso, vediamo
ora, come siano stati trattati tutti gli altri iddii.
REUGIONE BORGHESE
CLXXVll. Correltfione tra gii stabOiimiti dTili e réllgiML
1 borghesi, presi uno ad uno e nel segreto de' loro cuori,
non possono essere scevri da quelle superstisioni , che, inevita-
bili sirene o furie, accompagnano quaggiù chiunque giace nd-
r errore o soggiace al rimorso. Nondimeno, intenti ai bassi gua-
dagni e cogli occhi fitti a terra, sono talmente dal cielo disco-
stati e del vero sentimento religioso privi, che non possono pur
conceph*e , come il popolo ne lo debba serbare. E , tosto che iro-
vansi uniti, facendosi pel numero coraggio, beffano anche queDe
loro e le altrui su[)erstizioni ; le quaU hanno il ben grave torto di
non tradursi in cifre e in contanti. Considerando la vita unicamen-
te come una palestra mercatoria, e lo stato come un ginnasiarca
indulgente della medesima; è in fatti naturale, ei reputino la
religione un fuor d'opera, o se non altro una bagattella, da la-
sciarsi ai capricci individuali. Il che essi esprimono con quelb
famosa teorica della <( separazione dello stato dalla chiesa », e
con quella famosa formula della « chiesa libera in libero stato »;
mercè cui sembrò loro aver raggiunto V apice della politica sa-
pienza. Vedremo appresso, che sorta di Hbertà sia anche quesla,
cui hanno in tale materia instaurato : supponendo , eh' e' siano
di buona fede, e che le or dette frasi non le abbiano usate
per cori>ellare i gonzi, vediamo adesso, qual valore si abbiana
Io ho già di altre teoriclie e formule pseudodemocratiche , con-
trarie affatto all'antica nostra e unica mondial civiltà, e con le
quali e' sottoposero i jKìpoli europei al lor metallico giogo e a
tanto brillante l)arl)ari<\ favellato. Però, sMo dicessi, che lo stato
dovendosi curare de' [TOpri mem!»ri , sopra tutto in quanto esseri
morali, la niatoria religiosa (senza cui ritornerebbono bniti) non
poteva essere preterita con tale disinvoltura, gU farei strabiliare.
- 261 —
Dunque, restringendomi a considerare le loro dottrine in questo
argomento unicamente sotto que' punti di veduta , in cui le ponno
essi riguardare; non vi ha dubbio, che gli autori o fautori delle
medesime non dieno prova d' ignorare o sprezzare le più gravi
cose, che qualunque uomo di stalo, credulo o incredulo, dovreb-
be conoscere e curare. Anzi tutto un intimo nesso congiunge lo
istituto religioso agli altri dell' umano regolato convivio in guisa,
che questi non potrebbon senza quello durare, e tutti per la
mina d'un solo andrebbon travolti. Onde, che che ne sembri
ai filosofi della borghesia, i colpi dati contro a quello vuhierano
gli altri, e preparano cosi il sovvertimento anarchico. Basta avere
ogni poco meditato su' fenomeni della natura sociale per com-
prendere codesto legame , cui io ho del resto nella mia Questione
sociale chiarito, e su cui non vuo' quindi più insistere. Ma , pre-
scindendo dal medesimo, e cioè concedendo ai detti filosofi , che
i buoni costumi e gli ordini civili possano ugualmente senza quello
istituto reggere ; e' debbonmi concedere, che si presenta come un
fatto universale e costante nell'umanità consociata. Che appena,
appena possono addurre esempi di qualche tribù abbrutita, che
lo ignori 0 sembri ignorarlo: mentre, uscendo da tal vita bru-
tale, non vi è esempio di consociazione ogni poco disviluppata,
vuoi civile, vuoi barbarica, vuoi selvatica, in ogni tempo e in
ogni angolo della terra, che ne faccia senza. Concedendo a loro
altresì ( veggano quant' io sono arrendevole), che questo fatto uni-
versale e costante sino a qui, possa cessare in futuro, quantunque
niente dia a divederlo, e che, cessando, non ne seguiti la ruina
di tutta la società costituita ; e' debbono pur concedermi , che
sino a qui esiste: e per me basta. Che, se lo negassero, biso-
gnerebbe proprio, non si avvedessero de'tempH, delle cerimonie
e delle preci, che incontrano, veggono ed odono ad ogni passo.
E nemmanco, per non dire del rimanente mondo, de' 26,65Ì8,679
italiani, che si professano o bene o male cattolici, de' 58,651
protestanti e de' 35,356 talmudisti , contro i 48,468 italiani d' in-
certa fede. Ebbene, se tiìl fatto esiste, ed e' non lo possono ne-
gare, chiedo mo io a loro: come possono fingere, che non ci
sia, 0 governarsi, come non ci fosse?
- 262 -
CLXXVIIL Pratiche oonsegiieiue delle reliffioiiL
Evidentemente due conseguenze emergono dalla constatazione
del medesimo : che convenga rispettarlo od almeno sopportario ; e
che regolarlo in guisa , da rendeiio propizio od almeno innocuo aDa
pubblica felicità. Le quali io non so qual uomo pratico, che si
guidi col criterio e non già colla passione, possa rigettare. Io
vero pognamo , che questo istituto fosse abominevole : d' altra par-
te è cosi radicato e diffuso , e tocca tali impenetrabili e irresi-
stibili affetti, che ninna forza ne lo potrebbe espugnare. Anche
se si volesse usare la più cruda persecuzione per ischiantarnelo
dalle coscienze, inviolabile asilo e massimo tesoro umano; queste
si risolleverebbero frementi e vindici. Niun tiranno, di tanti, che
ve ne furono, ha lui qui sognato di combattere affatto il senti-
mento religioso : mentre la sperienza storica per troppi esempi ara-
maestra, che il sol tentarvi una mutazione in questa o in quella
forma è stata sempre opera fatale o inane. Di che sembrano
persuasi gli stessi atei borghesi, che almeno in parole (poiché
negli atti vedremo poi, che no) acconsentono, che bisogna pél
meno peggio accomodarvisi. Quanto alla seconda conseguenza dianzi
accennata , e cioè , che si debba anche volgerlo a pubbhco benei
e' non la vogliono però accettare in veruna guisa. Laonde pro-
fessano quella indifferenza poUtica verso le cose di fede, cui de-
signano e riassumono nel nome sacramentale di stato ateo, fi
concordano seco loro anche que' dottrinari e moderati, che non
professano V ateismo palesemente , e che anzi in privato sono molto
devoti. I quali naturalmente, dovendo tanta contraddizione masche-
rare, invocano all'uopo la loro dottrinale e moderata libertà. In
fondo, in fondo hanno tutti la medesima impassibilità innanzi al
sentimento religioso, come cosa, che non cape ne' loro animi. Sol-
tanto che, secondo la diversa superstizione, gli uni lo trascurano,
perchè r odiano : gh altri lo frodano, perchè lo temono. E questi ot-
timi più numerosi e più maneggianti , hanno appunto quella tal teo-
rica e quella tal formula adottato ; mercè le quali assistasi in Italia
allo spettacolo, unico al mondo, d' uno stato ateo. Dico tinico, per-
chè non solo ne' passati tempi ; ma ne' presenti basta volgersi intorno
ad ogni paese di cristiani, di saraceni e d'idolatri, per vedere,
come tal cosa vada altrove ben diversamente. Nella stessa Europi
~ 263 -
noi veggiamo i possenti monarchi di Germania e di Russia pon-
tificare e quasi profetizzare. E non solo Francia e Spagna, in
tant' abiezione di bizzocheria sprofondate ; ma le più Ubere nazio-
ni, Inghilterra e Svizzera, congiungere a' civili i reUgiosi riti.
Mentre in Italia, banditi dalle scuole i catechismi e dalle milizie
i cappellani , e ogni studio teologico dagU atenei scientifici e ogni
pompa sacra dalle feste patrie; muoverebbe fino il riso chi far-
neticasse ora di risuscitar tali ciarpe, già divenule viete e ranci-
de. Pur, facendo codesto i soprannominati dottrinali e moderati,
in grazia del caos morale, in culla nazione nostra precipitai'ono,
e in cui non è più niente impossibile, vanta vansi d'aver seguito
gli stranieri esempi. Ora, vedendo, che gU hanno contrari troppo,
vantansi naturalmente di avergU superati ; ed anzi di essere della
teorica e formula sopraddette i primi e più strenui applicatori.
CLXXIX. Principio borghese dell'ateismo politìoo.
A mio vedere, la causa prmcipale di tal contegno loro sta
veramente nelle ossequiate inclinazioni del terzo ceto: ossia nella
noncuranza di questa, come di tanf altre cose spirituali ed eccel-
se, e nel sacrificio di tutte ai bassi e materiali interessi. Perchè
chi crede ne' numi, non si rassegna a far la parte di formica
quaggiù ; e viceversa clii sta nel formicajo non alza colassù gU occhi
mai. Del resto, poiché egli adducono alcun supposto principio per
aonestarlo, veggiamo adesso, se alcun principio vero di ragione gli
soccorra. Due soli motivi legittimi potrebbon sulfragare il sistema
(Iella separazione dello stato dalla chiesa o, per dir più preciso,
deir abbandono di questa per parte di quello. Che le credenze reU-
giose non abbiano efficacia fuor del dominio della coscienza ; e che,
in questa versando , non debbano essere con profana mano tocche.
Or certamente la coscienza è un sacro e inviolabile dominio, e le
credenze religiose hanno in essa il più adatto e glorioso tempio. Ma
è troppo un grossolano errore reputare, che unicamente ne' pe-
netrali dell'animo la religione alberghi, e confondere la coscienza
col culto; per meritare di confutarlo. Siamo d'accordo, che ognuno
in faccia allo stato abbia il diritto di credere o miscredere a pro-
prio talento ; e che non possa l' autorità civile prescrivere o pro-
scriver dogmi. Nondimeno nelle rcUgioni positive la fede intima
si manifesta coli' adorazione esterna ; e il rito e il ministero vi pre-
-264 -
valgono s) , che in genere si può dire , la parte della coscienza
esser nelle medesime la minore. Non parlo de' tempi e de* luoghi
lontani , in cui la teocrazia dominava allatto lo stato ; oè di quelli
vicinissimi, in cui ella per molte cose civili (come matrimooi,
giuramenti e sepolture) competeva ancora col medesimo. Suppongo
cessato ogni vestigio teocratico, cioè una religione, che sia giunU
(e non vi è giunta in alcun luogo e in alcun tempo affatto) a
svincolarsi da ogni mescolanza con le cose civili , e per fino dal-
l'educazione, dall'istruzione, dalla beneficenza. Suppongo altresì,
che, rinunciando di possedere beni mobilie immobili per proprio
uso, e per lino paramenti e altari, non abbia bisogno d'essere
riconosciuta come corpo morale dallo stato , e quindi regolata dal
medesimo almeno nelle controversie patrimoniaU. Tanto e tanto
si dovrà ammettere, che questa tal religione aerea, qualche cosa
d'esteriore conservi; e, se non più sacerdoti e sacrifìci, almeno
inni e cantori, o prediche e oratori. Le quali sue manifestazioni
esterne , ridotte cosi a' minimi termini e , pognamo , anche al solo
proselitismo, vanno naturalmente oltre il puro regno dello spiri-
to; e per ciò entrano in quello alle leggi soggetto. Onde non è
vero, che qui si tratti di mere convinzioni, e che conseguente-
mente r azione pubbhca non si possa sopra le stesse esercitare.
CLXXX. Ck)nftitaiione deU' ateismo politico.
Inoltre non è pur vero, che, i)otendolasi esercitare, si debba per
rispetto a tali convinzioni , o perchè le sieno senza effetto tenùbik
0 sperabile, tralasciare. Non per la prima cagione: poiché ra-
zione suddetta non cadrebbe sulla coscienza, ma unicamente sol
culto ; e quindi ne la lascierebbe inviolata. La Uberlà del pensiero
in fatti è non solo legittima per le materie di religione, ma per
ogni altra : tuttavia chi (esempigrazia ), non si Umitando a pensare,
che la proprietà sia un male, involasse le robe altrui, sarebbe di
furto tenuto. Medesimamente chi, non si Umitando a credere que-
sto 0 quello , volesse per le sue credenze gettar la discordia tra*
cittadini e infrangere la pace comune, dovrebb' essere di sediiioiie
tenuto. E costui vanamente invocherebbe il diritto della su co-
scienza , come vanamente il ladro (luelli della propria. La qui
cosa è dagli stessi dottrinari e moderati borghesi riconosciuta: i
quaU soggiungono, che con mezzi repressivi i traviameoli iadifì-
- 265 -
duali si possono infrenare; non già i traviamenti universali con
mezzi preventivi. Se non che, a voler esser giusti, con qual di-
ritto colpiscono poi di pena que' traviamenti religiosi, de' quali
proclamarono eglino prima la piena franchigia? Dopo aver detto
cioè , che un tale istituto religioso ( il quale reputasi superiore allo
stato , obbliga i credenti a trasgredire le leggi contrarie ad esso
e gli eccita alla fellonia e allo spergiuro , a proprio modo di ve-
dere lecitamente e santamente ) ; dopo aver detto , che questo tale
istituto ò immune dalla pubblica azione, come ponno egUno pu-
nire (]uelle trasgressioni, che seguono dalla fedele osservanza del
medesimo? Doveano eglino in vece considerare, che questo e
ogni altro simile stabilimento producono o buoni o tristi effetti, e se
innanzi a' medesimi potesse lo stato mantenersi neutro e passivo.
Non regge adunque nemmeno la seconda cagione, che secondo
loro giustìiica la pubblica inazione ; vale a dire , che questi effetti
manchino : avvegnaché troppo palesi. Gom* è possibile in fatti , se
la religione di necessità si trasfonde nel mondo esterno, che o
in bene o in male non ne modifichi i rapporti? £ se non altro,
come negare la sua efficacia sulla pubblica moralità; della quale
sembra, almeno sin qui, che non si possa fare a meno? Pogna-
mo, non reclii quella, se non funesti effetti (che cosa non con-
cedo io a' miei avversari?) per lo meno converrà, provveda lo
stato a scliermirsene. Permetterebbon eglino dunque,^ che la setta
de' mormoni varcasse l'Atlantico e venisse qui, ove le cose enor-
mi si raunano, a piantar le sue tende? 0, se la costoro poliga-
mia, benché contraria alle nostre leggi, non desse loro fastidio,
lascierebbon V Italia divenir musulmana ; onde potesse alle altre
sue sventure aggiungere col fatalismo quella, che il rimediare a
tutte divieta? Io vuo' sperare, che no: ma in questo caso egli
ammeiierebbono, che vi possono essere tai sistemi di credenze,
pe' quali un popolo si può ridurre a un branco di schiavi irredi-
mibili; e che si ha diritto di contrapporsi a tanta nefandità. Or
bene suppongano , vi sia appunto nella patria nostra quel tale
istituto, di cui ho testé parlato. 11 quale o i cui falsi depositari
osteggiano apertamente il nuovo stato: le cui massime sono in
contraddizione coir indirizzo de' tempi , e la cui poderosa forza è
scemata ; ma non venuta meno. E di giunta cotanto disteso , che
Don solamente tutt' i cittadini accoglie nel suo grembo ; ma tra-
passa le frontiere, e si alimenta e corrobora in ogni angolo del
globo. Via, poiché sono uomini pratici, od almeno vogliono pa-
-266-
rerlo, come trascurare un tale istituto, e dire, che non gli ri-
guarda? Impedire noi possono : e dunque, se un si forte rivale, e
proprio in casa, debbono tollerare, bisognerà bene amicarselo, o
se non altro contenerlo in guisa, che non gli schiaccL
CLXXXL Ck)noetto olaadoo delle reHgrioiii
Entrato cosi nel campo stesso de' miei avversari, io confido
di avergli in quelle loro trincee della chiesti lìbera e dello stato
ateo debellati. Ma come mai ha potuto nelle teste di si illusiri
uomini capire cotanto assurdo, che non merìtei'ebbe pur d'essere
discusso; se oggidì, atterrati i baluardi dell' umano pensiero, non
occorresse provare eziandio , che T acqua bagna e il fuoco ab-
brucia ? Spiegherò anche questo : ma necessariamente con un pò*
di storia ; e constatando sopra tutto la diderenza, che intercede tra
il sentire classico e barbarico in punto di religione, e su' relativi
stabilimenti. Le inclite stirpi italogreche , eh' erano già elle me-
desime imparenUite co' numi, e nella cui famigliarità viveano, noD
gh considerarono come enti troppo superiori agli uomini, e non
sopra tutto come enti crudeli e implacabili. Leggiadri io vece e
foUeggianti come i sogni della giovinezza doveano essere i numi
ai greci , e della patria e della fortezza campioni agi' itaU ; e agli
uni e agli altri indulgenti e sorridenti, fra le inenarrabili traver-
sie umane, cui non aveano saputo impedire. SubUmi creazioni
ideali , simboli eterei d'immortali speranze , aspirazioni indomabili
dell' anima all' infinito e all' eterno , esprimevansi le forme loro e
narravansi le lor vicende con piena libertà da ogni artefice e poe-
ta : però non si definivano dogmi incomprensibiU a loro riguardo.
Sebbene fossero in soverchio numero , « la reUgion pagana , col
suo moltiplicare sterminatamente gU Dei , e col fare del cielo una
quasi repubbUca, e sottomettere Giove stesso alle leggi dd fitto,
e ad altri usi e privilegi della corte celeste, dovea essere, e Ai
in fatti, assai favorevole al viver Ubero. La giudaica, e quindi la
cristiana e maomettana , coli' ammettere un solo Dio , assoluto e
torri bil signor d'ogni cosa, doveano essere, e sono state, e^sono
tuttavia assai più favorevoli alla tirannide ». Questo scrisse Vit-
torio Altieri (Tirannide^ 1, 8) : ma è per altro un fatto, che i
nostri primi avi non credettero, fossevi niente di male, se i numi
erano parecchi. Egli credevano inoltre, che sin quelli delle ai-
— 267 -
tre religiooi fossero parimente veri e venerabili : e i romani anzi
se gli facevan propri; desiderando, anche a' piedi d'una comune
ara , la sparsa umanità ricongiungere. Quali e quanti fossero del
resto, e quali e quanti attributi avessero, chi lo sa, dicevano
egUno , e chi lo può sapere ? Come più alto segno d' onoranza india-
vano poi gli eroi , gr imperatori e in certo modo quasi tutt' i morti
(inani): tanto che gU appellativi di divo e beato, ad uomini, non
si abbandonarono nemmanco dopo introdotto il cristianesimo. Impe-
rocché di poco r adorazione loro ai vivi differiva da quella a'
morti deiiìcati , e agli altri dei e semidei ; e sopra tutto importava
una riverenza formale, e non implicava mai un giogo della coscienza.
La religione inoltre non consideravano cosa individuale, come
ora (specialmente presso le sette protestanti); ma, come V indica-
vano col suo nome, universale e comune per eccellenza. Ai sacri ,
riti doveva quindi ognuno partecipare, quaU sacre cose della re-
pubblica , e patti solenni dell' umana alleanza : né doveva sulla
esistenza degl'iddìi contendere. Infrangendo il qual precetto So-
crate venne condannato : quantunque del rimanente il credere que-
sto 0 quello , e il non credeiTi , ed anche V inventare a carico
dell' Olimpo tutte le fole possibili , fosse in balia di ciascheduno.
Non solamente le guerre per imporre o per distruggere una re-
ligione , prima del loro contiitto colle giudaiche superstizioni , e-
rano agli antichi ignote. Ma non concepivano pure, si potesse
sul serio prendersela colle credenze altrui: tanto più che quelle
loro non erano credenze, se non per un modo di dire. Aveano
cioè templi, cerimonie e preci, libri liturgici, auguraU e sibil-
lini, feste, oracoli e iniziazioni, e tutto quel, che volete: senza
che i>er ciò una teologia propriamente detta possedessero. Non
si trattando, se non di quella, che poi si disse mitologia; in-
vocavano quindi que' loro numi, come a un di presso poi sem-
pre i poeti. I quali invocano tuttavia e invocheranno ognora A-
|)ollo e le nove suoi'e del Parnasso, forme eterne e infinite del
bello, come se le fossero, e più, che se le fossero reali. E i
quali an/i , Un quasi a memoria nostra , usavano premettere a' lor
versi , che non credevano agi' iddii invocati : perchè , s' ei sonò
poeti ^egni del nome, danno a sospettar forte, che vi aggiustino
fede davvero.
- 268 -
CLXKKII. Bsenpio odierno di gentiledmo.
Ora, per darvi una migliore idea, o benigni lettori, di che
natura fosse quel culto, mi soccorre un secondo esempio, che
non potrebb' esser più acconcio ; giacché appunto non è , che un
avanzo indestruttibile di esso. Chi lo crederebbe, che quelli, cui
i romani appellavano « dei del campo » , e collocavano nelle prin-
cipia ( 0 in luoghi immuni e in appositi tabernacoli , ove i ge-
nerali rendevan ragione e i soldati riverenza), e seguivano le
maggiori azioni di guerra ; chi lo crederebbe , che anche negli
eserciti cristiani sono tuttodì venerati con una religione, che non
cede all'antica e supera la moderna? Abbiamo mutato il labaro,
le aquile, le immagini e le altre insegne delle pagane legioni in
bandiere: ma queste non sono meno sante oggidì di quegli aviti
numi castrensi. Credono forse i nostri soldati, che i lembi di seta,
onde sono formate , e le aste lignee , da cui pendono , costituiscono
propriamente una deità , e discutono eglino sulla medesima ? Non
certamente , come appunto gli avi nostri non discutevano su tutti gli
altri lor numi di marmo o di bronzo. Ciò non ostante, questi segna-
coli della patria e della gloria sono tuttavia da loro in tal guisa ono-
rati, che, anche quando spregiano gli altri idoli del volgo; questi
gU accendono a virtù e a sacrifici, cui iiiun altro nume è più io
grado di suscitare. Giurano eglino ancora innanzi alle lor bandie-
re, come si giura innanzi al cielo: sfavillano di gioja, quando il
buon alfiere nella mischia le inalbera o sugli spalti le pianta; e,
quanto più lacere, tanto più adorabili, le fregiano co' propri lauri
e a prezzo del proprio sangue le difendono. Cosi i cristiani idoli
con inutile culto venerati, si stanno nelle lor nicchie inerti; o,
sgomentando con pene e allettando con premi oltramondani , fifh
bilitano e santilicano f egoismo. Ma non si può oggi più, se non eoo
queste pagane reliquie, persuader fuomo a scordarsi di sé mede-
simo, e a sublimarsi Ono al punto, di dare in olocausto la pro-
pria vita al pubbhco bene con animo lieto e con balda frome.
Colale era V antica reUgione ; e cotanto ( lo si sente ) vera netta
sua falsità e imperitura nella sua caduta, clf ella sola, admen sol
campo di battaglia, pareggia i fiacchi uomini moderni ai pri-
schi eroi.
- 269 -
CLXXXni. Contrasto tra gontilesimo o giudaismo.
Se non che, mentre al romano impero occorrevano le più
maschie virtù per contrapporsi alle minacciate invasioni dal set-
tentrione, e la maggior concordia per tenere in assetto le vaste
membra; TAsia, che poco prima colle sue sozzure avea spaven-
tosamente corrotto i nostri maggiori , compiva Y opera ( come ho
sopra accennato), dividendone gli animi e recidendone i nervi
con le sue superstizioni. Alcuni fanatici galilei o siri, franten-
dendo una divina impresa o falsando una divina leggenda, di-
scordi tra loro medesimi, irrequieti, litigiosi, temerari, violenti,
giunsero a perturbare la civil quiete e a disfidare lo stesso impero.
Confusi da prima co' giudei , benché causassero uno scisma tra'
medesimi , e avviluppali nell' universale aborrimento verso costo-
ro, benché poscia si chiamassero cristiani; eccitarono tosto lo
sdegno e il raccapriccio. Gh' eglino , sin ne' famosi tempi aposto-
lici , non fossero punto adorni di quelle doti , che ora si vantano,
ed anzi formassero allora la feccia della popolazione, si scorge
abbastanza chiaro dagli Atti degli apostoli, dalle Epistole di
Paolo e dalla slessa Apocalisse, Cornelio Tacito, testimone de'
primi lor passi, raccogliendo i ricordi e le esperienze dell'anti-
chità, dice de' loro progenitori, che, cacciati dall'Egitto come
una « genia odiosa aUi iddii », persuasi da Mosé, che « da tutti
erano abbandonati », e tenuti dagli assiri, persi e medi « i più
vili fra tutti i suggelli »; aveano « ordini a tutti altri contrari »
e anche « sinistri e laidi », e cerimonie « strane e schife » e
« stravaganti costumi ». Onde conclude, come fossero « gente
superstiziosa, non religiosa »; e «degli altri, nimici mortali, co'
quah ne mangiare usano né dormire » {Storie, V, 1-13). E que-
sto medesimo autore, pur cotanto calmo e imparziale, mentre
avTenta si infocali e aculeati dardi contro i giudei; quando Ne-
rone fece de' cristiani il primo scempio, falsamente accusati d' a-
vere incendiato Roma, narra come « gran turba di nominali da
quelli , non come colpevoli nell' incendio , ma come nimici al ge-
nere umano » fu spenta; e, pur compiangendogli, gli chiama
« meritevoli d'ogni novissimo supplizio » (^nnaK, XV, 44). Le
orride poiv^cnzioni posteriori, quantunque esagerate di molto da
scrittori santi, le cui falsità sono proprio triviali; accomunate a
— ?70 -
sette rivali e avverse, e non difficili a concepirsi, quando i più
nobili senatori e cavalieri sotto quel mostro e i predecessori e i
successori doveano pel gentilesimo con pari fortezza perire; e
cui del resto essi medesimi provocavano, atterrando delubri, ol-
traggiando simulacri o per lo meno invocando frenetici il marti-
rio: si spiegano per quella « nimicizia al genere umano » loro
attribuita. La quale appunto segna l'abisso tra il sentir religioso
italogreco e il giudaico, che poi invalse e permane; comunque affie-
volito nel galileismo, e dalla superstite romanità temperato. La
tolleranza religiosa de' romani , eh' è stata del resto una gran causa
del primo diffondersi del cristianesimo, è troppo nota, perch' io m' in-
trattenga a documentarla. E dunque vi vollero ben gravi motivi,
perch' ei si determinassero, quantunque in tanta degradazione, ad
abbandonarla. Ammirando le sublimi dottrine ne' vangeli raccol-
te, e adorando il divino maestro, che le bandì dalla croce: per
giudicare ora di questi gravi motivi, noi dobbiamo prescinderne.
Ma guardare in vece a que' suoi detestati connazionali e a que'
suoi supposti seguaci, che in Antiochia, Alessandria e Roma,
sentine allora d'ogni vizio e gran centri di giudaica infezione,
calarono; e porci nel punto di vista della romana polizia. La
quale , prima di tutto, gli trovava divisi , più assai di quello sieno
presentemente nelle tre confessioni latina, greca e germanica: e
sapere chi di essi fosse ortodosso e chi no, priva della mistica
luce , non poteva. Se già , vivente Cristo, l' eresia non era inco-
minciata con Giovanni e con Giuda; tosto asceso al cielo, le
eresie più disformi e più enormi con Simone, Menandro, Saturni-
no, Basilide, Corinto, Einonc e cent' altri pullularono. Fin nel mag-
gior fiore del cristianesimo, per non dire delle minori comunioni,
la chiesa era fra atanasiani e ariani scissa. I quali ultimi anzi
in un certo momento prevalsero, e portarono primi la luce evan-
gelica, oltre i limiti dell'impero, ai goti, ai vandaH e ai longo-
bardi. Sta bene , che il concilio niceno nell' anno 325 di Cristo
gli condannasse : ma , se anche allora ninno con umani argomenti
poteva fra Ario e Atanasio decidere, come nella confusione ante-
riore potealo la polizia romana? E, se alcuni di que* primi cri-
stiani, quali i nicolaiti, i gnostici e particolarmente i carpocra-
ziani ( a detta degli stessi padri della chiesa ) commettevano brut-
ture e nefandità taU, da non potersi qui descrivere; se mutut-
mente si rinfacciavano orrori od orrori, di che ognuno può ne*
predetti padri avere un saggio, e si denunciavano, scomiuiictwio
— 271 -
e maledicevano con libelli, scongiuri e imprecazioni sino allora
inaudite; qual meraviglia, che i magistrati, confondendogli irà
loro e co' giudei puri, gli reputassero del pari esecrabili?
GLXXXIV. Essensa propria del gr^^oismo.
Né basta: le loro dispute teologiche non erano per ventura
questi affatto in grado di capire: ma de' buoni e de' rei, se gli
avesser potuto distinguere , vedevano bene all' infuora troppe cose,
che sembravano ree. Que'loro riti pieni di mistero e quelle im-
magini piene di spavento; quelle notturne e sotterranee congre-
ghe e que' segni e motti di equivoca segreta intesa, di che sono
zeppe ancora le catacombe; quel loro coabitare co' cadaveri, quel
convertii-e le tombe in altari e quel venerare le umane ossa;
quella indifferenza alle gioje comuni , quelle faccie non mai schiu-
se al sorriso, quelle vite immerse nella ignavia e quelle anime
annichilite nelle tetraggini della morte..., davano già a dive-
dere, ch'essi non consentivano col resto de' mortali. Rifiutando
inoltre d'adorare le sacre cose dell'impero, divenute sacre cose
dell'umanità, predicendone la imminente mina, proclamando sé
soli infallibili e impeccabiU, e tutti gU altri erranti e reprobi,
ed anzi (frase lor prediletta) « figli del diavolo »; vituperando
(juelle are e que' riti , eh' esser doveano della concordia civile e
umana fondamenti e vincoli, e dislegando gU animi con quella
religione, che gli doveva per contrario legare; torcendo dall'au-
torità pubblica r ossequio a' loro propri clandestini capi, reputan-
dosi contaminati dal praticare cogli estranei, aborrendo dalla vita
civile e quasi anco T umana abominando, e compiacendosi e quasi
gavazzando nella ebbrezza del finimondo..., consumavano il gran-
de divorzio. Cose fino allora inaudite credevano e diffondevano: e
sopra tutto, che la coscienza fosse a un giogo indiscutibile e in-
frangibile sottomessa; che non al presente stato, ma ad uno ulte-
riore si dovesse unicamente pensare; e che le facoltà, le inclina-
zioni e i sospiri tutti dell'anima rivolgere alla cura di salvarsi,
ognuno per suo conto, al di là de' sepolcri. Quelle forze umane, su
cui fino allora faceasi fondamento per superare le pugne dolorose
dell'esistenza e per vincere gh avversi fati, venivano logorate e
rintuzzate dalla persuasione in una diretta e continova azione de'
cieli, e da una invocazione cotidiana e assidua di miracoli. E
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quelle virtù pubbliche , in cui gli autichi faceano quasi ogni virtù
consistere , perchè attuose e proficue , e uniche capaci d* infiam-
mare ne* singoli petti lo spirito delF umanità e di sospingere gli
uomini finora immolarsi per conto altrui; divenivano scellerate
e biasimevoli. Bisopava in vece raccogliersi entro sé medesimi,
delle cose esteriori non curarsi , rassegnarsi ad ogni calamità e
ad ogni prepotenza, e commettersi a una provvidenza imperscru-
tabile. Tanto più santi, quanto più si sfuggiva di agire, di patire
e di amare cogli altri, e in astinenze, digiuni, mortificazioni,
penitenze, corrucci e in altre tali pratiche, che agli osservatori
procacciano forse il paradiso, ma ad altrui niente, su sprofonda-
va. I più perfetti anzi, ripudiando patria e famiglia , dichiaravaoo
guerra a' due massimi cardini del convivio sociale : e tutti senza
eccezione V osteggiavano con affetti e propositi direttamente con-
trari. La carne, il corpo e il mondo erano divenute cose empie
ed impure: onde, dopo avere lo spirito dalla vita attiva e collet-
tiva bandito, come non ci fosse oltre e sopra Y uomo Y umanità,
ed oltre e sotto il cielo la terra , lo bandivano alla fine dalla stessa
natura. Via , siamo giusti , con queste nuove virtù si poteva forse
alla propria e oltramondana felicità provvedere; ma alla generale
e mondana non certamente. 0 al più si poteva preparare gii
uomini a un'esistenza strasociale, privandogli di quelle passioni,
che rendono la società costituita necessaria : ma si esulavano, se
così lice esprimermi da questa, ed ogni sociale istituto demo-
li vasi.
CLXXXV. Relnttansa del granieismo agti ordini dvilL
È cosi poco vero, che il cristianesimo restaurasse la mora-
lità romana, che questui, in onta a quello, rìdestossi e cadde; e«
prima di cadere nella barbarie, ridestossi con le proprie forze,
mandando un ultimo fulgore. Ho già rammentato, che sotto i Flavi
e gli Antonini potè l'impero ancora, fuori deir azione cristiana,
rialzarsi, dilatarsi, decorarsi, ed anzi aggiungere il massimo apo-
geo; mentre appresso, non ostante la medesima, minò. I bravi
soldati e i chiari giureconsulti, cioè i men degeneri romani, non
già colle orientali ascetiche stravaganze; ma solamente colla pri-
sca disciplina e colla stoica sapienza poterono ancx)ra onorare,
in quella gran catastrofe, il genere umano. £ sul trono (cui Co-
— 273 -
stantino, instauratore degno della nuova religione, tramutava e
macchiava col sangue della moglie e de' figli e con altre domesti-
che stragi ); de' due più valorosi e immacolati uomini , che splen-
dettero, pugnando e insieme filosofando, T uno lo precedette, e
fu pur esso di quella religione nemico ; V altro lo segui , e ne fu
spregiatore. Io so, che, mentre la fama di Marcaurelio vive
ognora gloriosa, quella di Giuliano imperatore giace tuttavia dal
dente di san Gregorio nazianzeno (che intitolò santamente Invet-
tive le proprie orazioni contro il suo principe ) e degli altri santi
calunniatori lacerata. Ma chiunque considera le opere e le gesta
di Giuliano, e tanta austerità, tanta purezza, tanta fortezza, tanta
mansuetudine in lui cesare, soldato, pensatore, oBéso; sente per
esso tanta ammirazione, quanto pe' suoi avversari (che prima per
la sua misericordia insolentirono, e poscia per la sua morte da
eroe sul campo, come jene ne addentarono la memoria ) inespri-
mibile ribrezzo. S' egli errò , fu unicamente in confidare , che
queste , cui egli reputava , « follie de' galilei )>, si potessero col-
r elleboro, spuntata la scure, curare; e nel non avere disperato
della civile virtù e dell' umana ragione. Eccettuatine alcuni savi e
alcuni guerrieri, già eransi queste follie, come i baccanali e i mi-
steri della dea Iside innanzi, e come per un contagio incurabile,
dal tugurio alla reggia propagate: né vi erano più altri Giuliani
nel mondo. Il ferro e ogn' altro mezzo violento o non violento non
potendo più cangiare gli spiriti, il riconoscerle come religione
delV impero, quando pur non fosse stata in Costantino astuzia
di stato 0 scusa di tradimento , diveniva omai pe' suoi successori
necessità. La persecuzione, come sempre incontra, aveale rese
gagliarde, ammirabili, onnipossenti: onde, si disse, che vinsero
in grazia del martirio. Questo però non sarebbe seguito e non
avrebbe bastato, se una causa giusta, la massima causa del ge-
nere umano, a cui son sacre in parte anche queste pagine, non
avessero accarezzata. Il cristianesimo trionfò, perchè promise a
tutti gli uomini uguaglianza, e chiamò a sé (comunque vanamente) *
tutti gli afllitti, i derelitti, i vinti, gli oppressi, i miserabiU, gli
schiavi, i fuggiaschi, i peccatori, i dehnquenti, gl'infami: facen-
do loro intravedere un rivolgimento, mercè cui i felici d'oggi
sarieno i dannati del dimani, e gl'infelici i beati; e afirateman-
dogli poi tutti a si^o modo, se non più innanzi alla vita, almeno
innanzi alla morte. Avvegnaché per un certo lasso si sperò in
una rinnovazione del secolo, nel quale i vivi e i risorti avrebbero
18
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quaggiù costituito un regno di semplici e d' ignoranti molto sin-
golare: e se ne attendevano d'ora in ora, e già se ne indicavano
i segni e i nunci certissimi. Se non che, espugnata Gerusalenune
da Tito e trascorso un lungo periodo di tempo, senza che Y apo-
calittica aspettazione d'un, regno terrestre s' avverasse , si dovè
questo in celeste cangiare. Onde si confessò alla flne, che noo
si trattava più d' un consorzio prodigioso su questo pianeta, e
d' uomini in carne ed ossa ; sibbene d' un consorzio mistico altro-
ve, e di nude anime. Con la qual trasformazione del primitivo
disegno (che, a chi considera la storia della primitiva chiesa e i
documenti anche monchi e adulterati , che ne rimangono, eviden-
tissima si manifesta), la promessa potè non apparir vana, e pro-
seguir sempre sino ad oggi senz' apparirlo. Intanto quella « buona
novella » o quella divina utopia , ond' era sorto il cristianesimo,
veniva cosi del tutto abbandonata. Rimaneva in vece F ansiosi
preoccupazione della morte sostituita al fervore operoso della vita,
il ripiegamento individuale air espansione collettiva, la scissione
religiosa alla concordia civile, la fede alla ragione, il sopranna-
turale al naturale. E tant' altre cose rimanevano, che, se le fos-
sero credute davvero, come si dice di crederle, e realmente o
completamente osservate, non sarebbe stata più possibile alcuna
società costituita.
GLXXXVl. Corresione paniale del galileUme.
Per ventura al contatto di Roma, per quanto la trovassero
spossata e stremata, e giungessero anche a sopraffarla, trovarono
quella poderosa plastica di sociale organismo, che le temperò e
corresse alquanto ; e preservò e preserva il mondo cristiano ogno*
ra. Che io non nego la virtuale efficacia del cristianesimo nel
migliorare V uomo interiore , e né sopra tutto quella de' VangtU
per inondar gli uomini tutti d'amore ineffabile. Ma, tranne tale
misteriosa iniziazione, a cui del resto non sono punto ammessi i
profani; se la società nuova sta in piedi, voglia o non vogliasi, è
in grazia degli ordini vetusti sopranissuti. E, se questa dvillà
classica corrotta, cui si addimanda cristiana, è ancora la pik
fiorente, per non dire unica al mondo, e se il, mondo allo scettro
d' Europa soggetto , non è già per le asiatiche ubbie e i noitlid
dissidi. Bensì per le reliquie della civiltà italogreca, di Rooii
— 275 —
spai*se, dal papato romaQO serbate e dalF Italia romana dissep-
pellite. Oh, non sono forse le lettere e le arti, al di fuori e
contro il giudaico e barbarico influsso, per opera nostra risorta?
Non sono le leggi ancora, e in buona parte gli ordini della mi-
lizia e delle città, e tutti gli elementi e le basi del vivere com-
posto e fermo, romani e pagani? Certo, che il lituo orientale e
la settentrional picca scossero e scrollarono la eccelsa mole: ma
quel, che torreggia di grande e di glorioso in sulla terra, sono
ancora le sue macerie. Io forse non posso trasfondere in altrui
questa convinzione: poiché, mentre debbo rifar la storia a rove-
scio degli altri, il tema di questo libro, che di essa si suffraga,
ma non è esclusivamente storico; non mi consente, se non rapidi
e concitati cenni. Sono per verità contrari a quella storia, che ci si
è On qui narrata : appunto perchè falsamente ; e perchè le calunnie
neogiudaiche e neol)arbariche accumulate per diciotto secoli, da
cui non si poterono gr incliti estinti difendere, ed ora rese vie
più arroganti ed erudite, son divenute articoli di fede e oracoli
di sapienza. È naturale del resto, che gli avi nostri da nemici
vili e da discepoli ingrati prima dovessero essere vituperati; e
poscia da eredi indegni e da posteri bastardi, rinnegati. Dopo tutto
parlano ancora i lor libri e monumenti per loro; e non è possi-
bile sentire il divino impeto delle cose belle e forti senz' ammi-
rargli e benedirgli.
CLXXXVII. Gerarchia romana preaerfatrioe della civiltà.
Non appena Roma dovette per necessità accogliere il cri-
stiano culto come pubblico istituto, ne lo mutò e travisò in quella
forma, eh' è facile congetturare. Vi rimase certamente buona co-
pia d' indico ascetismo e di rabbinico odio , cui non potè impe-
dire, e a cui si aggiunse l'ideologismo platonico e la pedanteria
alessandrina. Ciò non ostante, variandone il contenuto, in buona
parte non si fé', che surrogare all' antica la nuova religione , al-
l'antico il nuovo sacerdozio e, fìno a un certo punto, all'antica
la nuova idolatria. Uniche religioni senza idoli rimasero la mo-
saica e la maomettana, entrambo di ceppo semitico e circonciso,
senza esser per questo delle altre migliori. Ad ogni modo non
credevano i gentili' avessero quelle loro statue niente maggiore
divinità 0 venerabiUtà di quella, che poi si predette avessero le
- 276 -
tavole e le tele poste in lor vece. Stringeva bensì il cuore, in
vedendo a que' numi del gentilesimo , sfolgoranti di maestà e di
grazia, sostituirsi sparute e dolenti figure, estatiche o contrite,
e traentisi dietro le funicelle o gli arnesi di supplìcio; e a que'
riti festevoli di fanciulle e di fiori, lugubri cerimonie: ma biso-
gnava ornai acconciarvisi. I beni sacri degli antichi auguri e fla-
mini passavano a' nuovi vescovi e preti; e i cesari rimanevano,
anche della cangiata religione, pontefici massimi. Secondo gli usi
italogreci e particolarmente romani , ho già detto, che i sac^o-
tali uffici co* civili alternavansi , i sommi nel principato e gli altri
di regola nel patriziato; non formando casta, né corpo distinto
dallo stato. Se non che già la nobiltà era in un col popolo spo-
destata: e fu mcn duro sopportare un' autorità, detta allora ^-
rituale, che aveva si molte veUeità sediziose ; ma alla fin fine era
a' magistrati obbediente, e quasi magistrato ella stessa. Non avrie-
no parimenti gli antichi concepito una religione, che non fosse
stata della patria , e che di giunta avesse avuto un carattere alie-
no dalla medesima e insieme mondiale. Pur ciò non recava an-
cora grave sconcio ; giacché nella unità e universalità del romano
impero quelle della cristiana chiesa si confondevano. E ood, se
questo non si fosse sfasciato, poco a poco le cose riducevansi in
occidente, come si ridussero in oriente , al punto, che il nuovo isti-
tuto religioso non a>Tebbe avuto maggiore delF antico possanza, né
molto diversa indole. Ma, sopraggiunti i barbari, sconnessa quella
immensa compage, abbattuti i civili stalnlimenti, e alla fine sog-
giogati gl'indigeni e quasi in servitù tratti; di repente esso ripi-
glia una provvidenzial forza. De' vinti romani , rimasero i sacer-
doti unici magistrati, a un di presso come i capi delle comunilà
cristiane ora nell' impero turchesco , custodi della lor ragione e
civiltà, e tutori e tribuni del popolo conculcato. Attii^ndo da
quest'ufficio tutto quel prestigio, ch'é facile concepire, verso i
vìnti , e dalla coltura verso i vincitori ; doventarono prima aititri
tra gli uni e gli altri, e poscia col misterioso terrore più che
sovrani. I vescovi di Roma, se non altro per quella lor sede etema,
preeccellevano già sugli altri: ma furono da ulteriori drcostuize
avvantaggiati si, che poterono raccogUere i brani dello sfitseiato
impero. Quella parte d'Italia, non soggetta aMongobardi, e in-
sieme abbandonata da' bisantini imperatori , o infestata da* costoro
esarchi, trovava naturalmente in loro i più legittimi e antorevoli
difensori. Estendendo eglino quindi il ministero eodesiaalieo okra
— 277 —
la medesima, e colle missioni allargandolo in tutte le oltramon^
tane provincie, e da sezzo ì longobardi ariani convertendo alla
loro obbedienza; domarono gli stessi invasori.
CLXXXYIII. Gerarohia romana restauratrìoe dell' impero.
Sebbene per un certo tempo nella dizione greca regnassero quasi
come delegati di Costantinopoli , giunto era quello di sciogliere
una dipendenza, che non giovava più né aU' Italia, né a loro. Ne
colse il momento opportuno Gregorio II: il quale, con pagano e
romano senno rigettando quelle sottigliezze teologiche degr icono-
clasti, e raccogliendo intorno a sé gì' italiani, diniego in fatto il
vincolo della fede al lontano e impotente despoto d' oriente (715-
731). Non restando, che di rivendicarsi anche da' vicini oppres-
sori longobardi, Leone III, altro gran papa, salutò imperatore
d' occidente Carlo magno (799). La fondazione d' un regno nazio-
nale in Italia veniva cosi impedita : ma salva la romanità di que-
sta provincia, che dovea poi in nuove e libere forme risplendere
ne' comuni ; e restaurata gran parte dell' unità e universalità an-
tica, sospiri eterni degli italici petti. I papi, riservandosi di consa-
crare e d' incoronare in Roma i transalpini imperatori , in nome di
quel popolo romano , da cui ancora procedevano i lor diritti , e di
esercitare il lor primato giuridico in tuli' i dominii de' medesimi ;
n'erano a lor volta nello spirituale confermati e nel tempo-
rale vassalli. Fu in sostanza, e per quanto si potè, una rivincita
del ronianesimo , e un ritorno parziale a quelle idee civili anti-
che, che formarono poscia in Italia, per molti secoli ancora, il
sogno e il delirio de' più incliti spiriti. Non ostante anzi la trasla-
zione dalla natia contrada ai franchi, e indi ai sassoni, ai fran-
coni e agli svevi ; se i carolingi fossero stati meno bigotti e meno
imbecilli , e il dissidio nella natura barbarica non fosse organico ,
r impero si restaurava del tutto. Nel novecento il papato tra le
fazioni locaU e le depravazioni palatine era ricaduto, e sceso a
tal viltà e inconcludenza , che le cortigiane ne lo distribuivano a'
propri congiunti e favoriti. Mentre l'impero, nelle robuste mani
degli Ottoni romaneggianti , rialzato cotanto , che le costituzioni
romane riviveano ; e poco mancò per fino , non ne ridivenisse Ro-
ma la sedia. Dopo cinque secoli di barbarica furia e di unìano
caos , oh potea far di più questa memoria , questo nome ? Se non
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che i belligeri germaDi , quand' anche si fossero a tale rivincita
rassegnati degF itali inermi , quasi fossero arrugginite le loro spa-
de; troppo mal comportavano i civili ordini di Roma* U pafH-
catarismo e Y individualismo , di cui tanto si vantano, e per
cui sursero le loro monarchie e i loro feudi ; lasciarono senza di-
fesa que' loro imperatori, non bene germanici e non bene italicL
I quali di giunta , benché qui venerati teoricamente come succes-
sori de' cesari , erano praticamente , come troppo deboli per bar-
bari, spregiati; e, come troppo feroci per romani, odiati Perdu-
rando oltre Alpi la barbarie tuttavia, e di qua il romanesimo
ravvivandosi vie più entro le mura cittadine, il distacco si fé* più
forte. E, quanto ingagliardivansi le repubbliche locali, altrettanto
priva di vita rimancvasi la general monarchia. Di questo si ac-
corse Gregorio VII, terzo gran papa, e romano spirito; che ve-
dendola sfuggir di mano a' barbari guerrieri, l'avvocò senz'altro
a' preti romani (1077). Alessandro III, compiendo un secolo ap-
presso tale impresa, rese l'impero, già a Canossa umiliato, a
Venezia illanguidito si , che , tranne il breve bagUore con Carlo V,
e il titolo sopravvìssuto Ono a Francesco II d'Austria, non fa di
poi , che una larva.
GLXXXIX. Tentato ritonio al geatOedmo aatiea.
D'allora in sino alle germaniche religiose scissure, lo scettro
di Roma, non ostante la protesta de' giureconsulti e poeti nostri,
passò nella su^ vasta e possente gerarchia. E cosi, se per no
lato nascondevasi in questa qualche cosa di romano e di civile,
per l'altro con questa si manifestò la cosa più antiromana e in-
civile : il teocratico dominio. Il quale del resto fu assai maggior-
mente di là da' monti, che al di qua subito: e, mentre ivi di-
stribuiva e ritoglieva corone, era cosi lungo dal funestare i liberi
nostri comuni (in cui quasi tutta la nazional vita raccoglieasi ) e
dall' opprimere i nostri liberi intelletti, che gli uni agivano e gii
altri pensavano , come fuori del medesimo, secondo le gentilesche
ricordanze. Ne' comuni appunto i santi protettori, sostituiti agli
antichi palladii e ancili, doveano difender la patria vakMPOsaoieii-
te , sotto pena di essere destituiti. E il sacro ministero, non cbe
avere l'eflìcacia nel politico reggimento , che aveva oltre monti, ina-
bilitava quivi a' magistrati. I buoni pensatori poi , secondo il
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precetto , lasciavano da parte quelle sublimità teologiche , che ri-
pugnavano alla loro indole, e sulle quali è per fino assurdo vo-
ler ragionare. Però, salvi i dogmi (come cose poste fuori dell'u-
mano raziocinio ) , flagellavano i gerarchi sommi ed imi in quella
guisa, che ognuno può ancora in Dante, in Petrarca e in Boc-
caccio vedere. Né mancavano per le superstizioni del volgo di
mostrare un sovrano sprezzo con una celia dolce, perchè non a-
veva bisogno d' essere amara. Il rifiorire delle lettere e delle arti
in Italia, secondo gli antichi eterni esemplari, dava forme pa-
gane fino a' nuovi idoH. Ed iva paganizzando una religione, icui
cardinali chiamava Bembo « padri coscritti » , e con le cui giacu-
latorie Pulci copriva il contrabbando delle proprie capestrerie. Fin
nel mille, al tempo degU Ottoni, notavansi in Roma traccio visi-
bili deir antico paganesimo: superstiti del resto tuttodì in quelle
basiliche e nello stesso Vaticano ; siccome forse anch' oggi non è
del tutto spento colà tra' popolani il culto de' domestici lari. Lo
stesso Dante, la cui ortodossia è (a detta de' cattolici) irrepren-
sibile e la cui dogmatica molto profonda, chiama Giove il padre
eterno, salva un po' irregolarmente Catone dall'inferno, mette
l'aquila romana in cielo; e pare avesse per Marte (patrono della
sua città) altrettanta divozione, che pel Battista. Ma, s'egli ad-
dimandava i più illustri letterati del trecento epicurei ^ cioè in-
creduli; gli umanisti del cinquecento erano poco meno, che gen-
tili : e MachiavelU stima più i vecchi idoli , che la « setta cri-
stiana ». Mentre del resto la corte d'Alessandro VI ricordava
(juella di Nerone, la corte di Leone X arieggiava quella d'Au-
gusto. Il papato stava per rendersi col nepotismo, ereditario o
gentilizio; e parca proprio, che il cattolicismo non fosse più,
che una solenne corbellatura a que' buoni tedeschi, che vi crede-
vano in sul serio, e tremavano pei fulmini scritti sulle bolle, e
pagavano le indulgenze per acquistarsi un cantuccio nelle regio-
ni incognite.
GXG. Sentir religioso dogi' italiani a modo daadeo.
Ciò non vuol dire, che qualche italiano non gli precedesse
nel riconoscere , come questa era un' empietà ; e che ben più for-
temente e nobilmente di loro affermasse i diritti imprescrittibili
della dignità umana. Pur, tranne pochi e solitari ingepi, che,
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volendo considerare ragionevolmente le credenze religiose , ne le do-
vettero rinnegare e scontarono col capo il loro capitale errore ; i
più, sfuggendole, cercarono in vece di temperarne i mondani eoce»-
sL Sebbene Arnaldo da Brescia e Geronimo Savonarola, rei di ere-
sie puramente politiche, e sopraffatti piuttosto dalla tirannide civile,
che dalla religiosa, fmissero su' medesimi roghi di Giordano Bnmo
e di Lucilio Vanini ; essi e in genere tutti gU altri pensatori d' Italia
si guardarono bene d' entrare in un campo , ove la ragione umana
non ha, che fare. Bastava loro por mente alle conseguenze prati-
che della religione , correggere i costumi del clero , emeiidiire la
disciplina della chiesa : del resto , al di là , chi ne può saper nien-
te ? E ammesso dagli stessi tedeschi , che questo nostro noodo di
sentire è pagano : onde Erasmo di Rotterdam malam^le ci re-
putò atei tutti. Ma questo lascia inviolato Y asilo della coscienza
individuale ; e non impedisce punto alla coscienza italiana di sol-
levarsi a un' idealità , a cui essi non arrivano. Non pario de*
tempi cristiani, ne* quali si potrebbe dire, che T influsso è venuto
d* altronde ; e ne* quali del resto il nostro Anselmo d* Aosta e il
nostro Tommaso d'Aquino dimostrarono, che si sa fare i teologi
anche noi, quando se ne ha voglia. Se non che tutta la nostra
storia protesta , che , quanto aborre la natura nostra dal negare o
provar quelle cose, che non le posson capire, se non essi tede-
schi , e tanto è de* ceppi della materia impaziente. Crede vera-
mente ne* numi chi assorge a tale idealità sovrumana, da cui è
ben discosto quel materialismo moderno, che, in onta a certe a-
stniserie metafisiche , ha proprio nella Germania le sue più vidoe
sorgenti. Il presentimento dell* immortaUtà dell' anima , che poi à
disse « dogma platonico (c, ben diverso e ben superiore alle cre-
denze orientali della trasmigrazione degli spiriti e della risane-
zione de* corpi , e mercè cui poscia quest* ultima si corresse e
rese alquanto tollerabile ; questo dogma della più alta nobiltà e
delle più alte speranze umane è proprio delle schiatte italogre-
che , che lo imposero al mondo. Ed è il testimonio della loro (H
rìgine celeste, e il segno divino della loro eccellenza su tutto fl
resto de* mentali. Concedono fino i più ferventi segnaci biblici , che
1* ispirato profeta Mosè ed anche il piissimo re Ezechia non si
avessero della vita avvenire alcun barlume (Whately, Juirocii»-
sione alla storia del culto religioso, III}. Ora, io non saprei
addurre scritto , ove vi fosse più impeto d* idealità , e più ardeste e
inesprimibile aspirazione verso 1* etemo e 1* infinito di quelto^die
- 281 -
un pagano filosofo e romano console dettò : il Sogno di Scipione.
Vissuto dopo Platone, ma pure avanti Cristo, Cicerone in una
guisa possente e ineffabile , cui niun cristiano ha poi superato ,
non dimostra; mostra quivi le anime immortali, e patria ultima
e vera de* virtuosi il cielo. Non aveano del resto ancora gli spi-
ritualisti farisei escogitato contro i materialisti sadducei quel loro
dogma della risurrezione : credevano ancora gli ebrei tutti nelle
sanzioni puramente terrene del Decalogo (paghi al più di mo-
rirsi nel seno de' tor bigami e prolifici patriarchi ) ; e già i no-
stri avi , parecchi secoli innanzi Platone e Cicerone , e prim' an-
cora che Roma sorgesse, credevano nella vita oltramondana. Ve-
detelo in quelle stele funeree, che il nostro sacro suolo va quasi
ogni giorno mettendo air aprico ; ed ove gli etruschi figuravano
i trapassati in biga, sotto la scorta d'alato genio, equitanti verso
le infinite ed eterne dimore. Ma, se tale presentimento scorgea-
gli e ci scorge ognora nel pelago della terrestre vita, come ful-
gido astro i naviganti , e subUmava e sublima questa pensante e
palpitante creta oltre il tempo e lo spazio ; non creava e non crea
passioni disumane e dottrine assurde. Creda o miscreda chiun-
que a suo modo , e secondo che prevale in lui il dio o il bruto ,
quella e le alti*e cose in tanto mistero avvolte : basta , che que'
sacramenti , su cui poggia la concordia , non rivolga al dissidio
delle genti.
GXCI. Bi?inoita de* barbari oontro il romineaimo.
Codesto il sentir religioso italogreco: ma ecco di nuovo
l'opposto sentire, mediante la gran foga dissolutrice , pecuUare
delle schiatte germaniche , farsi via. Pesando su queste , come un
giogo insopportabile, ogni romano ordine ; diedero esse prima al-
l' impero in loro traslato ( e eh' era per le lor membra , insoffe-
renti d'assetto organico, una veste di Nesso) colpi mortali. Non
paghe di conquassarlo con quelle loro monarchie feudali , fondate
sulla fellonia; doveano l'altra romana forma superstite spezzare,
con quelle loro confessioni ereticah , fondate sull' apostasia. <c La
libertà di coscienza de' singoli uonùni e cittadini non venne nep-
pure in mente nelle lotte religiose e nelle trattative di pace de'
secoli XVI e XVII. Bensì solamente il diritto de' principi a in-
trodur la riforma ne' propri stati, e ad emendar la chiesa dall'alto
-282 -
al basso fra' loro popoli ». Ed io cito un tedesco ( Gervinus , Ifi-
troduzione alla storia del secolo XIX, 25), perchè dod se
ne abbia a dubitare. Del resto basta considerare i primi passi di
Lutero, e fin le presenti goffaggini de' così detti vecchi caitoliei
colà , per avvedersi troppo , come dopo tutto que' profeti se la
intendano co' principi e co' cancellieri bene ; e diano a bere a' popoli
quel , che costoro vogliono. La religiosa riforma , che meglio si
dovrebbe dire civile scisma, fu una serotina efflorescenza boreale
delle giudaiche superstizioni, innanzi alquanto domate dalla romaoità.
Né per altro trionfò , se non perchè , assecondando il pariicolaiisaio
e rindividualismo delle nazioni neoteuloniche , emancipavale dall'ti-
nitarismo e ùM' universalismo aborrito. E cosi da un lato mercè
di essa poterono que' vassalli dello impero cangiarsi in sovrani,
e que' feudi in monarchie: dall'altro il genio germanico, fin li
calcato dal romano, potè stendere i tardi vanni e splendere della
sua fosforica) settentrional luce. La Germania, già mezzo romaniz-
zata da' cesari intorno al Reno, e indi anche altrove da* papi,
pensava allora linalmcnte e per la prima volta colla sua testa. Donde
ne segui uno slancio , i cui frutti non ancora esausti sono degni
almeno d'un pensiero, che ha la naturale vigoria d'esser proprio.
Gli scrittori veramente germanici incominciano appena col frale
agostiniano d' Eisleben : comunque fossero si lenti i passi loro, che
fin nel secolo scoilo Federigo II, agendo e guerreggiando come
dui'O prussiano, preferiva come molle parigino scrivere e filoso-
fare. Lo inciìnto della letteratura francese in questesso secolo traeva
nuovamente in cattività lo spirito tedesco : e, se i conati del corso
imi)eratore non ne avessero ridestate le nuovamente assopite forze
natie , fin le latine forme civili rì>iveano. Non è nemmanco oggi
tutta la Germania perfettamente tedesca: perchè, oltre non po-
ter avere qualche civiltà , se non in guisa romana ; la parte oc-
cidentale e meridionale della medesima (ove già furoDO le ro-
mane colonie ed ove la romana chiesa regna tuttavìa) è pia in-
timamente disgiunta dal rimanente, di quello che facciala este-
riormente apparir congiunta la militare e cattedratica violeaza.
Prescindendo da ciò, se la predetta rifonna |)rodusse un risveglia-
mento e (piasi un rinvenimento, e in somma restituì io buona
parte le schiatte neoteutoniche a sé medesime; non si dee ere-
dere,che la civiltà mondiale gran che se ne avvantaggiasse.
— 283 —
CXCII. Smri della riforma germanioa.
A buoni conti nella potenza politica prevalsero dopo la ri-
forma, e prima d'Inghilterra e Germania protestanti, Spagna e
Francia cattoliche: siccome negli ordini del pensiero possono i
cattolici Galileo e Vico stare a lato de' protestanti Bacone e New-
ton. Non si può dunque dire ciò, che generalmente si dice ora,
come pel solo influsso di quella , le glorie civili e intellettuali si
rendano possibili. Nel campo religioso fu certamente utile altrui
liberarsi da quel provvidenzialismo e da quel ritualismo ( scusate
questi astratti alla tedesca), che le schiatte neolatine travagliano ora,
.per colpa non loro , ma orientale ; e da cui , seguendo a pieno il
proprio genio, se ne sariano liberate. Nondimeno queste creden-
ze , se praticamente osservate , non le potriano esser più funeste
dell'improvvido dogma luterano, che l'uomo sia santificato e salvo
dalla fede, senza le buone opere; e dell'orrido dogma calvinia-
no, che predestinato al male e incapace di operare il bene colle
sue sole virtù. Sono del resto i protestanti altrettanto cattivi filo-
sofi, ammettendo la infallibilità della bibbia e la divinità di Cri-
sto a priori ; quanto cattivi teologi , abbandonandole poscia alla
critica trascendente e alla interpretazione individuale. Se si può
capire, che col vantato loro razionalismo si giunga a rinnegare
ogni religione rivelata ; come capire, che si debba ammetterla, e
in uno si possa discuterla , ognuno a modo proprio ? La fede e
la ragione sono due cose, che cozzano insieme: e, per non dir
d'altro, (jucgli slessi umani argomenti, che oppugnano la tradi-
zione ecclesiastica, oppugnano h sacra scrittura , ossia la let-
teratura d' un popolo stravagante. I cattoUci anzi , credendo infal-
libile la bibbia e Cristo divino, perchè ne lo afferma la cliiesa
romana ; e credendo questa depositaria e maestra delle verità re-
ligiose, si commettono a un'autorità storica e morale molto rag-
guardevole , e cedono a un vero soggettivo , in cui tutti acconsen-
tono. Pognamo, che non fosse tale oggettivamente: almeno vi è
più coerenza e, se il vero è un solo, meno ripugnanza in pre-
sumer vero ciò , in cui tutti acconsentono ; di quello che in sup-
porre altrettanti veri le molteplici e contrarie fantasie d'ogni u-
mano cervello. Evidentemente adunque questi dottissimi tedeschi ,
congiungendo le credenze e i raziocini in connubi garruli e in-
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compatibili , si aggirano neir errore. E nondimeno , che impor-
ta , soggiungono essi : non abbiamo noi emancipato le coscienze
umane ?
CXCIII. Giudaifflno rimueitato daHa rifontt.
Veramente que'loro eresiarchi del cinquecento non (tarono
tra loro meno intolleranti e crudeli, di quel che tosse la sacra
romana, ovvero ispanica inquisizione verso le proprie vittime. D
buon fra Martino incitava i magistrati e i grandi a sperdere colla
spada e colla scure i « profeti di ribellioni e di stragi », eh' erano
i propri rivali. £ i miseri contadini , sollevatisi in nome dell* evan-
gelica eguaglianza, fìnirono appunto, com* empi ladroni, evangdi-.
camente trucidati. Per Ano adesso noi siamo in grado di capire,
che sia quella tedesca dottrinale indulgenza; assistendo in pieno
secolo XIX air odioso spettacolo d' una reale persecuzione religiosa
contro i cattolici di colà. La quale, per essere incmenta, non cessa
d'essere un infame abuso della forza. Sono, dopo tutto, que' fa-
mosi statuali i rigidi e fanatici luterani, che ognuno sa: né di
regola colà, e massime in Inghilterra, gli scrittori osano, come
tra noi, non dico nelle teologiche disquisizioni, ma nelle anti-
teologiche, esser liberi. La coscienza dunque e' entra certameoie
nel loro scisma : la libertà della medesima (che <c non venne ne|h
pure in mente » nelle origini della riforma) non tanto , quanto
si crede o si vuol far credere da' loro accoliti di qui. Meglio è
tutelata la coscienza nel sistema classico, che ne la lascia inumi-
ne per fìno dall' istituto religioso, considerando questo meramente
come istituto pubblico; anzi che nel sistema giudeogermanieD,
che r avviluppa tutta nel medesimo. È stato già da altri avver-
tito, che la riforma germanica è una riapparizione del Cuisaismo
in seno al cristianesimo: e per certi aspetti, e principaUnenie in
certe sette, lo è. Ma più propriamente ella è un ridestaroento di
quel giudaismo, ìnsito non tanto per la culla, quanto pei primi
(lifTonditori , al cristianesimo; e cui avevano prima raraminiatnH
zione e poscia la chiesa romana attutito. La secessume umana »
fondamento del giudaismo, e il soprannaiuralismo, amma del
medesimo: trovarono naturalmente nella secessione civile e nd
trascendentalismo delle razze germaniche il maturato da* secoli
soccorso. Ija « nimicizia al genere umano » e la ostinato fede
- 285 -
ne* prodigi non poterono in queste razze nobili e forti trasfon-
dersi: pur tanto e tanto parte delle altre fisime e durezze giu-
daiche si. La religione non potè più essere unica d'una razza ,
che si credeva contaminata conversando colle altre, e il cui dio
geloso, vendicativo, ed esclusivo di essa, ingiungevate di contrad-
distinguersi dalle altre per fino con segni visibili e osceni. Nondi-
meno, mentre, rompendo la unità e universalità della chiesa ro-
mana , rinnovando ne' secoli XVI e XVII le guerre religiose e
smembrando la Germania stessa, spezzava la comune ara; la detta
riforma instaurava un culto puramente solitario e psicologico. Pel
quale ripiegamento interiore, a rigor di logica, tante dovreb-
bOD esser colà le religioni, quanti i cervelli. Posto, ciò non
ostante, che vi fosse una confessione sola, non trattasi più
d' una religione collettiva e pratica ; sibbene individuale e meta-
fisica. E questa indubbiamente al genio germanico si confà: ma,
raccogliendo i singoli in sé stessi e dalla santa comunione della
natura distogliendogli; per lo meno, quanto agli scopi civili e
agr interessi umani , se pur la è una reUgione , è come non la
ci fosse.
CXCIV. Bronoio del papato per caiua della rilòrma.
I perniciosi effetti delle scissure nordiche si fecero per con-
traccolpo, anche nelle parti d' Europa rimaste in fede alla sacer-
dotal Roma, sentire. Quella podestà temporale, rimasuglio del-
l'impero aflìevolito, cui questa serbava in cristianità, ed eserci-
tava negli arbitramenti tra' diversi stati , e in molt' altri obiètti ,
che sariano stati di lor natura laicali, venne naturalmente meno.
Riuscita vana la transazione tra Carlo V e Clemente VII, acciò
l'impero e il papato, le cui sorti erano del pari malavventurate,
si sorreggessero a vicenda; dovette quella limitarsi al dominio
pontificio, che prendeva l' indole d' una monarchia locale , a so-
miglianza delle esterne. La pace di Vesfalia (1648), ricono-
scendo solennemente le nuove confessioni e le nuove monarchie,
poneva fine del pari all' una e all' altra podestà politica intema-
zionale; e inaugurava il nuovo e ancor vigente giure europeo,
basato sul dissidio intestino e sull'equilibrio esterno delle forze.
Ciò non ostante , poiché nel campo spirituale il papato al cinque-
cento restava si vulnerato, ma non ispento; raccogliendo i suoi
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spiriti con un istinto senile di conservazione, nelle nazioni catto-
liche ravvivossi tristamente. II sentimento evangelico, che non
avrebbe mai potuto acconciarsi con veruna specie di mondana
grandezza, eragli per verità sempre rimasto estraneo; benché Io
scorgesse tuttavia alcun lume dell' antico senno. A un tratto , vi-
stosi minacciato nella vita, e in necessità di patteggiare colla
santimonia oltramontana; dovette smettere buona parte della sua
serenità e profanità, rannuvolarsi e assumere il cilicio della peni-
tenza'. Il concilio di Trento (1563), con cui poscia si resse e tuttavia
regge la cattolica chiesa , fu veramente una riforma interiore della
medesima : dalla quale i costumi del clero e la disciplina si emen-
darono alquanto; ma sulla ([uale un cupo despotismo religioso si
fondò. La Spagna , che avca regalato al mondo V ordine dome-
nicano, onde la sacra inquisizione potè tanto sangue spargere;
regalavagli ora la gesuitica compagnia, onde Y umanità corre
pericolo d'abbrutimento. La giurisdizione episcopale, mercè
cui la chiesa serbava certa qual costituzione repubblicana, già
da più secoli menomata ; cedeva finalmente alla primazia papale
in guisa, che oggi questa anche senza i concili potrebbe definir
dogmi. In Spagna e Francia il papato incitava ai massacri, e
contro r incesso trionfale del pensiero umano opponeva quella
immobilità, che oggi in oracoli troppo ardui e in anatemi troppo
scortesi manifestasi. Anche nel campo civile non rigettava queUe
sue pretensioni di comando, cui iìn al presente secolo ne' con-
cordati con le diverse corone cattoUche (sotto aspetto d'inge-
renza nelle materie miste ) corroborava ; e cui oggi superbamente
ailenna. Di tale tralignamento e pervertimento del papato, per
cui causa nelle materie spirituali giudaizzava aneli* esso, e nelle
temporaU ostinavasi in un'ambizione, che non aveva più ragioi
ti' essere ; se ne accorsero tosto gli uomini di stato italiani. Fio
che la religione confonde vasi con la patria, o il cosmopolitismo
della chiesa con quello dell impero, il papato non era per noi
un' istituzione molto temibile. Cangiate tali condizioni e formaiesi
le grandi nazioni oltre monti, diveniva per noi funesto perseve
rare in un sogno e in un sospiro, che ci lasciava soli e divisi;
e che ci dovea perdere e ci i)erdè.
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CXCV. Sistema dagl' italiani contrapposto alla tirannide papale.
Niccolò Machiavelli, che nel papato riconosceva la principal
causa della divisione d' Italia e delle seconde invasioni , scongiurò
in vano i suoi contemporanei d' assoggettarsi a un tiranno dome-
stico, pur d' evitare la sovrastante servitù straniera. « Tre cose ,
scriveva Francesco Guicciardini, desidero vedere innanzi alla mia
morte ; ma dubito, ancora eh' io vivessi molto, non se ne vedere
alcuna: uno vivere di repubblica bene ordinato nella città nostra,
ItaUa liberata da tutti e Barbari, e Uberato il mondo dalla ti-
rannide di questi scellerati preti » {Ricordi politici e civili ^
CCXXXVI ). E pur troppo , mentre egli , ministro de' Medici e
de' papi , con si melanconica protesta scendeva nel sepolcro, i bar-
bari rimanevano e, destreggiandosi fra costoro, i Medici e i papi.
L' Italia dunque era spacciata: ma que' governi, che in tanto
naufragio salvaronsi , contro il nemico intestino almeno si armaro-
no. E, come nella buona fortuna non aveano subito la teocrazia,
cui l'Europa pecorilmente riveriva, cosi non la vollero nella rea
subire. In tal modo sorse la <( politica ecclesiastica » (per valermi
d' una frase moderna ) italiana : la quale prese poi da due monar-
chi della casa di Lorena il nome di giuseppina e leopoldina;
come se non la fosse stata molto innanzi da una gloriosa nostra
repubbUca iniziata e assodata. U supremo cardine della quale è
quello, eh' io già premisi in questo tema : delle reUgioni nel viver
sociale non si poter fare a meno; onde, se buone, bisogna va-
lersene, e, se ree, difendersene. I due maggiori statuaU nostri e
del mondo or menzionati , Machiavelli e Guicciardini , pur cotanto
increduli nella immensa increduUtà del lor tempo, ritennero anzi
non vi potesse essere affatto, senza la riverenza a' numi , ottima
repubblica. Dunque , se non si poteano più co' nuovi numi le
prische virtù risuscitare; che tanta forza almeno non si spregias-
se, e non si rendesse vie maggiormente esiziale! Lo stato mo-
derno, per causa de' giudei e de' barbari, non avea più in mano
le cose sacre, come l'antico, che le potea volgere a esclusivo
profitto della repubblica. La chiesa romana era una tale potenza
allora, e lo è ancora, quantunque si decaduta, che solamente
può venire in capo a gènte, che non s'intende di queste cose
niente, poterla vincere con le buffonerie. Le credenze altrui, le
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credenze comuni del popolo meritavano tutto il rispetto, che chi
non reputa sé infallibile, è sempre sollecito a prestare. E, quan-
do pure non lo meritassero, lo imponevano a chiimqae abbia
ogni po' di lume e di sperìenza per sapere , che le medesime noD
sì sfidano mai impunemente. Bisognava dunque questo vetosto e
grande istituto, compresovi il papato, ossequiare : ma vi era ancora
un modo, che alla penetrazione degF italiani non isAigg), per
ischermirsene , quando facesse guerra.
CICVI. lUasBOBto ad dstema di radstent cMlt.
Ricorrendo essi all' armamentario delle leggi romane e deDe
stesse leggi canoniche, con le une rivendicavano i diritti dd
civile impero, e con le altre quelli della comunione erisNama,
cui dimostravano usurpati o traditi. È principio inconcoaso tra gli
stessi cattolici , che la chiesa sia costituita non già da* preti , ma
da' fedeli tutti sotto i legittimi pastori. E con questo , pr^no di
vita e di av\ cnire, possiedesi quanto basta per richiamare la chiesa
allo stato e per ricongiungere i fedeli a' cittadini. Poco a poco,
trasformandosi il governo della chiesa da democratico io aristo-
cratico, e quindi in monarchico; i fedeli aveano perduto ogni
cristiano diritto , ed erano stati veramente ridotti , • un pò* oltre
r evangelica espressione, greggi. Insorgevano dunque allora ì reg*
gitori politici in virtù di questo principio, che non è stato nem-
meno ora posto all' indice : e , coi canoni e le decretali in pogno,
parlavano a un di presso cosi. — Noi delle cose di fede non
e' ingeriamo punto, tanto più che non le possiamo intendere; e
ci commettiamo intieramente e inappellabilmente ai sacrosanti
concili e al beatissimo padre. Ma noi serenissima repubblica e
magnifici signori, noi dobbiamo del pari provvedere alT esercizio
pieno e libero della nostra sovranità, che ci fu per divino decreto
demandata. Orneremo quindi i tempii e le immagini da pari no-
stri, e ci recheremo anche alle processioni col robone rosso e
con tutta la compunzione possibile. Tuttavia, non potendo le im-
munità personali e reali ossenare, per causa di quel divino de-
creto; regoleremo la proprietà ecclesiastica, i monasteri e i be-
neficii, secondo la pubblica ragione e la savia economia. B im-
piccheremo per la gola i preti e i frati, che osassero presomars
di far niente senza il beneplacito della nostra serenila e dels
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nostre magnificenze. Quanto alle provvisioni vostre, degne certa-
mente di sommo ossequio per tutto il mondo; acciò le abbiano
edetto entro i nostri confini, vedremo, se non le fossero, cosi
per isbaglio, contrarie alle nostre leggi. E , quanto a' pastori le-
gittimi, che una volta il popolo insieme col clero eleggeva, e
che tuttavia debbono per esplicito precetto de' canoni e delle de-
cretali aver Y implìcito suffragio del popolo, gli nomineremo noi.
Ovveramente gli designeremo alla vostra santità ed alle vostre
eccellenze reverendissime ; essendo noi succeduti a questo popolo,
da qualche tempo in qua intontito e tre volte buono.... — Tale
il sistema degli statuali nostri, poscia imitato dagli stranieri, nelle
relazioni tra stato e chiesa. Il quale, gradualmente svolto, fa-
cile è capire, come senza danno della chiesa, cui esaltava alle
superne sfere d'una istituzione meramente spirituale (secondo
r evangelico disegno ), avrebbe col tempo restituito lo stato nella
pristina dignità. Se non che esso fu V ultimo raggio della civil
sapienza degr italiani ; cui prima i rumori gallici soffocarono e
indi le sopraggiunte oppressioni spensero. Dalle quali liberatici
testé, ma non anco dall'intimo servaggio; non parve vero ripu-
diare anche questo lascito de' maggiori, e dir chimere le dottri-
ne di Sarpi, di Giannone e di Tannucci a quella esotica confre-
diglia, che ha ammodernato l'Italia in quella guisa, che vedete.
Imperocché , secondo le patrie tradizioni, i nostri uomini di stato
avrebbero con le opere, e non con le parole, dovuto esprimere
i seguenti concetti, e non altri.
CXGVII. Formala del sistema di resisteim oÌTile.
— Noi reggitori dell' Itaha rediviva, ci accorgiamo bene, che
la nazione é cattolica, e che la chiesa uno stabilimento assai rag-
guardevole. E, ben lontani dal desiderare lo scetticismo o lo
scisma, che sarebbe l'ultima rovina; professiamo lealmente alla
religione dogi' italiani quell' omaggio, che le é debito. Rassicu-
rando gli animi con tal professione, a cui niun atto nostro sarà
mai contrario; vogliamo per altro libera la coscienza d'ognuno,
ancor che dissenta dalla comun fede. Né siamo in veruna guisa
disposti a comportare, che alcuno ardisca porre in forse la no-
stra lealtà, 0 valersi delle armi religiose a pubblico danno. Ve-
diamo per verità annidati entro i santuari molti lupi: i quali,
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(luando la |)atria gemeva sotto lo straniero giogo, e mentre se
no redimeva, senza viscere di patria e d'umanità benedissero i
nemici vittoriosi e cospirarono co' nemici vinti. Faedamo t co-
storo sentire tutto il peso deir alta nostra riprovazione: pur, noa
dovendo noi alle passioni ispirarci , lasciamo questa vertenza In
essi e le rispettive greggi accomodarsi. Pel passato adunque sap-
piano codesti lupi, che ci basta per loro pena Tonta loro: ma,
|)ei futuro, non contino sulla nostra grazia, se non ridestando nel
poi)olo forti e operose virtù; e non sulla nostra giustizia, se noi
osservando irremissibilmente gli ordini nostri. I! primo di loro,
che si cimentasse temerariamente , anche con un sommesso bi-
sbiglio nel confessionale , di contrapporsi a' nuovi destini dUlalii,
verrà come sedizioso tratto in carcere, o come ciurmadore posto
alla gogna. Abbia del resto la chiesa nelle cose verameme e
puramente spirituali assoluta e inviolata libertà: nelle miste t
civili quella sola, che le leggi consentono a chiunque è soggetto
air autorità dello stato. Per quanto riguarda il suo estemo orga-
namento, la sua disciplina, il suo governo e per sino h sua pro-
prietà ; noi non riserviamo, se non quella ingerenza , che le vi-
genti costituzioni e consuetudini ammettono. Non faremo qniiii
getto de' diritti di patronato, placito, esecutoria, appellagione, e
(li tutte le altre regalie, lascito de' nostri maggiori. Bensì, resti-
tuendole a chi di ragione, le ricondurremo a tutta la canoma
loro perfezione : secondo cui lo imperatore romano, a cui potreb-
be darsi qualcuno fosse cpii succeduto, o almeno gli oratori degB
stati cristiani avrebbero alcuna prerogativa sin negli stessi concili
ecumenici. Ndn ammettendo noi punto il divorzio tra chiesa e
stato, e volemlo anzi osservare di questa religione il precetto san-
tissimo, che non la possa far niente senza Y implicito sufiragio
(le'feiloli; noi in mo<li pacifici e lenti cercheremo, che questo
ridoni alla medesima un sodio di vita. Se non riuscirà, e la fosse
proprio destinata a perire, non sdirebbe nostra la col|ia ; che dob-
biamo tutte le lil)ertà tutelare, quelle comprese de' fedeli rispetto
a' propri pastori. Noi duncpie passeremo a loro le sopraddette
regalie, relifiuie dell'antica partecipazione diretta del popolo alle
ecclesiastiche cose; avvocate anch'esse al fisico nella passata ser-
vitù, (piando o^'n\'iltro diritto del medesimo era stato confiscato.
Costituiremo cioè i fedeli tutti in congregazioni parrocchiali,
diocesane, metropolitiche ed anche in una primaziale: a cui ce-
deremo le facoltà d' amministrare i beni ecclesiastici e di eleg-
- 291 -
gere i pastori d'ogni sorta e grado; sempre che questi abbiano
i sacri ordini e gli altri requisiti canonici e stieno neir obbe-
dienza al supremo gerarca. E in tale bisogna procederemo cauti
e guardinghi, per non ingenerare discordie e attriti; e senza né
anco la più leggiera velleità di riformar noi la chiesa, la quale
anzi vogliamo a lei medesima commettere. —
CXCVIII. Sistema borghése della indiffereiua religiosa.
Si può esser certi, che questo sarebbe stato il linguaggio
de' nostri antichi savi , se fossero ora vissuti. Esso però presup-
pone il riconoscimento della necessità politica delle religioni, e
l'intento di renderlene buone e profittevoli: eh' è ciò appunto,
cui i nostri odierni sofisti non curano. I quali, che che sentano
nel labirinto de' loro animi , sono per contrario ( come già dissi )
persuasi, che quelle sieno estranee alla vita civile affatto; e ad
ogni modo piuttosto disposti a tollerarne i mali, che a promuo-
verne i beni. In nome quindi delle dottrine straniere e di que'
paroloni sonori, cui eglino hanno per cose infallibili e reali, pur
di rinnegare e calpestare il pensiero civile italiano, fecero preci-
samente r opposto di ciò , che fare doveano. Invocando a spropo-
sito la libertà della coscienza e della chiesa (avrebbono dovuto
dir coscienze e chiese), come se si fossero ti^ovati in un paese
protestante e diviso in più sette; neglessero tutte le condizioni
del luogo, e oltrepassarono fino i propri maestri, per dimostrar-
sene i)iù caldi alunni. Avrebbono per lo meno dovuto considerare,
che, in onta a quella strombazzata oltramontana libertà, i mo-
narchi di Russia e (ìermania e la stessa reina d' Inghilterra pa-
peggiano e dogmatizzano a lor modo. E che , mentre quelle con-
fessioni per la scissione loro dal cosmopolitismo cattolico erano
divenute colà quasi patriottiche, e quasi religioni di stato; qui egHno
si trovavano innanzi questo tile cosmopolitismo, e un grande e
possente organismo, Che esteriormente ne lo rappresenta. Prescin-
dendo eziandio dalle ragioni temporali, cui esso vanta sul cuore
della penisola; come promettergli una libertà, che non si avreb-
be potuto mantenere, se non colla propria morte? Nelle materie
puramente e veramente spirituali, siamo d'accordo, che la sua
libertà vuol essere assoluta e inviolata: che prescrivere una re-
gola a' dogmi do' credenti sarebbe c^me prescrivere un metro ai
- 292 -
versi de' poeti. Ma questo tale organismo pretende inoltre, molte
cose dello stato sieno di sua competenza, ed altre di s\ì2l parteci-
panza: mentre su tutte quante arrogasi la preeminenjsa, e per lo
meno il supremo giudizio, se le sieno alla propria od air altrui
autorità soggette. Questo tale organamento è presentemente ostile
allo stato, donde non può essere sbandito, e ne ha scomunicato e
maledetto gl'istituti, i magistrati e sino il principe. E, mentre è
cosi esteso e saldo, da non potersi schiacciare, reputa in sua balia
disciogliere i cittadini da quelle leggi, che sono alle sue leggi
contrarie , e per fmo in certi casi o in certi luoghi i sudditi dalla
fedeltà debita al sovrano. Come dunque parlare, innanzi a questo,
di libertà ne' medesimi termini e co' medesimi sensi , con coi in
America se ne parlerebbe verso una picciola e oscura setta di
quacheri o di metodisti? E , pognamo, che fosse ridotto air umile
condizione d' una di tali sette; se conosceste X irrefrenabile po-
tenza d' ogni istituto religioso su' costumi , come permettere a un
qualunque setta di guastare, dividere o intorpidire il popolo?
CXCIX. Applioaiione del sistema della indifferenn nel regso d'ItaBa.
Sprezzando questa potenza, voi, messeri, le avete lasdato
campo franco, in tutto il cDrso de' diciotf anni passati, d'atteg-
giarsi a denigratrice e avversaria dell'indipendenza e dell' unione
italica, e di seminani tutta la zizzania, cui volle. So, che di
avere uomini liberi e fieri non vi caleva: ma, se non divennero
altresì vili e felloni, non è già pel sistema, cui avete seguito;
sibbene per le naturali doti di quest' inclito popolo, che resistono
anche alle sacrileghe imposture de' tonsurati traditori. Voi pote-
vate, se lo aveste voluto, impedirle, non con sofismi e rigori alla
tedesca; sibbene mostrandovi, quanto riverenti al culto e giusti
verso il clero fedele, altrettanto inflessibili contro il clero ribeOe:
e avreste avuto l' approvazione di tutti. Co' diritti dello stato, e
con quello di nomina o presentazione sopra tutto, potevate i btooi
preti premiare, e i cattivi allettare. Voi per contrario prima non
gli usaste , e poscia a dirittura , con quella tal Legge suUe gua-
rentigie della santa sede, come inutile fardello gli rig^tasta;
serbando appena delle altre regalie quella formalità vana, di che
ora menate vampo. Il popolo italiano vi potrebbe ora chieder
conto di que' diritti, che lo stato esercitava in sua vece, e pd
- 293 -
cui rigetto in esso ricadevano; e che gli furono, insieme con tutte
le altre cose divine ed umane , rapiti. Con tali diritti e colla pro-
prietà ecclesiastica in mano voi potevate ravvivar la chiesa, rin-
troducendovi il principio elettivo e laicale; del quale rimangono
ancora qui o là vestigi ne' benefìcii di pati*onato comunale o vici-
nale, e dovunque nelle fabbricerie. E, sollevando il basso clero,
restituire alla chiesa quella democratica forma, che costituisce
tuttavia il fondo delle sue istituzioni e tradizioni; con le quali
attraversò il feudalismo, e per le quali il più oscuro e tapino fra-
ticello può divenir tuttavia pontefice massimo. In vece voi lasciaste
opprimere il basso clero dall'alta gerarchia; quel basso clero,
die alla fine è nelle campagne ancora, e malamente, il più im-
mediato e naturai magistrato popolano. Paghi d'umiliare il sen-
timento religioso e di trarne quel lucro, che se ne poteva; la-
sciaste indifesi i buoni da' cattivi , e faceste del patrimonio della
chiesa quell' uso, che poi vedremo. Ecco la libertà , cui voi in-
stauraste: libertà ai malvagi di far tutto quello, che volevano
non agl'innocenti di custodir quello, che possedevano. Perchè
d'avere un culto virtuoso, anzi che vizioso, non importava guari
innanzi al vostro olimpico disprezzo per questa sorta d'interessi
inapprezzabili. Alla combriccola ti'a ghettajuola e borsajuola, cui
inconsci serviste, bast^iva vituperare le credenze comuni e far lar-
ghi sconti: a voi buona gente, la cui buona fede io ammetto
volentieri, ostentare il liberalume vostro, esotico e vuoto.
ce. Indifferensa aooompagnata dalla religioea oppressione.
La piena noìicuranza verso un istituto essenziale alla so-
cietà costituita , r abdicazione de' diritti dello stato alla chiesa e
del popolo alla gerarchia, l'abbandono totale di quello istituto
a' suoi frodatori e pervertitori, il maggiore iralignamento e intri-
stimento di esso, e la ribellione apertamente scoppiatane..., sono
tra le più magnifiche opere de' dottrinari e moderati borghesi.
I quali, poiché legittimavanle e decoravanle con la teorica e la
formula sopra riferite, almeno si fossero dimostrati sinceri o im-
|)arziali, secondo che intendevano o promettevano! Oibò: si è già
visto sin qui, e vie più in seguito vedrassi, che tutto il loro
meccanismo politico poggia su parole e lustre, a cui non occorre
punto rispondano le opere e i fatti. La libertà religiosa, al pari
- 294 -
(li tutte quelle altre loro false libertà, non è, che un logoro e
una pania per uccellare e invescare i gonzi, a prò' del moodial
ghettume e della mondial borsa. Libertà ai mosaisti e agli ere-
tici, e sopra tutto libertà ai sensali e ai giuocatori: ma, quanto
alla religione degr italiani , è un altro aliare. — Come , dod
r hanno ei dunque risi)ettata; menti*e, per queMoro stessi vantati
principii di separazione dallo stato e di libertà della chiesa, do-
vevano pur lasciarle le medesime franchigie d' una sinagoga o
d' una cappella, e d' una fiera o d' un' accomandita? — No, nem-
men questo; che, oltre averla spogliata, mentre non toccarono
le altre religioni, fecero anche di peggio. Imperocché noi, secon-
do i nostri principii, avremmo creduto, che ognuno potesse seguire
quella fede e quel culto, cui vuole, tanto cattolico, come noo
cattolico; sempre che nelle esterne manifestazioni si conformi
.V precetti giuridici e a' buoni costumi, di cui dev'esser giudice
e tutore unico lo stato: e ({uesta chiamiamo libeilà. Essi in vece,
secondo i loro, credono, non faccia mestieri punto tale conformità
a' precetti e accostumi: e chiamano libertà questa Ucetiza. La
quale però non vieta, che si possa quella fede svergognare e quel
culto opprimere, su cui un infantile capricdo si soddisii o oo
volgar giovamento si tragga; come tosto sono per raccontare.
CCl. Vilipendi inflitti alla religione del popolo italiana.
Io son lungi dal far risalire a' nostri reggitori e ad un pro-
{K)sito deliberato tutte le umiliazioni e i vituperi, che la religione
degr italiani in questi anni soderse : ma egli è prima di tutto in-
negabile , che ne ha sofferti parecchi. Nella stampa e nella cat-
tedra, ove dev' esser Ubero il censurare e l'ammonire, e non an-
co il denignire e il i)ervertire, troppe volte si feri un sentiménto;
che , laudevole o biasimevole , merita per lo meno tutto il rispetto
debito a un sentimento universale. Io non dico, eh' e' dovessero
far niente ; poiché la libertà del |)ensiero é una tal libertà , e il
(Uritto della verità un tal diritto , che bisogna assai più temerne
le pastoje,che i flagelli. Kssi nondimeno, o i loro provveditori e
procuratori , non V hanno tutelato con quello stesso zelo , con coi
tutelarono gli altri pubblici e privati interessi, il decoro d*nna
cor{>orazione , V onore d* una (]ualunque comiiagnia di credito e
di tniflico. Fin ne* maggiori consigli certe celie e pinoevolene
~ 295 -
tal volta trascoreero in scede e sarcasmi, da suscitare un penoso
disgusto anche ne' più spregiudicati; che ne erano, io non so ben
dire , se partecipi o pazienti. I quali pensavano tra sé : se noi di-
cessimo, esservi nel globo una setta, il cui dogma cardinale è il
ripudio della comunione umana, e il cui supremo rito comme-
mora dopo tiemila anni ancora e significa un massacro de' figli
innocenti d' ospiti truffati ; e se senza un rimprovero e senza un
lamento soggiungessimo, che per lo meno le superstizioni del po-
vero popolo meritano altrettanto compatimento di (luelle d'una razza
parassita . . . , noi saremmo cacciati di qui. E dobbiamo tuttavia in-
gojarci tante pasquinate contro un istituto religioso, che, fosse
pure superstizioso, è alla fin fine della nazione, cui qui supponia-
mo di rappresentare; e contro la stessa dignità nostra-, che non
è maggiore (a quel , che pare ) di quella consentita agh ebeti e ai
folli. — Ma, che che ne pensino questi uomini dabbene, i loro
avversari debbono concedere, che tale allo disprezzo verso le cre-
denze comuni esiste ; eh' esso non ha esempi in verun paese , e
che non è punto conforme alla proclamata tólUranza, Imperocché
questa si attua non solamente coir uguaglianza de' culti innanzi
alle leggi ( nel che io sono seco loro concorde ) : ma anche con una
eciuaiiimità di riguardi in tutte le pubbliche occorrenze. E, quando
contro un dato istituto religioso si può sciigliare il vitupero im-
punemente, la persecuzione incomincia. Or quah ragioni aveano,
per preterire coir irriverente contegno da quella loro vantata li-
bertà e da que' loro vantati esempi stranieri ? S' essi erano indi-
gnati dell' empia simonia e della fellonesca ipocrisia di certi tali
(cui del resto essi stessi col surriferito sistema agevolarono e in-
corarono), doveano costoro colpire, e non la fede e il culto de-
gl' italiaDi. Se in vece voleano questa e questo annientare ; eh via,
con le facezie non si può far tanto , e men che meno con trafit-
ture; le quali altro non fanno, che suscitare le poderose foi'ze
del risentimento ! Bastò dunque a loro disfogare o una fanciulle-
sca stizza 0 una frivola spiritosità, senza pur curarsi di quello,
che ne seguisse: dimentichi per fino del machiavellico precetto,
che i nemici bisogna accarezzare o spegnere; non mai olTender-
gli e lasciargli vigorosi.
296
CCII. Ostacoli frapposti alla religione del popolo itafiano.
La intolleranza del resto e il diniego della promessa libertà
manifestaronsi non solamente con si fatta irriverenza : ma con atti
positivi e coattivi , con provvedimenti e con leggi. Una frotta di
biricchini, che protrebb* essere aizzata e pagata, può, quando
vuole j co' clamori e colle mariuolerie impedire una congregazione
di cattolici e per sino una cerimonia solenne de* medesimi. E 1* au-
torità pubblica, perchè non la trascenda a tumulti e ad eccessi,
che poti'ebbero anch'essere ipotetici e immaginari , tostamente ne
la compiace, divieUindo appunto quella congregazione e quella ce-
rimonia. Perchè certi riti, e le scampanate e le processioni in par-
ticolar modo, uniche fe^te de' nostri campagnoli ed ultime dd
popolo , dan noja a un centinajo o ad una decina di persone t-
giate in questo o in quel comune, eccole interdette. Non è dun-
que libero T esercizio del culto a' cattolici nelle cose piìi innocue
e compatibili, e neppur di riunirsi sotto T egida del cosi detto
Statuto ; ognora che si possa un qualche pretesto addurre di tur-
bamento della pubblica quiete , ovveramente del popolar sonno e dd
borghese baccano. Che per lo meno , se si lasciarono aprire nuove
sinagoghe e cappelle , non si doveano chiudere le tante chiese cil-
toliche , che si chiusero e cangiarono in magazzini. E per lo meno
quelle scampanate e processioni, e gli altri riti dovrebbon meritare
lo stesso ris|)etto d' un corso camescialesco e delle altre baldorie,
che godono non solamente piena immunità ; ma le più squisite at-
tenzioni della sopraddetta autorità pubblica. La quale in carnevale
aflida agli arcizanni delle allegre brigate quasi il bastone del co-
mando: e certamente mette sotto i loro ordini la milizia, e le la-
scia alzar steccati, tirar traini, addensar turbe, ingombrar vie.
Una passeggiata d'uomini incappucciati, pognamo, che la fosse
uno spettacolo stucchevole , ricliiede e disturba meno d' una ma-
scherata ; e , lìn che alle moltitudini non disgrada . non cade Q
mqndo, se la si sopi)orta. Questo vuole la vera tolleranza civile,
la vera urbanità : la (]uale sopporta ben altri usi e gusti di molli
e di pochi, che potrebbon essere ugualmente stucchevoli, e (br-
s'anco deplorevoli. Per esempio, io comprendo, che per la ne*
cessila doir alimiMitazione ci debbano essere al mondo i maoeBai
e gli scortichini; ed anco i pescatori e i cacciatori di mestiere.
— 297 -
Ma non ho mai saputo comprendere, come la caccia sia un no-
bile e regale esercizio : e , di ferire que' cari augelletti , che vo-
lano al dolce nido , ebbri d' armonia e di luce , e di schiacciar
loro il petto, quando cadono palpitanti e gementi, e di deporgli
nel carniere semivivi e insanguinati , non mi reggerebbe il cuore.
Altri reputano questo in vece valore , e dilettamento da grandi :
e bisogna pure , eh' io abbia torto ed essi ragione , e che tutti ci
accomodiamo al settenirional loro uso e gusto. Parimenti, s'io
comprendo , i cani essere animali molto affettuosi e molto fedeli ,
e degni per certi conti d' essere anco dagli uomini ammirati e imi-
tati ; d' altra parte , accontentandomi d' amar gli uomini , V amor
de' cani non V ho. Tuttavia altri Y hanno , e non si limitano
di coltivarlo nelle lor case, ove a me pare, si dovesse rimaner
chiuso : bensì lo vogliono pubblicamente professare , menando a
spasso i lor mastini o tenendo in grembo le loro cuccie , con una
serietà e una tenerezza ammirabili. E per costoro noi dobbiamo
soffrire d' aver tra' piedi nelle piazze e ne' ritrovi i quadrupedi
loro amici , d' udirgli guajolare e di vedergli in atti sconci , cor-
rendo di giunta il rischio d' esserne morsi. Se adunque noi tolle-
riamo codeste noje , per causa di certuni , e se più centinaja d' uo-
mini muojono ogni anno dell' orrenda canina rabbia per questo
loro solazzo ; noi potremmo meno sti'ane cose, ancor che non
le ci piacessero, tollerare.
Cail. SpogUo della chiesa in Italia.
•
Del resto, che parlo io di tolleranza, quando quell' assui'da
Ubertà , che si era incondizionatamente e inconsultamente promes-
sa, si è non in questa semplice intolleranza ; sì in aperta guerra
cangiata ? Io non reputo atti ostili alla medesima molti provvedi-
naenti , di cui il clero si dolse (come lo affrancamento dell' istru-
zione dal suo monopoUo, e il suo assoggettamento al debito mi-
litare) ; benché sieno non da quell' assurda libertà ; ma dalle ra-
gioni civili, secondo noi le intendiamo, ampiamente suffragati.
Nondimeno atti ostili , gravi e parecchi , e quasi , se lo avessero
potuto , mortali , furono contro la medesima diretti ; senza nem-
raanco badare nelle forme a un po' di temperanza o di decenza.
Io cito per tutti la cosi detta operazione sulV asse ecclesiastico
( poiché i provvedimenti dello stato borghese esprimonsi con que-
- 298 -
sta sorta di locuzioni mercantili); e quegli altri, che la precessero
e seguirono , informati al medesimo pensiero. Ne' quali se dod si
vede palese V abuso della cosi detta volontà de' più , cui io sopra
ho dimostrato , essere in sostanza la volontà de' meno ; vuol dire
proprio, che qui non ci si vede più niente. Imperocché, se quella
serie d'atti, che si riassumono nello spoglio della chiesa no-
zionale fosse stata diretta non contro lo istituto religioso comu-
ne; ma contro questa o quella setta diversa, si capirebbe tanto-
sto ciò , che la è. Anzi , se gli averi di qualche comunità israeli-
tica od evangelica si fossero incamerati, avrebbesi, e giustamente,
gridato all' iniquità. E , ciò non ostante, gli averi de' 26,658,679
italiani cattolici furono posti fuori legge, credendosi di far cosa
lecita. Io comprendo, ma non comprendono i borghesi (come si
manifesterà poi nel loro sistema finanziario), che pe' bisogni della
patria debbasi ciò e ben altro fare. Sempre che per altro in modo
equanime per tutti ; e che la confìsca di quegli averi non si re-
puti , avere maggior titolo della conlisca di tutti gli altri. I beni
della chiesa quindi non a\TÌano dovuto contribuire alle necessità
dello stato in maggior misura di quelli de' privati , o per lo meno
delle altre corporazioni. Dappoiché essi costituivano una proprielà
del i>opolo cattolico italiano altrettanto legittima , quanto quella di
qualsivoglia persona singola , o per lo meno di qualsivoglia persona
morale. Conseguentemente potea lo stato prescriver norme e limiti
al patrimonio generale della chiesa e particolare delle chiese, sot-
trailo anche al libito della chieresia, renderlo consentaneo al pro-
gresso della civiltà e al bene del popolo : non già a questo ra-
pirlo*. La Legge per la soppressione degli ordini e delle eor^
porazioni religiose^ nel di 7 luglio 1866 promulgata, non po-
trebb'al più essere giustifìcata^ se non sotto un punto di vista,
come si suol dire, rivoluzionario: non già strettamente giuri-
dico. Ecco dunque un esempio , che può essere invocato nelle Ah
ture vicende a giustifìcare (]ualche altro spropriamento prò o eoo-
tro la borghesia medesima. La quale ad ogni modo, mentre è
tanto fonnale e mansueta nel rimanente, operò questa sua rivolu-
zione, non già a favore; ma a danno di quel popolo, che paga
sempre quel, ch'ella rompe. Perchè, se i beni ecclesiastici non
si voleano più a sacro uso addetti , sempre a popolar uso rima-
ner doveano devoluti: e non era giusto, né cauto privarne il le»
giltimo padrone, per esonerare i facoltosi da' propri pesi. Vedre-
mo appresso . che sorta di sollievo abbia avuto T erario da questa
~ 299 -
famosa operazione: qui mi basta constatare, che sorta di libertà
fosse quella alla chiesa concessa. — Voi, lupi e volpi dal sacri-
lego ammanto, abbiate piena balia di combattere le pubbliche
istituzioni, di bestemmiar la patria appena risorta e di avvilup-
pare ne' lacci della ipocrisia e della codardia questo povero po-
polo, che ha bisogno de' prodigi della virtù e della fortezza
per districarsi dalla sindone del sepolcro. Noi ci riserviamo d' ir-
riderne le credenze, di contrastarne le manifestazioni, e sopra
tutto di valerci de' beni suoi per le alte nostre finanze usuratiche
e giudeesche. — Fu questa la politica ecclesiastica de' moderali
e dottrinari, sino allo sgambetto parlamentare de' 18 marzo
1876, che la fazion bigia e lo squadrone volante diedero alla fa-
zion bianca.
CCIV. Momentaneo ravvediniento della polizia ecclesiastioa borghese.
Da questo punto, in quella indicibile mobilità del nostro po-
litico governo, paragonabile al governo d'una nave senza bussola
e senza nocchiero, subentra una novella fase; cui appena si può
discernere ora, e su cui non si può pronunciare un giudizio certo.
L' uomo , che presiedette subito al supremo dicastero de' culti ,
Pasquale Mancini, era troppo un buon giurista, per non seguire
in questa materia gh ammaestramenti della scuola italiana, e
troppo un vivace ingegno per non sapergli disviluppare secondo i
cangiati tempi. Tuttavia uomini, idee, cose valgono niente in que-
sta tresca di larve, parole, finzioni. Parrebbe, che i funesti effetti
del sistema fin qui seguito, si dovessero alla fine scorgere: ma
in questa sorta di reggimento è da attendersi tutto, tranne delle
patrie tradizioni e de' popolari istinti 1' osservanza. Non posso
adunque sperarla; giacché, s'io, che le vo ricordando e gfi vo
svelando, fui sino a qui un reprobo, ci vorrebbe un miracolo, per-
chè non mi si desse torto ancora. Si dovrà dunque cangiare od
almeno accennar di cangiare, non già per un ritorno a quelle tra-
dizioni e a quegl' istinti : ma tanto per fare qualche cosa di di-
verso dagli altri, o per assecondare la volubil moda. Se la Fran-
cia avesse a Sedan vinto e, vincendo, la fosse ugualmente dive-
nuta una repubblica rusticana e sacrestana; si può scommettere,
die il bigottismo politico, insieme con qualch' altra cosa, avrebbe
attraversato le Alpi suir ali della, vittoria. Essendo in vece questa
- 300 -
volata altrove, è troppo naturale, che noi, non potendo emulare i
tedesclii ne' forti studi e ne* forti propositi , e non raccogliere i
loro trofei nel campo della gloria, gli assecondassimo con qual-
che pacifica rodomontata. Ch' eglino abbiano per la chiesa catto-
lica e romana tutto T odio, che buoni luterani e prussiani debbono
professarle, e cerchino anche di « cavare la castagna dal fuoco
colla zampa del gatto », si spiega. Ma, che noi, proprio noi, da
stupidissimi clienti e umilissimi servidori, dovessimo per far pia-
cere a loro, ovveramente a una parte di loro, e per emendare
quella loro onta di Canossa, gettarci addosso alle cose nostre L.^
Dopo tutto questa chiesa, oltre rappresentare la religione d^'i-
taliani, ha qui la sua sede e da qui regga oltre dugento milioni
d' uomini. È un grande stabilimento storico e morale, la cui po-
derosità e il cui splendore sono incontrastabili; un primato del-
r Italia sul mondo, e un avanzo del dominio di Roma. Via, non la
è tanto una cosa spregevole, da gittar via: e accertatevi, se Ta-
vesscro i tedeschi, ne la terrebbono in gran pregio. Forse i loro
professori scriverebbono grossi volumi, per chiarirla il più singo-
lare e meraviglioso istituto della terra, e prova lampante e yìm
della superiorità della loro razza e del loro pensiero. Essi non
r hanno, e naturalmente, non avendola, dicono e vogliono il con-
trario: e questo basta, perchè noi si debba dire e volere il me-
desimo. Quinci il cangiato indirizzo del cosi detto spirito gene-
rale tra noi, a cui accennano i reggitori odierni di rendere il so-
lito omaggio; e secondo cui parrebbe, le tradizioni patrie nelle
relazioni tra stato e chiesa dovessero riannodarsi, or che le sem-
bran straniere. Se non che una diversità profonda, per non dir
de' diversi luoghi, passa tra la sapienza civile degli avi nostri e
gli oracoli della gran cancelleria di Berlino in tal proposito. Quella
supponeva il rispetto alla religione del popolo e il rìconoscimeoto
della chiesa, quale una podestà venerabile e formidabile: questa
implica r intento recondito di schiacciare il papato e ogni ordine
cattolico. Quella si riassume nella tutela legittima dello stato e
del civile impero: questa nella oppressione del cattolicismo.
CCV. Funesti effetti delU poliiia eoeleiiartioa
La ivi^cuzione in Germania ò già cominciatii con leggi dotte
e assurde, e con pene erudite e goffe: in Italia sin ora larvali
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con que' vilipendìi, ostacoli e confiscamentì dianzi accennati. Po-
gnamo, che colà riuscisse (il che io non credo punto); certo non
la riuscirebbe qui, dove non sono i cittadini divisi in eresie, dove
la unificazione non fu imposta militarmente, dove non trattasi di
restringere il giogo d' alcune provincie suir altre , e dove sopra
tutto il comun sentire è molto diverso. Tra tanti vizi, vi è an-
cora una gran virtù civile e umana superstite in tutti gì' italiani,
borghesi e non borghesi. La fredda durezza, la sistematica pre-
potenza, r orgoglio della forza, il farnetico della fortuna, l'abuso
della vittoria..., sono passioni, che non possono a niun costo
ne' lor petti allignare mai. Mentre sembra morto ogni altro sen-
timento generoso, ve np ha ancora uno romano qui, cui non si
potrebbe impunemente sfidare: Tuniversal fremito di sdegno, che
la bnital violenza susciterebbe; anche usata verso i malvagi, e
specialmente verso gl'inermi e i vinti. Una persecuzione manife-
sta e crudele, non potrà dunque in Italia avverarsi, a meno che
proprio non si volesse mandar lo stato sossopra. Non pertanto quella
larvata e scortese, che fin ora ebbe luogo, accompagnata alla libertà
incondizionata e inconsulta, ebbe già i suoi funesti effetti. Pur di
soddisfare passioni, le quali (fossero giuste) non dovrebbono gli
uomini di stato seguire, si stuzzicarono que' nemici interni; a cui
in uno si rilasciava ampia patente di cospirare, e d'accendere
anco, se lo avessero potuto, una guerra civile. Per quanto lieve
fosse la costoro efficacia, a fronte del buon senso popolare, sa-
rebbe tuttavia stato meglio, che i costoro sermoni e le costoro
pastorali avessero persuaso l'obbedienza alle leggi e l'amore
a' nuovi ordini, anzi che il contrario. E ad ogni modo crearsi un
inciampo di più, mentre se ne avea già tanti, e di cui non si
avea guari bisogno, non la era cosa da uomini pratici; or che
basta esser pratici, anche senz'esser savi. Se non che, siccome
ninna causa si rimane senza effetto, questa doveva il suo produrre,
che non era né alla civiltà generale, né al locale interesse giove-
vole. Molt' italiani cioè si alienarono dal comune affiatamento, e
giunsero per sino ad essere disgustati dalle nuove sorti della pa-
tria; trovandosi offesi in convinzioni, che, per sembrare altrui su-
pt^rstiziose, non cessano d'essere a lor care quanto la vita. Capisco,
eh' egli non si possono dire onesti cittadini, né veramente virtuosi
uomini: perocché, tra gli errori delle persone, doveano distin-
guere la eccellenza d' un principio, che sarà sulla terra santo, fin
che un ultimo palpito agiti i petti umani. Ma, prima di tutto, si
- 302 -
poterono scusare, vedendo, che alla fin fine la italianità de' bor-
ghesi, instauranti qui un cosmopolitismo caorsino e zingaresco,
non era gran che superiore alla loro. E poi, considerando, che
se aveano comune con costoro il desiderio di cacciar lo straniero
e di ricongiungere la nazione; via, che la dovesse mo anco es-
ser empia, non se V immaginavano. Fatto sta, che, scusabili o ine-
scusabili, eglino, particolarmente gentiluomini e anziani, fiirooo
quasi per forza spinti ad un aborrimento verso le nuove cose; pel
quale non arrossirono di stender la mano a' nemici interni delta
patria, aggregandosi alla fazion nera.
CCVI. Orrida prooreasione della fiuian ii«nu
Questa, oltre che di codest' illusi, fu veramente formata, ispi-
rata e diretta dagli sgherri o cortigiani delle spente signorie, e
da tutti coloro, che il ritorno de' tiranni vecchi e la conseguente
mina della patria sospirano, i quali ci sarieno stati ugualmente, io
lo so ; giacché ogni tirannide lascia, lurida bava dietro a sé, uno
strascico di clienti infami. Essi per altro non sarieno stati in tanto
numero, né cosi svergognati, né cosi audaci; se non si fossero
appajati quegF illusi, e non avessero potuto, con religiose lastre,
decorare la propria infamia. Un drappello d' italiani poc* o molto
notevole, non solamente indifferenti al risorgere della comon ma-
dre, ma ricacciantila neir avello; sarebbe stato uno spettacolo troppo
turpe, per jìoterlo ammannire al pubblico senza sutterfugi. I bor-
ghesi dunque, con le famose loro arti di governo, si assunsero il
compito di torgli la verecondia e di accrescergli la baldanza;
spingendo verso loro que' tali accoliti di molta fede e di poco
senno, e rinfocolando un sentimento, che ha ancora qualche forza
tra' mortali. La fazion nera , che al di là delle Alpi rappresenta
un fanatismo, che non può qui attecchire, ma non almeno rodio
alla piìtria; non sarebbe qui stata |>ossibile, se non la creavano
eglino stessi. I quali dl^l resto non T avversarono mai; e, riln-
giandosi nel loro doginatismo costituzionale e serafico, ancora non
la paventano. Anzi , accarezzandone i campioni e accordamlo loro
tutti ({ue' favori, che tra buoni compari si accostuma, mostrarono
bene, conìc si lidassero assai più di quelli, che delle fiere e sde-
gnose anime de' patriotti. — Imperocché, dicono o almeno in
passato dicevano: il pericolo unico, cui può lo stato temere, vk
~ 303 -
da' fautori di repubblica o di altre novità, i quali hanno qualche
senso gagliardo e possono nelle turbe suscitarne: ma a chi fan
paura que' baciapile ? — Pur la potrebbon fare, non dico ad essi ;
bensì a chi ama la civiltà e la patria, e conosce quanta la lor forza
sia. Prescindiamo pure dalle istituzioni religiose, educative e ca-
ritative, che hanno in mano, e dalle diverse congreghe pie, da' so-
dalizi d' ogni specie e da' giornali loro, che sono i megUo scritti
e i meno venali ; e da' quattrini , che sanno ei soli racimolare e
snocciolare, senz' ajuto d' esattori, in questa esausta Italia e nel
non esausto mondo. Supponiamogli inoltre privi d'ogni esterna
forza e d' ogni regolare organamento : tuttavia quelli, oltre il sen-
timento religioso, hanno a lor servigio una gran suppellettile sto-
rica e morale, lìiichè proseguano il loro satellizio al papato, della
quale tosto dirò. E, quando pure anche da questa si prescindesse,
che cosa non è possibile alle sette ed alle fazioni, dove e quando
la coscienza comune e la giustizia eterna non si curano più; e
basta tirar fuori una qualunque bandiera e fare un po' di cliiasso,
che incontanente si raccozza una schiera, e colla schiera si sale
in Campidoglio?
ce VII. Probabile trionfo della fasion nera.
In tali condizioni rimangono solitari e abietti, e privi di valore
e stima alTalto, coloro, che patrocinano il popolo e confessano la
verità: mentre chi serve alle fazioni e giura alle sette, è certo di
contare subito per (|ualehe cosa. Di guisa che, s'io, pognamo, avessi
a favor de' bianchi o de' bigi scritto queste pagine, forse che mi toc-
cava (ahimè) divenire un graud'uomo. Avrei cioè trovato anch'io un
editore, e dieci giornalisti avrebbono per lino sostenuto che la mia
prosa non è ostica e istecchila. Scrivendo in vece per la verità e pel
popolo; per la povera verità, eh' è diventata la versiera, e pel po-
vero poi)olo , che non sa e non saprà mai quel , che faccio per
lui, tutti mi daranno addosso. E lino i miei buoni Pomponii, tra-
vedendo le lìamme del rogo , che abbrucia un' anima, mi sfuggi-
ranno, mormorando : poverino, non è cattivo; ma com'è temera-
rio! Dico [)er tanto, cliQ chiunque non voglia pomponizzare, come
fanno i miei dolci amici, o chiunijue non voglia pensare di proprio
ca|)o e far parte per sé stesso, come faccio io qui, è certo di tro-
vare ascolto e seguito ora, pur che ardisca. Onde maggiormente
- 304 -
la fazion nera può vìncere; sol che voglia rendersi tollerabile, ae-
correre alle urne e partecipare agli altri atti della vita pubblica* La
buona stella d' Italia, che tant'altre cose ha voluto, volle eziandio
r ostinazione della corte vaticana, e le imprecazioni sue alle cose
più sante, e fino le sue ingiunzioni ai fedeli d' esser contumaci ai
suffragi ed alle altre azioni civili. Col qual sistema ha essa per-
duto, un po' prima del tempo, il teroporal dominio e le altre cose,
che i dottrinari e moderati gli avrebbon per fermo salvate : mentre
si è naturalmente spogliata di quella etBcacia politica, che avrebbe
altrimenti potuto acquistare. Ma questo sistema non può durare
a lungo per lo effetto stesso degli anni , che volano ; o cioè per
la necessità, la calma e Y accortezza, che prevalgono a dod hmgo
andare alle bizze, ai rancori e ai bronci inutili. Avvegnaché i
rimpiagnitori del passato si avvedranno bene alla fine, che qoe'
lor cari tirannelli, già rassegnati al bando, e anzi già fantasmi
erranti , non gli possono più richiamare e rievocare. E quindi
acconcicrannosi a' nuovi ordini, e, acconciandovisi, vorranno trame
alcun pro\ ÀI quale uopo, benché non sentano nemmanco gli af-
fetti, che hanno le tigri e le jene peMoro deserti e per le lor tane;
basta , eh' ei non rinneghino più la propria patria , come non la
rinnegano i lor sozi altrove, e scendano in lizza, come vi scendoo
costoro. Anzi é assai probabile, che la plebe censita, minacciata
dalle folgori della social burrasca, dia la mano o si getti a di
rittura in grembo a cotestoro, come ad unico porto di salute; piut-
tosto che decidersi a quelle opere di giustizia, a cui io nel se-
guente volume la invito. Ned é questo un supposto immaginario o
un presagio difficile : perchè la medesima cosa fecero già la bor-
ghesia belgica e la gallica; né mancano ragioni air italiana per
imitarne gli esempi. Le cose ornai sono giunte al punto, in tatti
gli stati borghesi, che non solamente il ceto signoreggiante; si
anche gli altri, per sottrarsi alle sovrastanti procelle, deUttno
commetter Y ordine a' detestati avversari. Sarà certo un effimero
ripiego: ma non ne dorrà molto alla borghesia, a cui basta sal-
vare i quattrini a forza di ripieghi effimeri. Né quasi più a ve-
runo; dacché, alla fine de' conti, un' Italia clericale non sarebbe
gran che i)eggiore d' un' Italia borghese.
- 305
CCVIil. Sorti presenti del papato.
È egli però vero, che il clericalismo abbia tanta efficacia,
da potere ancora, almeno per alcun tempo, contrapporsi air avan-
zamento della civiltà e al definitivo risorgimento della patria? —
Per rispondere a tale inchiesta, io debbo le relazioni di esso con
la chiesa cattolica e la curia romana rammentare ; e constatare
gì' immensi ajuti, che ne trae. Io sono lungi dal confonderlo con
le medesime; e men che meno dal mancare al precetto, che mi
son posto (seguendo lo esempio de' più valorosi uomini dell' an-
tichità) di rispettare le religiose credenze, e di non avvolgere nella
teologia discussioni meramente politiche. Serbandomi anzi uomo
libero , non mi vergogno d' appartenere alla religione de' miei
connazionali : il che è tutto quello, che di più enorme si possa in
questi tempi palesare. Ciò non ostante, è incontrastabile, che il
clericalismo si vale della chiesa e della curia predetta ; e che, io
non dico nelle cose di fede, ma si nelle cose di quaggiù il papato
prese un avviamento, molto favorevole a quello. Perchè, se il
papato fosse un' istituzione meramente spirituale , e nello stesso
tempo onninamente locale, il linguaggio del venerando uomo,
confinatosi nel Vaticano e testé sceso nel sepolcro, avrebbe po-
tuto esser questo. — Io capisco , che al massimo degli umani
sentinionti e alla più grande istituzione della terra, di cui sono io
custode indegno, si dà ora una grossa battaglia. Pure io non posso
con mondani mezzi vincerla: né andar contro allo spirito de'
tempi, ove è giusto e verace ; né contro a' voli di questo popolo,
cui già io medesimo benedissi. Cercherò adunque di emendare
tutto il male , che vi potesse essere nelle cose e negli uomini ,
cui io governo. Ed a quello, che fiirete voi, miei cari figliuoli, op-
porrò non più i miei anatemi; bensì i miei paterni consigli, le mie
preghiere e le mie lagrime. Non farete torto voi a un povero
vecchio, che vi scongiura di esser buoni : ma, quando pure lo fa-
ceste, che sortii di vittoria avreste? Dovessi riprender quella
croce, che ha trionfato di tante corone , e risalire il calvario , e
assoggettarmi anche agli scherni del pretorio, ikmio strazio in-
f()nderebl)e alla virtù nuovi incanti, alla sposa di Cristo nuove
grazie. Che che ne segua adunque, io getto via queste insegne di
regno e queste vanità del mondo; e una seconda volta esclamo:
20
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c( Dio , benedite V Italia ! » — Ma , siamo schietti , per proDun-
ciare tali parole, ci avrebbe voluto un papa riformatore: il
quale fosse non solamente stato disposto ad abdicare il principito
con gioja; si anche ad incontrare baldamente il nuovo svol-
gersi della storia ed a segnare pel supremo sacerdozio il prin-
cipio d' una nuova era. Or non è facile, che tali uomini sorgano, aè
che le vecchie cose di per sé si rinnovino: ma, quando pure Pio IX
avesse avuto quelle prodigiose doti di mente e d' animo, che a si
fatta impresa occorrevano, che avrebbe egli solo potuto? Nem-
meno il sommo Ildebrando sarebbe stato in grado di comfHere la
sua meravigliosa riforma, se contro le armi dell' impero e la cor-
ruzione della maggior parte del clero, non avesse potuto disporre
d' ausiliari valenti e tenaci ; e sopra tutto d' un gran tesoro di
convinzioni e di passioni, da oltre un secolo addensate ne' popoli.
Onde, se oltre il sommo pontefice, avessero e il sacro collegio e
molti vescovi e preti e credenti voluto riformar ora la chiesa^ cosi
d' un subito non vi sarebbero certamente riusciti. Gonciossìacbè
le riforme possono essere da' forti pensatori antivedute , e sto
quasi per dire ingiunte alle future generazioni : quanto all' attuar-
le, se non le siano già maturate dal tempo, chi lo può?
CCIX. Apparente agonia del papate.
Giudicando adunque con umani e profani argomenti, come
dobbiamo noi qui, mentre la chiesa senza una novella riforma
(e ne subì già parecchie) non può risollevarsi; questa non può
esser fatta, che in futuro. E quindi, se non già giustificare, è dato
spiegare V opera presente deir alta gerarchia, ponendosi nd punto
di veduta della medesima: eh' è di conservare o bene o male
(jucl, clf ella possiede, senza che troppo le caglia della patria e
del vangelo. Sotto il qual punto di veduta si capisce , che on
papa conservatore dovesse, e debba per alcun tempo ancora,
tenere quel sistema di ritrosia, di resistenza e d' immobilità; cb*è
tutto un sistema di cose assiderate, decrepite e ruinose, e ad m
di presso quello dell' agonizzante veneziana repubblica. Nondimeno
piace, almeno a chi ama negli avversari la fortezza e nOn la co-
dardia, vedere alcun raggio dell' antico senno illuminare quei te-
glianli , che sono do|K) tutto italiani ; e che dalle traversie dd
pontificato e dal pondo degli anni non domi, mantengono la prò-
- 307-
prìa dignità, mentre tutto intorno è buffonerìa. I quali del resto
e la romana prelatura in generale, di fine tatto dotati e di squi-
sita cortesia, e ben alieni dall' oltramontano fanatismo, non avreb-
bero diverso modo, né anche volendo, potuto tenere. Dappoiché
sarebbe loro necessitato con fanciulU imbizzariti e insolenti ne-
goziare e transigere , che alle pratiche e ài patti non avrebbero
dato maggiore importanza d' u|i giuoco. E che , non appena si
fosse da loro accondisceso, di cosa in cosa ne gli avrebbero co-
stretti a tracannare sino al fondo un calice d' umiliazioni innume-
revoli e innonùnabili : acciocché restassero nella comune viltà ade-
guati, e di giunta irrìsi. Conseguentemente i diportamenti del pa-
pato, non come istituzione evangelica e in uno patriottica, ma come
istituzione politica e mondiale, si vede per causa della trivialità
imperante , non avrebbero potuto essere , se non quelli , che fu-
rono. La qual cosa io constato, perché non si dia agli avversari
maggior colpa di quella , eh' eglino e noi abbiamo : quantunque
io sappia troppo , che il ragionare oggi di tali materie in Italia
non abbia , se non un valore accademico. Se pur tanto glie ne
concedono i nostin gran baccalari, che credono di non doversene
curare affatto, e che il papato stesso o in una guisa o neir altra sia
spento. Or, siccome anche in questo punto io dissento da loro
(non ostanti i miei tre volumi dannati dalla sacra congregazione
deir indice), dirò il mio parere veracemente, e quindi contraria-
mente alla cosi detta opinioìie pubblica. La quale vedremo ap-
presso non esser altro, se non un nugolo d' enigmi e d' arzigo-
goli, monopolizzato da un centinajo appena di diari e di cerchi ,
e sostituito alla coscienza del popolo e alla intelligenza de' sa-
pienti.
CCX. Forze della romana onria.
Per certi sintomi si direbbe, il male del papato essere estre-
mo : conciossiacchò, sbattuto da tanti venti, e postosi in lotta de-
cisa colla scienza e colla civiltà odierne (mentre la perdita del
temporal dominio rendcagli più necessarie queste poderose mili-
zie), la sua sorte sembri disperata. Anche Hmitandoci alle sole
condizioni interne, le immunità della legge a di 13 maggio 1871
promulgati , che non ha natura né d'un trattato internazionale,
né d un atto sinallaguiatico, e cui del resto quello rigetta e dispreiza^
- 308-
gli possono facilmente venir meno. Ed esso, quando un reggimeolo
più largo e più sincero qui s'instaurasse, o qualche peripezia so-
ciale sopravvenisse, potrebbe trovarsi di fronte, in luogo d* un g<>-
verno scettico e rifinito , la grande onda d' una nazione, che à
ridesta piena d' impeto e di sdegno ; o addolorate e inasprite
turbe, da qualche picciolo Catilina sobillate e inferocite. Le sue
condizioni interne sono del resto cosi miserevoli, eh' esso stesso
reputa, non poterle superare, se non col ritomo d'un passato io-
faùie. E, poiché niuna forza varrà a tanto , parrebbe , fidando in
si vana speranza, eh' esso stesso si giudicasse perduto. Evidente-
mente adunque, senza una radicale trasformazione non si può
salvare : e, se i suoi fati sono immortali, questa è la via, che se-
guiranno, per avverarsi. Ciò non implica per altro , eh* esso non
|)Ossa trasformarsi; né che non abbia tanta vitaUtà ancora per
tale trasformazione, od anche, rigettandola, per sopravvivere
molto a lungo a sé medesimo. Perocché, in onta addetti sintomi
apparentemente mortali , e prescindendo da quelle promesse di-
vine, che, come cose di fede, non debbono in un libro di scienza
entrare; si vede per soU umani e profani argomenti, la chiesa
serbare tali forze ancora , da esser tutt' altro che morta o mori-
tura. Per quanto sieno gravi le presenti jatture sue , ella ne ha
superate ben di più gravi e nelle svergognatezze del novecento
e nella cattività d' Avignone e nello scisma d'occidente; tra le
quali sembrava peggio, che naufragata. Lo splendore del papato,
non ostanti le medesime, è tuttavia tale, che oscura oggi non so-
lamente certe istituzioni del luogo, che non ne hanno alcuno ; ma
sovrasta a tutte le maestà della terra. Oltre che é tanto imperiosa
tuttavia, ed obbedita la sua autorità, che testé potè cimentarla e
[)rovarla coiratto più arriscliiato e portentoso, che immaginare si
jK)ssa. E pur vedemmo, tranne pochi dottori in divinità tedescluu
tutt' i vescovi (benché molti innanzi ricalcitranti ) piegare il capo
unanimi alla sentenza , che gli esautora quasi per sempre dda
loro apostolica [KKlestà no' concili e fuora. Io non do troppa im-
portanza alle recrudescenze spigolistre di Francia e Spagna, né ai
pellegrinaggi e all' obolo di san Pietro, che que' buoni oltramoft-
tani fanno e versano in Italia; dappoiché tai cose anche col solo
fanatismo si spiegano. Ma egli é indubitato, che bisogna tor-
nare a' più bei tempi della fede o della credulità, per ritrovare d
generale intesa, si stretto accordo, si cieca ossen^anza. Oofè
assai più [irobabile, la chiesa riacquisti nuovi figli (e già a
- 309 -
sto acceoDano le frequenti abjure di molti anglicani ), di quello che
ne perda. E iper fino la stizza de' protestanti alemanni e inglesi
contro quello, cui chiamano eglino oUramontanismo, benché abiti
per contrario presso loro ; come si può spiegare, s' ei non si sen-
tissero, dopo più secoli dalla loro ribellione a Roma, ancora
nella paurosa condizione d' eretici relassi , o nella più umile di
figli scappati via di casa? Certo non la considerano eglino una
potenza caduta, come noi; poiché la temono almeno, e se ne
guardano. Se non che la stizza loro e Y ossequio de' cattolici e
r universa! prestigio della chiesa manifestano le gravi cagioni , da
cui procedono: le quaU appunto sono i suoi intimi nerbi.
CCXF. Vere oanse di possanza della onria romana.
^Vnzi tutto ella non istà ovunque coi foili: ma innalza pei
deboli in Polonia contro la Russia, in Irlanda contro T Inghilterra
e in una parte di Germania contro l'altra, un vessillo, che po-
trebb' essere quello della giustizia. Ella, presso tre o quattro na-
zioni , cui il germanesirao sta per sopraffare , rappresenta , benché
a un modo fiacco e squallido, la comune latinità; e presso tutte
quelle, su cui già distese f impero Roma, il ricordo e qualche
nodo dell' antico legame. Finalmente su tutta la terra colle sue
istituzioni, che pur tuttavia serbano una grande impronta di fra-
ternità e di popolarità, e colla sua unità e universaUtà risponde
a un anelito, che non è tanto del passato, come si crede, quanto
dell' avvenire. Prescindendo da taU considerazioni pohtiche, le
quali non sono senza valore, a quel che sembra; tra le molte
cose, che a noi non piacciono, ella tuttavia ne custodisce alcune
di buone, belle e vere: e con queste non si perisce mai. Foss' el-
la del sentimento religioso una depositaria mal fida o mal cauta;
dappoiché questo, ripeto, é generale e costante nell' umanità , ed
é nello stesso tempo dalla società borghese ripudiato e contrista-
to, questo naturalmente si ravviva. E converge in lei tutte le sue
leve; le quali hanno tante volte rivoltato il mondo, che non fa-
rebbe meraviglia, se lo rivoltassero ancora. Dovemmo già per
codesto sentimento in Italia rintuzzato, ma altrove acuito, con-
cederle più dr quello, avremmo voluto. E più le avremmo con-
ceduto, se non ci avesse a un tratto la vittoria di Sedan non
nostra imbaldanziti neU' opprimere , e sollecitati a una nuova for-
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ma di servire. Con questo solo adunque, e co'dugento e più mi-
lioni di soggetti , che possono averlo traviato, ma non V banno
perduto; avvalendosene ed anche abusandone (se lice fare tale ipo-
tesi ), ella è in grado di vincere molte caduche podestà del seco-
lo. Ma, oltre al medesimo, ella ha in suo appoggio tutt'i senti-
menti d' ordine, tutti gli elementi di pace, tutte le iovetente
abitudini, tutte le forze conservative d'Europa, che air urto im-
mediato e mediato del grande rivolgimento sociale di Francia
poterono comecchessia resistere. Sta qui principalmente la sia
indicibile possanola, cui possono solamente misconoscere coloro,
che giurano sugli oracoli della francese enciclopedia e credono
insieme, tutti gli altri professare la lor medesima idolatria. P^
lo meno e' mi dovrebbon concedere , che , se non è infallibile il
papa, non lo sarà nemmen quella; e che in que' fangosi principit
dell' ottantanove, tanto ci può esser di vero, quanto di falso, lo
appunto di sopra dimostrato , come sieno verità o parziali o m
malamente formulate. E con tanto danno, che poterono si al i
do una forte scossa dare; ma, dopo tutto, non ebbero altro <
sin qui , che d' instaurare una supposta e nienzognera < m a-
zia , e la tirannide d' un unico e ristretto ceto. Né potev;
fatti altro esito avere il diritto sostituito al dovere , il diritto
ticolare air universale e la volontà delF uomo al precetto
natura, se non di santificare il piacere, T egoismo e pn -
tenza. Imperocché il diritto, il diritto particolare e il \ <
r uomo sono certamente cose buone : ma , sovrappone < ;
altre cose buone, e assunti come uniche norme della vita
rale, estinguono la virtù, T amore e la concordia. Fin (
moso sillabo della romana curia, che sembra a i
tanto sfacciata e pueril disfida alla scienza e alla civ
non év quindi del tutto erroneo, in quanto lo si co ide
petto alle esagerazioni e a' travisamenti de' detti p
rore sta nel contrapporre altre esagerazioni e altri
a queUi, nel ratilicare sol quanto havvi di fallace e t
scienza e civiltà antiche, e nel respingere quel molo, eh' è
di calore e condizion di vita; tra' cento anatemi n i
inserendo, che inciti a nobili e generosi sensi. Nond io in
punti, in cui que' principii rasentano il falso, questo :
rasenta il vero; cosi come in genere la reazion eie t t
dalla rivoluzion demagogica inevitabile.
-311
CCXII. Oesiiitismo competitore del giudaismo borgliese.
Due forze in fatti sono del pari alla società umana necessa-
rie: le progressive e le conservative. Le quali ultime, dalla ri-
voluzione rigettate, anzi combattute, ora naturalmente le si ele-
vano contro: poiché la società stessa non si rassegna a esser
distrutta; ed ha altrettanto bisogno d'incedere, quanto di star
salda. La papal corte vuole per opposito, che rimanga fenna: e,
perseverando in questo conato, che può per altro molto a lungo
durare, ella segue (come ho detto) un sistema politico da poten-
tato agli estremi. Ciò non ostante , oltre eh' ella possa novella
fenice sorgere dalle sue ceneri e lìssar nuovamente il sole; anche
in quest' agonia ha tanto vigore ancora , da non lasciarsi ardere
sì in breve. Foss' anche stata la predetta rivoluzione onninamente
giusta, e non violenti e non esecrabili i suoi mezzi; i suoi fau-
tori debbono meco convenire, ch'ella lasciò molt' interessi lesi,
molte coscienze turbate, molli risentimenti e molti rammarichi.
I ceti antichi privilegiati giacciono offesi, le plebi sprofondano
in una economica servitù: da un lato la plutocrazia ci sfrutta, e
dall' altro T anarchia ci minaccia. Tutti adunque gli usi vetusti ,
i diritti storici, le credenze vilipese e i palpiti compressi cospi-
rano per tutta Europa; e si rannodano nella sacerdolal Roma,
come ad ultima ancora di salute. E quinci, ripeto, procede la
sua indicibile possanza; di cui la fazion nera approfitta qui e
altrove, a danno d' Italia e del progresso umano. Ora, riassumen-
do, siccome io non amo la morte d'alcuno, e desidero, che gli
stessi circoncisi s' emendino; non so perchè io non debba desi-
derare, che anco gì' incirconcisi s' emendino, e debba amar la lor
morte. Questi uomini pratici in vece, pensandola diversamente,
in Id guisa si diportarono, da gettar tutti que' tesori in grembo
al papato, e insieme da indurlo a pervertirsi; e, cosi arricchito
e incattivito , da renderlone una rocca de' gesuiti. Il gesuitismo
è appunto il grande antagonista della borghesia giudaica e giudaiz-
zante ora: singolare e mirabile atleta in tanta cascaggine e frol-
laggine ; ed uno de' due terribili mostri , che aspettano ne' prossimi
tempi r umanità al varco. L' altro è il socialismo, di cui riparlerò
in fine: l'uno e l'altro ibride e deformi creature della tirannide
borghese. La quale, dandosi, come Tamar, in braccio a Giuda
~ 312 -
sulla pubblica via ( Genesi , XXX Vili , 13-30), concepì d'incesto
quello ne' suoi capricci irreligiosi , e questo nella sua iosaiiabik
ingordigia de' lucri. Essa, quando vedrà il caso disperato, pur di
salvare i suoi quattrini, si commetterà al più freddo e accorto di
tali suoi bastardi , che solo è in grado di rattenere alquanto il
più veemente e sconsigliato. Se non che per le ragioni , die ìè
seguito appariran manifeste, la naturale risoluzione della sodeCi
borghese è la liquidazione generale, cui quest' ultimo si propone;
ed ha per tenuirla stimoli ed impeti a sufficienza. Prevarrà dunque
questo per quel po' di tempo, in cui la frenesia può durare nel
mondo; se non si ha il coraggio d' opporvi que' mezzi, che oelia
seconda parte della presente opera si raccomandano.
MORALITÀ BORGHESE
CCXIII. Cormttela della borghesia.
E lai Hata accaduto, clic lino i tiranni fossero alla lor ma-
niera buoni, 0 perchè domarono i grandi e formarono la possanza
delle nazioni, come Luigi XI e Arrigo Vili; o favorirono le let-
tere e le arti, come i Medici e gli Estensi. Onde si avrebbe potuto
forse sperare, che i nostri, paghi di ritenersi T ingiusto dominio,
fossero stati nell' esercitarlo giusti. Ciò non ostante , fai'ò ora
meglio palese, come la costoro tirannide sia non meno effettiva,
che virtuale; e negli atti non meno, che ne' titoli punto alle più
famigerate inferiore. (Ihè, s' ella non cementa col sangue il pro-
prio trono (quantunque per verità del diritto di spargerlo non
siasi ancor privata), la causa è, che non ne ha bisogno e pro-
fitto: bastando a ciò e megho giovandole i sudori e le lagrime,
né comportando la docilità de' suoi sudditi altro. Mentre accingo-
mi a sparare sì orrendo mostro, del quale appena sin qui videsi
la epidermide, ed a strappare la benda a coloro, che noi voglion
vedere; so però quello, che mi si può rimbrottare. — A quale
scopo vuoi tu funestarci, gridando sempre più contro all'iniquità,
e turbandoci il dolce sonno, che le nostre piaghe asconde e i
nostri spasimi acqueta? — Ah, pur troppo vi sono malati, in-
torno a cui letti vegliano le pie e trepide madri indarno; e cosi
lassi e assopiti, che non ne possono più impetrare un detto, né
uo sospiro, per sottrargli all'eterno silenzio e all'eterna calma
della morte ! Pure chi dorme non di sonno mortale , ama ne' so-
prastanti pericoh esser desto; e chi giace malato non d' un morbo
incurabile, trovare chi gli apprenda il vero e tosto un rimedio
gli appresti. Non credete adunque, miei cari concittadini, a qufe'
disshnulatori del male, i quali dicono a' popoli sofferenti, che
stanno benissimo : e così se gì' ingraziano. Precisamente come
- 314 -
quc' medici compiacenti, che agi' infermi gravi dicono: è uo ma-
luccio, da guarirsi con qualche confettino; ingraziaodosegli lanto^
che gli spacciano air altro mondo soddisfatti. Non vi sarò a gri-
do io: ma potrei altrimenti essere a grado della verità, e non
tradire la patria; se senza una forte scossa negli spirili , senza pe-
netrarvi col coltello sino alle più intime fibre, non è più possibile
salvare quesUi società dalla cancrena? Facendosi per altro il tema
sempre più arcigno, assecuro di nuovo certuni, che dalle mie
rivelazioni temessero danno , com' io senta troppa commiserazio-
ne pe'coI|)evoli, e troppa dignità di me medesimo, per avven-
turargli comecchessia air odio o al disprezzo. Le invettive, le
villanie e le calunnie, costoro lo san bene, contro gU uomini e le
fazioni avverse si comperano e si vendono da quelle persone,
circi conoscono: non da pari miei. Sebbene io abbia dinanzi
una farraggine di aneddoti e di nomi, allestita a mie spese per
fare cotanto processo a prò' della mia nazione; stieno pertanlo
tranquilli, non ne racconterò e non ne profferirò alcuno. Fatti e
circostanze ne dovetti e ne dovrò addurre, perchè altrimenti mi
aggirerei tra le nuvole, o sarei tacciato d' aggirarmivi. Ma pri-
mieramente si limitano alle cose notorie e innegabili; e di gii
anzi entrate nel dominio iV un obbrobriosa storia. Poscia io pro-
curo, che le (lersone non sieno additate mai, né accennate: tran-
ne che [)egli atti pubblici, di cui sia non solamente indispensa-
bile il ricordo; bensì anche tali, elvelle medesime ammettono, e
di giunta se ne gloriano. Cosi che io, non facendo altro, tranne
aprire ad altrui gli occhi, se ({uesti vedranno tante meraviglie, che
prima non vt^devano; e se le sieno gloriose o vituperevoli, non
sarà mia la colpa, (juant'io del resto ho di sopra raa*ontalo
constai;) già, contro il comune opinare, che la moralità teutocri*
i^tiana debba esser di molto inferiore air italogreca. Percbè, se tdUi
r eccellenza del bene, a cui si poteva nel medio evo pervenire
stava neir egoismo ascetico, T eccellenza del bene nel presta
scinolo non può sollevarsi sopra Y egoismo previdente , o sopri il
Scienza del dahhme Riccardo di Beniamino Franklin. OodB é
crede generalmente ora da tutti, che si possa essere uoniiai flT*
tuosi, quando non si faccia male altrui, non si commettano srego-
latezze, i' al più si sia genitori e figli irreprensibili. Mentre per
verità occorre anzi tutto qut^sto: ma, se non si (a anche qualche
cosa [)el prossimo, se non si serve la patria e se non sì com-
Imttc por la causa della giustizia, non si è nemroanoo
- 315 -
onesti. Oltre non avere adunque noi più quella idealità de' mag-
giori nostri, che, come nelle opere dell' ingegno, cosi in quelle del
cuore stampava sì divine orme; T individualismo stesso, oggi
sostituito all' universalismo loro, impedisce ogni moralità affatto.
Il quale individualismo, in onta a cotanti elogi, che sia un sen-
timento immorale, basta a provarlo, eh' è appunto il primo istinto
animalesco, che spunta nell'uomo; prima che alcun senso morale
gl'infondata vera umanità. Imperocché il fanciullo crede il mon-
do suo, e vorrebbe tutto per sé ; e , senz' essere cattivo ( poiché
non ha ancora inteso il comun dolore degli esseri ), sembra per
fino tal volta ne' suoi trastulli crudele. Quando poi il dolce ma-
temo elO(iuio e il santo materno pianto gli apprendono di dover
amare e patire cogli altri ; eccolo divenuto un esser morale. Aven-
do io tuttavia di queste cose abbastanza discorso, piuttosto che
di raffronti colla moralità antica, parlerò ora di certi aspetti della
immoralità moderna.
CGXIV. Insolensa ne' modi.
Dico adunque, che i tiranni , dovendo o per godere della loro
tirannide i propri vizi soddisfare e accrescere, o, per mantener-
la, gli altrui produrre e alimentare; così l'una e l'altra cosa
fecero prima di tutto i nostri. Ond'è accaduto, che i pubblici
costumi , cui trovarono nella sostanza del popolo buoni e in qual-
che celo men buoni , co' mali esempi e colle male opere , non
solamente invilirono e rattristarono; ma, per quanto han potuto,
guastarono e corruppero. Facendomi dagli esempi, o cioè da' vizi
lor propri, senza naturalmente entrare nelle domestiche pareti;
scorgesi anzi tutto, che, s'ei non hanno degli anteriori la vio-
lenza e la rabbia ( non avendo dalla prima profitto e della secon-
da stimolo), serbano di costoro molti vizi. Poi ve ne aggiunsero
altri nuovi in guisa, da non disgradare punto la tirannesca cele-
brità antica: e tra questi principalmente la insolenza e la cupi-
digia. Delle quali aumentarono sì le usate proporzioni, che non
si sa bene, se le sieno quelle degli anteriori tiranni esaltate al
massimo grado ; oppure affatto peculiari di loro. Avea già il mas-
simo poeta , a proposito de' borghesi del suo tempo , eh' erano
mille volte migliori, detto:
(( La gente nuova e i subiti guadagni
Orgoglio e dismisura han generato ».
- 316 -
E il fiero tragico astigiano, proprio de' presenti profetizzito, che
« questi nobili recenti , di tanto più feroci saranno, quanto V uo-
mo che è nato più vile, che è stato più oppresso, e che ha Cfh
nosciuto più eguali , diviene assai più superbo e feroce ogni qoil-
volta egli, per altra via, che quella della virtù, perviene ad in-
nalzarsi sovr'essi » {Tirannide, I, 12). La profezia è stata tal-
mente avverata, che gli era assai più facile a un mendico aceo-
stai'si altre volte a un monarca, reputantesi un vicedio, di qudlo
che presentemente ad un onest' uomo accostarsi ad uno di costo-
ro. Quanto poi alla disgi*aziata plebe, col cui braccio e sul co
collo s' innalzarono, ne parlano con assai maggior dispregio de* vec-
chi gentiluomini; né hanno anzi per lei misericordia alcuna. Gbfc,
discacciata come sozza canaglia, sono chimere i suoi diritti, e itti
di sedizione por lino i suoi lamenti. II sentimento per altro del-
r uguaglianza civile è ne' ceti italiani si profondo e incancellabile,
che sotto le più infami oppressioni non potè del tutto conquidersi
0 domai*si. Fin di recente, nelle corti avventuratamente distruUe,
il più umil popolano poteva avere accesso : mentre quel Pulcinelb
incoronato, cui tutti conoscono, ministrava ai lazzeroni di Napoli
i maccheroni. Nello scorso secolo, quando più era V aristocrazia
impettita e vana , per la spagnolesca aria e la ignominiosa nulliti;
niente impediva, che anche i figli de' bifolchi, sotto i panni d*>-
batini eleganti o di pastoreHi arcadici si frammischiassero a' ca-
valieri nelle sale dorate. £ quivi punzecchiassero cogli epigrammi
gli antichi padroni, e dalle incipriate dame con qualche tenero
madrigaletto un lampo delle pupille impetrassero, che significala
tante cose, cui gf indulgenti mariti sotto il mobile ventagUeOO
inti'avedevano, e i platonici cicisl)ei sospiravano indamo. Oggi b
cosa è ben diversa: perchè, se fmo al principe la propria OMK
'destia e il genio del popolo interdicono ogni sorta di ragadi poift-
pe ; non teme questa gente rifatta d' arrogarsi tutto quel pò* é
vanto e di lustro, che in tanta sordidezza e oscurità rimane. Av»
do ella, sin da quando i gentiluomini smisero i galloni, le IriiB
e le code , imposto a' ceti superiori , e poscia colle fhmcesi molto
anche qui mantenuto, quel suo nero e sinistro <c abito del len0
stato », che sembra una divisa non si sa bene, se da stroziiDO
0 da beccamorto; ha i^er tal modo resa uniforme e sovrana la
sua s<|uallidezza. 11 che, confondendo nel ridicolo le persone serie
e le buile, e le ligure gravi e le grottesche, altamente le giova-
va. Senza per ((uesto impedirle di scialare e ostentare il suo fasto.
- 317 —
fiQ dove potè e fin dove volle; cioè eoo tutta quella parsimonia
e spilorceria, che le erano connaturate e indelebili. Quindi ella
non ha certamente eretto magioni e aperto musei , come V antica
nobiltà usava; né commesso quadri e statue, né accolto alle sue
mense poeti e predicatori. In vece, con tapino animo, entro i
palagi altrui, prima colle ipoteche e poscia alle aste fatti suoi,
e chiusi per bene con tre chiavistelli, acciò l'assassinato volgo
non vegga niente; ha fornito alcune stanzuccie di minuterie e di
cianfrusaglie parigine, e là entro annidata non si crede da meno
de' re di corona. E non le par vero , se un qualche gentiluomo
impoverito picchia all'uscio, di fargli trangugiare sorso a sorso,
prima col tedio dell' anticamera , e poscia colla durezza dell' u-
dienza, il calice della vergogna. Né di sogguardare per via, tra
l'attonito e lo sprezzante anche i più valorosi uomini, i cui nomi
non sieno nel castelletto del maggior banco notati.
CCXV. Cupidigia de' Inori.
Poiché naturalmente la sua arroganza non ha altro freno , che
la sua taccagneria, la quale viene da avarizia e da rozzezza;
dirò ora della sua cupidigia alquanto: serbandomi a dire della
sua brutalità, quando di quel, ch'ella fece contro alla pubblica
cultura, cadrà discorso. Non ve ne sarebbe in verità bisogno, con-
siderando, che, se l'antico patriziato puliva di sangue, e gli averi
suoi di bottino; dev'ella di sudori e di lagrime putire, e gli a-
veri suoi d' usura e di peculato. Tuttavia io ne devo parlare ;
dacché quella ignobihssima passione è per lei, più che un vizio,
lo spirito suo intiero , che non sente , non crede e non adora , che
quella. Di maniera eh' ella sarebbe a dirittura morta quel giorno ,
in che avesse altr' anima, altro simbolo, altro iddio. Infatti non
sarebbe meraviglia, che la nobiltà delle violenze e il clero delle
fraudi, onde salirono a potenza, serbassero alcune vestigia; né che
la plebe, salendo, portasse in alto delle patite onte il rancore e delle
servili cure l'abiezione. Cosi non é meraviglia, che la borghesia mo-
derna mantengasi con quelle medesime arti , a cui fece tanto benigno
viso la fortuna. Sorta in que' modi , che vedemmo , e cioè da quegli
arrendatori, provveditori, pubblicani, acquisitori di beni pubblici
e improntatori di pecunia al pubblico, in buona parte della raz-
za de' « dispersi », che in Francia si presero lo stato per le
- 318 -
dilapidazioni monarchiche e le pazzie democratiche scomboiisUo t
falhto ; ella naturalmente riconosce in costoro i suoi prìoìi pireilL
Onde, sebbene non formi ordine chiuso, deve naturalmente iìomh
vellarsi con arti identiche; dispogliando cioè degli ultimi cenci le n-
zioni oberate, e de' giojelli lasciati dagli avi gli eredi dissipalori.
Ottiene ella codesto colle raffinatezze dei cambio , o coli' aggiolaif'
gio e coW anatocismo ; mercè cui, disvUuppati per b^ne, si può di-
vorare tutto un territorio ed anche assorbire tutto un popolo ; co»-
densandone e racchiudendone gli averi, le opere, i servigi, i pal-
piti entro uno scrigno o un taccuino , senza che se o* avvegga.
Im|)erocchè io non riprovo punto la libertà delie usure; ma,
quando non sia dalle altre libertà raffrenata , codesto è ( come in
Roma si vide ) il suo ineluttabile effetto. Il quale non si avvera a ni
modo assoluto ; perchè, oltre esser la vita de' singoli uonùni breve
e la posterità loro s|)esso degenere, incontra nel cozzo delle cupidi-
gie, 0 negH sforzi individuali del lavoro onesto e della proprietl
stabile resistenza. E dico negli sforzi individtiali ; giacché,
quanto a collettivi, non ve ne ha più nemmanco Tappareoa:
caduti come sono i popoli nelle ugne della borghesìa medesima, e
quindi amministrati come greggi da tosare e da mungere, se noi
anche « quotati come valori di borsa ». Tuttavia, a un modo rela-
tivo avverandosi , accade necessariamente, che, s'ella non trasmigri
negli altri ceti o non si vuole cogli altri mescolare, e reggersi dh
m'essi 0 con Y armi o cogli studi o con altri mezzi ; debba nelle eh
vizie porre gli strumenti del proprio regno, e non pensare , che ad
accumularle in tutte le guise lecite e illecite. A suo parere ano
non ha altro fine la vita, tranne questo: né comprende , come ob
ricco possa perdere il suo tempo ne' magistrati , o uno scrittole
esercitare il suo ufficio senza V intento d' arricchire o almeno d'a^
(piistarsi il pane. In ogni professione, in ogni ufficio , in ogm fo^
tuna, non vi può esser per lei altra mira, che il lucro; eìo^
spetta On dove non ci è , tanto le sembra naturale. Nata in KN^
ma da mercadanti , e non avvezza a veder che merci ; guardasi^
anche un cataletto, tosto le viene in mente, che possa essere 9t
getto di mercatanzia.
CCXVI. Colto di K&mmoiUL
Dirò appresso, coni' ella siasi tra noi il patrimonio della ^
zione usurpato, e fatto suo T erario: ma non posso qui astenerot
- 319 -
(lai chiarir meglio, come F avidità dell'oro divenisse per lei un
sistema , una dottrina , una yirtii ; e come ciò avvenisse. 1 mate-
riali bisogni deir esistenza sempre costrinsero la più parte degli uo-
mini a non vivere, si può dir per altro, che per nutrirsi. In certe
più felici contrade, ciò non ostante, poterono numerose accolte
di cittadini attendere al governo della pubblica cosa, e assaporar
tutti delle lettere e delle arti gr ineflabili diletti. Ed , anche nelle
più infelici , dovettero i maggiorenti o col valore o colla sapienza
0 con altre virtù regnare. Sebbene quindi in Atene, in Firenze-
e altrove quelle classiche borghesie col lavoro si rivendicassero,
e col guadagno si rendessero potenti; consacravano alla patria,
allestendo navi e sostenendo ambascierie a proprie spese, e de-
corandola di monumenti meravigliosi , le ricchezze loro. Né sopra
tutto con queste la reggevano : ma o col valore o colla sapienza
0 con altre virtù. Ed, anche ove il popolo non fu, che un branco
di servi; i padroni, benché colla rapina divenuti ricchi, ben con
idtro signoreggiavano , e per lo meno commettendo la salute di sé
stessi alle proprie glorificate spade. In vece la moderna borghe-
sia, mentre tiene per sé avidamente le carpite ricchezze , né s'oc-
cupa d'altro, che di moltipUcarle , anche dissanguando , insaziabil
vampiro, la patria; conta di godersela con le medesime solamen-
te. Cosi che non si cura nemmanco di quegU esercizi, che sono
a chi governa necessari; facendo, come ho detto, consistere tutto
il pubblico governo in un'economica azienda. Quinci é accaduto,
che e questa annientasse la morale non meno , che la civil vita ; e
sopra tutto, che le facoltà, da mezzi per campar bene in pri-
vato e per contribuire alle pubbliche bisogne, si cangiassero in
mozzi e in fini d' impero. Onde e nella privata e nella pubblica
cosa non vi sono altre teoriche e altre pratiche, che Y economi-
smo e il mercantilismo (se posso queste voci barbare usare);
siccome ognuno chiaramente vede. Né vi é più altra brama, altra
rabbia in fondo agli animi , se non di barattare e di tesaurizzare
ne' fortunali, e ne' disforlunati (poiché altro non possono) d'ap-
petire e d'invidiare; siccome quelli, che nel pregiare e nel conten-
dersi le facoltà, quale unico bene, sono tutti concordi. La quale stima
delle ricchezze, o il qual culto di Mammona é giunto al punto,
che i reggitori dello stato danno alle medesime i premi negati
alla virtù; aprono mostre e gare mondiali, dispensano corone e
lauri agli anicchiti, e gU armano cavalieri, e gli pongono fin
sulle sedie curuli. Mentre ha poi si guasto la pubblica coscienza,
- 320-
che qiiest' essa non prezza gli uomini altrimenti , se non pe' con-
tanti. Anche ne' tempi della greca borghesia , il figliuolo di Sofode
cercò mettere ne' pupilli il padre , che trascurava gli averi e scri-
veva tragedie: nondimeno, leggendo questi a' giudici V Edipo Co-
Umeo, potè provare, ch'era ancora in cervello. E Cleante, Mene-
demo e Àsclepiade, chiamati a render conto, come potesstfo,
nulla possedendo , attendere tutto il di a filosofia , poterono essere
dall'areopago prosciolti , sulla testimonianza d' un mugnajo e d'un
ortolano. I quali dissero , come ogni notte a voltar la ruota e ad
attinger l' acqua si guadagnassero due dramme d' argento. Questa
nostra, se non interdire o punire i valorosi , che impoverirono
per servir la patria o perdettero , militando , il braccio ; per lo
meno pub col Codice penate in mano ammonirgli , come oziosi e
vagabondi. Che , s' anco da questo si astiene , non certo dal repu-
targli gente molto fantastica e strana, che si avvia così spensie-
rata e lieta allo spedale per le proprie patriottiche chimere.
CCXVII. Consegneme del eolio di HanmoiUL
I nostri maggiori hanno sempre ritenuto, che l'oro, abbas-
sando e ammollendo gli animi, fosse al comun bene dì grave
pericolo. « E potrebbesi, notava Machiavelli, con un lungo par-
lare mostrare quanto migliori fruiti produca la povertà che la ric-
chezza, e come Tuna ha onorato le città, le provincie, le sette,
e r altra le ha rovinate, se questa materia non fosse stata molte
volle da altri uomini celebrata » (Discorsi sopra la prima deca
di Tifo Livio, I, 25). Perchè la fine delle antiche repubbli-
che, senza parlar di Ninive e Babilonia, si vale quasi costante-
mente essere accaduta, quando da' bellici e civili esercizi passa-
rono all'amor del danaro. E, per via del lusso, alla disogoa-
gUanza e alla depravazione ; con le quali non puossi alcuna libertà
ferma e onesta sostenere. È vero , che nelle moderne assodaziooi
di tale lil)erlà non si tiene più conto: ma possibile, che abbiano
si c^mgiato i tempi, che siasi fuso in ancora di salvezza quello,
che fu altre volle collare di servitù ? « Il primo e il più morti-
fero elTetto del privato lusso, scrisse nella Tirannide Aìùeri (I,
13 ì, si è, che quella pubblica stima, che nella semplicità dei
modesto vivere si suole accordare al più eccellente in virtù, ncMo
splendido vivere vien trasferita al più ricco. Né altronde à
- 321 -
clii la cagione della servitù, in que' popoli, fra cui le ricchezze
danno ogni cosa .... Sarebbe dunque mestieri a voler riacquistare
durevole libertà nelle nostre tirannidi, non solamente il tiranno
distruggere , ma pur troppo anche i ricchissimi , quali che siano ;
perchè costoro, col lusso non estirpabile, sempre anderan cor-
rompendo sé stessi ed altrui ». Rispondono in vece i nostri eco-
nomisti , che questo è un massimo bene , e che la feUcità e la
grandezza de' popoU stanno precisamente in quelle dovizie, cui
gli antichi savi di stato e maestri di guerra cotanto temevano.
Ned io vogUo in ciò contrastare al genio del secol nostro; sa-
pendomi bene , che fino i pezzenti ghignerebbero , s' io additassi
loro in esempio quegli uomini burberi e induriti , che resero Sparta
e Roma immortali. Do anzi alla prosperità economica de' popoli
tutto quel pregio, che si merita; e per sino suppongo una cosa, a
cui veramente non credo. Cioè che si possa oggidì mantenere uno
stato con que' mezzi appunto, per cui Sibari, Capua, Taranto e
troppe altre città , consigliate (già s'intende) da quegli economisti
d'allora, fecero la mala fine, che tutti sanno. Come impedir tuttavia
le conseguenze dell' avidità e del fasto ne' costumi ; e che le mo-
nete , poiché le corrono e a qualclie obietto mirano , non si vol-
gano a' piaceri e a' vizi? Possono in qualche casa ammucchiarsi,
e in grazia di qualche tradizion giudaica di famiglia serbarsi per
alcuna generazione : ma da ultimo vien quella , che le dissipa in
bagordi e in stravizzi.
CCXVlfl. Depravasione de' costumi.
E (|uesto è in fatti accaduto, e vie peggio accadrà: poiché
anzi tutto la borghesia non ama guari i possessi immobdi; né
può ( almeno in modo legale ) fissargli co' fedecommessi. Ond' è
soggetta a sì rapide e varie fortune , che noi veggiamo , di molte
case di nostra conoscenza, essere stato l'avo droghiere, il padre
barone e il figlio fallito. Di poi in questo vorticoso giro la ruota
striscia e alla fine sommergesi nel fango , assai più presto e assai
più profondo, che in altri tempi usasse. Che, senza inveterate
abitudini di cortesia e di gentilezza, senz'amore di studi e d'ar-
mi, e senza il domestico culto della patria e della gloria; i pia-
ceri dovcntano triviali , i vizi vili , e la caduta più celere e più
ignominiosa. Io del resto non faccio consistere tutta quanta la sco-
21
- 322 -
sUimatezza degli uomini nella sola inconiinenza. Sendo tuttavia
questa il lato , onde quella si discopre meglio a' profani , e per coi
piega pili facilmente a rovina , debbo anche della medesima toccare.
Or, se con un paragone tra T odierna corruzione e quella di Ro-
ma o di Venezia tralignate , si volesse constatare , che noi siamo
migliori , farebbesi opera vana. Pongasi pure , che lo fossimo : ma
sovvengaci anche di quelle , quando furono con tanto lor benefi-
cio morigerate ; e qual supplicio , cessando d' esserlo , espiaro-
no. E badisi, che, se migliori, non lo siamo poi di molto; uè
che si sa ancora, fin dove possiamo andare. Perchè naturalmen-
te, sendoci più Til)eri e più Messaline ora da soddisbre; come
può ciascuno d' essi , che sono centinaja di mille , avere le voluttà
deir Asia e i tributi di tutto il mondo a' suoi piedi ? Pure questi
Tiberiolini odierni possono, con quella prodigiosa forza dell' as-
sociazione vantata da' loro economisti nteritamente , procacciarsi io
comune delle voluttà asiatiche e de' tributi mondiali un buon dato.
Cosi che non potè forse il vecchio Tiberio raunare per sé in Capri
tante beltà e tante delizie ; com' essi colle loro accomandite ne
raunano per le lor brigate in que' famosi tempii di Citerà, che
oltre monti eressero , e vanno anche qui erigendo. Né hanno essi
per le infiorate ostie maggior pietà, che quegli si avesse; poidiè
traggonlc a sacrificarsi con tali trame , e le rattengono con tali
soprusi, che i pingui buoi sembrano al macello più avventura-
ti. La lussuria avea pur troppo anche qui, prima della nuova
tirannide , i suoi turpi ostelli ; ma generalmente con miseri arredi
e in luridi chiassi. Questa in vece ne aperse parecchi in città e
in vie , dove non e' erano ; gli rese molto più accessibili e frequeih
tati, e gli ornò e decorò, colla sua stretta masserizia, pomposa-
mente. E sopra tutto rese coatta V ignominia, ed anzi lo slesso
mestiore delle 8, 998 reclusevi , con una durezza e un' impuden-
za, di cui dianzi non si avea qui alcun saggio. Or , pfAcbè se
ne potrebbe forse dubitare, eccomi a spiegare e a documentare
anche ciò.
CCXIX. Servita legrale irtitnita pel pabUioa viito.
Dico pertanto, che, mentre in questo secolo gli stati (Mdi
allo spirilo indifferente e scettico, che gF informa) credono, non
doversi punto della probità e della letizia de' popoli curare ; impie-
-323-
gano UDO zelo, che giugno sino all'oscenità e alla cradeltà, per
tutelarae contro un sol morbo la fisica salute. Quindi, per pre-
servare i viziosi dal medesimo , per verità a tutta Y umana specie
funesto, hanno io non dico per la prima volta istituito; sibbene
raffermato , allargato e aggravato una servitù , di cui io non conosco
altra più nefanda , spietata e feroce , contro quelle infelici , che
sono della pubblica scostumatezza assai più vittime, che ministre.
Questa per verità è assai vecchia in sulla terra, e, fin che ro-
manità lasci del tutto la via degU errori, irremediabile. Ma, nella
presente società borghese e nel presente ordinamento economico,
essa aumenta ciascun di con una spaventosa furia. Gcmciossiachò
da un lato i ricchi , incapaci d' ideali piaceri , avvezzi a venali
trionfi, insensibili alla sventura e schernitori della virtù; dall'al-
tro le turbe miserabDi, agglomerate negli alveari delle industrie,
a cui sono le gioje della famiglia contese , dall' inopia istigate ed
esposte alla corruttela senza difesa, non possono non darvi causa.
AUa quale non manca naturalmente effetto in un secolo, che pel
lusso , precipuo autore della muliebre degradazione , si rovella ; e
in cui, trafficandosi d'ogni cosa buona o rea, non è meraviglia,
se fin colla dissolutezza il traffico si accompagni. I reggitori an-
tichi , trovandosi incontro tanto male , avrebbono rinnovato i cen-
sori , e que' lor bandi contro le pompe e il guasto costume inu-
tili : avrebbono se non altro mostrato di stimare la verecondia de' /
cittadini e della repubblica alquanto. In vece, di tal verecondia
non calendo a' reggitori odierni punto , lasciano la torbida e li-
macciosa fiumana ingrossare. Rompono anzi ogni diga affatto, che
la potesse contenere, e procacciano di giunta, ch'ella corra cauta
e sicura al mare. Ebbene , se non co' censori e co' bandi predet-
ti, potrebbono per fermo migUorar di molto i popoli; facendo A
almeno, che la virtù trovi ugual protezione del vizio. Pur, se n(m
vogliono far niente per quella, che almeno le sicurtà e caute-
le, di cui cinsero questo; com' empie e inumane, e nello stesso
tempo inutili e perniciose, tralascino. 0 in altri termini, che que'
provvedimenti , che hanno reso legale il traffico della dissoìu--
tezza, creato ricettacoli per esercitarla ed officiali per governar-
la , abroghino. E , come che altri abbia il medesimo assunto va-
lorosamente sostenuto, non mi asterrò io qui di sostenerlo. Poi-
ché quell' austero genio, che me giovanetto incitava a salvar dal
capestro i delinquenti , né mi permise mai d' abbandonare la causa
de' vinti ; vuole ora , che in matura età propugni deUa laceri e
- 324 -
rejetta plebe le ragioni ; e fin per le sciagurate , contro cui sem-
bra lecito ogni obbrobrio, chiegga giustizia.
CCXX. Ordinamento della serriik infkme in ItaUa.
Se tutti coloro, che sono padri e fratelli, sapessero, contro
le proprie figlie e sorelle esservi un cosi fatto istituto pubblico,
che perseguita la loro castità sistematicamente, le sorprende ne'
primi falU , le avviluppa con nodi inestricabili , le danna a per-
petua indelebile onta, le separa dal resto dell'umanità, le priva
d'ogni umano diritto; e non le abbandona più, nemmanoo siri
capezzale clinico, nemmanco sulla tavola necroscopica..., ne ri-
marrebbero inorriditi e atterriti. Pochi lo sanno, pochi vi pensa-
no : e questi sanno e pensano altresì , che tanta sciagura non possa
alle dilette persone incogliere ; e chiudono gli occhi. Benché non
di rado la ruota della volubil dea getti nel fango anche le donne
agiate; queste (restandosi onorate anche dopo perduta l'onestà,
e bastando alle disoneste il plauso anche senza U lucro), pos-
sono impunemente errare. Le figlie e le sorelle de' poveri intan-
to, mentre il bisogno le sollecita assiduo e implacabile, e b se-
duzione con raffinate e irresistibiU arti le insidia; trovano tosto
un' occulta mano , che le sospinge al luogo scellerato , e un brac-
cio forte , che alla servitù infame le a\TÌnghia per sempre. I
poveri conseguentemente , poiché altro non hanno , dopo aver dato
alla società costituita parte de' loro alimenti e, se fia d'uopo, il
lor sangue, debbonle ancora in tributo il pudore ! Che cosa poossi
contro questa conclusione rispondere , tranne che non la sia vera,
0 , se vera , che la sia giustificata ? Ebbene , per dimostrare e pro-
vare, quanto la sia vera, io rinuncio agli argomenti, che i finti
cotidiani potrebbono ofTcrire e che certamente sarebbono i pia
eloquenti. Non intendo sindacare in questo punto la pubblica am-
ministrazione 0 biasimare alcuno; e né voglio pur dire: volgete
gli sguardi attorno , e vedete. Perchè , se ciò mi priva di qneBe
forze ausiliari , cui V osser\ azione e Y esperienza prestano ; d' attro
canto nella serena regione de' principii l' argomentare è più spas-
sionato e più solenne. Non addurrò quindi tristi tragedie e dolo-
rosi episodi , non gli abusi e non le trasgressioni de' precetti : ma
i precetti medesimi , eh' esser dovrebbono una manifestazione deDa
pubblica coscienza. Ecco pertanto un sunto esatto del B^goUh
- 325-
mefito de' 15 febbrajo 1860 , che governa questa materia tra
noi , dato dal segretario di stato per le cose interne. Quelle don-
ne, che « esercitano notoriamente » V ignominioso mestiere, si
considerino addette al pubblico vizio : e , come tali , presso un ma-
gistrato speciale sieno matricolate , cui si chiama ufficio sanitario
(articolo 17). Ciò, s'anco renitenti, « quando sia notorio o resti
comprovato » il detto mestiere ; ed anzi, se contumaci, trasportan-
do vele per forza (19 e 20). Quivi il passaporto e le carte relative
al loro stato di famigUa consegnino, ricevendo in cambio un li-
bretto , in cui scrivansi le loro generaUtà e le future vicende (24
e 26). Tranne poche, cui per grazia consentesi di stare da sole,
alberghino in comune : non mutino casa , né dimora , e non si as-
sentino senza licenza punto (28 e 29). Intendendo desistere , ne
facciano istanza , ognor che diano indicazioni e cauzioni e si dipor-
tino morigeratamente : ma restino tuttavia per tre mesi soggette al
vincolo della matricola ed alle ispezioni de' medici (34 e 36).
Che, se innanzi depositeranno danaro in alcuna cassa di rispar-
mio, s'abbiano dallo stato « un premio corrispondente ad un vi-
gesimo della somma totale versata » (39). Non aprano i loro im-
presari alberghi, senz'autorizzazione pubblica; e sottomettendosi
per altro a queste regole e agli altri provvedimenti, che seguis-
sero (42). Responsali giusta il codice penale, s'eccitano o age-
volano la corruzione , tengano delle albergate registro ; e non le
accettino e accomiatino senza darne denuncia (47 e 50-52). Le
alimentino e vestano essi medesimi , custodendo sino all' uscita loro
quel , eh' elle avessero di proprio o in roba o in monete recato o
acquistato (54 e 56). Per prezzo ricevano tre quarti delle lor mer-
cedi, e, se in isconto di debiti, anche dell'altro quarto la metà:
non ne accogliendo minori di sedici anni, e pagando una tassa
speciale per la propria impresa (57, 59 e 61 ). E le sventurate
tutte , oggetto della medesima e soggette a due ispezioni per set-
timana, se senza scusa le evitano, si arrestino (71 e 78). Quando
infette, passino all'infermeria pubblica o in altro tal « luogo di
sicurezza » : e paghino del resto esse pure per le ispezioni e fin
pe' Ubrelti tasse speciali (83 , 92 e 94).
CCXXI. Orrore della servitii infkme.
Questo compendio d' un monumento legislativo degno de' tem-
pi , benché io abbia a mala pena cercato spogliarlo delle ciniche
- 326 -
e ributtanti forme , a chi lo sappia intendere rivela quella senìtà
d'infamia sopr' accennata : alla quale si sono creature umane , le
più gentili e le più deboli, senza verecondia e senza misericordii
sottoposte. Avvegnaché è troppo facile capire , nella pratica eflél-
tiva delle cose , come possano le sue disposizioni , come debbuo
di necessità venire applicate ; fossero coloro , che le a|)plicaiìO i
più giusti e santi uomini , e altresì verso quelle sventurate ani-
mati da tutta la fierezza d'un fratello e la tenerezza d'un padre.
In pratica esse significano : che appena una fanciulla o leggieri
0 tradita abbia dato motivo alle male lingue di sparlare, tal volta
il suo stesso seduttore; ma sempre chi fa tratta di tali schiave
(e che 0 da sé 0 per interposte persone ha d' uopo di compenune
0 di rapirne , quante più può , quali merci della sua innominabile
industria), se ne fa di repente delatore. Chiamata e anche me-
nata da' bargelli innanzi al magistrato, ella non potrà contro la
cosi detta fama , che T accusa , o cioè contro la testimonianza di
persone naturalmente abiette, addurre discolpe. E, potendolo,
abbandonata per questo solo da' congiunti o cacciata da' padroni
sul lastrico , non potrà provare d' aver mezzi per vivere onesta-
mente. Verrà quindi iscrìtta nel libro dell' infamia, provveduta della
tessera relativa e prìvata de' suoi propri e domestici documenti:
posciaché ella non appartiene più a' suoi, né a sé medesima; ma
a tutt' i viziosi del mondo , di coi vien dichiarata preda legittiwML
Condotta nel dorato ergastolo della sua scnitù , ella dee spogliar
le vesti, cui forse le materne mani cucirono, le vesti dell' iuMh
conte povertà, e quelle indossare del colpevole sfarzo. Quivi non
ha più niente di suo , né può manco coprirsi o nudrirsi come crede:
mentre quasi tutto il danaro guadagnato a prezzo del suo onore,
della sua salute e della sua vita, pagata innanzi la gabella allo staio^
va a' suoi aguzzini ; a cui di giunta rimane debitrice e oppigno-
rata. £ appunto il farle credenza, compiacendo alla sua spensie-
ratezza , é il modo solito , che costoro tengono , perchè non h
possa più partirsi , e l' autorità stessa ne' ceppi ve la rioondoca.
Costoro adunque, i più vili rifiuti del genere umano, ne sono
gl'impresari, i monopolizza tori, gli usufruttuari, i mantenitori, i
provveditori , i venditori , i cambiatori , i creditori , i pignoratari , i
custodi , i carcerieri e per sino gU ufliciali di polizia. Ai quali, per
ischerno alla legge comune, é rammentato di non farsi complid
della sua colpa ; come s' ei potessero dare luogo e agio , ricetto
e favore alla medesima , senz' esserne per forza , di cootinoo t
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abitualmente gì' istigatori e gli ausiliatori. Volesse ella fuggire, doI
può : le darebbon tosto la caccia e , come priva di recapiti , la
sosterrebbooo; e, poiché appena gli abiti, che ha io dosso, son
suoi , potrebbODO anzi , come ladi*a , chiuderoela in prigione. Le
venisse dal cielo un pensiero di pentimento e di redenzione, le scen-
desse una stilla in petto del materno pianto ; mentre di tanta aita
avrebb' ella bisogno in tanta caduta , n' è freddamente e beffarda-
mente respinta. Duri ancor tre mesi col marchio della servitù,
patisca ancor tre mesi d' onte : e badi , che , se la persiste a ri-
maner pura nel lezzo, dee presentare mallevadori e guarentigie
del suo futuro impossibile candore. Non le ha forse la borghese
carità promesso un aggio a que' suoi guadagni senza nome ? po-
tea far di più per lei? non le basta?... Cosi ella è perduta, per-
duta per sempre ; e a trenf anni , nella media de' casi , anche mor-
ta, e stesa e tagliuzzata sul marmo del teatro anatomico.
GGXXII. IngiustMa della serrìtii influne.
Ora io chieggo: con quali diritti si possano umane creature
trattai'e in tal guisa; e s'ei sia lecito non avere più verso le
medesime né vergogna, né pietà. Geitamente non per le lor col-
pe: poiché, fossero pur esse più colpevoli degV immolatori, sono
assai più infelici, che malvagie. Ad ogni modo queste colpe in
altri non si vendicano, né si debbono vendicare: e, pur vendi-
caudolesi , le pene colpirono fin qui gli averi , V onore , la libertà
e anche la vita ; ma ninno ha mai pensato d' infliggere per pena
la depravazione perpetua. Evidentemente dunque non si potreb-
be la servitù legale, che le grava, giustificare o scusare, se non
come una pubbhca necessità; la quale non consentisse di aver
per loro ris[)etto. E notisi , eh' io dico servitù legale : non trat-
tandosi qui di vedere, se il turpe mercimonio si possa togliere
0 se la società civile debba soffrirlo ; si solamente , s' ella abbia
a prenderlo^ 0 non sotto la propria tutela. Suppongo anzi, non
possa venir meno mai, e per fino giovi alla preservazione de'
connubi sì, che convenga come irreparabile o minor male com-
portarlo. Altro però é comportarlo ed altro proteggerlo, e dargli
un nazionale organamento; mercé il quale la società civile stessa
cuopra con la sua egida la scostumatezza. Onde io non inda-
gherò, se si possa la prezzolata abiezione delle donne abolire;
-328-
sl se si debba V abiezione patentata proscrivere. Ora , fossevi por
necessità di fare cotanto ludibrio e strazio d' un sesso ioerine e
d' un' età fragile ( ai savi e ai forti cose le più venerande )^ io per
me non credo, per questa necessità puramente sociale sia lecito
conculcare i diritti della natura. Che, se un misterioso tiranno,
cinto di nubi e di nembi, avesse decretato, non potergli uomiiii,
se non colla iniquità esser salvi; cadesse il mondo in ruiiia, e
ancora io griderei: si salvi prima di tutto la giustizia. Se nos
che io non concedo punto, siavi questa necessità del male; fai
quale, avendo già tante scelleratezze legittimato, vorrebbe aocfae
questa legittimare. Conciossiachè non sono concepibili, se noo
due ragioni , per cui Io stato sia costi*etto a farsi mediatore e
assicuratore del vizio: o per diminuirlo, o per alleviarne le Ah
neste conseguenze. Ebbene, quanto alla prima, non vi ha dnb-
bio, che que' suoi provvedimenti , di che avemmo un saggio, dob
facciano, eh' eccitarlo e agevolarlo. Esso, come i padrini ne* dud-
U, accosta le parti, ne oilre campo franco, le assiste e le vigifai;
e alla One , per quanto può , regola i patti , porge i farmachi e
le cure. Violando le sue stesse comminatorie, permette ad aleum,
perpetra esso stesso, anzi dirige la contaminazione de' minori e fl
lenocinio , che hanno pure nel Codice penale esplicite sanzioai
(articoli 420-424). Per fermo, senza tale suo salvacondotto, nìmo
potrebbe fare incetta di giovinette, prestare stanze di convegno, e
via via, impunemente. Che, se vi sarebbero le vittime e gl'inuno-
latori predetti ugualmente, questi sarieno soUtari e meno adescali,
meno assidui, più disagiati, più verecondi: e basti, per noo im-
brattarci in troppo fango.
GCXXIII. Inraffldenn della lenritìi infkaa.
Cosi non resta, che la seconda ragione: ossia il provredae
alla general salute, o il porre argini contro le invasioni d*«t
lue, non solamente ai singoU; ma a tutti esiziale. E questa eo^
lamento è di gran peso: perchè, considerando, com'essa si (fi*
stenda per larghi meati e si tramandi per generazione, e stitai
i viventi e scavi la tomba ai posteri ; sembra , non esservi contro
rimedio eflicace, ctie non sia altresì giusto. Non vi sono peri
altre armi per arrestare le sue stragi? le si usarono? e queste t
che adoperiamo, quanto valgono? Se quella somma di spese, di
- 329 -
durezze , di dolori , cui costa Y attrs^versarla nella presente ma-
niera, si fosse devoluta ad attraversarla in migliore, e più con-
sona alla prudenza, alla dignità, alla rettitudine, che cosa non
si sarebbe ottenuto? E non potrebb' essere , che lo stato con la
sua prevenzione malaccorta , come in troppe altre bisogne, anche
in questa aumenti e aggravi il pericolo, lungi di scemarlo e atte-
nuarlo? Fatto sta, prima di tutto, che i provvedimenti, ond'è
resa legale l' infamia, mancano presso molte nazioni civili, e
mancavano in alcuna regione anche qui; senza che per ciò le
popolazioni abbiano o avessero traccie d' una maggiore insania o
degenerazione. Quale più orrenda e terribile officina di contagio
si può immaginare di Londra ; dove 80,000 donne perdute vagano
senza ordine e freno in schifosi rioni e in notturne caterve , e delle
quaU una decima parte ciascun anno ne ingoja il sepolcro? Pure
colà e dovunque faccia difetto la pubblica tutela del vizio, non
n' è tuttavia minacciata la igiene in molto maggior guisa , che
altrove. E, concedasi pure, che con la detta tutela si trattenga
0 si contrasti in certi punti di maggior contatto il diffondersi
dell'infezione; vi sono del resto troppe altre vie, perle quali
corre alla dirotta, e le quali non possono e^ser chiuse. Imperoc-
ché la diffusione non viene solamente per mezzo delle persone,
che si vendono, ed anzi, se la tutela approdasse, dovrebbe sola-
mente venire da quelle, che comprano: si anche fuori del triste
commercio sorge e procede. Mentile, entro i limiti di questo, è
così limge la podestà pubblica di colpirlo del tutto, che delle
campagne non si cura punto; e nelle città il maggior numero delle
mercatrici è appunto quello, che le sfugge. Or, s' ella era nel 1870
giunta tra noi a iscriverne 8,020, e nel 1875 appena 8,998 ne'
suoi registri; è chiaro, che le rimanenti (le quali sono probabil-
mente oltre il decuplo) possono liberamente guastare e incancre-
nire la popolazione. Se volesse iscriverle, io non dico tutte (che
sarebbe un sogno), ma quasi tutte; dovrebbe aumentare quelle
sevizie e quelle nefandità, che vedemmo, e cui non le è dato
evitare. Dacché, propostasi di rintracciare, invigilare e ritenere
le pericolose femmine, deve di necessità coglierle, sequestrarle e
incatenarle ne' suoi lazzaretti , e in somma trattarle come carcami
viU e anime di bruti. Le sarebbe dunque necessario, senza più
ritegno o misura , infuriare ; e lino i penetrali sacri delle famiglie
violare, e lìn le ilglie dal grembo delle madri strappare: né per
questo vincerebbe. Ond'ella, dopo tutto e instaurando una si im-
-330-
mane e disumaDa oppressione, non pub. che frapporre aleni
pochi ed esili schermi; fuor de' quali il guasto e U cancrau
tuttavia imperversano.
CCXXIV. SaperflBità della serfitìi ìbAum.
Egli è assai strano per altro, che una polizia borghese ù
sia messa per questo falso cammino ; mentre quella stessa eeooth
mia pubbUca, in cui compendiasi tutta la sua dottrina civile, &-
cevala accorta, che i cosi detti mezzi preventivi spesso non sobo,
che nocivi. Ella ben sa ( per addurle uno de' suoi esempi ), come
nelle imprese e compagnie di traffici, la sua approvaziooe, b
sua interposizione e il suo sindacato non servano, che ad ineo-
raggiare gl'incauti e ad assicurare i furfanti, favorendo gi'ia-
ganni e procacciando le delusioni. Posso io chiederie cosa pio
accetta , se non eh' ella attui anche qui quel suo sovrano assioma
della libertà economica, e che si risparmi l' odio e la spesa?
Non le chieggo già di proteggere la pudicizia : questa fin ne' teatri
è posta cotidiauamente in sulla gogna. Protegga e premi anzi fl
vizio, se vuole; ma lo lasci libero, che, tanto e tanto, non vìa-
colato da lei, sarà meno infesto. Non ha ella chiuso, o non isti
per chiudere le ruote de' trovatelli , fidando sul dovere e sulT af-
fetto de' parenti ; acciocché , posti nella necessità o di allevare la
prole 0 di sperderla , e benché tuffati vie più nella miseria e
nella degradazione, sentano più forte il comando della natnn?
Molt' infanti morranno o saranno abbandonati : ma , ciò non ostan-
te, eUa la cristiana carità avita disprezza. La quale, avendo aper-
to questi e cotaU asiU alla sventura, e iin case di rifugio ai di-
scoli e alle donne traviate e penitenti , e non diniegato il sooeorM)
e il perdono a' malfattori in conforteria e sul patibolo, facevi
allettatrice e indulgente verso la spensieratezza e la colpa. Pv,
se la giudaica carità odierna, aborrendo da tale compUdù, tiene
per sé i suoi quattrini e dissipa quelU largiti da' maggiori; wm
vi ha dubbio, eh' ella intanto lascia i pargoU incolpevoli e inno-
centi, ctie non si ponno difendere, senz'aita. Perchè dunque
vorrà lasciare altresì gli adulti, che si ponno difendere^
mirsi per sé medesimi dalle conseguenze degli atti propri; che
( non fossero rei ) sono per lo meno spontanei ed evitabilL Gli
uomini, quali esseri poc'o molto liberi, trovano aUa One aeiia
— 331 —
propria respansalità assai più acconcio e condegno freno, che
ntìi' altrui mallevadoria. E, richiamati seriamente a quella,
trovano istinti e avvedimenti , cautele e forze , che altrimenti non
avrebbero. Chi ha mai pensato a premunirsi dagli altri mille
mah , che gli assediano ; dalle conseguenze immancabili degli altri
falli , dagli efletti uguahnente perniciosi della crapula e della goz-
zoviglia? Ammoniti, che non vi è più chi cerchi o bene o male
di preservargli dagli effetti dell' imprudente loro Ubertinaggio; ma
insieme angustiati ne' modi di soddisfarlo ( perchè le sanzioni ri-
poste in vigore impedirebbero o diminuirebbero i comuni ritrovi,
le abituali profferte e gli altri mezzi d'accostamento), diverreb-
bero più temperanti e più guardinghi. Che, se ne patissero tut-
tavia la pena, dovrebbero ad ogni modo confessare, non esservi
altro rimedio infallibile contro il vizio, tranne la virtù.
CCXXV. SpettaooU turpi.
Né paga la borghesia d' avere con si perfidi spedienti con-
vertito in istituto pubblico ciò , eh' era innanzi una nascosa piaga,
convertì i pubblici sollazzi a dirittura in lascivi saturnali. Dove,
se non altro senso, il guardo e l' udito, che non possono per diletta-
menti più nobili, d'una laida lubricità si dilettino: la quale tal
fiata scoppia in un sordo concitato fremito, che par quello d' una
mal repressa bestiai foja. Cosi di leggiadre danzatrici ponno i mo-
derni tiranni e con tenue moneta averne ogni sera, assai più degli
antichi, numerose e procaci squadre. Anzi in parecchie città le
allevano i loro stessi ediU colla pecunia pubblica, e fin col ritratto
de' dazi su' poverelli; e le educano gravemente a piacere e a com-
piacer loro negli altissimi magisteri. Se non che, troppo goffi e
rozzi, per sentire lo incanto delle vaghe muliebri forme (cosa in
vero divina); assai più che delle seminude membra, prendono
degU atti sconci, e quanto più sconci, diletto. Onde non par
vero loro, quando della parigina plebea ridda veggano qui sulla
scena gli ardui calci, e delle parigine satiriche operette odano
i lazzi gagliardi. Delle quali e delle altre teatrali scede, che di
colà vengono, e cui On le discinte camene, già ispiratrici de' car-
mi saturnini, de' canti fescennini e delle favole atellane, a mala
l)ena comporterebbero ; se il segreto dell' arguzia non istà nel vi-
tuperare le cose più sacre de' mortali e degl* immortali , oh dove
- 332-
sta? Le Commedie di Goldoni e le Fiabe di Gozzi, che par
taDto esilaravano i veneziani guasti del secolo scorso, sembrano
spassi da infanti in paragone alle forti facezie, che debbono mo-
vere ora il riso borghese. Vuole ben altro questo, che vecchi
burberi e giovani scempi, e matrone spasimanti e zitelle pette-
gole, e fate e zanni, per ispuntare sulle tumide e rotonde lab-
bra! Bisogna, che gU dei scendano sulla scena in veste di fara-
butti, i re da mariuoU, gU eroi da gradassi e i mariti da ebeti,
e tutti co' sonagli de' builoni. Non ride piii d' altro Y arricchita
plebe, che della gloria umiliata, delF onestà vilipesa, della fedeiti
insidiata, della castità sedotta e della virtù vinta.
GCXXYI. Tarpi lettore.
Per ventura i borghesi leggono assai poco: ma, beile è
immaginare, con tali passioni, quaU debbano essere le letture
favorite. I giornali prima di tutto, e sopra tutto i Ustini di borsa:
poi qualche libercolo, ove i loro Plutarchi celebrano e idoleg-
giano gli arfasatti dair oscuro trespolo saUti, non al glorioso ser-
vigio della patria ; ma air apoteosi del banco. Indi qualche cate-
chismo economico e cambiario, qualche almanacco igienico, ga-
stronomico, metercologico e sessuale; e alla fine, per chi vuol
l)assar mattana, qualche romanzo. Il romanzo naturalmente è b
composizione letteraria , che più va loro a genio ; poiché la lirici
non la ponno sentire, e F epica amare: le storie sarebbero mi
rimprovero, e i trattati una seccatura. Ben inteso, il ronuinzo cue-
reccio, e non già il cavalleresco ; che alle volte i bimbi scrofolosi
non prendessero vaghezza d' imitare i paladini del re Àrtù. Il qoal
romanzo per altro, s' è troppo casto e tenero, farebbe morir di
noja 0 di sdilinquimento: onde nel più de' casi vuol essere ero-
tico e criminale, e che abbia delle antiche italiane novdle, noi
l'arguzia (che non si capirebbe); ma la disonestà. SiGOome i
tempi, nel rinnovarsi le circostanze analoghe, si rassomiglino;
i grassi cittadini d' Italia nel trecento predilessero U gs^o novel-
lare appunto; cacciando entro le castella le leggende de'caviKcri
e i serventcsi de' trovatori , come cose troppo aristocratiche o pb-
toniche. Cosi Giovanni Boccaccio, |)er compiacergli , poae in nle^
zo tra il poema sacro e il soave canzoniere , il suo I)$eawiermie,
eh' è la maggior gloria borghese in letteratura; e che iOeggniM
-333-
del resto il borghese cinismo al cospetto de' più sublimi affetti
umani. E, bench'ei fosse di Dante e Petrarca ammiratore, e
grand' estìmator degli antichi , e capace pur esso di cantar gU
eroi e gli amori , quanto non ha costato idle lettere italiane quel
suo libro? Vi vollero, nota uno straniero, due secdi, prima che
r Italia riudisse dal labbro di Niccolò Machiavelli un virile accento
(Quinet, Rivoluzioni d'Italiaj IX). Se non che il novelliere di
Gertaldo, e, sto anche per dire, il Bemi e T Aretino, e il Casti
e il Batacchi sono troppo vecchi o troppo dassid per costoro.
La materna lingua, in cui scrissero è troppo togata, per accon-
ciarsi alla buffoneria; troppo scultoria, per dissimulare la legge-
rezza; troppo pura, per esprimere l'oscenità, e troppo limpida,
per nasconder la sozzura. Bisogna trovarne o contraffarne una,
che tolga al vizio le forme ripugnanti e odiose, e che nella sua
civetteria e peritanza lo accenni e travisi si, che non ne siano
gr ingenui scandolezzati. E quinci anche spiegasi per novella ra-
gione, come la borghesia ami più il francese del patrio idioma,
0 un gergo almeno, che gli rassomigli. Ciò non bastando, his/o-
gna anche aonestarlo e canonizzarlo, concedere ai viziosi la stima
ai virtuosi negata , palpitare pe' rischi d' un' adultera e {uangere
per le disgrazie d'una cortigiana. Il che, se non è l'intento di
molti celebrati romanzi e drammi odierni , quando a dirittura non
s' occupino di massacri e di processi , non so , quale altro si sia.
Bla , siccome, mescolando e rimescolando, qualche schifezza delle
lordure si manifesta, qualche fetore; meglio è aUa prima soste-
nere, che non ci sia altra beltà, né altro profumo. Vi è anzi una
scuola letteraria, che chiama realismo o verismo codesto: pro-
babilmente perch' ella non vede di reale o dì vero nel mondo,
come il verme , se non quel putridume , in cui si ravvoltola. Come
dunque non bastasse il lezzo, in che ci dovemmo poc'anzi aggi-
rare, una poesia da bordello o da cesso, senza più alcuna ver-
gogna 0 ritrosia, non solamente osa sfidare la pubblicità; ma
gode accoglienza e protezione senza paragone maggiori della (me-
sta. E, se non mi fossi proposto di stendere un velo sui colpe-
voli, pur disvelando le colpe, potrei nominare qualche libercolo,
indegno per tutti i conti di veder mai la luce del sole; e nondi-
meno nelle più eleganti edizioni stampato e ristampato, e ricerco
con ansietà, e posto come idolo del giorno tra gli alberelli e gli
unguenti sulle muliebri tavolette. Cosi i costumi pubblici sono
sino al fondo minacciati, senza naturalmente, che ciò importi ti
-334 ~
procuratori fiscali della borghesia punto. Perchè, se si trattasse
delle minaccie ostili al diritto di proprietà, sarebbe un' altro affi-
re: ma non si tratta, che del pudore!...
CGXXVII. llaiieansa d' ideaUtà.
Sempre è spiacevole cosa svelare le colpe del proprio tempo;
e vie più stucchevole, quando, anzi che co' versi di Giovenale e
di Marziale, od almeno colla rimata celia , in un' amiibta prosa
debbansi castigare. Salvo ciò, a torto mi si opporrebbe , eh* io k
dipingo con troppo fosche tinte ; e che vi sono uomini e
e moltitudini, immuni da quelle. So anch' io, che i vcdghi e
sime i rustici, non solamente le aborrono; ma si le ignoralo,
che rimarrebbero stupiti e trasecolati, se sapessero, che i babbi
borghesi ammanniscono alle proprie spose e figliuole, alle lor
padrone e padroncino, questa sorta di divertimenti e di ricrea-
menti. E so inoltre, che non tutti costoro sono doventati altret-
tanti Sardanapali; e che anzi, individualmente presi, possono es-
sere alla lor maniera buoni. Io parlo della borghesia in massa;
e press' a poco di quella vita, che in tutte le principali città ( soa
ordinaria stanza) conduce: onde o debbo chiuder gli occhi, o
dire, che la è tale..., quale si vede. Ma naturalmente, vengono
dopo i vizi propri gli altnii, e dagli esempi le opere ^ e daOe
cause gli efictti: e non è quindi meraviglia, che la contagiooe rie
più si dilati. Quando coloro, che formano oggi il corpo sovrano,
e i maggior mezzi posseggono per esser gentili, cortesi e vere-
condi, stanno in tanta bassezza; le virtù del popolo non possono
essere, che osteggiate, depresse e derìse. Dietro la insolenza, la
cupidigia e l'incontinenza, dietro la durezza, ki sordidezza e la
depravazione^ seguirà naturalmente uno strascico sempre pib hmgo
di colpe. E per Io meno, i sentimenti più puri e più nobili ve-
nendo meno, non rimarrà in seggio, che una promiscua riWL
Anzi, la metafisica borghese stando nel maierialismo e 1* etica
neir epicureismo ( e non già in quello del greco filosofo ) ; recisi
all'idealità e alla moralità i nervi, è inevitabile cadere pniicih
mente in quello scetticismo e in quell' egoismo^ da coi proce-
dono gli altri |)resenti mali. I quali tutti s' io volessi noverare,
non finirei più : ma, di quelli toccando, che maggior nesso hanno
con la pubblicai felicità, mostrerò ora, come i censiti oligarchi sieoo
anche intimamente atei. E quindi irrazionali, indifièrenti^ incivili e
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spietati ; riservandomi di mostrare altrove, come questi lor vizi di-
venissero strumenti e provvedimenti di stato. Siccome nel profondo
delle coscienze colpevoli vi è un misto di grezzo e di spavento
de* numi ; ho già detto, che, la borghesia secondo il diverso punto,
da cui si riguarda, agli uni sembra incredula e agli altri cre-
dula: appunto perchè queste due qualità sono inseparabili. Teme
ella de' numi , non le chieggano per ventura conto de' tempii can-
giati in magazzini, e de' cimiteri in pascoli ; e prova già nel cuore
inaridito le lor vendette. D'altro canto plaude a coloro, che la
sbarazzano da questi spettri e da questi rimbrotti, o ne vanno
creando di tali, cui ella possa senza proprio spendio e aflEanno
scongiurare e placare. Non nega pertanto i numi, e lasciasi ne*
gare: consecrando cosi innanzi al' volgo i ma' guadagni; e insieme
esecrando quelle are, presso cui, supplice, trovava sotto le pas-
sate tirannidi rifugio. Messasi adunque per tal via, come a decre-
tare Io stato ateo, cosi è giunta già a collaudare la scienza atea,
e assai poco le manca per confessar atea inoltre la propria co-
scienza. Perchè, se pur non fosse da' sentimenti ignoùli ossessa;
non essendo i numi, che splendori di cielo intraveduti, forme ete-
ree di fantasie innamorate, aneliti d'anime impazienti del volo,
rimembranze indelebili e speranze immortali, e simboli e tipi di
cose eterne e perfette..., tutto ciò nella mente sua non cape.
Ella può gr idoli temere o riverire , atterrare o adomare , ven-
dere 0 barattare, secondo le toma più acconcio: ma, immersa
ne' suoi affari e inetta a sentire entro a sé della divinità alcun
raggio, non può sino agi' iddii accostarsi. E , smarrite queste su-
preme e ineffabili mete del pensiero, naturalmente viene, eh' ella
quasi non si guidi più co' principi! ; ma, poco al di sopra de' bmti,
cogr istinti. In fatti ( e me ne appello a' miei stessi leggitori \
quante volte non la udiamo noi riprovare le teorie? quante de-
testare le idee? e quante risolvere le questioni più gravi co' soli
e soliti pretesti della pratica e della opportunità ? Certo, che senza
queste due ultime norme non puossi, die in un mondo di sogni
e di visioni ire a tentone. Mentre per altro il compito loro è di
suffragar le idee e di raffermar le teorie, e non già di bandirie
e di supplirìe ; per la borghesia il praticismo e l' opportunismo
divennero criteri di governo e canoni di fede. Talmente che, non
avendo altre regole, che i fatti, e non altri mezzi, che gli spe-
dienti, non la può in altro modo reggersi, se non dando torto alla
virtù vinta e ragione al vizio vittorioso.
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CGXX Vili. KaBeansa d' amor patria.
Seguono quindi dal suo ateismo e dalla sua irroMÌonàiUà
la indifferenza pel bene e pel male, e da questa la sua indTilKi
e la sua spietatezza. Perchè, non avendo ella prìncipii di sorti,
né aspirazioni sovra il fango; non può, che star china e bassa:
e allora oh conìe può avere carità della patria e del prossimo?
Vedremo appresso, com' ella, sollevando i pravi e conculcando i
probi, accarezzando i codardi e donmndo i forti, premiando i ne-
mici della patria e punendo i troppo fervidi amici, abbia in ogi
guisa tentato di confondere il senso morale del popolo e d' estin-
guerne tutf i palpiti generosi. L'eroismo in fatti, mercè coi il
povero può sovra il ricco innalzarsi , e il popolo rivendicare b
propria dignità, le mette un grande spavento. E, prescindendo
dalla sua azione, facile è capire, com'ella per interesse e per
abito non possa niente amare, tranne la ignobiltà; e cornei
desio della gloria e il culto della virtù non sembrino a lei altro^
se non fìsime da teste sventate. La ignobiltà, che si manifesta il
tutte le cose e in tutte le guise, dovunque volgasi lo sguardo;
ecco ciò, eh' ella sospira e vuole. Le repubbliche si goymiM
colla virtù, le monarchie coir onore e i despotismi colla dnpGee
paura de' tiranni e degli schiavi : ella si governa colla proprìi e
coir altrui ignobiltà. Una tacita cospirazione universale, ne^anik)
alla virtù V ammirazione e al vizio V obbrobrio , e nascondendo
quella e coprendo questo, ci rende Ano insensibili al bene e ai
male, e ci adegua tutti nel suo cinismo. Al cui cospetto è ilMi
facile capire, come Y amor di patria , primo e più possente im-
pulso di benevolenza e di sacriflcio, se non è da lei rinnegno
del tutto, pure è rilegato ne' musei piuttosto come storica cnrio-
sità, che come effettiva forza. Conciossiachè dicono i suoi sofisti}
che non ce ne ha più bisogno, or che l'Italia è Jhtta; e che
anzi è un vanto postumo e un tema accademico, e per fino*
insulto alla valorosa nazion germanica. I quali, prim' ancora die
la fosse fatta, e mentre (piesta nazione per qnello amore ffim-
vasi e a tanta potenza esaltavasi; dicevano pure a noi, non ci
esser più differenza tra italiani e stranieri, e che i popoli si sono
affratellati e che non occorre più esser prodi. Ma badassimo s
Iratlici, e stessimo cheti: e cosi ebbimo quelle beUichn ^ortt»
• — 337 -
che ognuno sa. Perchè appunto la borghesia non volle, che noi
fossimo vittoriosi con le nostre arnoi ; nel qual caso non avremmo
pianamente e pienamente subito il suo dominio. Volle piuttosto,
che dovessimo essere alle sue cabale grati, che delle nostre pro-
dezze orgogliosi; a fin di patirle per sino senza doglia e senza
risentimento.
CCXXIX. Kanoama di carità.
n difetto poi di spiriti civili in lei non solamente appalesasi
nel non desiderare la patria grandezza e nel non sentire la patria
carità: sì anco nel non desiderare e non sentire alcuna sorta
d' affetti collettivi e comuni. Il barbarico istinto di secessione,
che ripiega e concentra gli uomini in sé stessi, contrario a quello
classico di compenetrazione^ che gì', immedesima e distende nella
città e neir umanità, fu per ciò tosto da lei convertito in un
dogma poUtico e giuridico. Troppo le dava uggia quella credenza
de' nostri padri, che si fosse prima cittadini e poscia privati uo-
mini ; perchè, sotto il nome di servitù patriottica o di statolatria^
non r avesse a viUpendere. Troppo piacevole un sistema, in cui
la patria non serve, che air utile de' singoli, perchè, sotto il nome
di diritti individuati o di personali Hbertà, non ne lo facesse suo
proprio. Non soggiungono anzi i suoi statuaU e ì suoi legisti, che
qui sta il progresso, qui la fisonomia, e qui la gloria del secol
nostro? Fatto sta per altro, che V individualismo , subUmato a
teorica di stato e a precetto di legge, e a simbolo supremo della
società borghese, dà i frutti amari, cui unicamente può dare. Se
la patria non rimane più in piedi, che per assicurare i nostri van-
taggi, e se non vi sono più nodi di cuore tra essa e noi; quali
legami avremo mai verso il resto de' mortaU? La vita in comune,
che nelle antiche società civili non potea spegnersi, nemmeno
tra' sospetti e terrori delle tirannidi , e che ne' fori e ne' teatri
fervea lin sotto i romani despoti, è cosi quasi del tutto spenta.
Fin le chiese, ove una reliquia di quella perdura, ove ricco e
povero, felice e infelice, signore e suddito possono almeno nelle
preci considerarsi uguali, si hanno in dispetto. La vita si è tutta
barbaricamente nelle domestiche pareti raccolta, come in sepolcro :
ove de' pianti, che sono al di fuora, non si sente pietà; né delle
risa giubilo. Per quanto fossero colpevoli i nostri padri, per quanto
22
- 338 -
ladi'i quc' baroni, per quanto bigotte quelle dame, pur quali por-
tenti (li carità I Pognamo, ch'erigessero tanti rifugi agli sventu-
rati per orgoglio o per rimorso: ma, che fanno delle loro dovi-
zie in vita e in morte i nostri borghesi? lo per me, se volessi
signiGcare il contrapposto della compassione umana, direi carità
borghese. Perchè certo >i sono lodevoli eccezioni: e sieno bene-
detti coloro, che molt' o poco si sovvengono , come V unica pan
dolcezza, cui le dovizie possano dare, stia nel lenir dolori e od
rasciugar lagrime. Ma guardate in generale, quant' è tapina questa
beneficenza de' cosi detti odierni filantropi ^ quanto lesina sulle
somme da spendere, quanto contende su' titoli e sulle condizioiu,
e quanto teme di soccorrere oltre il dimani I Un tenue contributo,
mese per mese, e non più ; e, se possibile , con tutta Y ostenta-
zione d' un consorzio, d' uno spettacolo, d' una festa. Sopra tatto
d* una festa, per pigliare due piccioni a una fava, o in lotterie e
in danze e in filantropiche carnescialate. Quanto poi al patrimo-
nio de' poveri, lasciato da' nostri maggiori , e che fu altre volte
in ogni città d'Italia il patrimonio più cospicuo, dirò appresso,
come r abbiano dilapidato.
CCXXX. Ug^a de' popoli moderni.
Macchiandosi il ceto mezzano di tante brutture per ragginn-
gere quello, cui reputa bene^ avesselo almeno raggiunto; e po-
tesse dire, che o col consenso o a dispetto degli dei, la comune
aspirazione de' cuori appagò ! In vece, se l' umana felicità sta ndlo
adempimento de' propri doveri, nella esplicazione delle più oobdi
facoltà dello spirito e nel gaudio intimo e ineffabile , che ne de-
riva; questa non ha certamente ottenuta, né voluta, né compresi.
ÀI più, al più potrebbe aver goduto il piacere^ o conseguito b
contentezza; sebbene io temo forte, che ne abbia privato altroif
e diminuito sé medesimo. Venendo ora a discorrere anche di que*
sto, non posso prima di tutto tacere, eh' io reputo, essere noi mo-
derni assai meno ilari e giocondi, che fossero i nostri antidi
So, eh' è arduo far paragone tra una storia , che si legge sa' fi-
bri, ed altra, che si vede cogli occhi; e so anche « che il rìflh
pianto delle passate cose e il rammarico\delle presenti è, insieflW
colla speranza delle avvenire , il tormento degh umani. Ciò non
ostante, di «luella conosciamo credenze e abitudini tali^ e abbiamo
tali testimonianze ne' monumenti dell' arte e nelle opere degli scrif*
~ 339 -
tori , che ci svelano , essere slati i greci e gF itali d' un' indole
assai più limpida e serena, che noi. Anche quando figuravano il
dolore, si direbbe, non lo sentissero , come dopo la giudaica in-
fezione e le irruzioni barbariche fu sentito. E che rassomigliassero
fino i morenti alquanto a quegli eroi dell' Iliade^ che muojono in
guise tanto varie e ammirabili, e pur quasi senza le convulsioni e
i rantoli dell'agonia. Que' giuochi, quelle feste, que' circhi, a cui
accorrevano tutti , come torme di fanciulli spensierati e folleg-
gianti ; que' triclinii rallegrali dalle cetre, dalle carole e dalle ghir-
lande de' fiori ; que' riti religiosi di tanta grazia, e sin que' roghi
funerei, intorno a cui banchettavano e giostravano..., attestano
tra essi e noi un sentir diverso. Il quale facilmente si spiega,
considerando, come dovesse 1' antica gioja venir meno ; non ap-
pena dal settentrione discesero qui gì' iracondi e paurosi fanta-
smi, e da un angolo d'Asia le tetre e odiose ubbie. Sopra tutto
furono queste al tranquillo e lieto vivere funeste , riempiendo gli
animi di scmpoli e di rimorsi, maledicendo il riso e benedicendo
il pianto; e cangiando, se avessero potuto, il creato in un mor-
torio. E talmente previdesi ciò nel romano senato ( a cui era la
religiosa insofferenza ignota), che, vivente Cristo, i padri decre-
tarono: le superstizioni de' giudei e degli egizi si bandissero)
quattromila liberti infetti si portassero in Sardegna a spegner ladri
e ad esser spenti dalla mal aria; gli altri o rinnegassero o sgom-
berassero (Annali di Cornelio Tacito, li, 85). Se non che ho già
raccontato, come queste superstizioni, appropriandosi e adulterando
una divina eresia, che prometteva agli umani pace e beatitudine in
sempiterno , sopraffacessero la polizia di Roma. E come ,> spun-
tando le seguenti jìersecuzioni, ben altro estinguessero, oltre l' an-
tica gioia del mondo.
CCXXXI. Patnmia de'siernori e de' sudditi borghesi.
Non darò io dunque la colpa del tutto alla borghesia ( «eb-
bene di codeste cose barbariche e giudaiche s' intenda ella molto),
della malinconia già da troppo tempo scesa su noi. Né della
morbosa sensibilità inane, che caratterizza, si può dire, la vivente
fiacca generazione. La origine della quale sensibilità risale a
molte cause, di cui non si può qui in brevi parole, com' io devo,
parlare. Ma certo non le dev' essere estraneo quel malessere ,
quella sofferenza, quella irritabilità de' nervi tra etica e isterica ,
- 340 —
die tanto può da una civiltà raSinata venire, come da udì salute
guasta. Conciossiachè , sebbene impassibile a tanti umani dolori
non possa essere, che T egoista; pur tuttavia nel patire e nel com-
patire vi vuol modo e misura , e assai difficilmente 1* uom sano
vorrà esser piagnoloso. — Siamo forse noi anche più deboli e pio
infermicci degli avi nostri? — Lascio ai medici tale ricerca; no-
tando per altro , che , s' eglino argomentassero dalla maneana
odierna delle pesti e de' contagi , dalla longevità maggiore, dalli
mortalità minore o da altri elementi piuttosto igienici , che salu-
tari, oggidì più propizi, non istarebbero nel campo suo vero. Trat-
tandosi unicamente di vedere, se la generazione presente è pSn
robusta o più gracile delle passate : anche senza vantare le ferree
armature , cui queste indossavano , e i fieri cimenti , cui soppor-
tavano ; la misteriosa tabe, che miete quella con tanta inesorabilitiy
par quasi metta in pericolo Y intiera specie. La qual tabe, che dissol-
ve r organo stesso della respirazione, ed è conoe un male endemico
deli' era borgiiese, o gentiUzio de' ceti privilegiati, guai , se ndle
stesse proporzioni ai volghi rustici si estendesse I Intanto, ad oc-
chi veggenti, assume sempre più spaventose e precipitose forme,
0 costituisce del pari la più grave accusa contro le ultime gene-
Inazioni, e contro le future la più grave minaccia. Dappoiché at-
tinge sovra tutto nella depravazione la sua impura sorgente: e,
oltre i malati, oltre i morenti, prosegue indefessa, implacabile, il
suo corso ne' congiunti e ne' superstiti, cui assottiglia e strema, a
cui incava il petto e scava la tomba. Com' è possente, com'è ine-
luttabile questa sanzione della naturay che ci addita il fio deDe
colpe scontato dagl' innocenti ; per richiamarci coir ultimo lor
fioco rimprovero ai buoni costumi , ai virili esercizi , alle eroiche
imprese ! Non procedessero però gli odierni aflianni da condizioii
morbose, quante altre cause non restano per rendere i borgbeà
e i lor sudditi , e sovra tutto i primi , affannati ? Scemate le do-
mestiche gioje in tanto an*ovellarsi e in tanto trafficare, spregiale
quelle delle lettere e delle arti ; e venute meno le pubbliche gioie»
per cui lino il meschino può della fortuna della patria rallegrarsi,
e il decrepito del trionfo della giustizia, clie altro vi può esser di
buono? Basta omai la gioja dell'arrichirò, lo so: ma quanti pet-
sieri, quante trepidazioni, quante angoscio per clii la coglie! Ri-
guardo ai delusi, che sono i più; riguardo ai tapini, che non so-
gnano pur di eoi^'lierla, e vivono a miUoni e a milioni dimemieati
(^ respinti, Inaila gioja davvero!...
-341 -
CGXXXII. iBttrdetto del mnimJB.
Fatto sta , che la MsteBea borghese va anche ne' vcflghi
aumeotando si, che quelle dolci canzoni e qoe;^ allegri damori,
conforto della lor vita , sembrano sulle lor labbra morti. E certi
convegni e certi tripudi popolari son divenuti, in pochi anni, un' ar-
cheologica reminiscei^a degli o^Hti inglesi Né parlo della cod
detta festa nassionale , che celebrar dovrebbe il sospiro de' se*
coli : dico il nostro riscatto. Chi nm vede, che la è già divenuta
una cerimonia legale, una fredda rassegna d' armi, una vana mo-
stra di ciondoli, e nient' altro ; e che non un grido d' esultanza
e non un guardo dì simpatia 1' accompagna ? Per fino il (Mir-
nevàle italiano^ cui gli stranieri vituperano (poiché non serbano
deir antica libertà di Saturno il dolce ricordo; non sanno,, cosa
vogUa dire, almen sotto X amabile regno della foUia, riconoscersi
uguali padroni e servi, e non sentono, cosa sia l' espansione e la
cordialità di tutto un popolo), per fino esso, ultimo rito de' patrii
misteri, è stato dalla borghesia soffocato. Eppure, contraflEacendo e
prezzolando la gioja pubblica, quanto non fa ella per sostituirvene
un simulacro? quante compagnie non crea a tal uopo? e quanti
statuti non detta ? Si fossero i suoi edili limitati a dar premi alle
maschere più benemerite ed onorificenze a' buontemponi pia ce-
lebri, meno male. Che siamo avvezzi a veder proAise e avvilite
fin le insegne equestri in peggior guisa, e non vi è pia a mera-
vigliar di niente. Per tramutare nondimeno una baldoria spon-
tanea in un pubblico istituto, e perchè Rogantino e Meneghino
rappresentino a dirittura Roma e Milano, e i decurioni delle città
gli accolgano quali sacri legati orrevolmente (siccome testé si è
veduto); bisogna affatto avere smarrito il pudor civUe. E che do-
vrei io dunque dire de' cavalli e de' carri delle sahnerie adoperati
ne' corsi carnescialeschi ? Che de' soldati nostri , i nostri soldati
ripeto, costretti in veste di pagliacci a suonare i pifferi e a gui-
dare i traini carnescialeschi? Se, dovunque mi volga, non un la-
mento ascolto per tanta umiliazione, non un viso veggo arrossire
per tanta onta all' esercito, cui gli antichi romani auspicìi a^^el-
lano alla vittoria; che posso fare altro io, oscuro togato, tranne
appellarmi al giudizio de' posteri? Badate però bene, cari let-
tori , come io detesti questa buffoneria , che non ha pù ritegno ,
più vergogna : non già la giga effervescenza del popolo Cntante.
- 342 -
Che non vi ha per contrario alla repubblica accusa, e miDaccia
maggiore , eh' ci si renda cupo e corrucciato ; né cosa , die più
agli animi benigni e gentili incresca del suo cordoglio. In \*aDO
si obbietta, die la cangiata sorte dee renderlo serio e pensoso:
perchè certo la lilkertà ci ridiiama a doveri , agli schiavi ignoti ;
ma anche a dolcezze nuove. Né la è mica quella torva megera,
0 queir anguicrinita Erinni, che costoro vorriano far credere, per
insinuare in altri il proprio sgomento. E qui appunto sta Y arcano
di costoro, che, mentre d'una falsa libertà non gli fanno udire,
che le ciarle e balenar gli spauracchi , e tuttavia con que' lazzi
della bulToneria trionfante e solenne lo tengono tra attonito ed
esterrefatto ; non provvedono pure a ciò, cui le più nefande tiran*
nidi ebbero in mente. Perché uno de' vecchi nostri tiranni suo-
leva dire, com' é a tutti noto, che con tre sole effe strigneva eflù
il freno al defilerò partenopeo. Ora di i|ueste, ognuno il vede, la
farina è scemata, le feste si son dileguate; e non ci è rimasta,
che la forca.
GCXXXIII. Frequentt de' suioidiL
Dirò in altro luogo, come ninno si curi della povera plebe,
se non ))er molestarla e angariarla ; e come parecchi infelid , a
cui la materna terra è divenuta matrigna , fanno ora qudlo , cui
in tanti secoli di cattività non fecero: fuggonla, e seminano le
incompiante ossa altrove. Non ne sono i)er questo i borghesi,
che a (al cosa gli esortano, od a frustrare laidamente il comando
della natura, più felici. E, poiché a scuoter gli animi ioduriti, vi
vogliono ornai emide cifre, e nienf altro ; eccovele. Coloro, che si
toglievano violentemente T esistenza , da' tempi molto remoti sìdo
a queUi ultimi , che precessero l' attuale stato politico , erano qi
in cosi tenue numero, che non meritava quasi di prenderne noU.
Dal cominciare del medesimo in i)Oi crebbero tosto e tanto , cki
già nel 187U salirono a 78U, nel 187 i a 1U15, e posda aU*aTfe-
nante : né si sa , dove si andrà a Unire. Avvertile , die de* SM-
plici tentativi di suicidio non si lien conto; e che Y uflicio di sta*
tistica non può prender nota delle vite semispente, abbreviate,
logorate, rattristate e sconsolate : le quali, se si |)onessero in cooio^
giugnerebbero alle centinaja di migUiga. Nondimeno questo mi-
gliajo ìY annue vittime volontarie nella sola Italia, che non o' è il
IKiese più funestato, é un sintomo morale d' una terribile gnivei-
-343-
za. Né vi vuol altro, se non quello spirito borghese, che si pre-
occuperebbe assai più d' un miglisgo di giovenche colte dal car-
bonchio, e per cui manderebbe un nugolo d' uflSciali e di veteri-
rìnari in giro ; per non sentirne V accusa e la minaccia. Consento
(poiché piacerai contemplar sempre le cose d' ambo i lati , e va-
lutare spesso le ragioni degli avversari meglio e prima, eh' ei le
sappiano esporre) ; consento, che tanto gu^uo non venga tutto dal
male e da loro. E vogUo eziandio ritenere, che in questo triste
fenomeno de' transfugi dalla vita , come in quello de' fuggiaschi
dalla patria, occorra in parte la medesima causa , che aumenta
ciascun giorno enormemente la pojsaia (altro morbo per eccellenza
borghese). Cioè, che vi possano molto l' emancipazioni intellettoale
e politica; le quali, dimezzate, fanno più forte sentire il pungolo
della sofferenza e della responsalità umana. Tuttavia non vi ha
dubbio, che in quest' agonia di lusinghe e di seduzioni, e in questa
danza di fortune e d' infortunii fantastica e frenetica, non si sia il
ceto venale nelle proprie borse messo a pari de' giuocatori intorno
al tavoliere; i quali qualche volta con un colpo di pistola emendano
r ultima perdita. Che , se a ciò si arrogo lo aiOevolirsi di que'
sentimenti, che servono almeno come puntelli a trattenere le na-
ture crollanti, o il naturale influsso del materialismo ; comprendesi
di leggieri, come la vita non sia più pegl' infelici un bene, oè
più per alcuno un dovere. Pure il suicidio era tale un'enorniità
e un' aberrazione per le indoli e le menti ben temprate de' nostri
maggiori , che non ce ne lasciarono nemmanco ne' vocabolari il
ricordo. Perché, sebbene i romani ed anco i più vetusti abitatori
d' Italia, usassero e credessero sempre lecita e laudabile la morte,
quando non ci fosse altro modo a sfuggire la sovrastante ser-
vitù od a salvare la propria digniti^; queste codarde violenze con-
tro sé stessi per tedio o per diserzione avevano in abominio. Cosi
Catone e Bruto, e molt' altri eroi, passando anzi tempo agi' iddiì,
ma ammonendo di colassù i posteri e invocando vendicatori ogno-
ra ; giovano spenti a quella divina causa , per cui vivi combatte-
rono fino all' estremo. Mentre era serbato alla moderna borghesia,
che tali cose stima un plutarchesco delirio , di porre in luogo del
sacrificio deUa vita, per nobile disdegno e per fiera protesta, il
suicidio per viltà.
COLTURA BORGHESE
CCXXXIV. SnperìoriU della ooltm iaMlettule airtlea.
Sebbene V umanità sia unicanoente onorata e awantaggàta
da quegli uomini e da quegli avvenimenti , che le impediscono di
riscendere air uguaglianza e alla quiete de' bruti ; i cronisti d* oggi
sono concordi nel disprezzare le grandi geste e le grandi figure
storiche. Raffazzonando cosi , non so che storia sui pigri dolori
0 sui muti travagli della specie umana, ei rivelano chiaro, conw
il regno della borghesia sia il regno della mediocrità. Se noo
erro, lo confessa ella medesima: e non sarebbe quindi a stupire,
che si appagasse d' una media levatura e d' una media coltura
degr intelletti. La borghesia presente però , e la italiana principal-
mente , si appaga anche di meno , e vuole anche di peggio ; sie-
come io sono tosto per esporre. Avvegnaché , dopo aver guasto i
costumi e amareggiato le gioje nella guisa, che testé vedemmo;
ella , e per causa di ciò e per aborrimento di gentilezza e per arte
di stato, ha gli studi non curato, le scienze, le lettere e le arti
derìso, ottuso le menti e oppresso gr ingegni nella guisa, che or
vedremo. Entrando adesso in tale argomento , io sento le doe diffi-
coltà, che mi si parano innanzi : la inettezza mia a giudicarne, e il
vanto della contraria fama. A dire il vero, non mi par grave, se
non la prima : giacché assai prima e assai meglio de' miei crttid
conosco, essermi io tutt'altro, che dotto. Anzi ho per prova, che
la dottrina d'oggi sia proprio agli sgocdoU, se a qualcuno poleì|
per sino io , sembrar tale. Tranne un' angustissima e specialisaima
parte delle discipline giuridiche , di cui posso avere qualche n*
dimento, e cui mi guardo bene dallo sciorinare in questo votame;
pongomi anch' io nella classe piìi compassionevole degli ahmni di
Sofia. La fortuna , per uno de' suoi soliti capricci di domia , se»-
dosi compiaciuta di pormi in dosso un batolo d'ermellioo, feee
- 345 -
due mali in uno, come spesso incontra. Che né ella si avesse
un dottore di più, né sotto alla dottorale insegna impedisse a un
cuore umano di palpitare e di sanguinare. Ma quel , eh' è stato è
stato, e non se ne parli altro: tanto più, che per altre cose
non mi posso con essa dolere. Adunque rimanga inteso ed am-
messo , eh' io per decidere di tali argomenti ho tutta quella in-
competenza , che mi si opporrà , e fin quella , che non mi si op-
porrà punto. Tuttavia credo , che per questo non mi possa esser
divietato di pronunciarmi : perchè guai a' poeti ed agli artefici ,
se solamente Omero e Raffaelo potessero V Iliade e la Transfigu-
raeione ammirare I Anche a noi profani il vero e il bello piaccio-
no, e il falso e il brutto dispiacciono. Ed anche il rustico censor
di Roma , benché non in grado di capire Cameade e gli altri sozi ,
aveva capito o non capito a suiBcenza, di che sorta si fosse quella
filosofia , e che beneficio ne avesse la repubblica a ritrarre. Dico
pertanto, parlandone cosi alla buona e col debito rispetto, che i
moderni errano di molto , credendo di avere superato gU antichi ,
per non ridire delle belliche e civili virtù, nemmanco nelle scien-
ze , nelle lettere e nelle arti. Venuti tanto tempo appresso , non è
meraviglia, ch'egli abbiano più cognizioni, più libri e più mo-
numenti : siccome non è meraviglia , che oggi uno scolaretto di
matematica ne sappia più di Pittagora e d' Euclida, od uno di fi-
sica più d'Aristotile e di Plinio. Intanto , vogliasi o non vogliasi ,
le leggi romane e alcuni de' capolavori delle lettere e deUe arti
greche, ninno gli ha superati ancora. Ed, a volere esser giusti, da
più d' una ventina di secoli , se non in quesf Italia e se non ritor-
nando a quegli esemplari, ninno gli ha potuti seguir da presso.
CCXXXV. InferìoriU della ooltira intellettiiale moderna.
Però si risponde (e qui viene la seconda diflìcoltà), che cer-
tamente i greci furono nella fulgida venustà della forma eccellenti
e quasi divini; e un tantolino, rubacchiando, anche que' plagiari
romani. Se non che nuove vie ha oggi dischiuso Tumano progresso,
nuove ricerche , e nuovi lumi all' antichità ignoti. — Come non
ti meravigli delle prodigiose scoperte del secol nostro, che mu-
tano faccia alla terra? non vedi i larghi orizzonti , cui fissa ornai
intrepido X umano sguardo? e i segreti della favella, della natura
e dell'essere già quasi strappati? — Messeri, non dissi io già,
- 346-
clic abbiano T asiatico pastorale e la barbarica picca potalo ar-
restare il corso al pianeta ? Veggiamo , anclie noi protani j che ia
certe p;irti del sapere (siccome nelV astronomia , nella geologia,
nella chimic^ì , nella meccanica , nelF etnologia , nella filologia, nella
critica e neir erudizione ) siete iti molto innanzi. Badate , ciò noi
ostante, che non si sa, cosa avrebbono quegli antichi fatto, se
ninna forza esterna fosse sopraggiunta a interrompere la loro ci-
viltà , ed anzi a spegnergli. Badate , che per entrare in questa nt>-
stra dovemmo ripigliar quella: badate a tutto ciò, ch'ei fecero,
e che noi non abbiamo guari seguitato. Né vi lasciate da codesto
rifiorimento dell'erudizione e della critica, dell* osser\'azione e del-
r analisi, della nomenclatura e della classificazione, e da cotali ai-
tri studi utili, ma da bassi tempi e da liberti, adescare. Perchè
furono i greci anche in questo campo industriosi : ma sapete quan-
do e dove. Assai tardi da' momenti di gloria e di libertà e dale
vittorie di Maratona e tli Salamina ; e assai lunge dalf agora e
dal liceo, da' teatri e dagli orti d'Atene. Dico a* tempi de' nn-
cedoni , ed anzi de' Lagidi ; e precisamente nella servile scuola
alessandrina^ di cui voi siete i tardi discei)0li. Qui appunto sti
il grave difetto de' giorni nostri: che, mentre non ha tutu Eu-
ropa lettere od arti così fiorenti , quali ben due volte ebbe la sob
Firenze (imitando quegli antichi greci e romani, da cui vorreste
liberare il mondo), tanto sono oggi le scienze esatte e sperìmeo-
tali in fiore, quanto molte altre discipline umane, e forse le mi-
gliori, poste in non cale. La qual sentenza non può naturafaneaie
essere approvata da chi paragona Hegel con Platone e Goethe eoa
Dante, Macaulay con Tucidide e Brougham con Machiavelli, e n
dicendo. Ma, lasciando gli antichi ne' loro Elisi, sol che si raffronti
(lucila falange di scrittori francesi del secolo scorso cogli scrittori
tedeschi , certamente i più celebri del secolo presente ; non pire,
che un paragone nemmen tra costoro regga. Senza osservare, che
queUi (nelle morali e politiche discipline in tanta enfasi purUBlo
valenti ) hanno o bene o male agitata Y umanità fln nelle pia ■-
lime fibre; e questi fin ora non f hanno, che spaventata.
CCXXXVI. Decadenti degU stai! ia ItiOia.
Alla di'caden/a ilelle discipline morali e politiche nel
prosento , e a un tal <|uale indirizzo chinese dato alT i
— 347-
non è certamente estranea la borghesia universale; siccome è
troppo facile congetturare. Di essa però non cadendo qui discor-
so, se non per relazione di materia; debbo alla nostra restrin-
germi , e solamente a' più recenti suoi influssi sul pensiero italia-
no. Premetto le solite riserve e le debite eccezioni per coloro, che
fra tante avversità coltivano i buoni studi, e cercano in tutt'i modi
d' onorar la patria. I quali per verità sono piuttosto vecchi , che
giovani; e tutti in cosi tenue drappello, e cosi derelitti, che, se
non si va a scoprirne i nomi negli annali di qualche accademia
oltramontana, appena qui si conoscono. E assai più godono fama
coloro , che per tale raccomandazione , o per quella delle effemeridi
non scientifiche e non letterarie, poterono rendersi noti, che per
le proprie virtù. Ma al di fuori di essi qual biigo , qual vuoto e
quale desolazione I Parrebbe, che ciò dovesse essere ammesso an-
che dagli avversari : dappoiché , proponendoci gli esempi stranie-
ri , e' non rifiniscono mai dair inculcarci , che i nostri sitédi sono
una derisione. È vero per altro, che quando noi si grida: fac-
ciamo come loro, rialziamoci; — oh, non v'è bisogno, soggiun-
gono : non vedete ? che fino i professori tedeschi ci lodano ? — Di
guisa che pare, sia una calunnia il dire, che la gentilezza e la
coltura italiana sieno decadute a seguo, da non esserci più tra
noi né scienze, né lettere, né arti. Pure, s'io trascorro col pen-
siero le età più infelici della patria storia, temerei. di dover ri-
salire fino alle invasioni de' goti e de' longobardi ( sotto a' quali
non tacquero le lettere affatto , e vennero onorati Gassiodoro e
Boezio, Gregorio magno e Paolo diacono), per trovare un ri-
scontro alla presente decadenza. Imperocché nelle età seguenti
non vi ha dubbio , che il secento e il settecento non fossero della
senitù morale e civile d' Italia i più lugubri periodi. Nondime-
no, s' io volessi solamente i nomi addurre di coloro , che allora
e in ima sol parte d' Italia , da Vico e Giannone a Filangieri e
Pagano, si distinsero nelle giuridiche e storiche disciidine, mi
troverei molto impacciato. Segui il napoleonico impero, nuova
e meno abietta servitù : sotto la quale per altro colsero allori
Lagrangia e Volta , Romagnosi e Gioja, Monti e Foscolo; e potè
nella scultura Canova quasi emular Fidia. Né può dirsi, che an-
cba. ne' primi due quarti di questesso secolo la fiice del patrio
genio si estinguesse affatto ; se solamente nell' arte de* suoni po-
terono i nostri maestri raggiungere un' eccellenza, che unica c*in-
vidierebbero i greci. E se in buona prosa e in buona poesia por
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poterono scrivere Botta,' Giordani, Leopardi, Colletta, Gioberti,
Mazzini , Cattaneo , Guerrazzi, Niccolini, Giusti, Manzoni....
GGXXXVH. Letteratura borgluee.
So , che a qualcuno non tutti questi ultimi nomi , posti cosi
alla rinfusa , nò altri di cultori delle scienze fisiche e matemati-
che , cui potrei aggiungere , piacciono. Suvvia , quali nomi possia-
mo noi loro contrapporre d' uomini , resisi nel terzo quarto di se-
colo testé spirato , parimente illustri ? Il periodo è troppo breve ,
dicono, e lo so anch'io: ma rispondo, che gli uomini in questo
illustri spettano i più alla vecchia generazione, e sono quasi eoe*
tanei a quegli altri prementovati; mentre della nuova, che altri
occupi il lor luogo, non v'è pur indizio. I giovani niaDcano, i
giovani , ripeto : e verranno anche questi certanìente ; ma quando
r luilia sarà uscita dalle vostre mani , o sarà per uscire. « Ri-
sorse, soggiungono essi di poi, non istà qui »: accennando a' li*
bri, come se i libri fossero una sepoltura. Ned io nego, che Tl-
talia non sia dalla viUi del pensiero tratta alla vita detrazione:
ma (lev' esservi cainim per questa e per quella ; e beli* azione dav-
vero , che le avete dischiuso voi ! Potessero i valorosi , anà che
su fredde carte, versar T anima altrove! Intanto que* pochi, che
smisero i libri per le cure di stato, patteggiando colla borghe-
sia ; se abbiano perduto Y ingegno , e qualch' altra cosa più pre-
gevole deir ingegno (e saprete voi quale) , lo vedremo appresso. —
Oh dunque è proprio vero, che in Italia non si scrìva e dod si
stampi più? — Si scrive e si stampa anzi più, che in passalo;
perchè un po' di mercatanzia, e se non altro di giomaK, s*è
fatta anche qui, per quanto meschina: però guardate, che merci I
Da' grossi volumi in fogUo, cui pubblica il così detto minisim
d'agricoltura, industria e commercio, con una pazienza benedet-
tina e con una s(iuallidezza francescana, ai testi di scuota, ci
raccomanda il cosi detto ministero dell' istruzione pubblica, coi
altre cenobitiche virtù; si va d'orrore in orrore. Né parlo degi
atti accademici, che sono [)er le accademie e non per noi,ivo-
fano volf/o; né di altre somigUanti pubhìieoMUmi (comprettk
mie ) , e cho non si pubblicano altrimenti , che per un modo di
dire. La vera pubblicità non ispetta, siccome possono i miei let-
tori vcriticare ne* cataloghi librari, che a un diluvio di
-349-
zacci mal iradc^ o mal imitati dal francese, di libricciattoli osceni
( de' quali ho qualche cosa toccato } ; e di giaculatorie , che , per
intitolarsi cattoliche , non cessano d' esser stu[Nde ed empie. Fatto
grave e deplorevole anche codesto, sebbene i critici borghesi noa
se ne diano pensiero I Perchè il diluviare sovra il povero popolo
d' istigazioni, invettive, pasquinate , oroscopi e durmerie in niodo
gratuito 0 semigratuito, e sotto forma di una pietà ipocrita e
d'una sedizione sfacciata; è tale, che, s'esso non perde il senno
e la coscienza, è proprio un miracolo. Vengono .poscia le opere
di dottrina e di letteratura, che godono una semipubblicità, e che
non la possono impetrare, se non cominacendo la borg^M»ia ne'
suoi gusti. Scelgono preferibilmente le prime per tema l'econo-
mia , la statistica , la tecnica e la ragioneria ; sebbene alcune anco
le cose naturali e in genere quelle, cui chiama il positivo secolo,
sciente positive. Le seconde , per non ridir de' romoim e degli
almanctcchi, si sdilinquono e si struggono in profili ^ in boMgetti
ed in altri letterari sospiri.
CCXIIVUI. Arte perdala di firn i UteL
Alcune opere più solenni e più commendevolis'intramettono
furtive in tanta farraggine: però notate bene, si direbbe, che an-
cor queste F alito graveolente del secolo conturbi. Se trattano di
cose naturali, sembrano poco più di descrizioni, coUettanee, rap-
sodie , elenchi e repertorii. I quali sono certamente utili agli stu-
diosi; ma ne' quali non si può dire, che la scienza (ordine si-
stematico di cognizioni } stia. Se di scienze ideali e sociali, spesso
0 in un solo e picciolo paradosso si risolvono , voltato e rivoltato
in tutte le guise , che manifesta una povertà di pensiero spaven-
tosa ; 0 in un' assoluta vanità , che unicamente per le parole strane
e le frasi contorte par persona. Accettano una veste , come si dice
ora , popolare : e fanno la popolarità consistere in una volgarità
e trivialità di dettato , che rende più perigUoso l' errore e più ol-
tracotante la saccenteria. La respingono : e allora lo stite , die
adoperano, è talmente rozzo e incerto, che non si sa, se lo si
possa chiamar stile ; avvegnaché né di m;igistero alcuno siavi trao-
da, né sopra tutto di personale impronta. L'uso o l'abuso delle
astrazioni, delle formule e de' cosi detti vocaboli tecnid risale
alla filosofia scolastica ed anzi a' bassi tempi. Oggkìl però è ginn-
— 350 -
to, per r imitazione tedesca, a un tale eccesso di prosopopea e
di /^ofTaggìDC, die non si sa più la più picciola inezia esprìmere,
senza qualctìe categoria, senza qualche epifonema e senza qual-
che neologismo. Sapevano gli antichi , con meno sicumera , assai
meglio i concetti più profondi esprimere ; e sopra tutto con um
l)reviti^,una semplicità e una lucidezza , che incantano. Oggi noi
solamente non debbono aver più veneri i trattati scientifici : deb-
bono anzi aver furie, per mettere ne' miseri lettori il raccapric-
cio. E cosi, mentre la mente degli scrittori sembra spossata od
ottenebrata d' assai , per fino Y arte di fare i libri è perduta. Con-
ciossiaclifi non puossi, che per un modo di dire, chiamar ìihri
certi zibaldoni, o certi mostri, in cui non havvi né capo, né co-
da, ed ove non si seppe dare a' pensieri non solamente grazia
ed efficacia; ma nò anco un naturale e logico svolgimento, b
fatti , se avessero gli scrittori nostri imitato i maestri loro famosi
col rendere i libri irti di locuzioni barbariche, di citazioni dob
necessarie e non sempre op{)ortime , e fin di nomi propri stam-
pati in testino o in majuscolo ; potrebbesi dire , che di que-
sta guisa vollero apparire studiosi e richiamar su' propri studi
un' attenzione stanca. Col sussidio d' un dizionario enciclopedico e
bibliografico poireblie per caso anche qualche ignorante rubar loro
il mestiere : ma almeno egli avrebbono raggiunto T intento. Il peg-
gio ò, che tutto il loro discorso procede anfanato e spasmodico;
e che troppo di frequente , i)erden(lo il filo, pongono in un guazza-
bnirlio di uote e d' appendici . che tal volta superano in mole il
testo, quello precisamente, cui doveano nel testo includere. Ou>nlo
l>oi alla lingua, che usano, se non la 6 sempre uno sgraziato gerffo
infcrnnzionaìc, di cui hanno ei soli la chiave; che la sia sem-
pre italiana è a dubitar forte. Sono om.*ii più di tre secoli, che
|H?I farneti(*n prima spagnolesco e poscia francesco, le buone let-
tere e la buona favella scaildero insieme colla nostra civiltà e col
nostro decoro. Ma, per non ridire de' molti, che pur le fiata-
rono in certi momenti alquanto; siamo ora a tal disordine, die
(|uasi si direbbe r italico ])ensare e parlare in dissoluzione. E dico
anche il pnisarc : dappoiclH"», acconciando le idee nosM alle vori
e frasi straniere , non può altriiiìenti accadere ( per qBClT ìotìM
nesso tra f)ensiero e parola, cui vanamente si nega), che grado
a grailo anche colle teste straniere si pensi. In fatti Io smarri-
mento del [HMisiero italiano nelle cose civili cosi irrepugnabOmenle
si mauifest:!, che (come in questo libro già si sente) il rieon-
- 351 -
giungervisi ci costa estrema pena. Tralasciando però questo ora,
che sorta di letteratura può mai esser la nostra, che si dee valere
d' una lingua morta, quando non la si vale d' una Hngua bastarda?
Scrivo tra rancido e barbaro anch' io , lo so pur troppo ; ma al-
meno avrei altrimenti bramato. E avrei forse scritto meno ranci-
do , se il colloquio de' cittadini avesse avvivato il -mio eloquio da
solitudine; e meno barbaro, se avessi tuttavia potuto essere in-
teso. Perchè pur troppo, pel predominio delle letterature stranie-
re , e sopra tutto de' giornali (che a dirittura copiano la sintassi
e non fanno altro, che mutar desinenza, ai vocaboli di fuora); noi
ci siamo disusati dal linguaggio de' nostri maggiori al punto,
che uno scrittore castigato e puro parrebbe oggi un gaglioffo e un
pedante. Ciò, che non toglie, se veramente avessimo degni scrit-
tori, che questi non dovessero scrivere a modo natio; e, cosi diven-
tando potenti, vincere col genio affascinante la nemica fortuna.
CCXXXIX. Difetti degU odierni autori.
Se non che sono veramente scrittori i moderni , o non piut-
tosto semplici compilatori; e sono opere le loro, o non piuttosto
semplici volumi? Tre virtù, a mio parere, costituiscono le doti
degli antichi scrittori; e per tre qualità si dimandavano opere le
loro scritture. Che in quelli il dotto non si separava dal lette-
rato, il letterato dal cittadino e il cittadino dall' uomo; e in que-
ste il sapere dall' arte , 1' arte dalla patria e la patria dall' azione
non si separava. Nel divorzio in vece, per la barbarica predomi-
nanza e la borghese tirannide seguito, rimasero, com'era d'at-
tentlersi, gli scrittori monchi e le opere vuote. Fin testé, sotto la
jienultima servitù italica, nel solo ateneo pisano poterono (esempi-
grazia) Puccinotti e Bufalini professare valentemente mexlicina, e
Forti e Carmignani giurisprudenza, dettando tutti in forbito ser-
mone. Oggi, spregiate le patrie tradizioni, poti*ebbonsi addurre
esempi di celebrali fisici e matematici, che non sanno connettere
due righe assieme correttamente; per non dire degli stessi lette-
rali, che fanno d'itali libri la critica in ostrogoto. Né solamente
fanno difetto gli studi estetici agli scienziati; onde non sono in
grado né di suscitare un palpito generoso, né di dare al vero
quell'unica veste, che gli si addice, il bello. Bensì anco gli studi
lìlosofici e storici (ijuando non sieno obietto della loro professione),
— 352 -
e per fino quelli scientifici, che colla disciplina professata vm
abbiano strettissima attinenza. Pure, senza quel patrimonio di
studi largtii e copiosi, che danno i fondamentali e generali ele-
menti d'ogni conoscenza; non è possibile nenunanco in qiie' fra-
stagli, a cui si vuol rivolgere le proprie ricerche e mercè cai
hanno tanta fama oggi gli specialisti, far molto di buono. Im-
perocché, anche fissando minutissimi obietti attentamente e ac-
curatamente, se il guardo non si distende altresì a più largU
orizzonti e non afferra il legame delle parti col tutto, non pnk
nemmanco d' essi soli avere una cognizione adeguata e perfetti.
E del resto, quando pur fosse il servigio di codesti sqpedalisti
buono , il merito è tal volta così controvertibile , eh' io per me
credo, a riuscire eccellenti in certi minuzzoli dello scibile, ri
voglia assai meno ingegno, che ad apprendere le più minute arti,
cui ninno apprezza. Non basta per altro allo scrittore esser cnko
e gentile, s' egli non è comi)enetrato d'amore per la sua patria,
ed intento a senirla con tutte le sue forze. Certo, egli è saoe^
dote del vero e del bello, universali ed etemi, cui deve dovmn
que ricercare e adorare , e in cui ricongiungere gV interessi dd
suo popolo a quelli delF umanità. Ma , s* egU non parla come i
suo popolo, non pensa con esso, non palpita d' esso . • . , non sega
d' acquistare la eccellenza degU antichi. I quali furono grandi,
perchè non divisero le sorti proprie da quelle delle proprie n-
zioni, di cui furono profeti e campioni; e per cui si può dire,
supplichino e militino tuttavia dagli astri. Per converso costoro,
rinnegando il genio del luogo, cui non si dovrebbe rinnegar mai,
s'anco non fosse il genio d' Italia; e con altezzosa burbanza di-
sprogiando, sotto nome di pregiudizi locali e di vanità gentilizie,
le i);issioni di quel |)opolo, di cui più* son figliuoli, calcano in vaao
la materna terra , che non rinnovella le forze ai falsi AnteL
CCXL. Abdicaiione dell» affido lettorarlo.
Se non che vanno più oltre : poiché rinnegano e dispregiaso
Uno il proprio uflicio, esercitandolo, non più come un liberde
tribunato, ma come una professione lucrosa. Di fotti (e me ae
ap|)elio a lor medesimi) da pochi anni in qua è accaduto oi
grave cangiamento nella condizione de' letterati italiani. Che,
uìentre questi [)rima nò di solito ricevevano, né generalmoBie si
— 353 —
curavano di ricevere guiderdone alcuno, e sfidavano di giunta le
censure e le polizie, le carceri e i patiboli per adempiere l'ec-
celso ministero; oggidì quasi non iscrivono più, se non sieno
pagati. Non dico io già, poiché le circostanze si sono cangiate ,
clìpei debbano sospirare il martino: bensì, che passar sopra a
ciò, eh' è a' nobili spiriti più grave, all' insulto o all' obblio d' una
schiavesca masnada, non sanno. Né dico pure, ch'ei debbano
riOutare la mercede delle lor fatiche (poiché non vi é anzi umano
lavoro, che più la meriti): bensì, che non lavorare soltanto pel
prezzo, e per quel po' di gloriola casereccia e fatua, che lo po-
tesse accompagnare. Oltre monti si usa anche di peggio: onde
vantansi le dovizie colà dagli scrittori accumulate e (intendendosi
per professione una fonte di lucri) anche la letteratura divenuta
professione. Qui le tradizioni erano, per la indomabile idealità
della nostra stirpe, contrarie: e qui tanto e tanto, non ci es-
sendo spaccio per questa sorta di merci, rimarranno i più favo-
riti non meno tapini di prima. Ad ogni modo, se i libri si com-
pilano, perché gli editori gli commettono, e questi non gli posson
commettere, se non vi é speme di lucro; é a temer forte, che
tale professione si cangi in mestiere. Imperocché gli autori in-
chineranno anzi tutto a compiacere la plebe legicchiaute e grassa,
e poc' 0 tro{)po ne accarezzeranno e ne assumeranno gì' istinti : e ,
assorti in siffatto traffico peregrino, giudicheranno il sopraddetto
tribunato una classica corbelleria. E cosi il popolo avrà perduto
i suoi ultimi precettori e difensori, che non gU mancarono in
tempi di maggiori nequizie; quando ì suoi savi e veggenti ne
rasciugavano le lagrime, e invocavano dagU uomini e dagli dei
vendeitiL Né per tanta perdita i letterati borghesi se ne avvan-
taggieranno: [ìoiché, divenuti al più al più grammatici o giufiari
do' nuovi tiranni , sentiranno essi tutto il peso deUa propria abie-
zione, mentre insieme si avranno di cotestoro le beffe. Che, se pur
vommno tuttavia restare gravi e scrii, per la separazione in loro
avvenuta tra scrittore ed uomo, saranno cosi melensi e nojosi,
da i>iirer fantocci di carta pecora rosi daUa tignuola. Svetonio
mostrò sino all'evidenza in Claudio, imperatore e filologo, come
si possa essere un grande erudito e un grande uomo dabbene,
essendo in pari tempo uno sciocco e un crudele ( Vite de' dodici
cesari, V). E cosi pure é seguito, s'abbia oggidì un genere nuo-
vo e bufi'o di scienziati, che, sapendo tante rare cose, queUe
più comuni del vivere ignorano; e di cui niuno saj^ebbe, che
23
- 354 —
farsene. Il qual genere è appunto quello, di cui la borghesia si
figura, sieno lutti gli scrittori: cioè uu misto tra il bimbo e i)
decrepito, V allampanato e il cogitabondo, V inetto e Y insulso, lo
scempio e il permaloso, il tisico & il deforme. Ond' ella, nel pro-
fondo del cuore dà la berta a tutti, come che alcuno per con-
passione ne sopporti , o per jattanza ne onori. Né pensa , esseri
eziandio o potervi essere scrittori non borghesi , che, addensando
nel petto tutt' i latenti popolari sdegni , faranno un di crollare il
suo trono di metallo e di fango.
CCXU. Altre colpe degU aatori odierni.
Dal difetto delle tre sopraddette doti, e massime deir ultiim,
è naturalmente proceduto, che i moderni scrittori (ben diversi
dagli antichi , eh' erano spesso guerrieri e magistrati , e dettavano
cosi come operavano, e non disgiungevano in somma la vita con-
templativa dair attiva), perdessero ogni prestigio ed ogni autorìlL
Questo difetto per altro a molte cause esterne si deve , non del
tutto a loro imputabiU, attribuire: ma eziandio a vizi, di cii
sono ei medesimi rcsponsali. i^ercioccliè non varrebbe loro addfl^
re in discolpa la tristizia de* tempi, s' ei debbono appunto esserne
i moderatori , e se anzi T av>'crso destino incita i forti alle nn-
gnanime imprese. Come per altro si può esser forti, se manca
quella fermezza di convinzioni e imperturbabilità di sentimenti,
a cui ora, [perduta la cosa, si è trovato il vocabolo; voglio dire
il carattere? Quan<lo il perpetuo oscillare e tentennare , il parlanp
senza concludere, il fare diverso dal dire, e il mutar pareri e
costumi a ogni buffo di vento, costituiscono una prerogativa de*
cosi detti uomini politici e pratici; è facile capire, come Tnooo
inteirro e saldo sia divenuto un essere piuttosto unico, che nftL
Sono del resto gli uomini di lettere quelli, che più a lungo $eh
bino codesta integrità e saldezza di tempra, ancor clie della sUt
di sacrifìcio non sieno più arsi. Tuttavia, per non dire de* via
d'animo, non si sarieno essi tanto degradati , se alcuni vizi d* in-
telletto avessero almeno saputo schivare; e cioè non si fossM
resi vassalli della cosi detta opinione e della cosi detta moda, e
conse<;uentemente settari ed esotici. È un giusto vanto del secolo
(luel possente accordo di voci intime e comuni, cui si denomini
|)opolare opinione ; e che , sollevandosi accusatore e vindice de*
- 355 -
torti, infrange ceppi e spade, come suono d'angelica tromba.
Ma in ogni cosa vuoisi modo e misura: e, se gli scrittori, anzi
eh' esserne i primi motori ed attori , si lasciano da quella rimor-
chiare, accadrà spesso, che piloti e passeggieri naufraghino; sic-
come nella Francia già più volte in questo solo secolo si vide.
So, eh' è mestieri di tutta quella originalità , cui i lettori miei
conoscono ornai per prova, a voler pensare o bene o male colla
propria tpsta. Ed a voler dire o bene o male quel, che si pensa;
contrastando al fiotto contrario nel fitto della notte e nel furore
della procella , senza che dal lito nemmanco un guardo d' ansia
0 <li pietà e' incuori. Pur, se gli scrittori non debbono esser al-
tro, che interpreti (come si suol loro raccomandare) o araldi de'
generali giudizi , avranno alla propria sovranità e maestà abdicato;
e correranno pericolo di non esserne alla fine, che i piaggiatori
e gli adulatori. Per non dire, che se ne potrebbono convertire
in corruttori e in coutralTattori ; siccome chiarirò io in breve, mo-
strando, qualmente la predetta opinione popolare non sia soventi,
che opinione volgare o borghese. Intanto, benché non fossero tutti
in questa vergogna, molti in quella già sono incorsi, di seguire
piuttosto i catechismi di setta, che i dettami di verità: la qual
cosa pure in seguito si farà palese.
CCXL11. Visi speciali degU sorittori itaUani.
Del resto la smania di seguire in ogni cosa l' andazzo del
tempo fa si di necessità, sendo questo mutabile, che non si badi
più, se non agli ultimi capricci e clamori. Bastò (per esempio),
che Carlo Darwin pubbhcasse in Inghilterra lo stupendo saggio
sull' Origine delle specie; perchè tosto qui in ogni lavoro e di
qualunque materia, magari anche di numismatica o dì gastrono-
mia, non si parlasse più, die di scimie e di « naturale elezione ».
Gl'insuperati esemplari dell'antichità giacciono nell'obhvione; e
gli stessi dotti i magistrali volumi, scritti prima della presente
generazione, degnano appena di menzionare. Rejetto tutto ciò,
eh' è degli avi , diventano del resto stantie anche le cose più re-
centi in guisa, che in breve volger d'anni, mutando pareri e
voglie, solamente le novità godono un effimero regno. In un solo
decennio, e nella sola poesia tennero tra noi la palma , e si tra-
scinarono dalle trionfaU alle gemonie Prati, Àleardi, Zanella, con
-356 -
una volubilità, che mette il capogiro, e con uoa noocuranza, che
inette lo spavento. Jeri piaceva la filosofia tale, oggi la tal altra;
jeri si predicava buona 1 economica scuola di Manchester, oggi
quella d' Eisenach; jeri divina la melodia italiana, oggi T armonia
tedesca, e via via. Domani oh chi mi sa dire, cosa si crederà,
e su che si giurerà? De' quali erramenti deUa moda non sono
gli scrittori, che pur ne soffrono scorno, incolpevoli; perdiè eter-
ne non ponno essere , se non le cose vere e belle : mentre à di-
rebbe, che a loro, come alle semplici femminette, non piacciano,
se non le nuove e forestiere. Diasi un' occhiata ai libri di scienia:
e, quantunque si zeppi di citazioni, veggasi come, oltre T auto-
rità, sin la fatica de' vecchi sia posta in non cale. CaiMsco, che
in certe discipline Y avanzamento odierno gli abbia lasciati io
dietro assai. D'altra parte, che i cultori delle medesime ignoriDO
per sino i loro predecessori , e non curino que' primi passi nelli
via del sapere, che racchiudono spesso la divinazione de' futuri,
è un po' troppo. Pure è cosi : tanto costoro non badano , che al-
l'ultimo verbo della stampa o della cattedra, non ostante che
possa essere fallace anch' esso ; siccome chiaramente si vede dalle
facilità odierna d' escogitare od evocare teorie e sistemi , che poi
vanno giù rotolando pel precipizio dell' oscurità. E , poiciiè natu-
ralmente, parte per la decadenza de' nostri studi e per la nostn
bassezza, e parte pel prestigio delle altrui armi e per T altrui
superbia, il verbo non dev' esser solamente ultimo, ma peregrìnoc
altro ornai non ci resta, se non d' interrogare gli oracoli e festeg-
giare i reduci del boreal Delfo. Con che io non intendo, che doo
si debba dagli stranieri apprendere tutto quello, cui sanno: ami
vorrei , che veramente s' imitassero ed emulassero. Da questo perb
al dispensarci di stutliar noi, i)erchè studiano essi, al riprovare
tutte le cose nostre, per esaltar le loro; e, per sapere un po' di
tedesco, al credersi doventati issofatto altrettanti baccalari, ri
corre. E nondimeno mi sarebl)e tropix) facile provare , come uni-
camente per quest'ultima supi)ellettile , cui io del resto debbo
invidiare lino ai valletti d'osteria, ai ciceroni di piazza e alle doo-
ne... cattoliche; poterono molti, e senza che neppur sapessero
valersene a compiei^ tniduzioni corrette o compendi felici , acqui-
stare grande nomea e maggiore arrog:mziì.
— 357 —
CCXLni. SoMlft borglufe.
Dopo ciò 9 chi non si lascia dagli orpelli abbarbagliare, dovrà
mmettcre la decadema della coltura , dell'ingegno e del pen-
iero italiano, non soltanto in paragone delle pristine glorie; ma
inche delle postreme ignominie. E , se in ciò non si ravvisa in-
lontanente il mortifero effetto della borghese industria od almeno
Iella borghese accidia , potrei dispensarmi d' ire innanzi. Imperoc-
he dovrebbesi già a quest' ora aver compreso, come F annienta-
nento dell' idealità e F abbassamento delF intelligenza , il predo-
ninio deir ignobiltà e V orgoglio della rozzezza , V ammodernar
nento e lo straniamento ( se lice così esprìmermi ) e tutt' i guai
opra notati, sieno le sorgenti e le forze del suo impero anonimo
I zingaresco. La qual cosa, se non lo è già, sarà in seguito vie
nix manifesta; quando meglio chiariremo, come T usurpazione del
erzo ceto sì consumasse tra noi , dopo snaturato il piÀblico reg-
gimento, travolgendo la nazionale civiltà. Qn , poiché giova cono-
cere i suoi propri comportamenti verso la intellettuale coltura;
, per conoscergli, sapere, com'esso o i suoi pedagoghi e dilet-
nti r abbiano diffusa e protetta, parlerò delle scuole e Ae'meee-
\ti borghesi. Se per tanto il grado e il favore alle scude con-
isi si desumessero dal novero degl' istituti e degl' istitutori , po-
bbesi dargli il vanto di provvido: non certamente, se il crite-
e r indirizzo seguiti. Avrebbevi voluto, per sopprimere affatto
mbblica istruzione, molto coraggio e. molta sincerità: eh' è
isamente ciò, che gli manca. Onde non gli restava, che umi-
i, confonderla, barattarla, e fame in somma tutto quel di
io, cui si possa immaginare: acciò non la ci fosse, e paresse
erci. Né voglio dire delle condizioni economiche de'mae-
perchè , se le raffronto a quelle de' magistrati , le mi sem-
, stavo per dir, papali. E perchè ad ogni modo que'tali,
povertà schifano come una maledizione, hanno agio d'at-
\ ad altri lucri; e ne ricevono lode. Né deUe condizioni
e: perchè basta, che non facciano lezioni, e sono certi
ere una commenda; e, se le vogliono fare e valenteroen-
si certi di non ricevere un biasimo. Possono per fino
beri coloro, che fermamente lo vogliano; dappoiché, non
il pubblico, sono da' loro aristarchi, che non necapiseono
- 358 -
un jota, rispettati. Quando un professore di matemaiidie ha ii
cert' aulico dicastero per superiore un calligrafo, e un protessm
di leggi un flebotomo, sanno naturalmente di non esservi noti «che
in grazia del Calendario del regno. Migliore felicità a questi
tempi non potrebbero raggiungere, e non hanno diritto di biMft*
tarsene. Quanto a' supremi proposti di quel dicastero , hanno bei
altri pensieri in capo, che di por mente a loro, aU' islnmoae,
alla scienza e ad altre simili frottole istruttive e scientiiìche. U-
sciando adunque il dire de' maestri ed anche della direzione seo-
lastica (ne' quali e nella quale si nota il medesimo sistema, che
con tutt' i pubblici ministri e la pubblica amministraziooe, gii
innanzi esposto); dirò degli ordinamenti soltanto.
CGXLIV. Guai dell' irtnuione saperiora.
Vi erano in Italia pegli studi più insigni alcuni stabilimeoti.
che, nati insieme co' nostri comuni, possedevano nelF ordine coo-
templativo le medesime franchigie di questi neir ordine attivo. E
cosi vigorosi, che poterono a questi sopravvivere, e serbare del-
r antica libertà qualche vestigio ne' più calamitosi tempi , e pre-
nunciare altresì Y alba dell' attuale risorgimento. Se non che vi
era altresì nella borghesia moderna un odio profondo contro di
essi : e fu più volte manifestato da' sindacatori de' suoi bìlaod e
da altri ragionieri , che sogliono ora di queste cose giudicare. I
quali, per ischiacciar negli , addussero più volte, che po' poi de-
V istruzione superiore non caleva tanto; quanto dell* inferìfliVi
che vedremo tosto qual è , e poteva senza di quella essere. Nan-
ralmente l'istinto di mediocrità, proprio della borghesia, sfìegi
coUile odio contro l'alto sapere, cardine dell'umana intelligeaB
e propugnacolo della civil dignità. L' altra ragione però è, ck
codeste letterarie repubbUche ordinate, voglio dire le umivenHà
propriamente, le davano gran noja. Non le sapendo comprendere.
0, compresele, avendone paura, pensò in poclìi anni, secontoil
flusso e il riflusso delle ondivaghe opinioni, a disfarle o rilitfkt
a sconnetterle o rannetterie , a svecchiarle o invecchiarle, ptf ^
ridurle in qualche maniera al lumicino. Prima le ritene^'a Wfl^
e poi ne contralTaceva altre; prima, per imitar la Francia, inl^
deva fonderle in una; e iK)i, per imitar la Germania, sdmkHt
in più. Fuvvi un momento, che le voleva, coramella dioeat co*"
-359-
vertire in scuole professionali; perchè a sua detta gli studi più
sublimi richiedeano altri stabilimenti. Cliniche cioè, musei, gain-
netti 9 dove la suppellettile stesse in luogo degF insegnanti ; e luoghi
centrali , dove non vi fossero tradizioni di sorta , e dove ^ inse-
gnanti potessero ad altri affarucci attendere. Oggi le vorrebbe con-
vertire in scuole speciali, dove possa qualche suo làvorito regnare
come un satrapo accademico o un despoto pedagogico: domani non
so in che cosa. Si additano ancora ad esempio (dacchò il fascino
delle vittorie di Sadowa e di Sedan non s' è dileguato) le univer-
sità germaniche, le quali ebbero gli ordini liberi dalle nostre
antiche. Ma in elTetto né d'ordini italiani, né di libertà, quan-
tunque tedesca, si vuol punto saperne. E cosi grado a grado delle
università italiane rimangono ancora i nomi , le stanze, le cattedre,
le matricole, le lauree, i diplomi, le tasse, e sopra tutto le tas-
se: la sostanza, non occorre dirlo, se n'é ita {Legge de^ 13 no-
vembre 1859, 47-187).
CGXLV. Chiai déU' irtnilme i
Quando la superiore istruzione manca, e mentre non d sono
altri mezzi per dispensarla e favorirla, che gV insegnamenti uni-
versitari; naturalmente avviene, che certi studi debbano essere
abbandonati o negletti , e che il popolo di que' huni e di quelle
glorie si privi , che potrebbono la sua grandezza fondare o deco-
rare. Rinunciando per altro alla medesima, gli si avrebbono po-
tuti lasciare almeno quegli adornamenti, che formano o salvano
la sua gentilezza. Se non che , avendosi anche codesti in detesta-
zione, non si risparmiarono accorgimenti, perché la venisse an-
ch' essa meno. Erano per fermo i nostri licei e ginnasi cose
antiquate ; sebbene da' medesimi e dagli stessi seminari e convitti
uscissero alunni ignoti, che ora, quantunque invecchiati, sanno
di greco e di latino , d' eloquenza e di logica qualche cosuccia
più de' nuovi celeberrimi professori. Poterono anzi in grazia di
quelle anticaglie qualche gentUezza di modi e di detti, di gusti
e di pensieri apprendere e mantenere; e sopra tutto il culto della
patria custodire ed alimentare. Ora in vece la scienza peregrina
e r economica signoria consigliarono e prescrissero ben altro.
Prima di tutto dimezzarono l' istruzione media per la cosi delta
istruzione tecnica; parendo loro questa naturalmente la cosa di
- 360 -
maggior momento. Né che vi fosse mestieri per averla di quelle
belle lettere e di quelle umane discipline, cui gli antichi nostri
mercatanti, da Boccaccio a Davanzati, furono cosi semplici da
pre<^are. E vi riuscirono del resto talmente, che per imparare
un po' di lingue vive, di meccanica, d' ingegneria e di mercatura*
debbono tuttavia i nostri borghesi mandare i Qgliuoli ne' collegi
di Svizzera e d'Inghilterra. Poscia nell'istruzione non tecnica,
e cui chiamano, non so bene se per misericordia o per beflii,
classica, ridussero le cose a tal punto, che, se non la è dati
per togliere la mente a' giovani e per agghiacciarne il cuore, dod
so, per quale altro scopo si dia. Ammetto la buona fede : ma i
facile capire, come tanta congerie enciclopedica entri in un orec-
chio ed esca dall'altro senza lasciar nel capo altra traccia, se
non uno spossamento e uno scombujamento inesprimibile. £ come
non v'abbia altro risultato, né altro possa avervene, se non una
specie nuova di tortura, crudelmente inflitta all'età de' più fervidi
affetti e delle più dolci speranze. Pretendendosi, che con dùjpa-
rate attitudini e vocazioni , la gioventù abbia ad ingojare e smal-
tire tante scienze o scientilìche nomenclature, non si ottiene, ri-
peto, niente: fuor che dissiparne le forze intellettuali, Uaccaroe
il carattei*e e inaridirne Y anima. Onde avviene, che i meno o i
più rovinati giovani, che da' licei e ginnasi escono, posseditori
di qualche tintura da scioli o belletto da saccentuzzi, le ingenite
forze dell' ingegno e del cuore perdino, e sieno a tre lustri già
da sonil gelo assiderati. Uomini veramente e cittadini eletti dob
avrebbero potuto uscirne , se non cogli studi storici , filosoOd e
letterari. Se non che (luesti, già il dissi, sono lasciati in tolto
queir abbandono o subiscono tutto quel tradimento, che a questi
tempi si meritano. Studino i giovani piuttosto la teoria arem
de' linguaggi , che saper parlare e scrivere correttamente ; e bt-
ciano piuttosto certe notomie archeologiche e filologiche sogli
antichi scrittori , che trattargli com' esseri vivi e affiatarsi seco
loro. Badino sopra tutto di rigettarne i sentimenti : perchè qoesti
antichi sono ognora molto pericolosi al mondo, e non si potrebbe
mai dire a pieno tutto il male , che commisero. Con quelle loro
fisime patriottiche e liberalesi^he, con que'loro decantati Dioa^
Timoleonti seiido i naturali nemici della mercantile baronìa, ab,
so si potessero <lisiruggere !...
- 361 -
CCXLVI. Guai dell' istnuioiie inferiore.
Bisogna esser giusti: non ha (lessa piii implacabili avversari
de' classici scrittori ; né accusatori, né punitori, cui piii debba te-
mere. Non giungerà, é vero, a impedire, che, ravvivandosi il lor
cullo, ricordi il popolo i suoi maggiori e ricovri le sue virtù: in-
tanto, per tirare innanzi alla giornata, ha mille ragioni di fargli
abominare e vituperare. E in ciò é servita da' propri grammatici
e pedanti meglio, che non lo fosse Tiberio dalle 8j)ie di Sciano,
quando gli levarono d' innanzi quel Gremuzio Cordo, cotanto im-
portuno lodatore di Cassio e di Bruto. Per altro il classicismo non
istà solo negli scrittori, ma serpeggia in tutte le vene del popolo
italiano: ed èqui principalmente, che bisognava schiantarlo. Men-
tre dev' esser contento di servirla, e di lasciarsi spremere docil-
mente, che non gli frullasse alle volte il ticchio di ridivenire un
popolo d eroi! Si capisce di leggieri, come lo spirito eroico
e lo spirito borghese sieno i due poh opposti del mondo mo-
rale umano; e quinci spiegasi tutto quello, che la regnante bor-
ghesia ha ordito per la popolare educazione. Siccome la giusti-
zia é un debito anche pegU avversari, non nego, ch'ella abbia
cercato o tentato o promesso di dilTondere T istruzione inferiore.
Vi sono ora in falli più insegnanti e meno illetterati, che in pas-
sato ; sebbene, dopo tanto vociare d' insegnamento obbUgatorio e
gratuito, la provvidenza stia assai lungi ancora dal bisogno. D' al-
tra parte ella teme gli alti , non i bassi studi : un mezzo qualun-
que di modellare le menti a modo proprio ne francava la spesa;
e, quando si dissero le prementovate battaglie di Sadowa e di
Sedan vinte da maestri di scuola, giovavate assecondarne il grido.
Per verilà, ella avrebbe polulo co' preti delle campagne estendere
issofatto le sue scuole dovunque, con minori dispendi; e procac-
ciando altresi un sollievo a quella povera plebe sacerdotale, cui
lasciò dair arislocrazia episcopale e dall' autocrazia papale oppri-
mere. Non avendo in vece avuto né la forza di fare arar diritto
la chieresia, nò la voglia, naturalmente paventò, non che il po-
polo rusticano si corrompesse col falso cristianesimo ; ma che dal
suo giudaismo si alTrancasse. Intanto però non ha potuto, né bra-
mato impedire, che i parroci restino di esso i più vicini magi-
strati e i più intimi maestri; e che, vie più ingolfati nell' ignoranza
- 362 -
e nelF abiezione gli ammanniscano quella sorta d' educazione , coi
si può di leggieri immaginare.
CCXLVII. Triste edncasione impartita al popolo italiano.
Tre quarti della nazione, a dir poco, non ne ricevono altra:
il che vuol dire, che non solamente di virtù civili, ma né di ve-
runa specie odano consiglio, veggano esempio. SI bene di prt-
ticlie e di cerimonie, colle quali si può fare a meno d' amore e
di probità; confessando i peccati veniali, osservando le feste co-
mandate, ed empiendo devotamente il ventre a pasqua e a natale.
Restano gli elementi del leggere, dello scrivere e del conteggiare,
co' quali r uomo resta quel di prima, e il cittadino non comincii
a divenire ; e ne' quali si fa ora la popolare educazione consistere.
— Ma dunque dovremmo insegnare anche a' contadini un pò* di
Tito Livio e di Plutarco ? — Tutt' altro : anzi, se credete, fate a
meno anche di quegli elementi; i quali offrono meri strumenti al
conoscere, senz' aggiungere , ripeto , niente alla mente , niente al
cuore. Insegnate piuttosto loro i buoni e forti costumi: e più
co' monumenti e cogli spettacoli, che co' libri e colle lezioni; e
più co' fatti, che colle parole apprendete loro una sola di qoelk
idee generose, che possono esser germi di generose opere. Che
avete voi fatto in vece pel povero popolo delle campagne e deUc
città; ossia che non avete fatto per estinguerne tutt'i nobili seo*
timenti, per accasciarlo e istupidirlo, e ( se aveste potuto ) per ii-
ferocirlo e abbrutirlo? Gli avete, è vero, spalancato i tribunali per
sollazzo: ma, intercluse le altre palestre della pubblica vita e ia*
terdettigli i negozi civili, altri ammaestramenti colà non gli of-
ferite, se non che la colpa non è sempre deforme, né la giustiiii
sempre vittoriosa. Ne' teatri e fuora gli date quella sorta di sftir
tacoli, cui vedemmo: ma gli avete chiuso i monumenti eretti eoi
genio e col braccio de' suoi avi, i monumenti suoi ; e, tranne qui-
che ora ne' dì festivi, gli fate pagar la gabella sin per vedergS.
Nelle scuole gli strappate il catechismo della dottrina cristiaM^
che (non v'ha dubbio) i)otrebb' esser migliore: ma gli donate il
cambio ... il libretto della cassa di risparmio. Sono amine le-
nerelle <]ue'cari fanciullini: si schiudono alla vita piene d'impelo
e di fede; un lieve urto basta per ischiacciarle , un lieve soflo
l»er isi^egnerlo. Non im|)orta : si avvezzino nel guscio a pregive»
- 363 -
prima di tutto e anzi in luogo di tutto, il danaro; e penetri in loro
sin dair infanzia non Y anelito del dovere e del sacrificio, si il de-
mone della cupidigia e del guadagno. Qual meraviglia ora, se i
volghi sprofondati nella miseria, e insieme spogliati della rasse-
gnazione e stimolati air avidità, ci si rizzino contro colle pupille
accese e co' pugni tesi ? In diciott' anni ( che tanti corrono dalla
costituzione del regno ), educandola co' sentimenti, che sono entro
questo volume e nel seguente sparsi, si avrebbe ora una gene-
razione d' uomini onesti e sobri, séhietti e prodi, fieri e liberi, da
rifar T Italia. Questo non si voleva: e pertanto era troppo poco
lasciaria nell' ignominia deir antica servitù. Occorreva di giunta
scuoterne satanicamente le credenze, senza surrogarvi principio
alcuno robusto e fecondo ; portarvi anche negl' intelletti T anarchia
e il caos, e tuffarla sistematicamente nelle piii basse e vili pas-
sioni. Doveva in altri termini la novella generazione essere as-
sassinata: e lo fu.
GCXLVni. Fanatismo pegli attori di teatro.
Se tali gr insegnamenti impartiti al popolo, facile è indovinare
quali i favori concessi alle scienze, alle lettere ed alle arti. Dalle
quali ultime facendomi, ben si vede nelle arti del disegno essere
la nostra decadenza grave ; e appena appena la scultura ( come arte
classica per eccellenza e per necessità, che ha di poclii mezzi
materiali e tanto più d' una squisita ideaUtà mestieri ) non poter
perdere affatto neir itala terra il seggio. Essa però e V architte-
tura e la pittura come possono fiorire, se non vi sono più né
chiese, nò monisteri, nò comuni, né cittadinanze, né signori, né pre-
lati, né magnati, che ne commettano i relativi lavori ? Vorrebbonsi
per fino sopprimere le accademie^ ov' elle hanno modo di cam-
pare come piante tropicali in serre riscaldate; allegando, che le
officine sarieno più acconcia sede. Il che in massima non nego
io: ma in qual modo possono le officine risorgere, se mecenati
di nessuna sorte non ce ne ha più ; e se alle plebi arricchite ba-
stano la fotografìa e certe minuterie chinesi e giapponesi, né
sanno di statuo, di monumenti e di quadri, che farsi? Gli artisti
sono assai più scusabili degli scrittori, se la contrarietà del se-
colo grossolano e spilorcio avvilisce e doma. Perché anche i po-
veri, con qualche stento, possono pubblicare un libro: le arti
- 364-
belle in vece, senza mezzi materiali e tal fiata costosissimi, non
si possono coltivare. Sarebbe certamente meglio, che i popoli e
non i principi fossero mecenati: ma pur pure alcuno di qualdie
sorta ce ne vuole. E la è bene una crudel facezia de' nostri eco-
nomisti il raccomandare le predette arti alla libertà de' cambi ed
alle leggi dell' offerta e della richiesta; se, per quanto le s'of-
frano, ninno le richiede, e ninno anzi le stima. Non dico, che
alcun borghese, tanto per atteggiarsi a successore degli antichi
gentiluomini, non metta insieme alla peggio qualche suppellettile
artistica od antiquaria. Oltre però tenerla bene rinchiusa per tema,
eli' altri non glie la rubi col guardo, grandi atti del resto di mu-
nificenza si possono contare! Guardate, in tanto vantata opulenza
ed eleganza, le spese larghe, che si fanno, e che sorta di splen-
dore ci sfolgora negli occhi! Entro le case alcuni ninnoli leggia-
dri, nc'quahvi è c^rta rafiinatezza altre volte ignota; e ne* quali
l'arte vera non hìh. Fuori, non si dice già d'alcuni, che T aite
moderna s' è ricoverata negli opificii, nelle macchine, oe' cantieri
e nelle strade ferrate ? Vi è per altro un' eccezione a fare per le
arti del teatro, e particolarmente per la musica: la quale, ac-
cessibile a maggior copia di gente e acquisibile in tante minute
quote di prezzo, fu 1' unica sotto la borghesia fiorente, e per ciò
merita esser detta arte borghese. Ma la quale io ho uo gran
dubbio, abbia la medesima eccellenza civile delle altre sorelle;
considerando, che attese gli ultimi e iniqui tempi per prosperare,
cullò la recente servitù nostra, non s<^ppe ancora intonar l' iooo
deir italica redenzione degno, fu dalla borghesia esaltata (eoo tale
un' esagerazione, di cui non possono, se non i posteri recar gin*
(lizio), e tinalmente mostra d' avere in sé qualche cosa d' effimero
e di fugace. In fatti oh com' è, che, mentre il gusto e il piacere
delle altre è perenne, invecchia ella si presto, che già di Rossini
non si rappresentano più sulla scena, se non il Barbiere di Si"
viglia, il Guglielmo Teli e il Mosè^ e appena di Bellini b
Norma e di Donizzetti la Lucia di Lammermoor? Pognamo^dif
mi i^ìccia velo non so ({uale odio catoniano, istillato da qua' tempif
in cui si farneticava dietro alle c^uiore deità, e da questi, io coi
le rubano il plauso a tutte le altre arti e virtù. Pur non mi par
d'essere in^'iusto: poiché, mentre per ogn' altra forma dd belio
non \k più, che incuria e sprezzo, e una battaglia vinta ooo
darebl>e onore e mercede pari a un melodramma ap|daudito; i^
altro fervore veggo di vita pubblica, né altro entusiasmo, che
-365-
ne' teatri, ove tocca i confini del delirio e del parossismo; io ho
ragione di temere, che si sia perduto e si abbia voluto perdere
a bella posta modo e misura. Certo ^la odierna fortuna degli ai-
tori teatrali , e sopra tutto delle <c acclamate dive » ( grande in-
sulto alle misere plebi, e gran smtomo di decadenza ), assomiglia
un po' troppo a quella de' mimi e degl' istrioni nella decaduta Ro-
ma. Dove Esopo e Roselo, Batillo e Pilade, che sarebbero stati
sotto la libertà infami , colsero nella licenza e nella comune igno-
minia i lauri e i premi de' capitani e de' trionfatori posti a morte.
GGXUX. BmtaUU Teno le lettere e le artL
Se si rammentano , io non dico i tempi de* nostri magnifici
signori; ma anche solamente quelli, che precessero la invasion
gaUica e borghese (quando in ogni città e in ogni palagio vi e-
rano gallerìe e musei, parecchi de' quali ora, alienati e trasmi-
grati, formano il vanto delle straniere corti), credo, che poco vi
voglia a constatare de' presenti la sordidezza e la goflàggine. Non
ostanti le provvisioni o le inibizioni daziarie , da vari anni in qua
un infinito tesoro di cimeli estetici e storici , l' oro britannico e
moscovita trae fuora da questa sventurata patria del genio. QueUi
delle corporazioni religiose si dileguarono prim' ancora , che il fi-
sco vi mettesse gli artigli ; e da molte case esularono fin le armi
e le immagini degli antenati , per servire di prove araldiche e ge-
nealogiche a qualche rigattiere parigino. E, se Napoleone RI, ap-
pena vinto , non ci avesse con sollecito accorgimento e figliale trepi-
dazione ceduto tosto il Palatino, .sarebbero fin que' ruderi in mano
di qualche società anonima passati, che avrebbe messe aU' incanto
la sede de' cesari e la culla di Roma. Ma, che dich' io, se già
ne' i)Oclii anni , da che Roma è nostra , s' è lasciato aOa Germa-
nia comperare alla sordina quasi tre quarti del Capitolino? Poi-
ché fino quel sacro colle , rocca e tempio di tutta V umanità (dico
il Campidoglio)^ è divenuto in buona parte un podere tedesco, che
vi manca dunque , o bastardi , per vendere anche le ossa de* vostri
avi ? Se ne potrebbe, lo sapete , fare gettoni, spilloni , bottoni ; e trar
vantaggio nelle raflìnerie di zucchero e in altre vostre premiate e
privilegiate concie. Né mancò tra voi chi le adocchiasse con cupido
sguardo , lamentando il vecchio romano pregiudizio, che ne divieta
il conunercio ai mortah. Or, dacché non si tratta più, che di cooh
- 366-
mercio , e nelle arti è cosi misero ; s' immagini quello , cui si può
nelle scienze e nelle lettere fare , o cioè in prodotti immateriali e
impalpabili I Qui la incuria e lo sprezzo giungono a tale , che fio
coloro, che aver dovrebbero per pubblico ufficio o per pubblica
dignità obbligo o interesse di provvedervi non se ne hanno oem-
manco per intesi. Qualche spesuccia solamente per tenere in sem-
bianze di vita alcun corpo ac^demico , che sia bene incadaverito
e mummifìcato. E sopra tutto per allestire spedizioni e mostre,
saggi e concilii d'ogni quisquiglia, che vengano in capo a certi mat-
taccini scientifici e cattedratici , incettatori assidui e instancabili di
nastri e di pranzi. Ornai si può scommettere , che , a cui venisse
il ticchio d' aprire un' esposizione di fibbie da scarpe , di cuiBe
da notte, di trappole da sorci e di qualunque altra escogitabile
bagattella, e d'indire un congresso de' rispettivi bagattellieri , pre-
sieduto da qualche alto personaggio, gli riuscirebbe pomposa-
mente. In altri tempi lo si sarebbe chiamato con poco garbo no
ciarlatano : oggi non gli mancherebbe il grido di <c celebrità eu-
ropea », nò un lauto festeggiamento, né un diploma civico, né
un' insegna cavalleresca , né in seguito la sedia curule. Se io
vece osasse presentarsi tra codeste larve mascherate un uomo
smascherato; pognamo, che fosse il divino poeta, Io scaccie-
rebhcro come un profano e un importuno. Né i bilanci dello stato
( e invoco il giudizio degli stessi consiglieri della corte de' con-
ti, eh' é il supremo tribunale della borghesia); né i bilanci dello
stato consentirebbero, gli si pagassero cinquemila lire quelle sue
canticlie atrabiliari, che non lasciarono morir l'Italia. — Per
altro non hanno finalmente i nostri finanzieri dischiuso una grande
palestra agf ingegni di questa e fin delle stranie contrade, co
sessanta secoli attesero sin qui in vano? — SI, io mi dimen-
ticavo <U ricordare , eh' eglino con inaudita liberalità bandiroDO-
un concorso e proffersero un emolumento non di cinque, mi
di cinquantamila lire a chi avesse per la gabella del mactoato
trovato il cantatore o il pesatore meno scorrevole. Registro a-
dunque qui, per debito di giustizia, una data memorandi ne*
fasti della magnificenza borghese^ il 31 luglio 1876: quasfio
il termine di tale olimpiade degna de' tempi awerossi, e bei
centoquaranta prodi si erano presentati in lizza.
-- 367 -
CCr^. stampa preorolata.
Non s'aspetti lo scienziato italiano altri premi , che questi
sulla farina degl'indigenti e per questa sorta di molende; né
altri il letterato , che orrendamente , se possibile , peggiori. Impe-
rocché , che vi siano o fossero scrittori prezzolati , lo hanno detto
tanti, e delle opposte fazioni, che bisognerebb' essere stati sordi ,
per non averlo udito. Vi sono tuttavia più modi per indettare i
discorsi e compilar le penne, che appena si possono tutti avver-
tire. Patti e capitoU co' giornalisti, a cui si concede l'inserzione
lucrosa de' pubblici annunci sotto certe condizioni ; onori e ricom-
pense lasciate intravedere a' piii facili e discreti ; comunicazioni
e cenni di notizie preziose e rare, che non si attingono, se non
da certi luoghi, e che agevolano lo spaccio; e in fine pensioni e
mancie a dirittura. Chi è in grado di negare, che od uno od al-
tro 0 lutti questi mezzi non si adoperassero ; e che altri scopi non
si avessero, se non di surrogare lo stimolo della cupidigia allo
stimolo della verità in coloro, che dovrebbero della verità esser
sacerdoti ? — Ma di dare un tal quale impulso e avviamento alla
stampa periodica e alla opinion pubbUca, specialmente co' nostri
ordini politici , vi è assoluto bisogno. — Ebbene , vedremo ap-
presso, quali servigi la stampa venale e l'opinione artificiosa ren-
dano allo stato : intanto mi si deve accordare, che ciò non certo
per favorire le scienze e le lettere ha luogo ; si per la cosi detta po-
litica. E , poicliè lo stato è legittimamente (secondo i predetti ordi-
ni ) in mano d' una o d'altra fazione, ed anzi del maggior drappello
d' una ; che questo altresì si proponga ed abbia i mezzi e i poteri
di travolgere la popolar coscienza, siccome anco d'esserne da
sezzo travolto. Dovendo però di tale argomento in altro luogo
trattare, e supponendo qui, che i compratori e i venditori della
produzione letteraria sieno onesti; converrà pure ammettere, che
tale mercimonio non si concilia colla dignità di veruno. Da cui
naturalmente io scevero gli scrittori sovvenuti dal pubblico per
opere di scienza ; perchè anzi credo, omai in Italia queste non si
possano più stampare senza una pubblica sovvenzione , che natu-
ralmente non si dà. Fuori delle medesime adunque , non pagano i
reggitori, che f)er essere serviti; né gli scrittori, se pur meritano tal
nome , servono , che per essere pagati : e una convinzione mercan-
-368-
teggiata , benché possa essere veritiera j non è più disinteressata.
Or ( vedete quant' io rifugga dal razzolare neUe immondezze ) dì
tanti scrittori salariati in una o in altra guisa , cui si menzio-
narono, e del cui salario si allegarono documenti, non ono ne
vuo' nominare ; e non uno supporre , che non sia stato con la sn
ragione convìnto di ciò, per cui ricevette mercede. Perchè, se le
mie ossa dovessero un giorno esser confuse nella comune fossa
con quelle dell' assassino e del parricida, così non mi dorrei; co-
me d'avere a fianco uno di codesti sicari della verità e traditori
della giustizia , se mai ve ne furono. Non conoscendo in solla terra
esseri più detestabili , nò mostri più schifosi de' ciarloni , che so-
stengano per prezzo il torto e combattano il giusto; mi ripu-
gna il credere, che un solo ve ne sia in Italia. Se fosse altrimenti,
com'è stato detto, e che, facendo frodo ai bilanci, dalle tasse
sulla prostituzione si traessero i danari per rimeritare quest'altra
infamia ; in tal caso , dico , che nemmanco Radamanto avrebbe
potuto essere più arguto giustiziere. Laonde , poiché non possiamo
que' bilanci di verun' altra giustizia lodare , di questa converrebbe
aiTrottarsi a lodargli. Che, facendo passare i frutti del traflBco
del pudore al traffico della coscienza, avriano essi almeno con le
loro inflessibili cifre mostrato , come una sola mercede potesse ìi
ignominia superar la mercede delle femmine svergognate : quella
degli scrittori venduti.
CCIJ. Infélìoe oondiiione del oommerdo litearb.
Se lo stato provvede di questa guisa alla intellettual eolinn
della nazione e alle più pure e imperiture glorie, cui potrebbe
godere ; pronta è la scusa de' nostri economisti. — I principi me-
cenati occorrevano , quando il popolo non ci era : ora anche i li-
bri son divenuti merci, e, piacendo, troveranno acquirenti a josa,
che ne daranno il valsente. — Se co' mucchi d' oro , ris^modo io,
credete di suscitare gli scrittori grandi , v' ingannate da vantag-
gio ; giacché solo le passioni grandi gli possono ispirare. Le qnA
non sorgono ne' loro petti , tranne che sapendo eglino non iìàatìi
i loro studi, né vane le opere loro. Voi in vece (e lo vedremo)
gli reputate teste cervellotiche , ^'li rilegate nel regno de' sogni ;
e gli opprimete come vostri nemici o, eh' è peggio, gli
zate come vostri buffoni. Ciò non ostante, entrando oelli
- 369 -
vostra mercatanzia , come volete , eh' ei possano contar sul popolo ,
cui lasciaste assopito e rendeste più incolto e povero, e che sul volgo
dorato , che ama ben altra sorta dì letture o non ne ama alcuna ?
Odo generale un lamento contro gli editori italiani, come di gente
inetta al mestiere e avida di sordidi guadagni. Pure, bisogna esser
giusti , possono essi preterire da' gusti della borghese clientela , o
iu altri termini far buoni aflari co' libri buoni ? In Germania vi è la
famosa fìera libraria di Lipsia; ogni lìbrajo terrebbesi disonorato,
se non accettasse d' ogni nuovo volume almen tre copie ; e arros-
sirebbero sin gli scaffali delle pubbliche biblioteche, di non pos-
sedernelo appena uscito. Tuttavia il paragone co' tedeschi vale ora
si per dimostrare T abbassamento de' nostri studi ; non anco la
dura sorte , eh' è qui loro serbata. Qui un libro italiano neppure pos-
sono i pubblici bibliotecari provvederlo; perchè i fondi stanziati
dalla plutocrazia bastano appena pe' libri stranieri, per rilegame
0 rassettarne i logorati, e per ispolverargli o salvargli da' topi.
E un'opera grave è molto, se ha cento compratori, co' quali si
può francare appena un quinto della spesa dì carta e dì stampa.
Ond' io ( per esempio ) non potei mai trovare alcun editore , tranne
una volta, in cui 1' ho rovinato ; sicché dopo non mi resse più il
cuore di ritentar la prova. Sono per altro sincero, e non ne do colpa
ad altri, che a me medesimo : perchè sta a vedere, che i librai do-
vessero fallire, per favorir essi gli studi ! No, essi hanno certamente
d' uopo d' amore e d' intendimento della propria arte : ma non la
possono esercitar bene, se non con abilità da negozianti e se non
in grazia degli avventori. Se questi appunto mancano, o non pos-
sono trovarne, che radi e sottili, tortiu'andogU e cacciando quasi
per forza nelle case la dispettata suppellettile , oh come si acca-
gioneranno della miseranda condizione degli autori ? Sul finire dello
scorso secolo vi era tra noi quasi in ogni patrizia magione librerie
e archivi stupendi: ma sapete già, come la maggior parte finirono.
Molti su' muriccioh e (non dico cose, cui non possa ognuno e
tostamente verificare) i più, venduti a peso e lacerati come carta
straccia, servono ora ai tabaccai e ai salumai. Tirando il qual
vento, è facile immaginare qual esito sia alle produzioni nuove
serbato. Sorgesse qui un uomo d'ingegno, s'egli è povero, non
ha modo alcuno di scrivere a stampa: tranne se dotalo, per a-
dempiere la vocazione sua divina, di tal tempra eroica, da gua-
dagnarsi tanto pi^r pagare il tipografo, facendo dieci anni il fat-
torino in qualche bottega o lo scrivano in qualche segreteria; e
24
-370-
da campare intanto d' aria. Se alquanto agiato , potrà contrasUre
l'avversità, facendo egli medesimo da editore, correttore, spac-
ciatore, commesso e procaccio, e scapitandone di giunta, sicco-
me un tale , che mi so io : ma avrebb' egli per questo vinto T
CCLII. Destino degli scrittori Uberi e «urti ia Ittlia.
m
Anzi tutto, ninno più sapendo comprendere, eh' egli abbia a
stampare senza mira di lucro , si dirà , eh' è folle : né varrebbe-
gli opporre, che in rendere omaggio alla verità e servigio aUa
patria, prova altrettanta e maggior soddisfazione , che altri in h-
crare. Allora si soggiungerà , eh' è ambizioso : né varrebbegli ri-
spondere, che sa di non ottenere plauso alcuno, non aoa pa-
rola di conforto , non un segno d' attenzione ; nemmanco da quel
popolo, a cui resta ignoto, e per cui pugna e perde gli amici e
quella fortuna e quella fama, cui si fosse altrimenti procacciale.
Oh quale strana specie di scrittore è mai codesto , mormoreranoo
sommessamente tra loro i Pomponii sopra encomiati? Via, via,
lasciamolo solo , questo Decio letterario , velatosi il capo di negre
bende e votatosi agU dei inferni.... Dico, ripigliando, che, se lo
scrittore libero e forte , non avesse a superare , che la povertà e
hi calunnia e la persecuzione, sarebbe ancora il suo destino feli-
ce. E che , s' anco si frugasse nella sua pubblica e privata vita per
addentarlo con qualche morso avvelenato ( e quanto se ne sareUe
lieti ! ) 0 in altra guisa gU si propinasse quella cicuta di vituperi,
che usa il secolo umano, non importerebbe punto. È troppo natu-
rale, che certa gente non supponga in altri i sentimenti nobifi,
cui ignora, e sospetti in vece i sentimenti ignobili, cui possiede. Im-
porta bensì , eh' ei possa come che sia , e seguane che può , adem-
piere il proprio ministero ; il quale appunto gli s' impedisce. Dap-
poiché é necessaria condizione all'oratore essere udito, e airaotoff
letto ; e non vai parlare , non stampare , per quanto se n* abbiano
i mezzi 0 |)er avergli si faccia forza alla rea fortuna , ognora che
al deserto si gridi. Immaginate , qual é ìsl sorte dell' oratore, che
abbia le sole |)anche ad ascoltarlo: conoscerete quella dell'auto-
re , che sokimcnte nell' immaginazione può affollare un uditorio
di fantasmi. Questo scusi anche il tuono della presente opera:
perché so io prima e meglio degli altri , esserci una grande vio-
lenza entro di voci e d' idee , la quale in tempi migliori non avrei
usata. Se non che non si tratta ora pib di parlare ad uomini de-
-371 —
sti; sibbene dì strepitare a dormienti. E il sonno n*è coA denso, e
cosi vigili eunuchi gli alloppiano , ventilano e dondolano ; che assai
poco , anche di tal guisa , si può sperare di scuotergli. Al qual pro-
posito si ha un bel porre in derisione que' gentiluomini e quelle
gentildonne del passato secolo , fattisi della poetica Arcadia pasto-
relli. Tanto e tanto non ve n' era quasi alcuno , che non onorasse
le umane discipline, e non sapesse comporre un sonettìno e un
madrìgaletto per bene. Guardate adesso chi sa fare altrettanto, e
che sorta di grazia e di leggiadria abbiano questi nostri borghesi. I
più culti e i più prodighi de' quaU ( benché uomini del resto sti-
mabili e laudevoli ) ampliano porti e fondano scuole fabbrili , come
se mancassero stimoli o incentivi al guadagno: ma quelte cure
sprezzano, come trastulli da oziosi. Pognamo, che si avesse ora
uno stuolo ragguardevole di lettori o di leggicchianti come allo-
ra, e che le pubblicazioni serie potessero piacere: state certi, che
non giungeranno sino a loro, e che mille mani invisibili glie te
scosterranno con implacabile assiduità.
CCLm. Goagiuia M mutL
Io alludo alla vile cospirajsione del silenjrìoj con cui si schiac-
ciano ora tra noi i valorosi d'ogni specie, sì neU' azione e si nel
pensiero ; e di cui potrei troppe prove addurre , se non mi fossi
prefisso di non recar nomi. Siccome ne' cor[M mahti gli stessi
succhi vitaU colano nella sede del morbo a detrimento dell'intiero
organismo , e il morbo odierno d' Italia sta principahnente nella
faziosità complicata di settarieià (parole addatte alle cose); cosi
qui non si può più fondare compagnia di studi o brigata di piaceri,
né accademia, né giornale, che tosto non assumano le morbose forme
d'una cricca o d'un conciliabolo. Le accademie rigorosamente inter-
dette a quelli, che pensano di proprio capo, o si sollevano sopra i lor
sillabi scientifici ; e da' giornali giù a dirotta pietre e tegole contro
chi non é della propria fazione e setta. Siccome poi questa ostilità
é più difTicile e pericolosa, ed é assai più commodo e cauto non
impegnarsi in discussioni, che vorrebbono tempo e perizia, e in cui
si può esser perdenti e fracassati; cod é me^o non ne parlare
affatto. Di guisa che fin certe effemeridi, il cui primo compito è
od esser dovrebbe la critica letteraria, preferiscono questa via del-
l' obUvione più spiccia e più trionfale. £ ne potrei più d* una
mentovare , e assai celebrate , a cui trasmettonsi gli odiati volami
— 372 —
in vano ; non si curando neppure d' annunciarne i titoli nel bollet-
tino bibliografico tra le cattoliche giaculatorie e gli esumati testi
craschevoli. De' politici diari, poiché naturalmente dalle filad'ona
0 d'altra delle rivali fazioni guidati , non ho d'uopo dire , che non
sono si ingenui, da prestarsi a favorire la pubbUcità di pensieri
contrari al loro cosi detto programma. Laonde , sendo questi non
solamente dispensieri di fama, ma ora quasi unici autori del pub-
blico giudizio ; ne viene , che irremissibilmente il lor silenzio con-
danni all' oscurità e all' impotenza gli scrittori. Cosicché ho dimo-
strato più di quello, che mi era proposto: qualmente la tirannide
borghese ben peggio, che non proteggere gli scrittori, sia giunta,
colla libertà di stampa appunto , a imbavagliargli. In fatti ella ha
mestieri d'un gran gridio , perché la voce della giustizia non si bccia
udire , 0 perché almeno non s' oda il grido di dolore del popolo.
E, benché qui sia più incolta e più insulsa, pur, perché veggasi,
Cora' ella si comporti altrove, chiudo il tema della sua brutalità,
con questo S4]uarcìo delle Rivoluzioni d' Italia (XI) d'Edgardo
Quinet. « Tutto il mondo vede oggidì la francese rivoluzione metter
capo al regno de' popolani grassi , la cui rassomiglianza cogli
antichi sbalordisce. La natura dell' uomo in breve tempo arricchito
sendo la medesima sempre, ricorre adesso l'identica avversione,
r identico sprezzo de' sentimenti popolari e l' identico cieco ripudio
d'ogni istinto di patria. La facoltosa borghesia, trascinata da' suoi
caporali , pass;) oggidì nel campo de' trattati del quindici , come ì
grassi i)opolani di Toscana passarono nel secolo XIV sotto Io sten-
dardo del nemico ghil)eIlino. Due cose per altro fortificarono la
oligarchia de' ricchi in Italia lungamente. Ch'egUno, stringendo
nozze co' grandi d'antica schiatta, in parte n'ereditassero il sangue
e il genio. E che, avendo in lor favore la fede religiosa, e il g^
neroso entasiasino del bello nell' arte , nella letteratura e nella ci-
viltà ; si fatto culto d' un ideale etemo prestasse loro alcun che delli
sua durata. I grassi popolani in vece del nostro tempo, non avendo
altra forza, che Toro ; imprendono cosa non pure inaudita nel noi-
do, ma temeraria. Conci ossìaché, abbandonando a' propri avversari
Dio, la patria, l'umanità, T eroismo, la scienza e l' arte , costoro il
verità vogliono spogliarsi oltre misura, e concedere una parte troppo
belb air impaziente fortuna ^^' popolani magri ».
PROSPERITÀ BORGHESE
CGLIV. ProblesAtioa opilean de'ptip^li moienL
Qui viene finalmente il capolavoro delle industri api o degli
anfanati calabroni , cui ognuno de' miei buoni lettori si sarà con
impazienza atteso, e che del resto è Y unico tema, come si dice
ora, palpitante. Dopo avere sacrificato ogni cosa divina e umana
alla cura de' materiali interessi; noi, almeno di quattrini, non si
dovrebbe aver più penuria. È vero, che lo stato addossa ai comu-
ni e alle provincie i suoi carichi, o ne fa getto a dirittura, di-
cendo di non averne più i mezzi. E che, quando si chiede al
medesimo od ai privati di far qualche poco pel pubblico decoro
0 per la pubblica pietà, anzi che viversi cosi tapini e sordidi,
gridano in coro, che hanno le borse vuote. Cosa veramente stra-
na, se si pensa al passato, in cui non ci era tutta questa por-
tentosa prosperità odierna , e in cui si largheggiava nelle opere
decorose e pie cotanto ; né sopra tutto V erario strillava e urtava
dalla fame! Chi sa per altro, che queste non sieno le solite ma-
linconie degli avari , che piagnucolano sempre e guaiscono d' ine-
dia; mentre hanno i forzieri zeppi di doi^ioni e di zecchini!.-
Certo, poiché lo stato borghese non é, come vedemmo, che
un' azienda economica , e nel reggerio non havvi altro intento,
che di procacciare a ognuno i più grassi afifari possibili; parreb-
be, che almeno in questo campo si dovesse la maggior floridezza
godere. Non essendo per altro Y azienda a comun vantaggio, e
gii aflari non si potendo dagli uni fiu* grassi, se non a disca-
pito di coloro, che fannogli magri; é bensì accaduto, che soziee
arpie si divorassero la mensa: ma insieme, che il popolo con-
vitato si rimanesse alla porta. Entrando ora nel quale argomento,
io non vuo' negare, siavi ora in quella parte del mondo, cui la
borghesia usurpò (cioè sopra tutto in Europa e in America), un
- 374 —
cumulo di dovìzie sterminato; né che ciò possa esser utile ad
alcun bene. Biasimo le dovizie mal acquistate e mal usate , e
preferisco la inopia onesta alla disonesta abbondanza: pur non
sono si rude e zotico dal desiderare, per vezzo d' eroico arcaismo,
che proprio altra suppellettile non s' abbia ad avere, che di lancie
e spade. Dico per altro, che anco in punto di ricchezza Fera
de* nostri classici comuni soprasta certamente a questa ; e ctie io
questa medesima è a dubitar forte, siavi tutta quella, cui si strom-
bazza. Voglia 0 non vogliasi , il grado d' agiatezza de' popoli doesi
desumere, secondo il voto di ({uel buon monarca francese, dal
vedere in quante pentole bolla un pollo : e cotal voto non sembra
oggi più pago, che in passato. Le facoltà mobili hanno per fermo
raggiunto queir apogeo, mercè cui può qualche nazione sovra
scogU marini o lande sterili godere il frutto d' ubertose campa-
gne: ma in generale a quella stabilità ed equanimità della for-
tuna , data da' possessi immobili , non pervengono. Senz' esser
punto dotti in economìa si capisce, come la lavorazione e il Ira-
sporto aggiungano valore a' prodotti della terra, e come nella
pcnnutazion de' medesimi il popolo agricoltore possa , non roeno
del popolo mercadante, avvantaggiarsi. In pratica accade altresì
spesso, che questo dispogU quello; e che (per esempio) F India,
resa tributaria al commercio britannico, non ne riceva maggior
felicità , che prima s' avesse. Oltracciò il balenare di tanf oro nd
secolo presente (sebbene non sia tutt' oro quel , che luce ) abbar-
baglia un po' troppo gli occhi. Perchè, quantunque si sappia,
come alla fin fine cali , pel suo aumento, il suo pregio; pur, Ch
cendosi ora con tanta facilità conti di milioni e di bilioni, si si
crede ricconi sfoudolati, quando appunto si corre il ìrischio dei
re Mida. Il qual re, per chi noi ricordasse, avendo impetrato
da un ospite dio, di poter cangiare in oro tutto ciò, cui toccasse,
vide cangiate in questo metallo sin le vivande, con cui dovvi
sfamarsi. Il suo pregio del resto, già ridotto or son più di tre
secoli a un terzo dalle miniere peruviane e da' galeoni ispanici, e
poscia vie più; ci fa p^irere ora inezie i mucchi di fiorini de'Baìrii
e de' Peruzzi, de' Medici e degli Strozzi, che non lo erano punlo
relativamente a' lor tempi. Onde in molte città si dice la fortui
cresciuta, unicamente perchè cresciuta la pecunia; senza nemmaneo
badare , come la sia distribuìui e diffusa. Che, se a quest* uUma
circostanza, eh' è la più essenziale, si bada; scopresi tosto, tpodei
colossali palriiiioni facciano deserto intorno di squallida povertà.
- 375 -
GCLV. Kali eoonomioi d'Inghilterra.
E, poiché in questo tema delle dovizie odierne esempi non
si potrebbon addurre più eloquenti o più gagliardi degl'inglesi;
cosi voglio anche qui a' nostri borghesi compiacere , che gli usa-
no sempre e per gravi ragioni , in luogo di quelU di casa propria.
Sebbene in Inghilterra l'opulenza sia maggiore, che in verun
altro angolo del globo ; e d' altra parte la proprietà prediale ga-
reggi colà d' importanza con la mercatura , siccome V aristocrazia
di possanza colla borghesia (tutto il contrario di qui); è noto,
quanto dispari e disformi sieno le condizioni de' ceti , e quanto la
poveraglia lurida e disperata. Londra sola novera 107,280 men-
dici, che fanno alle 80,000 meretrici degna compagnia: e al di
fuora , si negli opilìcii e si ne' casolari , un' enorme famigUa de'
medesimi. A sfamare i quaU occorre una speciale e pubblica im-
posizione; rimanendo, in onta alla stessa, il dubbio, che più d'uno
muojavi di fame. La disperazione in conseguenza prese colà due
diverse forme, secondo il sangue e la fede , ne' cartisti e ne' fe-
niani; schiacciali, ma non distrutti. Avvegnaché, non ostante il
fastigio, a cui era quella nazione dopo la caduta di Napoleone
salita, necessitò pegl' ingenti dispendi e accatti pubblici aggravare
i tributi in modo sì duro, da divenire alla sventurata plebe fla-
gelli. Mentre i grandi possessori e fabbricatori, co' monopoU da-
ziari de' grani e delle merci , accumulavano tesori ; i cittadini se-
miagiati scemavano, i piccioli coltivatori e mercatanti sparivano,
e i proletari cadevano in si estrema miseria, che il balzello de'
poveri non bastava ad alleviarla. Nel 1819, dal digiuno stimolati,
prima si sollevarono; e vennero, a Manchester e altrove, fatti col
piombo tiìcere. Poscia invocarono i suffragi generah, il parla-
mento annuo e lo squittinio segreto; ed ebbero dalle petizioni
inesaudite il nome. Questa è una storia vecchia, dirassi : eppur può
darsi , rispondo io , che la si ripeta , tanto più che le circostanze
ve la preparano. Ad ogni modo, lasciando il passato e venendo
al presente, eccovi là lo spasimo dell'infelice Irlanda. La quale,
nel centro della grandezza europea e nell' apice della civiltà mo-
derna, rappresenta un ceto, anzi un popolo intiero, non solo po-
Uticamente, ma socialmente conculcato; e dallo stesso possente
impero, di cui è partecipe. Ben più della diversità di schiatta e
- 376-
dì religione, il retaggio d' un' odiosa storia e d'un* antica ingÌB-
stizia ^ consumata nel cristiano nome , perpetua ivi ancora Y odio
d'Albione. 11 possesso vuo' dire della verde isola in mano de' goh
tiluomini inglesi e de' preti anglicani ; a cui i suoi figli , originari
abitatori e legittimi padroni del suolo, non debbono essere, che
coloni e giornalieri, e di stento e di spregio pasdutL Or, che
valse a sollevargli Y atto d' emancipassicne , mercè cui s' accol-
sero neir aula di Westrainster i lor propri oratori , e che il tri-
bunato di Daniele 0' Connel e i successivi conati e provvedimenti!
Non bastano per questo le servili patate a nudrirgli, e debbono
a stormi , valicando i mari , abbandonare le care patrie zolle e i
lagrimati sepolcri degli avi.
CGLVI. Boonomia borghese in Italia.
Benché questa sorta di floridezza sia Y ideale de' nostri eco-
nomisti; confesso, quanto a me, che per la mia patria preferirei
qualche cosa di meno splendido e di più umano. Poiché eglino ad
ogni modo hanno inteso di trasportarla qui, veggiamo adunque,
come vi siano riusciti. Il tema vuol essere sotto due punti con-
siderato, r economia della nazione e la finanza dello stato: ed
io, per quanto poco mi senta adatto a questa sorta di negozi, in
cui sono eglino si valenti , ho debito di non preterirne alcuno. Dal
primo de' quali cominciando, ho pur debito di confessare, che
un (lualche passo innanzi in alcun ramo d' industria s' è tatto,
e maggiori agevolezze allo incedere procacciato. L' agricoltura per
verità dorme dell' anterior letargo , i fallimenti si contano a ni-
gli^ja in ogni anno; e quelle nazionali manifatture, che s'erano
trascinate sino al cinquantanove, languendo, ebbero tosto dal li-
bero scambio, da' dazi e dalla concorrenza straniera Y ultimo col-
po mortale. Tuttavia le navi, le fabbriche, i banchi, le compagnie^
le imprese, le strade, e principalmente le strade ferrate, ebbero
altr&sl un certo sviluppo. Non cosi notevole, come sì sarebbe
dovuto da gente aspettare, che non parlava, se non di questo, e
si sarebbe voUìta anche al diavolo per questo : ma pognamo pure,
che notevole. Pognamo eziandio, che lo avere atteso unicinienie
a' propri interessi sia un merito ; goduto i vantaggi , cui Y onìl-
cazione della peiiisola e il conseguente allargamento del mercato
prestavano spontaneamente un merito; profittato delle forze prih
-377 -
bliche per tale intento un naerìto; vuotato Y erario per opere pub-
bliche, la cui spesa fu spesso spensierata ed eccessiva e il cui
firutto fu ed è ancora inadeguato, un merito; e che in fine il poco
ottenuto in tant'anni, ne' quali anche i turchi avrebbero qualche
cosa ottenuto, sia pure un inerito. In questo argomento sono di-
sposto a dar loro ogni merito, fin quelli della pioggia e del sere-
no; perchè, se non gli sanno far eglino i buoni affari, oh chi dun-
que gli saprà fare? Tanto più, eh* eglino in que' loro lunari astro-
logici, ossia annuari statistici, provano, come due e due ikn quat-
tro, che r Italia è divenuta il paese di Bengodi , dove fin le mon-
tagne erano tutte di cacio parmigiano. Tuttavia io dubito molto,
non ostanti que' lunari , e ammesso pure il predetto sviluppo in
alcun ramo d' industria , che la prosperità generale siasene avvan-
taggiata. Anzi ho un grave timore, dopo averci fatto balenar tanti
gioielli da fate, eh' e' ci abbiano piii impoveriti di prima ; e co-
desto grave timore è dalle seguenti considerazioni sulle sorti eco-
nomiche de' vari ordini della nostra popolazione abbastanza giu-
stificato. Imperocché, ripeto, non varrebbe il dire, noi abbiamo
tanti bilioni di proprietà stabile e tanti d' instabile , e tanti milio-
ni d' importazione e tanti d' esportazione ; e per ciò lasdo a' pre-
lodali economisti questa sorta di criteri numerici. Ciò' quaU si sa-
prebbe, qual è il valore di stima della nostra fortuna: quel che
più preme, il giovamento efièttivo, che ne ridonda all'universale,
non si saprebbe. Ora, di contro alle poche tasche piene, ve ne
han troppe di vuote, e ai pochi ventri satolli troppi di digiuni;
per poter dire , che il soperchio degli uni colmi 1' abisso degli
altri. Primieramente è un fatto innegabile, che le famiglie d' ogni
ordine e sin le più agiate, da quando la borghesia prevalse e
sopra tutto in quest'ultimi diciott'anni, dovettero restringersi assai
nelle spese, se non volevano rovinare : e questo non è sintomo di
prosperità. Dando poi uno sguardo anche fuggevole a' diversi or-
dini, appar manifesto, che una firazione dell' ordine supposto mez-
zano, e principalmente della medesima un sinedrio, potè arric-
chirsi non altrimenti, che sulla rovina degU altri. Il quale fla-
gello cominciò, è vero, sin dal finire deUo scorso seodo: ma
non si può negare, che in questi ultimi lustri vie più si accele-
rasse, e stia per giungere ora agli stremi. Del clero non parto;
siccome ordine, che già da Napoleone taglieggiato e (tranne
alcuni alti gerarchi) da noi alla fine dispogliato, affoga in
quella evangeUca povertà, nella quale può disirsi, che
-378-
suo mal grado cristiano. Quanto alla nobiltà, vi vuol poco ad
accorgersi , coro' ella siasi lasciata in men d' un secolo tnr di
mano quasi tutte quelle facoltà , che aveano i suoi antenati o bene
0 male ammassate; e che insieme con quelle della chiesa, dd
pubblico e de' poveri occupavano quasi tutto il territorio deli
nazione. Eccetto alcune famiglie, che, se non le si possono pia
dir potenti, meritano almen pel censo esser dette ancora co-
spicue ; le più ebbero da' gastaldi e dagli usurai ( di buona parte
della odierna borghesia fondatori) carpite le sostanze. Privale
delle dignità e degli offici , de' feudi e de' fedecommessi , costrette
a dividere l'eredità più equamente dal nuovo diritto civile, im-
pedite di spacciare orrevolmente le Gglie ne' monasteri e i cadetti
ne' battaglioni, non poterono all'urto d'un giusto rivolginieiiio
della fortuna resistere. Reputando le armi e gli studi ciarpe degli
avi rancide, il titolo un possesso, il nome una cosa, Tozio ob
diritto, r ignoranza un decoro, l' ignavia un vanto, caddeco e ca-
dono inonorate. Avvegnaché , se la vera nobiltà non s' acquista e
conserva altrimenti, che nel servigio della patria; senza diligenza
e masserizia non Uce nemmanco gU aviti retaggi tener fermi. Di
che^ chi ne avesse vaghezza, può incontanente accertarsi, con-
sultando i catasti 0 (eh' è più facile ) percorrendo le vie di qual-
sivoglia nostra città, e chiedendo in quai mani sieno pervende
le belle magioni crollanti, che ad ogni passo incontra.
GCLVII. Catastrofe degU alti eetL
Cosi le terre e gli edifici d' Italia, che si valutano in 38 bi-
lioni di lire, sono per gran ventura ora fra 2 milioni di proprielari
sminuzzati. Ma, senza dire de' debiti chirografari o infrottileri,
pe' soli mutui iscrittivi hanno addosso 6 biUoni e 500 aiiiioni d* ipo-
teche, che ne divorano, al sette per cento, buona parte dell' eiilrat&
La qual sorte della proprietà prediale , mostra chiaro, com* eOa sia
in chi la possiede apparente, e ridotta in sostanza a un' amticrm
de' cambiatori. Se del resto non vi fosse , che un trapasso deDe
ricchezze da una in altra mano, se ne potrebbe a certe cob£-
zioni la legittimità e proficuità sostenere; come appunto coloro
sostengono , che quelle delF antico patriziato pretendono ira
altri ceti spiu*pagliate. Ora io non nego, che in qualcuno le si
finite: ma, che le siano altresì equabihnente divise e sopra Mio
-379 -
come rugiada benefica su tutta la popolazione scese, lo nego^
benché sappia, cbc non si potrebbe agli economisti piii atroce
smentita dare. Evidentemente, se non le posseggono più i due
primi ordini, le dovrìano o dal terzo o dal quarto essere posse-
dute. Pur, dal terzo facendomi , eccettuatine quella frazione e quel
sinedrio poco fa mentovati ; non pare , eh' esso stia gran che me-
glio, che in passato. La possidenza fondiaria, prima ricchezza
d'ogni popolo accostumato e solerte, benché avvivata alquanto
pel cessare degli antichi vincoli; pure, avviluppata dal cambio,
disossata dal pegno e scaraventata dalla voltura, essa il sospiro
già d' ogni prudente lucratore e d' ogni provvido padre, é caduta
al segno, che ognuno se ne libera, quanto più può. Se il mar-
chio ipotecario, ond'é quasi universalmente bollata, non avesse
altra causa, come pur si pretende, tranne i miglioramenti ope-
rati, meno male; quantunque sia un po' difficile veramente col
frutto del tre far fronte all' usura del sette! Non temete del resto:
la borghesia presta a' prodighi e investe ben meglio il suo da-
naro, che neir agricoltura ; arte troppo vecchia e troppo onesta ,
per poter dare prò' solleciti e larghi Rimangono adunque i me-
stieri e i traffici: ma, anche qui, tranne l'eccezione dianzi fotta,
vedete sfarzose botteghe e scrigni desolati. I nostri artigiani e
mercadanti de' tempi andati , da que' loro bugigattoli ed entro
quelle ribalte tirate su colle carrucole improntavano milioni di fio-
rini ai monarchi, o lavoravano orerìe, ms^oliche, bronzi, broc-
cati, arazzi, che fomivan le corti e i manieri d' Europa. So, ch'e-
rano un po' troppo ruvidi e brontoloni , e che aveano anche queUa
fantasticheria di cominciare ogni salmo coli' antifona deUa masse-
rizia (come il buon Àgnolo Pandolfini ), mentre ergevano per la
patria quelle moli a modo romano. Nondimeno ora la eleganza
é cresciuta: il polso, come dicono i borghesi, il polso, no; e, a
ben guardare , in tanto lusso, le minute arti e i minuti commerci
sono senz' altro minati. Lascio stare i cosi detti bazzarri e le aste
e le lotterie private, che surrogano un'industria vaga e zarosa
alla ferma e costante. Lascio i giuochi di borsa, le speculazioni
aleatorie, i banchi usuratici, le società anonime per prosciugare
gli umidi tenimenti dell' Oceano o per iscavare le miniere argen-
tifere della Luna; e le liquidazioni e gli stralci e i (àUimenti,
che ne conseguitano. Tutto ciò per noi profani é una fantasma-
goria, di cui non si capisce nulla: e in cui. per altro, se vi ri-
mangono molti pesciolini presi, qualche pescatore tende l'amo
- 380 -
utilmente. Dico soltanto, che in tal guisa uo ceto di mezza for-
tuna vero, e cioè numeroso e agiato, non e' è ; e clie anzi , men-
tre si dice , che con la borghesia nacque , precisamente per
di essa spirò.
CCLVUI. DisparMone delle aatiolie di
Io ho in altro luogo presentato V inventario delia nostra cosi
detta ricchezza mobile , il quale certamente è inferiore alla resdti;
ma pur mostra , che non si nuota neir abbondanza. Lo scorso
anno importammo di merci per 1154 milioni di lire, mentre
n' esportammo per 966 : e sopra tutto esportammo le stille dd
nostro stesso sangue nelle caterve di buoi e nelle cataste d' oofa,
di cui assottigliammo il nostro già si parco alimento. Né vuo' twe
tra tanta miseria un confronto e V opulenza degli avi nostri dd
XIII al XIV secolo, che naturalmente sarebbe troppo sconf»*-
tante. Prendendo il tempo peggiore (cioè lo scorcio del secolo
passato, quando appunto fé' capoUno la plutocrazia ), si vedri, che
il pessimo è succeduto di poi. Che a sentir certa gente il ceto
di mezza fortuna sorse allora, e ci fu portato di Francia, ed è da
questa borghesia costituito: io in vece, ripeto, che precisameoie
in quel torno fini. La causa della discrepanza sta nel confondere
la borghesia presente colla cittadinanza precedente, e nello affib-
biare la giornea di borghesi a una minutaglia, che non ne è, die
il mal trattato codazzo. Nel senso letterale siamo tutti borghed,
poiché questa voce non vuol dire in italiano, che cittadini: dò
non ostante la borghesia (chiamiamola pur alta, se vi piace),
come ordine, come potenza, come tirannide, non è, che di aloai
pochi. Essa è dunque un baronaggio alzatosi principalmente dd
ceto mezzano: il quale per altro le sottostà non meno degli altri;
e venne vie più ora assottigliato e stremato, che nel sopraddeoa
scorcio non fosse. Di fatti allora questo ceto, cui si dieea cìMa-
dinescoj coraponevasi di tutti coloro , che , non essendo nobili e
insieme non rustici e non avventizi, godevano in ogni oomoM b
civiltà, ossia le prerogative d'oriundi. E formavano veruDeMe
ne' medesimi un terzo ordine (tra noi secondo ), eh' era ne'ceatti
urbani il più rilevunto. Di regola attendevano a' mestieri ed a* traf-
liei, benché eziandio alle professioni liberali ed anco alle Ctflorie
campestri. Mentre, oltre la bottega, avendo quasi tutti casa e pode-
-381 -
retto, trovavano io tal grado appunto una sarte media j deUa
quale erano paghi. Perchè, quantunque non potessero portare Io
spadino e gli altri ninnoli de' cavalieri , e fossero in quella spi-
rante oligarchia da' sommi magistrati del comune ammoniti; si
pavoneggiavano delle lor corporazioni d' arti , e de' propri statuti,
massai e gonfaloni. E, sebbene non potessero cosi agevolmente,
come i borghesi ora, infrangere le dure chiostre sociali, tanto e
tanto ivano di quelle prerogative superbi Anzi un po' di targa e
d'arbore genealogico se lo dipingevano anch'essi a lor modo;
e i più astuti agli aulici ministeri salivano, e i più avventurati
nel libro d' oro de' consigli comunali e per sino della veneta ari-
stocrazia giungeano a scriversi. Il qual ceto cittadinesco (eh' è
forse il più nobile e il più antico d' ItaUa e del mondo, perchè io
massima parte disceso dagl' indigeni, vendicatisi a libertà da' bar-
bari invasori) io non dico, che cost dimezzato e chiuso si do-
vesse conservare. Certo fu, al par degli altri, dalle democratidie
fanfaronate dell' ottantanove illuso e deluso, e dalla borghesia so-
praggiunta scavalcato e annichilito.
CGLIX. Peggioramento del buio ooto irbano.
Rimane il quarto ceto, al quale fu nelle città la cessazione
delle corporazioni d'arte funesta assai più, che propizia. Impe-
rocché non vi ha dubbio, che il privilegio su cui le fondavansi,
non fosse alla libertà privata non meno, che alla prosperità pub-
blica contrario. Pur, non avendosi sostituito niente di meglio, ne
venne, che gli esclusi dalle medesime non meno, che i partecii»,
divenissero vassalU o servi della novella signoria. Che tanto e tanto
valevano quelle a dare certa stabilità alla volubile fortuna, a raf-
frenarne gr impeti e i capricci, a contenere maestri e lavoranti in
alcuna forma d' assetto fraterno, a regolare 1' esorbitanze e l' in-
giurie della concorrenza economica, e a non lasciar prive di diritti
aflEatto le urbane plebi. Onde ricorrono oggi press' a poco le due
medesime calamità, che travagliarono e spensero la romana re-
pubblica, e che diedero alle secolari tenzoni per le leggi de' de-
bitori e per le leggi agrarie luogo. Poiché in sostanza anch' oggi
r usura va ingoiando il possesso territoriale, e l' industrialismo
cangiando in servile la Ubera popolazione. E come i latifondi aveano
sostituito ai liberi coltivatori, fondamente di quella repubblica.
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branchi di barbari schiavi; cosi questi opiflcii mostniosì mutano
in macchine semoventi i liberi artefici, gloria de' nostri comm.
La servitù de' quali e de' proletari in generale, forma odiema della
questione sociale , non si avverte , se non perchè da giuridica è
divenuta (che in pratica fa lo stesso) economica. Gessando adwh
que quelle corporazioni ed altrettali cose, dovettero i {hù ddl' or-
dine cittadinesco , cioè i maestri d' arte , farsi clienti ddli bor-
ghesia ; 0 senz' altro patire una diminuzion di capo, passando nd
quarto ceto. Quelli del quarto, cioè i lavoranti, q)rofondare nelle
inaudite sofTerenze degli attuali operai ; la cui sorte, benché gia-
ridicamcnte più libera, economicamente più servile, non si può a
quella degli antichi lavoranti comparare. I quali alla fin fine, d-
togati in private officine, provveduti di arbitri nelle contenziom dd
lavoro col capitale, sicuri di non perdere i mezzi di sostentamento
e lusingati di superare i gradi del tirocinio magistrale, erano data
matricola deir arte protetti. Onde si noti bene, che in Inghiltemu ia
Austria e in altri luoghi, dove i diritti storici d' ogni specie noa
furono affatto dalla borghesia , come qui , cancellati ; qaalcbe ve-
stigio di tali istituti si mantenne o si riprese. Qui, mentre elh
provvede agV interessi del capitale co' suoi tribunali e eoDe
sue camere di commercio, e con tutti inoltre gli ordini ddo
stato, cui avventura ne' suoi rischi ; di creare giudici e tutori al
lavoro non si curò punto. Questo, unica fonte legittima del ea*
pitale, e supremo capitale esso stesso, è considerato nn travaglio
da ergastolo a segno, che, se gF indifesi e traditi artigiani si ra-
dunano per moderar Y oppressione de' fabbricatori o per provve-
dere altrimenti all' abbandono delle leggi , incontrano di sciope-
rati e di sediziosi la pena. Che, se non è si grave qai la lor '
sorte, come altrove, non è per pietà maggiore, che si senta di loro;
non ne avendo mai alcuna, né in alcun luogo la rabbiosa Cune
deir oro. Sì unicamente perchè qui la danarosa oligarchia, inetta
anch' essa e inflngarda, non seppe ancora sopra la tacile e eom-
moda usura estollersi. Tuttavia anche qui, ne' radi siti, dove ac-
cenna ad imitare l'oltramontano industrialismo, ergendo opìfidi
mostiuosi, issofatto pari frutti produce. Che una moltitudine cioè
d' infelici, ineitaUìvi dalla speranza e astrettavi dal bisogno, si ac-
calchi intorno pallida e consunta, incerta del dimani, priva ddfe
domestiche gioje , e fin tal volta d' aria e di luce.
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GCLX. Peggioraniento del buio 00(0 ruttet»
Per altro , sebbene gr italiani vivano meglio inurbati degli
stranieri, si potrebb' anco prescindere dal quarto ceto cittadino;
per considerar quello delle campagne, dove ha stanza la massima
parte della popolazione. H quale ultimo, a sentir certuni, la rivo-
luzion francese e il napoleonico impero avrebbero redento; non
avendo naturalmente obbligo costoro di studiar le cose nostre.
Né di sapere, che il servaggio rustico era fra noi sin dal XUI
secolo estinto, che il feudahsmo non potè, se non in alcuni punti
della penisola attecchire ; e che anche le angherie baronali erano
qui ben prima, che oltre monti, in generale dimenticate. Ad ogni
modo la condizione de' contadini , pur durando le decime e i
censi e le prestazioni personali, e tutte le altre reliquie semiser-
vili 0 semifeudali, non era in Italia effettivamente più aspra d' oggi.
Perocché, vivendo in numerose fanuglie patriarcsdi, e fisse eredi-
tariamente al suolo, stavano bene attenti di fare profondissimi in-
chini agr illustrìssimi padroni. Ciò non ostante, aveano una sorte
più ferma; e, pagando di derrate 0 di giornate que' canoni, del
resto tenuissimi, si erano in sostanza della metà de' fondi quasi
impossessati. Ed io ho un forte dubbio, che nel sopraddetto scor-
cio molti di questi contadini, non possedendo rogiti per documen-
tare le proprie ragioni, né polii a suiQcienza per satollare quegli
avvocati storcileggi e azzeccagarbugU d' allora, fossero colla infinta
e col cavillo democraticamente ingannati e spogliati Giacché in
quelle immense terre novali della chiesa e della nobiltà, V antico
vincolo della gleba erasi grado a grado col dissodamento, se non
di diritto, di fatto in una specie d' enfiteusi 0 di locazione eredi-
taria cangiato. Dalla qual condizione , cui un' immemoriale e ve-
neranda consuetudine suflragava, vidersi a un, tratto tramutati a
quella di mezzadri 0 terzajuoli ( non più livellari, ma semplici con-
duttori ), quasi senz' accorgersi. Se per codesto legale assassinio ( di
cui naturalmente nessuno fra tanti avvocati ora si cura ) il medio
ceto rurale dovette sotto le forche caudine della moderna bor-
ghesia passare; almeno che avesse potuto nel rt$stico pròkiar
riato trovare alcun sollievo! In vece, tranne in certe zone del
territorio nostro (come Piemonte, Romagna e Toscana), ove la
colonia parziaria e meglio T affittanza consentono un po' di re-
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frjgerìo, sopra tutto perchè o la terra non ammette vasta coltim
0 l'opera vi aggiunge gran pregio; anche il quarto ceto rurale,
eh' è dire la porzione maggiore del popolo, vìve nella più squal-
lida miseria. Dirò appresso, discorrendo delle regalie, cooie il fi-
sco borghese ne lo abbia, insieme a tutto il rimanente de' citta-
dini, flagellato e aflamato. Non considerando qui, che il mofi-
mento spontaneo della nazionale economia, certo dì niente b sdì
fortuna s' è avvantaggiata. Né in tante ciarle filantropiche e libe-
ralesclie, ninno ha pur pensato a sollevarlo, ninno a soccorrerio,
ninno ( per non disturbarsi troppo ) a compiangerlo. Nelle risqe
lombarde s' impazza e si muore, come prima, di peUctgra ; e nd-
r agro romano e nelle maremme, come prima di febbre. Mentre
in queir appennina chiostra, ove fu già il Sannio, ed ove ona ro-
busta stirpe non si sfìniva mai d' armar legioni contro a Roma, e
in altre terre altrici già di liberi agricoltori e di liberi guerrieri,
vagano ora sollnghi falciatori e semiselvaggi caprai, di cui fio
quasi r aspetto non è più umano.
CCLXI. Sorte misorrima de* oontadinL
Ma posso io in alcun modo esprimere la condizione rerim
de' bifolclìi, de' pastori e de' giornalieri in quel giardino d' Italia.
che dal Garigliano al capo Spartivento distendesi ? Credete, o pie-
tosi lettori, non vi voglia un' oppressione spietata, un dolore stn-
ziante, un odio immane, per costringere in tanta fertilità di snob
e in tanto sorrìso di cielo uomini di natura tenera e di s\*egiiaio
ingegno, sobri e docili sino al proiligio, a divenir jene? Pure,
mentre a ninno de' nostri danarosi oligarchi o de' loro verboa
mandatari venne in mente di proporre un temperamento equOy
che correggesse quella iniquità legale ; non si pensò, che a dar
C4iccie e a metter taglie, appunto come si usa contro le bdre
feroci. Se i reggitori dello stato avessero assunto essi li prol^
zinne di quogr infelici, e si fossero affrettati a dir loro con imiiB
accenti, che la republ)Iica è madre di tutti, ricchi e poveri, af-
venturati e oppressi ; ma inoltre de' poveri e degli oppressi tatriee
e rivrndicatricc. Se, agli umani accenti i romani atti ooogio-
gondo, avessero a Umte terre incolte d'Italia badato, e di tirii
boni incamerati e dilapidati profittato; e gli avessero in esfUeofl
o altrimenti fra tutti, che chiedean pane, compartiti. Se dato a
- 385 —
costoro avessero per padri e per duci i veterani delle patrie
guerre (a pagare i cui bracci monchi vi è per lo meno altret-
tanto debito, che a pagare la rendita pubblica consolidata), si
sarebbe meno sangue e meno moneta versato, che nell'orrida
guerra servile del mezzogiorno; la quale potrebb' esser pro-
dromo d'altra maggiore e peggiore. E si possederebbe ora, in
maggesi deserti e in paludi insalubri, qualche nuovo distretto col-
tivato e abitato; e sopra tutto una gran famiglia di figli della
repubblica, che avrebberla benedetta e adorata, e sarebbero stati
del riscatto nazionale testimoni perpetui e campioni giurati. Co-
taU romane anticaglie non possono alla borghesia moderna pia-
cere: la quale, piuttosto di richiamare nello stesso agro romano
una moltitudine da tutta Italia, che cinga la capitale e attesti fin
coi commisti idiomi V indissolubilità de' mutui legami e il bat-
tito de' cuori concordi , ne farebbe una fattoria inglese o una
soccida mondiale. Tuttavia, mentre colà e altrove non fece ella
niente, nò volle in veruna guisa esser gravata a prò delle plebi
nisticane; impose bene per proprio discarico a tutto il popolo
gravezze, che prima non conosceva. E, mentre non avrebbe osato
dividere e livellare i latifondi de' privati per pubblica necessità
e con pubblica indennità, non si peritò d' usurpare al popolo
stesso i comuni averi e di dissipargli nel modo, che fra breve
racconterò.
CCLXII. Migrazione de' contadini all'esterno.
Cosi accadde, che, non essendo slato porto aJ poveri delle
ciiu'i e de' contadi sollievo da' vecchi mali, ma la jattura loro es-
sen<lo accresciuta per le imposizioni, usurpazioni e dissipazioni
sopra^^giunte ; non possano più sopportare o sfuggire il crudo de-
stino, che abbrutendosi o esulando. Imperocché, se fln la questua
è divietata con pene e la mendicità sospettata con bandi, non so-
pravanza ai più altro scampo, che di contaminarsi fra le strette del
bargello o di perdere la cara libertà ne'pubWici ricoveri; i quali
del resto non bastano più a tanto bisogno. Quelli poi tra loro, e
sopra tutto i miseri coloni , che queste mura erette da un' im-
provvida, quanto arcigna carità paventano come una prigione;
debbono seiiz' altro sbarbicarsi dalla materna terra con uno
schianto, che non si può chre quanto agl'italiani costi. Mentre
25
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essa potrebbe assai più abitatori conteDere e nudrire, ned anzi io
alcun luogo bastano le braccia alle agrarie cure, non è oeru-
mente per ragioni naturali , eh' e' partano. Se a dò arrogesi, b
stirpe nostra essere cosi al suolo avvinta, che la scoverta d'A-
merica passò per noi vana, e che tutt' ora i nostri oltre noonla e
oltre mare migrano quasi tutti col fermo pensiero o col segreto
desio di rimpatriare dopo pochi anni ; di leggieri si capisce, come
solo un grande flagello ve gli spinga. Ned io biasimo del resto
la partita dolorosa di questi fratelli ; né vincolo alcuno approverei,
con cui si volesse di giunta vessargli. Cerchino anzi la cara li-
bertà altrove , e altre terre ; poiché queste son divenute agli sveiH
turati si crudeli, e ai generosi si funeste. Ma potessero almeno
partire co' sacri riti degli avi e co' patrìi penati , e piantare su
quelle lontane spiaggie il vessillo della patria; acciocché fossero
sempre alla medesima congiunti, e della medesima vigili scoile!
Per opposito , noi avevamo già nel 1871 in contrade straniere
476, 4U3 connazionali , e poi questo numero crebbe e cresce (giac-
ché nel 1876 ne migrarono 108, 807) , senza che ancor sapessimo
dedurre una sola colonia civile. Né parlo degU scali di Levante,
ove i sudditi del regno d'Italia hanno ora assai meno reputaziOM,
di quella si avessero dianzi i sudditi divisi delle picciole donùiia-
zìoni anteriori ; e la vanno vie più perdendo. Quel quarto di mi-
Uoue d' iudiani , che migrò quasi tutto dopo gli ultimi eventi il
di là (Icir Atlantico , vive colà confuso cogV indigeni o cogli av-
venturieri senza cittadinanza e incolato, e insieme seftza propri sta-
tuti e magistrati , come turba anopima di ser\'i fuggitivi. E noi
basta : che spesso in durissime condizioni ; se pur possono ì nostri
fuorusciti , accalappiati in una tratta di bianchi , di cui oomiB-
ciano fìno i reggitori nostri ad accorgersi, salpare o approdmi,
senza restar morti nelle sentine o sui lidi.
CCLXlll. Arrìoohimento partioolare a danna uimaali.
Fatto è, che, mentre il Belgio produce 20 ettolitri di tira-
mento per ettaro , la Germania 26 e V Inghilterra 32 ; Y Ililii,
contrada eminentemente agricola , ne produce solamente da 10 al
11. Mentre la vita media in Francia é di 39 anni, in Inghillem
di 40 e in Norvepa di 48 ; in Itaha , contra<la saluberrimi per
natura, è di 31. E qui T alimentazione già da lunga pesa iasof-
- 387 -
lìcieDte a una vigorosa e fervida salute, è cotanto scarsa ora, da
minacciare un deperimento della specie; siccome i 400,000 pel-
lagrosi, 0 alTetti di fame cronica, attestano. Le quali cifre, se non
indicano una grande infelicità di condizioni materiali tra noi, io
non so quali altre occorrano a coloro, che non credono, se non
alle cifre. Poiché adunque non i ceti alti, non i bassi, e nem-
manco la porzione maggiore del mezzano; cioè non preti, non
gentiluomini, non operai, non agricoltori, non proletari, e nem-
manco i possessori, mercadanti e artefici modesti hanno guada-
gnato niente, oh dov' è dunque ita Y economica prosperità, che si
strombazza a' quattro venti ? E , dopo avere soffocato tutt' i senti-
menti nobili sotto r ignobile appetito del guadagno, abbandonati
tutt'i numi pel dio Zecchino, sacrificato alla proprietà tutti gli
altri istituti sociali, converso tutt'i servigi civili alla ricchezza,
degradato , falsificato , snaturato lo stato al punto , di non essere
divenuto, che una gran borsa di commercio, della quale i magi-
strati sono i sindaci, i legisti i sensali, i soldati i guardiani, oh
qual frutto dunque si è ottenuto ? . . . Vi vuol poco omai a com-
prendere, che da un secolo in qua un' avida e c^tuta confredp-
glia^ valendosi di democratiche e liberalesche lustre, distrutti
prima i superiori ceti coirajuto degl'inferiori, si è poscia agli
uni e agli altri sovrapposta. Promulgando quindi leggi ispirate
air utiUtarismo, all'individualismo e a quegli altri concetti , eh' io
sopra esposi nella descrizione dello stato borghese , dissolvette gli
antichi patrim'oni e agevolò il procacciamento de' nuovi. Pretermet-
tendo alla fine l'equa distribuzione de' doni della fortuna, e la-
sciando senza freno il rovinio della speculazione economica, s'è
insignorita di tutto : e fruisce ella sola una prosperità ; la quale ,
dato che sia sua, non si può dire più, che sia pubblica. Cosi gli
averi cangiarono i padroni solamente: e, siccome gli anteriori
erano liberali e cortesi, e i presenti... quel, che si è visto; nel
cambio, tranne che questi ultimi fossero o più legittimi o più nu-
merosi, non pare, si sia guadagnato niente. Se non che, quanto
alla legittimità , se questa sembra da un lato assistergli , poiché
non formano ordine chiuso ( e cioè può in certe circostanze ognuno
seco loro imbrancarsi); dall'altro, se si considera, che sorta di
mezzi vi vogliano e che istinti e che avvedimenti per penetrar-
vi, quella diviene assai contestabile. Io per me, appena ebbi il
lume di ragione e m'accorsi, che per essere in questo tempo
avventurati, per vivere nella cosi detta realtà e per vantarsi uo-
-388-
inini pratici , bisognava rinunciare a corte facoltà dell' aniaui , aw
voltolarsi nel fango e stimar la frode una quintessenza della sag-
gezza ; non istetti un momento in forse. Mi decisi tosto di pav
sare per uno smemorato, per uno stravagante , per uu sogoatore,
per un ipocondriaco e per uu misantropo ; e mi dorrebbe, lira tanti
furbi, di non essere reputato un balordo. Cosi almeno,
(c Me non nato a percotere
Le dm*e illustri porte,
Nudo accorrà, ma libero
Il regno della morte ».
Alcuni altri in vece , seguendo la detta ventura , realtà e pratici,
0 montando sulla ruota della fortuna o rimanendone stritolati,
mettono fin la coscienza per ultima |>osta ; e il più delle volte per-
(lonla a brandelli. Perchè certo il lavoro e il risparmio (cose vir-
tuose ) possono sino a un certo punto arricchire , e la sorte vie piii
0 il lienofìcio alti'ui : ma in tutto ciò vi è un limite naturale. Le
improvvise v. mostruose dovizie in genere non si spiegano senz' al-
meno un po' di sistematica durezza verso i soggetti , di facile ac-
condiscendenza verso gli siìcnsierati, d intensa occupazione, d*iih
<lefessa locupletazione, di spirituale angustia, d'insaziabile ingor-
dia , di gretta cordiahtà o di relativa sordidezza. Ciò «indie nel
supposto , che la frode non ci entri punto ; né che si faccia coOe
arn^nde o co' monopolii un mercato della patria o della miseria.
Ma dite voi, se non sia allo irrevocidnle decreto, che i seni fe-
deli inuojano ]»overi; e se non sieno più cauti que* commessi «li
banco 0 garzoni di Imttega, che sogguardano ogni tanto e allec-
ireriscono le ciotole del soverchio peso !
CCLXIV. Nuora e ibrida speoie di baronag^ia.
lo vo (x^nsando, che storia misteriosa sarebte quella di oertf
grandi ditte , si' la si facesse , come si fece quella di certe granii
pros^ipìe : ma, oltre che non lice e non merita occuparsene, dm
l>ossianio |iresein<leme ; presupponendo legittima tutta la lor for-
tuna. Sein|)re i»er altro che si noti, non essersi con ciò avuto al-
tro, tranne una successione del baronaggio avventizio al gentili-
zio, e delle kìronate pacilii^he alle violente. Taluni anzi degli odierni
baroni, cui tutti conoscono e troppi invidiano , sono lalmente po-
tenti, che, a dirla schietti, possono più de' re. Uuanto alla rim-
- 389 -
nente baronia, ella in sostanza non è più dell'amica numerosa,'
ed anzi lo è meno : onde non s' è , né anche per una maggior
diffusione, verun avvantaggiamento ottenuto. Gonciossiachè ella
si addimanda ordine terzo tanto per dire, e medio tanto per ad-
dormentiir la gente: ma in che senso intende d'esser terzo e
medio? 0 si riferisce alla dignità intima: e può darsi, che sia
inferiore al quarto, e a tutti gli altri ordini della popolazione. 0
(com'è più probabile) alla ricchezza e alla possanza: e allora,
avendo de' privilegi politici spogliato gli ordini già superiori , e
prevalendo ella nelle facoltà patrimoniaU a' medesimi; è realmente
divenuta ordine primo, per non dire unico, dello stato. Anzi, co-
me s'è visto, in causa di tale prevalenza sendo ella giunta a
dominare lo stato; non si può a rigore più parlar d'ordini: sì
unicamente d'una certa accolta d'uomini, occupatrice della re-
pubblica. E, poiché il dominio ora o direttamente o indiretta-
mente non ispetta, che ai facoltosi (e mi parrebbe, non occor-
resse dimostrarlo di nuovo); cosi, non dico nel vocabolario, si
nel fatto la borghesia vera e reale è di poche persone costituita,
il cui numero si assottiglia, e si andrà vie più assottigliando.
Come dunque l'antica aristocrazia di sangue fini a Venezia, Grc-
nova e Lucca nell'oligarchia famigliare; cosi questa moderna di
moneta, divorando i suoi medesimi rampolli con saturnino pasto,
finisce nel feudalismo industriale e nel despotismo bancario
irremissibilmente. Imperocché (per quello almeno, che si osserva
sin qui , e non ostante quel , che si dice ) la meta del movimento
economico, abbandonato a sé medesimo, non contenuto da ostacoli
giuridici e da freni morale e anzi da tutte le civili forze assecon-
dato, è appunto l' assorbimento delle ricchezze in sempre più po-
chi ventricoli. La « grande industria » non può fondarsi e la gara
esterna vincere, che annientando la minuta e libera; come ap-
punto la grande agricoltura non potè nel romano impero contrap-
poi*si alla concorrenza egizia, che surrogando schiavi barbari
agi' itiilici coloni. Né la « grande banca » operare i cotanto ce-
lebrati prodigi, che facendo stillare nelle sue arche i sudori delle
nazioni, o ( jier valermi d' una sua espressione ) « mobilizzandone »
ne' portafogli fino i territori ; come appunto in Roma i feneratori
avevano i piccioli predii ingojato. La quale alchimia, eh' è il ri-
sultato ultimo a cui giunse o sta per giungere 1' economia bor-
ghese, riducendo i cittadini in sem, lascio considerare altrui, se
sia popolare abbondanza.
- 390 -
CCLXY. KianA Urghm ia Ittita.
Tutto quello per altro, che la plutocrazia fece nel suo idd-
vimeuto spontaueo e privato, è un' inezia in paragone a quello^
che con T azione pubblica e coattiva. L' opera sua del resto sotto
il primo aspetto si svolse nel corso d* oltre tre quarti di secolo,
ed è generale : mentre che sotto il secondo è puramente locak e
recente. E pertanto, dovendo io adesso della finanza borghese,
e quindi d'argomenti parlare, ne quali si si appressa quasi a
persone determinate, e onde ne potrebbe la lor fama soflirire;
adempio anche qui il dovere d* allontanarne ogni sospetto, ed anzi
d' afTermarne ampiamente Y onestà. Lascio ai vermi e ai rettii
supporre negli altri esseri la medesima loro anima vile e sdii-
fosa: a me non par vero, in tanta sfiducia, di ritrovar la virtà
e di renderle omaggio. I reggitori del nostro stato o, per dir
meglio, della nostra borghesia, ebbero troppe colpe iotellettoali e
vere per aver Catto dell' ItaUa... quel, che fecero, senza che se
n' apponga loro di morali e di false. Ammisi la buona fede loro
fin nel rigettare i valorosi, nel postergare i benemeriti, nel ri-
pudiare i sentimenti fieri e liberi , nell' adottare spedienti e astu-
zie ignobili, nel guastare la gioventù, nell' assonnare il popolo e
nel consumare il massimo eccidio della civiltà italiana premedi-
tatamente: e la ammetto anche in questo tema. Colà amo cre-
dere , fossero travolti nello errore da* falsi sistemi e dalle false
scuole, cui seguirono; e sopra tutto d^' avere rinnegato il genio
di quella patria, cui pure dilessero e intesero di servire: ma cui
non si rinnega impunemente mal Qui da due vizi d*inleileUo
ancor più grossolani : d' essersi resi strumenti inconsapevoli d' m
geldra spatriala, che si valse di loro come di propri ambeOi; e
di non avere avuto queir indomita fede nel trionfo immanrihite
delle giuste cause , che respinge de' malvagi la mano anche soc-
corritrice nel pericolo. Chi si sarebbe astenuto in una reqnisiio-
ria, qual è la presente, di rinfaaiar loro le concussioni, le ml-
versitzioni, le coriiizioni , le baratterie e i peculati, il cui namero
cresce cosi, da impensierir tutti gravemente? Chi si aslembbe
in (|uesto luogo di parlare della famosa regia de' tabacchi e d'al-
tri tali obietti di misteriose inquisizioni, che dalle aule slesse del
parlamento suscitarono un' eco dolorosa? Pure io non mi valgo
- 391 -
di questa sorta d' argomenti : perchè certo non sarieno questi mali
giunti a tale eccesso, nò si sarieno sprecati tanti tesori , s' e' non
si fossero lasciati aggirar da' tristanzuoli, cui stimarono parecchio.
E se ai depositari o gestori di danaro dello stato non avessero
imprudentemente nella penuria offerto troppi stimoli a prevaricare,
e nella infedeltà troppe allettative. Tuttavia questi sono manca-
menti di singoli prevaricatori, in cui non. ebbero eglino conni-
venza dolosa; e la cui onta non si può far risalire a loro, che
con manifesta ingiustizia e cosciente mendacio. Fra tutti quelli,
che tennero in mano la somma delle cose, e che in tanto mutar
di vicende e di ordini avrebbon potuto cautamente mancare ; non
puossi d' un solo addurre esempio, che si fosse del pubblico era-
rio, né della pubblica azione avvantaggiato. I più ebbero anzi
dalle mutate vicende e da' mutati ordini a soffrir danno maggiore
di qualsivoglia privato: e, reggendo lo stato, ne uscirono po-
veri come vi entrarono, o impoveriti ; sempre incontaminati. Che,
sebbene tale incontaminatezza sia un debito, e non un merito;
guardando quel , che accade ne' rivolgimenti civili altrove , e quel ,
che quivi intorno a lor medesimi, è tanto bella e santa, ch'io in
testimoniarla e in glorificarla mi sento allargare il petto.
CCLXVI. Iniquità del sistema tributario.
Queste premesse davvero occorrevano: poiché, propostomi
di far passare i lettori di sorpresa in sorpresa, debbo ora « co-
ronar r opera », dimostrando e provando, qualmente l'ammim-
strazionc finanziaria del regno non sia stata in questi diciot-
L' anni altro, se non un esoso coacervamento di gravezze, un cru-
dele riversamento delle spese de' ricchi su' poveri , un enorme
si)erpero de' pubblici tributi , una deliberata oberazione dello stato,
e una sistematica dilapidazione del patrimonio erariale e popola-
re. Il primo de' quali rimproveri non parrebbe dilHcile a suffra-
gare coir unanime lamento, che non se ne possa più : d' altra par-
te, siccome il pagare a ognuno cuoce, bisogna vedere, se quello
sia giusto. Tralascierò per brevità di parlare delle finanze de' co-
muni e delle provincie, notando, ch'esse navigano nel medesimo
mare di quelle dello stato , i cui nocchieri cercano d' emularsi
in tutt' i più acrobatici ardimenti. Prescindendo adunque dalle
rsazioni comunali e provinciali, quelle regie (costituite quasi esclu-
- 392 -
sivamcnte dalle pubbliche imposizioni) nelFanno 1874 raggiun-
sero la cifra di lire 1,294,205,3'35; e si supponeva, che nel 1876
raggiungessero quella di 1,321,142,386. La quale, se si rafTroDU
alla somma de' tributi , che pagavano dianzi gì* italiaDi di\isi e
signoreggiati, e c^n cui pur mantenevano sette corti, governi,
eserciti, legazioni, e meno grettamente; viene ad essere in poco
più di tre lustri circa raddoppiata. È vero, che in grazia ddb
eccellentissima economia borghese, anche gli stranieri dovettero
sopportare sempre più gravi pesi : d' altra parte a lor coofrOBlo
stanno grikiliani {K^ggio. Giacché, se i francesi contrìbuiscooo
allo stato per capo lire 61 e gF inglesi 52, mentre grìuliaoi
solamente 31; i tedeschi ne contribuisscono 2U, e molf altri po^ioli
anche mono. E , basta comparare T opulenza di Francia e Inghil-
terra coir inopia d'Italia, per comprender subito, die colà, dan-
dosi in apparenza di più , si viene in realtà a dar molto di meoo.
Fatto sta, che il limite naturale, a cui possono le imposizioni
pervenire, sembra qui su|)erato al punto, che certe industrie ooo
poterono vincere la gara straniera, da balzelli nostri uccise, e gb
armatori di navi minacciarono cangiar paviglione ; mentre la }4V-
prictà stessa è stala vulnerata. Che basta considerare, come in
molte cittù nostre la imposizione regia, provinciale e comuioie
suir estimo urbano tocca o eccede il quaranta |)er cento della reo-
dita netta; per accorgersi tosto, come il proprietario, per quasi
una metà de beni, siasi cangiato in un semplice e gratuito tu-
tore dell erario. Se poi si arroge la molUplicità delle grattut
(se ne conta una quarantina}, di guisa che il più oculato paklne
di famiglia non è mai sicuro di dover scontare con multe le pro-
prie involontarie ommissioni; e se sopra tutto le molestie e ve$-
siìzioni, che le accompagnano, la sorte de' gravati diviene ancor
pili dura. A' quali si può dire, dia senz' altro una spietata e mortai
caccia il iisco: i cui questori, su[)erbi appunto di <c colpire sino
ali osso », escogitano ciascun di nuovi ferri, e i cui procuntfori
nuovi empiastri, {hm* scarniticargli. Imi^eroccliè , tratUuidosi noi
d'altro ora, che di « pare^'giare i bilanci», com'ei dicono: da in
lato r abilità loro sopratlina consiste nel lasciare sprovveduti i lii$o-
^'iii più esscn/iali dello st^ìto e manchevoli i servigi più elementari e
necessari; «^ dall' .iltro nel succhiare e diss;mguare senza mis(Tico^
dia i «.governati. Né bastando i sublimi avvedimenti tinanziari p?r
tale intento; occorre, che le leggi vengano in lor soccorso, abbanJo-
naiHlo quella equità, eh' è il supremo santuario della vita civile.
-393-
GGLXVII. GraTeno diiaguM.
iè io faccio vane declamazioni; perchè ognuno pab pren-
in mano la collezione delle predette leggi, e vedervi co'
: occhi i principii della eterna giustizia, che loro sovrasta,
Certamente esse trovano celeberrimi giureconsulti, che (per
do) sostengono lecito obbligare i privati a ricever carta in
di metallo, non ostante il patto contrario e la stipulazione
ore ; lecito colpire con la esecuzione giudiziale le cose altilii
ì il tributario moroso; lecito render responsali i principali
ncato tributo de' propri salariati ; lecito addossare ai phr
augnai il carico d' esattori pubblici ; lecito trattenersi sulte
isse somme e fm ne' dovuti pagamenti un aggio camerate ,
te tutte le altre loro enormezze. Poco anzi mancò, si sta-
per legge, non avere alcuna vahdità i contratti scritti e gli
Itti civili, i cui autori non avessero aUa registrazione e a
[ttre prescrizioni fiscali ottemperato; e celeberrimi giureoon-
H)stennero, come ciò fosse giusto. Quanto a me, che. sono
ungi da siffatta celebrità (e se ne saranno i miei cento let-
ccorti ); codeste enormezze , ancor che le si possano col Dì-
e collo stesso Codice civile legittimare , le mi sembrano
la non poterle, pei rispetto sempre debito alle leggi, qua-
e. In alcune regioni del regno, giunsero per fermo nuove e
ite, ed alla stessa magistratura ostiche e incomportabili: e
ranno presso i posteri documento del punto, a cui osò il
ismo borghese in Italia pervenire. E ancora non ho detto
:gio nella materia de' vettigali : poiché, oltre eccessivi e ini-
aè anche furono secondo la diversa fortuna de* cittadini ,
mente partiti. Mentre si vede palese, nel secolo presente te
izze mobili prevalere alle proprietà immobili (le quali si
[ire , non servano, che d' ipoteca a quelle , appannaggio del-
rna tirannide); si avesse almeno cercato di sollevar queste
disavventura, che le opprime, benché dieno più ateurtà di
onorati e d' ottimi cittadini ! In vece di diritto si adequano
'a noi, sotto le imposte dirette, queste e quelle: nel dito,
ne i feneratori riversano su' possidenti anche te loro, ne
, che questi sieno molto più gravati, e che di giunta i ti-
non paghino quasi niente. Del resto, se la imposta prediate
- 394 -
diede nel 1874 un frutto di 189,412,923 lire, e l'altra di 188,197,875;
non scguiUì, che questa seconda graviti del tutto sulle prcMlette
ricchezze mobili. Perchè anzi questa percuote nella maggior som-
ma coloro, che o non ne hanno punto, o cosi esigue , da doversi
piuttosto chiamare miserie stabilì. Sono in fatti dalla medesinu
principalmente percossi coloro, che traggono o dal solo lavoro o
dal lavoro arroto al capitale i mezzi di sostentamento; e sopn
tutto que' pubblici proletari, che hanno il nome ora di pubblici
impiegati. Verso cui lo stato non si comporta altramente dì qvd
padrone, che dicesse al proprio servo: io veramente ti debbo
tanto di salario ; ma te ne diffalco tanto. Né te ne dolere, o
ignorantcUo , che non è mica un mancamento di parola ; ou è
ima « ritenuta » I quaU proletari, e del pari i mutuanti ipo-
tecari (ovveramcnte i mutuatari per loro), e le opere pie e i pupilli,
per forza creditori del monte pubblico e con designazione de' nomi
nelle cedole relative, non avendo scampo alcuno, debbooo di n^
cessitfi il proprio aggravio soddisfare; ed anche pegli altri, che
lo evitano. Gli altri, cioè i grandi trafficanti o i grassi cittadini,
precisamente possessori di quella tal dovizia, che dà il titolo alh
gravezza , e che sta ne' loro Ubri mastri occulta , con ingenue
dimenlicagioni all() ugno del fisco s' involano. E potè dir questo
uno de' più illustri fiscali del mondo, con quella grazia, eh' è nota
a tutto il mondo, senza che ninno de' suoi ammiratori degni n^
cogliesse il guanto. Ma chi avesse vaghezza di cerziorarsene
cogli occhi propri , non ha, che a riscontrare nelF albo, eh' io già
nientovai , de' tributari per causa di mercatanzia e di cambio, Ir
candide denuncie di que' tali Cresi, cui egli per ventura oooofice,
e di cui sa gli aimui guadagni.
CCIAVIII. eraTMBe riTersate n'mlatraUU.
I.)i tal guisa la borghesia, a cui profitto è lo stato, per b
cui tutela questo incontra le maggiori spese , e ne' cui forzieri b
contribuzione di tutti alla (ine i)ervienc, concorre appena perin
decimo alla uìedesima. Siccome [lerò non bastava a tale uopo
colle due predette iu)(>oste dirette angariare il possesso fooditfio
e colpire le professioni e le arti (cioè il semplice lavoro)* e d'al-
tra parte era ella stessei in (|ueste coinvolta , e bisognava pure ii
qualche moilo nìantenere lo stato suo e firuirlo; nalnnilaieBie
- 395 -
occorsero nuovi e più portentosi accorgimenti. Mentre V antica
aristocrazia s' accontentava , che a' bisogni pubblici provvedessero
di regola i soli possessori di fondi; era già molto, che questa
così detta democrazia, proprio essa, giugnesse a colpire il sem-
plice lavoro. Ma , siccome il lavoro non è per lei punto un patri-
monio, quando si tratta di rispettarlo, e , se di gravarlo, lo divie-
ne tantosto; ecco, che sotto cotesto aspetto sta in riga. Se non
che , esaurite già le « risorse » de' patrimoni meramente costituiti
dalla mente e dal braccio; oh che altro dunque restava da inga-
bellare? Io e voi, lettori, a questo punto, ci saremmo perduti
d'animo: i finanzieri borghesi non si smarriscono per cosi poco.
Essi hanno detto : fìn qui si tassarono gli averi , e noi tassammo i
non averi. Fin qui si tassava la ricchezza: noi siamo più sopraf^
fini, noi tassiamo la miseria. Or come si fa a strappare monete
da tasche vuote? come esecutar gente, che non possiede altro,
tranne la vanga e il pajolo? e come quindi farle pagar la tassa
sugli utensili, prima che gU comperi; sulle vesti, prima che le
indossi , e sui cibi , prima che gì' imbocchi ? Risolvono questi
ardui quesiti le imposte indirette appunto, da accessorie divenute
principali; e che sono, a detta degli economisti borghesi, la più
stupenda cosa, che abbia il genio umano indovinato. Le quali
sono per verità moleste e vessatrici anch'esse, e calpestano la
dignità umana a segno, che il cittadino deve per talune lasciarsi
frugare da' gabellieri in dosso, come fosse un malfattore a priori.
Nondimeno di colali frottole non si tiene più conto oggi; tanto più
eli' esse, oltre i suddetti pregi , ne hanno uno incommensurabile.
Vuo' dire , che i gravati non se n' accorgano ; e cosi si lascino
dolcemente dagli umanissimi camerlinghi dispogliare, senza nem-
manco un grido di dolore. Perocché , se il solo balzello del pesce
potè già tanto in Napoli, da suscitar la rivolta di Masaniello;
immaginate ora, che accadrebbe in tutta Italia, se le più povere
famiglie sapessero di pagare ogn' anno alla camera pubblica quasi
un centinajo di lire per ciascuna; cioè una somma, che non giun-
sero mai a mettere insieme e nemmanco a contare? Non lo sa-
pendo, pagano giorno per giorno, ora per ora , quella somma dolce-
mente: né coirono gli umanissimi camerlinghi il rìschio di finir
come Prina. Vi era per caso un certo articolo del cosi detto Statuto
{ il venticinquesimo), in cui esplicitamente si stabiliva come pubbli-
co patto, che i cittadini o, com' esso gli chiama, i « regnicoli »
avrebbero contribuito ai bisogni dello stato « nella proporzione
-396-
(leì loro averi ». Non ignorate però, che alla borghesia pretne
assai (c proclamare » i diritti degli uomini e le franchigie ddle
nazioni nelle sue « carte ». E, avendogli quivi proclamati, vorreste
mo anco, che gli dovesse di giunta osservare? Contribuiscano anzi
questi degni regnicoli nella proporzione de' loro non averi ; por
che si possa senza pericolo e con certezza (o cioè colle imposte
indirette e co'monopolii governativi) mungere. In seguito acquali
meravigliosissimi trovati, le tasse, i dazi, le gabelle e le r^
cadendo sulla massa del popolo alla rinfusa, e spedabnente si
quegli alimenti, cui smaltiscono i plebei stomachi; hanno per
naturale edetto di colpire i poveri appunto. Anzi talune di esse,
come quelle sul macinato, che fruttò nel predetto anno 1874
lire 68,879,080, sul consumo 58,343,468, sul sale 77,933,641, sui
lotto 72,938,730, e poscia all' avvenante ; sono a dirittura unico
de' poveri flagello. Perchè certo alla meschina bisca e aDa vol-
gare riiìiì, cui lo stato rese pubbUco istituto, i ricchi non gioo-
cano : quanto agli altri monopolii e diritti su' commestibili d* as-
soluta necessità, si capisce bene, come le sieno ineàe pegli sto-
machi borghesi.
CCLXIX. Ckibella del madBAto.
Pensando, che que' milioni del laitOj i quali si riteneva nel
1870 dovessero siilire a settantacinque, si foimano di tanti soMi
e centesimi, carpiti uno ad uno alla miseria, all'ignoranza e aDa
superstizione, nell atto stesso che le lusingano, accarezzano e
fomentano; pare impossibile, che in si vantata civiltà si persista
in si perniciosa, ignobile e sozza frode del vecchio despotisma
Pur, dopo tutto, non si può pretender troppo da cotestoro, che
dicono: come vorreste respingere questi quattrinelli, coi i tapini
corrono in frotta a versar lietamente, e su cui almanaccano tante
rosee speranze, e con cui rallegrano Uno i fatidici sogni e mor*
torli ? — Per altro, come aonestare la riscossione di que* milioiii
del macinato, i quali si riteneva nel 1876 dovessero salire a set-
tantanove, ed an/i nel 1878 a ottantuno; giacché ogn'aoDO le
regalie si disvilu|)i)imo o (per. dirla in stile flscale) danno seu' ao-
mento maggior prodotto? « Quanta umanità fosse nei ronniii...
si vede in ciò che facevano in tutto esenti dalle gravezze li po-
veri: e noi ahri gli quali pur siamo cristiani, più gli graviaiDO
- 397 -
con le gabelle sul villo ugualmenle da loro pagate , come dai ric-
chi; nò è alcuno, che mosso da carità, o da umano rispetto dica
la ragione della misera gente ». Questo scriveva un onesto bor-
ghese del XVI secolo, .Uberto Foglietta, nel secondo Ubro della
Repubblica di Genova: ma che direbbe egli adesso, in cui i
poveri pagano più dei ricchi, ed anco pei ricchi? Certo io credo,
che sarebbe a' nostri medesimi consigh maggiori mancato il corag-
gio, pur pascendo il popolo di vento, di portargli via parte di
quella farina, che gli rimaneva. Tant'è, che uno de' medesimi
poco fa promise, in capo a qualche anno di non voler più...
commellore di tali azioni. Tuttavia, stretti e soffocati entro le
spire deir illogico congegno politico e del logico cataclisma finan-
ziario; tra le minacciate questioni di gabinetto (com'ei le chia-
mano in lingua jonadattica) e il minacciato fallimento dello stato,
dovettero anche su quella farina metter mano. E fu lor detto con
metàfore feroci (se io cito bene a memoria), che questa è una
delle famose imposte « a larga base e d'ampia capacità, desti-
nate come il riccio a intrudersi piccin piccino, e poi a rigonfiarsi
e a pun.LTre »: nò si sgomentarono, se nel solo anno 1876 ve-
tlcsser chiusi 7,508 mulini. Intanto allo sciagurato popolo non tol-
sero solamente il cibo; bensì, sto quasi per dire e per dimostra-
re, il sangue e lo ossii. Che è quasi provato, T italiano nudrirsi
<li mozza vivanda d'un inglese o d'un tedesco: e, comunque ei
|)0ssa |xT la buona schiatta e il dolce clima campare con meno;
via, d'aria non può campare. Se, a detta de' maestri d'igiene,
il nutrimento stio, anche innanzi a questa fiscal molitura, non era
adeguato abbisogni, per essere così robusto e gagliardo come
potrebbe; si può facilmente immaginare, cosa sia oggi divenuto.
La massima parte de' nostri rustici, cioè la maggior parte della
nazione non vede né carne , né vino, e in molte regioni nemmanco
frumento. Ed ho già detto, che a migliaja di capi varcano i nostri
slessi buoi le frontiere e a milioni di serque le uova, per sa-
tollare altro genti, che ne possedono di più. Diminuendo il pasto,
già privo di cibi animah, anche dell'ultimo cibo vegetale, che
rimaneva; la sorte degli uomini viene qui dunque ad esser peg-
giore di quella de' cavalli del regio esercito. I quali sono ora
pasciuti, corno ognuno sa, di granone anch'essi; ma, trituran-
dolo essi medosimi, vaimo almeno esenti dal macinato. E cosi
(|uesta nobile razza umana (dico l'italiana), sottoposta a tributo
rìn nelle proprio cellule ossee e ne' propri globuli sanguigni ,
- 398 -
se più a lungo tardano i rimedi, è lentamente destinau a dege-
nerare e a deperire: ma che imporla?
GCLXX. Sperpero dell' entrato pobUlebo.
Or bene, eravi dunque necessità, e come si adopenrono tott'i
fruiti di queste imposizioni oppressive e quasi mortifere , eh' io
venni accennando ? Si sta poco a dire, che per « fare Y Italia >
occorrevano, e che non le furono mai troppe per si alta impresa.
Anzi tutto , r Italia forte e gloriosa , onesta e felice , vera e le-
gittima si sarebbe fatta con la virtù sui campi bellici, e ooa
con r oro ne' banchi. E, supposto che con Y oro, questo si do-
veva dagli abbienti fornire, ed equamente; non da' non abbienti,
e iniquamente con le gabelle sulla miseria. Tanto più, che
per costoro, privati sin de* suffragi e sbanditi dalla vita civile,
sin ora quella è come se non la ci fosse. Ma, pognamo pure, che,
buona o rea, la si dovesse di tal guisa e sulle ossa e sul sangue
(li costoro fare ; se tutto Y oro fosse ito per farla , ancora non
moverei lamento. Che V essere Y Italia unita e dagli stranieri franca
è tal licno, che si [)otrebbe dire appunto, tutf i tesori del mondo
non bastare a pagarlo. Se non che qui appunto sta la maggior
condanna : che , di qucst' oro in diciotf anni versato all' erario,
la minor parte è quolla, che pel bene del popolo italiano fu spesa.
NV primi anni quante dissipazioni non vi furono, dagli slessi pre-
posti alle finanze, mano a mano che si succedettero, confessale?
Si è giunti, dopo tanto spendere, ad avere un esercito veraoieole
agguerrito, od un' armata qualsiasi, agguerrita o disagguerrita? Noa
ci trovammo in una c^rUi fortuna di maree d'onore (ahimè, dob
si può rammentarla senz' arrossire ) cosi bene allestiti , che noa
si sa[)ev;i, donde e come principiare? Non dovemmo testé vendere
per disusato carcasse e |)er ferravecchi certe navi, il cui battesi-
mo datava da un lustro appena , e il cui solo nome dovea spa-
ventar r universo ? Quante somme ingenti non si sciupano indie
attualmente a disfare e rifar fortilizi, armi, divise; e avendo ao-
cnra le fanterie in que' begli arnesi da inverno perpetuo, coi tadi
veggono? Non si aggravò i carichi della camera pubblica in ni-
sura enorme col giulùiare un' intlnitAdi pubblici ufficiali, unicamenle
per sostituirvene altri a capriccio? Nelle opere e prowedigioni pib-
iilirhe, quanto denaro non si profuse con una Icggereua speeie-
- 399-
rata, favorendo le industrie straniere a danno delle nazionali, e le
imprese a danno de' cottimi ? Quanto non se ne sprecò , e gittò
via a dirittura ne' premi, aggi e sconti di più concessioni, cessioni
e successioni d' appalli per un medesimo oggetto? Non è egli
noto, che qualche volta per tali lavori e somministramenti , pri-
m' ancora d' iniziargli e di fornirgli, si lucrano dagli appaltatori
di prima, seconda e terza mano più milioni di lire, senza esporne
veruno ? Non sono noti i privilegi concessi a certe compagnie di
credenza e i favori a cert' altre ; e i modi, con cui s' ottennero, se
leciti, non sempre verecondi o decenti? Per accattar pecunia, per
dissimulare le vendite e le passività, e per consumare le rendite
camerali in anticipazione, non si usarono artificìi da fanciulli di-
scoli 0 da negozianti rovinati? Non si costrussero a spese dello
stato strade ferrate, e poi, perdendovi molto, non le si vendettero
a' privati; dicendo, che giovava lo sbarazzarsene? E non le si ri-
comprarono quindi, a maggior prezzo ; dicendo, che giovava pre-
cisamente r opposto ?
CCLXXI. Infrattnodtà delle pnbbliolie spese.
Da' dubbi sollevati, che in taluna di queste faccende innomi-
nabili, persone cointeressate al loro esito, e per sino guiderdonate
innanzi o resene gratuitamente partecipi, dessero un voto efficace,
consultivo 0 deliberativo; di questi dubbi io non mi curo. Per-
chè, sebbene il mero sospetto in chi attende a' pubblici affari sia
una calamità grave, e chi vuole attendere agli affari propri debba
almeno per cortesia da quelli astenersi ; la santa presunzione delle
leggi, che reputa innocenti gli uomini sino a contraria prova,
deve anche per costoro valere. Anzi non solamente prava inten-
zione ; ma vuo' supporre, che né temerità, né awentatezza, né ne-
gUgenza intervenisse: potendosi concepire anche qui un errore
affatto involontario d' inesperienza. D' altra parte quel, eh' è fatto,
è fatto: e non si tratta qui tanto di vedere, come per difetto de-
gh uomini transitorio e rimediabile sia proceduta, quanto per di-
fetto de' sistemi organico e stabile la rovina proceda. Al quale
uopo niente di meglio, che considerare i bilanci stessi del regno,
secondo cui nel 1874 le erogazioni furono di lire 1,396,724,209,
e nel 1870 di 1,318,012,252 dovevano essere: ed in cui è gran
ventura , se un terzo delle medesime vada a profitto della na-
- 400 -
zionc. Conciossiactiè (per non confonder la testa con soverchi ira-
meri) negli stanziamenti pel secondo di detti anni , alla sob am-
ministrazione delle finanze si addissero lire 871 ^08,0*28 ; e per
ciò non ne rimanevano , che 447,504,224 per tutti gli altri sfr-
viffi. E, siccome alle armi di terra e di mare erano 227,63j,7jO
lire assegnate; cosi ai servigi puramente e propriamente civili
(giustizia, diplomazia, istruzione, cose interne, lavori pubblici, eco-
nomia nazionale) non si potea devolvere né anche un sesto ddb
spesii totale. Quindi, supponendo, che questo sesto si adoperi ot-
timumente, e dimenticando (per esempio), che le prigioni costmo
più delle scuole ; e supponendo e dimenticando tutte le cose posr
sibili ed impossibili , il principale è divenuto accessorio a) punto,
che, se non si mantiene Y Italia per provvedere alle finanze sue
od alle altrui , io non so davvero , per quale altro scopo la si
mantenga al mondo. E cosi è certamente facile ottenere il fiuni-
gerato pareggio de' bilanci : e può darsi altresì , che si potesse
ottenere un avanzo , se d' altra i>arte non occorresse serbarla io
vita. Pemcchò sapete già la storia di quel brav' uomo, che voleva
avvezzare air assoluto digiuno il proprio giumento; e che ci sarebbe
[ler feriiìo riuscito, se il buon animale non fosse nel terzo giorno
scoppiato. E cosi ci riuscirebhono gV implacabili europei vampiri «d
avvezzar quest' luilia ; se, per su^gerla, non la dovessero come che
sia tener viva. In fatti, dopo avorla indebitata sino agli occhi, gridi-
ronle con urli <]a jene, cui sento ancora rintronare entro il petto
corno i colpi (li martello battuti sul feretro d' un caro estinto ;gri-
•laronle, elio or non pensi più, se non a vivere per lavorare, ed a
lavorare |)or pagare. E, facendole insieme balenar sempre la lusinp
(li (|U('I famigerato {lareggio, }>erchò la non si disperì; hannola appunto
;il destino di vittima del cambio cosmopolitico rassegnata.
CCLXXII. Corso fomto delle cedole di banco.
Or, com' è arca<luto a lei, e come eziandio ad altre nazioiB,
<*lie sotTorissero si disumano destino? Basta dare uno sguardo ai
prodotti stan/iamonti in servigio delle finanze italiane; per eoa-
prouilore tosto la via, ohe a tale uopo si tiene. Esempio a* po-
poli futuri , so mai i cosi dotti economisti si presentassero anche
tra loro |N^r roL'olare la loro economia, e per rovinarla eooooni-
oanionto ! Prima in fatti , che ci fosse la scienza economica nel
iiioiidn, alcuni gontiluomini e spt^sso emeriti guerrieri mìDìslnvaio
— 401 -
così rozzamente la pecunia dello stato o, com'ei la chiamavano,
il « sacro erario » , che ce n' era di soperchio e in serbo ne*
tempii. Ma queste le sono anticaglie classiche, cui la predetta
scienza condanna : secondo la quale è meglio spendere di più per
riscuoter di meno, e in vece d'accumular risparmi, accumular
debiti. E cosi appunto noi eroghiamo , per la semplice gestione
e fruizione delle entrate pubbliche, lire 122,140,583 (cioè quasi un
decimo); e, per le rate e i censi dei pubblici impronti 567,439,881
(quasi la metà della spesa totale). Tutte adunque quelle esose e
crudeli gravezze, che vedemmo, non hanno altro obietto, che di
soddisfare Y usura de' debiti ; e dico Y usura , giacché del capi-
tale non se ne parla più. Né l)asta: che, oltre Y usura pagata dal
popolo con le suddette gravezze palesemente; altra ve n' ha, senza
pagar niente, che tuttavia esala, se cosi lice esprimermi, dalle
sue tasche invisibilmente. Perocché, oltre favorire i banchi e age-
volare i cambi della borghesia, assicurandone la fede e aumen-
tandone la moneta ; bisognava trovar modo anche qui, che si po-
tesse addebitar lo stato in guisa, che i poveri, quanto e più degli
abbienti, ne portassero i relativi pesi. Per ciò s' introdusse la mo-
neta di carta e il corso forzoso della medesima: il che appunto
( per non dire de' privilegi concessi a certi stabilimenti venali di
emetterla) non fu altro, che fare un debito a prò' dei borghesi e
a carico de' cittadini tutti. Avvegnaché i borghesi o gli agiati ,
del danaro prestato allo stato, ricevono frutto : ma i cittadini tutti
ed anco i disagiati, accordandogli con la moneta di carta ugual-
mente credenza, mentre pur concorrono a pagare altrimenti quel
frutto, patiscono inoUre senza compenso una diminuzione d'avere.
Pel solo fatto cioè dell' introduzione predetta , tutti coloro , che
aveano mutui, interessi, rendite , fìtti, pigioni, stipendi, salari an-
teriormente convenuti o fìssi, si videro di repente diminuire d' un
quindicesimo le somme relative. Tuttavia anche appresso, fin che
si conguagliano i prezzi e le mercedi secondo la medesima (e
pegU stipendiati e salariati principalmente, ossia pegli alU e bassi
proletari non le si conguagUarono ancora), se le videro e veggono
ciascun anno diminuite dall' aggio di circa un ottavo. Per non
dire, che non possono mai sapere con precisione, qual valore si
abbiano in saccoccia, soggetto com' è ogni giorno alle oscillazioni
del mercato. E, che, se mai in momenti di distretta e di peri-
colo sorgesse il mero sospetto , che , perduta la testa , si girasse
neir « olTicina de' valori » il torchio, sopraggiungerebbe il caos.
26
- 402-
CGLXXIII. Hbgamento ne' deUtì.
Intanto, che che ne avvenga, e non tenuto cooto delle Pro-
vincie e de' comuni , lo stato si è già aggravato (comprese que-
ste cedole monetali per 880»000,000) d' una poissiviià oominrie
di lire 9,883,589,226. Contro cui , poiché esso non ha quasi pii
niente di proprio, non havvi altra attività nominale o reale , che
faccia fronte ; tranne i privati averi de' cittadini I quali nel pro-
seguimento della tirannide borghese sono destinati appunto a om
lenta e metodica spropriazione in cotal guisa. Giacché alia fin fine
il debito di quello , è un indebitamento di lor medesimi , e ma
conseguente diminuzione delle loro facoltà. Ma qui mi si può
chiedere : oh , che e' entra mo in tutto questo la borghesia. —
La ci entra si, rispondo io, che, appena ella e dovunque spanta,
gli accatti camerali incominciano; e, appena e dovunque fiori-
sce , desolano e impeiTersano. Perchè generalmente si ripone b
origine di questi nel monte , che la borghesia florentina aperse
r anno 1345 per proseguir lotte, a cui più non sovveniva lo spi-
rito d' eroismo e di sacrificio antico. E in quel tomo o poco ap-
presso i monti si diffusero in altri comuni iritalia, mano a mano
che tale spirito veniva meno. Erano tuttavia inezie in paragone
degli enormi presti ptMIici , che da men d' un secolo s' aeca-
mularono, e opprimono presentemente i popoli europei. I quali si
calcola, che, solo per soddisfarne gì' interessi, debbano ogn'anno
pagare 3,895,000,000 di lire ; e sempre a merito de' prefati sublimi
economisti. So bene, che in gran parte se n' attribuisce la causa agfi
enormi eserciti stanziali da Napoleone, ed anzi un secolo prima
imposti. Ho per altro già notato, che questi medesimi hanno con
la borghese tirannide una strettissima attinenza : oltre a che, ho
più altre ragioni in pronto per dimostrare, che non una semplice
coincidenza storica mette assieme questa tirannide e i debiti
delle nazioni. Dì fatti (prima ragione) , siccom' ella non pnò do-
rare senza que' 5,837,000 armati , che tengono oggi la 'pacifica
Europa in freno ; così non può esser servita senza quelle caterve
di ministeriali, di cui pure ho parlato , tra la lusinga e 0 timo-
re, il trastullo e il supplizio, come i sorci da gatti tenute a hada.
Se i pubblici uflìciali fossero gratuiti o<l elettivi, o comunque sìa
elevati alla dignità di magistrati della repubblica, non sarìeno pia
- 403-
d'alcuna fazione borghese servi. Volendogli aver servi, e questi
non dando naturalmente, che un servii lavoro, ne occorre uno
stuolo inGnito ; cui , per quanto si maltratti , bisogna pur mante-
nere. Deve adunque di necessità una dominazione del terzo ceto
od una plutocrazia costar molto; tanto più che non la può pre-
tender servigio alcuno, che non sia compro. Ma (seconda ragione),
anche pel soddisfacimento delle paghe e degli altri oneri pubblici,
facendo difetto ogni carità e zelo di patria , essa deve stimolare
r interesse privato. E quindi, esaurito quel tanto , fino a cui i sud-
diti ponno esser costretti a contribuire; prendere a cambio da' me-
desimi, allettandogli col più largo scrocchio. È vero, che di questa
guisa non si muta, quanto ai frutti, che la forma del peso (giac-
ché il contribuente alla fine passa al prestatore il prò'); e che,
quanto al capitale, il peso predetto sulla posterità trapassa. D' al-
tra parte , sendosi la borghesia proposto di pagare ella stessa e
la generazione vivente della medesima meno, che potevano; per
ciò appunto diede a' pubblici impronti di danaro cotale sviluppo.
Mercè il quale (terza ragione) ella su' poveri nuovamente , e su'
futuri, per cui non ha viscere, riversa i suoi medesimi e presenti
pesi : e i suoi economisti, ben inteso, ne la encomiano ; allegando,
che i posteri ne godranno anche il beneficio. Perchè, quantunque
il beneficio sia pe' nostri molto problematico , è dogma della pre-
videnza borghese, che i posteri non debbano essere gratuita-
mente beneficati ; e che non debbano, se non d' assi oberati, isti-
tuirsi eredi. In line, s' anche non vi fossero state le predette cau-
se, che inducevano a far debiti, ve n' era una possentissima : per
la quale anche senza bisogno si doveano fare , e si fecero. Che
cioè (quarta ragione) i debiti pubblici sono le ritorte, con cui la
borghesia tiene le nazioni avvinte a sé medesima; e mercè cui
gradualmente s' intasca i loro averi, precisamente come l' usurajo
usa col prodigo. Di fatti immaginate il miglior congegno econo-
mico , pel quale il telonio e il ghetto prima s' impadroniscano
delle regalie ed avvochino a sé i tributi; ed indi condensino e
mobilizzino le ricchezze tutte de' popoli ne'lor forzieri; e voi
avrete senz' altro trovato il catasto usurarlo, o il gran libro della
rendita consolidata.
- 404 -
GGLXXIV. DilapidAdone de* beni dmudalL
Cosi non è bastato alla borghesia , nel movimento spontaneo
della economia nazionale, lucrare d'ogni cosa e a danno di tutt* i ceti;
e, impossessatasi dello stato, volgerlo a proprio profitto, coacervare
balzelli sovra balzelli , gravarne i poveri per esonerar sé medesi-
ma, e lasciando sprovveduti i pubblici bisogni Non le è bastato,
mentre diffida tanto delle locali franchigie, riversar parte de' pesi
dello stato sulle provincie e su' comuni; i quali a lor volta de-
cretano sovrimposte e s' indebitano. Non le è bastato, che qui in
Italia si debba all' umiliante spettacolo assistere di censorii fra
stato , Provincie e comuni , per mantenere assieme istituti , a coi
quello non vuol più o non può da solo provvedere. Né le è ba-
stato, che colle entrate de' municipii, e quindi anco e sopra tatto
co' dazi pagali da' poveri, si dotino i grandi teatri pe' divertimenti
suoi. Che, dopo tutto, con ciò non si erano, che duplicate le
gravezze dal cinquantanove in poi; e questo era un nonnulla per
lei. Ma, poiché il debito totale dell' Italia , allora divisa e signo-
reggiata, non era, che di lire 1,482,760, bisognava per lo meno
sestuplicarlo ; acciò 1' opera fosse perfetta. E la \i è giunta in
guisa, che, se del regno, già di quasi dieci biUoni oberato, non
si pronuncia ora l' insolvenza e non si decreta la cessione de'
beni, la ragione è una sola: che non tornerebbe conto. Pur, non
bastando nemmeno farlo giungere all' orlo del fallimento, bisognò
anche dispogliarlo quasi affatto di quelle attività patrimoniali, che
avea di proprio , acciò non gli rimanesse per ventura niente. E
anche qui i prefati sublimi economisti tirano fuora le loro teori-
che sublimissime ; una delle quali è appunto che lo stato, come
pessimo amministratore, si deve da cotali impicci, quanto più puoi
liberare. Cosi i beni demaniaU , avanzi attivi ( per valermi di
questo gergo da ragionieri, che con altre frasi levantine costitui-
sce la lingua borghese) , avanzi attivi de' secoli precorsi , sfuma-
rono in brevi lustri come per incanto. È vero , che lo stato, gii
posseditore di magnifici e monumentali edifici , deve oggi pren-
dere a pigione iin le squallide e luride stanze pe* suoi ofBct o
per le sue cancellerie. È vero altresì , che il popolo non se ne
avvantaggiò dalla vendita punto : ma che importa , quando se ne
potè avvantaggiai' qualcheduno?
-405-
CCLXXV. PriTata «murptifame deOa poroprietà oonuiei
Del resto, se soltanto il patrimonio dello stato, ossia V antico
demanio y si rapidamente e infruttuosamente e in quella guisa,
che ognuno vede, si fosse dilapidato, il sacrificio della nazione in
sull' ara di Fiuto non sarebbe stato compito. Già con dilapidar
quello, eh' era proprietà di tutto il popolo, e quindi tanto de' po-
veri come de' ricchi, si veniva, per mitigar gli oneri ai ricchi, a
privare i poveri d' una quota de' comuni averi. Pure la inroprietà
non n' era in costoro, che parziale e indiretta: e, privatigli di
questa , si voleva anche di quella diretta e integrale privarg^ ;
acciocché si rimanessero, da quelle vili canaglie , eh' erano, nudi.
Alienata cioè la proprietà in istretto senso pubblica, e alle pri-
vate naturalmente i borghesi , cotanto strenui sostenitori de' di-
ritti individuati , non volendo metter mano ; che cosa han detto
essi? — Spogliamo i cari nostri concittadini della proprietà po-
polare : e , poiché non vi sono altri diritti sacri , che g^' indivi-
duali, e i poveri non ne hanno veruno, e ad ogni modo non vi
sarà pur un avvocato in Italia, che gli difenda, spogliamo costoro
a dirittura della loro particolar proprietà. — Se i miei buoni
lettori non mi hanno ancora compreso (giacché veramente io debbo
in tanta fretta dir troppe cose per cenni , lasciando a loro stessi
disvilupparle ) ; son qui pronto a chiarire , come andò la fac-
cenda. Debbono anzi tutto sapere, che, non ostante lo istituto le-
gale della proprietà, vi sono nell'universo cose, cui i giurecon-
sulti chiamano inesauribili ^ e che per ciò non sarieno sipprih
priabiU; ed altre non occupate ancora, che le diventan pro-
prie di chi primo se le piglia. Anche di queste si va assotti-
gliando vie più il numero o la copia : perchè è facile immaginare
neir eccessivo sviluppo odierno di quello istituto sotto la scorta
dell' individualismo, ch'esso va assorbendo quanto più può; e che,
se potesse esaurir l' acqua e l' aria, le sequestrerebbe andi' esse.
L' acqua stessa, come forza motrice o hrigua, e per fin ¥ acqua
potabile, è tal volta sottratta alla comunione umana : e potrà esscrio
anche V aria in futuro, con qualche investitura nuova, se non altro
per muovere qualche mulino a vento. La pesca e la caccia dd
resto, che particolarmente in Italia erano di r^la libere e pro-
miscue , son già divenute oggetto di dominio al ponto , di* è a
- 406 -
me medesimo accaduto di vedere in un picciolo comune ognuno
di que' borghesucci cingere a mo' di parco il proprio eampicello,
e scrivervi sul primo tronco: bandita. E d' ora innanzi i pesca-
tori e i cacciatori, se non tendono Y amo nella cisterna e se ood
sparano V archibugio dalF abbaino , possono al mestìer loro ri*
nunciare. Poi vi erano molti usi patriarcali in passato, cui quel-
Taristocrazia indolente antica tollerava, quali il rastrellare, il r^
cimolare , lo spigolare ; e cui naturalmente la democrazia alacre
moderna esecra, come furti da villani o improvvidi scialacqui
(jueste superstiti reliquie adunque della prisca comunanza delia
natui*a si dileguano : e la vita è cosi stretta ora , eh* è quasi a
dubitare, se in avvenire potranno gf indigenti trovare piii un lembo
di terra, che gli sopporti, o una zolla che ne ricopra i cadaveri.
£ certo, se quest'ultima loro non manca .ancora , non è per di-
rilto, ch'ei n abbiano, o per pietà: ma pel vetusto rito, e perchè
pure di quei cadaveri o di quelle carogne necessita in qualche
modo sbarazzarsi. Ter tutto quesrto le leggi errano mortalmente,
lasciando la proprieti^ invadere la vita e l'economia soverchiar
la giustizia, come se non vi fossero anche altri beni da tutelai
nel consorzio civile. Non si potendo tuttavia cotali loro mortali
errori alle ilnanziarie funzioni imputare, passiamo agli altri.
CCLXXVI. Dilapidaiione de' beni oomiftU.
Oltre le sopraddette cose di diritto o di fatto comuni^ ve ne
sono altre, proprie dello stato o de' minori corpi politici, ma de-
volute di lor natura a comune vantaggio: e ancor queste vaono
diminuendo. Le strade ferrate , pel cui sviluppo tanto si spese.
rendono certamente alla circolazione delle persone, delle derrate
e delle merci prodigiosi servigi. Se non che bisogna D0tar^ che
non le sono e non le possono essere gratuitamente godute, si^
come goilevaiisi e godonsi le altre maniere di comunicazìODe. Ol-
tre a ciò, r uso di molte coso pubbliche , eh' era presso i rapici
pagani gratuito ; e, |)er esempio, in Roma , lino de' circhi , degli
antiteatri e delle terme), in (fuesta liberalità cristiana non si vuol
più concedere, senza retribuzione. Costruendosi quindi oggi ■>
ponte, un acquedotto o altra tale opera di generale utilità, alino-
gasi in qualche città ad una delle solite compagnie di guadagno:
e non par vero di scaricarsi cosi del dis])endio. lotaoto aoo si
— 407 —
pensa, che di tal guisa, dovendo gli utenti con certi canoni sod-
disfare a quel guadagno, coloro che non gli possono pagare, non
ne debbono godere. E non ci si pensa, perchè la è una segreta ed
indiscutibile intesa dello sfato borghese, che pel popolo non si
debba gratuitamente far niente; ma tutto a profitto unico ed
esclusivo di coloro, che possono pagare. Di modo che, se le piazze
e le vie non ce le avessero lasciate franche di spesa i nostri
maggiori; si può esser certi, che si porrebbe anche per passarvi
un pedaggio , siccome già si è posto per fermarvisi uno stazzo.
Tralasciando anche codeste cose ; vegnamo a quelle, che più im-
mediatamente al popolo spettavano, e a' poveri in principal modo :
cioè i beni comunali , gli ecclesiastici e quelli delle opere pie.
L' agro de' municipii , a' tempi di Roma antica rilevantissimo ,
si mantenne anche di poi ragguardevole, sino al finire dello scorso
secolo e all'apparire della moderna tirannide. Distribuendosene una
parte in piccioli lotti e con periodica vicenda alle famiglie tutte
del comune; l'altra parte (costituita di grandi selve e praterie,
che pur sono alla nazionale economia necessarie ) provvedeva a'
bisogni del comunal reggimento. E su questa medesima e sugli
altri latifondi i diritti, cui si dicono ora abusi, di legnatico e pa-
scolo , e altre tali immemoriali consuetudini , serbate da' vicini ,
sollevavano le misere plebi. Rimane ancora qualche comune, che
0 serba nelle partccipame un vestigio di queir antica distribu-
zione agraria; o che può, in grazia del patrimonio proprio gelo-
samente e tenacemente custodito, dispensar gli abitanti da' pub-
blici pesi. Sono per altro comuni rurali e montani , radi e oscu-
ri; e i rimanenti in men d'un secolo, e sopra tutto dall' avvenuta
redenzione dallo straniero in poi, hanno dilapidato ogni cosa. So
di certi comuni, ove i borghesi raccolti in consiglio hanno tro-
valo un modo assai commodo di esonerarsi per alcuni anni dalle
proprie gravezze , ponendo all' incanto codeste sostanze del po-
polo; le quali si può già immaginare, che sono fiqite..., ove do-
veano finire. Quanto al pascolo e al legnatico, insieme con tutte
le altre servitù attive de' poveri su' fondi pubblici e privati ,
mercè cui i cari focolari e le care greggi alimentavano; se n'an-
darono e se ne vanno in dileguo anch' essi, come detestabili vil-
lanie. Un valore inestimabile, una sacra proprietà è stata cosi ai
poveri tutti rapitii, senza indennità e fin senza titoli e documenti.
E , mentre se d' un solo centesimo si toccasse la borsa de' bor-
ghesi , strillerebbero tutti come ossessi , niuno per si iniqua
- 408 -
rapina mormorò ud lamento. I detestati villani « se persevenoo
neir esercizio delle loro antiche ragioni, sono come bMiri campe-
stri e danneggiatori maliziosi paniti. E , se ; visto e oonsidento,
che nella mancata pro\Tidenza delle' leggi e de'tribimalì rico-
vrano la incolpata tutela della natura) ricorrono alla privata fom
per farla valere ; sono come invasori e usurpatori di fondi , anzi
come abbottinati e ribelli alla pubblica forza, puniti. Tranne qual-
che lieve e solitario tumulto, facilmente e con poche stìDe di
sangue soffocato, cessero per ventura tutti all' organizzata prepo-
tenza, con una mesta mansuetudine, che avrebbe strappato le la-
grime (ino alle Aere. Conciossiacchè il popolo italiano ;e di gioja
mi s' innonda il cuore in attestarlo, perchè è gran presagio di
futura gloria); il popolo italiano, come già il santissimo romano
popolo, è tanto paziente e longanime, tanto calmo e forte od
suo soffrire, che sa attender dai secoli e dagr iddìi la regolata e
giusta vendetta.
GGLXXVII. Dilapidadone de'bad eeotodastlfli.
Usurpata cosi e dissipata la prima porzione del pairimomio
popolare immediato, si venne alla seconda, costituita da'beai
della chiesa. Com'è noto, quelli delle corporazioni monastidie
furono inciimerati : ridotti e « convertiti » (che nel predetto gergo
significa parzialmente confiscati ) quelli d' altri istituti religiosi e
de' bcncficii maggiori o semplici. Trattandosi al presente di por
mano anche alle dotazioni delle fabbricerie ed alle prebende et
parroci (i quali sono, ri{)eto, 1 più intimi e vicini educatori e
tutori del i)opolo, benché indegni); così lo spoglio Qnale delta
chiesa o, come lo dicon essi , V incameramento deWasse eeck-
siasHco, accumulato in tutta Y era cristiana, verrà consumalo del
tutto. Non parlo del modo, cui non posso qualificare, tettatosi io
procedere a tale spoglio: cioè senza udir difese e senza ossemr
forme legittime, che pur pure fino nella brutal condanna e coi-
fìsca de' templari già si udirono e si osservarono; e il cui adea-
pimento è un generale interesse degli oppressi in uno e ded
oppressori. Non del titolo, che se ne addusse, la volontà nazio-
nale: mentre si può giurare, che contro due o trecento milk
IMTsone, che lo volevano, ve n'erano almeno ventisette miliOBii
che non lo volevano; e quasi bastasse a un atto dì pitpolfl0>
- 409 ~
Tesser voluto da' più, per divenir giusto. Non della catisa, che
non si addusse, ma che si sottintendeva, l'appetito del fìsco:
mentre quell' immenso valore, cui si stimava di qualche mighajo
di milioni , sfumò anch' esso per incanto, diede un ritratto me-
schìnissimo e fìnl nelle soUte mani. Ed alla fine accrebbe gì' im-
pegni anteriori e gli oneri attuaU dello stato, che deve adesso prov-
vedere a tante pensioni e a tante altre bisogne di culto e di be-
neficenza , senz' aver più i mezzi di farvi fronte. Per me , credo ,
0 benigni lettori, vi siate già accorti, che di questa società de-
crepita e malvagia non so più, che farmi. Ma la desidero rin-
giovanita ed emendata co' riti giuridici , alla romana : non con
questi baccanaU barbarici, che si ritorcerebbero del resto troppo
agevolmente contro coloro, che gli usano; se le plebi fossero co-
tanto degradate, com' ei credono, da poter concludere un giorno:
or tocca a noi. Tutte queste cose le dissi io già , quando si trat-
tava di commettere quello spoglio della chiesa (siccome puossi
ne' miei Scritti politici vedere ) : or , eh' è commesso , non mi
vanto d' aver predetto, che i frati e le suore ci sarebbero ugual-
mente rimasti , e che l' erario non ne avrebbe avuto sollievo. Per-
chè questa e tutte le altre mie predizioni , quando le faccio , i
nostri uomini poUtici le spregiano; e, quando le si avverano, con
la medesima disinvoltura le scordano. D' altra parte le sono trop-
po naturali e facili, perch'io me ne possa vantare; ed e' non le
debbano, da que' valenti uomini, che sono, spregiare e dimenti-
care. Dico adunque, che, pur supposti leciti, vaUdi e giusti il
modo, il titolo e la causa di quello spoglio, e fruttuosissimo alla
finanza ; non ci era ragione , che quello, che doveva essere a ca-
rico di tutti i singoli, si dovesse a carico del popolo porre, e
principalmente de' poveri. Il quale e i quaU per codesta rapina
soffersero una novella diminuzione de' comuni averi, siccome tosto
sono per chiarire.
CCLXXVllI. Indiretta spropriaidone del popolo.
Anzi tutto , la chiesa essendo composta da' fedeli , e gì' ita-
liani cattolici ( secondo il censo del settantuno) essendo 26,658,679,
mentre soli 142,475 d'altre confessioni o religioni; è evidente,
che i beni tolti a quella, si tolsero a lor medesimi. Si obbietta: che,
destinati al culto de' loro idoli ed al mantenimento delle rispettive
-410-
I>aì?odé e (le* rispettivi bonzi, dod senivaoo a loro Dleate. Piai».
rispondo io, servivano alla maoifestaziODe d' uo seatimeDio . che,
Ui'levole 0 biasimevole, è un bisogno de' loro cuori ed un conf-jito
delia lor vita; e cui essi, non intendendo vivere di solo pane,
reputano altrettanto necessario e {«rezìoso del (tane. Io per esempio'
la jK^nso i^ress' a poco come loro . perchè non ho tanta scienza
soprallina. Pur, sauco la pensassi diversamente, poiché non se-
guo la vostra sopraffina democrazia , o messeri , come ^ni sodo
inclinato alla sovranità del ^K)poio. rispettando la forma [«litica
da esso scelta: così mi terrei obbligalo a rispettarne anche tuue
le altre sue sui)erstizioni , che non mi piacessero. Pensate del re-
sto, che dolore sia per loro veder cessare languidamente quelle
cerimonie, che sono le lor feste e le loro speranze; e chiudersi
alcuni di (|ue' tempii, unici e venerati loro ostelli! Taluni di questi
erano monumenti architetlonici di qualche pregio; e in qualche
città, nell'imminenza d'una certa guerra, se gli videro cangiati
senza necessità in arsenaU militari, o sconsacrati per peggiori
usi; {sensate con quanta olTesa perenne delle loro coscienze! So,
che i più pregiati gU avete salvi o inteso di salvargli: ma cerio,
poiché Tarte non aveva più altri rifugi, che quelli; privandogli
delle rendile, con cui pur qualche statua e qualche quadro si
comi^erava , anche Y arte , dalla borghesia abbandonata , veniva
insieme con quelli ad essere dispogliata. So pure, che il senti-
mento religioso ed estetico è una cosa {ler voi, che non vai piii
niente: ma sup|X)nele, che il relativo culto non sia, che un ba-
locco; con qual diritto [K)teste diseredare il popolo di questo mez-
zo innocente di baloccarsi? Certo a voi non costava niente; dac-
ché un lascito muniticentissimo d' almen sedici secoU glie lo ave-
va assicurato. K ad ogni modo, se quel mezzo era pericoloso, e
dovevate proscriverlo; bisognava lasciarne arbitro esso di dispor-
ne altrimenti, come meglio gU aggradiva. Ne disponeste per b
patria; sia pure, sog^n'ungo io: \ycvò dovevate allora dispogliarvi
anche d(*lli; robe vostre \m' la patria , e non solamente dispogliar-
ne il |K)polo e i poveri. Precisamente, come certi ammirati eroi
vostri, che per le pubt)liche distrette create da loro, e per
« |)areggiare i bilanci » (o |H?r cantare T usura ai ricchi), fin l'ul-
timo alimento agognarono de' |K)veri. E se ne vantarono: e fanoo
ora il iironcio agli amici, che cominciano a sentirne rimorso o
a barcollaa\ Ma non cedettero già eglino alle fauci del novello
Moloch le loro ville e le loro carrozze, e lino le loro suppeikt-
- 411 —
tili e le loro vesti, prima di rivolgere tanto zelo e tanto corag-
gio contro i deboli e contro gli sventurati!
CCLXXIX. Diretta spropriasione de'poTerL
Se non che è un gravissimo errore il credere, che i beni
ecclesiastici d' ogni specie sieno solamente al culto sacro addetti :
mentre lo sono in vece tutti a qneìh pietà ptibbUca , che si ma-
nifesta tanto coir adorazione , quanto colla beneOcenza. Il divino
autore della cristiana chiesa intendeva ben altro, che fondare nuo-
ve liturgie e nuovi sacerdozi ; e, secondo il suo pensiero e i pri-
mi istituti di quella, gli averi de' credenti poneansi in comune
unicamente pel convivio loro fraterno. Però anche nella cattolica
chiesa, e secondo i canoni, tranne il modesto mantenimento de-
gli altari e de' ministri, non potrebbero aver quelli altro uso, che
il soccorso de' poveri. A' quali di giunta n' è esplicitamente una quo-
ta assegnata, e per la quale si dovrebbe il culto medesimo ab-
bandonare. 1 poveri quindi per istituzione canonica sono del patri-
monio religioso partecipi; e per Ano dovrebbero del patrimonio
privato, formatosi da' leviti nel sacro ministero, essere naturali
eredi. Che, se tuttavia vedesi prelati, vescovi e cardinali, am-
massare in cotal ministero ricchezze e lasciarle a' congiunti; ciò
non toglie, eh' e' siano, secondo la sacra dottrina, nepotisti, simo-
niaci e usurpatori. Pur tant' e tanto qualche briciola de' piatti e
delle mense prelatizie a' poveri ne veniva , e qualche po' di gram-
matica da' seminari e qualche po' di minestra da' conventi si di-
spensava. Anzi V assistenza pubblica alla poveraglia era, se non
in modo condegno, certo in modo costante, di tal maniera e senza
tasse tra noi assicurata ; poiché non si picchiava a verun uscio di
san Francesco, che una democratica zuppa non si ricevesse. Quin-
di col sopraddetto spoglio, rimase d' un soccorso morale e mate-
riale privata, su cui poteva fermamente contare; e la cui priva-
zione già in qualche luogo si fa, e più si farà in seguito, doloro-
samente sentire. Ad ogni modo, ammesso, che si potesse con la
soppressione delle corporazioni religiose, e di altri tali istituti di-
sertare il culto affatto, que! beni dovevansi ad altri usi popolari
devolvere; giacché o per un fine o per altro erano del popolo.
E, se giudica vasi funesto, che si sciupassero in arredi inutiU e
in mantener frati oziosi, o in simili icopi ascetici e mistici; poteasi
- 412 -
prescrivere , che all' istruzione e air assistenza pubblica si devol-
vessero: le quali almeno non sembrano funeste. Anzi per ciò solo,
che a queir uso si sottraevano, naturalmente agli altri usi passi-
vano; e per ciò solo, che i detti istituti si sopprìmevano, i beni
nel popolo e ne' poveri di diritto ricadevano : i quali consegoeo-
temente furono d' un comune avere spogliati.
CGLXXX. Progettata inoameraiione del patriaoiik déDe «feri |is.
Or non rimane, che la terza porzione del patrimonio popo-
lare, esclusiva de' poveri : vuo' dire la special dotazione delle opere
pie, il cui valsente si considerava in passato fosse di circa due
bilioni di lire, ed ora si considera di circa milledugento miliooL
Mercè un si splendido retaggio, lasciato da generazioni non bor-
ghesi , si poteva dire , che gli stessi proletari italiani fossero in
qualche modo comproprietari. Ctiè , se la giustìzia era per costoro
un nome vano; almeno la comune utìlità, e n'avrebbe avuto bea
donde, dovea difenderlo. Mentre cioè il pauperismo (parola e cosa
borghese) cresce a dismisura, le altre fontì di carità nazionale
sono esauste , quelle della privata misericordia inaridite , Y locat-
tonaggio punito ; parrebbe almeno, che ogni po' di previdenza con-
sigliasse a serbar quello inviolato. Se non che lo spirito ingordo
del secolo, abbandonando per fìno ogni ritegno, ogni pudore, ogni
prudenza ; spensierato e cieco corre alla dirotta verso il precipizio.
Non si hanno dati precisi per conoscere quale diminuzione abbia
quello sotTerto: ma, argomentando cosi a vanvera da taluni isti-
tuti, si può ritenere, che già in poclii anni sia spaventosa. Parte
de' beni stabili , con le « conversioni in rendita pubblica », si re-
sero valori incauti, incerti ed effimeri; avvegnaché comprooien
nella mina dello stato, soggetti alle <c variazioni della borsa » e
troppo agevolmente allo sperpero awenturatì. Parte degli ihri,
come ognuno apprende da' bandi , si mettono all' incanto per eo-
struir sedi cospicue a' ricoveri e sopra tutto agli uffici relathri,
0 per supplire al difetto delle entrate col consumo del capitale.
De' cento milioni, in che si valutano gh annui lor frutti, treola
soli vanno a sollievo della mendicità; gU altri settanta assorbiti
dalla p^irassitaggine amministrativa. Di guisa che, se fossero a
dirittura abbandonati agli stessi mendici, anzi anche alla fecda
degli ergastoli , sarebltero con più prudenza o pudore anunioistrati,
- 413 -
che dair ordine spettabile de' gaudenti e dalla rispettiva clientela.
E tutto ciò si spiega, senza pur supporre veruna infedeltà o ne-
gligenza degli amministratori, solamente considerando anche in
tal materia le regole e le pratiche delF amministrazione borghese.
Secondo cui le tavole di fondazione, le consuetudini inveterate,
le tradizioni de' maggiori non debbono aver valore alcuno ; gli
stessi stabilimenti caritativi si devono rimutare e concentrare, le
aziende agrarie de' medesimi cangiarsi in banchi di cambio, e
via via. Di maniera che la dev'esser necessariamente costosa,
zarosa, e dissipatrice al punto, ch'ella di per sé sola, proseguen-
do, darà fondo a tutto. Siccome tuttavia si ha troppa fretta di
vederlone, giacché i gaudenti suddetti vivono di per dì , e del dimani
lasciano pensare a chi resta o a chi viene, né a' pressantissimi biso-
gni dello stato vi è rispitto; così si pensa adesso ad una <c grande
operazione di finanza » anche su quest' ultimi avanzi della sostan-
za de' miserabili. La quale ( eccovi un' altra facile profezia ), la
quale, se mai venisse attuata, darà fine al sistematico spoglio
de' beni tutti dello stato, del popolo e della povertà: e sarà, co-
me già in altro luogo dissi, « il principio della fine » di molte
altre cose. Or, s' io invocassi quel sentimento di compassione e
di commiserazione, che fin nelle belve si nota; s'io dicessi, che
sovra gli stessi interessi della patria, pur cotanto adorabile, vi
sono gì' interessi dell'umanità..., so, che a questi lumi di luna
le parrebbon freddure. Lasciamo pertanto da banda i doveri e i
diritti umani e ferini, e per fino l'articolo ventinovesimo del così
detto Statuto, secondo il quale « tutte le proprietà , senza alcuna
eccezione, sono inviolabiU ». Benché non consenta alcuna ecce-
zione, né faccia differenza tra individuali e collettive; sta a
vedere , quando sono garantite le proprietà de' borghesi , che
anche quelle del popolo e de' poveri lo debbano essere ! . . . Invo-
co adunque i consigli della paura e della cupidigia, unici adatti,
e dimando: quando avrete privato questi miserabili dell'ultimo
tozzo di pane, che rimaneva loro, dell'ultimo giaciglio, che ne
accoglieva l' egre membra , e mentre in fameliche e inferme tur-
be vie più si addensano, che farete di loro? Massacrarle a dirit-
tura non sarebbe una cosa molto spiccia e molto agevole: ma
dunque, ripelo, che ne farete?
414 —
GGLXXXI. Fallimento latente dello rtate bor^koio.
Dopo ciò credo, non mi resti aggiunger altro e per chiarire
quel, che disisi intorno air usurpazione del più sacro de' patrimoDi
umani (Anche almeno le umane pupille avranno una lagrima per
la sventura); e per dimostrjure e provare quel, che mi ero pro-
posto, sulla economia e sulla finanza del terao ceto. Il costrutto
finale del sublimissimo sistema non è altro, ripeto, che il ridurre
le ricchezze della nazione al banco e dello stato al ghetto; al
quale si può dir già, eh' è stato venduto o dato in pegno. Giu-
seppe, figlio di Giacobbe, grande interprete di sogni e supremo fi-
nanziere d' Egitto, tipo d' una tribù, e simbolo del sistema seguito
da' suoi neofiti odierni d' altra razza, fu quegli appunto, che primo
insegnò Y arte di rapire a' popoli, benché in diversa forma, tutto
r aver loro pacificamente. Tremila secento anni or sono ( se pur
puossi precisare in si fitta notte il tempo), egli, approfittando
della fame , spropriò , com' è noto , gli egizi a profitto de' re pa-
stori, 0 degli angariatori semiti; e mostrò sin d'allora l'alta vo-
cazione finanziaria della sua razza. Se non che, quando i natìrì
se ne rivendicarono, ella non potè involare e trar seco nella foga
altro, che i vasellamenti d' oro e d' argento degli ospiti ( Esodo,
XII, 3C).La quale era una finanza troppo primitiva e troppo pe-
ricolosa, {ìorchò i discendenti di quella tribù e i proseliti hit-
tezzati di quel sistema potessero perseverare in essa. Quindi, la-
sciando le terre a' possessori ed anche gli arredi agli ospiti, fin
che credono; dovettero trovare quel gran secreto, mercè cui,
senza parere, sieno d' ogni cosa i padroni. Il gran segreto , V ho
^ià dotto, neir econouìia è il cambio^ e nella finanza il consoli'
dnfo, suidimati alla più alta potenza. Quale ne fia il risultalo
postremo per ciò, che riguarda i i)oi)oli, lo vedremo tantosto:
per (io, che i governi, non è difiicile di argomenUirlo sin d' on^
e r|uasi già dì toccarlo con mano. Se una guerra o qualche altra
grave calamità sopraggiunge, il p;ireggio de' bilanci ottenuto o
supposto ne' modi , che vedemmo ( esaurendo cioè tutte le possi-
bili fonti di prosperità, mancando a' civili uffici, sacrificando ogni
cosa materiale e morale); se ne va in fumo. Prescindendo da
ciò, la servitù del governo agi' imprenditori e ai creditori di tutte
le contrade, e il suo dissesto perpetuo e organico, palliato e lol-
— 415 -
leralo a forza di tergiversazioni e di proroghe..., eccone il ri-
sultato. Uno stato cioè di fallimento latente di fatto, quantunque
non decretato di diritto; e cui si dissimula e si maschera quanto
più si può, lasciandone a' posteri il pensiero, con una serie indefi-
niU) di cambiali a babbo morto. Anzi con una serie indefìnita
d'infingimenti d'attività e d'occultamenti di passività, di rinno-
vazioni di scadenze e d'alienazioni di sostanze, d'anatocismi e
d' anticresi, di ritrangoli e di leccofermi, di civanzi e di fltti-
franchi, di barocchii e di scrocchii; e con tutta in somma la
suppellettile usuratiea d' una perversa genia, cui auguro a' miei
lettori di non conoscer mai.
CCLXXXII. Esito naturale del sistema flnansiarìo borghese*
Sarebbe per verità tempo, che certi stati facessero queir ul-
tima istanza a' tribunali consolari, cui usano e debbono per legge
fare i privati, che si trovano in certe condizioni ( Codice di com-
mercio italiano, 546 e 698). E, poiché la più nobile città del-
l' universo dopo Roma, sta non solo per sospendere , ma ha già
senza sua colpa sospeso i pagamenti (né io so quindi, cosa mi
vieti il dirla , tranne il rossore , che mi sale sino a' cape-
gli), ed uno o due altri municipii illustri e parimenti incolpevoli
già sono in sulla medesima via ; ci si troverebbe uomini ora , da
sapersi acconciare anche a queste vergogne. Pure gli stati mo-
derni sono troppo buoni congegni, per avere in sicurtà sino le
proprieU\ private e in tributo sino il sangue de' cittadini, per po-
tergli abbandonare del tutto. Come si tiene in vita il mercadante
fallito 0 prossimo a fallire, e si fa un concordato seco lui, e gli
si abbona anche il nonanta per cento, per non perdere il rima-
nente; così giova gli stati decotti e morosi tenere in vita. Vuol
dire, che, se non faranno le cose per benino, s'interdiranno an-
cor essi, e si porranno « sotto amministrazione ». Gonciossiachè
ei debbono finalmente capacitarsi, che non ispettano più a sé me-
desimi; ma alla borghesia circoncisa e incirconcisa di tutto il
mondo. E già s' è cominciato alcun saggio di tal procedura fi-
nanziaria qui e là; e si vedrà, od anzi s'è visto già, intrapren-
dere esecuzioni militari per codest' unico intento. Qual fu di fatti
la prim' origine della guerra messicana , iniziata collo sbarco
delle flotte britannica, spagnuola e francese a Veracruz, prose-
— 416 -
guita da' francesi coir espugnazione di Puebla, ed espiata a Oue-
retaro dair ottimo principe Massiniiliano d* Austria, eh' ebbe tanto
ingiusta e crudele la fortuna, quanto T animo gentile e grande?
Unicamente, che il consiglio maggiore di quella repubblica avea
nel 1800, fra gli orrori d'incessanti scismi civili, promulgata legge,
che fossero per un biennio sospesi i pagamenti (e quindi anche
gr interessi del debito contratto con improntatori inglesi ; e i
dazi di transito sulle merci esterne raddoppiati. Perchè la semi-
viva tirannide turchcsca si sostenta da quasi tutte le nazioni eu-
ropee; mentre quel solo diritto, già cotanto formidato, che in
passato avea, la scimitarra, è ora spezzato, e con nn sol soffio
la si potrebbe disperdere? Certo anche una briga da masnadieri,
che non sanno come dividersi la preda, tiene esitanti i potentati
su lei. Ma sopra tutto V interesse degli europei borghesi, che vo-
gliono paci armale e armi pacifiche come arcano d'impero, e de' ri-
spettivi cambiatori, die vogliono essere della turchesca rendiu
cauti. E, se ancora non se ne ingeriscono, non è già per rido-
nare a quelle genti della penisola greco illirica la prisca libefti,
e per restituirle alla civiltà d' occidente : sibbene per regolar bene
prima i conti e i pegni. Quanto air Egitto e a Tunisi , eccovi di
già due stati morosi e decotti , dall' Ingliilterra e dalla Francia
interdetti e posti sotto amministrazione, per tutelare e assicurare
appunto la cosmopoUtica usura. E questa è la sorte definiiira:
né altra ce ne ha di possibile, perdurando logicamente la tirao-
nìdc borgiiese nel mondo, se non questa, ch'ella serba nel suo
segreto ai popoli vili.
ARCANI DELLA BORGHESIA
CCLXXXIII. Simmeati di regiM della btrglMla italiuft.
n vero intento dello stabilimento politico sin qui descritto è,
s una cricca mondiale, potente nel cambio, sia agevolata a lii-
i in privato liberamente, e nello stesso tempo lucri in pub-
co coattivamente, valendosi di quello e della sua forza per as-
*bire tutte le ricchezze della nazione. E chiamo erieea mm-
ile codesta, che non la è punto da confondersi col ceto rispet-
tile de' mercadanti, e men che meno co' reggitori nostri (i quali
sono inconsapevoli, e puri altresì d'ogni sua bruttura): perchè
sta piuttosto fuori d'Italia, che entro; e sopra tutto è cosi
gua entro, che a poche migliaja di persone riducesi, non tutte
liane, che si potrebbon numerare e nominare. Le quali tutte
10 le vere sovrane, le vere depositarie della tirannide odierna ; e
Ile cui arche indubbiamente da alcun tempo in qua, previa una
rta alcliimia, anche i sudori e le lagrime della nazione pre-
tta colarono. Questa potrebb' esser la conclusione del mio pre-
ste lavoro; se, descritte cosi le qualità e narrate le gesta dd-
)rrido portento sociale, che gli dà il titolo, non convenisae
ima di porvi termine, scrutarne gli arcani e antivederne i de-
ini. Considerammo innanzi lo stato, cui ha fondato e in cui
impunemente infestare, la forma politica, cui a ragione pre-
I :, la natura del reggimento, che ne seguita, i modi e ^ atti
governo acconci; e que'due grandi strumenti, di cui si vale,
le sono le falangi d' assoldati e di pensionati, servilmente tenute
adoperate. Di tal guisa la plutocrazia ha per fermo adeguati
Ili: ma pur questi non basteriano, se altre e più malaugu-
itc forze, di cui appena un cenno diedi, non la sostentassero.
erocchè, anche nel sup[)osto, che possedesse le vìrtb dd popolo
le altre doti de' maggiori ceti; come potreM)*dla, che éofo
27
- 418 -
tutto appartiene nel territorio nazionale a una ristrettissima coorte,
tener contro a tutti lo scettro ? Il danaro fìi anche ne' tempi an-
dati un gran mezzo di possanza e un gran nerbo di guem: m
esso stesso conquistavasi ed acquistavasi da* valorosi e da^sifi;
né poi il difetto di valore e di saviezza scusava. Allora doè i
forti e gr ingegnosi, per preda o per guiderdone arrìcchiviBsi:
ora i doviziosi , venuti su co' sordidi o almeno co' bassi eso^
cizi ( i quali ponno dar titolo a' lucri e agli agi, non anche agS
onori e alle dignità), per ciò solo, che hanno nella bottega
tesaurizzato, dc^teggiano nella città. Si capisce, è vero, che,
adulterata V indole del consorzio civile , col convertirlo in od' a-
zienda economica, i pregi e i servigi della ricchezza si te-
ciano cotanto sentire, da non esser mestieri di curarsi d'altra
Non essendo, come ho detto, gli stabilimenti politici del lem
ceto altro, che società anonime mercantili in vaste proporzioni,
di cui i borghesi sono gli azionisti, e che hanno per ragione so-
ciale il nome d' una data contrada, oggetto appunto dell' impresa;
sarebbe puerile pretendere, eh' ei tenessero in alcun conto i me-
riti delle persone e i popolari diritti. Gli uffici e i proGtti di
queste tali società, debbono naturalmente essere ripartiti seeondo
le azioni o le carature rispettive: e ciò è, anche secondo il C^
dice di commercio italiano , in tutta regola. Ma, come hauo
potuto i popoli rassegnarsi a divenire un possesso da fhiire, i
magistrati ad esserne i fattori, i militi i trabanti, e via via; mea-
tre dopo tutto stava in poter loro il non ridursi mancipi! d'al-
cuno, e col loro numero e colla loro virtù potevano ad ogni modo
emancipai*si. Certo vi vollero ragioni storiche^ e aggiungo aache
provvidenziali, i)erehè la tirannide odierna dovesse alle teocrali-
clic ed eroiche de' secoli trascorsi succedere; ed io ho già ntf-
contato, come vi succedesse. Per certi conti anzi il tema di qo^
sto libro ò un ciclo della filosofia della storia, o un episodio del
frran viaggio delf umanità; collo in flagranti, e narrato un po' di-
versamente dagli autori approvali. Pur vi vogliono altresì m^'
morali^ perchè vi si mantenga : le quali ora mo' esporre, qusO"
lunque m' avvegga, come le sieno press' a poco conformi a qnefc
che sorreggono qualsivoglia altra tirannide. In fatti ogni tiramiii^
risulta dal sovrapporsi di qualcuni al comune: e, poiché le Ibrxe
di costoro snrebi)0n sempre minori delle universali (almen p^
copia }, bisogna, cif e' trovino modo, di tener queste forac, coid^
sotto un malefico incanto. La iHìrizia militare cioè non avrebbe
- 419 -
valso a reggere il dominio de' guerrieri , né il terror religioso
quello de' sacerdoti, se non si fossero esercitati tra popoli inermi
e divisi , sgomenti e istupiditi. E cosi non varrebbe Y abilità, ia
cupidigia e il traffico a reggere il dominio de' mercadanti, se non
si esercitassero sopra una massa d' uomini illusi, corrotti e fiac-
chi. Io e voi, lettori, trovandoci di contro un rivale, lo vorremmo
istrutto, onorato e forte : e, per batterci da prò' cavalieri, gli da-
remmo le armi uguali ; e per fino, se lo potessimo, i sensi gene-
rosi e i polsi gagliardi. La borghesia, che non ha queste nostre
fisime cavalleresche , doma quel grande avversario , eh' è il po-
polo, ingannandolo, pervertendolo e affievolendolo colle sue malie;
siccome son io ora per dimostrare e per provare.
CCLXXXIV. Ingannamento deUft luudone.
Poiché la frode é un mezzo cotanto valido, che di regola
si osserva nella storia delle nazioni aver prevaluto alla violenza,
e i robusti aver da sezzo soggiacciuto agh astuti; non é mera-
viglia, s' anco dalla borghesia venisse adoperata. Sono queste anzi
le due grandi emule, che si contendono l' impero del mondo mo-
rale, sin che Y umana famiglia quieti sotto lo scettro dell' amore
e della verità: né la borghesia poteva, priva d'una, gittar via
r altra. Quanto più era debole e insieme odioso il suo dominio,
e tanto ella doveva cercare, che le nazioni, ridotte a greggi, non
se n' avvedessero ; e lambissero quelle medesime mani , che le
mungevano, tosavano e scarnificavano. Al che vi é prima di tutto
riuscita con quelle tali dottrine e forme di stato, che andò spar-
gendo e instaurando; e per le quali sembra, che i popoli abbiano
in mano il governo della pubblica cosa, e godano le più ampie
Ubertii: mentre, poveretti, non sanno nemmanco, cosa le siano, o
non sanno, che farsene. Le antiche tirannidi italiane ( non é cosi
delle straniere) hanno sempre usato di conservare alcuna appa-
renza di viver cittadinesco e di ordini popolari: e la imperiale
di Roma in particolare conservò il nome di repubblica, i consoli,
il senato e i magistrati relativi. Posciachè ( come ho più volte no-
tato di sopra ) secondo il concetto classico non vi fosse altra forma
legittima di stato, tranne la repubbhcana; e benché si sapesse
omai, che la podestà effettiva stava nel principe. Ma, su questo
punto, la presente tirannide va più oltre ancora, ch'ella sembra
— 420 -
al popolo non solamente il nome deir autorità, si Y autorità stessa
concedere; rendendola per altro falsa e illusoria. — Il governo,
dicono i suoi melliflui cortigiani, emana dal vostro suflìragio; il re
regna e non governa; voi deputate al parlamento i vostri oratori;
voi avete libertà di concione, di riunione, di petizione eccetera:
che volete di più? — Se in pratica il governo sta in una b-
zione, il suffragio in una casta e il reggimento in una rettorica;e
quelle libertà si risolvono in libertà di ciancio e d' afiarì pe' furbi,
e pe' semplici di pagare e di ridursi in camicia, è un altro affare.
Intanto con queste lustre e con questi paroloni si prende al lac-
cio tanta buona gente, eh* è generale credenza ora, essere la bor-
ghese dominazione una democrazia ordinata e la costituzionale mo-
narchia una repubblica sostanziale. Però, quantunque un inganno
dalle istituzioni ingenerato abbia certamente una veste auto-
revole e un alto prestigio, è mestieri anche co' consigli e colle
persuasioni avvalorarlo; poiché altrimenti, dopo un certo seguito
d' anni, se n' accorgerebbero Ano i bimbi. Bisogna dunque dare
a' cittadini , se pur questo nome meritano i sudditi della pluio-
tocrazia, una mente e una coscienza d'accatto: in grazia delle
quali e' non ragionino più colla propria testa, né più sentano col
proprio cuore. Si limitavano le passate tirannidi a soflocare colle
censure, co' processi di maestà e d' eresia, e co' relativi supplidi
la voce della verità; cogU spettacoli e colle feste i risentimenti
e le lamentanze del popolo. Onesta, come sopraflina, le grida del
^Tan leone e le parole de' savi assorda con uno stridulo perenne
cicalio, e con cotali altre fattucchierie e frasi cabalistiche, che ren-
dono il pensiero inutile e il dolore muto.
CCLXXXV. Creasione d' nn' opinione pnblilioft llttlsia.
Il modo, onde si manifesta l' inganno nella sua seconda for-
ma, sta quindi nel monopolio deW opinione pubblica , cif è il
grande arcano e il primo sostenticolo della tirannide predetta, e
su cui giova ora intrattenerci alquanto. È indubitato, che si btti
opinione, non ebbe mai come nel presente secolo tanta eflScicia:
né io, riprovandone gli errori e gli artiflcii, intendo negare i ser*
vigi , cui n'nde e va all' umano progresso rendendo. Sono nertè
di essa cadut<^ molte vecchie signorie, e molte nuove esaltale; e
la sua forza e tali' ornai, che nemmeno un onesto e saldo reggi-
— 421 -
mento, disprezzandola, potrebbe durare. Tuttavia, s'essa è come
un presagio e un preludio del futuro regno delle convinzioni su-
gli arbitrii e delle idee su' fenomeni ; non la è in sé medesima
altro, tranne una nuova frode alle antiche sostituita. S' essa cioè
risultasse propriamente da un generale consenso^ benché questo
potesse essere alla verità contrario, sarebbe molto autorevole: non
risultando, che da una parziale intesa, non ha maggior valore
di \in qualunque tirannesco accordo. Badate in fatti, a cui serve
questa tale opinione, e come sorge, e chi le dà origine! Essa ajutò
la nazion nostra a liberarsi dallo straniero, quando questo no-
stro bene potè coir interesse della borghesia nostrana e straniera
accommodarsi. Ma non rimprovera già il ceto sopraffattore; né
difende essa i ceti sopraffatti, e il popolo vilipeso: non è già
ispirata dalla dottrina e dalla sperienza de' savi, che sono da essa
derisi; né sopra tutto manifesta il sentimento intimo e reale della
nazione, che ne subisce il fascino senza parteciparvi. Egli è vero,
che assai pochi sono gli uomini ragionanti, e che le umane man-
dre usano troppo spesso seguire col muso chino la verga o la
zampogna de' mandriani. Se non che queste in passato aveano
almeno istinti e abitudini, cui dopo un secolo d'anarchia sociale
e filosofica smarrirono; e inoltre, prima del moderno frastuono,
giungevarìo tal volta ad ascollare i valorosi e gli assennati. Ora,
private dell' uno e dell' altro adiutorio, rimangono in preda ad una
caterva di ciarloni, che si arrogano di parlare non solo, ma di
pensare e di seiìtir per loro. E costoro appunto sono gli autori
dcir opinione pubblica; la cui genesi, se si volesse rintracciare,
non è altro , che un bisbiglio de' crocchi borghesi. I quali , alla
lor volta ricevono 1' imbecc<ita da qualche combriccola d' arruffoni,
che in qualche luogo prende anche le forme d' una parte poli-
tica e d' una suprema podestà.
GCLXXXVI. MonopoUo della stampa.
Siccome non già l' omaggio al generale consenso , ma Y in-
cetta dell' opinione pubblica è una condizione essenziale di vita
delle dominazioni borghesi e delle monarchie costituzionali; si
spiega, come tutte queste debbano assumere la direzione del
pensiero stazionale. Non so anzi comprendere, come uomini pra-
tici possano oggidì di codesta direzione e delle relative con-
-422 -
segucnze lamentarsi : mentre vi vuol poco a comprendere , che io
mancanza di forza e di giustizia, bisogna commettersi air asluzia
e al sofisma; e che senza di ciò certe dominazioni e certe mo-
narchie cadrebbero incontanente nel vuoto. La miglior forma per
dirigere il pensiero nazionale a un dato verso sarebbe la pùb-
blica istruzione; con cui, volendo, si può una generazione d* idioti
e di codardi allevare abbastanza saccenti e abbastanza prosuDloosl
Questa per altro richiede troppi dispendi e troppi accorgimenti , cai
la borgliesia non vuol fare e non può avere : e quindi la sì limitò
per le scuole a fare o a non fare quello, che in altro luogo vedem-
mo. Ma le rimaneva un'altra stupenda forma, più adeguata aDa
sua levatura e più conciliabile colla sua masserizia, e di cui stu-
pendamente si valse : la stampa. Questa veramente, bench' ella odo
l' abbia in maggior pregio del liuto de' trovatori od anzi del eo-
lascione de' giullari nelle antiche corti baronali , è il vero tramite
od anzi la vera ofllcina della pubblica opinione. La quale appunto,
se potè salire a tanto apogeo, non è già in grazia della pluto-
crazia ; ma in grazia del meccanico trovato, che, rìproduceodo in
indefiniti esemplari le opere degli scrittori, le rende maggiormente
accessibili. La plutocrazia per altro, a differenza delle testé spente
tirannidi, che furono cotanto cieche da sprezzarlo, impossessatasi
d' un tal trovato ; ha in mano quanto basta per far credere al
mondo tutto ciò, eh' ella crede o finge di credere. Verrà certo 3
giorno, che le sfuggirà di mano : ma fin ora la stampa, od almeno
la slampa eflicace, ò una cosa sua; e questa è tal mezzo d'im-
pero, eh' io per me ritengo, cesserebbe la presente tirannide to-
sto, se la stampa cessasse d' esser tale. Considerando adesso le
ragioni, per cui la vittoria è rimasta sAh stampa borghese; anzi
tutto comprendesì, che dove la borghesia giugno a impossessarsi
del governo, ella può co' pubblici favori crearla, nudrirla , fortifi-
carla e proteggerla. Prescindendo da ciò, la causa principale* per
cui la stampa serve al terzo ceto e, senendo, prevale aUa popo-
lare; deesi riporre neir indole stessa dell' odierna letteratura, della
quale ho altrove parlato. Da quasi un secolo gran parte degli
scrittori italiani è invaghita di que' sofismi i^udodemocratici e
adorna di quelle frasche, dalla Francia accattate, che, illodeodo
gli altri, fecero la fortuna di quel ceto. La loro inferiorità noorak
e intellettuale, lo appartener essi di regola al ceto medesimo, lo
aver mutato Y ufiicio in mestiere o almeno il sacerdozio in pio-
fessione, e il conscguente compiacere a chi gli retribuisce o al-
— 423 —
men gli legge..., ebbero per naturai risultato di rendergli della
novella signoria vassalli. Si presentarono in questo mezzo Alfieri,
Foscolo, Giordani, Leopardi, Niccolini, Guerrazzi, Mazzini : i quali,
di dantesco lignaggio, non poterono a meno d' essere antibor-
ghesi. Perchè ni uno può essere grande scrittore, né grande arte-
llce, senza genio aristocratico e senza cuor democratico, o cioè
senza conversar co' numi e palpitar col popolo. Nondimeno la ef-
ficacia loro venne da quella degli scrittori borghesi superata: i
quali, oltre essere più facilmente intesi per la natura delle cose
amene, che dicono; sanno altresì acconciarsi a quelle forme basse
di dettatura e di stile, rese or quasi dalla . comun bassezza ne-
cessarie, e a cui non sanno i terribili ingegni acconciarsi. Fuor
delle quali forme rendonsi tutti ora, e valorosi e fiacchi, impo-
tenti: i fiacchi di giunta, disutili affatto e stucchevoli; e degni
veramente della vita nojosa e assiderata, da pedanti e da acca-
demici, di cui UìTìio fra loro si onorano. Ma, che vo io parlando
di scrittori, se non si tratta più d' altro, che di compilatori, d' e-
pitomisli, di vocabolaristi, d' almanacchisli e di giornahsti, che
sono i propri autori della letteratura borghese? Contro costoro po-
trebbon levarsi il poeta, lo storico, il filosofo, il giureconsulto, lo
scienziato, meritevoli di tali nomi ; e si leveranno un giorno : pur
la vittoria non può esser, che tarda. Siamo in tempi, in cui non
solamente un pensiero forte non può prevalere a un debole, e
un libero a un compro ; ma né un' opera a un componimento, e
né un volume a un articolo. E il pensiero collettivo, intima-
mente ora anarchico, si è esternamente organizzato in una tal
guisa, che il pensiero solitario, fosse d'un Machiavelli, non ha
più valore alcuno.
CCLXXXVII. Natura borghese del giornalismo presente.
Ciò è principalmente proceduto dal giornalismo, che, disvi-
luppando gli eminenti servigi resi dalla stampa alla pubblica opi-
nione, è alla fin fine il mezzo precipuo, con cui il monopolio
della medesima si esercita. I libri stampati poterono raggiungere
una diffusione almen mille volte superiore a quella de' codici ma-
noscritti: ma i giornali, se non possono valicare altrettanto il
tempo, indefinitamente più valicano lo spazio. Per la specie e
attualità degli argomenti, l' arguzia e spigliatezza de' modi, la bre-
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vita e continuità delle rispettive pubblicazioni..., alletUDO, cir-
colano e propagansi in una rapida guisa, che non può esser
da' volumi raggiunta mai. Da questo punto Y autore più diiaro
potè presso i suoi contemporanei meno del più oscuro diurni-
sta; e il libro, serbando la sua autorità sovrana sul futuro, éfh
vette alla stampa periodica, e particolarmente alb quotidiana, ce-
dere il regno del presente. Cosi la borghesia, a cui del fiitiro
non cale niente, lia in questa efllmera letteratura quanto basta
per campare di di in di ; certa, che ninno nelle cose del momenio
può attraversarla. Qui mi si vorrebbe obbiettare: non potreb-
bon mo gli scrittori contrari seguirla su questo terreno eoo le me-
desime armi; e che necessità è, che la stampa periodica sia altresì
borghese ? — Rispondo primieramente, clf è assai difficile, i forti
e liberi pensatori ( quando pur ve ne fossero ) si pongano a scri-
vere ne' diari. Non perchè questa sia una palestra ignobile, né per-
chè anche nella medesima non si possa coir ingegno ris{dendere:
si per altre gravi cagioni. I diari sono compilazioni anonime e ioh
IX'rsonaU; le quali debbono non soltanto da un'elaborazione collet-
tiva emergere, ma anche un collettivo sentimento esprimere. Otiando
pure alcuni valenti scrittori, per redigere i medesimi, rinuncias-
sero alle proprie convinzioni, e per lino alle individuali impronte
del genio e del cuore (nel i|ual caso cesseriano d' esser valenti ) ;
e' debbono dir cose, che sieno de* rispettivi patroni o almeno
de' rispettivi clienti a grado. Donde è necessita per loro, che i
relativi prodotti sieno, come si suol dire, organi di ptUMieiià
della nazione od almeno d' una data parte, che tal volta può ef^
sere fazione, consorteria o combriccola; non già manifestazioni
de' propri intendimenti. Certo il giorno verrà, che la stampa pe-
riodica sia antiborghese: ma quando per lo influsso lento de* li-
bri e per altre cause , cangino quelle opiniofii del momenio, a
cui per forza ella dee servire, se non in tutto il popolo, almeno
in una frazione predominante del medesimo. Per ora, dovendo es-
sere i giornalisti a diiTerenza degli scrittori, non già ispiratori e
precursori, ma interpreti e seguaci di quelle; è naturale, che, se
le son borghesi, debbano eglino stessi esserlo. Diasi uno sguardo
a tutt' i diari italiani, e vedrassì, la i)orzione maggiore de* mede-
simi esprimere il pensiero d* una o d' altra delle fazioni borghesi,
e la minore quello della fazion nera, che ha molta probabilità di
succedere alle medesime: alcuno i voti d* un consorzio più sti-
mabile e meno notevole, e veruno l' ispirazione astratta e ineon-
— 425 —
dizionale della verità. Inoltre vi ha una seconda ragione grave,
per cui la stampa periodica persevera nel patronato o nella clien-
tela del ceto induslre. E questa risiede neir indole economica de'
giornali , che quasi quasi ne' medesimi prevale alla letteraria , e
che cosi gli rende un patrimonio de' facoltosi. I giornali, che ab-
biano un formato, una collaborazione e uno spaccio non isprege-
voli, costano molto ; e conseguentemente doventano anch' essi og-
getto di qualche accomandita. Se i principali giornali itaUani non
raggiungono un valore di milioni, come gl'inglesi e i france-
si, già si mercanteggiano a cento e più mila lire per ciasche-
duno : somma , che può esser messa assieme anche da gentiluo-
mini , ma che comincia a costituire un censo borghese. Di regola
quindi essi spettano all' uno o all' altro de' diversi gruppi di mo-
derati confessi o protestanti, che si palleggiano il potere pubblico.
I quali hanno modo di sussidiargli e incoraggiargli, ohre che con
le contribuzioni de' cosi detti israeliti (che hanno parecchie azioni
0 carature nelle accomandite giornalistiche d' Europa ), co' favori
dello stato presenti e futuri, posticipati e anticipati. E dico anche
i futuri e anticipati ; perchè i giornali abbandonerebbero i so-
praddetti gruppi tosto, se non contassero sul loro eventuale e
probabile trionfo. Dal quale si ripromettono, io non dico elargi-
zioni, gratificazioni e onoranze (che io non suppongo queste cose);
si per lo meno (lue' guiderdoni morali, quelle confidenze intime e
quel prestigio, che da esso procedono. Di guisa che vedesi, anche
in questo tema, novello esempio della pratica vanità, in che si ri-
solvono tutte le strombazzate hbertà borghesi. Gli scrittori liberi,
non avendo modo di stampare, sono posti fuor di Uzza : però se
ne possono consolare, avendo la hbertà di stampa.
CCLXXXVlll. Monopolio del yiomaliamo.
Io ho fm qui ragionato nell'ipotesi, che i reggitori non as-
sumano eglino stessi a[)ertamente la direzione della slampa no-
zionale. Anche non assumendola , si capisce del resto , che , se
questa per le ragioni sovra discoi'se è già di per sé borghese; vie
più ne lo sarà, (piando tale di giunta il reggimento. Il quale, non
potendo senza un apparente suffragio pubblico, ossia senza un
reale monopolio dell' opinione pubbhca star saldo; naturalmente
deve di quel grande strumento e degli altri impadronirsi, che
- 426-
ponno essere acconci a intonare a suo grado il belato della greg-
gia. Tra cui merita pur menzione la telegrafia^ eh* è non sola-
mente una regia finanziaria dello stato ; ma altresì intelletluale di
chi ha in mano il governo del medesimo. Imperocché , oltre es-
sersi questo serbato un alto diritto di censura e quindi anche
d' intercettamento de' telegrammi privati; esso ha modo ( conce-
dendo privilegi d' informazioni recondite e di miti prezzi, e al-
tri tali favori esclusivi a particolari imprese di corrispondenza
telegrafica) di comunicare pel tramite di queste le sole notizie,
cui desidera, e col garbo, che gli conviene. Anzi là dove, come
in Italia, i)er maggiore ingenuità, havvi una sola di tali imprese;
quasi tutte quelle comunicazioni , d' indole politica , che si tra-
smettono per mezzo del telegrafo, e che costituiscono la parte
più avidamente letta de' giornali, porgonsi da questa sola: né,
contro il governativo divieto, quelle poche degli speciali corri-
spondenti de' medesimi. È vero , che T opinione fittizia , cui si
può telegraficamente ingenerare, può esser corretta dopo un breve
lasso dalla corrispondenza postale sopraggiunta. Intanto, per que-
sto lasso, il dominio di quella è assoluto nel governo: e in un
tempo, in che gf istanti contano per mesi, è già molto. Oltre di
che la correzione non giugne poi tanto facile, né tanto oppor-
tuna; perchè chi può delle cose dare la prima nuova, e spedal-
mcnle se a un modo reciso ed epigrafico, qual é cotesto, dà già
un t^d (]uaie avviamento alla cognizione futura di esse. La quale,
benché possa essere contraria e veritiera, giungendo tarda, giova
alla storia ; alla pratica non piii. Se non che, non potejidosi i go-
verni borghesi limitare a questo monopolio, devono, ripeto, quello
delle elTemeridi stampate riserbarsi , non certo cosi assoluto; ma
pur pure bastevole a indettare il basso bestiame. La cosa riesce
ardua a comprendersi da coloro , che credono, occorrervi proprio
un giornalismo salariato per attuarla ; e non pongono mente ad
altre arti, con cui puossi del pari tale intento raggiungere, e al-
cune delle quaU ho già in altro luogo accennato.
CCLXXXIX. eioraalkmo miaititriAle U Italia.
Non pare per verità, che senza qualche grossa mercede e
qualche ninnolo di giunta, che mi so io, si rendessero in certo
momento alcuni celebrati giornali stranieri , per la noetra rivea-
- 427 -
dicazione e unificazione nazionale sviscerati. Ed anco di giornali
nostrani si narrarono fatti e addussero documenti, e si udirono e
accolsero con tale disinvoltura , che pare ammesso da tutti , non
siavi insita alcuna ingiuria od onta. Del pari , quando i moderati
protestanti scavalcarono i confessi, indignati contro i piccioli trom-
bettieri delle Provincie, che non s' accorgevano ancora, esser mu-
tati i padroni ; senz' altro tolsero a' medesimi il privilegio de'
bandi, che a delta loro rendevagli venali e servili. Fosse impe-
rizia 0 scialacquo di chi sale a nuove e imprevedute grandigie,
allettativa agh accorti o a' mal accorti minaccia; tanto bastò per
persuadere a questi lumi di luna i semplici dell'amore di ve-
rità e di libertà, che accendeva que' magni riformatori. I quali,
per quanto poco sappiano, ben sanno, che, se in questa o in al-
tre forme non si ha una stampa assolutamente ligia, non si
tira innanzi nemmanco una settimana. Che, se da principio la falta
de' diari di più fazioni o consorterie cospirate potè render loro
qualche servigio; per conservare i fedeli e per acquistare alleati
e proseliti, e per schiacciare se non altro gli avversari col silenzio,
vuoisi qualche cosa di più. Fatto sta , che quando ei salirono a
quelle grandigie a un modo si repente e insperato; sentivansi
cosi a disagio di tal suppellettile e di denaro per comperarne,
che appena appena potevano con una decina d' araldi parlamen-
tare. Ora ne hanno olire un centinajo, i più transfugi dall'oppo-
sto campo: i quali hanno per proprio destino, né possono averlo
diverso , se non di passare dalF una all' altra oste vittoriosa. E ,
come vedemmo i moderati vinti rimanere a un tratto disertati
da costoro, e non trovare quasi più un cane, che volesse abbjgar
per loro allegramente; cosi vedremo i moderati vincitori, non
appena muli la vicenda. Perchè, come è una necessità ne' governi
borghesi d'avere una stampa ciecamente devota; cosi è una ne-
cessità per gran parte di questa, prescindendo da qualunque igno-
bile causa , la cieca devozione alla fazion dominante. Da cui ,
quando non la si attendesse guiderdoni in moneta, concessioni di
privilegi, titoli d' onore, seggi ne' maggiori consigli, uiDci pubblici,
autorevoli appoggi, propalazioni riservate, e via via; T indole
stessa dei giornali , qual si è di sopra considerata , consente ai
meno V opposizione, e ingiunge ai più l'ossequio verso i mutabili
reggitori. Come nelle cosi dette camere costituzionali la cosi detta
maggioranza non è di regola oppositrice (poiché amministrano
lo stato coloro, cui ella del suo voto assiste); cosi per una me-
- 428 -
desima necessità, innanzi alla quale deve cessare per fino il rim-
proverò, il più de' giornali e di propria voglia sta con la fazione
maggloreggiante. Avvegnaché, se le voltasse faccia, come appunto
di tratto in tratto accade, salirebbe in maggiorla V altra fazione, a
cui piegasse : onde in un modo o nell'altro segue sempre i trioolii-
tori del giorno, che di tal guisa possono vender sempre lucciole
per lanterne. E cosi, spiegato dianzi perchè il giornalismo serva
oggi alla borghesia, spiegasi adesso perchè il più de' giornali , se
non propriamente al governo nazionale, serva al governo di questa
0 di quella fazione borghese : dal quale naturalmente , se lo vuol
servire e fin che Io vuole, si lascia imbeccare.
CCXC. HeceBsarìe perìpeae dell' opiniiwe pabUiea flttlriA.
Come le fazioni ora, e sopra tutte le amministrazioni dalle
medesime create , si trovano alle volte d' un baleno abbandonate
da tal milizia ausiUarc; cosi accadrà un giorno a tutta la bor-
ghesia, quando la stampa periodica muti col mutare di quella
opinione pubblica, di cui è organo e insieme fattore infldo. E noi
{M)ssiamo immaginare, quanto grave fia questa catastrofe, consi-
derando quella recente, in cui la stampa francese avvolse Napo*
leone III. Il (piale, conoscendo per bene e disviluppando ali* estre-
mo (|uesto possente niodo d' adulterare il popolar giudizio; dalla
necessità costretto di mantenere la meritata e invisa tirannide,
instaurato aveva un artificioso accordo di plausi , tra cui la voco
de' sapienti e il grido delle turbe non più s' udivano. Buono colai
sistema pdv una decina d' anni , portava in sé il verme roditore :
dai)poichò la verità è destinata a trionfare sulla menzogna ; e non
vi ha forza di corruzioni e di vessazioni, che possa quella delle
convinzioni libere od oneste superare. II moto e il contrasto d'al-
tra parte sono nell' ordine del pensiero, come in quello dell' azio-
ne, cosi indispensabili, che dopo un certo lasso di quiete e di
concerto si perde la sostanza delle idee e sino il senso delle pa-
role. E in fine (|uel medesimo artincio, che valse a stabilire ma
credulità falsai, si ritorce contro gli autori ; che , illusi da tante
approva/ioni prezzolale o coartate, non s' avveggono più de' propri
errori e de comuni |K'ricoli , del sotterraneo rombo e dell* immi-
nente fato. Parve (>er un certo ten)po, non avesse la Francia più
uno scrittore convinto, e nennuen quasi più uno coDlrario al de-
- 429 -
spoto abilissimo e adulatissimo. Appena la costui stella volse al
tramonto, e, stanco egli, si lasciò cader di «nano i fili, con cui
dirigeva quella scenica rappresentazione; se non da scrittori con-
vinti , da' contrari e sopra tutto da libellisti rimase , più coli' ol-
traggio e col tradimento, che colla sapienza e colla virtù sopraf-
fatto. Indarno chiese allora soccorso a' nobili sentimenti e alle
sincere persuasioni, ch'erano stati posti al bando; e ai compri e
vili arnesi delle tirannidi , che non si ritrovan più , quando le
sieno dalla fortuna riprovate. Tutto era falso intorno a lui: falsi
gli alTetli, i pareri, i consigli, le imprese, le istituzioni ; e da ul-
timo si scoperse falsa fin la bellica forza sul campo. ÀI qual colmo
di falsità non giunge, e a tanta rovina non giungerà probabil-
mente mai il monopolio dell' opinione pubblica esercitato dalla bor-
ghesia italiana; trattandosi qui d' oppressione collettiva, e non già
individuale. Ed essendo qui da un lato i reggitori incocciati e
non già disleali ; e dall' altro gli uomini in genere di tal tempra,
da non potersi troppo profondamente corrompere, né vessare. Non
abbiamo noi, per buona ventura, né un dicastero della stampa,
né magistrati censorii, né cauzioni pe' giornah, né patenti pe' li-
brai e tipografi, né riprensioni ed altre tali comminazioni da parte
d' uilìciali di polizia , né maneggi infami e né in fine ostacoli di
sorte alcuna contro la legittima e giusta libertà del pensiero e
della sua manifestazione. Sia benedetta dunque questa libertà, che, se
non di lottare ora validamente contro le soverchiami fazioni, con-
cede almeno ad alcuno di potersi immolare a quel vero, eh' è si
terribile e pur sì adorabil nume! Nondimeno la illusione inge-
nerata da' concordati accenti e sin da' cospirati silenzi esiste an-
che qui; e, dileguandosi un giorno, lascierà com'è naturale, la
plutocrazia delusa. La quale, se si lasciasse sopravvenire una
guerra sociale , ovveramenle servile , vedrebbe tosto , che le var-
rebbe il placido coro de' suoi novellieri, de' suoi grammatici e de'
suoi sofisti contro il nugolo de' foglietti clandestini, l' invettiva de'
tribuni ebbri e 1' urlo delle plebi foi*sennate. Se non che , cam-
pando essa alla giornata, quando ha in suo potere Toggi, che le
importa del dimani?...
GCXCI. Pervertìmento AeHa naiioiie.
Avendo nella sopraddetta guisa la nostra tirannide circuito e
irretito la coscienza e la mente della nazione; ella potrebbe tul-
- 430 -
tavia fla uno slancio d' eroismo e d* intelletto essere travolta. E
per ciò, affinchè T inganno riesca meglio, o, non riusoendo, possa
ella scopertamente agire j dee cercare , che il grande avversario
suo rimanga annichilito. Consegue tale scopo primieramente col
pervertimelo, quanto più può, nella guisa, che or farò manifesta,
ed in quella medesima del resto, che usarono le altre tiraonidL
Le quali , è ben noto, non tanto si giovarono de* patiboli , deDe
carceri , degli esilii , delle confische e delle violenze d* ogni na-
tura; quanto del sotti I veleno del \izio, grado a grado inoculato,
che rende altrui , non che atto a senire , contento , spregevde e
per sino immeritevole di compassione. Poiché della moralità bor-
ghese 1)0 già in altro luogo discorso , qui non si tratta di cod-
siderarne il privato, sibbene il pubblico pervertimento ; e non per
malvagità degli uomini, sibbene per Y occulta ed indeclinabile ef-
ficacia de' sistemi, cui seguirono. Non solamente egUno in tant*aDDi
di reggimento, neglessero ogni cura per dare aU' Italia una gene-
razione degna del suo nome e del suo avvenire : ma non ne pre-
terirono, si può dire, alcuna, perchè la fosse acconcia alla più
abietta servitù. Non dico, che a bella posta b rendessero feroce
0 allatto prava : questo non giovava nemmanco a* tiranni , che
possono da' sudditi inferociti o affatto depravati attendere piuttosto
danno, che vantaggio. Pure , senza nemmanco avvedersi di &r
male, accarezzarono eglino tutti que' bassi istinti e diflusero tutti
(|ueg1i ignobili sentimenti ; pe' quali le plebi soggette possono si
stimare o invidiare i propri signori, non disfidargli e ributtargli
Quindi, oltre il guasto della gioventù, procacciato nelle scuole,
di cui pure ho discorso; cogli autorevoU consigli, precetti, atti,
procacciarono il trionfo de' cosi detti principii utilitari^ on'era-
mcnte de' sordidi interessi al punto , che le virtù civili e morali
si repulairo ora fantasticherie e corbellature. È tuttavia essenziale
al buono stato, quanto punire la colpa, premiare la virtù: non
[torchii questa abbia bisogrio d' esser premiata ; sì perchè Y omag-
gio alla medesima reso, la colloca in quell'eminente seggio, io
cui merit;i <r esser posta , e da cui può nobilmente regnare. Se
in vece il premio usurpato alla virtù, si comparte a ciò, che non
è m colpa, nò virtù; o peggio, se alla colpa senz* altro, e i cat-
tivi si tengono in maggior pregio de' buoni , lentamente il senso
morale e rivile del |K){)oI tutto si pen'crte. Per lo meno, anche
rlii reputassi^, veder io trop|K) fosco, deve concedermi, che noi
rotidianamente assistiamo allo schifoso spettacolo delle lodi e de-
- 431 -
gli onori spudoratamente profusi al guadagno e al suceesso. Non
vi è alcuna ragione, che f ricchi non debbano esser lodati e ono-
rati, ognor che abbiano i meriti stessi de' poveri : ma non ve n' ha
del pari alcuna, che in loro la ricchezza tenga eziandio luogo del
merito. Pure a tanto siam giunti, che chi giugne a un certo grado
di dovizia, senza maggior ingegno degli altri o maggiori ser-
vigi alla patria; per ciò solo, che s' è fatto dovizioso, può contar
d'avere, oltre a qualche decina di medaglie, un cingolo da ca-
valiere, una corona da barone ed aflche un seggio da presso al
trono. Né basta : che, oltre la fortuna , volendosi premiare il vi-
zio; non appena questo può accampar qualche mendicata scusa
0 rendere qualche supposto profitto , eccolo perdonato ,^ ed anzi
vezzeggiato e gratificato.
CGXGU. StiM dd viito.
Fu cosa buona, non fare alcun male agli sgherri delle speùid
tirannidi, e rispettarne altresì i diritti, e provvisionargli di giun-
ta; e degna dell'equità avita e della costante moderazione di
questo gran popolo decaduto. Ma, prima transigere e patteggiar
con loro, e poscia accogliergli a braccia aperte, porgli a fiimco
de' patriotti e alla fine sovrapporgli a' medesimi in guisa tale,
che questi debbano or quasi loro chieder venia della patria ri-
scattata; via, fu troppo. E cosi puossi consentire, in tanta vari^
di casi e in tanta mutabilità di pareri, che agli uomini girevoli
e leggieri si condonasse alcun trascorso. Ma tanta sollecitudine e
tant' ansia di far largo, e di serrare nelle proprie file i vacfilanti
e i voltabili , tenendogli in assai maggior conto de* costanti e
degl' incrollabili , fu ugualmente troppo. Pure il modo più sgktìo
ornai, per chi vuole fuor della penosa filiera degli uffici piÀUici
e delle auliche grazie, salir alto, è appunto codesto. Faccia Io scal-
manato e il furibondo contro i r^gitori e la fàzion loro, e sopra
tutto contro gli ordini pubblici; e si atteggi a Gatilina da fiursa
e a Bruto da taverna. Tosto tosto una vocina fievole gli sosurra
all'orecchio: sappiam bene, che hai troppi debiti e troppi bi-
sogni ; ma sei un caro ragazzo, e fai per noL — Né manca costui
dì risponder subito, come sia stato finatanente compreso; né di
gettar via il sajo repubblicano e d' indossare la livrea cortigia-
nesca con una sveltezza, di cui ninno più si meiavig^ PMrei
-432 -
citare a centinaja esempi di quanto asserisco: e nominare città
intiere, dove persone rivestite di poteri e di gradi, ch^io ti-
cio, sollevarono a dirittura tutta la feccia, pur di -ooBtnHlWB ab
fazione opposta e d' intorbidare gli spiriti ; e cor
pub facilmente immaginare. Ripugnandomi
schifa materia e non mi reggendo Y animo d* wmtami^ ifciroo;
basta , eli' io dica a' lettori miei : guardatevi attorno. Spesso ma
persona, aspreggiati e insultata fin che si rimase ferma in un pro-
posito, che aveva almeno il merito di sembrare proprio ed one-
sto; fu encomiata e glorificata, non appena capitolò codardamente.
Se poi im uomo puro e fiero sorge , cui non si possa schiacciare
col vilipendio o coll'obblio; eccogli tutti addosso a rimproverare
quella sua austerità inopportuna, a scongiurarlo, a insidiarlo e a
tramortirlo: e a non esser paghi, fin che non abbia, come toro
mazzolato, chinato la cervice alla codardia meritoria. Mentre
dovrebbero tutti trepidare sui cimenti e sulle tentazioni, ch*ei
deve attraversare, e invocar su lui Faita de' celesti (acciò la sua
caduta non faccia disperare del genere umano e la sua fortezxa
salvi, almeno dalla maledizione, il secolo malvagio); costoro esis-
tano in vece, quando la sua virtù sia vinta. Per troppe prove si
vede, essere T eroismo bellico, benché cotanto ammirabil cosa,
incommensurabilmente più facile dell' eroismo civile. Perchè, con-
tro mille, che sfidano imfiavidi il nemico armato in campo, ap-
pena se ne trova uno, die sappia all'avversa fortuna e al vizio
(Contagioso resistere ; e molti furono prò' soldati , che poi altret-
tanto [>erfidi cittadini. Basta in fatti il fisico coraggio [er com-
battere in guerra : ma quanta invitta fortezza d' animo non occor-
re a disfidare le seduzioni del vizio e le ire della fortuna; ad
onoratasi della propria povertà fra gì' insulti dell' altrui fasto, e
della propria oscurità fra i tripudi dell' altrui oltracotanza? Quanti
a iK'rseverare nt;l modesto sacerdozio del vero e del ginslo, e
(fuindi nella rotta stima delle proprie convinzioni e intenzioni;
mentre queste seml)rano altrui delirii, e lo sprezzo comune in
tutte le guise cospira a insinuar nell' animo il dubbio angoscioso,
che le sian tali? OuanUi ad otTerire la vita in olocausto, non gii
nel fenorc della pugna e nell' ebbrezza della gloria: si grado a
grado, oncia ad oncia, per una lunga sequela d'anni; pardi
scendere incontaminati e dimenticati nolla comune fossa, stringendo
ancora colle mani irrigidìt*' il vessillo, a cui si giurò fede nelh
prima giovin«'zza? S|)ettacolo sublime e veramente degno de' numi
- 433 -
codesto: ma, non potendo i mortali assistervi di frequente, grave
minaccia all'onestà di tutti sì dura sorte serbata agli onesti, e
ai disonesti sì lieta! Che ornai, se non per caso sono i buoni
onorati , e aggiungo, che spesso nemmeno per caso, se non richieg-
gano eglino stessi d' esserlo. E codesti onori , largiti ai merite-
voli e agr immeritevoli , o in peggiori guise sciupati , divennero
Uili, che i meritevoli non gli possano, se non spregiare; e più
sieno onorati di non avergli, che d'avergli.
CCXC11I. Disistima deUa virtù.
La costanza de' propositi , il culto ideale della patria , la de-
vozione sincera alle cause sante, la fede nel trionfo definitivo
della giustizia sulla terra, si reputano ciarpe logore, da lasciarsi
appena agl'infermi superstiti del ventuno e del trentuno, agl'in-
correggibili declamatori del quarantotto e alla stremata falange
de' mazziniani veri. — Ora l'Italia è compiuta, dicono i fattori
della borghesia: né si tratta di farla nobile ,. eulta , potente, e
reina (come la dovrebh' essere , e lor mal grado lo sarà); basta,
che la facciate ricca, arricchendovi ciascun di voi, quanto più
potete. Fate Imeni affari, utili imprese, grassi lucri, stando in
riga col codice penale; che noi vi daremo incoraggiamenti, grazie,
dignità, tutto. — E sono per fino da imberbi giovanetti, in una
età, in cui bisogna esserci sasso per non sentir la febbre delle
cose belle e generose , così prontamente assecondati , che sembra-
no costoro, non aver più sangue nelle vene. Il mutar sentimenti
a ogni fase di hma , il non possederne anzi alcuno d' inconcusso
e di disinteressato, ò divenuto un titolo di merito, un chiaro in-
dizio d'altitudine politica, e un sicuro presagio di felice ventura.
Gli uomini di natura ferma o (come si dice ora, perduta la cosa
e trovalo il vocal^olo) gli uomini di carattere, quali visionari o
testardi, sono tenuti per dappoco; o per lo meno, qual gente, che
non serve a nulla, messi in disparte. L'astuzia, la scaltrezza, la
furberia scherniscono all' aperto la schiettezza, la lealtà, l' inge-
nuità, come fole da gonzi. Né vi é altro scampo, per chi disdegna
la fama di dopi)io e d' intrigante, se non di passare per scempio
e fannullone; e così almeno meritarsi questo epitaflìo.
(( Laudato sempre sia chi nella bara
Dal mondo se ne va col suo vestito:
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Muoia pur bestia; se non ha mentito.
Che bestia rara » !
Un generale sottinteso avvolge inoltre nella medesima indiffewM
il buono e il reo, e concede anzi assai più indulgenza al tìqo,
che ammirazione alla virtù. In ciò sono coocordi tutte le fazioDi:
per sino la repubblicana, che conta i più integri uomini; e ta
quale tuttavia , preferendo poch' anni or sono d' accettar faki gre-
gari, anzi che cadere intatta co' suoi degni campioni , tardò di
molto i suoi fati. E ben s'a\Tidc tosto, quanto valevano questi
nuovi ausiliari, bimbi coi crepundi e in berretto flrigio, venuti sa
<r improvviso e non si sa donde ; che, lasciato il carniccio, ssii-
tajolarono chi qua, chi la tutti, e la lasciarono diradata e seo^
nata. I quah, quando T Italia si redimeva dallo straniero, e per
rodimci*si avca bisogno d'un capitano generale, le cui gesta do-
veansi con una religiosa tregua assecondare, T osteggiarono come
implacati tribuni; ed or, clf ella è redenta, e potrebb' averne mi-
nor bisogno , come consumati cortigiani gli s' inchinano. Ciò dob
ostante, fa parte della morale uiiivei'sale lo stimar le persone per V
loro qualità, e non pegli appellativi e distintivi loro. Onde gli uonù-
lìi one.sti, e dico onesti sì nella pubblica e si nella privata vita,
dovrcbbon essere accolti tutti, se anche con idoli e bandiere di-
verse : i disonesti ( salvo il perdono, eh' è lor dovuto ) nemmaaoo
co' pegni più preziosi, nemmanco colle palme del martirio. Che,
se una causa santa fosse da costoro abbracciata, tosto coover-
n^bbe della sua santità dubitare: e atl ogni modo meglio esser
soli, che in si mala compagnia. Ma, mentre in Italia, perchì* un»
ha ceitc devozioni ed altro non le ha , uno \iiole repubblica ed
altro monarchia, si odiano e sprezzano a vicenda; tutte le fazioiii
in questo concordano : in non guardarsi da' tristi. Così che i no-
stri uomini politici, assidui a ribenedire i codardi, quanto a re-
spingere i valenti, pur d'accrescere le proprie ragunaticcie lan-
de e sbaragliare gli emuli, mietono ora quello, che hanno semi-
nato. Come in notturna mischia cittadina, confuse le insegne e
svelati i segiìi di congiura, non sanno i comhaUenti stessi cui
s«*gnire e cui ferii'e; così ora non sanno quelli chi stia con Ior«
e chi contro, o almeno chi l'amico d'oggi, che non sia il ne-
mico del dimani. Quanto alla giustizia, non se ne ha più T amo-
re, |K)ichò non si detesta più T iniquitii; e nemmanco più il
concetto, poiché (se vogliamo esser sinceri) non si crede più
a niente.
— 435 -
CCXCIV. AffleTolimento della naiione.
Si capisce quindi, come in certe crisi delle società umane
possano un' irruzion di barbari , una moria , un diluvio o altrettal
flagello, che spazzi via la terra, essere un beneficio. E , se queste
piaghe, che ho fin qui scoperte, affliggessero tutto il popolo, non
rimarrebbe davvero a sperare in altro, che in cotal sorta di cure,
cui i sociaUsti dominanti provocano, e i socialisti dominati invo-
cano. Per somma grazia degU dei, non ne affliggono, che quella
frazione esigua, la quale chiama sé stessa popolo (come ho detto),
quando si tratta di comandare e di riscuotere; e, quando d'ob-
bedire e di pagare, la bordaglia. Però quelle nonantanove parti
della popolazione italiana, che rimangono incolumi, benché da
tinta corruttela contaminate; occorre (dopo averne attutito il senso
del dolore) fiaccare in guisa, che non le pensino a sollevarsi. È
il terzo ed ultimo mezzo, ripeto, delle tirannidi non violente: le
quali, oltre ingannare e pervertire, hanno alla fine bisogno d'af-
fievolire i sudditi, non dico fisicamente; ma moralmente, che fa
lo stesso. E già vale ad affievolirgli la ignoranza, in cui sono im-
mersi , e lo spettacolo loro cotidianamente ammannito del vizio av-
venturato. Pur vi sono quattro particolari modi , atti a ciò, e che
furono anche tra noi adoperati con quella sistematica e fredda
costanza , che tosto si parrà. Primo de' quali illaqueare il popolo
sì, che non si possa movere: e questo naturalmente si attua colle
pubbliche istituzioni e co' pubblici provvedimenti, entro cui o sotto
cui esso si rimane costretto e soffocato. Né ho bisogno di spie-
gare codosio illaqueamento: poiché, quanto alle istituzioni, basta
solo notare la sua esclusione dagli squittinì, e quindi la sua rele-
<zazione dalla vita politica; per comprendere, ch'esso, di cui è
lo stato, è dalle leggi stesse o postone fuori, o tenutovi entro
come cosa. Quanto a' provvedimenti, basta solo accennare Y ago-
nia finanziaria, in cui la borghesia tiene i suoi domimi, e que-
sto nostro con più implacabil durezza; per comprendere, ch'ella
ha {]^i.\ tanto per ispanrire un'intiera nazione, come una greggia
all'ululato del lupo. Il quale suo grande arcano d^ impero, é
insieme la cosa più agevole e commoda, che immaginare potesse.
Avvei^nachè ella non ha, che a sprecare il danaro pubblico, a
fare accatti ingenti e a fondere le facoltà del demanio, de' comuni
- 436-
e delle opere pie, impinguando sé medesima; che tosto al pop(rio
impoverito, indebitato, spogliato, addossa enormi gravezze. E eoo
queste noi lascia più respirare, né ad altro pensare , che allo spsn-
raccliio del fallimento od agli stimoli della fame. Il qual popolo,
se la scongiura a considerai*e, eh' é composto di cittadini, eh* han-
no una patria, e d'uomini, che im' anima: che patria e che ani-
ma, gli risponde, vai tu millantando? Paga ora, se, olir' essere
impoverito, indebitato, spogliato, non vuoi di giunta essere anco
disonorato. — E mi appello a tutti , se questo non fa il linguag-
gio, in forme meno brevi e concitate, ma non meno aspreebro-
tali , usato non solo da' nòstri fìnanzieri saliti per ciò in gnnde
riputazione; sì da tutti coloro, che trassero e oianipolarooo le
sorti di questo sciagurato poi)olo sin qui.
CCXCV. Scisma dTile e monde.
Il secondo modo per domare i sudditi , noto a tutte le tinm-
nidi e da tutte praticato, si riassume nel detto famoso: « dividi
e regna ». La nostra, non trovando qui i papaveri di TanjuìDio.
a cui tagliar le teste, né possenti baroni da diffidare e tenere a
bada, nò città disposte a rompere la fraterna amistà, dovette ad
altri spedienti analoghi appigliarsi. Divise cioè il popolo, prima
concorde, e risorto anzi in un impeto di concordia prodigioso e
divino; divise in reti astiosi, in regioni sospettose, in sette e in
fazioni. Anche qui, al mio primo enunciare una proposizione,
sembra, ch'io dica una cosa inverosimile: ma abbiate pazienza,
miei p«izienti lettori ; e vedrete, quanto codesta divisione sia vera!
Cominciarono già i nostri ultimi padri, e tanto per sciroieggiare
i francesi, a gridar morte agli aristocratici e ai tonsurati sui
lìiiire dello scorso secolo, quando questa borghesia nacque: e,
per ventura, i nostri senza sparger sangue. Ma, quantunque al-
lora si rallentassero que^ vincoli d' unione o almeno d' ossequio,
che tenevano i diversi ceti congiunti; pure questa concordia,
grande indizio d' amabilità reciproca e di squisita urbanità, con-
tinuò e continua ad essere un vanto della nazione italiana; ed
una delle uia<:!:iori mie si)eranze in tanto cniccio. Un buon tede-
sco, trent' anni fa, conqùacendosi ass;ii, che qui non si dess^
veruna importanza ai ^rratU e alle cerimonie, e che fossero altret-
tanto rispettosi e franchi i minori, quanto modesti e afiahili i
— 437 -
maggiori; notava, che « le relazioni delle diverse classi de' cit-
tadini tra loro presentano una piacevole immagine, che altrove si
ricerca in vano. 11 muro di divisione, principalmente tra la no-
biltà e gli altri ordini , non è in Italia si denso , come nelle altre
contrade d' Europa », e sopra tutto nel suo paese ( Mittermaier,
Condtjsioììi (T Italia, II). E questo io rammento: perchè, dimen-
ticandosi oggi le cose dopo un anno, che le sono accadute, ed
essendo general supposto, che il mondo vada sempre alla ma-
niera medesima ; niuno sembra accorgersi de' gravi mutamenti ,
che la società italiana ha subito, non dico ne' secoli o da tre
quarti di secolo in qua, ma nemmeno negli ultimi lustri. Frat-
tanto è innegabile, che, mentre l'Italia, a cui furono le caste e
quasi anco i feudi ignoti, serba tuttavia in superior grado, che
altrove, l'invidiabile parità de' suoi ceti; d'altra parte questa
venne negli ulti [ni lustri assai gravemente minacciata. E i nostri
gran dottori , che cianciano di democrazia , come d' un trovato
francese, senza por mente alla speciaUtà delle nostre condizioni
sociah, né curarsi, che noi l'avevamo reale e perfetta parecchi
secoli innanzi; fecero di tutto ap{)unto, perchè s'indietreggiasse
anche di questo passo, piuttosto che avanzare.
CCXCVI. DlYÌsione per ceti in ItaUa.
I preti conseguentemente, separati dalla nazione e in buona
[wirte contrari a' suoi voti, e immersi in tale un'ignoranza, per
cui non sono in grado di competere più col laicato, o cospirano
contro lo stato, o si traggono in disparte. E passano per migliori
coloro, che non curandosi d' altro, se non di picciole ciurmerie in-
nocenti, ungono il grifo e distendono la cotenna. I gentiluomini,
che avrebbero a certi patti giusta ragione di pregiare il loro stalo
( perocché dopo le virtù proprie e le civiche prerogative, che che
ne dica questa zotica e falsa democrazia, non vi è tesoro, di cui
r uomo più si debba onorare, che del nome virtuoso lasciato dagli
avi e de' servigi alla patria resi da' medesimi); scordano troppo
ciò, cui Dante cantava.
« 0 poca nostra nobiltà di sangue,
Se gloriar di te la gente fai
Quaggiù, dove l'affetto nostro Lingue,
Mirabil cosa non mi sarà mai
-438-
Ghe là, dove appetito non si torce,
Dico nel cielo, io me ne gloriai.
Ben se' tu manto che tosto raccorce,
SI che , se non s' appon di die in die ,
Lo tempo va dintorno con le force ».
Nel medesimo tempo i borghesi, per umiliare vie pili la nobiltà
e perch'essa perda lo stimolo alla gloria, che potrebbe dalla me-
moria rimproveratrice de' maggiori sentire; e insieme per conten-
dernela a' valorosi e usurpamela essi , fìngono dispregiarla. E dico
fingano; giacché per troppe prove si vede, che costoro, appena
possano palesemente insuperbire, gittando via la maschera, se
la pigliano essi. 0 almeno credono di pigliarsela, impetrandone
il diploma e fabbricandosi uno stemma, che potrebb' essere simile
al palvesc, cui Giotto dipinse a quel buffo borghese del trecento
(Sacchetti, Novelle, LXIII). Di maniera che, non si trattando
più, se non d'una universale buffoneria, o non d'altro, che d'o-
norar meglio costoro; la nobiltA nuova è a' meritevoli negata, e
la vecchia negli eredi derisa. I quali ultimi , fjenchè sieno ancora
de' tre primi ceti il migliore, e contino parecchi generosi uomini,
che 0 si confusero col quarto pugnando o sopra tutti primeggiano
bencfìcando; in generale, quanto più d' un' estrinseca nobiltà s* ap-
pagano, nell'intima ignobiltà sprofondano. Perocché, tranne ne*
tempi (Idia castigliana albagia, non si vide qui mai, come ora,
i gentiluomini invaniti di titoli, che i lor maggiori non usavano
dai*si, né ricevere; e incapati, imparentandosi e incensandosi tra
loro, a formare un ordine chiuso. Né in que' tempi del resto
(l)er quanto ci fossero dal popolo scissi, e dalla civile e bellica
palestra e dagli studi e dalle arti della pace alieni ) viveansi con-
finati ne' lor vuoti palagi ; come ora si vivono que' di loro, che
non diventano cocchieri o biscazzieri. Di tal guisa sacerdoti e
patrizi sono come non ci fossero , e sotto un' apparente uguth
glianzoj non solamente prepondera ; ma despoteggia il cosi dello
ceto medio, sprezzante e beffardo, ruvido e insolente: qual, si
può (lire, in passato non erasi qui mai veduto ceto alcano. Cal-
cato dal quale il (piarto, e tenuto in conto di canaglia , cova
naturalmente (|uc1 segreto rancore, il cui scoppio trallengoM
ancora la natia temperanza delle indoli e la indomita bontà
degli animi.
- 439 -
CCXCVII. DÌYisioiie per regrioni.
E così dunque, sebbene la vecchia società fosse coniposta
ad ordini quasi chiusi, ma pur pacifici e contegnosi tra loro;
questa moderna presenta assai minore omogeneità e assai mi-
nore afllatamento di quella, ne' suoi non chiusi ordini. Lo scre-
zio tra quali, cominciato qui sul finire del secolo scorso, e ral-
lentatosi alquanto nel torpore de' nove lustri seguiti dalla caduta
di Napoleone, diventò più profondo dopo la ricuperata indipen-
denza. Né dissimil cosa accadde, dopo questo massimo evento,
nella comune colleganza, che accostar dovrebbe anco le diverse
membra della patria, ossia le diverse terre: le quali nell'atto
medesimo, ch'esternamente s'unirono, sembrarono interiormente
disunirsi. De' diversi drappelli parlamentari , atteggiatisi su distin-
zioni geografiche, e ch'ebbero successivamente le denominazioni
di consorterie piemontese, toscana e alla fine ora napolitana, non
[Kìrlo. Sebbene queste distinzioni sieno altamente riprovevoli , non
escono por ventura fuori dalle poco men che accademiche aule,
dove lo spinto della nazione non penetra, e né quasi più il soffio
della vita. E del pari non voglio d\r(t, che h separajsione degF i-
taliani tra provincia e provincia sia profonda e possa includere
in tiduna un pentimento neppur lontano dell'unione politica, o
un voto neppur sommesso di ritornare agli anteriori sminuzza-
menti. Anzi cotale unione, per le eminenti doti organiche di que-
sto popolo, è già in poch'anni divenuta un'abitudine di secoli;
e cotanto fortilìcaUì, in onta alle temerarie imprudenze degli sta-
tuali borghesi , che una minaccia d' invasione sarebbe con disde-
gno accolta, e un tenUUivo di restaurazione con disprezzo. Tut-
tavia costoro, sotto nome d'unità, imponendo iim squallida uni-
formità a stirpi di cosi diversa natura, e volendole, se cosi lice
esprimermi, ristampare in una forma parziale, angusta e non la
migliore; in mille modi cercarono, se le fossero state capaci,
d'esulcerarle a vicenda. Conciossiachè, mentre le autonomie lo-
cali, e sovra tutto quelle originali e immortali de' comuni, doveansi
rispettare nel generale assetto; questo col senno, col volere e
coir oi)era di tutte dovea farsi, e non d'una sola stirpe. Ned è
quindi meraviglia, ch'esse, trovandosi avere addosso ordinamenti ,
non solamente disusati e contro grado, ma i più discosti dalla
civiltà d'alcune e i più contrari al costume, genio e sentir di
- 440 —
molte; si rimanessero, se non adirate, col broncio. Il quale vie
più aggravossi, (fuaudo si pretese governarne una parte a modo
austriaco: mandando scribi dal settentrione o dal continente nei
mezzogiorno o nelle isole a vantare la onestà diaccia loro e a
vituperare la bollente fragilità altrui, e ad esseni conseguente-
mente accolti come una specie di tirolesi o croati nostrani.
CCXCVIII. Sorad proYindali.
Intanto, sebbene la concordia italiana abbia queste dure pro-
ve vinto, non {K)tè non seguirne tra regione e regione una mal
dissimulata diftUlenza, di cui ognuno potrebbe accorgersi, vi-
vendo fuor di casa sua; e con cui tutti manifestano, come polli
accapiglianttsi nella stia, il dispiUto della comun clausura. Percliè,
se proprio questa non ci rendesse X un P altro fastidiosi e ira^ior-
tuni, ci accorgeremmo bene, tra i vizi e le virtù, dì cui som
gli umani plasmati, averne noi di quest'ultime a suflìcienza, |«r
compatirci ed amarci a vicenda. Che rimane in fatti ili stucchevo-
le nella rigidezza e formalità de' subalpini, quando si i>on^7i menti*
a quella loro bonarietà e schiettezza, fermezza e austerità, che
gli rese veramente degni d'inaugurare, con un^illusti'c prosapia
e un'onorata milizia, i nuovi destini d' Italia? Chi può la invida
scorza lombarda spregiare, se il tesoro di virili e magnanimi
alTetti considera, cbe vi sta sotto; e sovra tutto T annegazioiie di se
medesimi pel glorioso insubre i»rimato della UberaUtà, della carità
e del patriottismo? (Jome de' veneti rimproverar la mollezza « la
loquacità e l'accidia, senz'ammirarne la docihtà, la dolcezza e
l'etTusione, che testimoniano scaduta; ma non perduta la più
ralllnata amabilità e urbanità del mondo? Non sono i liguri, per
quanto procaccianti, anche alacri e ardimentosi; i toscani « per
quanto impertinenti, anche arguti e gentili, e i romagnuoli, per
(|uanto violenti, anche generosi e forti? Ousmto meglio di noi.
civilizzati alla francese, non valgono que' barbari sardi, die re-
put^mo ancora T ospitalità, la parola e la fede sacre; e giusto il
risentimento e rnespìabili quelle onte, cui altrove i mariti irafli-
cano 0 senza cordoglio sopportano? E iìn que' cari nostri fratdii,
che aiutano oltre il Volturno e il faro di Messina, non haanu forse
cotanto ardor di passione e {Kitenza d' intelletto, da scusare il diielto
della nostra settentrional calma e algida morigeratezza?... Ovun-
que in souìma volgasi lo sguardo, vedesi non solo le buone alle
— 441 -
ree qualità sovrastare, e molte non apparir ree, che ad uno scor-
tese giudizio: ma le buone, così varie e disparate, esser tali
{ coni' io meglio nel seguente tomo esporrò ), da aversene il più
felice conserto, di grandi cose promettitore. Onde io benedico
ciò, di cui gli statuali borghesi, se volessero parlare aperto, co-
me parlo io, rimasero forte impensieriti e turbati. Che cioè, pel
Iramutamento della sede del regno in sul Tevere, fossero gì' ita-
liani del mezzogiorno più appropinquati alla medesima, e più age-
volali a correggerne le sorti. E (luesto dico io , quantunque a pie
di gelide e nude Alpi nato : ove per altro, se non sul capo, sentii
nel cuore scendermi i raggi dell' infocato sole dell' umile e più
vera Italia. Perocché non vi ha dubbio, le provincie traspadane
avere più maschi e regolati istinti, e una più compatta e pulita
civiltà: ma bisogna pur riconoscere, come questa sia più importata
e recente, che natia e costante; e sienvi più tardi gì' ingegni, e le
inclinazioni e le usanze più acconcie a formare un regno all' oltra-
montana, che uno stalo propriamente nazionale. Mentre la civiltà
della media e bassa penisola, per quanto inferiore, e in alcun
punto nò anche meritevole di tal nome; pur pure è più indi-
gena e genuina. E come la bassa e media debbono con le virtù
aspre e ruvide deir alla ritemprarsi, così questa dee ne' classici
rollami e lin ne' selvaggi sterpi di quelle, rintracciare e svolgere
il lìlo della originale e legittima civiltà. La qual trasformazione
0 traslazione meridionale, se così lice esprimermi, delle itali-
che cose, auspice Roma, già iniziata e omai inevitabile; quanto
utile e giusta, alirellanto è ai voti degli statuali predetti contra-
rm. I quali, non che adoperarsi a rendernela facile e felice in
passato, e senza trabalzi e sconvolgimenti, vi vanno oggi incontro
a mala pena; e (piasi paventiuido le crastine catastrofi, se del
dimani paventassero essi mai. Che, se per tanto comprimere e
livellare con assiderate mani cosi opposte nature, una sicula ri-
volta 0 altra tal calamità, cui i numi sperdano, scoppiasse; egli-
no direbbon di giunta: vedete, se avevamo ragione? E ci avreb-
bono pronto il rimedio essi: benché (senza malvagio fine) esauri-
rebbero innanzi la polvere e il piombo, e sto anche per dire
il sangue, prima di ricorrere al rimedio vero. Conci ossiachè, per
loro, non avrebbon dovuto (jue' lor pupilh uscir mai di minora-
lico; ne poiuio esser altro, che discoli e scappati, a lasciarnegli
fare. (Juanlo alla civiltà, questa non ha paese; e basta, che sia
francese o inglese o tedesca, pur che non la sia italiana mai.
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CCXCIX. Dinsione per sette.
Il disaccordo de' cittadini per ceti e regioni ( av veotuntamente
lieve, e pure istillato, quanto più si potè, dalla borghese arte di
stato), è del resto meno intimo di quello, che nelle sette e baODi
si manifesta. — Come, vi sono dunque anche sette in Italia, e
di che natura, e quante e quali? — SI anche queste: e sono tra
le massime nostre sventure; da cui se prima noi non ci liberia-
mo, non ci potremo mai dalle rimanenti nostre servitù liberare.
Or qui, trattandosi di cosa sottile, sottile, cui piuttosto io senio,
che saper esprimere, deploro la imperizia del mio dire: alla quale
sola attribuirò la colpa, s'io non fossi compreso. Ingegnandoini
tuttavia anche a questo, noto, che non prendo la voce setta nei
senso, in che V adoperano i moderati , per vantarsi ingrati agli
antichi cospiratori; nò nel senso, in che i clericali, per fare oiMa
ai liberi muratori, e nò in qualsivoglia senso di società segreta o
delittuosa. Le sette in vece, di cui io favello, non hanno ordioa-
mento esterno, nò statuti, nò capi: ma sono, se cosi lice espri-
mermi, puramente intellettuali; o grandi correnti di pregiudizi e
di superstizioni, di sofismi e di fallacie, commiste a qualche ve-
rità, e al più alto grado esclusive e sfrontate. Vi è quindi la sella
ih' razionalisti j che reputa sciocchi i credenti; e tie' bigoitij
che malvagi gli spregiudicati: quella de' forestieraiy che non ha
mai troppi vilipendi per la patria; e degli anarchici j che pel
principio d' autorità. Seguono i falsi conservatori, die rimpian-
gono il medio evo, e i falsi novatori, che T ottantanove; gli sto-
tisti airiiìglese e i democratici alf americana , i galloniani e i
teutomani, ed altri piccioli settari. Prevalgono su tutte le due ve-
rierande arciconfraternito, de' finanzieri, che credono non si tnOi
d'altro nel mondo, se non di tarilTe e di bilanci; e de' poliiiah
stri, se non di camere e di partiti. E, sebbene qualche cosa
di simile si trovi anche in altre contrade, qui per altro T angu-
stia delle vedute, congiunta ad una infallibile sicumera e ad
implacabile durezza, raggiunse il colmo talmente , che il
senno pare sotto a quelle correnti affatto sommerso. Se non che
io non posso in miglior guisa farmi capire da que' lettori, che non
avessero ancor gitLito via il libro; tranne richiamamlogli sovra
r impressione, che ({uesto eccita in loro, e sulla relativa cagione:
- 443 -
la qualfe altro non è, che un contrasto tra il giudicare settario e
il popolare. Eglino certamente avranno avvertito, ch'io vo di-
cendo cose tutf affatto contrarie a quelle , che si odono ora ;
quantunque, se avessi voluto esporre le opinioni, che corrono, avrei
avuto assai più agevole impresa, quanto più fortunata. Tuttavia
(luesle cose, ch'io vo dicendo, non le sono poi né cosi singolari,
nò cosi strane, come posson sembrare: anzi molto generalmente
e da antico ammesse; Umto che fin le predette sette, se nello
assieme tutte meco discordano, in (|uesto o in quel punto cia-
scuna consentirà meco. Consentirà appunto ciascuna, dov'io il
vero da essa seguito espongo; e ne dissentirà, dove il falso:
mentre tutte, su quel falso poggiando, da me combattuto a ol-
tranza, mi daranno contro. Ned io me ne dorrò guari: poiché, spri-
gionatomi da esse sette al pari, che dalle fazioni, e propostomi
non una parte del vero, cui io credo tale, ma l'intiero profes-
siire, seguane che può, so bene di non poter loro piacere. Avranno
inoltre i lettori avvertito, eh' io d' una data tesi dico le opposte
ragioni con la medesima forza e sincerità delle favorevoli; e che
in sul più bello, che sembro accostarmi a un pensiero, ecco che
me ne discosto: onde si rimarranno forse indecisi oda un cozzo
di pugnanti alletti turbati. Perché (per esempio) parlo io si sciolto
in punto di religioni, e tuttavia ne ammetto la necessità nel ci-
vile convivio? sospiro la redenzione degli oppressi, e delesto i
conati di sovvertimento? anìo le plebi e non ho volgari istinti
contro la nobiltà? Parrebbe chiaro, che si potesse esser lìlosoiì,
deniolìli e giusti, senz'esser empi, demagoghi e mascalzoni: or
questo ò (jnello, cui non s'intende più. Ebbene, sta qui appunto
la [aincipal differenza, a mio parere, tra il criterio delle sette e
quello del popolo, del quale m'accontento io: che, mentre que-
sto, almeno per un confuso intuito, la verità sposa, quelle in vece
adulterano seco licenziosamente. D'ordinario cioè non colgono, che
un lato della verità, ne hanno un concetto monco, e ne fanno una
formula inadeguata, cui ripetono poscia come un dogma indiscuti-
bile. E, dimenticando anche l'altro lato, pel (luale solamente è
compiuta, qui'Uìuo nel proprio errore, come in un universale sa-
crainenlo. Per ventura, sotto l' Italia falsa e settaria, sta la vera
e popolari?: ina, siccome è quella, che si rimescola ed unica par
viva; così havvi abbastanza confusione nelle teste ora, perchè la
borghesia, dopo avere trionfato di tante cose, trionfi eziandio
della nazionale intelligenza.
- 444 -
ecc. DiTÌflione per fkiionL
L' ultima causa di divisione in quella tale Italia , che si ri-
mescola ed unica par viva, giacesi fìnalmente nelle dizioni. Delle
quali avendo io già discorso, in quanto s' immedesimano col pub-
blico reggimento e col movimento letterario, non ho bisogno qui
di accennare, se non quel tanto, che lo spirito stesso della na-
zione concerne. Non dico, che le fazioni non fossero un grave
sconcio anche dell antica società italiana; sebbene le fossero,
quanto più irrequiete e iraconde, altrettanto operose ed illustri.
Se non che, cangiati ora nomi e intenti, legittimate dalla costi-
tuzione polìtica e dal sistema parlamentare, e glorificate cogli
esempi stranieri e colle teorie moderne, esse naturalmente diven-
nero una cosa santa e indispensabile. Talmente che non si può
oggi nemnianco concepire, vi possa essere alcuno, che non debba
o^ssere air ima od air altra delle medesime ascritto. E chi non lo
ò, come r oscuro scrittore di queste imgine, passa a dirittura per
uomo fantasioso e intrattabile, senza garbo e senza mondo, che
non ha principii e non ha passioni, e che non sa quel, che si
I)onsi e che si voglia. Nò io nego, che un tale uomo in uqa so-
cietà faziosa non debl)a rimanere allatto annientato, e non me-
riti esser tenuto in maggior conto d' un sognatore o d' un pazzo.
Imperocché, s' egli avesse voluto fare X uomo di stato nella me-
desima, anzi che mettersi fuori della vita pubblica, avrebbe do-
vuto imbrancai'si con una o con altra consorterìa: tanto più che
la cosa s;irebbegli sUita più commoda e più utile. NoDdimeDO
credo, che (piesta tale società faziosa non sia civile, e quasi nem-
manco umana : dappoiché , interponendo tra' cittadini la dissen-
sione e tra gli uomini la servitù, tiranneggia su tutti a beneficio
di n<^ssuno. — Dunque, se tu trovassi compagni al tuo modo di
|)ens;ire e di volere, e ne potessi formare un drappello, oh cbe
gli respingt'rosti, i>er viverti ognora in quella tua selvaggia in-
dìpiMidenza e fiera solitudine? ~ Non certamente: ma questa sa-
rebbe parte, e non fazione; e, se la fosse della venti e della giu-
stizia [\w\ ipial caso la dovrobb' esser di tutti), potrebbe anco
<*ess;ir cf esson* parte. La parte ad ogni modo non sottomette le
ragioni alle [nTsone, non accarezzai i perfidi e non oltraggia i va-
lorosi, non viiUa di vedere e pregiare altri al dì fuori: e, pn-
— 445 -
supponendo il libero consenso in qualche punto, non assoggetta
in ogni punto, gì' intelletti e i cuori a un giogo servile. Si può
quindi ammettere, che più persone s'accordino per propugnare,
pognamo, una riformagione del governo, una nuova legge, una qual-
che franchigia. Ma come altresì, che per uno o più obietti, debbano
su tutti gli altri, ed anco meramente accessori, declinare ogni
propria elezione e individuale responsalità? Cosi del pari si può
ammettere, che una particolare affezione leghi i propugnatori
d' una data causa tra loro. Ma come altresì , che debbano for-
mare un corpo chiuso, anzi uno stato nello stato; e presumersi
infallibili e impcccabih, e vituperar tutti gli altri? Ora, a veruna
delle nostre politiche brigate si può il nome di parte dare: poi-
ché 0 non le discordano ne' propositi , siccome i moderati bian-
chi e bigi. Oppure gli hanno riprovevoli, siccome gì' immoderati
neri, che la unità patria avversano, e i rossi, che il sociale assetto,
e i verdi non meno, che una repubblica vorrebbon fondare senza
cittadini. E, quando pure tutte codeste avessero propositi distinti
e retti, degraderebbonsi da parti in fazioni, tenendo modi con-
trari alla civiltii e lino all' umanità nel proseguirgh ; e sacrificando
ogni cosa a' medesimi, e sopra tutto le ragioni e le persone stesse
degli avversari. Sacrificano indubbiamente le ragioni: perchè,
senz'andar molto discosto ne' tempi, vedemmo una fazione, con-
ti^ndente l' impero, riprovar quelle cose, che poi, divenutane pos-
seditrico, approvò; e viceversa approvar quelle, che innanzi avea
riprovato. 0, per farmi meglio comprendere, vedemmo testò i
bid, non appena insediati nell' amministrazione, porre in non cale
i divisiimenti d'estendere il diritto de' suffragi e di sopprimere il
balzello su' cereali, ed altri tali, per cui sembravano volersi prima
da' bianchi contraddistinguere; ratificando di costoro tutti quelli,
cui prima dicevano detestare. Di giunta essi, già cotanto cato-
niani , dimostrarsi mille volte più zelanti dell' autorità loro, e colla
premura de' ravveduti e la boria de' novizi ostentare palatini os-
sequi ed auliche i>ompe: i quali e le quali, a lode del vero, i lor
predecessori in timt' anni d'impero non conobbero punto, paghi
della lealtà nel servire e della modestia nello sgovernare. A tal
che odonsi que' medesimi, che dianzi professavano questa o quella
opinione, professarne adesso altre precisamente opposte, senza
stupore d' alcuno. E come cosa generalmente intesa, che non s' ab-
bia ad avere, se non le opinioni della propria compagnia, quali
jiiorno per giorno il caso fa spuntare; e che le convinzioni non
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siano, che corbellerìe. SacriQcaDO poi queste politiche brigale k
persone, e in ciò sono le une alle altre siniili, che credono tedio,
giusto e buono dare a dirittura il bando, entro il regno, agli av-
versari. Onde i più stimati uomini non credono punto macchiarsi
di vigliaccheria, contrapponendosi in tutte le guise, a che ^ av-
versari stessi adoperino per la patria la loro sperìenza o la loro
rettitudine. Ed anche questa è cosa si generalmente intesa, ch'io
mi debbo qui giustificare d' un atto, che fu il penultimo ddla mia
vita pubblica: inconcludente per fermo, se non fosse una protesta
della coscienza integra contro il comune andazzo.
CCCI. Eccessi partigianeadiL
Quando in certa città molte contrarietà aveva il cittadino, che
più In onora ; e da certuni gli si facea carico, non tanto de' gravi
e funesti errori, quanto delle buone e nobiU qualità e fin de' hm-
ghi e onorati servigi ; e qualunque altro candidato gli si contrap-
poneva da mandare al parlamento (pur ch'ei non ci andasse, e
fossero contenti i suoi lontani e potenti rivali della stessa faziotie
e d' altra consorteria ), non soffersi io tanto strazio inflitto air ia-
gejj:no e alla virtù. £, benché già avessi al mandato pariamen-
tare rinunciato, e già mi fossi rincantucciato in quella obbli\ione,
ove debbono a questi lumi di lima meritamente i pari miei ri-
manere; ne uscii, ripeto, la penultima volta. Ne uscii per dire in
una ragunata d' elettori , che F ingegno e la virtù debbono por
qualche cosa valere ; e che Y errare è un mancamento , che se-
^Miita dal fare, e del ({ualc vanno esenti solamente coloro, che non
fanno niente. Or questo tale atto parve un misfatto: perchè chi
più di me avrebbe dovuto osteggiare quell'uomo, che fu ano
de' massimi autori del sistema di reggimento borghese ; pieno di
fede nel medesimo, e cuUantcsi in sì rosee visioni, che perirebbe
il menilo innanzi, eh' ci s' accorgesse? Ghi più di me avrebbe po-
tuto lasciare alle prese co' propri alunni imbizzarìti Y areiconsolo
doT accademia do' dottrinari italiani; e il supremo gerofimte di
quegli arcani costituzionali, in nome de'quah avrebb' egli stesso
dato at'li altri queir ostracismo, che i suoi contrari davano alien
a Ini? (]iò nonriimeno io ho. diversamente agito: perchè, sebbene
sì profondo abisso intercedesse fra' nostri estremi spiriti, ed egli per
me ed io |)er lui, egli in alto ed io tosso, avessimo tutta quella
- 447 —
indiflerenza, che i nostri pari debbonsi reciprocamente professare,
rispetto tanto gli altrui convincimenti, quanto sostengo i miei. Né
mi sapevo persuadere, che un uomo onesto, culto, abile, devoto
alla patria sin da' primi anni, e adorno in somma di tante doti,
com' egli ; dovesse proprio esser messo fuori da quella vocal
palestra, ov' è reputato il primo oratore. Pure sì fatto modo di
sentire giudicasi generalmente arcadico: poiché appunto il do-
gmatismo fazioso vuole anzi tutto , che, senz' avere convinzioni
di sorte alcuna, si reputi di non poter mai cadere in torto ; e po-
scia, che chi seco non consenta, debbasi senz' alcuna misericordia
stritolare. Di modo che non solamente quelli d*una fazione vie-
tano a quelli d' altra il partecipare all' amministrazione dello stato;
ma per sino quelli d' un manipolo a quelli d' altro della mede-
sima. Né solamente vietano questo ; ma non si rimangono, fin che
non gli abbiano del tutto, quando il possano, dalla politica arena
scacciati ed alla civil vita tolti. E, mentre chi ha un concetto
degno di sé medesimo, desidera aver emuli e valenti, sopra tutto
perché \)cì bene della comun patria da ambo i lati si pugna o
pugnar si dovrebbe ; costoro, anche co' poteri dello stato , non si
peritano d' abbatter gli avversari. Anzi gongolano e tripudiano
apertamente (come i bigi negU ultimi suffragi generali), quando
veggongli morti o moribondi giacere intorno distesi. E, come sono
questi ultimi ora cadaveri o poco meno, così altri ne rimasero
prima ed altri ne rimarrano appresso, per la inflessìbil logica del
sistema, che divora al par di Saturno i propri figli. La qual cosa,
quanto sia buona in tanta penuria d'uomini veri, lascio altrui
considerare. Fatto sta, che di tal guisa, paralizzando tante forze,
e riduccndo all' agonia d' una o due fazioni la salute della na-
zione, questa è appunto come non ci fosse; eh' é appunto quello,
che la plutocrazia si proponeva. Ma, quando pur si potesse di tal
calamità non curarsi, spero ora, che i miei lettori, anche solo
ammettendo un decimo di quel, che ho detto, si fieno accorti,
come al dividere per regnare ella ci sia riuscita d'avvantaggio.
Conciossiachò, per l'astio tra' ceti promosso, e la ruggine tra le
regioni, e per codeste sette e fazioni, travaglia la unità esterna
e formale della nazione quella disunione intema e sostanziale, eh' é
del suo abbiosciai'si l'altra possente cagione.
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CCGII. Assopimento cìtìIo e monlo.
Nondimeno i due sopraddetti artifìcii per tenerla neghittosa,
f)Otrebbon fallire , se quella ricovrasse altrimenti le proprie Iùd-
zioni vitali. Onde fu d' uopo , dopo averla coartata e divisa , far
sì inoltre, che le medesime sue forze giacessero inerti. La quale
inerzia in altri due modi si consegue : coir assopimento del po-
polo stesso, e colla persecuzione di coloro, che ne potrebbon pw
avventura essere i maestri, i tribuni, i profeti, i campioni e i ven-
dicatori. Facendomi daW assopimento , che non è fisico, ma
morale ; questo naturalmente si procura col rintuzzare tutti quegli
stimoli, merc^ cui a una data occasione potrebb'esso riaversi, ^
liberarsi da'suoi oppressori. Estinguerne quindi il senso ilelLi
propria |)ersonnliti^, integrità, dignità, natura e vocazione; di ^niisa
che s' abitui ali* ignavia , e vegga nella medesima un gnuio di
vivere perfetto. Mentre il ridestamento del senso civico sareN*
stato la gran leva, con cui del popolo italiano avrebiKSi potuto
fare uri popolo eroico ; questo è appunto, ciò, che la casta raer»-
trice non voleva: poiché in tal caso, oh dove se ne sarebbe ilo
il suo dominio? E tanto vero, ch'ella ha mestieri di ben altm
|MT dominare, che in <|ualsi voglia tempo ella dominò, segna deDe
nobili e forti p<issioni lo scadimento. K, perchè si vegga, come i
suoi andamenti lunghesso la storia sempre si rassomiglino . r
benché le antiche cittadinanze nostrane sembrino concili d'eioi
a petto ili essa; vuoMa testimonianza d'incliti spiriti addurre
che, vissuti in quelle, le accusjirono appunto d' .-ìver fatto Irioih
lare T ijrnohilià e la villa. Marco Tullio Cicerone, quanlunipK
di'li' ordine equestre, ossia della nobiltà liorghese romana, e al
ctjjmo «leirli ivA e deirli onori , rimpiangendo la prisca virtù, no-
(Miie la lino a* suoi teuìpi così. « Ma questo ottimo ordinanoeDia
dirnno essiTC stalo rovesi^ato dalle prave opinioni degli uomini,
ili»» n«'lla ÌLMioranza della virtù {la quale come è in pochi ri-
<tn*tta ct-^A in pochi si giudica e si discerne) credono coloro solo
l'sv.ri' oitiini. che sieno ricchi e facoltosi e nati di nobile slirj*.
r.-r qijf^stò errore »lel voliro non le virtù ma le dovizie dei pochi
f.rilM iij«'niiiincial'> a rcirgere la repulil»lica , que' pochi pertina-
'<'ii''\i[" rit>'ii.:oMn il nome di ottimali: ma ottimi in fallo »:«
' .'j'». lii'junM'iJH*' It' ricchez/e, il nome, le facoltà vuole Jrt «•-
- 449 -
siglio e della retta maniera del vivere e del comandare altrui
sono piene di disonore e d'insolente superbia: né v^ha im-
magine di città più deforme che quella in cui i ricchissimi sono
reputati gli ottimi » (Repubblica, I, 34). Sentasi ora Dante Ali-
ghieri , come dipigne la raccogliticcia borghesia florentìna del
trecento, nel XVI canto del Paradiso, raffrontandola coli' antico
popolo genuino.
« Tutti color eh' a quel tempo eran ivi
Da poter arme, tra Marte e il Battista,
Erano il quinto di quei che son vivi.
Ma la cittadinanza, eh' è or mista
Di Campi e di Gertaldo e di Figghine
Pura vedeasi nelF ultimo artista.
0 quanto fora meglio esser vicine
Quelle genti eh' io dico, ed al Galluzzo
Ed a Trespiano aver vostro confine ,
Che averle dentro, e sostener lo puzzo
Del villan d'Aguglion, di quel da Signa,
Che già per barattare ha 1' occhio aguzzo » !
È vero, che qui si sente un po' l'aristocratico: ma Niccolò Ma-
chiavelli, incontrastabilmente di sensi, come or si direbbe, de-
mocratici per eccellenza, lasciò tra le sue Sentenze diverse
questa. « Gli uomini che nelle repubbliche servono alle arti mec-
caniclie, non possono saper comandar come principi quando sono
preposti m magistrati, avendo imparato sempre a servire ». E nel
11 libro delle Istorie fiorentine, narrata la rovina de' nobili nella
riforma del 1343 , soggiunge, come fosse « cagione che Firenze
non solamente di armi, ma di ogni generosità si spogliasse ». Il
che è parimenti a' tempi nostri da reputati storici e lutt' altro, che
vagheggiatori d' aristocrazia, confermato: tra' quali piacemi Ed-
gardo Oiiinet (Rivoluzioni d' Italia, XI) citare. « La borghesia,
distruggendo la nobiltà, distrusse la sorgente dell'eroismo antico;
e, temendo il popolo e disarmandolo, impedì, che un novello erois-
mo si formasse. Onde avvenne, che la guerra non si potesse più
fare , se non con armi forestiere. Come albero , cui si recidano
le radici, il ceto de' popolani grassi violentemente separato dalla
massa del popolo perdo a poco a poco quegl' istinti di città e di
f>atria, che gli aveano procacciato il potere ».
29
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CCCIU. BintuBameato de* Matìatitl ertkL
Ma io temo d' essere irriverente verso i nostri maggiori, pro-
seguendo il paragone tra le loro cittadinanze e la moderna b(r-
ghesia. Avvegnaché, come dice nel precitato luogo quest'ultimo
autore , quelle assisero « fin dal secolo XII la società italiani
sopra un principio , da cui V Europa è ancora nel XIX assai di-
scosta. Mentre V antichità recavasi a disonore il lavoro , V Italia
lo riabilita al punto , da farne il cardine del diritto sociale » : e
questo per fermo è un nobilissimo vanto ; quando si abbia a mente,
come nello stesso lavoro avessevi allora una gerarchia, ove
le professioni liberali (ora si umiliate) prevalevano. Perocché in
quelle , che s' addimandavano arti maggiori , insieme co' grandi
fondachieri, fabbricatori e cambiatori, eranvi iscritti i giudici, i
dottori, i notai, i medici e in genere i più chiari uomini. Oltracciò
quella borghesia fiorentina da Boccaccio a Davanzali noverò no-
mini non solo ne' geniali studi; ma ne' più profondi dell'archeologia
e della filologia versati, e delle classiche cose innamorati. Per non
dire degli altri mercatanti, e insieme artisti, mecenati, oratori, ret-
tori, capitani, che basterebbero ad onorare, non che una città, il
mondo. E come si può tenerla neppur pe' bellici esercizi in di-
spregio, s' ella tante volte valorosamente combattè ; e se nel suo
tramonto raccoglie in sé quasi tutta la italica virtù morente, e dal
suo seno esce, stato a bottega egli stesso, l' italiano Ettore, dico
Francesco Ferruccio ? Or, se tuttavia quella da' detti incliti spiriti
fu d' ignobiltà e di viltà rinfacciata, che non si dovrebbe di que-
sta nostra dire; alla quale sembrano per lo meno teste sventale
que' bottegai, che studiavano Omero e traducevano Tacito, o che
cadevano a Gavinana finiti e insultati da un Maramaldo ? Ebbene,
veggiamo adunque, che cosa questa abbia fatto per indebolire, and
per annichilire il popolo italiano, non dico come razza di bipedi
animali ; si come consorzio d' uomini civili. Evidentemente, uscendo
esso dalla servitù straniera, e dovendo un' impresa di riscatto oom-
pierc, bisognava agguerrirlo: e non di soli strumenti, ma di sen-
timenti in guisa, che fosse non pur belligero, ma bellicoso. Né le
attitudini per esser tale gli mancavano: poiché non solamenle
neir epoca napoleonica nostrane legioni in Russia e Spagna sq>-
pero ricalcare il suolo con pie romano; si anche nel quaranlolto
~ 451 —
quarantanove a Milano, Venezia, Bologna, Roma e altrove cit-
lini, che sembravano per lungo ozio frolli, seppero riprender
armi, e romanamente agire o patire. E in flne nel cinquantanove
sessanta V anelito di combattere era tale, che i giovani da ogni
}go accorrevano alle insegne o nello esercito regolare o nelle
Bde garibaldiane ; facendo, come singoli soldati, mirabili pruove.
>si che, se lo si avesse voluto , tutti gì' italiani slavano per ri-
tentar guerrieri: acquali non sariano mancati, se non i buoni
dini e un capitano abile a tanta milizia (che poi probabilmente
Piano sorti), per vedere rinnovellata V antica virtù.
CCCIV. Modi tenuti per rendere imbelle il popolo italiano.
In tal caso per altro non avrebbero essi si dolcemente pie-
to il capo alla poltroneria affaccendata ; e V ammirazione pe'
odi e il pungolo della gloria gli avrebbero dall' adorazione del
elio d' oro e dalla sordida quiete distolti. Dunque convenne fare
[talia piuttosto diplomaticamente, che militarmente: e quel po',
e nella seconda guisa, con quante maggiori umiliazioni si potè;
ciò si persuadessero bene gli eroi, che stavano per ispuntare, come
5se finita la lor stagione. Vi fu anzi un momento, in cui si dira-
rono senz' altro le fde de' soldati e si mandarono alle lor case in
;tta e con un ebraico piatto di lenti molti ufficiali. E si sarebbe
le adesso quasi affatto inermi, se non si avesse alla fine capito,
e in una Europa armata sino a' denti, la cosa era veramente
)[)po straordinaria. D' altra parte la poltroneria affaccendata, senza
a grossa soldatesca , tenuta perpetuamente alle stanze, non può
corarsi e bravare: e quindi le basta e occorre impedire, che
i guerresco il popolo. Al che non solamente è giunta con ren-
re affatto in Italia impossibile una profession militare, con di-
logliere alla chetichella la guardia paesana, con omettere nelle
iole gli esercizi e nelle feste i ludi di Marte; ma sopra tutto
n estinguere nelle anime ogni senso eroico. Mentre la vicina
izzera ci dava sì contrari esempi, e la Francia in tanta caduta
ime ognora d' epiche reminiscenze e di cavallereschi istinti; i
rghesi sofisti gridavano qui a un popolo, che dovea coli' armi
ovrare la propria dignità e affermarsi al mondo: pace. E co-
>ro, che poi celebrarono la fortezza tedesca, continuavano nel
xlesimo grido; e ad inculcare, che l'Italia dovesse essere una
— 452 —
nazione pacifica per eccellenza, fin quando la GermaDìa con cai-
tedratica gravità arrotava quelle spade, che in pochi anni le die-
dero il primato della possanza in Europa. Se potessi io costoro
supporre malvagità, dovrei per fino accusargli di tradimento: ma,
non potendogli reputar malvagi, con qual nome dunque gli diia-
merò? Per quanto i nostri cuori sospirino qud benedetto gìonio,
in cui la giustizia trionferà sulla terra senza sangue ; come cre-
derlo cosi prossimo e anzi presente , da osar dire al popolo ita-
liano, che il tempio di Giano era per sempre chiuso ? Avesse esso
da' traffici e da' guadagni, a cui lo si invitava con tanta tenerezza
tratto altro prò' , che X inopia , la miseria e la fame , in cui è
sprofondato; come scongiurarlo a depor \ armi prima e dopo i
fatti di Custoza e di Lissa, prima della zuffa e dopo la sconfitta f
Voglia 0 non vogliasi, i deboli sin qui sono stati sempre preda dei
forti, e i popoli si son redenti altrimenti , che con le cabale e con
le giunterie. Fin che il mondo non cangia, è sul campo, che si di-
mostrano le loro forze e si traggono gli auspicii della loro gran-
dezza. E tutta l'umanità è ancora in tale stato, che marcirebbe
nella codardia e in ogni peggior turpitudine, se di tratto in tmtlo
non la risollevasse a generosi palpiti la guerra.
CCCV. Rintimamento de' sentimenti politioL
Se io sia uomo in ritardo, lo giudicheranno i lettori, che
non m'abbiano abl^iindonato, nella seconda parte di quest' opera:
corto non sono si avanzato, da credere, che i popoli possano |ier ora
ritemprarsi senza battaglie ed essere rispettati senza vittorie, l^re
io, uomo di toga, credo CvSsere il solo in quest'Arcadia boitegaya
a deplorar quello , che altrove , deplorercbbono tutti. Che fino il
vecchio leon di Caprera non rugge più: e, tra' pacifici bebti
del gregge e la cornamusa de' (tastorì , naturalmente le picciole
volpi s(iuittiscono di gioja. Le quali, per inseguir meglio la pre-
da, oltre i bellici sentimenti, misero alla gogna tutti i senti-
menti civili: onde il popolo non pur negli ozi della pace si tuf-
fasse , ma della pace non amasse più alcun' arte buona. Sacrifi-
candosi in fatti air istituto economico tutti gli altri istituti , che
ressero la società umana sin qui, cioè il domestico, il politico
e il religioso, tutte le fonti delle virtù più nobili inaridirono.
Dappoiché la operosità . la previdenza , la iKirsimonia e le altre
- 453 -
virtù, che in quel primo istituto occorrono, che sono mai in con-
fronto a quelle, che negli altri? Le pubbliche virtù particolar-
mente repularonsi dagli antichi le più nobili , sublimando esse
r uomo sovra il proprio egoismo e spingendolo lino a sacrifi-
carsi pe' suoi simih. Or queste appunto sono in grande detestii-
zione de' moderni, che per vituperarle quanto più possono, vi op-
pongono quelle lor virtù private , che spesso non sono altro , se
non private vigliaccherie. Colle quali possono costoro , che
sono modernissimi, separare i cittadini dalla città, anzi distrug-
gergli del tutto in quella guisa, che oggi ognuno vede. Secondo
i consigli de' cui uomini di stolto , l' Italia vuol essere « rappre-
sentiila da fattori »; non pensare ad altro, che alle « cure econo-
miche », ed anzi al solo « pareggiamento de* bilanci » : tanto più
avventurata, quanto più « non la faccia parlar di sé ». E, citando
a memoria, forse io non esprimo queste idee colle precise lor pa-
role, cui del resto bisogna il più delle volte raccogliere ne' ban-
chetti ; ov' egli usano , come ho detto , consultare e parlamentare
alla nazione, tra i nappi ricolmi , alla foggia de' barbari. Pure a
un (li presso così riassunsero il sistema Massimo d'Azeglio, Marco
Minghetli , Quintino Sella eil Emilio Visconti Venosta: il pri-
mo in un manifesto, e gli altri nella costituzional dieta e ne' co-
stituzionali simposii. E i lor nomi posso io qui hberamenle ram-
mentare; perocché né quegli se ne sarebbe adontato, né questi
si adonteranno di cosa, eh' é per loro una gloria, e in cui sta per
loro il segreto e la chiave dell avvenir nostro. Codesto adunque il
destino, che aver dovrebbe la nazione italiana: la civiltà, la cul-
tura, la potenza, lo splendore, la grandezza sono fisime da la-
sciarsi alle altre nazioni. Non badi a profittp di chi ella debba
lavorare e sudare: basta, che la si reputi una fattoria, che at-
tenda a' suoi campi e a' suoi banchi , che paghi le imposte e i
debiti , e che si viva oscura. Per verità sarebbe così posta al
bando dalla vita civile, e sin la patria se ne sarebbe ita: ma che
importa anche questo, quando la borghesia non le chiede altro,
se non di lavorare e sudare ; e la patria medesima è per lei
un idolo vano ?
CCCVI. Sfacimento della storia e della oiviltà italiana.
Dico, eh' é un idolo vano: poich'ella, come già si vide, è
un' accozzaglia {)iuttosto mondiale, che locale, ed esotica, che in-
— 454 —
dìgena; e tutto quel ghettume, clie ha indosso, non le permette.
se non di vivacchiarsi nomade e parassita tra le genti. Sicché.
se lo potesse , allargherebbe anche agli stranieri le prerogative
civiche ; e fino i diplomi di cittadinanza convertirebbe in titoli al
portatore , come tosto sono per chiarire. Già pur si vide , oone
le costituzioni politiche da lei promulgate, mano a mano che
si dilatò in Europa , fossero di base storica destituite ; e ivapof-
tate , coni' ella usa appunto le merci da fuora importare. Lo
sfacimento della storia e lo straniamenio quindi (se cosi lice
esprimermi) de' popoli, sopra cui distendesi codesta gramigna,
sono una necessità d' impero : ed , oltre che in quelle costitu-
zioni, si estrinsecano in ogni altra branca della legislazione, e nella
letteratura, nel costume, in tutto. Ella è implacabile odiatrice
della storia ; perchè sa bene , che in questa troverebbero i pò-
])oU soggetti i suoi delitti e le sue pene , e insieme riacquiste-
rebbero la lor propria pei^onaUtà. Onde , se non può una costi-
tuzione a priori e una legislazione mentalmente elucubrata impor-
re, fa tesoro di tutte le ciarpe aliene; pur che quel dato popolo,
cui vuol lener servo, non abbia istituzioni proprie. Il passato e il
genio del quale debbono essere in tutte le possibili guise cancel-
lati e conculcati; acciocché come materia bruta si presti ad es-
sere rimpastato e rimodellato. E che ciò sia anche in Italia av-
venuto, panni che niuno ne possa dubitare: che ornai tutte le
nostre istituzioni sono senz' altro oltramontane , e le nostre leggi
traduzioni e copie di leggi straniere in gergo levantino ; e dietro
ad esse le nostre lettere, i nostri usi, e per lino i modi d* espri-
mersi, di pensare e di sentire air avvenante. Tutt' i nostri uomini
di stato nelle nostre stesse occorrenze civiU allegano a ogni stante
esempi inglesi (come proprio fossimo inglesi anche noi, o noi non
contassimo più per nulla); mentre si vergognerebbero in tante sva-
riate forme di reggimento , che ebbimo, e in tanti secoli di glo-
riosa viui , di trarre alcun esi)erienza da' fatti nostri. Non parlo
de' letterati , a' (juali sembrano barbari i classici scrittori « oè del
nostro conversare e vestire alla parigina: ma iin le cose più fri-
vole, gli spassi, i ritrovi, i trattenimenti, e a costo di fiame a una
caricatura » , voglionsi alla moda peregrina conformi. Come fos-
simo il più vii gentame della terra , anzi un bastardiune gene-
rato nel trivio da notturna tresca d' assassini e di bagaseìe , non
s' è risparmiato nulla per insultare i nostri avi e le nostre noe-
morie, l^esando la nostra antica civiltà, come una milediiìooe sa'
— 455 —
nostri oppressori, permisero, che l' Italia materiale si rifacesse, a
condizione, che T Italia morale si disfacesse. E così vi riuscirono,
eh' essa non è stata mai meno italiana d' ora ; e chi non se
n' accorge , vuol dire, che tranne il nome, non ha più niente in
sé d* italiano.
GCCVil. Vituperasioiie del carattere nasioiiale.
Questi parricidi conati, di cui si vantano certuni, adducendo,
che la civiltà è cosmopolitica , la nostra storia esaurita , il genio
del luogo una favola , la italianità una superstizione, e via via ,
ebbero il naturale esito, che aver doveano. Non essendo i popoli
cose informi e inorganiche, ma avendo per necessarie membra e
funzioni una data civiltà e una data storia (fuor delle quali per-
dono fin la propria essenza) , se si avesse potuto spegnere il po-
pol nostro, lo si avrebbe a quest'ora spento. E dico spento:
perchè non appena un popolo perde la propria integrità civile e
slorica , eh' è dire il proprio io , si rimane una moltitudine , a
cui un dato nome nazionale non si conviene più, se non in un senso
etnografico; e il nome stesso umano, se non zoologico. Né avreb-
be del resto valso la pena , che noi ci affrancassimo dalla domi-
nazione straniera, per cessar d'essere italiani: né di sopravvi-
vere a noi stessi , per assistere ai nostri funerali. Anzi, come i
generosi uomini prescelgono esser morti, prima che cadere nella
vergogna; cosi i popoli, stati illustri e grandi, meglio é che pe-
riscano su'lor troni, piuttosto che recare inutile ingombro alla
terra. La borghesia in vece, volendo per noi tal sorte; dopo avere
disfatto la nostra storia e civiltà ( acciò non vi attingessimo i ti-
toli della nostra nobiltà e i segreti della nostra redenzione), non
si rimase da tutte le arti possibili per degradarci, e per rinfac-
ciarci quindi la inflitta degradazione. Mentre non vi é cosa, che
im popolo non possa, quando lo si sappia alla virtù accendere;
i suoi sofisti con implacabile assiduità ci esortarono a tuffarci
nella vita materiale, e a persuaderci della nostra decadenza defi-
nitiva e inferiorità irremediabile. E, come i becchini picchiano col
crudel martello i feretri de' cari estinti, e que' colpi soli rompono
il lugubre silenzio de' congiunti, che gli sentono ripercossi ne* pro-
pri petti ; cosi questi becchini della patria, ci ribadivano, eh' essa,
l' antica e legittima Italia, era morta. Vale a dire, che potevamo,
con Ipr licenza, conservare il nome d' italiani : pel resto dovevamo
- 456-
tramutarci ìd inglesi, francesi, tedeschi, e in che so io, se vole-
vamo tirare innanzi questo carcame di vecchia e putrida nazione.
E cosi naturalmente il patriottismo dovea venir meno: percbèi
perduta la nostra italianità « perduta V anima di noi medesimi,
ove attinger più la scintilla, e per chi anzi alimentar più il sacro
fuoco della patria? Alla line ei cercarono smorzarlo afiatto, di-
cendo, ch'era un pregiudizio o un rito d'altri tempi; e che ora,
che ci eravamo costituiti a stato indipendente, non ce n' era piii
bisogno. Gr inglesi per verità, i francesi e i tedeschi sono prima
di tutto tali: noi, appena jeri redentici dallo straniero, e già pro-
vetti ed anche annojati, dovevamo reputarci cittadini del mondo,
e «appena della penisola inquilini , gittando via tutte codeste pa-
ti'iottiche ubbie. Anzi di giunta, dimenticando le recenti offese e
ratificando i nuovi atTronti, abdicare per sino il giusto risentimento
deironor nazionale oltraggiato. Tanto che si osò invitare Giorgio
Pallavicino alle feste per Y austriaco imperatore in Venezia, acciò
quivi mostrasse forse i polsi, che trascinai*ono le catene nel castello
di Spilberga. E , quando per male onorare il tedesco Arminio si
scrissero fra imperiali pompe sul monumento di Teutoberga pa-
role false e infami contro gli avi nostri, commettendosi in piena
pace una si inaudita scortesia internazionale; non una protesta si
sollevò fra tanti avvocati, non uno fra tanti spadaccini raccolse
il guanto. È una fandonia per costoro, che sieno avi di noi ba-
stardi i romani, o che, essendolo, ci dovessimo doler noi dcgF in-
sulti ai morti.
CCCVIIl. VituperaiioBe dell' onore
Venne la volta, che qui si doveva onorare, non un barbaro
(pavoneggiantesi delle nostre insegne, prima di scannar le legiODi
nostre a tradimento e d' essere tradito egli stesso da' suoi, e del
({uale si .sarebbe perduta sin la memoria, se gli storici nostri non
r avessero scrinata e additata alla riverenza, che merita chiunque
pugna per la libertà e |)er la patria sua): bensì gli eroi di Le-
gnano. Ebbene , si cercò in tutte le guise d' impedire , che dopo
sette secoli fossero loro celebrate le esequie dalla nazione umlicau
e restituita a sé stessa ; e su que' sacri campi lombardi un segno
si ponesse degno della lor gloria. E, poiché sarebbe stato troppo,
che per pubbliche ingiunzioni si avesse ciò interdetto, eooo i
— 457 ~
predetti sofisti a denigrargli o iu segreto o in palese ; acciò fosse-
ro, se non più obbliati, oltraggiati. Àveano que' valorosi dopo una
lunga notte di servitù e d'onta, colla propria fede e col proprio
valore debellata un' oste barbaiùca , fatto risorger dal sepolcro il
popolo italiano, inaugurato i comuni, sparso i semi della futura
democrazia pel mondo. Pur bisognava vituperargli anch' essi: e,
lino a' trapassali di sette secoli fa appiccicarsi 1' appellativo di
« clericali » ; eh' è il peggior vitupero ora in Italia, cui si possa
contro la gente dabbene scagliare. E, quando tuttavia la comme-
morazione di quel massimo anniversario ebbe luogo, perchè non
tutti gì' italiani erano rinnegati , o l' avrebbe altrimenti fatta la
fazion nera ; cercossi, eh' ella fosse men solenne e più vergogno-
sa, ctie si potè: e quasi clandestina e furtiva, per tema di non
disgustare gì' insultatori degU avi nostri. I quali , poiché con
freddo t>ensiero e veruna cagione aveano si perfida calunnia e sì
nera ingratitudine commesso; non si avrebber potuto dolere, se
avessimo noi risposto , che mentivano per la gola. Pur non era
a temersi questo: poiché essi insultano vincitori; l'Italia, quan-
tunque sì tralignata, non è pur capace d' insultare né vittoriosa,
né vinta. Che, s'ella, lin che si ritiene a bella posta e mal suo
grado imbelle, ha impreteribil dovere di non provocare e fin di non
rispondere alle provocazioni; bastavale ora onorare i suoi primi
rivendicatori: e, non insultando alcuno, megUo gH onorava. Non-
dimeno il solo Incordargli altrimenti, che in una semplice maniera
archeologica, attribnivasi già a crimine di profanata germanità
e di lesa umanità. E potevamo noi far questo, dicevasi, noi col-
l'Auslria rappacilìcati, noi dalla Prussia regalati di belle Provin-
cie, e tìn quasi anco della capitale ? Imperocché, a udir costoro, il
servigio, che noi rendevamo a' prussiani impossessandoci di Roma,
non pagava 1' altro , eh' ei rendevano a noi , agevolandocene il
possesso; né il servigio della nostra guerra oltre Po quello della
loro in Boemia. Pazienza, che costoro dimentichino, com' ei fino
al ciuquanumove ci fossero avversi , e con segrete minaccie al
Reno costringessero il gallico soccorritore ai patti di Villafranca.
Pazienza, che dimentichino, com' ei, divenuti nostri collegati, sti-
pulassero la pace preliminare di Nicolsburgo senza di noi, vio-
lando il sacro diritto delle genti; e lasciandoci alla mercede
del vincitore , se questi non avesse già innanzi ceduto ad altri ,
che a loro e a noi, il Veneto, e promesso di partire. Ma costoro,
parlando di tedesca munificenza e d'italica riconoscenza, ara-
- 458- ^
mettono dunque, che fosse un gratuito favore il rìaoqpiisto di
quella regione, e che i nostri combattessero colà in una commedii
e si lasciassero ammazzare per burla?
CGCIX. Vitaperaiioiie del sentimeato miimale.
Avvezzi a ricevere i doni della fortuna in questi ultimi ami
a calci, a tanto siam giunti, che nemmeno ci possiaoio più cre-
dere atti a far niente di proprio ; e che anche quello, che fa ac-
quistato colla infelice nostra virtù, al merito altrui si allribuisca.
Questi gli abietti dogmi , con cui si vuole allevare il popolo ita-
liano : e chi osa contrapporvisi, è tacciato senz' altro di voler at-
tizzare inutili e odiose rivalità tra' popoli ; come se quello, per vi-
versi in pace seco loro, dovesse alla propria dignità rinunciare.
Certo, il braveggiare è ridicolo e funesto, senza la forza: ood*io
supplico gl'iddii a tener lontani i flagelli beUici, che ci sovra-
stano; fin che ci siamo, sbarazzandoci da questa cattività ^ ria-
francati. I nostri incantatori in vece, dopo averci premeditatamente
debilitati neir atto stesso, che i tedeschi si fortificavano; eceogli
ora a dirci: state quieti almanco, o poltroni. E, se rispondiamo:
ancora vi è tempo , deh appellateci alla virtù , al dovere , al sa-
crificio , prima che ci capitino addosso que' flagelli ; eceogli di
nuovo a soggiungere: che vi è egh bisogno? CoDciossiacbè ,
secondo ({uesti umanitari j che facevano del resto capoiioo
già sotto il giogo straniero, e contro cui Giuseppe Giusti av-
ventò i suoi giambi;
(( Il puntiglio discortese
Di tener dal suo paese
Sparirà tra gli uomini ».
iVnzi ò di già per opera loro nella presente Italia sparito s), ch*è
mestieri tra tante assurdità da combattere e verità da sostenere,
che per fino qui si difenda la causa del patriottismo, cui a dirit-
tura si considera ora uno sterile rancore o un vezzo da aotiquirL
Ebbene, che cosa i)Ossa accadere in un futuro molto remoto non
occorre, eh' io il dica adesso : ma fin ora e per ora non vi è solb
terra stimolo, che i>ossa incitare i (H)poU alle nobili gare e alle
prodigiose gesta, e per tino air amore operoso verso tutta T uma-
na famiglia, tranne questo. I celesti numi e i domestici lari pos-
sono alcune virtù suscitare : la patria sola può dall' aogosta
- 459-
chia deir interesse proprio o prossimano volgerle a più vasti oriz-
zonti ; e rannodar gli uomini, se non a tutta T umanità, a una parte
della medesima, per adempier cosi i divini disegni del raondo mo-
rale. Religione o superstizione, che sia, cosa eterna o caduca,
vera o fallace, senza tale sentimento eglino sprofondano e impu-
tridiscono nelle fogne del materialismo, dello scetticismo , deir e-
goismo, della pigrizia e della viltà. Isella quale, se ancor non è
sommersa Y intiera Italia, e non si potrà sommerger mai ; non è
certo per merito di costoro, che, alienandola da sé medesima, e
domandone tulf i generosi impeti, non si stettero mai di risospin-
gervela entro. Sieno pure velleità classiche e parodie plutarchesche
(luesle mie, utopie da teorico, sogni da solitario, delirii da visio-
nario ( che tutte queste cose me le sento io dire e ripetere ), che
importa? Fatto sta, ch'esse sono nel fondo delle stesse anime
nostre, come tutta la nostra storia prova, e per Uno gli ultimi
assedii di Roma e di Venezia e la più recente impresa dei Mille.
E, che se in vece di metter lo spegnitojo sulla nazione italiana,
e di proporle lauti alTari e mode peregrine, che non la salvarono
poi nò dalla povertà, né dall' indolenza, si fossero qiieste cose a
lei inculcate, lin dal suo primo sorgere; ella sarebbe oggi ben di-
versa da quella, che è. Né si avrebbe una generazione novella, che
sembra molto più cascante e decrepita di quella, che si va avviando
colle cicatrici servili al sepolcro. Ma volevasi, ch'ella così fosse,
onde sopportasse l'abietta tirannide senza sdegno e senza lamento:
e quindi ( ahimè ) ella mi appare oggi innanzi come cara e impas-
sibil larva, a cui non istrappano più un palpito, né un mover
di ciglio, i miei scongiuri.
CCCX. Guerra mortale d valorosL
— Dunque non ci erano in Italia uomini valorosi^ e fedeli
ai patrii i)enati, che la richiamassero al senso di sé naedesi-
ma e al proprio destino sulla terra? — Certo, che ci erano: e
poiché ai)punto T avrebbero potuta ammonire e scuotere, furono in
tutte le guise ripudiati e annientati, acciò ella perdesse fin anche
r ultima speranza. Nel mentre uomini, la cui sola compagnia vieta
agli onesti di servir la patria in comune, furono ribenedetti, e per
(ino . . . , ma non posso palesare quel, che ho in mente : ogni caldo
amatore della [)atria. che dissentisse dall' instaurantesi plutocrazia
— 460 -
0 dalle fazioni contendentisi il monopolio della pubblica cosa, fii
sen// altro scacciato come un reprobo. E, nel mentre noo maDCt-
rono laute provvisioni a' servitori d' altri padroni ; tranne quel pic-
ciolo donativo u' pochi prodi di Marsala, gli altri veterani, e i o^ti
volontari sopra tutto, e i reduci dagli esili e i superstiti alle prìgioiii
e gli scampati da' patiboli . . . , coloro in somma , die risuscitaroDO
questa Italia col proprio sangue e co' propri dolori, se noo piegava-
no la cervice alla nuova servitù, altro premio, che di potersi morire
nc'patrii spedali, non ebbero. Veramente parrebbe, che, come chi
presta danaro allo stato riscuote un frutto; cosi ne lo dovesse ri-
scuotere, chi gli presta la vita. Pur non si tratta qui di lanseotarsi
de' mancati guiderdoni : bensì del duro rifiuto, che lor s' oppose, di
servir quella patria, per cui aveano tanto agito e patito. Or non v' è
cosa più di codesta, per cui duri io fatica a difendere coloro, che
ressero in quest'ultimi lustri le sorti d'Italia, e la cui buona lède
ho io ammessa. D' aver prescelto il raggiro alla verità nel reg-
gerle, d'aver guasto la gioventù, spogliato il popolo, tribolato
gì' infelici, rinnegato la nostra storia, dileggiato la n(hirsL civiltà,
falsificato l'Italia e via via, si può in qualche modo scusargli
colla erroneità de' sistemi e delle scuole, cui seguirono. I^ ^u^rra
implacabile ai fervidi zelatori della patria è troppo difficile a
scusatasi : e tuttavia, meco medesimo pensando quali ragioni ei po-
trehbono addurre per giustificamela, m' ingegnerò ora di esporle,
e di consi<lerarle semjilici errori.
CCCXI. Ostracismo dato ai benemoritL
Prima di tutto ei potrebbono addurre, che, fatta T Italia, la
(lignitù e r e(iuità pubblica volevano, si reputasse opera di tutta
la nazione, e non beneficio di chi poteasene vantare autore. E
({uesto s^u'ebbe certamente giusto, se la si avesse voluta' ridurre
un patrimonio d' alcun a'to o d' alcuna fazione di veri o di sup-
posti martiri o profeti. Pure, oltre che di qualche ceto e fuione^
che forse non sono di martiri e profeti, ella è tuttavia divenota
preda; lo afiularla preferibilmente aque'polsi e a qae' cuori, che
le si erano già da lunga i)ezza consacrati, non significava devol-
vorla e seiiuestrarla a loro esclusivo uso e consumo. Probabil-
mente questi tali avrebbon manifestato nel sen'irla quell* assoluta
annogazione e rigida onestà, di che nel quarantaoove e iie*go-
— 461 —
verni provvisorii delle repubbliche veneta e romana, anche mini-
strando il pubblico danaro, avean dato splendido testimonio al-
l' Austria e alla Francia ammirate e stupite. I quali si partirono
per r esilio poveri e incontaminati; e cotanto dimentichi di sé
medesimi, che senza né anco il viatico per sostentarsi i primi
giorni. Però, sopra tutto giovando, che quegli stessi, che iniziano
un'impresa, la compiano, e ne impongano agl'inetti e agl'infin-
gardi r alto valore : chi meglio de' palriotti avrebbon potuto quella,
che iniziato aveano, con devozione e ardore compiere? Se non
che qui viene la seconda ragione, cui si potrebbe del loro bando
addurre : che cioè il fatto stesso d' essere slati soverchiati e posti
in non cale prova la loro inesperienza e incapacità; poiché, s'ei
fossero stati cosi sagaci e prudenti, come appassionati e valenti,
non si sarebbon lasciate sfuggir le redini di mano. Nondimeno io
rispondo, non essere stata questa la prima volta, che cogliessero
gli allori del trionfo coloro, che non l' avean meritato : né che i
corvi scendessero a disfamarsi sui corpi degli eroi stesi sul campo;
né che d' un nuovo culto si facessero sacerdoti gì' ipocriti, che
ne avrebbon giustiziati innanzi i banditori. Cosi può darsi, che
taluno, a cui già sembrarono per lo meno temerari e sventati que-
sti appassionati e valenti, eh' aveano fede nel risorgimento d' Italia
sotto la straniera dominazione e l'intestina divisione; or, che la
si é alTrancata e unificata, ne la governi per loro. E, dopo aver-
gli (Ietti allora fantastici e pazzi; or, che la coglie del loro san-
gue e de' lor dolori il fruito, gli dica anche guastatori e minac-
ciatori de' nuovi ordini: siccome appunto de' mazziniani e fin
de' garibaldiani è stato detto. Tuttavia queste cose avvengono,
non per T inesperienza e l'incapacità de' sopraffatti ; si pel di-
verso intento, ph' essi e i sopraffattori sogliono avere. Che que-
sti, pensando unicamente alle proprie persone, naturalmente si
comportano in guisa, da stare in piedi ad ogni vicenda. E, quando
veggono mutarsi i tempi e non gli poter più trattenere, voltansi alle
novità opporlnnamonte: e, ado^)ei*andovi le medesime arti per usu-
fruirle fortunate, che innanzi per avversarle sfortunate, e massime la
docilità e r intrigo, ne traggono tutto il profitto possibile. Gli altri in
vece, avendo il pensiero unicamente intento alla causa disposata,
e quindi imnienìori di sé, agiscono di tal maniera, che, se per-
dono, hanno per mercede un laccio dal carnefice. E, se vincono,
non {Olendo rinunciar d'essere uomini liberi e fieri, finiscono
rosi miseramente, che se ne veggono alcuni ora suonare gli or-
- 462 -
ganetti per le vie col moncherino. Segue la terza ragione: h
quale è, che questi spensierati si possono sicuramenle ofleodere
(come quelli, che per le lor fisime griderebbono « viva T Italia»
anche dalla croce); mentre i nemici conveniva addolcire e alleir
tare. Anche qui per altro, senza tener conto del pervertimealo
morale e dello illanguidimento civico , che sorgono dal vedere
calpestati i buoni e sollevati i pravi, il viiissimo stratagemma noo
liesce. Dato, che questi ultimi alla prima fortuna sioisira non si
svelino traditori o infidi; per lo meno saranno anche nella buon
ventura amici tiepidi o spudorati, e così maneggieranoo i si-
eri depositi avuti, che sembrino altrui una maledizione. Onde si
commisero certi atti e vi sono certe abitudini in certi luoghi;
che se non ebbero ed hanno per iscopo di fomentar V odio o il
discredito de' nuovi ordini, non si sa, quale altro si avessero ed
abbiano. L' ultima ragione in fine , per cui si rigettarono i pia
beìiemeriti ( sempre che non volessero mutare il valore in co-
dardia ) , potrcbb' essere , che questi erano cosi vaporosi o pe^
vicaci nelle proprie idee, strani o contrari al regno da fondarsi,
che non si avrebbe avuto con loro, se non un elemento di di-
scordia e di dissoluzione. E questa, come più grave, roerìui più
lunga considerazione.
CCCXII. Cause ed effetti dell' oitradmo
Badisi a tale proposito, non negar io, che coloro, i quali res-
sero le sorti nostre dal cinquantanove in poi , non fossero per b
iì)a<7^^ior parte accesi dal simto amore d'Italia; per la quale and
molti di loro avcano dianzi combattuto e sofTerto.^Dico solameolf.
c\\(\ tratti a p(*rdizionc da' lor sistemi, e agendo come inconsci
strumenti «Iella mondiale innominabile accomandita; avversarono
tutti coloro, che del medesimo amore accesi, non vollero i lor
sistemi se^^uire e divenire di tale accomandita strumenti. Eviden-
temente la rivendicazione d' Italia fu da tutt' i buoni e degni sooi
figUuoli ]treparata, senza distinzioni d'ordini e di parti: ma pre-
cipuamente da coloro, che poi non la ressero. Av\'egoachè t ob
certo punto, ci0(> quando la fu in sul farsi, questi forono ripo-
diati, tranne che non accettassero una dura condizione: gli shfi
se n' arrogarono a dirittura il monopolio. \a dura condizione
era, che dovessero coloro rinunciare alle proprie convinzioDi, a'
proprio carattere e quasi ali' anima propria : cangiandosi a un
tratto da liberi e fieri uomini, in riverenti e ciechi satelliti degli
altri. I quali ultimi, sendo stati più avveduti e piii avventurati, e
avendo recato a compimento Y impresa, pretesero dettame a quelli
le leggi ; e le dettarono cosi assurde, che condussero appunto V I-
talia al termine, che al presente si trova. Se gli uni e gli altri
avessero potuto servire in comune la patria, contribuendovi il
diverso spirito e genio, sarebbe accaduto, che il fervore degli
imi e la calma degli altri si temperassero assieme; e avesse
quella lo assetto, che unico le si conveniva. Facendosi il contra-
rio, quelli si respinsero alle navi de' mirmidoni ; e questi, privi di
competitori e di cooperatori, si privarono altresì di ritegni e
d' idee, e si gittarono air impazzata nella via degli arbitrii e delle
fallacie. Quanti fossero cosi esclusi dal ricostrurre il santo edifi-
cio, onde or questo bai^colla e non è punto ancora italico; e
quanto danno ne seguisse dall' abbandonare cotanta copia d' intel-
ligenza e d' amore, non è possibile annoverare e descrivere. Per
non tener conto di tutte quelle forze, che avea l'Italia prima
della sua liberazione, e che all' atto dì questa si presentarono e
furono tosto oppresse e stritolate ; basti notare, che in diciott' anni
non ne sorsero più di nuove : impedite o soffocate da quel picciol
drappello d' uomini, che occuparono o si conteser tra loro il pub-
blico reggimento. I 4uali a un di presso, in diciott' anni , sono
sempre i medesimi, e con più uffici per ciascheduno: né seppero
farsi pure un discepolo; e si vanno in realtà estinguendo, seb-
bene in apparenza di qualche tenero e pallido virgulto rinnovel-
lando. E dico cosi, perch' eglino , seguendo anche in questo gli
esempi degli antichi tiranni, pur di dannai*e all' impotenza e al-
l' oscurità i valorosi, alzarono al grado di loro pari alcuni bimbi,
che non avessero altro giudizio, tranne il loro, nò sapessero bal-
bettar altro, tranne le lor parole; e che di tutto fossero non al
proprio ingegno e merito, ma alla lor protezione e grazia obbli-
gati. I quali bimbi politici stanno nelle moderne tirannidi in luogo
appunto de' castellani nella tirannide medicea sostituiti ai cittadini,
de' liberti nel romano despotismo sostituiti agi' ingenui , e degli
eunuchi nelle asiatiche dominazioni sostituiti agli uomini.
- 464 -
CCCXIII. Esempi di predarì dttadLd aumdtL
Or, poiché a questo punto dì tanti uomini abbattuti mi à
potria ctiicdere alcun nome, cosi per intenderci e per non pirer
io ragionar sulle nuvole, tre soli fra' più valorosi menzionerò,
cir essendo* da poco morti, possono senza gelosia e ìnrìdia mes-
zionarsi. Carlo Cattaneo fu certamente uomo di virtù e di sapienza
antiche ; e probabilmente delle discipline civili ed economidie il
più severo maestro a' giorni nostri in Italia. Francesco Guerrazn
ebbe in vece una natura alquanto bizzarra ; e troppo, per rendere
abominevole il vizio, si compiacque di svelame T orrore e di su-
scitarne il ribrezzo. Ma fu si possente scrittore, che, se si volesse
dire, ehi fosse a' giorni nostri il più insigne di quella prosapia di
sdegnose anime, che scendono dal iiero ghibellino e proibirono al-
ritaUa di morire; converrebbe dire, che fu desso. Giuseppe Mazzini
non lo pareggia forse nella titanica efficacia dello stile : ma ebbe
le facoltà dell'anima tutte cotanto nobili ed elette, e il divino
intuito della prossima risurrezione della patria e una fede neDa
medesima si inconcussa , e tale una purezza di propositi e sanliti
di costumi; che ì posteri lo ricorderanno, come il più integro
uomo a (luesti tempi vissuto. Perchè, s'egh e i suoi veri seguaci
caddoro nella giusta obblivione, che la vhlù merita sotto la villi
trionfante ( onde si dicono ora troppo astratti e assoluti i suoi
principii da quo' medesimi, che si ostentano repabUicani), non
ò meraviglia, (juando ogni principio si rinnega; od almeno ogni
principio, che non sia lucroso e commodo. Pure, d'avere egli cre-
duto a^r iddii e la religione del dovere professato in tanto mate-
rialismo e scetticismo, egli in infìnite cospirazioni e tribolaziODi
avvolto, e le mille volte deluso e diloggiato..., questa gloria oiuoo
glie la può togliere. Nò d'avere per più decine d'anni tenuto vivo
il culto della patria, richiamato sovr'essa la pietà del mondo, so-
scitato più legioni d'eroi , preparato gU eventi, che poi seguìrooo;
e indetto alla stessa Italia regia e moderata Y unità e la capitale ifl
Roma. E, siccome la probità non muore mai, e la verità è d^
siinala presto o tardi a trionfare; cosi cgU, che volle un tato
vera e proba , sarà ne' futuri gionii assai più benedetto , che ne
presenti calunnialo. Intanto però egli e gli altri due sopra ineitfi^^'
nati, e cento v cent' altri, cui potrei menzionare (i quali non ^^
- 465-
lero sotto le forche caudine del fìacco altrui pensiero passare,
per divenire generali emeriti o senatori inutili ) , si videro da quella
patria, che aveano redenta, ripudiati. Cattaneo sulla soglia de'
Cinquecento si stette perplesso e sgomento, come uomo, che te-
messe di perdervi entro il proprio decoro. Guerrazzi, farmatovisi
a lungo , lo vidi io aggirarsi tra que' scanni , sogghignando e scher-
nendo altrui e sé medesimo di si miserando comune spettacolo.
Mazzini, in tutte le guise da' gazzettieri bufiB e scrii vilipeso, tornò
dal lungo e glorioso esilio di soppiatto e come contumace, ap-
pena in tempo per lasciare neir adorata materna terra le ossa: e,
non appena s'avrebbe dovuto imprigionarlo , era morto....
CCCXIV. Bejeiione inffinsta ée* iiwJiiiMri.
Qui mi si può dire : — sta bene , che questi fossero uomini
molto egregi e della nazione benemeriti ; ma già eglino non avreb-
ber voluto adoprarsi a rifarla in quel modo , che la si rifece ; e
poi come valersi di loro, che aveano idee si fisse e diverse da
quelle , che indi trionfarono ? — Io rispondo , che veramente fu-
rono anche nel fatto assai piò trionfatrici le idee loro, che quelle
de' lor Minossi. Perchè, se questi possono a quelli rinfacciare
di non aver l'alleanza napoleonica e la dinastia savojarda come
mezzi di pronta sedute afferrati; i mazziniani possono osservare,
che r unità e la capitale in Roma e altre tali cose erano cosi
lunge dal pensiero de' cavouriani , che costoro pochi anni o pochi
mesi innanzi , clic le accettassero , le reputavano sogni Quanto ai
punti, in cui i mazziniani dissentivano, o di cui non seppero di-
scernere r opportunità ; non pare per altro, che l'esito seguitone
sia tale, da doversi arguire, che avessero eglino tutto il tortole
i cavouriani tutta la ragione. Quello straniero ajuto( per non dire,
che ci ha fatto perdere due provincie) è ancora un tal vizio ori-
ginale del nostro riscatto, che, se noi non lo emendiamo con
qualche fatto d'armi in futuro, ne porteremo per tutt'i secdi U
pena. E fatto sta , che ci ha avvezzato anche di poi a tirare in-
nanzi senza vittorie e senza glorie, ed a formare questo stato
piuttosto co' protocolli di gabinetto e colle cedole di banco, che
con le arnìì. Onde non avremo mai, tranne che dall'emenda, quella
riputazione, che dà la vittoria, né quella dignità, che la gloria.
Certo, che mercè di esso si potè liberare l'Italia per forum, pri-
30
- 466-
ma di quello si potesse per virtù: ma è a dubitar forte ancora,
se più le convenisse attendere , per esser degna di sé medesimi,
che affrettarsi , per non esserlo. Che , se non parve vero di poter
far cacciare gli austriaci da' francesi , né si avrebbe a^iito Y «ù-
mo di respinger tanto soccorso; bisogna esser giusti, e riooDO-
scere, che si giuocava allora ai dadi, come di sopra ho raccon-
tato. Temerità dunque per temerità, non era meno audace il nùDH
stro piemontese, che voleva T Italia redenta per sguto straniero, dd
proscritto hgure, che per insurrezione di popolo. Talmente che,
se le cose non fossero andate a seconda , noi avremmo ora dae
oppressioni straniere sul collo, in vece d'una; e quegli la funa
dì Ludovico Sforza. Ed ho pur raccontato, che, se le andarono
a seconda , parte fu per opera di fortuna , che non é merito uma-
no; parte per tale un merito, che più al popolo spetta, ed aDe
idee e passioni de' mazziniani , che a' suoi reggitori e a' cavon-
riani. Avvegnaché, senza i plebisciti e la spedizione de' MiHe,
cose (almeno virtualmente) piuttosto mazziniane, che cavouriane,
eravamo noi quasi spacciati , anche in onta allo straniero t^xéo.
Quanto in fine al non avere i mazziniani accettato subito e incon-
dizionalmente il principato di Vittorio Emanuele II , è onaai a sof-
licienza chiaro , eh' eglino e Mazzini stesso non n' erano in mas-
sima si contrari , come poi si volle far apparire per dar loro il
bando. Le ultime pubblicazioni del sommo agitatore, e i cenni,
che vi premise Aurelio Saflì ( il cui nome io qui pongo , per te-
stimoniargli la riverenza debita al suo intemerato carattere e alla
sua invitta fede), persuadono bene, com'egli avrebbe non rooo
di Daniele Manin e di Giorgio Pallavicino, pure santi uomini,
chinato il capo al voler comune , che avesse quella , piuttosto die
altra forma polìtica sancito. La differenza stava unicamente in
ciò, ch'egli voleva la capitananza regia fosse almen sulle prime
affatto disinteressata, si conquistasse l'indipendenza prima d'as-
sidere il monarcato , questo con ponderato consiglio si deliberasse
nella conciono augusta della nazione , e avesse ordini indigeni e
buoni ; mentre Camillo di Cavour, e tutt'i compagni e prosecotori
del costui sistema , l' opposto. Onde , se lo si potesse rimproverare
di non aver avuto quell'avvedutezza, per la quale si sa, che certe
cose e sopra tutto le avventurate s'ingiungono, piuttosto che si
discutano; certo non è desso, che si possa tacciare di non aver
deferito a' sutlragi del popolo , a' quali anzi si commetteva ed
appellava.
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GGCXV. Feneesiiime ftuMite W iwlntut.
Possono, ciò non ostante , gli emuli, oweramente gìk avver-
sari suoi, obbiettare: che tale deferimento intratteneva il corso
degli eventi, e gittava il fomite della discordia; e che non si sa,
se e come la predetta conclone avrebbe poi costituito il regno. Ned
io certamente mi nascondo, che in tanta inesperienza e irrequie-
tudine , sopra tutto essendo divisi gli animi de' patriotti allora tra
monarchia e stato libero, il pericolo fosse grave. Ho io pure par-
tecipato e aderito col mio oscuro voto a' plebisciti; perchè, se
Niccolò Machiavelli avrebbe un tiranno accettato per liberare questa
Italia da' barbari , potevamo ben noi , domando i palpiti del cuor
nostro, acclamar principe un intrepido soldato e leal cavaliere.
Non sono quindi estimatore di Mazzini sospetto: ma, pure se-
guendo allora Cavour, e concedendo ora ai vincitori e ai vinti la
stima, che si meritano i valorosi; dico, che, se bisognava di
necessità seguirìo per far l'Italia in un modo o nell'altro, di a-
verlo cosi ciecamente e servilmente seguito, ebbesi insieme col
vantaggio il danno. Dappoiché in fatti è avvenuto, che quella Ita-
lia, che così si fece, la fu si mal fatta, che peggio non si po-
trebbe. Mentre, se non vi fosse stata tale cecità e servilità negli
altri , e in esso e vie piii ne' suoi discepoli tanta esclusività e a-
vidità; se cioè tutt'i buoni italiani, di ogni parte, avessero di-
retto il nuovo ordine di cose, sarebbe questo ben migliore di
quello , che è. Non si sarebbe all' Italia imposto costumi e istituti
alla barbara, non avrebbe ella ora gli orridi mali, ch'io qui la-
mentai; e il regno stesso, se avesse avuto ragion d'esistere e
di durare, avrebbe più salde radici e più vitali succhi avuto.
11 ligure proscritto del resto, lungi di voler tendere in tal ma-
niera un' insidia alla monarchia , riteneva ( e dicevalo a' suoi
famigliari), che questa, impugnando senza patti il vessillo del
popolo e commettendosi a' suoi decreti a guerra Anita , sareb-
1)0 apparsa cotanto magnanima, che niun volere avrebbe avuto
contrario, né ninna forza l'avrebbe potuta più scuotere. E doih
dimeno egli era disposto a veder sacrificato fin l'ideale del
cuor suo (onde non si sa, se fosse in lui maggiore il senno o
r annegazione ) ; pur che non calassero nuovi stranieri sul nostro
suolo, e la cara patria non fosse da' bonaparteschi tinimid am-
- 468-
plessi coDtamìnata ; e come reìna , non come ancdla , sorgesse
dalla tomba. Ned è vero^ che i patriotd ripudiati , e quantuDqoe
sbeffati e incriminati , contrastassero o inceppassero V impresa mo-
narchica : poiché anzi V ajutarono e spinsero innanzi in guisa, che,
se si volesse riassumer l'arcano politico, mercè cui riuscirsi può
dire , essere stato questo. Aver quelli dato la materia , e gli altri
la forma ; e quelli dato le leve , di cui gli altri si valsero , pro-
testando all' Europa , che imbrigliavan la penisola tanto per quo-
tar le smanie e le furie de' primi : quasi che fossero da un segreto
accordo i primi e i secondi congiunti. Non pertanto se ne accettò
sì il servigio disinteressato : ma , se non sempre a malincoore ,
sempre con dispregio, e col pensiero riposto di schiacdame , appena
ricevutolo , i largitori. I quali , conseguentemente non ftrono già
schiacciati, perchè si dimostrassero imperiosi o pretenditori, cxh
me fu fatto credere: si perchè non si volle costituire un'Italia,
quale da tutti si voleva , ma quale da alcuni. Ad ogni costo cioè
un' Italia borghese e bancaria, dottrinaria e moderata, diplo-
matica e fìnanziaria , ignobile e impotente, bastarda e falsa, come
poi è divenula. Concedendosi adunque a' seguaci del sistema avven-
turato la buona fede , noi dobbiamo ammettere , eh' ei cosi agisse-
ro, come fermamente convinti, fosse altresì il buono. Pur, seb-
bene chi ha la podestà in mano , debba nel momento deD' azione
comandare , e non già consultare ; ei debbono confessare , che
si reputarono veramente un po' troppo infallibili. Non avessero
commesso i mille errori , che poi commisero e che io qui descrissi ;
via , come potevano essi , taluni de' quali venuti su d' improv-
viso, considerare vecchi operatori e forti pensatori gente cwl da
nulla , che meritassero ogni derisione e vilipendio ? -E , s' et non
fossero stati, con tanta boria d'uomini avveduti, altro, se non
inconsapevoli <( gerenti » d' una compagnia cosmopolitica di cam-
bio , alla quale occorreva sopra tutto di opprimere gì' ingegni ?
Oui appunto sta Y ultimo segreto della tirannide moderna , e in
cui supera le antiche: opprimere gV ingegni, affinchè le nazio-
ni , a cui sarebbero naturalmente devoti , manchino fin di coosi-
^rlio. E , a compiacernela , si sono i gerenti predetti prestati in gui-
sa, che a dirittura fecero ai nobili intelletti una guerra cosi mor-
tale , come ai nobili cuori.
-469-
CCCXVl. Eipnlaa de* «ipad dal Friaw otrpo legUUtlTO.
Nella vita letteraria si vide, che sorta di munificenza abbia
la classe mezzana: quanto alla vita attiva, ella ne scaccia con
perpetuo bando gli uomini più intelligenti. Benché non la possa
più scrivere nelle conchiglie i nomi de' Temistocli e degli Aristidi ;
con un ostracismo cheto e placido ha ugualmente modo di colpir
quivi i giganti del pensiero , e di rendemegli peggio, che morti
Che , non essendo ella altra cosa , tranne la mezganUà oltracotan-
te, tanto basta per avergli in uggia: ma, dovendo altresì orbare i
popoU d'ogni luce intellettuale, se vuol serbare incontestato do-
minio, bisogna bene, che ne spenga i fari. E quindi interdire,
quanto più può, il politico agone a quelli, cui chiama idealisti,
prim' ancora d' avergli provati : e , poiché gli ha rilegati in qual-
che cantuccio (ove naturalmente non possono sperimentarsi e ma-
nifestarsi , ed ove si rattristano e s' mfermano ) , schernirgli di
giunta. Napoleone il grande , che pure odiava a morte codesti idea-
Usti , perchè in fondo air anima tribuni , creava tuttavia un coir
legio di dotti e gli onorava di molto ; e, quando occorrevagli
un valente uomo d'azione, traevalo proprio da loro. Gode-
sti pigmei d'oggi in vece, molti de' quali fecero le prime ar-
mi con qualche sonetti no e qualche novelletta, si vergognereb-
bero d'imitar l'ultimo Cesare; e afléttano verso gli studiosi uno
spregio, che non avrebbe un irochese o un patagone. Non ne-
go , che nel cosi detto senato del repo, almeno in sul princi-
pio e quando , volendosi onorare le persone più illustri delle Pro-
vincie incorporate, e non venendone quasi altre additate, che di
studio ; non ne dovessero molte accogliere. Vi si accolsero però
come in un prìtaneo o, come si direbbe ora, in un ospizio d'in-
validi : i quali vi entrassero sulle gruccie d' un' innocua beneme-
renza e f>i riposassero su' letticciuoli d' una postuma fama. La età
senatoria era po' romani, che pare, se ne intendessero alquanto
di queste cose, a venticinque anni. Noi moderni, come molto ver-
sati nelle etimologie , durìam fatica a figurarci un padre coMritto,
che non si debba tirar su con le carrucole ne' superiori piani dd
palazzo Madama. Né temete, ch'io insulti i venerandi vegliardi,
che vi sono entro : perché anzi io gli venero tutti , e non vi è
cosa, por cui senta cx)sl umile e trepida veoerizione^eoiiie l'etik
-470-
canuta. E reputo appunto , ctie il disprezzo , in eh' essa è caduta
presso questi fanciulli avvizziti , che mi so io , sia uno de' più forti
sintomi della corruzione e della buffoneria presente. Dico beosi,
eh' ci vorrebbono esservi entro come forze vive, e non già coinè
corpi inerti ; temperando con la consumata sperienza e il maturo
criterio il genio e T impeto de' giovani. Avvegnaché la essenza del
senatorato sta , non nella senilità , ma nel smno : il quale , oltre
che dagli anziani e provetti j è dalle menti vigorose ed dette posse-
duto. Or, benché queste potriano, almeno a quarant' anni , pene-
trarvi , ciò accade piuttosto per eccezione , che per regola : quasi
che un senato, il quale non rappresenta tra noi e non può rap-
presentare un' aristocrazia di sangue , non dovesse per serbarsi in
((ualche modo un senato , rappresentare un' aristocrazia d' intelli-
genza. Il chiamar quivi in vece coloro , che sono di per sé se-
natori con un titolo assai più sacro d' un decreto regio o d' un
privilegio agnatizio, cioè i capaci e per agire; fu T ultimo pen-
siero , eh' ebbesi in mente. Per non dire di que' tali , che vi
partecipano , perchè scritti nel libro d' oro del catasto o del debito
pubbUco consolidato ; prima si die la senatura (e me n' appello a
tutti) per una semplice rimunerazione onoraria, e poscia aUa più
corta per raccozzar sullragi a un dato partito da votarsi. È anzi
questo, come vedemmo, uno de' congegni più plausibili e mira-
bili del sistema costituzionale , a detta de' suoi celebrati maestri ,
che il chiamano nel lor gergo furbesco « infornata ». Se quindi
la intelligenza vi perviene non è , che a caso e col proposito di
non curarsene ; o per un ])o' di pudore e a Un di cuoprìr meglio
il conti'abbando con qualche sdruscito cencio d' una baiMliera neu-
tra. E dico neutra; perchè le cosi dette « illustraziODi scientifi-
che e letterarie » , com' ci le chiamano nel predetto gergo , se
non le sieno anche cimeli da museo, e ben disseccate e im-
balsamate, non vi si ricevono. Dovendosi o pensare a modo al-
trui 0 non i)ensare colà entro punto, e d'altra parte compiacere
agli avventori , che vogliono codeste frasche ancora ; bastano a tal
uopo le celebrità algebriche, lilarmoniche , ostetriche , farmaceutiche
e odontalgiche. Le quali possono meritare anche maggiori onori,
che non sieno i senatoriali : ma le quali troppo facile è capire,
non avere idoneità per fare i legislatori; e, se pur sapranno a-
denipiere il proprio ufllcio dogalmente, adempierlo per le oc-
culte doti loro 0 per tutl' altre ragioni, che pei titoli, onde venne
loro conferito. Ur, come lo adempissero, e quale effetto dovesse
— 471 —
alle cause rìspoDdere , io il lascio dire agli stessi arcliimamlriU
parlamentari. 1 quali vanno in tutti i toni salmeggiando, ossero
questo il corpo |hìi innocente e candido dello stato; e elio, se non
d va esso al limbo, non vi ci va |hù alcuno.
CCCX vn. Eipulaa da' «ipaei dal seoondo oorpo ItfiaUtlTO.
Rimarrebbe altra via agi' ingegni , i)er mostrami e clmeiH
tarsi nella civit palestra: il voto de* cittadini ne* cotnizi. Kppuru
né anche questa, tranne che in una guisa tortuosa e furtiva, non
la ponno percorrere. Che già non dal popolo, dm tal volta h in*
grato , e tuttavia è unico della virtii degno estimnton) , |Kinnu
essere eletti; bensì da una classe di privilegiati, che ni giiiirdami
d'eleggere chi fa loro paura, (ili elettori, la cui maiwimfl |mrtif
vien designata dal censo, naturalmente piegaiK) i lor favori a* rfN|N)t»
tivi patroni o cUenti; e tra costoro a chi grida pib torUu Non h
la ciarla, che faccia loro paura; ma il pétuMiéirOj ri\mUi, nitÀumm
molla tro[»po irrefrenabile d' 'd/Àowt, K, |i«'rcli/; non ni r<?|iutiinifjo
a tale uopo bastevoli i loro istinti; tuuuf |/Ii ordini istetiorali ««^
sistergli, e quasi co^^tringertrti a iu'mwì chi [Mi iiia , tu inuìu um-
diocrità, me<li04:re. lYìm;i di tiitt/>, i nilMh |i^|/i%ialJvo i'miUuU Im
noi gratuito, u*t se:/ue, eh'; que molli , i quiili tt^rttUimro mifUS'M
d' esercitarlo ma non m>lo di ^ru tanti tm^ì éUhtHU^iK$Ù m
non mezzi 'li r^ninpr*; rt^rli^ t'j^\^i2è\t: , o vUtyfimwà mrU', |ir'/vH^
sionceiie «Ja y>::^:iurori ^ utt-jU^ùm t'A kìut: Sfilili tmiéMUrMmi'mf,
ne sieri'j a {on -viiiti, 'li$iUìtM ifìu$0iu/jt; éi^. y$ é^tstUt^ y^m^
dendo di <^jì:\o : WA: j :uj/'.'/pi ma |^vli^i//«iy é4nU$u/M 4'f$Mm/$M
ima modr-'^ ,;Arr.*^:/.yr. ^i ^,4tì^j0à *Jti^A «li ^U$9m$M rm m U9m$
pur *!: '>•-%> .w>. i -e p^Vju#, 'Ì4r4^/ j;»^. ^im 4i til^mt^è *$ 4$ kk-
:.*<*N<. /U'-<. ;";*; uvi fi o^fttf'juv ««IMlg: MMn ite »M«Mi ^
rr^' K .i*..i:<ix *;.<:v'i*< < ui.*ì«'Utf i^u .. i iimiOMft: Mi><lKrtiV tlifatìlÌMf^
- 472 —
gomento, la borghesìa italiana ha trovato un secondo spedieoie
asvsai spiccio per togliere a clii fosse o sorgesse di tal tempra i
suffragi; eh' è la circoscrizione elettorale^ o la scelta dei sin-
goli deputati in singoli collegi. Per causa della quale questi doo
potriano già rappresentare tutta la nazione borghese ; ma al più i
diversi e i divisi manipoli della medesima. E, se ciò non importa
( non avendoci la nazione né borghese, né popolare a che fard),
il peggio è , eh' ei veramente non rappresentano di questa guisa
altro, tranne un meschino e bullo concerto di pregiudizi, di velleità
e di maldicenze locaU. Perchè, se gli squittinì si facessero per tutta
Italia 0 almeno per disti*etti più ampi, si che ciascun oratore alla
dieta fossevi dair intiera penisola o da una notevol parte mandato,
allora le piccinerìe di necCvSsità scomparirebbero. Facendosegli in
vece per ristrette e determinate curie (ove solamente gli effetti
del patronato e delia chentela si possano far sentire), accade, che
vi s' inviino cinquecentotto personaggi , tutti certamente rispetta-
bili ; ma di cui quattrocento almeno sono affatto, al di là di dieci
chilometri dal proprio campanile, ignoti.
CCCXVlll. DiYìeto di sedere in oonslfflio aglMàoneL
Finalmente vi é un terzo modo assai spedito per esdadere
i capaci anche dal supremo consiglio elettivo; il divieto o, per
dirla nel solito gergo, la incofnpatibilità d' esercitare uffici legi-
slativi ed amministrativi insieme; eccettuatone un certo numero
d' individui e di casi. La diffidenza essendo un dogma del si-
stema costituzionale, non é meraviglia , che la signoria mercena-
ria lo elevasse qui al più alto grado; giacché (come vedenuno)
ella non si forma altro concetto de' magistrati e de' capitani , se
non quello d' un branco di salariati timidi e vili. 11 fatto sta per
altro , che con ordini diversi il divieto andrebbe bene : co* pre-
senti, gli ulliciali di pace e di guerra sendo stabilì e stipendiati,
é prccis<ìmente un respingere dalle pubbliche consultazioni coloro,
che di leggi e d' armi , e delf altre bisogne , che vi si trattano,
sono i i)iù esperti. Della qual cosa non é del resto a stupire: av-
vogiiaché, prescindendosi dalla idoneità nel giudizio de' giuntfi,
se ne può anco prescindere nella camera de' deputati. Ouanio poi
alla presunzione di venalità e servilità de' detti ufficiali, è Msl
poco fondata), che, se si volesse trovare un mezzo per rendere gli
- 473-
tori della nazione incorruttibili e liberi, io credo, in certi tempi
logliì il migliore sarebbe di provvisionamegli tutti. Tanto più,
(, se ci è dato ne' parlamenti da* provvisionati attuali guardarsi,
quelli in fieri chi ce ne può guardare? E questo sa bene e
ppo la borghesia : ond' ella, traendo fuor V esca delle solite im-
buire democratiche, accende prima tra popolo e ufficiali un oc-
to rancore, di cui poscia si vale per oltraggiar questi e tradir
;llo. Né spettacolo più singolare di tale tragicommedia saprei
lurre di quello , che in Montecitorio ebbe luogo , oonsultando-
i il progetto di legge, che venne il 3 marzo 1877 approvato,
pò il quale confesso, sMo mi fossi un di que' giudici, soldati,
estri eccetera, che venivano colà messi alla gogna (certo senza
ere ) con obliqui sospetti e larvati affronti ; mi sarei sentito
ppo a disagio di restarvi oltre. Pure, prescindendo da ciò, fu
;a ben dolorosa vedere egregi e incontaminati uomini, in nome
la libertà, e sen// accorgersene, farsi d' un invido, basso e sor-
0 genio ausiliari. Il quale, mercè loro, potè questi quattro fini
^giungere : primo , che balenassero agli occhi del volgo cotali
>elli lil)era1eschi ; secondo, che i pubblici ufficiali fossero nel-
tpinione pubblica e in una guisa solenne vie più esautorati;
zo , che di maggior senno quel maggior consiglio si privasse
futuro ; e quarto in fine , che con V ammonizione data a' pro-
nti ed alle cognizioni, le ciance e le fantasie prevalessero. E
i larghi ordini di reggimento cadessero in ulterìor derisione,
li cattivassero tutta queir antipatia, che le fantasie strane e le
ncie vuote si meritano.
CCCXIX. Chiamata in ooiudglio de* IkootiidiarL
Avendo adunque i grassi cittadini il privilegio de' voti in
no, e i soprammentovati tre istituti per famegli converger ne'
)ni uomini, cui desiderano; facile è capire, quanto ne sappiano
)rolittare. E sialo già da altri notato, che il predetto consi-
), se pui* puossi con tal nome addimandare, declinò mano a
no, che dalF aula del palazzo Carignano passò in quella di
azzo Vecchio e indi in Montecitorio: e notasi da tutti ora,
\ la declinazione è giunta veramente a un grado portentoso.
I principio in fatti delle nostre vicende, sendo i cervelli im po'
tesi e i petti un po' più caldi, molti vecchi eospìratori e gio-
— 474 —
vaoi letterati ebbero favorevoli i comizi, a cai non semiNnfUio
ancora fìsime i uomi di patria e di gloria : qaesti per altro «n
po' alla volta veonero messi all'uscio, e dirò adesso eoo quii
arti BcDChè gli squittini si facciano per singole località e persth
ne, avrebbero tuttavia gli elettori potuto essere dalla Cuna d' al-
cuno sedotti, che oltre il raggio de' dieci chilooietri andasse.
Quindi si disse a costoro : badate, che que' di fuori non gli cono*
scete bene, e che forse hanno il fìstolo addosso; cooie s'ei venis-
sero di Barberia. Dal quale gesuitico suggerimento segni, che
proprio coloro, che in tutta la penisola avevano parecchie mi-
gliaja d' ammiratori, de' cui suffragi sarieno stati onorati ; nel pro-
prio collegio , ove possono esser noti appena a qualche decina di
famigliari, rimanessero da' più oscuri al mondo, e da* più chiari
in un bugigattolo, sopraffatti. Né solamente questo : ma la gretteiM
municipale prevalesse all' espansione nazionale; e , in luogo
d' una rappresentanza d' Italia, e del comun sapere e volere, quella
d'un consorzio di rioni o di villaggi s' avesse, e del rispettivo
sapere e volere. Oltre di che i candidati dovessero co* bassi spe-
dienti , anzi che co' propri meriti, conseguirla ; procacciandosi i
suffragi co' brogli e conservandosegli co' favori , e, per compiacere
1 putroni e pascere i clienti, cangiandosi da legislatori della repub-
blica in procuratori di cotestoro. Né io parlo dell' anibito^ che
già s'è manifestato, specialmente negli ultimi s(|uittini, in qualche
collegio : dov' è apparso , che il prezzo dato dalla borghesia ita-
liana al voto politico è di circa cinque lire; e può darsi, che
valga t^mto. Se non che , potendo anche nell' angusta cerchia
de' predetti rioni o villaggi qualche valoroso trovarsi e stimarsi;
ecco i dottori delle nuove libertà soggiungere: che meglio assai
del valore approda la casereccia abilità e la solerte masserizia.
Prima cominciò Massimo d' Azeglio , gentiluomo nelle lettere e
ne' magistrati illustre e benemerito; che ci avea coi campiOBi
(Iella Disfida di Barletta fatto palpitare, innanzi di consigliarci
a rendere la conclone italica un convegno di castaidi di campa-
gna. Nel che merita del resto egli molta scusa ; perchè non vi ha
dubbio, che sarebbono questi stati infìnitamente migliori de'Iegidei
di città. Pure, mentre occorreva estollere la nazione, e darle im-
pulsi e organi, forme ed ordini, che la ridestassero e ricostituis-
sero ; si comprende, come il richiamarla a cotali cose nisticbe b
ripignesse vie più nelle volgari. I castaidi d'altra parte, non es-
sendo dal ceto industre tenuti in verno conto , non ibcero , che
— 475 -
aprir l'adito ai faccendieri; siccome quelli, che meglio rispoiH
dono al tipo dell' ottimo uomo di stato , cui esso vagheggia. —
Vogliamo uomini, che conoscano bene le operazioni di borsa, le
mercuriali del cambio , le tariffe de' prezzi , i vantaggi delle ar-
rende, gli esercizi delle strade ferrate e di tali altre imprese:
a uomini d' affari ». — Cosi gridò quello per mezzo de' suoi
trombettieri: e fu talmente servito bene, che or se gli cova, co*
me aspidi , in seno. Avvegnaché , che costoro facessero bene i
propri affari, io noi so: certo queUi della patria non fecero. In-
tanto gr ingenui (poiché la ingenuità, che presso i romani signi-
ficava uomini non macchiati da origine servile, presso questi furbi
matricolati significa balordaggine) ; gì' ingenui dico, o in somma co-
loro, che avrebbon le supreme aule decorato con gentilezza di studi,
purezza d' intenzioni, entusiasmo d' affetti, e si sarebbon della i»ro-
pria povertà, semplicità e sincerità onorati, ebbero il bando.
CCCXX. Ostraoiflmo dato ai p«BMitorL
— Ma dunque dovevamo noi chiamare al reggìnsento dello
stato ì letterati, gU scienzia& e tutta questa genia lunatica e per-
malosa? — Oibò: anzi dovevate chiamarvi molti artieri e contadini,
che fanno forse meglio al caso. Però dovevate altresì insieme eoa
questi, e cogli uomini sperimentati d'ogni maniera, chiamare gU uo-
mini di pensiero; ponendo per lo meno accanto ai gazzettieri i
savi, ed ai causidici i legisti. Siccome in vece voleste avere inter-
preti e agenti vostri solamente; vi premuniste bene, che ogni
idealità penetrasse ne' maggiori consigli e in op' altro agone
della vita pubblica; acciò non la fosse, che da un cieco empiri-
smo guidata. E cosi è generale ora In Italia la convinzione, che
gU speculatori ideali sieno uomini da nulla e visionari per sopras-
sello, eh' io ho qui mestieri fin di difendergli. La grandezza odierna
dell' Àlemagna, guardando bene a fondo, viene tutta dalla sua fi-
losofìa trascendentale, a cui diede impulso la mental ribellione di
Lutero. I suoi maestri e i suoi duci , anzi senz' altro i veri suoi
fondatori sono stati tre metafisici, che qui tra noi sarebbero stati
non curati e probabilmente derisi: Kant, Fichte, Hegel E qual
nazione non ebbe per vero fondatore alcun uomo ispirato, o pro-
feta 0 legislatore , o vate o filosofo, che si fosse; e chi può dire
quanto debba la Grecia ad Omero e V Italia a Dante ? Ciò dod
— 476 —
ostante, i nostri gaudenti reputano , non vi possa esser gente più
insipida e inetta de' solitari pensatori; i quali, se sono solitari,
potrebb' anco esser più per colpa altrui , che loro. Or, s' io ci-
tassi Tommaso da Kempis, che scrisse : « ogni volta che fili tn
gli uomini, io tornai meno uomo » (Imitassione di Cristo^ 1, 20,\
citerei un'autorità troppo contestabile nelle cose civili. Però il
sommo Scipione era uso dire : « sé non mai operar tanto , quanto
allorché nulla operava, né mai essere meno solo, che allorquando era
solo » (Repubblica di Cicerone, I, 18). E che dire adunque di
questi laboriosissimi e socievoUssimi nani, che agitano le maoi al
vento in una compagnia di burattini? La stofTa, di cui son fatti
i grandi poeti e i grandi artefici é quella medesima , di cui si
fanno i grandi vincitori di battaglie e i grandi ordinatori di stati
E in ciò sono soltanto diversi , che questi poterono ne' canq» e
negrimperi applicar V animo ; e a quelli non concesse la iniqniii
delle circostanze altro, che di versarlo in mute pagine o in muti
arredi. Di che siano capaci gli uomini contemplativi anche nelle
cose attive, più aliene dalle loro abitudini, non appena possano
sottrarsi allo spietato destino, che gli tiene inoperosi e abietti;
tra' molti esempi , che addur potrei , bastino questi tre prodigi.
Giuliano, tenuto giovanetto tra' chierici a salmeggiare da un con-
giunto sospettoso e tiranno ipocrite, non appena può impiq[iar b
daga e indossar la clamide , sulle opposte frontiere dell' impero
pugna come Cesare, quando la pace non gli consenta di filosobr
sul trono come Marcaurelio. Maometto, sognatore epilettico , dal
suo ritiro d'Arabia, suscita all'armi un popolo fin là oscuro, lo
avventa sul mondo, e fondavi, tosto dopo la romana, la più pos-
sente dominazione. Sisto V, di pastore fattosi frate, per mezio
secolo nasconde sotto la vii cocolla il fiero animo: dota h tiara,
ei che sembrava semispento, rizzasi cosi formidabile, da parere
un imperatore antico. E che non avrebbe ei fatto , se non gi
fossero rimasti, che que' soli cinque anni di vita senile, attesi eoi
s) lunga agonia, e se fosse in tempi meno codardi vissuto?. ••
Io so, che questi prodigi non possono di frequente av^-erani:
ma , se gli uomini contemplativi , tratti d' un subito e imprepa-
rati all' azione , possono sì fatte gesta compiere ; quanto boì i
ingiusta r accusa d' insipidezza e d' inettitudine, che gli grM?
Dico anzi , clf ei son capaci tino dì saper per teoria quelle bk-
(losimc cose, che gli alti'i per pratica; siccome lo esempio dei
segretario iiorentino luminosamente inanifesta. Il quale, oert^
— 477 -
mente versato ne' negozi polìtici assai, ma non soldato, por potè
conoscere il pregio superiore delle fanterie, e V iUosione del fi-
darsi nelle fortezze e del guardare i passi, e la necessità di so-
stituire milizie proprie e cittadine ordinanze alle bande merce-
narie, e del ripigliare gli antichi e buoni modi di combattere
( ond' è venuta la rìvoluzion militare de' tempi odierni ) , più di
tre secoli or sono ; dettando sull'^r^e della guerra un testo, che
sembra ancora il comando d' un capitano glorioso.
GCCXXI. Jattaa» del pratidam
Appena appena del resto può dubitarsi, che un uomo di genio,
fosse anctie un semplice notajo e antiquario, come Gola di Rienzi,
quando assume un'impresa di qualunque specie, non la disimpegni
per bene. Vero è, ctie si può lo esempio di quest' ultimo tribuno ad-
durre, cui Francesco Petrarca salutò liberatore dltalia in vano, come
prova di speranze fallite: quantunque, d* aver ei quasi tratto per un
momento fuor di sepoltura i morti, non la fosse un' inezia. Ma co-
desto esempio e gli altri d' inani conati provano al piii, che senza
tirocinio è troppo difficile lo eseguir bene le cose ad ognuno: non,
che non le possano i robusti di mente, almen quanto i fiacchi, ese-
guire. Oh dunque perchè un tale non seppe apprendere, se non
qualche rudimento di grammatica, di geografia e di storia, per
questo solo sarà tenuto abile a ragionar di stato e a governar
la repubblica ; più di qualsivogUa altro, che siasi in queste ed in
idtre discipline approfondito? Certo, che può quegli avere la spe--
rienzttj die questi non ha: però non si esigeva troppo dalla bor-
i^hesia, cliiedeudole , ch'ella permettesse cotale sperienza a qiie-
»to come a quello; e che almeno in condizioni pari ponesse i
lotti e gf ignoranti. Pur, mentre ella reputa attissimi i più oscuri
Qovellieri o i più oscuri curiali a divenir uomini politici, e ma-
3^1ri anche a reggere i dicasteri dell'interno o della marina; re-
puta i sapienti non solamente inabiU a governare, ma fino a ra-
gionar di materie civili. Ella per fermo non è obbligata a consi-
ierare, ctie queste formano obietto di dottrine speciali ; e che le
relative discipline hanno criteri e canoni, e danno elementi e pre-
sagi, fuor de' quali non si ragiona, che a vanvera, e non si go-
verna, che a tastoni. E che alla fin fine, come non ht eompe-
lenza a trattai* di matematica, di medidoa e d* altre lali diMpUoe
— 478 —
chi le ignora, così è altrettanto incomp^nte chi tratta di disci-
pline sociali senza conoscerle. Ad ogni modo guai a un popolo, che
fosse governato da un collegio di dotti; ma guai altresì a' nafiganti,
che veleggiano senza bussola e senza nocchiero ! Ai teorici del resto
non manca, che la pratica, per far bene: ai pratici manca, oltre
la teorica, un'indefinibile qualità, che non si acquista co' denari,
né con le grazie de' principi, e che nemmanco si può apprender
su' libri, e con cui solamente le grandi cose si compiono e Y Italia
tornerà grande e gloriosa, il genio. Àbili costoro per seguire on
impulso ricevuto e sulle orme altrui, ed anche per scintfliare
di fatui e notturni splendori nelle tenebre e nella breve orbita
della lor vita ; niente di vivo e di fecondo lasciano dietro a sé:
anzi non altro , che sterilità e squallore Ma, sendo io entrato
in questa controversia fra teorici e pratici, pronuncierò ora sagli
uni e sugli altri un giusto giudizio. I primi posseggono ne'prv^
cipii, cui professano, T aita onnipossente de' numi: e, posti hor
de' minuti affari e osservando da un' alta specola le umane vi-
cende , sono in grado di conoscere e antivenir quelle , che i se-
condi non possono. Errando negli atti, a cui fossero di repente
tratti, mentano anche scusa; perchè naturalmente, di non essere
preparati, non è colpa loro : e questa preparazione in massima è
cosi necessaria , eh' io primo esorterei di guardarsi da' puri teo-
rici. I secondi in vece , possedendo una lunga sperienza d' no-
mini e di cose, r arte e il maneggio, le notizie e gli strumenti, i
fedeli e i seguaci, ed altri taU beneflcii, sono in grado d'operare
più regolarmente ed eflicacemente. E meritano anche scusa, e^
rande; percliè sfugge V errore soltanto chi non fa niente: e d'al-
tra parte, dovendo eglino tener fisso il guardo in tante mionzie e
rompersi il capo nelle medesime , perdono di vista i larghi orii-
zonti , e fin quasi il senso interiore smarriscono. Essi per altro,
se privi (li principii, non potranno fare il bene, che a caso: e,
dovendosi il bene altrimenti rintracciare , ne viene , che si debba
guardarsi da costoro assai più , che da' primi. Che la perìzia è
per fermo una bella qualità ; ma la perizia , destituita d' idee,
d'ispirazioni e di lumi, non approda, che nelle meccanicbe. Ba-
sta per fare un artigiano, e non per creare un artista : basta per
guidare, tosare e mungere una greggia, e non per scorgere, te**
tifiaire ed esaltare un popolo. Onde, poiché soli i prìncipii nobi-
litano e salvano le nazioni; al di là di questo praticismo, ch'f
il vanto de' nostri borghesi e il degno palladio d* una socieii
- 479 —
scettica e crollante, se più oltre proseguisse, non ci sarebbe che
la morte e il nulla.
GCCXXII. Empirismo dogH nomÌBÌ di iteto btrghod.
Strana è del resto questa boria d' uonùni pratici ne' nostri
dottrinari; i quali, se io gli volessi definire, direi, come sieno
retori, in una età, in cui si tollerano le piii enormi cose, dive-
nuti uomini di stato ! Lo impratichirsi inoltre è cosi facile, che ba-
sta por mente alle repubbliche democratiche d' Atene e di Firenze
a' tempi andati, e di Svizzera e d' America a' presenti, per capaci- '
tarsi, come il potere ognuno per via d' elezione o della stessa sorte
partecipare allo stato, tramuti alcuno inaspettatamente in oratore,
magistrato, ambasciadore, rettore, comandante. Vedremo adunque
que' molti di loro, che, ebbri della podestà, dileggiavano dianzi i
più inc'Uti spiriti, condannati da loro^ consumarsi nell' ozio o a per-
vertirsi nel vuoto delirare ; vedremo, or che fur posti sul lastrico
anch' essi , con un lieve urto e quando manco se lo pensavano,
cosa sapran fare ! Certo, ei vi giacciono intanto smarriti e piagno-
losi : e , mentre i forti o vincitori o vinti inculcano a tutti rispetto,
ei danno di sé si miserando spettacolo, che, se non fosse per
pietà, sarebbono il trastulio del comune. Che cosa dunque hanno
egli appreso in tant' anni di governo , e che cosa si era la loro
famosissima abilità ; tranne un cieco empirismoj o una sequeh di
spedienti e di finzioni, giorno per giorno, caso per caso, sorpresa
per sorpresa? La vertenza quindi non istà più tra teorici e pra-
tici; ma tra uomini convinti, incrollabili e scrii, e manipolari,
armeggioni e brigatori di buona fede, che chiamano agire il di-
menarsi , r anfanarsi e Y agitarsi per nulla. I quaU reputano ( per
esempio ) una gran gloria, dopo avere imposto per le loro angliche
fantasticherie una forma di stato pensile e impossibile, di spingere
innanzi un reggimento effimero ed estemporaneo ; minando la pa-
tria, a forza d' imbrogli parlamentari, di vane parole, d' inganne-
voli parvenze, d'occulte manovre e d'ignobili astuzie. E, quando
hanno di tal guisa rannodato una fazione, vinto un partito, scon-
giurato un perìcolo, gabbando in buona fede il mondo e sé me-
desimi: vedete, dicono, se siamo prodi? Gabriele Mably, a pro-
posito de' diplomatici de' suoi tempi scriveva: non essere mera-
vìglia, che agissei*o aU' impensata e tortamente. Dappoiché <x un
- 480 -
ignorante non può aver altra saviezza politica, tranne Y abitudine
cancelleresca; e un intrigante dee credere, la fortuna d' un popolo
si faccia co' mezzi appunto , che la sua » ( Principii de' nego-
snati, X). Siamo in altri tempi, è vero: ma a un di presso io
tutt' i bassi tempi si fa fortuna sempre a una medesima maniera,
e sopra tutto con la medesima furberia. La quale, se si volesse
esser sinceri, è appunto la virtù, cui più si pregia ora; e, si^
coin' ella è altresì T unica , che i virtuosi non hanno ( benché
dovrebbero esser candidi come colombe e oculati come serpenti \
è la principal causa della presente loro sconfltta. Un gentilnomo
illustre , che fu il beniamino del dottrinarismo italiano a* giorni
nostri, non si peritò testé di sentenziare di Niccolò MachiaTdi
a malvagio FinjJ^egno » e « T anima corrotta d {Storia ddk
repubblica di Firenze di Gino Capponi, VI, 7). Or, mentre
cosi si vitupera la più gran mente di politico e il più gran cuore
di patriotto, che abbia avuto il mondo ; la scienza di stato d' ofp
non è, che un ammasso di « frasi ad effetto » e di sproloqnif
tal e quale si può ne' giornali imparare , e non più. L' arte di stilo
poi , tranne alcune nuove cabale aggiuntevi dal sistema partamei-
tare, rimane in sostanza ancora la vecchia diplomazia, cui GinBo
Mazzarino compendiava ne' cinque comandamenti: « simula, dis-
simula , non credere a veruno , loda tutto e rifletti a quel, ebe
fai e dici » ( Breviario politico ). La verità , la schiettezu, h
fiducia, la franchezza e il senno non contano niente: basta b
doppiezza, l'infìngimento, la diffidenza, l'adulazione e la drco-
sijczione. 0»*^sla è l'idea della prudenza, che si formano ce^
tuni : la quale ne' tnifTatori si chiama frode ; ed è del resto cosi
facile ad aversi, che basta aver sortito da' cieli initi un cranio
angusto e un animo obliquo per possederla. La menzogna, il nfr
\i\To, il sospetto, I)ench6 non sempre anco la piacenteria e la ««•
tela, sono appunto le qiialit^i proprie delle nature degradate e in-
forme, siccome i direttori di ciirceri e di manicomii potrcbboao
attcstare. (]liè. se i delinquenti e i pazzi non ponno educarie, e non
hanno modo di condecorarlo, chi , volendo degradarsi e infenmrsi
al par di loro, non le polroi)be svolgere e perfezionare!
CCCXXIII. Apoteosi della fturberìa.
Vi e ima scienza esecrabile e infame nel mondo, coi ^
cuni i)cr tradizione domestica o per istintiva prodiviti appf^
-481-
dono ed osservano, e coi i buoni e i forti disdegnano. Goii qno-
irta si può strappare un segreto a chi'nol vog^a palesare, pro-
caedarsi grazia in penuria di servigi, suscitare ag^' innocenti ona
briga, evitare i risentimenti altrui neD' offendere, ottenere le cose
desiderate a solo rischio e pericolo de' terzi , insidiar r onestà e
irretire la lealtà; velare il pensiero e schonire il prossinio, sti-
polare senza vincolarsi, promettere senza mantenere, diseolere
senza conchiudere, vociferare senza ragionare, e via via. B tutto
ciò, stando in riga col catechismo, col' codice e còl galateo, e
procacciandosi nomea d' uomini destri e venerabili. Per dame on
saggio, chi vuol strappare un segreto a chi noi voglia palesare,
non ha sempre bisogno di corromperne i servi, awiloppame i
figliuoletti, sedume la consorte e inflrangere i suggelli ctelle let-
tere. Né di cogliere il momento, in coi per ebbrietà, giuoco,
lotto, gioja, sia maggiormente indifeso e turbato, o s'abbandoni
a certa effervescenza e loquacità. Prescindendo da tali strata-
gemmi triviali, e anche non volendo far uso di ludngbe e ca-
rezze ( che sono quelle tali sirene, die hanno più irresistibili in-
canti ), gli confidi un' infinità di frottole, onde senta il bisogno di
ricambiare V intimità. Gli faccia poi una dimanda improvvisa, onde
risponda senza studio ; e gli parti della medesima cosa in diverse
circostanze e tra diverse persone, onde si contraddica. Gli Unei
intravedere di saper tutto, onde supponga noto anche T ignoto; e
gli narri un fatto reale con amminicoli inventati, onde ne cor-
regga il racconto. Gli vanti con molto calore le cose da esso
spregiate e biasimi le stimate, onde manifesti il contrario parere;
e gli dica male degli amici e bene de' nemici suoi, o^e»gli
sVeli.... Con le quali e con altre tali circonlocuzioni, circonven-
zioni e circuizioni si può costringer Y uomo più avveduto, chiuso e
cupo a tradirsi: e, quando pure non colla lingua, fin odi* alito,
il guardo e la contrazione del volto si tradirebbe. Ebbene noi pos-
siamo conoscer questi e tutti gli altri mezzi, con cui iUodere,
eludere e deludere la gente dabbene, e far fortuna nel mondo; o
possedere per lo meno anche noi un vocabolario di parole mellifloe,
ambigue e a doppio senso. Non pertanto, come il medico cono-
sce i veleni e non avvelena, cosi noi gli conosciamo e gli re-
spingiamo con tutto r orrore, con cui si respingerebbe la lama
prezzolata del sicario e la mercede della propria vergogna. Co' quali
sentimenti, miei cari lettori, noi non possiamo essere certamente
uomini politici a questi lumi di luna: ma meglio totLUitfffiù rs-
31
- 482-
starci col popolo, amare , patire , piangere , sognare , sperare eoo
esso, e passare per faDciulli e per ebeti, che avere tanta acc(r-
tezza e raffinatezza. £ , se fosse vero, tra gonzi e mariuoli ooo
si campi altrimenti, che con codeste turpissime arti (cui è, beo
inteso, pessimismo palesare e ottimismo usare } ; meglio anche es-
ser morti , che domare gY impeti de' nostri afret(i e soprawiTere
al vilipendio delle coscienze nostre. Intanto però è accaduto, per
questa sorta di arti, cui in altri tempi si chiamavano gesuitiche, e
per colpa di pochi mestatori e arruffoni, che la nazion nostra si
abbia presso le straniere una fama, cui non si merita. Mentre e per
questa e per le altre cause sovra discorse è pure accaduto, che oo
popolo, la cui età giovanile ed eroica avrebbe dovuto ora nel no-
vello suo risorgimento ricorrere , come corrotto e decrqxto si
trattasse ; e si disertasse di que' tali, che come suoi naturali cam-
pioni lo avrebbon difeso. Avendolo adunque privato di tanto soc-
corso, e nelle altre guise affranto, guasto, gabbato, e con tatto
un mostnioso acervo d'istituti e di leggi, d'atti e di spedìeoti
prostrato e ridotto come un cadavere; potè la plutocrazia sog-
giogarlo, e può ancora per alcun tempo dominarlo. Questi gli a^
cani del suo impero o, come si dice ora, i suoi colpi di staio^
lenti, |)acifìci, mascherati: i quali però non valgono a salvarla da
una catastrofe, di cui già i sintomi e gF indizi si scorgono.
DESTINI DELU BORGHESÌA
CCCXXIV. Pronostioi buUa domiiuudoiie ìwrgliMe.
Considerando, che il terzo ceto è oggi al colnio de' suoi tri-
idi, cui le viete memorie de' due primi e le spregiate aùnaccie
;1 q te appena turbano ; pare, vi voglia molto coraggio a pre-
1 l'imminente caduta. Nondimeno, ponendo flne a queste
ine co' pronostici della gran malattia del mio secolo e del
io paese, cui tìo Un qui descritta ; io credo, assai di leggieri si
>ssa del suo esito letale andar convinti. E primieramente, quanto
a giusto, che anche la odierna specie di signoria ceda a nuove
rlune, non dovrebbe dubitare chiunque reputi, i beneficiì del
msorzio civile doversi in maggiore e miglior guisa estendere e
uire. Avvegnacliè sin nel sup|X)slo, che quella non fosse punto
upida e malvagia, e clie anzi per la eccellenza del sapere e
?lla viriù splendesse; la naturai vocazione del predetto consorzio
di provvedere alla HberU\ e felicità di tutf i partecipi. Or, pol-
le in vece questo presentemente non giova, che a pochi signori,
giova troppo più a' medesimi, che a' sudditi loro; cosi è giusto,
le si fatta sostituzione del particolare air universale (la qual ba-
a a costituir la tirannide) cessi. Onde, siccome d'una cosa vo-
ta dalla giustizia ninna forza può impedire il trionfo, benché
)ssano la violenza e la frode alquanto rilardarlo; da questo solo
-^omento inducesi, che al par d'ogni altra, anche la tirannide
^rghese avrà un termine. Tanto più, che quella medesima nor
ira^ che appella tutti gli esseri al banchetto della vita, come
icitò il terzo celo a redimersi da' due primi, cosi ora incita il
uarto a incalzarlo, e a dar luogo ciascuno d'essi al popolo so-
\')no. (]iò non ostante, chi non crede alla necessità della giu-
izia nel momlo, e alle leggi indefettibili della natura, che go-
?rnano le società umane, può da tale argomento presdodere. Dap-
— 484 -
poiché vi sono tante ragioni pratiche o tante circostanze attuali
e di fatto, che già svelano la impossibilità di noantener più a
lungo quella tirannide, che bisogna proprio cliiuder gli occhi per
non accorgersene. Entrando a dir delle quali , e' non ci ha dub-
bio anzi tutto, che la storia manifesti ineluttabili tendenze ab
successiva emancipazione de' ceti, alla redenzione delle plebi, al-
l' allargamento delle franchigie, alla comunicazione de' vantaggi e
air ampliazione degli uflici della civiltà. E questo io ho già mo-
strato per ciò, che concerne i secoli andati, discorrendo delle
origini della borghesia: la quale appunto in gi^ia dì tale iu-
cesso potè allo stato, in cui trovasi, pervenire. Ma questo, in un
modo ancor più incontra verti bile, nelle vicende del presente se-
colo si appalesa; e, sto anzi per dire, nella esperienza coiidiana
si tocca con mano. Così che non vi è forse più alcuno, che,
sperando o temendo, non sia presago del prossimo e Aituro trioolb
della democrazia vera e sincera. Il qual corso o ricorso della sto-
ria, cui niente può arrestare, è un argomento pur esso di tanto
valore, che potrebbe pel mio assunto bastare. Se non che, van-
tando la plutocrazia di posseder mezzi d' efficacia tali , da poter
quasi sottrarsi a' destini , che V attendono ; dimostrerò ora per
contrario, non ne aver punto.
CCCXXV. Baffionevole caduta della borghesia.
Basta in fatti riassumere le sue opere, quali ho di sopn
esposte ne' diversi obietti della vita sociale , per vedere , eh' ella
non ha altro intorno a sé accumulato, che mine. Nello stato
r esclusione e la dissoluzione, nel reggimento l' oligarchia e 1* a-
narchia, nell' ainiiiinislrazione il torpore e l' incuria , nella giusti-
zia r impotenza e Y arbitrio , nella religione la superstizione e
r empietà, nella moralità Y avarizia e la depravazione , nelli poi*
tura la pedanteria e Y insipienza , nella prosperità l' aggiotaggio e
la miseria..., ecco in com|)endio i suoi f(isti. Ora, gii è vero,
che vi sono esempi d'uomini, cui s'avvezzarono a' più ìdudìbì
patimenti, e per lino a trascinare entro una cella senza lameoli
una vita da bruti, {^ordendo insensibilmente sino il lume della n-
^nono. TutUìvia i consorzi civili non si preservano con un sistema,
<|uale (> (luesto da me. ora compendiato; od è quindi neressiLi
se non si emendano, che si sfascino. E, quanto all'Italia, chi è
— 485 —
grado d'assicurarla, non solameDta da molti; nm da tatti
ti i pericoli, che per causa del medesimo le sovrastano! Sia-
certi io una novella guerra di non soggiacere a una no*
rotta, 0 di non dovere sopportar nella pace i precetti e i
4 di maggior potentato? Crediamo noi davvero, conti*
0 con queste orride gravezze, preterendo dag^' indiapensabili
-vìgi, di far fronte cosi a' crescenti bisogni e d' evitare la ri-*
0 il fallimento ? Non è a temere, che V empia discordia, fo-
uitata da un giusto dolore, tra regione e regione, se non di
% d'animi ci divida? Un mutamento di cose (Atre Alpi non
xebbe produrre anche qui nelle forme politiohe una violenta
turbazione, o non lo potrebbe senz' altro unt-calamità
0 ' intema sollevazione? È egli dunque posnbile con questi
loqui parlamentari, con queste fazioni incorreggibili, con qoesti
ni disfatti tirare innanzi per parecchi anni ancora? E, m
nella disperazione d'ogni rimedio ordinario, si ricorresse a^
1 dittatura tra dinastica e miUtare, ove si andrebbe ptAì... lo
so, che i nostri statuali non credono punto di dover preoocnpani
ddle cose, che han da venire, e cotanto per loro dubbie. Mi,
piando pure non le si dovessero tenere in alcun conto, chieggo
io, limitandomi alle sole cose presenti, se queste le sien Uìì^ da po-
tersi comportare. E se F Italia debba sempre come adesso dorarei
e non abbia ad aver mai refrigerio ; o se per contrario abbia e da
chi a riceverlo. Ebbene, la sua presente sorte è cosi infelice,
che dalla precedente servitù sotto lo straniero in fuori, niente di
peggio si potrebbe immaginare. Mentre nello stesso ìmipo è tale,
che non può esser cangiata, se non da fiurze estranee alle cosi
dette classi dirigenti: e qui sta appunto la coodanna a morte
delle medesime.
CCCXXVl. laelattabOe eaiata itDa btrglMi^
Imperocché, se mi si dicesse, che vi sono ancora nella pe-
nisola nostra stirpi generose, e nel mondo prindpii, affetti e viirift
capaci di rigenerarci, direbbesi quello, in che io fbnnamoite con*
fido. Queste forze per altro stanno proprio al di fuori della phn
tocrazìa; da cui sono anzi sprezzate, ripudiate e inimicaie. Di
guisa che appunto il loro prorompere, quanto la salvena del po-
polo, altrettanto procaccierà la perdita de' suoi oppressori, I quali
— 486 -
in vece con tutte le piaghe incurabili, che ho dianzi additate,
non hanno punto in sé medesimi alcun mezzo, che valga a sal-
vargli. Non la forza materiale; poiché si trovano al cospetto
delle moltitudini in una minorità spaventosa, non essendo niente
più di esse robusti o periti nelle armi. Non la forea nu>rak,
che gioverebbe più di quella; poiché si sono dalla tradìziODee
dalla sapienza, dalla probità e dalF equità divorziati : e anzi fio
quasi dal pensiero e dalla coscienza, non contando più in altro,
che nella corruttela e neir imbroglio , nella scaltrezza e nel sim-
cesso. Che, se ora eglino nella loro prosperità non trovano, se
non per prezzo, chi gli serva, e se non gente sempre più umile
e malleabile; facile é immaginare, che cosa accadrà loro ilb
prima disavventura. Quali soldati, quali magistrati e quali scrittori
gli difenderanno; e quali insegne, quali norme e quali ispirazioai
seguiranno questi per difendergU? Per non dire, che degli scrit-
tori, uno solo, che in futuro sorgesse di grande , militerebbe to-
sto pel popolo, per la Ubertà e per la giustizia; né potrebbe anzi
divenir grande altrimenti. Non militando per la mercede, se noe
coloro, pe' quali la profession letteraria non ha maggior valore
d' una prostituzione infame ; questi, non appena muti la fortuna il
viso , si affretterebbero ad abbandonare gli antichi patroni e a
propiziarsi i nuovi : fors' anco adulando e aizzando quelle plebi,
cui ora prostrano e insultano. £ dico insultano: perché tra gii
osceni spettacoli, a cui dobbiamo oggidì assistere, havvi ancor
questo, che in romanzi e in giornali da letterati borghesi si getti
in faccia a tutto il ceto più numeroso, più innocente e più af-
flitto le scelleratezze, che in qualche soffitta o taverna di Londra
0 di Parigi commettono alcuni miserabili, dalle borghesi industrie
abbrutiti. Certo, io non mi meraviglierei punto, se dovessi eoo-
tra costoro un giorno patrocinare vinti quegli oppressori, cui oggi
vincitori ammonisco. Piatto é intanto, che da ogni parte i guai
sono si copiosi e sì enormi, che non si può della borghesia (in-
tesa come forma transitoria d* oppressione sociale ) sentenziar al-
tro, se non eh' ella é spedita. £ non solamente in un tempo lon-
tano ( che nella caducità delle terrene cose non sarebbe da me-
ravigliare ) ; si in un tempo tanto vicino, che si potriano già mh
verar gli anni della sua cortissima durata.
-487 -
CGCXXVII. Imminente oadnta della borghesia.
Contro la previsione d' una si sollecita fine del dominio
de' gaudenti non vi sarebbe altro argomento, se non il lunghis-
simo tempo, in cui i due ceti maggiori dominarono. Pur, che
questi potessero per molti secoli imperare, ed anzi non venir del
tutto in alcune regioni del globo ancora esautorati, facilmente si
spiega. Conciossiactiè da un lato il grado men progredito di ci-
viltà ne agevolava il primato e quasi ne lo rendeva benefico; e
dair altro essi possedevano per tal primato ragioni sufficienti. 1
guerrieri primeggiavano cioè col valore e i sacerdoti col sapere:
i primi aveano polso e i secondi ingegno; quelli atterrivano i sog-
getti col lampo delle spade e questi collo spavento delle* folgori.
E, poiché tutto ciò è qualche cosa di molto eOìcace e molto po-
deroso anche oggidì, si capisce, quanto valesse e valga per te-
nere in piedi a lungo un' opera di violenza e di frode. I fenera-
tori, gli arrendatori, i imbblicani e cotah altri gaudenti d'oggidì,
non possedendo né 1' uno, né l' altro strumento di dominazione,
come possono mantenersi diuturnamente in seggio? Se pur Toro
l)Otesse, quanto il valore e la dottrina, già si vide, ch'ai vanno
appunto ( per procacciarselo ognuno a sé ) dissanguando sino il co-
mune stato, cui dovrebbono in vece nudrire. E cosi accadde, che
in Roma e i]e' nostri comuni medievali, queir ordine di cittadini, cui
si ])uò in (jualclie modo all' odierna borghesia comparare o raf-
frontare, avesse o una potenza men durevole del patriziato o in
(luesto si tramutasse, o cedesse all' oclocrazia od all'autocrazia. Ma,
se questo accadde colà, ove anche coloro, che attendevano alle
occupazioni venali, sapeano altresì impugnare il brando, esercitar
le ambascerie e i magistrati, coltivar le lettere e le arti, e sopra
tutto professare alla patria un' adorazione, cui oggi appena si sa
comprendere; che cosa non deve accader qui, in cui mancano tutte
codesto iloti? Dato che qui si sappia molto bene trafficare e lu-
crare, con tali attitudini si potrà al più procacciare il fiore
d' un' impresa economica : non mantenere, come che sia, uno sta-
bilimento politico. Il quale va quindi crollando di per sé, anco
se la nazione, che lo sopporta, non avesse a ridestarsi dal suo
letari^'o mai; né ripigliare nell' alto concilio dell' umanità l'eccelso
seggio, che le sj^etta. Siccome adunque io credo fermamente, che
- 488-
r Italia sia risorta per qualche cagione , e eh' ella debba alla prì-
stiDa gloria e grandezza ritornare ; per questo io credo, che V at-
tuai vergogna e inanità debbano, quasi come un orribile sogno,
dileguarsi. Ma anche nel supposto, che il bene non dovesse vìd-
cerla sul male, dico, potersi prevedere qual ultima meta della ti*
rannide borghese il caos : non , che questa abbia ad impen'ersare
per parecchi lustri ancora. Imperocché, quand'anclie ella fosse
di tutte quelle armi provveduta , che valgono a sostenere i gran-
de imperi , e non avesse tante iniquità commesso e tanti rìseoti-
menti istigato , e avvilito le cose civili al punto , in cui le sono ;
la inopia o per dir meglio la Dprvei*sità spaventevole ddle sue
idee morali basta a Tarla perire. Quel , cir ella crede o pratica
in tal proposito, io ho già mostrato, non esser altro in sostana,
che un grossolano e laido epicureismo ; precisamente peggior dì
quello , che ha sino a qui tratto in lutt' i tempi e i luoghi i gran-
di e i piccioli imperi a rovina. E, perchè meglio ciò si veg-
ga, come s'è fatto un sillabo della gesuitica pravità j eccovi
anche quello dell'opposta setta, riassunto del suo sistema e sim-
bolo della sua fede.
CCCXXVIII. Vangelo del secolo deoirnowma.
1. Non vi sono altre verità, tranne quelle, che Hveg'
gono cogli occhi e si toccano con mano.
1. A chi dice , esservi , oltre la percezione estema , un senti-
mento interiore ineffàbile j ancUcìna.
3. Le scienze, che non sieno fisiche e mcUematiehe^ eiarìr
pei gonzi,
4. Solamente tra le morali e politiche lecita T economia ^per
ragioni facili a capirsi.
5. Le lettere e le arti, pur che rappreseniino le case reali ^
cui e' intendiamo , trastulli permessi.
(3. Sempre che tengasi a mente , le invenzioni de* poeti e de^
gli artefici essere puri vaneggiamenti, quanto le fisime ie^
gV ideologi,
7. Pratici pertanto e tecnici vogliono esser gli studi , e mam
teorici e classici.
8. Che non si tratta di principii e d'azioni, ma di spe^
dienti e d'affari.
- 489 —
9. E , quanto alle cose disputabili, fa le veci deUe convin-
zioni individuali V opinione pubblica,
10. In luogo del catechismo^ mettere in mano ai bimbi su-
bito un libretto della cassa di risparmio.
11. Scopo ddla vita il guadagno y per arricchirsi chi pud,
e chi non può per campare.
12. Onde interrogare qualche volta la coscietiza, raccogliersi
nello spirito o contemplar la naiura, è senz* altro voglia di
far niente.
13. Nondimeno , se senza danno de propri interessi , si può
quanto piace divertirsi.
14. Quantunque non vi Steno altri diletti, che i materiali, e
supremo quello di tesaurizzare.
15. Pur di far danari niun' arte, che stia in riga col codice
penale, è riprovevole.
10. Anzi il tornaconto è T unico criterio, con cui gitidicare
della bontà delle imprese e del pregio delle opere.
17. Mentre unico dovere è il non far male agli altri.
18. E la probità sta esclusi vaìnente nel pagare i debiti.
19. Del resto non importa tanto essere onesti, quanto onorati.
20. Giacché chi è infamato una volta, non aspetti più perdono.
21. Ninn servigio, che non sia retribuito.
ii. Ognuno pensi a se, e non si curi d'altro.
23. Taìito che, se alcuno stesse per annegare, non occorre
punto soccorrerlo.
24. E chiunque cade nel malanno, non rimproveri altri, che
sé m/*desimo,
25. / così detti istituti pii , quanto meglio sopprimergli e in-
camerargli !
2G. Perchè ogni sorta di carità fomenta Vozio e V imprevidenza.
27. Ma appena appena convien quella^ che ne* balli e in si-
mili spettacoli si fa per sollazzo.
28. Non bisogna poi affannarsi per la così detta causa della
giustizia o del bene.
29. / vinti hanno sempre torto, e % vincitori ragione.
^. E. se uno muore allo spedale, segno ^ che lo meritava.
31. Aver debito ai maggiori o ai posteri, modi di dire.
32. Patria r dove si soggiorna e si lucra commodamente.
33. Né giova aver per essa maggiore affetto , che per altri
angoli del globo.
- 490 -
34. Le religiofii, mere imposture.
35. La gloria e la grandezBa, chimere.
36. Il sacrificio di sé, affatto un atto di poMSfia.
37. Felice e stimabile unicamente il ricco , e viceversa la po-
vertà un delitto.
38. Una sola qualità personale è mestieri pregiare olgiiaii*
to, la furberia.
39. Sebbene in ogni cosa tanto una persona valga ^ quanH
quattrini ha.
40. Considerare, per esempio, fonti di felicità le coH dette
gioje pure , fole da romanzi.
41. Anche il grado della civiltà d^ una nazione^ si giudica
da' chilometri delle sue strade ferrate e da cotaìi argcmenH.
42. Le mostre universali de' prodotti e delle merci , ecco le
vere olimpiadi e i degni areopaghi del tempo.
43. Ah , se si potesse trarre alcuna utilità anche da* momf-
menti e da' cimiteri !
44. Lo stato è indubbiamente un patrimonio degli uomini
d' affari.
45. E i j>t4hblici uffici un passatempo, con un compenso or-
rotOy ai medesimi.
46. Gli altri , che osano competere col così detto ingegno e
colla così detta virtù, gabbamondi.
47. Teste sventate tutti costoro , che parlano in sul serio di
libertà e di popolo , e di altre pari fandonie.
48. La plebe , che intende esser contata per qualcke cosa , eor
naglia.
49. E il cercare di redimerla una birboneria.
50. Oh che bisogno c'è di fare novità, se si sta così bene?
CCCXXIX. Catastrofe della deminaiioiie btrglma ìm Italiib
Considerando pertanto, in qual guisa abbia la estrema esr
tasfrofe a seguire ; a me pare , che quanto sopra acoennai , vi
socialisuìo e sul clericalismo, ce ne additi le due fonne predestìBatfr
0 in altri termini, le cause tutte esposte in questo libro, se non d
si rimedia a tempo, avere per naturale efletto U dissobuume
della società costituita, previa una breve pausa di reoftone. Li
quale ultima sorge dalle leggi stesse della vita, che, comedi
- 491 —
«
Doto, altrettanto ha mestieri di consistenza. Onde gF istinti con-
ervativi, che non abbandonano la società predetta mai, e che di
[iunta nel pericolo rinvigoriscono; innanzi alla minaccia della sua
ulna, proromperanno con rabbiosa e senile agonia veementi e
liechi. Da un secolo cioè non essendosi fatto altro, se non di-
itruggere, e le cose correndo sempre più a precipizio, una co-
;pirazione per restaurarle , spunta naturalmente. E da questo viene
n precipuo modo la forza della fazione, detta oltre monti oltra-
nontana, e tra noi clericale. La quale, emergendo da quella co-
pirazione, s'industria pel momento in opere sotterranee: ma si
nanifesterà all'aperto, come già in qualche stato al di fuora, anche
|ui, non appena vegga giunto il suo giorno. Già anzi ha fatto
auto cammino, prima pegli atti e poscia fin negli animi de' se-
caci delle contrarie fazioni, che costoro cominciano a parlare della
)robabile sua riscossa, senza quasi più stupirsi e dolersi. Concios-
liachè veggono da un canto, eh' ei non sanno più come uscire dalle
ante dinicoltù, che gli attorniano; e ch'ella unica serba qualche
Jlemento per restituire un po' di nerbo o di calma allo stato, e di
'ode 0 (li rassegnazione ai soggetti. Dall'altro, di principii veri
5 di sentimenti virtuosi non accadendo più discorrere, e di buf-
bneria in bulloneria andandosi sino all'impossibile, trovano plausi-
)iUssimo, che anch' ella meni un po' di gazzarra prima del diluvio.
:^erò 5 quando si sentono un po' in lena e si lusingano di poterle
■esistere , parlano di congiungersi tra loro, bianchi e bigi, mode-
rati e scapigliati , dottrinari ed atei ; e d' avventarlesi contro e di
schiacciamela. Tosto poi che si sentono fiacchi e sgominati, e difll-
lano di tenerle il campo , eccogli a concluder Y opposto. E , sic-
come appunto vie più vannosi persuadendo, che fra tante loro
)azzie ella si avanza fredda e corrucciata nel suo lugubre carro
rionfale , oggi piuttosto pendono al secondo , che al primo sistema.
Ji modo che udiamo alcuno de' loro più famosi caporali senten-
ziare senz' altro : esser bene , eh' ella si metta nella cerchia de-
^li ordini esistenti, ed entri seco loro in lizza. Che a tanto siam
giunti , che si trovi giusto , i più lleri e incsorati nemici della pa-
ria , proprio costoro se ne impossessino oggi, come d' una preda
h'signata dalla sorte.
- 492 -
CCCXXK. Conati di reasione sodale.
Può il mio giudizio verso la predetta fazione sembrare più
severo, Girella si meriti; sebbene, quanto dissi di sopra, baste-
rebbe a constatarne la rettitudine. Volendo (juindi di nuovo giusti]!-
callo, dico, die in quella due cose enormi e perverse sono da
noUire , secondo la si considera riguardo air Europa in generale,
od air Italia in particolare. Sotto il primo de' quali aspetti , ella è
già una calamità assai spaventosa: dappoiché, per consena^,
non si proponga altro, che di ritornare al passato, e del passato
alle istituzioni e agli usi più detestabili. Vero è in fatti, che ora
si su male: ma né allora si stava mollo bene; e, dato audie
che si stesse meglio, non sarebbe, che di danno, il tentar di
ripristinare il tempo trascorso. Il ({uale se si potesse ripristi-
nare (pognamo, quale era un secolo fa), non però si potrebbe
impedire di non ricondurre poscia a qualche cosa d' analogo al
pn'sente. E cosi, le identiche chiuse riproducendo gV identici ef-
fetti ognora, le soflerenze inenarrabili di tre generazioni andreln
bon i)ordute, e dovrebbono i posteri ripigliare il viaggio delle
medesime cotanto tribolato. Dal tempo trascoi'so adunque vi e molto
d ai)prondere ; ed io anzi credo, non si debba movere un passo
neir avvenire, se non dopo le orme di quello. Ciò nondimeno, |icr
causare i triboli, non si dee già andare in dietro ,chè bisognerebbe
rincontrargli di nuovo e poi rifare il cammino); si bene andare
avanti. Laonde ])er (jnesto solo, che la fazione olU'amontaiia o cle-
ricale, sotto lustre religiose, rappresenta il regresso, costituisce
tutto ciò, che di |)iù esiziale nella vita civile si possa, dal totale
sovvertimento della medesima in fuori, immaginare. E, s'altro
non ci fosse, chiunque i)ensji,che T umanità ha per supremo co-
mando dulia natura il progresso, ed è in grazia di esso dalla
brutalità uscita, ed alla deità spronata, la dovrebbe respingere e
combattere a oltranza. Ma , se al di là delle Alpi non lia la predelta
fazione, che ipiesto pur si grave torto ; al di qua, oltre il meilesimo,
ha l'altro non nion grave d'odiar la ^Kitria. Nella S|)agna, Della
Fraiicia e nel Belgio è anzi [ùuttosto a dubitare, s ella non sia supe-
riore, di quello che {tari alle altre parti i>olitiche nello amore della
propria contrada. E nella stt»ss' Alemagna, benché forse contraria
air luiione ed alla e^^'emonia prussiana , non lo è certo ali* iodi-
- 493-
idenza ed alla |)Ossanza germanica. Talmente che colà puossi
isi imputarle piuttosto un errore d' intelletto, che di cuore ; e
ribuirle almeno, in si Tatto inganno, il desiderio del bene.
CCCXXXI. Perfidia del olerloaliuno.
Per opposìlo in Italia la cosa è assai diiTerente, quando si vo-
) tra quella far distinzione e T immenso stuolo di coloro, che se-
)no la fede cattolica ed obbediscono alla chiesa romana. Giacché
isti formano nientemeno, che la intiera nazione: quella nazio-
, che non si sogna pure, almen per ora, di desiderare diverso
ibolo 0 diverso rito. Onde, per causa de' medesimi, non è pos-
ile nò anciie un fantasma di fazione , di setta o di altra tal
ittura simulare; sendo tutti ({uanti concordi ed anzi unanimi a
er essere, a lor modo , cattolici e romani. In codesto senso ri-
0, che la religione loro vuol essere rispettata; ed esser tutto
, che di più iniquo e di più infame si possa perpetnu*e, il
ifonderla colla peggior combriccola , che la perverta e disono-
La qual combriccola in vece, non avendovi radici, e avendo il
•eno manco propizio, che vi sia al mondo, venne qui trapian-
i : dove ora naturalmente , oltre che degli ausili esterni , delle
ndi istituzioni sacerdotali del luogo si vale. Non pertanto, cosi
•attam(?nlc, non avrelibe mai potuto allignare ( tanto le è con-
rio lo spirito degl' italiani, e per fin quello della curia papale);
Ila in concreto non avesse servito di maschera a chiunque,
imendosi Y Italia dal servaggio politico e appena redentasi, ne
»ggiava 0 m osteggia la redenzione. Qui sta dunque il punto
a ((ucstiono: che non si tratta già di credenti, nò di preti, e
anche d' uomini, che abbiano troppo a cuore le cose sacre, e
delle profane; ma di felloni e di traditori. Perchè io non
imo clericali neppur coloro, che nelle dette cose sacre vor-
bono salva Y integrità e la libertà della nazione) ogni eccesso
sibile. Bensì coloro, che, traendo dalle medesime pretesto, tCD-
nio già d'impedire, ed oggi vorrebbono il nazionale riscatto
:ruggere. A' (|uali certo necessitava tale pretesto, per aroman-
} tale p(.r fidici: ma tanto e' sono più rei, che del sentimento
au.misio de' mortali Ja religione) si servono per annientare
•Mitiiìiento più generoso (il patriottismo). Così, che, mentendo
anzi appropri concittadini ed alle proprie coscienze, deridono
— 494 -
fino i comuni sacramenti deir umanità; e Un que' numi oling-
giano, le cui folgori invocano contro la materna terra.
GGGXXXII. Oondaima del oleriealiiiiM.
I veri clericali , ripeto , sono coloro, che avrebbero credulo
commettere un sacrilegio , combattendo le battaglie o votando i
plebisciti, ond' è sorto il presente stato italiano. Coloro , che non
solamente niente fecero o bramarono perchè sorgesse; nu,se
non dcir Austria a dirittura , certo de* suoi satrapi di qua daDe
Alpi furono prima i clienti, poscia i fautori ed ora i ripiagnitori.
Coloro in fine ( e con questo parmi sia detto tutto ) , che delb
unione e della indipendenza nostra furono e sono avversari giu-
rati ; ed anzi gli unici avversari , eh* esistano. Perciocché e* non
ponno negarmi , che questi due massimi beni sorsero contra lor
voglia e a lor dispetto; e che, se lo potessero, anche a costo
d' una guerra civile e d* una invasione straniera, restituirebbero le
cose allo stato di prima, tra cui la divisione e la sudditanza. Or
(veggano, quanto sono indulgente) io voglio conceder loro, che
sino a un certo punto e momento potessero contrariare o abo^
rire V unione, senza per questo essere cattivi cittadini. Àvvegna-
elio sia dato ammettere, die , prediligendo la regione nativa, por
diligessero alquanto la comun patria ; né si fossero accorti di
avere signori cotanto empi , quali erano quelli , cui adulavano e
idolatravano. Tuttavia questa scusa regge sino a un certo punto
e momento: perchè, dopo che la nazione si era ricongiunta, Doa
era più loro permesso nemmeno con vacue velleità e inani conati
(li tentarne o anelarne il laceramento. Ma, anche prima, T unione
era cosi indispensabile air indipendenza, che V Italia, fin che si
fosse rimasta sminuzzata in quegli staterelli, non avrebbe mai po-
tuto né sottrarre le parti soggette alla dizione , né sé medesima
al vassallaggio austriaco. Di modo che a* clericali bastava che il
papa signoreggiasse in Roma, il Borbone in Napoli, e va dicendo:
ma die del rimanente costoro fossero vassalli , e i lombardi e i
veneti sudditi dcir Austria, e tutti assieme lo zimbello d* Europi
e la vergogna del mondo, non caleva niente. Se non che, conce-
dendo pure , cir ei potessero contrariare o aborrire Y unione leci-
tamente; rio che loro non può essere e non sarà mai scusalo,
fin che abbia alcun senso morale T umana progenie, è di essersi op-
-495 —
i in tutte le guise, eh' ei poteano, all' indipendeiiza stessa della
)ropria nazione. Perchè, che la si acquistasse malamente, e che ei
stia adesso cosi male, come ho io in queste pagine esposto, tutto
io è quasi nulla in paragone al supremo beneiscio d* aver sottratto
1 capo al giogo. Eglino adunque , mentre la terribile tenzone si
compieva ; mentre un popolo pel più santo diritto , quello d' ap-
)artenere a sé medesimo , scendeva in campo ; mentre i vaticini!
le' profeti e le supplicazioni de' martiri e i prodigi del cielo av-
veravano il sospiro de' secoli : eglino s' appartavano da' firatdH e
la' figli, che pugnavano ed esultavano, e dalle madri e dalle spo-
le , che pregavano e piangevano. E , provatisi indarno ad armar
nercenari e masnadieri , a tramar congiure , a provocare ostilità
A a chieder soccorsi d' avventurieri e di stranieri , si rimasero
M)i a schernire e maledire , a oltraggiare e imprecare. E con
[ual nome adunque di belve gli chiamerò io, se fin le jene hanno
|i he affetto per la propria caverna , nò incrudeliscono contro
propria razza?...
GGCXXXIII. Aspettaibme del derleaUoM.
Ebbene, sono appunto gli esseri innominabili dianzi descritti,
lui gli alti moderatori della politica italiana invitano oggi alle
ime elettorali, e designano emuli od istituiscono ^redi. Imperoc-
:hè costoro, come gli hanno lasciati per tanti anni impunemente
;ommettere ogni misfatto ed ogni infamia contro la patria; cosi
rovano ora, la scelleratissima lor sedizione e ribellione un modo
scito di parteggiare. Ed anzi, mentre non consentirebbero altret-
anto ai vagheggiatori della forma repubblicana , benchò caldi
matori d' Italia ; consentono a quelli d' esserie nemici : pur che
Ila costituzione vigente, od alla dinastia regnante, a mala pena
' acconcino. Or io m' appello alla coscienza degli altri popoli e
in de' clericali delle altre contrade , se non occorra un perverti-
mento delle idee più elementari della morale umana, per sentire
lei bene e del male siffattamente. Perchè si contesta oggi per'
erità , se un cittadino abbia dovere dì venerare e di servir la
atria anche con proprio sacrificio : ma in niun angolo del globo
mmettcsi ancora, tranne qui , che si abbia diritto di vituperarla
d' offenderla ; e di far questo , passando tuttavia per galantuo-
lini e per gentiluomini. I moderatori predetti soggiungono : le
-496-
vicende essersi cangiate di molto ; dappoiché costoro , entrando
nell' agone parlamentare e procedendo alle altre azioni cogli or-
dini esistenti, accetteriano V Italia qual è, e né anche sarieoo fih
da' sentimenti d' una volta animati. Certo , rispondo io , che seo-
dosi r Italia alzata lor mal grado dal sepolcro, e in onta alle lor
sinistre profezie ( secondo cui avria dovuto almen cento volte ri-
cadérvi); bisogna, che hi sopportino ora viva. E cosi pure con-
cedo , che la potessero sbeffare e premere , fin eh' ella s' aOati-
cava ad alzarsi , ed or, ch^ ella è alquanto ritta in piedi; debbano
alquanto temerla e riverirla. S' ei vogliono impossessarsene, deb-
bono anzi Anger d' amarla ; e, come prima della religione si val-
sero per ripudiare il patriottismo , cosi debbono di questo valersi
ora per padroneggiarla. EgU medesimi inoltre vanno mutando:
poiché la morte dirada le file di que', che accompagnarono fin ni
suolo straniero i fuggiaschi tiranni e scappavano le mille miglia
lontani per V orrore dell' italico risorgimento ; o , rimanendo io
casa a cospirare, percepivano forse da due corti a un tempo gli
emeriti stipendi. Onde necessariamente questa fazione non può più
rissanguarsi , che di vecchi ipocriti e scemi, e di fanciulU viziati
ed evirati, agitando il turibolo e rispondendo messa. I quali pro-
babilmente biascicheranno e vagiranno di tenerezza per le nuove
sorti d'Italia; e saranno creduti da questa gente, che mi so io,
a cui basta di non credere alla verità. Ciò non ostante, se e per
le massime e per le persone la fazion predetta si avesse a tra-
sformare in guisa, che non la fosse più riconoscibile; allora b
non sarebbe più , che un nome , e non sarebbe più da parlarne.
Cile , s' ella in vece continua poco o molto a rimanere ella me-
desima , rappresentando per tutta Europa la reazione del passato
contro l'avvenire, e in Italia la pubblica nimistà, il suo trionfo '
vuol essere, ripeto, come un' immensa sciagura temuto.
CCCXXXIV. Conati di mmrersioBe aooiale.
Nondimeno questa sciagura non è la peggiore, né V estrema
che sovrasti alla penisola e al mondo per causa della tiramide
borghese. Perchè, dato pure che non si potesse evitarta, sarebbe
(li così breve durata , da non arrestare di molto i fati iramortib
dell' umanità e del popol nostro. E particolarmente tra noi, se U
lealtà del principe non ci salverà (che omai quella de' nwdenion
-497-
anzi accennati non ci salva pib), quel giorno, in che la penisola
cadesse, ne' clericali artigli, segnerebbe il pmtàfio d*iin popolar
fremito, cui ninna forza potrebbe più frenare. La energia del cle-
ricalismo in fatti procede dalla ritorsione degli elementi compo-
sti della società umana contro i disordinati, sotto il patronato pa-
pale 0 gesuitico. In onta alla medesima , sono però altrettanto
vani i suoi conati per retrocedere, quanto quelli d'altre sette per
precipitare : né, ridotto a que' minimi termini e infimi aderenti, cui
testò vedemmo, è in grado di proseguir molto innanzi. Cosi che
può raccogliere per alcun tempo le redini, che cadono dalle altrui
stanche mani, e dare altresì un pò* di riposo agU spiriti e di tre-
gua agli eventi. Ma alla fine , mentre il pianeta ha da andare o
l)ene o male avanti, quello cadrebbe, se suUto non calcato dal
genio della democrazia, dalle furie della demagogia stritolato. La
naturai catastrofe della tirannide borghese, interceda o non un periodo
transitorio di reazione , sarebbe conseguentemente la dissoluzione
sociale. La quale oggidì vien promossa , se non più tanto da so-
(ùalisti e comunisti fantastici, da congreghe e da compagnie d'ar-
tefici ostinatamente malefiche. La setta, detta intem<monale,<aon
fa mistero de' suoi propositi di distruggere (benché per ora senza
violenza) il culto e lo stato, non meno della famiglia e della pro-
prietà. Ed è già troppo, a me pare, e se non altro un sintomo
ben grave, che parecchi milioni di lavoratori morigerati e dili-
genti proft'ssino tali propositi; né capiscano più, quanto sieno
dissennati ed empì. Non pertanto, supponendo , che quella non
avesse grande efllc^cia, né lunga vita; non manca materia ad
altre sette consimili, od esca almeno agU ammutinamenti spon-
tanei delle moltitudini. Probabilmente anzi cotali imprese, can-
giando parvenze e temperando alquanto le proprie esorbitanze,
per agevolarsi la riuscita , diverranno assai più cairte e poì-
izliose. E gli sforzi per disperderle, e i divieti e i supplicii, sen-
z' ovviare ai mali, che le producono; tramutandole da palesi in
segrete e da abominevoli in compassionevoli , le renderanno vie
più inespugnabili e formidabili. Intanto non vi può essere am-
biente più propizio degli odierni dominii del terzo ceto, al loro
rampollare e attecchire. La Francia, nel 1848 e nel 1870, ebbe
già due volte a sperimentar di recente in sé medesinMi i lor fii-
rori : i quali, benché repressi o sopiti , niente accenna, che sieno
estinti 0 iiiiiti. Nella Russia cova sotto le ceneri un fiiooo miste-
rioso di consunzione civile, e quasi d'umano anniffhilimftnlo, di
32
- 498-
cui è assai diOicìle impedir lo scoppio o arrestare il eorso. E FAle-
magna finalmente comincia a destarsi, e a comprendere , eh' ella
in questo campo è stata neir ultimo secolo preceduta : ma eh' ella
ha quivi il proprio secolar compito. Avvegnaché si per l'altezza,
a cui giugne ne' suoi ratti metafìsici , e si pegl' istinti suoi indi-
viduali , ella subisce le forme sociali , necessariamente pratiche e
collettive, contra genio. Ma la sua mente e il suo cuore incUnano,
come neir ordine religioso al razionalismo , nel politico al socia-
lismo: ov' ella, arrivando all' usata sua maniera tardi, sta per fare
le più mirabili prove.
CCGXXXV. Preordiiuudoni della borgheda al socialiiM.
L' Italia sola è in grado di contrapporsi a tali torbide e pu-
tride correnti , sola possedendo, in tanta sua caduta , dell' antica
e unica civiltà il deposito, e plebi, che hanno la mansuetudine
de' forti. E per questo forse ella è più ritrosa d' altre nazioni
verso le novità socialistiche; e si abbranca, anche in tanto mar-
tirio, ai vetusti stabilimenti, come a sacri palladiL Preservandosi
sempre incolume dai delirii e dai delitti de' volghi oltramontani;
inaugurerà dessa un giorno, ostia maggiore , Y armonico conserto
di tutti i ceti in un popolo ossequiente al diritto e all'equità.
Fatto è per altro, che anche qui bande servili si raccozzarono
testò in Romagna e su quel di Benevento; né si sa fin dove la
disperazione, in questa disfatta de' sentimenti generosi e gentili,
possa andare. Indubbiamente anche qui , non meno d' altrove , le
cose volgono ornai a tal termine , che già di per sé le si sconnet-
tono. E , come negli organismi infermi tendono i diversi elementi
a disgregarsi, fìn che nella morte non vi sia più nesso tra loro,
e ognuno riprenda la propria individualità; cosi accade ora nelle
compagi politiche. Il cui amalgama, sciolti i legami della reli-
gione e della patria, vulnerate la famiglia e la proprietà, ridotto
il consorzio civile a funzioni meramente negative, accarezzato
l'egoismo in tutte le guise possibili, scrollati i fondan^enti del-
l'onestà pubblica, comincia già a disfarsi. Laonde, dicendo, che
la borghese tirannide conduce alla dissoluzione come a naturai
meta , io dico meno di quello , che dovrei. Dappoiché que' due
fulcri, in che le utopie socialistiche più estreme si aggirino,
0 in somma que' due sistemi , che conducono all' anar^ia ed
-499-
alla promiscuità, sono né più né meno quelli propri della plu-
tocrazia. Alla quale è già ìnsito il socialismo: sacrificando essa
religione e patria e famiglia alla proprietà, e violentando del
resto a suo prò' quelle medesime funzioni economiche, di cui
unicamente sì cura. Ed è anzi essa stessa in azione il più enor-
me ed orrido socialismo, che immaginar si possa; importando
una rinnegazionc de' più essenziali istituti dell' umana società e de'
più puri sentimenti dell' umana natura. Né vi è altra difiérenza
tra essa e i socialisti novatori, se non che questi sottopongono
gr interessi morali del civil consorzio ag^' interessi materiali di
tutti gV individui; ed essa in vece di que'soli, che concernono la
propria casta. Nondimeno agli uni ed air altra è comune il sot-
toporre la civiltà all'economia, l'intelligenza all'industria, F aspi-
razione all'istinto, l'umanesimo alla ferità, l'anima al corpo; e
il non preoccuparsi, che delle ricchezze, o per rivendicarle e
acquistarle, o ()er mantenerle e moltiplicarle. Mentre la plutocra-
zia, impadronitasi della repubblica, già se ne serve come d'una
fattoria socialistica; e la sfrutta per suo conto e, per isfhittarla,
la va esaurendo e struggendo, né più, né meno di queUo una
socialistica compagnia farebbe.
CCGXXXVI. IstigaiioBi della IwrghMiA al aMialioMi
Ma, prescindendo da ciò e dal socialismo già attuato nello
stesso ordine economico cogl' ingenti accatti camerali, colle turbe di
provvisionati pubblici, colle imposte spogliatrid, co' confiscati patri-
moni de' corpi morali e col larvato erariale fallimento; é indubitalo,
la tirannide borghese provocare suo mal grado il sawertimento
li tutti gli ordini costituiti, e ricercare in questo appunto la sua
[)ropria maniera d'espiazione. Perchè certo ella non vorrebbe in
tal guisa (mire: e tuttavia non la fa, che allettare e incitare i suoi
sudditi 0 i suoi schiavi a tinto. I quali non hanno, che a seguire i
suoi suggerimenti ed ammaestramenti, attendendo all'utilità senza
curarsi del dovere e procacciando ciascuno il proprio conunodo
senza curarsi del prossimo, per divenir ministri di quella espiazio-
ne. Fino i soldati e i poeti invitano oggidì i popoli a non emularsi
in altro, che in quelle, cui eglino chiamano arti della pace, owe-
ramente nelle industrie meccaniche e mercantili; e a non ripone
in altro d' ora innanzi le lor glorie, che nelle mostre industriali.
(
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Di guisa che Y ideale de' miei contemporanei è il considerarsi
esseri puramente industriosi, o una specie superiore di castori
e di formiche, che calpestano e scavano questa crosta terrestre
unicamente per fabbricare e per ammucchiare, per produrre e
per consumare. Co' quali principii , se fossero a pieno osservati ,
credo, che in capo a poche generazioni gli uomini tornerebbero
a imbestiarsi; e che a non lungo andare non solamente i loro
ordini e vincoh, ma fino i loro intelletti e cuori verrebbero me-
no. Pur, chi negasse cotale effetto, non potrebbe negare, que' con-
sigli e (ciò, che più importa) quegli esempi, che gli accompa-
gnano, essere i più atti a suscitare i conati sovversivi. Concios-
siaclìè è vero, che i padroni o i tiranni Ihtendono, non dovere
ritorcersi a lor danno : ma i sudditi o gli schiavi intendono e deb-
bono intendere altrimenti. Se cioè ognMdealità è bandita, se più
niente di nobile e di generoso si apprezza, se uniche regole ri-
mangono il tornaconto e Y egoismo; e se non si tratta più , che
di lavorare e di lucrare, e di pascersi e di godere: la logica
vuole, che chi più può e più soffre si alzi , e schiacci il fiacco e il
gaudente. E pertanto basta, che i ceti più numerosi e più infe-
lici si contino e si consultino, ed osservino ed applichino fedel-
mente i consigU e gli esempi dati loro dal ceto più scarso e più
avventurato, per sopraffarnelo. Imperocché gli unici sentimenti,
che ne ^li potrebbero distorre , quali la benevolenza e Y annega-
zione , r amor de' concittadini e il timor de' numi . . . , questi fu-
rono dalla borghesia derisi e infamati. La quale, mentre tolse
alle plebi colali ritegni spirittmli, che le potrebbono almen ren-
dere pazienti agli oltraggi ; d' altra parte moltiplicò questi in tal
modo, che, se le avessero le virtù degli angeli, appena potreb-
bono rassegnarvisi.
CCGXXXVII. ProYOoasioiii della borgrliesia al sodalinM.
Noi vedemmo in fatti nel corso di questo libro, quanti torti
si sieno contro le medesime commessi, e con quanta indifferenza
e con quanta inverecondia. Assoggettandole al servigio militare,
le si sono in pari tempo private de' suffragi e quindi defia citta-
dinanza nello stato col concorso loro fondato e da lor difeso.
Spogliandole dcMasciti de' maggiori, che soccorrevano alle lor
distrette, le si sono insieme aggravate, per esooerare gli ab-
-501 -
bienti e i voluttuosi, in proporzione de' loro bisogni e de'lor pa-
timenti. Né quasi manca altro, se non fosse utile il lor servìgio,
cbe di farnele sgomberare; poiché non vi é i»ù una zolla, che le
sopporti, né vive, né morte. Cosi ch'elle in sostanza, se non
più per ragioni giuridiche o di precetto, certo per ragioni eco-
nomiche 0 di fatto, vivono come masnade di servi, non curate
per altro, che per essere puUtamente angariate e vessate. E questi
non sono, che alcuni de' torti pubblici: ma chi potrebbe tntt'i
privati annoverare, che di per di, persona per persona, sono loro
fatti soffrire da' privati? Pare ora un portento, se alcuni ricchi
assegnano una tenue porzione delle proprie entrate a edificar
({uaiche scuola, asilo o spedale a pro'degU sciagurati, cui egli-
no (per esempio) accatastano e macerano nelle lor fabbriche, e
co' cui sudori e col cui sangue tesoreggiano. Pognamo, eh' e' vi
consacrassero tutti quanti i lor frutti annuali, e che non mettes^
sero in serbo verun milione di lire, facendo in tal guisa i filan-
tropi. Sarebbe già molto, che semplici cittadini si atteggino coA
ne' propri feudi industriali a castellani benefici e a signori magnì-
lici; e che in pien secolo decimonono si creino cosi unadientela
d'uomini ligi, col solo merito di sovvenir la miseria, da loro
fomcnUita, co' quattrini da costoro guadagnati. Pure questo, ripeto,
pare ora un portento: e lo é di fatti, se si considera il noiodo,
in cui si compoitano per solito i ricchi, e q)eciahnente i ricchi
rifatti. Giacché, se si vuol trovare ancora qualche reliquia di cor-
tesia, d'ospiLilità e d'amabiUtà nel mondo, e fin di dolcezza eo-
gr inferiori, d'afTabiHtà co'mendici e di confidenza conservi, bi-
sogiia proprio in qualche antica magione rientrare. Menure nelle
nuove case, custodite con altrettanto sospetto, che gli scrigni, il
più sovente non si assiste, che a scene di durezza, di burbanza
e d' oltraeotanza. Né di regola vi é miglior segno per riconoscere
i moderni Cresi, compresi i filantropi dianzi accennati, se non
di guardare al tratto : il quale naturalmente tanto più 6 orgoglio-
so, arcigno e insolente, quanto più vicmo, fitto e profondo il
fango, donde emersero. A non tener conto di dò, i ricchi vec-
chi e nuovi hanno questo di comune: di non avvertir punto h
marea, che monta; e colla loro prodigalità brutale da un Iato,
({uanlo colla loro spilorceria dall'altro, disfidare troppo incauta-
mente la pazienza de' miseri e de' tribolati. I quali comportano al
il cotidiano spettacolo, eh' é già un'onta cotidiana alla giostiiia,
dell' impura sorgente delle maggiori riochezie: non, die ebi le
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ha male o bene acquistate, le usi insultandogli. E assai piii, che
dell'avaro, il cui cuore e fors'anco il cui cervello stanno ornai
rinchiusi nell'arca de' danari; s'indignano dello scioperato, che fon-
de senza discrezione e fin quasi senza scopo gì' immeritati tesori
in cocchi e in giuochi, in scommesse e in gozzoviglie: mentre
ei non hanno di che coprirsi e dì che sfamarsi.
CCGXXXYIII. PosBibilità deUa graem serrUe.
Intanto la condizione economica delle moltitudini, in onta ai
vanti degli economisti, rendesi sempre più grave e intollerabile.
Tanto che , per non ridir d' altro ( ed è del resto tutto quello ,
che di più atroce si possa asserire ), ho già notato, l' alimentazione
del popolo italiano non bastare più all' uopo. Donde la fre-
quente mortalità de' bambini e la rada longevità degli adulti , io
confronto d'altre contrade; e la senilità precoce delle donne e
l'orrida pellagra de' contadini. La qual condizione, ancor che
fosse negli andati tempi uguale, ora è vie più resa grave e in-
tollerabile dalla stessa libertà vera o supposta, che lascia senza
protezione o aita i bisognevoli. Perciocché allora tutti ne* rispet-
tivi cerchi della società, in cui erano posti, aveano un fermo e
stabile assetto; e lino i servi della gleba erano da' {n'opri pa-
droni vestiti e nudriti. Oggi ciascuno vive in una sorte precaria
e incerta, lusingato più dalla speranza e deluso più dalla for-
tuna; e chi ha fame, ha da morir digiuno. La carità non è af-
fatto estinta, sebben quasi già distruttone l'avito retaggio; per-
cliè dall' Italia non potè né anco la borghesia del tutto bandirla.
Ella tuttavia è divenuta si gretta e stretta, ed anco si fredda e
crudele, che non si sa, se la rimanga per beneOcare o per tonnen-
tare. È dogma , come ho detto, della morale borghese, che ognu-
no deva ajutarsi da sé; e che, se non né capace, niuno deva
assisterlo, dovesse crepar come un cane. Tuttavia i migUori con-
sentono d' assistere chi sa ajutarsi colle casse di risparmio e eoo
cotali istituzioni , e Un d' alimentare chi non sa lutarsi ne' pub-
blici ospizi 0, conr ei gli chiamano cinicamente, depòsiti di
meìidicità. In quest'ultimo caso però, vietata la questua, ne gii
rinchiudono entro per forza, e gli mettono poi senz'altro in pri-
gione, se n'escono: acciocché paghino di libertà. Ma, siccome
la poveraglia cresce, e cresce fuor misura, mentre se n' è di-
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sporse il patrimonio; cosi oggi col vangelo di Malthus le inti-
mano (li non generare: domani (chi lo sa?) forse d'uccidersi.
Che, se tuttavia ella si rammarica e freme, non mancano i fa-
mosi uomini pratici, e per sino certi giornalisti reputati, di proporre
j)or ultimo rimedio la polvere e il piomho. Or, se con tal sorta
di provocazioni le vittime deir oppressione mercenaria non in-
sorgono, noi dobbiamo confessare, che non è già perchè le cause
manchino; sì perchè la bontà di quelle supera molto la nialva-
giià (li (jucsta. E per fermo le inclite plebi italiane, che furono già
onorate de' consolati e de' trioni!, sono di tanta mansuetudine do-
tato nella lor fortezza e di tanta prudenza nella loro magnani-
mità; che io credo, nemmanco nel parossismo del dolore e nel-
r olibrozza doli' ira, potrebbono mai le stragi e i saturnali de*
vol-rhi francesi imitare. Se non che nella mansuetudine e nelLi
prudenza dogli uomini poco è a fidarsi, quando il dolore e Tira
trabocchino; e vie più quando, p(;r usare una frase oggi in voga, si
tratta (lolla (( lotta per l'esistenza )>. E pertanto, die i plebei
(T Italia corcassero d' arrancarsi da quella oppressione ne' modi
civili e legittimi, come già i maggiori loro in Roma, sarebbe
giusto: e i)uò darsi, che cosi facciano. I consigli e gli esempi e
lo (irovocazioni e tutto lo spirito del secolo vogliono in vece,
conn» testò vedemmo, una l)en diversa cosa. Non cioè il miglio-
ramento del civile consorzio; ma la distruzione o, che fa lo stesso,
r altora/iono del medesimo in guisa, che non possa più sussistere.
Non \^ rivendicazione de' diritti alla romana; ma, alla barbara,
la rivoluzione, la rivincita e la rappresaglia delle prepotenze. E
non lo torme calme, solenni e sacre di procedura; ma i ciechi
furori, i postumi risentimenti e le sanguinose vendette.
(.CCXXXIX. Minaccia della guerra serrile.
dio appunto soprasta ora all' Europa col nome di « guerra
sociale », e cui io dimanderò, secondo l'uso degli avi nostri,
<i servilo » : somj>re che la s' intenda da un Catilina, piuttosto che
da nno'Spartaco capitanata. La quale, per quanto stolta e iniqua,
che abbia facile esca di proromjìcre e d' imperversare, sembrami,
sia dimostro dalle stosse circostanze, in che avrebbe a sorgere.
Posciachò, pur proscindendo dalla materia attissima, che c'è, e
dalla poderosità immensa di chi l'avrebbe a iotrapreodere (se
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non altro per la copia de' combattenti ) ; Y individualismo ora su-
blimato a sistema è appunto quella tal causa, che rende possibile
e il fare e il tollerare nelle repubbliclie e negV imperi le mag-
giori enormità. Voglio dire, che i popoli ogni poco uniti d* animo
non diventano di leggieri preda di questa o quella sopralTaziooe :
poiché ogni cittadino cospira anche tacitamente cogli altri per
la reciproca difesa, ed è pronto a insorgere pel comun diritto.
In vece il contrario accade a' popoli disuniti, presso i quaU ogni
cittadino ( innanzi al comun pericolo non pensando, che a salvare
sé medesimo) lascia commettere qualunque scelleratezza sugli
altri ; né s' accorge del proprio errore, se non quando lo stia esso
stesso espiando. Così spiegasi, come i romani degenerali soppor-
tassero non solamente Cesare e Augusto, ma que* quattro mostri
adottivi della casa Giulia, che poi seguirono; lasciandosi i più il-
lustri e i [)\\i valorosi di loro vilipendere grado a grado e moz-
zare il capo uno ad uno da quattro forsennati, senza né anco re-
sistere. E così accadrebbe in un' impresa stolta e iniqua d* af-
francazione oggidì, ctie costoro appunto, che la eccitano e di-
sprezzano ; dato ciie la sopravvenisse, pel queto vivere e |)el pi?n-
sar ciascuno a' casi propri , le darebbon licenza e favore. Come
adumiue alcuni de' due ceti maggiori propugnano la reazione colla
fazion clericale, così alcuni del quarto propugnano la dissoluzione
della società costituita colla guerra servile. Le quali due Eume-
nidi, se non ci si provvede, Tuna prima e T altra di foì aspet-
tano il ter/o ceto «Mia iliie del suo cammino per punirlo. Conoedo
bene, che la dissoluzione non si potrebbe del tutto raggiungere,
siccome già né anco del tutto la reazione: o che, appena rag-
giunta, tosto darebbe a una novella creazione luogo. Nondimeno,
ammesse V inanità e la malvagità de' conati sociaUstici d* ogni ma-
niera, ciò non toglie, che si possano intraprendere ; e che in tale
intrapresa vi sia tutto che di più estremo e di più odioso vi
l)Ossa esser nel mondo. Giacché gli uomini, assumendo T angelica
natura, {)Otrebl)ero , io mi credo, senza i ceppi sociali convivere:
ma nello stato di colpa tanto più ne hanno mestieri, quanto più
colpevoli. E in tale stato il tentare di liberarnegli colla Wolenza,
oltre vano, é anclie funesto : respingendogli vie più lunge da quella
perfezione, a cui non possono, che pel tramite della società, per-
venire; {) ricacciandogli, se fosse possibile, nel prìstino ferìno er-
rore. D'altro evìnto le plebi non si possono alTrancare, che pro-
prio invocando la ^'iustizia civile; mentre la più santa causa (ed
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è |)or fermo santissima la loro ), co' mezzi crudeli e infami si di-
sonorerebbe e rovinerebbe. E in fine, il risultato unico d'una
guerra servile, anche appena iniziata, nelle condizioni più miti
e nella ipotesi più benigna, sarebbe un tale sfogo di passioni rab-
biose e perveree, per cui io non dico i rei, ma sino gì' inno-
centi dovrebbero tremare.
(ÌCCXL. Conolnsioiie.
Ebbene io so, che la tirannide borghese deve finire in breve,
e che dalle proprie iniquità sarebbe di per sé sospinta, precisa-
mente nelle due guise testé dette, a capitar male. Pure io non
dispero ( sebbene ella a ogni modo deva capitar male ), che ambo
questi tlagelli, o V uno o T altro, si possano con un grande sforzo
di virtù scongiurare; e che ne' danni di quella non abbiano ad
essere avvolti coloro, che ne furono autori o strumenti. L' uma-
nità certamente dee procedere innanzi e salire in alto, e la pa-
tria nostra tornar degna di sé medesima, seguano o non seguano
tali llagelli. Ned io dubito dell' incesso della prima e del trionfo
della seconda: e per parte mia sono già rassegnato a sopportare
co' miei contemporanei tutte le prove dolorose, eh' egli hanno vo-
luto preparare; confidando nella vittoria de' posteri e confortan-
domi in (piesta. Ciò non ostante, sarebbe desiderabile, che il bene
avvenire si potesse raggiungere senza tanto male attuale; e af-
frettarlo quanto più possibile e, direi quasi, goderlo o almeno
pregustarlo anche noi. Ora, vi è un mezzo, per evitare tanto la
retrocessione, quanto il sovvertimento; e per uscire dalla presente
a|/orjia alla vita, senz'affliggersi con pericoli e timori, e senza
contaminarsi con delitti e rimorsi. Vi è un mezzo per domare i
tiranni e per redimere gli schiavi, quasi di reciproco consenso e
certo con reciproca indulgenza. Un mezzo, per cui i felici d' oggi
non sieno nelle giuste gioje turbali, e gì' infehci sieno delle giu-
ste gioje resi partecipi. Un mezzo, per cui i benefìcii del consorzio
comune sieno conservati a coloro, che gli fruiscono adesso, e co-
munieati agli altri, che ne sono diseredati; e accresciuti per tutti
nella majj^giore e miglior guisa, ne' termini del diritto e dell'equità.
Un mezzo alla line, in grazia del quale 1' umanità rientri nel regal
sentiero, e la patria nostra riacquisti in breve l' antico splendore.
Ed è lineilo appunto additato nel libro, che seguita, e che ha per
- 506 -
titolo la Riforma civile : al qiiale, mici buoni lettori, siccome \i
ho promesso, io vi rimetto. Passiamo adunque, se vi aggrada,
dair lUilia vituperata da' faccendieri e assassinata da' pubblicani
air Italia vaticinata da' profeti e benedetta da' martiri , dall' Italia
bastarda e guasta all' Italia legittima e santa , dall' It;)lia presente
e falsa all' Italia futura e vera, dal monoiìolio oligarchico alla so-
vranit(\ popolare, dalla tirannide Imrgliese al buono stato.
Bolnf?na, l luplio 1S7JI.
INDICE
Indizi della borghesu
I. Introduzione
II. Spettacolo de' mali d'Italia
IH. Dissimulazione de' mali d* Italia
IV. Assunto deir opera presente ,...,.,
V. Giustificazione dell'opera presente
VI. Proposito di dire la verità aperta
VII. Causa massima delle odierne soflferentt . . . .
Vili. Tirannide borghese
IX. Seniore della tirannide borghese
X. Fisonomia della tirannide borghese ....
XI. Compito della tirannide borghese
XII. Idee antiche della tirannide
XIII. Elementi essenziali della tirannide . . . . .
XIV. Tirannide collettiva
XV. Tirannide impersonale
XVI. Borghesia estrinseca e formale
XVII. Novero de' borghesi in Italit
XVIII. Boi^hesia intrinseca e sostanxiale
Origini della borghesia
XIX. Cenni storici sui ceti
XX. Caste orientali
XXI. Democrazia ebraica e borghesia knkm . . .
XXII. Ceti nella società ellenica
XXIII. Antiche stirpi italiche
XXIV. Fusione delle antiche stirpi italiche . . . .
XXV. Ceti nella società italica
XXVI. Indole della società italica
XXVII. Rirugio delle genti rejette in Roma . . . .
XXVIII. Aggivgazione de' vinti alla romana compagoi»
XXIX. Guerra sociale
XXX. Patriziato e plebe in Rofflt
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It
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U
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M
SI
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37
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XXXI. Contenzioni tra patriziato e plebe > i6
XXXII. Riscatto della romana plebe '. > i8
XXXIII. Bassa borghesia in Roma » 49
XXXIV. Alla borghesia in Roma • 50
XXXV. Sorte del proletariato romano > 5J
XXXVI. Gesta tribunizie de' Gracchi > 53
XXXVII. Fazione popolesca di Mario • 54
XXXVIII. Guerre civili > 55
XXXIX. Condizione de* servi in Roma » 57
XL. Guerre servili » 58
XLI. Ceti sotto r impero » 59
XLII. Vocazione umanitaria di Roma > 60
XLIII. Infezione delle usanze straniere » 61
XLIV. Potenzialità civile di Roma » 62
XLV. Inettitudine del cristianesimo a redimere gli oppressi ...» 64
XLVI. Invasioni de' barbari > 65
XLVH. Ceti presso i germani » B6
XLVIIl. Sottoposizione degl' italiani a' longobardi » 67
XLIX. Ceti degr italiani sotto la franca dofiinazione > 68
L. Ceti degr italiani al sorgere de* comuni t 70
LI. Ordine cittadinesco ne* comuni » 71
Lll. Condizione de* rustici a* tempi de* comuni > 72
LUI. Lunga durata della servitù nel cristianesimo » 73
LIV. Lotte tra nobiltà e popolo in Venezia e in Roma .... > 74
LV. Lotte nella Lombardia > 75
LVI. Lolle nella Marca trivigiana e in Bolopa > T7
LVII. Lotte in Genova e in Siena » 78
LVIII. Popolo grasso e magro in Firenze > 79
LIX. Ceti prevalenti ne* comuni italiani » 81
LX. Fiore della borghesia nell* Italia medievale > 82
LXL Sistema feudale d* oltre monti » 83
LXII. Conali del terzo e quarto ceto oltre monti > 84
• LXIII. Tardi vagiti della borghesia oltramontana » 86
LXIV. Rivolgiinenli deli* ottantanove » 87
LXV. Innalzamento della borghesia moderna > 89
LXVI. Trionfo del terzo celo in Francia > 90
LXVII. Fremilo del quarto ceto in Europa • 92
Stato borghese
LXVI lì. Passata della borghesia moderna in Italia > 94
LXIX. Imprese per la redenzione d'Italia » 95
LXX. Cospirazione popolare de* mazziniani » 97
LXXI. Cospirazione borghese de* moderati > 99
LXXII. Esaltazione de' moderati » 100
LXXIll. Trionfo de* moderaU . . . . • » 101
LXXIY. Disfatta de* mazziniani
LXXV. Favorì della fortuna a* moderati
LXXVI. Ajuli della nazione a* moderati
LXXVII. Inopia morale de* moderati
LXXVIII. Instaurazione del dominio borghese per opera de* moderati
LXXIX. Lustre democratiche della borghesia
LXXX. Democrazia barbarica
LXXXl. Democrazia egoistica
LXXXII. Democrazia folsa •. .
LXXX III. Contraffazione della società civile
LXXXIV. Concetto negativo dello stato moderno
LXXXV. Concetto ultroneo dello stato moderno
LXXXVI. Concetto estemporaneo dello stato moderno . . . .
LXXX VII. Indole cosmopolitica dello stato borghese
LXXX Vili. Indole mercantile ddlo stato borghese
LXXXIX. Indole economica dello stato borghese
Reaìt.imcnto borghese
XC. Sovranità usurpata dalla borghesia in Italia
XCI. Prìvilcgio de* pubblici suffragi
XCII. Statistica elettorale italiana
xeni. Degradazione civica inflitta al popolo italiano
XCIV. Protesti per la civica degradazione
XCV. Plutocrazia essenziale alle dominazioni borghesi . . . .
XCVl. Forma mista di reggimento preferita dalla boi^hesìa . .
XCVII. Ordini dinastico rappresentativi
XCVIII. Regno di specie germanica
XCIX. Costituzione di tipo britannico
C. Umile condizione del monarcato sotto h borghesia . . . .
CI. Impotenza de' principi borghesi .
CU. Miseria de' principi borghesi
CHI. Calamità de* prìncipi borghesi
CIV. Senato nel reggimento borghese
CV. Disutilità do* senatori borghesi
evi. Congegni parlamentari
CVII. Prepotenza ap|)arente del voler de* più
CVIII. Prepotenza reale del voler de* meno
CIX. Cosa pubblica in mano alle (azioni . . . . *
ex. Sistema delle fazioni
CXI. Fazioni parlamentari italiane
CXII. Fnzioni de' moderati e de* progressisti
ex III. Cupitomboio de* moderati
CXIV. Diversità apparente de* moderati e de'progreflistl . . . <
CXV. Identitiì reale de* moderati e de* progressisti
(*XVI. Crìterìo soggettivo deBe fimoni pariamentarì ....
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'V
CXVII. Supposta necessità delle fazioni parlamentari
ex Vili. Giogo posto alla volontà individuale dal sistema fazioso .
GXIX. Giogo posto alla volontà comune dal sistema faiioso . .
GXX. Arbitrio della podestà esecutiva verso la legislativa . . ,
GXXI. Arbitrio nel costituire la rappresentanza nazionale . . ,
GXXII. Arbitrio nel determinare la rappresentanza nazionale . .
CXXIII. Governo privo d' autorità e d' eflGcacia ,
CXXIV. Anarchia insita al reggimento borghese
GXXV. Reggimento senza ossequio pubblico ,
CXXVI. Reggimento senza pubblico seguito
Amministrazione borghese
GXXVII. Unificazione romana delle genti
CXXVIIl. Disunione barbarica delle genti
GXXIX. Eserciti della borghesia enormi e paciGci
GXXX. Maturi destini d* Italia nel cinquantanove
CXXXI. Guerra lombarda
CXXXIl. Guerra veneta
CXXXIII. Milizia italiana
CXXXIV. Amministrazione esterna del regno d* Italia . . . .
CXXXV. Diplomazia borghese ,
CXXXVI. Lega italo francese
CXXXVII. Capitoli settembrini ,
CXXXVIII. Lega italo prussiana
CXXXIX. Neutralità italica nella guerra renana
GXL. Cose diplomatiche affidate alla ventura
CXLI. Venture diplomatiche affulate al caso
CXLII. Amministrazione interna del regno d* Italia
ex LUI. Dipendenza dalle bizze parlamentari e dalle brighe oziose
CXLIV. Trascuranza e improvvidenza
CXLV. Altri guai dell'amministrazione borghese
CXLVI. Vizio cardinale de' presenti ordini amministrativi . . .
CXLVII. Italia antica retta per municipii
CXLVI II. Italia odierna retta come provincia
CXLIX. Beni dell* unità e indipendenza nazionale frustrati . . .
CL. Danni e pericoli del falso assetto dato all' Italia
GLI. Casta ministeriale
CLII. Servitù dicaslerica '
CLIII. Infelicità de' pubblici provvisionati sotto la borghesia . .
CLIV. Incertezza de' pubblici provvisionati
CLV. Agonia de' pubblici provvisionali
CLVI. IVrverlimonto de' pubblici ufUci sotto la borghesia . . .
(!Ì.V1I. Avvilimento de' pubblici udìci
Gfi'stizia mmGiih:sE
CLVIII. Legislaziune del regno d' Italia
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230
CLIX. Infrazioni della costìluzìone politica . .
(ÌLX. Difetti delle leggi civili
CLXl. Difelli delle leggi penali
CLXII. Giustizia nel regno dMtalia^ ....
CLXIII. Giustizia punitiva male amministratv .
CLXIV. Stato deplorevole della pubblica sicufeua
CLXY. Bassi spedienti di polizia
CLXVI. Smarrimento del senso giuridico . .
CLXVII. Magistratura giudiziale
GLXVllI. Avvocheria fiscale
CLXIX. Istituzioni giudiziali della borghesia
CLXX. Giudizio de* giurati
(
1
(
(
LXXI. Patrocinio forense
LXXII. Immunità procacciata a* rei
LXXIII. Ristabilimento delle taglie
fAXIV. Danno delle taglie
LXXV. Sconvenienza delle taglie
LXXVI. Tripudio del male
KI.MIONE liOI\(;iIESE
f.XXVn. Correlazione tra gli stabilimenti civili e religiosi . . .
lAXflII. Pratiche conseguenze delle religioni
LXXIX. Principio borghese dell* ateismo politico
LXXX. Confutazione dell* ateismo politico
fAXXI. Concotto classico delle religioni
LXXXII. Esempio odierno di gentilesimo
LXXXUI. Contrasto tra gentilesimo e giudaismo
LXXXIV. Essenza propria del galileismo
I.XXXV. Holuttanza del galileismo agli ordini citili
LXXXVI. Correzione parziale del galileismo
CLXX XVII. Gerarchia romana preservatrìce della citiltà . . . .
LXXXVI IL Gerarchia romana restauratrice defl* impero ....
LXXXIX. Tentato ritorno al gentilesimo antico
XC. Sentir religioso degl* italiani a modo classico
XCl. Rivincita de' barbari contro il romanesimo
XCll. Errori della riforma germanica
xeni. Giudaismo risuscitato dalla rìfonna
CXCIV. Uroncio del papato per causa della rìronna
CXCV. SisiiMna dagl* italiani contrapposto alla tirannide papale . .
(.X(.VL Riassunto del sistema di resistenza cifile
CXCVll. Formula del sistema di resistcnia civile
CXCVUL SisUMiia borghese della indiflerena religiosa . . . .
CXCIX. Applicazione del sistema della indifferena od regno (T Italia
ce. Iiididei-enza accompagnata dalla reli|iosi oppressioiie . . .
CCI. Vili|K'udi inflitti alla religiooe <M popolo ilatiino . . . .
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CsCU. Ostacoli frapposti alla religione del popolo italiano . . .
(XIII. Spoglio della chiesa in Italia
CCIY. Momentaneo ravvedimento della polizia ecclesiastica borghese
CGY. Funesti elT<Hti della polizia ecclesiastica borghese . . . .
GGVI. Orrida procreazione della bizion nera
GGVII. Probabile trionfo della fazion nera
GGVIII. Sorli presenti del papato
(XIX. Apparente agonia del papato
GCX. t'orze della romana curia
GGXI. Vere cause di possanza della curia romana
(XXII. Gesuitismo competitore del giudaismo borghese . . . .
MOHALFTÀ ROrVGIIESE
(XXIII. Gorruttcla della borghesia
GGXIV. Insolenza ne' modi
CGXV. Cupidigia deMucri
CCXVI. Culto di Mammona
GCXVII. Conseguenze del culto di Mammona
GCXVIII. Depravazione de' costumi
GCX1X. Servitù legale istituita pel pubblico vizio
CCXX. Ordinamento della senilù inlame in Italia
CCXXI. Orrore della servitù infame
CCXX li. Ingiustizia della senitù infame
CCXXUI. Insufficienza della servitù infeme
CCXXIV. Superfluità della servitù inlame
CCXXV. Spettacoli turpi
CCXXVI. Turpi letture
CCXXVII. Mancanza d' idealità
CCXXVIII. Mancanza d'amor patrio
CCXX IX. Mancanza di carità
(XXXX. Uggia de' |)opoli moderni
(XXXXI. Paturnia de' signori e de' sudditi borghesi
CCXX XII. Interdetto del carne\'ale
CCXXXIII. Frequenza de' suicidii
Coi.TUIU BORGHESK
CCiXXXIV. Superiorità della coltura intellettuale antica ....
CCXXXV. Inleriorilà della coltura intellettuale moderna ....
CCXXXVI. Decadenza degli studi in Italia
(XX XX VII. letteratura borghese
(XXXXVIII. Arte perduta di fare i libri
(XXXXIX. Difetti degli odierni autori
(XXL. AlKlicazione dell' ufficio letterario
(XXIJ. Altre colpe de';li autori odierni
CCXLIl. Vizi speciali degli scrittori italiani
CCXLIII. Scuola borghese
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CCXLIV. Guai delP istruzione superiore
CCXLY. Guai deir istruzione mezzana
CCXLYI. Guai dell* istruzione inferiore
CCXIAH. Triste educazione iroparllta al popolo italiano . . . .
CCXLVIII. Fanatismo pegli attori di teatro
CCXLIX. Brutalità verso le lettere elearti '.
CCL. Stampa prezzolata
CCLI. Infelice condizione del commercio librario
CCLII. Destino degli scrittori liberi e forti io Italia
CCLIII. Congiura de* muti
PROSPERITÀ BORGHESE
CCIJV. Problematica opulenza de' popoli moderni
CCLV. Mali economici d* Inghilterra
(ICLVI. Economia borghese in Italia
CCL VII. Catastrofe degli alU ceti
(^(XVIII. Disparìzione delle antiche dttadinaine
(XLIX. Peggioramento del basso ceto urbano
CCLX. Poggioramonto del basso ceto rustico
CCLXI. Sorte miserrima de* contadini
CCLXll. Migrazione de* contadini all'esterno
CCLXIII. Arriahimento particolare a danno unitersalo . . . .
CCLXI V. Nuova e ibrida specie di baronaggio
CCLXV. Finanza borghese in Italia
CCLXVI. Ini(|uità del sistema tributario
CCLXVII. Gravezze disuguali
CCLXMII. Gravezze riversate su* miserabili
CCLXIX. Gabella del macinato
CCLXX. Sperpero dell' entrate pubbliche .
CCLXXl. Infruttuosità delle pubbliche spese
(^.CLXXII. Corso forzato delle cedole di banco
CCLXXIII. Affogamento ne* debiti
CCLXXIV. Dilapidazione de* beni demaniali
CCLXXV. Privati usurpazione della proprietà cornine . . . .
CCLXXVI. Dilapidazione de* beni comuiali
CCLXXVIl. Dilapidazione de* beni ecclesiastici
CCLXXVIII. Indiretta spropriazione del popolo
CCLXXIX. Diretta spropriazione de* poteri
C(!LXXX. Prospettata incamerazione del patrimonio defle opere pie
CCLXXXI. Fallimento latente dello stato borghese
CCLXXXII. F^ilo naturale del sistema finaniiarìo boifbese . . .
AU<1\M DELLV nORr.IIESIA
CCLXXX11I. Sinimenti di regno della borgbe&a
CCliXXXIV. In«!annaniento della nazione ....
CCLXXXV. Creazione d* un* opinione pubbUca Attilia
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CCLXXXVI. Monopolio della stampa
CCLXXXVII. Natura boi^hose del giornalismo pnfscnte . . .
CCLXXXVIll. Monopolio del giornalismo
CCLXXXIX. Giornalismo ministeriale in Italia
CCXC. Necessarie peripezie dell* opinione pubblica Gltizia . .
CCXCI. Pervertimento della nasone
CCXCII. Stima del vizio
CCXCIII. Disistima della virtù
CCXCI V. Affievolimcnto della nazione
CCXCV. Scisma civile e morale
CCXCVI. Divisione per ceti in Italia
CCXCVIl. Divisione per regioni
CCXCVIII. Screzi provinciali
CCXCIX. Divisione per sette
ecc. Divisione per fazioni
CCCI. Eccessi partigianeschi
CCCII. Assopimento civile e morale
cecili. Rintuzzamento de' sentimenti eroici
CCCIV. Modi tenuti per rendere imbelle il popolo italLmo . .
CCCV. Rintuzzamento de* sentimenti politici
CCCVI. Sfacimento della storia e della civiltà italiana . . . .
CCCVIl. Vituperazione del carattere nazionale
CCCVIII. Vituperazione dell* onore nazionale
CCCIX. Vituperazione del sentimento nazionale
CCCX. Guerra mortale ai valorosi
CCCXI. Ostracismo dato ai l)enemeriti
CCCXll. Cause ed effetti dell' ostracismo borghese
CCCXIII. Esempi di preclari cilLidini ammoniti
CCCXIV. Rejezìone ingiusta de* mazziniani
CCCXV. Persecuzione funesta de* mazziniani
CCCX VI. Ripulsii de* capaci dal primo corpo legislativo . . .
CCCXVII. Ripulsa de*aipaci dal secondo corpo legislativo . .
CCCXVIH. Divieto di sedere in consiglio agi* idonei ....
CCCXIX. Chiamata in consiglio de* faccendieri
CIT.XX. Ostracismo dato ai pensatori
CCCXXI. iattanza del praticismo
CCCXXII. Empirismo degli uomini di stato borghesi . . . .
CCi^XXIII. Apoteosi della furberia
Destini della BORr,iiHNL\
CCCXXIV. Pronostici sulla dominazione borghese
CCCXXV. Ragionevole caduta della borghesia
CCCXXVI. Inolultabile caduta della Iwrghesia
CCCX X VII. Imminente caduta doila borghesia
r.CCXXVlII. Vangelo del secolo diHÙmonono
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CGCXXIX. Catastrofe della domìnanone borgbeiie in Italia . . .
GCCXXX. Conati di reazione sociale
CCCXXXI. Perfldia del clerìcalismo
CCCXXXIl. Condanna del clericalismo
CCCXXXIII. Aspettazione del clericalismo
CCCXXXIY. Conati di sovversione sociale t
CCCXXXV. Preordinazioni della borghesia al sodalismo . . . .
CCCXXXVI. Istigazioni della borghesia al socialismo
CCCXXXVII. Provocazioni della borghesia al socialismo . . . .
CC(]XXXVII1. Possibilità della guerra servile
CCCXXXIX. Minaccia della guerra servile
CCCXL. Conclusione
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